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I [e Po Vai Li ) (e | DE NTAAALAA AAA mim QRI (mia ra im e. VIS NANA: MAY NANNA mana n SR Ù y \ n A è DI 4 CRRCI Da a RA n Sona - LAI Bale x G FIST) A FIA z CRE, | VACANTI 2° NS a ’ o S i Ù à t i LÌ ti LR GIORNALE DI =. SCIENZE NATURALI ED ECONOMIGHE PUBBLICATO PER CURA DELLA SOCIETÀ DI SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE DI PALERMO VOLUME XXX PALERMO OFFICINA SCUOLA TIPOGRAFICA Colonia Agricola S. Martino 1914 Ze ona Musso INDICE GENERALE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XXX Anno 1913-1914 Elenco dei Soci Ordinari, Corrispondenti ed Emeriti della Società di Scienze Naturali ed Hconomiche di Palermo . " > : : . ; ò . - o . Pag. Commemorazione del prof. Ricca Salerno , o 5 . 3 o . 3 ; » MEMORIE PaALazzo CagLo F. E EGiDI V.—Su! contegno della cloral-ossima rispetto all'acqua € agli alcali - 5 o : : 7 . . $ . 7 - ; . Pag. PaLazzo CaRrLo F. E MaRroGNA G.—Sinzesi di due ossi-tetrazoli isomeri da azo-immide e acido fulminico c . : 3 c 6 ; è . 5 . 6 . » GEMMELLARO M._Ittiontoliti del calcare asfaltifero di Ragusa in Sicilia . 5 6 » CHEccHIA-RispoLt G.— Osservazioni geologiche sull'Appennino della Capitanata. Parte Seconda SITR . 5 . : 5 ; E : . ò : 5 7 » CHeccHIA RispoLi G.—Marmitie dî erosione marina lungo la costa di Castellammare del Golfo 7 . c . È 5 . c c , : > : 7 : » CHeccHIA-Risponi G.—Sopra alcuni Echinidi oligocenici della Cirenaica È s o » GemmeLLARO M.—Crostacei e pesci fossili del “Piano Siciliano,, det dintorni di Palermo » De SteranI PerEZ T.—Cavallette, loro invasