aasaaaasBBsm ^*. GIORNALE 4> DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI *%f. a65, a66, aG;. ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI i84i S'C^^S^"^ 3S.ÌI Ì^'ll^i4" GIORNALE D I TOMO LXXXIX OTTOBRE, NOVEMBRE E DICEMBRE ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI 1841 SCIENZE Intorno ai due ultimi trattati del corso di filo- sofia del signor ab. Antonio Giusti professore nelVI. R. liceo di Venezia. Lettera critica del p. Giambatista Marrocu M. C..^ professore di teologia nella università romana ^ a sua eccel- lenza reverendissima monsignor Antonio Tra- versi patriarca di Costantinopoli etc. c, lon tanto piacere dei dotti, che in Italia figurano il più, come voi ne siete bella prova, monsignor mio stimatissimo , vennero a pubblica luce il secondo e terzo trattato, che sono gli ultimi del corso di fdo- sofia impresso in Venezia nel iB3g coi tipi del Mo- linari. Queste due produzioni già prevenule dal de- siderio comune per le molte lodi, che se ne dissero anche dai nostri giornali nel 1887 ( Vedi giorn. ar- cad. voi. 21^', art. 4) quando si ebbe primamente l'esposizione della logica, accennano al merito incon- trastabile del veneto autore sig. ab. Antonio Giusti, come appunto quel primo trattato logico bastò di per se a conciliare assai della stima agli altri due, ch'egli ^ Scienze ci avrebbe di poi scritlo per completare il suo corsa. Io non dissimulo, monsignor veneratissimo, essere inu- tile più che non è egli malagevole a vostro riguar- do, ch'io prenda a disaminare ed illustrare con cri- ticiie osservazioni questi ed altri tali lavori fdosofi^ ci, di che voi stesso siete giudice impareggiabile per la profonda ed ampia scienza, che vi distingue fra ì primi lìlosofì del nostro tempo ; o che io prenda a trattare il merito degli autori innanzi a voi autore già notissimo in Italia e fuori, per quelle opere spe- cialmente con che onoraste e la dignità vostra e la letteratui'a italiana; perciocché ricevette da voi nova- mente illustrate con bella luce le teorie difficilissime della fisica. Non pertanto egli non potrà essere che buono per riguardo a me, se io v'intitoli questa epi- stola , onde almeno sottoporre al giudizio vostro le poche riflessioni, che ho fatte leggendo avidamente i trattati, di che parlo. Il quale vostro giudizio, avvegnaché favorevole, terrà luogo certamente di sublime lode allo stesso au- tore sig. Giusti, che prodotto per opera vostra ad es^ sere professore, qual volealo il suo merito, per ogni diiitto vostro e suo vi debb'essere amico; non mena che di grazia singolare, ond'io vi debba essere tenu- to per la nobile e delicata gentilezza del vostro ani- mo, che non isdegna di accogliere questo, qaalch'egli siasi, pubblico attentato del mio rispetto alla insigne persona che voi siete e per dignità e per sapere. L'ontologia, la psicologia, la teologia e la cosmola- gia fornirono la materia delt'un trattato, che il eh. autore divise in tre libri distinti intitolandoli col no- me di mrtafisica, a cui è sottoposto il contrassegna delle parli priina^ seconda^ terza^ quarta^ Nell'ai- Corso di filosofia ec. ^ 11*0 trattato è tutta Velica, che si contiene scrÌLla in un solo libro. Dopo ciò eccomi , monsignore stima- tissimo, al mio proposito. Il libro sulla ontologia del sig. Giusti fissa a parer mio una particolare attenzione, non tanto per la perspicuità dello stile in che è dettato, e per l'or- dine bello che vi risplende in ogni parte, quanto per le profonde speculazioni, per gl'invincibili argomenti^ e in fine per le dimostrazioni veramente esatte di cui è fornito. Vedesi di leggeri, che l'autore sul fonda- mento delle teorìe da lui già sposte nella logica in-^ torno a vari punti ha un impegno suo proprio , e certo lodevolissirno , perchè non mostra servilità di opinioni, ma la vera gloria delia verità, di confuta- re l'intemperante critica, a cui venne da celebre fi- losofo assoggettata l'ontologia, e di vendicare questo ramo di scienza metafisica dalle irragionevoli tacce appostelesi non so per qual genio di novità, che me- na talvolta ed affascina anche i grandi uomini. Ceiv to il sig. barone Pasquale Galluppi, che veramente è chiarissimo nel nostro secolo, in varie sue contem- plazioni ha tentato di mentire alla ontologia le sue verità, e d'illuderne i trattatisti, onde venissero a tra- sformare in leggi reali delle cose in se quelle che al- tro non sono, che semplici leggi logiche ; talché ri- guardassero come oggettiva al di fuori dello spirito quella necessità , la quale non è più che soggettiva in riguardo al suo modo di concepire. Con che non si pregiudica menomamente il nome insigne del sig. Galluppi, il quale pensa giusto de'suoi libri, come il poeta filosofo giudicava degli uomini che : P^itiis si-- ne nemo nascitut\ optimus ille est, qui miìiimis ursretur. G Scienze Pertanto il sig. Giusti ci si manifesta in tali con- Ivoversie, che tanto importano, quanto l'assegnare i principii fondamentali degli umani giudizi , per uo- mo qual'egli è profondo assai nel pensare, unendo alla giustezza delle sue ponderazioni una felicità non co- mune in esprimere con segni chiari e precisi ciò eh' egli sente. Vonno essere lette specialmente le sue no- te addizionali al capo I del detto libro per l'impor- tanza delle cose che offrono. Mella prima ( lett. A ) l'abbaglio del Galluppi, che imputava, come abbiam detto, alla ontologia : il far consistere la realtà in ciò solo che ha esistenza nelVessere indipenden- temente dalle nostre percezioni : è fatto vedere ad evidenza ; perciocché prova l'autore con inconcusse ragioni, che non debbon mai qualificarsi (nel modo ch'ei dice ) i difetti da ciò che possiamo affermare tro- varsi nelle cose. E quindi appunto nella nota (lett. C) toglie a dimostrarci in qual conto debba essere pres- so gli ontolugi la giusta ed esatta classificazione del- l'uno e dell'altro genere di nulla, sebben riguardata qual cosa frivola dal sig. Galluppi; del quale pur veg- gonsi ingiuste le accuse contro a Wolfio ed a Stor- chenau. Questi aveva insegnato che: V impossibile as- soluto è inabile ad esistere'^ al che il Galluppi si oppose accusando ae di errore filosofico l'autore, per- chè, com'ei pensa, con quelle si attribuisce al non- ente un predicato, cioè l'inabilità. Ma con quale fa- cile risposta il Giusti non attacca e distrugge l'inu- tile accusa ? Di grazia, egli dice al sig. Galluppi , raffermare d^nn possibile assoluto V inabilità è egli un attribuire al non-ente un predicato, o non piut- tosto un negarglielo ? Inabilità è nozione negati- va di abilità \ ossia il pronunciare che un non- Corso di filosofia ec. m ente è inabile è lo stesso pronunciare.^ ch'egli non è abile; che^ come ogn\iltro predicato.^ così ne pur quello gli compete di una qualsiasi idoneità. On- de felicemente deduce dallo stesso assioma ontologi- co : non-entis nulla sunt praedicata : allegato in fa- vor suo dal Galluppi contro la proposizione di Stor- chenau, quanto voglia essere falsa quell'accusa egual- mente che vera questa proposizione. In questo modo s'inoltra il sig. Giusti penetran- do passo passo per entro le piia astruse quìstioni sem- pre coerente ai suoi principii, e sempre valoroso nel saperli applicare e difendere. Sono belle egualmente che interessanti le altre note ontologiche; quella spe- cialmente che vedesi nel capo II ( lett. G. ), in cui egli dimostra persistere senza niuna alterazione Ves- senza^ mentre la natura e suscettibile negl'individui di varie abitudini e cambiamenti; e però essere uti- le e non vana, come il sig. Galluppi diceva, la di- stinzione tra essenza e natura; perciocché niuna ev- vi ragione di qualificare per inutili que'vocaboli, che diremo piuttosto necessari alla proprietà del discorso. Quella sotto il capo IV ( lett. K ) che tratta egre- giamente di sulle relazioni dette da Emmanuele Kant modi di pensare dello spirito- e non modi delle cosCy approvandosi tal dottrina dal sig. Galluppi; tal- ché debba dirsi, giusta le sue parole, che le relazio- ni niuna hanno realtà fuori dello spirito. Sul che s'intertiene il eh. nostro autore, e mostra con sana critica l'errore di quella opinione. Infatti, com'egli si esprime, un tutto fisico é certo in connessione col- le sue parti; avvegnaché un tutto dev' essere in ne- cessaria dipendenza dalle sue parti non altrimenti che un effetto dalla sua causa. Ma perchè le parti con- 8" Scienze corrono a costituirlo per un tutto oggettivo ch'egli è, debbono essere tra loro con certi modi disposte e col- legate. E dunque un cotal tutto in connessione pur coi modi, onde le sue parti coesistono. Che se dun- que egli è reale, non è dubbio, che sieno reali an- cora tali modi. Dal quale raziocinio deve dunque se- guitare, che il rapporto tra il tutto e ciascuna delle sue parti non è una pura veduta dello spirito , ma un rapporto veramente fondato sopra un che d'ogget- tivo che a lui offresi, e non che da lui si apprende in forza della sola sua attività ; sicché lo spirito è in ciò spettatore e non conoscitore, giusta l'espres- sione stessa del sig. Galluppl, che il eh. autore con- •vince d'incoerenza. E inoltre a vedere la nota al capo XIII (lett. Y) per cui è vendicato il Clarke, nonché gli altri on- tologi dalle critiche del Galluppi intorno alla neceS" sita ontologica. Ivi è dimostrato^ che le illazioni di questo critico filosofo avrebber luogo , ove il fon- damento dell'esistenza del sommo autore si riguar- dasse come estraneo da lui (donde nascerebbe la di- pendenza in chi è assolutamente indipendente, perchè necessaiio ): mentre all' opposto riponsi unicamente nella necessità medesima della sua natura. Qualora se ne riguardasse la ragione qual principio, onde de- rivarla, come da causa, mentre al contrario si pren- de nel preciso senso di ciò, onde inlendesi essere ta- le la sua esistenza, che implica una manifesta con- traddizione il concetto della sua non esistenza. Laccio per brevità le note apposte al capo I ( lett,, B ) contro 1' opinione de' cartesiani intorno alla possibilità, eh' essi unicamente soglion ripetere dalla causa efficiente, rigettando ogni possibilità in- Corso di fu.osofia ec. 9 trìnseca; ed al capo XI ( lett. V ) contro l'errore fi- losofico di Hume, che parlando di causa e di cau- salità la definì : un oggetto talmente seguito da un altro oggetto i die la presenza del primo fa sem- pre pensare al secondo. La quale teorìa, se ben vi si rifletta sopra, è utilissima a sovvertire da'suoi fon- damenti la filosofia. Queste poche cose da me accennate bastano as- sai a provare i pregi del libro di cui parlo, nel qua- le il signor Giusti si dà a conoscere per uomo, che colle sue viste si estende a tutto il mondo filosofico, e che non soffre, a danno della gioventìi nostra, la- sciare inosservalo il menomo punto delle teorìe on- tologiche, a cui è connessa quasi ogni verità. Sono profonde ed ingegnose le sue osservazioni altrettanto che veritiere le teorìe che ne risultano; talché non dubito di asserire, che il Giusti sarà sempre innan- zi a molti dei rinomati filosofi del nostro tempo per ciò specialmente che spetta all'ontologìa. Il secondo libro della metafisica, di cui è argo- mento la psicologia^ non potrà non essere bello , e non giudicarsi utilissimo alla nostra gioventù, leggen- dosi da chi per l'una parte conosca l'importanza gran- de delle verità psicologiche unite necessariamente a quelle della morale dell'uomo, e per l'altra sappia a qual pericolo menino in oggi le densissime oscurità ( indizio di errore nel sistema kantiano } di pensieri non solo, ma pur di modi per gli anfratti d'inibro- gliate nomenclature, in cui si querelano di abbattei'si ad ogni yjasso coloro, che vi s'ingolfano ad istituirne Un esame. Egli è vero che questo lavoro del sig. Giu- sti non viene il primo a combattere e vincere la cri- tica della ragione pura, che quel pensatore originale IO Scienze del si^. Kant produsse non per terminare le lunghe quistioni tra i filosofi di contrario partito, ma per muo- verne delle nuove, e moltoppiù difficili a sciogliere. Non pertanto dopo le grandi opere del sig. Degeran- do e del sig. Galluppi, quella del Giusti ha saputo trovar luogo tra esse, sia per le molte cose del tutto nuove, sia ancora perchè l'autore ha raccolto, qual ape ingegnosa e dal sig. Degerando e dal sig. Gallup- pi, quel che di meglio aveano pensato que'celebri fi- losofi per confutare il sistema di Kant; e tutto que- sto ha egli scritto nel suo libro di psicologia con tal oi"dine e chiarezza, che gli attribuisce il merito stes- so della invenzione. Che severo meditare sulle idee sfuggevoli del germano filosofo ! K per l'opposto che chiara idea ci offre il Giusti dei pensieri oscurissimi di Kant ! Dopo classificate a sua posta le teorìe kantiane, che si compendiano in tre distinti problemi così enun- ciati : I. Una conoscenza ragionata è ella possi- bile ? € come lo èì II. QuaVè il mezzo di distin- guere nelle nostre idee la parte ^ che a se som- ministra lo spirito, come suo proprio lavoro , e la parte y che, come materia, gli è somministrata dagli oggetti ? III. Come Vesperienza è possibile"^ com^è possibile una metafisica"} il eh. autore colla face della critica esamina nel suo proposito le solu- zioni di ciascun problema , ne rileva gli errori , e questi corregge, o rigetta del tutto, sostituendovi le verità che debbon seguirsi. La giudiziosa restrizione, ch'egli ha fatto della dottrina di Kant a' suoi punti principali, rende sensibile , e come a dire palpabile la loro incongruenza e falsità; e quindi toglie quell' illusione dell' apparato imponente, onde il germano Corso di filosofia ec. if filosofo col suo preteso trascendentalismo pensava (li additare l'unica via, a tutti gli altri ignota, di pro- cedere con sicurezza nelle fdosoflclie inquisizioni. On- de infine seguendo le sane dottrine del sig. Giusti dobbiamo anche una volta ripetere , che il Kant avendo pensato dì piantare una novella scuola, che additasse la giusta via al retto filosofare tra le varie nemiche sette de'raaterialisti, degl'idealisti, degli em- piristi, de'razionalisti, degli scettici, e de'dommatici, pel difetto di un tipo reale in corrispondenza ai con- celti da lui riguardati, come puramente soggettivi nel combattere gli errori del sensualismo , inciampò in quelli dell'idealismo: latet angids in herba. Senonchè io perverto la lettura di questo li- bro di psicologia toccando tali cose, che formano il soggetto dell'appendice i, aggiunta al II capo del- le materie. Che sebbene nell'attenzione, in che stan- no tutte le moderne scuole, quest'argomento sul si- stema di Kant debba offrirsi quasi per primo, e piìi che altro interessante, pur nondimeno meritano par- ticolare osservazione anche gli altri argomenti , su cui versa egregiamente 1' intero libro. Mi ristringo per brevità ad accennarne alcuni. Dopo trattata la semplicità^ spiritualità, im- mortalità, origine dell'anima, e dopo smentiti gli errori relativi de'moderni fisiologi, che confusero mi- rabilmente colla intellettuale la vita vegetale dell'uo- mo sulle tracce del celebre naturalista Cabanis (nel- la sua teorìa de^ rapporti del fisico e del mora- le delV uomo ) ; del Leibnizio , che con non al- tro sostegno che quello del suo sistema mise in mostra l'opinione : della preesistenza delle anime ne' rispettigli germi ec. j dell'autore di recente opera %2 Scienze intitolata: Lezioni filosofiche (Venezia 1 833, coi ti- pi Merlo ): il quale dà vista di seguire, o almeno di riguardare come il meno opposto alla ragione il si- stema di Origene; il nostro autore, venendo al ca- po IV della sua psicologia, discorre da gran filosofo delle facoltà di aver sentimenti, e degli appetiti. Dico da gran filosofo per l'esattezza dei giudizi eh' egli esprime intorno alle semplici cose ch'esse sono il dolore^ il piacere^ V appetito, V avversione ^ le passioni. Semhrò cosa indifferente a molti de' filo- sofi e de'retori, che ne'loro trattati s'impegnarono a definire il dolore, per es,, ed il piacere , siccome anche ai trattatori del gusto ^ che ridondano di defi- nizioni circa le cose più semplici. Peraltro la piìi parte di queste definizioni ha molti errori , e quel che più monta si è , che siccome ima definizione tiene luogo di principio fondamentale nella dimo- strazione di una cosa, attesoché essa ne dev' espri- mere la natura , cosi in varie definizioni erronee si è avuto il seminario di mille errori. Il sig. Giusti ha penetrato il fondo di questo vero: egli fa vedere di essere persuaso non solo del pericolo grande , a cui menano queste definizioni, ma molto più della ninna utilità che se ne possa ritrarre. Se tu mi de- finisci il dolore o il piacere, darai forse più chiara idea di questi due sensi ? Essendo semplicissima in se, già è chiara l'idea dell' uno e dell' altro senso , quanto forse non la renderebbe chi volesse definirla. Del resto, sarà egli un problema, o no , ^e queste semplici idee si definiscano ? Il Maupertuis pensò, come ben si esprime l'au- tore , di definire il dolore ed il piacere : ( questo ) una percezione cui Vaninia ama di non provare Corso di filosofia ec. i3 pìuttostoche di provare: ( quello ) una percezione^ cui V anima ama di provare piuttostochè di non provare. Con questo giro di parole qual definizione ci ha egli dato ? Dov'è il carattere proprio e del pia- cere e del dolore ? Maupertuis pensò di definirli. Quanto poi alla natura del piacere , che il Locke pose in rapporto coU'alleviamento, o l'esenzio- ne, del dolore, il nostro autore assegna le giuste idee che debbono aversene, esponendo il senso genuino di quel filosofo. Quindi combatte il Verri, autore dell' indole del piacere^ con tutti coloro che ammisero assolutamente, non darsi piacere senza che sia pre- ceduto da dolore; ed anzi il piacere non essere più, che la cessazione del dolore : facendo vedere una malintesa applicazione di ciò che soltanto spetta a taluni casi particolari, indistintamente a tutti. Lascio i tanti altri motivi degnissimi da essere ricordati in questo capo a lode dell'autore. Segue il capo V che versa sulle più intralciate quistioni della psicologia, la quale in ciò specialmente è in rapporto strettissimo coi dommi sagrosanti della religione. Tratta cioè della volontà umana. Il eh. autore dopo avere esattamente distinte le nozioni che appaiono identiche della volontà e del desiderio, che peraltro lianno un valore ben diverso l'uno dall'altro, passa a provare con ogni bella ragione quanto la vo- lontà umana abbia di suo proprio il determinarsi elet- tivamente, talché sia cosa libera per lei o 1' appeti- to , o l' avversione a qualsiasi cosa. Né questa po- tenza essere risultato di altra potenza egli chiaramen- te dimostra contro l'opinione di Locke ; né doversi ella riporre nudamente nelV intelligenza e nella spon^ taneità a determinarsi per propria forzai contro la V^ Scienze dottrina di Leibnizio ; per la quale dovrebbe ammet- tersi l'appetito dell'animo essere già determinato dal- la sua ragion sufficiente , che fondasi nel bene ap- preso: e quindi i conseguenti atti, in cui l'animo pro- rompe, nulla essere pila che moti spontanei, su cui non può egli avere dominio alcuno ; la qual teorìa mentisce tutto il valore della umana libertà. Sono lunghe ed interessanti le altre particolari osservazio- ni, che leggonsi nel seguito di questo capo. Ma so- prattutto vuol essere letta la nota addizionale ( lett. D ) nella quale con un ricco corredo di argomenti i domrai di Leibnizio e di Locke sono assoggettali a nuovo esame, e contro ad essi è nuovamente dimo- strata la grande verità del libero arbitrio dell'uomo. Queir argomento che i distruttori della libertà produssero e riprodussero, presumendo di dimostrarla incompatibile nell'uomo colla prescienza infallibile di Dio, è sciolto con somma chiarezza e precisione; per- ciocché dimostra l'autore essere cotesto argomento co- sì inconcludente, che il nome stesso di prescienza è nome del tutto improprio per conto di Dio. E giu- sto egli è ben che si persuada ognuno di questo ve- ro ; avvegnaché, per conto di Dio, passato e futuro nell'ordine degli eventi, che a noi offronsi successi- vamente, non è ne può essere per la sua essenza in- finita ; egli non prevede, ma vede in un puro alto tutte cose per noi future. Onde se la prescienza di Dio toglie la libertà dell'uomo, conchiude il eh. au- tore sul fondamento delle teorìe stabilite , che dun- que l'uomo è libero, perchè Dio non dicesl previso- re o presciente se non impropriamente, e soltanto per conto dell'uomo, non per conto di se. Nel qual soggetto di discorso l'autore ci sommi- Corso di filosofia ec. i5 tiistra un bel quadro a vedere in contrapposto ai ca- villosi artifizi , onde il celebre Roma gnosi sur un suo articolo inserito nella biblioteca italiana ( nu- mero 171, marzo i83o ) contrasta il valore di qual- siasi argomento, die possa prodursi a provare il li- bero arbitrio dell'uomo, presone il motivo da un Sag- gio di filosofia teoretica del sig. professor Grones (Venezia tipografia d'Alvisopoli 1826 ) , contro del quale sono dirette le mire del Romagnosi. E que- sto quadro si ha nella nota addizionale ( lett. E ) che bastami per brevità di avere accennato. La terza e quarta parte della metafisica del sìg. Giusti è riunita in un sol libi'o. Quella ha per sog- getto la teologia, questa la cosmologia. Quanto alla prima sembrami essere il più bel punto di vista, in che debbasi scorgere l' autore , quel terzo capo ( ed ultimo ) in cui si parla della pro^i^idetiza di Dio. Le obbiezioni di maggior conto sonovi esposte, esa- minate e smentite. Ma soprattutto quelle maliziose e seducenti avanzate da Bayle, che è convinto di pir- ronismo^ formano un particolar merito al eh. autore. Perchè il Bayle riputava grande la quistione sull'e- sistenza dei due principii, secondo la stolta opinio- ne de' manichei ? Perchè nel suo dizionario sull'ar- ticolo de' Paoliciani , dopo aver egli presentati dall' una parte gli argomenti degli avversari, dall'altra egli si mostra imbarazzato assai a rispondervi ? Perchè , come ingegnosamente si esprime l'autore, troppo im- portava a Bayle d'esagerare la difficoltà di combattere l'opinione de'manichei, onde favorire se non essa, ma per essa il pirronismo, che campeggia in tutte le sue opers. Spiata l'indole di quello scrittore sedizioso, esa- i6 Scienze minati i caratteri (leiruomo di mala fede, che con- traddice allo stesso intimo senso, che detta dorami i più ripugnanti a ragione , che con vive e commo- venti immagini, con seducenti comparazioni sorpren- de lo spirito de'suoi lettori, veggonsi ben diverse da quelle , che ravvisaron taluni uomini superficiali e leggeri, le obbiezioni di Bayle in rapporto alla prov- videnza di Dio. Il sig. Giusti ti mena ad esaminar- le in ciò che esse sono veramente, e non in ciò che colpisce ed abbaglia la vista degl'incauti, che si fan- no illudere dall'apparenza delle cose. E questo suo esame vale a guidarti a quel retto giudizio, che dee portarsi dalle ridicole obbiezioni di Bajle. Queste so- no molte di numero, e grandi assai per apparenza , ma da non doversi temere menomamente, e veggonsi raccolte dal nostro autore, che l'estraeva dai vari ar- ticoli del dizionario filosofico di Bayle, Epicure, Liicrece, Pjt'rhon, JRit/ìn; degli altri, che riguarda- no Origene, i Paoliciani\ dalle opere : Pensées di- verses sur Ics comète s; Continua tion etc. Reponse aux questions d'un provincial etc. Fu riputata d'un nodo inestricabile questa dif- ficoltà fra le altre del Bayle : Se Dio è benefiico e sommamente buono, e desidera la felicità delV uo- mo, perchè volle o permise tanti mali nel mondo, and' è infestata la nostra vita? perchè creò V uo- mo capace di peccato, acciò trovasse in esso la sua perdizione ? A cui corrisponde quest'altro dot- trinale : La libertà nelVuomo, cKè per abusarne, è un dono fatale; Dio dunque non dovea mai dar- la alVuomo nella previsione delV abuso ch'era per farne. Eppure con tanta facilità se ne fa vedere il vizio e 1' assurdità eh' esse hanno pelle risposte del nostro autore. Corso di filosofia eg. i^ Quanto airultima parte la cosmologia^ divìsa in otto capi, vuole anch'essa le sue particolari lodi per ciò specialmente che riguarda il capo ITI, Sulle il- lazioni del nesso delle mondane cose: ed il capo IV, SulVorigine del mondo. Nel primo si hanno le principali questioni egregiamente dall'autore istituite per dimostrare la connessione delle cose mondane, da cui dev'escludersi il caso e la fortuna, con ammet- tere inoltre, che niente accade per salto nell'uni- verso. Il discorso sulla continuità offre delle cose molto belle ed interessanti, per la critica specialmen- te a cui è assoggettato l'autore della Contemplazio- ne della natura e della Palingenesia , il Bonnet , a cui pure è rivolta la nota addizionale ( lett. B ) al capo suddetto. Questi, che seguita le tracce di Lo- cke , opinando non essere impossibile che la mate- ria pensi, non dubitò, per la teorìa gh'egli stabilisce sulla continuità base della sua opera, di asserire ido- nei gli esseri almeno organici, mediante un progres- sivo sviluppo, ad una perfettibilità indefinita; nel che egli non conobbe differenze tra generi e generi, che pure è essenziale. Poetici cambiamenti costui ha idea- to in tutti gli esseri viventi dal muschio e dal poli- po al cedro ed all'uomo ; nuove gerarchie che avran luogo per le ostriche e pei polipi nei loro cambia- menli rispetto alle specie piia elevate, come è nella presente la gerarchia degli uccelli e de' quadrupedi ri- spetto all'uomo. E giusto, come si esprime il eh. au- tore, potranno trovarsi nella universale restituzione degli animali de'Newtoni e de'Leibnizi tra le sciraìc e gli elefanti, dei Perrault e dei Vaubau tra i casto- ri; le quali strane ipotesi, che dettero materia al si- stema egualmente strano del Bonuet , esposte dal G.A.T.LXXXIX. a l8 S e I 8 N Z E nostro autore, coTTipariscono per quello che sono, cioè forme di una visione chimerica, parto di esaltata fan- tasia, non di fdosofo che ragioni. Nell'altro capo IV passa l'aulore a dimostrare la nullità delle tante opinioni, che falsi cronologi mi- sero in campo, non per assegnare la vera epoca del mondo, ma piuttosto per gittar le menti nella con- fusione e nel disordine, col pretesto di sgomhrar la caligine de'pretesi pregiudizi. E questa è la teorìa che più interessa in questo capo: tralasciando le altre, che tratta l'autore in antecedenza per persuadere la con- tingenza del mondo, e però il non esser' egli prodotto da Dio ab-f'tcjmo. Saranno helle a chiunque legga le molte erudizioni, ond'è piena la nota ( lett. C ) addizionale a questo capo. Il pentateuco di Mosè è difeso dal eh. autore contro gli attacchi di tanti scrittori, de'quali ormai la- gnasi il mondo stesso nel vedere assoggettata la sua origine a tante false opinioni , a fante disquisizioni l'una più vana dell'altra, a tanti dommi pronunciati a dispetto di ogni sano giudizio. La scoperta di due zodiaci in Egillo; i calcoli, a che si venne per certi segni, che dissero indicare il solstizio di estate nella costellazione di Leone, per cui ostando la precessio- ne degli equinozi, questo solstizio non poteva essere avvenuto, che circa quaranta Geculi innanzi; ed altri tali fatti longevi di alcune nazioni, forniscono la hel- la materia di questa nota. L'antichità degli egiziani è smentita; le immaginose teorie di Burnet, Wiston, Woodrvard, Buffon, sono qualificate per meri roman- zi. Certo se questi autori a più delle loro teorie, che fanno da se stesse travedere l' errore , non avessero per contrari altro che se stessi, ormai le opere di Da- Corso di filosofia ec. in maillel, di TalliameJ, di Patrin seguace di Keplero e di altri tali che produssero meglio di ottanta siste- mi in genere di geologia l'uno diverso dall'altro , e tutti contrari, bastano a caratterizzare per falsari que- sti cronologi del mondo così , die giusta 1' ingenua espressione del sig. Cuvier non si pronuncia al pre- sente il nome di geologia senza eccitare le risa. Ma io invito alla lettura del sig. Giusti, piutto- stochè prolungare piìi eh' ella non è questa lettera: bastandomi solamente di ripetere, che in tutto que- sto trattato, siccome in ogni opera del sig. Giusti , ammirasi una semplicità, una chiarezza , un ordine che veramente in poche opere se n'ha la somiglian- za. Vi trovi essere tutto collegato strettamente , ed applicarsi con somma maestria gli stessi principii alle diverse quislioni senza la menoma alterazione ; tal- ché essi conservano sempre lo stesso aspetto, sebbe- ne veggansi situati in diverse posizioni. Nel che si ha un bell'indizio ch'essi non sono erronei; ma che hanno in se la verità, e sono utili a dimostrarla. Toccherò di volo il terzo trattato, che riguarda l'etica contenuta, come accennai, in un sol libro. Il piano di trattazione, a cui, come il più dicevole, si è appigliato il nostro autore si è quello di far ve- dere nel capo II qual sia la vera destinazione dell'uo- mo, e quindi la connessione de'suoi doveri con essa. E dopo di avere stabiliti i principii generali della mo- ral condotta (nella I parte }, e gli ostacoli che vi si frappongono per conto dell'ignoranza, delle opinioni, degli affetti, si accinge a parlare della virtiì , come unico mezzo al conseguimento di quella felicità, cui può consentire l'ordine presente delle cose, e di quel- la assoluta che lo attende nella vita avvenire. Esi- 20 Scienze blscono bellissime cose soprattutto i capi VITI e IX della prima parie; ne'^ quali l'autore discorre Degli affetti e delle virtù in generale , siccome auche i capi III e IV della parte seconda che riguardano •?<^ società civile, i doveri verso Dio, e che vcggonst illustrati con lunghe note. Del resto in questo trattato di etica fa vedere- il eh. sig. Giusti di essersi egli modellato su i più grandi originali antichi e moderni. Fin dalla intro- duzione egli, che di vera morale addimostrasi ripie- no siccome è pure di profondo sapere , raccomanda acanto sa e può la somma importanza di cotale scien- za, come quella che trovasi in rapporto colla digni^ tà e col benessere dell'uomo; discorre delle contrad- dizioni ch'ella è cosi ietta a soffrire dal lato della gua- sla di lui natura; dello scetticismo, cui l'inflessibile orgoglio e la temeraria presunzione tentano d'intro- durre nelle sue dottrine; non che della malintesa ipo- tesi di coloro, che il dì lui fondamento debba ri- porsi nella soia sociabilità, limitandone ogn' insew gnamento all'esercizio de'dov eri dell'uomo verso a suoi simili. Ed ecco, monsignor veneratissimo, quanto mi è sembrato buono di rilevare dagli ultimi due trattati del sullodato corso filosofico per prender motivo di tributare, comunque mescbinissime, le mie lodi al ce- lebre suo autore. Non dubito che sia per giovarsi mollissimo di questa opera egregia la nostra gioven- tù, a cui riguardo specialmente ho inteso di mostrare con questa lettera i pregi di cui è adorna. Al qual proposito permettete, che vi dimandi in grazia d'in- sinuare coir autorità vostra al eh. autore, che non lasci di produrre altri suoi lavori, che sieno l'anlido- iCoRSr Bt FILOSOFIA EC. 2T ÌQ dei tanti errori filosofici, che serpeggiano per ogni parte nei tempi in che viviamo. Intanto sottoponendo queste mie osservazioni al- l'alto vostro giudizio, e rimettendomi altresì alla vo- stra scelta, come a giudice più compelente su ciò che meriti la preferenza negli scritti del sig. Giusti, pre- .govi, monsignore stimatissimo, a gradire questo atte- stato della mia divozione, con cui profondamente in- «cbinandovi ho il bene dì confi'.rmanni Di V. E. Riha. Koma ss. XII apostoli lU agosto 1841. Uiuo doiho nhuio servitore Fk. GlAMBATlSTA MaRROCU. 22 Saggio intorno al fondamento, al processo ed al sistema delle umane conoscenze^ del dott. Be- nedetto Monti, professore primario delV ospi- tale civile del manicomio di s. Giovanni di Dio in Ancona. DET. FONDAMENTO DELl'uMANA CONOSCENZA E de' suoi OGGETTI GENERALI , OSSIA dell'ontologia. §. I. Si definiscono le forze fondamentali dello spiri- to umano : rapporti di queste forze intra lO" ro : condizioni esterne di esse', vita dello spi- rito umano. uomo, mentre per la sua costiluzione fisica è par- te integrante e gerarchica di un mondo di esistenti, i quali si attengono scambievolmente tra loro e con esso lui , per lo mezzo de' suoi rapporti passivi con questi e per una delle facoltà onde è dotato il suo spirito , rappresenta a se stesso gli esistenti esteriori ed i loro particolari rapporti, non che se stesso a se stesso in tutti gli svariati suoi modi di esistere , in Umane conoscenze 23 tuttociò che in esso accade, eil in tn Itoci ò che da es- so si opera nella interiorità di sé stesso. Questo due vedute dello spirito umano chiamiamo l'una sensihi- lità od intiiizione esterna, e l'altra coscienza od in- tuizione interna; e le medesime complessivamente ap- pelliamo facoltà empirica o sperimentale ; e le rayi- presentazioni date da questa facoltà denotiamo con ge- nerale vocaholo, dati od oggetti sperimentali. Or lo spirito umano raccogliendosi profi)ndamente nella co- scienza di se stesso , e quivi facendosi oggetto a se stesso, ed analizzando e comparando gli svariati atti e modi sotto cui si appare, egli da ultimo perviene a riconoscere in se stesso, oltre alla facoltà empirica , tre facoltà distinte e primordiali, da cui lutti gli atti e tutti i modi di sé stesso derivano. F. queste tre fa- coltà sono: la facoltà intcUelliva o Tinlelligenza, la facoltà appetitiva e la facoltà volitiva. Per la intel- ligenza Io spirito umano intende a conoscere il co- me, il d' onde ed il perchè del mondo delle cose e di sé stesso, fatto oggetto a sé stesso; a comprende- re il maraviglioso sistema de' rapporti che intra loro le unisce, gli elementi e le forze che le producono, le costituiscono e le sviluppano; e ad innalzarsi in- fine sino alla concezione di un essere supremo ed as- soluto, in cui eleriianiente risiede la ragione supie- ma del sistema de'rapporti innnutahili e preordinati, secondo i quali dagli elementi e dalle loro forze im- mutabili tutte le cose nascono, esistono, si cooidina- no, si succedono; per guisa che nel perpetuo circolo delle loro modificazioni, de' loro facimenti e disfaci- menti , le medesime armoniosamente in tra loro si coordinino, e perpetuamente si sviluppino in un or- dine di continuità progressiva ed ascenucnle : vivelau- a4 Scienze do all'uomo Pinfinita possanza, l'infinita sapienza e l'ipfinito amore dello stesso essere assoluto. La facol- tà appetitiva è una tendenza originaria, fondamentale ed irreformabile, da cui l'uomo è di continuo sospin- to a porsi in rapporto di azione e reazione vicende- vole e successiva col mondo delle cose che lo attor- niano, e con intento di sviluppare se stesso fino agli ultimi termini della propria virtualità, ne'quall sta la sua perfezione o la pienezza del suo essere, clie pe- rò non gli vien fatto di raggiungere pienamente giam- mai. Da questa facoltà, posta in rapporto colla varie- tà degli oggetti , prorompe nel fondo della natura dell'uomo quel cumulo d' instaLili e rinascenti desi- derii, 1 quali sempre annullati dal godimento ed ec- citati dalla rimembranza , costituiscono in essa una varietà ed una pi'ogressione di tendenze ; le quali ol- trepassando da ultimo tutte le cose del mondo sen- sibile, e non potendo in queste soddisfarsi, si rivol- gono inevitabihnente verso un oggetto, il quale è fuo- ri del mondo sensibile in un ordine di cose intelli- gibili, di cui la realtà necessariamente concepisce per le leggi che governano la sua intelligenza. Infine la facoltà volitiva è quella forza della natura umana , motrice di se stessa, da cui viene costituito il cen- tro della sua personalità. Per questa facoltà l'uomo è un essere libero e responsabile; avvegnaché per es- sa, a suo grado, egli agisce ed opera non solo den- tro sé stesso nel proprio subbie tto, ove può seconda- re o raffrenare le proprie tendenze , e dirigere con proposto disegno le operazioni della sua intelligenza, ma può eziandio operare sugli oggetti esteriori, mo- dificarli e rivolgerli a realizzare i suoi intenti, non- ché a rappresentare sé stesso all'esterno, o manifesta- Umane conoscenze a5 re per segni esteriori le sue cognizioni, le sue ten- denze e le sue detei'minazioni. Ciascuna di queste tre forze primordiali, che ab- biamo definite, ha le sue leggi proprie; le quali si ma- nifestano nella produzione degli atti che a ciascuna di esse sono relativi, nonché ne'rapporti pe'quali intra loro si legano e compenelrano nella unità dello spi- rito umano. Inoltre l'attività propria di ciascuna del- le tre forze, che abbiamo superiormente definite , ha per sua essenziale condizione esterna i dati della fa- coltà empirica. E d'altra parte queste tre medesime forze compenetrandosi intra loro , siccome abbiamo detto, nella unità del proprio subbietto, egli inter- viene che all'attività di ciascuna di esse si leghi quel- la delle altre due; il che accade nel modo che qui brevemente toccheremo. La intelligenza , mentre ha la sua condizione ed il suo eccitamento esteriore ed i suoi materiali ne'dati della sperienza, ella ha a suo eccitamento e condizione interiore l'azione della for- za appetitiva e della volitiva insieme : il che si fa chiaro ove si ponga mente, che, a formare e svilup- pare le cognizioni delle cose , egli fa mestieri che queste agiscano su di noi, e che siano rappresentate allo spirito pel ministero della facoltà empirica : ed inoltre è d'uopo che la intelligenza sia stimolata dal desiderio del conoscere, e che infine la sia mossa nel- le sue operazioni dalla volontà. La forza appetitiva riceve similmente l'eccitamento e la sua condizione esteriore dai dati della sperienza, i quali rispetto ad essa si rappresentano sotto forma di beni o di mali; mentre interiormente ella è suscitata dal prodotto del- la forza intellettiva, ed è susseguita dalla attività vo- litiva. Finalmente l'attività volitiva è eccitala da'dati 26 Scienze della forza conoscitiva che le presenta gli oggetti, e dalle varie tendenze della forza appetitiva die la sti- molano. Ora in questo legame solidario che lega le tre forze primordiali e distinte dello spirito umano, e nelle condizioni sopraddette, costitulscesi il fonda- mento della sua vita manifestandosi colla triplicità delle funzioni che ne prorompono : la quale nel suo intero sviluppo è alla immagine di un circolo : av- vegnaché in un circolo tutti i punti, da cui la sua figura risulta, sono rispetto alle loro posizioni tra lo- ro a vicenda condizioni e condizionati; e tutti sono in uno fine e cominciamento del circolo stesso. Or secondochè ci siamo proposti , e seguitando l'ordine de'rapporti delle idee, piglieremo a discorre- re a parte a parte la funzione conoscitiva, la quale risulta dalla integrazione solidale della facoltà empi- rica e della forza intellettiva , esaminando e analiz- zando a parte a parte la sua natura e composizione, le sue condizioni esterne ed interne, i suoi elemen- ti ed i suoi processi. Nella trattazione delle quali co- se tutte si consumano le prime due parti di questo saggio ; le quali trattano il fondamento e 1' organo dell'umano sapere. Di qui poi passando alla terza ed ultima parte ci accingeremo a presentare e descrive- re l'organizzazione unitaria del sistema delle umane conoscenze, non che a dichiarare i prlncipii delle più generali scienze, ossia delle parti più culminanti del sistema medesimo. Umane conoscenze 27 §. n. Della forma universale e preordinata delViima- na intelligenza ; principio supremo della ge- nesi delle umane conoscenze. Da tutte le cose sopraddette viene stabilito un fondamentale principio di psicologia, cioè clie tutte le funzioni dello spirito umano hanno la loro con- dizione primordiale ed assoluta ne'rapporti prestabi- liti di azione e reazione reciproca tra la costituzio- ne umana e gli esistenti clie la circondano. E que- sto principio come egli si avveri nella funzione co- noscitiva, che ora imprendiamo a studiare, le cose che seguono pienamente mostreranno. Lo spirito umano essendo a lui presenti i dati sperimentali forniti a dalla sensibilità o dalla coscienza , o da entrambe queste due intuizioni, per una legge origiiiaria della sua natura è necessariamente determinato ad appli- care ai medesimi, in una maniera universale, tre no- zioni primitive ed essenziali alla sua virtù; le quali sono : la nozione di sostanza , la nozione di causa e la nozione di fine. Per questa legge primordiale, che governa l'attività della intelligenza, lo spìrito umano è costretto di ricercare in qualunque oggetto speri- mentale, ed in un modo non accidentale, ma preor- dinato ed immutabile, la sostanza di esso, la sua cau- sa ed il suo fine ( od in altri termini, il come l'og- getto della esperienza esiste in subbietti immutabili, o come da questi sia costituito, il d'onde esso è pro- dotto ed esiste, ed il perchè esso esiste ) siccome og- getti intelligibili, universali e costitutivi della essen- 28 S e I K N 2 K za di ogni cosa sperimentale, attuale o possibile. L' attività di questa forza costituisce nello spirito uma- no quell'atto che si chiama il pensiero; e le tre no- zioni suddette , o le tre vedute universali della in- telligenza, costituiscono la forma originarla, pei'petua dell'umano pensiero , preordinata e rispondente alla realità delle cose. La condizione esteriore del pensie- ro ella è senza dubbio la relazione dell' uomo colle azioni delle cose esterne operanti sulla sua costitu- zione: per Io che quelle sono rappresentate in esso pel ministero della facoltà empìrica. Senonchè in que- sta opei"a, comechè la fiicollà empirica sia per se stes- sa una forza distinta dalla intelligenza, pure essen- dovi tra esse una intima unione che le integra, egli interviene che ai dati della esperienza necessariamen- te si applica in un modo indivisibile la forma origi- naria del pensiero; talché i dati suddetti , rapportati e compenetrati co'dati della intelligenza , diventano nello spirito umano non sulo le idee delle cose spe- rimentali, ma queste istesse cose sono necessariamen- te pensate come esistenti in sostanze improducibili ed indistruttibili, e come prodotte dalla energia ef- ficiente delle medesime, e secondo leggi e fini immu- tabili e determinati. Egli è dunque chiaro che l'azio- ne mediata od immediata del mondo esterno sulla co- stituzione umana è così essenziale condizione dello sviluppo del pensiero, che questo non è nello spirito umano se non una facoltà in potenza , e quale un germe, fino a tanto che la facoltà empirica non gli dia gli oggetti particolari, sopra cui applicandosi, es- so si sviluppa secondo la sua forma originaria soprad- detta, ed i suoi oggetti inlelllgibill ( substrati imma- nenti delle cose sperimentali) concepisce. Per contrario Umane conoscenze 29 le idee delle cose, che nello spìrito umano si produco- no, non potrebbero generarsi, ne avere nel loro con- tenuto tutti gli elementi della realità delle cose stes- se, laddove ai dati delle medesime forniti dalla spe- rienza, la forma originarla del pensiero non si appli- chi e non uniscano ad essi gli oggetti intelligibili. Ora da tuttociò segue questo principio supremo che for- mola la genesi delie umane conoscenze : niuna idea di cosa reale può essere nello spirito umano, ove gli oggetti esterni non abbiano prima agito sulla costi- tuzione umana e mossa la facoltà empirica di esso a rappresentarli allo spirito umano; e niuna azione di oggetto reale sulla costituzione umana, e niuna rap- presentazione susseguente di esso per la facoltà em- pirica, può diventare idea compita dell'oggetto stesso, fino a tanto che alla apparizione empirica del mede- simo non si applichi la forma originaria del pensie- ro, per la quale, siccome dicemmo, lo spirito uma- no al di là de'dati mutabili della esperienza vede gli oggetti immutabili che quelli sostengono, producono, e tra loro coordinano, subordinano e sviluppano, secon- do leggi invariabili e sapientissime. §. in. Caratteri opposti dei due ordini di realità che sono oggetti alla conoscenza umana. Da tutte le cose sopraddette risulta, che lo spi- rito umano, per le facoltà ond'è dotato, riconosce in un modo irrefragabile a se stesso due ordini distinti di realità ; cioè un ordine di realità condizionali, ed un ordine di realità incondizionali. ISel primo ordine 3o Scienze sono contenute tutte quelle idealità, le quali sono da esso pensate siccome aventi questi predicati : la pro- duttibilità, la mutabilità, la distruttibilità e la ripro- duttibilità. Per opposito nel secondo ordine si con- tengono quelle realità, le quali sono pensate, sicco- me fornite degli opposti predicati, cioè della impro- duttibilità, della immutabilità e della indistruttibili- tà. Ciascuna realità iucondizionale , pe' sopraddetti predicati, ha necessariamente una esistenza indipen- dente da ogni altra realità del medesimo ordine, ed esiste in se stessa. Il contrario è di tutte le cose che sono pensate siccome condizionali ; le quali alterna- tivamente venendo dalla non esistenza alla esistenza, e da questa a quella trapassando, forza è che le ab- biano l'esistenza loro in realità incondizionati, e che per 1' azione reciproca di queste ultime intra loro , passino dal loro non essere all'essere, che per un'al- tra abbiano in esse esistenza e durata, e che per un' altra dall'essere al non essere successivamente traboc- chino. Ora queste cose condizionali, ossia queste co- se prodotte mutevoli e transitorie, ed in loro stesse non esistenti, costituiscono gli oggetti immediati della facoltà empirica. Le realità incondizionali poi, nelle quali le cose prodotte esistono ( e delle quali queste da ultimo non sono che le varie disposizioni contin- genti ) nonché le attività reciproche delle medesime, per cui tutte le cose condizionali si generano, esi- stono e si corrompono, si rivelano allo spirito uma- no per le nozioni universali del suo pensiero, e co- stituiscono a lui i suoi oggetti intelligibili. I quali in loro stessi, perciò che sono intelligibili, sono privi di ©gui carattere rappresentabile dalla facoltà empirica; a tal che la vera concezione de' medesimi è distrutta Umanb conoscenze 3i ove lo spirito umano , come rappresentabili , vada escogitandoli. Ora queste realità incondizionali, og- getti delle nozioni imiversali del pensiero umano, so- no : i soggetti immutabili delle realità condizionali ; le azioni e reazioni immutabili de'medesimi intra lo- ro, onde le realità condizionali sono generate, man- tenute e tramutate; ed i fini per cui quelle operano, generano e cori'ompono continuamente queste ultime. Così adunque questi due ordini di realità tra loro si compenetrano e non possono disgiungersi tanto nella loro realità, quanto nell'ordine del pensiero umano clie le concepisce : conciossiacbè l'esistenza delle cose con- dizionali suppone necessariamente l'esistenza delle in- condizionali; ed il pensiero delle realità condizionali è inseparabile dal pensiero delle in condizionali ; le quali , siccome più volte dicemmo , costituiscono la loro intelligibile essenza. Inoltre lo spirito umano pensando i due sopraddetti ordini di realità ed il lo- ro rapporto, dopo essere stato necessitato dalla legge originaria che lo governa a concepire il mondo delle cose condizionali, oggetto della facoltà empirica, sic- come inerenti sopra realità improducibili ed immuta- bili, noncliè siccome da queste generate e successi- vamente tramutale e sviluppate, secondo prestabiliti e sapienti fini, esso è eziandio inevitabilmente sfor- zato a concepire un'altra realità sup eriore, nella qua- le, oltre all'esistenza in se, concepisce l'attributo del- l' essere da se e per se ; e la quale riconosce come essere assoluto, il quale è l'ultimo e necessario ter- mine del pensiero : essendoché il nulla, il quale può essere pensato come anteriore alle realità sì condi- zionali e sì incondizionali riguardate siccome multi-» pie , non può essere pensalo come anteriore all'esse- 32 Scienze re ch'è assolutamente uno. Il quale, perciò che non può avere il nulla anteriore a se, è necessità pensar- lo come indipendente, eterno ed infinito, e come es- sere intelligentissimo in cui si raccliiude l'assoluta ra- gione di se stesso, nonché del multiplo delle cose in- condizionali ed immutabili, e de' poteri che sono in esse di costituire e di andare sviluppando in un or- dine armonioso e progressivo il mondo svarlatissimo delle cose condizionali prodotte e transitorie. Di cui le infinite forme di esistenza, di produzione e di coor- dinazione, rappresentano le realità incondizionali , i loro poteri e le leggi finali, a cui sono state dall'es- sere assoluto assoggettate nella generazione, conserva- zione e sviluppo delle stesse cose condizionali. Ora il complesso di queste noi da qui innanzi chiamere- mo il mondo della natura; e per converso andremo indicando le realità incondizionali col nome di so- stanze o di elementi immutabili del mondo della na- tura : conciossiachè queste ultime sono da noi pen- sate , come ciò che in ogni alternativa e mutazione del mondo della natura persiste sotto immutabilmen- te, non che come ciò che essendo per se stesso, non può né prodursi ne distruggersi, come ciò di cui le scambievoli azioni e riazioni, essendo invariabili co- me i loro soggetti, ed operando necessariamente se- condo fini slabilili nella sapienza dell'essere assoluto, costituiscono 1' ordine attivo costante e raaraviglioso del mondo stesso della natura. Del resto, la realità di questi oggetti intelligibili è sì necessariamente pen- sata dallo spirito umano per una legge originaria del- la sua intelligenza, e dappresso agli oggetti della spe- rlcnza, che pretendere colla filosofia de'sensisti, che lo spirito umano non ha nessuna idea delle sostanze e Umane conoscenze 33 delle forze, o che la idea di sostanze o di forze sia formata per astrazione dalle idee degli oggetti della sperienza, ella ci pare sentenza paleeemenle disforme dal senso comune del genere umano. S- IV. De'punti di veduta universali^ sotto cui sono ri- guardate le cose prodotte. DeW essere, primo punto di veduta : dell'attributo^ della inodiji' cazione e della forza di essere. Le cose del mondo della natura sono da noi ri- guardate sotto tre rispetti in esse universali; cioè in quanto esistono, in quanto si producono, ed in quan- to si attengono in tra loro per reciproci rapporti in un sistema unitario ed evolutivo. Dalle cose soprad- dette egli è chiaro, che questi tre punti di veduta, sotto cui universalmente noi diamo opera allo studio di ogni cosa prodotta, procedono dalla legge origina- ria del pensiero, la quale ahbiamo superiormente di- scorsa. Ora mostreremo le modificazioni che assume la nozione di sostanza applicandola universalmente alle cose prodotte, nella loro esistenza unicamente ri- guardale. Lo spirilo umano in ogni cosa naturale, ri- guardandola in quanto la esiste, va universalmente ricercando l'attributo di essa, la modificazione e la forza di essere , ossia la sua attualità ; talmentechè queste tre determinazioni costituiscono i predicabili universali della esistenza di ogni cosa prodotta. L'at- tributo è quella fondamentale ed ultima determina- zione nell'essere di una cosa, la quale mentre con- tiene in sé, come substrato, tutte le modificazioni e G.A.T.LXXXIX. 3 34 Scienze gii accidenti possibili dell'essere della cosa stessa, non ci apparisce contenuta in nessun'altra determinazio- ne superiore, fintantocliè la cosa si consideri della me- desima specie e del medesimo genere. La modifica- zione di una cosa qualunque è quella determinazio- ne di essa che procede dall'attributo, e clie in esso aderisce siccome in suo substrato. Nell'essere di una cosa qualunque, una data modificazione può sparire o mutarsi in un'altra, mentre l' attributo in essa si conserva identico a se stesso : ma il contrario è for- za che intervenga nell'ordine opposto. Una determi- nazione nelle cose prodotte può essere attributo, ri- spetto ad altre determinazioni clie da esso dipendono e che in esso aderiscono; e può nello stesso tempo essere modificazione, rispetto ad un'altra determina- zione più fondamentale, sulla quale esso alla sua vol- ta aderisce. Da ciò è chiaro , come egli sia me- stieri distinguere nell' essere delle cose più maniere di attributi : e da ciò gli attributi di specie, di gene- re, di online, di classe e di genere ultimo. L'attri- buto di specie è quella determinazione comune a mol- ti individui, e sulla quale identicamente aderiscono tutte le varie modificazioni che sono offerte ne'singoli individui che alla data specie si riferiscono. L'attri- buto di genere è una determinazione che è comune a più specie, e la quale suasij-te sempre identica sotto a tutte le svariate modificazioni delle specie medesi- me. Il simigliante si diea de^li ordini e delle classi: i primi sono costituiti da una determinazione che i- denticamenle appartiene a più generi, e nella quale aderiscono tutte le modificazioni svariate , per cui i medesimi generi in fra loro differiscono; e sono co- stituite le seconde da quella detcriuinazionc, la qua- Umane conoscenze 35 le essendo comune a più ordini di cose, sostiene tutte le altre determinazioni, per le quali gli ordini si dif- ferenziano l'uno dall'altro. Finalmente la determina- zione di genere ultimo è quella determinazione che esiste identica in tutte le cose, e la quale sostiene e produce tutte le altre, ed alla quale l'esperienza ed il pensiero non trovano un'altra superiore. Nessuna cosa prodotta nel mondo della natura è giammai nel complesso delle sue determinazioni un'altra cosa qua- lunque esistente; e ninna cosa prodotta può esistere senza possedere, oltre a quelle determinazioni, per le quali da qualunque altra cosa differisce, altre deter- minazioni onde ad altre cose si assomiglia. Ora l'in- sieme delle determinazioni per cui una cosa prodotta si differenzia da ogni altra cosa, e l'insieme delle al- tre per cui gradatamente a tutte le altre cose si as- somiglia, costituisce ciò che noi chiamiamo 1' essere definito della cosa stessa. Ora, oltre all' attributo ed alla modificazione, nell' essere di ogni cosa prodotta dehbesl riguardare Tattualilà, ossia la virtù eh' è in essa di esistere ; la quale virtù fa che la modificazio- ne aderisca all'attributo, e Tattributo e la modifica- zione insieme sul sul^bietto intelligibile ed incondi- zionale che la cosa prodotta costituisce. Inoltre que- sta forza di essere è TalLo, per cui la cosa si con- serva e dura per un dato tempo nella determinata sua essenza; e pel quale resiste alla tendenza attiva delle altre cose, le quali agiscono per mutarla; e pel quale infine tende a conservare 1' esistenza di altre cose, rispetto alle quali ella è condizione relativa del- la stessa loro esistenza e durata; o viceversa. Ma il fin qui detto basti per chiarire il punto di veduta del- lo spirito umano relativo all'essere delle cose prodot- 36 Scienze le: e passiamo tosto all'altro punto rli veduta, che è intorno al prodursi delle cose naturali. §. V. Del punto di veduta della produzione dette co^ se^ del commercio causativo^ della corruzio-> ne e della generazione delle cose naturali. Il nulla è il correlativo opposto dell'essere : e nell'ordine delle cose prodolte l'essere attuale di una cosa qualunc[ue suppone il suo non essere preceden- te. L'umano pensiero dunque, pensando 1' essere di una cosa qualunque del mondo della natura, è sfor^ zato a pensare il nulla od il non essere precedente di essa. Di qui P uomo è portato a riguardare uni- versalmente nelle cose prodotte un ordine di success sione, pel quale ogni cosa prodotta viene determina- tamente dalla sua non esistenza alla esistenza, nello, stesso tempo che un'altra dall'essere al non essere tra- passa. L'insieme delle determinazioni, per cui una da- ta cosa passa dalla sua non esistenza alla esistenza, costituisce la causazione di essa. Ora nel passaggio che fa una cosa dal suo non essere all'essere, si con-^ tengono tre specie di determinazioni; cioè il commercio causale, la corruzione, la generazione. Le disposizioni che sono nelle cose attuali di far passare dalla non esi- stenza alla esistenza una data cosa, costituiscono la cau- salità della medesima. Ma data la suddetta disposizione nelle cose attuali di recare dalla non esistenza alla esi- stenza la cosa data, non perciò soltanto questa rice- ve l'essere, ma si rimane solamente possibile. A ciò fare vuoisi che due o più cose attuali, aventi la pre- Umane conoscenze 87 detta disposizione, entiino in commercio di azione e riazione tra loro; che alcuna di esse o tutte si tra- mutino dall'essere loro, e la novella cosa costituisca- no. Questo atto efficiente, in quanto si considera nel- la produzione della novella cosa clie da esso vien fuo- ri, costituisce la generazione della cosa stessa. La pas- sione di uno o di più degli esistenti eh' entrano in commercio causale od in lotta di azione e riazione, in quanto si mutano dal loro essere, costituisce nel- la natura la distruzione o vuoi corruzione. La lotta di azione e riazione, che prece Je la corruzione e la generazione, costituisce ciò che chiamiamo il commer- cio causativo. Il legame che unisce questi tre termi- ni, il commercio, la corruzione e la generazione, chia- masi legge di natura, o ordine dinamico di essa. Il sistema delle leggi della natura è dunque rivelato dall'ordine della successione delle cose naturali, os- sia dalle relazioni reciproche di generazione, di cor- ruzione e di commercio causale di esse. Per la no- zione universale della causalità , il pensiero umano non può pensare quest' ordine dinamico delle cose prodotte, ed il continuo passaggio delle medesime dal- la non esistenza alla esistenza, e dalla esistenza alla non esistenza, senza pensare e concepire un potere attivo, assoluto ed indipendente, dal cui atto imma- nente si effettuano i suddetti mutamenti. Questa leg- ge del pensiero umano relativa alla nozione di cau^ salita si enuncia così : Non è possibile allo spirito u- mano, senza coniraddire se stesso , di pensare cose che cominciano ad essere, e che sono suscettive di perire e di rinascere, e che esistono non in loro, ma sopra subhietti immutabili, senza pensare ad una cau- sa attiva ed immutabile, la quale per lo mezzo de'sud- 38 Scienze detti principli immutabili, tutte le produzioni, le esi- stenze e le distruzioni delle varie cose naturali va realizzando. E stato detto che questo principio pri- mitivo, ogni effetto ha la sua causa, sia in sé un principio identico : ossia un giudizio, nel quale i due termini sono identici tra loro. L'enunciare il princi- pio della causalità nella indicata maniera costituisce, non può negarsi, una proposizione identica; alla qua- le disconviensi certamente la dignità di nozione pri- mitiva. Ma tutto l'errore sta nella enunciazione. Noi per contrario enunciamo la nozione di causalità così: Ammessa una serie di cose prodotte, egli è impossi- bile allo spirito umano di non pensare una causa as- soluta posta fuori della delta serie, e la quale pro- duce questa serie, senza essere ella prodotta da altra cosa qualunque , e senza dipendere da altro potere qualunque; perchè contenendo questo in se la ragio- ne di se stesso, necessariamente è 1' ultimo termine del pensiero, oltre il quale il pensiero stesso non può concepire altro oggetto senza distruggere la sua stes- sa concezione. §. VI. Seguita il medesimo argomeìito. Inoltre concependo lo spirito umano questo po- tere assoluto o causalità assoluta, per la nozione di sostanza , gli è necessità pensarlo come inerente in una sostanza assoluta ; la quale con la causalità as- soluta è una cosa stessa, riguardata sotto due punti di vista diversi. Dietro le cose sopraddette bisogna adunque accuratamente distinguere le cause chiamate 'l Umane conoscenze 3rt iseconde dalla causa prima ed assoluta. La cause se- conde non sono cause se non relativaraente , poicliò assolutamente esse non sono se non effetti. Noi per il principio di sostanza abbiamo veduto la necessità di ammettere i principii primitivi ed immutabili di tutte le cose prodotte , ed abbiamo veduto eziandio che questi principii immutabili sono da noi riguar- dati siccome dotati di attività causali immanenti ed immutabili. Ora le attività causali immutabili di que- sti principii o elementi del mondo della natura, co- mecliè immutabili, non sono assolute: poiché hanno ricevuto Tessere dall'essere e dal potere assoluto; tal- ché l'immufabiliià, di cui i jnedesimisono rivestiti, non è rtdaliva che ai rispetti che essi hanno intra loro. In altri termini la legge del pensiero umajio ci reca da ultimo a questo concetto: L' essere assoluto con- tiene iji sé stesso la ragione assoluta di se stesso e di tutte le realita : egli trasse dalla non esistenza as- soluta alla esistenza incondizionata certi determinati prmcipii sostantivi e potenziali intra loro immutabi- li, ed a tali leggi di atlività, di misura e di nume- ro li sottomise, che quindi ne sortisse successivamente il mondo delle cose condizionali, ed intra loro quel- la maravigliosa e vitale armonia di rapporti, per la quale allo stesso pensiero umano non solo la neces- saria esistenza dell'essere assoluto, ma altresì le in- finite sue perfezioni si andassero perpetuamente rive- lando. L'ordine del passaggio dalla non esistenza alla esistenza de' due ordini di cose e dunque assoluta- mente diverso : poiché pensando noi ì' origine delle cose incondizionali , e trovando nel concetto delle medesime la negazione di ogni condizione preceden- te, noi non sappiamo né possiamo intendere la loro 4© Scienze origine se non da un atto assoluto del potere asso- luto. Per contrario concepiamo 1' origine delle cose condizionali dalle forze e dal commercio perpetuo di azione e riazione, in cui sono in tra loro le suddet- te realilà inconclizionali, e per le quali in un ordine di conlinuità evolutiva ed ascendente tutte le cose del mondo della nalura si vanno generando e svilup- pando. Dal che chiaro apparisce come queste due ori- gini distinte delle realità incondizionali e delle rea- lità condizionali si convenga appellare con nomi di- versi; cioè col nome di creazione l'origine delle pri- me, e col nome di produzione l'origine delle secon- de. Del resto egli è chiaro come la figliazione di que- sta serie di proposizioni, che abbiamo enunciate, pro- ceda dalla nozione di causalità applicata ai dati della esperienza, riguardati sotto il rispetto della loro suc- cessione : e come a torto alcuni fdosofi della età no- stra pretendano di togliere la dignità di principio pri- mitivo, irriducibile a questa nozione di causalità, e cerchino risolverla in un giudizio d'identità; tra'quali è il Galluppi ed anche il Rosmini : mentre questa no- zione, parlando il linguaggio del criticismo, contie- ne in sé un principio sintetico, il quale non può es- sere ricondotto al principio di contraddizione, sicco- me avvisarono il Romagnosi ed ultimamente il Ma- miani. Passiamo alla nozione del fine. Umane conoscenze 4' S- VII. Della nozione del fine applicata alle cose pro- dotte^ della condizione., della subordinazione e della continuità ascendente delle medesime. Egli è un fatto universale dello spirito umano che in tutte le cose di cui esso può aver conoscen- za, per legge della sua natura, non solo cerca l'es- sere definito di esse e tutte le determinazioni che le costituiscono, non solo l'origine delle medesime nel tempo e l'origine loro assoluta, ma egli cerca ezian- dio in una maniera universale il fine od il perchè delle medesime. Questo punto di veduta emana dalla forma del pensiero umano preordinata colla realità delle cose, e domina maravigliosamente tutti gh stu- di di coloro che si danno a considerare l'ordine ma- raviglioso del mondo della natura; ed in ispecial mo- do nello studio degli esseri organizzati e viventi. La storia naturale, dice il Cuvier, ha un principio ra- zionale suo proprio, il quale è volgarmente detto delle cause finali: e siccome niente può esistere ove non. riunisca le condizioni che rendono possibile la sua esistenza, così le differenti parti di ciascun essere deb- bono stare coordinate di maniera da rendere possibi- le l'essere totale, non solamente in sé stesso, ma ne' suoi rapporti con le altre cose che lo circondano. L'analisi di queste condizioni, soggiunge lo stesso Cu- vier, conduce sovente allo scoprimento di leggi ge- nerali così dimostrate, come quelle alle quali il cal- colo e l'esperienza possono condurre. E tale è l'effi- cacia di questa nozione primordiale dell'umano pen- /^2 Scienze siero, che tutte le vedute fondamentali clie dirigono lo studio deTisioIogi, siccome bene lo avverte il sig. Tommaso louffroj, sono determinate da esso ; ed egli t" troppo chiaro per sé, che questa veduta non è data dalla fisiologia, poiché in virtù di questa nozione è che i fisiologi ne'loro studi procedono universalmen- te a ricercare il perchè, o lo scopo di ogni fenome- no dato : la quale nozione, perciò appunto ch'è ap- plicabile a tutti i fatti universalmente, esclude di ne- cessità se stessa da ogni origine spei'iraentale ; con- ciossiachè l'esperienza non può mai raggiungere tutti i casi possibili. Tutto ciò ch'è prodotto adunque, in virtù di questa nozione, ha necessariamente un fme, per il quale è parte di un tutto, ha un grado nell' ordine evolutivo del tutto, e cospira alla vita di esso. Ora a questa nozione del line si rappresentano tre distinte determinazioni delle cose, le quali sono : la loro coordinazione, la loro subordinazione e la loro continuità. Per la coordinazione, ogni cosa prodotta esiste nel tutto contemporaneo delle cose, come parte integrante e gerarchica di esso. Per la subordinazio- ne, ogni cosa particolare nel mondo della natura com- pie per la sua virtù causale un ufficio o funzione su- bordinata e cospirante all'ordine attivo universale ed unitario del mondo della natura. Da ultimo per la continuità, ogni cosa esistente ha un grado determi- nato e proporzionale, quasi anello di una catena, nel- la continuità ascendente ed evolutiva della totalità delle cose naturali. Or dunque l'essere delle cose, la loro produzione e la loro finalità, ed i rapporti che derivano dalla natura di questi tre termini universali delle cose stesse, sono i tre generi di relazioni per cui la somma delle cose prodotte costituisce un Umane conoscenze 4^ mondo, ossia un sistema unitario e vivente, continuo ed evolutivo ; e per modo che il presente di esso sia il prodotto continuo della vita del tutto, operata per le cose e nelle cose, l'esistenza delle quali ha prece- duto r esistenza delle cose attuali ; e la somma di queste, mentre per la triplicità de' suddetti rapporti costituisce r organismo e la vita attuale del mondo della natura, per le loro stesse relazioni scambievoli porta in se le condizioni del tutto avvenire. Or termineremo dicendo, che come i tre generi di ter- mini fondamentali delle cose, non che i rapporti che da essi derivano, (Costituiscono obbiettivamente la ra- gione suprema del mondo delle cose stesse, così per una maravigliosa e preordinata concordanza del mon- do delle realità, e della forma immutabile del pen- siero umano, stabiliscono in questo le vedute fonda- mentali e perpetue, che lo dirigono e sostengono nello studio di ogni cosa reale o possibile , e nella costi- tuzione del sistema dell'umano sapere, §. Vili. Degli elementi delVumana conoscenza e de''dati contingenti di essa : suo fondamento : errore della scuola sensista e della scuola kantiana. Da tutte le sopraddette cose ora apparisce co- me il sistema dell'umano sapere da due ordini di dati risulti : r uno de' quali è fornito dalla esperienza , l'altro dalla intelligenza, Nel mondo delle umane co- noscenze i primi sono i suoi dati condizionali, avve- nitizi e vari di qualità e di numero ne' diversi uo- mini e ne'diversi tempi dell'umanità : e per centra- 44 Scienze rio sono i secondi i dati incondizionati, permanenti, non avventizi , universali ed identici in ogni tempo ed in ogni individuo della specie umana. I primi chia- meremo dati materiali e sperimentali dell'umano sa- pere, ed I secondi elementi veri e formali o razionali di esso. Ninno sa ciò eh' egli penserà domani o negli istanti seguenti della propria vita : avvegnaché niuno sa quali oggetti particolari saranno dati alla facoltà empirica del suo spirito : ma se Fuomo igno- ra gli oggetti particolari o i materiali, a cui può ap- plicare la forma del suo pensiero, non ignora il co- me immanente e perpetuo del suo pensiero. Insom- ma V uomo non può prevedere i suoi oggetti speri- mentali, perchè sono contingenti e mulevòli e da lui non dipendenti: ma egli sa e prevede induhitahilmen- le che in forza delle sue nozioni assolute e delle leg- gi che le governano, gli è d'uopo pensare, alla oc- casione dell'apparizione di qualunque oggetto speri- mentale, suhbietti immutabili in cui esso esiste, for- ze immutabili da cui è prodotto, ed un fine per cui è prodotto ed esiste ; conciossiachè queste nozioni di oggetti intelligibili non sono generate , ma sono originarie nella forza del pensiero e costituiscono la sua forma perpetua ed assoluta. Queste nozioni adun- que, le quali costituiscono gli elementi formali del si- stema dell'umano sapere, hanno a loro carattere que- sti predicati, l'indipendenza, l'universalità e l'immu- tabilità; onde si possono dire con Cicerone : Natu- rae iudicia, iudicia coinmunibiis hominum sensi- bus infixa. Queste nozioni universali del pensiero vennero spesso da'filosofi confuse colle idee generali; le quali sono opera del processo conoscitivo , sicco- jne mostreremo quindi appresso ; e questa confusione Umank conoscenze 4^ fu la principal cagione delle loro controversie. Ella è cosa di molta importanza V annotare la differenza che passa tra le idee generali e le suddette nozioni. Quelle, siccome or or vedremo, si traggono per astra- zione dalle idee particolari delle cose , e non sono quindi applicabili se non al numero delle idee par- ticolari da cui sono state astratte. Per contrario le nozioni universali dei pensiero non sono tratte per astrazione dalle idee particolari, ma invece esse co- stituiscono il fondo e la forma di tutte le idee indi- vìdue, e si applicano incondizionatamente a qualun- que oggetto dato dalla sperienza. E si avverta inol- tre come alcuni filosofi erroneamente vadano confon- dendo queste nozioni universali e necessarie del pen- siero con quelle idee che risultano dall'opera di giu- dizi identici; le quali , egli è il vero , di leggieri a prima giunta si confondono con quelle, da questo la- to eh' esse pure hanno a loro carattere la necessità e l'universalità, e si manifestano allo spirito umano, siccome irrepugnabili ed evidenti per loro stesse. Ma qui si contiene un grande scambio di cose ; poiché queste ultime idee non consistono che in una tradu- zione di parole, essendo che i due termini del giu- dizio sono una stessa cosa espressa in due modi; il che non ha nessun rispetto alla realità delle cose in se; mentre per opposto le nozioni della intelligenza, che costituiscono nell'umano sapere i suoi elementi universali ed immutabili , recano lo spirito , posti i dati della sperienza, alla conoscenza intellettuale di oggetti reali, di oggetti che costituiscono il fondamen- to reale ed immanente di quelle cose che gli appa- riscono per la stessa esperienza. Del resto opera vana e con sé stessa pugnante fecero e fanno tutti que'fi- 46 Scienze losofi, i quali si diedero o si danno alla ricerca del< l'origine di queste nozioni primitive ed indipendenti, cjbe costituiscono 1^ forma immutabile del pensieri j preordinatamente rispondente alla realità delle cose; coaciossiacliè le medesjl,ine, rispetto al sistema del sa- pere umano, non sono in esso determinate da niuna conoscenza precedente; ma invece esse costituiscono il fondamento di ogni conoscenza possibile. Come po- trebbe dunque rinvenirsi entro il sistema dell'umano sapere l'origine delle dette nozioni , laddove queste costituiscono il principio della scienza od il fonda- mento ultimo della medesima ? Come si potrebbe di questa porgere una dimostrazione ( nel vero senso del dimostrare ) se ogni dimostrazione possibile da queste nozioni piglia incomlnciamento ed in esse sussiste ? Da ciò è, cbe quantunque volte noi tentiamo dimo- strare l'origine di queste nozioni, siamo nella impos- sibilità .t|i farlo: perchè nel mostrarla, necessariamente la supponiamo. La filosofia sensista, disconoscendo l'e- sistenza delle nozioni universali del pensiero umano, andò pienamente errata nell' indicare la genesi dell' umano sapere, a cui assegnò per unico principio l'e- sperienza, ossia i soli dati mutevoli e condizionali di essa : onde essendo stato ad essa necessario di nega- re la possibilità della conoscenza delle cose in loro stesse, fece dell'uomo una lanterna magica, ed insie- me ( vedi contraddizione ) una tavola rasa. La filoso- fia de'kantisti, negando ogni ontologico valore alle nozioni o princlpii primitivi della mente, mise nella disperazione il regno della filosofia; e si conchiuse, comecliè riconosciuto avesse in opposizione alla scuo- la sensista l'attività dello spirito umano, nel mede- simo scetticismo a cui questa recava, rispetto alla esi- Umane conoscenze 4? stenza delle cose in loro. Questa scuola pienamente disconobbe, clie nella forma originaria dell'umano pen- siero determinantesi sotto le tre nozioni sopraddette, esiste essenzialmente una virtù d' intuizione ontolo- gica di primitiva ed indubitabile evidenza; la quale è perciò stesso irrecusabile ed indimostrabile insieme; e la quale costituisce per tutto quanto il genere uma- no il primordiale criterio di ogni verità razionale. §.IX. Corrispondenza della ragione del mondo e della ragione umana. U ontologia è la scienza delle scienze^ ed è una cosa stessa colla filosofia : che il fondamento delV umano sapere è nelV ontologia. Ciò che chiamasi la ragione umana non è altro in se, che il complesso delle sopraindicate nozioni pri- mitive ed universali del pensiero umano ; le quali esso è costretto, per la legge originaria della sua na- tura , di applicare a qualunque oggetto dato dalla esperienza. E si dice ragione del mondo delle realità quell'ordine immutabile di rapporti che derivano dalla loro natura, e pe' quali elleno tra loro si attengono in un sistema unitario, armonioso e vivente. Noi ab- biamo già notato , esservi tra la ragione del mondo delle realità e la ragione umana una prestabilita cor- rispondenza, 0 sotto altri termini noi abbiamo vedu- to come nella ragione dell'uomo ( nello stesso tempo che Fuomo è parte integrante e gerarchica del mon- do ),per le nozioni originarie che governano il suo pensiero ne'suoi rapporti coli' universo e coli' essere 48 Scienze assoluto, si contenga 1' ideale della ragione suprema del mondo. Ciò posto , egli è manifesto come nella ragione umana si contenga l'ideale della ragione del mondo. Dal che si pare la grande eccellenza della natura umana, la quale nelle leggi del suo pensiero raccoglie l'ideale della ragione suprema ed immuta- bile dell'universo : e così l'uomo è a simiglianza di Dio. Per questa corrispondenza adunque della ragio- ne del mondo, della realità e delle nozioni origina- rie del pensiero umano, l'uomo può legittimamente indurre da queste a quella : e questa corrispondenza è un fatto di primitiva convinzione dello spirito uma- no: e questa convinzione è, secondo noi, per Fuo- mo la base primitiva e fondamentale di ogni vero. Da tutto ciò seguita inoltre che il sapere umano, in quan- to ai suoi obbietti, a questo essenzialmente riducasi: alla cognizione del come le varie cose esistenti sog- giacciano alla ragione universale; od in altri termini, nella cognizione delle varie ed infinite forme sotto cui esse la rappresentano. E similmente il sapere uma- no in se stesso, e nelle varie parti del suo sistema considerato, è un complesso di forme ideali svariate, nelle quali ciò nondimeno identicamente viene riflet- tuta la ragione umana. La diversità delle scienze, o la diversità delle parti, di cui consta il sistema dell' umano sapere, dipende dalla diversità delle idee delle cose, intorno le quali la ragione umana colle sue no- zioni originarie si circonscrive : ma in tutte le scien- ze svariate vi ha un'essenza interiore, la quale è iden- tica in tutte. Ora la tilosofia , nella sua essenziale natura, è per noi la scienza delle scienze: e la scien- ze! delle scienze è la scienza di ciò eh' è universale e comune ad ogni scienza particolare ; è la scienza Umane conoscenze 49 iasomma del fondamento di tulle le scienze. E che cosa è ciò che costituisce l'essenza di ogni scienza , l'identico, il comune, il substrato di tutte le scienze, fatta astrazione dalla loro varietà materiale ? Certo non altro che la scienza della ragione immutabile del mondo; la quale corrispondendosi perfettamente colle nozioni originarle dell'umano pensiero, così ella è in se medesima una cosa stessa colla scienza della for- ma originaria e perpetua dell'umano pensiero, posta in rapporto co'dati della esperienza presi in univer- sale. Questa scienza presso i greci, e dipoi nel me- dio evo, ritenne il nome di ontologia. Alcuni fdosofi de'tempi posteriori derisero e screditarono l'ontologia. Ciò nondimeno essi stessi cercarono una filosofia, alla quale diedero nome di filosofia prima. Ma questa fi- losofia prima non è, a vero dire, e non poteva es- sere se non quella stessa ontologia, che avevano de- risa e screditata. Come costltuiscesi adunque l'onto- logia ? L'ontologia si costituisce dal complesso di tut- te quelle conoscenze o verità evidenti per loro stes- se, le quali consistono in enunciazioni delle nozio- ni universali del pensiero umano, applicate alla uni- versalità indetermiuaìa dc'dati della esperienza. Ora la somma delle conoscenze di questo genere , ossia l'ontologia, stabilisce il centro ed il fondamento pri- mordiale di tutto il sistema dello scibile umano. Il quale, mentre componesi di varie parti intra loro co- ordinate e subordinate, e corrispondenti alla varietà delle cose particolari a cui si riferiscono , s'inradica nella ontologia ; dalla quale procede ed alla quale 1-orna da tutte le parti, di cui esso componesi. G.A.T.LXXX1X. 5o Scienze §. X. Differenza delle conoscenze ontologiche e delle conoscenze sperimentali. Nell'ontologia adunque ha fondamento il sisle-^ ma dello scibile umano, e tutte le varie parti di cui esso consta. Ma come que&to sistema si sviluppa ? Questo sviluppo è operato coll'assumere i dati della intuizione in una maniera determinata : ossia col re- care i medesimi dati da quella indeterminazione, in che erano stali assùnti per formare l'ontologia, ad una graduale e discendente determinazione, e sino a che si pervenga alla determinazione individuale di ciascu- no di essi ; e nello stesso tempo applicando la for- ma originaria del pensiero in ciascun grado della de- terminazione discendente de' medesimi. Or da tutto ciò apparisce come e\i abbia per lo spirito due di- verse categorìe di conoscenze : cioè una categorìa di conoscenze, le quali si riducono ad enunciazioni uni- versali delle nozioni originarie della intelligenza, ap- plicate alle universalilà de'dali indeterminati della in- tuizione : ed una di conoscenze, le quali consistono in enunciazioni delle medesime nozioni applicate a'dati determinati e da questi circoscritte. Le enunciazio-^ ni, che costituiscono la prinia calegoria delle cogni^ zioni, hanno questo di essenziale, ch'esse sono vere ed evidenti per loro stesse ; poiché le enunciazioni, in cui esse consistono, non sono altro che le stesse nozioni universali e primitive del pensiero, evidenti per loro medesime. Nel secondo caso airinconlro, os- sia nelle cognizioni della seconda categorìa, le enuu- Umane conoscenze 5i clazioni che le costilulscono non sono vere, se non nel caso clie venga presa con esatlezza la realità de' dati determinati della esperienza, a cui le nozioni si applicano e si circoscrivono. Prendere con esattezza i dati determinati della esperienza, non significa al- tro che il guardare che nelle apprensioni degli og- getti della osservazione non si mescoli nessun dato della nostra fantasia; la quale altera la verità di fatto nelle nostre conoscenze. In questa seconda categorìa di conoscenze le nozioni universali del pensiero ven- gono trasformate per limitazione; o in altri termini esse vengono tradotte dalla loro universalità origina- ria alla limitata estensione e comprensione de' dati della esperienza a cui le si applicano. Il contrario av- viene nella prima categorìa delle conoscenze ; nelle quali i dati della esperienza oppositamente si assu- mono in una maniera indeterminata ed universale : il che si consegue col recare al più alto punto di astrazione le idee delle cose condizionali. Ora per tutte le cose sopraddette è manifesto, nella prima ca- tegoria di conoscenze costituirsi la sfera intera della filosofia o della scienza delle scienze, che con antico vocabolo amiamo cìilamare oiltologìa, fondamento del sistema deirumano sapere : e nella seconda categorìa delle conoscenze, posta in relazione coll'onlologia, co- stituirsi, in un lulto sistematico di parti coordinate e subordinate, il sistema dell'umano sapere. Se non. che certa cosa ella è , che non si dà conoscenza la quale non sia essenzialmente costituita da due specie di dati, l'uua primitiva ed universale, e l'altra speri- mentale; talché la diversa cosliluzione delle due ca- tegorìe di conoscenze, che abbiamo testò riconosciute, non risulta già da una differenza di coiuposizionc es- Sa Scienze senziale , ma si dal modo diverso con cui vengo- no assumi i due dati costitutivi della conoscenza e tra loi'o compenetrati. Ciò non pertanto , nella di- mostrazione delle due suddette categorìe di conoscen- ze , la mente umana è costretta tenere due metodi diversi. La prima categorìa delle conoscenze, le quali da qui innanzi appelleremo ontologiche, hanno uni- versalmente questa natura, cioè che elleno o sono evi- denti ed indimostrabili per loro stesse a prima giun- ta, 0, non avendo questa proprietà, non sono dimo- strabili se non per altre conoscenze ontologiche per loro stesse evidenti: lungi sempre il bisogno di ricor- rere alla testimonianza della esperienza , essendoché nelle medesime non si contiene verun dato determi- nato della esperienza. Per contrario la via che tiene lo spirilo umano nella acquisizione e dimostrazione della seconda categorìa delle conoscenze, le quali ap- pelleremo sperimentali, si è questa unica : di appog- giarsi ed appellarsi cioè alla esperienza, e di andare rivedendo i suoi dati per mezzo di nuove osservazio- ni , per vedcie ed assicurarsi di continuo se nelle idee stabilite entrino per avventura dati della fan- tasìa non alteslali o n*n comprovati dalla osservazio- ne, nel che consiste Terrore nelle conoscenze speri- mentali : siccome la loro veillà sta in ciò, che il loro contenuto sia eguale e rispomlente alla somma e pre- cisione da'dati sperimentali, senza nessuna mescolan- za di dati ingenerati dalla fanlasia, non rispondenti alla realità delle cose. Ora di qui passeremo a di- scorrere il processo, con cui la forza conoscitiva ope- ra la costruzione del sistema dell'umano sapere. Umane conoscenze 53 DEL PROCESSO DELLA UMANA CONOSCENZA, OSSIA LOGICA, O ORGANO DELl' UMANO SAPERE. §. I. Della forza fondamentale del processo . delV umana conoscenza. Per tulle le cose, die siamo venuli discorrentlo nella prima parte di cjueslo saggio, noi slimiamo di avere pienamente chiarito il fondamento dell'umano sapere , o dimostrati gli elementi da cui il medesi- mo viene costituito. Ora dcbbesi da noi , secondo l'ordine che domina il noslro discorso, imprendere a dichiarare la natura del processo, pel quale gli ele- menti suddetti essendo in isvariale guise referili in fra loro , ed in tra loro congiunti o separati pel ministero della attività intcriore dello spirito umano e secondo un prestabilito scopo, il sistema dell'uma- no sapere costituiscono. A questa seconda parte dun- que del nostro saggio , la quale ha a suo subhietto il processo dell' umana conoscenza , si darà da noi principio col chiarire l'indole e la natura della for- za fondamentale operatrice del processo medesimo. E senza molto divagare lu parole diciamo innanzi a tutto, non essere altro questa forza in sé considera- ta che queir atto inteiiore dello spirito che doman- dasi comunalmente giudizio: ed il quale è l'attività propria dell'intelligenza. La quale riferendo in fra 54 Scienze — >-» loro gli elementi della conoscenza , gli accidentali cogli originari, e quindi le idee risultanti da questo primitivo riferimento in fra loro , in varie guise le va combinando o separando. Noi già vedemmo co- me l'intelligenza porti in se originariamente le no- zioni universali delle realità incondizionali, elementi sostantivi e potenziali di tutte le cose particolari e contingenti; le quali nozioni si sviluppano dal fon- do della intelligenza e vengono a manifestarsi nel- la coscienza , alla occasione delle sperimentali in- tuizioni delle suddette cose condizionali o particola- ri. Or , come queste nozioni costituiscono la forma ed il modo originale e perpetuo di essere della in- telligenza , così V atto immanente di questa costi- tuisce la forza fondamentale del processo conoscitivo, ossia il giudizio ; di cui il ministero complesso qui sopra è stato indicato. Dove abbiamo stabilito che 1' atto del giudizio ora unisce ed ora per contrario disgiunge in tra loro gli elementi della conoscenza , o le idee che lisullano dalla sintesi primitiva di quel- li. Nel primo di questi casi si verifica il giudizio det- to dai logici affermativo , e nel seconde il giudizio detto negativo. Or dunque il giudizio affermativo co- stituisce per noi una delle due guise operative della forza che effettua il processo dell'umana conoscenza, cioè la forza sintetica o integratrice di esso: ed il giudizio negativo per contrario pone la seconda guisa della medesima forza costitutiva del medesimo proces- so, la quale chiamiamo forza analitica o differenziale di esso. Le quali due guise della forza del giudizio sono perpetue e solidarie in tutte le funzioni onde si costituisce il processo della umana conoscenza, sic- come lo si parrà per tutte le cose che nella presen- Umane conoscenze 55 te trattazione andremo via via discorrendo. Il Kant distinse i giudizi in analitici ed in sintetici; ma egli il fece in un senso interamente disforme dal nostro: essendoché egli appellava giudizi analitici quelli, in cui nell'uno degli oggetti del giudizio era contenuto l'altro oggetto che al primo veniva riferito; e doman- dava giudizi sintetici quelli, ne' quali i due termini che vengono intra loro riferiti, sono 1' uno dall' al- tro naturalmente separali. Più innanzi noi annotere- mo alcuna cosa circa questa dottrina. Intanto ci ba- sti di avere latta palese la natura e l'indole della for- za fondamentale del processo conoscitivo, nonché di avere dimostrate le due sue guise perpetue di opera- re, la sintetica cioè o integratrice, e l'analitica o dif- ferenziatrice. Ciò nondimeno per riuscire acconcia- mente a mettere in chiaro la costituzione del pro- cesso suddetto, ci è mestieri procedere oltre, e vede- re come le altre forze fondamentali dello spirilo uma- no in essa intervengano, e come sotto certe determi- nate e distinte forme funzionali il processo medesi- mo, quantunque sempre costituito in se dalle due guise della forza sopraddetta , si vada specificando , secondo la differenza dell'oggetto su cui opera, non- ché dello scopo verso cui mira. Se non che , prima di dare opera a questa ricerca , stimiamo opportuno d' intrattenerci brevemente in una importante consi- derazione. Noi abbiamo veduto per le cose soprascrit- te , che la somma possibile degli elementi avventizi dell' umano sapere si riduce alla totalità possibile de'dati della intuizione esterna ed interna, e che gli elementi imtnutabili non avventizi ed universali di esso permangono in quelle nozioni dell'intelligenza primitive ed originarie, le quali si manifestano, sic- come è slato detto, irresistibilmente nella coscienza 56 SciENIK umana, alla occasione cle'Jali sopraddetti della intui- zione ; e co' quali, in una maniera universa , inte- grandosi, lo spirito umano si eleva , a traverso gli oggetti condizionali e mutevoli dell'esperienza, al co- noscimento di oggetti incondizionali immutabili ed intelligibili, noncliè al loro riferimento immanente ed universale nell' ordine reale delle cose. Or diciamo, questo riferimento o legame, che compenelra le idee di queste due categorìe di oggetti della conoscenza tra loro, è un risultato primordiale dell'azione inte- gi'atrice del giudizio* e da questo procedente in una maniera spontanea, primitiva, irresislibile; conciossia- chè esso avviene in forza di una legge, a cui soggia. ce l'umano pensiere, e del tutto indipendentemente dalla libertà dello spirito umano. Così fermiamo; nella enunciazione primitiva di questo riferimento, onde si compenetrano primordialmente nel processo della co- noscenza le idee delle due categorìe di oggetti sud- delti, si risolvono tutti i principii ontologici indimo- strabili, de'quali nella prima parte di questo saggio abbiamo fatto discorso, e sopra ai quali ci sarà me- stieri da qui innanzi ritornare a quando a quando, avvegnaché essi sorreggono non solo tutte le funzio- ni del processo conoscilivo, ma stanno a base e so- stentamento di tutti quanti i loro prodotti. Ed in questa sin lesi primitiva e necessaria de'due generi di elementi è rij)osla, secondo noi, l'origine delle nostre idee. Imperoccbè egli è un fatto indubitabile che le rappresentazioni della intuizione sia esterna sia in- terna non possono diventare le idee delle cose rap- presentate fino a tanto cbe alle medesime non si ap- plicano ( il cbe avviene necessariamente e primitiva- me nte ) le nozioni originarie della intelligenza. Per Umane conoscenze 5j le quali cose tulle con queslo supremo principio noi stimiamo potersi enunciare la generazione delle no- stre idee : niuna idea può essere nello spirito uma- no, ove Toggetto ad essa rispondente non abbia pri- ma agito sulla costituzione umana e non si sia fatto oggetto alla intuizione; e niuna azione di oggetto e niuna intuizione di esso può diventare idea dell'og- getto stesso, fintantoché alla intuizione del medesimo non si applicano gli elementi originari della intelli- genza ; i quali stabiliscono la forma immanente del- l' uman pensiero : il che avviene in una maniera primitiva e necessaria , come si disse , ed in forza della integrazione della forza intuitiva e della intel- lettiva inerenti allo spirito umano. S- li. Della intervenzione della forza appetitiva nella naturale costituzione del processo conosciti- vo', e delle forme funzionali distinte, sotto cui questo naturalmente si determina. A dimostrare come le altre forze dello spirito umano intervengano nella costituzione del processo della conoscenza, egli ci è mestieri innanzi tratto di riguardare nuovaujente al rapporto in che sono fra loro nella unità dello spirito uiT)ano la intuizione e la intelligenza colle altre forze fondamentali in quel- lo inerenti. E' fu per noi notalo, sul cominciare del- l'antecedente pai te di questo saggio , il nesso di azioni e riazioni reciproche, onde le forze sopiaJdette m tra loro si coordinano, si subordinano, e si conti- nuano siccome in un incorruttibile circolo. E di vero, 58 Scienze quando noi ci raccogliamo nella coscienza di noi stes- si , tosto ci avvediamo che per la immanente energìa della forza appetitiva, la quale di continuo ne sti- mola a porci in rapporto con le cose esteriori e a sviluppare il nostro essere, noi siamo naturalmente e di continuo sospinti a ricercare la conoscenza di noi stessi e di tutte le cose che sono in relazione con esso noi, nonché ad investigare nello studio univer- sale delle medesime i mezzi e le regole che ci è mestiein adoperare ed osservare per conseguire il li- ne proprio della nostra esislenza, il perfezionamen- to di noi stessi: al quale dirittamente arriveremmo , siccome a nostra meta suprema, se da questa non ci deviasse di continuo la forza contraria delle prevalen- ti nostre passioni, ed i falsi giudizi che rechiamo in- torno alle cose per gl'inganni della immaginazione. Or dunque questa fondamentale ed originale tenden- za della forza appetitiva, incitando e determinando di continuo all' azione la facoltà intuitiva o empirica , nonché la intelligenza, queste facoltà vengono di con- tinuo procacciando e fornendo novelli elementi di co- noscenza, ed alle due forze costitutive sopraddette del processo conoscitivo, cioè sintetica ed analitica, o in- tegrale e differenziale, materiali di continue elabora- zioni. Così queste forze in ragione del suddetto im- pulso immanente che ricevono, e secondo la varietà de'suhhietti intorno a cui operano, e secondo i natu- rali bisogni della mente umana, vengono a specificarsi sotto certe forme determinate e distinte di funzioni. Nella somma delle quali riponesi ciò che chiamiamo la costituzione del processo naturale dell'umano sape- re : il quale qui da noi si va particolarmente investi- gando. Or dunque, le forme funzionali sotto cui spon- Umani conoscenze ^q taneamente, per tutte le condizioni soprascritte, sì de- termina il processo conoscitivo, sono le seguenti, cioè: la invenzione, la induzione e la deduzione. L'inven- zione è quella funzione, sotto cui le due sopraddette forze della conoscenza si costituiscono, laddove esse operano sopi\i i dati dell'esperienza, ed intendono a formare le idee individue delle cose individue e de'lo- ro particolari rapporti, riguardate sotto la triplice ve- duta della loro sussistenza, delle loro causalità, e del loro fine. In tutto ciò pertanto racchiudesi il subbiet- to e l'ufficio della invenzione. L'induzione poi è una funzione, sotto cui vengono determinate le medesime forze della conoscenza coU'in tento di operare sopra i prodotti della invenzione , e colla mira di estrarre dalla somma delle idee particolari e de'loro partico- lari rapporti, in una maniera graduale ed ascendente, l'identità del loro contenuto, e di separare le loro dif- ferenze, e così costituire le idee di specie, di genere, di ordine e di classe; per le quali elaborazioni della induttiva la somma delle idee particolari viene ma- ravigliosamente coordinala e subordinata in un sistema unitario. Il quale , ove non sia arbitrario o posto a fantasia, ma invece poggi sulla reale simiglianza e dif- ferenza delle cose, rappresenta in se il vero sistema delle medesime. Da queste due soprallegate definizio- ni apparisce in che la invenzione e la induzione in- tra loro si differenziano , cosi rispetto alla materia diversa sopra cui elle operano, come rispetto al fine di- verso a cui sono indirizzate : conciossiachè egli è ma- nifesto per le cose sopraddette, avere l'invenzione a suo sulihielto le cose particolari, e tutte le i>arlico- lari loro determinazioni e rapporti, e nel suo ufficio non oltrepassare la formazione dell'idee particolari ri- 6o Scienze spondend alle cose particolari e reali, ed ai loro spe- ciali rapporti. Per opposito , la induzione ha a suo subbietto non i dati immediati dell'esperienza, ma le idee individue già formate per la invenzione : e lo scopo che ad essa è dato a conseguire si è quello di trasformare i prodotti suddetti della invenzione in. idee generali, rappresentanti ciò che le cose particolari hanno tra loro di simile, di diverso e di opposto ; e per tal modo la somma delle idee particolari in un tutto sistematico congiungere. Il quale viene a costi- tuire come la statica del sistema delle conoscenze limane, in relazione alla dinamica del medesimo; la quale risulta, siccome vedremo, dalla terza funzione del processo conoscitivo, e la quale nomiamo la de- duzione. E questa, nella sua generale natura, definia- mo : Quella funzione delio spirito umano, sotto cui vengono determinale le forze radicali della conoscen- za, quando elleno applicando le idee piij generali so- pra idee meno generali, o sopra idee particolari, ven- gono traendo da un concetto più generale un con- cetto meno generale, o da una idea generale una idea particolare deducono. Nell'opera di questa funzione consiste ciò che chiamasi raziocinio. Or da questa defi- nizione della deduzione risulta chiara la differenza , onde essa distinguesi dalle altre due funzioni prece- denti, sì rispetto al subbietto e sì all'ufficio suo. Im- perocché materia della deduzione sono i prodotti del- la induzione e della invenzione insieme : e V ufficio di lei speciale è di discendere dal generale al meno generale od al particolare. Impertanto in questa fun- zione si consuma l'operazione discorsiva dello spirito umano : e nel discorso è la dinamica della conoscen- za in opposizione alla statica, che è l'opera ed il ri- Umane conoscenze 6i sultato definitivo della induzione, siccome teste accen- nammo. E tutto ciò basti a dinotare le differenze del- le tre funzioni, di cui costa l'intero processo cono- scitivo. Seguentemente allorché prenderemo ad illu- strare a parte a parte ciascuna di queste funzioni, mo- streremo come in ciascuna di esse si manifesti sva- riatamente l'opera delle due determinazioni dell' atto conoscitivo. Ma prima di metterci a ciò fare , dob- biamo dimostrare che 1' esercizio del processo della conoscenza si va effettuando sotto due condizioni della mente umana, opposte e succedentisi ; cioè sotto quella condizione di essa, clie può chiamarsi il suo stato di spontaneità, e sotto di un' altra condizione che è da chiamare il suo stato di deliberazione ; il quale dal primo è di necessità preceduto. §. III. Carattere differenziale del processo conoscitivo^ sotto la sua forma spontanea^ e sotto la sua forma deliberata. Scienza ed arte logica. Si enuncia lo scopo complessivo ed assoluto del processo conoscitivo. Il processo conoscitivo , sotto le tre forme di- stinte funzionali in cui si costituisce, si opera nel- lo spirito umano in una maniera spontanea, quando le sue suddette fuzioni si vanno effettuando senza uno scopo prescelto e consentito dalla energia libera di quella potenza che abbiamo altrove chiamata la volontà. E per contrario il medesimo processo assu- me il carattere di deliberato, quando esso viene con- dotto e dominato dalla forza libera della volontà, die- 6'2 Scienze tro un intento da essa deliberato e proposto. Lo spi- rito umano nel processo conoscitivo spontaneo ob- bedisce solo alla irresistibile tendenza della forza ap- petitiva e senza rendersi conto del movimento spon- taneo di esso , e senza sapere innanzi ne la regola che debbe seguire per raggiungere lo scopo, ne i mezzi da impiegare, ne la distanza che lo separa da quel- lo, né gli scogli e le difficoltà che gli è d'uopo su- pei'are per raggiugnerlo. Questo siffatto andamento del processo conoscitivo si manifesta sopra tutto nella mente de'fanciulli, nello stato di sogno ed in quello di alienazione mentale : ne'quali stati il movimento dello spirito è involontario e dipendente dalle circo- stanze fortuite esteriori o dalle prevalenti affezioni di esso, e procede oltre senza l'anticipata veduta di un fine determinalo o voluto, e senza la scelta di mezzi a quello adequali. Questo medesimo stato della mente umana appare eziandio nelle inspirazioni del vero ge- nio; il quale non è altro che quel movimento spon- taneo ed efficacissimo dello spirito, per lo quale l'uo- mo, senz'arte, sa pervenire là ove altri non possono aggiungere senza molto studio e riflessione , e dove qualche volta in nessuna maniera è dato loro di per- venire. Per contrario il movimento deliberato del pro- cesso conoscitivo si è quello in cui lo spirito uma- no facendosi oggetto a se stesso, e riguardandosi nelle proprie funzioni conoscitive, si in quanto por esse ha talvolta potuto fortunevohnente riuscire a qualche fe- lice risultato, sì in quanto da questo si è interamen- te dilungato, egli giunge da ultimo a comprendei'si; e comprendendosi, a dominare il proprio movimento, e con ordinato disegno dirigerlo ad uno scopo da esso lui innanzi prescelto e voluto. Ora adunque egli Umane conoscenze 63 è chiaro per tulle queste cosa come nella cosliluzio- ne del processo conoscilivo deliberato, oltre a tutte le sopraddette forze , intervenga eziandio la volon- tà : la quale vi sta come forza imperante e direttiva. Ciò non per tanto egli è da notare, che questo in- tervento direttivo della volontà nel processo della u- mana conoscenza non reca verun mutamento nell'in- dole delle altre forze che la vanno effettuando , ne sopra i risultati di ciascuna singola forza di esso , i quali sono da quella indipendenti. Talmentecliè qua- lunque sia la direzione che dalla volontà viene im- posta alla intelligenza od alla facoltà empirica, tut- tavia la natura degli elementi che queste facoltà re- cano nella conoscenza sono affatto sforzati, ossia in- dipendenti dalla volontà : e similmente interviene ri- spetto ai rapporti o riferimenti pe' quali l'atto imma- nente della intelligenza, ossia il giudizio, va in tra loro congiungendo o separando gli oggetti del pensie- ro, e tanto nella sintesi primordiale quanto nella sin- tesi e nell'analisi delle idee, che pel ministero della sintesi primlliva furono poste e costituite. Concios- siachè la volontà dell'uomo non fa ne gli oggetti del pensiero, ne i rapporti di essi : il pensiero li conce- pisce necessariamente, comechè volontariamente si sia posto in istato di percepirli e concepirli, e volonta- riamente si diriga nell' opera d' intuirli e di rappor- tarli tra loro. Il pensiero facendo oggetto a sé stes- so il suo stesso processo conoscilivo, e studiandolo nelle sue forme svariate , nel suo andamento , nelle sue leggi e ne'suoi risultati generali, giunge a costi- tuire quella speciale scienza che chiamasi logica , la quale è lo strumento costruttore di tutte le scien- ze possibili. In quanto poi lo spirito umano adopera 64 Scienze le idee generali di questa scienza per trarne regole pratiche direttive del detto processo, esso costituisce ciò che viene nomato arte logica o metodo. Ma or, senza più dilungarci, imprendiamo a specificare Tog- getto complessivo del processo deliberato della uma- na conoscenza. Il quale ci è sembrato in questo in- teramente racchiudersi : nel procacciare alla mente umana l'acquisizione del piij gran numero possibile d'idee individue rappresentative del più grande nu- mero di oggetti particolari conoscibili, riguardati per virtù della sintesi primordiale, sotto la triplice vedu- ta della loro sussistenza , delle loro causalità e del loro fine, ed in forza della sintesi secondaria, ia tutti i singoli loro riferimenti : nel coordinare e subordi- nare la somma delle dette idee individue per lo mez- zo di compai'azionì, di astrazioni, di analisi e succes- sive sintesi, in un tutto sistematico rappresentante le simiglianze, le differenze e le opposizioni delle cose reali conosciute e de'loro rapporti; e per modo che la mente umana possa abbracciare e contenere in se, senza smarrire, una gran somma di conoscenze, e con certezza discorrere dalle più generali alle meno ge- nerali ed alle particolari o viceversa, non che passa- re per tal via gradatamente dal noto alTignoto. Per le quali cose tutte si giunge a distendere grandemen- te il potere delle menti umane : del quale i mara- vigliosi risultati derivano più dall'opera normale del suddetto processo, che da sé stesso ; avvegnaché ove quello proceda senza metodo, di leggieri smarrisce ed in un mare di errori trabocca. Umane conoscenze 65 §. IV. Della funzione inventiva in particolare: de^suoi momenti costitutivi : delV osservazione e delVe- s perimento. Abbiamo altrove dichiarato essere condizione fon- damentale all'operare delle facoltà dello spirito uma- no e loro forme e leggi originarie , un esterno mul- tiplo obbiettivo, ed un rapporto di scambievoli azio- ni e riazioni tra questo e quelle. Inoltre questo è per noi indubitabile principio, cioè : il movimento delle dette facoltà cominciare dall'azione del multiplo ob- biettivo sulla costituzione umana. Ma l'uomo, nell'at- to stesso che trovasi in questo passivo rapporto colle azioni degli oggetti esteriori, fa presenti alla veduta del suo spirito i medesimi oggetti. Il quale fatto, che noi appelliamo intuizione, interviene in una maniera tutta speciale ed interamente da noi inesplicabile. Di- re cogl' ideologisti che le azioni delle cose modi- ficano lo spirito, e che lo spirito percependo od in- tuendo queste sue modificazioni, forma le idee delle cose^ egli è, secondochè noi pensiamo, porre la base fondamentale dell'idealismo, e fare che la filosofia sia in contraddizione perpetua col senso comune del ge- nere umano, ossia colle leggi universali ed identiche della natura umana, solo fondamento ultimo di ogni vero. All'incontro noi indubitabilmente rileniamo col grande Leibnizio, non che colla scuola scozzese, che le percezioni, le quali si riferiscono agli oggetti ester- ni della esperienza, debbono essere fedeli rappresen- tazioni de'medesimi : senza di che esse non sarebbe- G.A.T.LXXX1X. 5 66 Scienze IO che pure illusioni. E repuliamo inoltre die le Jet- te percezioni delle cose non si possono confondere , siccome i moderni ideologisti fanno, colle sensazioni: col qual nome intendiamo significare esclusivamente le affezioni dell'animo piacevoli o dolorose ; le quali solamente ci appariscono alla intuizione interna sic- come veramente subbiettive e personali : mentre le percezioni per contrario ci appariscono essenzialmen- te obbiettive o veramente impersonali. Ma rientriamo in cammino. Prodigiosa è la somma delle percezioni che nel sopraddetto modo si fanno presenti allo spi- rito umano : ciò non di manco , non senza grande giustezza, avendo riguardo alle facoltà percettive delle medesime, esse ridurre si possono sotto cinque tipi distinti. Ai quali corrispondono cinque forme distinte di percettività o d'intuizioni, cioè : la intuizione vi- siva, la intuizione tattile, la intuizione olfattiva, la intuizione uditiva e la intuizione sapida. Ora a que- ste facoltà percettive od intuitive dello spirito uma- no integrandosi la forza appetitiva e la volitiva ; e queste ultime forze dirigendole e dominandole, esse si elevano al grado di poteri volontari recettivi delle cose fuori , ed insieme intuitivi delle medesime. Il perchè le dette facoltà, considerate nel loro momento passivo, non sono più semplici recettività indifferenti delle azioni degli oggetti, ma sono virtù recettive ed intuitive attivamente determinate dalla attività inte- riore dello spirito. In fine, a queste facoltà ( le quali nel loro insieme costituiscono la facoltà empirica e- sterna ) nel momento stesso che col mezzo di esse lo spirilo va ricercando e ricevendo le azioni delle cose particolari, perchè appariscano alla sua intuizione (la quale dominata dalla forza volitiva si qualifica in Umane conoscenze Sj questo ufficio come attenzione sperimentale ) si ag- giugne la forza della intelligenza colle virtù di sue nozioni universali : a tal che queste applicandosi ai dati della intuizione, quindi risultano, per lo mezzo di quella sintesi primordiale di cui abbiamo di sopra parlato, i giudizi intuitivi singolari della sperienza : ed i quali, comechè singolari rispetto al loro mate- riale, sono universali in riguardo agli elementi che vi pone la intelligenza. Della qual cosa nuovamente sarà detto quindi innanzi. In cotal modo adunque compenetrandosi ed integrandosi in uno la forza ap- petitiva, la volontà, l'intuizione e l'intelligenza , ed in uno pigliando ad oggetto le cose particolari, vie- ne originata e costituita in tutta la sua possa quella funzione del processo conoscitivo che appelliamo in- venzione o funzione inventrice. La quale facendo og- getto a se stessa il mondo delle cose particolari, in questo va in modo predeterminato dalle nozioni della intelligenza ed in una maniera volontaria, universal- mente ricercando la sussistenza, l'origine ed il per- chè di ogni cosa particolare, la quale per la sua azio- ne sulla costituzione umana allo spirito può appari- re, od alla sua intuizione rivelarsi. Le idee partico- lari delle cose, ed i giudizi singolari che esprimono i loro singolari rapporti immutabili , dopo qualche tempo dispariscono dalla presenza, direra così, dello spirito umano; il quale stato del medesimo, riguardo alle sue idee, si chiama obblivione. Non per tanto, dopo una interruzione intera o parziale delle suddet- te idee, o dopo la loro obblivione, esse possono ri- comparire e rinnovellarsi alla presenza dello spirito, comechè gli oggetti reali rispondenti alle medesime idee non vengano nuovamente a farsi presenti alla 68 Scienze intuizione. Or questa disposizione dello spirito uma- no costituisce in esso un secondo momento della fun- zione inventrice, al quale si dà il nome di memo- ria ; siccome al primo momento di questa stessa fun- zione, il quale concerne la intuizione degli oggetti all'atto della loro azione sulla costituzione umana , diamo il nome di percezione, o semplicemente d'in- tuizione. Alla funzione inventiva appartiene inoltre un terzo momento ; il quale è l'immaginazione. Che cosa è l'immaginazione ? Lo spirito dell' uomo non solo è atto ad intuire le cose particolari ed a for- marsi le idee delle medesime e de'loro singolari rap- porti nella maniera sopraddetta ; non solo è dotato della facoltà di richiamare innanzi a se stesso queste idee, dopo essere passale nell'oblio, e senza il rinno- vellamento della intuizione degli oggetti, di cui le ri- cordate idee sono le rappresentazioni : ma egli pos- siede inoltre una facoltà, per la quale riunisce o con- serva riunite in tra loro in gruppi queste idee par- ticolari, e questi gruppi in collezioni : il che fa se- condo i rapporti particolari e concreti , con cui gli oggetti delle idee gli appariscono nella intuizione in tra loro collegati nello spazio e col tempo. Que- sta virtù dello spirito umano è pertanto quel mo- mento della funzione inventrice, al quale noi diamo il nome d'immaginazione. La intuizione precede la memoria : la intuizione e la memoria precedono la immaginazione e ne sono le condizioni essenziali. Susseguentemente la immaginazione è una condizio- ne al perfezionamento della memoria; e la iramagi- nìlzione e la memoria sono condizioni che distendo- no e facilitano l'opera della intuizione. La quale coor- dinazione e reciproca condizionalità di questi tre mo- Umane conoscenze 69 menti costituiscono la solidarità di ciascuno nella co- stituzione della funzione inventrice. In fine , egli è da considerare come questa funzione assuma due for- me distinte, cioè quella di osservazione e quella di esperimento. Nella osservazione lo spirito umano in- tuisce gli oggetti particolari, quali a lui per loro stessi si presentano, o quali esso li ritrova non alterati dalla sua industria effettrice e deliberata. E per contrario nello esperimento gli oggetti vengono da esso lui in- tuiti, non nello stato in cui per loro stessi si sareb- bero offerti, ma sì in quello in cui vengono modifi- cati o posti per l'opera attiva cbe l'uomo può eser- citare sulle cose ad esso esteriori, e per fine che l'in- tuizione possa di leggieri percepirli e coglierli in tutti quegli aspetti e rispetti, i quali, senza l'intervenzio- ne delle forze umane applicate ad alterarli dal loro stato naturale, non si sarebbero manifestati. Ma aven- do considerato la speciale natura e la costituzione della funzione inventrice, i suoi momenti o versioni, non che le due forme che ella assume, ora è da pas- sare a discorrere i vari modi di essa, rispondenti alle varietà determinabili delle relazioni oggettive che ella ha ufficio di andare investigando nel mondo delle cose. 1^0 Scienze §. V. De'vari modi d^ operazione della invenzione ri- spondenti alla varietà determinata delle rela- zioni particolari delle cose : delle proposizio- ni ontologiche che le reggono: la varietà^ il numero ed il quanto sono i tre punti di vi- sta della intuizione : delV analisi e della sin- tesi reale. La funzione inventiva, sia che vesta la forma di osservazione , sia che assuma quella di esperimento , ella è sempre in tutte le sue possibili vedute intenta a ricercare la sussistenza , l'origine ed il perchè di ogni cosa particolare, tolta a suo oggetto. Questa co- stante ed irreformabile determinazione ne'modi della funzione inventiva, viene ad essa imposta dalle no- zioni originali della intelligenza, che costituiscono la forma perpetua del pensiero, siccome chiaramente ap- parisce da tutte le cose soprascritte. Or dietro di ciò e'si può dividere l'ufficio totale e complesso di que- sta funzione in tre specie o modi di operazioni, ri- spondenti al triplice scopo sopraddetto di essa : vo- gliamo dire in invenzione di sussistenza , in inven- zione di causa ed in invenzione di fine. Inoltre in ciascuna di queste specie di operazione della inven- trice se ne contengono aitile tre: cioè nella invenzio- ne di sussistenza, vi ha l'invenzione della modalità, della sostanza e dell'attualità; conciossiachè questi tre termini necessariamente intervengono nel pensiero della sussistenza di ogni cosa : nella invenzione di causa, si contiene la invenzione del commercio, della Umane conoscenze wf corruzione e della generazione, momenti necessari e costitutivi di ogni oggetto di causalità; e da ultimo nella invenzione del fine si contiene la invenzione della coordinazione, della subordinazione e della con- tinuità ; avvegnaché niuna cosa esistente può esistere nel mondo delle cose, senza avere con alcune un rap- porto di coordinazione, con altre un rapporto di su- bordinazione, e con tutte un rapporto di continuità. Tutte le enumerate relazioni costituiscono , siccome altrove è stato detto, i rapporti non solo che legano le realità prodotte e condizionali colie realità incon- dizionali : i quali rapporti vengono considerati nelle idee o giudizi ontologici che vengono costituiti per la sintesi primordiale : ma sì i rapporti delle cose particolari e condizionali in tra loro. I quali rapporti sono pensati necessariamente dal pensiero umano im- mutabili siccome i primi , perchè essi derivano da questi, od in questi s'inradicano. La qual cosa ab- biamo generalmente chiarita nella dottx'ina ontologi- ca da noi esposta ; che ora più particolarmente vie- ne dichiarata , mostrando come ciascuna delle sud- dette specie d' invenzione sia dominata e sorretta da una dignità ontologica o giudizio primitivo ed in- dimostrabile, da cui ogni giudizio singolare, enuncian- te qualunque delle sopraddette relazioni, riceve quella virtù universale che ha in sé ; la quale è una cosa stessa colla immutabilità delle enunciate relazioni. Diciamo adunque; della invenzione della sussistenza è principio fondamentale ed ontologico questo teore- ma : una medesima modalità di una data cosa parti- colare aderisce sempre ed immutabilmente su di un medesimo svibbletto e per una medesima forza di es- so : e cosi viceversa. Alla iuvenziune di causalità è 172 S e I K N Z E fondamento ontologico quest'altro teorema \iniversale, principio ultimo di dimostrazione di ogni giudizio singolare di causalità; cioè : Una medesima cosa vie- ne sempre dalla sua non esistenza alla esistenza per mezzo di una medesima corruzione precedente e coli' opera di un medesimo commercio di azioni e riazio- ni reciproche di più cose in tra loro : e viceversa. Da ultimo della Invenzione di fine è dignità diret- tiva e fondamentale questo giudizio ontologico : Una medesima cosa, considerata in relazione ad altre, ha sempre con queste un medesimo rapporto di coordi- nazione e di continuità : e viceversa. In questo mo- do lo spirito umano, avendo a sicuro sostegno della sua funzione inventrice i suddetti princlpii ontologi- ci, penetra il mondo degli esistenti e lo esplora, non a guisa di scolare, come direbbe il Kant, che si la- scia dettare ogni cosa dal maestro e come più a que- sto aggrada; ma qual giudice costituito, il quale co- stringe i testimoni a rispondere a predeterminate istan- ze che va loro facendo. Inoltre in qualunque cosa particolare fatta oggetto alla invenzione , lo spirito umano va ricercando, sotto tutti que'punti di veduta che discendono da'soprallegati giudizi ontologici, la varietà, il numero ed il quanto. La varietà viene co- stituita da tutte le modificazioni accidentali, che può assumere o perdere qualunque cosa particolare, non che qualunque delle suddette loro relazioni, senza la- sciare di essere ciò che elleno essenzialmente sono : il numero è la multiplicazione o ripetizione delle cose medesime e delle relazioni loro, entitativamente con- siderate, ed in disparte da qualunque loro determi- nazione essenziale o modale : ed il quanto delle co- se e delle loro relazioni è il numero applicato, non Umane conoscenze 78 alla loro entitcà pure , ma alle loro determinazioni o modi positivi di essere sì accidentali e si essenziali. L'idea della varietà risulta nella sintesi primordiale del pensiero dalla compenetrazione dell'elemento em- pirico del vario e dell'elemento intellettivo dell' iden- tità; la quale è un attributo necessariamente pensa- to nella idea di ogni realità incondizionale. L' idea del numero risulta, nella medesima sintesi primordia- le, dalla integrazione dell'elemento empirico del mul- tiplo entitativo 0 discreto e dell'elemento intellettuale dell'unità, la quale è similmente un attributo essen« ziale di ogni realità incondizionale; ed il quale com- penetrandosi al multiplo empirico, lo costituisce nu- mero determinato o unità numerica, divisibile ed ad- dizionabile all'infinito. I giudizi primitivi ed indimo- strabili che risultano dalla sintesi dell'unità, elemen- to intellettivo, col multiplo empirico, in diverse ma- niere rapportati fra loro, costituiscono i principii su- premi dell'aritmetica e dell'analisi matematica. In fine la funzione inventrice, assumendo nel suo operare la forma di esperimento, procede nelle sue ricerche aiu- tata da due processi distinti della industria operosa dell'uomo , esercitantesi sul campo delle cose speri- mentabili : i quali due processi sono 1' analisi e la sintesi. Le quali chiameremo reali, per distinguerle dall'analisi e dalla sintesi mentale che è l'opera del giudizio. Mediante l'analisi reale gli oggetti dello spe- rimento vengono divisi e suddivisi sino alle loro parti indivisibili relativamente alla potenza limitata della industria umana : e per la sintesi , al contrario , le parti divise vengono riunite per riprodurre que' me- desimi oggetti che furono innanzi dalla analisi divisi. E vi ha due specie di analisi e di sintesi reali: y4 Scienze cioè l'analisi e la sintesi degli omogenei, ossia delle parti simili ed integranti degli oggetti, e l'analisi e la sintesi degli eterogenei , ossia delle parti diverse da cui gli oggetti della sperienza sono costituiti. E questi due processi sperimentali si esercitano simil- mente intorno al vario, intorno al numero ed intor- no al quanto dell^ cose e delle loro sopraddette re- lazioni universali. L' analisi distende sempre piii la somma degli oggetti della funzione inventrice, e le sue acquisizioni va continuamente multiplicando : la sintesi, riunendo i prodotti dell'analisi, l'esattezza ed il finimento di questa guarentisce. Ora, nella somma de'dati forniti e procacciati dalla invenzione nel so- praddetto modo determinata e guidata ; nella totali- tà delle idee delle cose particolari e di tutte le par- ticolari loro relazioni, ed in quanto possono essere presenti allo spirito umano pel triplice ministero della intuizione, della memoria e della immaginazione, si costituisce il campo e la materia totale su cui si svi- luppa in via susseguente la funzione induttiva. L'uf- ficio della quale e le sue parti diverse ed i risultati generali toglieremo ad illustrare specialmente, dopo es- serci dimorati alquanto in alcune altre considerazioni che pure alla invenzione hanno riguardo. Umane conoscenze y5 §. VI. Dello spazio e del tempo e della genesi ontolo- gica delle idee rispettive a questi due oggetti. Delle due vedute generali impartite alla in~ tuizione dalle suddette idee. De^limiti della sfe- ra di attività propria alla funzione inventricCé L'uomo entrando in rapporto per la sua funzio- ne inventiva col mondo degli oggetti ad esso este- riori, questo gli apparisce siccome contenuto in uno spazio, che egli pensa siccome vasto immenso immo- bile , siccome incondizionato improducibile ed indi- struttibile : il quale non è già una risultante della coordinazione delle cose particolari tra loro, ma è ve- ramente alcunché reale da quelle distinto; nel qua- le le medesime sono contenute, si estendono, si muo- vono, si generano, si tramutano e si riproducono. E questo spazio apparisce alla intuizione, siccome aven- te in se parti finite : ma queste parti non sono al- tro che i luoghi mensurabili occupati in esso immen- surabile dalle cose che appariscono alla nostra intui- zione eslese, moventesi, ed in esso contenute ; di ma- niera che le nostre misure dello spazio invece di es- sere le misure dello spazio in sé, il quale è incom- mensurabile, non sono che le misure de' luoghi oc- cupali in esso dalle cose estese, o percorsi dal loro movimento. In altre parole, i luoghi o gli spazi deter- minali non sono che le relazioni della stazione ap- parente o del movimento delle cose estese tra loro e rispetto allo spazio immobile ed infinito. Del quale il centro è da per tutto, e la circonferenza in nes- 76 S e I K W Z K suna parte. Così lo spazio in se eJ inJipendentemen- te dalle cose estese in esso contenute, è pel nostro pensiero un oggetto reale , immenso ed incondizio- nato, il quale ci apparisce come condizionato o fini- to per le relazioni delle cose condizionate tra loro e con esso. In questo spazio gli elementi immutabili, per le loro forze immutabili e pel loro commercio, ed in ragione de'loro prodotti antecedenti, continua- mente producono, trasformano e riproducono il com- plesso ascendente delle cose mutevoli, nella somma delle quali sta il mondo delle realità prodotte. Lo spazio dunque è pel nostro pensiero un og- getto assoluto ed incondizionato, come gli elementi delle cose, come le loro forze e come l'ordine pre- stabilito ed immutabile de'loro rapporti. Inoltre le co- se prodotte ci appariscono sotto due punti diversi di veduta: cioè, o in quanto esistono e durano, o in quan- to passano con legge di continuità successiva dalla loro non esistenza alla esistenza o dalla loro esisten- za alla non esistenza. Ora questa continuità succes- siva delle cose prodotte, e queste loro durate fugge- voli, costituiscono la nostra idea del tempo; e l'idea del tempo non è altro cbe l'idea di queste durate fi- nite e di questa successione. Da ciò apparisce come l'idea del tempo non possa applicarsi alle realità in- condizionate ; le quali non potendosi né distruggere ne produrre, non banno durata finita, ne successio- ne ; ma sono per contrario fornite di durata conti- nua ed infinita; la quale è una cosa stessa colla eter- nità. Ora nella idea ontologica del tempo per la sin- tesi primitiva del pensiero si compenetrano indisso- lubilmente l'elemento intellettivo della durata con- tinua ed infinita, e l'elemento empirico delle durate Umane conoscenze ^y finite e della loro successione. Ora i giudizi primi- tivi ed universali che risultano dalla compenetrazio- ne intellettiva primordiale dell'idea dello spazio im- menso e dell'idea empirica de'luoglii mensurabìli oc- cupati in esso dalle cose estese, o da queste percorsi co'loro movimenti, e dall'idea intellettiva della durata continua ed infinita coU'idea empirica delle durate fi- nite e delle loro successioni rapportate in tra loro nella sintesi secondaria del pensiero, pongono il fon- damento della geometria e della meccanica. In fine considerando noi, nell'opera della invenzione, le cose particolari sotto il rapporto della loro unità nello spazio e nel tempo , noi abbiamo la veduta statica delle medesime; e riguardandole per contrario nel rap- porto della loro successione nello spazio e nel tem- po, noi le contempliamo nella loro vedula dinamica. Questi due punti di veduta, statica e dinamica delle cose particolari, sono precipui e generali nello eser- cizio della funzione inventiva, e sono ad essa impar- titi dalle due suddette idee dello spazio e del tempo. Ma or vcggiamo quale sia la sfera dell'azione di que- sta funzione, rispetto alla somma reale delle cose par- ticolari esistenti o possibili. D'intorno al quale argo- mento primieramente diremo: la funzione inventiva, sia sotto la forma di osservazione, sia sotto quella di esperimento , sia nella sua veduta statica , sia nella sua veduta dinamica, non perviene ne pervenir può sino alle realità incondizionate, le quali sono ogget- to esclusivo delle nozioni originarie della intelligen- za; ma ella aggirandosi per sua natura intorno alle cose prodotte, ed essendo in ciò limitata dal limitalo potere delle facoltà percettive, non può arrivare ad intuire se non una parte, e forse infinitesima della 78 Scienze totalità delle cose prodotte. E a vero dire tutte quelle cose, che a noi appariscono mediante le loro azioni sopra i nostri sensori, non sono ne possono essere se non i corpi : ne i medesimi pervenir possono sino alla percezione di quegli atomi che i fisici immagi- narono siccome principii delle cose, quantunque da essi supposti estesi e figui'ati ; perciocché questi pu- re, quantunque estesi, sono al di là della portata di ogni nostra intuizione. Oltre di che la virtù di que- sta non solo viene manco prima di raggiungere que- sti pretesi principii delle cose, ma essa per cagione di distanza non vale a percepire gli stessi corpi per grandissimi che siano, laddove questi permangono lo- cati in parti dello spazio distantissime da noi. Da tutto ciò dunque discende che la totalità de'dati spe- rimentali è solamente eguale alla totalità delle cose che hanno o possono avere relazione colle facoltà in- tuitive dell'uomo; e non già eguale alla somma reale delle stesse cose esistenti. Per quanto sia lontano il punto, a cui la vista nostra aiutata da potenti stru- menti può pervenire a percepire oggetti realmente esi- stenti, ciò non di manco ella trova in fine innanzi a se un limite, oltre il quale non gli è piìi possibile d'intuire alcuna cosa. Ciò non pertanto è egli forse questo limite della intuizione, il limite delle cose nel- lo spazio ? Egli par certo all'incontro che prima ven- ga meno nell'uomo anche il suo potere d'immaginare a fantasia oggetti nello spazio, che questo finisca di contenerne. Ed egli avviene il simigliante alle nostre facoltà intuitive quando con esse ricerchiamo le mi- nime cose : nella ricerca delle quali noi ci dimoria- mo sempre a grandissimo intervallo distanti da una infinità di cose più piccole. Vi ha esistenti dotati Umane conoscenze ^^ di vita, Je'quali l'immaginazione è sgomentata a rap- presentarsi l'estrema piceiolezza, e ne' quali tuttavia esistono proprietà ed organi analoghi a quelli di al- tri viventi , il cui volume relativamente a questi è maggiore del volume della terra rispetto all'uomo. Lewenhoeech, nelle sue belle ricerche sugli animali microscopici, ha veduto che farebbe mestieri di venti milioni di alcuni di questi animalcoli per riempire lo spazio di un centimetro cubico : quindi è chiaro es- sere il loro volume minore del millesimo di un gra- no di sabbia già impalpabile, E molte migliaia di que- sti viventi potrebbero stare sopra la punta di un ago. Non pertanto questi esistenti si muovono, vivono e mostrano di sentire. Il loro corpo è dunque compo- sto di liquidi e di solidi; avvegnaché dotali sono di organi propri ad adempiere siffatte funzioni. Or si giudichi da tutto ciò quale sia la tenuità di tali or- gani, e quale sia quella delle loro parti costitutive. Tuttavia penseremo noi che qui stia 1' estrema pic- eiolezza delle cose ? Non vi può essere entro ciascu- na di queste parti di obbietti prodotti, che la nostra immaginazione non sa rappresentarci, un abisso no- vello di esistenti prima di arrivare sino agli elementi primigeni delle cose ? Da tutto ciò adunque si fa aper- to che il mondo delle realità prodotte, rispetto alle nostre facoltà intuitive, contiene due infiniti , ossia esso è, rispetto alle medesime , infinitamente picco- lo ed infinitamente grande. La qual cosa è cagione che la nostra funzione inventiva sia sempre circo- scritta e come sospesa tra questi due opposti infiniti, per quanto ella col tempo si possa spingere oltre. 8o S e I E N Z K S- VII. Della progressività indefinita della sperienza : della evoluzione e trasformazione continua de* principii generali della scienza, formati pel ministero della induzione. Dalla soprascritta condizione, a cui soggiace la nostra virtù intuitiva, discendono certe inevitabili ne- cessità che imperano alla natura dell'umano sapere. E primieramente egli è chiaro che, non essendo possi- hile allo spirito umano di pervenire, per le circostan- ze sopraddette, ad intuire la totalità delle cose pro- dotte, cosi egli non può mai raggiungere nella scien- za e coll'opera della induzione i teoremi e le leggi generali empiriche, le quali reggono il mondo delle cose prodotte nella sua totalità, per quanto l'osser- vazione e l'esperimento distendere possano col tempo il loro progressivo dominio. E da questo appare in olire , avere tenuto un torto procedimento que'filo-- sofi, i quali avvisarono che la scienza delle cose pro- dotte possa legittimamente cominciare da una ipo- tesi generale, per mezzo di cui si debbano quindi an- dare spiegando tutte le cose che nel mondo della natura nascono esistono e trapassano: da una manie- ra di formola generalissiuia in somma, applicabile a tutti gli oggetti attuali e possibili della sperienza. Di questa guisa ha proceduto quella filosofia che dal suo autore Schelling fu appellata della natura ; la quale, a dichiarazione del suo spositore Penhoen, non è una scienza d'osservazione, né il suo modo di pro- cedere si è quello di innalzarsi dalle idee particola- Umane conoscenze ffi ri alle generali eJ alle leggi clie reggono gli avve^ nimenti particolari. Per contrario il suo punto dipar- tenza è una ipotesi primitiva e fondamentale, la qua- le ella pone a se stessa a priori ; e della quale di poi ella va cercando la verificazione nel mondo delle realità col mezzo della osservazione. Or questo me- todo si è quello che noi riproviamo, nello stesso tem- po che ci dichiariamo contro i canoni della filosofia empirica. E riproviamo il primo, perchè ci pare aper- to, per tutte le cose fin qui discorse, la conoscenza umana non potere contenere in se legittimamente di universale se non gli elementi che in essa pone la intelligenza , e che gli elementi avventizi della me- desima mancano, per le circostanze che ora andiamo discorrendo, non solo di universalità, ma eziandio di generalità compiuta ed immutabile : e rigettiamo la seconda, perchè essa erra, secondo noi, non in quan- to professa il canone che stabilisce essere l'estremo termine del sapere determinato dall'estremo termine de'dati della esperienza: ma in ciò che non ammet- tendo altra origine delle cognizioni, o altri elementi di esse in fucili de'dati della sperienza, ella non sa e non può pervenire laddove i dati della sperienza legittimamente recano le vedute dello spirito uma- no , mediante l'integrazione di quelli colle nozioni universali ed originali della intelligenza , del tutto sconosciute alla scuola pura sperimentale . Per il qua- le difetto non solo è tolto allo spirito umano di ri- conoscere tutti gli oggetti indubitabili del suo pen- siero e di pervenire alla vera scienza ed al vero suo fondamento: ma di più gli è tolto di potere raggiun- gere la osservazione e la esperienza veraci: imperoc- ché l'uomo non esperimenta e non osserva il moa- G.A.T.LXXXIX. C 8a S e I E rf z E do delle cose prodotte , se non perchè vi è spinto in una maniera certa e determinata dalle nozioni del- la sua intelligenza , le quali egli applica a qualun- que oggetto; e per questa applicazione soltanto P os- servazione e r esperimento diventano possibili e si costituiscono scilo tutti que' modi e forme immutabili che superiormente abbiamo mostrate. Del resto la so- pra detta condizione, in cui è la facoltà intuitiva del- l'uomo rispetto a'suoi dati sperimentali, mentre dal- l' una parte la priva della possibilità pure di forni- re alla induzione, quando che sia , materiali per la costruzione di principii generali scientifici assoluti ed immutabili, ingenera dall' altra nel potere conosciti- vo dell'uomo questa maravigliosa prerogativa; e vo- gllara dire, la sua continua ed indefinita progressivi- tà. Per la quale, potendo lo spirito umano ogni gior- no distendere a più lontani limiti le sue acquisizio- ni circa la materia della cognizione; cosi i principii generali, i quali si fondano dalie induzioni co' dati della invenzione , e che debbono per essere veri e proficui a questi adequarsi , possono di pari pas- so estendersi e svilupparsi : avvegnaché privi come sono per loro natura di ogni carattere d'immutabi- lità assoluta, le scoperte di nuove cose particolari e di relazioni delle medesime pria non conosciute , e le quali il tempo di mano in mano conduce, li vanno continuamente trasformando: ed in colai modo il mo- vimento della scienza, per lo lungo de'secoli, viene determinato appunto dalla progressione della sperien- za, ed in se stesso non in altro consiste che nello sviluppo e nella trasformazione continua de'principii formati dalla induzione: ne'quali, mentre si riassumo- no sempre i dati antichi della sperienza , per l'ag- Umane conoscenze 83 giunta di dati novelli, essi sempre più si sviluppa- no, elevandosi a maggiori generalità. Oppositamente a questa legge di sviluppo , che regge la vita della umana scienza, adoperano tutti que 'sistematici, i qua- li nelle scienze particolari vengono a fantasia fabbri- cando sistemi assoluti; ed i quali, perciò stesso clie stimano assoluti i loro sistemi, mostrano di riputa- re per ignoranza di avere già perlvistrato e conosciu- to tutto il mondo delle cose; il quale, ciò non di- meno, la capacità delle loro menti infinitamente sor- passa. Da questo è che non senza gran senno fu det- to dagli antichi filosofi, e tra questi dallo stesso Ari- stotile, quantunque caldissimo propugnatore dell'im- portanza dell'elemento sperimentale, la scienza avere per suo oggetto i soli universali, e la opinione le cose particolari e contingenti, ossia le prodotte e mutevoli. Eglino, senza dubbio, nomavano del nome di scienza esclusivamente ciò che viene costituito dalla ontolo- gia o filosofia prima: e chiamavano opinione la scien- za, in quanto ella ha riguardo alla intuizione delle idee delle cose particolari e contingenti. Or da tut- to ciò che abbiamo qui discorso siamo condotti a ri- tornare alcun poco sopra i nostri passi, aggiungendo una breve considerazione sulla concezione del no- stro spirito relativa all'ordine immutabile de'rapporti delle cose prodotte. 84 Scienze §. Vili. DelVordine immutabile de rapporti delle cose in tra loro : fondamento di questa concezion& dello spirito uì»ano. Tutte le ricerche filosofiche, dice Stewart, qua^ lunque sia la loro natura, e tutte le conoscenze pra*^ tiche che dirigono la nostra condotta nella vita, sup-. pongono un ordine stahilito ed immutabile nella sue-, cessione degli avvenimenti: senza di ciò l'osservazio-f ne del passato sarebbe sterile e nulla potremmo con-^ chiuderne per l'avvenire. Spesso i filosofi si sono do-- mandali: D'onde ha ella origine questa convinzione di un ordine stabilito ed immutabile nelle determinazio-! ni e nelle successioni degli esistenti? forse dalla espe-s. rienza? forse dalle idee generali della mente genera-. te pel ministero della induzione da' dati pai'ticolari empirici? Egli è certo a chi ben guarda, che il pen- siero 0 la concezione della immutabilità delle relazior ni causali non può provenire dalla sola esperienza j perchè per virtù della esperienza soltanto non si può concepire niente di universale e d'immutabile. Ne la induzione o la generalizzazione di tutti i casi della esperienza per loro soli , per quanto multiplici essi siano, potrebbero condurre alla suddetta concezione. Lo spirito, egli è il vero , aggiungendo ai dati em^ pirici l'opera del processo induttivo, e col legando lo osservazioni proprie a quelle di tutti gli altri uomi-> ni che sono e che furono, giunger può a riconosce- re un ordine costante ed identico, col quale certe da- tp cose si sono Ritenute tra loro in una vclazio-. Umane conoscenze 85 ne causale sempre identica. Ciò non di manco que- sta maniera di conoscenza, la quale non oltrepassa il confine di ciò che è, e di ciò che è stato, non por- ta in se il concetto della universalità e della immu- labilità assoluta de'rapporti causali. E veramente da quest' ordine costante di rapporti sperimentato nel tempo passato , e rappresentantesi nella nostra co- noscenza empirica od induttiva, si potrebbe egli con logica necessità dedurre che il suddetto ordine sia per mantenersi lo stesso in avvenire? L'avvenire tra- scende l'esperienza, percliè questa altro non può es- sere che l'osservazione delle cose passate e delle pre- senti; ed il presente ed il passato suppongono già gli esi- stenti: l'avvenire per contrario è la somma degli esisten- ti e degli avvenimenti possibili. Indarno adunque nella rappresentazione di ciò che è, e di ciò die è stato, si cerca la genesi della nozione di un ordine immuta- bile di sussistenze, di causalità e di fini nelle som- me delle cose attuali e possibili : la quale nozione, pel carattere essenziale di universalità cbe in se con- tiene, abbastanza dimostra la sua non derivazione dal- la sperienza; e la quale sorge come tale nel pensie- ro umano alla percezione di un solo avvenimento in- dividuo; e vi sta come stabile fondamento di tutti i nostri giudizi intorno all'ordine causale di tutte le cose. Discendiamo nella coscienza del nostro pensie- ro. Non è egli vero che ritroviamo esistere in esso un'intima ed irresistibile convinzione, per cui, dietro la semplicità di una sola esperienza, e dopo le pre- cauzioni adoperate nel farla per metterci in possesso di tutte le circostanze a cui è legato il dato avveni- mento, non è egli vero, che noi diamo a tutti i ca- si simili ed identici un valore assoluto ed universa- 86 Scienze le , indipendentemente da ogni verificazione in via sperimentale? Allorquando noi per avventura osservia- mo che una data cosa a noi analiticamente cognita, per il suo commercio con un' altra cosa non inte- ramente a noi cognita, effettua in quest'ultima una data mutazione diversa da quella da essa prodotta altra volta colla cosa apparentemente medesima : pensiamo noi forse per questo che il rapporto di causazione tra queste due cose sia mutato? No certamente: av- vegnaché in questo caso , come in ogni altro caso analogo, noi necessariamente pensiamo, e senza ricor- rere a nessuna esperienza, che la cosa in cui la mu- tazione si realizza per l'azione causativa dell'altra, esi- sta ora per se stessa in un modo diverso da quello in cui esisteva nel primo caso ; ossia noi pensiamo esserci noi ingannati nell' avere ritenuta quest'ulti- ma cosa simile all'altia prima. David Hume parten- dosi da principii di quella scuola, la quale non am- mette altra sorgente di tutte le nostre conoscenze in fuori delle sensazioni, con severità ineluttahile di cri- tica ne deduceva: essere noi del tutto privi di ogni fondata conoscenza circa i rapporti d'ordine neces- sario ed immutabile nella successione degli avveni- menti sì fisici e sì morali, E questa conseguenza del Hume, nella quale contiensi il rovesciamento di ogni fondamental garanzia dell'umano sapere, ove si am- metta l'origine esclusiva sopraddetta di tutte le no- stre conoscenze, ha il valore di una rigorosa dimo- strazione. Chiaro è dunque che l'oiùgine di questa idea o di questo giudizio universale è dalle nozioni universali della intelligenza : per le quali pensando noi necessariamente , dietro all' apparizione empiri- ca delle cose prodotte, gli elementi o le sostanze im- Umane conoscenze 87 mutabili da cui quelle sono costituite , non che le forze immutabili delle medesime, per le quali tutte le cose prodotte sono successivamente recate dalla non, esistenza alla esistenza, e da questa a quella, così egli ci è necessità di riconoscere l'esistenza necessaria di un ordine immutabile causale in tutti gli avvenimenti delle cose condizionali o prodotte. E queste considera- zioni si applicano similmente alle relazioni immuta- bili di sussistenza e di fine delle cose medesime. §. IX. Della formazione de' giudizi intuitivi o partico- lari delle esperienze : della deduzione speri- m entale. Lo spirilo umano nella funzione inventrice fa- cendo oggetto a se stesso il quale, il numero ed il quanto ragguardati nella sussistenza, nella causalità e nel fine delle cose particolari , per la virtù delle nozioni universali della intelligenza da cui è domi- nato, indubitabilmente riconosce, siccome appare per le cose sopraddette, una immutabilità ne'singoli rap- porti de^termini sopraddetti, e sotto de'quali ogni og- getto viene da esso universalmente riguardato. Ora sopra di questo fondamento inconcusso riposano tutti i giudizi intuitivi della sperienza. La triplice forma ontologica de'quali fu da noi enunciata di sopra nella maniera seguente : Sotto una medesima maniera di esistere delle cose sussiste sempre un medesimo sug- getto ed una medesima forza, onde quella data ma- niera di essere aderisce in quel dato subbietto : e vi- ceversa un medesimo subbietto ed una medesima for- 88 SciKNZE za sostiene e mantiene sempre ed universalmente una medesima maniera di essere : una medesima cosa, per infinite volte elie la rinnovar si possa in quanto è prodotta, procede sempre da medesime cose generan- ti, da un medesimo commercio di azioni e riazioni tra loro e per lo mezzo di una medesima precedente corruzione delle medesime cose ; e viceversa : il me^^ desimo fine di una cosa, o una medesima cosa ri"- guardala come fine, è sempre coordinata con una co- sa medesima e subordinata con altra medesima cosa e continua con altra pur medesima cosa. Ora egli è chiaro che questa universalità, la quale giace perpe- tua in questi giudizi, si converte alla immutabilità so- praddetta de'rapporti reali delle cose ; a tal che la universalità di quelli non è altro che una rappresen- tazione ideale di questa. Diciamo or dunque , ogni giudizio intuitivo o singolare si può risolvere in uno de'tre giudizi ontologici sopra enunciati : o in altri termini, ogni giudizio singolare, posto co' dati della sperienza, non è che o Tuno o l'altro de'tre suddetti giudizi ontologici, inoarnanlesi o determinantesi coi dati della sperienza : uno de'tre suddetti giudizi on- tologici, il quale, senza perdere il suo valore onto* logico, discende dalla sua universalità e viene a ca- dere nel particolare o singolare, impartendo al dato empirico il suo proprio valore ; e per modo che il giudizio singolare che ne risulta, entro la sfera della sua singolarità possedè un valore universale ed im- pugnabile. E correlativamente ai tre sopraindicati giu- dizi ontologici tutta la somma possibile de'giudizi della sperienza viene a dividersi in tre categorìe di giudi- zi ; cioè in giudizi di sussistenza, in giudizi di cau- salità ed in giudizi di fine. E ciascuno di questi con- TQmane conoscenze 89 i&ta tli due termini e di una relazione che li unisce: a cagione di esempio, ne'giudizi di sussistenza l'un termine è la sostanza e la sua for?.a, e Tallro la mo- dalità che in essa sostanza aderisce : e la relazione è il legame immutabile che unisce i due termini per modo in tra loro, che l'uno essendo dato alla intui- zione, se ne può dedurre V altro indubitabilmente , comechè non dato alla intuizione. 11 simigliante in- terviene ne'giudizi causali e similmente ne'fmali. Que- sta deduzione pertanto chiamiamo deduzione speri- mentale ; la quale vuol essere distinta dalla dedu- zione di raziocinio col mezzo de' dati della induzio- ne , la quale , siccome altrove indicammo , costitui- sce la terza funzione del processo conoscitivo totale. Del resto, questo magistero de' giudizi singolari riguar- dando noi sotto di un altro punto di vedula , egli apparisce chiaramente che ogni giudizio sperimentale si può tradurre in una conseguenza necessaria di un sillogismo formale. In cui la. maggiore è uno de'tre giu- dizi ontologici soprallegali, la minore il dato empi- rico puro, e la conseguenza l'effetto dell'applicazio- ne della maggiore sopra la minore. X. Awertenze principali circa Vosservare e lo sperimentare. Ora, per fondare i giudizi sperimentali con ve- rità, e per evitare in essi l'errore, egli è necessario apparecchiarsi alla invenzione de'dati empirici con de- strezza, con acume, con somma diligenza e coll'ani- mo libero da passioni e da pregiudizi. Conviene os- QO Scienze servare gli oggetti da più lati, e confrontare le pro- prie osservazioni con quelle degli altri ucraini ; ed assicurarsi in ogni possibil modo, che la cognizione nostra empirica non sia solamente individuale e fon- data sopra la nosti'a maniera di vedere subbiettiva : ma che la riposi per contrario sulla testimonianza in- tuitiva del più gran numero degli uomini. Concios- siachè da ultimo ogni nostro errore nell'opera di que- sti giudizi sperimentali, che enunciano i rapporti im- mutabili delle cose, deriva immediatamente dall'ope- ra fallace della immaginazione, la quale mescola sen- za, che noi ce ne avvediamo, i dati propri non rispon- denti alla realità esterna ai dati della intuizione ; i quali non possono non corrispondere a quella. Allor- quando la osservazione e 1' esperimento pigliano ad esame le proprietà delle cose, dobbiamo distinguere, se queste sono ad esse essenziali ovvero accidentali: notando se elleno conservano in ogni circostanza ed in ogni tempo le medesime proprietà , o guardando se la ragione di ciò che conviene ad un dato sog- getto esista nel soggetto medesimo, o se per contra- rio proceda dagli oggetti ad esso esteriori. Quando una cosa apporta cambiamento in un'altra, e tal cam- biamento nasce tostochè l'una di queste cose si ap- prossima all'altra o che con essa si mescola, non vi è da dubitare che l'una non sia la cagione del cam- biamento dell'altra. Tuttavia per accertarsi che una cosa è ella sola cagione di un fatto che avviene, bi- sogna attentamente rintracciare se le cose, che sono in rapporto di azione e riazione per produrlo, abbia- no già sofferta qualche mutazione occulta, senza del- la quale l'effetto od il fatto non sarebbe avvenuto: o finalmente se con esse non vi sia qualche cosa di stra- Umane conos'gxtsze gc YiìéTo ed occulto che concorra a produrlo. In questo incontro soventi volle fa d' uopo commensurare con somma esattezza e il grado di forza della cosa che opera l'effetto e la grandezza dell'effetto medesimo : avvegnaché egli è necessariamente vero, ninna cagio- ne poter dare più di quello che ella ha in se : tal- mentechè quando l'effetto è proporzionato alla forza che si slima produrlo, non si può dubitare che non abbia sola questa forza un tale effetto prodotto. Due cose sono spesso legate insieme : ma se tu trovi qual- che volta l'una senza dell'altra, quantunque nulla vi sia che abbia potuto impedire quest'altra di avere il suo effetto, ne conchiuderai , essere impossibile che l'una di queste sia dell'altra cagione. Dove una espe- rienza si trovi affollata di molte cose insieme aggrup- pate, conviene da prima esaminare ciascuna da se : di poi combinarne due, per vedere ciò che indi risul- la: e finahnente unirle tutte col inedesirao intento. Con qviesta maniera si giunge a conoscere se abbia- mo preso per cagione di certo effetto ciò che non lo è : e quanto ciascuna parte presa separatamente con- tribuisca alla produzione del medesimo. Spesso gli og- getti esterni, che vengono da noi riguardati, sono di- versi In loro da quello che noi ci rappresentiamo di essi: il che pure avviene per uno scambio della nostra fantasia. Queste circostanze svari alissime sono state cagioni di errori e di pregiudizi senza numero : laon- de per questa parte utilissimo è il sapere le leggi, se- condo le quali le impressioni degli oggetti esteriori si operano sopra 1 nostri sensi. Infine, siccome noli' osservare e nello esplorare che facciamo il mondo delle cose particolari siamo eziandio guidali da quel giudizio ontologico, il quale pone non vi potere es- g2 b C I E R Z E sere nel mondo cosa alcuna né grande ne piccola che non serva a qualche altra, e viceversa : avvegnaché il perfetto disegno porta l'ordine in se, e l'ordine la coordinazione di una parte coU'alti^a, e la subordina- zione reciproca delle parti stesse tra loro , ed in tutte insieme lo stringersi e lo incatenarsi in una gradazione dall'infinito piccolo all'infinito grande: co- sì nella osservazione e nello esperimento di queste relazioni , per non andare errati , egli ci è mestieri andare assai cauti; e debbesi stimare in questa parte ardua della umana invenzione, essere supremo prin- cipio moderatore cotesto : Per assicurarsi della coor- dinazione, della subordinazione e della continuità di ima data cosa con altre date cose, e'bisogna che que- ste loro relazioni si manifestino costanti in tutti i tempi ed in tutti i luoghi. Ma della funzione inven- trice abbastanza si è detto fin qui : e senza più di- morare in questa parte, prenderemo ora a dire della seconda funzione del processo conoscitivo, cioè della induzione. §. XI. Della induzione^ della sua natura e delle ope- razioni costitutive di essa. Da quali forze dello spirito umano è costituita questa funzione ? Dalle medesime forze in vero, le quali abbiamo veduto costituire la funzione inventi- va. Talché quello che differenzia l'una dall'altra que- ste due funzioni del processo conoscitivo, si è il sub- bietto diverso su cui ciascuna di esse opera e lo sco- po diverso a cui ciascuna mira : della qual cosa su- Umane conoscenze ^3 periormente si è toccalo. Diciamo adunque la fun- zione induttiva, nel processo della umana conoscenza, costituisce quel momento di esso, per lo quale le idee particolari ed i giudizi singolari pósti dalla invenzio- ne vengono da ultimo trasformati in giudizi genera- li o teoremi ; per modo che questi siano siccome le formolo algebriche di quelli. Al quale risultato la in- duzione perviene per lo mezzo di tre operazioni di- stinte o successive, nelle quali la induzione intera- mente consumasi. Or queste tre operazioni sono : la comparazione, l'astrazione e la teorizzazione. La com- parazione è 1' atto per cui lo spirito dispone in tra loro i termini e le relazioni singolari de' dati della esperienza per modo che egli veder possa le simiglian- ze, le differenze e le opposizioni delle loro svariate qualità, del loro numero e della loro quantità. Ora vedere le siraiglianze, le differenze e le opposizioni delle sopraddette determinazioni delle cose, costitui- sce quella forma di giudizio sintetico od analitico che noi appelliamo giudizio d'identità. Il quale giudizio, disformemente dal giudizio intuitivo, il quale, sicco- me vedemmo si appoggia sopra le nozioni universali della intelligenza, è evidente per se stesso ed ha in se una forza irrepugnabile : conciossiachè i due ter- mini, di cui consta, sono o una medesima cosa o l'una parte essenziale dell'altro; e le sue enunciazioni co- stituiscono gli assiomi. L'astrazione è l'atto per cui lo spirito umano nella funzione induttiva, separando nella comprensione delle idee individue e de'gmdizi intuitivi , in tra loro comparati , ciò che in essi , per mezzo del giudizio d'identità, ha scoperto di si- mile, da tutto ciò che in essi vi ha di differente o (li opposto, e viceversa, ne viene formando idee aslrat- g4 Scienze te; le quali sono in loro stesse indefinite, e le quali ricevono una determinazione allorquando vengono predicate di un complesso o totalità di oggetti defi- niti. Il quale ufficio appartiene alla teorizzazione, sic- come vedremo. Queste idee astratte, secondo noi, deb- Louo essere distinte da quelle idee semplici che si ot- tengono per mezzo dell'analisi differenziale delle idee complesse individue : le quali, formandosi senza l'ope- ra della comparazione di piìi idee individue in tra loro, chiamiamo idee semplici o differenziali, distinte per caratteri certi dalle suddette idee astratte, le quali si formano col ministero precedente e sussidiario del- la comparazione. Da ultimo la teorizzazione è l'atto, pel quale la mente va attribuendo le idee astratte in- determinate a determinati complessi d'idee individue, in maniera affermativa o negativa. Da ciò hanno ori- gine i giudizi generali che cliiamiamo teoremi, i qua- li, siccome abbiamo detto, sono le formole de'giudizi singolari della sperienza. Ora in questi tre atti dello spìrito umano si contiene tutta l'opera della funzione induttiva. Nella costituzione della quale intervengo- no solidariamente tutte le forze dello spirito umano: imperocché la forza appetitiva v'interviene come for- za motrice : la volontà come forza direttrice, per la quale la induzione assume una fomna riflessa : e l'in- telligenza da ultimo v'interviene, e fornendo i termi- ni universali, senza de'quali non vi può essere giudi- zio» e come forza costituente il giudizio medesimo, sia sotto la guisa sintetica, sia sotto l'analitica^ e così nel- l'atto della comparazione come in quelli dell'astrazione e della teorizzazione. Essendoché egli è un fatto gene- rale di nostra mente, che qualunque comparazione , qualunque astrazione e qualunque teorizzazione, sia Umane conoscenze g5 dì varietà, sia di numero, sia di quantità, si operano sempre circa le idee di sussistenza, di causa e di fine delle cose individue, delle quali le idee individue sono materia alla funzione induttiva : il che meglio apparirà per le cose che verremo dicendo ne'paragrafi che segui- tano. E qui cade acconcio di andare annotando che queste due funzioni del processo conoscitivo, la inven- zione e la induzione, in tra loro si rannodano dappri- ma in un ordine progressivo, e di poi in un circolo perpetuo : imperocché dapprima egli è mestieri che la funzione inventrice procacci i materiali alla induttiva: e di poi i risultati della funzione induttiva grande- mente soccorrono la funzione inventiva. Ma or deesi procedere innanzi, discorrendo partitamente di ciascu- na delle tre operazioni costitutive della induzione; le quali abbiamo teste definite. §. XII. Della comparazione. Abbiamo altrove notato che pel terzo momento della funzione inventiva, detto immaginazione, le idee delle cose individue si associano e coordinano infi'a loro nella unità dello spirito umano , secondo i rapporti che i loro relativi oggetti hanno principal- mente collo spazio e col tempo. Ed altrove abbiamo veduto essere di due specie questi rapporti, cioè di simultaneità e di successione. 11 rapporto di siinullancilà degli oggetti speri- mentali collo spazio è una cosa stessa colla loro con- tiguità nel medesimo, indipeudeutementc da ogni loro movimento in esso : ed il rapporto di successione de' medesimi collo stesso spazio è una cosa stessa col loro movimento. 96 SciBNZfi Il rapporto della simultaneità delle cose eoi tem- po è una cosa stessa colla contemporaneità delle lora durate finite e fuggevoli in un medesimo istante del- la durata infinita del tempo: ed il rapporto della lo- ro successione è il rapporto delle loro tramutazioni , del loro nascere e del loro distruggersi colla mede- sima durala continua del tempo, oggetto della intel- ligenza. Da questi quattro rapporti sono costituiti i nessi, onde nella sintesi immaginativa le idee delle cose par- ticolari si connettono e si associano in tra loro. Ora da questi risultati della sintesi immaginativa pi- glia cominciamento la funzione induttiva : la quale colla prima sua operazione, detta comparazione, va or- dinando le idee particolari delle cose in un ordine ( siccome dicemmo ) pel quale apparisca la simiglian- za, la differenza e l'opposizione che hanno in tra lo- ro le cose , considerate sotto tutti quegli aspetti e rispetti che di sopra siamo venuti dichiarando, e sot- to de'quali la invenzione è andata esplorandole. So- no simili le detennhiazioni e le relazioni delle co- se, ove l'una di esse sia la ripetizione o la copia del- l'altra: sono differenti, ove l'una non sia affatto l'al- tra; e sono opposte, quando l'una sia la negazione dell'altra, e per modo che posta l'una si debba ne- gare l'altra, e viceversa. Le cose inoltre si possono comparare tra loro non solo per rispetto delle loi'o qualità o modalità svariale; ma sì per rispetto al loro numero ed alla loro quantità: e sotto questo punto di compai^izione esse sono in tra loro o eguali , o maggiore, o minore l'una dell'altra: i quali termi- ni sarebbe superfluo il definire. Nel disporre adun- que le idee particolari delle cose e delle loro rela- Umane conoscenze gj zioni in un ordine che le offra e leghi sotto la vi- sta delle loro simiglianze, delle loro differenze e del-, le loro opposizioni, consiste e si termina l'ufficio deU la comparazione. JNel quale come intervenga l'opera delle due guise opposte del giudizio, cioè l'analitica e la sintetica, egli è per se manifesto. E per la for-. za della prima si pongono le differenze e le opposi- zioni delle cose ; e per la seconda i rapporti delle loro simiglianze si discoprotio o pongono in rilievo. In questa sintesi comparativa il giudizio affermativo operando sulle simiglianze delle cose, si costituisce, siccome avvertimmo, sotto la forma di giudizio d'iden- tità: ed i termini di esso sono un multiplo di deterr. minazioni simili, parzialmente esistenti nel contenu- to delle idee delle cose particolari e delle loi'o par-^ tlcolari relazioni. Ora da questo si fa palese come al-» l'opera sintetica della comparazione egli faccia me-r stieri che vada innanzi l'operazione analitica dell'at- to giudicativo: essendoché per comparare in tra lo-, ro nel sopraddetto modo le determinazioni elemen-r tari delle idee poste dalla invenzione, egli è bisogno di risolverle nelle medesime determinazioni elemen- tari e differenziali da cui sono costituite. Ora l'ana- lisi di ogni idea individua è una cosa stessa coli' analisi della sua comprensione : avvegnaché la com- prensione di ogni idea individua è la somma delle sue determinazioni o degli elementi da cui viene co- stituita. Alla comparazione, siccome altrove abbiamo indicato, succede l'astrazione: della quale ora con bre.» vita diremo. G.A.T.LXXXIX. g8 Scienze §. XIII. Deir astrazione. L'astrazione, seconda operazione della funzione induttiva , è quell'atto dello spirito umano, il quale agendo sopra i risultati della comparazione, ossia so- pra l'ordinamento delle idee disposte secondo le lo- ro simiglianze, secondo le loro differenze e secondo le loro opposizioni, trae fuori del contenuto di que- ste le determinazioni simili comuni che parzialmen- te contengono; ed integrandole ne viene costituendo idee astratte in loro stesse indeterminate ; le qua- li non hanno nella realità oggetti che pienamente le corrispondano. Ora in questa opera delle idee astratte lo spìrito umano va procedendo per una gradazione ascendente ; la quale comincia dall'astra- zione ed unificazione delle determinazioni simili o comuni , ritrovate per l' atto della comparazione ne' contenuti rispettivi delle idee delle cose individue e di tutte le loro note e discoperte relazioni ; e si ter- mina, procedendo d'astrazione in astrazione, in idee astratte che si possono predicare di ogni cosa indi- vidua, o delle quali il contenuto si ritrova compreso nel contenuto di ogni idea particolare. E queste idee astratte, qualunque sia il loro grado per virtù della forma originaria dell'umano pensiero, si ripartiscono in idee astratte di sussistenza, in idee astratte di cau- salità, ed in idee astratte di fine. Le idee astratte im- mediatamente dalle idee particolari, poste dalla fun- zione inventrice , si chiamano idee di specie ; dalle quali viene rappresentato in una maniera indefinita Umane conoscenze gg quello che multiplici cose individue, riguardate o co- me sussistenti, o come causate, o come fini nell'or- dinamento complessivo delle cose, hanno di simile nel loro contenuto rispettivo, e quello sotto cui questa loro simiglianza integrata si differenzia e si oppone con altre idee astratte e coordinate di specie. Le idee astratte , col medesimo processo , da multiplici idee astratte di specie in tra loro coordinate nel modo so- praddetto, costituiscono le idee astratte di genere : le quali rappresentano quello che più idee astratte di specie hanno in tra loro di simile o di comune, ne'loro rispettivi contenuti, non che quello che esse hanno in loro di differente e di opposto rispetto ad altre idee di genere coordinate. E dalle idee di ge- nere lo spirito va elevandosi gradatamente ad idee piìi astratte , le quali si chiamano idee di ordine , idee di classe ed idee di genere supremo ed insubordina- to. Nel quale tutte le idee di classe, di ordine, di genere e di specie , in tra loro coordinandosi e su- bordinandosi, da ultimo si rannodano siccome raggi ad un centi'o. Ora per questo magistero sublime del- l'atto intellettivo, lo spirito umano giunge a ridurre in un sistema unitario tutte le idee individue, e tutti gli elementi loro : nel quale grandemente si conforta e distende la possanza della mente umana. Ma d'in- torno a questa operazione alcune considerazioni ci re- sta a fare. E primieramente diciamo che nelle idee astratte si debbono distinguere due cose: cioè, il loro contenuto e la loro estensione. Il contenuto di una idea astratta, medesimamente che nelle idee indivi- due o concrete, è la somma degli elementi in che può ella essere divisa. Ora egli è certo che il con- tenuto di una idea astratta è tanto minore, quanto 100 Scienze più è alto il grado della sua astrazione ; e tanto è maggiore, quanto più è basso il grado della sua astra- zione , o quanto più ella si avvicina alle idee indi- vidue. In colai modo adunque le idee di specie pos- seggono più elementi di quelle di genere : queste più elementi di quelle di ordine: e così segue sino alle idee astrattissime di genere supremo ; le quali sono di contenuto semplicissimoo Si chiama estensione di una idea astratta la sua relazione con tutte le altre idee che ad essa stanno sottordinate , e di tutte le quali essa si può predicare. Ora questa estensione o relazione delle idee astratte, sta in esse in una ra- gione inversa del loro contenuto : a tal che di quan- to minori elementi consta il contenuto di una idea astratta, di tanto è maggiore la sua estensione; e vi- ceversa. Gonciossiachè siccome l'idea la più astratta contiene il comune di tutte le idee ad essa subordi- nate ; e queste il comune di altre idee similmente ad esse subordinate, e nel medesimo modo successi- vamente sino alle idee individue : cosi egli è mani- festo, doversi ritrovare il contenuto deila prima nei contenuti di ciascuna delle idee inferiori o subordi- nate. Inoltre, quando l'atto intellettivo od il giudi- zio in questa opera delle astrazioni delle idee; pro- cede dalle individue vei^so le più generali, esso ope- ra sinteticamente o sotto la sua forma integratrice ; ma quando esso per contiario ripassa le idee astratte da lui elaborate col metodo sopraddetto, per conside- rarne la discendente subordinazione loro e la loro coordinazione reciproca, esso si costituisce ed opera sotto la forma di forza analitica o differenziale. Ogni divisione ed ogni riunione in questo sistema delle idee operato dalla astrazione , debbe essere fondato sopra Umane conoscenze ioi la natura reale delle cose : ossia sopra le vere simi- gllanze, le vere differenze e le vere opposizioni delle cose. E ciò basti intorno alla generazione ed alle pro- prietà delle idee astratte; e veniamo subito a dire del- la terza operazione dell'induttiva, cioè della teoriz- zazione, la quale è corona di tutte le operazioni in- tellettive che abbiamo discorse. §. XIV. Della teorizzazione. I materiali, sopra i quali opera la teorizzazione, sono le idee astratte. Nella teorizzazione, come nella comparazione e nella astrazione ( momenti precedenti di essa ) , lo spirito procede per via d'analisi e per via di sintesi. L'analisi nella teorizzazione non è al- tro che la definizione delle idee poste dalla astrazio- ne. Ora ogni definizione d' idea astratta , per essere compita, richiede che siano poste in chiaro due spe- cie di elementi del contenuto di lei : cioè, gli ele- menti onde essa appartiene al suo genere prossimo ; e gli elementi per cui essa si differenzia da tutte le altre idee con essa comunemente subordinate al so- praddetto genere prossimo, e le quali sono in tra lo- ro coordinate. Ora, fatta 1' analisi nella sopraddetta maniera del contenuto dell'idea astratta o di più idee astratte , lo spirito umano procede a riunire i loro elementi. Il quale atto sintetico chiamiamo giudizio teoretico, ed il suo risultato chiamiamo teorema. Ab- biamo altrove veduto come per la forma immutabile del mondo ideale, preordinata culla forma del mon- do reale, non vi abbiano per la mcule umana se non ioa Scienze tre generi d'idee, siano queste particolari, siano astrat- te. Similmente, non vi ha ne vi possono essere più di tre generi di teoremi; cioè di sussistenza, di cau- salità e di fine. In ogni teorema, come in ogni giu- dizio, si ritrovano due termini, ed una relazione che li unisce in tra loro : e l'un termine si chiama sog- getto, e l'altro attributo o predicato. Noi vedemmo come il giudizio intuitivo o singolare, ed il giudizio d'identità differiscano tra loro ; conciossiachè il giu- dizio, comechè in se sia sempre il medesimo atto o congiuntivo o disgiuntivo della intelligenza, nella sua forma di giudizio singolare unisce o disgiunge i ter- mini singolari su cui opera, secondo le tre univer- sali relazioni delle cose, di che abbastanza abbiamo discorso; e nella sua forma di giudizio d'identità, esso congiunge i termini secondochè l'uno è la ripetizio- ne intera o parziale dell'altro. Per la qual cosa egli è il vero che la proficuità di questa forma di giudi- zio si risolve tutta quanta nel magistero della com- parazione e dell'astrazione : le quali due operazioni pure a poco profitto rlescirebbero, ove non servissero di lavoro preparatorio alla teorizzazione , in cui sta il massimo e proficuo risultato del processo conosci- tivo. Ora nel giudizio teoretico i termini sono ela- borati coll'atto del giudizio d'identità : ma la relazio- ne di questi termini intra loro viene operata dalla sopraddetta forma di giudizio : avvegnaché ne'teore- mi i termini costitutivi vengono congiunti per quelle relazioni ontologiche universali, che congiungono i termini singolari ne'gìudizi detti intuitivi : ed in que- sto modo i teoremi sono le formole di questi. I teo- remi sono semplici o composti : semplici si dicono, quando il soggetto ed il predicato astratti sono puri k Umane conoscenze io3 termini, e non teoremi più semplici essi medesimi; e sono composti, quando l'uno o l'altro od entrambi i termini astratti del teorema sono ciascuno in se un teorema o semplice o composto pur esso. Ora in que- sta seconda parte della teorizzazione, per la quale si giunge a costituire i teoremi medesimi, si vei'ifica in opposizione alla prima che consumasi nella definizio- ne, operazione tutta analitica, l'atto sintetico di essa. E per tutte le cose sino ad ora dette facendosi aper- ta la natura e la costituzione in generale della teo- rizzazione, prima di procedere oltre, continueremo il discorso di questo paragrafo con alcune altre consi- derazioni intorno al giudizio d'identità. Noi vedem- mo a che si riduce la proficuità di questo giudizio nel magistero logico della mente umana; e certamen- te il suo ufficio non è di poco momento, dacché es- so è come il ponte onde passiamo da' giudizi singo- lari ai teoremi o giudizi generali ; i quali non po- trebbero essere fondati senza l'opera di quello. Ciò non pertanto il risultato in se del giudizio d' iden- tità, ove non serva all' opera della comparazione e della astrazione e questi infine alla teorizzazione, non conduce a gran cosa : avvegnaché nel suo enunciato esso si l'isolve sempre a dire lo stesso dello stesso ; ossia in altre parole , nel giudizio d' identità i due termini che si rapportano sono l'uno la ripetizione dell'altro, o sono tutti e due una stessa cosa signi- ficata con espressioni diverse : il che interviene in ogni giudizio d'identità singolare : i quali giudizi si potrebbono ragionevolmente appellare giudizi nomi- nali. I giudizi analitici del Kant sono di questa na- tura : e noi non sappiamo intendere qual valore si abbia lo sforzo fatto dal Kunt per mostrare che que- id4 Scienze sti giudizi sono di natura a priori., ossia che questi giudizi sono indipendenti dalla esperienza. E come potrebbero dipendere dalla esperienza i giudizi di que- sta natura ? Maggiore è poi l'inganno, secondochè a noi sembra, in cui sono caduti que'filosofi, i quali si sono immaginati di nobilitare la filotìolia e di sol- levarla dal fango del sensismo, dando a'principii fon- damentali dell'umano sapere, a'principii direttivi del- la ragione e costruttivi del dato sperimentale, i me- desimi giudizi d' identità. L' enunciato de' quali dal Galluppi venne decorato dell'attributo della univer- salità, della necessità; e tali giudizi vennero da lui dichiarati veri a priori e fondamento unico di ogni verità necessaria ed universale, e sostegno di ogni co- gnizione sperimentale o a posteriori. Ed egli è noto come il Galluppi abbia dato principio ai suoi elementi di filosofia colla logica pura : in cui viene inse- gnando il processo del l'aziocinio , del quale ogni fondamento, secondo lui, consiste ne'giudizi d' iden- tità; ed inoltre, nella sua logica mista che viene ap- presso alla prima, dopo la psicologia e la ideologia, egli nuovamente sostiene ogni uianiera di raziocinio riposare o ne'rapporti d'identità, o ne'giudizi d'iden- tità e ne'dati della sperienza insieme. Per il che mag- giormente viene chiarito, non avere questo filosofo ri- conosciuto nella umana conoscenza altri elementi che quelli della sperienza : avvegnaché in quanto ai giu- dizi d' identità 5 canonizzati da esso per verità pure universali indipendenti, è troppo chiara, per tutte le cose sopraddette , la illusione dalla quale questo il- lustre filosofo si è lasciato abbagliare. Or torniamo in cammino, e mostriamo il fondamento ontologico 6ul quale riposa la virtia de'teoremi 0 giudizi generali. Umane conoscenze io5 §, XV. Della virtù logica ^ o del fondamento ontologico de^ teoremi. jSel giudizio teoretico i termini astratti che sì congiungono non sono identici tra loro , ma sib- bene relativi: e la relazione per la quale i medesi- mi si rapportano sono le relazioni universali, per le quali i dati della sperienza si rapportano tra loro in maniera universa ed immutabile ne'giudizi intui- tivi. Talmentechè queste due diverse denominazioni del giudizio procedono, non da alcuna diversità della virtù intrinseca del giudizio in se, ma dalla diversità della materia su cui opera il medesimo, e dalla di- versità de'risultati che ne derivano. Ed in vero noi già altrove vedemmo come l'ufficio del giudizio intui- tivo consista nell'unire, per lo mezzo delle ontologi- che ed immutabili relazioni, i dati particolari della sperienza: e come i risultali di esso sieno le enun- ciazioni singolari di quelle relazioni universali che li uniscono. Ora il giudizio teoretico unisce per lo mez- zo delle medesime relazioni i dati della comparazio- ne e della astrazione, i quali, siccome è cliiaro per le cose discorse, sono i prodotti del giudizio d'iden- tità: ed i risultati di quello sono, non le enuncia- zioni singolari, ma le generali, le quali appunto chia- miamo teoremi. Ogni teorema consiste o in rappor- tare certe determinazioni astratte a certi dati sog- getti astratti, e viceversa; o certi effetti astratti a cer- te determinate cagioni astratte, e viceversa ; o certi fini astratti a certi mezzi astratti, e viceversa. E di }'o6 Scienze qui tutta la somma possibile de'teoremi si ripartisce, siccome altrove fu indicato, in teoremi di sussisten- za, in teoremi di causalità, ed in teoremi di finali- tà. Or quali sono i principii ontologici o formali che sorreggono l'opei-a della teorizzazione, nella triplicità sopraddetta de'suoi risultati? I principii universali ed ontologici, o le degnila indimostrabili che servono di fondamento a tutti i teoremi, formati co'dati astratti della sperienza, sono i seguenti: le proprietà o qua- lità simili esistenti in più cose particolari, soprastan- no sempre od aderiscono universalmente sopra s ab- bietti in tra loro simili ; ed i subbietti simili sotto- stanno sempre a qualità e proprietà in tra loro si- mili. Le proprietà o qualità differenti hanno sempre a loro sostegno subbietti tra loro differenti ; e re- ciprocamente, subbietti tra loro essenzialmente dif- ferenti sostengono sempre proprietà o modi di esse- re in tra loro essenzialmente differenti. Le proprie- tà tra loro opposte soprastanno ed aderiscono sem- pre in suggetti tra loro opposti ; e viceversa tut- ti i subbietti tra loro opposti essenzialmente sosten- gono sempre proprietà e qualità tra loro essenzial- mente opposte. Questi tre enunciati ontologici sono la base di tutti i teoremi di sussistenza. Le genera- zioni di "cose in tra loro simili procedono sempre da causazioni in tra loro simili, e per lo mezzo di ante- cedenti corruzioni in tra loro simili; e le causazio- ni in tra loro simili , per lo mezzo di susseguenti coiTuzioni slmili , generano cose in tra loro slmi- li. Le generazioni di cose in tra loro differenti pro- cedono sempre da causazioni e corruzioni tra lo- ro differenti; e causazioni e corruzioni differenti in- generano sempre cose differenti. Le generazioni di co- Umane conoscenze 107 se in tra loro opposte procedono sempre da causa- zioni e corruzioni tra loro opposte ; e causazioni e corruzioni essenzialmente opposte , producono sem- pre cose essenzialmente opposte. Questi tre princi- pii stanno a fondamento di tutti i teoremi di causa- lità. Ora enuncieremo gli altri principi! universali che pongono 1' essenza logica di tutti i teoremi relativi all'ordinamento de'raezzi e de'fini nel sistema mon- diale. Tutte le cose in tra loro simili , riguardate come fini, sono sempre ed invariabilmente coordina- te e subordinate e continue con altre cose in tra lo- ro simili : e tutte le coordinazioni le subordinazio- ni e le continuità simili sono sempre ed invariabil- mente mezzi alla esistenza di cose simili. Tutte le cose in tra loro differenti, riguardate come finì, so- no coordinate, subordinate e continue con altre co- se tra loro differenti : e tutte le coordinazioni , le subordinazioni e le continuità differenti delle cose , sono mezzi differenti a cose in tra loro differenti. Tutte le cose, le quali considerate siccome fini, so- no in tra loro opposte , si attengono a coordina- zioni subordinazioni e continuità opposte di cose : e tutti i legami di condizioni , di subordinazioni e di continuità opposte di cose corrispondono come mezzi alla esistenza o produzione di cose tra loro opposte , essendo siccome fini riguardate. Ora tut- ti questi principi! universali si applicano a tutte le idee astratte per lo mezzo del giudizio d'identità, dai dati sperimentali sì di qualità o modalità, sì di quan- tità entitativa o discreta, che di quantità qualitativa: e per modo che da ultimo apparisce ogni teorema non, essere altro in se che alcuno de'suddetti principii, il quale traducendosi dalla sua universalità ontologica, io8 Scienze si termina entro la sfera della comprensione e della estensione di date idee astratte. Avendo fin qui noi pienamente dichiarato il fondamento de'teoremi, or per mostrare il risultato Intero della induzione, ci rima- ne a discorrere intorno al concatenamento de'teore- mi in tra loro ; dal che nasce il sistema dell'uma- no sapere, non che ciascuna delle parti di cui esso consta. §. XVI. Del concatenamento de'teoremi , e de'' principii architettonici del sistema dell'umano sapere. Abbiamo altrove notato come le idee astratte per la loro graduale estensione si coordinino e subordi- nino in tra loro in un sistema unitario e gerarchi- co. Ora questo sistema delle idee astratte, è per ri- spetto ai teoremi, il sistema de'materiali de'medesimi. In altro luogo noi abbiamo detto essere i teoremi o semplici o composti, ed abbiamo notata la loro differen- za. Ora diciamo, la composizione de'teoremi e la lo- ro concatenazione essere tutt'uno: conciosslachè i teo- remi non in altra maniera in tra loro si concate- nano , se non divenendo l'uno soggetto e l'altro at- tributo; e così procedendo lo spirito di composizione in composizione , pervenir può a concatenarli tutti in tra loro. Per questa via appunto si consegue la distribuzione delle umane conoscenze in un sistema compito. Ed a quest'opera della formazione de'teore- mi e del loro concatenamento dovendo andare innan- zi l'opera ed i risultati della astrazione, così egli è certo che Fordine della composizione di quelli viene Umane conoscenze 109 determinata dairordinamenlo di questi. E noi discor- rendo la distribuzione sistematica delle idee astratte abbiamo dimostrato come in essa le idee individue concrete vengano decomposte 5 e come i loro ele- menti similari o comuni siano trasformati in idee astratte , gradualmente subordinate e coordinate tra loro in un sistema unitario: in cui alle idee astrat- te di specie , tra loro coordinate , stanno subordi- nate tutte le idee individue: alle idee astratte di ge- nere, similmente tra loro coordinate , stanno subor- dinate tulle le idee di specie: e così alle idee astrat- te di ordine quelle di genere, ed a quelle di classe quelle di ordine: e dove finalmente, le idee di classe sono subordinate ad idee astratte di genere supremo. Ora, in una maniera susseguente applicando 1' opera della teorizzazione sopra la sopraddetta elaborazione e distribuzione delle idee astratte , il sistema unitario delle umane scienze e ciascuna parte costitutiva di esso, il relativo loro componimento ricevono. Ogni parte di questo sistema costituisce in se una parti- colare scienza; e l'insieme di queste scienze coordi- nate e subordinate in tra loro per lo mezzo di que' medesimi rapporti clie legano in tra loro le idee astrat- te ( il contenuto delle quali costituisce il dato ma- teriale delle medesime ) formano il sistema totale del- l'umano sapere. In ogni scienza particolare, ove el- la sia con metodo instituita , tutti i teoremi di cui la si compone, debbono stare in un cotal concate- namento tra loi'o da poter tutti venire in fine sot- to di un teorema die ttitti li connetta insieme ; e dal quale sia possibile allo spirito umano di ripassa- re in una via retrogi'ada a tutti i teoremi semplici, da cui era partito per arrivare sino a quello. L' opera no Scienze poi della organizzazione delle scienze in un siste- ma, ossia l'opera del sistema totale dell'umano sape- re, si compie assumendo il teorema ultimo o genera- lissimo di ciascuna scienza particolare come teorema semplice; e quindi concatenandoli tutti insieme e se- condo la gradazione ascendente delle idee astratte , bisogna sforzarsi di ridurli a pocln teoremi esprimen- ti i rapporti delle idee astratte di genere supremo ed indipendente : i quali vengono a costituire la par- te culminante del detto sistema dell'umano sapere. Nella costituzione del quale debbesi distinguere ac- curatamente il fondamento materiale ed il fondamen- to formale, ed i vari nessi e spartimenti che dall'uno e dall'altro derivano , i quali la costruzione del si- stema determinano: alla qual cosa ci pare non ave- re guardato né gli enciclopedisti, il cui sistema del- le conoscenze umane è piuttosto una rapsodia che un sistema, ne il Bentham, ne recentemente l'Am- pere; i quali intorno a questa altissima opera della filosofia posero non pochi loro studi. Diciam pertan- to, il simile, il diverso, l'opposto, ed il continuo, in quanto sono negli oggetti della sperienza, costituisco- no i nessi, gli spartimenti, e le coordinazioni secon- do le quali i medesimi oggetti si distribuiscono nell' ordinamento materiale del detto sistema. Dalle tre no- zioni poi universali della intelligenza entro ciascuna parte materiale del sistema identicamente applicate , i nessi e gli spartimenti formali di ciascuna delle scien- ze prorompono. Egli è certo che i nessi, gli spartimen- ti e le divisioni del materiale del sistema ( opera del- la comparazione e della astrazione ) sono continua- mente variabili coll'aumento continuo delle acquisi- zioni della sperienza: ma per contrario, i nessi e le Umane conoscenze ut divisioni formali sono immutabili, perchè procedono dalla forma immutabile dell'umano pensiero : ed in ciascuna parte materiale del sistema le si applicano sempre di una maniera identica. Dalla qual cosa vie meglio apparisce quello che altrove abbiamo dichia- rato, cioè essere sempre ed identicamente qualunque scienza particolare, nella sua interna forma, non al- tro che un' applicazione delle tre nozioni della in- telligenza : ed ogni diversità delle scienze in tra lo- ro derivare e consistere unicamente nella diversità del loro materiale. Ed aggiungeremo che , ove noi , riguardando il sistema delle umane scienze, portiamo la vista dell'intelletto dal centro alle parti di esso, ci facciamo accorti che que'teoremi, che sono costrui- ti colle idee astrattissime di genere supremo e che costituiscono la parte più alta dell'umano sapere, tra- ducendosi di grado in grado discendente nel sistema delle idee astratte subordinate , e via via incarnan- dosi nella maggiore comprensione dì queste, si tra- sformano e modificano in tutti i teoremi inferiori e sino in quelli che esprimono i rapporti delle cose particolari in tra loro. Abbiamo detto che pel fon- damento della distribuzione de'materialì di questo si- stema ci appoggiamo alle simiglianze, alle differenze ad alla continuità delle cose: per le simiglianze uni- fichiamo gli oggetti della sperienza e c'innalziamo nel- la scala ascendente della subordinazione delle astra- zioni: per le diffei-enze e per la continuità noi sta- biliamo la coordinazione delle parti del sistema. E circa il rapporto delle continuità delle cose , fonda- mento principale della detta coordinazione, egli ci è mestieri dichiarare qui brevemente alcun che : ogni cosa prodotta è una risultante di ragion composta del- 112 Scienze le sostanze e delle forze immutabili dell'universo, e de' prodotti precedenti delle medesime. In virivi di questa universale condizione delle cose prodotte, cia- scuna di queste, siccome nella ontologia abbiamo in- dicato, ba un grado determinato e proporzionale, qua- si anello di una catena, nella continuità ascendente ed evolutiva del tutto delle cose stesse: e per manie- ra che mentre ogni cosa possedè determinazioni spe- cifiche, contiene in se le determinazioni di tutte le altre cose che sono ad esse inferiori nella continui- tà sopraddetta; e così ulteriormente , ed a tale che il mondo delle cose prodotte, come che sussista so- pra immutabili sostanze e venga da immutabili forze continuamente sviluppato , si evolve sempre riassumen- do di grado in grado se stesso. Sopra di questo su- premo fondamento avendo noi principalmente stabi- lita la coordinazione o lo spartimento parulello delle parti materiali del divisato sistema, noi vedremo pro- cederne questo maraviglioso risultato, cioè: che l'or- dine progressivo delle esistenze reali prodotte si tra- sforma od identifica coll'ordine progressivo della logica generazione delle nostre conoscenze. Del resto egli si addice, a chi in questi studi profondamente ha inteso, il giudicare se gli enunciati principii architettonici che ci hanno diretto nel concatenamento sistematico delle u- mane conoscenze, opei'a suprema della funzione indut- tiva, abbiano in loro minori difetti degli altri fonda- menti da altri assunti per fondare la filosofia delle uma- ne scienze; ossia per ridurre tutte le nostre conoscenze in un multiplo di parti tra loro unizzate e viventi, pe'mutui loro rapporti, di una vita unitaria. Per lo quale magistero la totalità delle umane cognizioni cessa di essere per la mente di un individuo un tutto in-r- Umane conoscenze j-o commensurabile: conciossiachò ella può per siffatto mez 20, siccome elevata fosse sopra luogo eminentissimo riguardare l'unUà e la mukiplicità defluita del mou' do dell umano sapere: e misurando in esso i confi m, sino ai quali si sono inoltrate le conrruiste dello «pimo umano, rilevare le pa.-li in esso non ancora esplorate o percorse o colte, non chele altre in cai SI veggono 1 segni della sconfitta delle forze umane o per insuperabili diffieoltà ritrovate o per mala di-' rezione^ delle medesime; e da tutte queste cose in- sieme ritrarre gli avvisi ed i sussidi necessari a pro- cedere sempre più avanti. Ma questo argomento co- stituisce la materia della terza parte del presente sag- gio. Ora dobbiamo seguitare il discorso intorno alfe altre operazioni, di cui si compone il processo dell' umano sapere; e così dare compimento alia dottrina dell organo, con cui le umane conoscenze ed il loro sopraddetto sistema si possono effettuare. E secondo lodine delle materie ordiremo della terza funzione del processo conoscitivo; la quale è la deduzione. xvn. Della deduzione, della sua natura, delle sue tra Jorme generali e delle sue parti costitutive. La deduzione, siccome altrove è stato detto, è una unzione per la quale lo spirito nel processo co, n scitivo deduce una conoscenza particolare da un' altra generalo, od una conoscenza generale da un' al, ^a p.u generale deriva. La quale funzione è una co, a"4mrV"l"' '^" ^ ^'^''' '^^""^'^^ ---""-» 8 ii4 Scienze la umana conoscenza, costituisce la sua dinamica: sic- come la induzione, riguardata ne'suoi prodotti defini- tivi, costituisce la sua parte statica: il che abbiamo superiormente annotato. Ora la funzione deduttiva , come la inventrice e la induttiva, può venire assu- mendo tre lorinc distinte , secondochè 1' ultimo suo fondamento riposa o sopra teoremi di sussistenza, o sopra teoremi di causalità , o sopra teoremi di line. La deduzione di sussistenza consiste in dedurre da un teorema generale di sussistenza, stabilito legit- timamente dalla induzione, un teorema particolare o meno generale di sussistenza : e medesimamente la deduzione di causalità consiste in dedurre da un teo- rema generale di causalità un teorema particolare o meno generale di causalità : e da ultimo la deduzio- ne di line consiste in dedurre da un teorema gene- rale di fine un teorema particolare o meno generale di fine. In ciascuna di queste tre forme della fun- zione deduttiva si pone e si risolve alcuna di queste tre maniere d'istanza : data la conoscenza della na- tura di un certo modo di essere di data cosa parti- colare, o di una specie di cose, ed ignorandosi quale sia la natura del subblelto in cui que'modi aderisco- no, si cerca di scoprirlo: o, viceversa, posta la co- noscenza della natura di un dato subbietto partico- lare o di una data specie di subbietti , ed ignoran- dosi le varie maniere di essere, cbe i noti subbietti possono contenere o ricevere, si cerca di saperlo. Ora alla soluzione delle due istanze sopraddette di sussi- stenza si perviene colPimpostare nella mente le istan- ze medesime sotto quel teorema generale di sussisten- za o di modalità, nel quale il contenuto delle due istanze soprallegale si subordina come specie, ed ap- Umane conoscenze ii5 plicanclo per esse in seguito quelP atto della mente che chiamasi giudizio. Similmente , in riguardo alla deduzione di causa, le istanze non possono essere che coteste i essendo nota la contingenza o la generazio- ne di una cosa particolare o di una data specie di cose, ed ignorandosene la causa ed il processo cau- sativo, quello e questo si perviene a scoprire, appli- cando al problema quel teorema generale di causali- tà, sotto cui il contenuto del problema posto si su- bordina come specie o come individuo. O, per l'op- posto, data la conoscenza di un commercio di azio- ni e riazioni di più cose in tra loro , o di una specie di queste, si cerca di sapere quale generazio- ne di nuove cose può da quello escire. Il che può venir fatto mediante 1' applicare al contenuto della istanza il teorema di causalità generale , sotto cui quello si riduce come specie o come individuo. Non, in diversa maniera va la cosa rispetto alle cognizio- ni dedotte col ragionamento circa il fine delle cose. Nella quale maniera di argomentazione si cerca, data la cognizione di un dato fine, di scoprire il suo mez- zo correlativo; o data la cognizione di un dato mez-. zo , si cerea di scoprire il suo fine corrispondente : il che pure si fa applicando al contenuto dell'una o dell'altra istanza quel teorema di finalità, sotto cui la materia della medesima si subordina. E da tutte queste cose insieme si fa aperto, ogni deduzione con- stare di tre parti distinte : le quali sono, secondo il linguaggio degli antichi logici, la proposizione mag- giore, la minore e la conseguenza. La proposizione minore è ciò che noi abbiamo detto istanza o proble- ma; la maggiore è la proposizione teoretica generale, sotto cui si subordina il contenuto della istanza; e ii6 Scienze la conseguenza è la soluzione della istanza; la qua- le si ottiene coli' applicare il teorema generale sopra la istanza medesima ; e la quale in se medesima con- siste nelFaggiungere all'un termine della istanza un termine nuovo, il quale vien tolto dal teorema ge- nerale. Del resto egli è d'avvertire che questa opera della deduzione, che ora noi andiamo dichiarando, non debhe essere confusa con quella che interviene nella funzione inventrice, alla quale pure si dà il nome di deduzione : e la quale, differentemente da questa, non si esercita se non entro la sfera delle idee partico- lari, e col sussidio de'soli principii onlologici indi- mostrabili. Conciossiacosaché, siccome altrove vedem- mo, la induzione particolare , inducendo sempre da un particolare modo di essere ad un particolare sog- getto, e viceversa : o da un particolare effetto ad una particolare cagione, e viceversa : o da un particolar fine ad un particolar mezzo, e viceversa: ella è parte costitutiva e fondamentale della funzione inventrice sostenuta dalle nozioni universali della intelligenza; e debbesi per ciò stesso distinguere dalla deduzione ra- zionale, di cui ora trattiamo, la quale, siccome qui sopra abbiamo annotato, consiste in dedurre conoscen- ze particolari o meno generali da conoscenze jiiìi ge- nerali, poste col ministero della funzione induttiva. Umane conoscenze iry §. XVIII. ì)el fondamento apparente e del fondamento so- stantivo della deduzione : della sua virtù lo-- gica effettiva. Ogni deduzione o discorso, raziocinio, argomen- tazione, abbiamo detto, consta di tre parti : ed ab- biamo altrove veduto come ciascuna di queste tre parti o membri della deduzione consti di due termi- ni, cioè di un soggetto ( logico ),di un attributo e della relazione clie li unisce. Vedemmo esservi tre generi di giudizi, ossia tre generi de'termini suddetti e di relazioni, vogliam dire di sussistenza, di causa- lità e di fine : e correspettivamente vedemmo esservi tre forme generali di deduzione. Ora in clie consiste il fondamento della deduzione ? Fu teste notato die il magistero di questa funzione si risolve nel subor- dinai'e la proposizione teoretica, detta da' logici mino- re, sotto di un altro teorema più generale detto pro- posizione maggiore, siccome una specie sotto il suo genere, o un individuo sotto la sua specie: ed in de- durre un terzo teorema meno generale , a cui si dà il nome di conseguenza o di giudizio dedotto. Ora debbesi aggiungere, percliè le tre proposizioni die co- stituiscono la deduzione siano in ti-a loro subordina- te e collegate in guisa da produrre il sopraindicato risultato , egli fa mestieri che i termini del teorema minore e del maggiore si corrispondano in alcuna di queste tre guise diverse, cioè: i, o che l'attributo del teorema, detto proposizione minore, stia come sog- getto nel teorema maggiore ; dal che si viene a de- ii8 Scienze durre ehe l'attributo della proposizione maggiore coli' viene al soggetto della minore: 2, o che l'attributo della minore sia egualmente attributo della maggiore; dal che si deduce nella conseguenza che i due sog- getti convengono in tra loro : 3, o cbe il soggetto della minore sia egualmente soggetto della maggio- re : dal cbe segue cbe Faltrlbuto della prima e della seconda proposizione convengono in tra loro, la pri- ma come attributo e la seconda come soggetto. Per tutte queste cose adunque egli si fa palese come il magistero apparente della deduzione risolvasi intera- mente nel noto principio formulato dai logici , cioè che due idee convengono in tra loro, ove entram- be convengano con una terza idea , e viceversa. In altri termini, tutto il fondamento apparente della de- duzione si risolve in un giudizio mediato d'identità; in un giudizio, il quale enuncia che l'uno e l'altro de' termini di cui esso consta sono una medesima co- sa, percbè entrambi sono una medesima cosa con un terzo termine ; il quale perciò fu tlelto dai logici ter- mine medio. La qual maniera di giudizio è irrefra- gabile, essendoché viene a convertirsi col principio di contraddizione, appellato da Aristotele la sostanza del ragionare : il quale , qualunque forma assuma , si riduce sempre nell'enunciare che ciò che è, è : o cbe ciò cbe non è, non è : od in altri termini, che egli è impossdìile che una cosa sia e non sia ad un tem- po, e per opposto. Dal quale principio deriva pure quest'altro, che è più prossimo fondamento apparente di ogni deduzione , cioè che quello che conviene alla specie convenir dee eziandio a tutti gl'individui cbe sono alla medesima specie subordinati; cbe quel- lo che conviene al genere convenir dee a tutte le Umane conoscenze 119 specie clic sono al genere medesimo subordinate; che quello che conviene all'ordine convenir deve a lutti i generi all'ordine stesso sottordiuati; e così segui si- no al genere supremo. Ciò non pertanto la vera vir- tù intrinseca od il fondamento sostantivo della de- duzione non istà in questa forza del giudizio media- to d'identità : ma bensì ella risiede nella virtù logi- ca de'teoremi universali ontologici; i quali nello stes- so tempo che sono iu loro stessi indimostrabili, per- chè primitivi e risultanti immediatamente dalla legge irreformabile del pensiero umano , sono fondamento ultimo di ogni possibile dimostrazione. Questo non videro comunemente i logici; e da ciò alcuni tra essi vennero asserendo, non avere la deduzione nessuna possanza ad aumentare le nostre conoscenze, e solo potere essa servire all' ordinamento od al discorso o congiunzione delle nostre idee già acqiiistate. Per la qual cosa il Condillac pretese, consistere non in al- tro il raziocinio che in una serie di proposizioni in tra loro perfettamente identiche : dal che seguiva l'impossibilità che per la deduzione si recasse incre- mento alcuno nella scienza. E non dissimilmente il Tracy promulgava nella sua logica, essere ogni ragio- namento un continuo surrogare una espressione ad un' altra. Or queste erronee sentenze degli empirici, ed il discredito in che venne per esse l'arte sillogi- stica, provennero secondo noi dall'avere la detta scuo- la interamente sconosciuto le nozioni universali e pri- mitive della intelligenza, ed i giudizi ontologici che da esse risultano nella maniera che fu dichiarato di sopra, ed i quali sono l'anima ed il sostegno di ogni nostro concetto, e base ultima come della funzione invenlrice e della induttiva, così pure della dedutti- lao \ Scienze va. La quale è, secomlo noi , strumento dì acquisi- zione di conoscenze, polcbè conduce lo spirito uma- no dal noto all'ignoto ; e ciò solo per la virtù fon- damentale de'giudizi ontologici. Imperocché la dedu- zione riposandosi sopra la forza universale de'teore- mi ontologici, i quali enunciano, siccome vedemmo superiormente, l'immutabilità de' l'apporti tra le mo- dalità e le sostanze, tra gli effetti e le cagioni, tra i mezzi ed i fini, conduce col suo processo sopra- descritto dalla conoscenza de'dati modi di essere alla conoscenza dell' ignoto subbietlo o subbietti in cui quelli aderiscono e dell'ignota forza per cui vi ade- riscono, e viceversa : o dalla conoscenza di una cosa prodotta alla conoscenza delle forze ignote die la producono e del commercio di azioni e riazioni, in cui furono in tra loro per recare la prima dalla non esistenza alla esistenza, e viceversa : o dalla cono- scenza di un fine alla conoscenza del mezzo ignoto di esso, e per contrario. Questo passaggio dello spi- rito umano, sostenuto solidamente da'principii onto- logici, costituisce dunque la virtii intrinseca della de- duzione e la sua proficuità vera; ed il giudizio me- diato d'identità, in opera siffatta, non è che mezzo sussidiario, e non fondamento supremo. Alla qual co- sa se avessero i logici guardato, non avrebbero alcu- ni tra loro negata la detta proficuità del razioci- nio neiropera di aumentare le umane conoscenze, né avrebbero posto in discredito il sillogismo , siccome fecero : ed altri, che pure la utilità del sillogismo pre- sero a difendere, non avrebbero recato in campo ra- gioni non bastcvoli al loro assunto : siccome ci pare avere fatto il Galluppi ed il Romagnosi: i quali nello stesso tempo che non riconoscono altri principii pri- Umane conoscenze lai mitivi od universali nelle umane conoscenze in fuori de' giudizi detti d' identità , che si risolvono tutti nel principio
  • roscENZE i4^ sizione delle differenti parti di un'arte o di una scienza in un ordine, nel quale tutte vicendevol- mente si sostengono, e nel quale le ultime si spie- gano per le prime. Quelle che rendono ragione delle altre si chiamano principii; ed un sistema è tanto pia perfetto, quanto più piccolo è il nume- ro de'' principii: ed egli è da desiderare che si ri- ducano ad un solo. Madie cosa sono, pel Condil- lac, i principii? / principii non sono che fatti ben verificati ed accertati: il che è quanto dire che, pel Condillac, i principii non sono altro che i dati pu- ri de' sensi, / veri sist emi , quelli che solamente meritano di portar questo nome, sono fondati so- pra principii di questa specie: imperocché non pos- siamo render ragione delle cose, delle quali ci è permesso di scoprire le molle e gli ordigni, se non col mezzo di questi principii. Da tutte le sopradette sentenze del Condillac chiaro apparisce, che per lui un sistema od una scien- za non è che una storia di fatti sperimentali. Ma la scienza non islà nella storia de'fatti spei'imentali, i qua- li non sono che il materiale della scienza : ma ella sta nella ragione de'fatti, e pretendere che i fatti sia- no la ragione de'fatti è un vero contrasenso. Il Con- dillac, in questo stesso llhro de'sistemi, ha preteso di provare la inutilità de'principii; ed asserisce che ogni principio procede dalla esperienza, dichiarando inol- tre che tutti i fdosofi, i quali attribuiscono una ori- gine diversa dalla sperimentale ai principii, discono- scono e rovesciano 1' ordine della generazione delle nostre idee. A chiunque imprende a considerare que- sto libro del Condillac apparisce, che questo autore non ha mai saputo distinguere la natura delle idee i44 Scienze astratte e de' teoremi fondati dalla induzione, dalla na- tura di quc'principii che i filosofi prima di lui ave- vano chiamato primitivi, o originari alla mente uma- na, e neV^uali sta una natura universale: per la qual cosa principalmente i medesimi non possono essere il risultato ne della esperienza , ne della induzione. E diffattì nel cap. ii del citato libro il Condillac scrive: Si ha gran torto di volere che le nostre cognizioni abbiano la loro origine in idee astrat- te ,. . E qual filosofo ha mai pronunciato una sì stra- na proposizione ? Seguita il Condillac : Le nozioni astratte sono naturalmente vaghe e nulla offrono di permanente, quando non siano determinate da. altre idee. Bla lo saranno elleno da nozioni an- cora più astratte"} no certamente', imperoccìiè que- ste nozioni avrebbero elleno stesse bisogno di es- sere determinate alla loro volta. Lo saranno adun- que da idee particolari, Diffatti nulla è più ac- concio a spiegare una nozione quanto quella che V ha generata Tutte le nostre cognizioni vengono dai sensi. Una idea astratta vuole adun- que essere spiegata da una idea meno astratta , e così di mano in mano sino a che si giunga ad una idea particolare e sensibile. Egli non v'ha dub- bio che tale non sia il processo della astrazione: ma a chi ben guarda sarà facile il rilevare, che questo stesso processo non è possibile se non a condizione della concorrenza della facoltà empirica de'sensi, la quale raccoglie il dato della esperienza , e de'prin- cipii primitivi ed indimostrabili, siccome abbiamo già dimostiMto; a tal che quello che nella conoscenza vien dato dalla astrazione de'particolari, non costituisce per se stesso nessun principio: ma i prodotti delia astra- Umane conoscenze 14^ zione o della induzione assumono la forma di propo- sizioni generali nell'atto clic i medesimi vengono com- penetrati da alcuno de'principii primitivi indimostra- bili ed universali. Dietro le quali cose tutte appa- risce la vanità del Condillac, il quale confondendo i veri principli dell'umano sapere co'prodotti puri del- l'astrazione, stima di avere confutato la virtù attri- buita da'fdosofi ai suddetti principii primitivi, mostran- do che le idee astratte in loro stesse non posseggo- no le indicate virtù. Dal che viene dimostrato più apertamente che il Condillac non sapeva la natura di ciò, che i fdosofi razionali chiamavano col nome di principii della conoscenza. Ma più oltre , e nel medesimo libro, il Condillac dice : Quali sarebbero questi principii ? Sarebbero essi massime tanto ge- neralmente ricei'ute ed adottate che ninno osasse contraddirvi ? E impossibile che una cosa sia e non sia nello stesso tempo : tutto quello che è, è; ed altre tali... Si cercheranno^ so^s^iuno^e il Condil- lac , lungo tempo que'jllosofi. che abbiano potuto ricavare di qui qualche cognizione. Niun fdosofo per certo ha mai preteso che da siffatti principii si possa trarre alcun materiale di cognizione; ma sib- bene egli è verissimo che da siffatti giudizi d'identità, ove siano compcnctrati co'principii ontologici ( de'qua- li il Condillac non ha neppure sospettata l'esistenza), lo spirito umano vale a passare alla conoscenza di cose prima da lui ignorate, o ad aumentare le sue co- noscenze, siccome dimostrammo nel discorrere della funzione deduttiva. Il Condillac non ha mai rilevato la differenza che passa tra la parte formale della co- noscenza ed il suo materiale : egli non ha veduto che per la mente umana vi sono , necessariamente per G.A.T.LXXXIX. 10 1^6 Scienze legge della sua originaria costituzione , due diverse categorie di oggetti : nell'una delle quali stanno gli oggetti sperimentali, e nell'altra gli oggetti intelligi- bili. Egli disconoscendo le più nobili facoltà della mente umana, e per sino la sua interiore attività, e stimando essere i sensi il principio ed il termine del- l'umano sapere, invece d'insegnare il processo ed il fondamento della scienza , è riescilo piuttosto a di- struggere il fondamento di ogni scienza possibile; e per sino a mettere la stessa forza empirica od intui- tiva dello spirito umano nel fondo dello scetticismo: avvegnaché questa forza , nella quale esso risolveva tutte le forze dello spirito umano, non era dotata di un valore ontologico, ma di solo valore subbiettivo: a tal cbe egli cominciava il suo saggio sulla origine delle conoscenze con questo enunciato fondamentale dello scetticismo idealistico : cioè che Vuomo, sia che si sollevi colla sua mente sino al cielo, sia che discenda nelVahisso^ non può escine giammai da se stesso. In fine il Condlllac, dopo essere andato discor- rendo in questo libro con maravigliosa leggerezza e nella maniera la più vaga contro ogni sorta di prin- cipii non derivati dalla esperienza, e non senza or- goglioso disprezzo inverso uomini che furono tanto profondi filosofi quanto egli era superficiale, si rias- sume così: Di tutti i prijwì/jii gii uni non condu-^ cono, a nulla, e gli altri non possono condurre ad altro che alVerrore, Um iNE CONOSCENZE l^J §. XXIV. Sesruita il medesimo argomento. -ò' In ciascuna età del mondo, dice il Cousin, re- gna un pensiero fondamentale, intimo, profondo: il quale grado grado si sviluppa in tutti gli elementi che la costituiscono, cioè nella politica, nelle leggi, ne' costumi, nelle scienze, nelle arti, nella religione : a talché questi elementi sono, rispetto a quel pensiero, come le svariate gradazioni di una sola ed incorut- libile unità. Questo pensiero dunque è la filosofia di ciascuna età. Da quale età del mondo è ella rappre- sentata la filosofia sensista che qui sopra combattem- mo ? La filosofia del sensismo , nella massima parte dell'Europa, ha dominato universalmente gli spiriti , dalla metà del passato secolo sino a' nostri dì. Ella nacque da una reazione contro il passato; e doven- do servire d'istrumento a questa reazione, si propose di distruggere tutte le antiche e piìi ferme convinzio- ni degli uomini circa ogni umana e divina cosa , e di recare nella scienza, nella morale e nell'ordine ci- vile quella profonda perturbazione e sovversione, on- de le opinioni ed i fatti della indicata epoca costi- tuiscono pe'posteri il più straordinario ed il piìi in- credibile monumento. Il Condillac aveva dato a que- sta filosofia la sua metafisica ; bisognava inoltre de- durne la morale, ed Elvezio se ne occupò. ]Nella me- tafisica essendosi stabilito che tutte le umane cogni- zioni non sono altro che sensazioni trasformate , e l'intelletto e la volontà non sono altro che senso; e d* altra parte considerandosi che nelle sensazioni , l48 S e t E « 2 fi oltre al carattere che elleno hanno di riportarsi a cer- ti oggetti, o di non rapportarvisi, oltre al loro carat- tere rappresentativo in somma, yì ha il loro caratte- re affettivo, ossia che elleno hanno la proprietà di es- sere aggradevoli o disaggradevoli; così la morale per la suddetta scuola si formulava in questo enunciato pratico : Evitare le sensazioni che possono cagionare dolore , ricercare quelle che sono atte a cagionarci il piacere. Ecco tutta la morale di questa scuola. Ge- remia Bentham, caldo sostenitore del sensismo, dice; La virtù non è un hene che per cagione de'piaceri che da essa derivano ; ed il vizio non è un male, se non per cagione de'dolori che esso produce. Il bene morale non è bene se non per la tendenza che ha in se a produrre beni fisici; ed il male morale non è male se non per la sua tendenza a produrre mali fisici. E veramente tutto il valore della filosofia di- pendendo dallo scioglimento di questi due problemi: Qual'è l'origine della cogaizione umana ? od in altri termini: Che può l'uomo sapere ? ed in quest'altro: Qual'è il fine dell' uomo ? Egli è certo che , ove il primo si risolva nell'affermare che tutte le nostre idee e cognizioni, senza alcuna eccezione, procedono dalle sensazioni, e che non si può dare scienza di ciò che giace oltre i confini de'sensi ; l'altro è mestieri che si risolva in questo enuncialo correlativo: L'uomo non può avere altro fine alla sua volontà che l'evitamcn- to de'dolori, ed il conseguimento della maggior som- ma possibile de'piaceri : conciossiachè il principio una volta posto, che nulla vi abbia per V uomo se non ciò che viene pe'sensi, egli è manifesto che per l'uo- mo non vi hanno altri motivi delle sue azioni, in fuo- ri de'suoi piaceri e de' suoi dolori. E che cosa sarà Umane conoscenze i/q pel sensista il diritto ? che cosa il dovere ? che cosa la società ? che cosa il progresso morale ? Il diritto non è già la formola de' rapporti immutabili che hanno gli esseri morali tra loro, e col loro fine su- premo ed immutabile, ma è la forma teorica e pra- tica di ciò che è utile : ed il dovere non è già l'ob- bligazione originaria dell'uomo, di conformare la sua volontà e le sue azioni al diritto , ma è una cosa stessa coir interesse personale : e la società umana non è già un risultato necessario de'suddetti rapporti che gli esseri morali hanno in tra loro, ed il fine di essa non è già la realizzazione del diritto immuta- bile; ma ella è il risultato di un patto libero degli uomini, patto distruttibile quantunque volte una for- za costituita da una pluralità d'individui valga a di- struggerlo. Il progresso umanitario non è già l'evo- luzione provvideuziale delle leggi immutabili che co- stituiscono il mondo morale , ma è il sovvertimento arbitrario e passionato degli stati effettuato per co- spirazioni. Che cosa è la legge per questa filosofia? La norma della utilità pubblica, non già la conformi- tà degli ordini civili al diritto. E che cosa è l'utili- tà ? L'evitamento del dolore ed il conseguimento del piacere. Il Bentham afferma : Quando si dice che la legge non può essere in contraddizione col dirit- to naturale^ la parola diritto è impiegata in un senso superiore alla legge-, e si riconosce un di- ritto che impugna la legge ^ la rovescia e V an- nulla. In questo senso antilegale la parola dirit- to è il pili grande nemico della ragione ^ ed il pia terribile distruttore de''goi'erìd .... Jl diritto pro- priamente detto è la creatura della legge pro- priamente detta; e le leggi reali danno nascimen- i5o S e I È N z i: to ai diritti reali .... La legge crea i delitti^ se* concio questo scrittore; e per essa solamente poten-^ dovi essere delitto od innocenza, egli è certo che an* teriormente alla dichiarazione della legge, non vi ha né proprietà, nò ohhligazione, né delitto , nò giusto né ingiusto. Le parole diritto ed obbligazione^ dice il Bentham, hanno elevato densi vapori^ dai quali è stata intercetta la luce : non si è conosciuta la loro origine^ e lo spirito si è perduto nelle astra-^ zioni ; ed è stato ragionato sopra di queste pa^* role come sopra esseri eterni che non nascono dalla legge^ e che per contrario danno nascimene to alla legge : non si sono considerati come pro- duzioni della volontà del legislatore, ma come la produzione di un diritto chimerico^ di un dirit-^ to delle genti, di un diritto della natura. Queste dottrine del Bentham sono un complesso di conse* guenze necessarie provenienti dal principio della scuo- la sensista. Che cosa sarà per questa scuola l'ordine politico interiore degli stati ? Se la legge è la crea- tura della volontà, la volontà costituirà la sovranità. E presso chi risiederà questa volontà sovrana ? Due soluzioni opposte di questo prohlema procedettero dal falso principio posto, cioè che la legge sia la volon- tà. E queste due soluzioni opposte stahilirono le due teoriche della sovranità de' re e della sovranità del popolo. Ma queste due teoriche, comechè opposte tra loro, procedono da un medesimo principio falso; laon- de sono egualmente false e funeste; e rovesciano in- teramente le idee dell'ordine morale. La volontà di chicchessia non è la legge , ma è il soggetto della legge; sempre il soggetto e la legge sono l'espressione o la determinazione della ragione immutabile, per la tllWANfe CONOSCENZE l5l ttnalc le cose sono ed hanno tra loro determinati ed immutabili rapporti , ed i quali la rappresenta- no. E questa ragione immutabile, clie in questo mo- do è concepita nella sua sfera universale, applican- dosi entro i termini dell' ordine sociale o naziona- le, costituisce quello che abbiamo appellato diritto : dal quale sì debbono dedurre tutte le idee degli ele- menti legali in una maniera opposita a quella indi- cata dal Bentham. La teorica che dà per legge la vo- lontà qualunque de're, stabilisce il dispotismo illega- le e conculca la morale : e la teorica che dà per leg- ge la volontà qualunque del popolo, stabilisce il di- spotismo popolare, ed offende egualmente la morale. L'una e l'altra teorica è falsa, e poggiano entrambe su di uno scambio d'idee ; conciossiachè la legge è la regola, e la volontà la cosa da regolarsi ; e ciò è assolutamente lo stesso, qualunque sia la costituzione o forma dì uno stato. Questa falsa teorica del potere politico è essa pure una conseguenza necessaria del sensismo ; al quale è impossibile rimontare all' idea di un ordine morale immutabile. Per contrario la dot- trina del potere, nel modo che viene qui da noi in- dicata, è eminentemente conforme al principio reli- gioso del cristianesimo. Che cosa poteva essere la scien- za per questa fdosofia ? Noi già il vedemmo superior- mente : ciò non dì meno da alcuni venne asserito , che l'età, la quale vide predominare la fdosofia sensi- sta, fu l'età dì grandi progressi per le scienze natu- rali. La quale sentenza a noi pare eminentemente er- ronea. E di vero, il metodo desunto dalla psicologia sensista ed applicato allo studio della natura, può rea- lizzare la scienza della natura in tutte le sue parli costitutive ? La scienza della natura è la scienza de' i5a Scienze fenomeni dì essa, delle loro cause e delle loro leggi. In quest'opera a che valgono i sensi ? per certo ad osservare e fissare i fenomeni : ma clii dirigerà i sensi nell'osservare e nello sperimentare le cose naturali ? Le cause de'fenomeni e le loro leggi immutabili so- no oggetti dominabili dai sensi ? I sensi non posso- no informarci che della successione delle cose : ma altra cosa è il determinare la successione apparente de'fenomeni, ed altra cosa è il determinare le cause e le leggi produttive della successione medesima. Le cause, gli elementi, le leggi delle cose naturali sono oggetti che trascendono i sensi; e senza la cognizio- ne delle cause non vi ha scienza. In che maniera i sensi ci recherebbero a discoprire le leggi della na- tura ? Una legge rispetto alle cose particolari è il rap- porto necessario ed immutabile di procedenza e sus- seguenza dall'effetto alla causa, e viceversa. In qual maniera lo spirito umano, dotato di soli sensi, con- cepirebbe un rapporto necessario ed immutabile ? La chimica pe'suoi progressi ricevuti in questo tempo fu portata a cielo : ma la chimica come scienza, nel ve- ro senso di questa parola , fece veramente qualche progresso pe'metodi che le forniva il sensismo ? Ella ha progredito per la invenzione analitica de'fatti ; e queste scoperte, non può negarsi, furono maraviglio- se : ma in quanto alla costituzione scientifica della dottrina delle composizioni e decomposizione de' cor- pi, di che possiamo noi vantare il tempo trascorso , mentre oggi solo vediamo la chimica, ripiegata sulle proprie conquiste sperimentali, cominciare a prende- re la forma di vera scienza ? La fisica matematica aveva avuto il suo fondatore prima che il sensismo trionfasse : e Newton non è certamente sensista o em- Umane conoscenze i53 pirico, poicliè egli h clùaro a chi lo legge ed inten- de, come egli si parla nelle sue speculazioni da'prin- pii universali ed ontologici. Bene fu denominata sto- ria naturale la cognizione degli esseri viventi : per- chè i grandi e raaravigliosi progressi che ahbiamo fat- ti, durante il dominio del sensismo, non si risolvono in altro che nella cognizione storica de'fenomeni. Ma la storia de' fenomeni degli esseri viventi non è la scienza de'medesimi: se riguardiamo la teorica de'fe- nomeni della vita prevalsa in questo tempo, noi ri- troviamo che in ciò non si fece altro che applicare la dottrina della sensazione ai fenomeni di ogni al- tra funzione della vita ; e sostituendosi alla paro- la sensibilità la parola eccitabilità, si venne riguar- dando la vita siccome la conoscenza, quale uno sta- to sforzato, risultante dalle sole impressioni esterne, E cosi si falsò per intero la idea vera della vita: e si venne insegnando una teorica novella ; la quale dichiarandosi espressamente opposta ai pensamenti di tutti i grandi medici che avevano innanzi fiorito, e le dottrine di questi rovesciando, ed i nuovi medici persuadendo al disprezzo de'nostri maggiori, additan- doli siccome coloro che pieni di pregiudizi e di gros- sa ignoranza nulla avevano saputo intendere del ma- gistero della vita, pretendeva fax'e ragione de'fenome- ni de'corpi viventi, considerati nello stato sano e nel morboso, con sì stupenda facilità d'insegnamento che tutta la scienza della medicina, si ardua e si diffìci- le reputata dagli antichi, interamente i-accoglieva in una semplicissima formola di dinamica. La quale di- rigendo poi 1' arte clinica , ignara di tutti i pratici insegnamenti dell'antichità screditati dalla novella teo- rica, quella diveniva, non conoscendo le forze reat- i54 Scienze tive e medlcatrici della vita , e queste il più spesso opprimendo e distruggendo, piuttostocbè un magiste- ro salutare, un'arte omicida. Che cosa potevano es- sere in questa epoca le arti belle? Il pensiero, il sen- timento ed i costumi dell'uomo sono grandi, ove so- no grandi gli oggetti di lui. Qual grandezza poteva trovarsi nel pensiero nel sentimento e ne' costumi di uomini, i quali non credevano alla reaKtà di niuna cosa che è al di là de'sensi? Mendeville sostiene l'u- tilità del vizio ; e La Rocliefoucauld non crede alla virtù. Elvezio ha solo in veduta la voluttà personale come scopo della morale , ed annichila l'uomo alla tomba. Il calcolo dell'interesse personale è il fonda- mento e la ragione de'costurai, de'sentimenti e di tut- te le umane azioni. Le belle arti dunque dovevano essere piccole e mescliine: conciossiacliò ove la forma del pensiero e del sentimento e de'costumi manca di grandezza, le belle arti sono pure senza grandezza, o, il che è lo stesso, le belle arti non possono essere. In fine che era la religione, di cui niuna cosa può più elevare a dignità la natura umana, in faccia alla fi- losofia sensista? Se l'uomo non ha che i sensi, per lui non vi possono essere che gli oggetti sensibili: e Dio, la vita avvenire, e la provvidenza non possono essere pel sensista che fole da romanzi. E questo tem- po fu veramente il tempo degli atei: imperocché (co- me osserva Stewart) V ultima conseguenza logica del sensismo è di spandere il dubbio o l'incr-edulita^ dommatica sopra l'esistenza di uno spirito divino ^ sopra quella di ogni altro spirito- e sopra qualun- que altra cosa , eccetto sopra le nostre proprie impressioni e sopra le nostre idee. Ma della scuola sensista, de'suoi principii, e delle sue inevitabili con- Umane conoscenze i55 seguenze, abbastanza si è detto; or ne rimane a dire alcun che intorno ai progressi od ai mutamenti che intervennero nel regno della filosofia, dopo che il sen- sismo ebbe trionfato de'sistemi filosofici che lo avevano preceduto. §. XXV. Fondamento della filosofia scozzese. Alla scuola razionalista del Cartesio, la quale sostenne essere innata nella mente umana e del tutto anteriore ai dati della sperienza l'idea dell'essere as- soluto ed infinito, era succeduta la scuola empirica. Al trionfo della quale non furono di bastevole im- pedimento ne il razionalismo ipotetico concepito nel vasto e profondo ingegno del Leibnizio , ne quello del Malebrancbio. Ma la scuola empirica, pervenuta alle estreme sue conseguenze per opera di David Hume e del Berckley , determinò in fine contro se stessa una possente reazione; dalla quale venne aperta alla filosofia una carriera novella. David Hume, partendosi dal principio che nulla vi abbia nella cognizione che non sia venuto pe'sensi, giunse a dimostrare rigorosa- mente, essere l'uomo privo della idea della causalità; a negare l'esistenza di una legge che governa la suc- cessione de'fenomeni della natura , e ad impugnare la possibilità di dimostrare l'esistenza di Dio. E nello stesso tempo egli dichiarava impossibile la dimostra- zione della esistenza degli oggetti delle nostre sensa- zioni e delle nostre affezioni. Ed il Berckley , insi- stendo specialmente sopra di questa ultima conseguen- za, perviene di poi o contemporaneamente a dichia- i56 Scienze rare la filosofia , se così sì può cliiamare , del puro idealismo: nella quale egli dà per impossibile l'esi- stenza della materia. Or queste dottrine scettiche, le quali piuttosto che costituii-e uà sistema filosofico , tolgono la condizione alla esistenza di qualunque fi- losofia, sono tutte conseguenze legittime del princì- pio della scuola sperimentale; e l'assurdità delle me- desime diede da ultimo origine a due scuole filo- sofiche novelle, destinate a distruggere il fondamento di quella , cioè alla scuola scozzese che ebbe a suo fondatore il lleid , ed alla scuola alemanna fondala dal Kant. Il Reid adunque, considerando la forza irre- sistibile delle conseguenze soprascritte dell'Hume, co- minciò a dubitare della verità del principio della scuola empirica da cui discendevano ; e ritirandosi j per così dire, nella coscienza di se stesso, e'vide che, oltre le sensazioni , erano nello spirito umano al- tri dati , i quali non sono forniti dai sensi , ne si potevano colle sensazioni conlondere. Così il Reid imprende ad analizzare nuovamente e senza pregiu- dizi le facoltà dello spirito umano nelle loro ope- razioni e ne' loro prodotti, ed intende a fissarne le leggi pi-imitive ed immutabili. Queste leggi sono dal Reid chiamate fatti primordiali dello spirito umano; e sono perciò stesso da lui dichiarate inesplicabili. Pertanto una di queste leggi si risolve pel Reid ia una irresistibile e primitiva credenza dello spirito u- mano alla reale esistenza degli oggetti esterni che ci appariscono nella percezione : ed un'altra nella uni- versale primitiva ed irresistibile credenza del genere umano alla immutabilità delle leggi che reggono il corso degli avvenimenti sì fisici e sì morali. Colla prima legge , riconosciuta come principio costitutivo Umane conoscenze iSy dello spirito umano, il Reid rovesciava tutto il fon- damento della teorica ideale della scuola empirica : nella quale consiste il primo errore della medesima, e la quale si enuncia cosi : Niente può essere per- cepito dallo spirito- se non esiste nello spirito che lo percepisce. Or quando la filosofia muove da que- sto principio, ella porta necessariamente in se queste altre conseguenze, cioè : Noi non percipiamo real- mente le ccse esterne^ ma solamente le vane im- magini e rappresentazioni di questi oggetti im- presse sopra il nostro spirito- e chiamate impres- sioni o idee. Noi, dice il Berckley, non percepia- mo altra cosa in fuori delle nostre percezioni e delle nostre idee. Ed egli è evidente a tutti co- loro che considerano ";li ossretti delle umane co- noscenze, che questi sono idee o impresse attual- mente sopra i sensi , o percepite per mezzo di una attenzione diretta sopra le passioni ed ope - razioni dello spirito , od infine formate col soc- corso della memoria e della immaginazione , la quale compone^ divide o rappresenta esattamente le idee originariamente percepite nelVuna o nel- Valtra maniera sopraddette. Che cosa è la luce, che cosa sono i vari colori, che cosa è V estensio- ne e la figura^ che cosa tutti gli oggetti che noi veggiamo o sentiamo, se non tante sensazioni, idee o impressioni fatte sopra i nostri sensi ? E egli possibile, anche nel pensiero, di separarne alcu- ne dalle stesse percezioni ? Un tal tentativo non si ridurrebbe nel voler separare una cosa da sé stessa ? Così il Berckley. Questa dottrina intoiuio alle idee fu identica a tutte le scuole empiriche. Di fatto il Locke dice : Poiché lo spirito in tutti i suoi i58 S e I E N a E pensieri ed in tatti i suoi ragionamenti non ha altro oggetto immediato in fuori delle sue pro- prie idee^ che egli contempla o può contemplare y egli è eifidente che noi non possiamo conoscere che le medesime. Il principio di Hume relativo alla teorica ideale è identico a quello di Locke; e ben- ché esposto sotto novella forma, pure enuncia la me- desima dottrina con maggior concisione : poiché egli dice: Tutte le nostre idee non sono che copie del- le nostre impressioni', o, in altri termini , egli ci è impossibile di pensare ad una cosa se prima non Vahhiamo sentita^ sia per lo mezzo dé'ìiostri sensi esterni^ sia per lo mezzo del senso intimo. Ed Hume, conseguente a questo principio, ha riget- tato ogni credenza non solo alla esistenza del mon- do materiale, ma dello spirito umano e di ogni al- tra cosa che non sia le impressioni o le idee. E ve- demmo come nel sensualismo del Condillac questa falsa teorica delle idee ( la quale pone il fondamenta dell'idealismo, siccome altrove notammo ) sia con più chiarezza enunciata , poiché questo scrittore dice : L'uomo^ sia che si sollevi col pensiero insino al cielo ^ sia che discenda negli abissi^ esso non può escire da so stesso giammai Noi non perei- piamo altra cosa che il nostro pensiero. Rcid adun- que contro il fondamento della filosofia empirica, e contro le soprascritte conseguenze assurde che discen- dono inevilahiimente da quello, invoca la sana ragio- ne del genere umano; la quale presenta come l'ul- timo stendardo della verità, ossia come le leggi fon- damentali della nostra credenza, manifestate in tutte le età ed in tutti i luoghi dalla condotta generale dell' uomo; e sotto l'impero delle quali ricade neces- / Umane conoscenze iSg sarlamente il filosofo scettico nel momento che egli abbandona la solitudine del gabinetto. E da ciò egli è chiaro che il Reid non opponeva, come a taluno è sembrato, alle speculazioni fdosofiche il pregiudi- zio volgare; ma bensì egli opponeva i principi! con- stitutivi dell'intendimento umano alle asserzioni gra- tuite della scuola sensista. E si noti che pel Reid il principio costitutivo della natura umana, il quale pro- duce r irresistibile credenza alla reale esistenza del mondo esterno , non è già una deduzione di ragio- namento, ma un istinto, un fatto primitivo ed indi- mostrabile della mente umana. Più tardi venne Du- gald Stewart, illustre seguitatore della scuola scozze- se fondata dal Reid. Al quale, comechè le discussio- ni del Reid, suo antesignano, sembrassero incontra- stabili, pure non reputò che le verità da lui addita- te contro la scuola empirica fossero stabilite con tutto Io sviluppamento ed esattezza che si poteva deside- rare. E si sforzò questo scrittore di risolvere in po- chi od in un solo pincipio i molti principi! primi- tivi ed indimostrabili, che al Reid era sembrato esi- stere nella mente umana. Stewart, fra le altre cose, portò opinione, che il principio della credenza irre- sistibile alla reale esistenza degli oggetti delle nostre percezioni s'identificasse col principio della credenza universale del genere umano alla stabilità dell'ordi- ne della natura. Tutti i nostri ragionamenti fisici ( egli dice, siccome riferimmo di sopra ), tutte le os^ seriazioni che noi possiamo fare sopra il corso degli avvenimenti^ ed i quali servono di base al- la previsione o sagacità , suppongono in noi la credenza che Vordine delle cose si manterrà nel^ Vavvenire conforme a quello che abbiamo osser- l6o S e I E N Z K vato nel passato. Questo fatto è così chiaro per sé stesso, che non ha bisogno di essere confer- mato da ninno esempio. Ciò per altro che non è egualmente evidente si è la maniera con cui que- sta credenza si stabilisce tantosto nel nostro spi- rito. Hume la spiega per mezzo delV associazio- ne delle idee^ in virtù della quale , dopo essere stati testimoni di due fatti costantemente uniti^noi presumiamo il secondo tutte le volte che ci ac- cada di vedere il primo. Ciò non di meno una obbiezione grave s'innalza subito contro una tale teorica : imperocché una sola esperienza ne vale dieci mila per determinare in noi una fede invin- cibile alla simiglianza de' risultati in tutte le cir- costanze pari. Quando uti filosofo ripete una espe- rienza pei- meglio stabilire la certezza che c^U ricerca, non è già che esso dubiti che le mede- sime condizioni non debbano riprodurre i mede- sim,i fenomeni : egli teme solamente di non aver dato uri attenzione sufficiente alle circostanze di- verse che accompagnarono il primo saggio. E se una seconda esperienza gli presenta insultati dif- ferenti, lungi dal sospettare un cambiamento nelle leggi della natura, egli conclude piuttosto, senza esitare, che le circostanze, nelle quali queste due esperienze sono state fatte , non erano punto esat- tamente le stesse. Campbell pretende, clie l'esperien- za o la disposizione dello spirito ad associare le idee sotto la nozione di causa e di effetto, non è giam- mai sviluppata da un solo esempio. Ed egli ammette nel medesimo tempo che solo in conseguenza del ra- gionamento analogico i fisici considerano una sola esperienza bea fatta, come decisiva per una teorica. Umane conoscenze i6i Ora egli è evidente clie , ammessa questa supposi- zione, i fanciulli ed il popolo avrebbero bisogno di vedere due fenomeni spesso uniti, prima di poter ve- dere la relazione di causa e di effetto che esiste tra essi. Per contrario egli è un fatto che gli uomini sen- za esperienza sono sempre portati a supporre un le- game costante , anche allora che essi ravvisano una connessione puramente fortuita : a tal che sono per modo persuasi che ogni cambiamento dipende da una causa, e sì solleciti a discoprirla, che scelgono il fatto che precede immediatamente per riposarvi la loro cu- riosità. E non è che la esperienza, che corregga in loro questa disposizione, insegnando ai medesimi di mettere maggiore riserva nella ricerca delle leggi che formano l'ordine dell'universo. Pej' tutte queste cose adunque (soggiunge Siedavi) appare ei>idente^ che la nostra credenza nella stabilità delle lessi del- la natura non sia il prodotto ne della associa- zione delle idee, né di alcun altro principio dato dalla sola esperienza; ed Hume ha provato colla maggiore evidenza possibile che ella non può es- sere spiegata con nessun ragionamento a priori. Noi siamo dunque forzati di vedere in questo fat- to una legge primitiva della nostra credenza^ al- meno sino a tanto che non se ne possa dare un! analisi più soddisfacente di tutte quelle che ab- biamo avuto fin qui, Stewart adunque reputando che la nostra convinzione dell'esistenza reale e per- manente della materia non sia più che un caso par- ticolare della sopraddetta legge generale, per cui noi irresistibilmente crediamo ad un ordine immutahile nella successione delle cose, stimava di dare alla fi- losofia del Reid maggiore unità , maggior chiareisza G.A.T.LXXXIX. Il 162 Scienze e maggiore concisione. In questi termini si arrestò la scuola scozzese: e dentro questi termini, che ella non osò oltrepassare, ella pur trionfava pienamente della scuola empirica ; poiché ella poneva in piena luce, contro alla suddetta scuola, l'esistenza di elementi nel- la cognizione che non si possono far derivare dalla esperienza. Ciò non pertanto e' si può dire, che i fi- losofi scozzesi non pervennero a riconoscere l'ultimo fondamento della conoscenza; né videro che per lo spirito umano vi sono due categorie distinte di og- getti, gli sperimentali e gl'intelligibili; non videro l'e- sistenza originaria nello spirito umano delle nozioni relative a questi ultimi oggetti ; e non rimontarono al principio supremo della generazione delle nostre idee. Per il che vennero confondendo in uno due cose diverse; e dicluararono fatto primitivo della men- te umana ciò che è in essa una vera nozione de- dotta. Conciossiacosaché, per tutte le cose da noi so- praesposte, egli apparisce che la nostra credenza all' ordine immutabile delle cose è una nozione distinta dal fatto della nostra convinzione della esistenza de- gli oggetti, siano sperimentali siano intelligil)ili. Que- sto è una legge o una convinzione originaria dello spirito umano, e non una nozione, siccome altrove notammo; e quella è una nozione , e non un fatto istintivo o primordiale ed inesplicabile dello spirito: poiché, siccome abbiamo altrove veduto, questo con- cetto della stabilità della successione delle cose si deriva dalla nozione primitiva che noi abbiamo della esistenza intelligibile degli elementi immutabili e delle immutabili loro forze; per le quali, tutte le cose pro- dotte e contingenti, che ci sono offerte dalla espe- rienza, nascono e si sviluppano con rapporti immu- Umane conoscenze i63 labili. Tultavolta il merito della filosofia scozzese ò grande; e grandissimi furono i beneficii da essa re- cati alla restaurazione del senso comune del genere umano; dal quale quanto si dilungasse la setta em- pirica, e le assurde e rivoltanti conseguenze di che essa era gravida, già superiormente abbiamo mostra- to. Or qui passeremo a dichiarare con brevità il fon- damento di quella filosofia, con cui la Germania, col ministero di Emanuele Kant, reagì contro quella me- desima scuola , la quale era stata combattuta dalla scozzese. §. XXVI. Fondamento e forma della filosofia del Kant^ Le conseguenze assurde della scuola empirica , contrarianti le più ferme convinzioni della coscienza del genere umano, inducevano il filosofo di Kaenis- berga a riproporre a se stesso il grande problema : QuaVè Vovigine delle umane cognizioni ? Innanzi tratto parve al Kant di dovere distinguere nella co- noscenza due cose tra loro differenti ; cioè , il suo contenuto, ed il modo o la maniera con cui si riu- nisce il vario del contenuto; nel che consiste la for- ma della conoscenza. Il contenuto o la materia della umana cognizione è esso innato nello spirito umano? ovvero è esso tratto dalla esperienza ? Kant stimava di potere stabilire, che le cognizioni dell'uomo, rispet- to al loro contenuto, provengono sempre dalla espe- rienza ; ma che , per rispetto alla loro forma , esse procedono onninamente dalle disposizioni e leggi del- la spifito umano. Queste leggi, da cui i dati forniti l64 S e I E N Z E dalla esperienza ricevono la loro forma e si costitui- scono in cognizioni od idee , sono anteriori in esi- stenza a qualunque dato della esperienza ; il quale è sempre accidentale. La facoltà di conoscere è co- stituita, secondo il Kant, dalla sensibilità e dall'in- tendimento, ossia dalla recettività e dalla spontanei- tà. Le sensazioni sono l'elemento materiale della sen- sibilità: lo spazio ed il tempo ne sono gli elementi formali. Lo spazio ed il tempo, secondo il Kant, non sono che in noi , e sono in noi a priori , siccome forme delle nostre percezioni sensibili. L' intendi- mento raccoglie i materiali forniti dalla sensibilità per imporre ai medesimi nozioni e giudizi; e le leggi se- condo le quali esso opera in questa maniera , indi- pendenti e trascendenti l'esperienza, sono le quattro forme originarie dell'intendimento: le quali aggiunte alle suddette due forme della intuizione sensibile (tem- po e spazio ) costituiscono i principli formali dell' in- tendimento puro. Questi principii determinano la co- noscenza, applicandosi alla materia fornita dalla es- perienza sensibile; ed in loro stessi essi sono asso- lutamente indipendenti dal loro oggetto fenomenale. In conseguenza di queste cose il Kant venne di- stinguendo due ordini di cognizioni, cioè delle em- piriche e delle razionali. Le cognizioni razionali so- no per lui quelle , il cui oggetto viene costituito dai principii formali sopraddetti, spogliati da ogni ele- mento materiale. L'uomo non può spogliarsi a pia- cere di questi principii formali della conoscenza e costitutivi del suo intendimento puro, conciossiachè gli è mestieri regolarsi con essi in ogni suo pensie- ro universalmente. Da ciò le cognizioni relative allo studio di questi principii hanno per loro carattere Umane conoscenze i65 ìa necessità e la universalità; e:l in ciò quest'ordine (li cognizioni si distingue dalle cognizioni empiriche, le quali mancano di questo carattere. La metafisica versa intorno alla conoscenza di questi principii formali : il percliè dal Kant essa venne enunciata col titolo di Critica della ragione pura : significando egli colla parola ragione il complesso de'principii for- mali astratti da ogni contenuto empirico. Ora le for- me necessarie ed universali dell'intendimento, o i principii formali della ragion pura, sono dal Kant or- dinati secondo la tavola seguente : Quantità : unità, pluralità, totalità. Qualità : realità, negazione, limitazione. Relazione : sostanza, causa, reciprocità. Modalità : possibilità, esistenza, necessità. Pensare e giudicare sono pel Kant una medesima cosa; e qualunque nozione contiene una forma par- ticolare di giudizio sopra gli oggetti. E vi ha quat- tro principali generi di giudizi , tratti tutti dalle quattro forme soprindicate di principii formali dell' intendimento puro ; le quali costituiscono le quat- tro funzioni possibili del medesimo. E ciascuno di questi quattro generi di giudizi ne contiene tre spe- cie. Di modo che, per ciò che concerne la quantità, i giudizi sono o singolari o particolari, o universali; conciossiachè ogni cosa considerata come quantità è o un singolare, o un plurale, od un tutto : i quali tre elementi di conoscenza sono pel Kant originari e non avventizi o sperimentali. E similmente, per ciò che riguarda la qualità, i giudizi sono o affermativi o negativi o infiniti : avvegnaché qualunque cosa da- j66 Scienze ta e posta sotto il principio formale di qualità, vie^ ne dallo spirito o affermata, o negata o limitata : e Io spirito, secondo il filosofo di cui esponiamo la dot- trina, non può ne affermare, ne negare, né limitare, ove non abbia antecedentemente in se i concetti del- l'affermazione o realità, della negazione o privazione e della limitazione. E rispetto alla relazione, i giu- dizi sono o categorici, o problematici, o disgiuntivi. I primi sono quelli, in cui il predicato si riferisce al soggetto assolutamente senza alcuna condizione : i se- condi sono quelli, ne'quali, posta la Verità di una co- sa, si asserisce che debba essere vera anche l'altra j ed i terzi sono quelli, in cui al soggetto si attribui- sce uno fra un certo numero di attributi , ma non si determina quale. In line sotto il principio forma- le della modalità, i giudizi sono o problematici , o assertori, o apodittici; e tali giudizi contengono ele- menti originari della ragione pura ; perchè, secondo il Kant, l'idea del possibile, dell'esistente, e del ne- cessario sono idee a priori: e queste idee o concetti sono necessari per formare i giudizi di modalità. I concetti di unità, di pluralità e di totalità, di reali- tà, di privazione e di limitazione; di sostanza ed ac- cidente, di causa ed effetto, di commercio; di possi- bilità ed impossibilità, di esistenza e non esistenza, di necessità e contingenza , sono dunque pel Kant gli elementi originari o a priori della ragion pura. E questi dodici concetti sono i principii formali di tutte le nostre conoscenze: essi nella critica della ragion pura sono i materiali delle nostre cognizio- ni metafisiche. I quali materiali non essendo dati dalla esperienza, ed avendo in noi la loro originaria esi- stenza, sono necessari ed universali; e non potendo Umane conoscenze 167 noi spogliarci giammai di essi, pei-ciò in ogni giudizio o concetto empirico i medesimi entrano siccome ele- menti essenziali. Inoltre, a questi principii di cui con- sta la ragion pura, Kant aggiunge, siccome notammo qui sopra, le due forme originarie ed universali della sensibilità, cioè lo spazio ed il tempo. L'idea dello spazio, dice il Kant , è una idea pura, perchè essa non ha origine dalla sensazione , ma per contrario tutti i fenomeni, in quanto vengono alla nostra co- noscenza, la suppongono. E questa idea non può es- sere formata per astrazione, come alcuni pretesero : conciossiachè l'idea dello spazio non è una idea ge- nerale, ma è una idea particolare ; la quale ne'dati empirici non è contenuta , e ciò non di meno ad ogni dato empirico, in quanto viene alla nostra co- noscenza, ella è inseparabilmente congiunta. Così, pel Kant, l'idea dello spazio è una forma fondamentale e subbie tti va, sotto la quale universalmente percipia- mo i fenomeni. In simigliante maniera il Kant ra- giona relativamente alla idea del tempo. Molti av- vertirono che l'idea del tempo non aveva alcuna ras- somiglianza colle nostre sensazioni , e che per con- seguente ella non poteva essere derivata nò mediata- mente ne dirittamente dalla sensazione. Però egli è certo che questa idea è inseparabile da ogni percezio- ne sensibile, non che da ogni atto della memoria re- lativamente agli avvenimenti passati. Kant adunque dice: L'idea del tempo non nasce dai sensi, ma è sup- posta dai sensi : dunque questa idea non è empiri- ca, ma pura : ed inoltre questa idea, come quella del- lo spazio, è particolare e non generale : conciossiachè egli non è possibile concepire un certo tempo dato, se non come una parte di un solo ed immenso tut- i68 Scienze to : altra prova dell'anteriorità di questa idea ai dati empirici. Così queste due idee dello spazio e del tem- po essendo inerenti a tutti i nostri concetti empiri- ci, e non procedendo dai dati della sperienza, forza è che siano trascendentali, e che costituiscano le due forme universali della facoltà empirica, sotto le qua- li necessariamente si conformano tutte le intuizioni empiriche. I prodotti della facoltà empirica si chiama- no dal Kant intuizioni o visioni; ma queste intuizioni, comechè vestite delle due forme universali della sensi- bilità, lo spazio ed il tempo, non sono ancora quelle nozioni le quali sono gli elementi del giudizio : con- ciossiachè per divenir tali è bisogno dell'azione dell' intelletto puro, il quale eleva le intuizioni suddette a concetti, nell'atto che le compenetra con gli elementi formali che costituiscono nel loro complesso la ragione pura, siccome notammo di sopi-a. Ma qual'è Tullimo risultato di questa dottrina del Kant ? Noi non co- nosciamo alcuna cosa in se stessa, ina solamente i fenomeni. Tutto ciò che noi percepiamo o conce- piamo, secondo le leggi della nostra natura, non ha che un valore subbieltivo. Kant adunque nega l'esi- stenza nello spirito umano di quella legge fondamen- tale, per cui il genere umano non può, senza con- traddire a se stesso, non credere all'essere reale delle cose, le quali egli percepisce o concepisce secondo le leggi della sua mente : nel che sta , siccome di- chiarammo, il supremo criterio del vero, o a meglio dire la essenza di ogni vero. In somma il Kant, ben- ché fino analista della costituzione dello spirito umano, non ha in esso veduto che ad esso è impossibile di rompere la relazione necessaria di questi due termi- Umane conoscenze 169 ni, l'ideale ed il reale : la quale relazione tolta, que* due termini dispariscono, poicliè rispetto alla mente essi sono condizione e condizionato a vicenda 1' una dell' altro. Da ciò egli appare, come questa filosofia kantiana sia veramente in sé un idealismo trascen- dentale ; e come ella dopo la dottrina della scuola scozzese costituisca , nel mondo filosofico , un vero passo retrogrado nella soluzione dell'importante pro- blema dello scibile umano. Secondo il Kant, noi nul- la sappiamo se le nostre idee abbiano un termine corrispondente nel dominio della realità, quantunque il nostro spirito si porti con instancabili sforzi verso la conoscenza di Dio, del mondo, della libertà mo- rale ; e sebbene tutta l'opera e lo scopo della meta- fisica si siano in tutti i tempi consumati intorno a simili problemi. Il Kant dicliiara inoltre, che la ra- gione filosofica non può fare alcun uso dogmatico de' suoi principii costitutivi o formali , ove non voglia invilupparsi in un dedalo di contraddizioni; ed im- prende a provare questa tesi scettica nella maniera più seria per lo mezzo di una critica delle prove al- legate da'filosofi in favore della sostanzialità e della immortalità dell'anima, della esistenza del mondo e di Dio, I quali tre oggetti del pensiero, pel filosofo che confutiamo, sono rappresentazioni subbiettive, a cui nulla sappiamo se corrispondano realità sussisten- ti : conciossiachè egli sostiene l'impossibilità di dimo- strare la realità di questi oggetti, e sostiene non es- sere meno impossibile di dimostrare la loro non esi- stenza. Molti furono i filosofi , i quali alle leggi o principii formali della mente umana attribuirono un valore da riguardarli siccome mezzi della conoscenza delle cose in loro, talché si accordino colle cose stes- 1^0 Scienze se; e per modo che a queste conviene la medesima verità che ai prìncipii formali. Altri filosofi non ri- guardarono i principii formali, se non come produ- zioni dello spirito umano , a cui nulla corrisponde nella realità. Il primo sistema si chiamò il realismo, ed il secondo l' idealismo. Kant non si dichiara ne pel primo ne pel secondo ; ed in questo è la vera originalità di lui. Secondo questo scrittore, i princi- pii formali dello spirito umano sono veramente pro- duzioni necessarie della sua natura essenziale, ma essi non hanno per l'uomo che un puro valore suhbiet- tivo; a tal che rimane incerto se essi si accordino o no colla vera natura delle cose : o, in altre parole, il Kant parte dai fenomeni, e si arresta ne'fenomeni senza andar oltre : e lo spirito stesso è a sé stesso un fenomeno; e per riguardo alia realità e dello spi- rito, e del mondo, e di Dio , egli ci lascia in una assoluta incertezza. §. XXVII. Seguita il medesimo soggetto. Della dottrina del Fichte. Fondamento della filosofia di Schelling. E dopo avere il Kant considerato la ragione teo- retica, separandola (per meglio analizzarla in se stes- sa) da'suoi oggetti e rendendola pura: e dopo avere in siffatto modo diviso per sempre la ontologia dalla psicologia; essendosi da se stesso incarcerato nel sub- bìettivo, e non sapendo e non potendo più riguardare colla ragione teoretica niun oggetto che fenomeno non fosse; egli, forse infastidito del suo carcere, tenta di escirne , attribuendo alla ragione pratica quel va- Umane conoscenze i^t ìore ontologico che egli aveva negato alla ragione teoretica. La ragion pratica è pel Kant la ragione in quanto considera il nostro libero arbitrio in relazione alle idee del diritto e del dovere. Lo sviluppamento delle nozioni di dovere e di volontà bene ordinate, e nelle quali la ragion connine del genere umano fa consistere sopra tutto il valore della nostra natura, condusse il Kant ad ammettere conoscenze pratiche a priori; le quali determinano per noi, non ciò che è, ma ciò che debbe essere. La ragione pratica è au- tonoma: cioè a dire, ella non dipende che dalla sua propria legge, e presuppone la libertà come sua con- dizione necessaria. La legge morale s'innalza al di sopra del libero arbitrio, di cui la nostra volontà è dotata nell'ordine contingente, e si presenta alla me- desima con titolo imperativo categorico. In ciò Kant fa consistere il fondamento della filosofia pratica; av- vegnaché la suddetta legge , in quanto è la regola universale dì ogni volontà ragionevole, costituisce una legislazione universale assolutamente obbligatoi'ia. Per la qual cosa ella dà alle nostre azioni un fine su- premo ed assoluto , ed un motivo determinante ; il quale non è un sentimento od un fenomeno affet- tivo e passionato, ma è il puro rispetto della legge. La moralità dunque, secondo il Kant, non è la fe- licità; ma ella contiene implicitamente una pretensio- ne ragionevole di essere felice , o , in altri termini, ella rende degni della felicità. Alla ragione pratica debbono la loro certezza le idee del libero arbitrio, dell'immortalità dell'uomo, e della esistenza di Dio; e questa certezza, la quale, secondo il filosofo, non può scaturire dalla ragione teorica, discende dalla ra- gion pratica; la quale facendo escire lo spirito umano iy2 Scienze dal subbiettìvo, Io conduce all' obbietlivo in se per lo mezzo di una fede inerente allo spirito umano ; ossìa per mezzo della esigenza intrinseca della natu- ra umana, la quale dimanda assolutamente (cioè in- dipendentemente da prove) che si creda alla realità de'sopraddetti oggetti. Tuttavia egli è chiaro come il Kant in questa dottrina della ragion pratica si ponga in aperta contraddizione con se medesimo. Dopo il Kant apparve nella Germania come filosofo il Fichte. Al quale, quantunque discepolo del Kant, sembrò il sistema del suo maestro mancare di unità, non che racchiudere in se il grave difetto della contraddizio- ne. Kant, siccome vedemmo, ammetteva nella mente i due suoi stati diversi, la passività e l'attività. Per contrario Fichte non vede nello spirito umano che la sua attività, e nega ogni sua passione. Pel Kant lo stesso spirito non è a se stesso che un fenomeno e non un noumeno: pel Pielite lo spirito è a se stesso un noumeno; e volendo che fosse tutto attività in sé ed attività infinita, stabilì che lo spirito umano, de- terminandosi da se nella sua azione infinita, pone o crea, in un medesimo tempo, da una parte se stesso come Io , e dall' altra il non-Io : poiché, egli dice, quell'atto identico che il rende consapevole di sé, è quello che il rende consapevole del mondo esterno e delle cose tutte fuori di lui raccolte sotto la de- nominazione di non-Io; o per meglio dire, quell'atto che il fa consapevole d'un diverso da sé, il fa consa- pevole di se stesso. Ora essere consapevole di sé , in questo sistema, è il medesimo che essere. L'Io di Fichte è essenzialmente consapevole di se. Prima di essere dunque consapevole, l'Io ntm é: perchè l'es- senza dell'Io sta nell'essere consapevole. L'Io dunque Umane conoscenze iy3 coU'alto della propria consapevolezza pone se stesso, si crea. Ma l'atto della propria consapevolezza, che costituisce l'Io , non si fa, secondo Fichte , se non coll'atto onde si conosce il mondo esteriore, o il di- verso dal soggetto Io, che è quanto dire il non-Io. Dunque con un atto primo dell' Io , con quell'atto primo onde l'Io sente se stesso, sente anco, o per usare la maniera di Fichte, pensa, pone il mondo esteriore. L'esistenza dunque di tutte le cose pensabili scatu- risce dall'attività primitiva dell'Io: e fra le cose pen- sabili vi è Dio stesso, ed appartiene al non-Io, se- condo il filosofo. E di qui quella strana espressione, colla quale Fichte un giorno prometteva ai suoi u- ditori, che nella prossima lezione si sarebbe accinto a creare Iddio. Ora tutta la stravaganza che ha in se questo sistema, la quale è veramente grande, deriva, secondo noi, dall'avere il suo autore confuso o identificato in uno l'esistenza e la conoscenza. Pro- vatevi a sostituire, nelle espressioni di Fichte, al ver- bo essere il verbo conoscere , e tutte le stravaganze dispariranno; salvo che il sistema rimane sempre in se stesso un idealismo rappresentante le estreme con- seguenze della filosofia kantiana; ossia esso si riassu- me in un sistema d'ideologia separata per sempre dalla ontologia. Tuttavia egli è il vero, che sebbene Fichte avesse asserito che non esisteva altro se non quello che emanava di sé l'Io; e che questa emanazione era la rappresentazione dell'universo e di Dio, pure asse- riva che a questa rappresentazione l'Io dava fede per la ragion pratica, e così rendeva reali le sue rappre- sentazioni. Ma in ciò egli non faceva che imitare il suo maestro. Schelling, dopo il filosofo di cui ab- biamo parlato, pretese di prendere il punto di par- 174 Scienze lenza dello spirito, non dalla dualità del Pielite, ma dall'assoluto, ove l'Io ed il non-Io, secondo lui, s'iden- tificano perfettamente : il perchè egli chiamò la sua dottrina col titolo di sistema àeWidejitità assoluta^ In c|uesta radice ultima delle cose tutte egli pose il mistero della vita: e denominò questa la vita prima e radicale, dinamica , cioè consistente in una forza primitiva, alla quale tolse tutti i confini. All' Io di Fichte sostituì il nome di ideale^ ed al non-Io quello di reale. L'assoluto di Sclielling dunque primitiva ed infinito armonizza e crea in se di sé l'ideale ed il reale: e quindi ne fa uscire una trinità nella unità, secondo il veder suo, sublime e maravigliosa. Ma come Schelling innalza ali' assoluto il suo pensiero ? Per mezzo di un atto primitivo di questo egualmente in- differente al suggetto ed all'oggetto. Egli è chiaro^ dice Schelling , che lo spirito non può avere la coscienza di se come tale^ se non elevandosi so^ pra tutto ciò che è oggettivo. Ma isolandosi da ogni oggetto, lo spirito non tr'ova pia se stesso. Bla questa azione, per la quale lo spirito si stacca da ogni oggetto, non può essere spiegata che per la determinazione che lo spirito dà a se stesso. Lo spirito determina se stesso ad agire , ed in determinandosi agisce. Questo è uno slancio che lo spirito dà a se stesso per elevarsi sopra il fi- nito. Egli annienta per se tutto ciò che è finito^ ed egli si contempla allora in quelV assoluto po^ sitivo che sopravvive. Questa determinazione^ che lo spirito dà a se stesso, chiamasi volere: lo spi- rito vuole, ed egli è libero: non si può dare al- cun fondamento alla sua volizione : perchè que- sta azione è volere precisamente, avvegnaché ella Umane conoscenze i^S si fa assolutamente. L'assoluto, secondo Selielling, non ha bisogno di prova: conciossiacliè tutte le al- tre cose abbisognano di lui per essere; egli non ba bisogno di nessuna: le cose dunque sarebbero incon- cepibili senza l'assoluto. La certezza dunque delle cose tutte è condizionata alla certezza dell'assoluto: sicché se siamo certi delle altre cose, molto più noi dob- biamo esserlo dell'assoluto , nel quale le cose sono possibili, e della cui certezza solo partecipano. Ora diremo, che questo sistema pare a noi che si parta dal punto, in cui la fdosofia termina, e non dove ella può cominciare. E noi vedemmo come, dal momento che 1' uomo entra in rapporto con le cose ad esso esteriori , nel che sta la condizione primordiale di ogni conoscenza, per l'azione della intuizione e della intelligenza, in tra loro integrate, egli formi le idee delle cose particolari e sperimentali ed insieme quelle de'loro elementi immutabili e delle forze immutabili, onde questi le fanno sussistere, le producono e tra loro le coordinano e subordinano e continuano con maravigliosa armonia. E di qui il pensiero delle realità condizionali e delle incondizionali. Inoltre avendo il pensiero necessità di pensare queste ulti- me, avvegnaché multiple, come esistenti in se, ma non da sé: perciò per legge naturale della sua costiiuzione lo spirilo è inoltre costretto di pensare la realità una ed assoluta, ossia Dio: nel quale si termina l'attivi- tà del pensiero. Procedere inversamente è impossibile al pensiero umano ; e quindi impossibile reputiamo il punto di partenza soprannotato della filosofia schei- linghiana. Inoltre questa filosofia non ammettendo nessun mezzo tra l'essere assoluto e le realità con- dizionali, le quali siccome annotammo più volle, sono 176 Scienze da noi pensate come non esistenti ne in loro né da loro: quindi egli è forza che la filosofia di Schelling si costituisca come panteismo: nel qual sistema il solo essere assoluto è, e tutte le altre cose non sono in loro, ma in quello, o tutte le altre cose non sona che partii emanazioni e trasfigurazioni di quello. Nella realità delV assoluto , perchè è il solo essere , s'identifica il soggetto, Voggetto, Videale^ il reale, le rappresentazioni', il quale fenomenalmente in tutte queste cose si trasforma: sicché non si dan- no nelle cose differenze quJlificAtife, ma solo quJNTiTATiFE, poichè è lo stesso essere in tutte: e per questo modo Vanima e la natura materia- le si mettono alla stessa condizione , si rendono egualmente fenomenali nella esistenza loro indi- vidua, e si rifondono poi' nel gran tutto, nelV as- soluto, in quanto alla loro esistenza reale. Così Vindii^iduo si assorbe e perisce nella natura im- mensa di Dio, presso a poco come dicevano gli stoici che avf^iene alVuomo dopo morte. Or qual'è il valore morale di un sistema siffatto ? Che cosa è l'uomo per la filosofia schellinghiana ? L' uomo non è un essere, ma un modo di essere dell'assoluto. Ciò posto, il risultato morale di questo sistema è peggiore di quello del sistema sensistico; e ciò è chiaro a chiun- que, senza hisogno di aggiungere altre parole. Ora ri- capitoliamo le dottrine de' tre filosofi alemanni, de'quali abbiamo esposto il fondamento dottrinale : e serven- doci in ciò delle parole testuali di un illustre filoso- fo italiano, dell'abate Rosmini (*) ( negli scritti del C) Pare a noi che di tutti i filosofi italiani dell'età nostra, il solo Rosmini sia quello che abbia riconosciuto nella composizione Umane conoscenze i^y quale abbiamo attinto qualche materiale sulla esposi- zione delle dottrine di Fichte e di Schelling). Tre grandi esseri^ egli dice, si rappresentano al pen- siero umano : Vuniverso materiale^ VIo soggetto^ Iddio : Queste rappresentazioni di oggetti, disse Kant, non hanno autorità di farci conoscere le cose in sé, gli oggetti loro, ma solo sé stesse^ e il dar loro fede non è che un atto libero che co- stituisce ciò che egli chiama ragione pratica. Tut- tavia nel sistema di Kant possono esistere, pur- ché emanino dallo spirito nella loro parte f orina- le : lo spirito percepisce quindi gli oggetti vestiti di forme suggettive : come sieno gli ogg: tti stessi, è ciò che rimane incognito : al pia può ammet- tersi una MATERiJ in generale ( rispetto all' uni- verso ) ed una radice ultima delle cose rispetto a Dio. Ora le rappresentazioni si dicano feno- meni, le cose in sé noumeni. Uuomo adunque è conscio de fenomeni, ma è interamente alVoscuro sui noumeni. Questa oscurità fu molesta a Fichte e a Schelling, e cercarono di dileguarla. Il pri- mo disse, che non esisteva altro se non quello che emanava da sé l'Io', che questa emanazione era Vuniverso e Dio, e in generale la rappresenta- delle nostre conoscenze due ordini di elementi, gli avvenitizì cioè e gli originari allo spirito umano. Quindi è che a noi gode l'auimo di essere d'accordo con questo illustre filosofo sopra di questo punto cardinale della filosofia ; però ne spiace grande- mente di non avere potuto eoa esso consentire perciò che ri- guarda il numero, la natura ed il valore degli elementi originari della cognizione; né sul modo con che questi si combinano con gli elementi avvenitizi o sperimentali di quella. G.A.T.LXXXIX. la 1^8 Scienze zione de'nouineni compresa sotto la parola non-Io: che a questa rappresentazione fio dava fede, e così rendeva reali le sue rappresentazioni. Un Io fenomenale adurque fu pel Kant il fonte di tutto lo scibile consistente in apparenze o fenomeni : ma che oltre a ciò vi avesse realmente qualche cos^altro, né negò, ne affermò : disse che questi erano i confini della umana mente. VIo per Fi- chte fu reale, e così pose un noumeno per sup- posizione, o postulato se si può dire. Quest' Io produceva di sé ciò che esisteva : non vi aveva- no dunque pia provincie incognite, non vi erano altri NOUMENI se non quelli che poi la ragion pra- tica creava a sé colla fede data alle rappresen- tazioni deirio. Schelling pretese di ascendere ad un noumeno che producesse un Io, ed un mondo fenomenale : questo fu il punto fermo di Schel- ling : questo fu il noumeno da Schelling suppo- sto, senza dimostrazione^ come necessario a base di tutti i fenomeni, e quindi più assai di essi cer- to e per sé evidente : e questo noumeno é il Dio di Schelling, ed il punto di partenza della sua fdosofia. Or pria di abbandonare queste meteore del cielo alemanno, noi dobbiamo dire ancora alcuna co- sa intorno all'ultimo sistema filosofico, che in quella regione comparve per opera di Hegel. Umane conoscenze 170 §. XXVIII. Cenno intorno ad Hegel. Risorgimento della fi- losofia in Francia sistema del Cousin. Federico Hegel nacque il 1770, e fu permeiti anni il compagno di Schelling. Dapprima Hegel diede opera a difendere i principi! della filosofia scellin- gliiana ; e pubblicò un libro intorno alla differenza della filosofia di Schelling e di Fichte. Dopo la bat- taglia di Iena, Hegel pubblicava la sua Fenomenolo- gia dello spirito : nella qual'opera egli si separò per sempre dal sistema di Schelling : poiché quivi egli stabilisce , contradittoriamente ai principii schellin- giaui, elle la scienza non consiste già nella semplice intuizione dell'assoluto, e che da questa intuizione non comincia la scienza; dichiara invece che questa intuizione intellettuale non può essere che la con- quista del sapere filosofico nel suo ultimo risultato. Egli dichiara cosi la necessità di una riforma filoso- fica, atta a far disparire quel pindarismo, quel tuono d'entusiasmo mistico, a cui si erano abbandonati i se- guaci di Schelling; e per tal modo procacciare di ri- condurre la filosofia sotto la sua vera forma, la for- ma scientifica. Questa filosofia di Hegel fu la prima a prodursi dopo la restaurazione europea: dopo l'av- venimento della quale Hegel aprì una novella carriera alla filosofia; conciossiachè egli in questo tempo pro- dusse sotto forma obbiettiva ciò che egli per lo in- nanzi non aveva rappresentato se non sotto forma fenomenica. Pubblicò la logica; la quale non fu da lui sviluppata solamente per ciò che riguarda alle for- i8o Scienze me subbiettive del pensiero; avvegnaché ad Hegel fu visto di riunire la metafisica alla logica. Da questo momento Hegel sale alla più grande reputazione in tutta l'Alemagna; ed un cerchio di giovani allievi di tutte le facoltà si adunano intorno a lui; e la pro- fondità e l'originalità del suo sistema si rivela anche in mezzo alla oscurità che lo ingombra. Nel 1817 Hegel pubblicava una enciclopedia delle scienze fi- losofiche; ed in quest'anno egli fu chiamato dall'ac- cademia di Berlino; alla quale egli ha dato per tre- dici anni un singolare splendore colla esposizione di nove corsi: ne'quali sviluppando succe sivamente di- verse parti della filosofia, cioè la logica, la metafisica, la scienza della natura, la psicologia, il diritto, la storia, l'arte, la religione, e la stoi'ia della filosofia, dimostrava che la sua erudizione non era minore della profondità del suo pensiero. Questo filosofo mori il dì 14 novembre i83i e fu rapito dal co- lera ; giorno anniversario della morte di Leibnitz. La filosofia di Hegel è una logica di forinole sotti- li e difficilissime; a tal che pare che egli voglia di- lungare da se l'avvicinamento de'profani, e mettere l'intelligenza delle sue proposizioni al prezzo delle più dure prove; e non senza ragione è stato detto che Hegel è una pianta senza fiori ; ma di cui il frutto, colla sua scorza dura e compatta, dà a chi la può rompere una nutritura sosfauzialissima, e sovente anche aggradevole al palato. Hegel è stato riputato il più grande notomista del pensiero umano. Il fine della filosofia è per esso quello di generalizzare e d'idealizzare le particolarità e le realità, cominciando da ciò che è concreto, ed in questo attaccando il pi'i- mo filo; il quale si debbe portare, estendendolo con- Umane conoscenze i8i lìnuamente sino alla idea la più generale. Seguendo questo metodo, che è l'opposto di quello tenuto da Schelling, Hegel ha stimato di essere giunto da ultimo a vedere l'universo portare in se l'impronta di una sola idea, la quale si va ripetendo di mondo in mon- do, di cerchio in cerchio ; ed essa forma questo va- sto insieme, in cui l'unità produce la diversità per mezzo della multiplicazione di se stessa. Hegel di- vide la sua enciclopedia in tre parti principali , le quali chiama, scienza logica , fdosofia della natura, filosofia dello spirito umano. Nella scienza logica egli esamina le leggi dell'essere, della sostanza, e dell'uo- mo in quanto è soggetto che concepisce e che cono- sce. La filosofia della natura è da esso divisa in mec- canica, fisica, ed organica: e la filosofia dello spirito si occupa dello spìrito subbiettivo, e quindi racchiude Fantropologia, la fenomenologia, e la psicologia; in se- guito tratta dello spirito obbiettivo , e di qui nasce la teorica del diritto; ed in fine si occupa dello spi- rito assoluto ; e di qui la teorica della religione e dell'arte. In simile maniera la filosofia di Hegel è una trinità logica continua , la quale si riproduce dap- pertutto: ed ecco in qual modo: Una idea si pone: come lo spirito ne pone egli una seconda? distrug- gendo, contraddicendo la prima : Quando voi avete contraddetto la prima per la seconda, voi avete due idee; queste due idee si uniscono, si accoppiano, e ne producono una terza: in altri termini, una pro- posizione si pone , si cambia e si sviluppa distrug- gendosi; raddoppiala, ella si completa e si stabilisce sopra tre termini (*). Così quando l'uomo si è posto C) Vedi Lerminler, Filosofia del diritto- i8a S e I E N z s come astrazione, eJ ha costituito in quésta maniera la logica , egli perviene al mondo , e costituisce la filosofia della natura : per questo contraccolpo egli ritorna a se stesso, e costituisce la filosofia dello spi- rito umano. Cosi astrazione pura, natura, e coscien- za, ecco i tre momenti o la forma la più alta e l'ul- tima di tutto ciò che è. Ma qual'c il punto di par- tenza della filosofia di Hegel? Ove ella perviene o si arresta? Hegel ha stimato di essersi affrancato dalla ragion subhlettiva di Kant, non che dall'idealismo del Fichte, e del pindarismo di Schelling , e si è avvi- sato di far partire la sua filosofia dalla ragione uni- versale. Ma 1' uomo non conosce la ragione univer- sale se non per lo mezzo della propria natura. Dun- que anche Hegel parte da se stesso, ossia dal fondo della propria coscienza. E veramente egli è indubi- tabile che la filosofia non può essere che a questa condizione. Il risultato ultinìo poi della filosofia he- gelliarta sembra contenersi tutto in questa formola da lui stesso segnata : Tatto ciò che è razionale, è rea- le'^ e tutto ciò che è reale, è razionale. La Fran- cia aveva ricevuto la filosofia empirica dall'Inghilter- ra, l'aveva sviluppata ed applicata a tutti i rami dello scibile umano, siccome vedemmo, e l'aveva introdot- ta in Italia, con disdoro gravissimo degli italiani in- telletti; i quali, per seguitare il sensismo del Condil- lac, lasciarono di studiare e di perfezionare le opere ( per tacere di altri valenti italiani ) del Vico e del Genovesi , che a petto di quelle del suddetto Con- dillac e del Tracy valevano certo tant' oro. Que- sto stato di cose durò nella Francia e nell'Italia sin dopo la battaglia di Vaterloo. Nella quale essendosi seppellito per sempre il dispotismo politico-militare, Umane conoscenze i83 nato come ultimo risultato da'disordini politici con- seguenti della scuola sensista , e rivsorgendo a nuova vita di restaurazione e di progresso i popoli dell'Eu- ropa ; tutti gli umani studi, in mezzo alla pace ge- nerale, ripresero una novella forza ed un andamento più sano. Noi vedemmo, per le cose soprascritte, co- me nella Germania all'idealismo del Kant, del Fichte e dello Schelling, nato da un razionalismo trascen- dentale, succedesse il sistema di Hegel. Qual sistema successe in Francia al sensismo ? Laromiguere, ponen- do sotto un severo esame la fdosofia del Condillac, fu il primo tra'francesi a riconoscere il fondo erroneo di quel sistema, facendo rilevare che la percezione , la quale pel Condillac è il germe, di cui tutte le al- tre facoltà dello spirilo non sono che sviluppi e tra- sformazioni, è utia passività dello spirito; e che d'al- tra parte non è possibile di non riconoscere nello spirito stesso una situazione attiva , come momento essenzialmente opposto alla percezione. In seguito Ro- yer-Collard, colla sua influenza politica e col suo in- segnamenlo pubblico, potè mettere in onore nella Fran- cia stessa la fdosofia scozzese. Da ultimo, per tacere di altri valenti francesi , venne il Cousin ; il quale dopo avere insegnata ne'suoi corsi la medesima filo- sofia scozzese, insegnò anche la dottrina del Kant; ed infine vi proclamò, con tutta la forza della sua pos- sente eloquenza , un sistema ; il quale pare a noi ravvicinarsi principalmente alla dottrina di Hegel, sen- za lasciare di compenetrare in se anche le vedute di Fichte e di Schelling; e per modo che questo sistema, vasto e. profondo, pare riassumere in sé tutta la sto- ria moderna della filosofia alemanna, e svilupparla. Di questo or toccheremo il fondamento e la portata, i84 Scienze servendoci presso a poco delle parole dell'illustre pro- fessore parigino. Rientrare nella coscienza , studiare quivi scrupolosamente tutti i fenomeni, le loro diffe- renze e le relazioni , ecco il primo studio della fi- losofia; il suo nome scientifico, dice il Cousin, è la psicologia. La psicologia è dunque la condizione, e come il vestibolo della filosofia. A tre classi, secondo il Cousin, si riducono i fatti, che la osservazione ri- trova nella coscienza umana: cioè i fatti sensibili, i fatti razionali ed i fatti volontari. I fatti sensibili so- no necessari , poiché noi non ce Timputiamo. I fatti razionali sono pure necessari, avvegnaché la ragione non è meno indipendente dalla volontà di quel che lo sia la sensibilità. I fatti della volontà sono i soli contrassegnati agli occhi della coscienza del caratte- re d'imputabilità e di personalità. L' Io è il centro della sfera intellettuale; e fintantoché esso non esi- ste, le condizioni dell'esistenza di tutti gli altri fe- nomeni possono esistere, ma senza relazione all'Io ; poiché egli non li raddoppia nella sua coscienza, e sono per lui come se non esistessero. La volontà non crea alcun fenomeno razionale o sensibile; essa li sup- pone, anche nel senso che essa non conosce sé stes- sa se non distinguendosi da loro; talché noi non rinveniamo noi stessi che in un mondo straniero, fra due ordini di fenomeni che non ci appartengono, e che non percepiamo nemmeno se non a condizione di separarci da loro. E più ancora , noi non perce- piamo che per un lume, il quale non parte da noi, poiché la nostra personalità non é che la volontà, e nulla più : ogni lume viene dalla ragione che perce- pisce e sé stessa e la sensibilità che V inviluppa , e la volontà che essa obbliga senza costringerla. L'eie- Umane conoscenze i85 mento della cognizione è razionale di sua essenza ; e la coscienza, quantunque composta di tre elementi integranti ed inseparabili, accatta il suo fondamento più immediato dalla ragione, senza cui non sarebbe possibile ninna scienza, e per conseguenza niuna co- scienza. La sensibilità è la condizione esteriore della coscienza, la volontà ne è il centro, e la ragione la luce. Analizziamo la ragione. E facile il vedere co- me il Cousin in questo fondamento del suo sistema si valga delle vedute di Ficbte e di quelle di Hegel, contemperandole in tra loro con grande sagacità. La ragione, continua egli, è impersonale di sua natura. Noi non siamo quelli cbe la creano: ed essa è sì lungi dall' essere individuale, cbe il suo carattere è appunto il contrario della individualità, cioè l'universalità e la necessità; poiché a lei dobbiamo la cognizione delle verità necessarie ed universali, dei principii a cui noi tutti obbediamo, ed ai quali non possiamo a meno di non obbedire. L'esistenza di questi principii è un dato anteriore , cbe deve porsi innanzi in una completa evidenza. Viene appresso la quistione di sapere, qua- le sia il numero preciso di questi principii regolatori della ragione, che costituiscono per noi la stessa ra- gione. Ora, secondo il nostro filosofo, questi princi- pii si riducono a due; vale a dire, alla legge della causalità^ ed a quella della sostanza. Sono que- ste le due leggi essenziali e fondamentali^ di cui tutte le altre leggi del pensiero non sono che una derivazione^ uno sviluppo^ e di cui V ordine non è arbitrario. Io penso che se si esaminano sinte- ticamente queste due leggi, la prima nelV ordine naturale delle cose è quella della sostanza, la se- conda quella della causalità y mentre an aliti e amen-' i86 Scienze te e nelVordine delV acquisto delle nostre cogni- zioni , la legge della causalità precede quella della sostanza^ o piuttosto tutte e due ci sono date Vuna colValtra^ e sono contemporanee nella co- scienza .... Queste leggi della ragione umana so- no lesrsi della ragione in se stessa. Cosi il Cou- sin si affranca dallo scetticismo ontologico del Kant. Ma come il fa egli ? col dichiarare impersonale la ragione, perchè la ragione si distingue dalla volontà. Ma dal distinguersi la ragione dalla volontà segue egli che la ragione sia impersonale ? Guardiamo che qui vi ha un heneplacito e non una dimostrazione. La ragione è la nostra intelligenza; e la nostra in- telligenza è in noi, perchè noi siamo il soggetto in- telligente. Noi abbiamo dichiarato che questa intel- ligenza, che è in noi, porta in se originariamente le nozioni del mondo soprasensibile; alle quali nozioni, come alle intuizioni della facoltà empirica, noi siamo sforzati da una legge della nostra natura di dar fe- de come rappresentazioni di oggetti reali. Ecco in che modo la nostra ragione, personale secondo noi, ci re- ca alla ontologia : ecco in che modo la nostra ragio- ne personale è l'ideale del reale. Per contrario nella dottrina, che esponiamo, si tratta di svestire la ragio- ne di ogni subbiettività, e d'identificarla colle cose reali e colle reali loro relazioni; in somma si tratta d'Identificare o ridurre ad uno l'ideale ed il reale : nel quale negozio pare a noi racchiudersi un mise- rabile fanlasticamento paralellamente opposto al fan- tasticamento della ragione subbiettiva, e vuota ed im- potente, del sistema kantiano. Questi due gravi erro- ri sono derivati dall'aver confuso in uno la ragione o l'intelligenza col suo oggetto, o le idee co'loro og- Umane conoscenze rB^ getti ; le quali due cose non si possono ridurre ad una, comecliè essenzialmente correlative. Gonciossia- chè ogni idea è il segno o la rappresenlazìone di un. oggetto o sussistente o possibile , e senza di esso l'idea non può essere, come non può essere una rap- presentazione senza qualche cosa che è rappresenta- ta. Ma seguiamo l'autore. Tutti gli sforzi^ dice il Cousin, delle mie lezioni del 1818, dopo Vinventa- rio regolare delle leggi della ragione ^ furono in questo^ di toglier loro il carattere di subbiettività^ e di rimetterle nella loro indipendenza'^ allonta- nando così la filosofia dallo scoglio, contro cui ve- niva a rompere in sul punto stesso che afferrava il porto ... La ragione diviene certamente subbiet- tiva per la sua relazione alVIo volontario e libe- ro^ sede e tipo di ogni subbie ttività\ ma in se stes- sa essa è impersonale, essa non appartiene mag- giormente a tal Io che a tal altro nelV umanità ; essa non appartiene nemmeno alV umanità, e le sue leggi in conseguenza non ricevono valore che da sé stesse. Esse dominano e governano V umanità, che le percepisce, come dominano e governano la natura che le rappresenta^ ma esse non ap- partengono ne alV una né alV altra. Si potrebbe pur dire con più verità, che la natura e V umanità ad esse appartengono, poiché non hanno bellezza e realità che pel loro rapporto alla ragione, e che la natura senza le leggi che la regolano, e V umanità senza i principii che la dirigono, rica- drebbero tosto nel nulla, da cui non avrebbero mai potuto escire. Or può essere più perfetta con- traddizione tra questo sistema e quello del Kant ? Questi due estremi opposti non sono egualmente con- i88 Scienze trarl al senso comune degli uomini , od almeno al buon senso ? Le leggi della ragione costituiscono dunque un mondo a parte ^ il quale domina il nion^ do visibile, presiede a'' suoi movimenti, lo sostiene e lo porta, ma non ne dipende per nulla .... Le due leggi del pensiero provate assolute, applicate a se stesse, ci sollevano ad una causa assoluta e ad una sostanza assoluta. Ma una causa assoluta ed una sostanza assoluta sono identiche nella es- senza: perocché ogni causa assoluta deve essere sostanza in quanto è assoluta, ed ogni sostanza assoluta deve esser causa per potersi manifestare... La causalità sostanziale è Vessere in se : dunque le leggi razionali sono le leggi delVessere, e la ra- gione è la vera esistenza. .D^onde seguita che, ap- punto come Vanalisi applicata alla coscienza ave- va da prima separata la ragione dalla persona- lità, ora del pari i dal punto sublime al quale ci ha condotto Vanalisi, vediamo che la ragione e le leggi di lei r attaccandosi alla, sostanza, non pos- sono essere ne una modificazione, ne un effetto delV Io, poiché esse sono un effetto immediato del- la manifestazione della sostanza assoluta. Ed ec- coci al sistema di Schelling , ossia al sistema della identità assoluta. L'ontologia riflette, dice il Cousln, nella psicologia la luce che da lei prende in prestito; e qui sta appunto 1' identità de' due estremi della scienza. Tale è l'analisi completa della ragione, o ta- le è il sistema fdosofico del Cousin; del quale, colle stesse parole dell' autore, abbiamo indicato , ci pare compitamente, ed il fondamento ed il risultato a cui perviene. Questo sistema riassume in se il realismo razionale di Hegel, spogliato dal pesante formalismo Umane coNOSGEwra iBc) di cui il professore prussiano lo aveva rivestito ; e perviene o finisce come esso in quel panteismo , dal quale, procedendo in una ragione inversa, aveva comin- ciato, come punto di partenza, Schelling, per fuggi- re dallo scetticismo ontologico in cui avevano innan- zi fatta traboccare la filosofia il Kant ed il Fichte, coll'intento di rialzarla alla loro volta da quella bas- sezza, in cui l'aveva condotta la scuola empirica. Ond' è che a noi pare che questo sistema, oltre al suo fonr damento, sia eziandio a riprendere pel suo risultato e per tutte quelle ragioni che di sopra abbiamo al- legate contro qualunque sistema panteistico ; il quale non sapremmo spiegare come a'nostri dì possa essere venuto a grado di non pochi filosofanti; mentre egli è per se manifesto, come dice il Rosmini, che il pan- teismo non è finalmente se non l'idolatria de'popoli barbari vestita di forme filosofiche ; il quale , sog- giungiamo noi, non può condurre che o alla idola- tria del gentilesimo, o alla dottrina del fatalismo che annichila l'uomo, non solo alla tomba, ma anche in questo mondo. Del resto noi aggiungiamo, che a noi sembra una necessità di ragione il pensare l'ultima causa di lutto l'esistente, come un' essenza distinta da esso, e nella totalità dell'esistente, ossia nell'universo, il pensare e distinguere in fra loro le realità condi- zionali e le incondizionall; e nel modo che siamo ve- nuti discorrendo in molte parti di questo saggio. Ora, a pervenire al fine di queste considerazioni intorno a sistemi filosofici, non ne resla che di esporre colla solita brevità l'andamento che ebbe il pensiero filo- sofico nelle provincie d'Italia, dopo la citata epoca della restaurazione politica d'Europa. igo S e I E W Z E §. XXIX. Fondamento e portata delle dottrine del Gallup- pi, del Romagnosi^ del Mamiani e del Rosmini. Il barone Galliippi fu il primo tra gl'italiani a dare opera, dopo la sopraddetta epoca, alla restaura- zione della filosofia, e a dichiarare l'erroneo fonda- mento del sensismo del Coudillac e del Tracy ; il qua- le aveva in Italia potuto prevalere per la influenza della Francia. Or qual'è il fondamento della filosofia del Galluppi ? Il primo fatto da cui de^e partire la filosofia^ dice il Galluppi, è la percezione del me, il quale percepisce un di fuori. Ma come il me percepisce un di fuori secondo la dottrina che esponiamo? Lo spirito, dice il medesimo autor-e, per- cepisce in se alcune modifcazioni passive, o, in al- tri termini, alcune passioni : percependole, perce- pisce ancora Vagente esterno : sentirsi affetto, è sentire qualche cosa, da cui lo spirito è affetto. Altrove il Galluppi stabilisce, che in questo primo fatto non interviene per nulla il giudizio, il quale anzi suppone questo stesso fatto come condizione della sua effettività. Per questa dottrina il GaJluppi certamente si avvisa di evitare il primo scoglio, in cui rompeva la filosofia sperimentale : la quale, siccome altrove ve- demmo, non riconoscendo nella facoltà empirica, che chiamarono sensibilità, altro attributo in fuori di quel- lo d'introdurre nello spirito umano le sue passive mo- dificazioni, cosi per essa le idee, risultanti dalla unio- ne di queste modificazioni ricevute, non avevano che | un valore subbiettivo ; a talché ella cercava poi in- j Umane conoscbnze igi damo il ponte legittimo, per cui fosse possibile allo spirito di escire da se stesso, e di mettere in rappor- to ilsubbiettivo e l'obbiettivo. Il Galluppi adunque ri- conosce non solo le due facoltà che costituiscono la forza empirica dello spirito umano, cioè l'intuizione esterna e la interna, da lui designate col vocabolo di sensibilità la prima, e con quello di coscienza la se- conda , le quali non erano state ben definite o non affatto distinte dagli empiristi ; ma inoltre egli, pro- cedendo in ciò contro tutta la scuola empirica, rico- nosceva in queste due facoltà la proprietà che esse hanno di presentare essenzialmente le idee delle co- se particolari non disgiunte da' loro oggetti. E così questo filosofo, fedele al dettato del senso comune, ri- parava innanzi tratto la sua dottrina , comechè spe- rimentalista, dall'assurdità dell'idealismo : conciossia- chè in questa dottrina l'oggettivo ed il soggettivo so- no due relativi che nella percezione formano una soia essenza. V oggetto della percezione , egli dice, è una condizione senza di cui la percezione non può esistere. Gli oggetti delle nostre percezioni primitÌK>e sono i concreti^ cioè i soggetti niodifi- cati. Ogni sensazione è di sua natura la perce- zione di un soggetto esterno. Il rapporto della sensazione alVoggetto esterno non è il solo rap- porto della, causalità., ma il rapporto ancora del- la percezione al suo oggetto, rapporto essenziale alla percezione .... La sensazione è dunque , se- condo me, Vintuizione dell'oggetto. Del resto in che differisca questa teorica del Galluppi dalla nostra opi- nione, il lettore può da se considerare, riandando le cose soprascritte. E qui saremo contenti a ridire, che a noi sembra non più sostenibile 1' oggettività delle 192 Scienze nostre idee sperimentali, ove si ammetta la loro ge- nerazione nello spirito umano col mezzo delle passi- ve modificazioni che gli oggetti esterni percepiti fan- no sull'animo nostro. E sopra di questo punto quan- to la nostra dottrina si dilunghi da quella dell'illu- stre Galluppi si può far chiaro per le cose che ab- biamo discorse di sopra. Or qui è debito, il ricordare come in sostanza questa teorica delle idee abbia a suo primo maestro tra i moderni il Reid; la dottrina del quale sopra di questo punto non sapremmo consen- tii'e col Rosmini nel dire, che sia stata perfezionata dal nostro Galluppi; il quale, per contrario, ne pa- re averla di nuovo rimessa al pericolo dell'idealismo, coll'ayere ammesso che le nostre idee particolari de- gli oggetti sono complessi di sensaziioni, o delle passive modificazioni prodotte in noi. Inoltre questo filosofo grandemente si dilunga da tutti gli altri sperimen- tallsti per le prerogative di cui vuole fornita la co- scienza , ossia la intuizione interna. Secondo esso, per la coscienza lo spirito umano, facendosi ogget- to a se stesso , ritrova ne' dati spei-imentali di se stesso, ed in quelli che gli provengono dalla intui- zione degli oggetti esterni, tutta la somma degli ele- menti co'quali la forza analitica e sintetica dello spi- rito umano produce tutte le idee che lo spirito stesso può avere ; le idee cioè di sostanza e di accidente, di causa ed effetto, dell' universo e di Dio. la co tal modo adunque il Galluppi risolve il problema della origine delle nostre conoscenze: esse derivano tutte dai dati della esperienza esterna ed interna, e per lo mono dell' attività analitica e sintetica dello spirito, escluso ogni elemento universale che lo spirito abbia orieinariamente in se : e così egli stesso si dichiara Umane conoscenze ig3 seguitatore della filosofia sperimentale. Bisogna tì~ gettare la filosofia trascendentale^ ed ammettere la filosofia della esperienza: così egli. Ma questo empirismo del Galluppi non è certo l'empirismo de' sofisti francesi del passato secolo; il quale mutilando le migliori e più alte prerogative dell'uomo, dinegava all'uomo le sue più nobili idee ed i suoi più nobili istinti, toglieva ogni certezza dell'umano sapere, ed inviliva la natura umana , accomunandola a quella de'bruti, da'quali l'uomo distingueva non per essenza ma per accidente. Per lo contrario nella dottrina del nostro Galluppi, quantunque gli sia piaciuto di ri- manersi sperimentalisla e di negare ogni elemento originario nella costituzione dell'umano sapere, viene rimossa ogni tendenza scettica non solo, ma tutte le più alte idee degli oggetti intelligibili o soprassensibili vengono stalnlite: e per sino il principio della mo- rale non nella felicità viene fondato, ma in una leg- ge assoluta universale ed imperativa della natura uma- na. Le quali doti che risplendono nella dottrina del Galluppi, mentre da una parte onorano il suo spi- rito, dall'altra dimostrano, secondo noi, l'erroneità lo- gica del fondamento esclusivamente empirico del suo sistema. Appresso alle opere del Galluppi comparve in Italia il già cel. per molte altre opere Gio. Do- menico Romagnosi con diverse trattazioni, in cui ven- ne discorrendo il magistero della mente umana e la costituzione della umana natura. Questo scrittore , quantunque riconosca, come riconosceva il Galluppi, l'attività dello spirito umano, e stabilisca risultare la cognizione da una lotta di azione e riazione tra il non me ed il me , pure xùgetta nella costituzione delle umane conoscenze ogni elemento intellettivo G.A.T.LXXXIX. i3 1(54 Scienze originario: laonde non dubitiamo di dichiararlo ri- solutamente per isperimentalista. Io non dissi e non dirò mai, cosi il Romagnosi, che le nostre cogni- zioni siano altrettante sensazioni trasformate'^ ma del pari non dirò mai che la intelligenza abbia leggi indipendenti da quelle della sensualità . . - Io pongo dunque che nella cognizione propria- meìite detta entrino elementi non acquisiti dai sen- si ; ma dico che la nascita di tali elementi non sensuali è subordinata alle posizioni mentali pro- dotte sì dai sensi che dalla memoria^ le quali su- scitano le suità . . . le quali, accoppiate agli og- getti de^sensi e della memoria^ fanno nascere la cognizione. Ma che cosa sono queste suità del Ro- magnosi? I rapporti, le logie e le antilogie, le ver- sioni, le su i-conformazioni, le consapevolezze. Le quali sono tutt' altra cosa che le nozioni originarie della intelligenza rappresentative di oggetti intelligibili; ma sono per contrario o atti e prodotti secondari del po- tere sintetico od analitico dello spirito, od intuizioni interiori dello spirito stesso . . . V uomo non è un essere inanimato cornee un' arpa, ma è dotato di una vitale attività naturale. Lhiomo interiore ese- guisce certamente le sue vibrazioni intellettuali, come eseguisce le sensuali, e le une non vanno scompagnate dalle altre. Volendo segnalare con un nome proprio le intellettuali, noi adoperiamo il nome di suità psicologiche, per significare che esse non sono trasmesse dalV esterno, ma per ne- cessaria legge sorgono e sono messe fuori dalV in- terno in conseguenza delle emissioni esterne. Ora queste suità, elementi interiori della cognizione, sono dal Romagnosi dichiarate come avventizie od acci- Umane conoscenze igS dentali nello stesso modo clie lo sono le sensazioni: per il che egli da ultimo stabilisce, niun elemento esistere nella conoscenza umana , il quale non sia acquisito; e nulla esistere di originarlo o d' innato. L' acquisito importa di far sua una cosa che pri- ma non si aveva. Qui dunque s^indicano due stati successivi dello stesso oggetto., Vuno de^ quali sia in qualità^ sia in quantità., sia in potenza., sia in qualunque altro modo^ è diverso dall'anteriore. V innato o V originario esclude questa diversità , talché andando in dietro non si possa trovar mai il soggetto spogliato di quel dato modo di essere. L'innato adunque esclude qualsiasi posizione con- tingente di un dato modo di essere di una cosa. Dunque la posizione contingente forma la condii zione caratteristica che serve di criterio unico onde distinguerlo dall'innato. Ora domando se nel- I la rassegna delle diverse cognizioni nostre ne tro- \ viate veruna che dire non si possa di posizione I contingente ? ... Si è preteso dimostrare., non esi- I stere nello sperimentale la sorgente o le radici I di certe nozioni : ma di tutti i pretesi trascenden- I tali si dimostra la genesi dallo sperimentale fatta j dalla astrazione e dalV immaginazione ^ e la loro ; vanità pratica .... Tutto fumano sapere è acqui- i sito\ e questa proposizione^ dice il Roraagnosi , è assoluta ed universale. Così egli è chiaro come la dottrina del Roinagnosi , per rispetto al fondamento della umana conoscenza, si concordi con quella del SI Galluppi. Se non che il primo dal secondo si dilun- I ga, non per poco, per ciò che riguarda la prerogativa ! della intuizione esterna. Noi vedemmo come al Gal- luppi fu visto di attribuire all'io umano la facoltà di ig6 Scienze intuire in loro gli oggetti esterni : per contrario il Roraagnosi, a questo riguardo, consente pienamente col Condillac, e dice : La mente umana .^ sia che si alzi al firmamento, sia che scenda agli abissi, non esce mai da se stessa ... X' universo non è che un fenomeno ideale presentatoci dai rapporti reali che passano fra lo spirito nostro e gli oggetti a noi incogniti esistenti fuori di noi . . . Non pos- siamo ne potremo conoscere giammai che cosa siano le realità degli esseri esistenti fuori di noi, e nemmeno conoscere V intima nostra realità. Con- cludiamo; la filosofìa del Romagnosi si può qualifi- care col titolo di sperimentalismo ideale, o d' idea- lismo sperimentale; e quella del Galluppi con quello di sperimentalismo reale, o di realismo sperimentale. Il Romagnosi molto versò intorno agli argomenti di sapienza civile. Or quale fu il suo fondamento in questa materia ? Noi vedemmo die il vero concetto del diritto , il quale è l'idea madre di tutta la sa- pienza civile, non può discendere da una metafisica spcrimentalista. Da ciò adunque era forza al Roma- gnosi, era forza logica ineluttabile , o di riprodurre nelle sue opere di scienza civile i medesimi principii falsi del Bentliam, o di essere in contraddizione con se medesimo. La pi-ima supposizione è di fatto. Che importa che egli abbia cambiato l'espressione di uti- lità con quella della soddisfacente convivenza come fine dell'umano consorzio? Non è forse tutt'uno? Ma i limiti che ci siamo imposti non ci permettono di dilungarci più oltre. Il conte Mamiani, da pochi an- ni in qua, mandava al pubblico un libro col titolo: Del rinnovamento delV antica filosofia italiana. Nel quale egli discorre l'argomento della filosofia prima; Umane conoscenze ign ossia della dottrina certa di tutti i principii , onde qualunque altra dottrina riceve l'ultima dimostrazio- ne. Or qual'è il fondamento e quale è il risultato di questa filosofia del Mamiani? ]Yo?i si può giungere alla sapienza, così egli, se non profondandosi nella notizia dell'essere conoscitore, o vogliam dire per mezzo della filosofia critica. Da questa ci vien ri- velato, che fonte del nostro scibile è il fatto spe- rimentale aiutato dal raziocinio: imperocché ogni dottrina dedotta onninamente a priori è ideale ed ipotetica. L'esperienza appoggia alV assioma: Esiste una qualche realità perchè Vintimo senso la testimonia. Il ragionamento appoggia aW assio- ma: Quello che è non può insieme essere e non essere. In tali due assiomi sta riposta ogni pro- va ultima della verità : e sentire si è sapere. Quale è dunque il fondamento di questa filosofia ? L' esperienza, la sola esperienza. Nò si creda die il raziocinio propriamente detto, il quale si risolve sem- pre, siccome altrove abbiamo dimostrato, In giudizi, siano immediati o siano mediati d'Identllà, possa recare a qualcbe cosa o a qualche risultato, e molto meno che esso porli nella entità della cognizione qualche I elemento ; e chi II credesse, farebbe a se stesso una grande illusione. Dunque egli è Indubitabile che la ! filosofia, di cui parliamo, non ammette altro elemento nella conoscenza, In fuori del dato sperimentale ed I avventizio. Ma vi ha di più: questa filosofia attinge j il dato sperimentale nel me , ossia nella intuizione I interna , e nega ogni Intuizione esterna ; a tal che j pretende che lo spirito umano, conforme avevano det- to i sensistl, non può percepire se non ciò che esi- ste nello stesso spirito che lo percepiscej e mantiene, tgS Scienze contro il senso comune degli uomini, che lo spinta non perviene se non per lo mezzo di una induzione, ossia per mezzo del raziocinio, alle realità esterne. Abbiamo detto a che si riduca il raziocinio, il quale ha per fondamento il principio logico di contraddizione: ora pretendere che questa sorta di raziocinio possa tradursi nel principio di causalità ( col quale il Ma- miani crede di escire da se stesso ed arrivare agli oggetti esterni ) egli ci pare la più strana cosa del mondo; avvegnaché il principio di causalità non può mai ridursi ad un principio identico . . . La mente umana risulta di attivo e passivo^ così il Mamia- ni; in cjuanto è spontanea^ ella attende^ giudica^ riflette, astrae, immagina e sillogizza: ma ella si sente mutata e non già da lei ; esistono dunque degli enti che la limitano e la modificano. L'uo- mo dunque sa che esìstono attorno a lui altri esseri o gli oggetti esterni, per induzione. Eccoci nell'idea- lismo, eccoci in contraddizione col senso comune ; ecco un passo retrogrado dopo la dottrina scozzese ed anche dopo quella del Galluppi. L'uomo sa per induzione che esiste il mondo esterno come un cor- relativo delle proprie idee singolari? Ma qual valore può avere l' induzione per chi non riconosce nella mente umana niun principio universale ? Noi vedem- mo come tutta la forza della induzione, tutta la sua virtù logica, riposi nella universalità od immutabili- tà delle relazioni che uniscono gli effetti alle cagio- ni, e gli effetti simili a cagioni simili, i mezzi ai fi- ni; e dimostrammo insieme come questo concetto di universalità, il quale si converte con quello della im- mutabilità , sia impossibile il derivarlo da soli dati della esperienza. Non ostante il Mamiani , il quale Umane conoscenze igq lia detto , sentire è sapere , ha preteso con una fi- losofia , la quale non riconosce nello spirito uma- no altri strumenti che 1' osservazione psicologica ed il giudizio d'identità, che non può condurre a nul- la, di arrivare alla conoscenza dell'assoluto. La con- tingenza delle cose e delV intelletto, dice egli, sol- leva a conoscere Vassoliito : ma in qual modo ? Forse l'assoluto si contiene nel contingente ? E chi oserebbe pi'onunciare questo assui"do ? L'assoluto , o 1' incondizionale assoluto , il necessario, è dall'uo- mo concepito in occasione del contingente, come ter- mine correlativo del contingente stesso, distinto ed opposto al contingente, e non già come un elemento identico contenuto nel concetto del contingente; e la forza che fa concepire all'uomo il necessario o l'assoluto, non è la forza empirica, ma è l'intelligenza. Il carattere di questa filosofia del Mamiani ci pare rilevarsi in una contrapposizione al sensismo de' francesi; poiché, co- me in questo si faceva tutto rientrare nella percezione esterna o nella sensibilità posta in rapporto col mon- do esterno, così in quella tutta la forza della cono- scenza si viene a concentrare nella percezione inte- riore del me; e pretende poi col giudizio e col ra- ziocinio d' identità ( negando ogni giudizio sintetico universale ) che il me esca da se stesso ed arrivi al mondo ed all' assoluto. Tuttavia non taceremo che questo filosofo, benché empirico, non accetta le con- seguenze, le quali necessariamente procedono dall'em- pirismo; e delle quali toccammo di sopra. Per con- trario, siccome vedemmo, egli ammette l'assoluto, quan- tunque i soli strumenti di che ha voluto dotare lo spirito umano non siano adatti a tanto; ed aggiunge inoltre che: Perchè vive nel nostro animo un de~. 200 S C I E N a E siderio infinito del bene^ e i germi della religio- ne e della virtù , quasi vestigie delle idee sem- piterne d' Iddio , dehbesi accanto ai pronunciati della ragione situare gVistinti morali. Diremo una parola intorno alla filosofia del Rosmini ; col quale ci compiacciamo di riconoscere nella origine dell'u- mano sapere la concorrenza di elementi sperimentali e d' intellettuali insieme. Se non che , rispetto alla teorica da lui esposta, dobbiamo dichiarare, non es- serci stato possibile di convincerci che tutto il dato, elle vien posto dalla intelligenza nella formazione del- le conoscenze, si riduca all'idea dell'ente in univer- sale: siccome egli fermamente mantiene in tutti i suoi trattati. E ci pare che la suddetta idea dell'en- te in universale non costituisca un elemento posi- tivo della intelligenza: ma invece ci è sembrato che la suddetta idea ( se pure idea nel nostro senso può essere appellata ) si risolva nella legge fondamentale dello spirito, per la quale siamo costretti, indipen- dentemente da ogni principio logico, di congiungere universalmente all'ideale il reale ( sussistente o pos- sibile ) come termini correlativi in tra loro per mo- do, che il primo non può essere senza il secondo : talché l'essere è la relazione delle cose, delle loro so- stanze, delle loro cause e de'loro fini colle idee delle medesime. Il perchè, il vero essendo questa stessa re- lazione dell' ideale col reale , dissero i filosofi e tra questi s. Tommaso: Il vero e l'ente sono in tra lo- ro convertibili. Secondo noi l'idea dell'ente, proposta dal Rosmini come solo elemento dello spirito umano non procedente dalla esperienza , o ella si riduce a questo valore, o ella è un'idea prodotta dall' astra- zione ; nel qual supposto ella non sarebbe un eie- Umane conoscenze aoi mento originario della intelligenza, ma un prodotto del processo conoscitivo, ed in ispecie di quel mo- mento funzionale del medesimo che abbiamo chia- mato astrazione; ed ella esprimerebbe ciò che è co- munissimo ad ogni cosa pensabile , cioè 1' essere: e diciamo comunissimo, perchè l'essere si predica delle cose tutte, siano necessarie siano contingenti, di Dio, dell'universo, dell'uomo, dell'ideale e del reale. Co- munque sia la cosa , ecco la dottrina del Rosmini espressa colle testuali parole dell'autore; ed il letto- re poi ne faccia giudizio senza piti altre nostre pa- role: Le potenze originali delV anima sono due: un senso per le cose particolari, ed un senso per le cose universali. Il senso per le cose particolari costituisce la potenza che si chiama più comune- mente sensibilità', ed il senso per le cose univer- sali costituisce la potenza che si chiama pia co- munemente intelletto. Ogni potenza è un atto pri- mo particolare: e viene costituita da un oggetto inerente a lei essenzialmente, il quale si chiama materia, se rispetto alla potenza è passivo : e si chiama forma, se rispetto alla potenza è attivo , siccità tragga il soggetto in quelVatto che costi- tuisce appunto la potenza. U oggetto essenziale alla sensibilità è sua materia , mentre V oggetto essenziale delV intelletto è forma del medesimo ... Ciò che costituisce la potenza dell'intelletto è il sentimento che percepisce Videa delVessere uni- versale. Tolta via la materia della sensibilità, non rimane pia V essere sensitivo', tolta via la forma delV intelletto , è tolta questa potenza, ma rimane ancora il concetto di un essere sensitivo. Quindi Videa delVessere in universale è vero oggetto per- 202 Scienze cepito e distinto dall'essere sensitivo', ma Vogget^ to della sensibilità è un costitutivo delVessere sen- sitivo: e non potendosi da lui dividere^ non riceve propriamente il nome di oggetto. La coscienza unisce queste due potenze: e da ciò nasce, secondo l'A., la sintesi primitiva della conoscenza umana. L'essere è quelV elemento che entra in tutte le nostre idee : Vessere è ciò che rimane nelle idee nostre^ dopo che si è fatto sopra di esse tutte le astrazioni pos- sibili: Vultima delle quali ci dà appunto Vessere so- lo e puro ^ il quale rimosso, ogni idea è distrutta. Dunque non conviene pensare: o se si pensa, con- viene pensare Vessere: non si può dunque negare la pensabilità delVessere, perchè negandola si pen- sa Vessere, e quindi la si stabilisce. Se Videa delV essere è Velemento costitutivo di qualunque nostra idea, forza è che in qualunque nostra idea, Videa delVente sia V elemento immutabile , mentre tutti gli altri elementi sono mutabili ... L'idea delVessere è V oggetto perpetuo delV intelletto; ed ella non ci può venire dalla astrazione, perchè Videa delV essere dirige colla sua efficacia intima ed impo- ne leggi alV astrazione, e non può per conseguen- za da questa esser prodotta ed originata. Ora in questa siffatta idea dell'ente universale risolve il Ros- mini tutto l'elemento trascendentale della conoscen- za , il quale , secondo lui , combinato co' dati del- la esperienza costituisce e dà la forma a tutto lo scibile. Ma di ciò basti ; e poniamo fine a questa seconda parte del nostro saggio; ed apparecchiamoci alla trattazione della terza che ne rimane ; la qua- le ha per fine di sviluppare e descrivere il sistema delle umane conoscenze, seguendo i principii che fu- Umane conoscenze ao3 rono superiormente dichiarati. L'enciclopedia france- se, possenlissimo strumento della universale sovver- sione delle idee e delle credenze avvenuta sul fini- re del passato secolo, fu l'opera della filosofia sen- sista. Questa filosofia è oggi pressoché rigettata da tut- ti i filosofi; ed una migliore e più vera dottrina vie- ne a quella sostituita in ogni civile contrada. Ma questa restaurazione del senno umano non diventerà generale, sino a tanto che la filosofia, che oggi rinasce, non venga applicata, come venne fatto sfortunatamen- te della sensista, a tutti i rami dell'umano sapere. ( Sarà continuato ) 204 Cours d" economie politique par M. P. Rossi , membre de Vinstitut etc. Paris 1840, toni, I. ^Quest'opera dettata in francese non dee perciò te- nersi straniera all'Italia : italiano è l'autore, e nella celebre università di Bologna ebbe lezioni di econo- mia pubblica dall'egregio prof. Luigi Valeriani Moli- nari, notissimo per l'operetta Del prezzo, e per gli Erotemi di pubblica economia, e per tanti altri opu- scoli, elle contengono quasi il senno delle sue lezioni, le quali trovansi manoscritte nella biblioteca comuna- le di Bologna, città cbe fu degna raccogliere l'eredi- tà del senno e delle sostanze di cotant' uomo (i). Quando i moderni, superbi troppo di se, scordavano l'opera degli anlicbi , egli veniva mostrando il vero senso delle dottrine di Aristotele, ed osservava cbe noi siamo come pigmei alzati sulle spalle di giganti, die furono gli antichi : e quando gli economisti non con- sideravano nell'uomo poco piìi che le mani al lavo- ro, egli non iscordava di considerarlo come dotato di ragione : e la morale non iscompagnava dalla eco- nomia; avvisando nelle scienze ed arti quella concor- dia utile ed onesta, la quale sola può farle prospe- (i) Vedine la necrologia in questo giornale tomo XL, di- cembre 1828, a pag- 58o e segg. Se ne parlò anche nel luglio j83o, a pag, 169; e nel tomo LXVIII toccando della storia dell' economia del Pecchie a pag. ig ed altrove. Economie politique 2o5 rare veramente a prò degli individui e dell'universale. Egli è a desiderare che siano fatte di pubblica ragione le lezioni di quel degnissimo, che fu onore di Roma- gna, anzi d'Italia, e seppe esser saggio quando i più fdosofando deliravano. Il signor Rossi, uscito dalla scuola di lui, e con tanto ingegno e con tanto grido in Francia singolar- mente, doveva avere a mente ciò che gli economisti italiani aveano raccolto della nuova messe : ciò che il Gioia aveva ripetuto e pensato nel confrontare le loro teorie con quelle degli inglesi e francesi, ed an- nunziando le proprie : in fine , ciò che lo storico , benché scarso e manchevole, ne aveva scritto per far rilevare lo slato della scienza presso di noi. Doveva valutare le nuove vedute del Romagnosi, e la scien- tifica opera del Say , e le osservazioni di Storch e Riccardo : egli doveva rettificare il linguaggio della scienza , scegliere fra le opinioni , far progredire di qualche passo la scienza stessa in un secolo, che van- tasi di progresso : lo doveva e lo poteva, se altre cu- re gli avessero lasciato tanto di tempo, quanto bastar poteva al suo acuto ingegno ed al nobilissimo argo- mento. Nella introduzione tocca l'importanza, l'origine, i progressi, le divisioni della scienza economica. Quan- to all'origine, non la trova nell'antichità , e si argo- menta che non vi si possa trovare, parendogli solo ai moderni dovuta quella temperata sociale convivenza, onde i fenomeni economici : e credendo solo de'mo- derni il travaglio libero e pacifico, divenuto legge ai popoli civilizzali. Sopra di che se vogliasi scorrere la storia delle nazioni, si toccherà questo vero, che tra- vaglio libero e pacifico fu tra' fenici ed egizi in au- ao6 Scienze tico : che i fenomeni economici ebbero il loro felice sviluppo tra' greci, etruschi e romani singolarmente : che leggi di economia furono appo gli antichi, leggi che furono e sono come germi, e pivi che germi a quelle de'popoli civilizzati: che ogni scienza dividendo- si in teorica e pratica^ ragion vuole che si concluda, che la scienza pratica dell'economia non mancò agli antichi ; e la scienza teorica fu aggiunta da'moder- ni. Generalmente poi ( secondo osservò il prof. Vale- riani nella introduzione al trattato del prezzo ): a In « tutte le arti e scienze ( potendovi essere scienza » senz'arte , ma non mai vera arte senza scienza ) fa » d'uopo unire insieme la teorica alla pratica, e la )> pratica alla teorica per bene adroprarvisl e giudi- » carne ; e cosi pure conviene accoppiare alla scien- » za della civile economia la positiva giurisprudenza » contenente la parte pratica della civile economia; » ed eziandio una qualche pratica degli affari mede- » simi e politici e commerciali » (i). Quanto ai progressi della scienza, nota il Rossi che il sistema mercantile rappresenta veramente nella origine l'epoca delle città e repubbliche commercianti d'Italia e di Fiandra ; popolazione divisa tra signori pochi , e servi molti ; libertà confinata a'munlcipii ; niun' altra via di avvantaggiare che il commercio : quindi l'opinione naturalissima, che tenne il commer- cio fondamento della ricchezza sociale. Venendo al se- colo XVIII, nota egli che la scuola fisiocratica rap- presenta la reazione della filosofia, onde men giuste parvero, parvero vessatorie le istituzioni sulla proprie- (i) Del prezzo ec Bologna tip- Ramponi 1806 a pag. XIX. Economie poutique 207 tà : indi altro fondamento della ricchezza, la produ- zione delle terre. Finalmente colà dove il travaglio onoravasi, e una luce balenava o splendiva di più in pili a libertà politica, nota il Rossi, da Adamo Smith osservato il sistema industriale, ed avvisata la ricchez- za sì nel commercio, sì nell'agricoltura; essendovi in entrambi lavoro libero. Io pongo qui dubitando una mia opinione, che sarà valutala dai savi per ciò che pesa e nulla più. E questa opinione è, che né il solo commercio, ne la sola agricoltura, né il lavoro delle braccia soltan- to, sono separatamente od unitamente fondamento a ricchezza sociale. Farmi, che avere e campi e ville e case e servi e tutti i comodi materiali della vita non sia sola ricchezza individuale: onde poi dal comples- so quella delle famiglie , delle città , delle nazioni. Questa ( dirò così ) è ricchezza materiale. E che? sia- mo noi pura materia , o vili schiavi della materia ? Non vi ha egli una ricchezza più degna, la ricchez- za delle menti e degl'ingegni ? Oh sì veramente: Est Deus in nobis , agitante calescìmus ilio ! Vi ha una ricchezza, che dicesi quasi, spirituale : e parmi ricchezza piena non poter essere, se da materia e da spirito egualmente non sia mossa. Che fa all' avaro lo scrigno ricolmo d'oro ? Che fa alla famiglia, alla città, alla nazione ? Quello che gli ammasi delle an- tiche annone al commercio ! Nulla, anzi meno di nul- la, peggio di nulla ; portando vera miseria e priva- zioni, dove in realtà esser potrebbe comodità ed ab- bondanza. Egli è come una macchina, cui mancò il moto: come uno scheletro, cui mancò l'anima. Muo- ia l'avaro, e quell'oro ammassato si spanda in rivi , che fecondino le arti utili: ed ecco sorgere il moto, ao8 Scienze la vita dov'era l'inerzia e la morte. Io vorrei adun- que si generalizzassero le idee: vorrei che la proprie- tà non fosse soltanto di poderi e di case, ma d'in- gegni ( già proprietà in lettere ed arti riconobbero i principi d'Italia a questi giorni con degno ed inspe- rato consenso ): vorrei che si tenesse non solamente il commercio, o l'agricoltura, o l'industria materiale, sia divisi, sia riuniti, fondamento di ricchezza sociale: vorrei in una parola , che 1' atthntà in generale si tenesse fondamento della ricchezza de' singoli, onde quella delle famiglie , delle città , delle nazioni ; e questa attività si stendesse non solo alle cose della materia , ma anche e singolarmente alle cose dello spirito: non fosse soltanto attività di braccia, ma at- tività di mente: e quest' ultima anzi non mancasse mai, siccome movente dell' altra ; a quel modo che lo spirito non dee mancare alla materia in uomo vi- vo , il moto non dee mancare alla macchina a vo- lerne F azione. Come da cosa nasce cosa , io direi che gli uomini vengano a scienza concatenando i fat- ti; onde dall' agricoltura il commercio, da questo il lavoro, dal lavoro si venisse a designare quel fonda- mento più generale della ricchezza sociale, Vattività^ divisa in materiale e morale, come ho piuttosto adom- brato che accennato. Così avrassi la scienza della eco- nomia in generale, che in vari rami potrà dividersi a quel modo che dalla radice è F albero , e questo in rami si distende, e i rami in fronde ed in frutti; e così dicasi delle piante diverse, onde Futile vege- tazione. E come l'uomo è miracolo dell'ordine, unen- do in se mirabilmente lo spirito che move la mate- ria: così l'economia vorrei riconoscesse la colleganza delle due nature nelFuomo, e la ricchezza materiale Economie politique aoq dalla morale non iscompagnasse; altrimenti avverreb- be che uomini e popoli fossero più ricchi e men buo- ni, servissero all'ulile non all'onesto, e le città di- venissero non già stanze di uomini, ma covili di fie- re ; quando l'egoismo estinguendo la carità, il più forte rimanesse non amico e consolatorc, ma nemi- co e struggitore del debole. Vorrei che il consiglio di Aristide, non quello di Temistocle, guidasse le cit- tà, che sono immagini delle nazioni, come le fami- glie lo sono delle città, o poco meno: vorrei l'one- sto coU'utile indivisibilmente congiunti a formar de- gna e durevole ricchezza di popoli, di città, di fa- miglie, d'individui. Questo è il mio voto , che sarà accolto dai buoni, e mi basta ! Del resto io non la- scerò di ripetere a lutti coli' illustre economista , il Sismondi , a questo proposito (i) : « Quale egU è » adunque lo scopo della società umana ? Quello for- » se di abbagliare gli occhi mediante immensa pro- » duzione di cose utili od eleganti ; di sorprendere » l'intelletto coli' impero che 1' uomo esercita sopra » la natura per la precisione o la rapidità, colle qua- » li degli esseri inanimati eseguiscono un'opera d'uo- » mo ? Sarebbe egli quello di coprire il mare di na- » vi, la terra di strade di ferro, che distribuiscono )) m tutte le direzioni i prodotti della sempre più » nascente industria; ed in fine sarebbe egli quello » di dare a due, a tre individui infra cento mila la » facoltà di disporre di ricchezze, che basterebbero a (i) Questo tratto è preso dalla prefazione all'opuscolo inti- tolalo : Due saggi degli studi di economia politica di I. C. L. Sismoado de Sisnioudi tradotti dal frauceae dal dottor Leonardo Orioli. Ravenna i838, a pag. 6 e seg G.A.T.LXXXIX. ,4 240 Scienze » stabilire nell' agiatezza que' cento mila ? Se cosi )) fosse, noi avremmo certo operati immensi progressi j) in confronto de'maggiori nostri . . . Ma, ove lo » scopo , che intese proporsi la società nel favorire » il lavoro e garantirne i frutti, sia stato piuttosto » (li assicurare la prosperità tlell'uomo e di tutti gli ìi uomini; di spargere con mano benefica sull'intera » società, sebbene in proporzioni differenti, i frutti » del lavoro dell' uomo ( quei frutti, che noi cbia- » miamo ricchezze ) ; se tali frutti , nei quali com- » prendonsi tanto i beni morali ed intellettuali, quan- )) to i beni materiali, debbono essere un mezzo di » perfezione e di godimento , è egli certo che noi » avvicinati ci siamo allo scopo proposto ? E egli cer- » to, che cercando la ricchezza, obbliato non abbia- » si l'ordine, la regola della famiglia e della città , » l'economia politica ? » Se in tutte cose a ben riu- scire dobbiamo porci allo specchio della natura, che ci propone come il regolo a seguire nelle operazioni sì della mente e sì della mano e di tutto il corpo : perfetta scienza di pubblica economia noi non avre> mo, io dico, se il mondo fisico ed il morale non sa- premo abbracciare in un sistema, che dia ragione del- le ricchezze non pure materiali , ma intellettuali e morali: e ne conduca alla felicità de' singoli e dell' universale , che non islà nella copia dell' uso sol- tanto , ma più nel contenlamento del cuore : in un sistema che si fondi sull' attività, non pure mate- riale, ma intellettuale e morale : come è nell' ordi- ne, principio di ogni vero , di ogni bene e di ogni bello agli uomini, chi dritto miri senza spirito di par- te e con onore. Nò alcuno di mente sana e di cuor puro sarà mai, che si acquieti alle prime parole del Economie politique 21 ì Catechismo di economia polìtica di G. B. Say, an- tecessore nella cattedra al Rossi, quando dice : Che cosa s''intende col vocabolo ricchezza ? E rispon- de : Tatto ciò che ha un valore, Voro, V argento , i poderi, le merci (i). E che? Non vale dunque l'ingegno, il cuore, la voce ? Vale solo la materia , non vale lo spìrito ? E misurando il valore dalla uti- lità, non sono utili intelletto e volontà, che movo- no e mani e braccia e tutto ? a Due celebri scuole, » osserva quell'acuto giudizio di Adriano Balbi (2), » si contendono attualmente il campo della scienza » economica : l'industriale o cromatistica , fondata » da Adriano Smith ed ampliata da Piiccardo e da }) Say; quella ào'socialisti^ preconizzata da Sismondi » nella necessità di un ritorno ad abbandonate isti- » tuzioni. » Meglio osservando la scienza allo spec- chio dell'ordine, non pure fisico , ma intellettuale e morale, il Villeneuve ci diede i Principii di econo- mia politica cristiana. Anche in Italia il De Augu- stinis colle sue Istituzioni di economia sociale (Na- poli iBSiy ) , il Parisi di Roveredo colla sua opera Della condizione economica delle nazioni^ prege- vole in quanto ha saputo distinguere la riccliezza in- dividuale dalla sociale (3), ed il prof. Valeriani sino dal principio di questo secolo, mostrarono doversi ac- coppiare la scienza dell'economia a quella della giuri- (i) Catech. d'economia politica, traduzione. Milano 1824, seconda edizione a pag. 7. (2) Bibl. ital. maggio i84o,a pag. 199 a proposilo delle isti- tuzioni di economia sociale di Matteo de Anguslinis. (3) Vedi l'articolo relativo nella ^oce della varila, 20 feb- braio x84i, a pag. 423 e seg. 212 Scienze sprudenza e della morale, ricomponendo l'albero del- la scienza, che in rami distaccali dal tronco non può prosperare, ne far prosperare co'suoi frutti uomini , famiglie, città e nazioni : ed altri in Italia di scjui- iiito sentire accennarono in qualche modo al bisogno da me osservato di dare un più lungo principio alla ricchezza , dico i' aitività promossa e diretta colla legge dell'ordine fisico » intellettuale e morale , che all'ordine eterno si conforma. Allora, parrai, la scien- za sarà piena quando consideri l' uomo ; ma tutto l'uomo, in quanto è un essere misto, dotato di un ca- po organico e di un'anuna ragionevole, e capace di temporale ed immortale felicità, lutto cosi ad un colpo d'occhio, come vorrebbesi a costituire ciò che diciamo una scienza. Andiamo pure per gradi, ma non perdia- mo di \isla l'altezza : limitiamo pure 1' economia al temporale prosperamento, ma non dimentichiamo tulle sorla di ricchezza, di ulililà, di valore, sì nell'ordine fi- sico e sì neirintellelluale e nel morale; perchè anima e corpo siamo noi ; come Sallustio, abbenchè immerso nelle voluttà altamente, incideva nelle pagine , alle quali consegnò Tinfame congiura di Calilina. Tornando al Kossi ed alle grandi divisioni della scienza, egli non segue il Say, che distinse, produ- zione^ distribuzione, consumazione : si limitò alle due prime esplicitamente; e pretese la consumazione delle ricchezze non essere altro che o produzione o distribuzione o igiene o morale. Certamente una co- sa trae l'altra; del resto giudicheranno i savi, se con- venga a chiarezza ed esattezza la restrizione in due capi invece di tre. Segue nella introduzione il sig. Rossi, mostran- dosi ora con Smith, ora con Riccardo, ora con Mal- Economie politique ai3 llius: e senza sposare un autore, all'uno od all'altro si piega ; comechè non si possa subilo discernere il percliè dell' accedere o rinunciare che fa ad una od altra teoria. Dopo l'introduzione , egli nota oggetto e limiti della scienza ; distingue ricchezza, ben essere mate- riale, sviluppo morale : fissa, che l'economia politica assume per tema la ricchezza soltanto in via astratta. Spiritualizzando ( forse un pò troppo ) egli dice: Lo studio della lotta delle forze umane intellettuali e fi- siche colla materia per dominarla, trasformarla, adat- tarla ai bisogni dell'uomo, ecco un ordine di fatti e d'idee, le quali sono oggetto della scienza. Tuttavia egli distingue l'economia razionale dall' applicata. E della ricchezza dice, che consiste in ciò che è pro- prio a soddisfare i bisogni dell'uomo : il che pare con- . venirsi al pregio delle cose notato dal prof. Valeriani meglio e più propriamente, che a ricchezza in gene- rale: dacché essa abbracciar dee molto piìi 1' idea di abbondanza e di attività a bene, non pure dell'indi- viduo, ma della classe e della universalità. In quanto pretenderebbe potersi trovare in collisione reconoraia colla morale e colla politica, non possiamo in alcun modo essere con lui; a meno che non si volesse am- mettere, contro l'opinione dello stesso Tullio che rac- colse e illustrò tutta la gran sapienza, che ciò che è utile non sia anche insiememente onesto. Risalendo ai principii generali della scienza , l'autore nota, dirsi utili le cose che servono a sod- disfare i nostri bisogni nel linguaggio volgare : nel linguaggio scientifico, che esse hanno un valore. Di- stingue utilità divetta ( valore in uso, di Smith ) se la cosa serve direttamente a'nostri bisogni: indiretta 2i4 S e I E N z i: / valore in cambio ), se la cosa serve a procurare al- tre cose inservienti a'nostrl bisogni. V^alore in uso è l'espressione di un rapporto essenzialmente varia- bile dei bisogni cogli oggetti esterni: valore in cam- bio suppone da ambe parti volontà di privarsi di cosa propria, volontà e mezzi di avere ciò die ha l'altra. 11 valore in uso manca di obbiettività, secondo l'au- tore; se non che rappresentando un rapporto, ed es- sendo variabile indipendentemente dal nostro volere, dal nostro concetto in generale, potrebbe dubitarsi se abbia giustamente a riconoscersi in esso soggettività e non obbiettività. Il valore in uso dura finche dura quel rappor- to : il valore in cambio dura al solo momento del cambio. L'uno e l'altro è momentaneo', il valore in cambio non esiste che nell'opinione. Le cose hanno valore in cambio , tosio che lo hanno in uso: prò- ^ babile, tosto che pertengono a chi intende privarse- ne: reale^ conosciuto, determinato , al tnomenlo dei cambio. Il valore in uso pel sig. Rossi è base neces- saria al valore in cambio: quello ha una gradazione correlativa alla gradazione de'bisogni; onde si spiega p. es. il fenomeno della oscillazione de'prezzi in tem- po di carestia: è necessario ad ispiegare certi prezzi superiori alle spese di produzione, come que' degli oggetti di moda: pe'quali il valore in uso può cre- scere nell'alto ancora che diminuisce il valore in cam- bio, come avviene p. es. delle vesti. Ma qual è il fondamento del valore in cambio? Deriva dalla utilità e sproporzione delle cose coi bi- sogni, o dalla loro rarità. A misurarlo gli economisti hanno due formole, dell'offerta e dell'inchiesta, e delle spese di produzione. E non assentendo al tutto alla Economie politique «i5 prima formola, tanto bene dimostrata dal prof. Va- leriani nel Trattato del prezzo, più si accosta il si- gnor Rossi alla seconda, e precisamente a quella di Riccardo, che a suo parere appoggiasi a' fatti mate- riali ed immediati. Del die altri dubiterebbe , forse a ragione: e più di ciò die l'autore in seguito pre- tende, cioè non esservi misura certa ed immutabile del valore , non il lavoro , non la moneta , non la biada. Di che vedasi il Trattato del prezzo^ che non sapremmo raccomandare abbastanza. È cosa nostra, e noi italiani troppo dimentichiamo le cose nostre, an- che ottime ! Ma egli è ben tempo di vedere più specialmente che siano nel concetto dell'autore ricchezza e pro- duzione. Quella è il complesso degli oggetti aventi un rapporto co' bisogoi umani : il valore è appunto codesto rapporto: vi ha ricchezza dove ha valore in uso; dal quale ha causa il valore in cambio. Quello esiste anche in cose non prodotte dall' uomo; onde ricchezza altra è naturale^ altra prodotta; e quella o limitata o no. Produzione non è creazione: è puro movimen- to, ravvicinamento: è V applicazione di forze , che dà un risultato atto a soddisfare i nostri bisogni. Dessa suppone forze, applicazione, risultato. Po- trebbe opporsi , che la definizione data della produ- zione si adatta meglio al modo della produzione, di quello che alla produzione ; ma non è da sottiliz- zare co'soGsti ! Forze ; le principali sono terra, lai'oro, ca- pitale: dirette o indirette, fisiche o intellettuali, co- muni 0 appropriate, naturali od innanzi prodotte. Ter- ra è l'insieme delle forze naturali appropriale: lavO' 2i6 Scienze ro è causa e potenza, non effetto od atto: capitale è un risultato applicato alla riproduzione^ anzi che al godimento. Terra e lavoro sono forze primitive: capitale è forza derivata', tutto che, senza essere terra o lavo- ro, è forza produttiva, si è capitale. Mezzi diretti e indispensabili a produzione non escludono l'esistenza, il concorso des^indiretti^ come in genere tutto che tende ad agevolare, a to- gliere ostacoli : come il cambio , la circolazione , la moneta. Il concorso del governo, dell'autorità e forza pubblica aggiungesi ai mezzi indiretti, in quanto non è possibile senza quella produzione co'mezzi diretti: e così ragionando, anche la luce del sole, ed a piìi ragione, sarebbe per gli economisti mezzo indiretto. Lasciamo al senno de'leggitori altre difficoltà, che po- trebbero farsi all'autore, d'altronde ingegnosissimo; e tanto più osservabile perchè ingegnosissimo: la verità deve essere chiara a tutti gli occhi, e senza nebbia. Quanto al lavoro produttore e non produttore ( distinzioni di Smith, discusse da Malthus e da Say fra gli altri ): vi ha per l'autore produzione, se avvi applicazione di forza ad ottenere un risaltato atto a sodisfare un bisogno. Qui pare tutta la perizia dell' autore, che mostrasi degno allievo di quella gran men- te del prof. Valeriani, ed estimatore del Gioia, cui doveva citare almeno quando dimostra, che il servo concorre indirettamente alla produzione: studia .do la contingenza di tale concorso e le differenze de' ser- vigi nelle loro gradazioni sino a quelli, che rendonsi al tutto necessari alla produzione. Viene l'autore a toccare della produzione libera o vincolala a discipline governative, delle professioni Economie politique ary limitate, soggette ad abilitazione, venali: e parla del- la istruzione, che è mezzo a crescere la potenza del lavoro. Escludendo i vincoli , non disconviene sulla moderata sorveglianza circa la capacità e moralità de' lavoranti. Ammette limitazione di quelle professioni, clie non offrono una mossa illimitata di lavoro. Gio- va qui ripetere col prof. Valeriani (i): « Il proble- » ma principalissimo , che si propone di sciogliere j) qualunque maestrato incaricato della pubblica eco- » nomia, si è: Come nel tal tratto di paese, dotato A delle tali facoltà per la produzione, per la fabbri- M cazione , pel commercio de'generì, mantenere ed » aumentare una popolazione, in quanto essa si pro- » porziona mai sempre a' suoi alimenti, fra se con- » corde nella comune difesa. » Per noi non vorrem- mo, che sorgendo Orazio, e vedendo lo studio degli economisti ridotto a cercare il ben essere fisico (po- co o niente cercando il ben essere morale ), ci fa- cesse altamente il rimprovero: Nos numerus sumus et friiges consiimere nati , con quello che segue. Torna qui sempre la nostra osservazione sul doversi cercare la soddisfazione de' nostri bisogni , come li distinse il lodato prof. Valeriani: cioè i.° fisici, 2.° mo- rali o dell'uomo: suddividendo i primi in bisogni di prima necessità, ed in quelli di comodo e piacere fi- sico : e gli altri poi in bisogni sentiti ancora nello stato di natura non civilizzata, sebbene assai rozza- mente ( come degli ornamenti, e della imitazione e ricerca del vero ); ed in bisogni non sentiti, che nel- lo stato di civile società e nella ineguaglianza delle (i) Tratt. del prezzo a pag. 171 e seg. S e I E If Z E fortune ( e sono quelli della moneta quando misura, e quando misura e pegno di pregio) sono quelli del lusso ( del quale una specie è la moda ) ed altro è dell' individuo , altro della classe : ritenuta la qual distinzione (i) più largamente era da considerarsi la intelligenza sviluppata, come quella che è la princi- pale e più copiosa fonte di ricchezze: più largamente di quello sogliano fare gli economisti, e lo stesso au- tore, benché giudiziosissimo. Segue l'autore a trattare della popolazione, ora moderando ora difendendo le teorie di Malthus, che volle applicare il calcolo di progressioni geometriche ed aritmetiche , dove o non è sempre applicabile o lo è con limitazioni, come è a vedere negli Erote- mi del nostro Valeriani , ai quali rimettiamo i leg- gitori , onde pongano a confronto le osservazioni sulla popolazione e sulla teoria raalthusiana fatte dal professore, che sedette al principio di questo secolo sulla cattedra di Bologna , ed il degno suo allievo signor Rossi, che ora siede su quella della dotta Pa- rigi. A ciascuno il suo : alla verità i primi , i soli omaggi I D. Vaccolini. (i) Ivi a pag. i6 e segg. non che nelle tavole poste in fine al Trattato del prezzo. Vedansi anche gli Erotemi dello stesso prof. Valeriani. -«B^^?Q^S«*- QI< Biografia di Sebastiano Canterzani scritta da Gianfrancesco RambelU» Sebastiano Canterzani venne alla vita in Bologna a'25 agosto 1734 ài Giuseppe e Barbara Bertucci, fa- miglia onesta e di molto specchiata pietà. Le dome- stiche mura gli apprestarono la prima insliluzione , che nell'arte de'numeri ebbegli data il padre valentis- simo aritmetico; le scuole de'gesuiti lo erudirono pie- namente nella latinità, ricreando le ore di ozio colla Calligrafia che imparò da se, e col disegno di figura in che lo veniva introducendo Ercole Oraziani suo vicino. Rimangono bei saggi del suo valore in ciò tratti dalle opere del maestro, dalle stampe di Guido e di Simon Pesarese. L'esattezza e precisione che ri- chiedono questi studi , l'indole sua docile e soave, tutta moderala e riflessiva, allena da' trastulli dell'età e imponente il sommo della diligenza in ogni meno- ma cosa, prenunziavano in lui grande attitudine alle scienze esatte. Nelle quali a quanto dì altezza fosse per salire il prese a mostrare quando datosi alla fi- losofia sotto Ercole Corsini, insegnatore di grido in essa, lasciato ogni altro studio, si profondò a tutt'uo- mo, e siffattamente riesci che di 21 anni ( i5 giu- gno lySG ) ne fu laureato per mano del dottissimo isterico della natura Gaetano Monti. Già la segnalata dottrina di lui il designava alla cattedra: ma era sta- tuito che a rendersene degno s' avessero a sostenere pubblicamente, e senza aiutatore, filosofiche conclusioni 220 S C I S K Z £ latine. Sebasliano, sceso nel malagevole arringo, vi trat- tò valorosamente ogni arma e uscì cinto di palme sì glo- riose, che la patina università lo ebbe ben presto a pro- fessore (li matematica (iy6o). Nuovo non eragli sif- fatto uffizio: che già da più anni faticavasi nel pri- vato insegnamento, tenendo pur vece di Eustachio Za- netti geometra ed astronomo chiarissimo, statogli mae- stro ed amico, e di cui scrisse e pubblicò poi la vita. Più fruttuosa della consuetudine di Eustachio eragli quella di Francesco Maria Zanetti, che lo amò di forte amore, lo associò a'propri studi celebi'andolo con alte lodi in casa e fuori, e testificandone solennemente la dottrina nelle pagine dell'istituto (i) ; ove il chiamò matematico sagacissimo e versatissimo. E conoscendo a molte prove quanto il Canterzani si fosse in altre discipline addentrato, quanto splendidamente adorno di latine e italiche lettere, fino dal 1760 il volea vice segretario dell'istituto ; e quando al mancare del Bec- cari venne eletto esso Zanotti a presiedervi, cessegli al tutto l'ufficio di segretario, concordando in ciò pie- namente i senatori che in lui riponeano le più belle speranze. Le quali non fallirono menomamente: sic- come fecero aperto i due ultimi volumi (IX e X) di quella nobilissima accademia, che ne'commentari da lui dettati si mostrò pari all' antecessore in dottrina ed erudizione: splendendo nel suo stile latino certa na- tiva venustà, candida eleganza ed ingenuo nitore, da cui non trasparìa quella vena di sapor forestiero che altri notava nel Zanotti. Che se il dichiarare con tanto di sapienza i pensamenti altrui ponealo in voce d'uo- (i) T. V. I, pag. 157, 177, 2ai, 210, ai3; e t. V, p- 2. p. 6. I^ECROLOGIA DEL GaNTERZANI 221 mini, viemaggiormente vel poneano le proprie opere che ne provavano reccellenza in ogni genere di filo- sofiche discipline, e nelle matematiche sovrattutto. Pri- me di queste furono i Due discorsi che porgono il disegno delle intere classi fisica e matematica apparsi nel Prodromo della nuova enciclopedia italiana'. a cui seguirono gli Elementi di geometria^ e i Ru- dimenti di aritmetica (1776 e 1777): ne'quali è no- tevolissima la hrama aperta fin d'allora che i calcoli coll'uso del computo decimale venissero facilitati. Que- sti opuscoli tenui di mole, ma non di gloria, faceano parte d'intero corso filosofico che in pulitissimo latino insegnava per più anni negli ora soppressi collegi de'lucchesi e Ancarani di Napoli, e che durò a dettare privatamente in casa a chi sortì darsegli a discepolo. Frattanto nel 1771 era stato ascritto al collegio filo- sofico, e nel 1776 eletto a professore di fisica speri- mentale nell'istituto. Tenero com'era della sintesi geo- metrica mostrava quale sia la curvità delV orbita de^pianeti in due proposizioni dallo Zanotti così pre- giate, che col nome dell'inventore le pose nell'aureo suo hhro delle Forze centrali^ quivi scrivendo come niente loro mancava ed eleganza compiuta e somma. Doti egregie, con che trattava anco geometricamente della Misura delle volte, e (ÌqW Mtj^azione della sfe- ra. E comunque i matematici tengano in gran conto 1 metodi della sintesi, pongono nondimeno fiducia e dilezione somma nell'analisi algebraica, come quella che alle astruse loro indagini opporlunissima esperi- mentano. Alla quale con pai-i e maggior caldezza della sintesi datosi il Cantei'zani, formò il pensiero d'un'ope- ra grande e di grande momento sulla Risoluzione delle equazioni^ che per isventura non trasse a fine giacen- 222 Scienze done tuttora sconosciute ed inedite le parti, salvo al- cuni frammenti clie vennero a luce. Tali furono : La, dimostrazione della riducibilità d^ ogni quantità algebraica alla forinola A =t: Br. ( — ' i): Il teorema intorno le trasformazioni delle equazioni: Le os^ servazioni sopra il ritorno delle serie'. La memo~ ria sul caso irreducibile : Le riflessioni analitiche sul calcolo integrale^ ove specialmente estese il me- todo di Eulero sull'integrazione delle equazioni linea- ri di secondo ordine a quelle congeneri d'un ordine qualunque: e La memoria sui massimi e minimi^ in che die a vedere la possa del suo intelletto nella mec- canica, dianzi illuslrata nel Discorso sulle maravigliose macchine formatrici di vetri ottici dello spoletlno Cam- pani e del bologuese Bruni. Nò meno della meccanica valendo nell'astronomia (usato com'era a prestarle ope- ra ad Eustachio Zanotli nelle osservazioni e ne'cal- coli delle effemeridi). Quando nel 1761 gli astronomi pili chiari spargeansi per tutta la terra ad osservare il passaggio di Venere sovra il disco del sole, ei con- giuntosi ad altri valenti fu alla specola: e compiuto il fenomeno, dal raffronto de'vari osservamenti trasse una grafica rappresentazione del gran passaggio testi- monlante l'esattezza con che da ciascuno erasi proce- duto. E quantunque l'astronomo francese Pingrè 50- spicasse di errore nelle osservazioni della specola bo- lognese, ebbe poi a riconoscerle giuste, determinatovi ! in ispecie dalla Lettera con che il Canterzani a difesa propria e dei colleghi discusse e sciolse profondamen- te la quislione. Olire al possedimento di tali scienze, mostrandosi armato di acuta dialettica, ricco di vasta erudizione e di scelta dottrina, lasciando scorrere fiu- mi di facile eloquenza rallegrati dal soave canto delle Necrologia, del Canterzani aaS mnse, die luogo a giudicare: « Che chi bramasse Tidea del Canterzani, la troverebbe disegnata in quella che del filosofo eccellentissimo porge con tanta grazia e maestria lo ZanoUi ne'famosi suoi Dialoghi della for- za viva (i). » Ondechè a un tal uomo, i cui meriti al- zavansi a grido, si fecero estimatori ed amici quanti in Bologna e fuori si conosceano degli ottimi studi, pa- recchi de'quali intitolarongli anco libri ed opuscoli. Principali e più domestici furono Gaetano Monti, il Voglì, rUttini, il Galvani, lo Schiassi. Discepoli ebbe molti e nobilissimi: fra cui sorsero G. B. Guglielmini, Giuseppe Yenluroli, il cav. Aldini, il Caluregli , il Contri, il Tagliavini ed altrettali. Questi, oltre la fre- quenza e il plauso di cui coslantemente l'onorarono, gli coniarono altresì una medaglia. Sovra ttutti però il tennero meritamente in pregio i cardinali legati Ar- chetti e Boncompagni, il primo dei quali il richiedea sovente (1787) di utili consigli, volendone l'altro pia- vate lezioni di alta geometria. Ne meno estimandolo i magistrali e senatori bolognesi, il chiamavano a giu- dicare ( 1780 ) or le macchine ordinate a'iavori della moneta, or la struttura del pubblico orologio, or il re- golamento delle acque del canal volta nel naviglio e nel reno ( 1792 , 1794 )• Congiungevansi a queste onorificenze quelle delle accademie che ornarono del suo nome i loro fasti. Olire la straniera di Cassai, se- dette pensionario ed ìstorico nella benedettina ; fu della napolitana ( 1771 ) , della società georgica di (i) Elogio del cav. Sebastiano Canterzani scritto dal march, Ferdinando Landi piacente, inserito nel tomo XIV degli aiti della società italiaaa delle scienze. Modena tipog. camerale iSsS. 324 Scienze Treia ( 1781 ) , della reale accademia e della so- cietà agraria di Torino ( 1788 ) , uno de' XL della società italiana delle scienze ( 1785 ), dell'etnisca di Cortona (1788) e della mantovana e italiana di scien- ze, lettere ed arti. Venne consultato col lacquier in- torno a'cambiamenti che disegnavansi operare in una delle cupole del vaticano: su di die scrisse a richie- sta del cardinal segretario di slato, che era quello stesso Boncoinpagni cui fu sì caro e pregiato da vo- lerlo seco sovente ed in città ed in villa e in Ro- ma, ove conducealo nell'autunno 1789. Di là passa- to a visitar Napoli, vi era richiesto da'principi di s. Angelo Imperiali, offertigli cento ducati mensili a vi- ta, e data fiducia di seder professore in quella uni- versità. Ma nulla poterono sull'animo di lui sì lar- ghe profferte: che vincendo la gratitudine e l'amore alla patria, nella sua Bologna rimase. La quale debi- tamente retribuendo a tanta predilezione, premiava trent'anni di durate fatiche concedendogli onorato ri- poso ( 1790), che non dimauco avea corta durazio- ne: poiché la restaurata università vedealo fra gli in- segnanti, e poco dopo ( morte Gaetano Monti ) di- venir presidente delTistituto. Ad onori e dignità so- miglianti crescean lustro a dismisura le virtù, di cui ebbe mirabilmente composto l'animo, e che guadagna- rongli l'amore e la venei^azione universale. Modesto e sobrio in tutto il suo vivere, fu d'illibatezza e mo- derazione grandissima accompagnate da prudenza e maturità di consiglio non comune. Grave di natura, ma non rozzo e scortese, si porgea assiduo alle fati- che, ordinato, assegnato in tutto e molto vincitore di se medesimo. Dal mai dire, cui è si rotta la falsa sa- pienza, era astiuealissiino: e la misericordia e giusti- Necrologia del Canterzani aaS zia amava accesamente, usando ne'poveri continuate e molto notevoli larghezze. Se coU'urailtà e col bene operare ebbe spenta 1' invidia , mal giudicando dalla sua la rettitudine altrui , s' abbattè più fiate in chi abusandone gli fallì la fede. Amore portò senza fine alla moglie Anna Minelli, che d' onestissima condi- zione si tolse essendo ne'Sa anni , e da cui fu ben ricambiato e consolato d'otto figliuoli : sei dei quali cresciutigli a liete speranze, dilesse con parità d'affet^ to, curandone a gran diligenza l'educamento, e stu- diando lasciar loro la fruttuosa e invidiabile eredità d' un pio onoralissimo costume. Il decoro e ottimo reggimento familiare con ogni sollecitudine procacciò, senzachè nel distogliessero, né gli stretti averi, ne i non mai intermessi studi. Bramato e consultato da uomini principi, scelto giudice di scientifiche conten- zioni, richiesto di parere su dotti lavori , onorato e rinomato per tutta 1' Europa , non superbi mai, mo- strando al contrarlo le pm umili e basse stime di sé. Del doveri della religione osservatore il più scrupo- loso, la fé regolatrice d'ogni sua azione, preponendo- la a tutti gli agi ed onori di quaggiù. Di che dava molto splendide prove quando nel 1798 avendosi da luij a giurare fedeltà a' reggimenti repubblicani, o a perderà, ricusando, ogni grado e stipendio, riputan- do que'giornl illeciti ad uom cristiano, stè saldo e te- nace al rifiuto; noi rimovendo né gli esempi altrui, né i conforti e le preghiere de' magistrati ed amici. Sublime costanza che trasse l'ammirazione di que'me- desiml che sentivano il contrario, e che tornò a sua maggiore esaltazione ! Mentrechè sedati que'disfrenati bollori di parli, e venutosi a procedimenti più tem- perati, chiama vasi il Canterzani all'Insegnamento della G.A.T.LXXXIX. i5 226 Scienze fisica generale, faceasi senatore, socio pensionario del nuovo insliluto italiano, preponendosi ben anco (1812) a quella parte che avea stanza in Bologna. Fu allo- ra che comandato scrisse V IsLviizione aritinetica sul calcolo decimale: e che sollevato l'animo dalle pa- tite traversie, potè far ricchi l'instituto nazionale e la società delle scienze di vari scritti, come la Let-^ tera a Tommaso Vareno sopra una maniera di cavare i numeri bernoulliani : La risoluzione Je' problemi di massimo e minimo, quando la quan- tità che vuoisi massima e minima è data : La me- moria de^reciproci delle forme irrazionali: Il me- todo d^indagare i divisori di qualsivoglia dato nu- mero. Frattanto, a provare veraci e meritate l'estima- zioni de'governanti, erano venute a fregiargli il petto nel i8o5 le insegne cavalleresche della francese le- gione d'onore, nel 1806 dell'italica corona di ferro, poi dell'austriaca, e nel 181 4 del real ordine delle due Sicilie. Due anni appresso dalla società italiana inviavasi con altri chiarissimi alla reale altezza di Francesco IV duca di Modena per impetrar quella conservazione di sé, che sola era in podestà del mu- nilico principe; e tornava lieto d'averle ottenuta certa e immobil sede in Modena, ove vive, fiorisce e frut- tifica ad incremento delle scienze e della non peri- tura italica gloria. Divenuto (1817) presidente dell' instituto pontificio, vi leggea un discorso sulla Eli" niinazione: e comechè dolori di calcoli vescicali, che tollerava con invitto e pazientissimo animo, il mar- toiMassero da più mesi, durava ne'gravosi studi; e do- po mezzo secolo d'insegnamento, ottenuto cessarsi da ogni incarico ed uffizio, fatta adulta e degna di lui la virtuosa famiglia, il venerabil vecchio più altro pen- Necrologia del Canterzani 227 siero non ebbe cbe il calcolo e Dio. Per tal modo giunse all' ottantesimo quinto anno : finché a' 19 di marzo del 1B19 una flussione di catarro congiuntasi a mali anticlii lo trasse al sepolcro con morte alla pietà della vita totalmente consentanea, lasciando tut- ti d'un cuore addolorati a lacrime i parenti gli ami- ci i buoni e la patria, cbe nella perdita di tant'uomo sentì esserle tolto un lume ed ornamento singola- rissimo. Il suo cadavere portalo alla chiesa di s. Mar- tino vi ebbe solenni esequie, presenti i professori dell' università e affollatissimo popolo (i). Di là venia re- cato alla Certosa, ove nell' aula, che la patria desti- na a glorioso sepolcro degli illustri e veramente be- nemeriti cittadini, se ne collocava il busto in marmo, cui sottoporrannosi tali parole che faccian fede agli avvenire che niuii elogio basterebbe a descrivere le virtù di questo graiuVuomo {2). (1) Scoiassi, De laiidibus Sebastiani Canterzani eg. Sermo. Bononiae ex offic liicchesiniana 1819, p, 4- (2) Francliiai, St. delle inatem. saB Sciènze OPERE A STAMPA DEL CAVALIERE SEBASTIANO CANTERZANI ì. De problemate ad conicas sectiones pertinentei Sta a pag. l^i e 43 del trattato de Vlrihus cen- tralibus di Francesco Maria Zanetti. Bologna , 1762, per Lelio dalla Volpe, in 4' 2. De attractione sphaerae. Trovasi a pag. 66 e seguenti del tomo V, parte II, degli atti dell'ac- cademia di Bologna, ivi stampato per Lelio dalla Volpe, 1767, in fogi. 3. Epistola ad Hirvoiifinum Saladinum qua Eit^ stachii Zanottl ohservatlo Generis solem tra- iicientis ab omni erroris suspicione liberatur. Ivi, pag. 241 e seguenti. 4. Risposta ad una lettera diretta al Canterzani dal padre Sacchi relativa alle corde musiche. Sta a pag. igS e seg, del lihro intitolato : Della divi- sione del tempo nella musica, nel ballo e nella poesia. Dissertazione III del p. don Giovenale Sac- chi barnabita, Milano, 1770, per Giuseppe Maz- zucchelli, nella stamperia Malatesla in 8. 5. Prima geometriae eìementa cum additamento, Bononiae, 1776. E di nuovo: Bononiae^ 1804» apud loseph. Lucchesini, in 8. 6. ^rithmeticae rudimenta. Bononiae , 1777 , ejc tfpogr. s. Thomae Aijuinatis, in 8. Necrologia del Canterzani 229 7. Piani delle classi rnatematìca e fisica della nuova enciclopedia italiana. Stanno segnati S. C, a pag. I e segg. del prodromo della nuova enciclopedia italiana. Siena, 1779, nella stamperia di Vincen- zo Pazzini Carli e figli, in 4- 8. De bononiensi scientiarum et artiiim ìnstltuto atqite academia commentari i, tora. IX e X. Bo- noniae ex tjpographia Lelii a Vuìpe et insti-^ tati scientiarum it 1783 e 1791, in fol. g. De curvae catenariae aequatione. Sta nel tomo VI dei commentari suddetti, a pag. 268 e see. 10. De machinis duabus ad metallicas formas ^qui^ bus vitreae lente s conjlciuntur , construendas inventis. Ivi pag. 3oa e segg. 11. Dimostrazione della riducibilità d'ogni quantità immaginaria algebrica alla forma Ah- BV ( r ) adattata ad un trattato elementare della natura del- le equazioni. Sta a pag. 720 e seg. del tomo II, parte II , delle Memorie di matematica e fisica della società italiana, \erona, per Dionigi Roman- zini, 1784, in 4- 12. Vita di Eustachio Zanotti. Sta a pag. 175 e segg. del tomo 58 del giornale dei letterati per Tanno 1785. Pisa, presso Iacopo Graziosi, in 12. i3. Osservazioni sul valor cardanico esposte in una lettera diretta al nobil uomo signor canonico Gi- rolamo Saladini, in occasione d'essere uscito un foglio anonimo, che propone una maniera di ri- durre il caso irreducibile. Si aggiunge una disser- tazione ( latina ) contenente varie osservazioni in- torno alla formola ( b H- [/-bb - I ) 1/ -f- ( Z>. — yrbb „ I ) ^/, ; = 2 23o Scienze De tertii gradus aequatìonibus animachersio- nes quaedani. In Bologna, 1787, nella stamperia deirinstituto delle scienze, in 4- 14. Osservazioni sopra il ritorno delle serie. Sta a pag. 88 e segg. del tomo V delle memorie della società italiana. Verona, per Dionigi Romanzini, 1790, in 4. ^ i5. Riflessioni sopra l'integrazione delle equazioni li- neari a due variabili. Sta a pag. 807 e segg. del tomo Vili, parte I delle stesse memorie. Mode- na, presso la società tipografica, 1779, in 4- 16. Tavola del mezzo giorno calcolata alla latitudine di Bologna per l'anno MDCCC ultimo del secolo XVIII, e per li primi XXIV anni del secolo XIX. Bologna, nella stamperia di san Tommaso d'Aqui- no, in 8 ( senza nome d'autore ). 17. Istruzione intorno al calcolo delle frazioni deci- mali ec. Bologna, nella stamperia dei fratelli Masi e compagno, i8o3, in 8 ( senza nome d'autore ). 18. Lettera a Torquato Vareno, sopra una maniera di cavare i numeri bernoullianì, inserita a p. 178 e seg. del tomo XI delle memorie della società italiana delle scienze. Modena, presso la società tipografica, 1804? in 4- ig. De' reciproci delle formule iri'azionall. Trovasi a pag. 3oi del tomo I, parte II, delle memorie del- l'instituto nazionale italiano. Bologna, 1806, pres- so i fratelli JVlasi e compagno, in 4- 20. Della risoluzione de'problemi di massimo o mi- nimo, quando la quantità, che vuoisi massima o minima, è data. Posta a pag. 167 e scg. del to- mo XIV, parte I, delle memorie della società ita- liana delle scienze. Verona, dalla tipografia Gam- barctti e compagno, 1809, in 4- Necrologia del Canterzani 23 r ai. Memoria in cui si espone un metodo d'indagare i divisori dì qualsivoglia dato numero. Sta a p. 445 e seg. del tomo II, parte II, delle memorie dell'istituto nazionale italiano. Bologna, 1810 , presso i fratelli Masi e compagno, in 4* 22. Soluzione di due problemi appartenenti alla teo- rica de'raassimi e minimi, posta a pag. 241 e seg. della parte matematica del tomo XVII delle me- morie della società italiana delle scienze. Verona, dalla tipografia di Luigi Minardi, 1816, in 4* 28. Discorso sopra l'eliminazione d'una incognita da due equazioni , letto all'istituto delle scienze di Bologna nel dì 27 febbraio 18 17. Bologna, presso i fratelli Masi e compagno, in 4* 24. Della misura delle volte, che vengono proposte agli architetti da praticarsi negli edifizi. ( Stampa di pagine 8, in 4i con tavole in rame, senza no- ta di anno, di luogo e di stampatore). OPERE INEDITE. t . De assj-metris. 2. De iisdem ( lett. a Francesco Maria Zanotti ). 3. Aggiunta alla memoria posta nella parte II del to- mo I dell'insllluto nazionale italiano, sopra i re- ciproci delle formole irrazionali. 4. Della natura delle equazioni, e abbozzo di un pia- no di algebra. 5. De aeguatione, cuius radices sunt summae bi- naruin alterius aequationis radicuin. 6. De eodein argumcnto, sermo alter» 7. De eodem , latina dissertatio. 8. Osservazioni intorno al metodo di Tscbirnhausen 232 S C I E N Z B per liberare le equazioni da quanti vi vogliono termini intermedi. 9. Esame dun opuscolo anonimo relativo al caso ir- reducibile delle radici delle equazioni di terzo grado ( in lingua latina ). 10. Lettera al sig. senatore Angelelli contenente delle osservazioni intorno al nuovo metodo del signor Adamuccio per le equazioni di quarto grado. 11. De serieruin quarundam summa generali ex dato generali termino. 12. De generali serierum summa ex termino ge- nerali, deque numerorum naturalinm logarith- jnis supputandis. i3. De logarithmis quantitatum negativaritm. if^. Qua sit ratione tractandits numerus quisque propositus, appareat ne primits sit an facto- res habeat. Veggasi il tomo 2 p. 2 dell'istituto nazionale italiano pag. 44^ ^ ^egg. i5. Problemi vari spettanti alla teorica dei numeri primi, ^à all'analisi di Diofonto. r6. De poljgonoidis perimetro curvilinea (Veggasi il tomo VII dell'accademia dell'istituto di Bolo- gna p. 48 e segg. ) 17. Sali' uso della cissoide nella costruzione delle equazioni cubiche. 18. De punctis in triangulo spherico reperiendis^ quibus certae proprietates conveniunt. 19. Della risoluzione d'un' equazione trascendente. 20. Principii di calcolo differenziale e integrale. 21. De theoremate quodam maximi minimive pro- prie tateni continente. 22. De curvis, sive evolventibuSy sive evolutis. 28. De radiis oculi. Nbcrologia dee Canterzani ^ 233 24. De methodis diiahus ad integrationem aequa- tionum differentialium primi ordinis pertinen- tibus. 25. De nova quariindani aequationum dijferentìa- Uiini trasformatione. 26. Lettere sulla controversia tra il cavalier Lorgna e il padre Casali, relativa alle equazioni lineari. 27. Di alcuni accidenti del calcolo creduti paradossi. 28. Schediasmi ad uso dell' emineutissimo Boncom- pagni. 29. Lezioni di statica, meccanica, idrostatica, idrau- lica, fisica ( in lingua latina ). 30. De mechanicae principiis. 3i. De principio mechanico constituendo. Sa. Sul principio delle velocità virtuali. 33. De centro gravitatis , directionibus ad piin- ctuni non infinite remotuni convergentibus. 34. De centro gravitatis trianguli sphaerici. u4d Torqaatum Varenum. 35. Sul problema : a Se un corpo posi sopra una linea retta orizzontale sostenuto da piìi di tre ap- poggi: si cerca come il peso del corpo si distri- buisca tra gli appoggi. » 36. De attractione vel in sphaera vel in sphaerae superficie. ( Veggasi il tomo V, parte II, de' com- mentari dell'accademia di Bologna, p. 66 e segg.) 37. Della percossa e della comunicazione del moto. 38. Di vari paradossi notati da d'Alembert nella teo- rica del moto de'corpi lanciati in alto dalla su- perficie della terra. 89. Fogli e lettere intorno all'equilibrio delle volte. 40. Scx'itture per la cupola del duomo di Ravenna. 4i. Parere sopra un progetto di un nuovo campa- nile del tempio vaticano. 234 Scienze 42. Parere intorno un progetto di riparazione del volto della sala d'Ercole nel palazzo pubblico di Bologna. 43. Consulti sopra la trafila della zecca di Bologna. 44- Note alla dinamica di d'Alembert. 45. Traduzione di gran parte della meccanica anali- tica di La Grange corredata in molti luoglii di postille marginali e di figure. 46. Prohlemata quaedam hjdraulica. 47. Voto per difendere il canal volta e il naviglio dagli effetti dei rigurgiti del cavo benedettino. 4B. Carte scritte intorno l'orologio del pubblico. 49. In lode dell'astronomia ( proluzione pubblica la- tina ). 50. Di una forma particolare di termometro. 5i. De terrestris atmosphaerae altitudine. 52. Soluzione de' problemi di Kramp pubblicati da Gregorio Fontana nel giornale fisico medico di Luigi Brugnatelli per l'anno i8o3. 53. Giornale dei terremoti di Bologna degli anni 1779 e 1780. 54. Lettera al signor dottore Cesare Rizzardi conte- nente un ragguaglio e due congetture sopra le cagioni dei terremoti medesimi. 55. Copioso carteggio concernente la nuova enciclo- pedia italiana. Necrologia del Canterzani 235 elogio del canterzani con lui sepolto e scritto dallo schiassi. Corpus. SeLastiaiii. Canterzani Equitis. Doctoris. Philosophi Hic. Bononiae. Hortus. Est. X. kal. Septembris. A. MDCCXXXIV. Parentibus, losepbo. Canterzano. Et. Barbara. Bertucci. Qui. Filium. Ad. Lilteras. Djsci- pllnasque. El. Ad. Rellgioncm. Omncmque. Virtù lem. Inslituendum. Curaverunt. Spei. De. Se. Praeconce- ptae. Mirum. In, Moduin. Respondit. Dededit. Se. Se. Potissimum. Studiis. Piiilosophiae. Cuius. Lauream . Summa. Cura. Laude. Adeptus. Est. A. MDCCLVI. Quamque. In. Arcbigymnasio. Tura. Veteri. Tum. In- staurato. Docuit. Idem. Physicam. Tradidit. In. Insti- tuto. Bononiensi. Cuius. Et. Ab. Actis. Et. Praeses. Fuit. Praefuit. Sodalibus. Instituti. Italici. Bononiae. Consistenlibus. In. Collegiuin. Pliilosopliorum. Coo- ptatus. Est. Cooptatus. Item. In. Societate. Philoso- pborum. Neapolitanorum. Taurinensium. XXXX. Ita- licorum. Aliarumque . Multa . Scripsit. De. Rebus. Philosopbicis. Multa. De. Matbernaticis. In. Quibus. Maxime. Excellult. Eorum. INonnuUa. Edidlt. Plura. Edenda. Eaque. Praestanlissìma . Quaeque . Magno. Posterorum. Usui. Atque. Utilitati. Futura. Essent. Reliquit. Gallis. Italia. Politis. A. MDCCLXXXXVI. In. Senatum. Ex. Ordine. Civium. Relatus. In. Le- glonem. Honoratorura. Imperli. Gallorum. Inque. Or- dines. Equilum. Corona. Ferrea. Tura. Austriaca. Et. Corona. Siciliae. Utriusque. Ob. Famam. Nominis. Adlectus. BoQonia. A. Pont. Max. Recuperata. In. 236 Scienze Consiliura. XXXXVIII. Virorum. Relp. Moderandae. Adscitus. Ingenio. Fuit. Mitissimo. Moribus. Anti- quis. Pietatem. A. Pueritia. Impensissime. Coluit. In- tegritatem. Prae. Se. Tulit. Comemorabilem. Ea. Fuit. Religione. Ut. lusiurandum. Quod. Homini. Catholi- co. Absonura. ludicaret. Vel. Omnium. Publicorum. Proventuura. Dispendio. lurare. Abnuerit. Ex. Anna. Minellia. Coniuge. Concordissima. Carissimaque. Su- scepit. Filios. Octo. Mares. Duos. Ioannem. Baptistam. Doctorem. Philosophum. Et. loseplium. Feminas. Sex. Mariam. Cbatarinam. Theresiam. Barbaram. Angelam. Aloisiam. Ex. Quibus. losephus. Et. Angela. Adbuc. Infantes. Cliaterina. Et. Theresia. Adultae. Et. In. Ma- trimonium. Collocatae. Patris. Obitura. Praeverterunt. In. Ex trema. Senectute. Diuturno. Ex. Calculis. Mor- bo. Conflictatus. Quem. Patientissimo. Invictoq. Ani- mo. Toleravit. Mortera. Obiit. Vitae. Consentaneara. XIIII. Kalend. Aprii. A. MDCCCXVIIII. Ingenti. Suorum. Luctu. Magnoque. -Uifiversae. Civitatis. Moe- rore. Quae. Tanti. Viri. Amissione. Singulare. Sibi, Ornamentum. Et. Lumen. Sublatum. Sensit. AVE . ANIMA . RARISSIMA . ET VALE . IN . PACE a37 Soggiunta di motivi per accelerare la discussione del progetto sul miglioramento del sistema ipo- tecario di Andrea Russo. Ilei i833 S. M. il re del regno delle due-sicilie, con real rescritto del 4 settembre , inviò all' esame della consulta del regno il Progetto di miglioramento del sistema ipotecario del dottore Andrea Russo. La commissione straordinaria per glL&fiari legislativi presso la consulta, essendo incaricata pel lavoro prepai^ato- rio , a relazione del signor commendatore Canofari uno della commissione , sotto il 28 febbraio i834 opinò bisognare alcuni schiarimenti da chiedei^si agli amministratori di questo ramo, e per la parte più es- senziale ed urgente, la riforma cioè della legge ipo- tecaria, si disse: Sarà oggetto di separato lavoro. In' questo stato di cose Fautore pubblicò per le slampe il progetto, che essendo stato di nuovo benignamente accolto da S. M. , ne fu trasmesso officialmente un esemplare alla consulta. Fatte le ordinate diligenze, dalle EE. LL. il ministro delle finanze ed il già mi- nistro degli affari di Sicilia, con ministeriali dei 26, 28 e 29 novembre 18345 furono spediti alla consul- ta gli scliiarimenti che si erano ricercati. Sotto il 2 di- cembre del medesimo anno, S. E. il signor presidente commise di nuovo l'affare per la discussione. Gl'in- comodi di salute del signor Capone, designato rela- tore, fecero destinare a tale uopo il signor commen- datore Parisi; ma gli onorevoli incarichi, prima della a38 Scienze visita di tre valli in Sicilia, e poi di consultore del governo in quella parte del regno, fecero commettere la relazione di questo affare al signor duca di Cumia. La breve dimora però di esso in quesla carica, fece che fosse finalmente il progetto trasmesso ai sigg. diret- tore Scovazzo e duca di Avena. Per questi molivi fi- nora non è stato emesso il parere, non ostante l'alta importanza di una riforma alla legge ipotecaria. La ipoteca è quella che guarentisce l'efficacia di qualsiasi contrattazione; essa protegge egualmente co- lui al quale si dà credito, e colui che fa il credito. Ogni contratto infatti suppone la intenzione, e con- tiene la promessa della esecuzione. La sincerità di tale promessa si sanziona colla ipoteca: e se le parti non conoscono la situazione rispettiva, veruna convenzione si effettuerà, e tutte le classi della popolazione ne sof- friranno. Si ricorda su tal proposito l'allegoria usata dal cav. Vaselli nel suo manuale pel giureconsulto , ove mostra con linee in una figura la centralità , cioè l'autorità sovrana e l'unità del regno (i) ; così a questo proposito, agricoltura, arti, scienze, commer- cio, produzioni, industria, ricchezza, pastorizia, par- tono dalla possidenza assicurata sulla ipoteca; quella vacillerà se questa manca od è mal ferma, ed allora tut- te le linee suddette ne seguiranno il crollo. Carlo Cora- te, parlando della sicui'czza della proprietà, dice: « i^e- » ci già osservare che dovunque Vuomo non ha la n certezza di possedere, e disporre de^beni che » esso ha creati, o legittimamente acquistati, non » si formano più nuove proprietà: che quelle crea- li) Nel. voi. I si trova l'iinproula e la spiegazione. Sistema ipotecario aSq )) te in passato pia o meno prontamente periscono: » e che la popolazione diminuisce a proporzione » che i suoi mezzi di sussistenza si scemano (i). Il terreno non sarà bene coltivato, che allora- quanclo se ne sarà assicurata la proprietà: ed allora, dice Say, esso avrà qualche cosa di più prezioso che tutt'altro terreno della stessa qualità, sul quale non è sicura la proprietà: mentre il sentimento di perpe- tuità, che nasce dalla proprietà assicurata, inspira lo spirito di conservazione e di miglioramento. Senza la sicurezza delle persone e delle proprietà una nazione non può sussistere, scriveva nelle sue memorie don Lu- ca Alaman segretario di stato del dispaccio al Mes- sico. Osservandosi le storie dei popoli inciviliti, ita- liani, francesi, inglesi, russi, si vede che il maggiore o minore stato di prosperità, ricchezza e raffinamento di costumi è determinato sempre dal grado di tran- quillità dei possidenti; verità che oggidì sente anche il musulmano (2). Che i popoli desiderano ed accettano con pia- cere le disposizioni che riguardano la consolidazione (i) Biblioteca legale V. i, trattato della proprietà di Carlo Comte cap. XLIX. (2) Se si esaminano le disposizioni date dall' epoca di Carlo III pel tavoliere di Puglia, per l'amministrazione dei beni delle università, per la censuazione de'beni dei luoghi piij e per quel- li di regio padronato , per lo scioglimento dei diritti promiscui , per l'abolizione delle ancherie, perla iiicamerazione delle vendite dei dazi, per l'assegnazione di terre ai soggiogatari ed altri simili, sino al 19 dicembre 1808 riguardante anche la censuazione dei beni dei prelati e dei beneficiali, si vedranno le provvide dispo- sizioni dei sovrani del regno di Napoli per istabilire la certezza delle possessioai. 240 Scienze della proprietà, si prova col fatto. L'autore nel 1819 istallò la conservazione delle ipoteche in Catania (i), e dimostrò per tempo a tutti il vero spirito di tale istituzione (2) , né la fece apprendere come specu- lazione finanziera. Infatti la mira della legge ipoteca- ria è tutta rivolla al ben essere de'ciltadini, ad assi- curarne i capitali, a garantirne i beni; se vi è stato ag- giunto un dazio per far fronte ai pubblici pesi, ciò non ha disnaturata la sua essenza. Poco dopo tristi circostanze fecero altrove, da gente ignara dell'utilità di tali uffici , distruggere o abolire le conservazioni delle ipoteche. In Catania però, mentre si sopprimeva il registro e la carta bollata, ed altre misure si adot- tavano per la forza delle circostanze di allora; perchè si conosceva a pieno l'oggetto della legge ipotecaria, non vi fu verun reclamo contro la conservazione delle ipoteche, che restò, anche nei giorni di perturbazio- ne, in attività (3). (i) Autorizzazione ricevuta con ufficio del direttore del 3i agosto 18 19 n. 16, e verbale di apertura del i settembre di det- to anno. (2) Quindici avvocati e ventidue uotari attestarono in atto pubblico le dilucidazioni date dal Russo in un metodo che sin ora è stato nuovo .... (3) II presidente ed il procuratore generale della G. C. di Catania nel 29 agosto iSiS, parlando del Russo, certificavano... Avendo molto truvaglìalo per lo stabilimento del sistema ipoteca- rio, dilucidando gli abitanti di questa valle, e per conseguenza da- to prove non equivoche del suo attaccamento al legittimo sovra- no. Il senato e le altre autorità dissero altrettanto; il direttore ge- nerale dei rami e dritti diversi lo fece per altre quattro volte con- servatore sostituto. Non ostante ciò, stampato il progetto in discor- so, i conservatori se ne dispiacquero, ed è restalo per sette anni senza occupazione, ma nudrito col fumo degli encoini dei gior- nali nazionali ed esteri, e per alti'e letterarie latiche colla uomiaa a socio di varie accademie. Sistema ipotecario 241 Per la imperfezione del sistema ipotecario, e per i mali che ne sono derivati, fra noi non si trova più verun credito sopra gii stabili (i) ; ognuno resta in- timorito dal leggere nei trivi della capitale : Del pe- ricolo di prestare sopra ipoteca e di acquistare immobili (2). Quantunque siamo sotto l'impero della pubblicità delle ipoteche, si sperimentano non ostan- te tristi effetti di occulti diritti ; ben a ragione par- landosi della legge ipotecaria si dice : Caos di ele- menti eterogenei, di disposizioni inesplicabili^ di antinomie inconciliabili^ che sono di tormento agV interpreti e che fanno insorger liti (3). Tutto è incertezza ; la presunzione della impossibilità della esigenza, e la morosità dei debitori, che tpiotidlana- mente si fa sperimentare , fanno assoggettare coloro, che han bisogno di contante , ad usure le più bar- bare e ad altri patti esorbitanti. I demoralizzati s'im- pinguano, ed il loro esempio eccita l'avidità degli al- tri (4). Molti capitalisti, dovendo cimentare il denaro, han creduto più sicuro impiegarlo in acquisto di ren- dite , che non hanno valore intrinseco : ma essendo soggette come le derrate alla varietà dei mercati, fan palpitare all'arrivo di ciascun corriere, non altrimenti (1) Une des causes plus essentielles de la slerilité de la terre, vient si ben de la pauvrete de ceux qui la labourent. Testanient de Mr. Colbert, chap. XVI. {2) Giuseppe FamiglieUi nel iSBy tradusse tale opera, e lì- uora se ne vedono i cartelli a lettere cubitali. (3) Tom. 5, pag- 228 della Thcmis. (4) Ferdinando IV di felice ricordanza fin dal t^ ottobre T^8r diceva ; Evitare la minorazione che deriva dall' impotenza I di alcuni coloni e massari di campo per lo più oppressi dall' \ avidità . . . I G.A.T.LXXXIX. 16 2^2 Scienze che fossero al mare affidate. Tale circostanza ha fa- vorito la inoperosità e la vita molle (i). L'agricoltura frattanto, da tutti raccomandata (2), va fra noi mano mano a mancare, e le campagne a spopolarsi (3) come si vede, e la stessa M. S. osser- vò nei suoi viaggi. In seguito i lidi diverranno de- serti (4); le speculazioni, l'industria mancheranno, ed i capitali si diminuiranno gradatamente. I possidenti sono stati quelli che in diverse cir- costanze hanno mantenuto il buon ordine nel nostro paese. Se questa classe manca, o diminuisce, o la pos- (i) Altri mali da ciò prodotti si vedono nelle Osseri>azioni di Ceva-Grimaldl Sulla conversione delle rendite pubbliche. [1) Cicerone nel lib. i de off. e 44- Omnium autem rerum, ex quibus aliquid aquiritiir,nihil est agricoltura melius,ìiihil uberius, nihil dulcius, nihil homine libero dignius. — Giuseppe de Wclz; L* agricoltura fa sorgere presso a se tutte le arti , perchè le arti là sorgono dove trovano alimento e ricompensa. Prefazione all'ope- ra di M ac- Adam. • Pr//«o elemento della Jorza commerciale.- Scu- dieri: Un governo illuminato protegger deve con parlicolar cura i coltivatori: Principii di civile econ: voi. i, p. 261. - Muratori : Di troppa importanza è l'agricoltura, né si dovrebbe trascurar di- ligenza alcuna per emendarne i difetti e migliorarne lo stato. Da essa dipende l'alimento e il vestito del popolo; da essa la materia per le manifatture, e il tirar denaro col di più delle sete , lane , grani , vino, olio, bestiami ec- Della pubblica felicità, cap. XV pag. 104. (3) Filangieri, trattando nelle II- ce. ed economiche l'art, po- polazione e riccliezza , diaiostra co' sistemi degli ebrei, persiani, greci e romani, che per l'attuale stato dell'agricoltura, la popola- zione di Eui'opa non è nello stato nel quale potrebbe e dovrebbe essere Se fra noi si osserva aumento, desso è dovuto alle provvide cure del governo ; la campagna però offre le triste conseguenze predette (4) I lidi sono frequentati dai commercianti; se la terra non si coltiva, quai prodotti e quali industrie si comunicheranno? Sistema ipotecario 243 siJenza si rende precaria, qual guarentigia pel buon ordine (i) ? La imperfezione del sistema ipotecario è ormai generalmente conosciuta. Vaselli osserva che : Mal- grado delle vìgili cure della legge non può Vuomo più diligente esser certo (2). Gaetano Gallo con- clude che: Qualunque indagine si prenda^ non si giungerà mai ad aver la certezza (3). Il giornale letterario il Lucifero divolgatamente dice : È la più imperfetta che siavi nella legislazione francese (4). Deourdemanche prova che: / vizi del nostro sistema ipotecario sono tali e tanti ^ che non vi è sicurez- za (5). Il cav. Niccola ISicolini definisce le ipoteche : Toivnento de^ compositori di leggi .... iiitricato la- berinto (6). Saint-Ioseph ha di già raccolto sei co- dici ipotecari, e Casimiro Perrier richiamò l'attenzio- ne di tutt'i dotti aprendo un concorso per perfezio- nare la legge ipotecaria, promettendo anche un pre- mio di 3ooo franchi. Se il progetto in esame si fosse discusso, il detto mormorio non si sarebbe verificato. Enrico de St-Genis dice a questo proposito : Il ri! est pas de Végislateur qui, frappé de cet incon- veniente n^ait cherchè a' f pointer reméde (7). Per ( i) Capefigue, parlando di Berryer, dice; " La massa de'pro- prietari si era francamente rannodata a Napoleone e formava la sua forza ... Egli sapeva che il suolo non cambia mai „. Diction- naire de la conversatlon et de la lecture, v. 52 p. SSg. (2) Idee sottomesse al cons. prov. di Nap. il 3 mag. i835. (3) Ragionamento storico sulla pubblicità della ipoteca p. 102. (4) !• Gen. i84o n. 47> concordanza tra i codici. (5) Giuseppe Famiglietli, Traduz. di Deourdemanche p. 11. (6) Elogio di Antonino Tortora. {7) Dizionario citato v. 32, p. 279. 244 Scienze il nostro regno però S. M. ha promesso (i) e si è impegnata (2) di togliere gì' impetlimenti ipotecari. La sua paterna cura, impazi<^nte per prevenire tali ma- li, appresso la lettura "del progetto, senza aspettarne la discussione , ordinò che le ipoteche legali si rinno- vassero a cura dei conservatori (3} : e considerava : » Che sia del pubblico interesse agevolar la co- » noscenza legale delle affezioni, o modificazioni » delle proprietà immobiliari, per la facilitazione » soprattutto e per la sicurezza delle contratta- » zioni (4) »• Perchè si frappone indugio a tali pa- terne voglie ? Il mezzo di garantire Vesecuzione de^contratti conviene a tutti gli uomini (5). Tommasi, nel rap- porto pel decreto del 19 settembre 1826, faceva os- servare al re il grande utile che si ricavava dal de- creto del 1824, perchè scioglieva la generalità delle ipoteche ed agevolava le contrattazioni. Ma quanti saranno i benefizi di una totale riforma ! Il ^. 44^ dell'editto milanese così dispone: Chi- unque pretende esercitare sopra un immobile^ pos- (i) Progetto pag. 16. (2) Vedi il 1. e, i decreti all'uopo emanati, e la commissione creata per proporre le riforme necessarie al sistema ipotecario , fra i componenti della quale novcravansi il sig. direttore generale del registro e bollo, ed il sig. Sanlorelli altra volta ispettore ge- nerale ed istruttore nella istallazione delle ipoteche in Sicilia: del- la quale commissione si fa cenno nel progetto p. 80. (3) Decreto dell'S novembre i835, al quale si fecero dall'au- tore alquante osservazioni, e si presentarono alla consulta. (4) Decreto del 26 marzo i835. (5) Della necessità di rendere le ipoteche pubbliche, di Al- berto Giuseppe Sameiigo p. 25. Sistema ipotecario 245 seduto da un terzo ^ un diritto reale, sia a titolo di sentita, di clausola risolutiva^ di possesso, di affitto, di usufrutto, di anticresi, di diritto di re- versione o di ricompra, di una disposizione colf obbligo di restituire ossia di fedecommesso , sia a titolo di ipoteca convenzionale o legale , deve provare che il suo diritto era iscritto quando si è fatta V alienazione al terzo possessore. In man- canza di che egli perde il diritto di agire con- tro il terzo detentore, e non gli rimane altro che un semplice credito contro colui col quale ha con- trattato. Tale saggia disposizione di antico uso nell'Au- stria, perchè scevra da eccezioni, godeva il favore del popolo eh' era sicuro di non essere ingannato ; per tale motivo fu adottata in Milano ed in Baviera , e fu proposta dalla commissione legislativa in Ginevra. Le nostre antiche leggi del generale archivio , delle insinue in Sicilia (i), e le consuetudini napolitaue (a) non erano dissimili. Per qual fine dobbiamo servirci di una legge predicata dannosa ? Perchè non perfe- zionarla ? Perchè non seguire 1' esempio delle citate nazioni ? Perchè non renderla più uniforme alle an- tiche nostre istituzioni ? Perchè non deve questa leg- ge essere consona a se stessa , e seguir sempre il principio stabilito per le iscrizioni ? Trovandosi nel registro del conservatore le co- gnizioni necessarie; osservandosi tutt' i debiti e tutt'i (i) Progetto pag. i3. (2) Ivi p. 44. 246 Scienze diritti , o temporanei o perpetui (i) ; conoscendosi il vero padrone delle proprietà (2) ; tolte 1' eccezio- ni (3) ; cose che agevolmente e senza apportare di- sturbo possono verificarsi; nel progetto si propongono anche mezzi di semplice amministrazione. Essendo chiara la vera posizione de'contraenti, che è ciò che si può desiderare dalle persone di buona fede ; na- scerà per conseguenza la sicurezza di non poter es- sere offeso da ignoti diritti, e quindi una novella vi- ta rianimerà la società, e tutto sarà attività. Il col- tivatore , certo di poter profittare dei suoi sudori e di essere sovvenuto nei bisogni , farà acquistare alla sua terra maggior valore ; si promoveranno gli agri- coli benefizi , e si tireranno dalla terra tutti i pro- dotti possibili. Il capitalista di buon grado impron- terà ai possidenti il suo danaro, avendo sicura ipo- teca. Tanti che ora per timore tengono nascoste le piccole somme, ed i particolari peculii, li faranno cir- colare per ritrarne un profitto ; il commercio s' in- (i) I censì di proprietà e le servitù prediali formano le affe- zioni perpetue, che dovrebI>ero rendersi pubbliche, secondo si es- prime S. RI. ueila considerazione di sopra rapportata, e secondo il X^'og. cap. I, sez. 3, §. 11. (2) Nel progetto capit. i, sez. 3, §. i, evitando le inutili dis- sertazioni, si sollomettono vari metodi per conoscersi i padroni dei fondi, tanto colla trascrizione, quanto senza trascrizione. (3) La legge eccettua dalla iscrizione gli esseri incapaci a so- stenere e far valere i propri diritti. Il provvido nostro sovrano ha provveduto alla loro pubblicità con vari ordini, e quindi al- tre eccezioni non devono esistere. Tutti gli altri crediti anche privilegiati devono rendersi publjiici; se per caso volesse eccet- tuarsi qualche credito, in vece di esentarlo dalla iscrizione si esenterà dal diritto fiscale, come si pratica nel registro per alcu- ni atti- Sistema ipotecario 2/7 grandirà con novelle speculazioni; i prodotti del suo- lo saranno venduti a giusto prezzo ed a tempo pro- prio, senza dar luogo al monopolio. Si avrà a buon conto un utile combinato per l'intiera popolazione (i); il manifatturiere, l'artista, il giornaliero più facilmen- te lucreranno il pane , ed il compreranno a giusto prezzo. E proverbiale verità: che la fatica moralizza l'uo- mo, per la tendenza dello spirito all'attività. Quindi necessariamente l'ozio e la miseria, che generalmente SI collegano, danno una cattiva piega allo svolgimen- to delle tendenze e delle passioni : dal che ne sie- gue la degradazione demoralizzatrice, e con essa i di- sordini tutti che rendono triste la condizione umana. Inoltre trovandosi le cognizioni necessarie e la sicurezza, V archivio generale ideato da Gaetano Gal- lo (2), ed il gran libro del dominio e delle pas- sività proposto dal cav. Vaselli (3), e c!ie lo spirito d'innovazione aveva fatto prima proporre alle camere in BVancia , saranno risultati del miglioramento del legislativo ipotecario; a tal che il certificato del con- servatore rischiarando ognuno di ciò che abbisogna, (i) Gioia, nel suo nuovo prospetto delle scienze economiche tom. 3, sez. 3 trattando dei titoli per cui si partecipa alle ric- chezze, dimostra che: - Il proprietario somministra alla officina sociale Io spazio e le forze della natura , nel cui seno succedo- no 1 lavori. - Il capitalista, le materie mobili necessarie ai lavo- ri. - Il dotto, i modi con cui si eseguiscono. - L'intraprenditore. la combmaz.one dei lavori e l'assistenza ad essi. - L'operaio, le bracca esecutrici dei lavori. - // magistrato, la difesa e la pro- mozione. (2) Ragionamento storico sulla pubblicità della ipoteca. (3) Idee sottomesse al consiglio prov. li 5 maggio i835. 248 Scienze per sicuramente convenire , non fa desiderare alfro archivio. Non essendovi pesi ed alienazioni incognite, i crediti iscritti sopra stabili offriranno sicurtà: e col semplice paragone del ruolo fondiario, che ne dimo- stri la capienza, facile sarà la loro negoziazione, ces- sione e trasferimento (i). Il commercio acquisterà un cespite tanto grande, quanti sono gl'immobili: e tanto sicuro, quanto è la invariabilità della cosa che ne for- ma il subietto; beneficii che si sperano dal Gran li- bro del dominio. Il conseguimento di beni così positivi, la tran- quillità dei possidenti e degli sborsanti, la prosperità della nazione, l'ovviare a certi e quotidianamente cre- scenti mali (2) , il trattenere con mano potente la frode, l'impedire che 1' usuraio succhi il sangue del povero colono (3), sono gli effetti del miglioramento del sistema ipotecario di cui S. M. son già sette an- ni incaricò la consulla. Discussa la necessaria suddetta riforma, si passa (t) Per ottenere che una borsa si stabilisse pe' crediti ipo- tecari, dopo rettificate l'ipoteche, bisognerebbe un'ultima mano alla legge sulla spropria , come dottamente l'illustre sig. conte Lucchesi-Palli ed il sig. D. Antonino Pampelone hanno dimo- strato nelle loro memorie sopra i fondi pubblici. Sembra bastare che fosse disposto, che tutti gl'incidenti non ne potessero ritar- dare l'andamento, ma che fosse tutto discusso come urgente pria della graduazione, e che questa sia la bilancia della giustizia ove tutto si pesasse. 1j* aggiudicazione difinitiva però fosse sotto la salvaguardia della intangibilità. {1) Nel progetto si enunciano i mali; ma nella citata opera di Deourdemanche si rapportano le decisioni sopra casi accaduti. (3) La malattia di tesaurizzare o l'avarizia, e la mancanza della sicurezza delle proprietà, producono questo ristagno. De Welz ; Magia del credito svelata lib. i, cap. 1, pag. 56, nota i. Sistema iPotECAftio 249 ad un secondo rapitolo riguardante le procedure pres- so le conservazioni: e riunendo il regolare andamen- to dell' officina alla maggior sicurezza dei privati, fa un annuale risparmio di due. 66,480. Or essendosi differita la discussione, si è fatto già un danno di du- cati 585, 36o. Per tale riguardo sono giunti da lunga pezza i chiesti rapporti. Il direttore generale de' rami e di- ritti diversi fa ascendere l'annua percezione a duca- ti 12,600 per le conservazioni di Sicilia, poiché in quanto ai certificati dovrebbesi sempre dipendere dalle notizie che darebbero i conservatori: ufficio del dì 8 settembre i834- L'amministratore generale del registro e bollo pei dominii al di qua del Faro porta un annuo introito di due. 56,624 lordi, e le spese a due. 20,497 (j')jCome dalla sua ufficiale del 2 agosto 1834. Questi dati non sono esatti per quello che si è detto per Sicilia, e perchè i conservatori pre- venuti dalla pubblicità del progetto e dallo scopo delle ricerche hanno cui'ato di eluderne la esecuzione. Che ciò sia vero si comprova dai rapporti stessi, e parti- colarmente da quello del due agosto, nel quale quan- tunque si confessasse : Sebbene a me non sia noto il progetto di don Andrea Russo, pure si forma un (i) Se si paragoni la spesa assegnata alle direzioni dei rami e dritti diversi nel i6 luglio 1827 coi ducati 20, 497> che si portano per ispese delle conservazioni, si vedrà chiaramente lo eccesso. Tolto il soldo del direttore, ogni dilezione di prima classe costa onze 5^n: cioè, onze 96 del segretario, onze 96 del capo contabile, e onze 25o per tutto il dippiù, sono pari a du- cati i326. Le conservazioni costerebbero di più. aSo Scienze lungo rapporto, facendo l'avvocato dei conservatori , contro i progettisti e contro qualsiasi riforma. Con tutte le suddette contrarietà, pure i calcoli fatti dall' autore si vedono approssimativi. Questi non possono in verun caso nuocere al real tesoro ; anzi per ne- cessità devono produrre vantaggio alle reali finanze. Finalmente, seguendo la massima necessariuni utile iucundum^ indica alcune riforme di competen- za dei direttori generali, d' onde risulterebbe il sol- lecito disbrigo; ma dal rapporto citato del 2 agosto si osserva die l'amministratore generale, senza leggere, è prevenuto sinistramente. Il progettista è pronto a sottometterne un ragionato piano, qualora gli venga imposto. Questi sono i motivi che obbligar dovrebbero ognuno a sollecitare la discussione del progetto sul miglioramento del sistema ipotecario. ■=»^^0^ga«*— !5l LETTERATURA Di una nuova opinione intorno ali" anno , in cui Dante finge d'aver fatto il suo poetico viaggio. M\ chiarissimo sig. ab. Federico Maria Zinelli , nel suo dotto Discorso intorno allo spirito religioso di Dante Alighieri , propone una nuova sentenza rispetto all'anno della visione d'esso poeta, la quale forma il soggetto del suo ammirabil poema. Si era finora creduto che 1' anno scelto dall' Alighieri fosse il i3oo. E invero la concordia di tanti commenta- tori, così spesso fra loro discordi, cominciando dall' anonimo, conoscente del poeta, è non lieve presun- zione per quella sentenza, e può per avventura con- siderarsi quasi una continuata tradizione. Né alcun dissentiva fra' moderai critici, che hanno trattato del primo nostro poema. Non ne fo udire che uno : il Tiraboschi scrive, esser certo che Dante finge d'ave- re avuta la celebre visione, che nella commedia de- scrive, Vanno i3oo, da lunedì santo fino al solen- ne giorno di pasqua, come da vari passi di essa raccogliesi chiaramente. 252 Letteratura Altra presunzione si trae da questa considera- zione. Dante immagina il suo viaggio pel mondo de- gli spiriti , che divide quasi in due parti la sua vi- ta : nel qual viaggio è istruito di assai cose future , in cui si purga prima da' vizi nella città dolente , contemplando gli eterni dolori delle perdute genti; s' illumina quindi rispetto alle virtù e agli errori , viaggiando fra color che son contenti Nel fuoco^ perchè sperali di venire^ Quando che sia, alle beate genti: e salito a queste, finalmente è assorto dal raggio dell' alta luce che da se è vera (i). Ora poiché a tan- ta opera si è determinato un certo anno, crederemo che questo non sia un anno per qualche ragione so- lenne ? Ora qual più solenne dell'anno i3oo ? Non solo questo era l' anno centesimo del secolo XIII , ma altresì l'anno del celebre giubbileo, che ti-asse a Roma infinito numero di fedeli. Il giubbileo e la gran turba de' romei sono accennati ancora da Dante , il quale probabilmente fu anch'esso in Roma in quella occasione (2). Ma se pel mondo fu solenne quest' anno, lo fu eziandio in particolare per esso Dante. Era egli allora nel trentacinquesimo anno, cioè, se- condo lui, jiel colmo delVetà. Né questo centesim' anno fu solamente il punto sommo delVarco della vita sua naturale, ma eziandio della vita civile. Per- ciocché in tal anno giunse al sommo degli onori della (i) Farad, cant. ult. v- 54- (2) Balbo, Vita di Dante voi. I, e. X. Viaggio di Dante 253 sua repubblica, essendo eletto fra i priori ; ma pas- sato quell'anno cominciavano i lieti onori a mutarsi in tristi lutti. Per la sua malaugurata arabascievìa a Ro- ma e per la venuta a Firenze di Carlo detto Sen- zaterra, dovè egli vedere che l'arco della sua fortu- na non piia montava, ma cominciava a discendere: e quindi precipitava rapidissimo nel gennaio del i3o2, allorché si promulgava contr'esso la prima sentenza. L'anno iSoo fu dunque veracemente per Dante il colmo dell'arco, l'anno del priorato, che pose fine al suo viver lieto. Quale altro anno vorrem noi credere ch'egli a questo preferisse pel misterioso viaggio ? Valide presunzioni, s'io mal non m'appongo, so- no queste. Ma ogni presunzione dee cedere al vero: e se vero è che Dante ne dica assai chiaro, che l'an- no della visione è l'anno i3oi, ciò che il sig. ab. Zi- nelli si confida di poter dimostrare: anche noi, mal- grado d'ogni contraria probabilità o congettura, faremo buona accoglienza alla nuova opinione, e applaudire- mo con piacere alla scoperta del valente autore, come abbiamo con piacere applaudito in generale al suo bel lavoro e alle parti essenziali di esso (i). Questo egregio apologista dell'altissimo poeta ne avverte, che la data della visione è importantissima-^ perchè è V unico punto, da cui partono tutti ifili del maraviglioso lavoro ; mentre Dante scrupolo- samente seguì la serie cronologica degli avveni- menti-, il verificare una tal data adunque è di som- mo rilievo nello studio e nelV intelligenza del som- mo poeta. Egli brama ascoltare il parere degli stu- fi) Ann. delle scienze religiose n. 3i, p. 5o. 254 LfiTTERATURA diosi del gran poema intorno alla sua nuova senten- za (p. XII, XXI). Confido dunque che non sarà re- putato inutile allo studio di Dante , né malgradito all'egregio autore, il quale ama soltanto il vero , un esame delle due contrarie sentenze e in particolare degli argomenti, a'quali egli appoggia la nuova. Il primo di questi si fonda sulla testimonianza d'un demonio, che discorre con Virgilio nel e. XXI dell'Inferno. Egli è padre della bugia ^ dice il no- stro autore ; pure per farsi credere avrà la poli- tica di dire qualche volta la verità. Comechè non solo del demonio in generale sia scritto, c/i' egli è bugiardo e padre di menzogna , ma questo huon Malacoda, appunto in quel dialogo , cerchi di trap- polare Virgilio e Dante (Inf. XXI e XXIII), tuttavia accettiamo la sua testimonianza in fatto di cronolo- gia. Ascoltiamolo. /er, pia oltre cinque ore che quest'otta^ Mille ducento con sessantasei Anni compier che qui la via fu rotta. Cioè: Ieri, cinque ore dopo l'ora presente , compie- vano anni 1266, da che la via fu rotta pel tremuoto che di poco precedeva la discesa del Redentore. Aveva già detto Virgilio a Dante [Inf. /ili 87): Ma certo poco pria, se ben discerno ^ Che venisse colui, che la gran preda Levò a Dite del cerchio superno^ Da tutte parti Volta valle feda Tremò sì, ch'io pensai che V universo Sentisse amor, per lo quale è chi creda Viaggio di Dante a55 Pia volte 7 mondo in caos converso : Ed in quel punto questa vecchia roccia Qui ed altrove più fece riverso Per conoscere l'epoca della visione , dice benissimo il sig. Zinelli, bisogna aggiungere agli anni qui se- gnati 1266 gli anni della vita del Redentore: e que- sti non secondo la più comune sentenza, ma secon- do l'opinione di Dante. Da ciò che leggesi nel Convito (Trat. IV, e. 25) deduce esso sig. Zinelli che, secondo Dante, Gesù Cristo visse trentaquattro anni e alcuni mesi ; e da ciò conchiude : yéggiungansi agli an- ni 1266 gli anni o4, pia quanto vi ha da natale al tempo della visione, e si vedrà coincidere la data della visione col marzo delV anno i3oi. La conclusione è giusta. Il Lombardi dalie stesse pre- messe sembra trarre conseguenza diversa: Essendo G. C, secondo che tiene esso Dante, morto d'an- ni 34 » restano appunto tra il 34 e H i3oo an- ni 1266. No: se a' 1266 anni cowjorii se ne aggiun- gano 34 e qualche mese, abbiamo i3oo anni com- piti, e già da alcuni mesi corre l'anno i3oi. Dun- que pare che il Lombardi abbia calcolato men giu- sto del sig. Zinelli ; ma quegli per avventura volle dire che G. C, secondo Dante, morì nel suo anno trentaquattresimo, cioè compito da alcuni mesi il tren- tatreesimo; in questo caso peraltro poteva spiegarsi più chiaramente. La questione dunque si riduce a deci- dere, se il poeta pensava che il figliuolo di Dio, al- lorché fu in terra per noi crocifisso , avesse da tre mesi o circa compito il trentaquattresimo ovvero il trentatreesimo anno. Se è vera la prima parte di que- sto disgiunto, l'epoca del viaggio dantesco fu il i3oi; se la seconda, fu il i3oo. aSG Letteratura Il nostro valente autore ( p. XIII, XIV ) a pro- vare che Cristo, secondo Dante, visse 34 anni, più alcuni mesi, reca un brano del Convito. Eccone la parte che fa al proposito: « Il punto sommo di que- » st'arco credo che nelli perfettamente naturati » sia nel trentacinquesimo afino. E movemi questa » ragione , che ottimamente naturato fue il nostro ì) salvatore Cristo , il quale volle morire nel tren- » taquattr esimo anno della sua etade; che non era » convenevole la divinità stare così in dicrescione : » ne da credere è eh' elli non volesse dimorare in » questa nostra vita al sommo, poiché stato c'era nel » basso stato della puerizia : e ciò ne manifesta l'ora » del giorno della sua morte, che volle quella con- » somigliare colla vita sua ; onde dice Luca che era » quasi ora sesta quando morie, che è a dire lo col- » mo del dì ; onde si può comprendere per quello » quasi che al trentacinquesimo anno era il colmo » della sua età. » Può parere che Dante s'industri di ravvicinare l'età del Redentore al suo apogeo della vita, e per avventura sfugga di esprimere i trentatrè anni, i quali alla fantasìa avrebbero presentato una certa distanza da quel colmo della età : ma alla fine che ne dice ? Che il Salvatore volle morire nel trentaquattresimo anno della sua etade. Ora il trentaquattresimo anno comincia compiuti appena i trentatre anni. Dunque G. C. morì compiti i tren- tatre anni, e visse del trentaquattresimo quanto tem- po si tramette dal natale alla pasqua: e la sua vita fu, secondo Dante, di anni trentatre piìi tre mesi , poiché, sono parole del sig. Zinelli, era sentenza in- concussa per tutti al tempo di Dante, che il Re- dentore fosse morto nel dì aS di marzo. Né osta Viaggio di Dante sS/ che dica esser giunto quasi al colmo dell'età. Que- sto colmo non è un punto matematico, non è solo il momento in cui si compie l'anno trentacinquesi- mo , ma tutto esso anno. Ora a Cristo mancaTano sol nove mesi per compiere il trentaquattresimo ed entrare in tale anno. Anche nell'ipotesi del sig. Zi- nelli quel quasi dee stendersi a nove mesi. Anzi quel- la voce quasi indica, s'io punto veggo, che Gesù non era entrato nell'anno trentacinquesimo. Se Dan- te avesse creduto, il Salvatore esser vissuto anni tren- taquattro e tre mesi, sicuramente avrebbe scritto, che morì nel trentacinquesimo anno della sua etadc, frase che si aggiustava mirabilmente al suo assunto. Benvenuto da Imola, spiegando questo luogo di Dante, scrive : a Christus mortuus est anno XXXIII » suae aetatis et quarto incipiente. » E da por men- te, che Dante, scrivendo francamente, senza allegar prova veruna, che Cristo volle morire nel trentaquat- tresimo anno della sua etade, mostra di rammentare una dottrina nota e comunemente ammessa. Ora la sentenza comunissima al suo tempo e ne'tempi pre- cedenti ( almeno dal tempo di Beda ) era che Gesù vivesse 33 anni, o certamente non compisse il tren- taquattresimo (i). Ma per accertare le conseguenze che traggonsi da'versi della commedia di Dante, a questa è più op- portuno ricorrere che non al Convito; poiché è noto (i) Hnbet, ni fallar, ecclesiae fìcles ,Dominum in carne pani- lo plus quam 33 annos usque ad suae tempora passionis vixis- se. Beda, De ratione temporum e. i^S. G.A.T.LXXXIX. 17 258 Letteratura che l'autore del poema sacro non sempre è di ac- cordo coll'autor del Convito. Adamo nel paradiso ( e. XXVI ) dice di aver vissuto g3o anni ed essere stato nel limbo 43o2. Dunque SaSa anni corsero dalla primavera, in cui Adamo, secondo Dante (i), fu creato a quella in cui fu tratto del limbo. E manifesto che il poeta segue la dottrina ch'è stata nella chiesa assai comune (2), e che si legge tuttora nel martirologio romano, se- condo la quale G. C. nacque nell'anno 5 199 dopo la creazione di Adamo. Per trovare questo numero, basta sottrarre da 523a i 33 anni, o i 33 anni e 3 mesi della vita di Cristo. Qualora sottraggansene 34 o 34 e tre mesi, alla sua nascita si assegna il 5 198, che non fu, secondo ch^io credo, preferito da alcu- no nò a'tempi di Dante ne prima. Dunque, secondo Dante, G. C. compi bensì i 33, ma non mai i 34 anni della sua vita. Statuito ciò, le parole ch'ei po- ne in bocca al demonio Malacoda fissano l'epoca del suo viaggio nell'anno i3oo, non mai nel seguente. Il sig, Zinelli forma un altro argomento, che, a dire il vero, sembra a primo sguardo una dimostra- zione, combinando i versi citati cogli ultimi del pre- ceduto e. XX dell'inferno. (1) Dante che viaggiava per l'olirò mondo, essendo il sole nel segno dell'ariete ( Purgat. Il, v. 45 5 ), ci ha detto nel I can- to del poema ( Inf. I, 38): £"Z sol montava in su con quelle stelle, Ck'eran con lui, quando l'amor divino Mosse da prima quelle cose belle. j'ij Y- Caronioj JNoto al inait. rom. a5 dicembre. ViAGoro DI Dante qSq Ma Vienne ornai}, che già tiene il confine D^amendue gli emisferi^ e tocca tonda Sotto Sibilia Caino e le spine ( la luna ), E già ter notte fu la luna tonda ( piena ): Ben ten dee ricordar ^ che non ti nocque Alcuna volta per la selva fonda. Dunque la notte precedente a quella, di cui si parla, fu plenilunio. Abbiamo udito da Malacoda, che nel di precedente, 1266 anni indietro era accaduto quel tremuoto nella morte del Redentore; donde s'ar- guisce die il giorno antecedente è lo slesso giorno del mese , in cui morì il Redentore , cioè il dì 2 5 di marzo. Dunque la visione ebbe principio in tal giorno, sebbene nella sera 0 notte del giorno prece- duto si fosse smarrito nella selva. Ora nell'anno i3oo il plenilunio fu il dì 4 di aprile : ma il termine pa- squale fu il 7 di aprile , cioè il calendario se- gnava il plenilunio in tal giorno : di tre giorni aW incirca i Per la centesma ch'è quaggiù negletta , i plenilunii anticipavano i giorni segnati nel ca- lendario. Nel i3oi il plenilunio fu a' 24 di mar- zo. Vanno della visione è indubitatamente perciò Va. i3oi ... Se si volesse Va. i3oo, bisognereb- be supporre che Dante ponesse la morte del Re- dentore li 5 di aprile: cosa non pur sognata nel secolo di Dante ^ e opinione noìi sostenuta da al- cuno. Il ragionamento è giusto : ma tutto s'appoggia sulla supposizione, che quest'anniversario della mor- te di Cristo fosse il giorno dell'anno solare in cui egli tu crocifisso, cioè, secondo la cornuti sentenza, il 25 di marzo. Ma tal supposizione è ella certa •} 26o Letteratura A provare che no, basta per avventura rammentare i versi famosi del Petrarca, ove ricorda il primo suo. scontrarsi con madonna Laura. Era il giorno cKat sol si scoloraro Per la pietà del suo Fattore i rai. Diremo clie questo giorno non altro potè esse- re che il 25 di marzo, posciachè al tempo del Pe- trarca niuno ad altro giorno attribuiva il grande eclissi , che fu in cielo, Quando patì la suprema Possanza [i) 7 No: ci risponde il Petrarca? 3Iille trecento ^>entisette appunta,^ SulVora prima ^ il dì sesto d^ aprile ^ Nel labirinto entrai^ ne veggio ond^esea {2}» E cosi potè Dante nel dì quarto di aprile , o in altro de' primi giorni di tal mese , Entrar per la cammino alto e Silvestro ( Inf. IL v. ult. ). Non es- sendo certo che il giorno anniversario della morte del Salvatore, di cui Dante fa motto, sia il aS di marzo, manca la base all'esposto ragionamento. Si può cercare, benché non più sia necessario al mio scopo, qual giorno sia accennato dal Petrar- ca e dall'Alighieri, se non è il 25 di marzo ? Sa- rebbe mai il venerdì santo ? Certamente fu quello il giorno, in cui (1) Nel sonetto ; Voglia mi sprona, umormi guida e scorge. [1] Dante, Farad. XXVII, 32. ViACGio DI Dante 261 al sol si scoloraro Per la pietà del suo Fattore i rai : 'G in tal giorno , secondo l'anno ecclesiaslico , può ilirsi che compionsi gli anni dalla morie del Salva- tore. Sembrerebbe eziandio , che il Petrarca alluda appunto -al venerdì santo ne'versi che vengono appres- so ai citati ; Era 7 giorno . . . Tempo non mi parea da far inparo Contra colpi d\imor : però n'andai Secur senza sospetto : onde i juiei guai Nel comune dolor sHncominciaro. Ma nel dì sesto d' apriìe l'anno mille trecento Ventisette non cadeva il venerdì santo, bensì il lu- nedi santo ; ond'è che questa spiegazione non può applicarsi alle parole del Petrarca. Non è del pari evidente che non si aggiusti a quelle di Dante. Mol- ti commentatori, dall'anonimo contemporaneo di es- so Dante fino al Biagioli, hanno creduto ch'egli co- minciasse il suo poetico pellegrinaggio appunto nel venerdì santo. Veramente la luna tonda non sembra favorire questa opinione : perocché nel i3oo , che alla vi- sione di Dante ci costringono ad assegnare le cose dette e le altre che esporremo, il venerdì santo cad- de nel dì 8 di aprile e il plenilunio pasquale fu il dì quarto. Il Lombardi (i) pensa che Dante consideri co- (i) Note al e. XX, 127; e al XXI, na. :i62 Letteratura me anniversario della morte di Cristo il dì seguen- te al plenilunio pasquale, nel qvial giorno compiva- no i 1266 anni lunisolari corsi da quella morte , Per cui tremò Vinferno e 'i del si aperse. In questo senso si crede il Petrarca aver considera- to come anniversario di tal morte il dì 6 aprile del- l'anno iSay. Non è per avventura facile trovare la via sicu- ra d'escire d'ogni perplessità e trarne chi legge: due cose intanto credo di potere asserire. Prima, niuna necessità abbiamo d'affermare che il giorno indicato ne'versi : ler più olire cinque ore .... sia il aS di marzo. Seconda, Dante non a caso ne senza mol- ta ponderazione scelse l'anno e il giorno del suo viaggio. Non sembra improbabile che il poeta ablìia vo- luto trovarsi perduto nella selva oscura, oppresso dalla mestizia e dalla paura, la notte tra il giovedì e il venerdì santo, allora appunto che Gesù Cristo volle soffrire l'interna passione del timore e della mesti- zia : si trova poi quello afflitto e impedito per le tre fiere, simbolo de'tre principali vizi dell'uomo, e prin- cipalmente dell'avara lupa (i), il dì in cui il Reden- tore fu vittima dell' avarizia di Giuda e delle altre umane passioni : discende all'inferno la sera di esso venerdì santo, solo qualche ora dopo quella della di- scesa del Redentore : viaggia per entro à'iuoghi trl- (1) Inf. I, 49; Purg. XX, IO. Viaggio di Dante 268 Sti per 48, o più tosto 4^ ore o in quel torno (i), e finalmente sale a rivedere le stelle la domenica della resurrezione, verso sera veramente rispetto al nostro emisfero, ma prima dell'alba nell'emisfero op- posto, dove Dante dice di essere uscito. (i) Dante si dispone a viaggiare per loco eterno, allorché Lo giorno se n'andava e Va'ér bruno Toglieva gli animai, che sono'n terra. Dalle fatiche loro (Inf. II, i ). Comincia presto a tremare e dubitare ( v- io e seg. ) : Virgilio lo rincora con un lungo racconto ( v. 43- 126; : Dante riprende ardire e franchezza, risponde a Virgilio { v. i33-i4o) e tornato nel primo proposto, finalmente entra per lo cammino alto e Sil- vestro, almeno un'ora dopo il tramontare del sole. Era nato il sole da qualche tempo, allorché tramontava la luna, e Virgilio diceva a Dante fluf. XX, 124 )• Ma Vienne ornai, che già tiene il con/ine ...• ed era passato il mezzodì, allorché gli diceva (Ini XXIX, io) ; E già la luna è sotto i nostri piedi. Quando hanno veduto il più profondo inferno, gli dice (XXXIV, 68 ] : Ma la notte risurge, ed oramai E da partir, che tutto avem veduto. Scendono i due poeti per le strane scale, che sono i peli di Lu- cifero, e passato il punto , jdljqual si traggon d'ogni parte i pesi, salgono per siffatte scale, ed escono del tristo pozzo, allorciiè nel nostro emisfero sono passate alcune ore della notte, poiché nell'altro già il sole a mezza terra riede { XXXIV, 96 ). Per tornar nel chiaro mondo, salgono per via lunga e cammino mal- vagio, finché per un pertugio tondo escono a riveder le stel- le. Uscito Dante ywor dell'aura morta a dilettarsi (Purg. \, i3 ) del • Dolce color d'oriehtal zajfiro. Che s'accoglieva nel sereno asjyetto Dell'acr puro in/ino al primo giro: a64 Letteratura Ma , si dirà , come ciò si accorda colla luna tonda, che fu di qualche conforto al poeta nella sel- va ? L'anni -i3oo cadde il plenilunio nel 4 d'apri- le : ma, come udivamo pocanzi dal sig, Zinelll, il ca- lendario, allora non corretto , segnava il plenilunio il 7 di aprile, in cui cadde il giovedì santo. Ora , può dire taluno, è egli assurdo pensare che Dante, scrivendo alcuni anni dopo il i3oo, si attenesse sen- za più a tal plenilunio del calendario, senza avver- tire che questo differiva dal vero , e perciò non gli dava diritto di argomentare dal tramontar della lu- na r ora del giorno ( Inf. XX, 124 ) ? È vero che Dante conobhe l'imperfezione del calendario d'allo- ra, come rilevasi da que'versi del XXVII del Paradiso: Ma prima che gennaio tatto si sverni Per la centesma cìi'è laggiù negletta. Ma dal fare egli mostra di tal cognizione, scrivendo non ancora splende il sole, né, a quel che sembra, l'aurora; pe- rocché solo il pianeta Venere rallegra l'oriente ( v. 19); Lo bel pianeta, ch^ad amar confortay Faceva tutto rider l'oriente, Velando i pesci, ch'erano in sua scorta: e solo dopo ch'egli s' è un poco riposato, e dopo il dialogo di Catone e Virgilio, si parla del sole vicino a sorgere (v. 107 ) e dell'alba già nata ( v. n5). Dunque nell'emisfero nostro il sole non era ancora tramontato, allorché Dante dalla profonda notte deU'eri morti risaliva nel chiaro moM^o. Dunque tra il suo en- trar per lo cammino alto e sihestro ( Tnf. II, v. ult. ) e il suo salire a riveder le stelle ( e. ult. v, ult. ) corsero non propriamen- te ( come altri ha scritto ) due intieri giorni, ossia 48 ore, ma più tosto due giorni incompiuti o ciixa 46 ofe. Viaggio di Dante aCS gli ultimi canti del paradiso, ne consegue come ne- cessariamente dedotto, che ponesse mente alle conse- guenze di tale imperfezione, allorché dettava l'Infer- no e il Purgatorio ? Peraltro, ove non credasi, salvo il rispetto do- vuto al primo nostro poeta, potersi a lui attribuire tal negligenza, altra via ci si offerisce per trarre d'im- paccio esso e noi: e questa seguo più volentieri. Dante ne dice, ch'era luna tonda non solo al- lora che, prima dell'aurora, esso errava per la selva, ma eziandio nel dì seguente allorquando, liberalo dal- le fiere e rincorato da Virgilio, intraprendeva il gran viaggio; Di quella vita mi volse costui. Che mi va innanzi, VaUrnev (i), quando tonda Vi sì mostrò la suora di colui: E 'Z sol mostrai { Purg. XXIII, 1 18 ). Dunque se Dante parla del vero plenilunio, il di 4 d' aprile ( lunedì santo ) è il giorno , nel cader del quale entrava nel doloroso cammino; e a tal giorno potevano appartenere le ore notturne , tanto amare per esso, che precedevano l'alba, ossia che i giorni si facciano cominciare a mezzanotte o poco dopo il cader del sole. Questo giorno potè chiamarsi l'anni- versario della morte di Cristo, considerando l'anno (i) ,,Qui Valtrier esprime tempo indeterminato e vale pochi ,, giorni Ja. ,, Torelli. li'interprelazione é indubitala ; dacché il poeta così parla nel quinto giorno del suo viaggio- Mi sor- prende non veder ciò osservalo, sia nel Vocabolario della crusca^ sia nelle Bellezze di Dante. 266 Letteratura lunisolare. La sera del sei (r) ( mercoldì santo ) esce nel chiaro mondo, prima che il sole cada nel nostro emisfero e prima che nasca nell' altro. Passa tre di e tre notti nel visitare il purgatorio, perocché vedia- mo sorgere l'aurora e il sole tre volte : nel e. I del Purgatorio: Lo sol vi mostrerà che surge ornai (v, 107). L'alba vincea già fora matutina ( v. ii5 ): Di nuovo nel IX: NelVora che comincia i tristi lai ( v. i3 ) La rondinella presso alla mattina. Forse a memoria de^suoi primi guai. Dianzi, nelValba che precede il giorno (v. 52). E 7 sole er^alto già pia di due ore (v. 44)' E di nuovo nel e. XL\ ha Dante un sogno tutto morale nell'ultirùa ora della notte (v. i-33 ), e sve- gliato trova il sol nuovo: Su mi levai; e tutti eran già pieni (v. Sy) DelValto dì i giron del sacro monte. Ed andavam col sol nuovo alle reni. Nel e. XXVII troviamo la quarta alba: (i) Osserva il Mazzoni (Difesa della comm. di Dante I. I, e. 6Q ) che questo dì sesto di aprile, in cui Dante usciva da'luo- ghi bui per cominciare un miglior viaggio, era riputato giorno fausto dagli antichi greci, dicendosi in esso accadute non poche cose ad essi gloriose; e su ciò riporta un luogo d'Eliano lib. I. Viaggio di Dante -267 E già per gli splendori antelucani (v. 109), Che tanto ai peregrin surgon più gratin Quanto^ tornando^ albergan men lontani^ Le tenebre fuggian da tutti i lati. Allora i poeti ascendono al paradiso terrestre, e Vir- gilio ha compilo la sua missione. E disse : // temporal fuoco e V eterno (v. 127) y^eduto hai^jìgliot e se^ venuto in parte OvHo per me pia oltre non discerno. Ciò avviene allorché nell'emisfero nostro, o piiì pre- cisamente a Gerusalemme ( a'cui antipodi piacque al poeta di porre il paradiso terrestre ), era la sera del sabato santo, ai q d'aprile del i3oo. Nel bel giar- dino, eletto air umana natura per suo nido, Dante si trattiene a4 ore o in quel torno; perocché, nel principio del paradiso, fa di nuovo nascere il sole, prima di lasciar quel soggiorno. Fatto avea di là mane e di qua sera Tal foce quasi, e tutto era là bianco Quello emisperio e Valtra parte nera (I, 43)- E allora sale dalla terra al ciclo. Ciò accade il io di aprile, domenica della resurrezione, veramente al- lorché era sera a Gerusalemme, raa era il mattino nel loco Fatto per proprio delVumana specie, onde fin- ge Dante d'avere spiccato il volo a salire alle stelle. Comunque siasi, nulla di solido da queste in- certezze può trarsi centra 1' epoca del i3oo , nulla costringendoci a metter Dante in viaggio il di 25 di marzo. Procediamo avanti. 268 Letteratura Il sig. Zinelli ci rammenta che il Boccaccio di- ce in più luoghi, che il viaggio poetico di Dante co- minciò il 25 di marzo: e ne reca queste parole: a E » così fu, siccome appresso apparirà, egli nella pre- » sente fantasia entrò a dì 25 di marzo. » Ma che perciò ? Anche l'antico anonimo ci dice che l'epoca di tal viaggio fu il marzo , ma il marzo del i3oo. Sopra il passo : ler pia oltre cincfore .... scrive : « Questo è notahile a dare ad intendere il tempo » della compilazione di questa commedia, che fu in- » cominciata in venerdì santo nel i3oo, circa mezzo » marzo ; cotanto fue allora la pasqua fra marzo.... Così ancora Benvenuto da Imola: a Istud arduum « opus incepit, ut iam toties dictum est, in MCCC, )) circa medium mensis marlil , in die veneris san- » cti , quia pascha tunc fuit martiaticum. » No : Pasca non fuit martiaticum ^ ne l'anno i3oo, in cui cadde nel dì io d'aprile e però il venerdì san- to nell'8, secondo il calendario giuliano allora non corretto; né l'anno i3oi, in cui cadde pasqua nel dì 2 di aprile. È dunque impossibile che il viaggio incominciasse in venerdì santo e circa mezzo marzo. Che concluderemo da tutto ciò ? Che questi buoni vecchi, quando si tratta di epoche e di calendario , non meritano d'esser troppo ascoltati, e che anch'essi conoscevano l'arte di copiarsi l'un l'altro. Osserva il nostro valente autore che il Boccac- cio, benché nel principio del commento assegni alla visione l'anno i3oo, tuttavia nel commento al e. Ili scrive : « Perciocché, siccome apparirà nel vigesimo- » primo canto di questo libro, l'autore entrò in que- )) sto cammino nel MCCCI. » Pensa il sig. Zinelli che debba credersi errore di penna piuttosto la pri- Viaggio di Dante 269 ma data che la seconda , che sembra affermata più pensatamente. Osservando che appunto nel commen- tare il vigesimoprimo canto deli' Inferno, P anonimo conoscente del poeta, e Benrenuto che conosceva e riguardava come suo maestro il Boccaccio, assegnano l'anno i3oo al viaggio di Dante, mi sembra che al- ti'i potranno dire per contrario che nel secondo luo- go debb'essere o scorso di penna ovvero errore o sia del copista o del tipografo. Ma di ciò sia che vuo- le. Se la questione dovesse decidersi coll'autorità de' commentatori , il nostro chiarissimo autore ben sa ohe la decisione non sarebbe dubbia. Un altro luogo dell'Inferno è recato da esso, che lo dice bastante a prova della sua tesi. Sono questi versi del e. XVIII: Come i roman per Vesercito molto Vanno del giubbileo^ super lo ponte Hanno a passar la gente modo tolto; Che dalVun lato tutti hanno la fronte P^erso 'Z castello^ e vanno a santo Pietro^ DalValtra sponda vanno verso H monte. » Sarebbe mai possibile , domanda egli , che » Dante avesse detto con quella forma V anno del « giubbileo, la quale indica una cosa passata, men- » tre la visione cadeva nel principio dell'anno , in w cui fu per la prima volta pubblicato il giubbileo; j) giacché la bolla fu in data de'22 di febbraio ? » Accorderò agevolmente che, se da questo luogo sol- tanto pendesse la nostra questione , dovrebbe aversi per probabile , che l'anno del giubbileo sia diverso da quello della visione. Peraltro è da sapere che i 270 Letteratura romei non aspettarono la bolla. In gennaio e in feb- braio , scrive il Muratori negli Annali , si vide in Roma un prodigioso concorso di pellegrini', e ciò si ha da contemporanee testimonianze. Inoltre non è già quella comparazione recata dal poeta, o da al- tri secolui favellanti, durante la visione. Quella fra- se Vanno del giubbileo sarebbe meno opportuna in bocca di chi favellava nell'anno i3oo, o ancora nel- l'anno i3oi : ma que'versi non sono di Dante che visita l'inferno, ma del poeta che dipinge a'ieggitori lo mondo senza fine amaro ^ e si riferiscono al tem- po in cui Dante scriveva il e. XVIII o a quello in cui pubblicava l'Inferno: e però possono rammenta- re il giubbileo come cosa passata , non da uno ma da piìi anni.. S'io non vo errato , Dante mai non dice di scrivere il suo poema l'anno medesimo del- la visione. Ma usciamo una volta dall'inferno. Il nostro autore ci arresta alla falde del purgatorio e ci fa udir Dante, che favella coll'amico e concittadino Casella, valoroso cantore ( Purg. II. 91 ): Casella mio , per tornare altra volta Là dove V son, fo io questo viaggio , DissHo: ma a te come tanta [\) ora e tolta 'ì Ed egli a me : Nessun w'è fatto oltraggio, Se quei che leva e quando e cui gli piace. Pia volte mila negato esto passaggio ; Che di giusto voler lo suo si face : Uberamente da tre mesi egli ha tolto Chi ha voluto entrar con tutta pace. (i) Alti-i leggono: Ma a te com'era tanta terra tolta ? Viaggio di Dante 271 Ond'iOi che era alla marina volto (i). Dove V acqua di Tevere s* insala ^ Benignamente fiCda lui ricolto^ Confesso che mi ha recato sorpresa il vedere ci- tati questi versi dal nostro illustre autore in prova della sua opinione. Se da tre mesi le anime de'tra- passati trovavano miglior sorte, più facile trasporta- mento e indulgenza maggiore nell' angelo condutto- re, convien dire che l'anno santo era incominciato da tre mesi, e perciò correva l'anno i3oo. » Tutti riconoscono, dice il nostro autore, nel- » le parole con tutta pace una allusione alla ple- » naria indulgenza (2) del glubbileo » ; ne egli dis- sente. Se Casella parlava cosi l'anno i3oi poco do- po il dì 25 di marzo , veniva a dire c\\e il tempo dell'indulgenza , il tempo favorevole alle anime dei defunti, era cominciato appunto allora che termina- va il giubbileo , cioè al 25 del dicembre del i3oo. Può fare un poco di difficoltà il sapersi che la bol- la di Bonifazio Vili è in data de' 22 di febbraio : talché non tre mesi, ma né pur due erano scorsi Ira quella pubblicazione e il colloquio di Dante con Casella. Il p. Zaccaria (3) pensò che i tre mesi pò- (i) Il Zinelli e altri leggono : OncV io eh' er' ora — (2) 0 almeno al giubbileo; poiché per essere accollo, senza ritardo o dilìicollà, con tutta pace, dall'angelo clic conduce le a- nime a ber lo dolce assenzio de' marlirii nel purgatorio, non è duopo avere acquistata indulgenza plenaria, (5) Storia lelt. d'Italia, tom. II, p. 90. 272 Letteratura tessero essere febbraio, marzo e aprile, due incom- pleti e un solo compiuto ; e ci dice che in questa opinione era venuto anche il Manni. Ma non è bi- sogno di questa interpretazione. Il papa nella bolla ( i ) concede indulgenza, «o« solimi plenum imo plenis- simam, a tutti coloro che cominciando dalla scorsa festa del natale del Signore ( in praesenti millesi- mo trecentesimo y a festo nativitatis Domini nostri J. C. praeterito proximo inohoato et in quolibet alio centesimo anno), sinceramente pentiti e confessa- ti, avranno reverentemente visitate le basiliche de' ss. apostoli Pietro e Paolo. Né ciò è assurdo : imperoc- ché mossi dalla voce che grandi indulgenze si gua- dagnavano in Roma ogni anno centesimo ( e, alcuni dicevano, specialmente il primo giorno di tale anno) grandissimo numero di fedeli , con ferma fiducia d' acquistarle , fino da'primi giorni del i3oo , doveva aver fatte quelle pie opere. I tre iweii, mentovali da Casella,Tsono dunque senza più, gennaio , febbraio e marzo. Osservo ancora, che in altro decreto pon- tificio del a5 di dicembre del i3oo si dichiara che in quel di finisce Vanno del giubbileo (2): dunque (i) No3 de omnipotentis Dei misericordia, et de eorumdera apostolorum eius meritis et auctoritate confìsi, de fratrum nostro- rum Consilio, et apostolica plenitudine potestatis , omnibus in praesenti anno MGGG a festo natiyitatis Domini ?}. I. C. prae- terito proxime inchoato, et in quolibet anno centesimo sequutu» ro ad basilicas accedentibus reverenter, vere poenitenlibus et confessisjVel qui vere poenitebunt et confitebuntur in huiusmo- di praesenti et in quolibet centesimo sequuturo, non solum ple- nam et largioiem, imo plenissimam omnium suorum concedinms veniam peccatorum .... (2j Annus iste iubilacus finitur hodie Declarat idem Viaggio di Dante 278 non era cominciato dal 22 di febbraio, nel qual ca- so 1' anno del giubbileo saria stato di circa io mesi. Parrebbe detto abbastanza intorno al luogo re- cato di Dante, il quale appare non già contrario , ma sopraramodo favorevole alla comune sentenza : convien tuttavia Vedere come il nostro chiarissimo au- tore ne tragga contraria conseguenza. Egli scrive che Casella era nel cerchio de* negligenti: e che, se l'anno della visione cade nel i3oo, fu tult'altro che negligente, essendo venuto a Roma J^ra i primi per voglia delV indulgenze e prima della bolla di Bo- nifacio. Sembra veramente che Dante ci faccia intende- re , il suo amico non essere stato il più diligente nelle faccende dell'animo ; poiché Iddio gli negava più volte il bramato passaggio , e il suo angelo noi raccoglieva nel fortunato navicello. Ma non è ve- ro che il poeta lo trovi nel cerchio de^ negligenti^ che indugiarono al fin della vita li buon sospiri , ossia nella costa. Dove tempo per tempo ^i risto- ra ^ alla quale non sale che nel e. IV: lo trora sul- la spiaggia, sbarcato allora allora, e non A dice qual luogo o a Casella o a'suoi compagni di viaggio sia destinato ( v. e. II, ▼. 5o, 76, 13o, e, III, i ). Sol- tanto ad essi in generale s'intiaaa ( II, 122 ): Correte al monte a spogliarvi lo scoglio , Ch^ esser non lascia a voi Dio manifesto. dominus noster summus pontifex, quod annus iste iubilaeus ter- centesimus liodie sit finitus, nec exteadatur ad annum incarna— tionis, secundum quosdam, sed ad aiinos Domini, secuuduin ri— tum romanae ecclesiae. G.A.T.LXXXIX. 18 274 Leti-eratora Come il nostro illustre autore, così altri valen- tuomini , che davano opera in illustrare la comme- dia di Dante, hanno scritto che Casella venne a Ro- ma pel giubbileo dell'anno santo. Io noi vorrò asso- lutamente negare ; benché appaia da' versi di Dante ch'ei non acquistò l'indulgenza plenaria; e il nostro A. crede che o non arrivasse a compiere le ope- re prescritte o le facesse con poca divozione. Ma domando : Donde si ha quella notizia ? Dalle parole di Casella : OncTio^ che era alla marina volto, Dove Vacqua di Tevere s^insala. Se punto veggo, da queste parole nulla si trae rispet- to al supposto pellegrinaggio. Ascoltiamo la terzina seguente : j4 quella foce ha egli or dritta Vaia, Perocché sempre quivi si raccoglie Quale verso Acheronte non si cala. Sono dunque le anime destinate a luogo di salute quelle che si raccolgono alla foce del Tevere; e quel- l'/o, quel Casella ch'era volto alla marina, Dove Vacqua di Tevere s^insala, aspettando il passaggio più volte negatogli, era , nò più ne meno degli altri, il suo io in senso più stret- to e metafisico, cioè l'anima di esso defunto, non Ca- sella con ossa e polpe, e disposto a ritornare in Fi- renze per mare: il che non so quanto fosse uso de' Viaggio di Dante 2^5 fiorentini d'allora, che non erano padroni ne di Li- vorno né della foce dell'Arno. Il Lombardi in una lunga nota si studia di pro- vare: I. che nò Casella fu coll'anima, ne Dante col- l'iramaginativa in un preteso luogo fuori della nostra terra e del purgatorio: 2. che Casella, secondo Dan- te, fu raccolto dall'angelo a pena estinto. Rispetto al primo punto, ha ragione : rispetto al secondo, mi pa- re che no. In questa ipotesi, è assai strano il com- plimento che fa Dante all'amico , col quale sembra condolersi che non sia morto più presto: ne meno strana è la risposta di questo, che ricorre all'assolu- to dominio di Dio, a giustificarlo dalla nota di du- rezza, per non avergli ( orribil cosa ! ) tolta prima una vita, che non era la più malinconica. Perchè la co- sa sia non affetto assurda, bisogna almeno supporre, che Casella, uomo di facile natura e di lieti costu- mi ( Landino ), il quale s'occupava in porre in musi- ca e cantare i versi de'rimatori contemporanei , come fé d'un leggiero madrigale di Lemmo da Pistoia (Cre- scimbeni, Commentari della volgar poesia^ voi. 2, parte 2, p. 102) fosse così innamorato de'beni eterni che gli recasse gran pena il ritardar della morte. Vor- rei crederlo santo a tal segno ; ma vedo che l'amico poeta lo fa approdare al purgatorio , non volare al paradiso, e ch'esso s'indugia di salire alla gloria, tal- ché si merita la riprensione del veglio onesto : Spi- riti lentif Qiial negligenzia, quale stare è questo ? Pare straordinaria questa immaginazione del poe- ta, che alla foce del Tevere si raccolgano le anime ayS Letteratura che vanno salve, dovunque abbiano lasciati i loi*o cor- pi; e che, per giusto voler di Dio, debbano alcune quivi aspettare per un tempo più o men lungo; ciò che avvenne a Casella ; ma per questa finzione, il brano citato diviene una professione di fede, non so- lo l'ispetto all'efficacia e utilità delle indulgenze con- cesse da' romani pontefici , ma eziandio ( come os- serva ancora il sig. Zinelli voi. I, p. 2o3 ) della ne- cessità di morire nella comunione della chiesa di Roma, della quale è qui rappresentante il suo fiume. Coeruleus Trbvis coelo gratissimus amnis. Peraltro se non trovo dal poeta accennato che l'amico peregrinasse a Roma, trovo dichiarato che il giubbileo giovò anche a lui, ma a lui morto, non a lui vivo. L'anima sua ( cui erasi più volte negato il passaggio ) nel tempo del giubbileo e , a quel che pare , ad occasione di esso ( v. 98 e seg. I^e- r amente da tre .... Ondalo che era . . . ), tu dal- l'angelo accolto benignamente. Ma in qual modo il giubbileo recar poteva vantaggio ai trapassati ? For- se il poeta immaginò che la misericordia di Dio, in queir anno di remissione e di pace, più dell' usato avesse benigno riguardo alle anime dei defonti, spe- cialmente di coloro che volentieri avrebbono acqui- stata la pontificia indulgenza, se morte non li pre- veniva : ovvero supponeva che fra i molli che avevano acquistato l'indulgenza, taluno impetrasse a Casella la grazia, che un defonto dappersè non può ottene- re, ma che ottiene, se orazione Vaita^ Che surga su di cuor che '« grazia viva: (Purg. IV, i34) Viaggio di Dante 277 G perciò, soggiunge il religioso poeta : Ben si decloro aitar lavar le note Che portar quinci., sì che mondi e lievi Possano uscire alle stellate ruote. { Purg. XI, 34.) Rimane ora soltanto a soddisfare ad una oppo- sizione, che il sig. Zinelli trae da que'versi ( Pai-ad. XVII, 70 ) ove Cacciaguida, predetto a Dante l'esi- lio e i disgusti che dovea soffrirne per parte de'suoi compagni di sventura, soggiunge: Lo primo tuo rifugio e 7 primo ostello Sarà la cortesia del gran lombardo., Che 'n su la scala porta il santo uccello. Ora , dice il nostro illustre A., il gran lombardo è Bartolomeo della Scala : questi nel tempo della vi- sione portava sulla scala il santo uccello. Dante dice porta non porterà. Ma Bartolomeo non potea portare su la scala il santo uccello ( l'aquila ) nel i3oo ; poiché non cominciò ad essere signore di Ve- rona che nel i3oi, per la morte di Alherto suo pa- tire. Dunque la visione accaduta nel tempo, in cui que- sto grande ospite di Dante portava su la scala il santo uccello^ non potè essere che nel i3oi. Accordo all'egregio autore che qui si parli di Bartolomeo della Scala, henchè altri abbiano diversa- mente opinato ; e rispondo: O era morto Alberto e successogli Bartolomeo nella settimana santa del i3oi o no. Se egli tuttora viveva, l'obbiezione ha egual lorza centra amendue le epoche in contrasto e per- 278 Letteratura ciò o nulla prova o troppo. Se poi è vera la prima proposizione del mio disgiunto, è assicurata la pal- ma all'a. i3oo: perocché Alberto, mentre Dante viag- giava pel mondo degli estinti, era tuttora in questo de'vivi ; e questo fatto è sufficiente risposta al pro- posto argomento. E certo (i) che di Alberto della Scala, padre di Giuseppe abate di s. Zenone in Ve- rona, favella quel più antico abate che dice a Dan- te {Purgai. XVIII, 121 ): E tale ha già Vun piede entro la fossa ^ Che tosto piangerà quel monistero, E tristo fui d' avervi avuta possa ; Perchè suo figlio^ mal del corpo intero E della mente peggio., e che mal nacque., Ha posto in luogo di suo pastor vero. Dicesi avere un piò dentro la fossa, quegli che per decrepitezza o per mala salute credesi vicino a mor- te; ma non mai chi, già morto, ha entro la fossa am- bedue i piedi e tutto il corpo. Se mi si chiedesse quale delle due accennate supposizioni sia la vera, cioè se Alberto morì prima o dopo la settimana santa dell'anno i3oi, rispondo che secondo gli storici di Verona, esso cessava di vi- vere nel settembre di detto anno: e perciò molto do- po la pasqua (2). (i) V. l'edizione della Minerva. (2) Torello Saraina, Le storie e fatti de' veronesi. Verona i586, 1. Il, p. 3o. - Gio. Francesco Tinto, Lanobiltà di Verona, iSgo, p. 5i3. - Girolamo dalla Carle, L'istoria di Verona, iSgS, 1. IX, p. 582. Questi aggiunge che alcuni lo vogliono ^niorto in maggio, ma i più s'accordano nel settembre.- Lodovico Moscar» do, Istoria di Verona, 1668, p. 207. Viaggio di Dante 279 Quel dirsi porta il santo uccello^ e non por- terà^ non è , s'io m'appongo , osservazione di gran momento. Cacciagulda è in gloria ; vede le cose con- tingenti Anzi che sieno in se^ mirando il punto A cui tutti li tempi son presenti (Par. XVII, 16). Perchè non gli apparirà il futuro ospite del suo ni- pote coU'aquila sulla scala effigiata nello scudo ? Ne è provato o che tutt'i capi di quella famiglia, o che essi soli portassero l'insegna dell' aquila sulla scala. Si veda il Lombardi. Il commento ascritto a Pietro figliuolo del poeta dice senza più, che Bartolomeo por- tava aquilam super scalani in armatura'^ e il po- stillator cassinense scrive dello stesso: Qui solus de aia domo portai in scuto aquilam super scalam. Mi sembra d'avere soddisfatto a tutti gli argo- menti del sig. Zinelli, e confermata la comune sen- tenza coll'esame de'luoghi medesimi che recavansi ad abbatterla. A renderla vieppiùi indubitata accennerò brevemente alcuni altri luoghi della commedia dell' Alighieri. E innanzi tratto mi si para davanti il primo verso : Nel mezzo del cammin di nostra vita. Dante si ritrova per una selva oscura, e scende nel regno de'morli nel mezzo del cammino della vita , avendo forse in vista le parole di Ezechia : In di- midio dierum meorum '^(idani ad portas inferi. Ora, secondo la dottrina di esso nel Convito , e la a8o Letteratura udimmo poc'anzi dal eh. sig. Zinelli, jielli perfetta- mente naturati , nel trentacinquesimo anno è il colmo delVetà, il punto sommo delVarco della vi- ta, la quale procede ad immagine d^arco, montan- do e discendendo. In conseguenza il mezzo del cam- mino della nostra, cioè dell'umana vita, non dee po- ter essere che l'anno trentacinquesimo. iVieZ mezzo del cammin di nostra vita. Trentacinque anni sHntende vivendo Se prima per altrui non c^è impedita. Così comincia la spiegazione in terza rima della com- media di Dante scritta da Bosone da Gubbio. E dun- que certo che Dante volle fare il suo singoiar viag- gio nel trentacinquesimo anno della sua vita : ma egli, nato nel maggio dell'anno i265 (come nel commen- to a questo verso ci fa sapere il Boccaccio segui- to dagli altri biografi del poeta e ancora dal sig. Zi- nelli ) era nell' anno trentacinquesimo la settimana santa del i3oo; ma correndo quella del i3oi, lo avea compito e valicato da dieci mesi ; dunque l'anno di cui trattiamo è il i3oo, non il i3oi;nè il Boccac- cio poteva pensare diversamente. Pretermetto altri argomenti che in appoggio del- la comune sentenza mi sembra somministrare la pri- ma cantica , e in particolare il canto X , ove sono que'versi, illustrati dal Troya e dal Balbo (i) : (i) Feltro allegorico, p. 70. - Fita di Dante, voi. II, p. 60. i Viaggio di Dante 281 Ma non cinquanta volte fia raccesa La faccia della donna che qui regge. Che tu saprai quanto queWarte pesa', e quello clie a Cavalcante, temente non fosse già mor- ie il suo Guido (1), fa sapere, ( 1) Il verso, che non bene inteso da Cavalcante, lo turbò, fu quello, in cui Dante, alludendo a Virgilio, dice ( y. 63): Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno. Ma questo verso è stato bene inteso da'coinmentatori ? Ne dubi- to. Il Boccaccio ha scritto che Guido, perciocché la filosofìa gli pareva, siccome ella è, da molto più che la poesia, ebbe a sde- gno Virgilio e gli altri poeti. La turba è andata appresso al Boccaccio. Ma, domando, è egli possibile che per troppo atnore alla filosofia avesse a sdegno i poeti, e ancora i poeti filosofi, un poeta, il quale, come dice il Tiraboschi, alla poesia più che alla filosofia è debitore del nome che ha ottenuto tra'posteri: il qua- le, come aggiunge il Cornianij volle lasciarci la sua filosofia ve- stita unicamente di colori poetici; quel Guido ch'è citiito ne' li- bri De vulg. eloquio tra i più illustri rimatori, e nella Commedia viene esaltato come quello che avea tolto la gloria della lingua a Guido Guinicelli ( Così ha tolto Vano all'altro Guido la glo- ria della lingua, Purg. XI): il quale Guinicelli Dante nella Stessa cantica nomina ( Purg. XXVI) padre suo e degli altri mi- gliori rimatori italiani ? Qual sarà dunque il vero sentimento di quel verso ; Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno ? Io non propongo che una congettura. Guido ebbe fama di valente scrit- tore in volgare, ma non sappiamo che scrivesse alcuna cosa in latino, com'era allora uso dei dotti. Dante scrisse a lui la Vita nuova, e dice che questo suo primo amico ebbe intentione , che esso Dante gli scrivesse solamente in volgare. Può essere che Guido riguardasse la lingua latina come morta per sempre, e inopportuna ad esprimere i concetti degli uomini del suo tem- po, e perciò giudicasse che i buoni ingegni dovessero travagliar- si senza più in coltivare il volgare che le succedeva , né fosse prezzo dell'opera porre assai diligente e lungo studio a \irgilio 282 Letteratura Che 7 suo nato è col vivi ancor congiunto (v. 1 1 1): quel Guido, che tornalo Infermo dairesilio nel set- tembre del i3oo o in quel torno , poco appresso morì , come dice Dante presso Lionardo Aretino e concorda G. Villani (i); e però è poco probabile che ancora vivesse nella settimana santa del i3oi. Né frugherò nell'altre due cantiche in cerca di nuovi non necessari argomenti. Ponendo fine, ram- mento senza più un luogo del Paradiso, di cui una sola parola, se mal non intendo, è sufficiente a dif- finir la questione. Un'anima beata dice a Dante, che di Folco da Marsiglia ( IX, 89 ): e agli altri antichi. S'è cosi, egli non aveva a mente, come Dan- te, tutta quanta l'eneide: né si pregiava d'aver tolto da Virgi- lio lo bello stile: nò chiamava questo suo maestro e suo autore: né l'avrebbe tolto per guida ed esemplare in un poema; e cosi potè dirsi di lui, che^br^e ebbe a disdegno Virgilio. (i) Et tornonne malato Guido Cavalcanti, onde morlo: G. Vili, lib. Vili, e. 4i- Ma come nel capo preceduto troviamo Guido in certa zuffa del mese seguente di dicembre? A conciliar ciò, col- la testimonianza di Dant^J e del Villani medesimo, può dirsi che Guido riavutosi alquanto dal male, fu a quella zuffa: ma presto, forse appunto per essa, il morbo rincrudì, e Guido mori nel di- cembre o nel seguente gennaio. Può forse sospettarsi, che il Vil- lani narrando quel tumulto, fra i nemici di Corso Donati ponga Guido, senza pensare che allora doveva essere o morto o mori- bondo. A me peraltro sembra che il Villani narri que' fatti nell' ordine in che avvennero, e la zuffa narrata nel capo 4^ sia an- teriore all'esilio ricordato nel capo ^i: e che ov'egli scrisse del mese seguente, intendendo di luglio, abbia altri aggiunto per in- felice commento di dicembre. Non sarel)be questa la prima pa- rola intrusa nella storia di G. Villani; e tolta questa, tutto Ta co'suoi piedi. Viaggio di Dante 283 Grande fama rimase e pria che muoia Questo cente sull'anno ancor s'incinqua. Dunque è certo che la visione di Dante dee porsi in un anno centesimo. Centesimo si toglie ancora per secolo; ma il e ente sim' anno sicuramente non è un secolo, bensì l'anno centesimo del secolo, l'anno che chiude il centesimo. Che tal anno si chiamasse centesimo, oltreché la è cosa credibile senz'altra te- stimonianza, lo abbiamo udito dalla bolla di papa Bo- nifazio; e il sig. Zinelli ci dice, asserirsi in essa bol- la, che si teneva per antiche testimonianze , che nel centesimo anno /osservi grandi indulgenze ( p. XIX ). Il card. Iacopo di s. Giorgio nipote di Boni- fazio scrisse un libretto. De centesimo seu iubilaeo anno, a cui aggiunse due componimenti in versi, il primo de'quali comincia : Aurea centeno consurgunt saecula Phaebo; e il secondo : Discite centeno detergi crimina Phaebo. Sulla facciata della cattedrale di Siena fu scritto ; Annus centenus Rome semper est iubilenus. Ora niun centesim'anno può essere l'anno che noi cerchiamo, se non il centesimo del secolo XIII, ossia il i3oo. Tale anno dunque d'espiazione e dì 284 Lettérvtura pellegrinaggi dal sommo poeta fu scelto pel suo espia- torio e straordinario pellegrinaggio, il cui beato ter- mine è il tempio Di quella Roma onde Cristo è romano. ( Purg. XXXII, 102 ) G. B. PlANCIANI D. e. DI G. -^ag^^^Q^gl Cf— 285 Discorso primo d'Iseo^ su la eredità di Cleoninioi volgarizzato da Giuseppe Spezi. Vos exeinplaria graeca Nocturnà versate manu, versate diurna- lloratius, Art. poet. AI LEGGITORI GIUSEPPE SPEZI 'O'uesta orazione d'Iseo ancìando già per le mani degli studiosi nel greco manca e iraperfeUa, il som- mo ardore alle lettere di angelo Mai ce Tlia por- ta intera, cavatola di quelle tenebre indegne, in cui nelle biblioteche lungo tempo si giacque. Alla qua- le sua impresa, come ad assai altre di quella natu- ra, abbiamo a rendere molte grasiic, non solamente per averci rinvenuto tante e nuo'^e cose di greco e latino, e massime per la repubblica ci Tullio, la qua- le vieppiù accresciuta e meglio corretta e ordinata mise in luce, ma eziandio per aver mostro a'pelle- grini che le continue rampogne loro contro a que- st' ozio d'Italia negli studi hanno trascorso i confi- 286 Letteratura ni ; perocché qua non dormiam tutti quanti lieti e contenti alle memorie de'padri, ma ci ha pur chi ve- glia e s'affatica perchè non cada in fondo la gloria nostra : ed or basta il Mai a far conoscere come le greche e romane lettere non sono ite disperse della patria loro, cercando fuori di lei chi le raccolga, poi- ché tra noi hanno anche oggi sicura stanza. E pia- cesse a Dio che altri cui qui non appelliamo, lui ri- pugnante {*), uscito una volta del lungo silenzio, e piìi non celate le sue ricchezze d'ingegno e studi, s'accompagnasse col Mai ! Che bene oseremmo noi di additarli amendue insieme a tutta Germania e In- ghilterra come quelli che potrehhono soli affrontarsi colla fama, in che sono elle salite per le dottissime fatiche loro. Ma tornando ad Iseo, diciamo d^avere voltato in nostra lingua il primo discorso di questo celebre ora- tore, maestro del padre della greca eloquenza Demo- stene ; non per sentirci forti a sì grande peso , ma perchè ninno ancora de'nostrl cittadini essendoselo imposto , pensammo a toglierlo noi per invitare al- cuno di loro a portarlo con più lodevole uscita che non s'è fatto. Che se però questo primo saggio in- contrerà l'approvazione de' savi, ci abbiam proposto di tradurre per intero Iseo , stimando che qualche prò ne verrebbe alla eloquenza del nostro foro , la quale ora sedendo ne'tribunali squallida, lacera e mal- menata , polria ottimamente accomodarsi alla ma- niera del dire d'Iseo, acconcissima a lei, per poi ri- vestire i suoi perduti ornamenti. Ed a questo ne ha (•) E. S. Discorso primo d'Iseo aB^ condotto anclie l'opinione cui sempre tenemmo, cioè come le traduzioni sieno parte del pubblico sapere e noù piccolo vanto di una letteratura. Poiché sappia- mo che molti popoli han cominciato a coltivare Tin- gegno e ad essere famosi dopo aver preso il meglio dagli altri già inciviliti e traportatolo nel proprio linguaggio, perchè anche la grossa e barbara multi- tudine un poco intinta in quelle dottrine pigliasse al- quanto colore di umanità : e sappiam pure che nel mille trecento, quando Italia richiamò a vita i morti studi e ne illuminò le oscure nazioni, in quel tem- po andavano intorno e Livio, e Cicerone, e Sallu- stio, e Virgilio, e Seneca , e Plutarco fatti italiani. Ma non bisogna che ora qui dimoriamo sopra cose di che parlano le storie: per cui lasciandole da un can- to, preghiamo voi ad accogliere con lieto viso questo lavoro, acciocché ne siamo più confortati a seguire i nostri studi nel greco , rivolti ad alcun utile delle patrie lettere. ARGOMENTO I nipoti fraterni di Cleonimo, dopo la sua morte, vogliono entrare per parentela nella eredità di lui. Confessano che quel testamento che Ferenico, Simo- ne e Posidippo recano contro a loro, sia stato scrit- to veramente e posto nelle mani de'magistrati ; ma però che fosse fatto in odio contra Dinia lor cura- tore: e che Cleonimo, volendo annullarlo e per ciò chiamato Tarconte, d'improvviso lasciò di vivere. Di- cono pure che Poliarco, avo loro e padre di Cleo- nimo, ordinò che se questi senza figliuoli avesse mai nella vita uno incontro mortale , e' donerebbe loro 288 Letteratura tutt'i suoi beni. Lo stato della causa è in un ter- mine doppio, come lo mostra la contesa : che una parte difende il testamento, l'altra poi che Cleonimo affin di scomporlo mandò pel magistrato, e si attie- ne agli ultimi fatti di lui (i). ©ai®©!!® rande rivolgimento di cose mi accadde, o giudici, dopo la morte di Cleonimo : imperocché egli quando era in vita fece noi suoi eredi, ma partitone ci ba po- sto incontro un pericolo sopra i beni di lui; e mentre un dì con tanta modestia e' n'educava, che nemmeno come uditori ci accostavamo ai giudizi, or ci veniamo a combattere tutte nostre sustanze. Che (2) gli av- versari non ci contendono solo la eredità di Cleo- nimo, ma anche il nostro patrimonio, del quale dico- no essergli noi debitori di certa somma. Dipoi gli amici e'congiunti di costoro sono in quella opinio- ne che de'beni, cui Cleonimo ha loro lasciato , ne tolghiamo anche noi una egual parte; essi però giun- gono a tale impudenza, che brigano pur di rapirci il patrimonio, non perchè ignorino il diritto, o giu- dici, ma perchè si pensano essere noi spogliati di ogni soccorso. Or voi ponete mente con quali ragioni alla ma- no gli uni e gli altri qua ci recammo. Questi si ap- poggiano a quel testamento che Cleonimo scrisse, non per nimicizia che tenesse conlra noi, ma per isdegno centra un nostro parente : nondimeno egli lo ruppe avanti alla morte, perocché mandò Posidippo al ma- gistrato (3). Ma noi di parentela stando più vicini Discorso primo d'Iseo 289 a Cleonimo e con maggiore amicizia avendo usato con lui, ci danno le sue robe sì le leggi per atte- nenza, sì esso Cleonimo per affezione che ci volle, e si Poliai'co finalmente padre di lui per avere di- sposto che, se il suo figliuolo senija prole avesse mai compiuti i dì suoi, farebbe noi signori di tutte sue cose. Poiché dunque tante ragioni sono dal canto nostro, questi, benché non ne abbiano alcuna e sieno legati a noi d'affinità, pur non si recano a vergogna di porci in una contesa, dove anche ad uomini stra- ni sarebbe turpe il contrastare. Quindi mi sembra, o giudici, che noi qui non portiamo un animo simile a loro. Imperocché io non ho per la maggiore disavventura se ora corro un pe- ncolo ingiustamente, ma perchè entro in una lite co' miei congiunti, vincere i quali neppure é onesta co- sa : e se per difendere me stesso io noccia a'parenti, questo reputo non sia minore infortunio che l'esse- re provocalo prima da loro con ingiustizia. Ma di- versa è la mente degli avversari; poiché vengono so- pra noi e chiamati gli amici, e procacciatisi gli ora- tori, e ninno apparecchio lasciato indietro, come se movessero a vendetta di nemici e non piuttosto ai danni di consaiigviinei. Ma la impudenza e avarizia loro conoscerete anche meglio, giudici, quando rice- verete da me lutto l' ordine del latto. Comincerò a mostrarvelo di là, donde subito capirete la lite nella quale noi siamo. Dlnia fratello di nostro padre pi- gliò le cure di noi ch'eravamo pupilli. Tra lui e Cleo- nimo era una discordia; quale poi de'due ne porgesse cagione, non é officio mio di narrare. Però di questo io debbo rlpienderli , che prima essendo amici, ne ve- G.A.T.LXXXIX. 19 ago Letteratura nula in mezzo occaslon di rottura, sol da certe pa- role accesei-o arditamente fra loro cotanta nimistà. Per tale odio adunque contro Dinia, e non per dispetto nostro, Cleonimo, tornato a sanità (4), di- cea d'avere scritto quel testamento. Poiché, veggen- doci sotto la cura di Dinia , temea , che se mor- to e noi ancora fanciulli , non pervenissero i suoi beni alle mani di quello. Conciossiachè gli pareva gran peso il lasciare signore d'ogni sua cosa un ni- inicissimo e curatore di suoi nipoti, e che, finche noi dimorassimo nella pubertà, quegli col quale visse cruc- ciato gli facesse l'esequie (5). Questi pensieri e'rivob gendo nell'animo, compose o con diritto o no quel testamento. Ma tosto dimandatolo Dinia se centra noi od il nostro genitore si lamentasse di niente, ei gli rispose avanti a molti cittadini, che noi di nulla poteva rimproverare: e palesò che sol per ira che ser- bava a lui, e però turbatone forte nella mente, avea ordinato in quel modo tutte sue robe. E in verità, giudici, come un uomo sano di mente aviia pensato a danneggiar noi, da'quall non raccolse mai un'offesa ? Ma dopo ciò segue un indizio più notabile che Cleonimo non operasse in tal guisa per nostro no- cumento. Perciocché lasciata Dinia la vita e mal si reggendo le nostre fortune , quegli non sofferì che noi sopportassimo alcun diCetto , ma ne aperse la sua casa per educarci, salvò i beni nostri dalla fu- ria de'creditoi'i che ce li volcano strappare di mano, e prese cura di nostre cose non altrimenti che delle proprie. Da questi fatti, o giudici , anziché dal te- stamento, dee ravvisarsi la mente di Cleonimo: e non bisogna andar dietro ai segni ch'ei mostrò in mezzo dell'ira, quando tutti sogliam cadere in errore , ma Discorso primo d'Iseo 29 1 bensì dietro a quelli onde poi chiaramente aprì l'a- nimo suo. Imperocché Cleonimo in su gli estremi suoi dì manifestò viemmeglio qual uomo si fosse verso noi. Che quando infermò di quel male onde corse al suo termine, pensò di disfare il testamento : e comandò a Posidippo che gl'introducesse il magistrato. Quegli però non solamente non glie lo volle menare, ma ri- mandò indietro quell'uno de'magistrati che s'era affac- ciato alla porta di casa. Di che sdegnatosi Cleonimo, da capo il dì seguente commise a Diocle che chiamasse il magistrato; e non in modo che credesse di star nel fine di sua vita, ma nelle speranze di condurla più avanti: quando ecco d'improvviso in quella notte ei trapassò. Prima dunque vi recherò testimoni che Cleoni- mo, non contrario a noi ma sì a Dinia, dettò quel testamento; poi che mancato questi alla vita, quegli si tolse le cure di noi, e ci ebbe in sua casa per educarne; quindi che mandò Posidippo al raaestra- to, a cui non solo egli non portò la domanda, ma ri- spinse Arconide (6) che già poneva piede nella casa di lui. Ch'io dunque parli il vero, tu chiama i testimoni. TESTIMONI Dipoi che gli amici degli avversari, fra' quali Ce- fisandro, disegnassero partire l'eredità, e che di tutt' i beni di Cleonimo noi portassimo il terzo, anche di ciò tu chiamami i testimoni. 292 L E T T B R A T U R A TESTIMONI Or io Ilo fermo, giudici, che a tutti quei die fanno qulstione d'una eredità, dopo aver dimostrato, siccome noi, se di parentela e domestichezza maggiore approssimarsi al defunto , sia un fuor d'opera sten- dere più lungamente le loro parole. Ma poiché gli avversari, quantunque privi di quelle due qualità , pure osan contendere sopra ciò che loro non appar- tiene, e compongono fallaci ragioni, vengo a rispon- dere con brevità arfcche ai loro argomenti. Difendono a tutt'uomo il testamento, dicendo, che Cleonimo non per diaeiorlo richiese il magistrato ,. raa per correg- gere e confermar loro i suoi doni. Voi però giudi- cate se sia più credibile die Cleonimo volesse an- nullare il testamento da lui fatto nell'ira, o die do- po aver vissuto con noi di tanta familiarità, ei pro^ curasse più fermamente di metterci fuor de'suol be- ni. E tutti gli altri uomini se nello sdegno offeser gli amici , sogliono poi pentirsi : ma gli avversari sostengono che Cleonimo, quando ci trattò con mag- giore domestichezza,, rinforzasse quel testamento con più saldo animo di allora che irato lo componeva. Ma se ammettiamo tali cose e voi darete lor fede, considerate di' essi appongono a Cleonimo la maggiore follia. Perocché quale follia va sopra que- sta, che Cleonimo inimico a Dinia volesse offender noi ed iscrivere tal testamento, dove non puniva lui, ma ai suoi più consanguinei faceva ingiuria ? E che dopo avere usato di tanto amore con noi, che nessu- no c'entrava innanzi, egli, come dicon costoro, noi solamente e suoi nipoti fralerui diseredasse ? Qual Discorso pi\imo d'Iseo 298 TTomo dì sana mente, o giudici , avrebbe in questa guisa ordinato de' suoi più congiunti ? Laonde gli av- versari, ragionando in tal modo, vi porgono più chia- ro lume a conoscer la causa. Poiché Cleonlmo o chia- mò il magistrato per mutare la ultima sua volontà, come noi affermiamo , e ogni discorso loro si atter- ra: o egli uscì tanto fuori di sé che stimò non far mai conto di noi , i quali dì parentela gli andiamo più presso e siamo stati i suoi più cari domestici, e voi per giustizia rivocherete il testamento. Pensate poi che gli avversari, dicendo che Cleo- nimo mandò pel magistrato per confermar loro le sue donazioni, pur non ardirono di condui'glielo, ma rihut- t-arono quello che già prendea la soglia di casa. Per- ciocché dovendo accadere l'uno di questi due con- trari, cioè ch'eglino o avrebhon l'eredità vieppiù s!a- bilita (7) o non ubbidendo a Cleonimo gli sarebher caduti in odio, elessero meglio d'offenderlo, anziché ac- cettare i suoi doni. Ma nulla é meno credibile di tali cose; che cioè quelli a cui da essa ambasciata sarian proceduti si larghi guadagni, quasi ne temessei'o danno, la pongono in silenzio: e che poi Cleonimo volgesse tanto studio a loro utilità che si crucciò forte con Posidippo, il quale non avca curato ciò che gì' impo- se, e di nuovo il dì seguente pregò Diocle a met- tergli avanti il magistrato. Che se Cleonimo in quel testamento li chiamò suoi eredi, mi sembra maraviglia come egli, correg- gendo in esso alcun che , stimasse di meglio con- fermarlo. Conciossiachè a tutti gli uomini il testa- mento è come un termine del loro donare. Per cui se a ciò che aveva scritto volea crescere alquante cose, perchè non le mise in altro codicillo ? Perciocché ag4 Letteratura non poteva ritoglier mai a'magistrati quello esempla- re, né abolire se non quella scrittura che avea posta nelle loro mani : però gli era lecito, se gli fosse piaciu- to, dettarne altra e toglierci di mezzo questa contesa. Che se noi concediamo pure, che Cleonimo volesse emendare il testamento, chiaro è ad ognuno di voi eh' egli fermava di non averlo steso dirittamente. E da ciò ravvisale l'audacia loro , i quali hanno come autorizzato un testamento che dichiarono essei'e il- legittimo ; e inducono voi a dar sentenza contraria alle leggi, al diritto e alla volontà di esso defunto. Cotesti poi favellano senza pudore quand'osano dire, che Cleonimo non patì mai che noi pigliassimo del suo patrimonio. Ma a quali altri e'volea meglio che quello capitasse se non a coloro, a cui sopra tut- t'i congiunti, mentre vivea, di esso appunto giova- va ? Sarebbe poi la più grande maraviglia del mon- do che Cefisandro, cognato a'nostri nemici, riputas- se giustizia che noi pure enti'iarao in quella eredità: per contrario Cleonimo, assai più affine a noi e mes- soci nella familiarità sua più grande, e che ci educò, e guardava le robe nostre come le sue, egli solo vo- lesse cacciarne della eredità ? E qual di voi s'inchi- nerà meglio a credere che gli avversari ci mostrino maggior benevolenza e più belli modi , che uno più prossimo al sangue nostro ? E che quegli al quale era dovere di beneficarci e turpe di trascurarne, non ci lasciasse cosa del suo : questi poi che niun'olìbligo, niuna vergogna può prendere a operare in quel mo- do verso noi, c'invitino a goder di lai beni che non ci appartengono ? Ma simili cose , o giudici , sono troppo lontane da ogni fede. Inoltre se Cleonimo morendo avesse ancora avu- Discorso primo d'Iseo 2^5 lo verso noi il medesimo animo die quando testa- va, sarebbe giusto che voi dcsle credenza a'discorsi degli avversari ; ora però troverete tulio V opposto. Imperocché nel tempo clie Cleonimo seguitava le inimicizie con Dinia, e non viveva ancora familiar- mente con noi , egli era in amore dei contrari no- stri. Ma rottosi con alcuno di essi, si accostò a noi colla maggiore domeslicliczza possibile. Da quali fonti poi sorgesse quella discordia fra loro, non è questo il luogo da indicarli : pur ne toccherò solo i segni più aperti, e ve ne addurrò anche testimonianze. E pri- mamente Cleonimo in un sagrificio a Bacco invitò tutt'i suoi familiari ed assai cittadini, salvo Ferenico. Quindi, di poco avanti la morte, egli recandosi a (8) Panormo insieme con Simone e per via scontratosi con Ferenico, non sofferse di salutarlo. E interrogato! Si- mone di questo animo avverso, quegli confessò aper- tamente di odiar Ferenico, e minacciò che un di gli avrebbe mostrato l'animo suo. Ch'io poi pronunzi la verità tu chiama i testimoni. TESTIMONI Opinate voi dunque, o giudici , che Cleonimo con siffatto animo adoperasse in maniera verso di noi familiarissimi suoi, che non ne facesse un cenno nel testamento; a questi poi, benché nimico ad alquanti di loro , pure cercasse ogni via per assicurare tutta la eredità ? E che fra essi e Cleonimo stando in pie- di colai nimicizia, e'nondimeno gli avesse in sì gran conto: per contrario a noi, che eravamo uniti con lui di tanto amore e parentela, tentasse arrecare piutto- sto danno ? Ma, se gli avversari accusan le tavole te- 296 Letteratura stamentarie od il defunto, io non so clie altre parole faranno mai dinanzi a voi; dichiarando quelle essere ingiuste, ne dal testatore approvate; lui poi avendo per uomo tanto lungi del senno, che dicono abbia in- dirizzate maggiori cure a'nemici che ai famigliari : e che a coloro, con cui vivendo non conversava , la- sciasse i suoi beni: a quale poi fu nella sua maggio- re intrinsichezza, non ne donasse niuna particella. Laonde chi di voi farà autenticate le tavole, clie an- che riprovò il testatore, e col fatto le rompoJio gli av- versari , poiché ci vogliono comunicare la eredità, e finalmente noi vi dimostriamo esser contrarie alle leg- gi, al diritto, e alla mente stessa del defunto ? Io penso che da questi voi possiate comprende- re il nostro diritto. Perciocché se alcun li dimandi della cagione per cui Cleonimo li fece suoi eredi , certo risponderanno, perchè furono alquanto imparen- tati con lui , ed egli fu certo tempo il loro amore. Non parlano dunque cose, le quali fanno utile a noi e non ad essi ? Perciocché o per affinità bisogna di- ventare eredi, e noi siamo i più affini: o per amore, e tutti sanno che Cleonimo non ne volle così a nin- no siccome a noi. Il percliè non da noi, ma dagli av- versari conviene imparare siffatta giustizia. Ma sa- rebbe gravissimo a sostenere, che usando voi senten- ziare a prò di coloro che vi dimostrano o per pa- rentela o per amore se avvicinarsi meglio al defunto, noi poi di cui vi son manifeste amendue queste co- se, pur giudichiate che soli dobbiamo essere privi del- la eredità ? Che se per caso Pollarco, padre di Cleonimo ed avo nostro, stesse ancora nel mondo e gli mancasse di che sostentare la vita; o se fosse morto il figlino- Discorso primo d'Iseo qqj !o, lasciate in povertà sue figliuole: bisognerebbe che per parentela nutricassimo l'avo e (9) ci togliessimo quelle in matrimonio, o fatta loro la Jote le collo- cassimo con altrui. E a questo passo ci condurreb- bono l'affinità, le leggi ed anco il naturale rossore: che altramente incorreremmo in grossa multa ed in ver- gogna somma. Se poi sia vacante una eredità, crede- rete voi legittimo eh' ella discenda meglio ad. altrui che non a noi ? Certo che non rendereste ragione con diritto, né conveniente a voi, ne concorde alle leggi : se, quanto agl'incomodi ob])ligaste solo i pa- renti ad indossarli: quanto ai beni poi lasciati , ne faceste signore fuori di quelli ogni altro uomo del mondo. Ma fa duopo, o giudici, che voi tenendo le u- sanze vostre giudichiate in prodi coloro, i quali nel- la lor lite riposano sull'affinità anziché sul testamen- to. Perocché quella è palese a tutti , né agli occhi vostri si può coprir di menzogna : ma molti falsaro- no il testamento , e chi lo cassò affatto , e chi lo distese con torti consigli : la nostra domestichezza e consanguinità con Cleonimo , per la quale noi qui combattiamo, voi tutti sapete; ma il testamento, a cui costoro attenendosi ci travagliano tanto, non vedeste bene fondato. Dipoi il nostro parentado confessano gli avversari medesimi; ma il testamento è impugnato da noi : poiché costoro s'opposero a Cleonimo che vo- leva annientarlo. Sicché vi tornerà in più onore giu- dicare per la parentela, di cui non muovesi dubbio, che pel testamento condotto con ingiustizia. Poscia osservate, che Cleonimo lasciò scritta la sua mente il di che adirato disponea senza ragione tutte sue cose; ma lei cancellò quando posta giù l'ira tornò in stesso. 298 Letteratura affinchè voi ingiustissimamente non diate più forza allo animo suo pieno di sdegno, che ricomposto in pace. Io credo che vi semhri un diritto il ricever da quelle persone ( e altrimenti ne muovereste lagnan- ze ) alle quali potrebbe avvenire ch'elle un dì conse- guissero alcuna cosa da voi. Se dunque Cleonimo per sorte vivesse ancora, fatta vedova di padroni la casa nostra e degli avversari , pensate ch'egli diver- rebbe erede d' amendue quelle. Perciocché è giusto che le sustanze di uno passino a colui, del quale an- che le proprie sarian venute alle mani dell'altro. Sic- ché se Ferenico od alcun suo fratello fosse morto, i loro figliuoli non Cleonimo acquisterebbon dominio delle cose lasciate. E se quello avverso caso fosse ca- duto sopra noi, sai-ebbe stato Cleonimo l'erede intie- ro. Che non abbiamo figliuoli ne altri parenti; e que- gli più s' appressa a nostra consangulnità e del più grande amore si ritenne con noi : laonde anche le leggi lo griderebbero erede, e noi non giudicherem- mo altro più degno di lui a torsi le cose nostre. Con- ciossiachè noi vivendo non metteremmo in suo ar- bitrio una causa per modo, che la sentenza di lui non soprastesse alla nostra : ma morendo vorremmo fare erede piuttosto altri che il più congiunto a noi. Sic- ché apprenderete, ateniesi , che noi si nel dare e si nel ricevere seguiamo il diritto di parentela ; ma gli avversari con somma vergogna ora allegano tale af- finità ed amore, perchè s'aspettano ricevere alcun che: mentre se si dovesse dare , egli additerebbono assai congiunti ed amici come più vicini e cari a Cleonimo. Ma della nostra orazione è questo il capo, a cui fa duopo che voi tutti or diale la mente : cioè Discorso primo d'Iseo 299 quanto più gli avversari, ponendo loro ragioni, vi di- mostrano e spingono a credere che Cleonimo scris- se quel testamento , che poi non se ne pentì mai, né volle che noi togliessimo nulla di suo avere, e che anzi lo confermò loro : eglino dicendo queste cose e confortandole di argomenti , mostrano pure se di parentela sedergli piia a lato , e aver vivuto con lui di maggiore familiarità di noi : considerate che piglian le accuse di Cleonimo e non istruiscono voi della giustizia del fatto. Che se crederete alle loro parole , bisognerà che voi non giudichiate per essi la eredità di Cleonimo, ma ripi-endiate lui di follia : per contrario se porgerete orecchio a noi , seguirà che tenghiate lui avere ordinalo dirittamen- te quando volle scomporre le tavole testamentarie, e che noi non portiamo qui una lite ingiusta, ma combattiam con giustizia la eredità. Da ultimo pen- sate, o giudici, che non può mai accadere che in- torno a que'beni voi mettiate sentenza secondo le ragioni di costoro. Imperocché sarebbe cosa durissi- ma a comportare che rettamente sentendo gl'inimi- ci nostri che noi siamo partecipi della eredità, voi fermiate eh' ei se 1' abbiano tutta : e ne assegniate loro anche più là ch'ei non si arrogano ; noi poi non farete degni neppure di ciò che ne concedono spontaneamente gli stessi avversari. NOTA. Dietro a questa orazione, trovata intera dal Mai^ abbiam voluto porre il giudizio che già ne diede il Giordani , il quale perch'è dotto grecista e grande scrittore a'di nostri, teniamo anche fermo che delle 3oo Letteratura opere letterarie sia pur giudice sommo. Egli dice (*): « Chiunque ha in pregio la gentilezza , chiunque ama 1' eloquenza , chiunque è desideroso di quanto hanno di più caro le lettere greche, veramente mae- stre d'ogni bello, ringrazi Mai d'averci data una ora- zione d'Iseo, discepolo d'Isocrate, emulo di Lisia , maestro di Demostene, tanto lodato dall' Alicarnasseo, che a Lisia lo antipone. Di questa orazione aveva- mo meno della metà : Mai da un manoscritto del secolo quattordicesimo l'ha tratta intera ; e al testo greco aggiunge una sua elegantissima traduzione. Il soggetto della orazione è un privato affare di ere- dità : e, secondo la usanza ateniese , non potendo comparire avvocati innanzi a'tribunali , i nipoti di un certo Cleonimo defunto , colla orazione compo- sta loro da Iseo, impugnano il testamento dello zio. Ma in così umile materia mi par vedere un esem- pio di eloquenza perfettissima, assai acconcio a trar d'errore quelli che vogliono mantenere nel foro co- me in suo legittimo seggio la barbarie. Piacemi far qui nolo a tutti l'egregio proposto di parecchi valo- rosi giovani, i quali già da alquanti anni formarono in Bologna un'accademia sotto nome di filodicologi, per esercizio di trattare le cause forensi in modo che la pratica della giurisprudenza si riponga fra le buo- ne arti civili, e non rimanga avvilita fra le più odio- se o ridicole. Io non so, giovani, di carissime spe- ranze, se le altre città italiane s'invoglieranno di se- guitare sì bello esempio : ma bene son certo, che se ora proseguite il bene incominciato corso, vi giugnerà i ot eca italiana. Milano 1816. DrscoRsa pbimo d'Iseo 3oi ' gratìssimo questo nuovo sussìdio che Mai vi ha tro- vato. Né perchè io creda utih'ssima agli avvocati que- sta orazione d'Iseo, intendo ch'ella debba meno pia- cere a quelli che liberi d'ogni cura cercano solamen- te dilettarsi nella eleganza dei componimenti : che a me la è sembrata così elegantissima, che al paragone me n'è piaciuta meno la orazione di Temistio pub- blicata insieme da Mai. OSSERVAZIOM (i) Il Taylor in questa forma rincliiiise l'argomento. Poliar- co ebbe tre figliuoli, Cleonimo, Dinia e il padre di chi favella ai giudici. Costui, per diritto e volontà di esso Poliarco, dovea torsi i beni dello zio Cleonimo, passato privo di prole: ma que- sti, rottosi con Dinia fratello, che allora avea la cura del nipo- te pupillo, testa contro alle leggi ( nominando eredi Ferenico^ Simone e Posidippo suoi amici e lontani parenti ). Però, morta Dinia, quegli nnilato animo e volendo rivolgere il testamento,, chiama il magistrato, che rispinto indietro da coloro a cui ciò iacea prode, Cleonimo in questo esce di vita. Si discorre adun- que il valore di tal testamento, condotto da chi operò suo mal- grado, e dipoi finalmente chiese di cancellarlo. Laonde il Taylor tutta questa orazione intitolò Del testamento contro le leggi- (2) Il testo greco tiene solo d[jL(fiìT^nTO'ja-iv , ma il Reiske ama di sottintendervi »fpv oi ivavrioi. (3) Nota é l'us.Tnza degli antichi greci e romani dì conse- gnare i lor testamenti al magistrato, alle vestali, o deporli ne'tem- pii ; e di non emeudiuli o ridurre a niente, che dinanzi a colora a cui lì avessero porli. Cessato poi di vivere il testatore , prima di niellere sul rogo la sua spoglia, quelli si aprivano solenne- mente ne'puhhlici luoghi, come nel foro, dove traevano i con- giunti, gli amici od altri che si sperassero d'essere appellati ere- di. Di che una pittura bellissima è in quel maraviglioso satira di Luciano, il quale nel suo dialogo il Timone, iatrodolto Fiuto 3o2 Letteratura Dio dèlie ricchezze a ragionar con Mercurio, gli pone ia bocca le seguenti parole, che in questo modo ci siamo provati a ren- dere italiane. " Quando accada, o Mercurio, che io debba pas- sare di uno ad altro , gli uomini gittatomi dentro a un testa- mento, e suggellato con grandi cure, mi trasportano alzato su co- me un fardello. Intanto il morto giace in oscura parte di casa, cinto a mezzo il corpo di un antico lenzuolo , contrastato dal- le donnole. Coloro poi ch'erano pieni delle mie speranze, aspet- tano nel foro cupidamente , quasi rondinini pigolanti alla ma- dre che vola ad essi. Quindi appena s' è levato via il sigillo, e tagliata la funicella, ed aperta la scritta, e gridato il nuovo mio signore o qualche parente, o adulatore, o servo impudico..- egli afferratomi con esso il testamento corre la via....,, (4) Cleonimu aveva testato quando ammalò di un morbo dal quale rivenne. (5) A' trapassati i figliuoli o gli eredi facciano esequie. Leg- gi attiche lib. 6, titolo 8. Petit. Sicché Dinia, curatore de'nipoti ed eredi di Cleonimo, avrebbe dovuto fare i funebri offlzi a lui defunto. (6) A'fj;(4)vi'5'(jv. Questo nome s'ha per sospetto dallo /one^, che meglio legge à'pp^ovrt*. (7) Qui si annoda la parte di orazione pubblicata dal Mai in Milano nel i8i5 e non sapula da Aldo; che primo a mettere a stampa Iseo, e abbattutosi in un codice, mancante forse di un quaderno, questo luogo del primo discorso allacciò con la fine del secondo. Su la eredità di Menecle. Però avvisando che la orazione taceva, interpose una laguna. Tutti gli editori poi di- nanzi al Mai seguitarono Aldo. (8> Panormo, porto dell'Attica: e suona luogo acconcio ad approdare. N'avea più nella Grecia, ed uno in Sicilia dello stes- so nome, ora detto Palermo- (9) Le orfane a' congiunti loro di sangue si maritinolo que^ sti le dotino. Leggi attiche, lib. 6, tit. 2, Petit. Terenzio tocca il medesimo nel Formione, atto I, scena 2, v. 75.- „ Lex est ut orbae qui sint genere proximi „ lis uubaut, et iilos ducex'e eadem haec lex iubet. 3o3 — — i— Il III II I— — — — — ^i Elogio di Domenico Molaioni^ letto nelV accade- mia tiberina il i6 novembre 1840 dal cav^ Francesco Fabi Montani^ e dal medesimo de- dicato al sig. ca\>. Giulio Barluzzi, primo mi- nutante nella segreteria de''brevl ec. ec. nvitato per vostra cortesia e bontà, accademici chia- rissimi , a far le veci di un degnissimo nostro col- lega, il quale con dotta ed ornata orazione assai me- glio di me vi avrebbe trattenuto, non mi volli ri- cusare un sì onorevole incarico per darvi almeno in tal modo una tenue testimonianza della mia riverenza ed affetto. Se non che per seguire un costume fatto oggi mai più universale in Italia, e nel quale non nie- go di essermi ancor io per alcun poco esercitato, di lodare cioè que'personaggi illustri della nostra peni- sola, i quali o per le loro opere, o per le loro geste meritano di essere alla posterità tramandati, farò pa-» rola di uno di essi , che fu tra' primi ad essere ag- gregato a questa nostra accademia , che fu assai ca- ro a tutti, e che passato di questa vita, son già set- te anni, v'invita a spargere pochi fiori sulla sua tom- ba. Voi bene avvisate, favellar io di Domenico Mo- laioni, che fu di svegliato ingegno, dedito alle lettere ed alla poesia : e che da natura sorti un'anima sì atta a gustare le delizie, de' campi e della solitudine, che, se è lecito il paragone, per quella sua dolce melan- conia che faceva traspirare dai versi , potrebbesi di leggieri assomigliare ad Ippolito Pindemonte. Così la 3o4 Letteratura mal ferma salute, che assai per tempo incominciò a travagliarlo, e quindi il tolse di vita in età ancor fre- sca , avessegli concesso di più approfondarsi ne'suoi ^ cari studi , ed anche in sì breve tempo non fosse stato da piìi gravi incarichi distratto, non senza dan- no della bella letteratura ! Onoratemi di cortese at- tenzione, e la memoria di sì gentile accademico sop- perisca al difetto del mio dire troppo rozza ed in- culto. Viterbese di origine, discendeva Domenico Mo- laionì da agiata e assai gentile famiglia del nume- ro di quelle, che il mezzo tengono tra le cittadine e le patrizie. Suo padre chiamossi Girolamo, la ma- dre Rosa Spigaglia di Bagnaia, non lungi da Viterbo, luogo assai noto e dai forastieri visitato per la deli- ziosissima villa, che vi formò il cardinale Giovanni Francesco Gambara, e che dipoi acquistata dal car- dinal Federico passò ai principi Lante. Nato ed edu- cato in Roma, apparò nella casa paterna i primi ru- | dimenti della lingua Ialina insieme ai fratelli, tra'quali ' fu il p. Giuseppe Maria, che seguita l'istituto de'che- rici scalzi della santissima passione e morte di Gesù Cristo, si condusse alle straniere missioni, ed è in oggi degnissimo vescovo di Nico poli in Bulgaria, ed amministratore aposlolico della Valachia. Fu quindi Domenico nelle lettere e nella filosofia ammaestrato nel collegio GliisUeri (i), così detto da quel Giuseppe (i) Il Ghislieri nacque in Roma nel iS^S, e vi mori di 85 anni il q6 febbraio i658. Apri a tutte sue spese il collegio in una sua casa posta in piazza Nicosia, e due anni dopo la sua morte, come aveva ordinato nel testamento, in cui lo costi- tuì erede universale de'suoi beni, i"u trasportato alla via giulia, ov'è tuttora, ho pose sotto una particolar cura della SS. Ver- gine, e di s. Giuseppe, de'ijuali era divotissimo. 1 FxoGio DEL Molatomi 3o5 Glilslierl romano, decano del collegio de'medicl, il qua- le caldo di patrio amore lo aperse ai i8 giugno del i656, ed è stato mai sempre assai benemerito delle lettere e delle scienze. Lasciato in questo collegio nome di giovane stu- dioso e dabbene, passò il Molaioni all' arcliiginnasio romano ad appararvi giurisprudenza. Ma l'amore che aveva posto nella letteratura e nella poesia , e la perizia che in breve acquistalo si era nelle lingue francese, inglese e spagnuola, fecero che al nome di av- vocato, con cui potea giungere a celebrità e a gran- di dovizie, preponesse quello di letterato e di poeta il più delle volte fecondo di gravi calamità e di mi- serie. (( Carmina enim, come diceva l'autore del dia- logo De causis corruptae eloquentiae, et versus , neque dignitatem ullam auctoribus suls conciliant , neque utilllates alunt ; voluptatem autem brevem , laudem inanem et infructuosam, consequuntur. » La- mento duro ed acerbo ; ma che per nostra sventu- ra anche dopo oltre a quindici secoli di continuo si ascolta e si vede! Benché il nostro Domenico fosse in età assai giovanile, tutta volta addimostrava maturità di senno non vulgare. Il perchè veniva addimandato per isti- tutore de' loro figli dai romani principi Orsini e Bra- schi : in appresso con simile impiego conducevasi in Napoli, invitalo dal principe della Boccella, e vi si tratteneva lino all'anno it{i45 iu cui ripalriava, la- sciando bella fama di se tra que'letterati, di cui la dotta Napoli ha abbondato mai sempre. E per verità io mi credo, ch'esser non vi possa officio ne più uti- le alla società, ne più nobile, ne più difficile di quel- lo d'Istitutore e di aio: quando però se ne adempia- G.A.T.LXXXIX. 20 3o6 Letteratura no bene le parti , e non se ne voglia ritenere il; solo nome; (essendo pur troppo assai sovente i geni-i tori 0 deboli, o parziali, e talora anche poco esper- ti, per ben guarentire la lor prole da que'difeUi, cui suole essa inclinare! Quintiliano, tuttoché gentile, ben ci lasciò scritte le doti, di cui volea adorno un pre- cettore: ed io ragionando a voi così eruditi mi pas- so dal riferirle, per non udirmi col venosino rispon>. dere: In sylvam ne lignaferus'. tanto più che oggi giorno assai moltiplicaìi si sono i libri, che ti*attano, della dimestica educazione. Se dunque il nostro Mo- iaioni era in tale officio valentissimo, se venia con onorevoli condizioni ricercato eziandio oltremonte , ove i maestri, dirollo a nostra vergogna, sono dot-^ tissimi e tenuti in altissimo pregio, voi ben vedete quanto anche per questo fosse egli commendevole ^ e come, perciò solo, meritevole sia di ogni più, gran-, de elogia. « Infatti, ripeterò con Tullio ( cap. II, De. divin. ) qual migliore, o maggior beneficio possiama apprestare alla società, che ammaestrando ed erudendo la gioventù, specialmente con questi costumi ed in questi tempi , ne' quali è in modo trascorsa da do- versi colle forze di tutti tenere in freno e reprimere? » Ma egli dilungarsi più non volle dalla sua Ko- uia, e dai cari amici della sua infanzia e della sua giovanezza. Ben presto conobbe il Canova, il qua- le cosi preso restò dagli urbani modi e dalla erudi- zione del Molaioni, che il volle a suo segretario. Im^ perocché siccome è noto, e tutti ancora sei rammen- tano^quel novello t'idia solea sempre dimesticamen- te usare con qualche letterato assai valente, il qua- le non solo prestassegli opera di segretario, ma colla lettura de'migliori prosatori e poeti , mentr'esso ai Elogio del Molaioni 807 jflarmi dava la vita, sempre più al bello e al gran- dioso lo ispirasse e movesse. Da questa consuetudi- ne di vita nacque e sempre più si accrebbe lo scam- bievole affetto tra il ATolaioni e la soavissima anima del Canova, il quale parca nato fatto solo per be- neficare, e per sentire le dolcezze di queir amicizia, senza la quale, dicea Cassiodoro, « ogni pensiero sa- » rebbe tedio, ogni operazione fatica, ogni terra pel- )) legrinaggio, ogni vita tormento, anzi morte ». Per- tanto fu il Canova, che preferendo al ben dell'amico il privarsi della sua compagnia, tuttoché fossegli ca- rissima, tenne modo perchè nel i di settembre del i8i5 venisse nominato minutante della segreteria di stato: officio in Roma tra i primi , ed occupato mai sempre da soggetti di grande destrezza, integrità, e sapere. Infatti veniano nell'istesso tempo scelti il Mauri che ne morì sostituto, ed il Santucci, in og- gi incaricato di affari della santa Sede in Firenze , poeti ambedue e letterati di bella fama. In appres- so volendosi rimeritare la diligenza e la perizia del Molaioni, si eleggeva primo sopranumero tra gli scrit- tori latini, o per dir meglio tra gl'interpreti de' co- dici, della biblioteca vaticana : posto anche questo, onorevolissimo , e che ottenere si suole da persone commendate per dottrina e per perizia nelle lingue dotte. Non molto però potè godere di siffatte destina-, zioni: imperocché, siccome a principio diceva, assai per tempo cominciò a risentirsi di una infermità di petto , la quale riluttante mostravasi a tutti gli ar- gomenti dell' arte. In quindici anni (che tanto durò il suo mal essere) quanti giorni di dolore e di lutto non dovette egli provare ! Quante speranze non vi- 3o8 Letteratut?. A de ad un punto stesso accendersi e dileguarsi ! In età ancor fresca abbandonare una sposa che tanto- amava , e lasciare i cari figli, alcuni de' quali era- no pargoletti o lattanti ! La sola religione il po- teva confortare: e nel bacio appunto di essa tranquil- lamente spirò il 29 luglio del i833, essendo di an- ni 5o non ancora compiuti. Apparlenneil Molaioni a distinte accademie let- terarie. In Arcadia fu uno de'XII, ed ebbe nome Ge~ sippo Lamppo: nella rubiconia simpemenia de'fdo- patridi in Savignano fu detto Calliraade. Fu mem- bro di quella di religione cattolica sin da primi an- ni della sua istituzione : tra gli ardenti di Viterbo fu socio corrispondente nella prima e nella secon- da classe, cioè nelle scienze e nelle lettere : e tra di noi uno de'soci più alfezionati ed antichi. Il cardinale Consalvi profondo conoscitor degl' ingegni , ed il cui nome sarà sempre per noi di bella ricordanza, lo ebbe molto in grazia , ed assai spesso nel maneggio degli ailari valevasi del nostro Domenico: il quale dall'usar nelle corti, e dal trat- tare di coni inno co'grandi, aveva acquistato una co- hoscenza non vulgare degli uomini. Oltre i princìpi, de'quali abbiamo tavellato, fu accettissimo alla duchessa Elisabetta di Devonsbire nata ITervey, ili usti-e proteg- gitricc anche essa de'letterati italiani, alla quale dob- biamo la più bella edizione, adorna anche di rami, dell'eneide di Virgilio fatta volgare dal Caro, e pul> Idicata in Roma nel IU19 dal De-Romanis, in due volumi in foglio : ristampa correttissima, alla quale presiedette il nostro poeta. Il Perticari poi , il Borghesi , il Tambroni , il Mauri, il Biondi, il Codard, il Vera, il Santucci, il Elogio del Molaioni 809 Carola, il Betti, il PieromalJi, il Muzzarelli, il Fer- retti, il Panzierl, illiosani e molti altri di sì dotto numero furono tra i suoi inlimi: e dolcissime per lui erano quelle ore, che passava con essoloro. La sua (isonomia era più tosto ilare. Ampia la fronte, folla e copiosa la biondeggiante chioma, azzur- ri gli occhi, rubicondo il viso: nel vestito, nella per- sona, e nel tratto, grande semplicità. La religione fu sempi'e il suo primo pensiero: aflezionalissimo al prin- cipe, e nel disimpegno de'suoi doveri scrupolosissi- mo ; potendo agevolmente arricchire, non uscì giam- mai dall'aurea mediocrità. Egregio marito, premuro- so padre , la sua famiglia era tutta la sua delizia. Benché di tempre irritabili, era assai cortese : tanto sapea viiicere il suo naturale. La musica, della qua- le era molto intelligente, formava il suo diletto: e a prefcicnza di ogni altro assai placevasi delle armonie ilei Cimarosa. Fra i poeti molto pìacevangll i didascalici; an- che della pastorale era innamoratissimo, ed assai gu- stava quelle campestri scene, che forse esistettero quan- do non essendo così corrotta la società vissero i pa- stori ameni e piacevoli senz'esser colti e raffinati : gentili e semplici senz'essere rozzi e grossolani. Per tale inclinazione amava assaissimo la solitudine, e ne- gli ultimi tempi del viver suo quasi ogni anno ritira- vasi per più mesi in una cara villetta in quel di Vi- terbo, che per la prospettiva della sottostante valle, per la regolarità de' viali , e per la cultura veniva detta bel colle. Ivi aspctiava gli amici, che di frequen- te il visitavano, invitali eziandio da que'leggiadri mat- ti italiani e Ialini , che di Iralto trailo trovavaasi o scritti nelle tavole, o incisi nelle pietre. 3io Letteratura Bencliè però, come si è detto, assai gustasse il Molaloni questi due generi di poesia, apprezzò alta- mente ancor gli altri : e, secondo la frase orazia- na, svolse di giorno e di notte e meditò i migliori poeti, facendo tesoro delle loro sentenze e della lo- ro lingua. Del solo Dante sapea a memoria un pro- digioso numero di versi : e del divino Ariosto mol- te centinaia di stanze le piri immagiùose e belle. Nel comporre tennesi mai sempre allo stile tenue. Sono nondimeno le sue poesie assai delicate e forbite: il perchè molto ne duole, che la più parte di esse sia andata smarrita. Non è a noi noto che le pub- blicasse, e forse qualcuna di esse potrà ritrovarsi nel- le raccolte di Arcadia poste in luce in quel torno. Per la distribuzione de'premi fatta in Campidoglio li 4 luglio i8o5 stampossi il seguente sonetto suU V Aurora di Guido Quando apparve l'Aurora oltre il costume Per te. Guido immortai, pura e lucente^ E ratta sì ch'aver parca le piume , Foriera in ciel del nuovo dì nascente j Si vider l'alte vie delPorìente Rider piìi dell' usato al chiaro lume -, E fui là del Penco sull'onda algente Surser le ninfe in riva al patrio fiume. Dafne, cui parve il sol dal Gange uscito, Misera ! per timor di maggior danno Turbossi in volto e si rivolse al lito. Perchè pensò che, per sua colpa offeso, Fosse in quel dì per rinnovarle affanno Intempestivo sull'olimpo asceso. Elogio del Molaioni 3ii Io non dirò che questo sonetto non sia privo dì men- de: concederò che sia troppo mitologico: ma convie- ne por mente, che fu scritto in un tempo , in cui siflalti ciuochi d'idee erano ancora accette e eradite. Nella sua giovinezza aveva egli composto un canzoniere sullo stile dello Zappi; interrotto però dalle brighe e dalle infermità noi potè proseguire, anzi molti componimenti di esso andaron perduti. Noi per darne un saggio trasceglieremo due sonetti privi di mitologia, i quali ci sembrano condotti con mol- ta felicità. Ecco il primo : Tornami a mente quell'età sì cara, Che di due lustri appena e Clori ed io Fiori andavamo a collocar sul!' ara Di Pomona, di Pane, e d'altro iddio: E mi rammento allor, che presso un rio Ella meco sciogliendo il canto a gara, Or facea ber l'armento, or nella chiara Onda di rimirarsi avea desio. Licon che poco lungi era dal gregge, Felici ambo, dicea, che ne'vostri anni Non conoscete amor, ne la sua legge ! Or lo conobbi: e però in carte accenno I sospiri, le lagrime e gli affanni: Or conosco Licon quanto avea senno. Passiamo a] secondo , il quale è indirizzato ad un usignuolo : 3ia Letteratura O tu, che il canto per le vie del polo Sciogliendo vai, gentil vago augelletto, Ed or godi posar su questo tetto In ch'io men vivo sconsolato e solo : Se col lungo cantar sfoghi il tuo duolo, Duolti pur, che del pianto ecco il ricetto; Ma se canti così per tuo diletto. T'acqueta, prego, e volgi altrove il volo. Ch'alia piaga mortai, che in petto io porto, Invan cerchi, ed al mio stato inquieto , Render col tuo cantar qualche conforto 1' non spero aver pace o tregua alcuna : Vanne e hen troverai chi amor fa lieto : Vedi com' è voluhile fortuna ! Nelle ore di ozio dilettavasi ancora di tradur- re l'elegie di Tibullo: e sulla fede di coloro, che le hanno letto o udite da lui medesimo, con molta fe- licità vi riusciva: avvegnaché sapeva con grande na- turalezza volgerle in italiano, e spargerle di quella soave malanconia tanto cara al cantore di Delia e di Neera. Pare eziandio che avesse in mente di volga- rizzare la georgica di Virgilio in ottave, mentre al- cuni pochi frammenti del primo libro se ne ritrova- rono tra i suoi manoscritti. L'unico lavoro completo, che di lui abbiamo, è la intera versione della buccolica del mantovano. Questa comparve la prima volta nel i8i3 in Ro- Elogio del Molaioni 3i3 ma ilalla stamperia De-Uomanis in 8.", con una bre- vissima dedicazione in versi sciolti al suo discepolo D. Vincenzo Caraffa de'principi della Roccella. È mol- to fedele, elegante e tersa: siecliè non solo non te- mette il paragone delle antecedenti , ma può slare a fronte con quante in appresso apparvero, anzi colle migliori. Il metro n'è vario : ma per lo più in ver- si sciolti, o in terzine. I dotti gli fecero plauso , e Virgilio molto si piacque della nuova sua veste. Nel 1816, dopo averla ritoccala, la stampò di nuovo, co' torcili dell'anzidetto De-Romanis in 8.°, e la intitolò alla duchessa di Devonsliire di già ricordata. Tale ri- stampa è preceduta da un discorso sulla buccolica, in cui dopo aver parlato del diletto clic apporta ta- le poesia, ne ricerca l'origine e lo scopo. Passa quin- di a discorrere dell'egloga e dell'idillio determinan- done la differenza : in ultimo parla di Teocrito, di Virgilio, e de'loro imitatori tanto italiani, quanto stra- nieri : ne manca di far rilevare il m^erito de'Iatini cin- quecentisti, e di paragonarli con quelli del secol d' oro. Ne qui sarà fuor di luogo Taccennarc , che il chiarissimo bibliografo che fu Bartolommeo Gamba, nel- le sue aggiunte ai traduttori delle egloghe nella Bio- grafia universale di Venezia all'articolo Virgilio, chia- mò per equivoco il nostro poeta Demetrio e non già Domenico: il che vogliamo avvertito, acciò non abbiasi a credere , che due del medesimo cognome abbiano tradotto questo poema. Finalmente la prima delle dette egloghe venne per la terza volta riprodotta in Roma dal Poggioli nel 1887, quando si pubblicò col testo a fronte la versione delle dieci egloghe fatte da altrettanti au- tori viventi: i quali erano allora, oltre il nostro Do- 3i4 Letteratura menico, il Pindemonte, l'Arici, l'Antinori, il Bion- di, il Salvagnoli pur essi in oggi defunti, lo Stroc- chi, il Ricci, la Franceschi, e la Orfei, nomi tutti che chiarissimi suonano tra i seguaci di Apollo. Per dare un saggio anche di questa versione, riportere- mo alcune terzine della prima ègloga incominciando dal verso vigesimo Quarto. ^it. Quella città, che chìaman Rjma, io stolto Che simil fosse a quella mi credea Ove il parto rechiam dall'ovil tolto. Così l'agne alle madri, oh ! folle idea ! I cani ai cagnolini, io cosi all'inld Le grandi cose assomigliar solca. Ma tal s'erge sull'altre ella suhlime, Qual fra i viburni e gli umili veprai Soglion alte i cipressi erger le cime. Melib. Ma dimmi, a Roma e che ti trasse mai ? Tu. Libertà, che pur feo tardi ritorno A me indolente e volse lieta i rai. Quando più bianca mi cadea d'intorno La rasa barba, alfin dopo lunghi anni Si volse, e meco venne a far soggiorno i E fu allor ch'Amarilli in dolci affanni Mi pose, e alfin da Galatea mi sciolsi : Credi (ne fia che, Melibeo, t'inganni) Quando per questa amor nei petto accòlsi « Fu indariìo ogrior che libertà sperarsi» !Nè il peculio à serbàt più mi rivolsi, Se all'ingrata città volgeva i passi Latte recando e agnei dall'ovil presi, D'oro grave la man mai non ritrassi. Elogio del Molaioni 3i5 Potrei addurne molti altri squarci; ma da quello che Ilo riferito potrà di leggieri giudicarsi degli altri. Il cav. dottore Andrea Belli inserì nel i833 nel diario di Roitìa al num. 63 un articolo necro- logico del Molaioni, di cui era cognato (i); e Giulio Barluzzi, primo minutante nella segreteria de'bfevi, pubblicava un' elegante latina iscrizione, Colla quale ricordava la virtù del defunto e porgca consolazione all'afflittissima vedova Agnese Belli romana , donna di molto ingegno e virtia, con cui crasi unito il Mo- laioni in matrimonio fin dal 12 ottobre i8i7,ecbe dipoi prendendo la più diligente cura della prole, la educò sulle orme del padre: a cui, siccome dissi a principio, per salire a maggior rinomanza altro noQ mancò se noa la sanità e la lunga vita. (i) Anche lo scriUore del presènte elogio he compose una breve vita, e la inviò al eh. prof. Emilio De Tipaldo. per inse- rirla nella Biografia degl'italiani illustri ec, che da lui si pub- blica in Venezia; della «juai'opera è ornai presso a compiersi l'ot- tavo volume. 3i6 i..|»iLU».jfj»ii«niiimilii»JCTnj<Ìi— M Diplomatica pontificia , o sieno ossen^azioni pa- leografiche ed erudite nelle bolle dei papi. Dissertazione di monsignore Marino Mari- ni , prelato domestico di N. S. papa Grego^ rio XP^I, prefetto degli archivi vaticani, let'- ta nelV adunanza della pontificia accademia romana di archeologia il giorno i4 gennaio delVamio corrente lu/j-i. Roma tipografia Me* nicanti^ 4°* '^^ facce 70. obile ed utile argomento è quello della diploma- tica pontificia, che il chiarissimo monsignore Mari- no Marini , degno erede di un nome che nella istoria delle nostre lettere suona tant'alto, ha impre- so a trattare ; addoperandovi intorno somma erudi- zione ed industria. Favellandone alla pontificia ac- cademia romana di archeologia , della quale è uno de'benemeriti soci, volle in breve preambolo dlmo- Blrare , che le sue rinvestigazioni non si discorda- vano dallo scopo , al quale l'accademia intende. E disse il vero. Perchè tutto, quanto alla storia appar- tiene, come appena diviene di una più esquisita ed intima cognizione di essa, in emmendarla , in sup- plirla, in accrescerla; subito è archeologia. E come per le bolle dei papi si supplisca e si emendi e si accresca la istoria, apparirà chiaro quanto essa lu- ce del sole a chiunque si faccia a leggere il lavo- ro del dotto prelato. Lavoro, che si ricusa quasi al- le leggi di un sunto, per la moltiplicità degli argo- Diplomatica Pontificia 817 menti die abbi-accia , per le moltissime cose che vi sono dette, il più delle volte in parole tanto brevi, che a ridirlo ancora più brevemente sarebbe vana ogni opera. Non pei'tanto porremo cura in darne , per quanto ci sia permesso, adequata idea: il che faremo riferendo a quando a quando lo scritto medesimo dell' autore. Incomincia egli dal porgere una sommaria no- tizia degli archivi vaticani , tanto degnamente alla sue cure commessi, dicendo: 'j Tutti coloro che avvi- saronsi di scrivere storie; che diedero opera a compi- lare codici sacri diplomatici , o sieno i bollari degli ordini religiosi ; che formarono cronotassi de'vescovi e degli abati ; che studiaronsi di rivendicare o di- fendere i diritti, i privilegi dei principi, delle città, delle famiglie ; tutti fanno conoscere che di molto presidio furono ai loro studi i documenti di questi archivi. E l'Europa moderna, quasi attonita nel ve- dersi ora ricca di tanta suppellettile letteraria , che all'occhio indagatore dei dotti sfuggita, rimaneasi neh l'obblio sepoha, aspettando che un più felice e ana- logo destino si compiesse su di se stessa; l'Europa, dico, grata alla provvida annuenza de'romani pon- tefici, rende testimonianza anch'essa , che da quella esuberante copia di monumenti, dalle viete membra- ne del vaticano trascritte, è ammirabile la illustra- zione, che ai fasti delle colte nazioni deriva. Se tut- ti gli archivi di Europa sono ricchi di monumenti, ì pontificii ne sono ricchissimi, e possono appellarsi archivi europei, o piuttosto universali, perchè memo- rie relative ai regni di tutta Europa, anzi di tutto il mondo contengono ! ( a e. 6 ) » A dimostrazione di queste parole enumera FA. eh. quali singolari do- 3i8 Letteratura cumenti sieno stati tratti da lui medesimo dai va-t ticani depositi, onde recar luce alla istoria di variq nazioni. Avvisa poi « di quale giovamento sarebbe una estesa e critica collezione di lettere apostoliche, tratte dagli archivi vaticani» anche a correggere in- finiti errori dell'Ughelli, del Sammartani, del Bucel- lino, del Lequlen, del Belio , e di altri scrittori d' istorie particolari di chiese e di monasteri, che, per lo più, da' semplici istrumenti o da tradizioni po- polari registrate da qualche storico , hanno raccolto, e formato i loro cataloghi! Laddove negli archiyl va- ticani si hanno le bolle di quelle chiese , le quali assegnano una precisa e incontiastabil' epoca della loro fondazione delle istituzioni dei vescovi , della concessione a conferma dei privilegi, e di altro che ha rapporto ad esse ( a e. ii ).» Lsalla meritamente la importanza, la fede e la, somma gravità delle pontificie bolle , le quali sono in veiMtà, come l'A. eh. lo scrive « il fonte del di- ritto canonico ; la tutela e le interpreti del diritto, civile ; il sostegno e la difesa della scienza divina ed umana ( a e. 14 ). » E si vogliono leggere nella dis- sertazione medesima le cose, che molte e con mol- ta dottrina vi sono consegnate su tale proposito ; ponendo nella più cospicua evidenza ,^ che fino dai primi tempi del cristianesimo, e poi, e sempre , da tutto il mondo si ricorse all' oracolo de' papi. Né per af(ari di religione solamente. I papi permutava- no gl'imperi, decidevano la sorte dei regni, fregia- vano di titoli i re. Onde sursero le appellazioni di fedelissimo , di apostolico , di cattolico , di cristia- nissimo, ed altre tali. Li proposito del quale ulti- mo titolo, distintivo dei re di Francia, corregge l'au- Diplomatica Pontificia 3/^ tore una sentenza oh' espresse il P. Vaines mauri^ 110, dove scrisse (i), che non prima del pontificato di Paolo II il titolo di cristianissimo divenne una formola nelle bolle e nei brevi diretti ai re di Fran- cia. Imperocché , a doverlo credere anche prima di quell'epoca usitatìssimo nelle bolle , serve di docu-r mento una bolla di Giovanni XIII ( del 969 ), nel- la quale è menzione di un privilegio confermato « ci christianlssimis francoriim regibus. » Dopo aver posto innanzi molte isteriche noti-, zie e disquisizioni relative alle bolle, e specialmente ai vari argomenti intorno a quali le si scrissero , passa FA. ad assoggettarle a più precise osservazio- ni, facendosi a parlare dell'origine della denomina- zione , che tuttora ritengono. E detto , com'essa si derivasse in un'epoca dal suggello o bolla di pioni-, bo, che fu ih uso d'apporvi ; narra, come il M^biU lon ne vedesse delle aiicor sussistenti sin dal a^colo YII , cioè di Giovanni V e di Sergio I, Reca poi nuova luce all'argomento con osservct^-e la materia ^ le figure, i motti espressi nei circoli delle bolle , e nei pontificii suggelli; raddrizzando a volta a, volla le svariate e non rette senlenze di molti scrittori. Ricorderemo, in fra gli altri, Pietro Baccio vescovo di Orvieto, contro al quale dimostra, che i pontifi- cii suggelli d' assai tempo precedettero il ponlificato di Alessandro II ; quando aveva quegli affermato , che lettera bollata veduta non aveva, che delle bol- le di papa Alessandro II fosse anteriove, Trallovi dall'argornento, viene quindi a tocca- re della quislione : perchè ne'suggelli delle bolle la (i) Dizionario ragionato diplomatico: 320 Letteratura testa di s. Paolo sia locata a destra ; quella di s. Pietro a sinistra, quando stanno essi nei circoli del- le bolle posti in maniera inversa. Dove alle ragio- ni da altri poste innanzi , del doversi le immagini considerare in relazione non del modo come sono poste, ma come si presentano in relazione al riguar- dante ; che la mano destra non sempre tenne il pri- mo luogo appresso agli anticlii popoli; che la sini- stra si aveva nelle cose sacre per più degna ; che tale era il costume dagli artefici accettato e segui- to ; espone poi un suo divisamento, che, locandosi nel circolo le teste dei ss. apostoli Pietro e Paolo alla maniera latina , e nella bolla di piombo alla greca, si abliia quindi a dedurne per conseguenza , che siasi questo voluto fare, onde dare a conoscere, - che da ouelli due riti ne emerge la unità della cat- tolica fede. Al discorso dei suggelli è connesso quello dei pontifìcii circoli, che posti a piò della bolla, conte- nevano uii motto che il pontefice si appropriava , togliendolo dalle sagre carte; scrivendolo il più del- le volte, se non anzi pur sempre, di propria mano. Dei quali motti riferisce 1' A. non pochi , ricavati altri dal Ciaconio , altri dagli originali nelle bollo. Ho io veduto di colali motti antlare accompagnate le immagini dei pontefici , nella pregievol serie che tutti li riunisce in prò tomi grandi al vero, e si con- serva nel palazzo dell'Oriolo, feudo deireccellentis- slma casa Altieri. Il volere assegnare la vera origine del nome di formate^ che dato venne alle lettere pontifìcie, po- se alla tortura la critica dei dotti del secolo XVIII. L'A. entra anch'esso in questo arringo, con animo DiplomAtìca Pontificia Sai tli solvere il nodo di tal quistione ; e ben ci sem- bra, che ne abbia riportato l'onore. Imperocché di mezzo alle varie e molte opinioni, ch'egli schiera di- nanzi, e che vari scrittori sostennero, teniamo con esso lui, che le formate non da altro si avessero tal nome, che dall'affare su cui versavano, dalle forino- le , dalV argomento^ dal fine proposto (a e. 34). Dalle formate si fa adito V A. ad investigare le denominazioni , onde andarono distinte le altre lettere pontifìcie. Ricorda pertanto, illustrandone le origini, le sinodiclie, le decretali, le trattorie^ le invitatorie^ le escusatorie^ i costituti, i precetti ; e le comuni e le curiali ; le secrete, le camera- li, le aspettative'^ quelle dette officiorum^ le per- petuae e \e dimidiae. Le quali tutte figurando nei regesti , vengono questi dall' A. illustrati con grande apparato di recondita erudizione , riproducendo an- cora quanto altra volta scrisse in proposito dei to- mi carticini^ o carticei. Ciascuno dei quali era un sol rotolo, che mostrava al difuori il nome del pa- pa, del quale conteneva le lettere. E per quello che riguardava la conservazione dei regesti , scrive l'A., essere plausibile conghiettura , eh' essi stessero negli archivi, sino dal pontificato di s. Antero papa. Non se ne cominciare però a ritrovar menzione, che dal pontificato di s. Leone il magno ( 44^ ^- E )• E cosi vendica dall'oblio , in cui sarebbe forse per lunghis- simo tempo rimasta , la memoria di tanti regesti , che non si conoscevano. Della autorità, in che i re- gesti si avevano, può farsi argomento dalla fede che i pontefici hanno mai sempre accordato alle bolle in essi inserite ; ciò che l'A. dimostra con diversi esem- pi. £ perchè nulla possa desiderarsi nel suo ragio^ C.A.T.LXXXIX. 2x 322 Letteratura namento, che alla pontificia diplomatica sia dichia- razione , non ommette le paleografiche osservazioni alle holle inerenti. « Le antiche hoUe ( sono sue pa- role ) erano in papiro : e così scritte se ne trovano anche nell'undecimo secolo. Tuttavia dal secolo de- cimo in poi sono quasi tutte in pergamena. Cosi fu dei regesti; scritti prima in papiro, poi in membra- na, in carta borabacina, e lintea. Nei primi secoli, ed anche nel nono e decimo, scrivevansi le bolle col ca- rattere corsivo romano ; la quale scrittura difficilmen- te si leggea nei secoli seguenti,... quindi con iscrit- tura minuscola quadrata , poscia colla , così det- ta, gotica. Nel pontificato d'Adriano VI s' introdus- se nella dateria apostolica un'assai più deforme scrit- tura della gotica , e dovettero le bolle questo loro deturpamento a Utrecht , siccome da gente di colà venuta scriveansi ; e tale scrittura fu appellata bol- latica, liegese, e lettera di s. Pietro ( a e. 42 ). » Alle quali paleografiche osservazioni fan seguito le diplomatiche, onde si dichiarano alcuni usi ed alcu- ne formole, che specialmente delle bolle sono proprie. E primieramente si osserva , come abbiano i papi avuto in costume di apporre in esse la data del giorno e dell'anno. Ascoltiamo in questo FA. « Varie maniere ebbero i papi di metter la data del giorno e dell'anno nelle lore lettere. Quelle scritte nei due primi secoli della chiesa, ninna ne pre- sentano certa e costante. Si dee però supporre, che quando i papi le notavano, in esse si uniformasse- ro all'uso che allora correva. S. Siricio segnava la data col solo giorno del mese e coi nomi dei con- soli ; e certamente non sarà stato egli il primo ad usare questa o altra qualunque siasi nota di tempo. Diplomatica Pontificia 323 Così fece s. Innocenzio I; cosi s. Zosìmo ; così s, Bonifacio I; così s. Leone magno, che anche in al- cune lettere di un sol console ( perchè del collega forse il nome ancora non gli era noto ) fece men- zione ; o veramente perchè in occidente non fosse stato eletto il console, come appunto accadde nel 44 1 5 in cui Ciro console di oriente non ehbe col- lega nel consolato. Ma s. Leone non fu sempre co- stante nell'uso delle note cronologiche : giacche in alcune sue lettere non appare data ne del giorno , né de' consoli; in altre ambedue; una lettera è scrit- ta post consulatam OppilUonis ; altra col nome del console di oriente, piuttosto che con quello di occidente. Anche s. Orsmida alcune volte di un sol console, cioè di Agapito, fece menzione: sebbene avesse egli collega in oriente Anastasio. Dopo il pontificato di papa Gelasio è assai raro di rinvenire bolle pontificie colla data dei due consoli , perchè in oriente per lo più segnavasi la data col solo con- solato d'oriente, e con quello d'occidente in Roma e altrove. E quest'uso giustifica in parte l'omissione del nome di uno dei consoli nelle lettere dei papi. « Che s. Gregorio magno sia stato il primo a sostituire all'antica maniera romana l'odierna nume- razione dei giorni, ce lo dicono gli autori dell'arte di verificar le date. Ma una bolla di Giovanni III, riportata nei papiri diplomatici ( p. i ) fa conosce- re non doversi assolutamente a s. Gregorio ; ma a quel papa tale sostituzione, perch'essa termina: Da- tum. . . mense madio, die III. L'uno e l'altro però non ebbe molti imitatori in ciò; giacché s. Sergio I, s. Zaccaria , Stefano II e tanti allri , come si può vedere nell'opera dei papiri , segnavano la data del 324 Letteratura giorno alla maniera romana, non tenendo più con- to della surrogatavi numerazione. Felice II aggiun- se alla data l'anno dell'imperatore regnante; così fe- ce s. Zaccaria, come costa dal suo privilegio a Bo- nifacio vescovo, dell'anno ySi ; e nella data della lettera diretta a Pipino aggiunge al nome dell' im- peratore Piissimo . . . a Dpo coronato. E le bolle di Stefano II , o III , oltre a rammentare il nome dell'imperatore , di quello eziandio del figlio di lui fanno menzione; medesimamente nella data della let- tera di Giovanni XIII all'arcivescovo di Reims Ad- alberarne si recano i nomi di due Ottoni. Le bolle di Adriano I presentano la data degli anni dell'im- perator greco unitamente a quelli del patriziato di Carlo magno. E il suddetto papa Stefano II, in iscri- vendo a Sturmione abate di s. Salvatore di Fulda, alle calende di agosto aggiugne il nome di Pipino re franco, imperante Pipino glorioso rege. E Ste- fano III, benché abbia più volte scritto le sue let- tere cogli anni dell' imperatore di Costantinopoli , tuttavia alcune presentano quelli del suo pontifi- cato ; altre del regno o del patriziato di Carlo ma- gno. Aveano preceduto questo papa, nel notare gli anni de'loro pontificali, s. Diodato, Giovanni V , e s. Zaccaria. Adriano I inserì in un privilegio la for- mola : Regnante Domino Deo et Salvatore no- stro Ihesit Christo. Anche nel secondo concilio bracarense dell'anno 572 troviamo usata la formola: Regnante Domino nostro Ihesu Christo, Garren- te era DCX, cioè quella di Spagna, la quale prece- dendo di 39 anni la volgare , coincideva con Fan- uo suddetto Sya. Dal nono all' undecimo secolo eia frequente nella data questa formola, la quale ci Diplomatica Pontificia SaS si presenta sino all' anno cristiano 166 nella enci- clica di Smirne diretta a tutte le chiese sul marti- rio di s. Policarpo : Regnante lesu Christo ( a e. 45 ). » Tanto sulle date delle pontificie lettere. Con pari dovizia di ricerche e di dottrina si favella quin- di del modo tenuto da' papi nel firmarle ; dove in proposito dei monogrammi si correggono i pp. raaurini, e si stabiliscono vari canoni di critica, che dimostrano quanto l'A. vegga addentro in queste non agevoli materie. L'uso dell'era dell'incarnazione si convince pre- cedere di oltre a 45o anni 1' epoca ad essa asse- gnala dal Mabillon nell'uso dei pontificii diplomi. E così sul Saluto onde sono terminati, sulle indizioni, sulle finali formole delle bolle, si pongono innanzi assai osservazioni , altre nuove , altre opportune a spander luce sull'argomento. Le quali tutte , a vo- lerle accennar solamente , ci recherebbero tant'oltre ai limiti assegnati ad un sunto , che vi sarebbe da non finire. Lasceremo però che altri a propria istru- zione e diletto le attinga al fonte dell'oiùginale la- voro. Il quale dall' A. si compie col rammentare la quistione stata fra lui e il eh. Giorgio Perlz, con- sigliere degli archivi, istoriografo e bibliotecario di S. M. il re Ernesto Augusto di Annover. Se cioè nell' ultima formola delle bolle si abbia a leggere datum o data^ l'abbreviatura dat. Il dotto annove- rese teneva che fosse a supplir data , sotto inten- dendo epistola, bulla etc; l'A. nostro stima in vece che datum sia nel presente caso solenne formola ed indeclinabile; e convalida per riflessioni di analogia e con esempi l'opinar suo, che sembra a noi di una piena evidenza. SaG Letteratura Noi abbiamo appena descritto , anzi più vera- mente soltanto adombrato, l'insieme e le parli di un lavoro , che mancava alla istoria della religione , dei pontefici, di Roma. Lavoro onJe è posto in ma- nifesta chiarezza tutto il merito delle bolle, tutta la loro importanza ; e di qual nesso sieuo legate con la ecclesiastica istoria, con la civile , con la diplo- matica. Accrescono ad esso autorità ed ornamento ben sette documenti inediti, che dagli archivi vatica- ni trasse l'A. giovandosene a sostegno di quanto gli avvenne di dovere in diversi incontri affermare. Il volume è raccomandato al patrocinio dell' emlnentissimo e reverendissimo principe cardinale Giacomo Giustiniani, camerlengo della S. R. chiesa, e meritamente: essendo noto per ogni dove quanta sia nell'esimio personaggio la profonda scienza nelle ec- clesiastiche discipline, quanta nelle cose della sacra e profana archeologia ; e come sia egli amatore e fautore degli ottimi studi. Rallegrandoci per ultimo col dotto prelato del suo lavoro , lo eccitiamo di gran cuore a mandare nelle mani del pubblico le altre opere di storica e diplomatica utilità, che sap- piamo andar egli componendo da lungo tempo con assidua e laboriosa cura. E sappiamo che questi no- stri non sono i soli stimoli ch'egli abbia a ciò fare; quando la presente sua fatica, non solo ha meritato gli encomi de' più valent'uomini d'Italia; ma una bel- lissima testimonianza dell'utilità e gravità di essa gli venne dalla Francia medesima , con lettera di uno de' maggiori uomini che le rechino decoro e splen- dore : dico la eccellenza del slg. Villeinain, pari di quel regno e ministro sapientissimo e benemerito del- la pubblica istruzione. P. E. VlSCOWTI 22' Lettere d'uomini illustri al celebre P. ah. D. An- selmo Costadoni camaldolese^ tratte daHoro ori- ginali esistenti nella biblioteca di s. Gregorio al monte Celio. AL CH. SIG. CAVALIERE PIETRO ERCOLE VISCONTI commissario delle anlichitn romane, segretario perpetuo della pontificia accademia romana di archeologia c (oraechè foss'io persuaso del diletto e del profitto insieme che traesi dallo studio della epistolare corri- spondenza eh' ebber fra loro gli uomini , che nelle scienze, nelle lettere e nelle arti fiorirono, la espe- rienza maggiormente me ne rendea convinto, allorché animato da'consigll vostri, eh. sig. cavaliere, e di al- tri illustri letterati, dedicava quel pochissimo di tempo che avanzava alle mie occupazioni nello svolgere por- zione delle molte lettere, che dotti uomini dirigevano a'ietterati della mia congregazione camaldolese nello scorso secolo: lettere ch'essi stessi ebber cura di con- servare, e che ad onta delle triste vicende, cui an- daron soggetti gli ordini regolari, furono dalla cura de'nostri fatte giungere fino a noi , e collocate con altri manoscritti in questa fortunata biblioteca. E sì SaS Letteratura che dilettevole ed utile insieme riuscivami quoHo stu- dio: da che è solo nelle lettere clie la storia, spogliata della sua dignitosa severità, discende a quegli aiinedoti, a que' minuti particolari talora piacevolissimi , che servono mirabilmente a conoscere qual fosse il vero carattere de'secoli andati, e che per siffatto modo gli rappresentano alla mente, che a me talvolta dopo la lettura di quegli scritti pareva quasi di vivefe nella età loro. Ed andava io considerando come pongasi quasi sott'occhio dalle lettere la vita dello scrittore: come ben c'istruiscano esse dello stato sincrono di ogni let- teratura: quanta luce sian atte a diffondere sulla vita di altri letterati, e talvolta pure sulla storia generale: senza parlare di quel vantaggio che per se viene dalla materia scientifica, di che in esse si va trattando. Or siccome fine di tale studio si era lo scegliere fra esse lettere quelle che degne mi sembrassero della pubblica luce, ho io per oi-a fatto una scelta appunto fra quelle che furono dirette al Costadoni, le quali non mancano di erudizione diplomatica; ma più so- vente si aggirano in eiudite ricerche su'vari rami di archeologia. E perchè appunto di tal materia tratta- no , nella quale con tanto onor vostro e vantaggio della scienza stessa sì bene voi, sig. cavaliere, vi di- stinguete, a voi che mi foste autor principale in que- sta debolissima fatica mia le dirigo, perchè, stiman- dolo bazioni sopra alcune singolari e strane meda- glie del P. Paciaudi; ed in difesa della spiegazione data alle me- daglie stesse dall'autore nella sua dissertazione. De vetustale et forma monogrammalis sanctissimi nominis lesu; spiegazione iiu- pugaatagll dal Paciaudi colle prefate Osservazioni. G.A.T.LXXXIX. 22 338 Letteratura IV. pi nulla e poi nulla ella mi è debitore, P. Co- sladoni mio: e ogni suo foglio è un dono gratuito , che io pregio quanto un tesoro: e se le pare che dica troppo, corregga: Quanto ogni soavissima cosa. Mi ral- legro con lei del suo erudito viaggio fatto in compa- gnia di due valentuomini, e son sicuro eh' ella sarà ritornata a casa ricca di peregrine diplomatiche noti- zie. Ecco l'unica stampa di quel rame, che per buo- na sorte il sig. Annibale Olivieri aveva riposta e ser- bata. Non mi pare che possa capire nel resto del fo- glio : onde lo stampatore può lavorare frattanto che l'incisore rifarà il rame. Non so se le due iscrizioni principali sieno nella copia della dissertazione con- formi ai loro autografi; perciò le mando di bel nuo- vo : ed ella, nel consegnarle al riveritissimo P. D. Angelo, vi aggiunga la qui annessa memoria; e cor- dialmente me lo saluti ed abbracci. La sigla, o sia il pentagramma IX0YC del mu- saico di Glasse, io lo feci disegnare esattamente e lo inserii in quella mia coserei la De crucibus qiiae Ra~ vennae sitnt etc, che viene nel III tomo delle sim- bole godane, dove corressi e questo e più altri er- rori del Ciampini. Io non so se il sig. proposto del battistero, che fa le cose con risparmio, facendolo in- cidere in legno avrà potuto usare fedeltà, e darlo esat- to. Se io allora avessi avuto l'onore di conoscerla, e sapere ch'ella lavorava su quel simbolo, l'avrei ricor- data con quella lode, che merita il suo molto stu- dio e la sua gentilezza : ma la mia diatriba è ante- riore alla mia venuta in Venezia; epoca per me me- Lettere d'uomini illustri SSq inorablle, avendomi procurato la consolazione della sua amicÌ2iia , eh' è quanto dire quella di un uomo egualmente dottissimo e umanissimo. Il sig. iVnnibale vide quel suo eburneo bamboc- cio, o sia la stampa di lui. Egli la crede piuttosto cosa germanica, che italica. Nella raccolta degli scrit- tori di quel paese ella troverà con che illustrare que- sto pezzo di bellissima antichità: ed io, se non erro, devo avere tra'miei zibaldoni qualche cosa. V'era chi pensava, che quel regolo non tenesse nella destra una borsa, ma la mappa, come usavan i cesari ne'tempi posteriori : ma è sicuramente borsa. Io ho un Mer- curio che tiene un marsupio fatto tal quale. Ma quando io mi ricordo di quel suo avorio , mi riconfermo nell'opinion mia, che il candidissimo dittico quiriniano sia opera de'tempi nostri, cioè quan- do cominciò a rifiorire la scultura. Possibile che un avorio, a cui non si dan meno di 1600 anni, non abbia ne perduta la bianchezza , ne contratta mac- chia o fallo ? Per crederlo bisognerebbe che fosse sta- to custodito in uno scrigno per sedici secoli. Sarà egli pure stalo il dittico , come tant'altre antichità, sotto terra, fra rovine di edifizi : e non ne ha ri- tenuto vestigio ? Forse qualche augure, che prevede- va dover divenire la delizia di un cardinale, lo avrà involto in un pezzo di porpora, e lo avrà chiuso in qualche loculo, perchè si trovasse poi nitido e bello. Questo è un vaneggiare: ma deliri peggiori son quelli del sig. Bartoli in quel suo libraccio su quel dittico. E che dice ella di quell'altra mattia del P. Ansaldi, che scrive di fresco che il dittico rappresenta Cor- nelio Gallo e Licori ? Affé , che io non so se di- can da vero 0 per giuoco ! M' aspetto che qualche- 34p Letteratura duno dica che è Adamo ed Eva. Ma ciò accade, per- chè vogUon fare da antiquari coloro, che san di tat- t'altro. Tutto questo sia per non detto , e resti se- polto in lei di grazia. Rimino 8 dicembre 17/1,9^ V. Farete un' opera di carità a dar un'occhiata quan- do si stampa la mia dissertazione. Ella è cosa catti- va : se vi si aggiungon erroi-i (della qual mercanzia molto abbonda il sig. Occhi) verrebbe cosa pessima. Io non so ancor nuova della mia diatriba su certe anticaglie ravegnaiiL;: il sig. Gori me ne ha manda- ta qualche copia; ma sono queste ancor per via. Quel che so, egli è, che io spesi trenta paoli a far dise- gnare alcune cose di quell'antico paese, massimamen- te un Ercole cenncida , eh' è sulla loggia scoperta dell'arcivescovato, e altre cose del museo di Classe; ma il sig. Govi mi scrive , che non ci troverò den- tro cbe alcuni legni , che rappresentano le cose sa- gre, e che non lia credulo di dover mescolare colle C7"0c/, cose prufone. Io, per evitare quest'errore, ave- va appunto in due classi separate le antichità. Basta, vedrò come mi ha trattato: e se mi avesse storpiata l'opericciuola, la ristamperemo, e i rami andranno a conto mio. Tanto dovete dire al P, D. Angelo, che riverisc) di tu Ito cuore. Monsignor Passeri ha fatto stampare in Firenze una lellera contenente due spiegazioni del dittico qul- riniauo. La prima è una visione: la seconda, tra quel- le che rapporlan la cosa alle favole, è la più ragionata. Lettere d'uomini illustri 34 i Al sig. Bianchi, prima elle ad ogni altro, è stato Inviato da D. Mcìriangelo il parere sul Rubicone con •una lettera cortesissima : ma credo che si stamperan- no le due dissertazioni del Giovanardi colla confu- tazione del Guastuzzi. 11 sig. Bianchi pretende, che il corso dato da D. Gahriele al voluto Rubicone sia contro la natura de'fiumi, e contro i passi degli an- tichi storici : e sostiene che un fiume , che in mare non mette capo, non può mai essere stato divisore, o linea divisiva di provincia marittima. Ho scritto a D. Mariangelo tutte le sue difficoltà. Quella storia del P. Zaccheria non vorrei che fosse sul gusto di quella letteraccia al sig. Cavi, che è fatta co'piedi, e non colla testa; ma temo che ab- bia a seminar liti, e che il libro voglia esser pieno d'insolenze contro de'galantuomini. Desidero che erri il vaticinio. Il conte Garampi ha cominciata la sua fortuna assai bene: e crediate, che la sua saviezza unita al molto sapere lo spingerà a cose maggiori. Se Dio ci dà vita, lo vedremo salire in su; ma vedremo il po- vero Ruggieri finire allo spedale. Il papa mostra di volergli bene: ma tutti i palatini son contro di lui: e quando si tratta di Ruggiero, tutti gridangli dietro la croce. Io gli ho detto cento volte, che le sue ma- niere aspre e fontaniniane gli fanno troppi nemici. Or ei lo vede cogli occhi suoi ; è la quinta che gli va fallila in questo pontificalo (i). (r) Dalle lettere del Ruggieri, che vengono appresso queste, vedrassi cli'egli non agognava a grandi onori , uè a grandi ■van- taggi. Ma fu tanta la sua disgrazia, clic verificossi assai peggio di quello che prevedeva di lui il p. Paciaudi. 342 Letteratura Mi sarei figurato clie la stampa della medaglia, data al nunzio da cotesto senato, vi fosse regalata. Or via, penserò io a provvedervene qualclieduna. Son più che persuaso , che gii opuscoli germanici altro non abhiano che il titolo specioso. Io ne ho avanti 3 7 in materia numismatica, e sono tutti della stessa farina. Coloro non sanno gli elementi dell' antichità nummaria; se me ne levate due o tre, e principal- mente il Wacthero che veramente sa il fatto suo, gli altri sono habuassi. Sentite questa e ridete. Niente più noto tra gli antiquari, che una moneta de' tempi co- stantiniani colle mura di Roma , un ponte che le congìunge, e la leggenda POP. ROMAN. Ora un te- desco ne fa una dissertazione; e avendo avuta nelle mani la medaglia corrosa, vi legge D. N. PHONA- NVS: e va cercando chi sia questo Fonano^ e poi conchiude che non l'ha trovato, e prega gli antiquari a cercarlo. Questo è intendersi di megaglie quanto il cav. Vettori, che ci vuol dare per genuino quel me- daglione col ^ ed un Alessandro. Io ho fatto un re- gistro di 54 di queste ridicole spiegazioni di medaglie, e me le vo leggendo per ridere, quando sto coiripo- condria. Orsù, finirò io prima che finisca la carta ; dove pure ci resta spazio da replicare i miei saluti al P. D. Angelo, e per dirvi che sono quanto si può es- sere. Rimino i5 dicembre 1749' Lettere d'uomini illustri 34.3 VI. Prima di partire vengo in ispirilo, idest dentro ad un mezzo foglio di carta, a dare un abbraccio al mio carissimo p. Costadoni, die si compiacerà farne una girata al P. D. ilngelo nostro degnissimo. Resti- tuisco intanto i quattro libri da voi, amico pregiatis- simo, imprestatimi, a'quali unisco il Peccbioll,cb'è del p. Calogerà: e gliel rendo sano senza averlo potuto leggere. Dovrei mandare al suddetto padre lettore le mie medaglie maltesi; ma qui non le trovo, com'io cre- deva: onde mi riserbo a sdebitarmi della parola data in altro tempo. Voi prego a ordinarmi, scrivendo al vostro Ebner, que'suoi ti^attati: De archiscutifero - De jirnoìpho - Ve codice: e da quel benedettino procu- ratemi il trattato delle croci. Tutto questo pagherò a contante pronto, dove e come vorrete. Ai sig. Val- chi, mandando quel mio libricela Itolo, dite loro che io son pieno di stima per essi; e che se vogliono un corrispondente nelle catacombe ercolanee e pompeia- ne, mi troveranno presto ad ubbidirli e servirli. Dei libri da voi esibitimi, caro amico, nluno fa per me, e per ora non posso far cambi : ho bensì scritto a Napoli per farvi esitare gli annali d'Italia: come ho scritto a Malta per sapere dal cavaliere Turgot, co- me sia ita la faccenda di quel ragazzo fatto tornare tra vivi col soffiargli di dietro , e dove ei apparasse questo far risorgere i morti per via di crlstiero ven- toso. Ma bisogna aver pazienza un poco, perchè im- mensa prohibemur aqua'. è cioè molto mare da cor- rere da qui a Malta. Vorrei trovare l'ora libera per 344 Lett eratura vedere il museo Savorgnano. Ma chi sa se l'avrò ? In ogni caso mi basta se avrò la grazia vostra, alla quale mi raccomanao quanto so e posso. Tolentini 28 aprile lySo. VII. Se si avessero a misurare gli uomini dalle di- sgrazie, io direi questa volta di essere qualche cosa di buono, mentre ho soggiaciuto per due mesi alla flussione molestissima di occhi: morbo, che si è ap- piccato più volte a grandissimi letterati, anche ne' tempi da noi più rimoli. Ma lasciando le baie a par- te, vi dirò che questa è stata per me una pesantis- sima croce, e una afflizione somma: e nell'atto che benedico la mano del Signore che mi ha percosso , gli dico di tutto cuore: Transfer calìcem hunc a me. Al presente mi resta qualche appannatura all'occhio sinistro, che sebbene cosa lievissima ella sia, però mi tiene in mille riserve e in qualche pena. Io vi aveva fatto promettere dal degnissimo e sti- matissimo P. D. Angiolo di scrivervi tosto che stessi bene. Eccomi a tenervi la parola: e per mostrarvi che non lascio di avere presenti i vostri pregiatissimi co- mandi, vi dirò, che leggendo un certo libraccio fatto alla tedesca, ma pieno di buone notizie, il cui titolo è questo : Thuringia sacra sive historia inonaste- riorum quae olini in Thuringia Jlorueriint\ Fran- cofurti 1737: ho trovato qualche cosa per illustrare quel vostro bamboccio di avorio. L'autore anonimo di questa collezione, parlando dei monumenti del mona- stero vallis s. Georgii, porta una carta di donazio- Lettere d'uomini illustri 345 ne fatta da Alberto cle'marchesi di Misnia. Da questa pendeva il sigillo descriUo dall'autore così : S. AL- BERTI IIE^IRICI MARCHIONIS MISNENSIS FI- LIL In eo iuvenis princeps equo insidet^ dextera frenum er/ni, sinixtra, eaque extensa, yJf^EM ma- nti tenet , qua non auciipii consuetudo , ut alii existimant, sed tenera et invenilis aetas indigitata fuisse videtur. Sicché gli altri credono, che l'uccello in mano ai re appartenga alla caccia. Vedete un poco Tenzelio nella storia di Saxe-Gota e di quella fa- miglia, Fabricio nelle origini sassoniche : questi ne dovrebbon parlare. A. questo libro vanno aggiunti: Monumenta mar^ chionum Misniae di Samuele Reyhero. Si rapporta la lapida sepolcrale di Giuditta così : IVDITHA CON- RADI III IMPERATORIS FILIA, FRIDERKJ BAR- BAROSSAE SOROR PATRVELIS, VXOR LVDO- VICII FEllREI , QVAE OBIIT ANNO MCXCI. Gestat sceptrum, cui insidet avis. La nota che ci fa l'autore, è in tedesco, ed io non ne capisco pun- to : vedo bensì che questa principessa era molto gio- vane dal suo lùtratto , anzi dalla sua intera persona ivi scolpita. Darò un' occhiata alla copiosa raccolta degli scrittori di Germania, che è in s. Vitale: e se vi sarà cosa a proposito, ve la scriverò. Voi ricorda- tevi dei libri di Germania, e avvisatemi quando ne avete dei nuovi. Vi prego farmi fare subito dal Monaco un ra- metto, di cui s'acclude il disegno; anzi ve ne acclu- do due, coll'istruzione necessaria che darete all'inciso- re, perchè non isbagli: e fatemi fare buon mercato, perchè son mezzo fallilo. Ravenna So giugno lySo. 34^ Letteratura Vili. Ritornato icr Faltro da Cesena, dove mi spinse il desiderio di sfogliettare un poco i codici della bi- blioteca Malatesta, che mai avea veduti, ho trovata una gratissima vostra lettera. Ma quanto è ella mai breve ! E, quel ch'è peggio, ella è dettata scritta con uno Stile cerimonioso. Ne l'uno, nò l'altro mi piace. Io desidero la vostra corrispondenza, e la desidero con- fidenziale: il primo, perchè le vostre lettere mi sono di somma consolazione, mi ammaestrano, e mi dan- no molti lumi; il secondo, perchè voi avete tutti i pre- gi per rendere pregiata la vostra amicizia. Sicché rifa- temi del danno, e non mi trattate più con cerimescole. Ho veduto il saggio del rame. Ma ha bisogno di essere ritoccato e ricalcato, sicché se ne possano tira- re molte copie. Le correzioni sono poi le seguenti. Nella seconda linea deve dire THTOY e non YTH- TOY: onde fate cancellare la prima lettera Y. Nella terza la lettera H del KPHsTE ha sopra una trat- tina, e questa fatela cancellare: e fate anche ingros- sare un poco le lettere, altrimenti non si leggeran- no che a stento. Io probabilmente dovrò fra io gior- ni andare al bagni di Nocera; poi farò un giro per la Marca e per la Romagna: onde, subito che il rame sarà terminato, mandatelo a D, Mariangelo, che ve- drà di farmelo tenere dov'io sarò, e vi pagherà della spesa. Al nostro carissimo P. D. Angelo cento cordia- lissimi abbracci ; e ditegli cho il libro contro lano Fianco colla data di Berna è opera del dottor Dra- ghi riminese, ed è stampato in Modena. Com'io pò- Lettere d'uomini illustri 347 Irò, gli scriverò: e scriverò anche a voi più altre co- se , che adesso non mi lice per molte occupazioni che mi affollano. Non mi parlale per carità del nunzio di Napoli: dopo avermi dato cento commissioni di libri, non ne vuole più alcuna. Desidero migliori congiunture da potervi servire, e servire a modo e a verso. Vi pre- go da ultimo d'interrogare il sig. Pietro Monaco^ se molti mesi sono il Pasquali gli consegnasse il dise- gno di un antico crocifisso, da incidersi da lui. Que- sto è quel crocifisso di cui parlò al detto sig. Mo- naco il signor conte Marc' Antonio Ginnani, l'anno scoi'so quando fu a Ravenna. Convennero anche del prezzo , e il Monaco promise di compiere presto il lavoro. Sino da febbraio io stesso diedi il disegno al Pasquali, perchè lo consegnasse al sig. Pietro. Ora vedete un poco di scifrare questo impiccio, e dite al Monaco che tenga la parola, e datemene un cenno per lettera. A me serbate la grazia Vostra, e ricordatevi che sarò immutabilmente pieno di vera stima ed amicizia. Ravenna 20 luglio lySo. IX. Prima che io partissi da Ravenna il pio e dotto D. Mariangelo (1) mi die il vostro libro sulla cat- (i) Parla l'autore del P. D. Mariangelo Fiacchi lettore ca- maldolese e bibliotecario della biblioteca classense, al quale ve- rameate convennero I due epiteti di dotto e pio. Vari cenni sulla 348 Letteratura tedrale di Torcello. Hollo riletlo, e vi trovo sempté quella esattezza, quell'ordine, quel criterio, quell'esau^ rire la materia, quel pigliarla in tutte le sue viste : Cose che in ogni vostra produzione ho sempre am- mirato. Me ne rallegro adunque un' altra volta con voi , e vi ringrazio che ahhiate anche qui citato il mio oscuro nome. Voi siete un huon religioso, e per- ciò mi accoppiate vicin vicino al cavaliere Vettori , desiderando che fra noi regni pace. Lo sia pure, che io lo bramo: ma tutto dipende dall'impersuasibile, in- flessibile, indocilissimo Vettori, che fra tante belle vir^ tu niente ama quella della docilità, ne vuol ammet- ter ragioni. Ma di ciò abbastanza* Son persuaso che ritornando a Ravenna, com'io spero per qualche dì, troverò il rame ec. Pregovi dir- mene il costo, sicché possa soddìsfiirvi , lasciando il danaro a chi piii vi piacerà. Avete voi nessuna nuo^ va letteraria? Il vostro paese ne suol fornire: date^ mene adunque alcuna: che io, quando ripiglierò il car-* teggio cogli amici, ve le ricambierò. Intanto vi darò quella della mia salute quasi ricuperata. Dico quasi, perchè, a vero dire, l'incomodo sofferto in Venezia ha lasciati sì alti vestigi , che a quando a quando se non provo que'risalti di cuore, e quelle intermittenze di polso, sento però di aver avuto un gran male, e mi è d'uopo di vita regolarissima. Nell'occhio sinistro poi mi è rimasta qualche debolezza: ma mi ci sono ormai avvezzato. Ho ripigliati i miei studi, e vo or- dinando qualche cosa per farmi canzonare la decima vita di lui possono vedersi nell'opuscolo inserito nel t. XXXII della nuova raccolta col titolo di Lettera di risposta. Lettere d'uomini illustri 349 volta colle stampe. Com'io sarò giunto a Rimino, vi manderò un libro, a capo di cui han posta una mia dissertazione epistolare, che, senza far torto a me stes- so, vi dirò ch'è cosa debole e tumultuaria (i). Al riverito P. D. Angelo mille saluti a nome del sig. Annibale Olivieri, di monsig. Passeri e di me, che sono e sarò sempre, con tutto lo spirito, vostro ec, Pesaro li 17 agosto lySo. X. Questa mattina ho consegnato al sig. D. Gennaro Manna, maestro di cappella per l'ultima opera in san Gian Giisostomo, un libro per voi che penserete a ri- cuperare dal detto, che alloggerà al ponte dell'olio, o in quelle vicinanze. Il libro è la esatta descrizione delle antichità di campidoglio fatta con molto giudizio dal marchese Lucatelli milanese. Giacché non venite a Roma, è bene che come antiquario sappiate cosa si fa nella reggia delle anticaglie. Se altri opuscoli di questo genere avrò, saranno per voi. Intanto io vo scartabellando l'immensa raccolta delle cose germani- che, posseduta dal cardinale Passione!, per vedere se nulla v'è intorno alla papallina posta sotto la coro- na del vostro re dei babuini. Già io sapea le fortune di Grisellini : vediamone (i) Snrcbbe piacevole il conoscere di qual libro si parli e qual sia quella dissertazione: cosa che non si raccoglie nemme- no dal Vezzosi. Ma certo qui trattasi di cosa anonima; e ciò com- prova il carattere benefico del Paciaudi in materie leUerarie e scientifiche notalo dai suoi biografi. 35o! Letteratura il fine. Avreste voi difficoltà di tagliare dai disegni, che costui vi die, quella figura del mulomedico o medico veterinario che siede togato, e tien appesi al muro ì ferri da, marescalco ? Mandatemela per lettera, e ve ne sarò grato. Io compiango ancora la morte dell'onoratissimo Apostolo. Di lui io avea certe lettere: ma ne' vari tra- sporti de'miei libri e scritti Dio sa dove le soxi ite ! E dispero quasi di trovarle. Ora sto scrivendo qualche cosuccia , dove tro^ verete il nome vostro, e vedrete quanto io pregi la vo- stra amicizia. L'abate Brunacci non abbisogna delle lodi mie presso il suo mecenate, a cui troppo più è no- to il suo valore: ad ogni modo vi servirò domani, e ne farò cadere il discorso. Al P. D. Angelo un abbrac- cio per conto mio, che intanto ne do cento e mille 9 voi. Addio. Roma 19 dicembre lySo. ( Saranno continuate. \ Le huecoliche di Publio p^irgilìo, volgarizzate dal cav. Dionigi Strocchi. Terza edizione col testo a piedi riveduta dal traduttore. Firenze presso David Passigli 1840 in 8.° pie. dijac. 88. ^5e la prima vita riposata degli uomini fu la vita de' pastori, le prime canzoni dovettero essere le pastorali : Buccoliche di P. Virgilio 35i e come tali meritano di essere alla memoria nostra conservate, perchè giova ripensare alla prisca beatitu- dine, elle innamora de'semplici costumi, coi quali è compagna l'ingenuità e l'innocenza. Teocrito co'suoi idilli, Virgilio colle sue eglughe, sparsero un nettare, quello ne'fonti della feconda Sicilia, questo ne'rivl del Lazio. Dal mantovano prese il Tasscv quel lin- guaggio del cuore, che raccomanda il suo Aminta a tutte le anime gentili : togli qua e là alcuno svelato artifìcio, e la natura vi è nuda e candida, come un sorriso di primavera. Imitando fece conoscere l'arte il Sauazzaro : meno la fece conoscere il Baldi e gli al- tri poeti della bellissima Italia , che diconsi e sono classici. Ma in loro chiedi spesso quel che di origi- nale, che manca sempre a chi va sulle pedate altrui. Quel non so che noi lo troviamo bene in Virgilio, comunque imitatore del siracusano. E così è posto l'obbligo a'traduttori di rendere le buccoliche in mo- do che paiano, non già quasi maschere imitatrici, ma vive e vere forosette, innamorali o gareggianti pasto- ri, che agiscano o cantino felicemente. Questa che i francesi dicono egregiamente nawitè, e noi diremmo ingenuità ^naturalezza^ poche volte appare nelle ver- sioni delle egloghe virgiliane; e pure quelle versioni sono tante! Eccone le principali, o quelle almeno che a noi sono più note. I. Di Bernardo Pulci iB/j-i. 2. Di Bastian Fo- resti, forse del 1490- 3. Di Evangelista Fossa i494' 4. Di Vincenzo Manni i544- 5- ^^ Anton Maria Ncgrisoli i552. 6. DI Andrea Lori. y. Di Rinaldo Corso i566. 7. Di Girolamo Pallantieri. 8. Di Spe- randio Ghirardelli. g. Di Antonio Ghislieri 1708. IO. JDi Andrea Dimidri di Malpignano 1720. 11. Di 352 Letteratura Parmindo Ibicliense 1781. 12. Di Paolo Rolli 1742. i3. Di Prospei'O Manara, senz'anno. 14. Di Gioac- chino Gabardi 1764. i5. Dell'Ambrogi 1763. 16. Del Soave 1765. 17. Di Marcino Bulbi, 18. Di Giusep- pe Maria Candido 1:771. 19. Di Giuseppe Maria Pa- gnini 1780. 20. Di anonimo 1784, 21. Di Arnaldo Tornieri 17B6. 22. Di Antonio Gallerone 1790. 23. Di Clemente Bondi i8og. 24. Di Lorenzo Crico 17^2. 25. Di Giuseppe Solari 1812. 26. Di Giovanni Fan- tini 1811. 27. Di Domenico Molaioni 1816. 26. Di G. Nicolini 18 16. 29. Di Giuseppe Bandini 18 19. 3o. Dell'Arici. Si. Di Quirico Viviani 1824. 82. Di Domenico Vaccolini, 2^ edizione 1 83 ^(. ( vennero pri- ma le egloghe stampate nel giornale arcadico). 33. Del cav. Dionigi Stroccbi i834- 34- Di Domenico Simo- ne Oliva i836 (i). Noi non vorremmo mancare voreo altri tradut- tori, elle in questi ultimi sei anni avessero dato in italiano la buccolica virgiliana; ai quali, se mai fos- sero , vogliamo sia noto che il nostro silenzio non nasce già da non curanza; ma bensì da difficoltà, che è in Italia di conoscersi da provincia a provincia, ed in una provincia medesima le produzioni letterarie: talché un vero servigio farà chi intenderà in avveni- re a darne la bibliografia di ogni stato in particola- re, per farne poi la bibliografia di tutta Italia : cosa tanto pii^i importante dopo la legge provvldentissima, che assicura agli autori la proprietà letteraria , ac- (i) A queste dee aggiungersi la traduzione postuma del mar- cliese Luigi Biondi, escita in questi ultimi giorui del i84i in Ro- ma. {Nota de'compilatori. ) BircGOLiCHE DI P. Virgilio 353 cordando agl'ingegni quel pregio, che alle altre cose di quaggiù da gran tempo concedettero gli uomini , troppo piìi cupidi di naturali possedimenti, che d'in- tellettuali ricchezze, in realtà più stimahili, se alle cose si desse comunemente il vero valore. Noi ci guarderemo dal giudicare questa nuova fatica del sig. cav. Slrocchi, notissimo per la versio- ne degl'inni di Callimaco : né condanneremo ne ap- proveremo il Passigli editore, che si fa a sentenziare, ponendo a mazzo gli altri traduttori, fino il Manara e l'Arici, per esaltare la traduzione dello Strocchi ; il quale d'altronde avendo limato molto, secondo il suo costume, la huccolica, potrà bene confidare di non aver più a pentirsi, come tante volte degl'inni; ma, modesto com'è, non vorrà argomentare di avere dato il non plus ultra, come il Caro ci diede rispetto al- l'eneide , comechè non limata. Potrà anzi dirsi, che ogni soverchio di lima toglierebbe a natura, cresce- rebbe all' artificio : il quale guai se apparisce nella buccolica ! Più conveniente stimiamo a noi, e più grato ai savi nostri lettori, il porre qui appresso un tratto del- l'egloga I. Potranno essi, volendo, confrontarla al trat- to simile della traduzione quasi letterale data in que- sto periodico sino dall'aprile i833 (Voi. 177 a p. 263 e segg. ). Il lesto comincia al verso 47 - Fortunate se- nex - e va sino al fine dell'elegia. Così ognuno po- trà porre a rincontro della traduzione l'originale : ed oltre al diletto, avrà come potere giudicare della ec- cellenza o no della versione, invogliandosi da un bel brano di vedere tutto il drappo. G.A.T.LXXXIX. 23 354 Letteratura MELIBEO Veglio felice ! i tuoi campi son tuoi, E a tue dispense assai; benché si stenda. Ivi ghiaia e padul co'giunchi suoi, Non fia però che pasco ignoto offenda Le gravi madri, o di caprette estrane Maligna contagione a tue s'apprenda.. Tra i noti fiumi e le sacre fontane Starai, veglio felice, all'ombra fresca :. E la siepe confine, onde lontane Mai non vanno api d'Ibla, a cui son esca. Del saliceto i fior, lieve un ronzare Spesso ti manderà che il sonno adesca^ Tu quindi sentirai come sonare Fa l'aria a pie d'un'alla balza il canto. Di chi sta gli arboscelli a disfrondare :. Le a te dilette colombelle intanto La roca voce, e dagli aerei nidi Non cesseranno torlorelle il pianto., TITIRQ Lo snello capriol fia che si guidi A pasturar nella celeste piaggia. Ignudi i pesci il mar lasci sui lidi; O dell'Arari a bere il parlo traggia^ O del Tigri il german, pria che la cara. Immagine di lui dal cor mi caggia.. Buccoliche di P. Virgilio 335 MELIBEO Noi parte in Libia di fontane avara, A Creta, a Scizia andrem; parte a britanna Gente, che dalle genti si separa. Quando sarà clie dalla mia capanna Io mi riduca a riveder l'ordito Colmo de'cespi di palustre canna ? Povera stanza mia, mio regno avito ! Quando per volger di sestili molti Farò ritorno al mia paterno lito ? Queste pingui maggesi e questi colti Perveranno a guerrier di pietà scemo ? Uomo eslrano farà questi i-icolti ? Vedi a che genti seminate avemo Le semenze ne'campi ! Ecco per liti E per brighe civili a qual estremo Son divenuti i cittadin partiti ! Ora va, Melibeo, le pere inserta; Ora in ordine e a fil poni le viti ' Su via, caprette mie, greggia deserta. Felice un di; non io nel verde speco Prosteso ti vedrò pender dall'erta ; Non desterò co'versi miei più l'eco ; Ne tu citiso e salci carpirai Sotto il vincastro mio. TITIRO Stanotte meco Qui su verdi posar foglie potrai; E'rutta e giuncate qui, castagne molli; Ecco lassìi fumar le ville ornai, E pili lunghe cader l'ombre dai coUi. 356 Letteratura Ben è a gioire, che in una verde vecchiezza lo, Strocchi, sedendo maestro di nobile eloquio appo la tomba di Dante, insegni a'paslori le dolci canj?;oni, che tornano sempre cai-e a città, come già a Roma quelle del mantovano Teocrito ! Serbi il cielo alla Romagna ( anzi airitalia ) una vita, preziosa alle let^ tere ornai traviate, per piegar troppo ad are stranie-, re ! Qui qui nel bel pae?e è il fiore di ogni bellez- za: qui qui molti ponno esclamare: Est Deus in no^. bis', agitante calescìmus ilio. Alla Senna lasciamo. i forti staccati o no : al Tamigi il tunnel : noi sui Po coroniamoci di lauri aAtichi e nuovi ! D. Vaccolini;. •«*i*#^5G^^*^a« 35; ■a*' 11 I I " Il ' ■■— i^l^^^ varietà' Lettera del cau. Raoul-Rochetle al R. P. Giampietro Secchi della compagnia di Gesù.. Al Jibiamo pallaio in altro volume della dissertazione dottissima del R. P. Secchi, professore di filologia greca e prefetto della biblioteca del collegio romano, intorno all'invenzione del corpo ed al culto di s. Sabiniano martire. Ora quell'opera ha dato ca- gione alla seguente lettera ( che si traduce in italiano ) del sig. cav. Raoul-Rochelte membro del reale instituto di Francia : let- tera che onora del pari la docilità e modestia dell'illustre archeo- logo francese e il sapere dell'esimio nostro gesuita. ,5 Reverendo jpàdte, „ Parigi 6 agosto i84». ,, Ho testé ricevuto da lina mano amica la vostra disserta- ,, zioue di archeologia cristiana pubblicata nell' occasione della ,, scoperta del corpo di s. Sabiniano martire: e non posso te- „ nermi dal parteciparvi l'interesse , col quale ho letto questa „ nuova produzione della vostra erudita penna. Ho d' altronde ,, un altro motivo per farvi questa comunicazione, che vi par- „ rebbe forse indiscreta, se ella non avesse per oggetto, altro ,, che dare elogi al vostro lavoro; egli è 1' occasione naturalis- „ sima che mi si offre di riparare a un fallo da me commesso, e „ che voi avete giustamente rilevato. Trattasi del vaso di Vetro 358 Variata' „ in forma di lagrimatorio murato all'esterno della nicchia »e- „ polcrale, e riguardato nelle catacombe cristiane come un se- „ gno indubitabile di martirio. Nel mettere in contrasto questo ,, punto di archeologia cristiana, io non aveva sufficientemente , „ lo confesso senza la minima pena ^ pesate le circostanze che „ accompagnano ordinariamente l'inserzione del vaso , di cui si „ quisliona; e che non potrebbero punto né poco riferirsi ad ,, una lutt'altra intenzione, quale è quella de' vasi da profumo ,, deposti nel seno della tomba, e conseguenteme/Ue nell'interno ,, della nicchia, loculus. Questa distinzione solo, apprezzata com' „ era di dovere che fosse, sarebbe bastata a prevenire lo sbaglio, ,, In cui sono caduto : e le testimonianze dell' istoria ecclesiastl- „ ca sopra l'uso del fedeli di raccogliere, con lutti I mezzi che „ erano in loro potere, il sangue de'martlri: queste testimonlan- „ ze, alle quali voi avete aggiunte nuove citazioni egualmente ,, degne di fede, avrebbero dovuto dissipare interamente i miei dubbi. Ora, mio reverendo padre, dopo che vi ho letto , non ,, sussiste più alcuno di questi dubbi nel mio spirito. L'assenso, ,, ch'io do alle vostre idee, è completo e senza riserva ; ed è so- „ prattutto per indirizzarvi questa coafcssione e questa ripara- ,, zione del mio fallo che ho preso la penna, ancor più che per ,, procurarvi la vana soddisfazione di lodare il sapere e la saga- „ cita che regnano nella vostra dissertazione. In seguito di que- „ sta dichiarazione, che sicuramente è bene spontanea da parte ,, mia, benché In forza di alcune parole, dove ho creduto rico- „ noscermi { p. \i ), ella fosse divenula necessaria, voi mi per- ,, metterete, nn'o reverendo padre, di dirvi che io aveva già ri- ,, tirata una opinione, la quale mi aveva sempre lasciato grandi „ scrùpoli. Perchè ecco qui come io m^ esprimeva ( pag. 255 ,, della edizione originale del mio Tableau des cafncombes pub- „ biicatà a Parigi nel iSSy ) : - I vasi di vetro dipinti sono di „ JlHth'ot-dlùé fra gli oggetti di antichità cristiana , che si sono ,, racdoltl nelle catacombe. Senza parlare di quelli della forma ,, Volgrtt-mente detta lagriniatoria, che servirono, secondo 1' opl- ,, tìlòne degli antiquari romani, a raccogliere il sangue de' mar- „ tiri, è chfe hanno acquistato per questo titolo, sotto nome di „ htnpòUà del sangue, uùa sì grande Importanza religiosa , ve Varietà' SSg ), ne ta degli altri ec. - Enunciava io così, senza contrastarvi ,. ,, l'uso a cui d'accordo si volevano riferire i vasi, di che si trat- j, ta: e per questo inolivo io m'astenea di parlarne, come degli „ altri oggetti di antichità cristiana derivati più o meno diretta- ,, mente da un costume profano, coi quali l'ampolla del sangue, ,, come oggetto essenzialmente sacro, non poteva avere il mini- ,, mo rapporto. Tale adunque era già la mia opinione.- ma ella ,, aveva bisogno d'essere e più solidamente stabilita dentro me ,, slesso ( come vostra mercè, mio reverendo padre, lo è al pre- ,, sente) e più formalmente espressa per gli altri, come pure lo fo „ adesso, indirizzandovi questa dichiarasione, di cui farete, mio ,, reverendo padre, l'uso che voi giudicherete convenevole. ,, Scusate, reverendo padre, la libertà che mi sono presa , „ e vogliate aggradire l'omaggio del mio rispetto. „ Kaoul-Rochette. Sonello inedito di messer Francesco Petrarca a maestro Anto- nio da Ferrara , con la risposta del medesimo, ora per la. prima volta pubblicati dal marchese Giuseppe Melchiorri presidente del museo capitolino. 8. Roma, tipografia di Cri- spino Puccinelli 1841. (Sono carte i3. ) XI sig. marchese Melchiorri non poteva meglio, che col dono d'i due sonetti s'i classici, congratulare alle nobilissime nozze del principe D. Camillo Aldobrandini colla principessa D. Maria Luisa d'Aremb rg. Egli ha tratto questi due gioielli del volgar nostro da un manoscritto del secolo XIV, che fa già degli Stroz- zi : e gli ha pubblicati non pur con belle notizie intorno ad An- tonio da Ferrara ( dir del Petrarca sarebbe slato inutile ), ma an- che con sagaci illustrazioni intorno alle voci serra e golare che ti'ovansi nel sonetto di lui. Ecco ambidue i sonetti. 36o Varietà' DI F. PETRARCA AD ANTONIO DA FERRARA Antonio, cosa ta fatto la tua terra Ch'io non credea che mai possibii fosse : Ella ha le chiavi del mio cor si mosse, Che n'ha aperta la via che ragion serra. Onde il signor, che mi solea far guerra, Celatamente entrando mi percosse Da due begli occhi sì, che dentro l'osse Porlo la piaga, e il tempo non mi sferra.- Anzi m'affligge. E, lasso .' per vergogna Di domandar della cagion del duolo, Non trovo con chi parta i pensier miei. Che come suol chi nuovo piacer sogna, Se di subito è desto, cosi solo 2 Torno a pensar chi puote esser costei. RISPOSTA DI ANTONIO L'arco che in voi lo strai nuovo disserra, Ragion vostra occidendo e tutte posse. Non è gran tempo che si mi percosse. Che ancora è quasi il pensier mio sotterra. Onde veggendo quanto amor s'afferra In valorosa mente, e come mosse Già il vostro cuore, e mai non si riscosse; Temo che non vi aggiunga in stretta serra. Vero è che un altro pensier mi rampogna, Ch'amor si v'ha condotto al dolce stuolo Da voi cacciando tutti i pensier rei. Però m'appresto di lasciar Bologna, E viver presso voi; ch'altro non golo Più che in Ferrara io vi leghi con lei. Varietà' 36t Versione di epigrammi greci delVab. Domenico Santucci, con no te. 8. Roma tipografia Sahiucci j8\i (Un voi. di cart. 3ia) Xilcuni be'saggi di questi volgarizzamenti già si conoscevano da olii legge il nostro giornale. Essendo vivo desiderio di molli, che il sig. ab. Santucci li riunisse insieme a formarne un volume» egli vi si è finalmente indotto; arricchendolo inoltre delle dotte no- te, ondo gli fu cortese un nobilissimo giovane principe , suo di- letto alunno. Il libro è de'più leggiadri che ci abbiano dato le presenti muse italiane; ed ognuno vorrà congratularsene coll'e- leganza non meno che col giudizio di uno scrittore , che si de- gnamente va sulle orme de'classici e dell'insigne suo zio monsi- gnor Loreto Santucci. Specimen hryologiae romanae , auctore Eìisabetha Fiorini Mai' zanli academiarum horlicidt. bruxellen. , restine sciantiar, taurinen. aliarumcjue socia- 8. Romae iypis Crispiiii PuC- cinelli 1841. (Un voi. di carte 56. ) xXnnunziamo con piacere questo nuovo lavoro di una celebre donna, che, come dice 1' autore dei dialoghi suW Illustre Italia. ,, è tanto decoro nou pur della scienza , ma della mente del gentil sesso, il quale in Italia meglio che in altra regione Ja Dio mercè, sembra inteso a più nobili studi che a follie di romanzi. ,j Koi ne parleremo a più bell'agio in uno de'seguentl volumi- Elogio Junebre del P. Carlo Odescalchi delta compagnia di Ge- sù., letto da monsignor Stefano Rossi, prelato domestico di Sua Santità, tra i solenni funerali fatti in santa Galla li ■j settembre 1841. 8. Roma tipografia delle belle arti 1841' ( Sono carte 38. ) JLue virtù di un insigne personaggio, il quale fu tutto di Dio per modo, che al desiderio intenso di sempre più unirsi con lui fece il sagrihcio generosissimo e della porpora vaticana e di tutti 362 Varietà' gli agi della sua principesca famiglia, ricliiedevano un elegante e facondo lodatore: ed esse l'hanno trovato nel chiarissimo mon- sig. Stefano Kossi. Elogio di Leonardo da Vinci. 8. Firenze i84', coi tipi calasanziani. (Sono carte 20.) N è autore il padre Stanislao Gatteschi delle scuole pie : ed a noi sembra esser forse il più grave scritto che fin qui sia escito intorno a Leonardo; tutta con dignità e magistero essendovi di- scorsa la sapienza di un grande, il quale ebbe animo cosi fatto alle scienze, ch'è maraviglioso come potesse veder si oltre, e tro- var tante cose. Ingegno de'più acuti e de'più degni d'essere ita- liano .' S. Betti. Elogio storico del cav. Gaspariì Eandi pittore piacentino, recita-^ to air accademia tiberina nel dì aS maggio 1840 da Cesare Masini bolognese, pittore d'' istoria ec. 8- Roma tipografia di Crespino Puccinelli 1841. (Sono carte 26.) JJ'egno è altresì di lode quest'altro elogio, dove un valente e giovane pittore parla bellamente d'uno de'più illustri maestri dell'arte che fiorito abbiano in Roma nel secolo XIX. Sull'origine delle XII tavole, dissertazione letta nella ponti/loia, accademia di archeologia romana il di i di aprile i84i dal socio corrispondente ai'i'. Luigi Cecconi giw^ice capitolino di appello. 4- Roma, nella tipografia Olivieri. (Sonopag.23.) Xl sig. avv. Cecconi è di que'dotti giureconsulti che assoluta- mente non preslan fede alla provenienza delle dodici tavole dal- la Grecia oltremarina. Ed ha ben ragione : e qui egli ne reca al- tre prove, da aggiungersi alle molle e gravissime che prodotte ne hanno i veri filòsofi dell'istoria. Varietà' 363 Intorno lafostività della commemorazione di s. Paolo solenniz-^ zata il dì 3o dì giugno i84i nella sua basilica fuori della, porta ostiense dalla santità di nostro signore Gregorio Xf^I felicemente regnante, orazione di Luigi Moreschi, segreta- rio della commissione deputata alla riedificazione di essa basilica. 4- Roma,tipogra/ìa delP aspizio apostolico presso Pietro Aureli. (Sono carie X e 33.) È -J cosa, oltreché bene scritta, di non lieve importanza per le arti sacre e per l'istoria della patriarcale basilica che con sì fau- sti auspicii è sul risorgere allo splendore del divin culto. Di che vogliamo lodare l'egregio sig. Moreschi. Saggio chimico — medico su Tacque potabili della città di Ferra- ra, del dott. Gaetano Nigrisoli. Bologna, pei tipi Marsigli i84o. (Sono pag. 55 in 8.) o, 'ttinia è Vacqua, ha scritto Pindaro , secondochò io penso, a motivo de'graiidi servigi che reca all'umanità e degli Usi innu- rnerabili di questo sì necessario liquore. Ma quanto più ne è co- mune l'uso e indispensabile la necessità, tanto più importa il ben conoscere le proprietà e la natura di quelle acque, che servono nelle città agli usi giornalieri di molte migliaia d'uomini. Perciò importante e lodevole dee giudicarsi il pensiero di chi esamina le proprietà mediche e chimiche di tali acque. Ciò ha fatto per le acque della nostra Roma il chiarissimo sig. prof. Carpi, il cui lavoro è inserito in questo nostro giornale ( l. 5o, p. io5). Ciò ha impreso a fare per le acque della sua Ferrara 11 v?".ente sig. dott. Nigrisoli nell'opuscolo che annunziamo, che fu impresso ia Bologna nel cadere dello scorso anno (i84o). Discorre egli da prima del suolo, in cui sono scavati i pozzi ferraresi , ch'è d'al- luvione: e negli strati Interiori, marino. Passa quindi all'esame del- le proprietà chimiche delle acque di differenti pozzi, nelle quali trova cloruri, sali a base di magnesia, di calce, di soda e di pro- tossido di ferro, e materia organica. Avverte per altro, che men copiose trovansi queste sostanze nelle acque delle cisterne ( che egli piuttosto vorrebbe chiamare pozzi cisternati ) dell' universi- tà, del palazzo del castello e de'cappuccini, che tutlogiorno ven- gono eoa gran consumo adoperate nelle famigliari esigenze. Vie- 364 Varietà* ile poi il eh. autore a un'accurata analisi qualitativa e qùanlità* tiva delle acque ferraresi. Esaminando diligentemente i2 libre d'acqua di un pozzo della piazza maggiore, tl'ova che ciascuna libra ( di grani 691 :i ) contiene: Cloruro sodico .... grani o, 4^0 — calcico ....,, O) SqS — magnesico . . . „ o, 432 Solfato sodico . . . . „ 1, 200 — càlcico . . . . „ 3, 36o Carbonaio calcico . . . >, 5, 600 — magnesico . . „ o, 6qo ^— ferroso . • • „ o, 240 Silice. ...... ^ ,^ ó, 24* Materia organica. . . . ,, o, jao tioè 12 gr. all'incirca di materie straniere in una libra medica. lEspone iil seguito l'autore varie sperienze dirette a mostrare iiì quali operazioni della farmacia e delle altre arti si possa senza alcila inconveniente far Uso delle acque ferraresi, e in quali no. Confessa l'autore l'insalubrilà di queste acque, e crede che la colpa sia soltanto del solfato di calce, il quale considera come Una delle occasioni delle endemiche Jebtiri intermittenti e delle ostruzioni addominali, il cui numero {da ben olire un secolo) per Vasciugamento delle vastissime paludi clie attorniavano Ferra- ra, e pel concorso d'altre igieniche provvidenze, Ita incontrata successiva considerevole diminuzione. Che se altrove, esempigra- zia in Bologna, il solfato di calce non produce cotali effetti, ciò tìon prova che non sia in Ferrara una delle numerose cagioni di que'mali. Nò omette il benemerito autore il punto più impor"- tante, cioè un processo semplice ed economico per migliorare quelle acque, togliendo loro il solfato di calce. Non trovò op- J)orlùna la potassa comune, né l'ammoniaca, comechè lodate da valenti chimici- Volse il pensiero al biossalato potassico (sale di acetosella), e gli venne fatto di purificare 12 libre d'acqua con 5 scrupoli di detto sale, liberando poi l'acqua dall'acido ossalico con 2 scrupoli di magnesia bianca. Raccomanda questo metodo come quello che cougiunge economia, prontezza e semplicità; e IJonie fine al suo util lavoro col volo, che i sUoi concittadini si applichino all'onorevole e importante fatica di una topografia Statistico-medica di Ferrara e del suo ubertoso territorio. G. B. PiANciANi D. e. DI G. Varietà' 365 Sulle acque marziali del Gallo , lettera di Giovanni Bertoni al signor prof. Leonello Paletti. Rovigo per Antonio Minellì i84ij in 8. ài/acce 16. XJ ingegnere sìg. Giuseppe Bertoni, con quest'opuscolo nitida- mente stampato, die un bel saggio della sua valentia : e neiria* onorarlo a far cose di maggior lena, ci parrebbe che meglio ag- giungesse lo scopo, se adoperasse uno stile più piano e facile. Dal dott. Gaetano Nigrisoli, prof, di chimica nell'università ferrarese, si fece l'analisi di quest'acqua, che pubblicò nel X volume della biblioteca di fisica e chimica di Milano (i838), la quale noa mostrò la vera quantità dei principii che tenea disciolti, perchè fu instituita dopo notevoli intemperie. Ora è più abbondante di ferro; molte guarigioni il comprovano. „ Dove la strada po- stale, che da poi ( Ferrara ) Inoltra a Bologna, ed oltre guida al- le prime diramazioni d'Italia, monta sull'argine sinistro del fiu- me Reno, a metri iSgoo da Ferrara, una via comunale si dipar- te in sulla destra verso ponente per la volta del Poggio Renatl- CO , via che aderisce al piede esterno dell'argine , e Io rinforza di uri rilevato, conosciuto col nome di banca Poco superiormen- te dall'angolo ohe si genera dall' argine e dalla salita, a metri 85 da quest'ultima, si vide sorgere, sono tre anni, a costo di essa banca una polla d'acqua entro una cavità irregolare del terreno di circa un metro in diametro, un mezzo profonda. Dalla parete curva della buca verso il fiume essa polla sortiva nascosamente a getto orizzontale a metri 0,34 sotto il piano della canjpagna, di corso perenne, di livello costante a qualunque altezza del Re- no, di una rara e coulinua limpidezza, mai stretta dal gelo nel verno, fredda poi sempre nelle stagioni più calde. La sua tem- peratura marcava con lievi differenze il dodicesimo grado del termon^etro di Reaumur in ogni tempo dell'anno. ,, Il rigagnolo di scarico è tappezzato nel fondo e ne'lati di ocra glutinosa di color forte. Nel tagliarsi a picco il terreno, per iscoprire il tu- bo naturale, non uno ma tre se ne rinvennero. Il primo, cIil- con- duceva maggior copia di acqua, era verso ponente: 11 secondo a 2 metri dalla prima verso levante: e così la terza ad un metro. Assaggiata ogni qualità di vena, fu travata migliore e più co- \ 366 Varietà' niosa la prima: per [cui fu chiusa da muramenti onde servisse all'uopo, e le altre due si fecero, perdere in un fossato laterale. Ci porge quindi l'A. varie nozioni interessanti intorno all'origi- B€ delle fonti; quindi sulla natura del suolo ov'è la polla , noa tralasciando altre utili case di storia naturale. Il qual lavoro ci sembra di non lieve utilità, e tale da incuorare i ferraresi a fon- dare uno stabilimento per comodità degl'infermi, e per arrecare aiagjgior lustro alla già celeberrima Ferrara. E. C. B. Intorno alla tendenza agli interessi materiali che è nel secolo presente. Lettera. Firenze, tipi di Felice Le Monnier, lu- glio 1841 , in 8. , di facce 2y. Della civiltà. In ^-y di facce 34.. {Estratto dal giornale ecclesia- stico di Bologna {>o.l. II, fase, i.) X rima di svolgere si fatta quistione, il sig. M. Minghettl di Bo- logna , autore del primo scritto assai pregevole e libero, vuole stabilire che cosa intendasi per civiltà, e quindi esaminare se ve- ramente esista tendenza agli interessi materiali. ,, 11 convenevole appagamento, egli dice, di tutti i bisogni fisici genera il ben es- sere materiale; lo svolgimento e l'esercizio proporzionato di tut- te le facoltà intellettuali e morali, forma quello che dicesi perfe- zionamento .... Quella società adunque , dove tutti gl'Individui fossero appieno felici, ed a norma delle facoltà loro istruiti e vir- tuosi, dovrebbe riputarsi perfettamente civile. Ma perchè nelle cose mortali è vano desiderare la perfezione, così dal più o me- no approssimarsi a quel fine si misurano i gradi di civiltà. ,, La quale è costituita dagli elententi economico, intellettuale, morale e politico. Ninna nazione è stata mai pienamente civile, avendo fatto conto di questo o quell'elemento di civiltà, più che noa era d'uopo, trasandando gli altri. Che esista tendenza agl'interessi materiali nel secolo presen- te, parmi non debba dubitarsene, dappoiché vediamo le como- dità ed i godimenti essere oltremodo accresciuti. Lo smisurato progresso delle scienze che alle arti meccaniche si riferiscono , Varietà' 867 ed ì nuovi niaravigliosi trovati, che i nostri anticlù appena a- vrebbero creduto possibili, dimostra prevalere su tutti l'elemea» la economico. 11 quale, importantissimo com'è nella civiltà, nou consiste soltanto nella produzione , ma eziandio nella equabile distribuzione dei prodotti. Il grande fabbricatore, paragonato col lavorante che non ha come impiegare le sue braccia (pauperismo, male ignoto ai passati secoli) per ristagno delle manifatture, mo- stra le ricchezze non essere equabilmente distribuite. Tale gravissimo inconveniente ha messo radici più profonde in In-t ghilterra, dove inoltre si conservano in gran parte le istituzio-t ni feudali riguardo alle proprietà. Lord Stanley, ministro deU l'interno di quella nazione, in un discorso fatto al collegio elet-» torale che lo ha confermato deputato alla camera dei comuni, dimostrò le attuali miserie del popolo britannica non ad altre cause doversi tribuire, che all'immensa produzione non propor- zionata allo smercio: e noi con tale autorità reputiamo convali-» dare l'opinione anteriormente emessa dal sig. Winghetti. Da qui la, moltiplicità e la grandezza dei fallimenti, la mala fede, V invili-< mento delle merci ahrui, esaltando le proprie: per cui i produt- tori sono in continua guerra fra loro. L'elemento filosofico pare che abbia svolta questa tendenza, dappoiché ristretta nei passali tempi la filosofia a speculazioni astratte e metafisiche, sul finire dello scorso secolo a cose fisiche e materiali quasi del tutto si dedicò. Le comodità quindi aumentarono, e da queste sursero due vizi predominanti, l'egoismo e la mollezza- Questo forbitis- simo scritto, ripieno di tante utili e grandi verità, malamente si adatta ad esser compendiato. Ci lusinghiamo che il eh. autore non sia per abbandonare tali studi, ne'quali si mostra, sebbene giovane, dottissimo ed esperto; e giova sperare che il nome del Minghetti sarà un di celebralo tra i più nobili scrittori di ecoUQ» mia (*). (") Nello stamparsi quest'articolo lessi un bello e convenlen- lissimo scritto segnato A. P. nel Solerte, agosto i84i, pag. 368 e seg. , ove si dà conto della lettera del Mlnglietti; ed abbcnchc in alcune cose l'A. non si adatti ai pensamenti suoi, pure II fa eoa quel garbo e riservatezza che a calte e gentili persone si addice. 368 Varietà' Autore della seconda memoria è l'abate Antonio Montanari. Crede anch'egli, la civiltà esser composta di molti elementi, e elle il predominio di ciascuno di questi ce ne allontani. Porge quindi con bella maniera molte idee filosofiche intorno alla civil- tà, svolgendo più distesamente le morali e le religiose. E. G. B. De' medicamenti preparati col ferro e particolarmente del tartra- to di ferro e di potassa : esame medico — chimico del prof- Giovanni Semmola. Napoli i83g, in 8., di Jacce i5. — Del corrompimento e della consci'azione delle sostanze orga- niche. Discorso del medesimo. I\>i i84o, in 8, di facce i6. — Dei generali risultamenti ottenuti dalT analisi di cento calcoli uro-vcscicali. Memoria del medesimo. li'i dai torchi del Tramater i84o, in 4, di facce i5. — Opere minori del medesimo. Ii>i, tip. Caro Batelli e C- iS'^i, in 8, di facce 98. JLUe maniere di medicamenti composti col ferro, secondo 1' au- tore, sono le seguenti: i. F'ino calibeato. Lo bandisce dalla far- macopea, perchè riesce di poca utilità, perchè di composizione incostante e per altri difetti. Si può sostituire l'estratto marziale, di cui nel vino trovasi una indeterminata quantità. 2. La palle o globetti di Nancy, obliati a' nostri tempi , furono riposti ia voga nelle farmacopee francesi, unendovi decotti di erbe cosi dette vulnerarie, per cui fecero tal medicamento da disgradarne le più strane composizioni galeniche. 3. Famigerato è il tartaro solubile marziale. Sebbene venga sempre additato nelle farma- copee cogli stessi componenti ( tartaro di potassa e tintura di marte ), non di meno le proporzioni variano secondo gli autori.- per cui dovrebbe chiamarsi lartrato di potassa misto a tartrato di potassa e di ferro, prrchè in realtà è composto della mesco- lanza dei due sali. Il ferro è in pochissima quantità e talvolta vi manca del tutto; mentre abbondando il tartrato di potassa, si ha la virtù medicatrice di questo. Tal preparato dee proscri- versi dalla medicina. 4« H tartrato di potassa e di ferro, o tin- tura marziale. Esaminati l'A. i diversi metodi adoperati da An- gelo Sala fino a noi, dimostra essere inesatti e difettosi, e Varietà' 869 propone un suo cte descrive. Il qual metodo, oltre al dare un farmaco di determinato valore , si può amministrare in forma liquida e solida.- il che torna meglio. I farmacisti non dovrebbe- ro porre in non cale il metodo del eh. prof. Semmola, essendo basato sopra regole saldissime. Fino dall'anno 1826 fu dettata la bella memoria sopra il corrompimento e la conservazione delle sostanze organiche, nel- le private lezioni date a'suoi alunni. Fu stampata nel giornale del gran sasso d'Italia compilato dal sig Rozzi (t85g), nell'an- nuario delle scienze chimiche e farmaceutiche ( Verona i84o, voi. I), e finalmente nel giornale di farmacia, chimica e scienze affini pubblicato da L. Del Grosso ( Anno II, giugno 1840, Na- poli), essendo stata corretta ed ampliata dall'autore. Allorché con ottimo consiglio il museo di anatomia patolo- gica di Giuseppe Sorrentino venne a formare un nuovo ed uti- lissimo ornamento dello spedale di s- Maria di Loreto, 1' A. fu prescelto ad analizzare chimicamente quelle sostanze. Presentò un saggio intorno ai calcoli orinari, dei quali ecco i risulta- menti. Le analisi in numero di 100 furo'no instituite in modo da conservare la forma del calcolo: e perchè tale raccolta si mostras- se con ordinanienlo orltlognoslico, e perchè se ne potessero stu- diare i rapporti tra le qualità fisiche e la chimica loro natura. I reagenti, ed i mezzi che ha dovuti porre in opera, sono stati la lampada ad alcoole, la foglia ed il cucchiarlno di platino, gli aci- di nitrico ed idroclorico, l'ammoniaca, la potassa, l'acqua di cal- ce, la carta sottile di tintura di viola e di tornasole, l'acido bo- rico, il ferro, il fosfato sodico, il nitrato argenllco, l'ossalato am- monico, il sai di fosforo, il concino ec. ,, Le sostanze finora tro- vale sono gli acidi urico, fosforico, ossalico e carbonico, l'ammo- niaca, la calce, la soda, poche volte tracce di silice e di cloro ; e tra le materie animali il muco e l'ematoslna. Non mai ho rinve- nuto tra le cento concrezioni cistina, né ossido sanlico, né fibri- na; ma una materia nera diversa da quella descritta dal Marcel nell'orina, ed esaminata dal Prout col nome di acido melanico. 11 volume dei calcoli è stalo variabilissimo Le proporzioni delle sostanze relative al grado e al modo di composizione le ho trovate nelle seguenti maniere per ogni cento: G.A.T.LXXXIX. 24 Syo Varietà' Di una sola sostanza • . i6 Composti binari, o sali 36 Sostanze messe in istrali o separate. . . 24 „ „ in mischianza .... 24 100 Onde le proporzioni relative alla natura organica o inorganica delie sostanze uriche sarebbe per ogni cento: Fosfati separati ed in mischianza . » . 4^ Ossala ti 20 Carbonato calcico ........ o3 Acid» urica ed uratl in misclvianza. - . ^6 Quest'ultima sostanza trovasi in cento concrezioni : pura 16 Voi.. te;, combinata e mischiata 60 volte. - Il sale più comune fatto- coll'acì^do urico è stato Turato amnionico , trovato 20 volte pet 100 analisi- - L'urato calcico si è presentato in pari numero di analisi i3 volte. - Cosi il carbonato calcico tre volte , e questo, in calcoli piuttosto piccoh. - Il muco è stato la sola materia or- ganica comune e determinabile; di rado vi ho trovato la materia colorante del sangue, che per accidente imbrattava qualche cal- colo ,,. Il eh. Semmola premette di continuare questa lavoro ia modo assai più. completo, coilindicare cioè le cause ed i feno- meni che dettero origine, ed accompagnarono il male di pietra.- volendo anche cavarne utili applicazioni alla terapia chirurgica e medica. Questa memoria fu inserita nel voi. VI degli atti dell' istituto d'incoraggiamento alle scienze naturali di Napoli. Col titola di Opere minori il prof. Semmola ha riunito 1 suoi opuscoli, dei quali sei me ne sono già pervenuti. I. Dei principali e più. frequenti eri-ori di filosofia terapeu- tica Savio accorgimento, a me pare, adoperasse l'A nel presen- tare gli erronei principii terapeutici cbe tuttora sono in voga , col porre a disamina l'opera che si reputa di maggior lena, rap- presentaudo quella il punto più eccelso a cui tal parte di scien- za medica sia pervenuta. E' questa il trattato di matei'ia medica di G. A. Ricter stampato a Koenigsberg nel 1826 in lingua te- desca, tradotta in italiano dal dott. Gola, che la dava in luce a Livorno uel i834, e riproducevasi nel iSSy a Napoli. Io non fa- Varietà' Snt rò clie accennare le cose più essenziali, i. GII scrutatori dei fe- nomeni della vita, rispetto alle malattie ed ai rimedi, hanno ren- duto e renderanno fallacissime tutte le investigazioni sperimen- tali intraprese, come coloro che ricercano la pietra filosofale, o fecero incantesimi. 2. Per lo più gli autori tralasciano di notare le cognizioni fisico-chimiche de' medicamenti , non ponderando che per esse si fa nota al medico la vera natura del farmaco, il modo di prepararlo e di porgerlo più acconciamente, e le recì- proche attenenze tra la sua composizione e l'azione che esercita sull'organismo. 3. Non esiste una teorica per le induzioni cura- tive: ossia s'ignora il modo con cui si debbon trovare i rimedi per ciascuna malattia. Di leggieri si vede confusa la parte siste- matica con la vera teorica, la sperienza con l'empirismo. L'A. crede aver tolto questo difetto col porre le distinzioni de'morbi a diagnostica nosografica ed eliotogica, e de' farmachi a facoltà costante e variabile, fisiologica e terapeutica ^ sperimentale e ra- zionale. 4. Non si ha un ordinamento di farmachi che dia la di- mostrazione semplice e vera dei fatti. II. Della cinodina nuoi>o prodotto organico trovato nella gra- migna ojfieiaale. Scelte nell' inverno le radici fresche e nudrite della gramigna delle officine { ugnodon dactylon Rich; panicum dactjlon Lin.), si nettino, si ammacchino, e se ne faccia decotto saturo, che decantato si cola per filtro Si fa poi ribollire e quin- di svaporare fino a densità di sciroppo. Si conserva in luogo fre- sco; e la sostanza cristallina che si forma, lavasi con acqua fred- da o calda, e di nuovo si fa cristallizzare. I cristalli sono prismi esaedri terminali da Ire faccette, prismi retti romboidali, a'quali mancano talvolta gli angoli solidi che corrispondono alla diago- nale più lunga: e questa somlira essere la forma primitiva. La cinodina è bianca, diafana, lucida, senza odore, insipida, alquan- to nauseosa, dura, fragili:: il peso è di i, 5o. E" insolubile coli' alcoole : la soluzione arrossa prontamente la carta di tornasole; l'acido solforico la scioglie senza effervescenza e senza scompor- la. Pare indubitato che sia prodotto d Ha pianta, e non una so- stanza generata da reagenti impiegati per ottenerla.- poiché altro mezzo non si è adoperato che l'acqua calda onde separarla dalle parti solide ed iusoluliili. La sostanza che più le somiglia è la Sya V A R r E T A*^ sparagina. La cinodina rappresenta la parie più attiva clella gra- migna, ed a questa sostanza debbonsi le proprietà terapeutiche attribuite alla tisana ed all'estratto di gramigna. Questa memo- ria fu letta nella tornata dèi 'ì6 gii'gno 189.6, e stampata nel vo- lume IV degli alti del reale istituto d'incoraggirimento-. III. Del rame ossidato nativo; nuoi>n specie minerale del Ve- suvio. Fino dal y&aS l'A- descrisse questo nuovo minerale chia- mandolo tenorite, per cuora re il nome deiTinsigne bolauico Mi- chele Tenore. Questa sosianza ignorala da molti, d.\ alcuni mal conosciuta e per nulla delerminala, si rinvenne nei prodo'lti del Vesuvio. Essendosene già iutla particolare «ftcnzjone &ei recenti trattali di mineralogia, mi dispenso dal riportarne i caratteri. IV. Del ricettario della reni santa casa degl' incurabili. Dà, conto del ricettario degl'incurabili pubblicata in INapolì sul fine del i837, e ne rileva la utilità grande^ per il bene degli iu- lernij,. per l'istruz'one dei medici, e per la iH'ltà che alla medi- cina è per derivarne. Di. latti chi non sa che tra ogni maniera di ristorazione ne;j.li sped.=>.li, l'uso dei farmachi è stato in ogni senso trastullato? In quest'op.^ra composta dai prittcipali niedci di quel grande stabilimento di Napoli, che primo ha dato esem- plo io Europa di si iiitereisante riforma, furono tolti tutti i me- dicamenti di dubbia fede, proscrivendosi certe novità che il più delle volte sono strumenti eli danuo e di errori. Cancellala fu quella crudele opinione , potersi cioè negli .-^pedali adoperare ogni maniera d' strani farru.ichi, e V()l3er così d santo dovere di quei luoglii in campo d' stragi e d' ii);.;auni. Ch," se alcun madi- camento acquistalo avesse cc'.ebriià per-auU)rià di scrittori e per solennità di fatti, con ogni cautela si ponga a n'aturo esame da un consesso di medici, e riconosciuto vtraiucnte utile, nell'appen- dice al ricettario si alloghi. IN'elle varie pre^^arazioni di un far- maco, la deputazione sceglieva quella che la chimica congiunta alla patologia meglio approvava, e nel ricettario con esattezza descrivevasi ; ovviando cosi a molti errori, e rendendo certa la composizione e la natura del preparalo. La cbimlca natura, e la qualità dell'azione dei med'camenii sull'organismo, furono le ba- si sopra le quali si fo.'dò l'ordinamento dei medesimi- Varie al- tre cose utili discorre intorno al ricettario, e si propone di svoi- V A ft t E T a' 875 gerrìe ancora con maggiore ampiezza: ed io ben volontìerl tor- nerò sopra questo argomento, conoscendo quanto grandi siano i danni che per gli antichi errori a' nostri spedali derivano. V. Epidemìa di Cervaro nel 18 jo. Sul finire di gennaio sino al maggio dell'anno 1S40 una malattia epidemica afllisse alcune terre della Campania. Slignano, indi Cervaro, s. Elia ed alena poco s. Germano con altri luoglii ebbero a soffrirne. Insoliti e lievi incomodi di salute precorsero lo svolgimento del morbo, che l'A. cara Iteri /.za per rnftu.ia acuta, e morbo convulsivo epi- demico- Questa nìalaltia è nuova pel regno di Napo'i ; pare che i cibi, le bevande, la miseria, K) stagione, il clima, la situa/iona Topografica non si:ino stati g'i siessì in tutti i luoghi , né abbia oneralo in ogni persona; tuttavia si mostrò identica. Tra i mol- ti sintomi,! più costanti e speciali erano il formicolio, i granchi alle membra, il dolor di capo, il delirio, l'afonia , le contrazioni convulsive e d.jìorose dei muscoli, lo stupore, il coma, il tetano, specialmente V opistotano , e 1 epilessia e Io stato apoplelico. Ora si niatiifesta va acutissimo, talvolta più lento, gradualo, suc- cessivo, con segni di febhre. Non ammetteva specifico, gl'infermi più gravi morivano tra il primo ed il terzo giorno : a due o tre settimane ritardavasi la morte degli aliri. Dei pochi che scampa- rono, molti tornavano offesi da paralisi, da insensatezza , da ta- be nervosa, o privi di alcun senso. Il sangue estratto era nero ; nel cadavere si trovò fluido nella cava e nel cuore; i capillari di più organi delle sierose, non che le vene cerebro-spinali, con- tenevano sangue nero : così ancora i seni ed i ventricoli cere- bro-spinali contenevatio sangue nero : così ancora i seni ed i ventricoli cerebrali senza rottura alcuna ue'vasi. Furono 217 gì' infermi; iii i morti: i poveri ed i contadini, soprattutto i giova- ni, furono attaccati dal morlio. 11 prof. De Renzi nel Filiatre se- bezio ( luglio 1840) ne die la descrizione, chiamandolo tifo-apo- pletico-tetanico , e quindi utlla msinoria Sul clavismo cangreno- so e sul morbo coiumlsivo epidemico , ricerche storico-critiche , Napoli i84i. conviene con le idee del nostro autore senza nep— pur nominarlo: il che non era lecito in uno scritto isterico-critico, VI. Di un caso di catalessia e sognazione spontanea- Teresa d'Amico del comune di Naso in Sicilia, dell'età di anni sedici, è 374 Variata* il soggetto di quest'istoria. Nacque da sanissimi genitori , in un paese montuoso con aria umida e spesso soggetta a frequenti e- splosìoni elettriche; ivi non par nuova questa maniera di mor- bo. Singolarissimi sono i fenomeni che ha mostrati questa giava- netta, i quali sempre più confermano quella sentenza, non do- versi ritenere tali casi per misteriosi, ma studiare invece il mo- do di rinvenirne una ragionevole cura. Enkico Castreca Bbonetti. Rendiconto generale del manicomio di s. Ùìoifanni di Dio in An* cona,del doti. Benedetto Manli. Ancona tipografia di Pietro Aureli 184I) un foglio atlantico, i/al giorno t8 marzo al i^ agosto 184' furono ricevuti in quel recente stabilimento sessantasei pazzi: 43 uomini e nZ donne, dei quali : sanabili insanabili guariti rimasti sanabili i Donne Uomini 35 I 8 | aS 1 L'autore, con l'acume che gli è proprio, dopo aver notato l'età, la professione, la patria e lo stato civile, indica il giorno in cui fu ricevuto ciascun'infermo nell'ospizio, il tempo in cui ebbe in- corainciamento la malattia ed il suo stato organico. Spone quin- di i risultamenti generali che sono i seguenti : Varietà' 375 Uomini Donne Totale 'Entrati in istato di sanabilità . . . j, ,, d'insanabililà . ,, ,, di dubbia sanabilità. Pazzi una sola volta ,, altre volte „ recidivi dopo usciti dall'ospizio ,, per cause lisiche Pazzi per cause morali „ j, fisico-mcrali . . . ,, ,, ignote . ... ,, con predisposizioni gentilizie „ ,, ,, avventizie „ „ ,, ignote Forma di alienazione e tipo »7 16 a 14 q4 7 Mania Monomania Demenza • . . Intermittente Continua 35 Guariti 2,1 Esciti dallo spedale ... 16 Migliorati i5 Morti 4 Stato dei rimasti Sanabili . . Insanabili . . . . Di dubbia sanabilità In prova . , . . »7 5 •i3 lo 9 7 2 21 10 9 9 5 25 '4 27 48 i8 4 9 ■^4 21 4 14 42 14 54 2t '4 IO 56 53 25 24 7 Finalmente vi sono registrate alcune osservazioni, nelle qua- li è il nome del morbo cbe ha prodotto la morte , ed il giorno in cui è avvenuta questa, o la partenza dall' ospizio Per ogni individuo sono notate tutte le cose cbe a lui pertengono; cioè se sanabile, o insanabile, se pazzo per cause fisiche, o morali, e con quali predisposizioni. Tal metodo a me sembra molto filosofico ed utile alla scienza: e lo sarà anche maggiormente, se queste osser- vazioni si estenderanno ad un numero più considerevole di pazzi. E. C. B. NIHIL OBSTAT Fr. Ioaniies B. Marrocu M. C. Censor Theologus. IMPRIMATUR Fr. Dom. Buttaonl O. P. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR J. M. Vespigoani Archiep. Tyaneus Vicesg. 377 CONTENUTE NEL TOMO LXXXIX, VOLUMI 2615, 266, £67 DEL GIORNALE ARCADICO. SCIENZE. Giusti, Trattati di filosofia .... pag. 3 Monti^ Fondamento, processo e sistema del- le umane conoscenze [par. i. ) . . « 22 Rossi, Cours d^ economie politique . . « 204 Bambetli^ Biografia di Sebastiano Canterzani.^^ a 19 Russo, Discussione sul miglioramento del si- stema ipotecario nel regno di Napoli. « 286 LETTERATURA. Pianciani, Anno in cui Dante finge di aver fatto il suo poetico viaggio. . . . « aSi Iseo, Discorso sull'eredità di Cleonimo, tra^ dotto da G. Spezi « 2 85 F ab i-M ontani. Elogio di Domenico Molaioni.<.i. 3o3 Marini, Diplomatica pontificia . . . . « 3 16 Nardinocchi, Lettere inedite d'uomini illustri al P. ab. Costadoni ( Jrt. I. ). . . « 827 Strocchi, Buccoliche di Virgilio tradotte. « 35o V^arietà. ^ Tavole meteorologiche. ^ Osservazioni Meteorologiche )( Collegio domano )( Luglio i84i> Ore mcit. I gt- ser. mat. SI- ser. mat. 3 8i- ser. 4 •trial. ser. 5 mal. si- Baromel. mai. gi- ser. mat. ser. mat. gì- ser. mat. §'• ser. mat. gi- ser. mat. gì- ser. mat. gì- ser. mat. ,,2 0 ", 1 4 ,, 1 6 ;8 Terni, esterno iS o 21 O 'ij 9 l4 2 22 1 i8 o )6~o 21 4 17 3 27 1 1 8 •2Ì> 0 27 0 0 4 6 '7 7 28 16 5 » 0 6 22 7 '5> 1 4 5 6 ^7 4 1> n 16 22 7 7. » 1 8 '5 17 3 » 1 ifi ii " 0 t) 24 6 » 0 2 '9 9 ?> s> 0 8 Ili 4 8 27 1 1 20 3» " » 17 0 » « iS 0 » 1) y 28 0 b Iti 7 0 i) 1 4 19 » 1 4 22 ) » 1 s 18 •> 1 6 16' 0 ?» j> 0 25 4 » !' 21 4 28 o o 27 11 9 28 o 4 24 5 27 9 Termometro ' Igrom. i Vcnlo - . 1 max. min. 1 1 1 i3 u, 32 0 14 5 28 SSU m 8 S .1 9 N 0 d 23 1 1 1 5 54 0.\0 m 6 Calma 26 iNAii .1 il 7 14 2 44 ObO 1 22 b80 d "s !•: d 22 7 12 0 3o oso f 7 OùO d 8 jNK d 23 2 :2 6 23 oso 1 7 80 d 8 N d 25 0 12 fi 24 oso m 25 S d 2!) 7 21 S 1 14 6 29 S m 8 SSO d 6 N d 20 4 i5 2 24 0 m 8 0 SO d Calma 22 5 i5 3 20 S d 7 6 0 d Calma 25 0 ij 2 26 SSO m 00 S ni 7 S m 21 5 i5 0 26 SO f >4 SO d 9 SSfi d 21 7 i3 8 17 so m 9 S m i3 S d 25 l i3 6 '9 so f 12 6 (.alma N d 26 9 12 7 41 SSO f 28 S d 42 S fi 28 7li5 7 44 V, S. f. 1 29 S lU neL: poi- ! Sialo del Cielo 6 o 6 o 3 6 3 o 4 3 10 5 7 o 6 5 \aporoso nuv. spar. niiv. sp. cliiarissimo sereno nuv.sp. Taporoso ser. nuT. sp. ser. \ap clilarisjimo vaporoso stieno chiarissimo sereno clilarissimo streno sereno vaporoso nuvoloso nuv. sj). nuvoloso sereno nuv. sp. chiarissimo nehhia in terra >ì nebbioso ser. nuv. sp. vap. sereno sereno sereno nuv. sp. ùeieno chiarissimo nuv. sp. cliiarisslrao Baromel. 29 5 min. 16 5 33 6 28 1 i5 5 i5 0 35 7 14 8 27 2 X2 5 i8 5 13 0 27 2 i3 9 23 4 16 3 25 4 23 7 28 7 i3 0 12 8 17 0 22 5 i5 0 24 3 12 0 23 2 98 23 2 i3 4 23 5 Il 7 Igrom. Veti lo [28 34 3i> 5 a 4' 49 N J SSO 3 S 1 SSO d KNlì (1 NNO~ 080 m SO a so f~ oso m SSO il ~ìf"T~ O 2 S d OSO f e a!. 11 a N d SO .11 O d ÈHE dd SSO f S d ÌNR d If SO ni SSO d : Oalma SO m SSK d Calma SSO d NO d N f N f NO dd NNE m NO m NE dd N dd SO d V. SE d S ni SO m s m SO m SSO f Cai ina Pioggia nebbia 1 35 tuoni ETapor. Sialo ^el Cielo i4 5 5 i3 7 6 chiarissimo chiarissimo miT. sp. nuv. sp. rliiarissimo voloso chiarissimo V, nuv. sp. chiaiiss. vaporoso sereno cliiarissimo sereno nuv. sp. nuvoloso nuvoloso nuv. spv nuvoloso 6 3 chiarissimo sereno chiarissimo nuv. sp. nuv. sp. nuvoloso sereno sereno Osservazioni Meteorologiche )( Collegio Romano ]{ Jgosto 1841. mal. si- set: mal. &'■ >er. mai. ser. ma:. si- òcr. mal. B aromet. Tenn. eaHerno e pò 27 11 » n ''■5 5 5 ^7^6 24 7 20 0 27 23 Il 0 I 8 8 4 18 6 >9 7 Iti 1 « 1 n » 7 I 4 i5 0 22 7 18 3 " 0 »> »» 9 8 8 16 "7 20 5 17 0 " 1 a 9 6 0 17 7 22 2 '7 7 Terra onieUo 27 6li3 2 Igrom. Vento i5 6 34 4'*5 o ai 7 23 8 9 45 36 Ì26 i3 0. :!4 8 S clJ S ff S ff Calma SSO ra s a ! S d ^OS^ ni V. I Calma EiNE JJ ! OSOf SSE d Pioggia Evapor. Stato del Cielo i sereno 9 o 'nuvoloso i5 o Cai ma SO (la oso in SSO 14 0 23 5 i3 6 21 i5 5 21 3 11 5 IO 8 20 9 23 8 ENE d N a NNE d ' sseT I SE m Iene a 1 N a Calma N d (iic. pio. pie 0 . pio. 0 63 ueLLia ucLliia Evapor. S o Slato del Cielo vaporoso coperto nuv. sp. sereno nuvoloso chiarissimo 4 o ! sereno cliiarissimo 8 o 6 o 0 5 4 6 ■^ 7 5 o 5 3 5 3 3 o nuv. sp. sereno nuvoloso nuv. sp. nuvoloso sereno vaporoso sereno vaporoso sereno chiarissimo Vaporoso coperto vaporoso coperto nuvoloso 2 4 coperto nuvoloso uuv. sp. cliiarissimo nuvoloso nuv. sp. cliiariss. nuv. sp. sereno coperta velalo cliianss. coperto ^ser. vap. p,^ — . — ._.—.,»,—..■-.«-■... -i.»-,- -, ~-.-~— » Osservai leni 'Te eslet Me leorologiche )( CoZi pgio Romana )( Settembre 18 41. riti, no ^ 3 Ore Baromet. Termo max. 0 24 8 niclro min. 0 i5 3 il 9 12 2 Igrom. 7 5 Vento NE a OSO '^ so .1 NNE ra oso 111 Calma Pioggia E^apor. Sialo del Cielo 1 mot. si- ser. 28"°! ''■ 7 » 1 4 „ 1 8 16 21 '7 i5 21 18 24 i3 21 '7 0 9 2 0 9 0 8 9 5 7 4 3 2 sereno nuv. sp. chiarissimo 2 mal. ser. 28" 1 1 1 s 0 0 24 9 26 3 36 73 5 40 i3 S 53 7 9 27 8 4 3 nuv. sp. 3 rncit. gì- ser. 0 0 0 1 6 IN u SSO (1,1 Calma so 0 0 1 2 1 2 7 8 0 7 2 5 8 •» nuv doso nuv. sp. 8 mal. gi- ser. N dd OSO m SSO dd 3 9 J4 8 sereno chiarissimo ») sereno chiarissimo 9 mal. gi- ser. mut. gi- ser. "' 2 2 5 7 4 N dd 0 m OSO dd ENE d OSO ni var OSO d N dd SSO f SSO dd N dd OSO d SE dd N "T" S d S d xo 28 2 2 2 6 8 6 0 i vaporoso nuvoloso 26 3 22 3 li mal. g'- ser. 2S 28~ 2 2 2 4 0 6 3 3 nuv. sp. nuvoloso sereno mal . si- ser. 2 2 2 )) )> 5) 9 6 8 ~8~ 6 8 ~8~ 4 9 9 8 5 3 ; 12 i3 19 i6 9 9 I nuv. sp. cliiarissimo i3 mal. gi- ser. mal. gi- ser. mal. gi- ser. i3 16 74" 21 16 0 7 7 7 4 8 9 5 6 18 6 5 26 7 5 24 6 1 3 3 3 a \ 1 nuvoloso sereno 14 25 5 23 6 Il 5 N dd SO f Calma N d ONO m SSO d sereno sereno vapor, nuv. sp. i5 » 2 6 8 9 12 Ì6 5 5 5 IO ,G 1 3 4 1 sereno nuv. sp. ser. ».n -«..VTmmrjr,.:, . ■■,--, na 1. ,i,miinìr'ìàmhmMMiaBBBBim§BmamMjaa fuima-"^^-" " ■■" GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI V'Oi. »68, aég, ^-jù. -h ROMA TIPOGRAFIA DELLE KELLE ARTI 1842 É II l GIORNALE D I TOMO XC GENNAIO, FEBBRAIO E MARZO ROMA TIPOGRAFIA DELLE BELLE ABTI 1842 DIRETTORE DEL GIORNALE S. E. il sig. principe D. PIETRO ODESCALCHI, presidente della pontificia accademia di archeolo- gia , membro del collegio filologico dell'università romana. BETTI SALVATORE, professore di storia e mito- logia e segretario perpetuo dell'insigne e pontificia accademia di s. Luca , socio ordinario e censoi'e della pontificia accademia di archeologia , accade- mico della crusca. BORGHESI BARTOLOMEO, accademico della cru- sca , corrispondente della pontificia romana acca- demia di archeologia e del R. instituto di Fran- cia, membro delle RR. accademie delle scienze di Berlino, Torino ec. CAPPELLO prof. AGOSTINO , già medico consu- lente della san. mem. di Leone XII, membro della congregazione suprema di sanità. CARPI PIETRO, professore di mineralogia, membro del collegio medico-chirurgico e direttore del gabi- netto mineralogico deiruniversità romana. DE-CROLLIS DOMENICO, dottore di medicina. FOLCHl GIACOMO, professore d'igiene, di terapeu- tica generale e di materia medica, membro del col- legio medico-chirurgico e direttore del gabinetto di materia medica nell'università romana, membro del- la congregazione suprema di sanità. GERARDI FILIPPO, dottore di leggi. POLETTI cav. LUIGI, consigliere e professore di ar- chitettura pratica nell'insigne e pontificia accademia IV di s. Luca, professore ordinario di architettura nelP ospizio apostolico di s. Michele, professore onora-- rio della R. accademia delle belle arti di Modena, architetto direttore della riedificazione delia basi- lica di san Paolo , membro del collegio filosofico dell'università romana , socio ordinario della pon- tificia accademia di archeologia. TONFI.LI GIUSEPPE, dottore di medicina. VISCONTI cav. PIETRO ERCOLE , commissario delle antichità romane, presidente onorario del mu- seo capitolino, segretario perpetuo e socio ordina- rio della pontificia accademia di archeologia, mem- bro del collegio filologico dell'università romana. xmNTALDI marchese Antaldo, a Pesaro ARMAROLI conte Leopoldo, giureconsulto, a Mace- rata. ASTOLFI avv. Angelo, giureconsulto a Bologna. BARLOCCI Saverio , professore di fisica sperimen- tale, membro del collegio filosofico e direttore del gabinetto fisico dell'università romana , segretario del consiglio amministrativo degli acquedotti, in Roma. BARTOLINI monsignor Domenico, camerier d'onore di Sua Santità, in Roma. BIANCHINI Antonio, segretario della società degli amici delle belle arti, in Roma. BIOLCHINI Pietro, segretario del giornale, in Roma. BRIGHENTI Maurizio, ingegnere in capo, a Forlì. BRIGNOLI di Brunoff Giovanni, professore, a Modena. BRUNATI ab. Giuseppe, a Brescia. BUONAPARTE S. E. don Carlo, principe di Cani- no e di Musignano, in Roma. BUONCOMPAGNI LUDOVISI S. E. don Baldas- sare, in Roma. V CAMILLI Stefano , giudice del tribunale di prima istanza, in Urbino. GAMPAINARI aw. march. Secondiano, socio ordinarlo della ponlificia accademia di archeologia, in Roma. GANTALAMESSA CARBONI Giacinto, in Ascoli. GAPOZZI Francesco, a Lugo. CARDINALI cav. Luigi , socio ordinai'io e censore della pontificia accademia di archeologia, in Roma. CASSI conte Francesco, a Pesaro. GASTRECA BRUNETTI Enrico, dottore di medici- na, in Roma. GECCONI aw. Luigi, giudice capitolino di appello, in Roma. CHELINI padre Domenico, delle scuole pie, profes- sore al collegio nazareno, in Roma. CIAMPI cav. Sebastiano, a Firenze. CICCONl ab. Tito, bibliotecario dell'Albani, pro-cu- stode generale coadiutore di arcadia, socio ordina- rio della pontificia accademia di archeologia, in Roma. CONTI dott. FILIPPO , medico a s. Anatoglia di Camerino. COPPI ab. Antonio, socio ordinario della pontifi- cia accademia di archeologia, in Roma. CORDERÒ DI S. QUINTINO cav. Giulio , mem- bro della reale accademia, a Torino. DE-LUCA ab. Antonio, vice-presidente dell' accade- mia ecclesiastica, in Roma. DE-MINICIS aw. Gaetano, a Fermo. DIONIGI ORFEI contessa Enrica, in Roma. FARI de'conti MONTANI cav. Francesco, camerier d'onore di Sua Santità , sotto-custode di arcadia, in Roma. FERRARI padre maestro Giacinto^ dell'ordine de'pre~ dicatori, prefetto della biblioteca casanatlense, so- cio ordinario della pontificia accademia di archeo- logia, in Roma. F'ERRUCGI aw. Luigi Crisostomo, a Lugo. FEiìRUCCI Michele, professore, a Ginevra. vr FIORINI MAZZANTI Elisabetta, in Roma. FOLCHI cav. Clemente, presidente delTinsigne e pon- tificia accademia di san Luca, ingegnere ispettore membro del consiglio d'arte, membro del collegio filosofico dell' università romana , socio ordinario del a pontificia accademia di arcbeologia, in Roma. FONTANA cav. Pietro, a Spoleto. FRANCESCHI FERRUCCI Caterina, a Ginevra. GENNARELLI dottore AcbiUe, a Roma. GRIFI cav. Luigi, consigliere e segretario della com- missione generale consultiva di antichità e belle arti presso il camerlengato della S. R. C. , socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. COZZONI DEGLI ANCARANIdott. Carlo, a Trevi. LARUS cav. Giovanni, imperiale e reale epigrafisla di corte, membro e segretario dell'instifufo, a Milano. LOPEZ cav. Michele, prefetto del ducal museo, a Parma. MAGGIORANI Carlo, professore sostituto di anato- mia, fisiologia, igiene ec. nell'università, in Roma. MALVICA barone Ferdinando , socio ordinario del reale istituto d'incoraggiamento, a Vasto. IMAM I ANI DELLA ROVERE conte Giuseppe, cen- sore dell'accademia agraria, a Pesaro. Marchi padre Giuseppe, della compagnia di Gesù, professore del collegio romano, prefetto del museo kircheriauQ, membro del collegio filosofico dell'u- niversità, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. MARCOTULLl dott. Luigi, medico, a Sezze. MASETTI canonico Celestino, a Fano. MOKDANI Filippo, a Ravenna. MONTANARI Giuseppe Ignazio, professore, a Pesaro. MORICHINI monsignor Carlo Luigi, chierico di ca- mera, in Roma. MUZZARELLI monsignor Carlo Emmanuele, uditore della sacra rota , consultore della sacra congrega- zione de'riti, in Roma. VII PAOLI conte Domenico, a Pesaro. PERETTI Pietro, professore di farmacia e direttore del gabinetto farmaceutico deiruiiiversità, in Roma. PERUZZl monsignor Agostino , arciprete della me- tropolitana e rettore dell'università, a Ferrara. PIANCIANI padre Gio. Battista, della compagnia di Gesù, professore nel collegio romano, membro del collegio fdosofico dell'università, in Roma. PUCCINOTTI dott. Francesco, professore nell'uni- versità, a Pisa. POGGIOLI dott. Michelangelo, già medico ordinario della san. mem. di Leone XII, professore di bota- nica e membro del collegio medico-chirurgico della università, in Roma. PUNGILEONI padre maestro Luigi, min. conv., con- sultore delle sacre congregazioni de' vescovi e re- golari e de'riti, in Roma. RAGGI avv. Oreste, in Roma. RAMBELLI Gio. Francesco, professore, a s. Giovan- ni in Persiceto. RANALLI Ferdinando, a Firenze. RICCARDI dott. Gregorio, medico, in Roma. RICCI marchese cav. Amico, a Macerata. ROSSI monsignore Stefano, prelato domestico di Sua Santità e delegato apostolico della città e pruvia- cia di Civitavecchia. ROVERELLA conte Gio. Antonio, a Cesena. SALVI cav. Gaspare, consigliere e professore di ar- chitettura teorica nell'insigne e pontificia accade- mia di s. Luca, ingegnere ispettore membro del con- siglio d'arte , architetto de' ss. palazzi apostolici , membro del collegio filosofico dell' università , in Roma. SANTARELLI dott. Michele, professore di medicina, a Macerata. SAISTINI dott. Angelo , medico primario , a Mon- talbdddo. SANTUCCI ab. Domenico, in Roma. vili SANTUCCI monsìg. Loreto, cameriere segreto di Sua Santità, custode generale emerito di arcadia, mem- bro del collegio filologico dell'università romana , in Roma. SCLOPIS di Salerano conte Federico, membro delta reale accademia delle scienze, a Torino- SECCHI pdre Gio. Pietro, della compagnia di Ge- sù, professore e bibliotecario del collegio romano, socio ordinario e censore della pontifìcia accade- mia di arcbeologia, in Roma. SORGOISI dott. Angelo, primo medico, a Montolmo. SPEZI Giuseppe, in Roma. STEFANUCCI ALA dottor Antanio, in Roma. TESSIERI padre Pietro , della compagnia di Gesìi, sotto-prefetto del museo kircheriano, socio ordina- rio della pontificia accademia di archeologia , in Roma. TORTOLINI ab. Barnaba, professore di calcolo su- blime nell'università, in Roma. TROiVlPEO cav. Benedetto , medico dì corte di S. M. la regina vedova di Sardegna, in Roma. YACCOLINI Domenico, professore, a Bagnacavallo. VALDRIGHI conte Mario, a Modena. VALORI dott. Francesco, membro del collegio me- dico-chirurgico , professare di sanità nella sacra consulta, in Roma. VENTUROLI prof. Giuseppe , presidente del consì- glio d'arte pe'lavori dì acque e strade, accademico di merito di s. Luca nella classe dell'architettura, membro del collegio filosofico dell' università , in Roma. VERMIGLIGLI cav. Gio. Battista, professore neiruni- versilà, direttore del museo antiquario, a Perugia. VESCOVALI Luigi, socio ordinario della pontificia accademia di archeologia, in Roma. VOLPICELLI dott. Carlo, professore sostituto di fi- sica sperimentale nell'università, in Roma. § £ I ^ n^ s Bilancio della cassa di risparmio in Roma per Vanno 1840, e scritti fatti per la XII gene- rale sessione della società tenuta il giorno 28 luglio 1841. I. Rapporto e bilancio della cassa di risparmio per Vanno 1840 presentato dal sig. Gioacchino Al- bertazzi ragioniere^ letto ed approvato nella sessione del consìglio d'' amministrazione tenu- ta il tiì 28 aprile 1841. el presentarvi, o signori, il bilancio di questa cas- sa di risparmio dello scorso anno 1840 mi è grato oltremodo il potervi annunciare , che sempre più pro- spero e rassicurante addiviene lo stato della mede- sima, come imprèndo a dimostrarvi. Incominciando pertanto dal capitale dovuto ai depositanti, non clie dai boni in circolazione, vi di- rò che il primo si è di non poco aumentatOj 1 se- condi ottengono tutto dì maggior credito: ciò che dà G.A.T.XC. I 2 Scienze una prova non dubbia della pubblica, crescente fi- ducia. Ammontava il sudetto capitale, come dal bilan- cio che ebbi l'onore di darvi allo scadere dell'anno 1889, a se. 592 524. 00 5. È giunto in questo a se. 756, 146: 41, distinti come appresso:. Cnpilale dovuto ai depositanti al 5i die. iSSg . . . se- Sg-ì. 5-ì{. 00. 5, Cioè capitale se. 582. 437. 19. 5 ) Interessi capitaliz. il i genn. i84o ,, io. 086. 8i. )■ Detti capitaliz. il I luglio 1840 , ,1 11.874.71.5 Versamenti del suddetto anno. . se- Syo. 892. Sj- ) ^3^ ^g/^. 27. 5, Restituzioni . , •- • ,. 25 1. 808. -ig- 5. ) Interessi da capitalizzarsi il i gennaio i84t • . , „ "• 663. 4r. 5 se 756, i46.. 4>- I boni in circolazione al 3i dicembre 1889,6 clie figuravano in quel bilancio per se. 2021 12 5, ammontano in questo a se. 6870: poicliè non curan- done i possessori la realizzazione in scadenza, li fan- no bene spesso circolare nei pagamenti cora-^ rap- presentativo di contante: nel che si scorge un nuo- vo effetto della sopramenzianata fiducia , con^e in principio presi a dimostrarvi. Passando quindi al conto degli utili, prima di darvene il dettaglio trovo opportuno di farvi riflet- tere , che una perdita si è avuta sopra il capitale consolidato, la quale li diminuisce di se. 4^^ -'^* Rispetto a questa perdila però riandate, vi prego, quan- to vi dimostrai in proposito nel passato mio. rappor- to del 1889: ed osserverete che in quest'anno con- corrono le circostanze stesse di quello : poicliè il consolidato, che si e valutato al 100, 5o corso cor- rente al 3i dicembre 1840, oggi è salito al io3, 80. Cassa di risparmio 3 Gli utili adunque, depurati dalla suddetta per- dita e dalle spese di amministrazione, si sono veri- ficati in so. 44^7 9^ • e ripartiti questi sull'intero capitale, danno il ragguaglio di "'Y^oo *^Viooa P'^'^ V» ' i quali poi uniti all'importare delle azioni, ed agli altri profitti avutisi nei passati quattro anni della institu- zione della cassa, presentano la ragguardevole somma di assoluta proprietà dello stabilimento in se. 19280 II 5. Importare delle azioni . . , se. 500Q. Utili dell' anno. i836. . . » 60. 78. 5 Detti del 1837. . . . » 2636. 02. 5 Detti del i838. . . . » 4o48. 02. 5 Detti del 1839. . . . » 3097. 35. Detti del 1840. . . . » 4437. 93. se. 19280. I I. Le spese nell'anno 1840 sono state di se. 2899, io. Spese per la cassa centrale . Dette per la succursale Premi ai depositanti di piccole somme. ...... >^. jj. 5 » 194. 56. 5 » 200. 00. se. 2899. IO. Superano le medesime di alcun poco quelle in- contratesi nell'anno 1889; ma non deve ciò recarvi maraviglia, riflettendo clie ad una massa di capitale cotanto aumentata devono ancor queste divenire cor- respeltive. 4 Scienze Il contante in cassa vi presenta la somma di se. i8, 541 5 89. Sembrerà questa a prima vista trop- po discreta in relazione a quella dei depositi : ma dovete meco riflettere, che non solo la medesima si reputò sufficiente all'estinzione dei boni che si ri- trovano in circolazione, ed alla prima settimanale ri- cliiesta dei depositanti, ma che di più venivano im- mediatamente in sussidio della cassa e l'esigenza dei frulli provenienti dai capitali investiti, e scaduti al termine dell'anno, ed i deposili della prima dome- nica dell'anno 1841. D'altronde riconoscer dovete in questo un'anti- veggenza del consiglio di amministrazione nel pro- curare il più sollecito impiego del capitali, che re- stando lungamente ed in copia giacenti in cassa, di- minuirebbero di non poco i profitti medesimi : che alla evenienza di qualche sinistro presenterebbero il pronto riparo, senza punto che ne risentissero gli ef- fetti i capitali alla cassa affidati. Ho stimato opportuno finalmente di presentar- * vi in un prospetto l'incasso dei settimanali depositi: il numero di essi distinti in quelli che non eccedo- no gli se. IO, e gli altri che oltrepassano la detta som- ma fino agli se. 20, ponendovi a fronte i risultati del- l'anno i83q. Da ciò potrete principalmente cono- scere a colpo d'occhio il progresso della instituzio- ne nel notabile aumento dei piccoli depositi in re- lazione con quelli fino agli se. 20 suddetti. Dopo di avervi dimostrato, a seconda di quanto incombeva alla mia gestione , ciò che un assai mo- dico ingegno ha potuto suggerirmi, resterà alla dotta penna del sig. principe consigliere segretario di espor- vi, con quella eloquenza che gli è propria , quanto Cassa di risparmio sempre più può interessare al Ijuon essere di questo pio e caritatevole stabilimento : scopo, al quale fu- rono dirette le vostre ottime intenzioni, allorquando vi piacque e con l'opera e coi mezzi concorrere al- la filantropica sua instituzione. II. STATO ATTIVO E PASSIVO DELLA CASSA DI RISPARMIO IN ROMA AL 3i DICEMBRE iSSg. DESUNTO DAL LIBRO MASTRO DELLA MEDESIMA, LETTERA A. PASSIVO Capitale delle azioni Se. Depositanti diversi Co: di capitale ,, Petti Co: di frutti . . „ § Boni al portatore.'. . ,, Certificati per l'esigen- za di frutti liquidati e non esatti. ... Se Eredi di azionisti de- fonti ,, Rinvestimenti 'con" [ipo- teche Co:di frutti per interessi pagati e non maturati al 5 1 dicem- bre i84o y. Creditori diversi per somme rinvestite , e non ritirate dalla Cassa ,, Se. Supera l'Attivo . . Se. Utili verifi calisi t tutto die \85gcome agli ante- cedenti bi- lanci . . „ Simili da gennaio a tutto di- cembre i84o. . „ Se. qS^j. i8 5 5ooo 74348'j I2G65 63^0 48: I'2l43 780269 14-280 ATTIVO ÌRinvestimenti diversi Co: di capitaìeSc. c)9 5\Fondi pubblici. .... Se. 41 »iDetli informa di deposi- to a garanzia ,, Rinvestinien. con ipoteche» Conti correnti garantiti,, 98 ^^Somministrazioni a cre- dito frult. con garanz. Privilegiala pontif so cietà di assicuraz. pej valore di quattro azio. ni effettive , Se' 83 53 i4i3o7 3ooo ^49155 38oooo 89800 52 765262 62 5 Riftveslimcnti diversi Co-, di frutti Se 1757 5o i656 195 61 5 Fondi pubblici ,> Rinvestirne, con ipoteche" Conti correnti ,, Somministrazioni a cre- dilo frutt. con garan. „ ^Privilegiata pontif. so- cietà di assicurazioni. ,, Se- 1768 5o ioi3i 75 5 06 5 ICapitale di mobili e stampe per la ri manetlza in essere al 3i dicembre 1840 • S IContanti in cassa al 3i dicem. 18^0 YEff'eUivo contante presso l cassiere Idem e. s. per l'estinzione di boni in circolaz. ,_ « aidem e. s. di certificati 4 4 •^7 .9:L" I dei frutti ,, 14280 II 5 I Sc.i Se. 7T95T9 40 5[ IL RAGIONIERE )( GIOACCHINO ALBERTÀ^ZI yislo ed approvato P. ROSPIGLIOSI PRESIDENTE BORGHESE V. PR. MARINI PIANCL\NI ALDOBRANDINI COI>ONNA FEOLl BOFONDI PR. DI CAMPAGNANO ODESCALCHI DORIA Visto ed approvato da noi sottoscritti sindaci li i4 luglio \i^i. PRINCIPE ni ROVIANO . ALBERTO ALBORGHETTL DIMOSTRAZIONE DELLE RENDITE E SPESE A RIP?10VA DEL DICONTRO STATO ATTIVO E PASSIVO SPESE Fruiti passivi liquidati afaOore dei de/tosiianii nclta. i84o. Se Pagali ili Coni anliSc. igS Passali in capitale fruttifero ,, 34538 Pfgr/bi'i inforza di ccrii/icati in cir- colazione ....,, 888 64 Frazioni provenien- ti da partite di fruiti inferiori a bai. Q\ ed interes- si ab b andò nati nell'estinzione dei libretti Se. _5i 27439 Interessi da compensarsi a diver- si sopra somme rinvestite e non ritirate dalla cassa Se. Spese di amministrazione appli- cabili all'esercizio 1840 • • Se Impiegati , Inservienti , Carta, stampe, re- gistri , Utensili diversi . . , Fuoco e lumi .... 4i 23 69 53 5 Spese per la cassa succursale nel rione Trastevere applica- bili all'esercizio 18^0 , . . . , Premi ai deposita/iti di piccole somme nella ricorrenza del s. Natale , Perdita nelle varie transazioni della rendita consolidala . . , Se Superano le Rendite , 27429 618 2004 I RENDITE ■ Frutti aitivi verificatesi a 52 5.1 vantaggio dello Stabili- mento nell'anno 1840- ^c ■Esatti a tutto I d i e e m b re i84o . . Se. 24944 46 5 [portati fra le j attività. . ,, ioi3i 06 „ j Se 55075 52 5 Frazioni restate a vantag- gio della cassa prove- nienti da partite di fruiti inferiori a bai. 01, ed interessi abbandonati neir estinzione dei libret ,ì Importare di due azioni ricadute a beneficio del- lo stabilimento ,, 06 ), Utili oltre il 5 per cento '\ sopra il capitale delle quattro azioni effellive possedute nella società di assicurazioni\ ....,, Utili eventuali diversi . 35075 52 5 SijOO 8 Scienze III. Rapporto dei signori soci principe di Eoviano e conte Alberto Albor ghetti eletti sindaci nel- la XI sessione generale della società tenuta il 24 maggio 1841. Se penoso riesce a coloro, die chiamati dal do- vere alla revisione di un' azienda qualunque, si tro- vano nella dura necessità di censurarne le operazio- ni, qual compiacenza risentono quelli , che dopo il piìi scrupoloso esame possono meritamente encomiare chi la condusse ! Noi, ,0 signori, sentiamo la forza di una tal ve- rità: e con tanta nostra soddisfazione, in quanto che dall'istante che fummo da voi prescelti a sindacare le operazioni di questo nostro stabilimento pel de- corso anno 1840, eravamo fra noi convenuti, che sen- za il più piccolo riguardo saremmo slati sinceri e ve- ridici, disposti anche ad incontrarne qualche amarez- za. E ben vero però che l'esperienza degli anni pre- cedenti, e la saviezza dei componenti il consiglio di amministrazione, ci tenevano ben lontani dal credere di dover essere nel caso , che ipoteticamente presu- mevamo. Sì, o signori: l'amministrazione di questa cassa di risparmio pel 1840 non è stata dissimile da^'i al- tri anni. Dessa è slata regolata con tale prudenza , che ha prodotto ì migliori risultati, malgrado dell'au- mento dei depositi, e malgrado quindi delle immense difficoltà d'impiegarne con sicurezza il danaro. Da ciò sempre più chiaramente si conferma quan- Cassa di risparmio 9 lo bene immaginato ne fu il primo impianto, quanto preveduti furono tutti i casi possibili, e quanto bene organizzate le diverse operazioni: da ciò in fin si de- sume quanto strettamente vi si sia attenuto il consi- glio, come già pel 1889 i sindaci ancora meglio ri- conobbero. I capitali dovuti ai depositanti al cadere del ifiSg presentavano la cifra di se. 592,52/j. : 00 : 5, ed al 3i dicembre del 1840 osserviamo esser montata la ci- fra a se. 756,146 : 4' ? cosiccliè il capitale si è ac- cresciuto di se. 163,622 : 40j malgrado delle restitu- zioni seguite. Ciò poi che forma la nostra compiacenza si è l'aumento sensibile dei depositi al di sotto degli se. io, ed il decremento di quelli superiori. Nel 1839 i de- positi fino agli se. IO non furono cbe se, io,5oo, e quelli superiori se. i5,2i8; laddove nel 1840 i pri- mi sono stati se. 22,484, ed i secondi se. 16,921. Da tale osservai'.ione , forse estranea al nostro incarico, ma non inopportuna, ci sia permesso trarre due conseguenze: la prima, che lo stabilimento acqui- sta sempre più fiducia presso la classe indigente: la seconda , che questa comincia a conoscer meglio il vantaggio che le si offre. Ammesso ancora che della immensa somma de- positata dall'epoca dell'apertura della nostra cassa , quattro quinti ne spettino a persone agiate, ed an- che speculatrici, sarà sempre vero che se. i5o, 000 spetteranno agli artigiani , ai domestici , e ad altri giornalieri: e quindi possono considerarsi come rapiti all'intemperanza ed ai vizio. Il consiglio d'amministrazione, seguendo le trac- ce degli anni scorsi, ha saputo con giusto equilibrio 15 Scienze impiegare utilmente i capitali, di cui la cassa si tro- vava carica. Desso ha diviso i rinvestimenti in fondi pubblici, in conti correnti, in contratti con ipoteca, ed in somministrazioni con garanzia : lasciando sol- tanto in cassa infruttifera quella sola somma, che giu- dicava sufficiente a soddisfare alle richieste della set- liràana , non che ad estinguere i boni che sono in circolazione. Tali boni, tanto bene immaginali, go- dono la maggior fiducia, non presentandosi dai pos- sessori per concambiarli: prova non dubbia di quello che sempre più acquista lo stabilimento. I conti correnti presentano una cifra presso che due terzi più forte di quello dei fondi pubblici: ma tali rinvestimenti non destano la più piccola appren- sione. I primi sono tutti con persone che godono una generale fiducia. I secondi , essendo con cartelle al portatore, sono realizzabili ad ogni bisogno della cas-» sa : per cui, senza perdere un giorno sugl'interessi , può esser certa di corrispondere alle richieste , ove avvenissero, di qualunque restituzione, a forma dei regolamenti. I contratti con ipoteca, scrupolosamente esami- nati dai distinti legali che fanno parte della nostra società, sono del pari lontani da qualunque dubbio di perdita. Egualmente lo sono le somministrazioni con garanzia : e queste formano la minor parte dei rinvestimenti, non differendo dai conti correnti , se non che nell'epoca della restituzione che è determinata. A piena prova della sicurezza dei quattro indi- cati modi di rinvestimenti , ci piace osservare che nell'anno 1840 non ha avuto luogo alcun atto giu- diziario: per cui a buon diritto riteniamo essere tutti regolarmente e saviamente combinati. Ed infatti gli Cassa dì rispàrmio ii utili risultati alla cassa sono stati maggiori di quelli degli anni scorsi, ma eguali in proporzione dei mag- giori incassi. Rapporto alle spese d'amministrazione, noi non potremmo mai lodarne abbastanza 1' economia e la moderazione : e benché presentino un aumento di se. 471 da quelle del i83g, sono pur meschinissime, avuto i-iguardo all'aumento del danaro incassato, ed alle correlative moltiplici operazioni contabili: per cui se il consiglio può meritare una osservazione, la no- stra sarebbe di trovarlo soverchiamente delicato nella misura. Noi non crediamo dover entrare in dettaglio sul- la regolarità della contabilità dell'amministrazione, es- sendosene assai giudiziosamente occupati abbastanza i passali sindaci: ma non per questo dobbiamo aste- nerci dal farne i meritati elogi. Il libro maestro, il giornale, ed i diversi libri che vi corrispondono, ol- tre all'essere tenuti con una nitidezza che sorprende, sono tanto chiari ed in perfetta relazione fra loro , che senza il minimo studio, anzi a colpo d'occhio, il più inesperto dei contabili potrebbe rilevare qua- lunque partita, sia di credito, sia di debito: per cui siamo soddisfatti di ripetere, essere le prime istitu- zioni fedelmente eseguite. Questo, o signori, è il risultato delle nostre os- servazioni che , come si disse , scevri da qualunque spirito di prevenzione , abbiamo diligentemente pra- ticato sull'amministrazione di questa cassa di rispar- mio per Tanno 1840 : e queste vi presentiamo, onde, 0 signori , sempre più conlenti di aver contribuito all'istituzione di tanto utile stabilimento , possiate e co'vostri lumi e co'vostri consigli procurarne la con- servazione e l'ingrandimento. i2 Scienze Noi ci auguriamo che, come da principio ha fìti qui felicemente proceduto, vorrà, mercè delle cure del consiglio, continuare negli anni successivi: ed allo- ra, compito il nostro voto, coglier potremo il frutto delle benedizioni di quei tanti meschini, che ne han- no tratto e trarranno un vantaggio. Gradite, o signori, la sincerità delle nostre os* servazìoni dettate dal solo desiderio della prosperità di questa cassa di risparmio. Roma li 14 luglio 1841. / soci sindaci il principe di roviano Alberto Alborghetti VI. Discorso di sua eccellenza il principe don Pietro Odescalchi consigiier segretario^ letto nella XII sessione generale della società tenuta il 28 Zm- glio 1841. A tener fermo , o signori , quanto già nel di- scorso del passato anno mi feci a promettere , ta- cendo io qui intorno l'utilità e la morale della in- stituzione nostra ( essendosene detto ormai quanto basta ) presento senza pììi la statistica dei deposi- ti e dei depositanti del presente anno 1840 : sopra la quale mi permetterò di esporvi soltanto quelle os- servazioni , che meglio e più chiaramente dimostri- no il progredimento dell' opera benefica e pia , alla quale abbiamo dato il nostro nome, e vi porgano al- Cassa di risparmio i3 Quni lumi a poterla sempre più avanzare verso quel fine eantissimo, a cui deve unicamente mirare. Nel passato anno i84o (entrando a dire della statistica) sono stati aperti de'nuovi libretti Nel primo semestre N. 1734 Nel secondo semestre » loSq che danno una totalità di libretti. . . N. 2793 Ai quali aggiunti i libretti rimasti al 3i di di- cembre 1B39 ^^ numei'o di 7261, si baia comples- siva somma di libretti in N. ioo54' Di questa massa però di libretti essendo stati estinti Nel primo semestre per un quantitativo di. N, 626 Nel secondo semestre di » 780 che presentano una totalità di .... N. 1406 Viene da ciò per risultamento, che la rimanenza de'libretti al i di gennaio del corrente anno era di N. 8648. Che se dopo questo si vuol pur dare uno sguar- do alla condizione de'possessori dei 2798 libretti aper- ti, possono essi ripartirsi in quest'ordine: l4 Scienze Inservienti ed artigiani venuti in persona . N. 92 x Inservienti ed artigiani per mezzo d'incari- cati » 824 Possidenti, negozianti ed impiegati . , » y36 Luoghi pii ed opere pie ...... » a33 Incogniti per mezzo di persone incaricate . » 878. Orfani, del colèra ed alunni dell'ospizio apo- stolico . . - » 86 Condannati jCOQ libretti assicurati . . . » ii5 \n tqtto siccome sopra . , . , . . N. 2798 lì numero de'depositi fatti co'sovraddetti libretta è stato; Nel primo semestre di . . , , , N. 20,948 Nel secondo semestre di .... . » 1 8,355 che in tutto sommano a . . . . , N. 39,3o3 I quali depositi, volti a contanti, danno: Nel primo semestre una somma di. se. 207,538:09:5 ^eì secondo semestre una di . » 163,359:47^5 In totalità se. 870,892:56: - E raffrontando le somme qui sopra incassate con quelle che dai depositanti sono state ritirate in tutto il corso dell'anno 1840, si vedrà che Cassa di risparmio. l5 I^el primo semestre sono stati resti- tuiti . . . . , . . . se. 112,918 : i3 !Nel secondo semestre .... )) 118,890: iS In tutto l'anno so. 231,808:29 E qui se si volesse andare anche piìi addentila in un cosiffatto esame, e si desiderasse vedere i 2798 libretti nuovi aperti nel passato anno classificati in somme a danaro, e queste somme ripartite e conteg- giate per le 5i domeniche, nelle quali ha avuto ef- fetto l'incasso, formar si potrelsbe lo specchio seguente,* r(. 838 libretti fino a se io ^ settimana danno se- 3* Sgg : g,o ; -? che forma ciascuno so. 4: 23: 61 ^^^838 „ 6o^ . • , . se. 20. ...... sq. II, 996 : 80 .- -» che forma ciascuno se. 19: 79: 50 ^"/goi „ 1^5 .... se. 3o ...... so. 5, 872 : 79 : 5 che forma ciascuno se. 23: 87:31 ^^^Jzl^Q, „ 333 ... . se. 5o se. i3, 43i : 98 .• - che forma ciascuno se, 40: 33: 63 ^'^333 ,, 374 .... se, 100 .....< se. 32, i58 : 64 : - che forma ciascuno se. 8. 5: 98. 5 6 ^ V261 j,, 261 .... se. 200 se. 34, 49' • '5 ; " che forma ciascuno sc^ 132: 14: 99 ^'/aGi ,, i4o . sopra gli se. 200 so. 46, 3i4 • 97 : 5 che forma ciascuno se, 330: 82: ^2^°Jll^o N. 2793 se. 147, 866 : 22 : - Ora per le cose qui sopra dichiarate con tanta particolarità, e con ogni più scrupolosa esattezza, se ne trae per conseguenza: i6 Scienze 1. Che i libretti estinti stanno al totale numero come I a 7 ^^fi^o- 2. Che i libretti rimasti al i di gennaio 1841 sono circa 2^5 di più di quelli che si avevano in es- sere nell'antecedente anno. 3. Che con ciascun libretto, a voler prendere un termine medio, sono stati fatti intorno a quattro de- positi. 4- Che ciascun libretto rappresenta un capitale di se. 52 : 94 17/^00' 5. Che ogni deposito può calcolarsi alla somma di se. 9 : 43 ^?/ioo. 6. Che le somme ritirate stanno a quelle depo- sitate come I a ijSg^^/Ioo' Tal è , o signori , la statistica che ci porge la nostra cassa nel passato anno 1840: e se di essa vo- lesse inslituirsi un raffronto nelle principali sue par- ti con quella del passato anno 1839, come usai nel- l'altro mio ragionamento, si vedrà che i libretti nuo- vi aperti nel corrente anno superano di 212 quelli dell'antecedente: che le somme versate nel 1840 supe- rano di se. 43,072 : i3, quelle dell'anno 1839, e che finalmente le somme restituite in quest'ultim'anno avan- zano quello che lo precedono di se. 71,920.15:5. — Ciò che apertamente, a mio giudizio, dimostra esse- re la instituzione nostra pervenuta a quel misurato e prudente avanzamento, e starsi già in quel giusto e desiderato equilibrio, che in cosiffatte opere, chi bene intende il suo fine, deve desiderarsi. — Ma quel che meglio fa a convincersi di ciò che vi dico è il por mente , che i libretti di picciolo somme aperti uell' andato anno avanzano quelli dell' antecedente : mentre al contrario quelli di somme mag^^iori sono Cassa di risparmio 17 venuti di qualche poco a scemare e a diminuire. — Ed in fatti se nell'anno 1889 i libretti aperti fino alla somma di se. io, ammontarono a 54 1, e quelli fino agli se. 20, a /^.gl: nell'anno 1840, sono giunti i primi a 838, ed a 601 i secondi; quando all'op- posto quelli di se. 100, da4oi che furono nel iSSg, sono discesi a 374* ^ quelli di se. 200, da 400 a 261: il che prova evidentemente che la cassa de' risparmi ncomincia ad esser conosciuta e pregiata da quella classe che più ne abbisogna, ed alla cui utilità è in- stituita; ed a ciò devesi senza meno il vedere nel ca- duto anno accresciuti di ben 4^9 i libretti aperti ad inservienti ed a poveri artigiani. Certo, se si getta uno sguardo a'rendiconti pre- sentati negli anni scorsi, e loro pongasi a paro quel- lo che nel passato anno vi è stato dato ad esaminare, non potrete non l'imaner tutti convinti del notabile avanzamento che ha fatto la nostra instituzione; sia che attendasi al credito ch'essa si è procacciata nel- l'universale (ciò che apertamente comprovasi dalla in- gente cifra a cui ammontano le somme nella nostra cassa versate); sia che pongasi mente alla condizione di quelli, che hanno i loro risparmi alle nostre mani affidati. — r Ma pur troppo, ad onore del vero, vuoisi altresì confessare, che il numero di coloro, che presi alla moralità della santa opera, posto un freno agli scia- lacqui ed alle intemperanze, a cui dapprima si lascia- vano andare, si avvisano prudentemente di porre in serbo quel di più che loro avanza dalle domestiche spese, è assai meschino e sottile rispetto alla popola- zione di questa grande città ! Di ciò per altro non debbono, a mio giudizio, accusarsi o i princlpii su' quali è fondato l' instiluto , o le discipline con cui G.A.T.XC. 2 i8 Scienze dall'amminislrazione si regge e governa; essendo che ehiaramente ed apertamente a voi ne hanno per le stampe discorso que'siudaci, a chi commettesse l'esa- mina di tutti i libri sia di conteggio , sia d' interni ordinamenti, a'quali soprastà o con cui guidasi il con-, sigilo da voi eletto; ma devesi un tal difetto unica-, mente riferire alla natura stessa del nostro minuto, popolo, ed alla poca sua educazione al vero bene ci- vile.— Ed io penso, che soltanto allora l'opera san- tissima, intorno alla quale ci travagliamo, aggiugnerà perfettamente il suo nobile fine, ([uando o in.stituen- do novelle discipline, o le antiche ritornando a que' metodi in cui le posero gl'illustri fondatori, sì toglie- rà mano mano il nostro popolo da quelle ruvide e ritrose abitudini , spesso anche feroci (permettetemi che così mi esprima) a cui senza un rigoroso prov- vedimento si lascia nascere e crescere a danno delle' famiglie, ed a vergogna purtroppo di sì gentile e fa-, mosa città! Al che senza meno potranno, molta gio-. vare que'piissimi e zelantissimi ecclesiastici e secola- ri, i quali pensarono, e con singoiar carità mandai rono ad effetto l'instituto delle scuole notturne di re^ ligione pe'giovani artigiani. — Imperocché quanto po-i ca speranza si puà nutrire, che piante già fatte gran- di e selvagge si possano ingentilire e piegare ad ot- tima volontà; tanto ogni più caro e peregrino frutto, può sperarsi da quelle, clie tenere ancora, di nient'al-. tro abl)isognano se non di chi le curi e coltivi. Dopo queste poche parole, che mi dettarono l'a- mor de' miei simili e l'onore di Roma , chiuderò il breve mio ragionare con dirvi: che il regolamento in- terno sarebbe già stato sancito , se il consiglio non avesse pensato, che ricorrendo al cader di quest'au- Cassa di risparmio ig no U elezione di una parte de' membri che compor debbono il consiglio di amministrazione, non fosse ben fatto di lasciare a' novelli consiglieri il dar V ulti- ma mano ad un cosi importante lavoro: che il con- siglio amministrativo avendo sempre a cuore , sicco- me glie ne corre l' obbligo , di ben provvedere alla più sicura ed alla più utile erogazione de'fondi, che largamente dal pubblico gli si affidano , ha fatto sì che per un formale e solenne contratto i più rispet- tati uomini di questa society della cassc^, ed altri da questa estranei, acquistassero il più gran numero del- le azioni della banca romana (contratto, del quale or ora si farà parola, e vi darà una più precisa, cor^tez- za l'egregio e prudentissimo nostro direttore): che la cassa succursale aperta nel rione di Trastevere dà sempre più a bene sperare di se, incominciando il pò. polo di quella parte di città a pregiarne l'utilità ed il vantaggio: che le premiazioni, forte sùmplo ad ac- crescere i piccioli depositi, sono state nel caduto an- no eseguite con le solite norme e coi consueti ap- provati ordinamenti: e che finalmente le relazioni con le altre casse tanto estere, quanto dello stato, si man- tengono sempre più ferme ed amichevoli. Al che infine permettete di grazia che aggiun- ga, che a far ognor più crescere questa nostr^i cassa in onore, e farla sempre più servire al pubblico be- ne, di niente altro più abbisogna che delFaiuto vo- stro, o signori, presentandovi diligentemente alle ge- nerali ragunanze, e caritativamente accorrendo, quan- do vi siete chiamati, ad assistere in ispeci^l modo a questa amministraziorie ed a quella della succursale, le quali talvolta difettano di chi le presieda e le cu- ri. Imperocché dovete por mente, che tanto le pub- 20 Scienze Miche e sanie instituzioni fioriscono, quanto coloro che ne fanno parte si mantengono in quel caldo pro- posito, ed in quel fermo amore che gli spinsero ad istabilirle e a fondarle. V. Slille azioni della banca romana^ discorso letto nella sessione generale dei z'Ò luglio i^^i dal direttore Agostino Feoli^ Permetterete, o signori, ch^o vi faccia risovve- nire le espressioni, con le quali chiusi il mio ultimo rapporto sottopostovi col bilancio dell'anno i838. Rt- peterò le precise parole. « La cassa di risparmio (dis'- si in quello) non manca di fortuna o di credito, ma di più consolidati metodi e di più ampie e moltipli- ci vie alla erogazione dei fondi. Nuovi concetti di rinvestimenti, ben maturati e sagacemente messi in pratica, non è da dubitare che non possano produrre nella nostra città un secondo beneficio non men del primo utile e desiderabile ». Sarà mio , o signori , il dovere di coltivare quest'idea tentando d' immaginare o di suggerire al- cun progetto, che serva insieme a dimostrare come e quanto io stimi l'onore che, in segno di aggradimen- to dei miei deboli servigi, la società mi fece nel no- minarmi direttore della cassa del futuro triennio. Ciò che promisi dovevo con ogni sforzo tentare di osservare; tanto più che vedevo da un lato di giorno in giorno aumentare i capitali affidati alla cassa , e diminuire dall'altro le occasioni di adatti e sicuri rin- vestimenti dei medesimi. Cassa di risparmio 21 Già prendeva presso il pubblico una dispiacen- te consistenza quel detto (voi ben lo rammentate) che la nostra cassa presto o tardi perirebbe d'idropisia, e che la banca romana per effetto di etisia cesserebbe di esistere. Esagerate, ma non del tutto prive di fon- damento, erano le voci: ed a farle smentire occorre- van dei fatti. Immaginai di curare con un sol far- maco due malattie d'indole affatto opposta fra loro- ed opinai di predisporne da me solo i metodi, per quindi dar loro esecuzione in unione di pochi col- Jeghi cui facilmente avrebbero fatto seguito molti al- tri, la coopcrazione dei quali favorirebbe il compi- mento dell'opera. In qual modo abbia fin qui disim- pegnato le due prime parti , e ciò che resti a fare perche 1 ultima, cioè la più importante, sia coronata da febee successo, questo è quello, o signori, che se mei concedete intendo brevemente dimostrarvi. Allorquando fu istituita in Roma la cassa di ri- sparmio, già trovavasi fondata la banca, romana di no- me, ma straniera di proprietà : perchè alcuni buoni oltramontani nella mira di rendersi benemeriti, e nel- la lusinga di fare un utile impiego dei loro fondi, era- no qui venuti ad impossessarsene. Ben diversi furo- no 1 primordi della nostra cassa, che umile nacque e povera di mezzi, né altro vantar poteva che nomi fi Illustri patrizi e di onorati concittadini. Poco però tardo a manifestarsi il potere, che la forza morale eser- cita su quella materiale. La banca, benché fornita di capitah e sostenuta da privilegi , non riuscì a con- servare 1 primi, né a trarre profitto dai secondi: lad- dove la cassa rapidamente prosperò in maniera, che §li amministratori della stessa poterono dichiararsi pronti a venire in soccorso della banca e a procu- 22 Scienze rarle un risorgimento. Non piacque agli esteri l'of- ferta, perchè troppo urtava il loro amor proprio: qua- siché, inetti a sostenere l'impresa, fossero astretti di sottomettersi ai romani. Sperarono piuttosto che pren- dendo questi in aiuto collettizio, avrebbero potuto e conservare il dominio, e migliorare la loro sorte. Né del tutto vano riuscì il loto divisamente: poiché se non giovò a far prosperare la banca, servì almeno j mercè delle Sollecitudini e della sagacità di chi ne as- sunse il governo , a reprimere la progressività della rovina, ed a procacciarle quel principio di credito che in addietro non mai avea potuto ottenere. Così eran le cose nel principio dell'anno cor- rente: quand'io, non atterrito dall'antica ripulsa, feci manifestare in Parigi al comitato della banca romana òolà residente, ch'ero pronto di acquistar tutte le azio- ni della banca stessa, o almeno una quantità non mi- nore delle due terze parti della totalità del prezzo corrispondente al loro valore reale. Dopo molte pratiche , come in simili trattati suole accadere , il contratto, per me solo obbligatorio, venne da me fir- mato in Róma li 3ì marzo passato, e quindi in Pa- rigi li 12 aprile dai membri del comitato della ban- ca romana, i quali si riservavano la facoltà di rati- ficarlo o annullarlo entro il mese di maggio : asse- rendo essere necessario tanto spazio di tempo per rac- cogliete le soscrìzioni di ciascun singolo azionista , senza le quali il contratto non poteva rendersi defi- nitivo. Questo primo successo mi fece strada a procu- rarmi quel ristretto numero di compagni, che m'ero prefisso di associare : e la facilità, con la quale vidi distintissimi personaggi, senza mira di lucro ma per Cassa di risparmio 23 amore di pubblico bene, mostrasi pronti a secondar- mi nella incerta impresa , sarà per me di perpetua onorevole rimembranza, come per loro d'inestinguibi- le gloria. Fu allora cbe la prima volta, nell'adunan- za ordinaria della cassa di risparmio de' 28 aprile ul- timo, presentai un proggetto di rinvestimento garantito dalle azioni della banca romana; narrai in quello i sopraenunciati fatti, e dissi: « Cbe non proponevo di porre la cassa in com- partecipazione dell'acquisto delle azioni della banca, perchè l'operazione era di natura commerciale, e per- ciò soggetta a quelle vicende, alle quali gli ammini- stratori delle altrui proprietà non debbono avven- turarle. « Che utile stimavo in vece, che la cassa sommi- nistrasse agli acquirenti delle azioni il valore appros- simativo delle medesime contro il deposito delle azio- ni a garanzia , e con la rilevazione di persone soli- de per qualunque differenza di valori; in guisa che niun rischio o responsabilità potesse mai correre la cassa di risparmio. « Cbe un tale contratto procurerebbe alla cassa un impiego stabile di se. 3 a /pò» 000: mentre per patto espresso intendevasi d'imporre, a chiunque vo- lesse divenire proprietario delle azioni, l'onere di pren- dere dalla cassa la somma presso a poco equivalen- te al valore delle medesime. « Che fissandosi , come suggerivo , l'interesse del danaro al quattro e mezzo per cento all'anno, questo avrebbe corrisposto al cinque , che apparentemente per ogni rinvestimento si ritira , ma che intrinseca- mente nel giro dell'anno non si ottiene per le ine- vitabili giacenze del danaro. 24 Scienze a Aggiunsi che la cassa, collegandosi in sìmil mo- do con la parte influente degli azionisti della banca, era naturalmente per divenire alleata di quella: e ciò stante, poteva collocarvi in appresso qualunque altro capitale che le convenisse di versarvi, con sicurezza di poterlo richiamare, a misura de'bisogni anche im- provvisi o straordinari. « Che tranquillizzati gli amministratori della cas- sa su questo importantissimo punto , potevano fran- camente occuparsi di maggiori rinvestimentl ipoteca- ri, benché a lunghe scadenze, o con sisleiui di am- mortizzazione; risorsa fin qui incognita del nostro sta- to, ma che potrebbe esser causa d'immensi economi- ci risultamenli. « Conchiusi infine, essere questo il modo di dare alla cassa la gloria di promuovere que'nuovi benefi- cii, de'quali io avevo dato un cenno nell'anno i838; spargendo cioè indirettamente, con giusto equilibrio e senza rischio, in utilità di molti quel danaro che da molli veniva alla sua cura affidato. » Le mie osservazioni, sott'ogni aspetto esaminate dal consiglio, l' indussero ad approvare ad unanimi- tà di pareri il progetto. Intanto al finir di maggio il contratto fu rati- ficalo in Parigi per oltre due terze parti delle azio- ni, com' erasi convenuto: e prima della metà di giu- gno ne giunse qui la notizia. Fui sollecito di ren- derla palese, e di far conoscere essere intenzione e desiderio dei colleghi, che l'interesse delle azioni ve- nisse possibilmente distribuito ed ai soci della cas- sa ed a chiunque se ne mostrasse bramoso, in gui- sa che la banca romana divenir potesse il patrimonio di molti ; e ben accolta dal pubblico parmi ne sia stata la disinteressata esibizione. Cassa di risparmio 25 Tale, o signori, è la storia de'fatti ch'io mi ri- serbai di manifestarvi subito che mi fosse dato di ve- dervi riuniti, e per la parte che vi avete come soci della cassa, e per quella che potete avervi come azio- nisti della banca , quando sullo speciale invito, che da'miei colleghi ve se ne fa, desideriate di esserlo. Non è qui del mìo incarico, ne alla vostra pe- netrazione oserei fare il torto di enumerare i vantag- gi che uno stabilimento di pubblico credito, come la banca, possa recare alla nostra capitale, ed allo sta- to intiero. Voi ben sapete concepirli. A me basta, e sarà mio vanto e largo compenso alle mie deboli cu- re, se il riflesso delle operate cose può ora indurvi a dire in voi stessi con sentimento di compiacenza: « La banca è resa una proprietà nazionale, e parte del merito n'è dovuto alla nostra cassa : questa va con quella ad allearsi, e noi soci dell'una possiamo, vo- lendo, divenirlo dell'altra: svanisce il pregiudizio che nulla sappiamo commercialmente operare senza la gui- da di esteri precettori; e sorge fra noi quello spirito di associazione che dà vita ad ogni utile impresa. » Coltiviamone lo sviluppo: io non demeriterò, signo- ri, l'onore di esser vostro compagno. — »t^©Q^^-<==- 26 SidV amore dell'uomo verso il maravìglioso. Di-' scorso del rev. P. Giuseppe Giacoletti delle scuole pie^ professore nel collegio nazareno^ letto alt accademia tiberina il dì ai giugno 'e io riputiàssi su qualche solido fondamento ba- sala la craniologia di Gali, direi che un organo de' più pronunziati e distinti , né solo a certi uomini pertinente, ma esteso pressoché a tutti i cervelli, si fosse quello dell'amore verso il mirabile o della tau- mastojilia. Tanto questo amore é dall'universale de- gli uomini sentito ed espresso ! Ma dovendosi quel sistema confinare per la massima parte fra i sogni ed i romanzi della fisiologia, converrà cercare altrove le cagioni del gran trasporto che muove 1' uomo verso le cose mirabili. Intorno a ciò non ignoro che è stato già detto e si ripete universalmente a forma di proverbio « che la causa della maraviglia è l' igno- ranza ». Nondimeno quanto peso si abbia a dare a siffatta proposizione: se ella sia vera in tutto o solo in parte: e se d'altronde che dall'ignoranza si deb- ba stimar derivato quel concepimento dell'intelletto e quel sentimento dell'animo che si appella maravi- glia, questo io mi studierò d'investigare, consideran- do dapprima alcuni fatti più ragguardevoli e capaci di stabilire le premesse di una legittima induzione. Rinvenute, se pure mi fia possibile, le cagioni che in noi producono cotesto amore , passerò in seguito a Amore del maraviglioso 2^7 far breve parola degli effetti , che dallo stesso amo- re derivano. Non è dubbio che ne'secoli più barbari il tra- sporto per le cose mirabili siasi spiegato e dimostra- to più ampiamente e fortemente che mai; come ad- diviene puranco di presente fra i popoli incolti e sel- vaggi, e tra l'infuno volgo delle nazioni civili. Pro- va evidente ne sono gli augùri , gli aruspici ed altri presagi con tanta venerazione coltivati e seguiti dall' antichità , sebbene si fondassero su falsi giudizi e su vane apparenze. Quando mai si è prestata fede più cieca ai maghi, ai fattucchieri, alle streghe, che nei bassi tempi, immersi in altissimo buio d' intelletto ? Ed il ravvisare con ciglia inarcate per ammirazione nelle innocenti comete le infauste foriere ed appor- talrici di pesti, di guerre, di carestie e d'altre cala- mità, era pregiudizio pressoché universale di altre età meno illuminate di questa nostra dalla benefica luce delle scienze e delle lettere. Oggidì sappiamo da ve^ rilieri geografi e scrittori di viaggi che cotesti erro-»' ri maravigliosi, od altri somiglianti, durano tuttavia e tengono possente impero sugli animi delle genti rozze e selvagge che abitano le bollenti arene del- l' Affrica o i gioghi dell' Imalaia o gli ampi boschi d'America. Anzi pure fra il volgo della colta Euro- pa e di questa nostra coltissima Italia regnano tut- tora superstiziose e puerili credenze intorno a sogna- te e chimeriche maraviglie. Il che si rende manife- sto dall'attenzione che porgono cotesti indotti ai rac- conti di straordinari e fantastici avvenimenti ed alla rappresentazione di assurdi e mostruosi spettacoli fatta in sulle scene de'teali'i più popolari. E lo comprova eziandio il credere che essi fanno così di leggieri ai sogni, alle cabale, alle imposture de'ciurmadori. 28 Sciènte Dal fm qui detto parrebbe doversi conchiudere, esser veramente l'ignoranza l'ubertosa sorgente della maraviglia; e che tolta quella di mezzo, questa ces- serebbe ad un tempo. In sostegno della qual conclu- sione potrebbero eziandio cbiamarsi i fanciulli e la più parte delle femmine, che per difetto d'esperien- za e dottrina corrono desiosamente là dove credono trovare alcun che di maraviglioso e non pria veduto né udito 5 e si ammirano di tante e tante cose , le quali pur sono le più semplici ed ordinarie. Ma che tal conclusione sia per lo meno preci- pitata ed incompleta , slimo si possa per ora dimo- strare con un'altra serie di fatti , di cui siamo noi stessi testimoni e talora anche parte, in questo seco- lo, che certo non patisce inopia di cognizioni e di nno accorgimento. Non si narrano forse a'dl nostri, non si registrano forse perfino ne'giornali scientifici, mille prodigi operati sull'anima e sul corpo dell'uo- mo dal così detto magnetismo animale ? Non si cre- dono forse da molti puranche letterati e scienziati colali narrazioni ? Non si mette forse in pratica da molti medici anche dotti questo mezzo tenuto per efficace a guarire gran numero di malattie ? Lo stes- so avviene dell' omiopatìa. Molti e grandi sostenitori della medesima, molti seguaci, molte cure, se non ope- rate almeno inserite ne'giornali, recano molto argento nella borsa degli allievi di Hanneman. Né qui si può ricorrere all'ignoranza come a madre feconda di que- sti e d' altri maravigliosi sistemi. Imperocché basta aver occhi per conoscere gran copia di fatti in con- trario: basta aver dramma di criterio e di raziocinio per conoscere cento ragioni che provano l'insusslsten- za e l'assurdità di queste misteriose dottrine: ma gli Amore del maraviglioso 29 occhi da molti non si vogliono adoperare , si dissi- mulano i fatti sfavorevoli , i ragionamenti si ricusa di farli, e si cercano cavilli contro i sodi argomen- ti. Tanto è l'amore per le cose mirabili , che s'im- possessa puranche delle menti più dotte e svegliate! Sebbene qui in taluni a siffatto amore ne vada con- giunto un altro non meno forte e persuasivo, voglio dire l'amor del danaro. Ma se la fame dell'oro muo- ve in parte i mesmeriani e gli omiopatici curatori a decantare e metter in opera i loro portentosi trova- ti; il solo amor del mirabile è quello che anima la illusa schiera de' loro clienti e seguaci. Cosi fu la cupidigia dell' oro che spinse quel cotale astronomo francese a pubblicare le supposte scoperte del mondo della luna attribuite falsamente al sommo Herschell, e trar quindi quel frutto di che gli era avara la cal- colata e verace astronomia: ma la passion del mira- bile fece correr tanti a cercare, a pagar caro, a leg- gere avidamente quel libro, stampato per illudere mol- ti viventi nel secolo illuminato : e gli uomini pipii- strclli , e gli stupendi papaveri e tulipani lunari e le montagne di diaspro e di rubino si cattivarono per qualche tempo la fede di molti intelletti non vol- gari. Taccio le ammirande scoperte fatte al polo artico da quel russo navigatore, e forse da parecchi riputate, se non vere, almen verisimili: taccio la fre- nesia di molti autori a scrivere romanzi prodigiosi e stravaganti , e di molti leggitori a formarne le loro più care delizie: taccio finalmente i mirabili castelli fabbricati in aria da tanti pulitici pensatori , dotati per altra patte di retto senso e di perspicacia. Tra- lascio queste ed altre cose mirabili, bastando i fatti che ho recati in campo in questa seconda serie a 3o Scienze farne avvisati, che la maraviglia e 1' amore per essst non è dunque, sempre ed essenzialmente l'effetto delV ignoranza. Ma v'è ancora di più a confermare la verità di quest'asserzione: vale a dire che spesse volte la ma-, raviglia è originata dalla scienza, cioè dal princìpio diametralmente opposto all'ignoranza. La qual propo- sizione acciò sia messa in più chiara luce, e si ven- gano mano mano svolgendo i miei pensamenti sul!' intero soggetto che ho preso a trattare, creda oppor- tuna di di&tinguere tre generi di maraviglia: l'uno è dei sensi, l'altro della fantasia, il terzo dell'intellet- to* Ne cotal divisione potrà dirsi da taluno arbitra-i ria ed ipotetica; dappoiché è stabilita sui fatli ester-i ni da noi percepiti, e sugli interni delT intinga co-. scienza. Ed in vero, tutte le impressioni forti, inaspetta-, te, straordinarie fatte sui sensi, destano sorpresa ed ammirazione. Non già che io creda i sensi capaci del- l' ammirazione propriamente detta ; ma intendo dire che essi ne sono la causa immediata; imperocché scuo- tendosi fortemente all'urto degli obietti esterni, pon- gono l'anima in uno stato di viva sorpresa e confu- sa maraviglia. Se non che, i sensi medesimi presen- tano anch'essi non equivoci indizi dell' interna affe- zione dell'anima, e paiono essi pure ammirati e sor- presi. Il restare immoto della persona, Tinarcar delle ciglia , il tendere e l' aguzzar degli sguardi e delle orecchie, l'allungare il collo, lo spalancar la bocca, costituiscono, per così dire, l'esterna ammirazione dei sensi, corrispondente all'interna dell'animo fortemen- te e confusamente commosso. Non m'intrattengo a no- verare fatti particolari su di ciò , essendo moltissi-. AmoÌve del maraviglioso 3i mi e notissimi a ciascuno : bensì ragionerò alquan> to su questi fatti medesimi. Onde nasce questo ge- nere di ammirazione e di stupore ? Certo è qhe la novità delle impressioni molto vi contribuisce; e quin- di si può dire che molto vi contribuisca l'ignoranza, precedendo questa alla novità delle impressioni. Un villico non abituato ad altre vedute, fuorché a quel-i le di monti, di boschi e di capanne, resta grandemen- te sorpreso al suo primo entrare in una elegante e magnifica città, ed al mirare la bellezza e l'ampi ezji za delle strade, delle piazze, degli edlfizi, delle ric^ che merci, del popoloso concorso di gente : mentre in un abitante della città medesima questo maravigliar- si non ha luogo, conciossiachè egli viva assuefatto a, cotali sensazioni. Ma oltre alla novità delle impres- sioni , può molta eziandio la loro forza e vivacità ; purché non arrivi al punto di scuotere soverchiamen-. te gli organi e di offenderli. La vista dell' immenso cielo sereno e sparso di stelle innumerevoli in una notte tranquilla ; lo spettacolo di una bella aurora nascente in un giorno di primavera ; la prospettiva di un numeroso esercito , vario di armi e di vesti-, menta, schierata in battaglia; sono scene che impri-. mono di maraviglia i sensi puranche dell'astronomo, del fisico, del guerriero, avvezzi a contemplare notti serene, aurore nascenti, eserciti ordinati. jMon si do- vrà dunque pensare che in questi casi l'ammirazione proceda da ignoranza: ma l'ascriveremo con più di-s ritto al sommo grado di naturale esercizio, e per-! fezione, cui pervengono i sensi: grado che forma l'a-- pice del piacere, e confina col dolore senza però, tac-i cario. Avvegnaché, siccome la natura ci ha dotati del- la facoltà di sentire e degli organi sensori pel ao- 32 SciENZSE stro corporeo ed intellettuale perfezionamento, perciò ha congiunto col loro esercizio un diletto che serve di stimolo a farne un uso moderato e conveniente alla natura medesima; la cima del qual diletto è ap- punto la maraviglia , di che andiam favellando. Ma ove quest'uso degli organi voglia estendersi al di là della loro potenza, nasce lo sforzo, e la maraviglia degenera in dolorosa impressione. Quindi si potrà in- ferire, che l'amore verso le cose mirabili rispetto ai sensi è lo slesso che l'amore del massimo piacere che deriva dal massimo grado di esercizio dei sensi me- desimi entro i lìmiti convenienti a natura: ma l'amo- re verso il diletto, ossia verso il bene, è un senti- mento primitivo dell'animo, che si confonde col de- siderio della propria felicità : dunque sarà giusto il conchiudere, che questo amore verso il maraviglioso spettante ai sensi è una legge primitiva ed universa- le dell' umana natura ; la quale sarà bensì talvolta preceduta dall'ignoranza, ma non dovrà dirsi solamente I un effetto di questa. Vediamo ora a quali conseguen- ze ci condurrà la considerazione delle maraviglie di fantasia. Nessuno ignora che la fantasìa è la facoltà non solo di riprodurre le immagini delle cose passate; ma ! benanche dello impicciolire, dell'ingrandire, del de- comporre e ricomporre in cento diverse maniere si | le passate e sì le presenti. Ciò posto, la maraviglia ! di fantasìa o può derivare dagli obietti stessi quali ce j 11 presenta natura , o dalle nuove composizioni che la mente va operando delle idee attualmente perce- pite o riprodotte. Alla prima specie appartengono i fenomeni più grandi e solenni di natura : quelle immense catene di monti dirupati che nascondono Amore del maraviglioso 33 la testa nelle nuvole, e cui fanno cerchio le più ter- ribili meteore; quelle tempeste che sollevano i flutti ad enormi altezze, accompagnate da fulmini e da tuo- ni; i vasti precepizi, le ampie mine, il furore delle passioni, le stragi della guerra, e Feroismo nel suo grado più sublime. Ma perchè siffatte scene eccita- no cotanta maraviglia ? Perchè la fantasia tanto si piace di considerarle e di riprodurle ? Forse perchè s'ignorano le cagioni e le circostanze di si grandiosi fenomeni? Ma gli ammira egualmente il rozzo villa- no, cui esse cagioni sono all'intuito nascoste, ed il fdosofo che le ha investigate ed in gran parte scoper- te: anzi questo le ammira più assai di quello, come meglio apparirà tra poco. Bensì la causa della mara- viglia è qui riposta , parie nella natura stessa della fantasia , parie nella natura delle cose ad essa rap- presentate. Sente ciascuno, purché tronco o ghiaccio non sia, che l'immaginazione non conosce limiti, sde- gna i ripari, ed ama slanciarsi nell'immenso e nell' infinito. Ora idee di vastissima estensione , di altez- za trascendente, di forza straordinaria, di raro valore, sono quelle appunto che più esteso e più libero schiu- dono il campo a siffatti voli di fantasia. Perciò l'ani- ma vi spazia per entro, si appaga di se slessa, e si compiace di sentir se medesima cosi grande , come quella che è capace di levarsi a sì grandi cose. Ond'è che questo appagamento, questa compiacenza intrin- seca, genera l'amore verso colali maraviglie. Quanto poi al far nuove sintesi o composizioni d'idee in tal guisa, che ne risulti un lutto mirabile; queste sintesi potranno essere o razionali o irrazio- nali. Le seconde producono un'ammirazione falsa ed illusoria, la quale certamente segue dall'inconsidera- G.A.T.XC. 3 34 Scienze zione e dall'ignoranza : ma l'ammirazione, che pro- viene da quelle prime, è solida, profonda, durevole; ed anziché all'ignoranza o all'impotenza, si deve attri- buire alla forza ed alla perspicacia della mente. Qui gioverà venire ai fatti per ben chiarire 1' accennata distinzione. Ignorandosi la vera cagione di una gran calamità che affligga la terra, ma nel medesimo tempo scorgendosi in cielo una cometa; la fantasia associa insieme le idee di essa calamità e della cometa per mo- do, che ne rappresenta questa siccome causa di quel- la. Ecco una sintesi irrazionale , che porge un' idea mirabile, ma falsa, del potere delle comete. Parimen- ti un rustico, il quale non conosce tutte le finezze della scienza umana o dell'astuzia, attribuisce all'ope- ra del demonio, ovvero a quella immediata di Dio, ciò che non è se non destrezza d' un giocoliere , o impostura d'un alchimista, o naturale fenomeno. Quin- di traggono loro origine tante popolari illusioni an- tiche e moderne d'oracoli, d'augùri, di magìe, di esta- si, di falsi ossessi, di falsi miracoli, e di cento altre cose. Nelle quali cose tutte , sebbene da ignoranza dipenda il supporre cagioni sovranalurali e mirabili ove punto non esistono: tuttavia è da notarsi l'amo- re ed il piacere, con cui le menti volgari si porta- no piuttosto ad immaginare siffatte cagioni maravi- gliose , che a cercare i mezzi acconci a dissipare i loro errori, ed a cedere all'autorità ed ai ragionamen- ti dei dotti, i quali vorrebbono trarle d'inganno. La qual cosa sembra dimostrare che l'amore verso il ma- raviglioso di fantasia, anche in queste menti rozze e pregiudicate , è fondato sovra un principio di natu- ra che ha l'ignoranza per compagna, anziché per ma- dre e produttrice. Amore del maraviglioso 35 Ora vengliiamo ad esempi di sintesi " immagina- tiva razionale, esempi che si potrebbono ricavare in gran numero da vari fonti, precipuamente dalle belle arti. Un poema magistralmente architettato ed esegui- to, quali sono quelli d'Omero, di Virgilio, dell'Ario- sto, del Tasso, contiene molte immagini maravigliose, se non vere, almeno verisimiii e convenienti ad una fantasia calda bensì ed attuosa , ma non isfrenata e stravagante, tranne forse alcune. Io non m'intratterrò a particolareggiare questi passi immaginosi e stupendi; ma osserverò che siffatte immagini furono sentite e ri- conosciute mirabili, e come tali vagheggiate ed espresse da quegli stessi autori che le concepirono; nò certo per ricliiamarle ben cento volte al loro pensiero, e rileg- gerle ne'loro scritti, veniva perciò meno il senso di lor maraviglia; e come tali si reputano tuttavia, e si amano e si ammii'ano dai leggitori che hanno mente e cuore. Si dovrà egli dire che l'ignoranza cagioni que- sta maraviglia ? Tutto all'incontro, essa è riposta nella cognizione della elevatezza, vivacità e forza delle idee combinate, e nell'ordine armonioso e perfetto delle lo- ro combinazioni. Oltre a ciò raccogliendoci attenta- mente in noi stessi, ravviseremo di leggieri, che sic- come per natura tendiamo sempre al bene ed alla feli- cità; cosi un principio della natura medesima si è il desiderio della propria grandezza. Quanto piìi gran- di noi conosciamo noi stessi, e come tali siamo co- nosciuti e stimati dagli altri , tanto più resta appa- gato il nostro amor proprio. Ora nelle discorse com- posizioni d'idee sublimi e trascendenti re'sta appunto soddisfatto questo amore della propria grandezza, sic- come ha già fatto osservare qualche distinto metafi- sico: perciocché l'anima si compiace grandemente di 36 Scienze avere facoltà così elevate e potenti da concepire ed esprimere cose tanto vaste, sublimi e splendide, che l'inalzano al di sopra dell'ordinario stato, ed in cer- ta guisa l'avvicinano all' altezza ed alla immensità dell'ente creatore. Quindi ama fortemente non solo d' ideare e di esternare questi grandi concetti , ma eziandio di considerarli e vagheggiarli nelle opere suo stesse o nelle altrui. Ma qui si ponga mente come il desiderio della propria grandezza, non contenuto en- tro ai limiti prescritti dalla morale e dalla ragione, degenera in orgoglio e puranco in follìa ; stanteche l'uomo tiene allora siccome grandi oltremodo e mi- rabili le proprie cose, quantunque non meritino nel loro intrinseco cotanta stima. Non di rado incontra vedere ed udir taluni, i quali, imitando il soldato va- naglorioso lodatore delle sue imprese, magnificano le loro bagattelle così altamente e così spesso, che giun- gono perfino a dipingersele abitualmente nella fanta- sia, ed a crederle di buona fede le più singolari ma- raviglie ed uniche al mondo. Ne solo è frequente sif- fatto orgoglioso sentire di sé ; ma rade volte avvie- ne che la follìa abbia altra base , fuorché il deside- rio ed il sentimento della propria eccellenza, almeno in qualche genere di cose. Il quale aberraraento di morale e di ragione se è da disapprovarsi e da com- piangere ; non per questo cessa di confermare , che l'amore verso il mirabile spettante alla fantasia si ri- duce al desiderio della propria grandezza , e quindi all'amor di se slesso, cioè all'universale e primitivo desiderio del bene e della felicità. Resta a dire della maraviglia d'intelletto. Questa può aver luogo segnatamente nelle scienze e nelle arti meccaniche ; e tanto è maggiore, quanto più la Amore del mabaviglioso 3 7 mente dell'uomo è fornita di scienza, e scevra da igno- ranza e da errore. Imperocché tanto più si ammira un'opera grande e difficile, quanto meglio si sa cal- colare la rarità del disegno , le forze intellettuali e fisiche impiegate nel comporla, le durate fatiche, le superate difficoltà. Supponghiamo che l'oriuolo , in- ventato e costruito per lo primo a ruote, si fosse of- ferto agli sguardi di due diverse persone, l'una delle quali ignorante, massime in fatto di meccanica, e l'al- tra all'incontro in questa scienza bene addottrinata. Qual de'due spettatori si sarebbe maggiormente ma- ravigliato di quell'ordigno ? La grossezza del primo sarebbe rimasta pressoché indifferente , mentrechè la perizia del secondo avrebbe stupito in rilevare la no- vità, l'ingegnosa struttura, lo squisito lavoro e l'uti- le scopo di essa macchina. Intanto qui pure con- corre a produr la maraviglia quella compiacenza , che si prova nello esercitare le facoltà intellettuali in altissimo grado, e nel sentire la propria grandezza. Il che se principalmente si avvera degli autori di siffatte opere rare e stupende, non manca del tutto in quelli che le sanno discernere e valutare; perchè appunto si conoscono da tanto, e si compiacciono di appartenere a quell' umana natura , che può sa- lire a tanta altezza di sapere e di potenza. Chi poi non è in grado di scoprire la grandezza e l'im- portanza della cosa in se stessa, ma pure ha tanto senno da apprezzarne gli effetti, e vederne alcune relazioni con altre cose, proverà una maraviglia in- determinata e confusa, la quale ecciterà il desiderio di studiare e conoscere quella cosa medesima. Ma questo desiderio del sapere è un principio che si confonde, non meno che gli altri di sopra osservati, 38 Scienze col desiderio universale del bene e della felicità: dan»' qua neppur in questo luogo è giusto il dire che la maraviglia nasca dall'ignoranza. F,d in vero l'ignoranza può essere solo e semplice antecedente, ed esistere sen- za il desiderio del sapere, come avviene non solo nei bruti , ma eziandio in tanti esseri del genere umano grossi di mente e neghittosi. Il massimo grado di maraviglia intellettuale è quello che viene eccitato dalla vista dei veri miracoli. Ed anche questa maraviglia è piìi solida e vera nelle persone illuminate che nelle ignoranti. Perocché que- ste, non conoscendo se non pochissimo le leggi e le forze della natura, non comprendono abbastanza quan- to sia grande e mirabile quel potere divino che so- spende esse leggi e supera esse forze con forze mag- giori e straordinarie. Il perchè spesse volte colla sin- tesi irrazionale di fantasia pongono 11 miracolo ove punto non esiste. L' uomo sapiente all'incontro am- mira l'immediata azione della mano deirOnnipotente là dove scorge l'impossibilità che i portenti siano ef- fetto delle leggi, forze ed azioni naturali. Perciò di- stingue più agevolmente e piìi sicuramente i veri dai falsi miracoli, e quelli ammette, e questi rifiuta. Dal che si rileva , che sebbene da mente umana non si possa raggiungere in tutta la sua estensione ed al- tezza la sapienza e potenza infinita di Dio: cionon- pertanto il filosofo, nell'osservare i miracoli, deve la sua maraviglia alla scienza che possiede dei naturali fenomeni , ed alla conoscenza della divina superio- l'ità sulle forze della natura. Ne si può revocare in dubbio l'amore che trasporta anche il dotto a vede- re e conoscere sovrannaturali avvenimenti; ma d'al- tronde questo amore non si potrebbe ripetere, come Amore del maraviglioso So quello che spinge al mirabile di natura, dalla com- piacenza cui produce il sentimento della propria ca- pacità e grandezza, poicliè simili forze sono al di so- pra delle umane facoltà: dunque resta che si cerchi in un altro principio, il quale, se io non erro, è appun- to il desiderio d'una felicità maggiore di quella che ottener si possa nella vita presente. Sì, il desiderio di conseguir cognizioni, godimenti e potenze di un or- dine superiore a quello di questa vita mortale e di questo mondo visibile, costituisce l'amore verso il ma- raviglioso soprannaturale. Ora, raccogliendo in poche parole le principali deduzioni fin qui ricavate, saremo in grado di stabi- lire i seguenti teoremi; i. L'ignoranza può precedere la maraviglia, ma non è di essa la vera cagione; 2. L'amore del mirabile, che riguarda i sensi, nasce dal diletto che va congiunto col maggiore e più perfetto esercizio dei sensi medesimi; 3. Nel mirabile di fan- tasia lo stesso amore deriva insieme dal diletto che si prova nell'esercitare in alto grado le facoltà dello spirito, e dal desiderio della propria grandezza; 4. Nel mirabile d'intelletto la maraviglia è in ragione della scienza; 5. Nei veri miracoli l'amore verso il maravi- glioso nasce da quello di una vita futura e sovran- naturale. Dopo di avere investigate fin qui le cause di quel- la passione pel maraviglioso, che è così universale tra gli uomini, passerò a far parola degli effetti che da essa derivano ; standomi però contento ai piii prin- cipali, per non eccedere i confini segnati da conve- nienza ad un discorso accademico. Pertanto comincerò dall'osservare, che questa uni- versale tendenza verso il mirabile sarebbe di già un 4o Scienze argomento per comprovare, che si danno veri miraco- li, oVe la possibilità e 1' esistenza de' medesimi non poggiasse d'altronde su prove ancora più forti e so- lenni. E di vero, siccome dal desiderio della felicità sentito da tutti gli uomini, ma non mai soddisfatto nella vita presente, si trae un argomento per la ve- ra felicità, ossia per la vita futura; cosi dalla comu- ne brama del maravlglioso si dee concliiudere 1' esi- stenza di vere maraviglie superiori alle ordinarle e na- turali : conciosslachè di queste l'animo non è mai pa- go abbastanza , ma vola sempre più alto a cercarne delle nuove e trascendenti. Anzi avendo noi più so- pra veduto, che l'amore dei veri miracoli si confonde con quello della propria felicità, non parrà cosa stra- na l'asserire che la passione del maravlglioso è una prova dell'immortalità dell'anima. Un secondo effetto della medesima causa è la curiosità. Quantunque io non abbia ammesso, se non in ristrettissimi confini, il detto che « la maraviglia è figlia dell'ignoranza » non per questo rigetterò, o restringerò a pochi casi l'altra parte di esso prover- bio, la quale dice « che la maraviglia è madre del sapere. » Imperocché il desio del sapere è uno degli slimoli più possenti e più nobili, onde la natura spln-' gè 1' uomo a procacciare la propria felicità ; e cotal desìo non è dubbio che cresca in ragione della no- vità, della grandezza e della sublimità delle cose da sapersi. Le cose pertanto che producono la maravi- glia , essendo quelle che riuniscono siffatte qualità , solleticano fortemente a cercarne le cagioni, i modi, le circostanze. Ne solo la maraviglia risveglia nell'animo il de- sìo del sapere, ma sì ancora quello di operare degne Amore del maraviglioso 4* e grandi cose. Come gli eccellenti lavori d' ingegno e di mano, l'eroiche virtù, le nobilissime imprese, de- stando in noi il sentimento della maraviglia ci muo- vono ad encomiare ed a slimar grandemente i loi'o autori fortunati : così per conseguire anche noi que- sto grande elemento dell'umana felicità, e provvedere alla nostra grandezza, venghlamo infiammati dall'amor della gloria, cioè dal desiderio di operar maraviglie : null'altro essendo la gloria, se non una fama per e- stensione di luogo e di tempo maravigliosa, derivata da opere maravigliose d'ingegno o di mano o di cuo- re. A qual impulso precipuamente si devono le vive tele e parlanti di un Apelle e di un Sanzio, le sta- tue animate di un Fidia e di un Canova, le celesti armonie di un Cimarosa e di un Rossini, le grandi scoperte degli Archimedi, de'Galilei, de'Newtoni, se non a quell'amore verso il maraviglioso, che esalta la mente di chi lo concepisce e lo scopre, e fa che si compiaccia di crescere nell'estimazione altrui fino alla maraviglia ? Ond'ebbe sua prima origine il valore e la prudenza di tanti capitani che resero immortale il loro nome con le vittorie e le conquiste; onde le esi- mie virtù di tanti eroi, che si distinsero per opere in- signi di pietà verso Dio, verso la patria, verso tutto l'uman genere, se non dalla stessa passione del mi- rabile immedesimata col desiderio dell'immortalità ? Ma che dlss'lo che la maraviglia ingenera de- sìo di lode , se si può affermar senza tema di erro- re, che da essa vengono originate tutte le forti pas- sioni ? Che cos'è l'amore per donna acceso e veemen- te ? Effetto della maraviglia che nasce dalla cognizio- ne dell'altrui bellezza e bontà recata a grado eccel- lente. Che cos'è l'ira ? Effetto della sorpresa che sve- 42 Scienze glia nell' animo la cognizione di una gravissima in- giuria fatta a noi stessi o ai nostri più cari. E così via via sarebbe lecito andar discorrendo di tutti gli affetti risentiti e gagliai-di, E c|ui mi troverei condotto dalla successione del- le idee a considerare la maraviglia rispetto a quella facoltà che professo, voglio dire alla rettorica. Impe- roccliè dal detto or ora intorno agli affetti chiaro ap- parisce, che un oratore od un poeta, il quale sappia destar maraviglia nell'animo de' suoi uditori e leggi- tori, ne desterà eziandio le altre passioni; il che è lo scopo primario dell'eloquenza e della poesia. Ma in qual modo si abbia ad eccitare quest'affezione in par- lando, e come il mirabile formi l' elemento piìi ne- cessario ed essenziale dello stile sublime, già lo han- no dimostrato ampiamente i più solenni maestri del- l'arte ne'loro trattati : e d'altronde troppo lungo sa- rebbe il qui riportare i loro insegnamenti intorno a ciò. Pertanto io mi starò contento ad osservare, che cotali insegnamenti si potrebbono di leggieri dedurre, a guisa di corollari, dai principii stabiliti in questo mio discorso; il che, se male non m'appongo, sarebbe una novella conferma di loro giustezza. Passerò piuttosto, avendo sempre in mira gli ef- fetti dell'amore verso il mirabile, passerò piuttosto a fare alcune riflessioni su quelle due specie di mara- viglioso, intorno a cui non ancora si sono posti ab- bastanza d'accordo i maestri e le scuole; voglio dire su quello ricavato dalla mitologia e su quello del ro- manticismo. Egli è certo che senza il mirabile non si dà vera poesia, principalmente lirica, epica e dram- matica. Ora gli antichi traevano questo mirabile so- prattutto dal loro politeismo, facendo intervenire ne' Amore del maraviglioso 4^ loro poemi gli dei , i semidei e gli eroi colle loro azioni sovrannaturali, e perciò maravigliose; ed ani- mando tutta la natura coi fauni, coi satiri, colle nin- fe, ed altre sovrumane prosopopèe. Ma a'nostri gior- ni sarà egli più lecito di attingere il mirabile dallo stesso fonte ? Se è vero che la letteratura, e precipua- mente la poesia, dev'essere l'espressione delle creden- ze, delle cognizioni e delle opinioni de'tempi in cui si vive, o di quelli che hanno con essi più di rela- zione o di somiglianza; come appunto la poesia de- gli antichi esprimeva ciò che era proprio delle loro età; egli è certo un assurdo il credere che la mito- logia possa formar il sublime ed il mirabile poetico a'nostri giorni. Sarebbe lo stesso che se Omero e Vir- gilio avessero costruite le macchine de'loro poemi co- gli elementi, di cui si servirono molto dopo Dante, Ariosto e Tasso, elementi che ripugnando collo stato delle loro nazioni e de'loro tempi, gli avrebbero fatti supporre stranieri in tutto al mondo d'allora, ed a- vrebbono rese le loro opere prive affatto d'interesse. Quale sarà dunque il maraviglioso da sostituirsi all' antico ? Forse il così detto romantico ed umanitario ? Ma questo, oltreché cede di gran lunga in bellezza ed in sublimità a quell'antico mitologico, è poi egli l'espressione de'tempi , almeno per noi italiani ? No certo. Perocché si potrebbe dire anzi lutto , che il maraviglioso romantico non appartiene ad alcun po- polo, ad alcuna età, per la piena licenza che dà que- sta scuola ( se pure scuola si può chiamare ) alla fan- tasia di ciascuno d'immaginare quanto può e quanto le aggrada, senza legge, senz'ordine , e senza unità. Inoltre queste libere produzioni di fantasìa saranno poi vere maraviglie , o non piuttosto mostruosità e 44 Sciente stravaganze ? Per saperlo basta leggere alcun poco questa fatta di autori. Una mitologia di nuovo gene- re ed arbitrario, una teogonia di senso privato, me- tamorfosi ridicole e strane, i fantasmi di un misera- bile scetticismo e di una coscienza disperata; e quin- di malinconie orrende, scene tetre e terribili, avven- ture inesplicabili, mostruosi delitti, formano lo splen- didissimo corredo della più parte fra gli scrittori ro- mantici. In somma , a parlare secondo il linguaggio di questo mio ragionamento , il maraviglioso de' ro- mantici non si deduce da'sensi, perchè la natura of- fre scene ben diverse da quelle che essi dipingono : non dall'intelletto, perchè anzi i loro concetti si op- pongono il pili delle volte alla sana logica : non da una moderata e razionai fantasia, perchè essi ne han- no rotto ogni freno. Resta dunque che sieno parti abortivi, cioè sintesi irrazionali e stravaganti di una immaginazione forviata e sognante. Ma chiaro appa- risce da quanto si è mostrato più sopra intorno a queste sintesi irrazionali , che la maraviglia da esse eccitata non può essere che falsa e momentanea , e tale che muove poco stante alla derisione e al di- sprezzo. Dunque, io torno a domandare, da qual fon- te si trarrà la maraviglia per la poesia de'nostri tem- pi ? La pura, santa e sublime religione di Cristo ne sarà la sorgente più ampia ed ubertosa, tanto pe'suoi dogmi e misteri altissimi, quanto per la sua morale che forma i veri eroi. I grandi fenomeni della natu- ra schiudono l'altro fonte , tanto più abbondevole e limpido a'nostri giorni , in quantochè essi fenomeni e le loro cause e leggi sono ampiamente e profonda- mente dichiarati dalle scienze. Ciò non pertanto non parmi doversi al tutto bandire la mitologia degli an- Amore del maraviglioso ^S ticlii; purché se ne faccia un uso assai moderato , e con questa differenza tra noi e quelli, che se essi ne usavano come d'inspirazioni e verità religiose, noi dob- biamo soltanto valercene a forma d'allegorie. Ristretta però la mitologia entro a questi brevi confini, ed e- scluse le chimere romantiche, e ritenuto il mirabile della nostra religione e della visibil natura, avremo poi sufficienti materiali per ogni genere di poesia ? Io son d'avviso che ne siamo forniti per ogni genere in copia, sebbene taluno porti opinione che non ba- stino al poema eroico propriamente detto. Ma io ri- serbandomi di trattare quest' ultima questione quan- doché sia in altro ragionamento, e contentandomi per ora d'indicare un solenne argomento in favore del sì nel poemi del Chateaubriand e del Ricci, pongo fine al mio dire per non abusare, rispettabili accademici, eultissimi uditori, della cortese sofferenza , con cui avete finora ascoltate le mie basse e disadorne parole. Della proprietà letteraria. Osservazioni di D. J^accolini. ^^uando giureconsulti e giuspubblicisti ci dicono, che il diritto di proprietà { o se si voglia dominio ) è un diritto sur una cosa corporea: onde la facoltà di disporre e di richiamarla a se , purché non osti legge , patto o testamento : che dicono essi piii , se non questo, che il diritto di proprietà si è il diritto di proprietà, dove una obbligazione continua non ci 46 Scienze vieti di farne uso ? E questo è un definire ? Meglio si appose Sui primi di questo secolo il eh. economi- sta professore Valeriani Molinari , quando nel suo trattalo Del pezzo (i), diffidando di una definizione del diritto di propi'ietà in genere^ provò a definirlo per via di analisi nelle sue specie, a Un uomo (egli » diceva ) raccoglie dell'arena d'oro nel letto di un » fiume: egli diventa proprietario di quall'oro : e I' » oro, o piuttosto il suo pregio, si è il premio o la » mercede della sua fatica. In seguito vuol tentare » una miniera, ma gli mancano strumenti per ciò fa- » re; ritrova chi glieli dà, ma con patto di dividere » per metà il ricavato; l'una metà dunque cadrà nel- » la proprietà del lavoratore, e l'altra del capitalista; » 1' una metà la diremo la mercede del lavoratore, e )) l'altra il guadagno o profitto del capitalista. Ma il » suolo , ove ritrovasi la miniera, è già di proprietà » di un tale: ed allora fa d'uopo ricorrere eziandio )i al proprietario del suolo, il quale permette l'esca- » vazlone, poiché a lui si dia la terza parte del ri- » cavato. L'un terzo dunque cadrà nella proprietà del » lavoratore, e sarà la sua mercede: il secondo terzo )) sarà il guadagno del capitalista , che diede il da- » naro o locò gli strumenti opportuni : e 1' ultimo » terzo cadrà nella proprietà del proprietario del suo- » lo, e sarà la sua rendita depurata da qualunque » spesa. Avremmo potuto supporre ( aggiungeva ) che » lo stesso proprietario del suolo fosse egli il capi- » talista , fosse il lavoratore o scavatore , ed allora » avrebbe avuto egli solo la mercede del lavoratore,. ^x) Bologna i8o6 tip di Ulisse Ramponi in 8,pag. 7 e segg> Proprietà' letteraria ^7 » il guadagno del capitalista , e la rendita del prò- » prietario. E questo si è quello che accade ad un » colono, capitalista e proprietario del suolo mede- » siino cui egli coltiva: e ricchezza di molto maggio- » re importanza sono le derrate ch'egli ne ritrae; ed » al diritto della costui proprietà parmi conveni- » re questa definizione, dicendo : Ch^ esso consiste )) nelV amministrazione e nel godimento di beni su » cui frutti sussiste un popolo autonomo ^ cioè le- » gislator di se stesso od indipendente , ripartiti n ed assicurati a più cittadini per vari titoli de- )) terminati dalla legge colVobblìgo delle contri- » buzioni per le pubbliche spese ; ma col dirit- » to di goderne esclusivamente i frutti in natu- » ra, o col baratto del superfluo^ di richiamare v a se tanto i frutti^ che i capitali^ che loro ap- )) partengono, e di cedergli ad altri per titoli con- » simili a piacimento. » La data definizione ( soggiungeva ) si parte da » questo principio , che il diritto dell' individuale » proprietà eziandio sulle terre non può esser nato » dalla semplice occupazione e possesso, senza il la- » voro che le dissodi e migliori : e che questo non » può aver luogo, trattandosi della proprietà di un » solo, senza che molti proprietari essi pure di terre, » o capitalisti, od operai collegali fra loro per una » scambievole dilesa, se ne rendano reciprocamente » garanti. » Di qui al suo proposito il chiaro eco- nomista deduceva, emergerne l'intero commercio, ed in seguito anche l'esterno , e la necessità delle im- poste per le spese di officiali, di manutenzioni, e di- fesa interna ed esterna, alle quali i singoli non ha- fiterehbono. Mi conviene rimettere i savi lettori al 48 Scienze Trattato del pezzo ^ onde si facciano chiari vieppiù i principii, si notino le restrizioni, si veggano le con- seguenze che egli ne trae. Bensì parmi osservare al mio proposito, che la data definizione del diritto di proprietà del proprie- tario ( capitalista e colono ) comunque parli di beniy ed apra le ali a gran volo, non va troppo lungi da cose corporee ( di cui parlano specialmente giure- consulti a gluspubblicisti ), quando poteva e doveva distendere il volo per tutto il mondo sensibile ed al- largarsi a beni non pure materiali, ma spirituali: tra questi è appunto V ingegno, onde la proprietà let- teraria. Chi possiede e coltiva e capitalizza quasi V ingegno, è proprietario { capitalista e colono ) di co- sa ben più alta e più degna , che non è la terra ^ Questo vero fu troppo bene conosciuto dal magno A- lessandro quando nella distruzione di Tebe volle sal- va non più che la casa di Pindaro, ed al cinico Dio- gene offerse ciò che egli poteva desiderare : fu cono- sciuto generalmente, quando a'poeti fu dato il serto d'alloro, non meno che ad imperatori j onde il Petrar- ca cantava : » Arbor vittoriosa e trionfale » Onor d'imperatori e di poeti. E senza ciò, il nome di poeta fu sacro alle genti , quando i poeti erano i sapienti della nazione : e cad- dero in dispregio quando i più usurpando il nome dì poeta furono pur troppo insipienti. Ma non così , non così intervenne al poeta filosofo, Orazio Fiacco, con Mecenate ed Augusto : non così al principe del- l' epopeia tra latini, Virgilio, che fu anch'esso la de- PnoPRiETA' Letteraria 4g lizìa dì Cesare e del suo degno ministro. Le ricchez- ze piovevano in casa dei due fortunati poeti, i quali pieni la mente di vera fdosofia empivano de'loro can- ti il suolo, di cui furono il più beli' ornamento , e gli avvenire. Una troppo facile autorità divise il campo della filosofia da quello della poesia : i versi non furono più versi, ma inezie canore : né giovò che il Tasso e V Ariosto rinnovassero quell'antico sodalizio della filo- sofia e della poesia. Quegli morì infelice la vigilia della coronazione: questi non ebbe dalle muse di che farsi un manto. Un così misero trattamento di que' famosi, e degli altri che vennero appresso in grido , posero in dispregio il più allo volo dell' umano in- gegno, e le cornacchie presero il luogo do'cigni : va- glio dire, che dove gli antichi studiavano di forza fi- losofando per uscire poeti, i tardi nipoti senza filo- soffire vollero dirsi poeti. E nelle altre scienze e nelle arti ancora premi ed onori essendo dati non ai più de- gni, ma spesso ai più scaltri : ognuno si volse a cer- care di apparire più che di essere, e i savi modesti nella polvere videro gli stolti presuntuosi su que'seggì, che loro erano dovuti. Camoens, l'autore della Lusia- de., moriva poverissimo all'ospitale: Goldoni, il novello Terenzio, mendicava fuori d'Italia un tozzo di pane nell'auge della sua gloria. Raro esempio vide il seco- lo passato in Metastasio , che nella reggia de' cesari trovò veramente i cesari : ma quell'esempio che vale contro altrettanti, e forse infiniti, che mostrano la mi- sei'ia e il dispregio il guiderdone comune agl'ingegni? Se non che, a volere esser giusti col nostro secolo, si dee confessare che qui o qua nel mondo colto tro- vansi de'buoni ingegni giustamente guiderdonati. Di G.A.T.XC. 4 5o Scienze che siano grazie ai savi governanti : e questa Italia, sempre feconda di eletti spiriti e di alte discipline , ben può gloriarsi a questa età, die per una concor- dia mirabile de'principi la proprietà letteraria e as- sicurata. Fu del 2 2 maggio 1840 la convenzione tra S. M. il re di Sardegna e S. M. l'imperatore d'Austria: colla quale sono fissate le massime circa il garantire la proprietà agli autori delle loro opere scientifiche, letterarie ed artistiche. La santità di N. S. nella sua somma sapienza accedette a tale convenzione : e la notificazione dell'eminentissimo segretario di stato dei 20 novembre 1840 pubblicò quest'atto di sovrana giu- stizia congiunta a somma clemenza, onde la provvi- da legge avesse ne'ponlificii dominii il suo pieno ef- fetto col I dicembre successivo. Altre pote,uze italia- ne accedettero: ed è a sperare che tutti in un volere ( niuno di essi eccettuato ] accetti non solo per quattro anni, come è stipulato, la convenzione; ma come in Grecia rinnovavansi solenni giuochi ogni olimpiade , cosi essi ogni quattro anni rinnovino un atto, che ren- de omaggio all'ingegno ed alla giustizia. E tutti uopo è consentano ; perocché tra l'alpi e il mare, se fosse un angolo dove la legge della pro^ prietà letteraria non fosse in vigore, renderebbe fru- stranea 0 inefficace la legge stessa negli stati che la rispettano. E se giusto è che la legge sia per quattro anni, non meno giusto è che si continui per altri quat- tro, e così via via; perchè ciò die e giusto in un tempo così assolutamente, è giusto pure in un altro; avendo sua ragiono nella giustizia eterna, che è di sua natura immuta1)ile. Ma perchè umane deliberazioni hanno bisogno del documento e del voto dell'esperienza : fu PnOPRIETA' LETTERARIA 5j. saggia cosa per certo il porre a tempo la leggo, che potrà per nuove convenzioni acquistare stabilità, ed anche perpetuità, come è degno al secolo di vero pro- gresso. E poiché r Italia diede già al mondo le buone leggi e le raccolse ne'cpdici,, che furono e sono nor- ma e lume alle nazioni; poiché i codici si fecero col voto de'sapienti giureconsulti : così è a sperare che a cementare la nuova legge si volgano italiani giuria- prudenti, osservando altresì in questo tempo di pro- va se rinnovandosi abbia d'uopa di modificazioni, di miglioramenti ; onde ottenere pivi certo lo scopo di favorire le scienze e le arti, non meno che d^incorag- giare nobili ed utili intraprese , che senza il favore della legge non potrebbero ne cominciarsi, ne prose-, guirsi, ne compiersi felicemente. Vedranno essi i savi, se il domìnio delle lettere e delle arti abbia a dividersi, come qUiCllo delle cor- se, ili diretto, utile e pieno : e se e come possa ce- dersi o tutto 0 parte liberamente : e tutte le altre quistioni porranno e risolveranno, che proprie sonq della giurisprudenza. E siccome a' ig gennaio 1841 sWa camera del deputati di Francia fu presentato dal ministro delU istruzione pubblica il testo di legge , approvato in- nanzi dai pari, sulla proprietà di lettere , scienze ed arti : così, agitando quasi il fuoco di Vesta, ter- ranno viva la fiamma sacra: e scorsa appena la pn- raa olimpiade, vedremo prepararsi la seconda con piu favore nel bel paese, CKappennin parte e'Z mar circonda e Valpe ! 52 Scienze E alla seconda terrà poi dietro la terza in una serie da non finirsi se non al finire de'secoli in sulla terra ! Io chieggo intanto perdono ai. savi, se pel desi- derio del bene ho mostrato appunto non più che un mio desiderio ! D. Vaccolini^ Continuazione della rivista di lavori di medico^ argomento^ del dott. Giuseppe Tonelli. Michaelis Medici disqidsitiones anatomicae et phjsiologicae de nervo intercostali. Bononiae 1837 a 1840. Pars /. //, III, IFy V. .inuziose ed interessanti ricerche imprende qui con solerte pazienza e con sapiente ingegno il som-. mo fisiologo di Bologna , onde oUVirci un' accurata monografia del nervo intercostale o gran simpatico ap- pellato. Niun v'ha che ignori le taule e tanlo diver- genti sentenze, ch'ebbero piìi o raen lunga, e più a men applaudita rinomanza nei prischi tempi e nei posteriori sulla origine e formazione di esso. Ma un' aurea dilucidazione riscuote ora l'argomento nel pre- sente ben prolisso commentario, in cui si occupa il N. A. in esaminare e discutere: « Au magnus ner-^ » vus sympathlcus ex spinalibus et cerebralibus ner- » vis coallelur: oplnlo olim universe recepla, porro » plurimis doctissimls vlris reiecta, hodie(|ue a noix-i j) uuUis ad honorem revocata, » M. Medici disquisttionks ec. 53 Favella primamente delle principali opinioni, nel- le quali si divisero gli anticlà ed odierni scrittori , sostenendo ora che non dai nervi cerebrali ne da- gli spinali promanasse il nervo intercostale , come Petit, Winslovv, iobnston, Unzer, Melzger, Hufeland, Fontana, Cuvier, Socmmering , Gali , Sperrzheim , TIedmann , senza omettere Bichat , die tal suo di- visatnento illustrò con singolare splendore accordan- dogli una origine e formazione propria a se ed in- dipendente. Infra i molli e dotti, che a questa opi- nione non arrisero, contansi Legallois , Meckel , e più di tutti lo Scarpa, il quale come uomo dottissi- mo, qual egli era, seppe le molte difese congregare por sostegno dell'altra sentenza per cui si dichiarava, altro non essere i gangli che semplici glomeri di fi- lamenti nervosi, provenienti dalle radici posteriori dei nervi spinali unicamente destinate al senso; ne po- tersi richiamare in dubbio: « Nervum intercostalera j) a radice spinali posteriore omnium et singulorum » nervorum spinalium proglgni , pronum est animo » concipere, intercostalem nervum origine et essen- » tia sua sensorlis nervis esse accensendum , cuius » actio est viscerlbus sensum tactus tribuere , tum ì) etiam eorumdem viscerum vitara, ut aiunt , orga- » nicam alere atque fovere. » Ma il sagacissimo Me- dici, sciorinando le singole ragioni dello Scarpa, con sode opposizioni dignitosamente le rispinge, luce mag- giore spargendo sulle altre già promosse da quei che in tale arringo il precedettero. Nò per il suo scopo ha risparmiato cimenti di vario genere con chimici e meccanici stimoli, per investigare se a questi ed a quelli rispondesse la sensibilità del nervo intercosta- le. Ma pel costante risultalo de'suoi esperimenti fu 54 Scienze tratto a conchiudere, che sprovvisto ne fosse, e che fornito d' altro a risguardar se ne abbia il vago o pneumogastrico. « Probabiliorem sententiam existi- )) nro, impressiones in visceribus ortas ad encephalum 1) illius famosi paris nervorum ope consurgere, in eo- )) que consentaneas sensationes parere, eodemque pa- » cto per ipsani viam ab encephalo descendere im- » pressiones, quae internis oi^ganis molesliam ac tu- » multus inferunt, siculi vehementiora animi pathe- )) mata, aliaeque commoliones cerebrales testantur» )) Loca cnim, vel puncta, quo perveniunt, undeque )) impressiones modo dictae discedunt, pvocul dubio » in axe cephalo-spinali resident, et cum isto nexus » organicos directos proximosque habet octavum par: » quod de sympalhico non confirmatur. » Alla quislione agitatasi, se i nervi comunicanti traggano origine dai soli spinali anteriori, o dai soli posteriori, o da^li uni e dagli altri insieme, egli di- chiara per le anatomiche osservazioni che l'una e l'al- tra radice somministra sempre i suoi filamenti al ner- vo comunicante. Ma ne segue forse da ciò , che il nervo intercostale sia una produzione dei medesimi ? E non potrebbe all'incontro avvenire, che o i nervi comunicanti traessero dall'intercostale la origine pro- pria, ed alla formazione degli spinali inservissero; ov- vero che, senza interessarsi della composizione, deter- minassero soltanto un consenso fra il simpatico ed i nervi spinali, a guisa di un conduttore fra le due pile interposto ? E concesso che i nervi comunicati sieno una diramazione dei nervi spinali, riman poi fermo che quelli nei gangli dell'intercostale raccolgansi sol- tanto e si disgiungano, siccome ai plessi addiviene ? In oltre, dopoché i nervi comunicanti abbian penetra- M. Medici disquisitiones ec. 55 to i g.'ingli e le altre parti dell' inlercoslale, serbano essi così fattamente illesa la natura loro per modo, che le forze e le funzioni dell'intercostale medesimo nelle forze e nelle funzioni dei nervi spinali abbiano a rintracciarsi ? E non potrebbe la sostanza nervea entro il simpatico incontrare e subire un mutamento, per opera di cui acquistar natura diversa da quella di cui godon tutti ^li altri nervi; né potersi perciò, mercè dello studio dell'organizzazione e del modo di agire del simpatico, aversi conoscenza delle forze e delle funzioni del simpatico istesso ? Dovran poi le controversie degli scrittori intorno a tali subietti to- gliersi di mezzo, ovvero adoperarsi è d' uopo in ri- muovere, aggiungere o correggere alcun che nelle me- desune, onde pervenire al conseguimento del vero ? La soluzione degli enunciati quesiti è riservata dal N. A. alla parte seconda di queste sue laborio- se disquisizioni, nelle quali seguendolo scorgiamo, che dà ivi incominciamento dalla inchiesta, se i nervi co- municanti prendano la sua origine dagli spinali e sie- no una produzione di questi: cosicché l'intercostale, che in se li accoglie, abbia a ritenersi come un com- plesso dei medesimi. Studio -gravissimo egli è questo e di non lieve interesse, poiché tendente a scoprire se il nervo simpatico mercè della unità delle fibre dei nervi spinali goda l'energia e la necessità della spi- nai midolla per le funzioni alle quali presiede. Ma innanzi di discuter la quislione con argomenti ana- tomici, fisiologici e patologici, come indi sussieguono, premette essere indispensabile lo statuire un princi- pio generale, dilucidando che cosa importi la vera e retta significazione della voce comunemente usurpata, della origine cioè di un nervo. Poiché, onde schivar 56 Scienze si abbiano gli errori e le confusioni fin qui incor- se , vuol egli doversi distinguere adesione da origi- ne. Nella prima ciascuna delle parti unite ha un principio proprio, fruisce di una struttura propria, ed un uso proprio altresì può avere. IN ella seconda una parte genera ed alimenta l'altra, dandole aumento ed impartendole la forza di agire. Cosi le origini dei nervi, nel modo indicato da Beclard, riduconsi a sem- plici adesioni. Laddove è divisamento del prof, di Bo- logna, che un nervo tragga origine dall'iiltro, allor- ché da esso riceve ed i materiali per la sua compo- sizione, e la forza di agire ; per modo che e manchi o resti inerte il primo per la deficienza o inerzia del- l'altro. Né per la prima condizione richiedesi soltan- to, che il nervo generato costi dello stesso materiale che possiede il generante; ma vi è d'uopo della reale somministrazione del material medesimo, senza di cui non vi sarebbe che adesione soltanto, senza idea ve- runa di origine. Lo stesso affermar si debbe della condizione seconda : poiché bastevol non è , che II nervo generato agisca in pari modo del generante : ma richiedesi In vece che quello riceva da questo Fat- tività per l'uso delle sue funzioni, senza di cui non si avrebbe che un consenso o vicissitudine di queste, non già derivazione, non causa, non effetto. Ma que- sta duplice or contemplata condizione non ha luogo ad essere ricercata nei corpi organici, nei quali non ve n' è vestigio. Che anzi dagli studi sulla organo- genesi emerge, che niun organo, niun tessuto, niuna parte del corpo animale si genera ed ha origine dal- l'altra: neppure escluse quelle, nelle quali sembra evi- dentissimo di esserlo, come le arterie e le vene dal cuore, i vasi minori dai maggiori, ed i minimi dai mi- M. Medici disquisitionés ec. Sy nori; ma sibbene risulta che ciascuna parte ha la sua propria origine , che tutte in un modo maraviglioso coìlegansi, ponendosi nell'ordine che costituisce un in- dividuo ed una "vita. Premesse queste avvertenze, discende il N. A. ad investigare se i rami comunicanti, che tanto nu- merosi si scorgono portarsi all'intercostale, traggano la origine dai nervi spinali, e ne sieno una prove- nienza. Usando egli prima per il suo assunto argo- menti anatomici, lo troviam felicissimo in discutere e combattere le- asserzioni dei suoi predecessori; ma temendo di esser colto in errore, ne conchiude indi appresso, che niun soccorso ci oflie la notomia in questo incontro o almeno inefficace a spianar la qui- stionc: tanto più che la sottigliezza dei rami comu- nicanti non permette farsi uso di quegli artificiosi modi, co'quali il settore dispone a suo agio degli or- gani più grandi e più facilmente trattabili. Universale si fu l'antico errore, accoho senza dimostrazioni, per cui si riteneva che i minimi nervi traessero origine dai mediocri, questi dai grandi, questi dai massimi, e questi dalla midolla spinale, dall'allungata, dal ce- rebello e dall'encefalo. Caddero poi in errore Bichat e Wulzer: tanto più che seguendosi l'assurda e mo- struosa ipotesi del primo, si verrebbe nella necessità di concedere ai nervi comunicanti una doppia origi- ne ; d'immagmare un certo limite o punto, all' in- dietro del quale si avrebbero i rami comunicanti a risguaidare come produzioni dei nervi spinali ed in- servienti alla vita animale, al senso ed ai moti volon- tari ; e più oltre di esso punto come produzioni del simpatico e destinale agli usi della vita organica : lad- dove nella differenza messa in campo dal secondo , 58 Scienze cioè da Wutzer (sebbene da niua anatomico accennata fra coloro che ritennero essere ciascun ramo comuni- cante un nervo della medesima ed unica natura in tut- ta la sua lunghezza ), non si conoscerebbe lo scopo di quella linea di nervo vegetativo alle porte (per dir co- sì ) dei gangli, se tosto dopo l'ingresso vanno i rami comunicanti a mescolarsi esattamente ed intimamente co'nervi che provvedono alla vegetazione del corpo. Maggior profitto quindi conveniva attendersi , e realmente ne conseguì il nostro autore, dagli esperi- menti fisiologici. Cimentò egli vivi animali per rin- tracciare se i fenomeni insorti ne' rami comunican- ti, trattati coU'azione degli stimoli, differissero o no dagli altri appalesati nei nervi spinali sottoposti all' artificio del medesimo esperimento. Ninno in- nanzi al recentissimo scrittore Brache t aveva col- tivalo questo campo di ricerche in modo fisiolo- gico; ma contrario risultamento egli ne ottenne e ben diverso da quello che ne conseguì il Medici , il quale d'altronde nell'accingersi a tali investigazio- ni era nella lusinga di non essere stato prevenuto da veruno. Poteva il Medici, dopo la pubblicazione delle Sperimentali ricerche di Brachet, acquietar- si e deporre il pensiero di far conoscere le sue di già ad un tempo intraprese. Spinto però egli dalla brama di congregar documenti atti a chiarire l'op- posizione dei risultati, raddoppiar volle sul discusso argomento i suoi travagli : tanto più che nella re- lazione di Brachet parvegli scorgere una certa oscu- rità e confusione, mentre alcuni fatti da esso rife- riti non eran d'accordo con altri da esso lui osser- vati. Che anzi altro motivo egli colse per la novel- la istituzione dei suoi cimenti per assicurarsi se al M. Medici disquisitiones ec. 5g crogiuolo dell'esperienza rimanevasi salda la nuova osservazione pubblicata dal Bracbet, cioè che i gan- gli ed il nervo intercostale, quantunque alla prima applicazione di stimoli sembrassero piivi di sensibi- lità, pur dopo l'altra e più volte ripetuta irritazio- ne non tardavano a presentarsi manifestazioni di sen- so e di moto. Fu quindi perciò clic il dotto fisiologo di Bo- logna tornò ad istituire nuove esperienze, assistito da vari chiarissimi professori e da numeroso stuolo di -alunni di quella rinomatissima e sempre fiorente università, cimentando con istimoli conigli, pecore, e cavalli. L'irritazione istituivasi ora nel ramo comu- nicante con un dei gangli cervicali superiori , ora in quelli comunicanti con un dei gangli addomina- li superiori, dopo essersi fatta sempre precedere la denudazione , ed ora nei rami coniiinlcaiili con un dei gangli cervicali inferiori. Ripetevasi la irritazione ora nei medesimi punti, ora in altri e ben diversi, ma sempre più remoti dal ganglio, e ripetevasi do- po più o men lunghi intervalli di riposo: l'irritazio- ne operavasi con istimoli d'indole svariata. Risulta- mento costante però si fu, che sotto l'azione de'me- desimi non diede giammai l'animale indizio alcuno di risentirne; laddove trattandosi con gli enunciati sti- moli i nervi spinali, veniva sempre l'animale a man- dar grida e contorcersi. Desume da questi parlanti esperimenti il N. A. quattro corollari , cioè : « i, » INervus intercostalis circa primos, quibus afficitur, » stimulos est indifferens .... 2. INervus intercosta- » lis est pari ter indifferens circa stimulos iisdem » punctis pluries admotos, et post plus minusve lon- » ga quietis intervalla repetit os .... 3. Rami comu- 6o Scienze » nicantes quocumque modo, et per quodcumque » lemporis spatium irritati, nullura ncque metus ne- )) que (loloris indicium exliibent .... 4. Piatio exi- » slenliae et aclionis nervi intercostalis non viJetur » coUocauda, ut multorum fert opinio, in eiusdem » intercostalis gangliis. » A comprovare da ultimo, che i rami comuni- canti ed il nervo intercostale non sono una prove- nienza dei nervi spinali, mancava il sussidio di pa- tologici argomenti , dei quali breve cenno faremo per chiedere la seconda parte di queste disquisizio- ni. Se i rami comunicanti fossero produzioni dei nervi spinali , in quel modo slesso per cui ne pos- sedessero le proprietà fisiologiche, partecipare anche dovrebbero dei perturbamenti loro fino ad infermar- ne sotto un morboso stalo dei nervi spinali. Igno- riamo, è vero , le infermità proprie ai rami comu- nicanti, e le relazioni loro con le vicine parti; ma se i rami comunicanti contendcsi che sien propagini dei nervi spinali, da cui risulta il simpatico, dallo studio del simpatico avvi luogo a ritrarre quelle no- zioni che l'investigazione dei sudetti rami non può somministrarci. Varie medico-pratiche osservazioni po- trebbero aver qui ragione di esser contemplate. Ba- sti però il rammentare, che nella paralisi diminui- sce e divien torpida l'azione dei nervi spinali che al senso ed al moto presiedono: mentre nel tetano e nella spinlte aumenta essa ed ingigantisce sovra modo, quantunque illesi rimangano da simili soffe- renze ed il nervo intercostale e gli organi, ai qua- li esso nervose diramazioni comparte. Dimostrato limpidamente così dall'egregio prof. Medici , che il nervo gran simpatico o intercostale M. Medici disquisitiones kg. 6i non può dirsi progenie dei nervi spinali, imprende nella terza parte delle sue dottissime disquisizioni in discorso ad investigare, se per vera debba ritener- si la sentenza di molti, e da molti accarezzata, che il nervo intercostale cioè alibia origine dal quinto e sesto paio dei nervi cerebrali. Fa uso anclie in tale ricerca il N. A. del triplice gravissimo ordine di ar- gomenti, siccome vedremo , anatomici , fisiologici e patologici. Cagion massima delle discrepanze fra gli ana- tomici insorte fu la direzione dei filamenti frappo- sti fra la superiore o cefalica estremità del nervo intercostale, e le due memorale paia di nervi cere- brali. Poicliè essendosi d'ordinario, per attestazione di moltissimi anatomici, osservato uno o due piccoli sol- chi talvolta aderire al tronco del sesto paio, e tal altra alla estremità superiore dell'intercostale ove il nervo vidiano s' immerge , si decise indubbiamente che tutti quei rami dall'alto discendono, costituendo le vere radici od origini cerebrali del simpatico. Tor- naron vani i conati di Petit , il quale avvertì non doversi in tale divisaraento acquietarsi, avendo egli fatto conoscere che gli anzidetti ramoscelli , ove al sesto e quinto paio congiungonsi con curvatura ad angolo acuto verso le parti anteriori , costituiscono sotto il punto di lor congiunzione un tronco pale- semente maggiore : il che avvenir non dovrebbe se quei ramoscelli traessero realmente origine dalle ri- cordate parti cerebrali. Tornaron vani , dicemmo : poiché si ostinarono gli anatomici in favor della pri- sca opinione, quantunque dal Bergan, dal Winslow e da altri confermate venissero le osservazioni del Petit, Ella è d'altronde una cosa inconcussa , che 62 Scienze albicanti sono i nervi della vita animale, densi © manifestamente fibrosi ; mentre quelli, clie alla vita organica appartengono, molli sono, cluereo-rossastri , e di gelatinoso aspetto : cosicché giova ancora per- queste note caratteristiche rintracciare quali siaa quelle che dagli accennati ramoscelli posseggonsi. E per parlar del vidiano, creduto picciolo solco del quin-. to paio, rammenta le belle osservazioni di Wutzer, che rossastro e molle il rinvenne non che fornito delle altre qualità proprie del sistema vegetativo. Per il sesto paio poi è a dirsi, che il suo tronco ( chec-, che in contrario ne abbia scritto Meckel) bene spesr. so non offre comunicazion diretta, per mezzo cioè tfei rami, coU'intercostale, ma indiretta bensì o re-iL mota, per mezzo di certo ganglio chiamato carotica O cavernoso, a cui sottostanno alcune propaglni che> la parte superiore dell'intercostale formano recan,- dosi al primo ganglio cervicale di lui. Ma questo ganglio è plessiforme, rossastro, non molto dista dal tronco del sesto paio, molli sono i nervi sottostanti ad esso, ed in parte strettamente inviluppano ed ab- bracciano l'arteria carotide. Il ganglio carotica dun-. que, e questi nervetti, quando vi sieno, pertengono ai nervi della vita organica: per lo che risulta, che i rami compresi fra le due divisate paia di nervi e la porzion superiore dell'intercostale non sono già produzioni dei tronchi delle anzidette paia, ma pos- seggono in vece la natura dei nervi del sistema ve-, getativo, e non debbono perciò ritenersi come ori-» gini o radici cerebrali dell'intercostale. ]Non può d'altronde pretermettersi la moltipli- cita dei nessi della superiore estremità del simpati- co co' vari nervi dell' encefalo, che al subietto del M. Medici disquisitiones ec. 63 N. A. un grande sostegno arreca. Giacche o sono stabili e fermi , ed in tal caso sarebbero tutti al- trettante origini encefaliche dell'intercostale, e do- vrebbero per conseguenza nell'intercostale riunirsi le proprietà e le funzioni proprie di molti e diversi ner- vi cerebrali: o sono accidentali , ed allora a norma della varietà ed incostanza dei nervi presieder do- vrebbe l'intercostale a diversi ed incostanti offici: la qual mutabilità di funzioni in un nervoso appara- to d'indispensabile necessità ripugna alla ragione ed alla esperienza. Col valor di questi raziocini a più chiaro scioglimento della quistione conduce un altro anatomico argomento, consistente nello squit- tinare in che realmente consista la comunicazione dell' intercostale con le due piia volte rammentate paia di nervi cerebrali. Ma questa parte di anato- miche investigazioni, a senso del N. A., o venne ne- gletta, o non fu bastevolmente coltivata. Ed infatti rivolgasi il discorso al quinto paio. E senza tanto indietreggiare gioverà arrestarsi a riflettere, che do- po le osservazioni di Meckel sul nervo vidiano e sul ganglio sfeno-palatino da lui scoperto, non si ab- bandonò mica l'idea di aver questo ganglio una si ìntima connessione col nervo vidiano, che de'mede- simi stami, da cui quest'ultimo risulta, ritener si do- vesse tamquam nodus et tumor. Ma siccome Meckel insegnò altresì, che lungi dal coacervarsi il suo gan- glio con il quinto paio, era anzi dipendente da lui per mezzo di due filamenti lunghi di alcune linee, l'uno anteriore e l'altro posteriore; così stabilisce il N. A. « Ganglium sphaeno-palatinum ( potius quam » cum quinta coniugatione ) praecipuas suas cum » iiervis nasalibus et cum palatino comunicatioues 64 Scienze » inìt, quibuscum quemdam constituit nerveum ap- » paratura multo magis ad eam coniugationem ac- » cessariura , quara ab eadera procreatura ». Al-, la qual proposizione del Medici non lieve peso ag^ giungono le ricercbe di Wutzer. Fu certamente it Fontana infra i primi , cbe con peculiari osserva- zioni illustrò il nesso del sesto paio dei nervi ce- rebrali col simpatico. Riusci egli con la sua soler-* zia a separare il tronco del mentovato sesto paio dalla sua vagina che il ricopre, ed estrarnelo, men- tre alla rovesciata vagina aderenti si appalesarono le superiori estremità dell' intercostale. Venne quindi il Soemmering nello slesso divisamenlo : ed il cb. anatomico pavese Panizza concorse a dichiarare, che i rami delFintercostale non comunicano con quel sesto paio, ma soltanto lo avvolgono e lo abbraccia- no per modo, che da quelli possa questi venire di- sbrigalo senza offesa della organica sua continuità. Ed anche lo Scarpa, acerrimo difensore della con- traria opinione , in un ultimo lavoro che di poco precedette il fine della sua gloriosa carriera, mostrò dubitare della verità del suo primiero asserto sulla origine del simpatico dal sesto, dicendo: « Nani de sexto nervorum cerebri non liquet ». Dell'avveni- mento del Fontana si parlò ancora dal Girardi, dal Mangili, dal Malacarne: ma disegno in tavola non si conosce essersi pubbliciito, e, per quanto sembra, neppur dal Panizza; cosicché riconoscenti olire mo- do esser dobbiamo al fisiologo bolognese , che sus- sidiato nelle sue laboriose imprese dal valente suo collega prof. Calori ce n'esibisce in nero la tavola di preparazione delineata dal Bellini, ed annessa a questa terza parte delle sue disquisizioni in discor- i M. Medici disquisitiones ec. 65 so. Se d-anque ( e concludiamo gli anatomici argo- menti ) il tronco del sesto paio dei nervi cerebrali può spogliarsi della sua vagina senza che ingiuria si arrechi alla integrità del tronco; se la vagina rove- sciata trae seco le superiori estremità del simpati- co; se la interna sua faccia non offre forami, lace- razioni , fessure , né alcun vestigio di passaggio di nervi ; luminosamente apparisce, che il nesso orga- nico dell' intercostale col sesto paio in altro non consiste se non che in una pura e semplice ade- sione. (( Quapropter, quae de argumentis hactenus » enarravi perstringendo, mihi persuasum est, dlre- » ctJonera superioruni syrapathici ramulorum , ana- » tomicas eoruinJem notas, multiplicitatemque cuni » variis diversisque vitae animalis nervis communi- » cationum, et, quod magis est, nexus eorum cum » quinta et sexta coniugalione, qualitatem et natu- )) ram satis luculenter ostendere , nervum interco- » stalem a duobus modo dictis cerebralium nervo- » rum parljjus haudquaquam emanare ». Dovendo quinci il N. A. trattare il subietto con argomenti fisiologici, non manca di premettere quan- to ardua sia questa impresa per la varietà della cir- costanza, in cui trovansi le superiori estremità del simpatico ed i rami di questo accedenti alle spina- li diramazioni ; poiché questi sepolti giacendo nel canal carotico, sottraggonsi a qualunque cimento: ma non così le prime, siccome infatti risulta dall'espe- rienze del Medici già nell'altra parte delle sue di- squisizioni riferite. A conchiuderne però dagli stessi anatomici argomenti superiormente chiariti egli è ben giusto inferirne, che a quell'estremità del simpatico tribuir si debbano le medesime proprietà vitali e fun- G.A.T.XC. 5 66 Scienze zioni che al rimanente dell'intercostale appartengo- no: e debbasi tenere degli organi cerebrali la is tes- sa opinione, che già il Medici sviluppò sulla spina- le midolla : cioè che la cagione della maravigliosa discrepanza di uffizi fra i nervi della vita organica e dell'animale, non nei gangli , siccome egli è pa- rer di moltissimi , abbiasi a riporre , ma una sede più ampia debbasi concederle ed al di là dei gan- glii; il che da osservazioni patologiche riceve anco- ra maggior peso. Ed infatti se le superiori estremi- tà dell' intercostale fossero produzioni del quinto e sesto palo dei nervi cerebrali, verrebbero per neces- sità aggredite da quei morbi che o sospendono o per- vertono comunque le azioni della vita animale; del pari di quanto avviene pe' nervi delle estremità to- raciche o addominali del corpo ogni qualvolta o il plesso brachiale e il tronco del crurale sia infermo. Ma essendo ciò contraddetto dalla sperienza, maggior peso acquista la conclusione del N. A., che stabili- va non dare il quinto e sesto paio di nervi origi- ne alle cerebrali estremità dell'intercostale: ed i ra- mi superiori di questo essere analoghi ai laterali ac- cedenti ai nervi spinali, che pur sottraggonsl alle of- fese della spinai midolla. Agli argomenti però finquì dimostrati aggiunger debbonsl quelli che rlsguardano in genere i nervi tutti dell'asse cefalo-spinale. Primo di tali argomenti si è l'organo-genesi. E qui dato un rapido ma sen- sato sguardo alle gravi difficoltà che s'incontrano nel- l'aniiulre alla sentenza di quei moltissimi che cre- dono, per dir così, operarsi dall'Interno all'esterno, ossia dal centro alla circonferenza , la primordiale composizione del corpo aaimale, fa ricorso a miglio- M. Medici disquisitiones ec. 67 ri dottrine , allontanandosi ed abbandonando le mi- croscopiche ispezioni , nelle quali tanti sapienti si aflaticarono con isvarlate ed opposte risultanze. Mi- glior partito perciò ritiene il N. A. esser quello di aver riguardo al tempo in cui gli organi incomincia- no ad agire, non a quello in cui incominciano a ma- nifestarsi, e desumere il primo da fatti precipui, fer- mi ed inconcussi , per decidere così il primato di esistenza e sviluppo. Cosiccliè se il punto saliente, ossia il piccolo cuore, sia la prima parte che agisce nell'uovo fecondato colla manifestazione alterna dei suoi movimenti, d'uopo è ch'egli abbia le materia- li ed organiche condizioni che la facoltà di operare gl'impartiscono e che alla presenta dei nervi deh- bonsi per certo atlribuire. Son dunque i nervi car^ diaci quei primi che al ministero della vita presic" dono. Ma se come primi essi agiscono, preceder deb- be la formazione loro^ non potendo un organo eser- citare il suo uffizio , se non sia prima rettamente composto ed apparecchiato. Tale fu altresì il parere di Ackermann , il quale per altro volle nelle sue proposizioni oltrepassare i limiti del vero. In forma identica opina il N. A,, intorno ai vasi, i quali na- scono in quei luoghi medesimi, nei quali si appa- lesano. Succesiva quindi è sempre la genesi del ner- voso e del vascolare sistema, mentre in ciò è ripo- sta la successione, che tutte incominciano le parti del corpo ad essere adombrate in virtù dei maravi- gliosi mutamenti, ai quali dopo la fecondazione è soggetta la materia dell'uovo. A gradi aumentano queste parti, e raggiungono la composizione chimi- ca, l'intima struttura, figura, e connessioni necessa- rie a stabilire un individuo organico: progresso di .68 Scienze cose che non è, ne può essere, ovunque uguale. Da che più efficace e più rapido convien che sia il me- desimo ili quelle parti che la vita organica sorreg- gono, ed infra le quali primeggia il cuore; ed ec- co il perchè egli pulsa, mentre presso che impercetti- bili ai sensi rimangonsi gli altri organi. La genesi dunque primordiale del corpo non si effettua dal- l'interno all'esterno , non dal centro alla circonfe- renza , non diffondesi a raggi : ma addiviene bensì or qua or là per masse, o per gruppi, a dir cosi , che quindi mutuamente coniietlousi. Kel tempo cioè, in cui la composizione si forma del cuore, dello sto- maco, degl'intestini, del fegato, dei polmoni, del cer- vello ec. , compongonsi altresì gT intermedi lessuìi celluioso, vascolare, e nerveo: e dulia unione di lut- ti l'unità del corpo si compie e si perfeziona. Colla scorta delle dottrine medesime lien dietro quindi il N. A. alla formazione delle ossa e dei muscoli, on- de vieppiù rischiarare l'asserto : poiché siccome per la generazione dell' ulna p. e. non vi ha bisogno che preceda la formazione della tibia , . così per la genesi dei muscoli addominali non è necessaria la genesi degli altri muscoli del corpo. Mercè della spie- gazione perciò da lui proposta con molta accuratez- za, non trova improbabile il Medici il suo divisa- mente, che la formazione cioè del sistema nervoso e di tutti gli organi si compia dalla circonferenza al centro del corpo. Divisamente sostenuto pur in oggi da Serres , il quale era già stato su di ciò provenuto da Oken, e tracce se n'erano altresì ri- cevute da Carus, da Tiedemaan , da BurJai^k , da Mekel, da Treviranus , da Arsak , e da altri dotti M. Medici disquisitiones ec. 69 fedesclii che non dovevano dal professor parigino ve- nir obliati di menzione. Dalle Cnqui esposte e dilucidate idee circa l'or- gano-gcnesi presenta in epilogo il prof. Medici gli otto seguenti corollari. » I. Formatio primordialis non est posita in i) centris, quae a principio nascantur, deincepsque j) protendanlur, ut relujuas corporis partes efficiant». » II. Post foeeundationem minima prae caete- » ris formantur vascula sanguinea , siculi illa , in » quibus videnda sunt instrumenta omnium anima- S) iis nascituri organorum constructioni magis ne- » ccssaria, » )) III. Formatio primordialis successiva est. » » IV. Haec formatio successiva efGcacior in com- » positis partibus rapidiorque est, quam in simpli- » cibus. » » V. Naturae institutum postulai , ut partes , » quod ad compositas, citius formantur illae, agant- » que, quarum laboribus ceterae opus babent. » » VI. Ouum inter organa , quae ista gaudent )) dignitate maxima , primas ferat cor, dare patet , » cur ili embrione ceteris illud partibus praesit, e- » videnterque oporetur, dnm istae desident. » » VII. Cuiusque organi formatio cunctorum ne- » cessario staminum , sive organicorum elemento- » rum, ex quibus ipsum organum conflatur, forma- » tionein includit: quin imo una est eademque res: » ideoque nervi ante omnes cardiaci nascuntur pari » necessitate, atque operantur. d » VIII. Siculi inlercostalis nerveos suppeditat » cordi ramos , non possunt isti ex asse proficisci » cephalo-spinali, qui formatur agitque tardius cor- no Scienze » de. Dico autem forraatur, popterea quod observà* » tiones nos docent, axim illum substantia carere ci- » neracea, fibrosaque eliam, dura non modo cor, sed » aliae quoque embrionis partes in sensus aperte » incidunt. » Non è qui a tacersi , che al Bicbat , fisiologo di assai valente ingegno, piacque considerare il si- stema nervoso come uno di quelli di primitiva evo- luzione. Era prova per lui ad ostinarsi nell'asserto il massimo volume dell'encefalo fin dal principio in cui il cuore i suoi movimenti appalesa, cosicché dir si potrebbe che la natura con la composizione pri- mitiva del cuore e del cervello , e con lo stabilire primevo lo sviluppo di ambidue , abbia voluto git- tare i fondamenti di organizzazione per la vita or- ganica ed animale. Con le quali espressioni se Bi- cbat non concede il primato all'encefalo, vuole al- meno risguarJarlo di massima importanza egualmen- te che il cuore. Ma ben saldi argomenti con la sua perspicacia oppone il fisiologo di Bologna a quel di Parigi per infirmare la dottrina di questo. L'esperien- za, scrive il Medici, ci ammaestra, che il cuore con somma celerità incomincia ad agire: mentre osserva- zione alcuna non vi è che le funzioni dell'encefalo si eseguiscano ; e se voglia pur concedersi , che in piena inerzia non trovisi in quel tempo il cervello, debbe pur anco concedersi che quasi niuna delle sue funzioni si eseguisca, come le sensorie e quelle dei movimenti volontari ; che oscurissime sieno le facoltà intellettuali se appena iniziate, e che atten- dano il momento opportuno in cui sien per agire , ma che non si trovino per allora in attività. Laddo- ve senza interruzione il cuor si muove , né per il M. Medici disquisitiones ec. ji suo uffizio ha bisogno dell'encefalo; mentre la evo- luzione e l'azione dell'encefalo non possono opeiar- si' senza il sussidio del sangue trasmesso dal cuore. Somministrano al N. A. un altro favorevole ar- gomento per il suo assunto i mostri , che vengono a luce sprovveduti affatto dell' asse cefalo-spinale , e forniti nondimeno del simpatico al pari dei feti perfetti. JNou nasce dunque dai nervi cerebrali, né dagli spinali il nervo simpatico. Nò a questa con- chiusione del Medici si oppongono i rilievi patolo- gici annotati dal Morgagni, dall'Haller, ed altri: cioè della suppurazione e distruzione qualsiasi degli or- gani encefalici e delle midolle allungata e spinale. Poiché, quand'anche nel feto galleggiante nelle acque dcll'amnios e ben difeso dalle pareti dell'utero po- tessero aver luogo sì energiche distruggitrici cagioni, quanto alterato e corrotto non si offrirebbe il liquo- re dell' amnios ? quanti segnali non dovrebbero ri- marcarsi nel feto dei guasti ad esso arrecati ? Ne basta all'A. , che di questi necroscopici trovamenti ed anche di altre deformità mostruose diano i pa- lingenisti la spiegazione con rispondere, che per ac- cidentali cagioni siasi operata la distruzione di par- ti già organizzate, opinando essi che gli organi tut- ti dell' animale futuro esistano nell' uovo non per anco fecondato. Tenendo anzi il N. A. per la più probabile dottrina della generazione la epigenesi, tro- va più verisimile, che que'mostri si riscontrino « non » quia quod construclum olim fuerat, id evertatur; » sed quia constructio aliter se gerit ac naturae le- » ges efflagitent. Mutationes ergo sunt primordiales: » sunt ergo aberrationes nisus formativi. » E tor- nando a'feti privi dell'asse cefalo-spinale, avverte il ' 72 Scienze Medici che talvolta i medesimi in luogo del cranio e dell'encefalo presentano una certa massa sì nel- l'esterne forme e sì nella interna organizzazione ben diversa dalla sostanza degli ossi e del cervello; mas- sa che le veci offre delle parti mancanti, siccome ri- marcarono in un feto il N. A. ed il Mondini. De- clinò dunque in tali casi dal consueto sentiero il niso formativo , e per gli organi deficienti vorrebbe il N. A. che si opinasse esserne stala impedita la formazione. E se ad onta della mancanza del cer- vello esisteva il simpatico, limpida iluisce la conse- guenza che da quello non trae questo la sua origi- ne. Che anzi per altra osservazione di Leopoldo Cal- dani , che or si rammenta dal N. A., è conosciuta la mancanza dei forami che danno passaggio al par vago ed all'intercostale; eppure ambidue questi nervi indubbiamente esistevano. Ad un terzo argomento volge indi l'egregio fi- siologo bolognese la sua attenzione: al sistema ner- voso cioè degli animali invertebrati, che per lo più rappresenta una specie di serie di gangli. Ora , o vuoisi che un tal sistema sia analogo al sistema nerveo della vita animale dei vertebrati , e sorgerà allora un dubbio, se l'asse cefalo-spinale cioè sia il primo tipo del sistema nervoso, da cui gli altri ner- vosi apparati discendano, ed anche all'intercostale le prime linee apprestino. Che se il sistema nervoso degli animali non vertebrati rappresenta l'intercosta- le, in tal caso, con ordine opposto, il simpatico fis- sa il tipo primordiale. Ma, senza dar peso ai fatti ed ai raziocini in discrepante senso esposti, intende il Medici appoggiarsi a migliori dottrine sostenute da un fatto singolare saldo ed inconcusso, giusta il pa- M. Medici disquisitioKes ec. 78 rere di Weber e di Desmouìins: dichiarando cioè che il sistema nerveo dei non vertebrati somministra i suoi rami non solo agli organi chilopoielici, ma a quelli altresì che ai movimenti volontari ed ai sen- si presiedono ; e che perciò il memorato sistema nervoso « ncque est axis cephalo-spinalis ^ ncque sfinpathicus. Non alter, quia vitam non alit or- gunicam ; non alter., quod animali non inservit vitae. » Per queste ed altre varie addotte ragio- ni conchiude , non potersi di questo argomento far uso per sostenere la derivazione del simpatico dai nervi cerebrali 0 dagli spinali ; tanto pii^i , che se per verità fisiologica è certo , che gli animali arti- colati di rango inferiore , oltre le funzioni organi- che , son pur forniti di senso e di movimento vo- lonlario , siamo d'altronde dall'anatoiui;i ammaestra- ti elle uno e semplice è finquì conosciuto aversi ncsi medesimi un sistema nervoso: mentre , essendo al- trini uti, vi sarebbero animali destituiti di funzioni aìiimali, e dotati sol degli organici , ovvero all'op- posto , secondo che il sistema nerveo degl'inferiori invertebrati tenesse il luogo o del simpatico o del- l'asse cefalo-spinale. Fissano in quarto luogo 1' animo dell' ^egregio Medici quelle interruzioni, che nel simpatico e nel- le comunicazioni sue varie con gli organi, ai quali imparte i suoi rami, rinvenne bene spesso il Bichat senza che se ne vedesse giammai lesa funzione al- cuna. Nel quale avviso pur trionfa la risposta del Medici. Giacché ammettendosi con qust'ultimo, che le parli del simpatico traggono propria la origine loro , la organizzazione , e la maniera di agire , e che alcune di esse senza il concorso e sussidio di y'i^ Scienze altre Jisimpegnano gli uffizi loro, agevole risulta il comprendere come possano illese serbarsi la sanità e la vita in onta di tale pervertimento di corso e di tali interruzioni manifeste. La qual cosa non po- trebbe avverarsi, se progenie del quinto e sesto paio de'nervi cerebrali fosse il simpatico; poiché gravissi- mi detrimenti alTeconomia animale ne avverrebbero in realtà per l'interrompimento pure dalle vitali azio- ni di esso. Sussiegue quindi l'esame di un quinto argomen- to , della differenza cioè di proporzione che passa fra l'intercostale ed i nervi spinali e cerebrali, dei quali vorrebbesi quello esser progenie. Da che i fi- lamenti di detti nervi non rendon ragione di tutta la massa nervea componente l'intercostale , e spe- cialmente se, astrazion fatta dalla grossezza del tron- co, riflettasi che quei filamenti superano assaissimo i molliplici rami e plessi che dal tronco del sim- patico si dipartono per recarsi agl'interni visceri e massime agli addominali. Da ultimo, ed ecco il sesto argomento di cui il IN. A. si giova per impugnare la derivazione dell'intercostale dall' asse cefalo-spinale, concorrono gli esperimenti su questo istituiti. Eserci- tata una irritazione nei lobi cerebrali, nel cervelletto, nelle midolle allungata e spinale, non soffrono e non presentano alcun turbamento i visceri , ai quali il simpatico largisce i suoi nervi. E quantunque in vir- tù dei suoi esperimenti sostenesse il Legallois , che distrutto il midollo spinale arrestasi il movimento del cuore ; pure in forza del peso di contrarie ri- sultanze di cimenti, ed in virtù di vari gravi razio- cini, in opposta sentenza entrar dovettero l'inglese Vilson ed altri sapienti scrittori, fra'quali il N. A. M. Medici disquisitiones ec. yS medesimo, a forma di quanto venne di già riferito in queste carte al tomo LXIII pag. 22 e seg. Per opera dunque di tulle le finquì dimostrate indagini ed argomenti riman dimostrato e fermo, die dall'as- se cefalo-spinale non sorgono i nervi della vita or- ganica. Quantunque per altro l'insigne anatomico tici- nese, il defunto Scarpa, avesse in altre sue produzio- ni e specialmente nelle anatomiche annotazioni re- gistrato , che dai filamenti del quinto e del sesto paio de'nei-vi cerebrali traeva origine l'intercostale ; pur nelle due lettere, scritte poco innanzi all'ulti- mo suo fato all'anatomico di Lipsia Weber , tentò introdurre una novità nelle anatomicbe discipline , asseverando per ferma ed incontrastabile la deriva- zione delPintercostale non più dal -sesto, ma dall'ot- tavo paio , o vago , o pneuino-gaslrico. Or di tale argomento imprende il prof. Medici la trattativa e la dilucidazione : il che forma lo scopo della par- te quarta delle sue disquisizioni. Con l'accuratezza sua solita pertanto, e con le forme istesse di argo- menti che usò nelle inchieste sul quinto e sul se- sto paio dei nervi , assume col soccorso laborioso del suo collega prof. Calori le investigazioni sui prin- cipali nessi dell'intercostale con il par vago. E sic- come si aggirarono le sue esperienz'/" tanto sull'uma- na specie, quanto sui bruti; così e delle une e del- le altre riferiremo in compendio le risultanze. ~ Posto a nudo il primo ganglio cervicale dell'in- tercostale nel lato sinistro del collo di una donna , ed egualmente rese visibili le comunicazioni di e& so col tronco dell'ottavo paio, esilissimi e pochi si rinvennero i fili di questo , e forniti delle caratte- ^6 Scienze risticlie note spettanti ai nervi della vita organica. Cosicché tornano qui aJ aver luogo le medesime dif- ficoltà e raziocini che fecero ( siccome di sopra no- tammo ) escludere la derivazione dell'inlercoslale dai nervi spinali e cerehrali; non potendo quei tcnuis- sirai fili del par vago dare origine ad un nervo si grande ed insigne qual è l'intercostale , e godendo quei rami di comunicazione una natura vegetativa. Né parlano in discorde maniera le zootomiche espe- rienze dall'esimio N. A. istituite. Giacche volle in- sistere sulle tracce delle osservazioni riferite da Em-- mert, ove leggesi che si rinvennero il tronco dell'ot- tavo paio e quello del simpatico racchiusi in una istessa vagina , e sì strettamente congiunti che non riuscivasi, o appena con grande stento , a disgiun- gerli l'uno dall' altro. Adoperossi pertanto il Medi- ci col massimo impegno in un gatto ad esaminare cotesto congiungimento : e vide che i due tronchi , per la lunghezza di circa quattro diti trasversi, era- no cosi immedesimati da rappresentare un sol tron- co. Ma con minuziosa diligenza riusci egli in disgiun- gerli per modo: « Ut truncos ambos ( son parole del » N. A. ) unum prope alterum iacentes detegerem, » ac dividere possem, mundo, laevi, integro utroque » reraanenle : unde collegi, eorum fibras non con- » necli, ncque confundi. » Nelle investigazioni ese- guile nel cane trovò più stretto quel congiungimen- to nella testé accennata località, dove un sol funi- colo sembrava esistere occupante la intera lunghez- za del collo fino al ganglio inferiore dell' interco- stale , separandosi quindi di nuovo i due tronchi. Sulla metà di quel funicolo una rima longitudinale fra i tronchi sembrava travedersi; ed allorché ne ven- M. Medici disquisitiones ec. 77 ne rimossa la cellulosa vagina comune ( più com- jDatta di quella del gallo) si presentavano i due tron- clii posti sì a scambievole conlatto, ma non mala- gevoli ad essere disgiunti senza pervertimento del corso e direzione delle fibre. Altre osservazioni ag- giungonsi dappoi latte nei volatili, nei rettili, e nei pesci; ma sempre per esse emergono argomenti che oppongonsi all'origine dell'intercostale dall'ottavo o pneumo-gaslrico. Or se dunque i moltiplici filamenti nervosi, dal quali ed il tronco del simpatico ed i suoi plessi e rami , per mezzo dei quali comunica egli co' ner- vi della vila animale , non hanno derivazione dal- l'ottavo dei cerebrali, siccome per queste ultime ra- gioni è dimostrato : se dai rami del quinto e sesto paio dei cerebrali medesimi non ha origine, siccome nella terza parte delle sue disquisizioni ha sostenuto il Medici con tanto buon diritto: e se neppure pro- duzione egli è dei nervi spinali , siccome nella se- conda parte di esse per tanti argomenti emerge; ri- mane ad investigarsi se prodazione il simpatico sia dei gangli, dei quali egli è doviziosamente fornito. In quest'altra impresa or s' impegna il eh. fisiologo di Bologna, nel divisamento di far conoscere la ne- cessità di recedere dall'ultima opinione ancora, che già fu quella di moltissimi dotti, che ai soli fisiolo- gici raziocini accordarono soverchia fiducia : mentre per trarsi dagli errori non dovevano trascurarsi tan- te anatomiche osservazioni di sommo interesse, che avrebbero potuto svelare l'inganno. Fa d'uopo per- ciò in sulle prime scrutinare, scrive il N. A., se la struttura dei gangli sia tale che possa da quella de- sumersi essere i gangli altrettanti centri o piccoli 78 Scienze cervelli, che origine apprestino alle varie diramazio- ni dell'intercostale. Inerendo il Blchat alla opinio- ne di molti sapienti, sosteneva essere la interna so- stanza dei gangli molle, spongiosa, a primo aspetto somiglievole alle ghiandole linfatiche , omogenea al taglio , e senza verun indizio di fibre o filamenti : sosteneva altresì che i nervei filamenti contigui ai gangli ( che infersnti ed efferenti appellar si soglio- no ) traggan principio dai margini dei gangli per quindi dipartirne e dividersi in varie direzioni, men- tre la sostanza interna dei gangli dicevasi differire da quella clie i confini del ganglio istesso non oltre- passa. Con vari argomenti dall' anatomia comparata somministrati fiancheggiarono questa dottrina Gali e Spurzheirn; ed il Carus fra l'organizzazione dei gan- g;li e l'altra, ch'è propria delle nervose diramazioni, stabili una differenza, rilenendo puntiforme la mas- sa dei gangli , e concedendo una natura radiata e fibrosa a rami che ne sortono: mentre torna ad es- sere punteggiata nelle nervose estremità che disper- donsi negli organi sensori , in quelli della locomo- zione e negli altri della vita vegetativa.^ Non sorreggonsi però questi fatti , ovver nulla provano, secondo il pensare del Medici. Non sorreg- gonsi, perchè non sussiste che i gangli sieno sprov- veduti di struttura fibrosa o radiata , siccome è di- mostrato dalle varie osservazioni che in molti gan- glii il; N. A. si accinse a pralicare. Cimentò egli in- fra gli altri il primo e secondo ganglio toracico del- l'intercostale in una giovane donna posta sotto il quinto lustro di sua età. Erano quei gangli sì vicen- devolmente congiunti, che i^appresentavano un sol gan- glio prolungato. Ma i rami comunicanti, che in par- M. Medici disquisitiones ec. 79 te al primo ed in parte al secondo recavansi, lim- pidamente dimostravano da due gangli esser forma- ta quella massa, mentre sensibilmente turgidi si scor- gevano in virtù della secondaria sostanza in essi co- piosamente raccoUa, Le fibre in oltre del tronco su- periore dell'intercostale discendevano al primo gan- glio; progredendo dopo varie scambievoli congiunzio- ni ancor co'nervi comunicanti, toccavano senza in- terrorapimento il secondo ganglio , e proseguivano liberamente il cammin proprio, finche ripetuti altri congiungimenti più compatte e quasi parallele costi- tuivano l'inferior parte del tronco intercostale. Gli spazi poi intermediari fra le menzionate fibre riera- pivansi da una sostanza secondaria, clie anche al- l'esterno appalesavasi punteggiata. In egual eviden- za si ebbe a riscontrare nel cadavere di un uomo pressoché quadragenario il tessuto fibroso nel ples- so solare. Sì della presente e sì della superiore os- servazione riferisce il Medici le figure in tavole li- tografiche alla quarta parte annesse , e per l' accu- ratezza simiglianlissime alle altre che adornano que- sto prezioso commentario. Non sorreggesi dunque , siccome pur anzi dicevasi , il proposto asserto , che abbiano i gangli una organizzazione spongiosa e puntiforme, diversa dalla fibrosa, ne che sieno mas- se da' cui margini prendano origine i rami nervosi. Né la interna sostanza dei gangli punteggiata e non fibrosa ritener debbesi come centro o piccolo cer- vello che filamenti nervei partorisca , ma bensì un gruppo situato nel mezzo del ganglio ricoperto ed avvolto da fibre nervose che in niun modo con es- so confondonsi. E se quest'anatomica centricità (per usar le parole di Weber) fosse reale , converrebbe So Scienze che disgiunta non andasse dalla centricità fisiologi- ca; laddove per testimonianza di esperienze è chia- ro, potersi distruggere i gangli senza delriiuenlo di attività dei rami che ingenerati credonsi da quelli. Dicemmo, che nulla prova l'aspetto puntiforme che presentano i gangli: potendo essere un fenome- no derivante dalla sezione traversa od ohliqua dei gangli , siccome lo scorgiamo in altre diramazioni nervose, nei muscoli , ed in altre parli senza dub- Lio fibrose avvenire. Puntiforme altresì può appari- re, come da tanti globicini formata la massa frappo- sta ai filamenti dei gangli , che secondaria o polpo- sa o rossa cinerea già disse Wutzer, e che piacque a Lobsteln dislinguere col nome di orbicolare to- mentosa. Ne monta che alcuni animali dotati di si- stema nervoso ben distinto offrano masse di ner- vosa sostanza, da cui prorompano filamenti. Poiché, quand'anche quelle masse negli animali inferiori cor- rispondessero ( il che pur è gravemente controver- so } ai gangli degli animali superiori , siamo unica- mente dalla osservazione ammaestrali, che la prima origine del sistema nervoso consiste nella contem- poranea genesi delle masse e dei filamenti; ma non perciò ne se£;ue, che quelle preesistano e che que- sti abbiano dop:> di esse nascimento. Esclusa per tal modo dai gangli ancora la pro- venienza dell'inlercostale , qual mai ne sarà, potrà (liisi, il luogo di origine? Ma per quanto mcu ma- lagevole sia lo svelare gli errori di una dottrina, più atduo egli è forse sostituirle una nuova e migliore. A questa premessa fa il N. A. conseguitare il suo giudizio, che modestamente ritiene come probabile; che l'intercostale cioè, a guisa delle altre parti tut- M. Medici disquisitiones ec. 8i te dell'universal sistema nervoso ( e perciò anche di tutti gli organi del corpo), abbia una peculiare e sua propria origine. Affin di vie meglio roborar quest'as- serto rammenta e svolge alcune proposizioni sulla organo-genesi emesse da alcuni fisiologi alemanni , sciorinandole con fino criterio, ed infirmandone con gravi obiezioni il valore. Non è infatti, per tacere delle altre molte animadversioni, sensibile la massa primordiale e puntiforme dell'uovo, la quale, al pa- rer dei menzionati fisiologi Okeu e Carus , è tutta nervo. Ripugna in oltre a tutto ciò, di cui la fisio- logia ci ammaestra, che l'animale, fin dai suoi pri- mordi , o non formalo ancora, o delineato appena, trovisi composto di una sostanza destinata ai piìi sublimi uffizi della vita ; e ripugna altresì al buon senso, che composto sia il corpo animale, infin dal suo principio, di una materia , la quale non senza evidenti e successivi processi di formazioni e d'in- crementi glugne alla perfezione del suo grado. Altre dottrine quindi, fiancheggiate da migliori osservazioni, sostiene il eh. Medici: ritenendo che la materia primordiale sia così costituita , che dopo la fecondazione acquisti tale e tanta forza da incomin- ciare a subir mutamenti, e dar origine alle parti del- l'animale che deve a luce venire. Così dalle ricer- che di Wolff intorno alla genesi primitiva dei vasi sappiamo, che la materia globulare dell'uovo conce- pisce dopo la fecondazione un movimento in sulle prime intestino, indi progressivo, per cui lentamen- te percorre non pei vasi che ancor non esistono , ma per solchi da se medesima scolpiti; e concorren- do in maraviglioso ordine altri globetti a coacervar- si, formano alcuni strati che tonache divengono dei G.A.T.XC. 6 8a SciBNZE vasi , mentre altri globicini fra di esse prosieguono a muoverai come indizio e germe del futuro san- gue. Applicando poi , come dal noto all' ignoto , i medesimi processi per la genesi dei primi stami dei muscoli e delle ossa, non vede perchè lo stesso non abbia ad opinarsi pei nervi. Poiché debbon sem- pre questi effetti ripetersi da quella forza peculia- re, che dagli osservatori di tutte l'età venne ricono- sciuta e difesa, quantunque sotto varie denominazio- ni adombrata : come di facoltà formatrice da Gale- no , di movimento di assimilazione da Bacone , di facoltà vegetativa da Harveio , di anima vegetativa da Sthal , di efficacia d'interno stampo da Buffon , di forza essenziale da Wolff ^ di niso formativo da Blumenbach, di forze di secrezione comune a tutte le parti del corpo organico da Fattori , e di forza plastica o organica o di produzione o di riproduzio- ne da altri scrittori ; forza, cui aggiunge il Medici con Blumenbach la rigenerazione delle parti recise o comunque distrutte, e la nuova genesi di parti in varie patologiche evenienze , specialmente di morbi flogislici. E per discorrere più davvicino della genesi dei nervi, esclusero già Gali e Spurzheim la remota de- rivazione di qualsiasi nervo, si la mediata dall'en- cefalo, si la immediata dallo spinai midollo: « Ner~ viLS nnllus ab alio oritur ...» Tale fu pur il di- visamento di Reil, di Soéramering, di Wutzer , di Mùller : « Idemque ( conchiude il Medici dopo si- » mili attestazioni ) est affirmandum de intercostali , » qui, mea sententia, caeterorum instar nerveorum » apparaluum , ibi oritur ubi exislit , oriturque » proprie talibus omnibus ad sua obeunda munera M. Medici disquisitiones ec. 83 u necessariis instructus. » E richiamando poi il set- timo corollario riferito alla parte III di queste di- squisizioni sulla organo-genesi, ne conchiude: « Et ì) siculi organum ante cetera agens est cor, ncque » organum ullum agere potest, nisi antea rite com- » positura fabrefactumque sit , necessario sequitur » cardiacos nervos prae ceteris esistere atque ope- » rari: » giusta la vecchia sentenza del sapientissi- mo Aristotele, e non già giusta quella di Akerraann, il quale aggiungeva che dal cuore quindi si estol- lessero, ricurvandosi per dar origine alle branche cer- vicale, pneumatica, e splancaica. Ognun ravvisa dal tenor delle cose finqul di- scusse dall'esimio prof. Medici, che le sue dottrine sulla organo-genesi hanno il suo precipuo fulcro su quella della epigenesi. Ma se a qualche palingene- sista non andasse a grado il discorso del N. A., in- fra le varie obiezioni da recarglisi in campo si ri- sponde, che fiancheggiata neppur viene dalla palin- genesi l'origine dell'intercostale dall'asse cefalo-spinale. (^Sarà continuato) -=»-^?SO^ÌS^e=-' 84 Memoria sulV applicazione del calcolo dei resi- dui alV integrazione delle equazioni lineari a differenze finite, di Barnaba Tortolini profes- sore di calcolo sublime nelV archiginnasio della sapienza, e di fisica matematica nel collegio urbano di propaganda fide. Applicazione del calcolo dei residui alVintegra- zione delle equazioni lineari a differenze finite a coefficienti costanti. 1.° JL in dalPanno 1826 il ehlarìssìmo sig. Cauchjr pubblicò nel primo volume de' suoi esercizi di ma- tematica i principi! di un nuovo calcolo, che volle distinguere col nome di Calcolo dei residui. L^uti- lilà di questo calcolo si è fatta sempi^ più cono- scere per le grandi e belle applicazioni che l'autore medesimo ha fatto a diverse questioni dell'analisi ma- tematica: fra le quali meritano particolar attenzione gl'integrali definiti, e l'inlegi-azione dell'equazioni li- neari, e dalle quali dipende la risoluzione di un gran numero di questioni importanti della fisico-matema- tica. Negli anni 1 835-1 836 feci di pubblico diritto in questo giornale due memorie sul calcolo dei re- sidui: e mi era proposto la continuazione delle me- desime, se diverse circostanze non ne avessero im- pedito la pubblicazione. Nella prima di queste me- Calcoi-0 de' residui ec. 85i mone, dopo di aver esposto i principii del detto cal- colo, ne mostrai una applicazione all'integrazione del- l'equazioni lineari a differenze finite , rimarcando i vantaggi del nuovo metodo sopra gli altri di già co- gniti. Tal'è l'onorevole menzione che del mio lavoro fece l'esimio nominato geometra nella seduta dell'ac- cademia delle scienze del 17 maggio 1841; ove l'au- tore si propone alcune applicazioni del calcolo dei residui, per le quali sì aumentano le risorse dell'ana- lisi. Nella presente memoria si vedrà la facilità ed eleganza insieme che porge il calcolo dei residui, nel- r integrazione di un sistema di equazioni lineari a differenze finite, ed a coefficienti costanti; e per co- minciare dai casi più semplici, considereremo per ora un sistema di equazioni del primo ordine. Per ren- dere poi più eleganti e simmetrici i risultati, faremo costantemente uso di alcune espressioni simboliche , desunte dall'analogia delle potenze colle differenze , e che sono comunemente cognite. Negli ultimi due numeri si parlerà dell'integrazione di una sola equa- zione a differenze finite di un ordine qualunque, e di alcune trasformazioni, che è suscettibile di ricevere la variabile principale. 86 S e I E N z « Integrazione di un sistema di equazioni a differenze finilù del primo ordine lineari^ ed a coef/icienti costanti. 2.0 Sieno n equazioni a differenze finite del pri- mo ordine lineari, ed a coefficienti costanti fra n va* riabili principali r, z, li, ,.». considerate come fun- zioni di una sola variabile indipendente jc. Suppor- remo queste equazioni presentate sotto una forma ta- le, che diano respettivamente i valori delle differenze. àxj , ArZ , Ajc« .... cosicché portando tutti i termini nel primo membro, si abbia àxy -t- a^y «f- a,z -H a^ u H— c= o, (1) ^ Aars ■+■ boj -{- biZ -i- bju. -f-. = 0, Ax« -+• c^y -h c^z H- c^u •+•.... = o od anche ponendole sotto una forma simbolica ( Aa: -H +•... = 0 (2) ^ ^„j^ 4- ( Ar H- è, ) 2 H- M -i- - = 0 CoJ H- C,Z -h ( Ar 4- Ca ) U -i- ... = O Le quantità a^ •> «i , «2 ... sono coefficienti costanti. Supponendo che h sia la differenza finita e costante Calcolo de' residui ec. 87 della X, soddisferemo alle precedenti equazioni, pren- dendo (3) y=^A (iH-r? , 2: = B ( H- r y^ , u ^ C (H- /-f ed avremo A ( r H- flo ) -f- a, B -i- a^^C -*-. = o (4) ^ ^o A H- ( r H- è, ) B H- ^2 C -f-. = 0 Co A H- e, B H- ( r -f- C2 ) C 4-. = 0 ove le r, A, B, C sono costanti reali, od immagi- narie, e tali da verificare le formole (4), le quali si otterrebbero dalle medesime (2) rimpiazzando r in luogo di A:., ed A, B, C... in luogo delle j, s, m, ... Eliminando le A, B, C ... avremo una certa equa- zione caratteristica (5) F (r) == o che sarà del grado n rapporto ad r, e per la quale si ha (6) F (r) = (r^a^) (^^.5^) (rn-Co)..- (r-^^a,) ^ ò, ... +a,5„c. Le formole (3) soddisfano per una qualunque radice r dell'equazione caratteristica; e siccome prendendo anche più sistemi di valori propri a verificare le for- mole (i),o (2) si ottengono dei nuovi integrali dalla somma dei medesimi, così si verificheranno anche l'e- quazioni (i),o (2)., quando si faccia, come dal cal- colo dei residui, 88 Scienze "' ^~-' (Fcn) • '-^ (F(n) ■'---iFcnr * ' il segno ^ riferendosi a tutte le radici dell'equazio- ne caratteristica. Per A, B, C . . . che sono funzioni indeterminate della r , possono prendersi altrettante funzioni intere della r, che verifichino le forinole (4); e noi otterremo si fatti valori, quando alle medesime si sostituisca ( r -4- Ao ) A -+- «i B +02 G -h- = «F (r) (8) \ bA H- ( ,■ 4- Z,. ) B 4- ^2 C -+-. -= /3F (/■) c„ A -+- e, B H- ( r -h c^ ) G -t-. = 7F (r) e che evidentemente si riducono alle (4), purché per r si prenda una radice dell'equazione caratteristica ; qualunque d' altronde sieno i valori attribuiti alle nuove costanti a, /S? 7? • • • Le A, B, C, ... sono evidentemente funzioni lineari delle costanti a, /3, 7, ... ed osservando che nell'eliminazione il denominatore coincide con F(7'), così facendo . . . (*) Secondo la nuova notazione introdotta nel calcolo dei residui, le doppie parentesi semicircolari sono rimpiazzate da una parentesi unica trapezioidale. Solamente noi nella parentesi a destra tralasceremo di annettere la lettera r al basso della medesima, che servirebbe ad indicare a qual variabile si riferi- sca il segno ^* Calcolo de' residui ec. 89 A = L,a -h Mo/3 -h NoV -} (9) ) B=.L,« -hM,/3-f.N,7-H .... C = L,a-t-M3^-t-N^7 4-.... I coefficienti Lo, M„, N^, ... saranno funzioni in- tere della r; quindi le formole (7) si trasformeranno in ^"^^ '^^ (F(n) ^"*-^)^' Ora è facile il vedere, che L,,, . M, . N^ . . . sono fun- zioni intere del grado n — i , e le rimanenti Mo , •■^o» Li, Ni, La, M^ sono di un grado inferiore ad n — I. Ciò posto, dal calcolo dei residui sappiamo che quante volte il coefficiente nel primo termine r« del- lo sviluppo di F(r), sia eguale all' unità , si ha per valori di m inferiori ad ^i — i fin e per m = n — 1 go Scienze dunque per Lo, Mo, N» ... si verificherà - = I , .... e per conseguenza, se vogliamo che le formole (8) diano per x = Xo basterà porre nelle medesime x — x^ in luogo del- le Xj e sarà _ (J« + M.i3 H-N,y+.) — ° •'■"^ (F(r)) ' ' ar-jt o _ (L.aH-M./3H-N7W-) , . , .-T In queste formole le variabili principali,^, z, w, . . . oltre di verificare qualunque sia x l'equazioni (2) , sono soggette nel medesimo tempo a ridursi per X = Xo alle costanti oc, /3, y» . . . Calcolo de' residui ec. qi 3. 1 precedenti valori di j, z, m, . . . espressi per le formole (7), (io), (11) possono rappresentarsi sotto alcune forme simboliche, che sarà utile di co- noscere. Ed infatti se per le funzioni intere A, B C . . , della variabile t si ponga (12) A = y(r), B = ^^^r), C = ;f(r), ... ìe formole (7) diverranno simbolicamente espresse per (13) jr=(p(A^)e^ 2^^(^^)0^ u=x{àz)e, , . . quando per brevità pongasi ^ (F(r)) La nuova variabile 0 si chiamerà funzione princi^ palese verifica l'equazione a differenze finite 0*) F(4,)e:=o Osservando poi che l^(')j (F(r)) ^ q^^r)) cosi per or = 0, la funzione principale 0 soddisferà alle condizioni (16) 0 = 0,^,9 = 0, A-;,0 = o. .. A«-',0=i I simboli 92 Scienze sono funzioni intere della caratteristica Ax » 6 pro- vengono dalla sostituzione di A^ in luogo della r , nelle espressioni 9(0» H.. )e ' w = ( aS H- iST -H 7U -+-..) 0 dove per brevità si pone (.8) e^^ijjìll ^ (FCD) Qui pure la funzione principale 0 oltre di verificare qualunque sia jc, l'equazione a differenze finite X'g 0 IT Calcolo de' residui ec. n3 F(A^) 0 = 0 soddisfa nel medesimo tempo per x = Xo alle con- dizioni 0=0, Aa:0.= O, A2:,0 = O.,.. A"-';r0 = 1. Ognun vede clie l'integrazione delle equazioni (i), o (2) viene ridotta alla ricerca della funzione princi- pale: la qual cosa è di una grand' utilità per l'inte- grazione dei sistemi di tutte l'equazioni lineari a coef- ficienli costanti. Del resto non è difficile a vedere che i valori delle variabili principali y, z, u . . . non so- no diversi da quei che si dedurrebbero per 1' elimi- nazioni dall'equazioni a differenze finite / ( Ax -t- «o ).r -t- «i2 -4- a^u 4- .. = «F ( A^ ) 0 (19) l %-f-( Ax-t-5i )z H-è^«r4^.. = /3F( Ax)0 ^ c„_;^ 4- CjZ H- ( A^ -h C2 ) « H- .. == 7F ( Ax ) 0 come se Ax fosse una vera quantità. Di qui se ne deduce, che per passare dall'equazioni a differenze fi- nite agli integrali, o variabili principali, che per x=Xo si riducano ad «, /3, 7, basterà nelle medesime porre Axj. — aF {àx) 0, ^xz— /3F (Ax) 0, A^ — yF (Ax) 0 invece delle differenze Ar^, kxZ, AxU, . . . ed operare quindi come se Ax fosse una vera quan- 94 Scienze tità. Quest'osservazione ci sarà molto vantaggiosa per l'integrazioni dell'equazioni superiori al primo ordi- ne. Prima di venire ad una qualche applicazione non mancheremo di notare, che l'esposto metodo è stato modellato a quello che il sig. Cauchj propone per un sistema di equazioni differenziali lineari del pri- mo ordine a coefficienti costanti, e che il medesimo sviluppa negli esercizi d'analisi e di fisica matematica. 4.° Siene le tre equazioni, a tre variabili prin- cipali, / Ary-Hj'-H l4z=o, (20) / y -H 5z — • Axz -i' ']u = a e si tratti di determinare y, 2, u, in modo che per X = 1 riesca jr = o , z= 1 , M==o Supponendo che 1 sia la differenza costante delle x» porremo secondo il consueto per verificare l'equazioni D^ = A(1 -i- r)» , z = B(1 4- ry , m = C(1 Hh r)^ ed avremo , A( 1 -hr)— .UB = o, (21) ) 7C-f-A — B(r — 5)=o ( C(r — 11)— 2B=o Ed eliminando A, B, C, otteniamo V equazione ca- Calcolo de' residui ec, g5 ratteristica di terzo grado (22) ,.3 _ 15;.2 _j_ 11^ ^_ 195 = 0 Le radici di quest'equazione sono, 5, i3, — 3, d'on- de ponendo (23) F(r) = r3_ 15^2_^ 11,. ^^ 195 sarà F(r) decomponibile nei fattori r — 5, r — i3, r -h 3. Ciò posto, è chiaro che gli integrali saranno in forza delie formole (ii) quando i valori di A, B, C, si prendano dalla eli- minazione delle tre equazioni / A ( 1 ^ r ) — 14B=0, (25) ì 7C-t-A — B(r — 5)=1 ( C(r^11) — 2B=:=o dalle quali ricaviamo A=14r— 154, (26) ) B = r^ >- lOr— 11 , ' C = 2 ( 1 -H r ). Sostituendo questi valori nelle (24), e facendo l'e- strazione dei residui, si dedurranno le ^, 5, «; ma 9^ Scienze possiamo arrivarvi direttamente per mezzo della fun- zione principale-, Qà infatti per la formola (i8) sarà in questo caso e si esprimerà per (28) 0 = F'K) F{r.) "" F(r3) quando pongasi r, = 5, Ta = i3, ra = — 3 . . . . ed essendo (29) F'(r) = Sr^» — 3or 4- 11 così verrà per la funzione principale o (30) 0 = — ^ -f- ~L -h ^ ' 64 128 128 Ora nelle formole (17) dovremo fare «=o, /3=i, 7=0, e per i valori di A, B, C, dati dalle (26») le carat- teristiche M, Q, T, sono , M = 14A^ — 154, (31) ) Q=A-;r — IOAx — 11 V T=2(Ax-l-1) e per conseguenza le variabili principali j-, s, w so- no simbolicamente espresse per Calcolo de' residui ec. 97 , j^=(14 A«— 154)0, (32) { z=( A'»— 10 Ar—.ll )e o = 2 ( Ax -+- 1 ) 0 quando la 0 sia determinata dalla formola (3o). Ese- guendo pertanto le indicate operazioni sopra 0, e ri- ducendo, sarà ^- " ' ~ 64 6. 6* -h 14* — 7 ( — 2 )'^ (33) J ^ ^ 64 — 2. 6=^ -f- 14* H- ( — a )* " = 64 Queste equazioni, oltre di verificare qualunque sia x l'equazioni (20) a differenze finite, sono per x == i soggette alle condizioni J=0, 2=.1, M=0. Le formole (33) contengono la risoluzione di un pro- blema relativo al giuoco degli scacchi, come può ve- dersi nel primo volume del calcolo sublime del dot- tor Vincenzo Brunacci. Nelle precedenti equazioni come nelle [i), o (2), si è supposto che il secondo membro sia nullo: ma non è difficile a determinare le variabili principali j, z, u, . . . quando il secon- do membro sia una funzione della variabile indipen- dente X, e che verremo brevemente a sviluppare nei nuovi numeri. G.A.T.XC. 7 98 Scienze Integrazione di un sistema di equazioni a differenze finite del primo Oìdine, lineari, ed a coefficienti costanti^ ìlei caso che i secondi membri sieno Jlinzioni della variabile indipendente. S.° Supponendo che i primi membri dell'equa- zioni (i), o (2) sieno eguali ad ailvellante funzioni X, Y, Z, . . , della indipendente x sarà (1) ^ Axz -4- h^j 4- h^z -k-h^u -f. .. = Y Lxu 4- c^j -h Ciz 4- cjii 4- .. = Z e che si potranno scrivere sotto la forma simbolica ( Aa: 4- «0 )/ -H «iZ 4- O^i^'- 4- •• = X ,(2) \ ^ojr -H (A-^H- ^i ) z 4-^2" 4---= Y Coy -H c^z 4- ( Ax 4- C2 ) M 4- .. = Z Se le variabili principali j^ s, tf, . . . olire di veri- ficare le nuove equazioni (t) e (2), dovessero soddis- Calcolo de' residui ec. 9^ fare per x =^ Xo alle condizioni j- = a, z = /3, u =7, . . . basterà per ottenerne i valori, aumentare le a, ^, 7 ••• nell'equazioni (u), degli integrali finiti: - X - » r |i^.r) 2(i-Hr) X (3) / I'* ^ ^ ( H-r) 2( i-Hr) Y a; . x -t-r ) 2 ( i-t-r) Z purché l'integrale cominci da a: = ar^, quindi chia- mando v una variabile compresa fra x ed x^, e rap- presentando per Xi , y, , z, . . . ciò che divengono X, Y, Z, quando si sostituisca v invece della x\ otterremo dalle medesime formole (11) del n.o 2." per j, s, w, . . . che soddisfano alle (2) ed alle richieste condizioni. Wo Scienze x-x 7=6 lilTriT^ (•-»■'•) x-v-h ^^jL.X, 4- MoY, -H N„Z.^.) (i^-r) '* o*" (F<,-)) 0 (M-i-M.i9-HN,yH-.) ^=^ W^) —^'-^'^ (4) { x-v-h _i- s' " r-* y; (L,X. 4- M,Y, -f-N^Z^-t-.) (i4-r) x-V-h (Feo) Non è difficile a vedere che la sostituzione di que- sti valori nelle (i), o (2), le verifica immediatamente. Le medesime j-, z, it . . . sì presenteranno sotto una forma simbolica, quando chiamando L, M, IN . . . ciò che divengono L^, M^, N^ ... per la sostituzio- ne di A^ invece di r, e ponendo per brevità x-x x-v-h Calcolo de' residui ec. lor si avrà ;^=(La-4-Mj3-hNv-H..) O-t-Y "" (LX,^-MY,4-NZ,4-.) V ■ ' 'o " ■ ' •'■' (6) ; z=(P<3c-f-Qi34-R7H-.. ) €)-+-T ^ (PX,-t-QY,-t-RZ,-i-. ) V «=(S«-+-T/34-Uy-+-.. ) Gh-V '^ (SX,-hTY,+UZ.-+-. ) V : '4 La funzione principale 0, per x = Xo soddisfa alle condizioni (7) 6 = 0, àxe=o, Av0=o.... A«-':c0 = 1, e gl'integrali finiti svaniscono per X'=Xo, 6° L' analogia delle potenze con le differenze somministra anche un metodo elegante per arrivare ai medesimi valori di j-, z, u, . . . Ed infatti se dall' equazioni (a) dell' antecedente n." si eliminino le j^, 2, w, . . . come se A^ fosse una vera quantità, si avrà LX -+- MY H- NZ r = (8) ) . PX+QY + RZ F(A.) SX -i- TY + UZ u = — ■^••iut 102 S C I K N i E Le L, M, N, . . . sono funzioni intere della carat- teristica Aa; ed hanno 1' identico significato, che le precedenti del n.° 3. Il grado delle medesime è per lo meno di un'unità inferiore al grado della funzio- ne intera F(A^) della caratteristica. Ciò posto, per una formola generale del calcolo dei residui si potranno le frazioni razionali di denominatore F(Aa:) decom- porre in frazioni semplici, mediante la relazione f(x) ^ f^3^ (9) — = ^ F(x) , ^(.r — z) (Fiz)) dunque chiamando Lo , Mo , No , ... ciò clie diven- gono le caratteristiche L, M, N, . . . per la sostitu- zione di r invece di Ax > si troverà evidentemente L,X H- MoY ■+ N,Z (Ax — r) {Fin) m ) ^ __ L.X^M,Y^N,Zh-. _ ^L,X H- M.Y -f- ]S,Z H- . "^^ (A.-r)(F(r)) D'altronde le frazioni simboliche X Y Z A.-r' Ax— r ' A» — r ' sono altrettante integrali dell'equazioni a differenze finite Calcolo de' residui ec. io3 (12) (Ax— r)§=X, (òr-r)Y)=Y , (Ax-r)?-=Z e dalle quali si ha X X I = (i-f-r) ' ( 9 (r) -4- 2 (i-i-n' X) (13) >j = (j+rf ( ó (D H- 2 (1+7-/' Y) 1. -1 -_: dove per ciascuna delle funzioni arbitrarie ^(r), ?, ^ ar-ae z-V-h o ? = a(i-l-r) 4_y''(i4-r) X» ■^i" aro ^= V '-'fo x-w-/* (i 4_r) ' -f-V' (i 4-r) Z. ^^ ro Se questi valori, cbe rappresentano le fraxJoni sim- boliche (i9), si sostituiscano nelle (io), si hanno per jy", z, a, ... alcune espressioni che coincidono per- fettamente con le formole (4), o (6) del precedente n." I metodi esposti in questa Memoria possono esten- dersi per l' integrazione di un sistema di equazioni lineari a differenze finite, ed a coefficienti costami, e di un ordine qualunque, e su qual cosa si parlerà in altra circostanza; e tutta la questione si aggirerà nella formazione dell' equazione caratteristica , e nella ricerca della funzione principale. Quando si tiatta di una sola equazione, la variabile principale sarà essa stessa la funzione principale, e si chiame- rà equazione caratteristica la medesima equazione a diffei-enze finite. L' importanza ed utilità , che ha la considerazione dell'integrale di una sola equazio- ne, permetterà di fermarci alquanto nel seguente n.° su questo soggetto, e di conoscere nello stesso tem- Calcolo de' residui ec. io5 pò alcune trasformazioni che è suscettibile di rice- vere la funzione principale. In questo modo verrà pienamente dimostrato, ciò che abbiamo supposto co- gnito in qualcuna delle ricerche istituite nei due ul- timi numeri. Sulla funzione principale che verifica una equazione caratteristica a differenze finite. 7." Sia y la funzione principale che verifìca Vequazione caratteristica (1) F(Ax)7 = o ove n sia il grado , ed F(Ajp) una funzione intera della caratteristica ^r -, e nella quale sia ridotto ad i il coefficiente di A^;. Se si prenda (2) y={\^rf si otterrà evidentemente per la sostituzione nella (i) X (3) (1-f-r)'^F(r) = o e che si verificherà quante volte si prenda una ra- dice r dell'equazione (4) F(r) = o io6 Scienze dunque prendendo più generalmente " ^-'■' (F(r)) sarà essa l'integrale completo, e la 9{r) dovrà rima- nere finita per una qualunque delle radici della (4). Supponiamo adesso che il secondo membro della (i) in luogo da ridursi a zero, sia una funzione qualun- que della Xi in modo da avere (6) F(A.)r =Ax) Procureremo di soddisfare alla nuova equazione, pren- dendo per j^, un'espressione simile alla (5); purché alla ijj(r) si sostituisca una funzione ^{r', x) di am- bedue r, X', per cui sarà Sostituendo questo valore nella (6), ed eseguendo le operazioni indicate nel simbolo F(Aa)> si otterrà fa- cilmente ,os ^ (iH-r)" F(r -t- (I -f. n A.) ^ (r,x ) Per ottenere il valore di (//(r, x) da soddisfare a que- sta condizione, basterebbe supporre 1' equazione (6) Calcolo de' residui ec. 107 ridotta al primo grado: allora essendo F(r) della for- cina r — Ti , e facendo 1' estrazione del residuo ri- guardo alla radice ri si avrà evidentemente dalla (8) e mutando di nuovo la lettera r, in r, si avrà o^n j agioq (10) 4;r'K''»^)= (IH-O'^IH-Z^W d'onde ^ •e 'i (H) ^ (r,x) = (1 4- r)-'2 (1 4- rf/v-^-) Questo valore soddisfa generalmente alla formola (7) e sarà facile di verificarlo direttamente. Ed infatti se nella (io) si prendano le successive differenze riguar- do ad X, si otterrà dalie analogie delle potenze con le differenze -lY/(a.) (12) A«x ^(r,^) = (1-f.r)-\H-r)'' ( (H-r)" (H-A,) Quindi osservando che F(r) è una funzione intera, po- tremo sviluppare la funzione simbolica F(r-{-(H-r)A*) secondo le potenze ascendenti,e simboliche di(i-t-r)Aar, cioè (i3) F(r+(iH-r)Ax) = F(/o ^ Ii2 (i^r) Ax I H (i4-r^A'x 4-4- — ^ i-t-^ ^x I. 2. 1.2. 3.74^ io8 Scienze ove i termini oltre di essere n~^i di numero, le ca- ratteristiche àx , A'xr' ; ,? . a" ... si devono riferire a tp(r, x). Riflettendo poi che la funzione intera (14) i* (/•) = r -f.a,r '^a^r -f- .. -|- «„ porge evidentemente . . . F'(r) = nr 'h- a,(«— i) r ^-\ 1- a^,^ ,F^"\r)= 1.2.3... n— i.«. che (.6) £(l+llM*Ì!::fl = o ^ -^ "^ ^ (Fcr)) Cosi facendo tutte queste sostituzioni otterremo dal- la (B) la trasformata / /*""^ a'*"^ a""^ a\ ('7) 8 ,;f(;:^)— =/(^5- In questa equazione i nuovi coefficienti A, , A^ ... A« 50^10 indipendenti da r, e per il primo A, si ha Calcolo de' residl'i ec. 109 (18) Ai = n -+--— 5 e che si riduce ad i, come si può scorgere forman- do il binomio « n(n — i) n(n — i) (n — 2) ) (i— i) =0=1— wH—^ i— ^ ^-i- i^ ' ^ ^ I. 2 I. 2. 3 Ma da una proposizione del calcolo dei residui , e di già richiamata al n.° 2. ed insieme fit-ì (F(r)) = I d'onde la formola (ly) viene da stessa verificata: e per conseguenza assumendo per ^hi^r^ x) il valore da- to dalla formola (ii), otterremo per la (6) l'integrale ^~^ CF(r)) la quale coincide a quanto arrivai in due modi di- versi nella Memoria nel i835. Il segno 2 compren- de per tutte le radici ri ì\ r^ . . . altrettante co- stanti arbitrarie, e rappresentata per "^{r) la generica costante arbitraria: e ponendo per brevità 110 Scienze (21) -.) I.2.3..W — i-^-'^o ( ' ^L /i jj (I-h^x Nello sviluppo si dovranno sostituire ^li indici alle potenze di Volendo supporre m' = n ^ m" == o ^ in'" = o , ... rimarranno soltanto i primi due termini; ed essendo $,(/•)= ^JrJ = I, svanirà il simbolo (i-t-rj)Dr,, e si ridurrà il secondo membro della (35) identico con la (29). Un altro articolo sarà consecrato per l' integra- zione di un sistema di equazioni a differenze finite, e di un ordine qualunque. G.A.T.XC. ii4 igi»iMitHH«injiutji!j»jMm»j. , iiinin'iaa»«.'»aMiiTiHiiwiuwHu«4m««i»a!BaCT Ragionamento di economia pubblica detto al- Vaccademia tiberina dal P. D. Marco Morel- li ex-generale de^chierici regolari somaschi. 'opo un lungo silenzio da me osservato in que- sti anni, parte perchè distratto da non lievi occupa- zioni, proprie del mio istituto, e parte ancora per- chè temeva di non portare in qiiesto amplissimo luo- go cose degne di voi, chiarissimi tiljerlni , e di co- loro che cortesi qua muovono per far sovente 1' ac- cademia nostra e bella ed onorata , io ritorno pure una volta a ragionare tra voi, improvvisamente chia- mato, e ad aggirarmi di nuovo nel vastissimo cam- po della pubblica economia. Ma prima di pronunziare qual parte di eco- nomia io mi abbia più specialmente preso a svolge- re in questa adunanza, reputo non fuori di proposito lo appellarmi a quel celebre verso di Terenzio, co- tanto applaudito nell'antico teatro romani: Homo sum, immani nihil a me alieniun paio- Cli.è così niuno^ schifiltosQ potrà a lagione accusarmi, che io esca di carriera, ed entri sconsigliato in campo non mio. Sono uomo: dunque nulla di quanto riguarda il bene degli uomini riputar posso a me disconvene- vole o straniero. Intanto, dopo avere negli anni trascorsi addot- te le cagioni del decadimento dell'agricoltura roma- na; quindi dimostrata la utilità degli orfanotrofi col- tivatori; poscia parlato della educazione del popolo; FXONOMIA PUBBLICA n5 mi accingo ora a dire in breve, e per quanto ad ac- cademico ragionamento si addice, del commercio in generale, e dello speciale pel suolo italiano, e per noi: parte nobilissima della pubblica economia, la qua- le abbicacela per la sua ampiezza tutto 1' universa conosciuto, e l'arti tutte, e moltissime scienze: e le nazioni avviva e accresce, e cresciute le mantiene , e trasmette fiorenti alle venture generazioni. E per procedere con buon ordinamento di co- se, egli pare che si convenga incominciare dal de- finire , che cosa sia il commercio. Al quale uopo ricordo di aver letto nella mia ancora fiorente gio- ventù, e di avere maravigliato a un tempo , che il per altro sublime ingegno del Genovesi si conten- tasse di definire il commercio : Permutazione di merci e derrate necessarie : e niun conto tenes- se di quelle di comodo, di piacere, di magnificen- za, e di lusso , che nulla punto hanno del neces- sario. Povere nostre signore ! Se da Francia, da In- ghilterra, e da Germania solo ci venissero merci, e derrate necessarie , addio figurette di modello ! Ad- dio occupazioni delle tre quarte parti della vita ! Qh come ne andrebbero esse meste e disperate ! E quante arc^ilocliee invettive di oratori e di poeti contro di un lusso non ancora bene inteso, e per- ciò non per anche bene definito, dovrebbero andare leggiero pascolo delle fiamme ? E adunque il commercio posto nella permuta- zione o cambio di merci , di derrate, di oggetti in fine con quella estensione che noi abbiamo accen- nata , per tutto comprendere , e a tutti soddisfare. Ed è tutta invenzione ed opera dell'uomo. ii6 Scienze Sì veramente, l'uomo , questo piccolo re de'Ha terra, dispiega un impero maraviglioso su tutta quan- ta la natura: e dove fende il seno od i fianchi agli aspri monti per aprirvi strade non più vedute: do- ve con argini e palafitte doma e svolge minaccio^ si fiumi reali; colà pone confini al mare istesso , e ne solca animoso le onde da un polo all'altro, e dal- la partenza presagisce e fissa l'ora dell'arrivo al ter- mine destinato , vincitore de' nembi e delle procel- le : vola omai per terra, sulle strade di ferro, e rav- vicina le distanze per mezzo del fulmineo vapore , inosservato e disperso inutilmente per tanti secoli^ Talvolta siccome aquila ardita e generosa si s.olleva nelle aeree regioni, e quasi non veduto valica i ma-, ri , e trascorre le terre solloposte. Quanti &ono gli animali terrestri, altrettanti servi egli conta, o vit-, time al suo dominio. Aggioga il tardo bove per col-, tlvare le campagne, e doma lo scalpitante destriera al corso ed al volubile cocchio. Le fiere istesse più indomite del deserto e della foresta cedono alla po- tente di lui mano, e mansuefatte gli sei^vono al trion-. fo ed al trastullo. Non gli uccelli dell' aria , non i pesci delle acque pe' liquidi loro iinirjensi caxupi , sfuggono alla dominazione dell' uomo. Ed alla per-, fine , cosa non più sperata nell'antichità , ed a noi ammiranda e nuova , è giunto 1' uomo a disarmare il cielo istesso del temuto fulmine sterminatore , e quasi incatenato lo seppellisce innocuo nel cupo se-, no della terra. L'autore della natura ha separate le nazioni co' frapposti mari, e ben sovente ha loro segnato i con- fini con catene di montagne, con laghi, e con fiu-i mi, ed impresso su ciascun popolo un marchio spe-^ Economia pubblica 1 1 n ciale dandogli una lingua, un'indole dagli altri di- versa : e cosi ha formato e costituito sulla terra di regni e di imperi quasi altrettante grandi famiglie. Dispose nella sua somma sapienza , che non ogni terra posta sotto diverso clima producesse ogni ma- niera di frutti e di animali , ma ciascuna avesse i suoi propri e dalle altre invidiati. Ma intanto po- se nel petto dell' uomo tanto di avvedimento e di coraggio, che, valicati i mari, superati i monti e gua- dati i fiumi ed i laghi, si mettessero i diversi popo- li in fratellevole comunicazione, e ciascuna regione, ciascuna gente , ricevesse nel «uo seno a proprio uso o diletto le produzioni delle altre , e comuni divenissero a tutta la terra. Dal che ne venne quella maniera di commer- cio , cui distinguer sogliamo in attivo e passivo. Il commercio primitivo , e quale si fa ancora di pre- sente tra' barbari, consisteva nella sola permutazione di generi: maniera assai difficile , perchè se tu non ti'ovi sulla piazza persona, a cui serva la tua mer- ce, e che al tempo stesso abbia merci, o derrate ac- conce all' uso tuo, tu dovrai ritornartene con disa- gio e a mani vote. Ed il commercio posteriore, che dir potremmo civilizzato, consiste in merci, e nel danaro, rappre- sentante magico di tutti gli oggetti permutabili e venali, e che rende facilissime le compre e le ven- dite ne' porti e ne' paesi anche i più disparati e lontani. Chiamasi pertanto attivo il commercio, quan- do si esportano merci fuori del proprio stato, e se ne riporta danaro in maggior copia , ovvero merci e derrate straniere, sulla vendita delle quali si fa n8 Scienze guadagno nell'interno del proprio paese. E per coni- mei'cio passivo s'intende l'introduzione di merci stra- niere nel proprio stato, e per conseguenza estrazio- ne di danaro, quando non si abbiano merci indige- ne, con cui compensare. Laonde ne conseguita, che quanto più di com- mercio attivo ha un regno, una città, o provincia, tanto più vanta d'industria, di comodi e di ricchez- za. Ed all'opposto l'infingardaggine, la povertà, e la miseria vanno di pari passo col commercio passivo , tanto più se sia eccedente, perchè sottrae a poco a poco il sangue dalle vene del commercio nazionale, distraendo il numerario; porta al decadimento tante famiglie in prima agiate; annulla le braccia del bas- so popolo : lo getta in ozio profondo e vergognoso; e lo dispone al delitto, alle sommosse , ed alla ri- balderìa. Sono i regni sulla terra, come ognun sa , ciò che sono le famiglie ne' regni , dedotta forse appe- na la ragione di stato. Ora siccome avviene , che quando alcune famiglie trascurando di far fruttare i propri capitali, e poco o nulla curandosi dell'indu- stria e dell' economia domestica, troppo più spendo- no di quello che comportino le annue loro entrate, comincia tosto a venir meno la primiera loro floridez- za ; quindi pe'debiti contratti si consumano i fondi fruttiferi : non più bastano le forze a bene educare i propri figli, non a ben collocarli in matrimoni ri- spondexiti all'antico lustro : ed ecco coli' angustia e colla miseria subentrare 1' umiliazione e la mesti- zia; e sovente ancora si finisce per passare dalla si- gnoria al servaggio. Così e non altrimenti suole ac- cadere de' regni, fatte le dovute proporzioni dal pie- Economia pubblica iig colo al grande , e dato ancora uno spazio maggiore di tempo allo svolgimento delle cose. Havvì però tra l'attivo e passivo una terza ma- niera di commercio, non sempre osservato dagli eco- nomisti pubblici, e che io chiamerei volentieri com- mercio d'industria, perchè fatto da popoli, a'quali è toccato in mala sorte di abitare in riva al mare su nudi scogli, e sterili monti, che non basterebbero a nutricarne gli indigeni per una ter/a parte dell' an- no. E si esercita coll'andare a prendere in lontani paesi le derrate, e le merci, che in quelli sopravan- zano , e portarle in altri che ne difettano. In tal caso torna meglio e più lucroso fare cambio di mer- ci, piuttosto che patteggiare a danaro sonante: per- chè ogni viaggio porta un carico per mare , e per- ciò nuova materia di guadagno. Del quale commer- cio, per tacere di altri, abbiamo lungo e chiaro esem- plo da' genovesi , i .quali coli' ardimentosa loro in- dustria, affrontando i mari piii lontani e pericolosi, hanno saputo vivere per tanti secoli, moltiplicarsi sul- le coste del mediterraneo , e formare nella superba Genova una ricchezza rara ed invidiabile sì , che ancora di presente solcano il mare da circa tremi- la legni mercantili di bandiera sarda : numero in vero maggiore di ogni altra nazione , fatto raggua- glio colla popolazione. Né vorrei, che da quanto ho detto sinora talu- no argomentasse, che fosse per avventura mio divi- samento di commendare , e lodando introdurre un nuovo sistema di commercio esclusivo, continentale , e ristretto a ciascuno stato senza punto comunica- re con altri vicini, o lontani che sieno. Poiché quel- la sentenza del cantore di Mantova: « Non omnis 130 Scienze fert omnia tellus: » è tanto vera ed immutabile, quan- to lo sono le leggi della natura ; né forza o indu- stria d' uomo vale a mutare 1' indole delle diverse terre ; o a traslocare i climi svariati del globo ter- restre, ne far si che prosperino nel ghiacciato setten- trione le piante e gli ìanimali delle calde regioni meridionali. Un sistema erroneo in politica e nella pubbli- ca economia porta di repente alle più assurde e ter- ribili conseguenze. I demagogi delia Senna sul finire del secolo scorso, per una sognata liberi à ed egua- glianza, dopo molte notti vegliate in frenetiche me- ditazioni, dopo avere consumati molti giorni in con- sultazioni tutte calde di amore di patria, risolvette- ro di eguagliare i diritti civili a' naturali per tutti i cittadini francesi, e a ciascuno assegnare egual por- zione di terra, che gli bastasse alla vita. E come pili erano i cittadini, che le terre da dividersi, statuiro- no di metleine a morte diversi milioni, massime i più facoltosi tra gli avversi al loro sistema repub- blicano. Barbarie , che mollo bene consuona colla vantata loro filantropia per rigenerare la loro nazio- ne ! Sapienza non più udita nella politica de' seco- li andati ! Dunque per essere, e durarla tutti eguali, do- veano i fondi assegnati essere eternamente inaliena- bili. Ciascuno de'cittadini dovea diventare agricoltore, ed esercitare da per se tutte le arti necessarie o co- mode alla vita. Ciascuno avere eguale famiglia: non più eredità per vincolo di sangue o di affezione. Tut- ti eguali in talenti, in accorgimento, in istudi, in in- dustria. Non più commercio adunque per non isbi- lanciare l'adorata eguaglianza. Oh vedete stranissime conseguenze di più strano sistema ! Economia pubblica. 121 Si conservino pertanto le relazioni commerciali di uno stato coU'altro: ma sieno queste ben regolate da savie leggi, e dall'accorgimento de'principali negozianti per modo, che il commercio passivo non superi l'attivo, e non si annulli l'industria delle produzioni e delle manifatture al tutto indigene e nazionali col rice- vere a larga mano le straniere. In somma nel seco- lo nostro siamo giunti a tal reggimento di cose, che il commercio tra le diverse nazioni ha acquistato tan- ta importanza da mettersi a paro colla bilancia poli- tica europea e straniera tra le grandi potenze, e quel- le di grado inferiori. E perciò si sono veduti di tan- to in tanto venire alla luce trattati commerciali, guer- re dichiarate, bombardamenti per sola cagione di com- mercio e di bandiere non rispettate. Perciò vediamo primeggiare tra le nazioni sì del vecchio e sì del nuovo mondo quelle , che nel commercio maritti- mo, co' loro opificii colossali, con manifatture a mac- chine hanno saputo per tempo occupare le braccia del popolo cittadino e di contado, e formare così una maravigliosa ricchezza nazionale. Ma tempo è omai di raccogliere le vele del no- stro ragionare ampiamente sinora dispiegate per tener dietro al commercio riguardato in generale, e sparso per tante terre e per tanti mari. Poiché ci richia- ma a se la bella Italia, la patria nostra, ad occupar- ci di lei e del suo commercio speciale. Questa penisola bagnata a mezzogiorno e a due lati dal mediterraneo; chiusa a settentrione dalle al- pi; divisa per mezzo dagli apennini; irrigala da fre- quentissimi fiumi; sparsa qua e là di laghi, di ame- ne colline, e di ampie e fertili pianure : posta sotto un cielo temperato e ridente , fatto ognora più mi- 122 Scienze te volgenJo al mezzodì, presenta per la sua posizio- ne fisica un suolo de' più avventurati e de' più ac- conci a produrre ogni maniera di frutti e di anima- li, se pochi ne eccettui de'così dv^Ui generi colonia- li , e delle regioni più veramente aduste che tem- perate. Che se poi si riguardi questa Italia per la par- te civile, morale, ed antiquaria, qual regno o quale impero, fatta ragione della estensione geografica, po- trà stare con essa a confronto ? Interrogate pure i tanti viaggiatori illustri, i qua- li mossero dagli ultimi confini della terra, tratti dal- la fama dell'Italia, e qui ne giunsero tra noi scor- rendo diversi regni, e nazioni; e vi diranno, se al- ti'ove e in sì piccola estensione trovarono mai tan- te città o capitali, o che tali potrebbero dirsi in al- tri paesi: se mai incontrarono tante università cele- brate per fama antica e recente: vi diranno, che in Italia han trovato i più grandi monumenti dell'archi- tettura, e tutte le belle arli ivi stanziarsi siccome in loro antica e propria sede. Diranno, se ingenui so- no e sgombri da bassa invidia , che questa Italia un giorno signora dell'Europa, dell'Asia, e dell'Affrica, conserva nondimeno ancora per molti titoli una nobile primazìa nella estimazione universale presso tutte le nazioni. Sebbene a quale intendimento io tutte queste co- se e di volo accennava della nostra Italia ? Per dimo- strare, che noi abbiamo tutti i migliori elementi per un commercio il più fiorente ed il più animato, che mai si possa desiderare, tanto per la natura del suo- lo, quanto per l'indole ed ingegno della popolazione. Ora gli elementi del commercio si riducono a due ca- pi: e sono, le produzioni della terra e del mare, e l'ope- Economia pubblica 123 ra dell'uomo, la quale consisle in oplficii, manifat- ture, e belle arti. E avendo noi italiani un suolo so- pra tanti altri privilegiato, circondato per tanta parte dal mare, e vantando una popolazione vigorosa, atta all'industria, e d' ingegno svegliato , chi dubiterebbe anche per un solo istante , che non dovessimo noi altresì stare fra i primi per industria e per commer- cio attivo ? Eppure se noi riguardiamo da vicino, e con occhio imparziale le cose nostre, dopo avere me- ritamente assegnato a diverse nostre città, ed a Ro- ma sopra tutte, il primato in tutto ciò che a belle arti si appartiene , dobbiamo pur troppo confessare , che rimpetto a tante altre nazioni l'Italia superiore, e meno ancora la inferiore e meridionale , non tie- ne il posto, che dovrebbe occupare nella coltivazio- ne del proprio suolo e nelle manifatture. !Nello slato primitivo della società si diceva più ricco e fiorente quel popolo, che più abbondasse di generi e derrate necessarie alla vita : ma col volgere de' secoli andò altramente la bisogna ; ed ora siamo giunti a tale stato di cose per via dell' industria e del commercio, che meno si abbia di ricchezza chi stassi contento al solo prodotto primitivo del suo po- dere. Ed eccone in prova alcuni esempi. Noi italiani vendiamo alla Francia ed all' In- ghilterra la nostra seta in ragione di tre scudi a lib- bra : e questa seta medesima lavorata in sottilissime calzette, o tessuta con bel disegno e maestria, ritor- na in Italia, e si compra da noi al prezzo di i5 e anche di i8 scudi. Una libbra di lana sopraffina per panni si vende nello stato romano da' 1 8 a'22 baioc- chi. Una canna di panno fino pesa per ordinario tre libbre e mezza: e tornata a'noslri confini, si ricom- 124 Scienze pra da noi al prezzo tra sommo ed infimo, non com- presa la dogana, di scudi 6 e bai. 5o. Una bottiglia ili vero Bordeaux si vende in Roma uno scudo ; e noi rojnani abbiamo venduto in questo anno da cento bottiglie, cioè un barile di vino nero, forse non di molto inferiore a quello, per uno scudo romano. Or fate ragione al vero, e ditemi in cortesia, se non sieno questi veri prodigi dell' industria e del com- mercio , creatori di un prezzo di tanto maggiore del prodotto primitivo ? Che anzi di qui si comprende perchè taluni in- telligenti di opificii e di negoziazione amino meglio avere i loro capitali in denaro ; che non in fondi sta- bili; perchè l'industria ha un valore pressoché incal- colabile riproducendo un guadagno tante volte nel- l'anno, intanto che per avere un prodotto dalla terra, dagli animali appena bastano uno, due, e più anni. Ed un milione di scudi sparsi su di una piazza com- merciante può fruttare, e mantenere più persone, che non farebbero dieci milioni in fondi stabili. Perchè quello avvicendarsi continuo di opera e di mercedi, di compre e di vendite , quel continuo e svariato circolare del denaro pe'bisogni della vita non meno, che per le agiatezze e per la magnificenza de'facol- tosi, formano una catena così fatta, un intreccio, un fondo tale di sussistenza comune, che quanto più si considera e vi si medita sopra , tanto più si addi- mostra incredibile e maraviglioso. Che cosa dunque ci resta a fare per metterci a paro colle altre nazioni, e ricavare dal nostro suolo il massimo prodotto? Dobbiamo primieramente atten- dere non solo a conservare, ma ad accrescere e con- solidare sempre più la nostra primazìa nelle belle Economia pubblica i25 arti, patrimonio nobilissimo a noi trasmesso da'noslri maggiori sin dal risorgimento delle arti e delle let- tere in Europa. Perciocché una tavola dipinta da pen- nello maestro; un marmo scolpito da dotto scarpeU lo ; un bel prospetto, uno spaccato, una pianta di architettura ben intesa; poche pietruzzole ben com- poste in musaico ; un rame, un acciaio, una pietra dura incisi iu bel disegno da valente bulino , oltro ohe possono procacciare rinomanza e fama perpe- tua all'autore , acquistano nella società dotta e in- telligente un valore tale da superare gli oggetti piij preziosi e rari, che si abbiano al mondo. Dobbiamo quindi por mente a moltiplicare i pro^ dotti, cì\e sono al nostro suolo adattati, e di cui van- no affatto prive, o scarseggiano almeno, le altre na- zioni. E sono questi le sete, la lana, il vino, il ri- so , e specialmente V olio per le parti meridionali. Che se in vece di mandare fuori stato le sete appe- na svolte dal bozzolo, e le lane appena tosate, oc- cupassimo il basso popolo a ben lavorarle e a tes- serle ad uso anche de' primi ranghi della società; se moltiplicassimo le macchine, ed i maestri saggiamen- te introdotti nel magnifico ospizio di s. Michele; qua- li somme enormi di danaro rimarrebbero a circolare per le nostre contrade! quanti miserabili vivrebbero onoratamente col sudore della loro fronte ! quanto incremento prenderebbe la coltivazione de' gelsi e de'merinos ! e quanto ozio vergognoso, e quanta im- moralità si terrebbe di mezzo 1 Affò io tengo per cer- to , che quel popolo è più virtuoso e più agiato , che più basta a se stesso. Era la provincia di Novara sino alla metà del eecolo passato piuttosto sterile anzi che no , quan- 125 Scienze do, Carlo Emmanuele il grande dì Savoia, a cui era pervenuta in proprietà per compenso di guerre soste- nute a favore di Alemagna , vi fece aprire o con- durre per mezzo un ampio canale di acqua, e for- mare tante risaie alla foggia della confinante Vercel- li. Pel qual fatto venne il novarese in tanta ricchez- za, che insieme con Vercelli e colla Lomellina oc- cupa il primo posto in Italia pel commercio del ri- so : e questi territorii, dopo avere abbondantemente provveduto tutto lo stato di Sardegna, ne mandano fuori per dieci milioni di franclii all'anno. Novara riconoscente ergeva nel i83B una pub- blica statua al re benemerito , e gli dedicava una gran sala di commercio fregiata pur ora delle statue de' principali economisti pubblici italiani; e sono il canonico Salustio Bandini, l'abate Antonio Genovesi, Melchiorre Gioia, Pietro Verri, ed il Romagnosi. Così avessimo noi sufficienti braccia collivatrì- cì per profittare delle paludi pontine, e moltiplicare le risaie pqr usa nostro, e per gli stranieri ! Ma que- sta è opera di gran re, siccome la fu per l'immor- tale Pio VI r avere tanto ardito , e tanto ottenuto di prosciugarle, e renderle atte alla coltivazioue ed alla pastura. Frattanto per non perderci iii desiderli inutili , o troppo difficili a farsi paghi, volgiamoci piuttosto a quelle altre maniere di coltivazione, che possono essere sorgente di prosperità. E ducimi di dover ripetere, che quanti vengo- no da oltre monti e dall'alta Itaha, o anche solo dal- le Provincie superiori dello stato pontificio , maravi- gliano forte, e ci rampognano, perchè sieno cosi am- piamente deserte le nostre campagne ; perchè sottp Economia pubblica 127 un cielo così temperato non siano per ogni dove spar- si e vigorosi milioni di mori gelsi , nutricatori in brevissimo tempo di tanta ricchezza^ invidiata da tan- te nazioni all'alia Italia ed alle provincie nostre su- periori: perchè non si moltiplichino a lotta possa le piante di olivi, onde a noi basti Polio, e se ne man- di in copia ne'paesi posti a settentrione: perchè nin- na cura si ponga per ben formare i nostri vini, che riuscirebbero eccellenti, e tali da gareggiare per is- quisitezza e vigoria colle altre nazioni, che già sono in fama per simile commercio. Ripeterò ancora, che quella le^ge intimata dal sommo Iddio all'uomo su'primi albori dell'universo, che ciascuno si procacci il pane col sudore della sua fronte, non è mai venuta meno del suo vigo- re: e perciò tutti i nullatenenti, che atti sieno a fa-, ticare, o debbono impiegarsi spontanei, o diventare un fondo a disposizione dello slato ; siccome già si è fatto in varie parti deirifalia istessa, e si è in tal modo purgata la società di ogni peggiore pestilenza, e volto a edificazione un elemento di distruzione. Sebbene ad astergerò queste macchie , che l'a- spetto del nostro bel paesu rendono per avventura meno amabile e dilettoso, contribuirebbe maraviglior samente lo erigere a fianco delle camere e de'lri- bunali del commercio più frequenti cattedre di com- mercio, del codice commerciale, di naufica e gio- grafia, di agricoltura, di meccanica, di chimica, e di quanti rami infine si appartengono alla domestica e pubblica economia. Ed in tal guisa le arti e le scienze verrebbero in amichevole aiuto e sostegno al commercio, il quale è forse la più difficile ed im- portante occupazione per l'uomo. Non più si vedreb-. 128 Scienze bero accadere tutto giorno tanti rovinosi fallimenti. E col migliorarsi deiragricoltura e delle manifattu- re, col prosperare continuo delle belle arti, la nostra Italia sarà sempre doviziosa ed onorata. E Roma jstessa, corrispondendo amorevole e riconoscente a'ge- nerosi sforzi del magrumimo Gregorio XVI per ren- derla ogQora più magnifica e grande, si mostrerà ve- ramente per ogni titolo regina delle città e delle nazioni. Sulle funzioni della milza. Annotaziom del professor Carlo AJaggiorani.. INTRODUZIONE JLJe funzioni della milza non sono così recondite, che a palesarle non vanti la scienza ingegnose teo- rie ; ma ne anche se ne ha una dottrina che abbia soddisfatto ogni desiderio, e a cui siasi concordemen- te aggiustato fede. Nota è la struttura di tal visce- re , non si Ignorano le varietà , che presenta nelle diverse classi e ordini d'animali; sono stati raccolti molti fcitti intorno i suoi stati morbosi, e le lesio- ni che offre dopo la morte; ne è stata praticata Testir- pazione in animali viventi , e notati gli effetti che ne seguivano: contuttociò si dubita ancora del suo ofQcio, e si dee confessare, che finora la storia del- FuNZIONf DELLA MILZA ,2n la milza ci offre piuttosto una scatenata moltit.ulil ne di osservazioni, che un discorso ordinato di ragio- ni e di fatti. ^ TT ^' ^ Ilo preso a discutere nuovamente questa mate- ria, persuaso che potrehbe derivarne qualche luce al- la pratica, ove fosse ridotta a maggior cliiarezza. Im- perocché se , tranne le grossolane alterazioni noi' sappiam di rado , durante la vita , predire le 'tante e gravi offese che la milza ci offre nelle aperture de cadaveri; se la scienza non ci basta a metterle in corr.spondenza coi disordini delle funzioni che ci of- fre lo stato morboso, di questa incapacità si dee ac caggionare l'incertezza che regna tuttora sull'uso di questo viscere , e sull'importanza di questo uso nel meccanismo della vita. Nell'investigare l'officio della milza , mi sono fondato principalmente sugli effetti che provengono alla macchina dalle morbose condizioni di essa; pa- rendomi che, ove possa rintracciarsi l'origine di' al- cuna malattia da vizio splenico , e allorché si ren- da palese che a questo vizio tengan dietro costan- temente certi disordini dell'economia , ei si ottenga da questa successione di fatti una prova più lumU nosa di quella stessa, che fondasi sulla estirpazione del viscere negli animali viventi. Il quale esperimen- to infine poc'altro più ci ha insegnato , fuorché la milza non e essenziale al mantenimento della vita- ma che nemmeno essa adempia a qualche officio impor- tante le estirpazioni sul vivo, non bastano certamen- te a dnuostrarlo. Per istabilire un tal punto, fareb- be di mestiere il mettere in chiaro , che la milza esercita sola le sue funzioni senza dividerle con ve- run altro viscere; che nell'animale sopravvissuto al- (^.A.T.XC. 9 i3o Scienze l'operazione , le forze collettive della vita non sian capaci dì supplire con altri mezzi all'organo man- cante; e finalmente che negli animali privati di mil- za si verifichi quella medesima perfezione organica, onde godevano innanzi l'esperimento. La chimica mi ha suggerito anch'essa qualche argomento in sostegno della mia tesi. So che que- sto criterio non ha il suffragio di tutti: alcuni lo hanno in sospetto , fondati sulla discordanza de' ri- sultamenti delle chimiche indagini; altri lo escludo- no , forti del principio , che le sostanze organiche separate dall'essere vivente non godono più degli stes- si altrihuti. Eglino affermano che la vita signoreggia ogni altra forza della natura: che ove è organismo, ivi i corpi acquistano nuove proprietà come vestono nuove forme: che le leggi infine, a cui obbediscono i principii costitutivi degli esseri organici, aberrano af- fatto da quelle, che governano gli atomi della ma- teria bruta. Ma, quanto ai primi , è a dirsi che le discordanze chimiche sono plii nelle sottigliezze e nel minuzzame delle cose che ne' fatti sustanziali : differiscono fra loro le analisi del sangue, della bi- le , dell'orina , ma non poi sì fattamente che esse non concordino ne' punti che più importa a saper- si. Riguardo ai secondi, io concorro nel lor parere che la vita non possa ridursi ad un puro esercizio di chimiche affinità: ma non credo che le chimiche affinità siano estranee all'esercizio della vita; e fin- ché vedrò i principii coslitulivi de'corpi organici con- servare negli organismi le medesime affinità, combi- narvisi nelle stesse proporzioni che nel regno inor- ganico ( p. e. il carbonio coll'ossigene, l'acido car- honico colle calce ) ; finche vedrò gli acidi mante- Funzioni della milza. i3f nervi la lor tendenza a neutralizzarsi colle basi , 1 sali scambiarsi gli acidi colle legge degli equivalen- ti, il grasso acquistarvi natura di sapone cogli alea- li, neutralizzarsi l'acescenza de' succili dello stoma- co con una terra e l'alcalinilà con un acido , rin- tuzzarsi la potenza de' veleni con azioni cbimiche entro il dominio della vita, restituirsi il color ros- so al sangue coll'uso del ferro, correggersi nello scor- buto la prevalenza alcalina degli umori coll'uso de- gli acidi , e cento altri fatti somiglianti, dovrò de- durne che i principi! costitutivi degli esseri organi- ci non si sottraggono del tutto all'impero di quel- le stesse leggi chimiche che governano gli altri cor- pi. Sarebbe infatti poco verisimile, come ben lo av- verte Liebig (i), che la forza vitale, sì dotta in met- tere a profitto le varie potenze della natura, non si giovasse punto delle chimiche affinità, avendole tut- te a sua disposizione. Il principio attivo della vita ha ben la facoltà di modificare le tendenze chimi- che della materia organica, ovunque esse oppongan- si ai bisogni dell'organismo: ma le combinazioni de' corpi elementari, che lo compongono, non si sottrag- gono all'ubbidienza delle forze chimiche. Ho riferito alcune osservazioni di anatomia e fisiologia comparata che mi sembravano acconce a rischiarare l'officio in questione , e non ho ricusato ogni fede all'argomento di analogia, a cui tanto in- clina la nostra mente, e che merita talvolta maggior fiducia, che non soglia accordarglisi nella ricerca del vero- (i) Chiraie organique appliquee à la physiologie vegetale. l32 S e 1 E N 7- E Fondato su tali criteri, ho procacciato di tor- nare in onore l'antica dottrina , che fa della milza uà organo di sanguificazione : purgandola dagli er- rori che la misero in dispregio, sostenendola co' prin- cipii regnanti nelle scuole, e conciliandola con altre opinioni che, avendo apparenza di contrarie, pure vi si accordano e la confermano. Dissi antica dottrina, come quella che fu già in qualche modo indicata da Plinio, ove di questo viscere insegna: « ^4egoce- « phalo avi non esse constata neque iis quae careant « sanguine » ( l. ir, 80 ) ; e con diversa fortuna riprodotta più volte, ma non mai sostenuta con ta- le apparato di prove, da farla riporre nel novero del- le verità fisiologiche. GAP. I. ARGOMENTI PATOLOGICI. Delle malattie in cai si verifica qualche altera- zione nella milza. Oltre quelle malattie, di cui è manifesta la se- de nella milza, come ne' casi in cui questo viscere s'infiamma o indurisce notahilmente , ve ne ha poi delle altre in cui, senza la stessa evidenza di sede, pure le molestie al sinistro ipocondrio, la natura del- le cause e l' effetto de'rimedi che agiscono elettiva- mente sul medesimo, ci mostrano a bastanza che vi ha una condizione morbosa nella milza: ciò che poi viene confermalo dalle aperture de'cadaveri, i quali ci presentano tante offese in quest'organo da giustificare la sentenza ippocratica : « Caput et lien maxime Funzioni della milza i33 « patent morbis ». Andrò annoverando queste affe- zioni spleniclie, coll'animo d'indagare se ne derivi im- pedimento 0 disordine alla ematosi. Febbri intermittenti. Dalla scuola di Galeno, che precede i moderni banditori delle condizioni patologiche , agitando la questione: « ^n non essentiales febres pecaliareni affectionem partiam internarum seqiiantur » (i); Uscì pure rinsegaamento, che un'affezione della mil- za costituisse la cagion prossima delle intermittenti: » Et Galenus^ statuens discrimeìi inter febres perio- do redeuntes et continuas essentiales , ait ideo periodo redire febres qiiod in partibus aut exci- pientibus aut niittentibus dispositio sit aliqiLa .... ItUi'/ue in periodicis aut ìicnis aut hepatis obstru- ctio diathesisque erit; proinde nascitura hinc fe- bris non morbi sed syniptoniatis nomine donanda erit » (2). Qual fondamento s'abbia tal dottrina, che ha trovato favore anche presso alcuni fra' moderni , non è qui luogo a disputarne: basta al presente bi- sogno che le febbri intermittenti primarie, dominan- ti epidemicamente ne'luoghi bassi acquidosi palustri, siano accompagnate da congestioni alla milza ; del qual fatto mi saranno testimoni quanti medici ab- biano avuto opportunità di osservar tali febbri, Val- ga per tutti Frank che dichiara: « Non semel sed sae- pius nos periodicae ad lieneni sub febris intermit- (i) lìe ftiffer. morlior. (2) Gul. Ballon. De virg. raorb. i34 Scienze tentis paroxjmis intumescentiae eiusdemque viscc- ris post accesslonein febris collapsus teste s fuimus,, de quibits et Barserius, ut saepe conspecto a se phoenomeìio, loquitur » (i). E se questa intumescen- za non si fa palese in tutti i casi, se ne vuol cercar la cagione nella profonda situazione del viscere , che talora lo sottrae alle nostre indagini. Egli è noto pure che neHienosi il senso di molestia all'ipocondrio sinistro precede il ritorno della febbre; e che poi la milza sia principalmente affetta nelle intermittenti , ce ne fanno ampia fede le offese che vi si osserva- no negl'individui, che soccombono alle sequele delle medesime (2). La congestione della milza, finché avvenga en- tro certi limiti, finché sia seguita da opportuna de- tumescenza, può non turbare la sanguificazione: an- zi, ove tal processo languisca per inerzia o per ostru- zione del viscere , questo suo turgore può in alcu- ni casi tornargli a vantaggio. Leggiamo infatti nelle opere mediche, che amenorree, clorosi, ipocondriasi, malinconie , idropi da ostruzione splenica scompar- vero dopo alcuni accessi di intermittenti; ed è nota pure r osservazione che queste febbri promuovono ne' giovanetti l'incremento del corpo, e che la sles- sa pubertà, specialmente nelle fanciulle, viene talo- ra accelerata da qualche parossimo di semplici perio- (i) De cur fiomin. morb. lib. VII, De nevros. op posth. (2) Febres autumnales lieni, vernales vero hepali magis in- fensas esse, anlù/ua iam docuit arabum obsevvatio. Hildebrand, Instit. pract. nied. T. 2, 107. Ippocratc aveva già notato: Au- tumno iienes vigere- Funzioni della milza i35 diche. Fu anche a questo genere di febbri che gli antichi tributaron lode di depuratorie e salutari. Ma se la flussione selenica ecceda in forza e durata, co- me suole avvenire nelle intermittenti trascurate o ribelli, e in alcuni di tempra più atta a mantener- le; se da ingorgo temporaneo si converta in stasi pei*- manente; se il sangue stagnante nelle cellule sple- niche vi si addensi, vi si coaguli, vi si organizzi in masse fibrinose formando le così dette ostruzioni; al- lora ne verrà danno alla crasi del sangue , che a poco a poco si farà sciolto sieroso discolorito: « Inde (dalle intermittenti ) (/e6/Z/s solutas vix cohaerens cruor optima parte spoliatus » ( Boerhaave §, tSS). (I Rubra pars per intermittente s saepe dissolvi- tur » ( Vanswieten). Ma questo fatto del seguir ca- chessie e distemperanze alle periodiche ostinale è trop- po familiare, perchè faccia d'uopo raccogliere auto- rità a sostenerlo. E noto a lutti che la rachitide ne' bambini, la clorosi Tammenorrea nelle fanciulle, l'i- drope, lo scorbuto, l'ipocondriasi, la melena negli adul- ti, sono conseguenze ordinarie delle intermittenti pro- tratte, e degl'infarcimenti splenici. Si verifica adun- que in queste febbri un legame di causa ad effetto fra lo stato della milza e quello degli umori: da una parte ingorgo attivo di questo viscere, e guarigione da cachessie ; dall'altra torpore di esso , e perverli- mento del sangue. Qui le condizioni locali precedo- no le universali , e non può dirsi che ia milza sia alterata» perchè è alteralo il sangue; ma conviene am- mettere che lo è il sangue, dopo che lo è stato la milza. OUre gli accessi delle febbri periodiche, la flus- sione spleuica può essere anche un effetlo imuìedia- l36 S e I E N Z K to della dimora in luoghi umidi , ove non è raro in- contrarsi in individui affetti da intumescenza di milza, anche senza antecedenti parossismi febbrili: ulis gran- dior splen est qui humidas rfgiones habitant n (Vanderwiel): e la splenite, a cui fa strada la con- gestione del viscere, è men l'ara nelle regioni palu- stri. La specie bovina, pascolando ne'bassi fondi ba- gnali da piogge abbondanti e da rugiade conside- revoli, va sottoposta ad una malattia conosciuta sot- to il nome di milzone o acetone^ dacché la milza vi si mostra di un volume tre o quattro volte mag- giore del naturale. Il prof. L. Metaxà ebbe pure a veder questo viscere ingrossato ne'buoi fino a 3o e più libbre, e avvenir tale aumento, quando nell'agro romano agli estivi ardori succedono fresche e legge- re piogge. Ora nel milzone della specie bovina il sangue trovasi nero e disciolto, e il dimorar qual- che tempo in regioni basse e palustri induce facil- mente qualche alterazione del sangue, come può ar- guirsi anche dal solo aspetto degli abitanti. « Illud utrique hitic viro commime fuit, ut cuni palustrem incoluissent regionem^jìuidiun adeo sanguinem ha- berent. » Nel qual passo Morgagni ( Ep. 22-11 ) ci mostra bene come gli fosse ovvia la relazione fra lo scioglimento del sangue e la dunora in luoghi palu- stri. Le malattie inflammatorie, che assallscono indi- vidui stati esposti lungamente all'azione dell'aria mal- sana, non possono esser curate con un metodo an- tiflogistico molto attivo , e vi è palese fin da prin- cipio la discrasia degli umori. Il sangue estratto di- fetta di parte colorante, sovrabbonda di siero , e vi si rapprende alla superficie una sostanza gelatinosa, in luogo della cotenna lardacea, propria della flogo- si che si accende nelle persone sane. Funzioni della milza iSj Febbri perniciose. In queste febbri , sia dalla parte delle esterne potenze nocive, sia da quella delle interne predispo- sizioni, concorrono altri elementi ad aggravare lo sta- to morboso. Esse poi banno un corso troppo breve, percliè avvengano sempre negli umori le stesse mu- tazioni che lentamente vi suscitano le semplici in- termittenti ; contuttociò in alcune fra loro , e spe- cialmente nelle soporose , nelle scorbutiche , nelle emorragiche, si verifica la stretta corrispondenza fra lo stato della milza e la natura del sangue, dacché ne'cadaveri degl'individui, che soccombono a tali ma- lattie, questo viscere trovasi costantemente turgido, di un color violaceo o rosso-cupo e ammollito al se- gno da screpolarsi alla più lieve pressione; il dito vi s'immerge senza alcuna difficoltà, il suo parenchima si riduce in una poltiglia quasi fluida , somigliante alla feccia del vino ; la membrana che lo involge , come gl'intei-ni tramezzi che ne partono, hanno per- duto ogni fermezza. Al costante disfacimento della milza corrisponde poi la perversa qualità del sangue, che si rende manifesta allo squallore del volto , al color cinericcio giallognobj della pelle, all'intolleran- za del salasso e spesso alle smodate perdite d'umo- ri e alla depravata qualità de'medesimi: ne'cadaveri il sangue perloppiù sciolto e nero, i trasudamenti , le infiltrazioni, le macchie livide attestano lo stesso fatto. Ne oppongasi che la viziata crasi del sangue, solita ad incontrarsi in queste febbri, costituisca es- sa stessa la cagione dello spappolamento della mil- za, come quella che abbonda di tale umore; poiché i38 Scienze ne il sangue di tutto il corpo si rinviene così alte- rato come quello che ristagna nelle cellule spleni- che, ne l'alterazione ili questo fluido negli altri va- si è bastante a spiegarci la cedevolezza e fragilità della esterna membrana della milza e de' fdamenti della interna fabbrica: donde la facilità a squarciar- si di esso viscere in simili circostanze. Un altro fatto, che mi sembra pure efficace a mostrare l'importanza de' processi morbosi della mil- za nelle perniciose, si è l'aver trovato nella sostan- za di questo viscere 1' acido idrocianico libero ; ciò che mi occorse di osservare più di una volta, e che fu stabilito da tutte le reazioni indicate dai chimi- ci per tal ricerca, come sarà riferito a pie di pagi- na (i). Orse le perniciose sono progenie delle sem- (i^ La milza de'morti di perniciose comatose , senza alcuna previa lavanda, veniva tagliata in pezzi, immersa nell' alcool e triturata con esso in un mortaio di vetro. Il mescuglio custodito in vase chiuso si filtrava dopo alcune ore: il liquido che passava era di un color rossigno spirante un forte odore di special natu- ra, atto a destar pizzicore agli occhi e stringimento alle tempie. Sopra una porzione di quest'infuso si versava qualche goccia di nitrato d'argento, e si otteneva all' istante un abbondantissimo precipitato bianco a coagulo, che non diveniva violaceo al con- tatto dell'aria, come avviene del solo cloruro d'argento. Ad un' altra dose di detta infusione si aggiungeva qualche goccia di po- tassa pura, e dopo una soluzione di solfato di deutossido di rame nell'acqua distillata; si produceva un precipitato azzurro che veniva disciolto dall'acido idroclorico -• allora si manifestava nel liquido un intorbidamento lattiginoso, e dopo qualche tempo si deponeva un precipitato biancastro. Finalmente una terza por- zione dell' infuso alcoolico di milza era trattata con alquante gocce di potassa ; quindi vi si versava una soluzione di solfato di deutossido di ferro; si otteneva all'Istante un precipitato az- zurro che non si alterava per l'aggiunta dell'acido idroclorico ; Funzioni della milza iSg plici intermittenti , in cui notammo l'intumescenza della milza qual condizione primaria, o certo alme- no come fenomeno concomitante ; se il disfacimen- to di questo viscere è la piti ovvia fra le lesioni che presentano i morti di perniciose; se esso inoltre in tali febbri è sede d'insolite combinazioni, non potrà ricusarglisi nella catenazione morbosa una priorità in- nanzi alla peccante natura del sangue. Mi sorgerà altra occasione ad investigare, se la presenza dell'acido idrocianico nella milza de' morti di febbri soporose nasconda qualche relazione colla patogenia delle medesime, allorché nuove osservazio- ni instituite in luoglù e tempi diversi abbiano stabi- lita la costanza del fatto. Rammenterò intanto gli e- sempi riferiti da Grottanelli (i) di febbri soporose, scevre da ogni sospetto di aria malvagia, e senz'altra causa ostensibile, che il disfacimento rapido di una milza già da lungo tempo infarcita. Clorosi. Come il nitor disila pelle e il florido colorito annunziano una prospera vegetazione dell'organismo, anzi diveniva di un colore più intenso anche esposto a forte ca- lore. Questo precipitato possedeva tutti i caratteri del noto az- zurro di Berlino. Gli stessi cimenti fatti sulla milza allo stato sa- no, e sopra milze putrefatte all'aria e parimenti infuse nell'alcool, non presentarono alcun indizio di acido idrocianico. Dalle quali esperienze non solo vien provata l'esistenza di questo acido nel- la milza morbosa In questione, ma rimane altresì stornato il so- spetto di causalità dall'azione dell' alcool e\del processo putre- fattivo. (i) Ad acut. et chronic. splenit.^iist. Animadv. Hist. XIII, XX. i4o Scienze così una tinta dilavata cenerognola gialliccia signifi- ca anche agli occhi del volgo uno stato infermiccio. La malattia, che da questa esterna manifestazione di straordinario e durevol pallore trasse il suo nome di clorosi [foedi colores ), poco avvertita dagli antichi, descritta con ogni diligenza dai medici del secento, suscita nuovamente la curiosità de'moderni riguardo alla sua primaria essenzial condizione. Si confondono sotto il nome di clorosi malattie di genio diverso; parlasi qui di quell'affezione, a cui predispongono la diatesi scrofolosa, il temperamento linfatico, la gracile costituzione; che viene provocata da vitto malsano e insufficiente, dimora in luoghi u- midi, bassi , uliginosi, vita sedentaria, esercizio im- pari alle forze, angustie dell'animo; che si palesa col pallore della cute, discolorazione della lingua e delle labbra, emicranie in ispecie del lato sinistro, respiro frequente nel salire, palpitazione, dispepsia, flatulen- ze, tumefazione degl'ipocondri e più spesso del sini- stro, scarsezza o mancanza de'mestrui, pigrizia, gra- vezza della persona, abbattimento dell'animo, fanta- smi che turban la mente, febbri erratiche ed epiale, affezioni isteriche ec. Che in tal malattia il sangue non sia debita- mente elaborato, che vi preponderi la sierosità e sia povero di sostanza colorante, la è materia di fatto : ma egli è altresì soggetto non ignoto di osservazio- ne, che questo difetto dell'ematosi derivi in gran par- te da inazione della milza. Ciò è provato : i." Dalle ridette cause della clorosi che esercitano una specia- le azione su questo viscere. Il vitto pravo e scarso , i luoghi umidi palustri, le angustie dello spirito, ten- dono a sospendere le funzioni della milza: e le altre Funzioni della milza i4i malattie, che si suscitano sotto l'impero di tali cau- se, sono pure dipendenti da offese di questa parte , come le febbri periodiche, lo scorbuto, l'isterismo ec. a." Dall'indole dei sintomi, fra i quali dominano il color cinericcio, la tumefazione e la molestia dell'ipo- condrio sinistro, l'emicx'ania che infesta pure a prefe- renza il sinistro lato, la palpitazione. La clorosi è tal- volta complicata coll'ematemesi, coll'epistassi della na- rice sinistra: succede alle febbri periodiche ostinate: si associa con facilità all'isterismo, alla pneumatosi: ha molti sintorni comuni coU'idrope, e questi mali hanno stretta dipendenza collo stato della milza. La splenite stessa fa strada non raramente alla clorosi. 3. Dalla natura del rimedio atto a debellare questa infermità, e che ha un potere elettivo sul detto visce- re : voglio dire il ferro che, per variar di sistemi , ma ha mai cessato di esser lo specifico della clorosi. 4.° Dalle aperture de'cadaveri delle cloro tiche che ci hanno mostrato la milza o indurata o ammollita. Fu dunque a buon dritto che Baillou, accurato investi- gatore di questa malattia, sosteneva: In de color ibus virginibus non esse forte petcndam aliunde tanti medi origine/Il, ac praesertini atrophiae ^ cachexiae, extennationis, ac hydropis denique^ quam ab uno liene : haec siquidem pars nusquam fere non tu- met, efflorescit adaugeturque. In scirrhosam sae- pe naturarli abit (i). A provare vieppiià la connessione fra l'organo e la malattia, di cui ci occupiamo, vengono in campo le osservazioni di clorosi manifestatasi in seguito di (I) Gul. Ballon, de virgin. et mulier. morb. i42 Scienze cause meccaniche, che hanno mostrato di agire diret- tamenle sulla milza, sia facendola deviare dalla sua naturai posizione, sia stirandone le fibre, o ledendola in qualunque altro modo da disturbarne le funzioni. Piccone un caso da me veduto. Una fanciulla di anni dodici, di temperamento linfatico, e gracile di costi- tuzione, ritrovavasi però in istato di sanità, allorché un giorno si provò ad alzare un peso superiore d'as- sai alle sue forze, e le ne seguì senso di molestia al basso ventre, che in appresso si limitò più chiaramen- te al sinistro ipocondrio. Pochi giorni dopo incomin- ciò ad impallidire, esser pigra al moto e alquanto af- fannata nel salire , capricciosa nella scelta del cibo che era digerito penosamente; sottoposta a quando a quando a lievi deliqui, si lagnava spesso di freddo, ed era sempre travagliata da un senso di peso dolo- roso sotto le coste spurie del lato sinistro. Questi in- comodi furono giudicati precursori di mestruazione e non curali, limitandosi a qualche pediluvio che non procurava alcun sollievo. Dopo otto mesi divenuto il suo slato peggiore, e caduta in più grave deliquio , si mandò pel medico, il quale trovolla con polsi pic- coli, volto squallido, lingua e labbra discolorate, ven- tre turgido specialmente alla regione ipocondriaca si- nistra, ove l'inferma accusava una sensazione mole- sta, cute fredda e tal debolezza muscolare da reggersi appena sulle gambe. Fu prescritta la limatura di fer- ro da prendersi più volte il giorno, ed essa sola ba- stò in poco tempo a dissipare ogni malore. Tornò il colorito sulle labbra, fu pronta al moto e non ne ri- sentì stanchezza, si diminuì gradatamente il fastidio all' ipocondrio , regolare divenne il gusto e facili le Tligestioni; le forze si rianimarono ben presto in tutte Funzioni detxa milza i43 le funzioni. Ecco un esempio di clorosi non prece- duta da alcuna delle comuni cause occasionali che sogliono provocarla, e in cui l'offesa della milza ci si mostra come primo anello della concatenazione morbosa. Lo sforzo fu seguito da turgore del ventre e da molestia al sinistro ipocondrio; a questa tenne- ro dietro a poco a poco gì' incomodi della clorosi , che fu vinta in breve tempo con un solo rimedio ; quello che agisce elettivamente sulla milza. Un caso analogo è narrato ne'commentari di Brera ( v. XII ). Una donna di 24 anni, nel fare uno sforzo , provò un forte dolore all'ipocondrio sinistro, che fu segui- to da dispnea , palpitazione, deliqui, vertigini, dimi- nuzione di mestrui : la malattia fu attribuita ad una congestione di milza, e combattuta come tale. Quan- to poi all'influenza che i conati esercitano su questo viscere, e alle deviazioni o ingorghi che patisce per tale causa, è un fatto abbastanza ovvio per non aver bisogno di testimonianze ad avvalorarlo. Se adunque è provato che alle offese della mil- za, sotto certe condizioni di età, sesso, temperamen- to, possa succedere la clorosi, cioè alterazione nella crasi del sangue; se è manifesta la priorità di tempo della prima alla seconda; se questo vizio del sangue consiste in un predominio della sierosità e scarsezza di cruore ; ragion vuole che non si ricusi a questo viscere l' officio di cooperare alla ematosi, e special- mente alla formazione della sostanza colorante. Ne dicasi che la milza nuoce airuniversale solamente col sottrarre una certa copia di sangue colla sua conge- stione, arrecandone prova dal cessare gl'incomodi col ristabilirsi la mestruazione. Il fatto non viene a so- stegno del principio. Che i turgori della milza , fé- i44 Scienze raci di molestie al petto, al capo, allo stomaco , si dileguino talvolta in breve tempo pel manifestarsi di una epistassi, di uno scolo emorroidale, delle purghe mestruali ed anche di un vomito di sangue, ciò pro- va solo la corrispondenza fra i vari pezzi del sistema circolatorio, alcuno de'quali ha tolto a ristabilire l'e- quilibrio interrotto per la congestione di un organo. Ma la clorosi non ci mostra solo un disordine di cir- colazione; essa ci palesa di piìi un difetto del sangue: la clorosi non si sana sempre e presto per l'appari- zione delle regole. La guarigione siegue con lentezza; il ritorno del flusso mensile vi si associa spesso, non la produce. Da ciò siegue che la clorosi non vuol esser presa indistintamente per l'amenorrea e viceversa. La fre- quente scarsezza o mancanza de'mestrui nella clorosi ha fatto confondere queste due malattie, e cercare la condizione essenziale della prima nel torpore dell'ute- ro e delle ovaia: ma tal sentenza è contraddetta dal- l'osservarsi che l'amenorrea può stare senza clorosi, e che questa può suscitarsi anche negl'individui giovani e delicati del sesso maschile, come è slato notato da molti autori. Marshall Hall sostiene, che la clorosi oc- corra nell'uomo più spesso che non si estima general- mente, e che questo fatto diverrà familiare ai medici, che studieranno attentamente la malattia del pallore. Del resto se la clorosi è spesso accompagnata da difet- to de'corsi lunari, e l'amenorrea è seguita da scolora- mento della pelle, ciò avviene per l'intima relazione che passa fra l'apparato uterino e lo splenico. Infatti l'estirpazione della milza negli animali viventi ha qua- si costantemente prodotto la sterilità, e questa si con- giunge volentieri colla clorosi e si cura col ferro. Col- Funzioni della milza i45 la milza ostruita rinvengonsi scirrose le ovaia ( Mor- gagni E. 36, 17 ). La sospensione de'mestrui è segui- ta talora da ingorgo della milza e febbri periodiche, e l'ostruzione di questo viscere è spesso seguita da di- minuzione o cessazione del flusso mensile. Al contra- rio un moderato turgore del medesimo nelle intermit- tenti benigne accelera talvolta la pubertà, come già fu detto di sopra. Così pure la lenta splenite e la me- lena che, come vedrassi, è morbo splenico, nascono spesso da ritenzione de'sangui mestruali e cedono al ricomparire di questi. Molte fra le cause che agiscono sulla milza mostrano pure di esercitare un dominio sull'utero e arrestarne le funzioni, come la tristezza dell'animo, il freddo umido, il cattivo nutrimento. No- tò P. Franck che l'eccessiva pinguedine conduce spes- so all'amenorrea: e lo stato della milza, come vedrassi, non è affatto estraneo all'obesità. Rigoglioso è l'utero nelle donne di bruna carnagione, e i visceri ipocon- driaci vi sogliono essere anch'essi assai sviluppati. Le prefate osservazioni sulle attenenze della clo- rosi collo stato della milza fatte ne'nostri climi sono conformi a quelle raccolte sotto altro cielo. Piacerai di riferire quel che ne attesta uno scrittore, che ha praticato lungamente la medicina nel Bengala: « L'in- grandimento, l'ingorgo, l'ammollimento della milza so- no malattie comuni anche nell'India. La condizione della macchina, a cui si associano, è caratterizzata da sollecita manifestazione di debolezza in tutto il cor- po, pallore, mancanza di sangue ne'vasi capillari, ri- marchevole specialmente nell' aspetto esangue della congiuntiva, nello scoloramento clorotico della lingua e delle gengie. I sintomi della malattia variano secon- do l'età e il sesso : ma tutti sembrano riferirsi alla G.A.T.XG. IO 1^6 Scienze mancanza di sangue e all'estrenìa debolezza. I fan-;- ciulli cadono facilmente in uno stato di marasrao, di- vengono languidi e deboli; l'alito e l'esalazione del corpo sono nauseosi. Le fanciulle soffrono facilmente di amenorrea. Il sangue si mostra assottigliato, si coa- gula imperfettamente, o il cruore è nero e molle; ed esposto all'aria^la sua superficie non acquista il solita color florido. Leggiere cause danno origine all'ulce- razione. Le persone affette da mal di milza lianna la respirazione corta, e l'esercizio protratta arreca inco- modo al petto. L'appetito è diminuito, la digestione difficile e il cibo male assimilato ; vi si aggiunge tal- volta un morboso desiderio di nutrimento. Vi si no- tano abbattimento di spirito, inerzia del corpo e tor- pore della mente con gran debolezza muscolare: t[ue^ st'ultimo sintoma è rimarcbevole, quantunque il ma- lato non sia dimagrito. Nel Bengala la tumefazione della milza, oltre le febbri intermittenti che le danna origine, può nàscere anche idiopaticamente nei fan- ciulli e nelle persone delicate sotto l'influenza di un clima umido, temperatura variabile, mancanza di e- sercizio ,. scarso vestimento e cibo insufficiente. Le passioni deprimenti hanno lo stesso potere. La ca» chessla splenica può esistere anche senza palpabile gonfiezza o morbosa sensibilità della milza ; le ma- lattie più analoghe a questo stato sona la clorosi, lo scoi-buto e alcune specie di anemia. Il dolor fisso nella parte inferiore del lato sinistro, di cui le clo- rotiche si lagnano così spesso, si riferisce ad una tu- mefazione della milza, come piti volte ho osservato. I nativi dell' India fanno uso del ferro nei mali di milza, e nell'usarne sogliono giacere sul lato sinistro Funzioni della milza i^.? onde il rimedio si porti dallo stomaco alla milza ; l'effetto che ne sperano è di contrarla » (i). La clorosi grave e protratta può condurre a quel- lo stato che i moderni chiamano di anemia', termi- ne che presso i greci suonava ventosità, e che ven- ne usato da Lieutaud per indicare l'estremo impo- verimento del cruore , in guisa che il corpo e gli organi rimangano pressocchè esangui. Non occorre qui occuparci dell'anemia cagionala da lunghe ma- lattie^ come p. e. nella tisichezza gluula all'ultimo grado di marasmo in cui non esiste quasi più san- gue : né di quelle che si producono per iscarsezza di alimenti, per uso prolungato di aria impura, per privazione di luce solare , per sottrazioni o perdi- te profuse di sangue, per escrezioni o secrezioni stra- bocchevoli, Iq tutti questi casi difetta il sangue per essere stato disperso o consumato a poco a poco sen- za risarcirlo, o perchè mancarono i materiali per com- porlo. Gli esempi di anemia, che c^ccr^scerehbero va- lore al nostro argomento, sarebb.er quelli non prece- duti da alcuna delle cause soprallegate, e in cui si potesse scoprire una relazione fra 1' estrema pover- tà del sangue e una qualche offesa dell' organo in discorso. Ora le pochissime storie che possediamo di tali specie di anemia ci mostrano appunto qual- che alterazione della milza. Nel caso narrato da Com- be non si parla di offesa alcuna di polmoni, ma la milza era ammollita e il fegato di color bruno. Nel- l'esempio conservatoci da Geddings lo stato morbo- (i) Clinical illustralions of the more important diseases of Beugal ec. by William Twining. Calculte i835. 148 Scienze so della milza figura come principal causa della ma- lattia (i). Andrai rinvenne la mancanza di sangue in. un cadavere, che non offriva altre lesioni viscerali che una milza piccola e dura e il fegato poco volumi- noso (Clin. med. p. 62 ). Si è veduto che neirin- dia la clorosi ascende talora al grado di anemia, e le osservazioni di Lieutaud (a) si riferiscono a fan- ciulle cadute in questo stato do^po essere state sog- gette al pallor dei colori, senza che lunghe astinen- te o peixlite di sangue vi avessero contribuito in al- cuna parte; ecco esempi di anemia in seguito di clo- rosi, e la condizione primari» di questa è stala per molti fatti riposta nella milza. Finalmente il solo ri- medio efficace in tale povertà del sangue è quella stesso ferro che agisce elettivamente su questa vi- scere. L' anemia adunque è anch' essa congiunta a qualche sconcerto, nelle funzioni della milza. Ipoeondriasi, isterismo. Havvl una condizione de'nervi chiamata di ec- cessiva mobilità, in cui le impressioni sentite, sen- za punto arrestarsi negli organi centrali , trapassa- no rapidamente a farsi slimoli di involontarie con- ti-azioni muscolari, a provocare subitanei influssi sul- le arterie, sui visceri. Se a questa morbosa disposi- zione si aggiungano dall'esterno potenti cause occa- sionali, quali sono specialmente le angustie dell'ani- mo, ovvero se nell'interno nascano altri disordini che (1) Art. anemia deirenciclop. inglese delia medicina ec. (2) Compendio di medicina pratica. Anemia. Funzioni della milza 149 le si associno, come pletora, lente flogosi dello sto- maco o degl' intestini, ristagni addominali, lesioni or- ganiche del cuore ec, ne sorgerà allora facilmente quel gruppo proteiforme di fenomeni indicato dai uo- sologi coi nomi di ipocondriasi di isterismo. Fra le altre cause, capaci di partecipare la for- ma isterica o ipocondriaca alla soverchia suscettività del sistema nervoso, si dee annoverare la viziata cra- si del sangue o la difettosa quantità del medesimo. Il vecchio dettato, che il sangue frena i nervi , non è fantasia degli antichi: esso riposa sul fatto, che gli animali scannati muoiono in convulsioni; esso si ap- poggia all'osservazione , che 1' uomo nella pienezza delle sue forze signoreggia i suoi movimenti, e che lo stesso individuo , dopo essersi impoverito di san- gue, diviene zimbello delle cose esteriori ; un lieve strepito lo agita, un'emanazione odorosa lo convelle. Lo slesso dicasi pel ministero de'gangli: l'uomo sano e robusto può andar soggetto a sconcerti accidentali di stomaco, senza che perciò se ne turbi tutto l'in- tercostale ; mentrechè nel medesimo, dopo aver sof- ferto grandi perdite di sangue, ogni impressione in- solita si propaga da quel viscere a tutto il sistema de' nervi organici. « Ex pauco interdum sangui- ne^ aggiunge P. Frank, vel debiliorihus , nunc fi- ne prophjlactico ^ nunc ex erroneo de morbis eo- rum , vigorem mentientibus , iudicio , detracto , hos mirum iti niodum convulsos fuisse , aut in languore s^ tremore s^ hj-sterismum incidisse dolui- mus ( Gener. de nevros. ). » E Sydeuham ripeteva pure questa malattia: « ^ sanguine intemperanter effuso (Dissert. de hyster.). » Se adunque le inopportune o smodate sottra- i5o Scienze zioni di sangue (il cui effetto è di scemare la pro- porzione del cruore al siero) sono capaci di acqui- stare ai nervi si grande mobilità, fino allo stato con- vulso; tanto più facilmente avverrà che preesistendo in essi tal condizione, un sangue senza vigore senza coesione non basti a governarli, e lasci libero il cor- so alla irregolarità de'loro atti. Quindi noi troviamo l'isterismo e l'ipocondrlasi associate alla clorosi, all' obesità, allo scorbuto, alla diatesi emorragica in cui pecca la sanguificazione. Quindi le isteriche e gl'ipo- condriaci di tal fatta non tollerano il salasso, dopo il quale divengono più suscettivi e più soggetti a moti irregolari di nervi. Pertanto in una specie di malattie, che può es- ser collegata a vizio del sangue, il nostro istituto ci conduce a cercarne l'origine nella milza , per tutti quei casi in cui questo fluido non sia stato diretta- mente alterato da esterna infezione o da perdite enor- mi. A tal fine trascriverò sommariamente alcuni fat- ti e autorità che trovo registrate nelle mie note. (t In plerisque (Jxfpochondriacis) visus splen neclum tumidior, sed et scirro atroque humo^'e refertus ( Bonet ). « Melancholiam quandoque a tiene male affecto excitari^ proindeque hjpochon- driacam appellari, et communis est et nostra fert sententia ( Willis ). a A nobis spedati in hypo- chondriacis ac minime raro in mulieribus hjste- ricis tiimores circa latus sinistrum (Histor. raorb. Vratisl. 112). « On ne doit pas étre surpris si les femmeSi qui ont des obstructions a la rate, sont vaporeuses^ puisque les hommes le devien- nent, des quils ont ce viscere affecté d''engor- gemens (Raulin). « Neil' affezione ipocondriaca ». Funzioni della milza i5i La milza comparisce più o meno tumefatta e talvol- ta moslruosa: talora si è trovata sì piccola che non pesava più d'un oncia: non vi è dubbio che questa par- te non sia frequentemente attaccata « (Lieutaud). » Nel cadavere di una donna, che per molti anni ave- va sofferto incomodi isterici, si trovò la milza dege- nerata in marcia « (Conradi). » L'isterismo e l'ipo- condriasi si possono considerare come provenienti da un impedimento, nelle funzioni della milza « (Vet- cht.). Pinel parla di un^ affezione ipocondriaca ac- compagnata da dolore e tumore nell' ipocondrio si- nistro e svanita in seguito di un parto. » lam ve- ro diligenti observatione practica constata hjpo- chondriacum morbum non frequentius ingenera- ri quain ab intermittentibus ^ praesertim tertia- nis, male curatis a (F. Hoffman). Altri autori ci- tati da G. Frank (De hypochond.) hanno trattato l'ar- gomento del succedere ipocondriasi alle febbri pe- riodiche, le quali, come fu veduto, offendono parti- colarmente la milza. Il singolare isterismo narrato dal- l'Argenti fu preceduto da f. intermittenti. (Omod. 86). Viceversa esse febbri hanno vinto talora l'ipocondria- si, come Grant ha osservato: ciò che pure compro- va la sede delle due malattie nel medesimo viscere. Le isteriche e gl'ipocondriaci sono travagliali da fla- tulenze, e questo incomodo è strettamente collegato alle affezioni spleniche: « Liene scirro laborante aeger riictibus JLatibusque hj-pochondriacis afjli- giticr » (Mayow). La pneumatosi infatti molesta le clorotiche e tien dietro alle intermittenti ostinate , specialmente alla quartana (Sauvages), in cui più ma- nifesto è l'ingorgo di questo viscere. L'isterismo as- salisce in particolare le sterili , e fu veduto che le i52 Scienze sterilità è in qualche relazione coU'inerzia della mil- za, come le clorosi. La salivazione è familiare alle isteriche e agl'ipocondriaci, e lo è pure alle affezio- ni della milza: onde Ippocrate ehhe a dire: « Omnes splenetici sunt salivatores ». Gl'ipocondriaci, ove sia- no colti da mali acuti, sono poco tolleranti del sa- lasso, ed il sangue suol rinvenirvisi poco concresci- bile. Quello di cui parla Ludwig, che morì di feb- bre catarrale e che era stato rachitico , offri il san- gue sciolto e la milza straordinariamente piccola. (Z?e stasi sanguinis in venis iiiflammationem inrntiejite). Finalmente lo stesso Sydenham e Quesnaj e il Zac- chia trovarono nel ferro il più efficace soccorso che potesse apprestarsi a queste infermità; e non occor- re ricordare che questo rimedio agisce elettivamente sulla milza. Vi ha dunque un'ipocondriasi (e lo stesso dica- si dell' isterismo) suscitata da discrasia sanguigna e connessa collo slato della milza. A questa specie at- tendeva Cullen, allorché nelle sue linee nosologiche collocava tale infermità h'a la dispepsia e la clorosi; di che poi ebbe a fai-e le maraviglie Ant. Testa; il quale in vece, tutto intento nella ricerca delle asini- nietrie e de'vizi precordiali, inclinava sempre a ve- dere negli affetti da ipocondria e da isterismo altret- tanti cardiaci (Malat. del cuore). Obesità. A chi avverta che, in mezzo all'obesità, a talu- ni vegetano rigogliosamente i solidi, abbondano le for- ze muscolari, pronta è la mente, in tutto fiorisce la salute; che in altri invece si ammolliscono i tessuti, Funzioni della milza i53 stentano ad eseguirsi i movimenti, l'animo languisce, in tutto decade la macchina : si presenta spontanea la conseguenza die la copia del grasso possa associarsi a due stali affatto diversi del corpo. Per altro nell'uno la pinguedine è densa, il sangue che la separa rimane ricco e fibroso, valido è il polso , i tessuti conservano la lor natura e non sono convertiti in materia adi- posa; questo slato può occorrere in coloro , qui siim^ munì bonitatis attingunt : nell'altro in vece il grasso è semi-fluido, il sangue difetta de'raateriali più ela- borali , il polso è molle , alla fibra muscolare sono spesso sostituiti depositi pinguedinosi, che stoncano la pazienza dei dissettori. Di questa specie di obesità si avvera la sentenza di Haller : Quo plus in aliquo homine olei, eo sanguinis minus inest. Essa è una vera cachessia che confina coU'idrope , e nelle fan- ciulle si congiunge facilmente coll'abito clorotico : le seguenti osservazioni mi fanno credere che la mede- sima sia connessa a qualche difetto delle funzioni del- la milza. i.°Fu sperimentato da Bonnet, Vallisnieri, Clarke, Hoffman, Coleman, Mayo che l'estirpazione della milza induceva obesità negli animali che vi era- no stati sottoposti. Nel cane privato di milza da Val- lisnieri e ucciso dopo cinque anni « si trovava l'omen- to tutto pingue, e in ogni parte più del solito di si- mil sorta de'cani era molta grassezza ». a.° Nelle aper- ture de'cadaveri ho verificato più volte, che alla pic- colezza insolita della milza andavano unite notabili raccolte di grasso, specialmente nel grande e piccolo omento. Nel caso memorabile di totale mancanza della milza, narratoci dal Cavalli (i), si rinvenne una quan- (i) Giornale delle scienze mediche di Torino, iS4o. i5/|- Scienze ti là enorme ili materia sebacea in tutte le ripiegatu- re del peritoneo. Spigelio aveva già notato : Magnos iis lienes esse quibus magnae sunt arteriae, ideo- que hoc parenchfma longe maius esse macris quani pinguibus. 3." Vi ha una specie di obesità che può dirsi fisiologica, ed è quella della prima infanzia; in questa età prevalgono le particelle oleose, il san- gue non lia conseguito tutto il suo vigore : ora si os- serva che ne' bambini la milza è comparativamente meno sviluppata, ed ha un colore diverso da quello che acquista in appresso. Lien in infantiilìs ofjìcium snum non pergit ( Mayow ) 4-° ^'u toccata di so- pra la stretta corrispondenza che passa fra la milza e gli organi genitali : e qui è da aggiungere, come es- sa apparisca anche riguardo alla genesi del grasso ; poiché come l'energia di quella vi si oppone e vice- versa, così l'effervescenza di questi nel periodo della pubertà la sospende, e la promuove grandemente la cessata influenza de'medesimi. Gli eunuclii si ricono- scono alla floscezza delle carni, alla molle pinguedi- ne: ed è noto che molti animali ingrassano dopo a- verli privati de'testicoli o delle ovaia. 5.° Il più ef- ficace rimedio a correggere la cachessia adiposa è il ferro. B. Williams ci assicura di aver trovato nella tintura di ferro ammonicata il mezzo pivi convenien- te a vincere questa malattia. A sminuire la eccessiva grassezza giovano anche le febbri intermittenti, che apportano maggior copia di sangue nella milza. ( Van-Swieten ^. ySS ). E degno di osservazione che nelle oche ingras- sate artificialmente, inzeppandole di cibo, e privando- le di moto coll'inchlodar loro le zampe, trovò Portai ingrossato il fegato, e la milza impiccolita ; il qual Funzioni della milza i5fj fatto viene spiegato dall'autore colla compressione e- sercitatavi dallo stomaco soverchiamente pieno. Par- mi però che, senza ricorrere ad una causa meccanica, abbiasi una spiegazione suFfìcienle del fenomeno nella quiete prolungata e nel perenne e copioso alimenta- mento dell'animale; la prima già atta a ritardare il corso del sangue ne'vasl della milza: il secondo va- levolissimo a deviarlo da essa, per fornirne piij a do- vizia lo stomaco, costretto a continua azione. Del resto Se la piccolezza insolita della milza, cagione d'imperfetta ematosì, può favorire l'obesità , quando vi si associ l'esercizio degli altri organi de- stinati a ricevere ed elaborare i materiali della nu- trizione, essa può andare anche unita alla macilenza e alla consunzione, qualora per vizio de' medesimi e specialmente per inerzia dello stomaco, manchino i mezzi onde raccoglier nel corpo quel, comunque mal concotto, umor nutritizio. Tali sono alcuni casi di straordinaria piccolezza di milza riferiti da Morgagni, e tale è quello registrato da Lobstein: - milza del pe- so di un'oncia, cuore piccolissimo e scolorato, cada> vere esangue, consunzione : lo stomaco avea ricusato già da qualche tempo il suo officio. - Se adunque gii obesi contengono minor quantità di cruore, come lo mostra ancora la poca tolleranza del salasso che in essi si osserva (i) ; se l'obesità va unita a difettoso sviluppo o languida azione della milza ; si avrà in questo stato della macchina un' altra prova del po- tere che essa esercita sulla sanguificazione. (i) Medicos ergo memores esse oportet, macilentos venae ctionem facile ferre, obesis plerumque nocere. Haller. l56 Scienze Idrope. Lascialo da parte l'idrope acuto, compagno e se- guace della pletora e della flogosi, e quello che na- sce da corapressione delle vene per vizio strumentale di alcune parti , e 1' altro che si genera dal pronto sopprimersi di secrezioni ed escrezioni ; vi ha poi un genere di tal malattia, onde scrivea Sydenham : Cau- sa huiusce morbi in genere sanguinis debilitas est : e di cui anche il volgo suol dire, che il sangue con- yertesi in acqua ; appunto perchè il carattere distin- tivo della medesima consiste in un sangue sfibrato , e scarsissimo di sostanza colorante. Ora questa ca- chessia, allorché non proceda immediatamente da pro- fuse perdite di sangue, trovasi il più delle volte di- pendente da un'alterazione della milza. Ippocrate ave- va già segnalato l'origine di alcune idropi da affezione di questo viscere ( De morb. lib. IV ). Celio Aure- liano fa derivare questa infermità anche: Ex saxea densidate lienis. Riolano scrivea che: Tritio lienis hy- drops nascitur. Prospero Alpino giudicava di catti- vo presagio l'idrope che succede al tumor della mil- za. Morgagni , dopo aver riferito alcune sezioni di idropici, in cui quest'organo era in qualche modo al- terato, e dopo averne citate parecchie altre raccolte da vari autori, conchiude : Nec aliae desimi ex cjui- biis intelligaSy cum in eodem morbo hepar, non admodum a naturali statu discessisset^ lienem ma- gnum fuisse et duriusculum, aut cum hepar pror- sus naturaliter constitutuni, lienem solito maiorem et totum quantum scirrhosum , tamque durum fuisse^ ut non sine difficultate scindi et dividi no--, Funzioni della milza iÌj^ vacala potuei'it { Ep. 38 , 19) : i quali fatti egli espone appunto per combattere l'opinione di que'me- dici, che in tal malore avrebbero volalo assolvere da ogni colpa la milza. LieutauJ va narrando cosi i ri- sultamenti delle sue ispezioni anatomiche ne'cadaveri degl'idropici: « La milza ora è di una smisurata gros- sezza, ora estremamente piccola : la sua sostanza si è trovata putrida, scirrosa, granellosa ed anche piena di bianche pietruzze » ( Comp. di med. tom. i ). Por- tal rammenta pure molti casi d'idrope senz'altra le- sione che di concrezioni ossee nella milza: e lo stesso Andrai, quantunque non ammetta la formazione dell' idrope per vizio della milza, confessa però avverarsi spesso la coinciilenza di questi due fenomeni. On a dit à torti selon moi^ qiie les engorgemens de la rate étaient une cause frequente d'hjdropisie ; il est très vrai qiCentre ces deux affections il j a bien souvent coincidence ( Précis d'anat. patholog. tom. I, 33o ). Bichat però riguardava l'idrope , che sopraggiunge alla tumefazione della milza, come ef- fetto della medesima. Il survient à la longue di- vers autres sjmptómes .... et ordinairement Vhj- dropisie ( Anat. patholog. 2i5). Ei sarà poi facile il persuadersi che l'associazio- ne di questi due fenomeni non sia casuale, ma che si trovino nella relazione di causa ad effetto, ove si rammenti : i.° Che le periodiche autunnali , fecon- dissima sorgente di tal cachessia, cominciano dall'as- salire la milza, e che fra queste febbri le piìi pro- clivi a generar l'idrope sono le quartane, come già lo aveva osservato Galeno: « Quartanae male cura- tae hfdropem accedere crebro vidimus » ( L. III. in loc, ); quella specie cioè di febbri, in cui più che i58 Scienze nelle altre è manifesta l'alterazione della milza;. 2°. Gke anche senza l'intervento della febbre , la sola dimora in luoghi bassi , umidi, palustri, è bastante a produrre questa malattia , come ce lo attesta la quotidiana esperienza. '( Nonnulli loca palustrìa in- colentes sine ulla praeterea causa aut occasione, nisi quod aurain crassioreni halitibus incongruis praeditam hauriunt, in hyrdropem incidunt ». (Wil- lis de medie, operat.). Ora l'az^ione di questa cau- sa , come fu veduto di sopra , si dirige appunto al- l'organo splenico. Areleo^ annoverando le condizio- ni soUo cui patisce la milza, non omette i luoghi pa- lustri ( de lien. ). "0° Che l'idrope, di cui qui si ra- giona, accompagna e segue non di raro "la clorosi , l'anemia , l'obesità, lo scorbuto, mali tutti connessi ad alterazione della milza, come si è provato di so- pra, e si vedrà in appresso. 4-° Finalmente che uno de'più efficaci rimedi a vincere questo genere d'idro- pisia consista ne'marziali. Chalybs in hjdropis inci- pientis curatione haud infimuin locum sibi vindicat (Sydenham). Chalybeata in hoc morbo uti in pica virginum saepe numero egregie prosunt ( Willis ) ec. ec. Anche Morgagni aveva notato l' antecedenza delle lesioni della milza ai versamenti sierosi, rispon- dendo al dubbio proposto che esse si fossero prodot- te nel progresso della cachessia : Sed indicia saepe swit ea vitia antecessisse (ib.). Ne oppongasi che le alterazioni della milza dan- no origine all'idrope, frapponendo ostacoli alla circo- lazione venosa; poiché o trattasi d'impiccolimento e durezza di questo viscere , e non veggo quale altro disordine circolatorio possa nascerne, fuori quello d'in- viare meno sangue alla vena porta, dal che non pò- Funzioni della milza iSg trebbe mai derivare un trasudamento sieroso : in tal caso la raitza riceverebbe essa stessa una minor quan« tità di esso fluido, cbe sarebbe distribuito più copio- samente agli altri rami della celiaca, come avviene dopo l'estirpazione di questo viscere. Ovvero esso è sovercbiamente ingrandito: ed anche in tal caso non potrà mai comprimer la vena cava o il tronco della porta , e per qualche radice di questa vena che ne venisse pigiata, non perciò la circolazione addomina- le cesserebbe di compiersi per via di collaterali. E come poi colla sola compx'essione di qualche vena del basso ventre spiegare il gonfiore delle parti superio- ri ? La faccia non è essa la prima a lumefarsi nella clorosi, ove questa volga all'idropisia ? Infine, a dis- sipare ogni dubbiezza, riflettasi che nell'idrope susci- tato per impedimento di circolazione venosa, il san- gue non muta per ciò la sua crasi, anzi diviene più plastico : tutti i pratici sanno che negli aneurismi dei cuore questo fluido ci si mostra cotennoso , anche quando i versamenti di siero han fatto notabili pro- gressi; al contrario nell'idrope, che procede da vizio della milza, il sangue è sciolto e sfibrato. Del resto gli stessi autori, che nella genesi di tal morbo attri- buiscono qualche parte alla compressione meccanica de' vasi, ne ricercano però la causa principale nella disordinata azione del viscere; e leggo in Hildebrand che l'idrope può nascere da infarcimento (parectama- ta ) della milza: linde productionis muniis reddi- tur impevfectum et crjrstaUisatìo. manca ^ metamor^ phoseos regredientis praedominansfit potentla^ ac hjdrogenesis intenditar ; quo simul mechanica conspirat vasorum ahsorbentium pressio ( Inslit. pract. med. tom. 2, 109 ). i6o Scienze L'anassarca si associa facilmente alla gravidanza nelle donne di abito clorotico : e nemmeno in que- sto caso se ne allegherà per causa la compressione dell'utero, quando si osservi che l'idrope manifestasi anche nelle parti superiori, e che le donne di sana costituzione ne vanno esenti. Scorbuto. Vi sono poche malattie, nelle quali la discrasia sanguigna sia più palese che nello scorbuto, di cui i nostri antichi fissarono quasi concordemente la sede nella milza ; non so se mossi da un'idea preconcepita sull'officio della medesima, ovvero dalla molestia che gli scorbutici soffrono al sinistro ipocondrio, e dalle offese che costoro mostrano in tal viscere dopo morte. Però, secondo alcuni, le alterazioni della milza non sono costanti ne'cadaveri degli scorbutici; e dall'altro lato trovandosi in questi tutto il sangue nero e di- scìolto, e la milza abbondando sopra ogni altro viscere di detto fluido, si domanda a buon dritto se le lesioni di essa non debbano piuttosto riguardarsi come effetti della pervertita crasi del sangue, che quali cagioni ef- ficienti di tale pervertimento ? E quindi del mio as- sunto il provare non tanto la coincidenza delle offese della milza colla diatesi scorbutica, di che non si du- bita, quanto la priorità del vizio splenico a quello del- l'eraatosì, A tal fine rammenterò : i.° Che vi ha una di- sposizione ereditaria allo scorbuto, e che questa suol rinvenirsi negl'individui a cute bruna, tessitura spu- gnosa, abito venoso ; quegli stessi cioè che sogliono andar soggetti a congestioni di milza. 2." Che le cu- Funzioni dblla milza i6i re dell'animo, la tristezza, la nostalgia, predisponenti allo scorbuto, agiscono in ispecial modo su questo vi- scere, onde gli anticlii lo avevan riguardato qual se- de della malinconia. 3.° Che lo scorbuto si genera facilmente ne'luoghi bassi uliginosi, nelle terre palu- stri, dimore atte a suscitare malattie splenicbe: e che fra le sequele delle periodiche ribelli, che offendono la milza, si annovera anche lo scorbuto; talché parve al Kramer: Haud principaleni morbum scorbutum haberi^ sed sobolem praeccdentiuin morhorum, ma- xime febrium intermittentium ( Ludwig). 4-° Che la splenite, e in ispecie quella che si produce nei bas- si lidi, nelle valli paludose , è non di raro seguita dalla discrasia scorbutica, 5.° Che questa malattia , soprattutto, ove insevisca epidemicamente, affligge in preferenza le isteriche, gl'ipocondriaci, le clorotiche, gli obesi : condizioni tutte in cui trovasi morbosa- mente predisposta la milza. 6.° Che fra i rimedi an- tiscorbutici occupa un luogo distinto anche il fer- ro; lo scorbuto delle maremme si cura egregiamen- te coi marziali. La genesi di un vizio scorbutico da alterazione della milza, indicala già da Ippocrate, segnalata da Celso in quel noto passo: « Al quibus magni licnes sunti his gingivae malae sunt^ et os olet, aut san- guis aliqua parte prorumpit: d non ha sfuggito ad alcun diligente osservatore di cose mediche. Merita so- pra gli altri di esser consultato Lommio in ciò che ne insegua sugli effetti che il tumor della milza produce suirintiero organismo (Observat. medie l. a). Un re- cente monografo delle splenite, parlando dello scorbuto che ne deriva, si esprime a questo modo: « Sed si de constitutionali loquamur^ qualis est ille mai'itimae G.A.T.XC. II i62 Scienze nostrae regioni^ si corpora dum vi- vunt , vel cadavera nostratum explorare velini medici, non dubito quin scraper in scorbuticis re- periant cantre ctationem incommodam , aiU dolo- rem ab aegrotantibus in sinistro hfpocondrio sae- pe accusari, aut lienem iamdiu magnifìcatum fuis- se vel post mortem teneritadine affectuni, , aut durum aut alio modo vitiatum esse ; quo modo in constitutionali scorbuto vitiatum apud scotòs reperiit Bunchan » (i). La tendenza all'ulcerazione come sequela delle malattie splenicbe, altro fatto no- tato da tutti i pratici, verificandosi nello scorbuto , ci offre un nuovo argomento del rapporto che tale infermità mantiene collo stato della milza. Un'altra prova della dipendenza, che ha l'infe- zione scorbutica dai disordini della milza, si rinvie- ne nel fatto, che il moto prolungato e violento ne- gl'individui di abito venoso, di tessitura spugnosa e rilasciata, dispone potentemente allo scorbuto, e che in tal caso la malattia suol esser preceduta da mo- lestie e intumescenza al sinistro ipocondrio. Notis- simi sono i turgori spleni ci in seguito di corse e mo- vimenti forzati ; perciò Plauto fa esclamare al suo attore : « Genua hunc cursorem deserunt, perii^ se- ditionem facit lien, occupai praecordia. » Ora, ci mi è occorso più di una volta il vedere nei lacchè, che una fibra floscia non chiamava a sì penoso eser- cizio, queste distensioni delia milza esser seguite da una discrasia sanguigna, avente tutti i caratteri del- (i) Grottanelli, Op. cit- Funzioni della milza tG3 lo scorbuto. E gli animali aflaticali soverchiamenle e strapazzati soffrono facilmente le congestioni sele- niche e ia stessa splenite, che si manifesta con una partioolar tendenza alla putrida dissoluzione del san- gue. Giova anche rammentar*? che l'offesa della ir- ritabilità, caratteristica dello scorbuto, e in cui Mil- raan ripose la essenzial condizione di tal malattia ove non sia immediatamente causata da enormi po- tenze nocive, atte a produrre (juesto effetto , quali sono p. e. le veementi soariclie elettriche, suol tro- varsi in impeciai dipendenza dalle lesioni della mil- za, come ne abbiamo già avuto qualche prova nelle malattie citate di sopra: ed altre ne saranno addot- te in appresso. Sostenendo che gli sconcerti della milza , sot- to certe condizioni della macchina, possono dar ori- gine allo scorbuto, non s'intende perciò di esclude- re da tal malattia ogni altro modo di generazione. Se mfatti il sangue può viziarsi per colpa di un vi- scere destinato ad elaborarlo, esso potrà ricevere an- che direttamente un'infezione dalle cose esteriori , che somministrano i materiali al suo rifacimento. Co- sì l'abuso delle carni salate , sfumate, introducendo nella macchina una dose insolita di sali alcalini, e scemando la necessaria quantità di all^umina, di ma- teria grassa, potrà suscitare immediatamente una spro- porzione ne'principii del sangue, (^osi pure la man- canza di sufficiente alimento, facendo sì che Tumor nutritizio debba risarcirsi a spese della sostanza or- ganica, potrà condurre al medesimo risultato. Lo stes- so dicasi dell'aria impura e carica di miasmi putri- di, capace di guastare direttamente il sangue,* senza intervento degli ordigni elaboratori. JNla questa va- i64 Scienze ria derivazione dello scorbuto , or tutta opera degli agenti esterni, or tutto processo degli organi desti- nati alla sanguificazione, appartiene a molte malat- tie e non si oppone punto alle tesi , a cui bastava il provare, che alle offese della milza può tener die- tro lo scorbuto, cioè un vizio del sangue. Splenite. Tutti gli scrittori di medicina convengono nel fatto che la milza s'infiammi più raramente degli al- tri visceri: appena questa regola patisce qualche ec- cezione nelle regioni basse umide palustri , per la tendenza che esse hanno a provocare ingorghi in quel viscere (i). Questa comunanza di origine dell' in- fiammazione della milza colle febbri intermittenti me- rita di esser tenuta a conto, e non è il solo carat- tere che ravvicini le due malattie. Infatti un certo andamento periodico , le esacerbazieni precedute da freddo, le largliissime remissioni, i profusi sudori, le urine torbide, il color terreo della faccia, sono tutti fenomeni che le scuoprono un lato di somiglianza colle febbri sudette , favorendo la sentenza di Ga- leno che nella congestion della milza ripone la con- dizione primaria delle medesime. Al che pure è da aggiungere, che il rapido passaggio dal caldo al fred- do, che ne' paesi d' aria malsana fa pullulare sì fa- cilmente le periodiche, riesce anche efficace occasio- ne della splenite. (i) Grottanelli, Op. cit. Funzioni della milza, iG5 Un'altra causa non infrequente dì tal malattia sì rinviene nei moti violenti del corpo, nelle smo- date fatiche. Audovard ci parla di un'infiammazione di milza seguita da suppurazione, accesa dopo aver portato un grosso carico di legna per lo spazio di una lega. Nel caso di splenite riferito dal prof. Fol- cili: « Aegev incusabnt conatum quondam editum in magno pondere attollendo sustinendoque « (i). Gli sforzi stessi del vomito sono annoverati dagli auto- ri, come capaci a produrre tal flogosi. Le quali os- servazioni servono a confermare la massima, che la clorosi, lo scorbuto, la melena, malattie generate tal- volta dalla medesima causa, hanno pure lor sede prin- cipale nella milza. Quel che più importa a considerarsi pel nostro argomento si è, che la splenite induce spesso una manifesta tendenza alla dissoluzione del sangue e al carattere putrido. Le emorragie passive dalle narici, dallo stomaco, lo scoloramento, il lividore della fac- cia, sono sintomi familiari alla flogosi della milza ; le petecchie, le enchlmosl non vi sono rare. Nella terza storia di splenite narrata da Grottanelli si leg- ge che: « Ecchymoses peticidaram ad instar in hu- meris et pectore apparuerunt una cum universa- li sudore: » e nel caso surriferito del prof. FolchI: a In interiori brachioruin parte, pectore ac dorso macuìae spectabantur numero plures rubellae, pe- ticulis non ab simile s\ aliae autem latiores instar sugillationum hic atque illic sparsae. » L'infiamma- (i) Exercìtatio pathologica seu mnlt. moib, histor.ec p.i6o. l66 S e I É N 7. É zione della milza nei bruti, cagionata dal Cot'so pro^ lungato violento, manifesta spesso una distinta prò-' clività al genio cancrenoso: onde viene indicata da- gli autori di veterinaria col nome di cancrena sple^ nica. Essa mostrasi specialmente ne'luogbt paludosi» I segni di discrasia sono anche più palesi nella sple- nite cronica. Così Pisonc ci avverte che: « Cum pro- rogatili' inalum^os foetet,gingwae ex e duri tur etuU cera in cruribus fiuhtr^ qiiae tarde ad cicatricem perducuntum (i). E Sprengel ci ripete che nelle len- te infiammazioni di milza che succedono alle febbri intermittenti o alla soppressione de'mestrui : « Tit- mor nascitur regionis hypochondriacae sinìstrae cum ... projluviis sanguineis saniosisve ... livore fa- cieiy gingivarum tumore, quae facile a dentibus secedunt, ulcuscidis tibiarum priirieniibiis . . .fe^ briciila accedente hectica , qua tandem hjdropi" bus adiunctis, emaciatur aeger » (2). L'indurimen- to o scirro della milza in seguito d'infiammazione conduce presto la macchina al decadimenlo, provo- cato da viziata crasi del sangue. Nel quadro che ci ha lasciato àelienosi lo stesso Pisone notansi : « Pe- du/n inflatio, color pliw}beus .... pediculi sca- tent^ nocte sudor gravisy foetet anhelitus^ puden- da turgent , erumpit sanguis , gingivae corruni-' puntur, vrnae ad Uenem nigrigant^ cutis sc/uale- scit^ ulcera maligna in tibiis nascuntur ...» La prosi razione delle forze, che, al dire di Me- ekel, non si disgiunge mai dall'ingorgo della mil7.a. (i) De cogn. et cur. morb. (2) Palhol. spec. FuHKlom DEIXA MtLZA 167 accompagna anche l'infiammazione Ji questo vlsceie. Nel caso di splenite, che ci descrive De Haen, è no- tala particolarmente questa circostanza: « f^iriwn se- quebatur imminutlo. » E Marcus ci parla degli sve- nimenti, allorché gli affetti da splenite volevano sor- ger dal letto, come di un segno caratteristico della malattia. Notasi adunque una relazione fra la flo- gosi acuta o cronica della milza e lo slegamento del sangue, la proclività alla putrida decomposizione. M elena. Si può render sangue per vomito e per seces- so in forza di varie condizioni morbose. La specie di emorragia, a cui si volge il discorso, assalisce i malinconici, gli emorroidari: non insorge accidental- mente in mezzo alla prospera salute, ma è precedu- ta da deperimento della macchina, da segni di scon- certo ne'visceri addominali e specialmente da mole- stia all'ipocondrio sinistro; il sangue reso dall'infer- mo in mezzo alle ambasce, ai deliqui, rassomiglia nel colore e consistenza alla pece liquefatta; la malattia di raro scomparisce compiutamente dopo l'accesso , ma lascia tracce apparenti nella tinta plumbea cene- rognola della pelle, nelle acidità dello stomaco, nel- le flatulenze; facile è la recidiva per lievissimi er- rori, frequente il passaggio nell'idrope- Ora di que- sta specie di emorragia può asserirsi francamente, che essa abbia la sua origine in un'alterazione della mil- za , e che sia accompagnata da perversa crasi del sangue. La prima proposizione è appoggiata ai fatti: i.» Che le cause atte a suscitar la melena sono le sles- i68 Scienze se capaci di agir sulla milza, cioè: « Constitatio cof-^ poris, ut vocant, atrabilaria^ cachectica, scoì^bil^ tica, vita sedentatia^ deprimentia animuni pathe~ mata » ( I. P. Frank ). La splenite è accompagnata talora da vomito di sangue. 2.° Che fra i sintomi della malattìa signoreggiano i disturbi locali: u Hypo-^ chondrìi sinistri inflatio^ tensioni punctio^ motestus in illud decubitus (id) (i): » e il color fosco terreo, di cui non vi ha segno più significativo de'mali spie-' nicì» 3." Che il metodo curativo dopo il parosismo si fonda principalmente sui marciali, da cui Portai» P. Frank e molti altri ottennero perfette guarigioni. Si aggiunga che la meletìa conseguita non ra- ramente alle febbri intermittenti che offendono la mil- za. I tre lucidi casi, che ile ha trasmessi P. Frank (2), furono preceduti tutti da febbri periodiche. Nel se- condo è da notare , come fino dai primi accessi sì dichiarasse tumóre e dolore nella regione della mil- za, e poco dopo ne seguisse il vomito sanguigno: « jTo- tus covporis habitus mollis; pedes aedematosi, re- spiratio a minimo motu difjicilis^ lien magnus ab attactu dolens erant » { pag. igy ). Fu guarita col- la cliina e colla limatura di ferro. Il terzo caso è rimarchevole per la causa meccanica che ne indusse la recidiva: « Dum post meridiem purgando pavi^ mento occuparetur, atque vas aqua plenum pon-^ derosum levasset^ punctorium ad sinistrum hypo-^ (t) Lo stesso attesta Hoffmanu con queste parole: „ Àntece- dtt hunc sanguinis uomitum, ut plurimum punclorius et tensivus hjpocondru sinistri dolor. ,, De vom. cruento. (1) Intcrpr. dia. fragni, in op. posili. Taur. iSaS. Funzioni della milza i6g thoìidfiUnì , iifentem vero ad pectus dolorem ae- gra illieo persensit>i statintque in animi deliqiiium inciditi Eoccitatcì ex isto^ libram circiter sangui^ nis per voniitum reiecit » (p. 203). Nel qual fat- to si ha una conferma della sopra riferita influenza che i laticosi conati esercitano sugli atti della mil- za. Riflette inoltre l'egregio autore, che quantunque la soppressione de' mestrui e delle emorroidi prepa- rino airematemesì o la provochino, ciò però accade più facilmente sotto certi climi : così le emorroidi turgide o fluenti, frequentissime nella Polonia e nel- la Russia, allorché si corrughino o cessino dal flui- re non inducono così spesso il vomito sanguigno come nell'Insubria , regione palustre per la coltura de'risi, e dove perciò è endemica la tumefazione del- la milza. Altri esempi di melena, in seguito di feb- bri periodiche o accompagnate con esse, si leggono in Hoffmann, in Koempf ec. ec. I cadaveri degl'individui, che soggiacquero al vo- mito cruento, mostrarono la milza ammollita indu- rita o in qualche altra guisa alterata, i vasi brevi enor- memente dilatali, e talvolta turgidi di nero sangue. Le storie riferite da Hoffmann , Sauvages, Portai, Grani, Latour ci fanno ampia fede di questo fatto. Nel cardinal Cibo, morto di melena, Valverde osser- vò: « Compresso liene ventriculum repleri sangui- ne^ qui per vas breve derivabatur. » Morgagni, do- po aver citato questo esempio, ne rammenta parec- chi altri, in cui: « Lien aut aequo maior aut durior fuit: vas quoque breve aut crassius aut sangui" ne ex parte turgidum , aut nigro saltem colore in ventriculi interioribus conspicuum, ibique ra- mis aut disruptisy aut eorum aliquo sic in ven- 1^0 S e 1 E N 2 K triculum prri'io , ut illuc stylmn aiit Jlattim ditt etiain sanguinein leviter cornpresso ilio vase ad- mitteret » (»). E degno di special attenzione il caso narrato dallo stesso autore al num. i i pel rapporto che vi si scorge fra il turgore dell'ipocondrio sinistro, il vomito di sangue e la guarigione ottenuta coi mar- ziali; indi nuovamente il lurgoie, il vomito cruento, la morte; il cadavere quasi del tutto privo di sangue, la milza di molto ingi*andila e in qualche punto in- durata, la vena splenica ostrutta. Nega intanto Gendrin (a) che possa oggidì am- mettersi il moto retrogrado del sangue ne'vasi brevi, e sostiene che la melena (gastro-emorragia) avvenga sempre per esalazione sanguigna dei capillari arte- riosi dello stomaco. Peraltro, quando anche non si voglia dare alcun peso ai fatti narrati da Cotugno (3) e da altri (4) sul retrospingersi del sangue ne' rami del sistema venoso, con tal sentenza non saprebbe poi intendersi la notabile dilatazione di tali vasi os- servala da tanti autori, ne si potrebbe spiegar faciU mente il fatto riferito da molti pratici di enormi tu- mefazioni della milza che scomparivano immediata- mente al comparire di sangue atro per vomito e per secesso. Del resto che il sangue proceda dalla milza pei vasi brevi, o che derivi dalle arterie del- lo stomaco ingorgate per negato afflusso nel ramo splenico della celiaca , ciò poco rileva nel caso no- stro, in cui basta che la melena, sequela di altera- (i) Epist. 36, 12. (2) Traile philosophique de medecine pratique, tom. i. (3) Mem. della R. accad. di Napoli, voi. i. (4) j, Refluxiiin sanguiuis a venis in ramos earum in vivis mnhae observaliones mihi patefecerunt. ,, Sauvages, Nosol. ine- tod. splenalg. Funzioni della milza lyi te azioni della milza , sia accompagnata da discra- sia del sangue : locchè è bastantemente provato dal color plumbeo della pelle, dalle cacbessie che ne de- rivati o, dall'efficacia de' rimedi atti a favorire la san- guificazione ; e direi pure dalla natura del sangue espulso ne' parossismi del male", se il colore fuligi- noso, che presenta, non potesse derivare dal suo me- scolarsi cogli acidi dello stomaco. Tali sono le malattie, delle quali può affermarsi, una parziale affezione della milza aver preceduti» lo svolgimento della generale affezione, accompagnala da una discrasia del sangue. Altre ve ne ha che appar- tengono forse alla stessa categoria, ma non potrebbe addursene in prova la stessa copia di fatti. Cosi la rachitide, in cui al dir di Testa « è diminuita la den- sità del sangue e aumentato il calibro delle vene i> che ci offre sempre una tumefazione delle regioni ipo- condriache, che spesso ha origine dalle febbri inter- mittenti (i), nella quale è tanto prodigiosa l'efficacia de'marziali quanto nella clorosi : la rachitide è forse un altro esempio dei rapporti della milza colla san- guificazione (2). Del resto noi non fondiamo argomenti su tutte le alterazioni di questo viscere che ci attestano le aperture de'cadaveri, ma di cui non potrebbe soste- nersi se siano state cause od effetti delle infermità che condussero a morte. È degno però di avvertenza (i)Dopo le febbri autunnah Sydenliam vide sopraggiiinge- re: ,, Symptoraata quae rachitidem piane mentianlur. ,, (2) Siebold osservò in un bambino rachitico la milza cosi voluminosa da estendersi fino alla pelvi; e Tede aggiunge che questo avveaimeuto non è raro nella rachitide. { Conradi) 1^2 Scienze che ovunque la malattia abbia rivestito un carattere putrido o cancrenoso, ivi sempre la milza abbia mo" strato nel cadavere qualche evidente offesa. Sono no- te le osservazioni di Lovis sull' ammollimento della milza nel tifo petecchiale » e quelle di lackson sul medesimo stato di questo viscere nella febbre gialla di s. Domingo. Disfatta trovolla Cleghorn nella dissen- teria epidemica di Minorca: e Roederer ce la descri- ve livida e gonfia nella febbre mucosa maligna che dominò a Gottinga insieme allo scorbuto e alle in- termittenti. Clot-Bey ci ha istruiti che l'ingrossamen- to della milza è fra i costanti fenomeni delle peste. Molti casi ne reca Andrai di malattie febbrili, in ciJi era notabile la prostrazione delle forze e in tutti il cadavere offriva la sostanza di questo viscere ridotta in una poltiglia semi-fluida; sola lesione costante in mezzo alle differenze che presentava lo sconcerto del- le altre parti (i). Pinel trovò la milza accresciuta di volume, e facile a squarciarsi e piena di un sangue nerissimo nelle febbri putride ch'egli chiamava adina- miche, e in alcune puerperali. Lo stesso autore rin- veniva questo viscere enormemente ingrandito e ri- gonfio di nero sangue in una donna morta di una cancrena ad una gamba ( Nosogr. filos. ). Finalmente occorrono in Morgagni non pochi esempi di cadave- ri, in cui il sangue fluido in tutti i vasi , le carni flaccide, il cuore floscio, il cervello ammollito eran con- giunti all' intiero disfacimento del viscere splenico ( Ep. 4? 9> 24, 26. Ep. 22-8 ). I fatti adunque , di cui ci ammaestra lo stato morboso della milza, sono tutti in acconcio di sta- ■p. I ■ .11 — ■ (i) V- i casi n. 46, 48, 5«, Sa, 53 din. med. v. 2. Ft'nzioni della milza lyS bilìre : che le azioni disordinate di questo viscere nocciono alla ematosi, formandosi un sangue scarso di materia colorante ( febbri intermittenti, clorosi ), disciolto e sfibrato (scorbuto, melena, splenite ); indu- cendosi preponderanza di siero e di grasso ( idrope, obesità ). Sarà stalo avvertito che a tutte le malattie soprai-. legate arreca giovamento il ferro, e che ad alcune è rimedio specifico. L'azione elettiva di questo farmaco sulla milza è un fatto incontestabile, conosciuto già da Plinio e da Celso, confermato dall'osservazione di tutti i tempi , e da esperienze dirette sugli animali viventi instituite dal Benivenio. Il ferro acquista mag- gior compattezza alla milza, e, ove questo viscere sia tumefatto, lo riduce a più giusta misura. Ora il fer- ro, che agisce elettivamente sulla milza , è quello stesso che corregge alcuni vìzi del sangue, ne ravviva il colore: « F'ideturque ad sanguinis structiiram con- ferre^et ipsi quasi animam quandam afflare (i).» Ed ecco in questo fatto un altro indizio del rapporto fra la milza e la sanguificazione, dacché tal processo è favorito e modificato da una sostanza che esercita speciale azione su quel viscere. Il ferro rafforza pu- re la fibra muscolare che nelle malattie della milza discade e avvilisce , come risulta dalla prostrazione , che le accompagna tutte, e specialmente la clorosi , lo scorbuto , la splenite. Abbiamo così quattro fatti in vincolo di filiazione fra loro; cioè : lo stato mor- boso della milza; il vizio del sangue ; l'offesa della irritabilità; il benefizio del ferro, che, agendo in ispe- cial modo sulla prima, migliora le condizioni del se- condo e della terza. (i) Lorry, De nielanchol. et raorb. melanchol. t. 11, p. 77. ij4 Scienze CAP. IL ARGOMENTI ANATOMICO-FISIOLOGICI. E noto che la milza comincia a mostrarsi ne*^ vertebrati unitamente al sangue rosso. Le poche ec-^ cezioni, che patisce questo fatto generale, non basta- no a spogliarlo della sua importanza; poiché^ se man- ca un tal viscere nelle lamprede, può ben equivaler- gli, come pensa Ratlike, quel tubo celluioso e spu- gnoso, che regna lungo la spina in tulta la lunghez-- za della cavità addominale, il quale riceve una gran quantità di sangue procedente dagli organi 'genito-uri- nari, come pure quello di una porzione dell'intesti- no. Così pure nel Petromyzon mariìius, Mayer ri- guarda come milza una gianduia rossastra situata die- tro il fegato e il pericardio cartilaginoso. Dall' altra lato se l'umor nutritizio scorgesi rosso in alcuni an- nelidi, non perciò esso pjDtrà somigliarsi al sangue de' vertebrati. Il rapporto fra la milza e il sangue si ritrova anche nelle diverse classi d'animali , confron- tando la quantità dell'uno allo sviluppo dell'altra : così ne' pesci , in cui questa è al minimo grado , scarsissima è la quantità di sangue, che abbonda in-^ vece ne' mammiferi , in cui la milza ha conseguito il suo maggior volume. In molti pesci mentre i mu- scoli, le membrane e quasi tutti gli organi, tranne le branchie, ci si offrono scolorati, la milza presen- ta un bel color porporino o vermiglio. Vera carne non comincia ad incontrarsi che ne' vertebrali. Essa differisce dalla sostanza molle e gelatinosa degli animali inferiori per una più squl- FuNZIOiM DELLA MILZA Ij5 sita elaborazione della materia organica, per maggior copia di azoto e per l'intrinsecarvisi la parte colo- rante del sangue. Ora, alla comparsa della carne ne- gli animali è contemporanea quella della milza : e più questa carne si mostra con tutti i caratteri die la distinguono, piìx rinviensi sviluppata la medesima. Ne'pesci e ne'rettili in generale la fibra muscolare è pallida e partecipe dell'indole gelatinosa de' mollu- schi, e il viscere in discorso è anch'esso proporzio- natameate piccolo. Esso va crescendo gradatamente fino ai mammiferi, ove la sostanza muscolare raggiun- ge la sua perfezione. Ne'cetacei, in cui la milza è respetlivameute poco sviluppata, la carne è molle e oleosa come ne'pesci. E osserviamo pure negli em- brioni de' mammiferi i muscoli pallidi e mucillagi- nosi, quando meno attive sono le funzioni di quel viscere. Finalmente è da notare, che la mancanza della milza negli acefali è accompagnata dalla man- canza del sistema muscolare: o se esistono muscoli, questi son pallidi e formati quasi intieramente di tes- suto cellulare. Il sistema vascolare, che più o meno sviluppato non si desidera mai negli acefali, suole es- ser privo del cuore , come quello che è formato di sostanza carnea. Quantunque alcune li-acce di organi orinari esì- stano anche negli animali privi di cervello e di mi- dollo spinale, tuttavia si può affermare che un vero e distinto apparato orinario non cominci a mostrarsi che ne'vertebrati. Si rammenti che i reni sono gli e- jnuntorii destinati a purgare la macchina dall'azoto e cianogeno sovrabbondanti o residuali. Or questi prin- cipii abbondano nella sostanza colorante del sangue, alla cui elaborazione darebbe opera la miUa, la qua- lyG Scienze le si mostra contemporaneamente al sangue rosso , alla carne, agli organi orinari. La milza somiglia grandemente nella struttura e sostanza alla placenta , organo di sanguificazione. In alcuni mammiferi questa è divisa in cotiledoni, co- me in altri interviene della milza. L'anomalia delle piccole milze succenturiate nell' uomo ci rammenta pure una disposizione di tal fatta. La tortuosità de'vasi spianici ^ come partecipa lo- ro maggior forza ad agire sul fluido contenuto, così pure li rende meno subordinati all'impero del cuo- re : ambedue queste condizioni invitano ad ammet- tere un officio speciale di questi vasi sull'umore che conducono. Hewson vide globettì rossi tornare pei linfatici della milza. Tiedeman e Gmelin, nelle esperienze su- gli animali viventi, osservarono i vasi linfatici della superficie della milza ripieni di un fluida rossa&tro y il quale raccolto presentò un coagulo di tal colore e senza siero. Gli stessi autori annotarono, che il chi- lo del condotto toracico, solito ad essere più coagu- labile e coloralo di quella de'vasi chiliferi intestina- li, era più tenue e men colorata in una cagna, alla quale avevano estirpata la milza. In un viscere de- stinato a compor sangue non è maraviglia se i lin- fatici riprendano le particelle rosse e perfette di quel- lo che vi reca Parteria e che sopravvanza alla nutri- zione de'tessuti. Ciò concorda pure colla disposizio- ne anatomica notata da Winslow nella milza del bo- ve e del montone. Egli vide all' estremità di molte diramazioni arteriose de'corpicciuoli granulari dispo- sti come gli acini in un grappolo di uva : da ciasche- duno di questi acini partivano due tubi ; uno corto Funzioni della milza 1177 ed aperto, l'altro lungo e sottile che si dirigeva alla pareti del viscere e che aveva tutti i caratteri di un linfatico. Quest'ordine sembra indicare che il sangue condotto dall'arteria splenica si divida in questi aci- ni , restituendo le sue molecole rosse e perfette ai linfatici, versando le crude e capevolì di elaborazio- ne nei tubi venosi ond' esservi anch'esse convertite in sangue. Che poi le particelle rosse, assorbite dai lin- fatici della milza, appartengano al sangue dell'arte- ria splenica, e non slan di quel nuovo elaborato dal viscere , appai'isce da ciò che la quantità di materia colorante , contenuta nel chilo che scorre nel con- dotto toracico, siegue la ragione inversa del cibo; tal- ché dopo l'astinenza il chilo del sudetto condotto si mostra quasi tutto sangue: mentre, al contrario, un lauto pasto ve ne cancella quasi le tracce. Facendo una sezione netta di questo viscere, toU to recentemente ad un gatto 0 ad un cane, esso mo- strasi sparso di piccole cellule contenenti un fluido denso viscoso bianchiccio. Cosi affermano Mayo ed altri anatomici. Home inoltre ha osservato che, quan- do l'animale sìa restato lungo tempo senza nutrimen- to, le cellette della milza sono quasi sempre vote. Questa connessione fra l'assorbimento dell'umor nu- tritizio, e la pienezza delle aiuole spleniche, conci- lia favore all'idea, che l'officio di esse sia quello dì elaborare il chilo in sangue. Il sistema venoso predomina nella milza : le di- ramazioni della vena non solo vi abbondano sopra quelle delle arterie, ma vi si allargano pure in cellu- le in ispazi comunicanti fra loro di maniera a parte- ciparle la disposizione degli organi cavernosi ; cioc- ché spiega abbastanza la somma turgescibilità di que- G./^.T.XC. 12 tyS Scienze alo viscere. L' autore delle lettere fisiologiche, nelle sue indagini sul vapore del sangue, fu condotto a sta- bilire « che molto ei dev'essere nella milza, non so- lo perchè nel voto si gonfia notabilmente , ma per- chè allo sventrar vivo un animale, p. e. un vitello, al primo saltarne fuori delle interiora si vede spesso la milza, quel corpo floscio e cascante, quasi vibra- ta lanciarsi tesa e incarnita come una lingua » ( Ro- sa, Let. IV ). Dalle recenti indagini di Hake si apprende, che le cellule spleniche, sostenute dai setti fibrosi, sor- gono dalla membrana interna della vena splenica, la quale, fatta più e più sottile, perde gradatamente la sua forma tubulare, per assumere il primitivo carat- tere di tessuto areolare ; come pure che la tonaca fi- brosa della milza , e i dissepimenti che se ne spic- cano , sono formati dalla seconda tonaca della vena islessa. Questa disposizione di struttura, accennata già in qualche modo da Malpighi, merita che vi si fermi il pensiero per due riguardi. Primo, essa ci di- mostra che la milza è viscere essenzialmente venoso: che perciò l'atto che vi si compie dee appartenere a questo sistema, l'arteria non servendo che a recar nu- trimento ai tessuti, materiali alla funzione. Secondo, essa ci offre un bel tratto di somiglianza collo svol- gimento delle radici venose sulla membrana vitellina del pulcino, ove apparisce in prima il sangue rosso : quivi infatti, fino dal secondo giorno, si distingue un tessuto areolare a cerchielli color di ruggine, che poi a poco a poco acquista la forma tubulare , e final- mente si converte in veri vasi venosi , cioè i rami della mesenterica. Funzioni della milza ijg GAP. ni. ARGOMENTI CHIMICI, Accloccliè la chimica possa fornirci anch' essa qualche argomento , onde sostenere che nella milza si trasmuta il chilo in sangue, fa d'uopo staliilir prima quali siano le condizioni chimiche opportune a tal metamorfosi, e provar poi che queste si avverano nel viscere di cui si cerca l'officio. Quanto al primo que- sito io trovo due soli fatti che si possano enunciar con fiducia, cioè : i. Che la materia grassa, d,i cui sovrahhonda il chilo, non può trasformarsi in mate- riale del sangue ( albumina, fibrina, materia coloran- te ), che mediante la combinazione di ragguardevole quantità d'azoto , senza dire di alcuni altri cambia- menti nella proporzione de'suoi principii elementari: 2. Che il ferro , elaborato colla materia organica , esercita una parte nella formazione della sostanza ros- sa del sangue. Vediamo ora se la n^ilza si presti a tali pi'ocessi. Era stato già avvertito dai medici della setta chi- mica, che questo viscere abbonda di sai 'volatile , e Majow (i) che , militando sotto quelle insegne, dis- sertò sull'officio di esso, ci lasciava scritto : « jdrbL- trari fas est lienem praecipuani officinam esserla qua salia aUmentorum nitrosa in volatilia. elabo- (i) Quante dottrine negli scritti di questo medico, clic mu- talo nomine onorarono i chimici dello scorso secolo ! V- Tracta- tus (juinque medico-physici ec. Oxonii 1674- i8o Scienze rantur. » Abbandonata quella scuola , questo fatto non cadde perciò in dimenticanza, ma fu anzi con- ferraato da nuove indagini: onde leggiamo nello Spren- gel : a Sangais Ivenalìs, Meckelio avo et Rolofjìo. testibus^ Jlaidior est, ammoniaco abundantior, li- vidior, quain in iillo alio viscere » (Physiol.). Fra i moderni chimici, Vauquelin analizzò il sangue sple- nico e vi rinvenne il muriate e fosfato di ammonia- ca; e se questi sali non figurano nell'analisi del Gran- doni (i), la sola che abbiamo del parenchima della milza, ciò avviene per averla spogliata con ripetute lavande di tutto il sangue contenuto ne'vasi e nelle cellette del viscere. Egli è poi facile accertarsi di tal verità, triturando una porzioncella di milza colla po- tassa caustica: paichè se ne svolge tal copia di am- moniaca da offendere l'odorato e da provocare la for- mazione di bianchi e densi vapori all' approssimarvi dell' acido idroclorico. Ho ripetuto più volte questa esperienza eolla milza di vari animali, e ne ho isti- tuito confronto col sangue e con altri visceri de'me- desimi, risultandone sempre una enorme differenza in favore di essa. La prevalenza ammoniacale di tutto il suo parenchima si rivela anche dal più forte odore animale che da sé getta, specialmente ove sia brucia- to, e dalla maggior proclività che manifesta alla pu- trefazione. La milza è adunque un viscere ben adat- to ad impregnare di azoto l'umor nutritivo; tanto più che l'ammoniaca, onde abbonda, cede facilmente il suo carattere di alcali, ed è pieghevole a variar foi-me, e spingere i suoi elementi a nuove combinazioni. /») Anaali di Omodei, iSSg, Funzioni della milza i8i La presenza del ferro in un organo così ricco di sangue come la milza, non può esser dubbia. For- tissima è infatti la reazione che si ottiene quando si agisce sul parenchima splenico carbonizzato senza pre- vie lavande e trattato coli' acido nitrico : se allora , dopo aver neutralizzato 1' acido , vi si versi qualche goccia di solfocianuro di potassa, l'arrossamento che he siegue è cosi vivace, fcome se si agisse sullo stesso sangue. Peraltro, ancora che la milza sia stata spo- gliata della maggior parte del sangue che contiene , non cessa dall'indicare forti dosi di ferro ai reagenti. L'alcool, che si è fatto agire a caldo sulla milza fre- sca, dopo averla assoggettata a ripetute lavande con acqua distillata, presenta anch'esso col ridetto solfo- cianuro il medesimo arrossamento. Questo giudizio poi, a cui conducono le chimiche indagini, si accorda be- ne colla già riferita azione elettiva , che i marziali esercitano sulla milza : ferram lìenem cohercet. L' azione riunita dell' ammoniaca e del ferro a sanguificare il chilo nelle cellule splonlche risalta mag- giormente dalla energica affinità che questi due coi'- pi hanno fra loro, e dalla virtìi onde godono ambe- due di influire sulla colorazione, e di dar origine ad alcune combinazioni di un bel rosso. « Il perossido di ferro si distingue dagli altri ossidi metallici per la proprietà di formare coll'ammoniaca composti so- lidi; e i precipitati, che induce quest'alcali nei sali di ferro, sono veri sali in cui esso fa la parte di ba- se. Egli è in forza di tale affinità che i minerali ric- chi in perossido di ferro presentano il curioso attri- buto di attrarre e ritener l'ammoniaca » ( Liebig ). Non vi è alcun viscere che ci presenti tanta va- rietà di coloramento come la milza, secondo 1' età , iSa Scienze il temperamento, lo stato morboso ; vermiglia , pur* purea, violacea, turchiniccia, nereggiante in tutta la sua sostanza, ovvero macchiata di varie tinte in di- versi punti; in altri casi si scolora del tutto in qual- che porzione della sua sostanza. Ora tutte queste dif- ferenze di colorito si spiegano facilmente in un vi- scere destinato ad elaborare l'ammoniaca e il ferro , e colle varie metamorfosi a cui questi corpi possono andar soggetti nelle vicende della milza. Le osservazioni risguardanti lo stato sano di que* sto viscere sono avvalorate da quelle clie ne suggeri- sce la condizione morbosa del medesimo. Infatti una ' delle offese che vi s'incontra piìi spesso è l'ammolli- mento: lesione che può interpretarsi per l'azione dis- solvente de'sali ammoniacali, ove le forze del visce- re non valgano a decomporli e rivolgerli al destina- to officio. Una milza sana e compatta, immersa per breve tempo in un bagno di sale ammoniaco , am- mollisce ed acquista apparenze analoghe a quelle del- lo stato morboso in questione. Così pure l'avervi tro- vato acido idrocianico ne'morti di perniciose vi con- ferma il predominio dell'azoto , che vi si palesa già nello stato normale. Merita finalmente di esser notato un altro fatto, ricavato pure dalle indagini chimiche , ed è la pre- senza di non lieve quantità di sali fosforici nel tes- suto della milza , quantimque spogliato di tutto il sangue ( Grandoni ). Ora i sali fosforici, che soglio- no associarsi ad un più alto grado di aniraalizzazio- ne , quando non siano essenziali alla chimica costi- tuzione della parte rossa del sangue, è certo almeno che l'accompagnano costantemente; poiché non si è mai pervenuto ad isolarla dai fosfati di soda e di cai- Funzioni della milza i83 ce; e l'osscrvazion fisiologica c'insegna che l'ossifica- zione, ne'puiiti in cui si effettua, è preceduta da au- mento di vascolarità, da apparizione di sangue rosso ne'vasi, i quali allo stato di cartilagine non eran vi- sibili. Le condizioni chimiche che ci presenta la mil- za sono adunque tutte opportune alla elaborazione del chilo in sangue. GAP. IV. FUNZIONI DELLA MILZA. È stata veduta l' inerzia della milza seguita da cachessia adiposa, da ridondanza di siero e diminu- zione di sostanza colorante ; il suo turgore favorir rematosi; l'afflusso e ristagno passivo del sangue nel- le sue cellule provocare lo scioglimento di quest'u- more. E slato notato che la milza apparisce contem- poraneamente al sangue rosso, alla vera carne inzup- pata di materia colorante, all'apparato urinario emun- torio di azoto ; che il suo sviluppo è proporzionato alla copia di sangue e al ruhore de'muscoli. Fu mo- strata 1' analogia fra il modo di origine delle radici spleniche della vena porta e di quelle della mesen- terica sulla membrana vitellina del pulcino ; consi- derando come il sangue rosso cominci a formarsi nel- le radici della vena porta, a cui appartiene la milza. Si è toccata la somiglianza di struttura che questa ha colla placenta, organo di sanguificazione, che ope- ra appunto in tempo che la milza è meno sviluppata rispetto agli altri visceri. Le chimiche indagini ci han- no ammaestrato che questo viscere è ricco di ferro, di sali aramoniacali e fosforici; che ne'suoi materiali .i84 Scienze al>l)onJa l'azoto. È noto per altre osservazioni che il chilo è sopraccarico di globuli oleaginosi che non ritrovansi poi in tale stato nel sangue, e che il fer- ro è il principale agente della colorazione in rosso di quest'umore. Da tali fatti e ragioni mi par lecito arguire, che la milza è destinata a partecipare un pia alto grado di animalizzazione al chilo , eia- borandone le particelle grasse che vi sovrabbon- dano^ impregnandole di azoto^ combinandovi ilfer^ ro^ operandovi in fine le modificazioni necessarie a prepararne la conversione in sangue. Sorge qui il dubbio per qual via il chilo per- venga ancor crudo nel parenchima della milza, ond' esservi elaborato a tal fine. Indaghiamolo. L'apparenza lattiginosa dell'intiero sangue è ra- rissimo fenomeno: ma il suo siero ci si offre spesso albicante, specialmente ne'salassi che si praticano ai sani poche ore dopo il pasto. « Duni paucis post pastum horis hoviini sano sanguis mittitar, sa epe magna copia chjli reperitur supernatans sangui- ni » { Vanswieten , §. ii6). Ed Eller afferma che « In corporibus sanis fiuidum hocce brevi post pastum ex venis eductum, rubedinem suam in su- perficie multoties abscondat sub velo albicante la- cteOf ab imperitis prò pituitosa saburra habito , cum tamen nihil aliud sit^ quam chyti ab alimene tis recens extracti^ et per circulationeni nondum subacti aut in cruorem conversi, copia, quae ve- ro penitus disparuisset , modo vena post horas aliquot tardius fuisset pertusa » (i). Lo stesso di- (i) Observ. de coga. morb. Veacl. p. 26. Funzioni della milza iBS chiara Haller scrivendo che « Tertia hom a pastn nondiim serum est, sed sanguini e vena seda jlii^ enti candidimi innatat. Passum tunc est vires piil- monis et arteriarum, neque tamen adhuc satis inic-^ tatus est chflus ut possit alere » (t). Frequen- tissima presso gli scfittoiù di medicina è l'indicazio- ne di tal fatto: e il nome di siero chiloso, onde ven- ne generalmente espresso, mostra bene la comune opi- nione sull'origine del fenomeno. Intanto i moderni fisiologi non sono proclivi ad ammettere la circola- zione di chilo immutato ne'vasi sanguigni, e sosten- gono che esso trasformasi tutto in sangue nel suo passaggio attraverso i polmoni, e ciò colla stessa pron- tezza onde si conia una medaglia (2) : ma non si trovano poi ne'loro scritti argomenti bastevoli a ri- pudiare l'antica credenza, ne ragioni a stabilire, che la foi'mazione di una sostanza, così elaborala come la colorante del sangue, si effettui con rapidità pari a quella, con cui l'umor nutritizio attraversa i vasi pol- monali. Questo insegnamento viene anzi combattu- to dal fatto, notissimo nella storia della sanguificazio- ne, che la parte rossa del sangue si risarcisce assai più lentamente e difficilmente, che non la porzione sie- rosa di esso. Nelle malattie, in cui fa d'uopo incider più volte la vena, a misura che si ripete l'operazio- ne, il sangue diviene più ricco di sierosità e povero di crassamento : e cosi pure dopo le profuse emor- ragie, se esplori la natura del sangue, non ci ritro- vi le stesse proporzioni di prima, ma invece sovrab- (1) Praelect. ia Boerhaav. , toni. II, 524. (2) Àdelon, Physiologie de l'homme^ toni. III. l86 S G I E N Z K JDonda il siero e difetta il cruore. E comunque il pa- ziente si adoperi a confortarsi di cibi sostanziosi e abbondanti ; nondimeno il pallore della cute e del- la mucosa, l'infiltramento linfatico della cellulare, mo- strano cliiaramente che il sangue non è tornato alla pristina crasi, e che scarseggia di parte rossa: anzi av- viene talvolta che, per quanti soccorsi si apprestino, il passaggio all' idrope diviene inevitabile. Col qual fatto si viene a dire, che la sostanza colorante è frut- to di più lungo e artificioso lavoro che non lo è il sie- ro; che i globetti del sangue, in cui specialmente ri- ducesi la parte rossa, non si formano pel solo assor- birsi di nuovo chilo dai linfatici intestinali , e col semplice attraversare che esso faccia i polmoni; che il trasmutamento di chilo in sangue non ha luogo nel torrente della circolazione, ma che è necessario l'in- tervento d' un parenchima viscerale , ove i materiali di esso chilo siano sottoposti a nuova digestione, che li renda meglio contemperati e più affini ai tessuti che debbono esser nutriti; onde infine cioè acquisti- no le proprietà del sangue. Questo umore consta di materiali più o meno elaborati; i primi si produco- no più difficilmente dei secondi , come fra i tessuti il nerveo si rigenera con più difficoltà del cellulare. Il passaggio del chilo in sangue non può essere perciò l'opera di un momento, non può assomigliarsi all'at- to del coniare una medaglia. Il fatto adunque che riposa sulla testimonianza di tanti medici, che videro siero biancheggiante nel sangue esfratto poche ore dopo il pasto, e la ragion fisiologica, cui ripugna che il chilo del dotto toracico, crudo e ridondante di materia grassa, si trasformi in bel sangue rosso pel solo transitare i polmoni , ci Funzioni della milza 187 permettono eli credere che circoli chilo ne' vasi san- guigni, anche oltrepassate le vie delle respirazione ; e se circola chilo ne' vasi sanguigni, esso potrà ben esser condotto dall'arteria splenica nelle cellule del- la milza, ond'esservi elaborato in sangue (i)» Parve a Bell, che Hewson fosse trascorso fuor di tutto il probabile, ammettendo nella milza la for- mazione di globetti sanguigni : e a maravigliarsi di tal sentenza ei traeva argomento da ciò, che 1' arte- ria splenica vi dee recare sangue perfetto, e ricco a bastanza dì globuli, per non doverne cercare l'origi- ne nella milza. Ma, oltreché niun fatto ci ha ancor dimostrato che ogni arteria e sempre rechi egual san- gue alle varie parti , e senza dire che anche il più perfetto sangue arterioso ha la sua sierosità elabora- bile in parte rossa, mentre i Suoi globuli sono im- piegati nella nutrizione del viscere e ritornano pei linfatici o per le Vene; oltre ciò, io dico, non vediam poi la placenta ricever sangue arterioso dai vasi ute- rini e formar pure co'suoi materiali altro sangue per uso del feto ? Né perchè il sacco vitellino , durante l'incubaiione , ci presenta un'arteria mesenterica, noi vorremo perciò negare che il sangue non sorga dal- le radici della vena omonima. Se la milza è destinata ad elaborare 1' azoto ne'maleriali del sangue, noi intendiamo allora le in- time relazioni che essa mantiene coll'apparato urina- rio, destinato specialmente a portar via dalla macchi- (i) V- ne'comment. di Brera un caso di siero lattiginoso in individuo pallido e magro, affetto da vivo dolore al lato sinistro, e ripetutosi per tre volte. i88 S e I E N z « na l'azoto sovrabbondante o residuale sotto forma di urea e di sali ammoniacali. Infatti gli organi orinari appariscono nel regno animale contemporaneamente alla milza; pallida, acquosa, scarseggiante di urea ci si offre l'orina ove torpido e inoperoso sia questo visce- re, come nella clorosi, nell'isterismo, nell'ipocondrìa- si, e della stessa natura ci si presenta negli animali a cui sia stalo estirpato (i) : al contrario ricca di urea o imbrattata di parte colorante del sangue nel- l'ipertrofia e congestioni spleniche attive, come nelle intermittenti e nelle affezioni artritiche, le quali so- no spesso precedute da turgore della milza. La cri- si delle malattie spleniche, in cui già Ippocrate ave- va segnalato l'utilità de'diuretlci, si effettua il più del- le volte per orina; rimarchevole è a tal proposito il caso riferito dallo Schenkio, in cui : « A lienis tu- more quidam annis i5 annuatim bis ciut ter per urinae projìuvium atramento simile liberatur ». La speciosa cura delle antiche ostruzioni di milza , per mezzo di ripetute battiture esercitate su di essa, è seguita, ove giovi, da abbondante escrezione di u- rine laterizie. Il sangue della vena splenica si riputava già da- gli antichi fisiologi più sciolto e putrefattibile che non sia il rimanente di questo umore , e i moder- ni lo estimano più idrogenato d' ogni altro sangue; ciò che si accorda bene coli' officio assegnato alla (i) V. Relaz. di alcuni esper . sulla miJza del p. Magherl nell'arch. delle scienze medico-fisiche toscane , luglio 1837. „ U- rinam excretam fuisse freijuentius uberius et magis aquosam. „ Haller, Prael. 206. Funzioni della milza 189 milza di fissare 1' azoto sulla materia grassa del chi- lo a spese delPammoniaca. Questo sangue sopraccari- co d'idrogena recatosi al fegato non può esservi inu- tile alla secrezione della bile, che tanto abbonda di questo elemento : di qui nasce la comune opinione, che il sangue della vena splenica pivi sciolto più idro- genato e putrefattibile contribuisca grandemente al- la formazione della bile, e che perciò la milza deb- ba considerarsi come un organo ausiliario al fegato nell'opera suddetta. Il quale officio come lascerebbe Dell' oscurità tutte quante le osservazioni esposte di sopra , e poco si conformerebbe alla economia della natura , ove volesse riguardarsi come primario ; così conciliasi bene con quelle, ed esalta l' industria di questa, quando gli si assegni il posto di secondario, e conseguente alla funzion principale. Ripugna in- fatti tanta complicazione di struttura per sola una secrezione, e l'aver fabbricato, oltre il fegato, un al- tro gran viscere, unicamente per alimentare la bile; ma che, per comporre questo sapone animale , siasi profittato de'materiali residui ad una più perfetta ela- borazione del sangue, è un bell'esempio di magiste- ro organico che di un sol mezzo ottiene più como- di, soddisfa a più fini. Quest'uso poi secondario del- la milza , oltre la natura idrogenata del sangue che conduce la vena splenica, si conferma anche per la nota osservazione patologica, che alle alterazioni della milza tengon dietro quelle del fegato , specialmente per ciò che riguarda la secrezione della bile. Avvie- ne talora che noi giudichiamo affetti di morbo epa- tico individui , in cui è solo offesa la milza ; e le aperture de'cadaveri ci mostran viziata la bile nella cisti lillea, ove questo viscere sia scirroso , ammolli- igo Scienze to o in qualunque altro modo notabilmente offeso. Ne' morti di febbri perniciose non si osserva altro fenomeno più costante del disfacimento della milza da una parte, e di una bile atra viscosa picea dall' altra. La scienza possiede inoltre qualche chimica in-^ dagine che attesta della influenza del sangue splenico nella secrezione della bile: poiché, ove sia stata estir- pata la milza in un animale, questo umore sembra esser men ricco di parte resinosa, in cui predomina appunto l'idrogene {i\. Alla dottrina, che stabilisce nella milza un'ope- ra di azo.tazione e di sanguificazione, non sarebbero di grave ostacolo i fatti : che si può vivere lunga- mente, ancora che questo viscere sia indurito, ostrui- to, rimpiccolito; che si può viver senz'esso ; che gli animali, a cui fu estirpato, non palesano disordini ri- levanti nelle loro funzioni ; che dopo tale operazio- ne il chilo del canale toracico si rapprende e arros- sa all'aria come all'ordinario { Schultz ) ; ohe a Ba- bington sembrò di trovare un cane non impoverito, di sangue rosso, quantunque da alcuni mesi fosse sta- to privato di milza. Tali obbiezioni sarebbero appe- na di qualche valore, ove a quest'organo si affidasse tutto il lavoro della ematosi : perciocché la natura sa talora variare i mezzi, onde eseguire lo stesso atto: e, mancando una parte, le fòrze dell'organismo sor- gono al fine, che l'officio di questa sia in qualche modo supplito da apparato analogo. Ma il chilo non si trasforma in sangue nelle sole radici venose che (i) V. l'analisi dei p. Taddel nella relazione del p. Magheri eìlata di sopra. Funzioni della milza i^i s'impiantano nella milza : tutte le origini della vena porta soddisfano a quest'officio: cosicché estirpato quel viscere, o paralizzatane l'azione, rimangono all' uopo non solo tutti i rami della vena mesenterica superio- re, ma eziandio le radici venose che affluiscono nella splenica in tal sito, da non potersi toglier via colla milza. Perciò l'inazione di questo viscere non arreca sempre gli stessi danni, ma essi varian di grado , a seconda che le altre sorgenti del sistema della vena porla sono più o meno attive : così avviene che nelle fanciulle di tempra molle e linfatica, al torpore delle radici spleniche succeda bentosto difetto di sangue rosso, perchè tutto l'apparato venoso addominale è pi- gro o poco sviluppato; e al contrario ne'metanconi- ci, in cui esso è ricco e operoso, l'inerzia o picco- lezza della milza è seguita da minor difetto di san- gue. Del resto, quanto agli effetti seguiti all'estirpa- zione della milza negli animali viventi , si potrebbe anche rispondere, che essi non furon sempre confor- mi: e che, se parve a Babington che quel suo cane non fosse più povero di sangue rosso, comunque reso asplenio da alcuni mesi, l'altro poi esaminato da Ho- dgkin, varie settimane dopo aver provato la stessa sor- te, offrì le particelle rosse del sangue sfigurate, im- piccolite e in una quantità straordinariamente mino- re rispetto al siero acquoso in cui nuotavano (i) : osservazione tanto più pregevole nel caso nostro, in quanto che raccolta senz'animo di trovarla, e da chi sull'officio della milza sostiene tult'altra opinione. (i) Questa osservazione è riferita ia un appendice alla tra- duzione in inglese che l'A. ha fatto della nota opera di Edwards, Sul jjolere degli agenti fisici sulla vita. ig2 Scienze Che poi l'officio di sanguificare appartenga a tut- te le radici della vena porta, si può dedurre da eia elle questo sistema venoso è il primo a formarsi nel- l'animale: ond'è che nell'embrione degli ovipari le pri- me apparizioni di sangue rosso avvengono sulla mem- brana vitellina , i cui vasi costituiscono appunto le origini della vena mesenterica : veemente indicio che la sostanza rossa del sangue continui ad elaborarsi in- quello stesso tessuto venoso, in cui generossi nel pri- mo periodo della vita. Così pure le condizioni chi- miche, che nella milza ci parvero impiegate ad azo~ tare e sanguificare il chilo, le ritroviamo parimertte> nelle altre sorgenti della vena porta. Infatti i sali am- moniacali possono esser copiosamente forniti alle ra, dici venose dall'incom/inciata fermentazione della hììe e delle materie escrementizie negl'intestini; e il Men- ghini, le cui esperienze avevano già indicato ( ciò che poi misero più in chiaro le indagini de'recenti ) che il ferro viene introdotto nell'organismo, non per la via degli assorbenti chiliferi, ma per quella delle ve- ne meseraiche, osservò più volte negli animali sotto- posti all'uso di tal metallo rosseggiar vivamente le origini intestinali di questi vasi, e accendersi ad un tempo del medesimo colore gli spazi vicini delle mu- cose e le sottoposte areole cellulari. Ed un'altra prò-, va del prodursi sangue rosso nelle radici mesenteri- che si desume dalla natura del sangue , che scorre nella vena di questo nome: il quale, a somiglianza di quello che tx'asporta la splenica , sovrabbonda di cruore, rispetto agli altri materiali, assai più che non dovrebbe se fosse unicamente destinata a ricondurre il sangue delle arterie omonime. Finalmente la pra- tica ci conferma in questo giudizio, mostrandone la Funzioni della milza 198 stretta relazione fra l'abbondanza della sostanza rossa del sangue e il vizio emorroidario, a cui corrisponde un predominante sviluppo del sistema venoso addomi- nale. Potrebbero qui opporrai i curiosi delle recenti dottrine erabriogenetiche, che mal si cerca un argo- mento di analogia in ciò che avviene durante la co- vatura , riguardo alla prima formazione delle parti- celle rosse del sangue ; poiché in tal periodo egli è piuttosto il sangue che fabbrica i vasi , di quel che i vasi producano il sangue. Ripetute osservazioni ex ammaestrano infatti, che que' primi globetti di san- gue che ci presenta l'ovo incubato, ove comincino a muoversi, si fanno strada per solchi , che eglino stessi si van praticando attraverso l' orditura organi^- ca, finche poi questi solchi divengano a poco a pooo pareti vasali ( Wolf }. Il qual fatto io estimo veris- simo: ma non credo che per esso venga a rovesciarsi quanto ho proposto sull'origine del sangue, che, per mio avviso, non formasi già in virtù de'vasi, ma co- mincia ad elaborarsi nelle cellette de'lessuti areolari, che circondano le estremità delle vene e ne invol-^ gono i plessi , donde poi muove o per semplici in-^ terstizi Q per veri canali, secondo il diverso periodo della vita. Formasi adunque sangue intorno le radici della vena porta e si aspira dalle medesime : ma questo sangue, come già fu veduto in particolare dello sple- nico, non è ancor giunto all'intiera sua elaborazione. Esso contiene una minor quantità di albumina e di fibrina, e abbonda in vece di parte grassa, che vi si trova quasi in doppia dose dell'altro sangue venoso. La stessa sostanza colorante non vi ha acquistato G.A.T.XC. i3 ir)4 Scienze tutte le sue proprietà; il sangue della vena porla è più nero clie non soglia essere nelle altre vene, ed è scolorato dai cloruro di stagno : effetto che que- sto reagente induce anche su quello che primo ap- patisee sulla memhrana vitellina e sull' altro che si forma nelle areole della placenta, ma che non si ve- rifica nel sangue elaborato degli altri vasi venosi e ar- teriosi. Egli è poi nel fegato e ne'polmoni che il san- gue giunge alla sua perfezione, e diviene quell'umo- re omogeneo e contemperato che si richiede ai biso- gni dell'organismo. L'officio assegnato alla vena porta trova un con- traddittore nello Schultz, a cui piace anzi di riguar- darla come organo escrementizio delle vescichette del «angue e della materia colorante che vi è combina- ta. Ma come accordai'e questa dottrina col fatto ana- tomico avvertito da Meckel |i), che la vena porta prepondera sul restante sistema venoso ne' rettili e ne'pesci, cioè in animiali che ci mostrano una quan- tità di globetti e di parte rossa del sangue compara- tivamente minore e meno elaborata che negli uccelli e mammiferi, in cui la vena porta è più circoscritta ? E còme spiegare coti tal principio, che la sudetta ve- lia, come sistema 'èeì vitellus^ è la prima a formarsi nell'animale ? Avrebbe mai natura stampato per pri- ino ti'n albero vasale stabilito a sciogliere e conver- tire in bile quella parte del sangue che allora co- mincia a formarsi ? E quali attenenze si scuoproùo fra là J>al'te rossa del sangue, la più elaborata, la più ricca Ai ^àzoto, e la Mie cbfe toè deriverebbe, la meno (i) Traité d'anatomie comparécj v. I. Funzioni della milza. igS animalizzata , la più ricca d'idrogene ? E non tasta l'apparato urinario, vastissimo emuntorio ch'egli è di principii ammoniacali, a scomporre e toglier via le particelle rosse del sangue fuori di uso , che se ne abbiano a cercar altri; sicché in fine gli ordigni di scomposizione sopravanzino quelli di formazione ? Oltre la funzion principale di ematosi e l'officio subalterno di prestar materiali al fegato per la secre- zion della bile, un altro comodo arreca la milza colle sue connessioni vascolari e nervose : ed è quello di servii'e come di regolatore alla distribuzione del san- gue nello stomaco per l'esercizio periodico di sue fun- zioni. E noto che l'arteria splenica è un ramo deri- vante dal vaso principale che provvede l'organo dige- stivo : ora da tal disposizione avviene che , ove lo stimolo chiami una quantità maggiore di sangue nel ventricolo, ne affluisca meno alla milza: e dove quel- lo abbia compiuto il suo lavoro, ne riceva questa in più copia e cominci 1' opera sua. Ciò concorda col fatto, che i mali della milza tendono a sconcertare le funzioni dello stomaco, e che i disturbi di que- st'organo traggono seco le affezioni spleniche; appun- to perchè alterato l'ordine e la misura, onde il san- gue affluisce in uno di questi visceri, dee avvenirne disordine anche nell' altro. Ce ne offre un esempio l'edacità, che negli animali tien dietro all'estirpazion della milza, e quella che nell'uomo accompagna spes- so i vizi di quest'organo, come avviene negl'ipocon- driaci, ne'quar lanari e talvolta anche nelle clorotiche. Tal fame insolita e vorace sembra derivare da peren- ne afflusso allo stomaco di sangue, negato alla mil- za torpida, indurita o mancante. A questa connession vascolare si devono anche •icf6 Scienze i Ijorbottamenl; di ventre uditi negli animali privati di milza, de'quali si narra : « Tantos fidsse in ven- tre tumultus, ut animali cum pavorc somnum ex- caterent, visique sint canes excitati arrectis au- ribus auscultasse ut locum cliscerent ex quo tan- ti strepitus orircntur » ( Halier, Op. cit. tom. II, 207 ). Le si devono i ruggiti addominali delle iste- riche, simulanti il grido di animali, sorgente di stu- pore al volgo, e i continui infrenabili flati degl'ipo- condriaci, che gli si aggruppano nello stomaco, fanno impeto negl'intestini , uscendo poi in copia enorme per la bocca o per l'ano : isteriche ed ipocondriaci, in cui suol esser inoperosa la milza. In tali casi le sostanze aeree, che per l'arteria splenica dovrebbero introdursi in questo viscere, deviano per gli altri ra- mi della celiaca e si fanno strada nel ventricolo, ne- gl'intestini, producendovi i narrati effetti. Le relazioni fra stomaco e milza riuscirebbero anche più significative e conducenti a rafforzare i prin- cipii esposti di sopra, ove si ammettesse che lo sti- laolo recente del cibo, esercitato sulle estremità ner- vose della mucosa gastrica, si diffondesse ai ramicel- li del simpatico che attorniano la celiaca, e vi pro- vocasse la decomposizione de'sali ammoniacali che vi circolano col sangue; onde poi al ventricolo toccas- ser gli acidi a profitto della digestione, precipitando l'alcali nella milza. A questa ipotesi si avvicinò già Prout riguardo alle corrispondenze del fegato collo stomaco, volendo spiegare il predominio della soda nel primo e dell'acido idroclorico nel secondo , col decomporsi del sai comune. Tale fu pure 1' idea di Gallini, il quale scrisse « che il sangue dell'arteria splenica, nell' atto di dividersi tra i rami che vanno Funzioni delt-a milza 107 allo stomaco e quelli clic vanno alla milza, si decom- ponga; e nei primi lasci trapelare un succo analogo al gastrico, se non è lo stesso gastrico, e nei secon- di lasci trapelare quegli elementi che i linfatici as- sorbono ec. (i) » : ipotesi clic ha in suo favore mol- te analogie, e la natuia acida dello stomaco, alcali- na della milza. Oltre il poter servire di regolatore per l'oppor- tuna distribuzione del sangue allo stomaco, si è di più riguardata la milza come adatta a prevenire l'in- gorgo de' visceri nobili negli sconcerti del circolo , offrendo nelle sue cellule un sicuro rifugio al san- gue lumulluante. Questa opinione, accennata già da Du Vernoi e Lieulaud, fu poi espressa chiaramente da Testo, a cui sembrò « verosimile che questa an- cora si aggiunga alle altre utilità della milza negli usi della vita, che in alcune circostanze in lei possa rac- cogliersi impunemente molta porzione di quel san- gue, il quale fosse trattenuto dal passare liberamen- te per la cava inferiore nella cavità, del torace, so- prattutto in alcune improvvise e tortissime contrazio- ni del diaframma » (2). Tal concetto è stato più vol- te riprodotto a' dì nostri come nuovo da Broussais, da Rusk, da Hodgkin: e quest'ultimo in ispecie si è adoperato con miglior nerbo di argomenti a provare che (( la milza adempie neil' economia animale un officio simile a quello, che viene eseguito dai tubi e dalle valvule di sicurezza, nelle varie maniere di ap- parati chimici e meccanici » (3). E veramente non (i) Nuovi elementi Jella fisica del corpo umano. (2} Malat. del cuore, lom. i, cap Vili. (3j Op. cit. ia8 Scienze può dubitarsi che ne'movimenti disorilinati del san- gue la milza non possa accoglierne in buona copia, e ammorzarne così la soverchia spinta alle altre par- ti: contuttociò io non saprei persuadermi che questo viscere sia stato costruito espressamente a tal fine ; poiché né l'uso, di cui si ragiona, é patente in tut- ti gli animali provvisti di milza, ne si verifica mol- to spesso in quelli che potrebbero giovarsene, essendo più che troppo frequenti le congestioni viscerali per tumulto di circolazione, nò va immune da danno ove si compia ripetutamente , avendo mostralo di sopra che gì' ingorghi splenici finiscono coli' offendere la ematosi. Finalmente, se il viscere di cui si ragiona ela- bora il ferro nella materia organica,, esso dovrà co- stituire altresì una fonte di elettricità per il sangue che ne sorge. Ho mostrato altrove come dai recenti contatti del ferro coll'albumina scaturissero correnti elettro-dinamiche : l'esercizio adunque delle funzio- ni della milza ci offre una sorgente di elettricità, e non senza qualche ragione Arthaud riguardava que- sto viscere come un apparato elettrico. E stato in- fatti veduto come la prostrazione delle forze accom- pagni costantemente le malattie spleniche , e come l'irritabilità venga accresciuta dall'uso del ferro, che esercita la sua principale azione sulla milza. Se si confronti l'impeto di mozione e la turgenza del san- gue ne' biliosi e ne'sanguìgni, in cui prosperano le funzioni di questo viscere, col tardo corso e l'indo- le pituitosa che suol aver nei malinconici e nei lin- fatici , in cui esso non ottiene il dovuto sviluppo , ei parrà verisimile che le condizioni della milza pos- sano molto sulla tensione elettrica de' globetti san- guigni. Funzioni della milza iqq La milza non è ugualmente operosa in tutto il corso della vita. Nel feto e nella prima infanzia, in cui i tessuti abbondano di parti oleaginose, di umo- ri bianchi e sono meno animalizzati, le funzioni di questo viscere sono poco attive. Esso spiega maggior energia nella fanciullezza e signoreggia poi laell'ado- lescenza; l'età in cui il sangue conseguisce la sua per- fezione. In questo periodo più che in ogni altro ]e condizioni della milza influiscono sullo stato gene- rale della salute. Terminato 1' accrescimento , i tes- suti trovandosi a bastanza ricebi di azoto , il movi- mento della nutrizione assai più lento, scarse le per- dite della parte colorante del sangue, diminuisce l'im- portanza della milza; ciò che dà luogo ad alcune mu- tazioni, onde spesso si modifica o deperisce la costitu- zione dell'individuo. Il sangue, die comincia a stor- narsi dai vasi splenici, o gettasi sugli epiploici e ca- rica gli omenti di grasso , inducondo quella corpu- lenza , che in taluni si manifesta a mezzo c^mmin della vita. Se trattisi di un malinconico, tempra che quasi sempre si congiunge a lento e difficil corso del sangue ne'vasi della milza, può avvenire che questa deviazione gli torni a profuto ; ciò che spiega quel detto degli antichi riferito da Baillou che « Melali' cholia hjpocondriaca lahor^ntes tum demuin cu- rati dicuntur cani pingiiescuiit. » Ovvero il san- gue, che non si reca più nella solita copia nella mil- za, affluisce maggiormente nelle mesenteriche, prepa- rando affezioni emorroidarie; o s'ingrandisce il fegato, ove una secrezione più abbondante di bile, non abba- >tanza flussibile per difetto di sangue spleni co , di- viene sorgente di calcoli, di concrezioni biliari. Fi- nalmente la milza può anche, a stabilita virilità, noa 200 t> C I E N T, E ceder punto del suo sangue ai visceri associati con essa per connessioni vascolari, ma questo umore ri- stagnarvi , alterarvisi e faisi così occasione di scor- buti, di melene, di lente spleniti. Poca parte ha la milza nell'età senile: onde accade che le perdite no- tabili di sangue non si risarciscono mai compiuta- mente, quantunque vigoroso si presti lo stomaco al suo officio : al quale fa Ito si collega l'altra osserva- zione del poco vantaggio che si ricava in questa età dall'uso de'riraedi che agiscono in modo elctlivo sull' apparalo splenico, come ben lo ha notalo Wintrin- gham: « Experientia didici, quod reme di a ferrugi- nea iunioribus multo magis quain senihus conve- niant » (De morb. quibusd. comment.j. Raccogliendo in poco il discorso: se i fatti ri- feriti son veri, se gli argomenti che vi poggiano non sono fallaci, possiamo inferirne ; che principale offi- cio della milza sia quello, che il siero chiloso reca- tovi dall' arteria splenlca , vi si animalizzi maggior- mente e cominci ad acquistarvi natura di sangue, per opera specialmente dell'ammoniaca e del ferro che vi si adunano; che in sequela di tal processo essa pon- gasi in relazione col fegato, somministrando un effi- cace elemento alla secrezione della bile, cioè l'idro- gene; che le sue attenenze vascolari e nervose collo stomaco l'associno ad esso, o come occasione di pe- riodico regolare afflusso di sangue ne'diie organi se- condo i lor bisogni, o come sorgente di succhi aci- di per l'uno e alcalini per l'altro; clic legando il fer- ro all'albumina, debba esercitare un potere sullo sta- to elettrico del sangue, e sulla vita del tessuto mu- scolare, in cui s'incorpora tanta parte di esso. Se ta- li sono le funzioni della milza, ognun vede di quan- Funzioni beu^a milza 201 ta importanza Jebba reputarsi questo viscere ncU'eco- nomia animale: e si giuslifica la sentenza di Lorry, il quale, dopo aver toccato alcune opinioni suli'ofllcio del medesimo, conchiude: « Hinc eius cjuicuinque sit usus^ maximus est » (i). Cenni economico-statistici sullo stuto pontificio, con appendice. Discorso sulVagro romano, e sui mezzi di migliorarlo, di yingelo Galli com- putista generale della R. C. yl. Roma nella tip. camerale iB4o in 8.° di fac. Xl^ e 555. xm. coloro , che presiedono o dirigono stabilimenti o negozi pubblici , incombe di mostrare al governi ed ai popoli i risultamenli delle operazioni eseguite, i modi di miglioramento e tutt'altro che si crede op- portuno , sia per ovviare agi' inconvenienti , sia per migliorare le aziende, sia per mostrar falsi ed esage- rati i disordini che la moltitudine sogna , e che gli stranieri creano in modo insolentissimo. Che se ogni governo dee lamentare tali infortunii, lo stato ponti- ficio sopra tutti: fatto bersaglio alle ire de'raalevoli, che van proclamando in islato compassionevole esser le finanze, il commercio invilito, le industrie annienta- te, le arti più utili e necessarie, l'agricoltura stessa languida ed in piena dissolu/jone. A riparare tali (i) Op. cit. tom. I, p. 221. 302 Scienze onte ripetute , non v'ha dubbio , dagli stessi popoli dello stato pontificio, il valente sig. Angelo Galli com- putista generale della R. C, A. ha compilato i pre- senti cenni economico-statistici. Qiiest' opera , sotto titolo così modesto racchiude fecondissima messe di nozioni statistiche, le quali se verranno ampliate ed estese , come è voto dell' autore , non si avrà più imancanza di tali cognizioni. Fatto così senno i pro- prietari e gì' intraprendenti , guidati dalla sapien- za del governo, porteranno la prosperità delle finan- ze , dell' industria e delle arti a tal grado di per- fezionamento, che stante il benefico influsso del cie- lo italiano, le genti della pontaficia dizione prende- ranno il più bel seggio tra i pppgU colti e civili d'Europa. Vengo all'esame dell'opera. L' autore non fu preceduto da altri somiglianti lavori statistici, in modo che si trova senza l'appog- gio di opere antiche, e senza i rilievi che su quelle soglionsi fare, come altresì ignaro dei risullamenti ot- tenuti da quelle dottrine. Il conte dì Tournon scris- se intorno a quella parte di stato, che nel dominio, francese era detta dipartimento di Roma. Gabriele Calindri die un saggio statistico-storico dello sta~ to pontificio : quest'opera, di pregio per la storia e per l'erudizione, non lo è così per la statistica. » Lo slato pontificio, così il Calindri, nella sua estenzione in lunghezza da Terracina alla linea del Po , trovasi fra il 4^° ed il 45° di latitudine. La figura della sua superficie è irregolare, poiché essen- do in lunghezza (considerata ai due punti estremi sud- detti) di circa leghe ottanta , nella larghezza consi- derata nel punto massimo, cioè da Ancona a Civita Vecchia, non sorpassa le quaranta quattro leghe: que- Statistica dello stato pontif. 2o3 sto è nel suo centro, e procedendo verso gli estremi tanto al sud, (guanto al nord, si va sempre restrin- gendo. Il suo serpeggiante perimetro è di miglia ro- mane lineari i235, delle quali iSy sono la spiaggia del mediterraneo, 198 quella dell'adriatico, 77 la ri- va del Po, le rimanenti 8o3 sono a contatto delle terre degli stati confinanti. La sua superficie si cai- cola ascendere a miglia quadrate 18,117, delle quali circa due terze parti sono montuose, il resto pianu- ra. Di questa totale superficie per miglia 16,071 è coltivata e fruttifera, per 2,046 incolta. Di questa i,3i5 miglia sono suscettibili di coltura e miglioramento , cosicché l'assolutamente incoltivabile si limita a mi- glia 731. » Nel parlare, seguendo il censo, dei rapporti fra la popolazione e la superficie si ha per rlsul lamen- to, essere la superficie di rubbia 2,253,991, ossia ta- vole censuarie 419662,769, che ridotte a miglia ita- liane di sessanta per grado è di miglia quadrate 12,120. Il Calindri nel 1819 assegna allo stato pontifi- cio una popolazione di 2,592,829. L'indice alfabeti- co dei paesi pubblicato in Roma, nello stesso anno, la fa ascendere a 2,679, ^^4- Rinnovatosi questo nel i835,la eleva a 2,782,436. Si ritiene dall'A. es- sere nel i838 di 2,771,486. Dati ad ogni famiglia ragguagliatamente cinque individui, sono 5545287 fa- miglie. Il numero di coloro che possono essere atti a produrre una mercede, fatte le debite esclusioni, ri', ducesi alla metà della popolazione, 1,885,718, Ad una popolazione di 2,771,486, occupante un terreno produttivo di rubbia 2,168,874, tocca 9 ciascun'individuo quarte 3, scorsi o, quartucci 2. Ri- porta l'autore una tavola, nella quale è notato il rap- iio4 Scienze porto della popolazione dello slato pontificio con quel- la degli altri stati d'Italia , e che trasse dalla stati- stica pubblicata in Firenze nel i835, e trovasi con- sentaneo a quanto stabilisce il eh. dott. Giuseppe Fer- rano nel primo tomo delia sua statistica medica di Milano. La popolazione dello stato pontificio è la più scarsa, ragguagliata colla superficie, nell'Italia co- me terra ferma: piìi numerosa delle isole di Sardegna e di Corsica. L'estimo rustico, secondo il nuovo censimento dell'anno i835, giunge a — / 161,417,5 i8:36: quello urbano a -7=7 33,794,371:08, al quale dee aggiun- gersi il valore dei fondi urbani al di sotto di scudi quattrocento di estimo, che sono esenti dalle impo- ste, come pure quello della specie simile de'fondi ne' paesi non tassati, perche al di sotto di mille abitan- ti. Così r estimo de' medesimi , secondo le basi del censimento, crede l'A. giungere ai duecento milioni: le quali essendo miti , stabilisce il valore dei fondi giungere a trecento milioni. Questi abbisognano di dote (bestiami, semenze ec.) che pe' rustici si fa ascendere a r^ 3i, 960, 668: 63: eper gli urbani (masserizie edaltro) a -^^^i 1,5745 744-4^» al quale si aggiungono 7=^ 23,14954^8:90 per il va- lore delle gemme, dell'oro, ed argento. Riguardo agli oggetti di belle arti, cosa di grande rilievo^ non si sono potuti avere dei dati per conoscerne approssi- mativamente il valore: ma danno con le cose di storia naturale cento mila scudi annui di attività commer- ciale. Degli utensili sacri , come non pertinenti al 'Commercio, si tace. La marina potrebbe essere interessante per tro- varci noi fiancheggiati da due mari. Mancano tutta- Statistica dello stato pontif. 2o5 via bastimenti al piccolo cabottaggio, che si eseguisce da' legni napoletani , toscani, e sardi. L'istessa pesca viene in gran parte esercitata da legni esteri. Il com- mercio di mare attivo e passivo è di venti milioni all'anno. Presenta l'A. una tavola indicante i legni marittimi, i loro nomi, portate e valori, di cui ec- cone alcune cose : Uso Numero Valore Gran corso — — — i4 y=^ 124, 999' 98. Lungo 93 » 325, 5oo — Piccolo cabotteggio 148 » 3 io, 800 — Pesca l^^\ n 2g5, 334 — Terrieri, ed alibi — 49^ " o55, 606: 68. ■7=7 I, 112, 240 : 66. Al capitale clie costituisce il valore dei legni , aggiunto il disborso indipensabile per la condotta de' medesimi che considerasi come una quarta parte del loro valore , ne risulta occupar la marina il fondo di -^ 1,390,800,82^. Nella spiaggia del mediterra- neo, lunga miglia iSy, esistono i6g legni nazionali: ed in quella dell'adriatico, lunga 198, ve ne sono io65. La inerzia degli abitanti le spiagge mediterranee , seb- bene piia interessanti, perchè da esse pervengono co- loniali e salumi, e l'aria malsana, spiegano la nota- bile disparità che esiste. Le vetture ed i mezzi da trasporto per terra for- mano un ahro capitale, che può distinguersi in due classi : i." legni propri e vetture di lusso, e di viag- gio. 2." Carri, ed altri ordegni da trasporto. In Roma sono soggetti a tassa sei mila cavalli: forse altrettan- 2o6 Scienze ti esistono in tutte le città dello stato. Ritenendo che D^ni paio di cavalli e due legni coi rispettivi forni- menti possano valere scudi 5oo, si viene a costituire un capitale di tre milioni di scudi. Gli altri mezzi da trasporto ascendono al valore di se. i, 600, 000. Coràpreso nel valore del capitale fissato agli stabili- menti industriali, ciò che riguarda il facoccbio, il sel- laio ec, stabilisce cbe il valore delle provviste pel mantenimento delle bestie, cioè fieno, paglia e biada, sia di se. 782, 0)25, die sommato coi capitali, ascen- de a se. 5, 4425 925. Con alcuni economisti suppone cbe ogni indivi- duo abbia in numerario scudi dieci: coslccbè si avreb- bero scudi 27, 7145 36o in moneta. La ricchezza pubblica adunque è dì scudi 44^» 860, 075: o4; sopra la qual somma calcolando gl'in- teressi al quattro per cento, si ha un prodotto annuo di scudi 17, 674, 4^^* '^^':> ® ^'iesti, divisi nella popo- lazione composta di 2, 771, 4^6 individui, danno per . ,. ., \ Capitale 7=? i5q, 43: 3 individuo < -n 1 i» __!. ci ì Prodotto •?=? o, 07: 7. Fissato il consumo per ogni individuo a libre 780 di cibo del valore di bai. 3 a libra, si ha se. 21, go all'anno: ai quali uniti se. io, ^5 per vestiario, e se. 3, 65 per Tabitazione, sommano se. 36, 5o annui per individui, e se. lOi, 157, 4^4 P^^ tutta la popo- lazione. I mezzi per soddisfare i bisogni sono il frutto dei capitali, e la mercede dell'opera. Il frutto dei ca- pitali, come si disse, è di se. 17, 674» 4^^' *^'* ^^^ individui produttivi si riducono a i, 385, 718, ai quali si assegnano bai. venti il di per giorni trecento, cioè Statistica dello stato pontif. 207 se. 83, 143, 080, che in totale ammontano a scudi loó, 817, 483: 01: cifra che si equilibrerebbe col bi- sogno. Tuttavia il numero dei poveri e dei ladri è assai numeroso. Il governo spende pei pi'imi se. 5i3, 368: i5, 5, ogni anno: e si mantengono nelle carceri e luoghi di pena oltre a 6, 3oo individui. La mag- gior parte dei delitti hanno origine dalla miseria. Il consumo delle sostanze animali è di lib. 3o5, 700, eoo: delle vegetabili di lib. 1,717,6845068: «he in totalità è lib. 2, 022, 784, 068. La qual cosa consuona col presunto bisogno di consumo per la popolazione di lib. 2, 023, 148, 280. Dal qual cal- colo ne emergono due cognizioni: « i.° Che siano giustamente fissati tanto i con- sumi quanto i prodotti, una volta che si trovano in perfetta corrispondenza fra loro. » « 2.° Che il rapporto dei consumi fra le sostan- ze animali e quelle vegetabili stia come 17 a 3: il che dimostra piuttosto sobrietà nella popolazione. » Divisi i terreni secondo l'attuale destinazione lo- ro, passa alla disamina dei prodotti dei tre regni del- la natura. Incomincia dall'animale. Il numero dei ca- tpi vaccini e hufaliini è di 663, 722, che ne produco- no ogni anno 'i65, Cf^o. Se ne perde un tre per cento: jjer cui tolti capi i'^, 911 dalla produzione, rimane a 146, 019 , de' quali parte se ne consumano lattan- ti, o ipria che giungano a maturità, il resto serve al rimpiazzo de'buoi aratori e delle madri. Si suppone che i lattanti siano 20, 000 del peso ciascuno di libre i5o — lib. 3,000,000 non maturi — 35, 000 » » 25o — » 8,760,000 adulti — 91, 019 » » 65o — » 59,162,350 146, 019 lib. 71,912.350 2o8 Scienze Danno le vacche un prodotto annuo di dodici milioni di bocali di latte, che in parte si consuma in i&tato di produzione, ed in parte riducesi a butiro, a prò- vaUire ed a caci di vario nome. Facendosi del latte tutto cacio, potrebbe aversene otto milioni di libre. Oltre a ciò si ricava da questi animali grasso, ossa, corna, unghie e carniccio. Sono i cuoi i65, qSo, con- siderati ragguagliatamente del peso ciascuno di lib. 4-0» sommano libre 6, 687, 200. Due milioni e mezzo di pecore ne producono ogni anno i, ySo, 000. Ogni anno se ne suol perdere i5o mila: per cui il consumo sarà il seguente: Abbacchi numero 966, 667 del peso ciascuno di lib. 10 — lib. 9, 666v67( Castrati ed agnelli » 4^^5 333 » 35 — » 16, 916,65^ Montoni vecchi » i5o,ooo » 5o — » 7, 5oo, oo( num. 1,600, ooa lib. 34, 5oo, oo( .Date quindici mila libre di cacio a mille pecore, ed un quinto di ricotta, si avr-à, cacio lib. 26, 25o, 000; ricotta 5, 25 o, 000. La lana si calcola a lib. due so- pra ogni capo matricino, cioè cinque milioni di libre : e per gli agnelli lib. una, ed once sei 725 mila libre. Oltre a ciò, bassette num. 966, 667 : pelli di agnello 4<33; 333; di pecore e montoni trecento mila. Caure trecento venti mila : questo bestiame, più prolifico dei pecorino, dà una produzione dell'ottanta- ciuque per cento, e conseguentemente 272 mila al- lievi, di cui se ne perdono 19, 200. Il prodotto da commerciarsi sarà : Statistica dello stato pontif. 309 Capretti numero 233, 600, ciascuno pesando lib. IO — lib. 2, 336, 000 Capre e becchi » 19, 200 » 40 ~^ » 7^8» 000 nura. 282, 800 lib. 3, 104, 000 Per ogni migliaio di capre si danno lib. 20 mila di cacio, in tutto lib. 5, 44^» ^o^s ^ ricotta lib. i,o83, 000. Le pelli di capretto sono 233, 600 , di cap.r|3 e becchi 38, 400* i^». INel numero totale di 680, 221 porci, sono com- prese le madri e gli allievi : queste sono nella pro- porzione di uno fra sette capi, a ciascuna delle quali si attribuiscono sei allievi, che di due ed anche di tre anni si uccidono a turno. Di questi se ne consumano trecento mila del peso ciascuno di lib. duecento, cioè sessanta milioni di libre. Il totale delle carni ascende a lib. 169, 099, 6i5', di queste 160 milioni si consumano nello stato , il resto va all'estero. - Di cacio se ne producono lib. 42, 856, 5oo : in questo ramo evvi una passività di oltre 700 mila libre ( t^ 68, 191 : Sy ). - Il totale delle lane è di 5. 725, 000 libre: l'attività di com- mercio di 7=? 237, 995: 6i dimostra estrarsene un mi- lione e mezzo di libre. Le pelli presentano una passività di .oltre due- cento mila scudi, che deriva principalmente dalle vac- chette di Moscovia , e dai vitelli di Germania e di Francia. Cavalli 58, 997, che annualmente ne producono 7, 661, avendone già detratti 2, 949 che muoiono, ed una decima parte che riesce inetta al lavoro. Tutto G.A.T.XC. li 210 S C I E N Z K ciò per le razze, alle quali è stabilito il congruo pa- scolo. La produzione delle cavalle ritenute nelle slalle dei luoghi abitati, che non è minox-e di capi 19, 665, darà un'accrescimento di 2,257; in tutto lO, 228.- Le pelli, calcolate a io mila di lib. dieci l'una, dan- no cento mila libre. Si fa un commercio attivo col regno di Napoli e colla Toscana di circa tremila ca- valli. Il lusso di Roma introduce cavalli esteri di gran prezzo, come la Romagna ne trae dal regno lombar- do-veneto in ispecie dal padovano, per cui l'attività del commercio resta in gran parte assorbita. Asini e muli num. 14, 749' cioè muli 4, 916: asini 9, 833. Gli asini danno i, 147 capi di aumen- to ogni anno, e dei muli se ne accrescono 5 , 735. Le pelli, in numero di seimila a lib. 3o per ciascu- na, danno 180 mila libre. Polli. Abbondano nelle Marche, nell'Umbria e dalla campagna si recano alla capitale. Cacciagione. Può facilmente eseguirsi la caccia per non esservi alcun grave impedimento di bestie fe- roci. Pesce. Si ha dall' adriatico e dal mediterraneo, da vari laghi, stagni, fiumi e torrenti. Si salano le anguille, le sarde, i sardoni ed altri pesciolini, ma in poca quantità. Cera e miele. In alcune parti il suolo pontifi- cio è molto favorevole al prosperamento delle api , ma la quantità è limitatissima. Si suppone che in ogni anno raccolgansi cento mila libre di cera e 56o mila di miele, Seta. Mancando ogni elemento per conoscere il numero dei gelsi, non si può stabilire la quantità dei bozzoli. Dal bilancio del commercio si ha, che circa Statistica dello stato pontif. 2 1 1 25o mila lihre di seta si estraggono; supponendo che altrettante ne rimangano, se ne ha un mezzo milione di libre. I prodotti vegetabili, che possono considerarsi co- me necessari, sono : Grano . . . . rubbia 15744,792 Granturco . . rubbia 839, 58o \ Favella . . . » 27, 072 J Biada . . )) 55, 991 1 Orzo . . » 3i, 322 f Lupini . » 6, 464 \^ Fava . . » 81, 171 / I, 1 13, o65 Farro . . . » 14, 532 ( Lenticchia » 2, 735 1 Cicerchia . . , » 4>927 ] Ceci . . . » 5, 419 / Fagioli . . . • » 43, 924 / Riso • » o33, 049 rubbia 2, 890, 906 Le patate sono in molto uso, non se ne conosce la quantità. Le assegne delle castagne ne presentano 9, 604, 000 libre. - Si hanno sei milioni di some di fieno. Sopra 52 mila rubbia di terreno, addetto alla col- tivazione delle olive, si suppongono esistere io, 4^0» 000 alberi ( 200 per rubbio ), i quali danno un boc- cale di olio per albero. Non è bastante al consumo, poiché il commercio ha una passività di -7=^ 3 80 mi- la: valore approssimativo di un milione e 600 mila boccali d'olio. Ogni individuo ne consuma quaMro boccali, due foglielte ed un quartuccio : forse è mag- ai2 Scienze giore, ma non apparisce per le frodi che si fanno al confine napoletano. Se si ponesse cura al così detto olio lavato^ che si estrae dalle ciancie premute, se ne potrebbero avere un milione e 200 mila boccali. Quest'olio utilmente si adopera nella fabbricazione dei saponi. Il vino è barili 16,795,456, di cui la decima parte si distilla per ottenerne lo spirito. Per tale o- perazione diminuisce da 5 a i. Il vino ragguagliato sulla popolazione dà per ogni individuo barili 5 e boccali quindici circa: ciò dimostra il grande consu- mo. Il vino di lusso estero arreca notabile passività. Ecco ciò che si deduce riguardo ai legnami : Legnami minuti . . . pezzi num. 17, o56, 000 Legni da fabbrica ed altri usi. . » 4» ^64' 000 » grossi » 159,000 Ogni anno si tagliano 3, 969, 4^° some di le- gna, delle quali una terza parte si riduce a carbo- ne. Ci mancano le tavole, per cui abbiamo un com- mercio passivo coU'estero di quelle di abete e lari- ce: le doghe ci sovrabbondano, e se ne fa commer- cio attivo. I travi di abete ci vengono dall' estero , ove ne spediamo di quercia per le costruzioni na- vali. L'esportazione delle legna dà un attivo di 7^ 21 mila (some i5o mila). Oltre i suddetti legnami, che si ottengono dal taglio dei boschi, ne abbiamo vari da alcune piantagioni , e da alberi fruttiferi , cioè l'albuccio, il pino, l'olmo (per fabbriche), il noce, il ciliegio, il gelso, il platano, l'acero (per mobili) ed il faggio (per toi-nio ed altro), il taglio del quale non si fa a determinati tempi, come degli altri alberi da bosco. Statistica dello stato pontif. 21 3 Da 17,600 rabbia circa di terreno seminato a canapa se ne ottengono libre 61,600,000. Il lino, (li cui non è molto estesa la coltivazione, può rite- nersi compreso fra la canapa, di cui se ne estraggo- no cinquanta milioni di libre. Frutta. Ne abbiamo di ogni specie: ciò nuUame- no non sì disseccano cbe in poca quantità, per cui evvi un passivo col regno di Napoli per lo zibibbo, fichi secchi ec, e così per gli agrumi. Erbaggi. Colle provincie illiriche se ne fa com- mercio attivo nell' adriatico. Il tabacco prospera in guisa da bastare a tutte le fabbriche, eccettuate po- che specie che si traggono dall'estero. Tra le erbe da tinta sono da notarsi il guado (erba luteola), la robbia, lo zafferano, la ginestra, la mortella, e le galle : fra le cortecce vi sono in so- vrabbondaiiza quelle di scotano, di pino, di noce, ed altre. I riscoli, che sono abbondanti, si annoverano fra le erbe da lavoro, come fra le cortecce il sughero , e quella di quercia , che serve per la concia delle pelli, e per cavarne la potassa. Tutti gli estratti ed essenze medicinali si rica- vano da erbe e fiori indigeni. Il ricino è esuberante. Degli stracci, sebbene prodotto secondario, se ne raccolgono otto milioni di libre per la fabbricazio- ne delle carte, e due milioni di quelli di lana per l'ingrasso dei terreni. Dei quali se ne impiegano cin- que milioni e mezzo per la carta , ed il resto va all'estero. Divide i prodotti minerali in 12 categorie. Di- ce l'A. essere stato molto giovato nel compilare que- sta sezione di statistica dal eh. dottor Pietro Carpi, 2i4 Scienze professore di mineralogia nella romana università, che mi glorio di avere avuto a maestro in questa parte di storia naturale. I. Matei'ie da cementi, die conprendono: i:° le materie terrose, cbe mescolate alla calce formano una malta buona a comporre ed intonacare i muri. 2.° La pozzolana, die trovasi nelle vicinanze di Roma, è im- penetrabile all'acqua, dà muri di prodigiosa fortezza; se ne manda all'estero.- 3.° I lapilli ed arena siliceo calcarea , che si trovano quasi da per tutto , dan- no costruzioni men solide della pozzolana. ^.'' Are- ne de'mari, fiumi e torrenti. 5.» Calce che si ottie- ne per mezzo della cottura del calcare apennino e del travertino. 6.° Gesso, che egualmente si ha dalla cottura del sasso di questo nome, abbonda nelle mar- che e nelle legazioni. II. Argille per la costruzione di terre cotte. Ve ne sono di tre specie: j.^ Marne argillose, ed argille plastiche, che si trovano nelle viscere de'mon- ti; 2." Argille deyiunii; 3.'^ Arene calcaree silicee, o argilloso-silicee : con queste si fanno tegole, mat- toni, vettine da olio ec. III. Pietre da fabbriche. Ne esistono varie. i.° La selce, che è una lava dura e pesante di an- tichi vulcani. 2.° Pietra calcarla apennina, la me- desima che serve a far calce. 3." Peperino, sostan- za risultante da ceneri vulcaniche solidificate : si tro- va nei monti albani, a Subiaco, Rota, Borghetto, Ses- sa, Genazzano, Prosinone , ed altrove. ly° Traver- tino [lapis tiburtinus) , serve non solo ai piantati, ma si usa nelle decorazioni. Si trova nelle vicinan- ze di Tivoli , di Civita Vecchia e di Viterbo. Una somigliante si scaya a Matelica, Camerino, ed Asco- Statistica dello stato pontif. aiS li. 5." Tufa vulcanica^ di cui due varietà, il tufa litoide o pietroso bastaatemente buono per le fab- briche, ed il granulare che lo è molto meno. Rin- vengonsi nei contorni di Roma , nelle provincie di Viterbo, di Prosinone, e di Velletri, ed in una parte della comarca verso levante. 6." Manziana, che riceve il nome dal paese in cui viene estratta, è un granito di prima formazione, che ha subito l'azione del ca- lore vulcanico. Resiste al fuoco ed è perciò adope- rata pei focolari. 7.° Pietra da macina, si ha buo- na a Marino, a Prossedi, a Narai, ed a Gualdo di Perugia. Ve ne sono ancora in molti altri luoghi. IV. Pietre da Decorazione: 1. Marmo di Cottanello 2. Palomhino di Fuligno 3. Breccia di Cori 4. Palombino di Ancona 5. Rosso di Orvieto 6' Rosso-venato di Terni 7. Broccatello di Camerino 8. Lumachella di Ancona 9. )) di Fuligno IO. » di Sogliano II. Alabastro di Civita Vecchia 12. » di Orte i3. » di s. Felice 14. » di Perugia i5. » di CoUepardo 16. » di Camerino '7- » di Sabina 18. Gesso compatto di Faenza 19- Travertino candido, che Rrocchi descri- ye nei contorni di Civita Vecchia , colla qualità di ai6 Scienze solido sparso di alcune cellule , di frattura minuta- mente lamellare e brillante , che somiglia precisa- mente al marmo di Carrara. V. Pietre da diversi usi. i.° Pomice: è molto friabile, per cui se ne fa venire dall'estero. 2.0 P/e- tra saponacea, detta da sarto: si trova a Nocera, a Rocca Rotonda ed a Castro nel bolognese. 3.° Pie- tre silicee focaie : si hanno a Bologna ed a Mon- tenero. 4." Cristallo di monte: si rinviene alla Tol- fa ed a Castel s. Pietro. VI. Materia da costruzione di strade, i. 6*6/- ce di sopra ricordata. 2. Pietra calcarla. 3. Ghiaie: si traggono da antichi depositi esistenti nel seno de' monti, e dai torrenti. 4» Tartaro, che si trova nelle cadute dell' acqua. 5. Pozzolana. 6. Lapillo e tu- farina, n. Lava scoriacea: aridissima, spugnosa: nel- le vicinanze di Genzano, di Civita Lavinia, e di Vel- letri. VII. Materie da fabbricazione di stoviglie. Ve ne sono di due specie, le une atte a fabbricare ter- raglie ordinarie, le altre fine e maioliche, i. Terre ar- gillose rosse per le stoviglie ordinarie ; si trovano a Bassano, Civita Castellana , Prosinone ,. Perugia , Urbania, Fermo, Forlì, Cesena e Bologna. 2. Argille ed altre materie atte alla fabbricazione di terraglie, e maioliche all'uso inglese. Ne siamo forniti a dovizia. » A Monbaroccio nel pesarese esistono due cave di pietra semi-sulfurea, che dopo cotta in adattata for- nace, e quindi minutamente polverizzata, produce la sostanza gessica, della quale si fa grandissimo uso. In Urhania, Fermo, Bologna, nelle provinole di Romagna e segnatamente vicino Faenza, esistono cave di mate- rie ottime a questa fabbricazione. A Macerata si fa uso Statistica dello stato pontif. Q17 di una cava vicino Monte Milone, e dell'arena del Trasimeno. A Civita Castellana esiste una cava che Brocchi così descrive: Argilla bianca finissima pla- stica^ bibula. Si adopera nella fabbrica delle ter- raglie e delle porcellaneé Tanto che, secondo que- sto profondo conoscitore delle materie minerali, l'ar- gilla di Civita Castellana sarebbe idonea alla. fab- Il piombo ci viene dall'estei'o in pani, o lastre, e noi lo modifichiamo pel diversi usi. - La sforgia- tura del rame, tutto estero, si eseguisce in vari opi- fìci mediante un maglio mosso dalla forza dell'acqua. Se ne fanno quindi utensili , mobili e macchine. I lavori coperti di vernice fina con pitture e dorature ci pervengono dall'estero come quelle di ferro. I la- G.A.T.XC. i5 226 Scienze vori di ottone in opere ordinarie si eseguiscono as- sai bene in Roma, Bologna, Pesaro, Ancona, Fuli- gno ed altrove. I lavori di lusso in tal genere li pren- diamo dall'estero. In Roma s'incomincia a farne : ivi sono ancora fabbriche d'istromenti musicali di metal» lo. Molti lavori in oro ed argento, e legature di gioie, si eseguiscono a Roma e nelle principali città. Nella capitale in ispecie si fanno lavori di gusto squisitis- simo. Non ostante si comperano bigiotterie di Pa- rigi e di Ginevra, che hanno una certa bella apparenza, poco valore e durata! Si fondono in Roma bronzi pei.* imitare oggetti di bulle arti antiche , e se ne fa un considerabile commercio. Le campane si fanno ivi, a Viterbo ed a Pesaro. - In Assisi si fabbricano aghi non sufficienti al consumo : ed in Urbino 80 mila lib. di spille che sopravvanzando si mandano all'este- ro. Si lavorano a Bologna le spille di ferro dette da puntare colla testa di vetri colorati. Gli aghi di scar- to fatti nello stato, con altri presi dall'estero, servono all'uopo. Da per tutto esistono fabbriche di materiali la- terizi, ma si pone poco studio alla loro confezione. Il vasellame di opere ordinarie si fabbrica in gran quantità: ciò dipende dai luoghi e dalla qualità de- gli oggetti. Esistono molte fabbriche di terraglie all' uso inglese e di maioliche, la piia parte di mediocre qualità. Il cav. Ronca ha recentemente eretto in Fa- briano una fabbrica di terraglie, che fiescono alquan- to buone. L'importazione dall'estero va tutto dì sce* mando. Una sola fabbrica di biacca esiste nello stato: è talmente languida che lascia sussistere il bisogno di provvederlo dall'estero. Egualmente del verderame, di Statistica dello stato pontif. 227 cui v'ha una piccola fabbrica in Roma. Tenuisslina è pure la quantità del gesso da pittore. Molte sono le fabbriche d'istromenti armonici , di carrozze, di barche, di fucili da caccia , di cardi per la lana, di orologi per le torri, di bottoni, di pet- tini per conciare bavelle, di stuoie e fiscoli, di ma- schere, di tele cerate, di torce a vento, di ombrelli, di fiori finti, di perle false, di galloni ed altri ornamenti in buono ed in falso, di scaiole e solfi di acqua for- te, di nero fumo, di cioccolata e dolci, di profume- ria, di cera lacca, come molte stamperie e legatorie di libri. La passività commerciale, che soffriamo per l'introduzione delle carrozze, fa raccomandare che si aumenti la loro fabbricazione come quella delle bar- che. Utilissimo può addivenire altresì l'aumento della fabbricazione dei fucili da caccia e dei fiori finti. Le stamperie e legatorie di libri richiedono miglioramento. Generalmente si crede che il nostro numerario passi presso che interamente all'estero in concambio del generi e delle manifatture. Che la cosa non sia così, l'A. lo prova col seguente. 328 BILANCIO D ( OSSIA PROSPETTO DELL QUALITÀ' DEI GENERI E DELLE MANIFATTURE SOSTANZE ANIMALI SOSTANZE VEGETABILIJ SOSTANZE MINERALI MANIFATTURE 1 Auimali e carni 2 Spogli, pelli, pellicceria grezzi e lavorati. . ( grezza 3 Lana . . ( filata ( tessuta . 4 Pelo, crini, capelli e penne grezzi e lavorati 5 Cera e miele 6 Buliro, formaggio, grasso ed altio .... ( grezza , . 7 Seta . . ( filata ( tessuta 8 Avorio, madreperla, tartaruca> osso e corno . 9 Pesce fresco e salato . . . • 10 Cereali 11 Legaarai da fuoco, da lavoro e da tinte . . 12 Olio _ ^ ,. ( grezzo i3 Canapa e lino( filato ( tessuto i4 Cotone i S'"^"° ^ ^'^^"^ ( tessuto i5 Gomme, resine, succhi, frutta, bevande ec. . i6 Coloniali 17 Ferro, rame, piombo, stagno ed altro, grez- zo e lavoralo 18 Pietre preziose, oro ed argento grezzo e la- vorato ig Materiali e pietre calcaree 20 Zolfo, bitumi, produzioni chimiche e colorì. 21 Vetri e cristalli 22 Istromenii, .irme, carrozze ec 23 Carta e libri 24 Tessuti di paglia 25 Mode e cliiucaglierìe diverse 26 Belle arti e storia naturale Totale .... ] O M M E n e I o iniODUZIONE E DELL'ESTRAZIOINE aac) MEDIA RISULTATO del biennio i835 e i836 • PASSIVO il ATTIVO PASSIVO 1 ATTIVO 1 )5776 80 5 900270 96 5 „ .. 3o4494 16 10048 74 5 i83ooi 32 227047 42 5 - — 37847 95 3o5843 56 ~ — 237995 61 1864 47 5 - _ 1864 47 5 - " 14376 18 5 15372 DO 399003 68 5 - — Ì945o 77 5 2186 40 47264 07 i, — ~ 50964 41 11622 IO- 139342 3i — — ;3o69 76 5 84878 19 5 68191 i>7 " — 5720 62 5 6210 IO — ~ 489 47 5 h44o 56 5 547091 75 .. — 5f565i 18 5 54 «53 695 46599 5o 237554 19 5 ~ - 5474 97 5 1287 52 5 4187 45 " - 14223 88 5 85254 26 438969 62 5 ~ - 526 1 70 753690 20 5 ~ 743428 5o 5 Ì8884 17 5 190208 42 -- — 21324 24 5 io368 53 5 i23i6 82 5 578051 7» - -- .3388 i5 5 2,107275 04 4148 53 5 5i84o .. — 2,434590 35 5 i3oi 24 5 53431 3 25 )5o85 ''946 67 495 i5o4 9709 ; 1,915817 i6 5 -- -• ;3i55 I ! 99572 21 1 i33562 90 — — 2104 76 5 202332 35 809772 41 5 — "" 2084 07 5 15753 4i 426530 66 5 -- - 10490 93 2334 5o ii8i56 43 — - Ì9'47 20 5 906.S 1 7Q 5 - -- 4ì534 ^^ r 433';> 71 5 377838 48 "" — 173505 yb 5 7.78 i5 5 642 76536 i5 5 ~ - o(,r,7 41 b 16147 96 5 114759 45 — - 45^.2 24 IO 1 200 5o io332i 74 — - 4621 17 5 j 25685 62 5 .. 121064 45 i5o5 5i 19340 76 242164 75 - - 44i5 64 5 97226 67 5 — 1 92811 o3 9240 3o 5 6,999^3 1 x8 5 5,881898 49 4,691889 37 aUSBHSeSi IWBMTM ■BHHIHU T HìMwmmiHìiritt ■■^^H^MC aBo Scienze Siccome la introduzione dall'estero è maggiore di quella che apparisce dai registri doganali, e nelle Provincie del nord è il contrabando estesissimo, co- me con sagaci calcoli prova luminosamente l'autore che porta lo stato passivo annuale a 5 milioni di scu- di : tale passività ò in qualche modo compensata dal- la quantità degli stranieri che vengono ad ammirare la fecondità e grandezza del genio italiano , e dai rap- porti coi tribunali supremi del mondo cattolico. Ragionato quindi su tutti i rami del commercio, proponendosi sempre per iscopo l'aumento dell'atti- vo, e la diminuzione del passivo, parla al capo Vili dei mezzi d'incoraggimento , istruendo , premiando , dando onori ed eccitando la emulazione. Propone al capo IX un banco di deposito e di circolazione. Il discorso sull'agro romano e sui mezzi di mi- glioi^arlo dà compimento all'opera. Premessa la storia della campagna di Roma dalla sua fondazione fino a' dì nostri, ragiona sulla feracità del suolo, e sulla qua- lità dell'aria dell'agro romano. Esamina i progetti di colonizzazione sotto i rapporti di agronomia, di eco- nomia rurale , privata e pubblica , e di eseguibilità e riuscita. I. Agronomìa. Ineseguibile è la colonizzazione, I, perchè in grandi pianure non si possono rinvenire luoghi adatti alla coltivazione di ogni genere di cose, grano, fermento, vigne, olivi, ghiande, ed altre: 2, per- chè le pianure del Tevere per la lunghezza di circa 60 miglia da Ostia fino al territorio di Orte è soggetto ad inondare. Le abitazioni non vi si potrebbero fa- cilmente erigere, le comunicazioni riuscirebbero ma- lagevolissime. La parte montuosa è aridissima. Sono queste difficoltà che hanno origine dalla natura del suolo. Statistica dello stato pontif. 23* II. Economia rurale. Non v' ha dubbio che assegnando piccola quantità di terreno ad una fami- glia , questa interamente la coltiverà. E certo d'al- tronde che nelle piccole coltivazioni occorrono spese grandi per erigere case, stalle, magazzini, pozzi, ed altro. Si perde molto terreno che viene occupato dai detti fabbricati, dalle strade e viottoli, dalle siepi, fos- si, argini. Le maggesi sono più costose, e meno per- fette, perchè non si possono adoperare per ogni ara- tro quattro buoi, molto tempo eziandio abbisognan- do per voltarlo, le linee essendo bi'evi. Le biade, an- corché in poca quantità, esigono ognuna la separa- zione loro, il divei'so trattamento, ed il pulirsi del- l'aia. Sul prodotto delle piantagioni accadono molti inconvenienti, perchè ciascuno abbisogna di appositi stigli: al tempo stesso la lenuità sua rende gravoso l'impianto ed il manicniinenlo. La propagazione ed il prodotto del bestiame in- contra pure i suoi grandi ostacoli, riflettendo che nes- suno dei coloni , preso isolatamente, può ritenere il toro ed il cavallo padre : cosicché ciascheduno deve incontrare spese, e perdita di tempo, nel portare le sue bestie alla razza. Il poco latte può essere ridotto facilmente a formaggio: e se lo è, riesce cattivo. Au- menterebbero i contatti fra il proprietario ed il con- duttore del fondo, e fra i coloni slessi, e con ciò sa- rebbe cresciuta la necessità di venire a contese e liti. III. Ecotiomia privata. I lati-fondi della cam- pagna romana pcitengono o a grandi sla])ilimenti , o a luoghi pii, ovvero a proprietari ricchissimi, i quali tutti avendo basato le loro spese sull'entrate prodotte dall' affitto dei terreni, non potrebbero cosi facilmente met- tere le loro sterminate proprietà nelle mani di mi- sSa Scienze gliaia di persone d'ignota fede, mentre ora è ristret- ta a pochi locatari. IV. Economia pubblica. » Tutte le economiche dottrine si accordano nel procurare che quelle cose, alle quali occorrevano forze e mezzi come io, di- vengano sufficienti 8, o 7, o meno ancora, se sia pos- sibile: ed a questo fine principalmente conduce Vani- tà citazione, la divisione dei travagli, Vassociazio- ne di forze. Con tali principii hanno prosperato le immense fabbriche in Inghilterra, in Francia, in Olan- da , nel Belgio, ed altrove, » Perchè lo stesso non debbe essere nell'agricoltura! E vero che accrescendosi il numero dei coloni, la mano d'opera non sarà tan- to cara; ma è certo altresì, che in tal caso si aumen- ta la massa della popolazione per vivere onde pro- durre, e per produrre onde vivere, e nulla più. Al- tronde se l'agricoltura, esercitata coi principii della scienza, può soddisfare i bisogni come 8, o come 7; lascerà a o 3 sia d' uomini sia di capitali disponi- bili per altre operazioni. Dedicando ciò al commer- cio, aumentano le ricchezze tanto col mezzo dell'a- gricoltura, quanto con quello del commercio stesso: ed allora avverrà l'altro vantaggio delFaumento ragiona- to di popolazione, avvengnacliè è utile quella popo- lazione che accresce per conseguenza dell' aumento dei mezzi che siegua in lutti i sensi. » L'A. non intende con ciò sopprimere il sistema di coltivazione alla spicciolata. V. Eseguibilità e riuscita. Si farebbe violen- za al diritto di proprietà, volendo ridurre le grandi tenute a piccole colonie. Alcuno, volendo evitare tale inconveniente, propose di formare lanli corpi di 800 a mille rub])ia. Ognun vede non essere queste colo- Statistica deixo stato pontif. "'" 233 nie. I proprietari soffrirelìbero immensamente, sìa col dividere fondi bellissimi, sia con darli ad enfiteusi, sia pel gravissimo dispendio. L'agro romano unitamente alle Provincie di comarca, di Civitavecchia, di Viter- bo, e di Velletri, formano rubbia 235 mila, che tol- te le selve, possono ridursi a 200 mila: delle quali dovendosene formare ogni 12 o i5 rubbia una co- lonia , e dati ad ognuna di questa io ucraini , oc- correrebbero i5o mila individui, che non sarebbe fa- cile trovare sull'istante. Questa difficoltà rimarcarono gli scrittori di tale argomento. Supposto che progres- sivamente aumentino i coloni, e che incomincino a farsi le divisioni, chiede l'A. quali saranno le prime. Superata anche questa difficoltà, è certo che, surte appena la colonie, dall'aria cattiva sarebbero distrut- te. Imperocché è cosa indubitala, che ove è grande popolazione l'aria è buona. Roma nel suo centro po- polalo è salubre, nella periferia è più o meno mal- sana. Le vigne nella state sono pressoché tutte abban- donate per l'aria cattiva: eppure non contano che due o tre rubbia di terreno. Stabilito esser vero e reale lo squallore e la raal- sania dell'agro romano , e non eseguibile ed inutile il partito della colonizzazione, propone di migliora- re la campagna, *serbando l'attuale metodo agricola: 1. Col prosciugare i luoghi paludosi ed umidi. 2. Colle piantagioni eseguite: (a) Su tutta la spiaggia del mediterraneo. {b) Attorno agli stagni e terreni palustri , che non si sono potuti disseccare. (e) Sulla ripe dei fiumi e torrenti, per conser- vare i confini e le direzioni , come per arrecare om- bra ed altri vantaggi. a34 Scienze 3. Co' fabbricati , che apporteranno economia nelle spese , miglioria e conservazione nei bestiami, e vantaggi per la salute degli uomini addetti ai la- vori campestri. Oltre a questi casali , ad ogni io mila rubbia di terreno si dovrebbero fondare castelli in luoghi centrali , ben' esposti, e forniti di acque potabili. Vi siano case rurali, magazzini, e depositi di utensili inservienti all'agricoltura, un parroco ed un professore sanitario, unitamente alla farmacia. /[.. Rettificando finalmente i confini ed i passi. VI. 1 mezzi di esecuzione sono distinti dall'au- tore in tal guisa: 1. Quelli pe' quali debbano essere ì proprietari obbligati (prosciugamento degli stagni, e coltura dei boschi anche cedui). 2. Quelli ai quali possano essere i proprietari animati (le fabbriche nell'interino dei fondi, e le pian- tagioni). 3. Quelli i quali , per essere eseguiti , abbiso- gnano di una convenzione (le selve di pini su tutta la spiaggia del mediterraneo , il disseccamento delle grandi paludi, e la costruzione dei castelli ). Simili operazioni dovi'ebbero essere procurate col dare un compenso ai proprietari del fondo, mediante un canone proporzionato allo stato attuate, invitan- do qualunque estraneo, nel caso di ripulsa del pro- prietario, ad eseguire il miglioramento con più il com- oenso esibito al proprietario. Il modo per ricavare le premiazioni ed i com- pensi proposti sarebbe di seguire ciò che Pio VII or- lino nell'anno i Boi, premiando con bai, 8o al rub- )io i terreni coltivati , e facendo pagare bai. 4^ ^ fuelli incolti. Lo stesso pontefiae nel 1802, volendo Statistica dello stato pontif. 235 promuovere la suddivisione dei fondi, pose la tassa di miglioraziono in bai. 5o al lubbio su lutt'i ter- reni compresi nei raggio di un miglio dall' ultimo punto di quelli coltivati intorno a Roma, i castelli ed i lerritorii comunità tivi , da cessare quando fos- sero piantati e colonizzati. Un consiglio di miglio- ramento della campagna romana dovrebbe avere la direzione e l'amministrazione di ciò. Molte utili cose intorno all'agricoltura e pastorizia applicate all' agro romano sono dall' A. svolte al capo Yl dei cen- ni economico-statistici. L' emo sig. cardinale Pacca, a cui è intitolata 1' opera di cui ho tenuto parola , seconderà , non v'ha dubbio, le grandi ed utili mire a cui diresse l'au- tore la non lieve fatica, che impiegar dovette a com- pilarla. Son certo che questo, più che le mie lodi, varranno per magnifica mercede all'autore, dal quale la statistica attende lavori più preziosi. Enrico Castrec^ Brunetti -'^«rg^^Q^S-*»— 236 Intorno alcuni lai'ori su la vaccinazione esegui- ti dalla società medico-chirurgica di Bologna. "-^►»^=— Al chiarissimo sig. prof. Francesco Valori medico della s. con- sulta e della congregazione speciale di sanità^ medico fisca- le di Roma, membro del collegio medico-chirurgico , presi- dente annuale dell'accademia tiberina di scienze, lettere ed arti, socio di varie accademie ec. .olte cagioni mi hanno determinato d'indirizzare a lei, eh. sig. prof., questo tenuissimo scritto: e prin- cipalissime sono quelle dell'essermi stato gentilmente da lei esibito tutto ciò che riguarda la vaccinazione in Bologna, come altresì per esserne state promosse le più utili e savie discipline, riordinato ed a miglior forma composto lo Statuto della società, quando con generale plauso fu proclamato per ben tre volte pre- sidente di quell'illustre accademia, della quale è tanto benemerito, e di cui attualmente è socio onorario. All'anno 1824 rimonta la fondazione della so- cietà medico-chirurgica di Bologna , che non solo grandemente onora il nostro stalo , ma è di gloria all'Italia: e gli stranieri, che al certo non ci proai- gano lodi , altamente la encomiano. La grave epi- demia vaiolosa ivi regnala nel 1828 determinò quella società a propagare con tutto il calore la vaccina- zione. Quindi si stabilì una sezione composta di 4 medici e 4 chirurgi, affinchè se ne occupassero. Ecco i principali obbliglii che sono loro imposti. Vaccinazione 287 « Considerati gì' immensi vantaggi che la vac- » cinazione arreca alle popolazioni, la società procu- » ra di diffonderne la pratica vaccinando gratuita- » mente in dati giorni nella propria residenza chiun- » que si presenta, ed esorta i soci ad adoperarsi on- » de numerosi sieno gli accorrenti, persuadendo del- » l'utilità di tale igienico mezzo, particolarmente il » basso popolo, elle o vi ripugna per pregiudizi, o » la trascura per indolenza. » La commissione in discorso ogni anno stabili- » sce i giorni e le ore in cui vaccinerà, e ne stam- » pa 1' avviso , al quale il segretario generale deve » dare la pubblicità. Essa però non ricusa di re- » carsi a vaccinare ancora fuori del locale della so- » cietà, quando particolari circostanze lo richiegga- » no pel bene dei vaccinandi. » Ogni individuo, che sia stato vaccinato, ha l'ob- r> bligo di presentarsi di nuovo alla società dopo otto » giorni per la ricognizione delle pustole e corso del- » la vaccina, e perchè i vaccinatori possano attingere » il virus per altre inoculazioni. » La commissione è incaricata di serbare presso » di se un deposito di materia vaccina, onde fornìr- » ne chiunque le ne faccia richiesta. A tal'uopo man- » terrà la vaccinazione da braccio a braccio: e quan- » do per avventura ciò non si potesse, non rispar- » mlerà mezzo alcuno per procurarsi altrimenti il » vaccino ed esserne sempre provvista. » Ad ogni individuo vaccinalo dalla commissio- » ne con ricognizione della regolare riescila delle pu- » stole, verrà rilasciato dal segretario della medesi- » ma un certificato da lui firmato, ed autenticato dal n sigillo della società. 2,38 Scienze ì) Perchè lutto proceda col massimo ordine, il » segretario noterà in apposito elenco il nome, co- » gnome, patria ec, di tutti quelli che si vaccinano; » aggiungendovi poi, dopo il debito tempo, quanto è » stalo osservato nell' esame delle pustole e corso » della vaccina, e circa ai certificati gli staccherà da » un bulleltario a madre e figlia ». Il doti. Giacomo Argellali pubblicò nel voi. 6.» degli opuscoli ( pag. 171 ) i Risultamenti ottenuti dalla società medico-chirurgica di Bologna per la inoculazione del vaccino praticata nelV anno i8a8, e riferiti nella seduta del 16 aprile 1829. I primi casi apparvero nello spedale di s. Orsola , quindi nei luoghi abitali da gente povera. Da prima si manifestò, sebbene minuto e confluente, con sin- tomi miti. Nell'aumentare il caldo , ed allorché so- gliono più di frequente dominare i tifi, le gastriche, i sinochi ed altri somiglianti morbi , si associò con tali gravissime febbri e divenne maligno e mortale. Dal mese di giugno a lutto V ottobre si vaccinaro- no 287 individui, che furono tutti salvali. Ecco un quadro che indica come la stagione influisse sulla mortalità. Gennaio Vaccinazione ^Sq 3 Febbraio j Marzo o Aprile 3 alaggio 5 Giugno , 2j ^"g'io ^^Q agosto ,^2 Settembre ........ 15/ Ottobre • . , . k . , . 58 Novembre , , jj Dicembre ^ / Totale . 553. In questa pregevole memoria il dottore Argella- ti ricorda» che perirono in Bologna nell'anno 1828 ventisette individui di vainolo; nove nel 1824; quat- tordici nel 1825;. 18 nel 1826, e 38 nel 1827. Ottimo divisamento si è stato quello di rende- re informato il pubblico delle vaccinazioni che la società eseguiva. Al sig. dottore Giuseppe Marchi, se- gretario della commissione delle vaccinazioni, fu affida- to tale incarico. Esaminerò partitamente i suoi scritti. Dal primo rapporto, stampato in Bologna nel!' anno i83i, si ricava che 90 furono le vaccinazioni del 1829, e ch^ca 70 quelle del i83o. Qual ne fu l'esito? Vi fu vainolo arabo? Quante furono le vit- time ? Il dottore Giacomo Fuina, socio corrispondente, spedi al Marchi una nota di 70 vaccina/ioni da lui diligentemente eseguite. La commissione diffuse il vaccino nei paesi limitrofi , innestando bambini che 24o Scienze furono inviati da Imola, da Bazzano, da s. Agosti- no e da altri luoghi, e troncò epidemie già manife- stale in molte città dello stato pontificio con lo spe- dirvi il pus vaccino. L'altro discorso manoscritto (che presso di lei esiste) fu letto il giorno 23 ottobre 1834. La socie- tà si occupò della vaccinazione, essendone stata au- torizzata dai superiori, abbenchè nelle altre mediche occupazioni , per le politiche vicende , dovesse so- spendere le sue tornate. In quell'anno fino al 22 ot- tobre il vainolo arabo uccise SyS individui, 19 dei quali adulti. Si praticarono circa mille vaccinazioni. Il deposito di vaccina fu molte volte, e lo è tuttora, utile a Roma stessa. In una lettera scritta dal me- desimo il giorno 12 dicembre i834 al direttore del- la gazzetta privilegiata di Bologna (ivi n. i4^) gli no- tifica, che sono sospese le pubbliche vaccinazioni del- la società, e gli dà ragguaglio delle io5g eseguite, delle quali GgS riuscirono prosperamente, 235 non si poterono verifiare, e 129 non ebbero alcun effetto. Nel terzo rapporto, letto dal dottor Marcili nel- la seduta del 28 maggio i838, parla nuovamente del- le vaccinazioni eseguite in tutto il i834, anno in cui durò gravissima epidemia vaiuolosa. Ascesero i vac- cinati a 1109; trentadue fra questi inihvidui furono presi da vainolo arabo assai mite (i). Gli estratti di queste memorie furono inseriti nel Ballettino delle scienze mediche della socie-- (i) Questo rapporto manoscritto fu dedicato al sig. dottor Valori. Si sarebbe qui inserito, se gli altri scritti della Società su la vaccinazione non avessero dato origine al presente articolo. Vaccinazione 24* tà medlcO'Chivurgica di Bologna allorché si parla delle sedute della socielà stessa. Vuoisi lodato il sig. dottore Marchi per la diligenza ed esattezza, con cui ha disimpegnato il suo incarico» e per il vero utile che arrecò all'umanità. Nel bullettino e negli opuscoli si trattò spesso del vainolo e della vaccinazione sì dai soci , sì da altri medici. Il principale ed il più recente scritto è \ Istruzione pratica sulla vaccinazione compilata, dal dottore Cesare Gnoli^ e nome della commis- sione della vaccinazione della società medico-chi- rurgica di Bologna: la quale si stampò in vari ar- ticoli nel bullettino^ e quindi per intero in Bologna (tip. gov. alla volpe, 1842, in 8 di ia.c. 11 4)- Mi permetterà, chiarissimo sig. dottore, che io le esponga l'estratto ed alcuni miei pensamenti su questo scritto. Il titolo dell'operetta mi avea fatto credere di tro- varvi per entro le sole massime , ed i soli fatti più interessanti e più sani : non ostante vi rinvenni alcune cose che mi sembrarono un poco allontanar- si dal rigore del termine che il eh. A. si prefisse; e ciò dipendette forse dal metodo che si adottò. Tut- tavia non si può negare che questo scritto non sia per esser utile al nostro governo, in cui, mercè delle prov- vide cure dell'eminentissimo sig. cardinale Mattei se- gretario per gli affari di slato interni, la vaccinazione è stata collocata nel nobile seggio che le apparteneva, tutelata dalla saggezza di un tanto jpinislro del re- gnante Gregorio XVI. Nella prefazione il dottor Gnoli tocca 1' argo- mento della rivaccinazione: ed abbenchè non la esclu- da, è lontano dall'ammetterla per sistema in ogni de- cennio, come si progettò da chi die a vedere di non G.A.T.XC. 16 242 S e I E i\r Z E saper ben dislitiguere le vere pustole vaìuolose , da quelle di altro genere. Nel primo paragrafo parla come il vaccino fu annunziato in Inghilterra prima da Adams , quindi da Sutton e Fowster nel 1768: da Nash nel 1781: finalmente, dopo venti anni di studi e ricerche, da lenner nel 1798. « Nella nostra Italia il primo a trovarlo fu il celebre Sacco nelle vacche delle man- drie, che ogni anno dalla Svizzera discendono a pa- scolare nelle l'ertili pianure della Lombardia. Poscia il dottor Cai'lonl lo trovò nel dipartimento del La- rio; in quello del Serio nella valle di Sclave il dot- tor Moscheni ; in quello della Piave il dottor De Marchi , ed in questi ultimi tempi il eh. cav. De Benzi, nostro illustre socio, lo ha trovato nella Capi- tanata dotato di molto vigore e di molta attività ». La descrizione del vainolo nelle vacche e le opinio- ni inturno alla sua genesi formano il tema del se- condo paragrafo* Ti si parla del giavardo dei cavalli. Si descrive nel terzo la pustola del vaiuolo vac- cino innestato nell'uomo. Dividesi in periodi, che so- no: I. Periodo cV incubazione. Comincia dal momen- to che s'innesta sotto l'epidermide l'umore della pu- stola, e termina colla manifestazione dei suoi primi segni. Suol comparire due o tre giorni dopo, talo- ra, ma di rado, 8, io, ed anche 20. Non si vede allora che un piccolissimo punto di un rosso cupo, o una tenuissima crosta, che vi lascia qualche goc- cloletta di sangue uscita pel foro fatto coli' ago da iutié'stare. Questo punto suol essere circondato da un leggiero cerchio rosso. La salute dell' innestato non si mostra in modo alcuno alterata e disturbata. 2. Periodo di eruzione. Generalmente il terzo Vaccinazione 243 giorno dall'innesto si vede un leggiero rossore della larghezza di mezza linea , che circonda la puntura dell' ago. Il qual rossore , ricercato con un dito di tatto squisito, mostra un indurimento circoscritto, os- sia un hitorzoletto che è l'embrione della pustola. 3. Periodo della formazione della pustola^ Quel hitorzoletto al quinto giorno prende una for-r ma circolare rialzata e vescicolare alla circonferenza, depresso al centro, in mezzo del quale vi è il suo ombelico: e fino da questo momento si scorge la pic- cola pustola piena di un umore trasparente e limpi- do. In quest'istesso periodo si manifesta un rossore [disco^ areola^ zona, efflorescenza) intorno alla pu- stola, più o meu carico a seconda del temperamento e della salute del vaccinato. Se si esamina questo disco col dito, mostra una durezza, che Rayer chia- mò tumore vaccino. La pustola è al suo pieno in- cremento fra il 7.° ed 8.° dì: la zona molto colorita, e leggermente punteggiata nella sua superficie. Questi punti, esaminati con la lente, si vedono esser picco- le vescichette che Rayer appella un vero eczema ros- so acuto. La pustola è perfettamente rotonda; s'in- nalza al di sopra della superficie della cute una o due linee 0 poco più, sempre depressa al centro, nel cui mezzo è il così detto ombelico. Il colore delle sue membrane è argentino periato: in taluni di san- guigno temperamento è di un rosso pallido che so- miglia quello delle unghie, 4. Periodo di suppurazione: nQ\ 9.° o io.° gior- no. » La pustola allora comincia a cessare di esser divisa in tante cellette, convertendosi a poco a poco in una sola cavità. L'umore limpido e cristallino diven- ta acquoso, marcioso e scorrevole ». 244 Scienze 5. Periodo di disseccamento. Il centro depres- so gradatamente si cancella, e la pustola cede il luo- go ad una crosta che nel 12.° giorno circa, o poco do- po, traendo origine dall'ombelico, cresce fino a co- prire la pustola stessa dura, fragile, liscia, rialzata so- pra la pelle, ombelicata, di un colore bruno screzia- to e luccicante strettamente attaccata : cade per ri- prodursi anche più volte, e lascia una fossetta o ci- catrice rotonda. La suppurazione non è un vero pe- riodo della pustola, perchè dipende sempre da qual- che causa esterna. Avendo sede la pustola sul tes- suto cellulare, si modella sulla struttura di questo, cioè in cellule che contengono un umore chiaro, lim- pido, viscoso, inodoro, di sapore acre e salso. Descrive jx»scia 1 sintomi locali ed universali. Tra i primi annovera i movimenti febbrili con bri- vidi che appariscono verso l'ottavo giorno, rare vol- te dopo il secondo, e che talora mancano. Rossore, o pallore fugaci alla faccia, inquietudine, loquacità e senso di fatica. Gli adulti soffrono per lo più una molesta sensazione ai lombi. La nausea, il vomito, la cefalalgia, la prostrazione delle forze, sono rari e passeggieri. La tosse provocata da un lieve bruciore alle fauci , e la tumefazione spesso moderata delle glaudule ascellari, sono sintomi facili a dileguarsi. I locali sono; sensazione di peso alle braccia unita a calore, e prurito talvolta un poco durevole. Nel periodo di suppurazione il braccio talora si gon- fia nel tessuto cellulare intorno alla pustola, molto rossore si diffonde, ma tutto svanisce al cominciare il periodo del disseccamento. I caratteri essenziali della vera pustola: sono la regolare costruzione, il non comparire prima del ter- Vaccinazione 945 so o quarto giorno , il passaggio gradato da uii pe- riodo all'aluo. La materia contenuta debb'esser lim- pida , oleosa , entro le sue cellette, non biancastra, ne purulenta, contenuta in una sola cavità dell'epi' derraide. Quanto al tempo è da notarsi , che se la materia fu presa da pustola acerba , o s' innestò un soggetto di temperamento sanguigno, la pustola sarà precoce. Si osserva ancora la comparsa del vero va- inolo dopo l'ottavo dì, al 12", al i5°, al So", ed an, che più tardi. Manca allora di ombelico, giacche la puntura fatta coU'ago è interamente cicatrizzata, es- sendosi riprodotta l'epidermide. Il quinto paragrafo versa intorno al vaiuolo fal- so e spurio detto vaccinella , ed intorno ai criteri per conoscerlo. Riporterò i caratteri accennali dell' A. per an- titesi. « I. Il vero vaiuolo vaccino non dà segno d'aver preso prima del terzo giorno circa, ed allora si pre- senta sotto forma di un granellino duro e vuoto di materia. « Il falso comparisce un giorno dopo Vinne- sto^ e talvolta anche poche ore dopo^ con un ros- sore più 0 meno esteso , nel mezzo del eguale vi è una vescichetta con una piccola crosta piena di un umore sporco. « 2. Nel vero, la pustola che succede al granel- lino è di forma regolare , cresce lentamente , è de- pressa nel centro, fino al suo primo apparire ombi- licata, rilevata intorno, e di un colore bianco argentino. « JSel falsoy la pustola ha alcune volte una figura rotonda con margini appianati ed ineguali^ s^ingrossa rapidamente^ acuminata nelVapice^ gial- 246 Scienze lognola e crostosa , e fin da principio indica hi sua natura purulenta. « 3. Il vero è duro al tatto, resistente, e si può comprimere fino ad un certo segno senza che si rompa. « Il falso è per lo più molle, di una tessitu- ra floscia e cedevole, e si rompe sotto la più piC" cola pressione» « 4* Il vero, esaminato diligentemente, e cercato dolcemente colle dita per ismoverlo, si sente che non è superficialmente attaccato, ma profondamente radi- cato nel fondo del tessuto cellulare per un huono spa- zio tutto d'intorno: per cui molte parti vicine par- tecipano alla formazione e all'aumento della pustola medesima. « Il falso è circoscritto allo spazio di poche linee, è al tutto parziale e superficiale, non pro- fondamente radicato: poca è la parte che pren- dono alla sua formazione i tessuti circostanti^ sic- ché sembra quasi un lavoro meramente locale. « 5. Il vero passa regolarmente per tutti i suoi periodi ben distinti e costanti d'incubazione, di com- parsa, di accrescimento, di maturità, di decremento o di disseccamento: e non ci vogliono meno di quin- dici giorni prima di essersi vestito della crosta , né mai si esulcera, salvo che non vi concorrano circo- stanze al tutto estranee alla sua natura. « Il corso del falso è vario, irregolare, inco- stante, senza periodi. Conciossiachè ora guarisce disseccandosi facilmente , e in sei o sette giorni ha già compito il suo corso', ora dura un tempo più o meno lungo, secondo il grado delV esulce- razione che può creare , e secondo la tessitura della tela delVindividuo più o meno facile a guarire. Vaccinazione 247 « 6. Nel vero, osservato particolarmente colla len- te, si vede la pustola composta di un involucro, che si può dividere in laminette, le quali si uniscono tut- te al centro depresso sotto la cicatrice , cioè sotto l'ombelico. « Osservato così il falso, la pustola non si ve- de costrutta che di una semplice membrana, del- la sola epidermide, e composta di una cavità sola. « y. Pungendo il vero, prima dello stadio di ma- turazione, oppone un certo grado di resistenza, co- me se si pungesse un corpo glanduloso. Votato al tutto del suo umore, non avvalla, ma conserva sem- pre le sue forme. L' umore limpido e vischioso, del quale è pieno, esce lentamente come una gocciolet- ta di rugiada, rimanendo attaccata agli orli del foro fatto nella pustola ; talvolta non esce che a stento, o premendo la pustola, o soprastando alcun tempo; e scorsi venti o trenta minuti dopo essere stato vo- tato la prima volta, si torna a riempiere. « Pungendo lo spurio, si lacera facilmente , sen- za far sentire resistenza : avvalla, votandosi con rapidità di un unione torbido, lattiginoso, o san- guinolento, che air aria non dissecca sì presto co^ me quello del vero, e la membrana che formava la pustola poscia si distrugge , o disseccando o suppurando. « 8. Il vero passa alla maturazione verso il se- sto, il settimo o l'ottavo giorno : e continua a cre- scere, conservando sempre l'indole sua propria, le sue fattezze, il suo colore, il suo rossore che lo circon- da: diffondendosi intorno insensibilmente sino al de- cimo giorno circa , nel quale giugne celeremente al suo massimo aumento , conservandosi più risentito nelle parti eccentriche: poscia svanisce con rapidità. 248 Scienze « Il fai so y quando è mite, si dissecca per lo pia rapidamente, senza nessuna forma costante^ senza un accrescimento progressivo e regolare ; e quando si esulcera, quel rossore, che molte vol- te può accompagnarlo, non ha nulla di simiglian- te con quello del cero, perchè non è mai ne or- bicolare ne ovale, ma diffuso irregolarmente, se- condo il grado e la forza irritante delV ulcere stessa pia o meno profonda, e secondo la natu- ra acre delVumore che separa, « 9. La crosta del vero si fa del condensamento delle sue membrane , e dell'assorbimento dell'umore contenuto. Comincia a formarsi costantemente nel centro, fortemente attaccata alle parti sottoposte ; è di un colore rosso scuro luccicante, screziata, dura al tatto, secca, liscia, asciutta, ombelicata e depres- sa un poco nel centro , tale da indicare sempre la forma della pustola medesima. « La crosta del falso si forma delV umor e che trasuda, è sempre umida, sottile, disuguale, aspra, di un colore tendente al giallastro, non ha for- ma veruna particolare , e quasi sempre distilla una materia o sierosa o icorosa. e IO. I sintomi universali del vero hanno una cer- ta costanza e regolarità di tempo nel manifestarsi. II periodo di eruzione non è quasi mai accompagnato da febbre, ma si manifesta quasi sempre in quello di maturazione. Onde sembra che non sia la mate- ria vaccina introdotta sotto la cute quella che produ- ce i sintomi costituzionali , ma sì bene la formazio- ne perfetta e la maturazione della pustola medesima, la quale è quella, che crea quel cambiamento uni- versale della macchina da renderla inetta a risentire Vaccinazione 2/^9 l'azione del pns vaccino slesso , e Jcl conlagio va- iuoloso. « Nel falso i sintomi locali ed imiversali sem- bra che si debbano ripetere dalla qualità irri- tante della materia innestata nella cute ; giacché alcune volte compariscono senza che si sia fatto alcun lavoro locale^ e sono oltre modo irrego- lari; perchè la febbre assale ora il giorno stesso dell'innesto pia o meno forte^ accompagnato da vomito., da inquietudine e da affanno', altre vol- te si manifesta il giorno dopo Vinnesto in causa dei guasti locali sopravvenuti alVinnesto mede- simo. In fine non crea mai quel cambiamento uni- versale della macchina, che preserva dalVuìio e dalValtro vaiuolo. » Le cause del falso vaiuolo vaccino, indicate nel (>.■' paragrafo, sono non solo la materia presa dalla falsa pustola, ma quella stessa tratta dalla buona che va pur soggetta ad alterazioni: perchè, i.° la materia dimurò lungo tempo nella pustola; 2.° se votata che sìa vuol costringersi a dare maggior copia di pus colla pres- sione; 3.° l'aria e la luce lo alterano, se per qualche tempo è stato soggetto alla loro azione. La materia disseccata e raccolta sull'acciaio facilmente produrrà la falsa. Se malamente sarà sciolta nell'acqua, rima- nendo dura ed agglutinata, può produrre il medesi- mo effetto: perchè posta così sotto la pelle, suol com- portarsi come un corpo meccanico, irritando, stiran- do e disturbando le fibre vive; 4-" se l'ago è ruggino- so e non bene appuntato, lacererà le fibre arrecando infiammazione, la quale, nel disturbare il lavoro spe- cifico cui viene provocata la fibra dalla materia vac- cina, darà origine alla falsa pustola* Il medesimo in- 25o Scienze conveniente accaclerà se l'ago fosse appuntatlssiino, o profondamente s'immergesse. Il tempo migliore per la vaccinazione ( §. 7." ) incomincia verso la metà di marzo, e termina alla metà ciica di ottobre. Questa regola generale non ha luogo, quando nel freddo serpeggia il vainolo arabo: essendo osservazione comprovata da mille fatti, che mostrandosi il vainolo contemporaneamente al vacci- no, quello fa un corso mite. Eccetto il caso di ma- lattìa grave, né età, ne sesso, ne temperamento, ne gravidanza, ne mestruazione impediscono cbe si possa inoculare. Si scelgano soggetti sani per vaccinare da braccio a braccio. La materia per l'innesto ( §. 8.° ) sia di buona qualità, presa nel 5." o 6." giorno dalla comparsa della pustola. La vischiosità è un carattere riputato necessario al buon'esito dell'innesto: cosicché dichia- rano gli autori, che mancando quella, manca necessa- riamente questo. L' ago a tutti cognito ( che saria bene che in- vece di acciaio, soggetto ad ossidare, fosse di platino o di oro ) ed il metodo per vaccinare, formano il te- ma del 9.° paragrafo. L' innesto si suol dividere in fresco, secco e misto. Il fresco si ha quando imme- diatamente traesi l'umore dalle pustole delle vacche o dell'uomo. Il secco, che prima si avea in fili im- bevuti di linfa conservati fra due vetri, ora si custo- disce in tubi di penne da scrivere. Per adoperarlo s'inumidisce, meglio con acqua fredda, che con saliva. Il misto è quel metodo, con cui si propaga la ma- teria conservata liquida entro tubetti capillari di ve- tro inventati da Bretonneau, poscia modificati e ri- dotti più semplici. L'innesto sarà tanto più sicuro , Vaccinazione aSt quanto minore sarà 11 guaslo prodotto dalla punta dell' ago nella cute, nei vasi sanguigni sottoposti, nei lin- fatici, in generale in tutto il tessuto organico. Si der scrive quindi l'operazione dell'innesto. Non si esige pel vaccinato una cura (^. io) propria- mente detta: si dee inculcare soltanto di non esporsi alla influenza nociva di alcuni agenti esterni, e tenere la pelle custodita, senza caricarsi soverchiamente di ve- sti. Se sopravvenisse una qualclie malattia , si curi come se non vi fosse la vaccina. La febbre essendo alcun poco risentita, il riposo, le bevande rinfrescanti, e la dieta ne siano la cura. Così bagnuoli d'acqua d'orzo, empiastri emollienti, unguento rosato o di se- mi freddi si applicheranno al tumore vaccino, se fosse di soverchio infiammato: la qual cosa di rado acca- de, se le pustole stanno ad una certa disianza tra loro. Le glandola sotto-ascellari talora turgide si me- dicano con fomenti di acqua ed aceto, e con empia- stro di semi di lino. L'unica eruzione che suole accompagnare il vac- cino ( §. II ), ma che è totalmente da esso indipen- dente, sono alcune macchie rosse irregolari, le quali, sempre lievi e di niun nocumento , spariscono per lo più nel giorno dopo la comparsa. I principali esan- temi, che hanno somiglianza col vainolo arabo, sono il ravaglione^ la varicella^ il vainolo cristallino, il penfigo^ la febbre bulbosa ec. Il vaccino non è contagioso che per innesto { ^. 12 ). « Nel primo giorno dell'inoculazione vi è tutta l'attitudine a sentire l'azione del virus vacci- no e del vaiuolo; tale dura fino alla manifestazione delle pustole; comincia a diminuire molto, quando le pustole si avvicinano alla loro perfetta maturazione, 252 Scienze e che al tutto è diminuta e cessata quando sono en- trate nel periodo di suppurazione: e che quando la crosta è formata, i vaccinati si possono esporre impu- nemente all'azione della peste vaiuolosa ». Ho così posto fine alla disamina di ciò che mi era proposto, e che ho a lei dedicato sì per darle argo- mento della mia profonda stima, e sì ancora perchè non mi sembrava conveniente, che cose riguardanti la so- cietà medico-chirurgica di Bologna non fossero sot- toposte al savio giudizio di lei, che in se racchiude tanta gloria di quella illustre accademia. Mi raccomando ec. Li i8 febbraio 1842, Roma. Enrico Castreca Brunetti. »^^0gag-gu"" s53 ^mTTMWLMXWWLM, Elogio funebre del P. Carlo Odescalchi della compagnia di Gesà^ già cardinale della S. R. C.y letto da monsig. Stefano Rossi , prelato domestico di Sua Santità,, tra i solenni funera- li fatti in santa Galla il dì 7 di settembre 1841. Jlo mi presento al cospetto di un uditorio, ch'io co- nosco essere travagliato da un grande amareggiamento di cuore. L'afflizione vi si legge ne'volti : il dolore vi si è dipinto negli occhi : il raccoglimento, il di- messo contegno da voi serbato in mezzo alle preci del funereo sacrificio, parla anch'esso di vostra ama- ritudine. E se la solennità del dolore si è la miglior pompa d'un fenerale, certo la è grande e magnifica in questo, ove le tenere preghiere della chiesa sono accompagnate dalla voce d'un popolo afflitto. Anima bella ! anima santa ! è l'esclamazione affannosa ch'è uscita dal vostro labbro. Voi dunque mischiate ai so- spiri la laude di colui che piangete ? E v' attristate per la morte di lui, che per bocca vostra è chiamato l'uora di giustizia ? Deh ! che il cielo vi salvi ; una tanta afflizione non si potria prendere per una stol- tezza ? La sapienza ne ha pur insegnato, che i giusti 254 Letteratura son paniti morire agli occhi dei soli insipienti , e elle a costoro tornò in afflizione il passar di quelli dal mondo : Insti visi sunt ocuUs insipientium mo~ ri, et aestimata est afjlictio exitus illoruni. Ma no, che la vostra non è l'afflizione degli insipienti. Il savio dicea di coloro che , non credendo punto all' immortalitade , mettevano al pari la morte degli uomini e quella de' giumenti : talché il loro duolo era per ciò fìerisslrao; che il parente, l'amico, al trar- re dell' ultimo fiato sì riputava al tutto perduto ; e cessava pure il conforto di chiamarlo o d' invocarlo per ogni ragione : imperocché tutto quell'uomo si ri- solveva per essi nella creta, nell'erha, nell'aere che attorneava il suo sepolcro. Sì hene v'ha un dolore, v'ha delle lagrime, che la religione non pure s'astie- ne dal condannare, ma ne aiuta ella stessa a spi-e- raerle nella morte de'nostri fratelli. E dessa che ne chiama accanto alle loro spoglie ancor tiepide, o pres- so alle lor tombe , a salmeggiare coi carmi patetici che il reale cantore coverto di cenere versava dall' anima, toccando le corde del dolore, quando gli ca- deano a fiumi sull'arpa le lagrime. E dessa che ne fa leggere nei funebri uffizi i brani della elegia su- blimìssìma di Giobbe. Ma non vuol già che lagrì- miarao, come siasi spenta ogni vita de'nostri simili. Ella né invita al pianto quando sen vanno del mon- do le anime dabbene ; primo perchè la è una vera calamità per la Chiesa militante quella di mancarle con simili morti un luminare che splendea per belle virtudi y mancarle un fiore che spandeva odoramen- to, uri vase ch'era pretta elezione ; e vuole poscia che il pianto non seguiti , né un vano scompiglia- mento \di chiome, né il guasto delle vestimenta, co- Elogio funebre del p. Carlo Odescalchi a55 me usavano gli antichi; raa sia accompagnato da uijl' utile preghiera : pianto che testimoni la fede, la spe- ranza , e sopra ogni cosa la carità. Laonde per tal guisa l'amor del sangue, l'amor dell'amicizia, trovasi aperto appiè de'nostri altari uno sfogo ; e sempre più razionabile apparisce l'ossequio della religione di Cri- sto, la quale, degna veramente del titolo pietoso di madre, adopera eziandio ne'suoi riti l'economia d'una saggia afflizione, appunto per alleggiarne la gravezza. Ora essendo questa la vostra afflizione, vi ripeto es- sere ben lungi da quella degli insipienti. Anzi è la medesima che gli apostoli e i discepoli s'ebbero per la morte di Stefano il primo levila cristiano : Sepe- lierunt Stephanum viri timorati, et fecerunt plaii- ctum inagnum super eum. Senonchè io ricordo sì un altro pianto, che viemaggiormente giustifica il vo- stro lamentare. Mettetevi col pensiero nella via di Betania : entrate con la turba in quell' orto : fatevi a quella grotta. Sonovi presso la soglia due donne scarmigliate, che hanno fatto degli occhi due rivi di lagrime , ed alzano grida lamentando la morte del fratello. Chi è colui, m'odo chiedere, vicino alle pie femmine, che tutto commosso nel bel sembiante, dopo aver rattenuto il dolore s' è disciolto nel pianto ? E l'amico fedele del defunto : è colui che rimise i pec- cati a Maddalena : è l'ospite diletto di Marta : è Ge- sù Cristo, che per dimostrare quant'egli amava Laz- zero, lagrima anch'esso in mezzo al piangere dirotto delle sorelle e degli amici. Or io vedo in mia fé, in questo tumulo che mi sta dinanzi , quasi la tomba di quell'uom di Betania ; odo il pianto del parenta- do : odo quello dell'amicizia : scorgolo bagnato dalle lagrime di tanti figli spirituali, figli di sacerdozio, fi- 256 Letteratura gli di beneficio, figli di predicazione, figli di conver- sione ; bagnato dalle lagrime di molte chiese : da (Juelle degli ultimi suoi confratelli, yili sì ! plorate tutti ; plorate, perchè plorò anche Cristo sull'estinto amico, tuttoché ei sapea di rilevarlo fra momenti alla vita. Ma di grazia qual cosa chiedete voi innanzi al tumulo del sacerdote e pontefice, padre Carlo Ode- scalchi ? Io dubito che dirmelo osiate. Parlare di pe- ne egli è parlare di penitenza di là dalla tomba, egli è parlare di j>emtenza non adempita su questa ter- ra. Il sapete nullameno, che vuol essei*e oro fino, oro purgato quello clie si riceve nella celeste Gerusalem- me, le cui muraglie , le cui fondamenta , al dir di s. Giovanni , si compongono di chiari cristalli e di limpide gemme. Chi non sa quel detto dei libri di- vini, che il giusto cade pur sette volte , e che Dio sx^orge delle macchie e delle rughe pur negli an- geli suoi ? Adunque non vi ristate dal chiedere la requie eterna di Carlo, come la turba dei betaniesi chiedeva a cald'occhi la risurrezione di Lazzero. E per l'appunto se le lagrime de'parenti e degli amici, e quelle massimamente di Gesù, furono il sommo elo- gio, l'elogio incomparabile del germano di Maddale- na, io non durerò fatica a dimostrarvi che il padre Carlo Odescalchi nelle lagrime de' suoi congiunti e de'suoi amorevoli senza numero, nelle lagrime della chiesa feirarese e della sabina, in quelle delle tante chiese ove ócminò la parola di Dio, nelle lagrime ab- bondantissime della chiesa romana , in quelle della chiesa cattolica, alla quale fornì un esempio d'umil- tà che ne stupirà ogni secolo , nelle lagrime final- mente della compagnia ch'ebbe la ventura di chiu- dere a lui gli occhi, ha licevulo e riceve l'elogio che Elogio funebre obi- p. Carlo Odescalchi 2^7 Lazzero ricevea dalle lagrime de' suoi e del Reden- tore. Egli è la giustizia di tutto questo pianto ch'io voglio esporvi : e mi pare di non potervi intessere orazione più consolatoria di questa. La laudazione d'un morto non vi può essere sospetta. Ninno è fra voi che non sia stato testimonio di sue virtù. Io tro- vai chi faceva a gara per volermi ora questa, ora quel- la raccontare delle sue sante opere. La sola strettez- za del tempo mi ha vietato di meglio ordinare l'elo- gio che si converrebbe a cotanto personaggio. Acco- gliete, vi prego, il buon volere ch'io n'ebbi ; e so- stenete, più che vel consentono le forze, il duolo che vi travaglia, per potermi chetamente ascoltare. Innanzi tutto giovami avvertire che le belle opre di Carlo sono in tanta copia, che voi m'udrete anzi a delibarle che a porvele in piena luce : la qual co- sa rende anziché no malagevole il lavoro del com- mendare. Adunque prendendo senz'altro indugio dalle lagrime di sua famiglia, egli è per me di gran pre- gio il lamentare sincero che fanno i parenti d'un lo- ro defunto : imperocché la conversazione frequente de'consanguinei fa sì che pur se ne conoscano di van- taggio i difetti ; sicché se uno riesca a farsi adorare nelle domestiche pareti per tutta la vita, eh dite con sicurtà ch'egli era uomo dabbene! Carlo Odescalchi fu per l'appunto in ogni età, in ogni tempo la de- lizia de'suoi congiunti. Era egli nato a'5 di maggio del 1785, secondo de'figliuoli maschi di don Baldas- sare duca di Ceri e d'altre signorie, e E a lei Tobia con serenata fronte ; — Perchè si li consumi ? ah ! cessa il pianto , Anna, non dolorar : salvo alle ciihé' ''^" ■^^ D'Ecbatane Tobia giungerà : salvo ' * Farà ritorno a noi : tu lo vedrai, Donna, cogli occhi tuoi ... Ch'io credo, e il vero Credo, che l'angiol dèi Signore ai fianchi' Gli veg^li, e spesso al garzonetto alleggi " ' Del cammino i disagi, e tutte a bene Volga le Cose. Non temer, mìa donna; Tobia farà ritorno, e sarà a'suoi Portator di letizia e di salute. — Tacquèr e a tài detti di conforto anch'essa Cessò la madre i pianti e le qtieréle. ^ét< a87 Orazione inedita per la elezione di Antonio Gri- mani a doge di J^enezia , attribuita a Gian Giorgio Trissino , e pubblicata da Oreste Raggi. all'eminentissimo sig. cardinale lllfii VANNICELLI CASONI NEL DÌ XXVH DEL MDCCCXLII E. Isprimere la propria esultazione o il comun giubi- lo in alcuna pubblica solennità per via delle buone lettere parmi il più nobile ed acconcio modo, come quello due tramanda più a lungo la memoria di co- testa solennità. Dico delle buone lettere e non del- le frasclie o dei vituperi letterari, già molto in voga: oramai, grazie a più sodi ingegni, fatti rari pel mi- glior costume di pubblicare in siffatte occorrenze nuo- ve , utili e più degne cose. Ora nel festeggiare di questo giorno solenne, in cui Roma vede voi, prin- cipe eminentissimo, fregiato della sacra porpora dalla magnanimità del sommo pontefice, non doveano adun- que tacersi le lettere: delle quali, meglio amatore che coltivatore , io volli pure far uso. Io che, per l'uf- ficio di difendere grinquisìli, ebbi più volte l'onore di patrocinare la vita e la libertà di quegl' infelici innanzi a cotesto tribunale, al quale voi foste fin qui aPjH Letteratura degno e savissimo preside, ed ho potuto conoscere me- glio da vicino le tante virtù onde vi adornate; io, che vidi la giustizia unita alla clemenza vostra, io, non potea nò dovea non darvi oggi un puhhlico attestato della profonda stima e venerazione che voi, partendo- vi dallo stesso tribunale, lascerete eterne nell'animo mio. Ma all'altezza dello arg(ìmento verrebbe meno pur troppo la pochezza del mio debole ingegno, ove presumessi di questo produrre alcun frutto ; onde mi volsi a ricercare fra gli antichi scrittori alcuna cosa che, tuttavia sconosciuta, fosse tornata a propo- sito e degna di voi , del grado , del merito vostro. Quando mi reputai veramente fortunato , venutami alle mani una orazione inedita pronunciata nella ele- zione di Antonio Grimanì a doge di Venezia forse dal famoso Gian Giorgio Trissino, mandatovi depu- tato da Vicenza sua patria, siccome m'ingegnerò di provare fra poco (i). La somiglianza della occasione: la celebrità del personaggio a cui l'orazione è indi- rizzata: vedere molte delle virtù sue, discorse in que- sta, risplendere in voi chiaramente: la dedica ad un cardinale, figlio dello stesso personaggio, la quale ap- parisce da un frammento di lettera latina che si vo- leva fare dall'oratore medesimo (2), tutto mi per- suade che nulla avrei potuto trovare meglio a pro- posito di essa. Così le bellezze molte e la eloquen- za di cotale orazione , i fatti e le grandi imprese della magnifica repubblica, alle quali essa richiama la memoria dei leggitori, mi danno speranza di rendere egualmente cosa grata alle lettere ed alla storia nel pubblicarla. Era costumanza delle città soggette alla repub- blica nella elezione del nuovo doge mandare depu- 0«AZIONE INEDITA 2 (ir) tati perchè aJ esso lui con accomodata orazione in pieno senato si congratulassero dell'alta dignità, ed offerisergli la loro divozione. I piii distinti per isplen- dore di natali, per dottrina e per autorità, venivano scelti, siccliè la patria che li mandava quanto meglio decorosamente potessero per siffatti meriti rappresen- tassero. Vicenza, che della veneta repuhblica dicevasi primogenita siccome prima che si donasse sponta- neamente a lei, quale a rifugio di libertà, nello apri- le del mille quattrocento quattro allorachè Francesco Novello da Carrara, signore di Padova, la travaglia- va assediandola, vivevasi contenta nella moderata sog- gezione della stessa repuhblica (3). La quale agli am- hasciadori vicentini (fu capo Giacomo da Tiene), ve- nuti ad offrirle le chiavi, avea risposto: « Dappoiché essi vicentini ninna cosa estimarono dover' essere di piij utile alla loro città, che di porsi all'ombra della clemenza sua, darebbe opera che tal fedele città a niun tempo si avrebbe a pentire del governo vene- ziano. Andassero adunque con buono augurio, e con loro portassero le insegne di san Marco, le quali pian- tassero nei luoghi pubblici della città. « E quella potente repubblica, alle parole facendo subitamente se- guitai'e i fatti, il giorno appresso spedì Giacomo Su- riano con buon numero di balestrieri in difesa di Vicenza assediata dal Carrara. La quale tenendosi sempre fedele a tal madre e proteggitrice, non incon- travasi in alcuna difficile congiuntura che ad essa con ambasceria non ricorresse: ne alcun doge creavasi, che tostamente non mandasse per congratulazioni legali illustri e degni di tanta bisogna. Fra i più distinti cittadini che Vicenza avesse in sul cominciare del decimosesto secolo, quando appunto avvenne la ele- G.A.T.XC. 19 ago Letteratura zlone del Grlmani, era Gian Giorgio Trissino. O tu voglia la nobiltà dei natali, o la ricchezza dei beni, o i servigi alla patria ed alla stessa republica appre- stati , o la celebrità nelle lettere, o la facondia del dire , o la influenza e la grazia che godeva allora , perduta dipoi, presso i veneziani, io non so chi al- tro avesse tante cose riunite in uno, meglio di lui. Dappoiché la famiglia sua era delle più chiare ed an- tiche di Vicenza ; grande pecunia cavando dalle de- cime, che gli pagavano molti comuni, spendeva son- tuosamente in ville e palagi ; il padre col grado di colonnello avea assoldato di proprio trecento fanti a servigi dello stato; egli non solo in Vicenza ne in Roma, ma per tutta Italia eziandio e fuori era venu- to in altissima riputazione di eccellente poeta ed ora- tore; egli da Leone X, che sommamente lo stimava ed amava, mandato nunzio a Massimiliano impera- tore;,egli dallo stesso pontefice caldamente racco- mandato ai veneziani, quando ricusando i delti co- muni di pagargli quelle decime, dovette ricorrere al loro tribunale perorando di per se stesso la propria causa; egli nel mille cinquecento sedici mandato nun- zio egualmente da quel pontefice alla republica per maneggiarvi la crociata contro a Selim gran-signore dei turchi, e di nuovo mandatovi nello stesso anno con particolari commendatizie del pontefice al doge Leonardo Loredano ; egli, sì destro e prudente in co- tali affari, ne ritornava sempre con eguale soddisfaci- mento di chi il mandava e di chi il riceveva : sic- ché dallo imperatore, al quale era ito per trattare la pace universale e la impresa contro agl'infedeli, ri- portò molti onori, sincere lodi dal pontefice, singo- lare stima dallo universale ; egli non è dubbio che Orazione inedita 2qi fosse l'uomo il più ragguardevole ili Vicenza, il più degno di tali ambascerie. E difalto quando del mil- le cinquecento ventitré fu eletto doge Andrea Gritti, succeduto al Grimani, chi Vicenza mandò oratore, uni- tamente ad Aurelio Dall'Acqua ed a Pietro Valma- rana, se non il Trissino ? Chi se non il Trisslno, con questi stessi deputati mandò alla repubblica nel mille cinquecento trentaquattro quando quelli della terra di Schio non intendevano star più soggetti al genti- luomo vicentino che reggevali come vicario? Ed egli non tornò colla sentenza, che alla sua patria confir- mava detta giurisdizione ? E Clemente VII, che pu- re lo amava grandemente, non lo adoperò in vari ne- gozi, non lo mandò oratore a Carlo V, non lo man- dò altra volta alla stessa repubblica di Venezia ? E per tornare alla sua pati-ia, non lo elesse questa del mille cinquecento trenlasei uno dei deputati alle co- se utili della città, e in detto anno conservatore del- le leggi ? E del mille cinquecento quarant'uno non lo collocò fra quei nobili che formar doveano il con- siglio centumvirale, detto anche gravissimo? Non fu il Trissino che due volte aringo, con apposite orazio- ni tuttavia inedite, al serenissimo principe di Vene- zia per isgravare Vicenza dalla imposta riedificazione delle mura ? E se nei più ardui ed importanti ne- gozi, se a quella del Gritti , se ad altre ambascerie fu sempre proposto il Trissino, chi altri che lui po- teva Vicenza mandare ugualmente al Grimani ? So bene che gli scrittori della sua vita, mentre narrano della orazione al Gritti, di questa si taccio- no; so che di questa non si trovarono memorie ne- gli archivi di Vicenza; so che il Trisslno stesso non ne fa parola in una lettera dedicatoria a monsignor 2g2 Letteratura Giovanni Matteo Giberti vescovo di Verona ^ colla quale gl'indirizza quella pronunciata pel Gritti uni- tamente a quella per Isabella d'Este marcliesana di Mantova, in un volume stampato in Roma del mille cinquecento ventiquattro. Ma tanto questi scrittori, quanto il Trissino medesimo, fanno cenno appunto di queste sole percliè stampate. Che se negli archivi di Vicenza non si è trovata memoria di quella al Gri- mani, è altresì da avvertire die in essi non si trova neppure dell'amliasceria medesima : quantunque sia certo che vi fosse mandata, come dal Memoriale di Venezia si è rilevato. Onde è da credere che nei vari disastri delle guerre sofferte da quella città andassero perdute cotali memorie: e che se novelle ricerche si praticassero, si troverebbe forse alcun ricordo e della deputazione e dei deputati stessi. So che non si fa jBollo dagli autori della sua vita che nei giorni di fjuella eiezione il Trissino si trovasse in Vicenza, per- chè si dice tornatovi di Roma dopo la morte di Leo- ne X. Ma di tutti i suoi viaggi, e del continuo an- dare o venire da quella città a questa, si ha poi sem- pre esattissimo ragguaglio ? Quante volte agli scrittori medesimi non vengono meno le notizie, e lasciano essi di tramandarle a noi ? Infine sono queste tutte pro- ve negative, mentre a ritenere che il Trissino e non altri fosse l'autore di questa eloquente oi^azione ab- biamo innanzi tratto favorevole la presunzione. Né basta : che altri argomenti di gran lunga maggiori so- no ora per mettere in campo. Trassi questa orazione da una copia scritta in due fogli e mezzo di carta bambacina in caratteri ab- bastanza chiari e propri del cinquecento. In altro fo- glio simile e di egual carattere si legge in latino la OuA/IONte INÈDITA 2q3 lettera dedicatoria al cardinal Grlmani, dalla quale ap- parisce che ad insinuazione di esso l'autore fosse per metterla nel pubblico, quando morto non solo il do- ge, ma altresì il cardinale, la lettera rimase interrotta e la orazione non pubblicata. Intine a questa lettera sono alquante righe di altro caiatlere, che non è quel- lo della lettera stessa, e che confrontato con un fac- simile avuto da Vicenza di quello del Trissino, ognu- no lo giudicherebbe simile, anzi eguale. In una ele- gia egualmente inedita e certo, per ciò che vi si leg- ge, da riputarsi del Trissino medesimo, posseduta pu- re da chi ebbe la gentilezza di favorirmi questa ora- zione, si legge un distico pari ad altro che si ha in altra elegia inedita e di carattere come le poche ri- ghe a pie della detta lettera. Ne la lingua, uè lo stile di questa orazione parml lontano da quella pel Gritll o di altre opere del nostro autore. Forse in questa che io pubblico si troverà troppo abuso di latinismi che non è in quella: ma pure un brano dell'una, che riferirò in nota a confronto dell'altra, ne potrà far meglio certi coloro che bene si conoscono dello sti- le. D'altra parte i latinismi erano propri di quel tem- po: ed il Trissino abusò non solo di questi, ma ezian- dio di grecismi, segnatamente nella Italia liberata^ sendo nel greco e nel latino idioma peritissimo. Tra le altre voci (e valga questa per tutte) fovniidolosOi che è nella orazione pel Gritti, non è pure in que- sta pel Grimani ? Ed in proposito della Italia libe- rata ^ c[nesì.o poema altresì non porge nuovi argomenti a riputare la presente orazione dello stesso autore pei conironti di molti passi slmili tra loro così nei sen- timenti come nelle espressioni? Che se oltre le latine s'incontrano pure alcune voci lombarde, questo stes- 2q4 Letteratura so sarebbe altra prova del mio assunto: dappoicbè il Trissino cbe intieramente in lingua lombarda disse l'orazione, tuttavia inedita, nel consiglio dei LX in Venezia contro la comunità di Val d' Agno che gli negava di più pagargli le decime, poteva più d'ogni altro cadere in esse. k:-: Ma se la presunzione a suo favore, se la uni- formità in parte dei caratteri, se la somiglianza della lingua e dello stile fra questa orazione e le cose già stampate di lui, non valessero a ritenerla come sua fattura, io non sono già, eminentissimo principe, per darla tale indubitatamente: che in co tali materie io come ogni altro posso andare facilmente errato. For- se, se non del Trissino , non mancherebbero argo- menti a crederla del Navagero, ove si volesse suppor- re che i vincentinl , anziché un loro concittadino , mandato avessero per cotale ufficio un veneziano me- desimo che a nome loro, vinceniinorum nomine^ co- me si legge nella lettera dedicatoria, fosse per con- gratularsi col novello doge. AI Trissino, al Navagero o a qualunque altro autore vogliasi peraltro attrì- buii^e, egli è certo che questa orazione panni di scrit- tore valentissimo e degna di essere messa alla luce del mondo: siccome tale la riputava lo stesso cardi- nale Grimani, che nelle lettere era profondo e sper- tissirao egli medesimo. Noi italiani, ricchissimi come siamo in poesia, in istoria, ed in altre parti della let- teratura , pur troppo difettiamo in quella della elo- quenza oratoria , non perchè a noi manchi genio e forza opportuna, ma occasioni di adoperarla. Le quali ([uando vi sono mai stale, uscii'ono dalle nostre pen- jiu orazioni non solo da stare a petto a quelle delle moderne, ma eziandio delle antiche nazioni. Bastano OnAZIONE INEDITA 2q5 molte di quelle che si trovano per entro le nostre istorie : basta leggere quelle di Giovanni Della Ca- sa, quella di Giovanni Guldiccioni alla repubblica di Lucca ed altre, delle quali buon numero furono già rese pubblicbe dal Sansovino, a persuadercene. Cosi ebe io stimo farebbe cosa assai degna ed onorevole alla patria chi, a quel modo che il Sansovino mede- simo, oggi desse opera ad una raccolta di cosiffatte orazioni, le già note, oramai fatte rare, ristampando, e le non pubblicate di valenti autori pubblicare ri- cercando per le biblioteche e per gli archivi, che di bellissime si troverebbero segnatamente dei tempi del- le repubbliche di Venezia, di Genova, di Firenze e di Lucca, quando per la forma di governo era dato spesso e facilmente di adoperare la eloquenza orato- ria. Nella quale raccolta, io penso, non ultimo luo- go darebbero gl'intelligenti a questa, che io ho l'ono- re di pubblicare per la prima volta offerendola a voi, eminentissimo principe: la quale se qua e là è mac- chiata di alcune mende, come sono i troppi latinismi o una qualche inutile prolissità e ripetizione, parrai nondimeno piena di rara e scorrevole eloquenza , e per 1' altezza dello argomento , per le cose varie e molte che vi sono discorse, pel savio sentenziare, per la celebrità del personaggio al quale è indirizzata , per quella di colui al quale dovea intitolarsi, impor- tantissima. Voi ora, eminenza reverendissima, nella solen- nità di questo giorno rendetela sempre meglio degna di voi stesso e del pubblico, compiacendovi nell'altez- za del nuovo grado di accoglierla benignamente da chi di ciò solo riputandosi fortunato, passa devotamente a 296 Letteratura baciarvi la sacra porpora, mentre pieno di profonda stima e venerazione si professa Della eminenza vostra reverendissima Umilissimo, devotissimo, oblìgatissimo servitore Oreste Raggi SERENISSIMO PRINCIPE B, ^enchè in ogni tempo fosse solenne alla città vi- centina riferire grazie a qualunque principe , e per la santa sua devozione perpetuamente riverife questo illustrissimo stato, nientedimeno non altra volta fu*- rono più infiammate voluntadi ne tanto ardenti stu- di, quanto di presente sono in questo felice princi- pato di vostra sublimità. Gli eccellenli ineriti suoi accendono gli animi nostri sopra il solito modo e con- suetudine de'preteriti tempi ; e siccome la gloria di vostra sublimità è rara e singolare , cosi e sono gli studi degli uomini non usilati e non vulgari. In que- sta inclita cittade quali acclamazioni , che gaudio , quanto concorso abbiamo veduto ! Quale è stato in altro principe tanto pubblico favoi'e, tanto universa- le riverenza, tanto comune speranza ! Ma quali ri- messi animi non possono eccitare la considerazione della sapienza ed innocenza vostra , la memoria dei chiarissimi onori, lo splendore domestico, la esperien- za di tutte le cose tanta in voi, quanta possono dare ad alcuno tutti i mari e le terre peragrate (4), e i Orazione inedita agy costumi delle genti in quelle conosciuti ? Quali toi^ penti (5) ingegni ed ignave menti non possono com- muovere, quali non infiammare la maestà di questo altissimo grado già debito e mò tributo alli meriti vo- stri ? Lo quale non tanto è glorioso aver conseguito, quanto meritato; perciò che conseguir quello possono gli uomini fortunati , meritare non possono se non gli ottimi. Ma vostra sublimità fortunata ed ottima illustra la felicità del principato con lo splendore delle virtù. Le città soggette, le genti di Apulia per virtù vostra superate (6), le nazioni delle terre ulti- me dell' oriente ed occidente, sole nelle quali vostra sublimità ha lasciate impresse le vestigie di ammira- bili azioni, memorando la magnitudine dello animo vostro, la costanza, la fortitudine conosciuta, la in- tegritate, fede, religione, industria, diligenza vostra; adesso intendono gli onori esser dati in questa in- clita città, non per ambizione, ma per meriti ; ades- so riveriscono la maestà di questo imperio ; adesso riluce a quelle genti lo splendore di quest'amplissi- ma sedia. Ma quanto debba essere la venei^azione no- stra maggiore, quanto più eccitati gli studi verso quel- la, la cui sapienza e benefici! in ogni parte della vi- ta esperlmentlamo ! Quali di tutte le cose nostre non sono conservate ? Che cosa puote esser data dalla na- tura agli uomini più amabile che i figliuoli ? Qual più gioconda che le sue facoltà, più soave che la pa- tria, più cara che la libertà ? Non tutte queste cose rende amabili , gioconde , soavi , care la sapienza e grandezza vostra ? La quale conserva i figliuoli, man- tiene le facoltà , difende la patria , custodisce la li- bertà. Questa tranquillità, quest'ozio, il loco, la di- gnità, il grado; questa forma di vita civile, la rive- 298 Letteratura renza e santità delle leggi, con le quali viviamo sì- curi, non sono conservate per clemenza di vostra su- blimità ? Certo ninno è di questi commemorati be- neficii, benché solo e singulare conservato, lo quale non imponesse a qualunque di noi eterna memoria e suprema obbligazione; tutti insieme e ad un t»»m* pò ritenuti per clemenza e protezione di vostra su- blimità grandiscono un cumulo di obbligo infinito , una inenarrabile ed immortale devozione verso quella, ed ancora uno incitamento incredibile a predicare Ile laudi sue e riferirle grazie immortali. Molto veramente siamo obbligati ai genitori, i quali a noi hanno data la vita e il patrimonio , la libertade , la nobiltà ; molto ai precedenti principi , dai quali riconosciamo privilegi, immunitadi, onori e protezione ; molto più alla clemenza divina , dalla quale abbiamo la salute, tutela e aumento di tutte le cose. Ma quanto dobbiamo essere a vostra subli- tade tenuti, la quale in un tempo conserva a noi i beneficii paterni, la liberalità dei principi, i doni di- vini ! e queste cose, che singulari e separate abbia- mo avute da quelli , universe tenghiamo per indul- genza e protezione di vostra sublimità. Quali laudi si possono trovare uguali a tanti meriti? Quali gra- zie riferire a tanti beneficii? Quale tanta copia di di- re, quale così divina ed incredibile forma di orazio- ne, con la quale alcuno potesse gli universi benefi- zi di vostra sublimità, non dico abbracciare amplifi- cando , ma raccontare numerando ? Beneficio suo è che non temiamo alcuna tirannica libidine nelle don- ne nostre; non avarizia nelle facultadi; non calun- nia nella salute; non crudelitade nel corpo. Salva è nei giudizi la giustizia; nei templi la religione; nel- Orazione inedita 299 le 'città la concordia; nelle case nostre noi stessi. Non dobbiamo adunque estimare il nume vostfo santo e venerabile: al quale se convenga con la mente favo- rire, con la voce onorare, con le azioni asseconda- re, non dobbiamo con ogni affetto, studio, fede, os- sequio a vostra altezza gratificare e molto faticarsi che vostri benefizi non apparino essere meno bene collocati? Le quali cose quando così sono, è viso a noi convenientissimo essere dimostrare le virtù vo- stre, dalle quali provengono tanti incredibili commo- di, quanti già delti abbiamo: acciò che quelle cono- sciute, più degnamente possa la devozion nostra ve- nerare. Per il che piglieremo principio dalla pruden- za vostra, dalla quale anco pigliano le altre vostre virtù. Questa sogliono conseguire gli uomini parte per dono della natura e parte per esperienza delle cose. Ma qual natura è più divina ed eccellente, qual'e- sperìenza maggiore che quella di vostra sublimità ? Non abbiamo noi per ogni azione sempre conosciu- ta in voi tanta incredibile celerità di discorrere; co- sì acuto giudizio in eleggere; tal divina solerzia in prevedere; tanto fedele memoria in ritenere, quanto non possono essere in alcun'altra natura maggiori ? Non è apertissimo giudizio dell'ammirabile natura ed incredibile sapienza vostra, che quelle virtudi, le spe- cie delle quali la natura delle cose fece diverse e re- pugnanti, siano in voi congiunte e concordi? Che co- sa è tanto distante dalla severitade quanto è la fa- cilità ? niente di meno qual'è stato mai reputato più integro di voi e più trattabile? Remotissima è la giu- stizia dalla clemenza: ma la sapienza vostra opera che non meno siate benigno che santo. Che puot'essere 3oo Letteratura tanto difficile, quanto giudicando le controVet'sie dì molti, meritare la benevolenza eli contrarie volontà? e nondimeno voi avete per prudenza vostra conse-^ guito che, quando niente per causa di gratificare fac- ciate, tutto sia grato die faceste. Nelle altre parti della vita che cosa si puote trovare se non circo- spetta, se non piena di provvidenza e di consiglio, se non nella quale elucesse la somma sapienza vostra? Non ha vostra eccellenza cosi esaltata la fortuna di casa sua ; non così grandite con singolare innocen- za e laude le sue facultadi ; non così la gloria ed onori delli figliuoli e ncpoti, che già non resti dub* bio questo continuo successo non esser avvenuto se non per somma prudenza e sapientissimo consiglio vostro ? Non cosi avete superato le tene di Apulia? non per tal modo trattati molti e magni negozi in diversissime terre e disgiuntissime nazioni, che appo quelle genti non sia alcun nome maggiore che quel- lo della sapienza vostra ? Aggiungete molti preclari giudizi di questo illustrissimo senato: lauti magistra- ti, tanti continuati governi commessi a vostra eccel- lenza, non sono testimoni amplissimi della prudenza sua? La quale se non fosse spcttatisiima, provatis- sima ed illustre, non vi avrebbero tante volte adopera- to le occorrenze della repubblica vosira (y). Ma che diremo della esperienza, la quale se è maestra della vita umana e nutrice della sapienza , siccome è per antico proverbio comprovato, quaFè, ovvero esser deve più prudente, e in qual esser puo- te questa virtù maggiore che in vostra eccellenza, la quale fece principio della esperienza sua gli anni estrerai della puerizia, ne poi per alcun tempo vacua ed oziosa, ma per continui negozi e diversi viaggi e Orazione inedita 3oi molti magistrati e vari casi esercitala, ha conseguita moltiforme ed incredibile cognizione di tutte le co- se? Quale altro ha peragrato tante longinque regio- ni, praticati tanti diversi paesi, così varie nazioni ? Quale ha conosciuti piìi differenti costumi, più dis- simili lingue che vostra eccellenza, i viaggi della qua- le sono tanti quante sono diversità di terre e di ma- ri nella natura delle cose ? Qual regione incognita, qual sedia estrema, che loco ultimo si trova nella vastità delle terre e dei mari, nel quale non abbia penetrato la magnanimità e fortiludo vostra, la vo- stra cura e diligenza non abbia perquisito ? Quale specie di onori, nei quali non vi abbia adoperato il bisogno della repubblica ? In quali diversità di casi non vi abbia travagliato la varietà della fortuna ? E finalmente che generazioni di casi si puole trovare, nei quali non sia versata la esperienza vostra ? La repubblica avete praticala con magistrali, le nazioni con negozi, i regi con legazioni, le guerre con im- peri, le inegualità della fortuna con incredibili casi. Vostra sublimità ha esperiraentata più varietà di cose, che gli altri uomini non hanno udita; viste più in- numerose genti, che gli eguali vostri non hanno lette; amministrati più governi, che molti non hanno desi- derati. Le quali cose quando cosi sono, qual' è che dubitar possa che la natura eccellente vostra, per tan- ta diversità di casi esercitata, sapientissima non sia ? Ma le altre virtudi dalla prudenza vostra ge- nerate quali e quanto molto sono ! Quanta giustizia abbiamo conosciuta in vostra eccellenza ; qual' altro mai ha così diligentemente la equità, la consuetudi- ne , le leggi, giudicando, custodite ? Quale così vi- vendo servale ? Qual privato più innocente, qual giù- 3o2 Letteratura dice più santo è stato ? Al che non è di bisogno del testimonio della voce mia ; perciocché I chiaris- simi onori e il corso della vita santìssima hanno ap- provata la integrità vostra. Ancora quanta riverenza della religione, osservanza dei divini mandati, vene- razione delle sacre cose è in vostra sublimità ? Ma che dirò della pietà vostra ? I propinqui , gli amici con quali meriti avete obbligati ? I figliuoli con quan- ta caritade abbracciati ? Pensiamo noi che il reveren- dissimo cardinale fosse pervenuto a questa eccellenza di dottrina e santissimi costumi, se la carità paterna non avesse la puerizia prima erudita negli studi delle ottime arti ? Pensiamo che lo vescovo e il patriarca,, pensiamo che gli altri figliuoli e nepoti, fossero riu- sciti tali uomini e così bene qualificati come sono, se non fossero stati educati per vostra sublimità con ottime discipline, con sommo studio e diligenza verso- la repabl>Hca (H) ? Veramente la pietà vostra non hanno smarrita i pericoli , non faticata le imprese , non alienata i casi, che vostra eccellenza non ogni cosa facesse quale ad uomo sapientissimo fare si con- venisse. Ma ancora consideriamo le altre parti. Chi ha osservato più santamente che voi i maggiori di eta- de ovvero di dignità ? Chi ha regolato più fedelmen- te i minori ; chi è stato di voi più liberale ; chi più memoi'ato di beneficii ? Chi più grato, quando per tal modo avete ritornata la grazia che per liberalità vo- stra sia stata sempre la espeltazione accelerando per- venuta e la speranza rimunerando superata? Ancora certo così è vostra eccellenza amatore della verità , che appena giudicar si possi qual sia in voi la sin- cerità maggiore ovvero la fede. Quanto aperto, quan- Orazione inedita 3o3 to non sapete dissimulare alcuna cosa! Quanto nien- te è nella lingua vostra che il medesimo non sia nel petto ! Parimente ancora quanto è stala la fede vo- stra rara nei negozi, famosa negli imperi! Quanto dal- li renduti a noi popoli di Apulia conosciuta ! lo esi- to dei quali mostrò quanto meglio fosse esperimen- tare la fede che le armi vostre. Ma siccome non al- tramente dire di quanto fate, cosi non altramente fa- re di quanto dite, è vostro santissimo instituto. Que- sta è la giustizia vostra. Ma con quale eloquenza po- trò io pareggiare tutte le parti della fortitudine vo- stra ? la quale non poterò smarrire le tempestadi del mare, non tardare i terrori delle battaglie, non vin- cere i casi della fortuna. Con questa penetraste le ul- time terre ; espugnaste le cittadi di Apulia ; profli- gaste le armi francesi; con questa ampliaste i termi- ni dello imperio. Questa medesima, compagna fedele dell'una e l'altra fortuna , illustrò le cose vostre se- conde, mitigò le avverse ; in guerra magnifica, in pa- ce decora, agl'inimici formldolosa, a'vostri venerabi- le. Delle altre parti clie potrò dir tanto, che più mol- to non resti ? Quanta magnanimitade sempre abbia- mo conosciuto in voi ! Quando fu alcun tempo, nel quale non anteponeste li ragionevoli pericoli alla ino- norata securitate ! Nel quale non più apprezzaste il decoro che la salute ? non meglio estunaste morire con fortitudine che vincere con ignavia? Ancoia quan- ta sapienza, quanta perseveranza dimostraro in voi 1« espedizioni vostre! Quanta costanza, fiducia, efflca- eia, celerità ! Qual altro fu più tollerante di sete e di fame; più assiduo alle fatiche ; più tardo alli ri- posi ? Quale più audace alle imprese, più presto in le esecuzioni ? 3o4 Letteratura Ma che dirò della militare scienza ed impera- torie arti, le quali ministre della fortitudine vostra fecero quella fidente ed animosa ? Non cosi tutte avete voi abbracciate, che niente piìi altra si possa desiderare ? Qual altro duce fu di voi più diligente ad inquivere li sili delle regioni, perito ad elegge- re la opportunitade dei luoghi, solerte a prevedere i consigli degrinimici, pronto a pigliare le occasio- ni della fortuna ? Con questi aiutamenti la virtù vostra riportò gloria di magnifiche imprese. Testimo- nio è l'Apulia superata ; testimoni sono i francesi afflitti ; testimonio è il regno napolitano a Ferdinan- do re per opera vostra restituito (g). Quale di tutte le cose è tanto ignaro che non intenda con quanta autoritade, con quanta virtude amministraste quella guerra ? alla quale poi che fu udito voi essere prcj- posto capitano con la classe , il nome vostro re- presse l'audacia degl'inimici, Taspettaziotie attenuò le forze, lo advento estinse la guerra. Quale città allo- ra fu in Apulia così munita che si potesse difende- re ? Quale cosi valido presidio che ardisse repugna- re ? Qual tanto remoto loco, che in questo non pe^ netrassero le armi vostre ? Monopoli, Polzano, Mola con quanto ardore, con quanta perizia furo per vo- stra sublimttade espugnate ? Il resto di Apulia con quanta celerità ricuperato ? Qual viatore per causa di alcun negozio così presto corse tanto spazio di cam- mino, quanto corse presto lo impero delle vittorie vostre, il successo delle quali gì' inimici pria vide- ro che udirò , pria sentirò che intesero? Ne fu di quella alcun più veloce nunzio che le medesime vit- torie. Nelle quali siccome i vinti esperimentaro la misericordia e i dediti conobbero la fede, così gl'ini- Orazione inedita 3o5 mici ebbero prova della fortitudine vostra, la cui me- moria è l'atta appo quelle genti eterna. Ma soprT le altre virludi molto è memorabile la temperanza vostra, quando per tal modo avete am- ministrate le guerre che gli stupri non abbiano feda- te le vittore , non le rapine maculati gl'imperi, non le voluttadi tardata la diligenza. Nò con minore mo- destia avete contenuti gli eserciti vostri, dai quali le cittadi amiche non solo non hanno ricevuta calami- tà, ma né ancora sentito incomodo. Lungo saria per- seguii'e ogni cosa ; ma voi, senatori amplissimi, po- tete estimare quanto sia stata continente la vita pri- vata di questo illustrissimo principe, quando vedete così temperate le potestadi, così ristretti gì' imperi. Perciò che ove è minor licenza di peccare, ivi esser debbe maggior facilità di astenere. Onde pensiamo noi essere conservata a sua eccellenza questa tanto lun- ga elade, questa così verde vecchiezza ed inoffesa va- litudine sua ? certo non per altro modo, se non per astinenza e frugalità singulare. Perciò che non hanno le libidini estenuato il corpo , ne per crapule sono contratte egriiudini, non isnervate le forze. E qui noi maravigliamo le eccellenti operazioni di vostra sublimità, la inaudita temperanza della quale vedia- mo in ogni parte della vita. Mò che diremo della moderazione vostra? Quan- ta umanitade, mansuetudine, civiltà vediamo in voi ! Quanto sono gli aditi aperti, quanto libere le que- rimonie ! quanto niente ha mutato questo altissimo grado, se non la maestà! Riconosciamo nella eminen- tissima fortuna vostra la pristina facilità, la consue- ta modestia, l'antica benignità. Non meno siete trat- tabile, facile , n^oderato quanto eravate ; gli alloqui G.A..T.XC. 20 3o6 Letteratura non sono difficili , non le orecchie superbe , non i detti contumeliosi. Vostra sublimità leva a celo que- sta facilità di ammettere, la pazienza di udire, la be- nignità di rispondere. Qui non è alcun terrore di ferro o di armi ; qui non smarrisce alcun tumulto di satelliti o custodi ; ma ricrea la placidissima tran- quillità di questo amplissimo consesso ; ricrea la se- rena e placata maestà vostra ; e quanto più quella minuisce la dimostrazione di questa eccelsa potestade, tanto più grand isce la gloria sua nelli animi vostri, la quale non desidera essere conservata per alcun co- mune ne vulgato modo, ne per alcuno di maniera, lo quale anco li meno degni possono usurpare. Ma gli ornamenti del nome suo, le insegne delle laudi, i monumenti degli onori vuole essere conditi (io), e collocati nei petti degli uomini ; nutriti nelle cogi- tazioni vostre. Le quali non psr alcuna corruttela, non per alcun timore, non per adulazione, ma per merito danno gli onori. Mancano le parole ad espri- mere quanto della gloria vostra in mente concepi- sco. Ma per questo solo modo, con questa sola mo- derazione a me appare che la vostra sublimità vin- ca la grandezza sua e si eslolla sopita se stessa. Resta la clemenza vostra: la quale virtù benefi- ca ed accettissima ai mortali non come le altre è usurpata dal volgo, sola di tutte celeste e regale, di- spensa i beneficii divini alla generazione umana, e servando la vita degli uomini, fa i principi pari agli Dei. Per questa la maestà regale è venerata in terra; per questa è riverito il cielo. Alla divina clemenza supplichiamo; a questa tacciamo i voti e mandiamo le preci nostre; a questa abbiamo eretti i templi ed istituiti i divini onori; questa troviamo sola propizia Orazione inedita 807 alle umane calatnitadi ; nò per altro conio i soggelli vostri rendono tanta venerazione ed obbedienza a vo- stra serenità quanta si conviene, se non con speran- za delia clemenza sua. Molto magnificile ed eccel- lenti sono le altre virtù: ma non so per qual modo grave, e cresciula con propria ed aliena molestia, san- tissima di tutte è la giustizia. Nientedimeno non manca clii quella dica essere inesorabile, terrifica, ar- mata, sanguinosa : la fortitudine nata in pericoli; la pazienza nutrita in dolori e morte ; la liberalitade cresciuta con detrimento dei comodi propri; la con- tinenza austera contro se stessa. Ma la clemenza sola piena di laudi, senza molestia; non gloriosa di armi, ma di pace; non di terrore, ma di speranza; non san- guinosa, ma salutifera; nata da tranquillitade, nutri- ta da letizia, cresciuta da beneficii, laudata da beni- gnità. Per molle ed eecellenli qualità vostre , sere- nissimo principe, slete glorioso: ma ninna di tutte pa- rimente esalta la vostra grandezza, come la clemen- za ; né tante laudi accumulovvi la forliludo vostra espugnando le città di Apulia nella guerra francese, quante conseguiste servando quelle per clemenza, qua- le avevate con armi superale. E benché in quelle re- gioni le vittorie vostre fossero paventose e le forze non tollerabili, nientedimeno più numerose genti lia sottomesse la benignità vostra rimettendo , che non hanno le armi vincendo. Ma voi così avete tempe- rato le vittorie, moderali gFimperi, frenate le pote- stà ; così avete condonale le ingiurie, sollevate le ca- lamità, collocati i beneficii, che a quelli tempi non fosse cosa alcuna in bocca degli uomini più frequen- te che la benignità vostra. Per la quale i popoli di Apulia fecero più felice esperienza della misevicor- 3o8 Letteratura dia, che delle armi vostre. Il perchè la regal fortuna vostra non ha in se alcuna cosa maggiore, quanto che potete; né la natura vostra ha cosa migliore, quanto che volete giovare a molti ; e siccome il sole inde- fesso percorrendo lo immenso ambito del cielo con la luce dello splendore eterno illustra mò queste ter- re, mò quelle altre, così vostra serenità diffonde la luce della clemenza sua a tutti i popoli e non tra- smette alcun giorno senza ulilitade comune. Tempe- ra l'asperità delle leggi, solleva gli oppressi, sovvie- ne agli afflitti, rimette ai supplici, conserva i boni. Per il che ne piìi spesso ne più volentieri quella ode appellazione alcuna, quanto di serenissimo o subli- me ; ed eccelso e massimo ed eccellentissimo sono cognomi dell'altissima fortuna vostra. Ma serenissimo è nome della benignità, la quale non turbida, non nebulosa, ma serena e tranquilla pi'om ternitatem Iitteris tuis tradidisti; iuvet memoria tua in scriptis alienis, vivet io tuis. Quare nunc deuium poenitet me consilli mei; quod non plus laboris exauserim, plusque ocii non colloca- rim in Iitteris, cum senliam me tibi tanto minus piacere posse , quanto remissiorem operam studiis impendi. Verum , quod ad orationem nostram atliuet, si minus eam eomniode .scripsisse vi- debimur, aequum f'uerit ut praesles ; ne etiam temeie edidisse existimemur. Debet namque ea saltem pars reprehensione carere; cuius tu auctor fuisti ,, (3j Questo Francesco Novello da Carr£)ra divisava di sog- giogare per forza di armi Vicenza , e già nfe turbava i confini ; ma i vicentini, avendo in odio i carraresi, erano deliberati di pa- tir piuttosto ogni supplicio che sottomettersi a questo tiranno- Onde mandarono a Caterina, vedova di Galeazzo Visconti, chie- dendole aiuto contro di lui o di qualche soccorso o di cousiglio. Orazione inedita Siy Ma questa, occupata in cose maggiori, avendo, morto il marito, a fare assai per tenere Milano, rispose, non potendo altrimente provedere alle cose loro, che per io migliore lasciassero avere ai veneziani Verona, Vicenza, Feilre, Belluno, Cologna e Basrsano, piuttostochè permettere che quelle da uno ingiustissimo tiranno fossero afflitte. Allora i veneziani, quantunque per lo addietro non avessero voluto accettare l'offerta dei vicentini per vergo- gna che sentivano di occupare prosunluosamente le cose d'altri, conoscendo dover nascere gran guerra tra loro e il Novello , parve di non dover più ricusare: e così Vicenza venne sponta- neamente nella loro divozione. (4) Peragrate - scorse- (5) Torpenti - pigri. 6) Nel tempo che Carlo Vili re di Francia si disponeva a lasciare Napoli, e che Ferdinando scendeva in Calabria accom- pagnato diigii sp;ignuoli, si scopriva nei lidi di Puglia l'armata veneziana, della quale era capitano Antonio Grimano allora in quella repubblica di grande autorità , che veniva in soccorso dello stesso Ferdinando contro Carlo che aveva usurpato il rea- me. L'armata veneziana, composta di q4 galee e 5 navi, secon- do il Giovio, e di 3o navi e 2 galee, secondo il Bembo, accosta- tasi a Monopoli città di Puglia e posti a terra , siccome nar- ra il Guicciardini , gli stradiolli e molti fanti, gli delle batta- glia per terra e per mare; nella quale Pietro Bembo, padrone di una galea veneziana , fu morto da quelli di dentro di uu colpo d'artiglieria; prese finalmente la città per forza e la rocca gli fu data per timore del castellano francese che vi era dentro, e dipoi eljbe per accordo Pugliano. I quali posti unitamente ad Otranto, Brindisi e Trani, che sono nel mare di sopra, e perciò molto opportuni ai veneziani, accrescevano assai la loro gran- dezza; la quale non avendo più chi se le opponesse, cominciava a distendersi per tutte le parti d'Italia. Queste piazze poi furono rilasciate dai veneziani al re di Aragona nel primo anno della lega di Cambrai dopo la sconlit'.a avuta a Ghiaradadda. In Pu- glia era ridotta la somma della guerra contro a' francesi; ed in quell'anno stesso la città di Taranto, oppressala dalla fame, si arrendè ai veneziani che 1' avevano assediata. Il Guicciardini racconta che ; ,, le fatiche e i travagli dei veneziani erano slati di natura, che e'potevano arditamente dire che per opera loro si fusse salvala Italia : perchè uè in sul fiume Taro si era com- battuto con altre armi, né con altre armi ricuperato il reame di Napoli, che con le loro. E quale esercito avere costretto Novara ad arrendersi ? Quale avere necessitato il re di Francia ad an- 3i8 Letteratura darsene di là dai monti? „ Lo stesso Guicciardini riferisce una orazione che Antonio Grimani, uomo di grande autorità, recitò in senato nel i^g8 per indurlo a collegarsi col re di Francia clie ofleriva in premio alla repubblica la città di Cremona e tutta la Ghiaradadda contro Lodovico Sforza duca di Milano: " e udito con grande attenzione e con gli orecchi molto favorevoli l'au- tore di questa sentenza, e lodato da molti in lui la generosità dell'animo suo e l'amore verso la patria, prevalse il suo parere contro quello di Marchioue Trevisano che aveva perorato per la opposta sentenza. „ (7) Abbiamo veduto qual uomo si fosse il figlio Domenico cardinale, die secondo alcuni fu pure arcivescovo di Antiochia. IN'ipote di questo, e perciò pronipote del doge, fu Marino Gri- mani creato vescovo di Geneda del i5o8, e coadiutore allo zio col titolo pure di patriarca di Costantinopoli nel i5i7, e nel i528 gli fu spedito a Venezia il cappello di cardinale del titolo di s. Vitale. Fu abilissimo nei pubblici negozi , e lasciò un eru- dito couienlo sopra la epistola di s. Paolo ai romani. Marco Gri- mani, fratello di questo, fu pnre patriarca di Aquileia nel 1529, come lo fu Antonio che succedette ad Ermolao Barbaro. (8j Sono da rammentare fra gli altri i servigi che il Grima- ni prestò alla repubblica abbandonata da tutti nella lega di Cambra!. (gì Farmi che fra gli altri possa valere questo brano solo della presente orazione, per mettersi a confronto di quella che il Trissino pubblicò pel Gritti,a chi amasse paragonarne lo stile che, se mal non mi appongo, sono per giudicare assai consimile. „ Tal che avendo poi il papa, lo imperatore, il re di Francia, il re di Spagna, e per dir meglio quasi tutta Europa congiurato la Cambrai a la rovina di questa divina repubblica, esso , quasi un nuovo Scipione, offerse il corpo suo per la cara patria : ne la qual guerra quante fatiche abbia sopportate, e quanti pericoli trapassati sarebbe impossibile a commemorare ; né solamente in essa guerra dimostrò che avesse tutte quelle virtù che si soglio- no volgarmente .'^tiiu.ir per ogu'uno, cioè affaticarsi ne 1' impre- se, non si sn»arrir nei pericoli, aver industria nel fare, prestezza nel finire, consiglio nell'antivedere: le quali furono tante in co- stui solo, quante in nessun altro che abbiamo mai nò visto, nò letto. Di che ne è testimonio la città di Padova, per lui non so- lamente con molta industria recuperata, ma con poca gente da Massimiliano imperatore, che con quasi infinito numero di com- battenti l'assediava, fu virilmente difesa. Testimonio ne è Vi- cenza, Verona, Brescia-,' B<;rgamo, Crema, Treviso et altre città , Orazione inedita Big quali per lui ripigliate e quali dal furioso impeto dì barliari li- berate. Testimoni sono molti dei capitani de'nemici, i quali nel corso de le loro vittorie furono superati e presi. Testimonio ne è Milano, che per lui principalmente, a la persona di Massimi- liano imperatore et la ferocissima nazione di Svizzeri chiuse le porte, e conlra loro si mantenne. Testimoni ancora potreb- bono esser molti altri luoghi et altre genti eh' io non nomino , che per le predette sue virtù furono difese e conservate. „ (io) Stabiliti. (Il) Intendi la guerra per la delta lega. 320 Della emulazione. Discorso recitato da Gian- francesco Ranibelli il dì 2S di settembre i838 neW occasione che V eminentissimo sig. card^ arcivescovo Carlo Oppizzoni distribuì di sua mano i premi ai giovani frequentanti te pub- bliche scuole persicetane. Jl^e mai l'odierna solennità tornò a voi dolce e me- moranda, ben il debbe codesto anno, studiosi giova- ni, in che il beatissimo pontefice dona grado di cit- tà all'antica vostra terra natale, privilegiata dal cie- lo d'aere puro e salubre, d'ubertà dilettosa di cam- pagne, d'irrigue acque perenni, posta in amenissima pianura, inghirlandata da lieti colli, celebrata nelle istorie per forti petti, per chiari personaggi, piena pur oggi di virtuosi e industri cittadini, che ora tutta ri- sorge e di fiorenti speranze si riconforta. Qua s'in- nalzano statue e marmorei monumenti: là torri, pa- lagi, delubri si restaurano, si rabbelliscono, si ador- nano : si allargano , si spianano vie : tutto è muto , vigore, incremento. A quest'incremento di materiali grandezze, comechè notevoli e maravigliose, aspetta la patria, che, emulando la bella schiera degl'illustri antenati, voi aggiungiate l'altro, più nobile e com- mendato, de'frutti che vengono dall'ingegno, a fine suo grido s'accresca, e più latamente si stenda; che la vera grandezza de'luoghi sta negli egregi cittadi- ni, nelle magnanime azioni ; la religione, la sapien- za, la virtù, la civiltà danno loro gloria e rinoman- Della Emulazione 32 i za non peritura. E perchè tutto di cara letizia ò que- sto giorno, in cui la patria vi vede lodati, acclama- ti, remunerati al cospetto universale, e, ciò che è più, al cospetto dell'eminentissimo porporato, che a prova di special dilezione è venuto nella pompa di suo gra- do a fregiarvi del vinto premio , vi ha indiritte pa- role d'amore, di conforto, di speranza; ben conoscen- do io che sì a lui, e si all'inclito magistrato, a'rag- guardevoli deputati , a questi cortesi tutti sta gran- demente a cuore il vostro profitto , ho fidanza che non rlescirò malgradito, se anche in questa celebrità alcuna cosa a bene de'vostri studi, anziché a diletto, io vi ragioni. E non essendovi alcun seme piìi certo di quella potentissima nutricatrice degl'ingegni, la emulazione, vi terrò di essa brevi parole, pregandovi, o giovani, a riceverle altamente nel cuore; che da sì buona e viva radice verranno al sicuro fiori e frutti bellissimi di vera gloria e di comune utilità. L'emulazione, quel desiderio, quello sprone for- tissimo che conforta e punge 1 buoni e generosi a pro- cacciarsi quanto lor manca di grande e di bello , e a pareggiare almeno, se non trapassare, que' che ador- nansi delle virtuose e lodevoli condizioni generatri- ci di rinomanza e maraviglia ; 1' emulazione , inno- cente ed onorata contesa, che Esiodo disse largita da Giove a' mortali, è un affetto postoci in cuore dalla natura, e sommamente benefico, ove le sociali isti- tuzioni noi traggano a corrompimento. Ch'el sia da natura , bene il prova l'esserne capaci gli uomini i più salvatlchi, e fino i bruti medesimi: e lo svilup- parsi che sì tostamente ne fa il germe, il quale anco ne'trastulli de'garzonettl di prima età crescere ed in- gigantire si vede. Il filosofo di Ginevra (che è il inag- G.A.T.XC. 21 322 Letteratura gìor nemico della emulazione) non può a meno di non confessarla un afletto naturale all'uomo, e mo- slrantesi in lui fino Jall'infazia : ma nondimanco, re- putandola un dannoso incentivo , propone supplirvi con tutti i mezzi che vengono forniti dajla educa- zione, a Qual altro movente più efficace vi ha (die' » egli di conserva a'suoi seguitalori) che l'affezione )) dell'alunno verso quello che spende per lui le sue » cure? Qual altro che la sensihilità sua a' rimpro- » veri? La naturale curiosità sempre Lenula in movi- )) mento, ne mai acquietata ? » Ben avviserobhe co» stui, ove la quotidiana sperienza non mostrasse in- sufficienti mezzi siffatti, e ove non avesse egli me- desimo sentita sì forte la necessità della emulazione da venir costretto a valersene alcuna fiata. E quan- do vorrebbesi da altro filosofante, che al nome dell'al- lievo si accoppiasse il cognome di famiglia preclaris- siraa, non ha egli ricorso ad uno degli stiraoli i più atti a far germogliare e a nutricare l'emulazione, cui mostrasi avverso ? Fermato adunque esser ella un na- turale affetto, cui non v'ha mezzo che si possa de- gnamente sostituire , sarà cura principalissima della educazione l'indirizzarla ad utile scopo, e con lau- devoli mezzi eccitarla. E come due vie si aprono tutte da ciò, la speranza delle ricompense e gl'illu- stri esempi, toccherò, sotto brevità di entrambe. L'età fanciullesca, non mettendo prezzo all'ono- re e alla futura utilità negli studi ( che sarebbe il suo vero guiderdone), vuoisi adescare e assuefare alla fatica , presentandola di premi cui ha naturalmente diritto; che ogni uomo spera mercede dalVimpie^ go della propria intelligenza. Efficacissimo spedien- te è questo : mercechè i premi allenano la gioven- Della Emulazione SaS tu nell'arduo cammino della sapienza, scuotono, av- vivano i grandi ingegni, rafforzano ed ispronano i de- boli. Di buon grado affanna e suda l'uomo, cbe ve- de remunerare onoratamente gli sforzi suoi ; il gui- derdone d'un benemerito cento e cent'altri ne desta, che mettonsi per le sue gloriose vestigie, e che tol- to simile eccitamento , si giacerebbono immersi in oblivione sempiterna. Ne per fermo vale a sopperi- re alle ricompense l'altro mezzo degli smodati gasti- ghi: il quale, oltreché rende stupidi e vili gli ani- mi, spegaendo in essi ogni brama di gloria, produ- ce resistenza, ostinazione: chiude il cuore alla con- fidenza , gli orecchi agli ammonimenti : fa perdere quella vergogna che è custode d'ogni virtù, e giun- ge talvolta a rendere odiosi gli studi medesimi. Ar- rogo che le lodi e gl'incoraggiamenti, promovendo la contentezza e l'ilarità, rendono più aperta ed alacre la mente de'fanciulletti agevolando in loro lo svilup- pare delle fisiche ed intellettuali funzioni. Il sagace institutore, ad isvegliare l'emulazione, si varrà quin- di opportunamente delle ricompense, alle quali si ri- feriscono le lodi e le riprensioni date al cospetto de- gli alunni, che sono di effetto sicuro là dove molti ne siano insieme riuniti. Il giovanetto, che ode tutto- di correggere questo, approvare quello, vituperare la pigrizia , spronare la timidità , commendare la dili- genza, è sospinto dall'amor proprio a porre ogni stu- dio e fatica per riuscire a bene ; la brama di veni- te in voce lo incuora a grandi conati, e disdegnan- do sottostare a'compagni, si studia raggiugnere i mi- gliori non solo , ma superarli ben anco. All'otteni- mento però del nobilissimo scopo, cui le ricompen- se sono indiritte, è mestieri vengano elette con sen- 324 Lktteratura no , compartite secondo ragione , ed al vero merito dispensate. Poco monta se siano semplici, purché dal- la pubblica opinione moltamente apprezzale. Corone di querci», di alloro, di gramigna nutrirono gli anir mi a virtù maravigliosa: ma quando l'amore delle do- vizie e del potere concitò l'emulazione , quando le onorificenze si prodigarono a vane arti, caddero al- lora i trionfi di Roma, fatta sentina di turpissimi vi- zi. E tanto cresce pregio alle ricompense lo asse- gnarle dirittamente, che vili e spregevoli si fanno an- che a quelli che ne sono ricolmi, ove conoscano es- serlo indebitamente, ove, frodandole al merito, riser- binsi all'intrico, al raggiro, al favore. Finché la Gre- cia impartì saggiamente i guiderdoni , andò chiara per ogni grand'opera di mano e d'ingegno, e fu mo- dello di civile comunanza : ma quando senza modo li profuse « quando i popoli, non paghi di decretar » corone a'ioro concittadini, gli uni agli altri le de- )) cretavano, quando in Atene si videro trecento sta- D tue in un sol anno ad un sol uomo innalzate , » quella fu l'epoca della decadenza de'greci ». An- cora a mantener viva una generosa emulazione ol- treraodo proficua è la concorrenza di molti alle ri- compense. Poiché dove pivi largo è il numero de' candidati, copia maggiore si può distribuire di mer- cedi : dal che doppia utilità discende : che cioè i garzonetli avvisano agevole entrare in quella schiera ove veggono molti premiarsi; appresso il merito vie- ne a rendersi più generale. Nò con ciò intendo che le ricompense, vita e nudrimento della emulazione, si abbiano a compartire senza discrezione alcuna; che anzi la quasi certezza, in che metterebbonsi i discen- ti di riportarle comunque . gli allontanerebbe dagli Della Emulazione 325 studi, e il buon vigore àegV ingegni resterebbe così o spento o premuto. Non prodigate , ma giuste si assegnino dunque le mercedi e le laudazioni: mane siano guiderdonati i giovani al cospetto di fuequen-; te moltitudine ; che dalle premiazioni fatte pubbli- camente da'rnagistrati con solennità di pompa non si può dire a mezzo qual maravigliosa utilità ne ridon-' dì ; che le tenere menti ne ricevono impressione vi- vissima j sentono in esse grato compenso alle durale fatiche, l'amor proprio si appaga al dolce e oommó^ vente spettacolo, che pure allieta e gioconda i ma-" gistrati, gl'insegnanti e i genitori., ne'quali vaunosi a riflettere i raggi della gloria da'garzonetli acquista- ta. Per tal guisa l'emulazione , nutricata dalla spe- ranza di pubbliche e private ricompense, diviene ac-" concio istrumento per guidar l'uomo all'acquisto del- la dottrina e della virtù. Altro incitamento all'emulazione, e non men vi- goroso delle ricompense, è il proporre l'esempio di quegli uomini, che per dottrina, virtù e geste gloriose pervennero ad altissima rinomanza; mentrechè, ope- rando l'esempio con sorde e soavi attrattive, e fon- dandosi sulla imitazione, cui da natura è ogni uomo disposto, fassi la via più pronta e spedita per tocca- re quel segno, al quale si aspira. Laonde l'educato- re verrà sponendo al continuo belli e generosi esem- pi, cui guardando i fanciulli come a specchio fidato, e a loro simiglianza componendosi , premiano abito di servire a virtù e a gloria. Rappresenterà ad essi, come a' nobili sforzi di que'che si posero animosa- mente per le orme de'grandi conseguitarono sempre i risid lamenti più vantaggiosi , le onorificenze più ragguardevoli. Per tal modo non solo quegli esem- 3^26 Letteratura pi s'impronteranno altamente ne'teneri animi, ma en- trerà pure in quelli dolce fidanza di potete quando che sia rinnovarli in se, ove principalmente si ven- ga mostrando agevole ad imprendere il bel cammino, e la rinomanza e felicità raccolta da clii vittoriosa- mente lo ebbe compito. E tanto piìi si assecureran- no di pervenire a ciò, se verrà dato a vedere che que'chiari modelli illustrarono là patria, la nazione nostra ; trovaronsi ne'gradi, nelle condizioni in che siara noi; usarono de'mezzi , che or sono in nostra mano; ebbero stanza ne'luoghi medesimi, ebbero le dottrine alle fonti istesse ; e armati d'invincibile sal- dezza, puguando contro le ree passioni, si cinsero di corone immortali. Quanto non crescerà le speran- ze e le incese brame l'ammirarli tuttora viventi? E di fatto non vediam noi, al giungere d'alcun grande o saputo, trarre ognuno affollatamente a go- derne la vista , udirne le parole , mirarne gli atti ; bramare ognuno d'averne gli sguardi, meritarne l'e- stimazione, la benivolenza ; sporne ognuno le gesta, enumerarne le opere, commendarne a cielo i pregi, fino ad esclamare col poeta: Benedetta colei che in te s'incinse ? Che altro è questo, che lo spontaneo omaggio renduto alla sapienza e alla virtù? Che altro è que- sto, che un eccitamento a'giovanetti di raggiungere i vivi esemplari per rendersi degni di quelle stime, di quelle reverenze ? E non ci sentiamo del pari mossi ad emulare i sommi? non nascono in noi gagliardi desiderii di ade- guarli e vincerli ? non ci spuntano lagrime teneris- Della Emulazione 827 sirae mirando le statue, i busti, le iscrizioni, le me- daglie, i monumenti, coti che, trapassali que'beneme- riti, la riconoscente posterità ne mantiene viva, ono- rata e perpetua la memoria ? Quelle viste, que'rac- conti, qucVlesiderii, quelle lagrime scuotono maravi- gliosamente gli animi giovanili, gl'infiauimano all'ac- quisto della dottrina e della virtù: ondechè dal seme tene allignato degli esempi produconsi que'frutti no- bilissimi e duraturi , che rendono eternamenle glo- riosi i secoli e le nazioni. Conciossiecosa colà dove alcun sommo si eleva, tutti in esso, come a nuova cometa, fissano gli sguardi: e la luce di sua sapienza sì largamente si espande in altrui, che appo le uni- verse genti i più celebrali ingegni fiorirono presso che tutti ad un tempo, testimonie le età di Pericle, d'Augusto, di Leon X, di Luigi XIV. Che se in ciò ebbero parte grandissima i guiderdoni e le larghez- ze de'mecenati, non minore per fei'jno ne ebbe l'emu- lazione. La quale fu sempre si reputata, che ove tu voglia darti ad alcuna intrapresa, t'assenna Plutarco a dir teco slesso : Che avrebbe in ciò fatto Platone, che dello Epaminonda, che adoperato Licurgo od Age- silao ? Imitiamo adunque ed emuliamo valorosamen- te que'che furono Maestri e padri di color che sanno ; che non potremo fallire a glorioso porlo. Ma ponen- doci a tale gareggiamento, principale ne corre il de- bito di pesare e cimentare innanzi le nostre forze, di scuoprire e vincere gli nppouimenli che ponno tar- darci il salire, per non rinnovare la temeraria cadu- ta d'Icaro. Riguardisi sovraltutlo che poco suffraga SaB Letteratura metterci alla sola emulazione degl'ingegni, se a quella non ci diamo delle religiose e morali virtù al tutto necessarie alla pubblica e privata felicità ; che non i di soli dotti letterati ed artisti si componeva la so- cietà, ma principalmente d'uomini religiosi, probi ed onesti. .;» Sono alcuni che scorgendo l'emulazione tende- re al soddisfacimento dell'amor proprio , e reputan- dola fonte di passioni disordinate , come l'orgoglio, l'invidia , l'odio , e l'ambizione , vorrebbono che in luogo di eccitarla si avesse a soffocare ne'suoi prin- cipii medesimi. Ne in ciò anderebbono errati, se la sperienza non mostrasse impossibil cosa l'attutare e annullare questo affetto: e se non indicasse altresì il modo con che, utilmente dirigendola, in luogo d'es- ser produttrice di male passioni, ne preserva anzi e guarisce da quelle. E di fatto, movendo dall'orgoglio: è questo un cieco , ingiusto , odioso vizio , non avente maggior nimico di se stesso, né altro spirante che esclusione e preminenza, che nulla concede, tutto pretende, non sopportando comparazione od ugualianza. Laddove l'emulazione, che è cosa virtuosa e cade ne'virtuosi, avvisa la propria minoranza, ha in pregio coloro cui anela uguagliare, ammette altri a concorrenza, am- mira gli emulati, studia conoscerli, avvicinarli, rico- piarli in se. L'orgoglio, gonfio del suo merito, non vede che quel solo, si piace delle sue gloriose ven- ture, non s'accorge di chi lo trapassa, vive di con- traddizioni e repugnanze; né sa poggiare in alto che coll'abbassamento dell'altrui grandezza. L'emulazione all'incontro sente di non aver peranco poderose le ali; aspira sì a riportare le palme, ma sa che può incon- Deli-a Emulazione 829 trare le sconfitte: avvezza a partir le corone co'ga- reggianti, trionfa, ma con moderazione; la temenza (li mal successo le impedisce esagerare i lodevoli fat- ti ; e per tal modo non è l'emulazione cagionatrice di orgoglio, ma sì bene compagna della modestia. Ingenererà forse 1' invidia ? Riguardisi alla na- tura di quest'indomita passione, che non fu confes- sata giammai. Mentre ella s'affanna a calcare gli al- trui meriti, li solleva; divulga e commenda colle sue; punture ciò che distrugger vorrebbe, riconoscendo co- si btupldarnente quella maggioranza che l'avvilisce e tormenta. L' invidia è sempre straziata dalla vergo- gna, dal cruccio, dalla perturbazione : la fredda sua malignità si striscia come serpe nelle occulte latebre della viltà, opera senza rischio, senza sudoi:i , senza vigilie, senza nobile ardimento alcuno; mevcecbè po- co studio ricercasi a seminare scandali, sospetti e ca- lunnie. Il savio ben sapendo che Morde e giova l'invidia e non isfronda Il suo soffio l'allor, ma lo feconda, yui\ oppone al maligno suo dente solenne disprezzo, co- stanza d'animo saldissima; che la buona coscienza, la quale il francheggia Sotto l'usbergo del sentirsi pura, fa che contro i sordi colpi de'malevolenti Sta come torre fermo, che non crolla Giammai la cima per soffiar di venti ; 33o Letteratu ra che anzi dirittamente pesandone i sozzi vituperi, li reputa come una sonora ciancia, Come l'insulto di villana auretla D'abbronzato guerriero in sulla guancia. Peste costoro della società, meriterebbono esservi pri- ma dimascherati, e poi affatto sbanditi ; ma Non ragioniara di lor, ma guarda e passa. ' ■ Or, ponendo a confronto questi veraci caratteri dell'invidia, ninno vediamo confarsene colla emula- zione. L'uomo, che sente la potenza del proprio in- gegno, ha la nobile fidanza di levarsi quando che sia ad alti e sublimi voli: ed emulati e pareggiali i gran- di intelletti, entrare loro innanzi ancora. Ma si as- seeura pervenire a ciò coll'esercizio delle vu'tù, culle fatiche, colle laudevoll industrie, non mai colla fro- de, colle maldicenze, col deprimere altrui per innal- zare se stesso. Laonde invidioso si fa l' uomo tosto- chè vede non bastargli l'ingegno e le forze per esse • re emulo : e la emulazione sola spegne , non desta l'invidia. Desterà dunque l'odio ? Mai no, signori: poiché sendo l'odio uno sdegno confermato nell'animo di al- cuno, un permanente desio dell' infelicità di coloro cui toglie di mira , non può concitarsi da lei , che solo gareggia a conseguire i beni dell'animo, che pro- cacciano onoranza, cogli spedienti più commendevoli e sudati. L'emulazione sorgendo dalla slima, la sti- ma è la prima base; LLtU'amistà. Di qui è la saldezza Della Emulazione 33^ de' legami , che stringonsi alle scuole nella prima gioventù, che sogliono annodarsi appunto fra gli alun- ni « avanti la medesima forza d'ingegno, e che so- » no avezzi a contrastarsi la palma e a conseguirla » vicendevolmente. Da questa vicenda di vittoria e » sconfitta nasce una reciproca estimazione, la qua- » le trae seco le più intime attinenze opportuiiissi- » me a consolidare di poi le amicizie ». Ove fosse mestieri fortificare con esempi, non essere l'emulazio- ne producitrice di odio, recherei quello di Pedareto, che escluso in Isparta dall'ordine de'trecento, allegra- vasl che nella sua patria tanti fossero i cittadini mi- gliori di lui; recherei quello di Esdiine , che sban- dito d'A-tene per la tonante eloquenza di D'emustene, questa medesima altamente commendava in Rodi : e varrebbe per tutti quello di M. Tullio, di cui l'an- tica eia non ebbe forse uomo più avido di gloria. Questi, morto Ortensio, celebrato oratore che lunga pezza aveagli contrastata la palma nell'eloquenza, co- sì dolorosamente lasciò scritto di lui nel Bruto: « La- » mentavami d'aver perduto un compagno, e parle- » cipe di mie gloriose fatiche. Perciocché se negli. » studi dell'arti men gravi abbiamo memoria che no- » bili poeti si sono della morte di poeti doluti, con » qual animo aveva io a comportare la perdita di » lui, col quale era più glorioso gareggiare, che al « tutto non averlo avversario ? Specialmente non es- )) sendosi giammai posto impedimento o da me alla » sua, o da esso alla mia carriera: anzi all'incontro » essendoci sempre prestati alterno aiuto col comu- » nicare, coU'ammouire, col favoreggiare ». Né con disformi sensi ei ragionava di M. Marcello, il quale, spente le guerre civili, ricusando sottomettersi a Caio 332 Letteratura Cesare vincitore, e Tullio parimenti non reputando a se dicevole favellare nella curia, rompea in queste notevoli parole: a Io mi doleva e fortemente mi at- » tristava veggendo che un uomo tale, stato nel me- n desimo partito cbe io, non si trovasse nella condi- » zione istessa ; né persuader mi poteva, ne lecito » avvisava di ripigliare 1' antica mia consuetudine , )) tolto queir emulo e imitatore degli studi e delle » fatiche mie, e quasi da me disgiunto un seguace » e compagno ». ' L'ultima accusa, che ferisce l'emulazione, è cìie sia fomentatrice di ambizione: per la quale se inten- desi l'onesto coritendimento mosso dall'amor genero- so della gloria, la brama di avanzare gli uguali , di salire a grande rinomanza ponendo a ben fare l'in- gegno, e vantaggiando la patria e l'umana famiglia, questo affetto nasce fuor di dubbio dalla emulazio- ne; anzi è l'emulazione medesima : ma se per ambi- zione s'intende la stolta avidità d'innalzarsi senza va- lore e senza ingegno, di pervenire alla dignità, agli onori, agl'intendimenti suoi con mezzi contrari , e .turbatori della giustizia e della comune utilità, que- sto malnato vizio procede da tutt'altro; e cioè viene originato da difettuosi ordinamenti, e da opinioni as- surde, che guastano e corrompono il viver civile. Dal che dirittamente consegue, non essere l'emu- lazione incentivo dannoso atto a suscitare male pas- sioni: doversi anzi riguardare, siccome fecero i legi- slatori e moralisti , qual fonte di tutti gì' ingegni e di tutte le religiose e civili virtù. Conciossiachè aven- do a scopo la sapienza, gl'incolpati costumi, le no- bili e magnanime imprese, e tutto che può guidare al conseguimento della fama, della lode e della feli- Deliba Emulazione 333 cita, non v'ha di lei cosa più onesta, più laudevole, più bella, più necessaria, più fruttuosa. Piange Tu- cidide agli applausi che l' intera Grecia tributa alle storie di Erodoto , e quelle lagrime 1' infiarnmano a rapirgli la palina. I trofei di Milziade tolgono quiete e sonno a Temistocle : ma guari non varca che la fama di Salamina vince ed oscura i campi di Mara- tona. Deplora Alessandro che l'epica tromba d'Ome- ro non canti di lui, come d'Achille: ma i versi della divina Iliade lo traggono a sublimi imprese, e riem- pie di sue conquiste e di suo nome il mondo. La gloria delVardito ligure accende di emulo ardo- re yiinerico Vespucci^ e compie il discuoprimen- to di qitelV emisfero , che da lui tolse ingiusta- mente il nome. Innamorate, prodi giovanetti , innamorate della religione, della virtù, delle ottime discipline: e fa- cendo a prova fra voi, imitate que' grandi, che nobi- litarono la vostra patria e quest' Italia, maestra d'o- gni sapienza alle universe genti. Beati i sudori, care le industrie, felici le fatiche, dolci le cure, dilettose vi torneranno le vigilie, se emulandovi l'un l' altro studierete toccare a tutte forze la meta, che vi siete proposta. Frattanto , eccelso principe , sollecito custode della felicità del vostro gregge, per cui sì fioriscono 1' arti e le scienze nella italica Atene , specchio di virtù splendidissime, lume d'ogni bel sapere, che coli' altezza degli esempi e co' secondi auspicii i lodati studi proteggendo, fervidamente a coltivarli incuora- te, di che n'è dolcissima prova l'esservi degnato ono- rificare di vostra presenza l'odierna celebrità: deh! pe'venerandi magistrati, pe'miei colleghi , per me vi 334 Letteratura pregò, questi giovanetti, cfie crescono a sì belle spe- ranze, ricevete nel vostro favore e padrocinio: ch'es- si reggendo che innanzi a voi non si acquista gra- zia senza ben meritare nella pietà, nella costumatez- za e nella dottrina, mettendosi in cuore fiamme di nobile emulazione , gareggeranno tutti , che a' lieti incominciamenti gloriosi e felici rispondano gli effetti. Dante e la filosofia cattolica nel tredicesimo se- colo, di A. F. Ozanam. Versione italiana con note di Pietro Molinetti. Milano dalla socie- tà tipografica de^ classici italiani 1841 in 16, di fac. 384. kC5e di alcuna insegna avesse dovuto ornarsi questo giornale , che stette contento al semplice titolo di arcadico, avrebbe voluto stamparsi in fronte l'effigie di Dante ; come alcun altro della beata penisola si tolse l'effigie del Petrarca. Ne senza buona ragione sarebbesi tolto il lume dall'Alighieri ; dacché fedele alla ristaurazione delle lettere, che cominciò qui stes- so e si propagò nella colta Romagna ( dove riposano le ceneri e bella riluce la gloria di Dante a tutto il mondo ) consacrò le sue pagine ad onorare il poeta filosofo, dichiarando il bello ed il vero, che egli ne lasciò nelle sue pagine immortali. Questa specie di culto ben si doveva a quell'alto spirito, che nelle co- se della filosofia senti tanto innanzi, e sorvolando il basso mondo visitò i tre regni dell' altra vita colla Filosofia di Dante 335 scoria della ragione, finche questa poteva; e coU'al- tra della rivelazione, quando la prima l'abbandonava. Non mancò forse chi fu tentalo di bandirci addosso la croce, perchè pareva togliessimo a idolatrare quasi un profano ; ma i savi furono testimoni , che men- tre esaltavamo il poeta noi sapemmo contenerci. Del resto se altri prima di noi aveva gettato nel fango tutte le erme di Dante, uopo era rialzarle a volere la lingua pura, la poesìa evidente, e il regno stesso della filosofia illeso dalla guerra de'sensualisti e de- gl' idealisti. Una nebbia uscita dall'arido settentrio- ne minacciò e minaccia ancora il bel sole delle no- stre lettere; ma, grazie al cielo, chi non vuole esser cieco ci vede e ci vedrà; dacché la luce è sempre la luce, il bello è sempre il bello, e sua ragione è nel- l'ordine , che ha sua ragione egli stesso nell' ordine immutabile eterno. Molti che tenevano chiusi gli oc- chi li apersero, ed ardono incensi non più alle are del folle romanticismo» ma a quelle del saggio clas- sicismo, seguendo le orme del sommo Alighieri, che non solo ideò di sposar quasi 1' antica sapienza alla nuova, ma lo fece. Parliamo non solo de'noslri, ma di alcuni illustri stranieri : uno de'quali sugli Stadi di Dante scrisse l'articolo dato da noi nel tomo 69 a pag. 3oi. E s'egli è vero, che poca favilla gran fiamma seconda, possiamo esser lieti, che la nostra voce e il nostro esempio, poca favilla^ produsse gran fiamma, cioè quell'amore ben giusto alle cose dell' Alighieri, che oltremonte eziandio si va propagando. A tacere di altri fatti , chi può lasciare inosservato il favore, non che in Fi'ancia non ha guari è siala accolta la versione della divina Commedia , che in quell'idioma ne ha fatto P. A. Fiorentino (chiaro spi- 336 Letteratura rito napoletano ) sì bellamente ila innarnorarno i più- schivi , e da vincere quanti in quella fatica ebberlo preceduto ? Dante, come altri disse, è come un gran mondo; ma a portarlo ci vogliono le spalle di Atlan- te. Questo noi ripetiamo a proposito dell'operetta te- ste regalataci dal giovane signor Ozanam , il quale ha tolto a ritrar Dante e la fdosofia di quel tempo. La quale fdosofia meglio dovea dirsi razionale , sco- lastica, o se si voglia antica od italiana, rispettando quel sacro nome di cattolica; a meno che non ab-' bia a tenersi puramente per sinonimo di universale: nel qual senso ancora sarebbe troppo allargare rispet- to alla sapienza dell'Alighieri, che molto vide, e piiì innanzi de'passati e de'contemporanei , e precorse i secoli avvenire ; ma non tutto vide, ne lutto bene. Anch'agli talvolta fu uomo, sempre fu poeta ! Benché tra' poeti volò certamente come aquila , rinforzando quasi le penne nello spirito divino, che fervido è ogno- ra nelle scritture sante, fervidissimo nella misteriosa apocalisse. Ma TOzanam si fa queste ricerche : Che è la filosofia, di Dante ? Quale ne è il fondo ? La forma, gli antecedenti ? Pila d'uno de'nostri appli- cò l'animo, quale ad aprirne il senno dell'Alighieri riguardo al più alto oggetto della scienza, che è Dio'. e noie sono le disquisizioni teologiche del p. Berti. Io spesso raccolsi osservazioni per isvelare il senno del poeta riguardo all'altro oggetto della scienza uma- na, che è il mondo fisico, com'è a vedere in que- ste carte [tom. 28 a pag. 120, e toni. 56 a pag. 233). Dell'altro oggetto delle nostre conoscenze, che è Vuo- mo, giusta la mente del poeta, occuparonsi gli espo- sitori del Convito e della Vita nuova e della stessa divina Commedia, che tanti furono e sono, come è Filosofia di Dante 337 ttìanìfesto a chi non è nuovo alle nostre lettere. Quan- to al nioìido civile e politico ^ avemmo a questi gior- ni, per tacere Ji altri, e del Balbo singolarmente, chi ne diede le osservazioni sulla divina Commedia con- siderata come Opera patria^ sacro-morale, storico-^ politica ( toni. 82 a ptig. 332 ). Ben si può dire che da Benvenuto da Imola , anzi dal Boccaccio, sino a questo tempo, nil intentatum nostri liquere riguar- do al senno e all'onore del poeta fdosofo; che que- sto nome per eccellenza, meglio che il vanto di di- vino, consentir vuoisi all' Alighieri. Mancherebbe il giorno chi volesse noverare tutti i cortesi spiriti, che si occuparono dell'Alighieri: di lui, che al nostro se- colo persuase e insegnò non pure e lingua e stile ac- comodati alla varietà della condizione civile e poli- tica e degli accidenti di essa ; ma nella filosofia ra- zionale fu quasi lume a que'due, che oggi risuscita- no la quasi morta sapienza italica, il Mamiani e il Rosmini; che a tutti mostrano come filosofando si pos- sa sentire e scrivere degnamente, o per dir più ve- ro, italianamente. Ma per tornare al libro dell'Oza- nam, eccone la partizione: Parte I. a. Condizione religiosa^ politica^ in- tellettuale della cristianità dal secolo XIII al XIV\ cause che favoriscono lo svolgimento della filosofia. h. Filosofia scolastica del secolo XIII. e. Caratteri particolari della filosofia italiana. d. P^ita, studi, genio di Dante ^ Disegno ge- nerale della divina Commedia : come Velemento fi- losofico vi si trovi. Parte II. Esposizione delle dottrine filosofiche di Dante ( 0 meglio delle dottrine morali ; restrin- G.A.T.LXC. 23 338 Letteratura cendosi alle considerazioni del bene e del male nel concello del poeta fdosofo ; quando dovea esporsi il senno di Dante, altresì riguardo alla fisica ). Parie 111. a. Estimazione della filosofia di Dan- te: analogia colle dottrine orientali. b. Eapporti colle scuole delV antichità : Pla- tone^ Aristotele. - Idealismo, sensismo. e. Rapporti colle scuole del medio evo. S. Bo- naventura, s. Tommaso: misticismo, dommaticismo. d. j4nalogia colla filosofia della natura: em- pirismo , razionalismo. e. Ortodossia di Dante. Parte IV. Ricerche e documenti per servire alla storia di Dante e della divina Commedia. Onore alla fdosofla del medio evo , troppo di- sprezzata finora : a quella, che accolta nei canti del poeta filosofo, non e più privilegio di pochi, ma re- taggio di tutti : che non rade la terra, ma vola pe' cieli : che mostra come amore ci stringe a Dio e agli uomini : che non pone la morte quasi ultima linea delle cose , ma come la prima linea della eternità : che non si divide dal consorzio civile per chiudersi tra le cortine della scuola ; ma dalla capanna del povero va alle torri dei re, e ahbraccia l'universo fi- sico e morale ! Onore alla poesia, che si sposa alla vera filoso- fia, ne si perde in isvenevolezze d' amore ed in ro- manzi ; ma il bello e il buono ed il vero fa chiaro, anzi evidente ad ogni sano intelletto; e non conten- ta a quella triplice armonia de'pensieri, e de'pensieri colle parole, e delle parole tra loro, accorda il pen- siero con ciò che è, onde la verità; accorda le pa- role con ciò che dev'essere, onde la moralità : si fa Filosofia, di Dante SSg maestra dell'orcline allo specchio della natura e della rivelazione. Ecco il sommo dell'arte poetica, ecco la gloria di Dante più presto unica, che rara certamen- te : gloria non raccomandata ai trionfi della G^.recia sopra la famosa Troia, come la gloria d'Omero ; non ai trionfi di Roma sul debellato mondo, come quella di Virgilio : ma bella e viva nel trionfo dell' ordine sul disordine , della virtù sul vizio , della sapienza sull'insipienza ; trionfo maggiore d'ogni trionfo, per- chè non caduco e terreno , ma immortale e celeste : nella quale aureola di gloria che splende al capo del- l'Alighieri una gemma riluce sull'altre , quella dell' amore ; non dico Tamore della sua Beatrice, ma un altro amore, che nelle anime gentili primeggia , l'a- more della patria e della religione ! L'accademia e il liceo sono aperti al poeta, che saluta passando rea- listi e nominalisti, e previene il sensismo e lo spi- ritualismo, che nelle vicende delle opinioni doveano poi contrastarsi il regno della filosofia. E si solleva al trono irremovibile della religione, anzi al soggior- no della beatitudine ! Di tutte le concezioni del me- dio evo, che emersero dalle scuole cristiane, arabe j alessandrine , latine e greche, e fino da quelle dell' oriente , come un insigne prodotto sembra all' Oza- nam la Divina coinmediu\ ma non si argomenta sa- lire alle fonti di essa , ch'egli avrebbe trovate nella scrittura santa : ne si avvisa misurare tutta quant'è questa pianta sublime, che negli abissi ha le radici e si distende pe'cieli fino colà dove si perde la stessa immaginazione, che non conosce confini : rammenta al proposito l'esempio di un chiaro spirito, che sco- perse una infinità d'insetti sopra una pianta di fra- ghe, e dopo avervi meditato sopra da venti giorni si 34o Letteratura rimase confuso innanzi alle maraviglie della pianta fe- lice. E trova seco lui il mondo, che non è cieco, am- mirare l'altissimo poeta; e non disdice a Raffaello, che nelle sale del valicano, colà dove piuse l'au'gu- stissimo Sacramento sur un altare nobilmente eretto tra il cielo e la terra; il cielo che s'apre, e in que- gl'immensi splendori lascia vedere la Triade e gli an- geli e i santi; la terra, e sulla terra un grande al- tare, cui fanno corona pontefici e dottori della chie- sa : quel raro ingegno pose tra i gruppi all' intorno una figura che sorge severa e nobilissima, ed ha alla fronte non mitra o tiara; ma una ghirlanda d'alloro. Quegli , quegli appunto è l'Alighieri , la cui divina Commedia al tempo dell' urbinate dalle cattedre si spiegava a Firenze, a Pisa, a Piacenza, a Venezia, a Bologna; per lasciare di altri onori al poeta, degnis- simo di ogni onore non pure in quel beato secolo, ma nel nostro altresì , e in tutti que' che verranno desiderosi di vivere nella immortalità ! E sia pure , che l'invidia e la fortuna contrastino : finché la re- ligione starà, starà eziandio il poema sacro, a cui già posero mano e cielo e terra ! Studino in esso quanti amano la bellissima delle favelle , il senno antico e nuovo, la fede. Studino con amore, e avranno lume alla mente, e al cuore consolazione. Studino nel tem- po, e s'invaghiscano della beata eternità ! D. Vaccolini. — 8»«^0®33^»— 3L Elogio del marchese Giuseppe Antinori di Pe- rugia recitato nel serbatoio di Arcadia il i dicembre 1841 dal cav. Francesco Fabi Man- tanif uno de^ sottocustodi del medesimo. ■<»»«»■ SPINELLO DE' MARCHESI ANTINORI PATRIZIO PERUGINO PRELATO DOMESTICO UELtA SANTITÀ* DI NOSTRO SIGNORE PONENTE DELLA SACRA CONSULTA PER virtù' SAPIENZA E AFFABILITÀ' DI MANIERE quanto altri mai commendato questo breve elogio di un genitore tenerissimo tanto da lui amato imitato e pianto l'autore IN SEGNO DI AiMlClZlA E DI STIMA OFFRE E CONSACRA »»»« E, Ira ben convenevole, valorosissimi accademici, che anche in questa nostra arcadia con prosa e con versi si onorasse la memoria del marchese Giuseppe Antinori, il quale, morto in Perugia sua patria il 12 del iSSq, attendeva da voi suoi carissimi questa ultima testi- monianza di amore e di stima. La quale se per forse tre anni venne differita, per altro motivo non fu, se 342 Letteratura non per le acerbissime perdite che in sì breve tempo facemmo. Imperocché essendosi da non molto intro- dotto il costume di rendere tale omaggio agl'illustri defunti al riaprirsi dell'anno accademico, furono lut- tuoso argomento alle due prime generali tornate que' cari nomi di Diodata Saluzzo e di Luigi Biondi (i), luminari delle italiane lettere, che sempre belli risplen- dei-anno finché il buon gusto avrà sede in Italia. Che poi io, ultimo fra tutti voi per ingegno e per istu- dio , sorga oggi per primo a parlare, il vorrete con- donar di buon grado alla bontà e gentilezza somma del valentissimo monsignor Gabriele Laureani, no- stro generale custode e prefetto della biblioteca vati- cana, il quale degnò scegliermi a siffatto onorevole in- carico, mosso, io mi penso, non da altro motivo, se non da questo cioè, che ancor io per canto di madre appellare mi posso perugino, e gloriare non solo della nobile cittadinanza di un municipio cosi cospicuo; ma di essere eziandio in qualche maniera di affinità con- giunto alla famiglia Antinori. Premesse a mia giusti- ficazione tali cose, tralasciando la privata vita del no- stro Giuseppe, ed i pubblici impieghi, che per verità furon pochi, non perchè non sapesse o sostenerli o me- ritarli, ma perchè amantissimo della quiete e degli stu- di, quasi sempre li ricusò, mostrerovvi come e colle opere date alla luce, e co'letterari offici sostenuti con tanto zelo, giovasse mai sempre all'avanzamento della italiana letteratura : nobilissimo e santissimo fine che (i) Ambedue le raccolte furon date alla luce per particolare cura della contessa Dionigi Orfei, la prima co' tipi Salviucci nel i84o, la leconda con ({uelli del Monaldi nel i84i. Elogio dell' Antinori 343 fu da lui pienamente ottenuto; quando, come spero, vi piaccia coU'usata benignità di ascollarmi. Se gli uomini si lodarono mai sempre della lor patria, ancor che questa fosse umile ed abbietta, che non dovrà dirsi dell' Antinori , che vide la luce in una città ragguardevolissima, tra le più famose dell' antica Etruria, e che tanta copia di uomini insigni in ogni arte, in ogni scienza, ed in ogni tempo pro- dusse da meritare a ragione il nome di Atene del- l'Umbria ? Ne solo la palria, ma nobilissima ezian- dio ebbe la prosapia, discendendo da famiglia risplen- dente da oltre a due secoli per dovizie , per magi- strature, e per congiunzioni di sangue chiarissime. Lascinsi però siffatte lodi a coloro, i quali soraiglievoli sono a que'corpi celesti, che brillar non potendo di pro- pria luce, abbisognano dell'altrui : e, come ci siamo proposti, consideriamo nell'Antinori quello che fu tut- to suo, ed in cui non ebber parte né la fortuna, ne il caso. Infatti fin dalla puerizia ed assai per tempo incominciò a mostrarsi voglioso delle lettere, cui sotto valenti precettori applicò nelle domestiche mura fin quasi al terzo lustro (i ]. Mancatagli però la madre, fu dal genitore, secondo il costume della nobiltà pe- rugina, inviato in Siena al famoso collegio de'Tolo- mei, diretto dai padri delle scuole pie, sì benemeriti della letteraria e civile educazione. Ivi più che alla musica, alla danza , alla sclierma , e a quegli altri esercizi, che propri essendo di un gentiluomo, chia- (i) Nacque il 3i marzo 1776 dal marchese Girolamo, e da Aana Raffaeli di Cingoli, la quale ebbe onoialo posto tra le pa- storelle di arcadia. 344 Letteratura mare soglionsi con generico nome cavalleresclii, pro- fittò nel disegnare, nelle lettere insegnategli da Fer- dinando Gori da Milano, e nelle filosofiche scienze che gli vennero dischiuse da quel profondissimo inge- gno di Urbano Lampredi. Quattro anni dimorò in quell'islituto, ove fu dai giovanetti suoi compagni (i) e dai maestri amatissimo; impei'ocehè vi die tali saggi di avanzamento da esser non solo aggregato a quell'ac- cademia di belle lettere, ma da venire eziandio ascrit- to col nome di Bargilide Scilleo a questa nostra arcadia, ove bella di lui era precorsa la fama. Infatti condottosi in Roma nel lygS, ed entrato per convittore nella pontificia accademia ecclesiasti- ca, la quale per la protezione di Pio VI fioriva di una eletta di giovani i più ragguardevoli d'Italia, per confortarsi dai gravi studi forensi (2) cominciò a fre- quentare le nostre tornate: e dai primi componimenti c]\e udire vi fece, non ismentì le speranze di lui con- copute. Avendo poi stretto amicizia col Biondi , col Perlicari, col Santucci e con altri giovani di tal fatta, nacque tra essi bella gara di emulazione : ed erano amatissimi e lodatissimi dal Godard, dal Solari, dal Gagliuffi, dal Petrucci, e da quegli altri buoni arcadi, che lutti si allegravano in veliere le nuove piante ere- scere sì rigogliose e sì belle in quest'accademia , la quale (checche ne dicano gl'invidiosi e i malevoli) sarà sempre in onoranza presso i buoni e i discreti. (i) Tra que'giovani, con cui ccmtrasse più particolare amici- zia, devesi ricordare il conte Bernardino Montani, patrizio spo- lelino, in oggi segretario di quell'accademia degli ottu»i, al qua- le si mantenne alfezionato in tutto il tempo della sua vita, (2) Usò pure allo studio dell'avvocato Secondo Biamonli ge- novese, ch'ebbe a particolare precettore di giurisprudenza civile. Elogio dell' Antinori 345 Avvenute però quelle vicende, che diedero si fu- nesto termine al secolo XVIIl, innondata Roma da truppe straniere, e chiusa l'accademia ecclesiastica , volto appena un anno ripatriò l'Antinori: e siccome per ordinario una disavventura non suole iscompa- gnarsi da un'altra , perdette anche dopo non molto il genitore. Conohbe allora vieppiù la necessità di ricavare un conforto dagli studi : e , vago com' era della tranquillità e della quiete, nella divisione del paterno retaggio (i) scelse la tenuta di Serra Bruna- monte in quel di Guhhio , forse perchè non lungi era Cormollaro, ove Bosone Raffaelli, dalla cui famiglia discendea l'Antinori per parte di madre, avea accolto 1' esule ghibellino, e sulla fede di alcuni non medio- cri istorici vi aveva eziandio composto parte della di- vina Commedia. Pertanto ritirossi in Gulibio per al- cuni anni: e ricordevole, clie a dar fama negli studi non bastano ne i rinomati collegi, ne gl'illustri pro- fessori , poiché altro i maestri far non possono se non indicare ed agevolare la via, vieppiù si diede alle lettere e allo studio della sapienza. E però da se stes- so ripeter volle filosofia, ossia quella scienza che in- segna a ben comporre e dirigere le idee , e quindi con profondità leggere ad uno ad uno i più forbiti scrittori del secolo di Augusto. In pari tempo non tra- scurava i classici italiani: ed essendosi imbattulo in un'epoca, in cui per verità la nostra lingua alquanto (i) Il 5 mHggio i8oi si congiunse in matrimonio colla nobile donzella signora Celidora figlia del fu Tindaro Alfani e di Elisa- betta Beaussier di Tolone, che il fece padre di quattro maschi e due femmine , cioè Spinello , Annibale, Alessandro, Luigi, Te- resa ed Ester- 346 Lktter atura si malmenava, o per dir meglio, s'imbastardiva , at- tese particolarmente ad isvolgere le bellezze dell'Ali- ghieri e ad imitarlo , non già in quella servile ma- niera , che ne ripete i più antiquati vocaboli , o le frasi più oscure ed inusitate , ma ne' franchi modi , nelle ardite costruzioni , e nelle bellissime similitu- dini, tratte da tutte le fonti dell'umano sapere. Tem- perava poi lo studio di Dante colla dolcezza del Pe- trarca, addestravasi al patetico e all'ordine nella Gè- rusalemme, e tutto infiammavasi a quegli arditi voli, che tanto sugli altri cigni levarono il cantore delle donne e degli amori. E però « Sullo stil de'moderni e il sermon prisco, giunse a formarsene uno tutto suo, pieno di elegan- za e di chiarezza, nitido in modo che parca la stessa venustà. Ma la vista di quegli ameni campi, ove lungi dalla città solca dimorare la più gran parte dell'anno, il caro silenzio di quelle solitudini, il suo naturale inchi- nevole al melanconico e al tenero, lo invogliarono di non più scrivere poesie a talento, o di tradurle dal latino, come spesso per suo esercizio avea fatto, ma di volgere in italiano gl'idilli di Gessner, ch'empiva- no allora del loro nome la Germania e l'Italia. Nacque, come tutti sanno, questo poeta in Zurigo nel lySS, vi mori nel 1788; e, allievo più della natura che dell' arte, seppe in un modo tutto suo dipingere alla mente e parlare al cuore (i). L'amore degl' innocenti pia- (i) Vedasi il beli' elogio del Gessner, che il eh. sig. Filippo Mordani lesse nell'accadeinia di belle arti di Ravenaa il giorno Elogio dell' Antinori 347 ceri, le lezioni di una pura e dolce morale, la feli- cità dipinta sotto mille variati aspetti formano il pre- gio di questa poesia pastorale, di cui non si può ne- gare averne ampliati i limiti, ne'quali era ristretta; e però esser forse tra i moderni 1' unico da gareggiar cogli antichi. Così dalla brevità del tempo non mi venisse conteso , come volentieri vorrei diffondermi su questo genere di poesia, e parlare primieramente di Teocrito, di Mosco, di Virgilio, di Calpurnio, di Nemesiano, de'loro latini imitatori Petrarca, Boccac- cio, Poliziano , Azzio Sincero e Pontano, non che degli altri, che scrissero in volgare, incominciando dall' Aminla e dal Pastor fido, e quindi istituire tra il Gessner ed essi un filosofico paragone ! Ma riser- bandolo agli eruditi ed ai dotti, dirò che l'Anlinori, datosi a questa versione, non molto dopo ne venne a capo. Egli non la fece già tutta in verso, come pria di lui altri aveano tentato: ma ora imitar volle Forigi- nale che si era in un idillio stesso valuto di poetica prosa intramezzata di verso : ed ora o per intero li tradusse in verso, o in quella ornata prosa, di cui usa- rono il Fenelon nel Telemaco, ed il Verri nelle notti romane. Avendola felicemente compiuta, la pubblicò nel 1807, e la dedicò all'ombra del suo Gessner, tra- ducendovi pure la breve prefazione sul modo di poe- tar di Teocrito. Era questo il primo saggio poetico, cui nell'Italia della solenne distribuzione de'premi 17 giugno 1840: elogio nel medesimo anno pubblicato in Bologna nel giornale letterario scentifico italiano, ristampato in quest'anno in Ravenna da Lodo- vico di Giovanni Barlolotli, ed estratto dalle prose varie di que- sto eletlissiuio scrittore, che a motivo di onore abbiam ricordalo. 34^ Letteratura si affiliava la fama dell'Anlinori, e tremando il met- teva alla luce : ma ben presto il confortavano gl'im- parziali giudizi de'giornalisti, gli applausi degli amici, e le lettere congratulatorie de'dotti. In fatti ehi gliene lodava la disinvoltura, chi chiamava la traduzione senz* affettazione o lambicco , e chi la riputava atta ad insinuare la placida dolcezza che spira dall'originale. Soavissima e carissima dieevala il Pinderaonte: stam- pava il severo Mariottini (i), che per lei sarebbero ite in dimenticanza le versioni del Soave e del Bertòla: risplender la prosa per quella elegante e difficile fa- cilità, che celando l'arte, tocca il cuore, abbellisce la natura ; ed essere la poesia non solo non ischiva, ma sfolgorantemente adorna di vaghezza, non disgiunta da calore e da semplicità. Bellissima ed elegantissi- ma la predicavano la Bandettini, il Monti e quanti altri aveano la dittatura nelle lettere. 11 quale giudi- zio, pronunziato allora dai dotti, ancor dopo selle lu- stri non è venuto meno. Furono gl'idilli dell' Anti- nori ricercati oltremonte, senza saputa dell'autore ri- stampati in Pisa nel i8ao: e quantunque in appresso anche da altri valenti sieno stati tradotti, solo il ca- valiere Andrea Malfei , s'io non m'inganno, potrà a lui contender la palma. Ma non furono soltanto le poesie gessnerlane quelle, che levarono in fama l'Antinori. Molte egli e di vario metro ne dettò, o traducendole dal lati- no e dal russo Kriloff, o scrivendole all'occasione, ed inserendole ne'giornali o nelle raccolte. E per- chè non andassero smarrite, molte di esse al volu- me XXXXVIII del parnaso degli autori vìventi furo- no pubblicate in Pisa nel 1821, dolendosi gli editori (i) Mese ìotterario, unno 1809. Elogio dell* Antinori 349 che questo castigato scrittore avesse formato una scel- ta, in cui era stato anzi avaro che largo. Infatti non più di 39 sono i componimenti ivi raccolti. Il giorna- le pisano e molti altri applaudirono a questo serio di fiori, che sarà sempre caro alle muse, ed in cui tut- ta traspare la candida anima dell'autore. Ed oh ! co- me fra le altre ti tocca il cuore quell'ode saffica per l'improvviso ritorno de'figli, che per decreto imperia- le due anni avanti avea dovuto inviare in Francia al militare collegio della Fleche ! oh ! come tutto si ab- bandona alla tenerezza paterna: oh ! com'è bello l'u- dirlo esclamare : Vi stringo, o figli, lungo mio sospiro, Or mio conforto e mia crescente speme, Del sofferto destin per voi m'adiro, E piango insieme. Memori ne vivete, ardavi affetto Di patria ognor d'itali spirti degno, E di giogo slranier vi morda il petto Eterno sdegno. E questo modo dì poetare sempre più si affinò nell'An- tinorl, porgendocene esempio la cantica in morte del Perticarl, ove quell'incontro con Dante assai cade in acconcio dopo l'ultima opera di Giulio , ed è assai bene maneggiato , toccandosi ogn' importante circo- stanza, e fin quella del monumento innalzato all'Ali- ghieri in Firenze. Ugualmente bella per lo stile, come dicevala il Biondi (i), bella per quell'onda maestosa- (1) Saggio di lettere familiari del marchese Luigi Biondi, pubblicate dal cb, sig. cav. Visconti insieme alla orazione delle lodi di esso marchese. Roma tipografia delle belle arti i84i. Let- tera XIII a carte 57. 35o Letteratura mente sonante, che conduce Insieme ed unisce i pen- sieri, bella in fine per quel delicatissimo accorgimento, con cui tocca delle inimicizie col Monti, è la can- zone in morte del Cesari inserita nell'antologia fio- rentina, e ristampata altre volte. Ma lungo soverchia- mente sarei, se volessi parlare di tutte le poesie dell' Antinori, il quale scherzò eziandio collo stile marina- resco e col satirico; siccome ne fan mostra le can- zonette alla maniera del Tornielli, e l'amenissimo ser- mone sui bevitori delV acqua , scritto ad imitazion del Parini, dove tante sono le vaghe immagini, quante le persone che vengono in iscena. Ma in prosa pure egli valse. Forbitissimi in fatti sono gli elogi del p. don Ranieri Bini, del p. Mas- similiano Ricca, e del dottor Annibale Mariotti: del qual ultimo raccolse e pubblicò gl'inediti scritti. Leg- giadro ed utilissimo è l'articolo sulla memoria stam- pata dal eh. abate Raffaele Lambruschini intorno alle sciiole infantili: come tali pur sono molti discorsi , orazioni, e prolusioni da lui dette in pubbliche e pri- vale adunanze. Che se niun' altra prova avessimo della eloquenza dell'Antinori, questa sola ne baste- rebbe, che volendosi nel 1809 restringere dai fran- cesi il territorio perugino, egli insieme all'avv. Antonio Brizi inviato a Roma orator della patria colla voce e collo scritto tanto operò, che finalmente dalla impe- riale consulta di stato, non sì facile a rivocare i suoi ordini, ottenne quanto bramava. E però non dubitia- mo di trovarle riunite nella edizione delle opere di quest'autore, che in oggi si pubblica in Pisa (i). (1) Dalla tipografia Nistri ai è già dato in luce il primo volu- me in 12 col ritratto dell'autore; ed è preceduto dall'elogio scrit- Elogio dell' Antinori 35 i Se non che finora vedemmo l'Antinori intento solo ad acquistarsi e a meritarsi nome di buon pro- satore e poeta: osserviamo di presente quanto contri- buisse all'avanzamento delle lettere e alla buona istru- zione della gioventù, che in Perugia per lungo tempo potè dirsi a lui precipuamente raccomandala, essendo egli stato professore di letteratura, rettore della uni- versità e vice-custode della colonia. L'aver bene sod- disfatto ad un solo di questi offici, sarebbegli slato di grandissimo onore : che dovrà dunque dirsi di tulli ? Infatti, come 'maestro, intese a dirigere la gio- ventù, che avidamente a lui correva, con saggi pre- cetti, traendoli sì dagli antichi e sì dai moderni, ed informandola non già a quel bello, che somiglievole ai fuochi fatui brilla e ad un tratto sparisce, ma ben a quello, che per unanime consentimento de'dotti du- ra perenne: ammaestrandola ad attingerlo non già dal- la rozza ed informe natura , come vorrebbe pur la scuola boreale, ma dalla natura ingentilita e corretta, a somiglianza di saggio agricoltore , che l' incollo e rozzo albero dalle selve trasporta nel campo, lo inaf- fia, lo alimenta, lo raddirizza e lo pota, affinchè pos- sa ivi poi far di se vaga móstra, ed esser grato al- l'occhio, mentre i frutti se ne rendono più piacevoli al gusto. Cominciava la lingua nostra a mondarsi da que'francesismi e da quel giro di periodare eh' erasi presso i più introdotto, sia per soverchia negligenzat sia pel troppo usare dimesticamenle cogli stranieri. to dal eh. cav. prof. Giovanni Resini, bello per le sentenze di cui è sparso, per gl'insegnamenti che si danno alla gioventù , e per la dotta apologia che vi si fa dell'arcadia a carte XI e seguenti' 3^2 Letteratura Voleano alcuni che ai pensieri e non già alle pareli le si ponesse mente : altri, e con più salde ragioni, rispondeano, apparir più belli i pensieri espressi ne'mo- di i più eleganti e propri della nostra lingua. Non sarò forse ingiusto se dirò che alcuni di costoro per tenere la gioventù più guardinga, ad imitazione de'medici che ai convalescenti diuiegano l'uso non solo di ogni ci- bo insalubre, ma ancora di quelli che forse neppur dannosi sarebbero loro, voleano in tutto e per tutto ri* portata la lingua all'antica rozzezza, usando di ogni vocabolo, di ogni costrutto buono o cattivo, purché fosse stato dai nostri primi adoperato. L' Antinori » come far debbe ogni saggio precettore , e com' egli aveva fatto ne'suoi scritti, tenne sempre la via di mez- zo : notò con grande valentìa e franchezza i difetti di quegli scrittori ; non fu servo ad alcuna scuola : sce- verò l'oro dalla mondiglia, e però a lui principalmente si debbe se Perugia non fu guasta, come alcune altre città d'Italia, dalla irruzione di stranieri modelli. Giovò alla patria letteratura , come rettore di quella celebratissima università, quando e vi stabili nuovi metodi , e vi fece aumentar colle cattedre le provvisioni ai maestri, e si adoperò colla voce e col- lo scritto presso il principe e i suoi ministri, affin- chè quello studio non iscadesse dall'antico lustro, ma vieppiù in fama salisse. E però impiegossi a tutt'uo- mo, affinchè venisse trasportato in luogo più ampio, più magnifico , e più conveniente ; ne fece con so- lenne pompa il primo dicembre del i8io la riaper- tura , recitandovi egli stesso 1' orazione inaugurale ; ed in ogni anno per ben dieci volte al conferirsi delle lauree e de'premì tornò con eloquenti orazioni ad infiammare allo studio la gioventù perugina, ora Elogio dell' Antinori 353 esorlandola a spaziare franca ne' capi di Minerva , quantunque d' ogn' intorno s' udisse il rimbombo di Marte, facendole conoscere quanto debba esser caro al giovanetto e alla patria quel giorno in cui esso è con si bella pompa guiderdonato : ora convincendo i genitori essere il pubblico insegnamento assai più utile del privato : ed ora togliendo altri antichi pre- giudizi alle lettere dannosissimi. E perchè l'università non patisse difetto di libri, con bellissimo divisamento riunì alla biblioteca le migliori opere, che giacendo ne'soppressi conventi, sarebbero, come tante altre di cui lamentiamo la perdita, state pi*eda di un vandali- co dilapidamento (i). Nel 1819 rinunziava sponta- neamente : ma il cardinale Consalvi con amorevo- lissima lettera dei 3 novembre scongluravalo a non lasciare l'officio di i-ettore da lui esercitato con tanto zelo e con tanta sodili sfazion del governo^ chie- dendogli in grazia di m>n privare Vani'^ersitcì delV utile sua presenza. Ciiinando la fronte continuava fino all'agosto del 1ÌÌ21, finche degnamente gli suc- cedeva il eh. ab. don Giuseppe Colizzi romano, tanto di quella università benemerito. Che se, come io spe- ro, verrà dal eh. p. abate don Vincenzo Bini, già pro- fessore di filosofia, continuata la Istoria della uni- versità perugina^ vedrassi allora assai meglio quan- to l'Antinori operasse, e di qual petto e costanza gli fosse d'uopo per ribattere e vincere le insidie, che gli mossero quelle due perpetue nimiche e tribolatrici de'saggi, l'ignoranza e l' invidia. Finalmente come vice-custode non perdonò ne (i) Ciò fu anche a quei conventi utilissimo: imperocché ap- pena furono riaperti se le poteroa riprendere- G.A/r.XC. 23 354 Letteratura a cure ne a spese per far fiorir la Colonia Augusta, la quale nell' anno sesto di questo secolo, dopo la morte del conte Reginaldo AusiJei, fu affidata a lui, che per la solita modestia non solo non voleva, ma con tutta forza ricusava l'offertogli onore. In fatti a sue spese le die nuove e piìj eleganti sale nel suo stes- so palagio, vi aggregò i migliori ingegni della patria, vi tenne piìi frequenti le adunanze , vi pose rigida censura, e serbossi mai sempre in istrettissima unio- ne colla nostra arcadia, comunicandole ogni ordina- mento della colonia per ottenerne quindi, secondo pre- scrivono le nostre regole, la necessaria sanzione. E però il Godard scriveagli nel 1819, rallegrarsi con es- so lui, perchè facesse mirabilmente fiorire quell' ac- cademia. « Sotto un direttore sì esatto (sono sue pa- role), sì istruito, sì pieno di gusto e conoscitore fi- nissimo della buona letteratura, dee prosperar la co- lonia, ed esser feconda di buTOi ingegni. Me ne ral- legro segnatamente in questi tempi, in cui la pleiade de'poetastri annoia per ogni banda l'Italia, contamina il gusto, e tarpa le ali alla buona poesia. » E que- sta medesima unione conservò pure col Santucci e coli' attuale custode : e però anche per tal motivo, attesa 1' assoluta indipendenza , in cui sonosi costi- tuite le nostre colonie, un tempo sì numerose e sì affezionate, merita che da noi il nome del marchese Giuseppe Aulinori sia ricordato con venerazione , con tenerezza e con gratitudine. Il pei'chè mi con- fido di vedere un giorno anche a lui posta lapide di memoria nel bosco parrasio. Se dunque tanto l'Antinori giovò e cogli scritti e cogl'incarichi avuti all'avanzamento delle lettere, non è a maravigliare se venisse aggregato alla romana ar- Elogio dell' Antinori 355 cheologia, alla tiberina, alla colombaria, all'aretina , all'ariostea, e alle più cospicue accademie d'Italia: se fin da giovinetto fosse ascritto al nosti'o collegio de'XII, e se stesse in relazione strettissima co'letterati più illu- stri. Che se venisse in tutto o in parte fatto di pubblico diritto il suo epistolare carteggio, io porto opinione che gratissima verrebbe una raccolta, in cui leggereb- bonsi i nomi della Bandetlini, della Moscheni, della Dionigl-Orfei, delDe-Gerando, del Missirini, del Ricci, del Biondi, dei Monti, del Betti, del Kosini, del Muz- zarelli, del Laureani e di altri moltissimi, ch'erano da intimità di amicizia e di stima coli' Antinori lega- ti. Infatti chi al par di lui fu saggio marito, chi ot- timo padre, chi egregio cittadino , chi pio e sempre religioso cristiano ? Poiché quella pietà, che gli venne istillata col latte, fu in essolui sempre grandissima: e chiare prove ne dette coll'uniformarsi ai divini voleri nelle afflizioni di cui è ripiena la vita, e col praticare francamente e con grande costanza quelle opere, che della nostra religione son proprie. Eppure sol quattro giorni bastarono, perchè quest'uomo da tutti ammirato ed amato, con gravissimo dolore della consorte e de' figli fosse tratto alla tomba, non ancor giunto al ses- santesimo quarto anno di sua età, ossia a quella vec- chiezza, che Salomone chiamò dignitosa corona cVo- nore per Vuomo che camminò le vie della giustiziai Ma di già , 0 valorosi accademici, io vi scorgo ansiosi di celebrare voi stessi, ed assai meglio di me, le sue lodi (i): ed io ancor molto avrei a dire, se fa- (i) I poeti, che sparsero fiorì sulla tomba del nostro Bargilide, furono i monsignori Serafino Grossi decano di segnatura e Pio Barberi; i padri Angelo Bonuccelli delle scuole pie, rellore del collegio nazareno, e Giuseppe Giacoletti del niedesimo istituto, professore di belle lettere nel suddetto colIegio;lc signore contea- 356 Letteratura cessi parlare il mio cuore, e compendiar volessi o gli elogi a lui renduti dai giornali d'Italia, o quanto di lui scrissero con ornate e prolisse orazioni un Fran- cesco Bartoli, un Cesare Massari, un Mariotto An- tinori, un Coriolano Monti (i). Imperocché Perugia, grata a tanto personaggio, e con funerali e con ac- cademie, e con latine e con italiane epigrafi, non tra- lasciò maniera di dimostrazioni per appalesare al mon- do 1' acerbità e la grandezza di si irreparabile per- dita. Chiuderò dunque questo mio umile ragionamen- to colle parole medesime, con cui l'Antinori in que- sta nostra stessa accademia il i3 settembre del 1808 lamentava la morte del Bettinelli : alla cui nonage- naria età avesse pur voluto il cielo che fosse giunto il nostro Bargilide ! O Ausonia, al freddo sasso. Che il sacro cener serba, Volgi dolente il passo; E, di tua sorte acerba Finche il tenor non cangi, Guarda quel sasso e piangi. sa Enrica Dionigi-Orfcì e Rosa Taddei; ì signori conte Tommaso Gnoli decano del collegio degli avvocati concistoriali, abate don Domenico Santucci, Andrea Panzieri ed Egidio Fortini uno de* sotto-custodi del bosco parrasio. Monsignor Laureani, custode ge- nerale, avea preceduto il prosatore con breve prolusione, in cui toccando de'sommi meriti dell'Antinori invitò gli arcadi a ren- dergli questo tributo di amore. (i)Le suddette orazioni furono tutte pubblicate colle stampe: e nel giornale scientifico letterario di Perugia s'inserirono ancora le notizie che della sua vita aveva da se medesimo, e con bella iugeauità, scritte. 357 Bl^Iili^ ikEI'I Raffaello (V Urbino a Città di Castello^ quadro disegnato dal fu projessore Vincenzo Chialli^ descritto unitamente a qualche altro relativo oggetto dal cav. Giacomo Mancini della sud- detta città ^ accademico etrusco di Cortona , floridano.) della valle tiberina ec. Al nobile sig. conte Francesco Carle schi membro del- la congregazione di revisione in Roma. C: littà di Castello, il Tiferno tiberino degli anti- chi , già delizia di Plinio il giovane (i), per molti pregi sempre si distinse, non tanto nella vetusta, quan- to nella moderna età : conciossiachè d'uomini gran- di per santità, per ecclesiastiche dignità, per scienze, per arti, e per guerresco valore ebbe sempre dovizia. Ma a tanti pregi nel principio del secolo XVI quel- lo puranche le si aggiunse, notabile specialmente pei passionati amatori delle arti sorelle e glorioso , di avere accolto i primi slanci dell' inarrivabile genio del divino Raffaello d' Urbino. Egli volentieri vi si recava ; e la prima volta che vi mise il piede , il che accadde verso il i5oo allorché Pietro Perugino 358 Belle Arti suo maestro ebbe a fare una scorsa a Firenze (2), tre bei dipinti di quella sua prima maniera colorì : vale a dire in san Domenico la tavola del santis- simo Crocifisso con a' lati la nostra Donna e san Giovanni in pie ; ed inginocchiati san Girolamo e la Madalena; ed in aria due bellissimi angeli volan- ti, che dalle bande no raccolgono il sangue del Sal- vatore; quindi l'altra in s. Agostino, del s. Nlcco- la dì Tolentino messo in mezzo da diversi angeli vestiti in piedi col comune nemico rovesciato a ter- ra; ed in alto la Vergine, s. Agostino, ed altri san- ti; e finalmente i due stendardi per uso di proces- sioni nella chiesa de' conflati della santissima Tri- nità, de'quali il primo rappresenta l'Eterno, che dal- la costa di Adamo trae fuori Eva nostra malaugu- rata progenitrice ; ed il secondo il Crocifisso con al di sopra della croce il Padre eterno, da'fianchi i santi Rocco e Sebastiano (3). Allorché poi nell' anno i5o4 per la seconda volta vi si condusse, di quella sua seconda o fioren- tina maniera assai più dolce e sciolta operò per la chiesa de'padri conventuali di s. Francesco la cele- bre e preziosa tavoletta dello sposalizio della beata Vergine. Tesori si inapprezzabili sono poi stati do- lorosamente rapiti alla misera città, parte dal palli- do bisogno (4), parte dal rivoluzionario entusiasmo dell'anno T798, per ferocia infando e per ogni sor- ta di empietà (5). Ma finche le utili fatiche dell'are- tino stoi'ico delle arti italiane, finche le sudate car- te di altri preclarissimi biografi saranno in onore , giammai la memoria cancellare si potrà di tal suo vanto; che però a vieppiù nifuturarla il eh. professo- re Vincenzo Chialli, già direttore delle arti del di- Pitture di Raffaeixo 35g isegtio in Cortona , concepì la nobile idea di rap- presentare e riunire tutte le sopraddette opere in un solo di que' tanti suoi preziosi quadri , che per lo più, non di genere, ma storici appellare si do- vrebbero. Egli pertanto ne schizzò uno spiritoso di- segno, che intitolar volle: « Raffaello a Città di Ca- stello pingente la sopi'a laudata tavoletta dello spo- salizio : » ove accortamente veggonsi introdotti tut- ti quegl'illustri personaggi , che in detta sua patria erano ed essere poteano al tempo in cui essa dal sublime dipintore si coloriva ; onde sfuggire quello svergognato anacronismo, che, o per colpa del com- mittente o degli artefici , le tante volte degrada le opere de' più valorosi dipintori. Era però il Cliial- li per eseguire e colorire la nobile ed erudita sua invenzione, allorché Atropo implacabile, non è mol- to, spietatamente il rapi alla patria sua, alle arti, a tutta Italia. Meritando però ben essa di essere da- gli amatori delle arti stesse conosciuta ; quindi mi lusingo , che essi non disdegneranno il divisamente mio di qui farne una succinta descrizione, onde viep- più la memoria onorare e la virtù dell'illustre arti- sta Vincenzo Chialli. L' azione pertanto si rappresenta in una sala terrena de'soprannominati padri conventuali di s. Fran- cesco, pe'quali Raffaello la colori (7). Oltre la me- tà di tal sala, tre grandi archi aperti, che dalle late- rali pareti e da due isolate colonne veggonsi retti , concorrono a sostenerne la gran volta, ed insieme a formarne vago prospettivo traforo. Nella parete in fondo alla medesima evvi una porta amplissima d'in- gresso , che lascia vedere parte del contiguo corti- le: in quella di mano diritta una finestra , da cui 36o Belle a n t t vivida luce penetra, tutto il quadro alluma. Riflet- tendo poi egli, che l'enunciato convento di s. Fran- cesco era stato innalzato nel secolo Xlll (8) , pri- ma cioè che dai Bramanti , dai Brunelleschi , e da altri posteriori valorosi architetti fosse l' architettura restituita alla greca formosità ; quindi di detta sala, giudiziosamente, le colonne e tutti gli altri architet- tonici ornamenti di quello stile vi si ravvisano, che dagli eruditi golico-greco-moderno si appella: il quale era di quel tempo generalmente in onore. Nel mezzo pertanto di questa sala, quale pili vistosa parte della medesima , ed ove più splendida batte la luce che dalla nomata finestra penetra, ve- desi accortamente situato il divin Raffaello ^ affinchè, qual nobile protagonista della scena, fra tutte le al- tre accessorie figure grandeggi, ed a se l'occhio dello spettatore converta. Egli siede presso al cavalletto , ove collocata si ravvisa la tavoletta dello sposalizio: accanto gli sta Lilio tifernate , omai assai vecchio: uomo dottissimo, ed uno de'più distinti grecisti del secolo XV (9). Ed ambedue in veggendo già entrati ed a loro vicini degli illustri personaggi, recatisi ad ammirare la maravigliosa tavoletta , Lilio mostra di avere sospesa la lettura di un libro, che sembra stes- se leggendo a Raffaello; e questi per rispetto si scor- ge già alquanto alzato dal suo seggio , volgendo al riguardatore olire la metà del suo volto. Gì' illu- stri personaggi sono il governatore della città Car- lo Orfeo generale di s. Marco di Mantova (io) , e Vitello Vitelli valoroso guerriero, cÌìv militò per Car- lo \ III, per le repubbliche di Venezia, Genova, Fi- renze, e per ben cinque romani pontefici (ii).Egli è in compagnia dì due nobilissime dame, e di esso Pitture di Raffaello 36 i zie : cioè tll Girolama Oi'-sini e di Antonia Uhevtlni contessa di Ghitignano : la prima vedova sconsolata di quel Paolo Vitelli, che vittima infeline di emuli calunniatori fu dalla fiorenliua repubblica fatto in- giustamente decapitare (12): la seconda di Giovanni fratello del suddetto Paolo, che militando insieme col Trivulzio pel pontefice Innocenzo Vili , restò sven- turatamente ucciso alla battaglia di Osimo (i3). Li- lio volge lo sguaixlo sopra del governatoi'e anzidetto, il quale sta additando a Vitello le bellezze del qua- dro : una delle dame vedesi egualmente intenta ad osservarlo: mentre l'altra, ad accorta varietà di affet- ti, sembra che piuttosto sulle gentili ed amabili sem- bianze del giovine dipintore fissi lo sguardo. Alla destra dell'osservatore evvi altro gruppo di più figure , cioè di Luca Ottaviano Pucci capitano della guardia (i4) col priore del convento di s. Ago- stino e con l'altro della confraternita della ss. Tri- nità, i quali stanno osservando i bozzetti pendenti dalle pareti di detta sala, non tanto del soprannomi- nato crocifisso di s. Domenico , ma eziandio del s. Niocola da Tolentino, e dei due stendardi per le chiese di detti priori, come si disse, coloriti. Quin- di presso 1' altra estremità del quadro, dalla sinistra banda dello spettatore, altro gruppo di tre figure si ravvisa, che rappresentano Raffacllino dal Golle tuli ora giovinetto, che di pittorico genio caldo si è mos- so dalla vicina città di Borgo s. Sepolcro sua pa- tria (i5) per ardente desìo di vedere il mirabile Ral- faello, di cui, oltre Giulio romano, dovea egli essere, non molt'anni dopo , non solo creato , ma eziandio bravo esecutore de' maravigliosi di lui concepimenti nelle famose logge e sale del vaticano (16). Lsso 23 * 362 Belle Arti vedesi condotto a mano dal suo genitore, volgare per nascita, e per ristrettezza di mezzi umilmente vestito, il quale sembra ragionare col priore di s. Domenico, che gli sta accanto, l'ispet tosa mente aspettando di es- sere da esso presentato al lodato Raffaello nel mo- mento in cui egli era attorniato dagli anzidetti illu- stri personaggi. Finalmente nell'ultima linea del qua- dro , fra il gruppo dei detti personaggi ed il priore de'domenicani, figurasi il padre guardiano di s. Fran- cesco , che nella sala ha introdotto monsignor Ric- comano Bufalini vescovo di Venafro, dotto allievo del Cosentino, ed uomo di non ordinaria pietà (17), e con esso diversi lifernati pittori, che di quel tempo vivevano; vale a dire Paolo di Pier Ruggiero, il Fan- tastico, un Giovanni Battista ed un Francesco da Ca- stello (18). Da questa succinta descrizione, ch'io ho qui fat- to di questo erudito disegno, si viene ad agevolmente comprendere, che se il professore Chialli giunto tos- se sì bella composizione ad incolorare, la più mara- vigliosa forse di tutte le altre di simll sorte da esso fin qui lavorate sarebbe riuscita, non tanto per no- bilita d'invenzione, per tanti soggetti a studiato con- trapposto in essa introdotti di prelati, religiosi, lette- rati, guerrieri, artisti, dame, e paggi, per età, con- dizione, sembianza, e per le vestimenta loro tutti di- versi ; ma eziandio per quel suo novello modo tutto verità e natura , con cui a rapimento dello spetta- tore solca colorirli. E qui mi lusingo mi sarà permesso di sfogare la mia giusta indignazione contro taluni , che sti- mandosi o penetranti conoscitori o intelligenti ar- tisti, invece i primi di far eco alle comuni laudi, ed Pitture ni Raffaello 363 i secondi sentirne puntura di virtuosa emulazione , si sforzano all' incontro il pregio di sì fatti dipinti disoneslare col più inverecondo divisamento, obiet- tando essere agevole assai, e quasi una baia, il riu- scire in essi per la maggiore facilità di disegnare le picciole , di quellochè sia le grandi figure. Mentre eglino osano ciò pronunciare , ben presto dimostra- no , o che ben non intendano qual pittorico ma- gistero in essi si racchiuda, o che per avventura da quel livido affetto punti sieno, che i meschini agita, e non conturba i grand' ingegni. Replico pertanto , che se egli è più arduo il contorno delle grandi, fa- cile però non è l'altro delle picciole figure; concios- slachè ancor queste deggiano essere con castigatezza di disegno , con vivacità di movenza , con forza di espressione condotte al par delle grandi; ma di più faccia duopo adoperare tinte sì esattamente vere, e sì a loro luoghi dottamente riunite e fuse : aver si con- venga una sì perfetta intelligenza del chiaroscuro, de' riflessi e degli scherzevoli accidenti della luce : debbasi in fine usare tal finitezza, scevra però sem- pre da ogni aridità, che il tutto sembri natura ; on- de poi a qualunque riguardatore faccia ad onta del vero prontamente estimare di potere realmente pas- seggiare per le incantatrici scene de'sullodati dipin- ti ; e che del tutto animate e spiranti siano le figu- re, che rappresentate vi si scorgono : agevole non già, come si obietta, ma scabrosa ed illustre impre- sa tentata eziandio da talun valoroso artefice di gran- di figure ; ma ben si sa, che al lodevole conato fe- lice non sorrise il riuscimento. Che però la seducente illusione di sì fatte di- pinture, e la motivata arduità di ottenerla, ha pò- 364 B E L L E iV R T I tuto rendere famosa ed immortale la scuola fiam- minga, sebben per lo più seguace degl'ignobili argo^- menti di taverne, fiere, ciarlatani, rurali balli, e con^ versazioni, e di altri somiglianti temi ; ed ba saputo ardentemente invogliare delle magiche sue produzio- ni i più intelligenti e doviziosi personaggi , die in conseguenza i preziosi dipinti di Wander Werf, di Berghem, di Piters, e di tanti altri valorosi artefici di quella graziosa scuola non altrimenti convenzio- nare poterono, che ai più lauti prezzi. Ma tornan- do all'insana obiezione, non meriterebbe poi essa in ogni caso riguardamento alcuno per rispetto al pro- fessor Chialli, perchè se egli fu eccellente ne'sopra- laudati quadri di picciole figure, il fu eziandio nel- le grandi ; e per restarne facilmente convinti fra gli altri basterà rammentare il quadro della visitazione di s. Elisabetta collocato nella chiesa di s. Romual- do de' padri camaldolesi di Roma; e l'altro di mole ancor più grande del s. Francesco di Sales con s. Ago- slino , ed altro posto all'aitar maggiore della chiesa delle salesiane di questa sua patria: i quali due di- pinti egli lavorò in Roma, e quivi alla pubblica vista esposti, lodati furono dagli artefici e dagl'intendenti, siccome eziandio da'pul)blici fogli (19). jNè all'ogget- to stesso obbliar voglio la graziosa s. Apollonia nel- la chiesa di s. Girolamo del seminario nella patria slessa: ne i quattro grandi quadri, eh' egli colori per la chiesa cattedrale di Acquapendente, fra*quali bel- lissimo egli è quello, dove più santi vescovi adora- no il santissimo Sacramento in allo esposto (20) : né finalmente la bella incredulità di s. Tommaso lavo- rata per la chiesa arcipretale di Marsciano, degna di qualunque più illustre città. PiTTCRt: DI Raffaello 3G5 Ma ritornando all'intendimento, mi sembra di poter concludere, estimabilissirao essere stato il van- to del prof. Chialli, e di speciale laudazione degno per essere uno de' primi italiani , che abbia la sag- gia idea conceputa, ed a prospero nascimento reca- ta, di riunire agl'incanti dell'encomiata scuola fiam- minga la nobiltà dell'invenzione : la quale poi più spesso trasse o dagli atti della beata Vergine e de' santi : come la s, casa di Nazaret (21) : una gra- ziosa sacra famiglia (22): il transito di s. Marghe- rita da Cortona; e la maravigliosa s. Veronica Giu- liani in mezzo alle sue sorelle colpita da fiera apo- plessia (23). Od eziandio dalla storia, specialmente pittorica ; come il Pietro della Francesca , che sta insegnando la geometria a fra Luca Paccioli, men- tre degli illustri suoi creati Luca da Cortona già seduto sta disegnando , ed il giovinetto Pietro Pe- rugino vedesi entrare colla cartella sotto il brac- cio per mettersi con esso ancor egli al lavoro (24) > come il Raffaello d'Urbino, che in Firenze alla pre- senza di più frati visita fra Bartolomeo da s. Mar- co amico suo ; ed il Dante all' Avellana (aS). Fi- nalmente i memorati suoi composti attinse eziandio dalle sacre funzioni di alcuni ordini religiosi; e spe- cialmente de'cappuccini, de'camaldolesi, e di mona- che le cui vestimenta ad esso di più vago risul- tamento sembravano, come si fu il coro, il vespro, e la messa cantata di detti cappuccini (26): il cimi- tero e 1' orazione de'camaldolesi entro una cappella in fondo ad un bel portico graziosamente illuminato dallo splendore della luna, e dai ceri della cappel- la medesima ; ed altri simili argomenti, che a bre- vità si tralasciano (27). 366 Belle Arti Ma il Chialli, sebbea da nobili fonti i suoi com- posti apprendesse, pur nondimeno, così dagli amici richiesto, di buon grado talvolta gli attinse eziandio da alquanto più umili, ma sempre decorose sorgenti: cioè dalle famigliari occupazioni ed esercizi de' so- praddetti ordini religiosi, i più indispensabili all'esi- genze dell'umana vita , onde per varietà di temi al vario gusto de' requirenti più cari e dilettevoli riu- scissero. E di tal sorte furono il bucatalo, la cucina, il s. Martino e cantina delle monache (28) : lo scal- datolo o caminaccio de'cappuccini : la legnara de'ca- qaaldolesi, o sia il ritorno dalla selva; ed altri più (29). Tutti i quali sopra enunciati dipinti analogamente ora alle diurne , ed ora alle notturne scene che vi si rappresentano, vagamente alluminò con l'artificiosa concorrenza ed accorto contrasto de' più scherzevoli e variati splendori del ridente giorno, dell' argentea luna, di accese faci, e baldorie che insieme andavansi maravigliosamente a perdere. Non dee pertanto sor- presa alcuna destare, se i più distinti personaggi, e d'Italia nostra e d'oltremonle, ed i sovrani stessi di si belli ed eruditi lavori innamorassero (So) : i qua- li al presente ne' sontuosi loro palagi e magnifiche gallerie onoratamente pendono fra tanti altri di arte- fici famosi ad eterna lode e memoria del nostro va- loroso professore Vincenzo Chialli. K D 1 1 (i) Fabbricò Plinio il giovane presso Tiferno una magnifica villa ornata di gallerie, bagni, statue, fontane, colonne e marmi, ch'egli con entusiasmo minutamente descrive nella sua lettera ad Apollinare. Quindi da altra lettera a Fabalo suo suocero ri- Pitture di Raffaello 867 sulta , che il medesimo eziandio un sontuoso tempio entro lo stesso Tiferno innalzasse , dedicato alla Felicità; il quale fu da esso consacrato con solenne e lauto banchetto. Della nominata villa e tempio distesamente ragionammo nella prima delle nostre pittoriche lettere sul duomo tifernate Vedi la nostra Istruzione stor. pitt. tom. I, pag 280; e nelle Memorie degli antichi e mo- derni artefici tifernati del disegno, nell'introduzione, pag. 3o e 34» ed ivi nota t, toni. II. (2) Vasari, Vita di Raffaello d'Urbino. (3) Vedi la nostra cit. Istruzione stor. pitt- tom. I, dove alla pag. 71 e 49 abbiamo distesamente parlato di questi stendardi. (4) Il 8. Niccola da Tolentino fu da'frati agostiniani venduto a papa Pio VI, per rifabbricare la loro chiesa fracassata dal tre- niuoto dell'anno 1789. Ed il crocifisso fu venduto all'eminentis- sirao sig. cardinal Fesch. |Vedi una nostra lettera inserita nel giornale arcadico, voi. di maggio 1826, e riportata nella citata Istruz. stor. pitt. pag Siy, tom. II. (5) E si fu a quest'epoca, che la famosa tavoletta dello spo- salìzio fu sagrilegamente rapita dal suo altare, il 29 gennaio T798, da uno stuolo ignorante di entusiasti per farne iutloveroso dono al famigerato generale Lecchi, che con la sua truppa cisal- pina aveva occupato Città di Castello; la quale tavoletta ora il- legittimamente vedesi collocata nel palazzo di Brera in Milano. Cit- nostra leti, ed istruz. stor. pitt. ibidem, (6) Ciò vuoisi riferire ai due stendardi nominali sopra alla nota 3, a' quali sembra aver arrecato ullerior detrimento un certo guazzabuglio, che da un ristauratore fu applicato nel lo- ro rovescio. (7I Sebbene questa preziosa tavoletta dello sposalizio stesse alla cappella Albizzini in s. Francesco, con tutto ciò fu essa da Baffaello dipinta pe'frali, che l'altare e la tavoletta cederono in padronato alla detta famiglia non prima dell' anno !633 , come da istrom. rog. dal notaio tifernate s<2r Andrea Brozzi del 5o di- cembre anno suddetto al fol. 32o del suo protocollo. (8) Fu questa chiesa incominciata cii'ca l'anno 1273. Istruz. stor. pitt. pag. i35 e i36, tom. I. (9) Questo Lilio fu della nobile ed antica casa Libelli , illu- stre allievo di Gregorio pur tifernate. Per ordine di papa Nicolò V, gran ristauratore delle lettere in Italia, primo tradusse dal greco in latino gli opuscoli di Filone ebreo, ed i sermoni di san Giovanni Crisostomo De poenil. Parlano di questo grand' uomo il Giorgi, Disquis. de Nicotao V, pag. 192, nuin. Xlll. Il Fa- Lric, Bibliolli. graeca, loui. Ili, jiag- 5. Il Moulfaucon, Opere 3(>8 Belle Arti di san Giovanni Crisostomo, tom. V, pag. 579 , ediz. di Parigi. 11 Tiraboschi, Letlerat. tom. V, pag 761 ed altri molti. (io) Per breve di Giulio II, del 1 febbr. i5o4. Ann. comunit. (il) Fu figlio naturale di Camillo di Nicolò Vitelli detto pater pntriae. Nell'anno i5o4, in cui Raffaello questa tavoletta dello sposalizio dipingeva, Vitello era uno de'priori del popolo. Vedi Ann. comunat. all'anno i5o4v Di questo illustre guerriero parlano il Giovio, il Bembo, il Giustiniani, il Mocenigo ed altri storici- fi a) Terzogenito figlio del suddetto Nicolò Vitelli» Fu accu^ sato di aver negligentato l'impresa di Pisa. Di esso scrivono il Guicciardini, il Nardi, il Boccalini, il Corio ed altri più. (i3) Figlio ancor questo del nominato Nicolò. Fu spedito alla guerra di Osimo per cacciarne il Boccalino , che contro il pontefice Innocenzo Vili teneva sollevata tutta la marca. Così scrivono il Fulgosio, il Tarcagnota, il Pelllini ed altri. {i4) La casa Fucci, ora estinta, era illustre e uobile ; ed era di parte contraria all'altra de'Vitelli. Cosi tutti i patrii scrittori» ed il valoroso biografo delle illustri famiglie italiane, alla fami'- glia Vitelli, tav, II, ayl. Nicolò.. (i5> Che Raffaellioo dal Colle fòsse di s. Sepolcro lo aihbia" mo dimostrato con tutti i mezzi della sana critica nella memori» intorno alla patria, opere ed allievi, che di questo eccellente ar- tista distesamente scrivemmo, inserita in questo nostro arcadico giornale, anno iSSy, sotto l'articolo I. Onde l' insistere ulterior- mente su tal oggetto, come sembra volere taluno in un suo li- bercolo ultin>ame.ite stampato in Arezzo eoi titolo, IXue giorni in città di Castella, egli è in verità un esporsi all' ammirazione speciale di ogni sensata biografo. Ed in proposito di siffatto scrittore, ed affinchè, a lume in ìspecie de'nostri concittadini, il vero dal falso macolato non re- sti, ci lusinghiamo che accordato ci sarà di alcun poco divagare dal nostro assunto per avvertire, come egli alla pag. 10 del no- minato libretto francamente asserisca, che in una di quelle storie scolpite nell'antico bassorilievo, che fregia la porta di mezzo del nostro duoino tifernale,si esprima la natività di s. Giovanni Bat- tista, e non quella di N. S. Gesù Cristo, come noi abbiamo scrit- to nella nostra Introduz. stor. pitt. pag. 33, tom. I Ma convien dire, ch'egli abbia ciò asserito senza neppur badare alla delta storia; giacché se ciò fatto avesse, facilmente accorto si sarebbe, che nella parte superiore della medesima con tutta chiarezza sbucano le leste del bue e dell'asinelio. Ma poi ancorché si fatti animali conosciuto »ou avesse , pur nondimeno trovandosi una Pitture di Raffaetxo 3 69 sìfTatta storia aderente ad altre de'fatti della beata Vergine, do- Vea in buona critica presumere , che ancor questo altro di lei fatto esprimesse, cioè il di lei divin parto , ossia la natività di N. S., piuttosto che quella di s- Giovanni Battista che del lutto caneret extra chovum. Né si dovea poi far sedurre , come per avventura accade , dall'intervento delle donne , che in detta storia si ravvisano la- vanti il divino infante e serventi la Vergine: dacché in vero s. Luca al cap. a n. 7 apertamente c'insegna, ch'ella da per se stes- sa : Bum pannis involvit, et reclinavit eum in praesepio. Ma trat- tandosi nel caso di un bassorilievo del secolo XIII, dovea sapere, prima di correggere il supposto nostro errore , che quasi tutti gli antichi pittori e scultori nel rappresentare la natività di N. S. introdussero una o più delle riferite donne , approfittandosi della libertà, che loro accordava la barbarie de'tempi, ed insiem sedotti dalla dotliina di quel temerario libro. De nativilate Sal- vatoris, et de sanata Maria et obstetrice Sahatoris; meritamen- te condannato da Gelasio II, In cap. sanata mater ecclesia , di— stìnc. i5. Che però con siffatte donne vedesi tal natività di N. S. espressa nelle porte della metropolitana di Benevento, da osser- varsi presso il Ciamp. Vet. moniin, tav. IX, spartimento Ill.tom. II; colle ridette donne nell'altra di s. Paolo fuori di Roma; come dalla loro incisione a corredo della grand' opera del sig. d'Agin- courtj allo spartimento decimo; e colle medesime, per non dir al- tro, scorgesi dipinta poco dopo la fine del XIII secolo da Dome- nico Bartoli sanese in una tavola , che noi stessi possedianto, e che rammentammo nella nostra Introduzione alle mi morie degli artefici tifernati del disegno. Istruz. stor. pitt. tom. II; alle quali tutte ben si uniforma la natività di N. S. nel basso rilievo, di cui qui ragionasi. (16) Cit. memor intorno a Raffaellino dal Colle, art. II. (17) Fu creato vescovo da Giulio II nel i5o4. Ann. comunit. al detto anno. (18) Vedi le cit. nostre memorie de'tifernati artefici del di- segno. Istruz. stor. pitt. tomo lì, pag. 55 e seg. (19) Diario di Roma n. 28 del 16 luglio i8t8. (2of Ibid. n. 4 del giovedì in gennaio; e n. 5 del 3 febb di detto anno, riportati nella cit. istruz. pag. aSo e 93i tom. II. (21) Questo quadro, ch'è una sacra famiglia, fu colorito pel sig. cav. Vincenzo Sermolli. (22) Dipinta ad istanza del sig. cav. Luca Tommasi di Cor- tona, ove si scorge il bambino Gesù nella cuna, che soavemeule ^ G.A.T.XC. 24 370 Belle Arti riposa con un braccìno scoperto; ed accanto la B. Vergine e sari Giuseppe. (23) Vedi l*istruz. slor. piti. tom. Il, pag. 244» '^45 e seg. (24) Questo quadro condusse pel signor cav. Marini di Bor- go s. Sepolcro, la cui famiglia si vuole derivare da quella di Pietro della Francesca. E qui in proposito di Fra Luca , che in questo dipinto si figura, accenneremo, che imputato esso calun- niosamente dal Vasari di essersi fatto bello dei matematici scritti di Pietro suo maestro, viene assai ben difeso dal P. M. Della Val- le nella sanese edizione delle vite di detto Vasari, tom. Ili, pag. 348 nella nota. (25) Il primo di questi quadri fu eseguito pel nominato sig. cav- Sermolli; ed il secondo per S. E. il sig conte Mellerio di Milano. Nella solenne esposizione delle più distinte produzioni delle arti fatta in quella capitale nel iSSS , in cui fu l'impera- tore d'Austria, ebbe luogo e distinto applauso eziandio questo eccellente quadro. Vedi il libro intitolato, Le glorie delle belle arti esposte nel palano di Brera in Milano nell'anno i838 , ove se ne fa accurata descrizione. (26) Di questi tre eccellenti quadretti, il cimitero de'cappuc- cini fu acquistato dal granduca Ferdinando III di Toscana ; la messa cantata, dal regnante di lui figlio Leopoldo II; ed il coro, da S. E. il sig- principe Rospigliosi. (27) Fu esposto alla pubblica vista nella solenne esposizione dei più nobili oggetti d' arte eseguita in Firenze nell' ottobre i832, ed assai encomiato ne'pubblici fogli di quella capitale n. 32, con la data del 3 novembre anno suddetto. Vedine la descri- zione nella nostra Istru'Z. stor. pitt. pag. 244» tom. II. (28) Il primo di questi dipinti fu acquistato dal sig. Bardi negoziante d'oggetti di belle arti in Firenze. Detta istruz. pag. 245, tomo II. Ed il s. Martino venne in potere del sig. Dimidoff, Vedi le nostre lett pitt. in fine dell'istruz. pag. 3|4- (99/ Di questo spiritoso scaldatoio o camminaccio abbiam fatto esatta descrizione nella spesso citata istruz. pag. "2^5, tomo II. Rispetto al ritorno dalla selva, fu lavorato per commissione del re di Sassonia, e ad esso spedito. (3o) Tutto ciò risulta dalla nota 26, dalla precedente, e dalle memorie che di questo professore, ancor vivente, scrivemmo nel tomo II deiristruz. stor. pitt. pag. 227 e seg. 37. WAWLIMTJ^' Della vita e delle opere di Bartolomeo Gamba, narrazione scrit- ta da lui medesimo , aggiuntavi la notizia degli ultimi suoi anni e della sua morte tratta dalla necrologia del eh. signor prof. Emilio de Tipaldo. Bologna coi tipi di Giuseppe TioC; chi e camp. i84i, in 8, di pag. i\. Gì iorno di sventura alle lenire si fu il 3 maggio del 1841 per la morte avvenuta del Gamba, bibliografo italiano., mentre legge- va al veneto ateneo la vita di Lorenzo da Ponte. Elevavasi a Dio la mente dell'illnslre dicitore, quando in un subito la voce e la vita con quel santo nome in bocca gli venne meno. Come è glo- rioso al guerriero morire sul campo di battaglia, così glorioso fu al Gamba morire nell'ateneo; ma l'averlo perduto nel suo set- tantacinquesimo anno di età, quando pareva rifiorirgli la salute: l'averlo perduto all'improvviso nel modo che si è detto, non può non essere cagione di lagrime a chi sente nell'anima 1' amore alle lettere ed ai letterati nostri: de'quali la vita, per la condi- zione umana e per l'avversa fortuna, è come una guerra conti- nua : e poteva il Gamba aspettarsi di vivere in pace gli ultinii anni riposandosi su'propri allori. Egli che nato misero fece a se stesso la sua fortuna col buon volere e colla costanza negli stu- di, che fu una gioia a'suoi, agli amici, alla patria! ì^eW Album di Roma vedesi inciso il ritratto di lui, che dà appena le forme del corpo; quanto a quelle dell'animo vedonsi nella biografia del Ti- paldo ivi inserita [Anno Vili, distribuz. i4 )• Nel Tiberino fu data la narrazione della vita e delle opere del Gamba, che nel 18^9 egli scriveva al eh. monsignor Muzzarelli nostro, intento a raccogliere notizie sugli scrittori contemporanei. Quella narra- zione piacevole e nitidissinia riprodotta leggiamo in Bologna nel- l'opuscolo qui annunciato, in fine del quale è riportata una let- tera, che egli nel novembre iSSg indirizzava da Venezia al eh. professor Rambelli incuorandolo a proseguire con tutto l'animo l'incominciato lavoro delle sue Lettere intorno ad invenzioni e scoperte italiane, le cui replicate edizioni hanno ottenuto favore da'savi estimatori : tra'quali fu il Gamba singolarmente, che ben sapendo come opera letteraria di sì gran lena non può condursi senza grande agio e senza grandi conforti, gli augura al Rambel- li. E dice infine al medesimo:" Avverta che gli oltramontani non „ hanno torto di osservare, che le nostre glorie di sovente si of- ,, fuscano per l'alimento, che tocca ad essi soli di dare a'concetti 372 Varietà' „ de'noslri ingegni; e ciò (soggiunge) serva per trarre occnsìone ,, di qualche predichetta, che scuola, risvegli e serva a' nostri ,, confratelli di morale ed utile perorazione Iddio le conceda e „ quiete e lena ec.,. Cosi egli quel candidissimo spirito del Gam- ba, al quale noi altri del giornale arcadico doiibiarao mostrarci ed essere grati assai per lo studio posto da lui nelle carte nostre, che egli nominò di frequente nella S-'.rìe dei tetti di lingua. Io pel mio particolare deggio sapergli grado e grazia infinitamente, che avendo posto del iSaSnon soche scrittarelli nel giornale so- pra antiche versioni di Cicerone e di Seneca, meritai da quell'ot- timo di essere ricordato con altri benemeriti delle nostre lettere: il che io attribuir deggio all'essere detto del loro numero, ed all' autoritii di que'latini scrittori, non avendo mai conosciuto di per- sona il Gamba, né credendomi degno per conto alcuno di quella onorevole menzione; se già non fosse pel grande amore posto da me alle cose dell'antico e nuovo latino. Per questo non cesserà mai di attestare al Gamba, ed a qualunque mi conforta agli stu- di, sensi di grato animo; tanto più che nulla io saprei e potrei senza guida e soccorso nella via della vita, seminata tutta di spi- ne, dalle quali non so quando a me sorgeranno i dolci fiori! D. Vaccolini. Elogio storico del marchese Giambattista Costabili Containi fer- rarese, scritto dall' awocato Giuseppe Petrucci. Noi>i 1841. -Li buono l'onorare di scritte laudazioni la memoria degli eroi,o degl'illustri che lasciarono alla patria chiari monumenti d'inge- gno. E' buono ed utile il non seppellire colle ossa il nome di que'iujtgnaniini cittadini, che quantunque non abbiano lasciato dopo di sé illustri fatti nelle arti o nelle scienze , profittarono tanto di loro mente cittadinesca, che la patria ne ritrasse vantag- gio ne'suoi ordini di politica e di educazione Melchiorre Gioia porrebbe questo genere di onoraria e mortuaria ricompensa fra quelle che tornano a profitto e stimolo di nuove virtù presso i vivi. Noi ci dobbiam lodare dell'avv. Giuseppe Petrucci, che nel suo elogio abbia dato ai meritevoli questo bell'esempio di devo- ta gratitudine. Raccomandiamo ai cittadini, che maneggiano le magistrature o gli altri carichi civili, le cirte del Petrucci : af- finchè preudan senno, che anco nei loro ministeri di private bi- sogne si può acquistare bel grido di virtù, e lusinghevole spe- ranza di nome non perituro- Il peregrino, lucido e non artefatto stile, onde è impresso il dettato del Petrucci, invoglierà il deside- rio di coloro che si travagliano nelle arti dello scrivere : ed inse- gnerà la lucida maniera onde i temperati concetti della mente possano riverberare in uno stile nitido e piacente. A. S. A. Varietà' SyS Lettere di vnri illustri italiani del secolo XVIII e XIX a' loro amici. Reggio^ coi tipi Torreggiarti e compagno iS^i. Xa tre tomi di molto ragionevole volume e di eleganza tipogra- fica sono raccolte le nominate lettere- La loro dedica è al chia- rissimo monsignore conte Carlo Emmanuele Muzzarelh; la qual cosa io stimo degnissima a tanto prelato, quanlochè nessuno ita- liano è più benemerito di lui verso la nostra patria, si per l'in- gegno, e sì pel fervore onde va promovendo con felice impre- sa l'amore al bello , e va conservando in magnifico tesoro le memorie dei nostri studi, e di coloro che altarnente e gloriosa- mente li professarono. Quanto la biografia e bibliografia lettera- ria deggia all'egregio prelato, si accenna con grate parole dallo scritto della dedicazione. Sarebbe ora a tenere discorso intorno alla utilità dell'opera, se il titolo di essa non fosse un elogio per sé solo; che desta un senso ardente di desiderio a chiunque ama gii illustri della nostra patria, e somministra un dono, come monumento di care ed ef- ficaci ricordanze. all'Italia. S'intenda che in mezzo alla numero- sa copia leller;iria di celebrali scrittori , sono ammirate alcune lettere dell'Ariosto, del Goldoni, del Bedi, del Baretti, del Ge- novesi, dell'Alfieri, del Monti, del Botta e del Leopardi. Qual cuore non palpita sulle carte di questi grandi? Chi non ne cer- ca con ansio desiderio le vicende della vita civile, e l'indole do- mestica del costume? Qual cosa è più opportuna, per soddisfare a tanto, delle lettere famigliari? ,, Ben a ragione diceva il card. Bentivoglio, che gli uomini si debbono giudicare dalle loro lette- re. Le lettere snudano interamente il cuore, secondo l'espressione dell'aureo Zanotti, perchè chi le scrive per lo più inj'retta, non credendo che siano dagli amici dii'o/gate, non vi pone né studio, né affettazione; ed esse altro non sono che un famigliare discor- so di due assenti, la conversazione dei lontani (i). „ Oltre a quello che possono, a tal verso , soddisfare le rac- colte letterarie dei grandi scrittori, se ne avran profitto eziandio le ragioni degli studi. Giacché a piene mani vi sono sparse sen- tenze estetiche: e basta il leggere una delle lettere di Carlo Bot- ta, che si riporta nel primo volume, per sentire quanta prezio- sità di consiglio intorno alla lingua italiana e alla toscana vi sia trasfusa. Per le quali cose a nome di tutt'i buoni viventi , e a nome dell'Italia futura, noi ringraziamo con ogni lode i cortesi editori Torreggiani, che ne hanno donato un monumento cosi splendi- do di affetto e di utile nella raccolta delle lettere di vari illu- stri italiani del secolo decimottavo e decimonono. A. S. A. (i) V. la prefazione dell'opera. 374 Varietà' Poesie inedite di Bartolomeo Sestini e notizie biografiche , rac- colte da Atto yannucci pistoiese. JjartoIomeQ Sestini, da s. Malo di Pistoia, nacque il di i4 otto- bre 179'J, e mori il i6 novenabrc 1822 Egli fu poeta italiano , eletto nel rimare studiato, e felice in quello d'improvviso. Egli fu sventurato .- e la brevità della sua vita può in certo modo te- stificare la potenza della sventura, che lo travolse innanzi tempo nel sepolcro. Per opera di pietosi animi si sono raccolte in due volumi le poesie edite ed inedite del giovane poeta. La leggenda della Pia è agli affettuosi leggitori un'arra amichevole perle al- tre rime. Nelle quali rilucono qua e là vaghe immagini di soave malinconia e di calda immaglnaliva,che fan tanto amabili i canti della nominata leggenda ai letterati e agli idioti. E il facile verso^ che corre vestito di lucide maniere italiane, e l' armonia varia- mente spezzata, e tutto l'insieme del poetico stile, fanno care e profittevoli agli studiosi le rime del Sestini. Ad adempiere poi il desiderio che si desta negli animi vaghi di conoscere la vita trava- gliata del nostro poeta, si pone in fronte alla edizione la vita che intorno a lui ha scritta il pistoiese Atto Yannucci. La libera pa- rola, onde questi n' espone con elegante e filosofico discorso le memorie biografiche, è un non lieve conforto e tributo di pietà all'acerba fortuna del misero tolto immaturamente alle speranze. dell'Italia. A. S. A. NIHIL OBSTAT Fr. Ioanues B. Marrocu M. C. Censor Theologus. IMPRIMATUR Fr. Dom. Buttaoni O. P. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR loseph Canali Archiep. Coloss. Vicesg. 375 CONTENUTE NEL TOMO XC, VOLUMI 268, 269, 270 DEL GIORNALE ARCADICO. Jfota de'campilatori e collaboratori .... SCIENZE, pag. m Bilancio della cassa romana di risparmio .....,, Giacoletti, Discorso sull'amore dell'uomo verso il mtiravi- glioso „ faccolini. Della proprietà letteraria ,, Tonelli, Continuazione della rivista di lavori di medico ar- gomento ec „ Tortolini, Memoria sull'applicazione del calcolo de'residui all'integrazione delle equazioni lineari a differenze fi- nite ,, Morelli, Ragionamento di economia pubblica • • • >» Maggiorani, Sulle funzioni della milza ,, Galli, Cenni economico-statistici sullo stato pontificio . ,, Castreca-Brunetti, Alcuni lavori sulla vaccinazione eseguiti dalla società medico-chirurgica di Bologna . . . ,, 26 45 32 84 ir4 128 201 i36 lETTERATURA. Rossi, Elogio funebre del P. Carlo Odescalchi ,..,,, 253 Montanari, yolgarizzam. del cap. F del libro di Tobia. ,y 282 Trissino, Orazione inedita per l'elezione di Antonio Grima- ni a doge di Venezia ,, 287 Rambelli, Discorso sull'emulazione . ,, 32o Ozanam, Dante e la filosofia cattolica nel secolo XIII. ,, 234 Fabi Montani, Elogio del marchese Giuseppe Antinori. ,, 34^ 376 BELLE Arti Mancini, Raffaello d'Urbino a Città di Castello , quadro disegnato dal prof. Vincenzo Chialli „ SSy Varietà ,, S^i Alcune emendazioni ai cenni economico-statistici dello stato pontifìcio. PAG. LIN. EBROBI 20D 23 essere 2o5 II cabotteggio 208 »7 34j 5oo, 000 209 •9 Di cacio JVl 29 7, 661. 210 5 dieci IVI 6 cento •IVI 18 e della campagna 212 17 3, 969, 4oo 219 18 ( aggiungasi ) 320 14 4, 374, 38: 44 221 18 Le fabbriche di colla forte ec. 220 7 ivi 20 224 3o 334 20 Fuligno Rimini zappe selve di piai EMENDAZIONI essere stata cabotaggio 34, o83, 325- Di cacio e ricotta ridotta a metà. 7,671. cinquanta cinquecento che 8, 969, 4oo Varie altre acque minerali esistono, in ispecie nella Romagna; ma so- no poco conosciute, e non se ne fa molto conto. 4,374,355:44. Fabbriche di colla forte esistono in Roma, Bologna e Fabriano (Mer- curelli). Esse hanno migliorato ed aumentato il prodotto in guisa, che ora 1' importazione estera è^ quasi nulla. Fuligno, Pioraco Riminij Sanseverino raspe selve di pini, forse meglio di eIci,o di questi e di quelli uniti insieme.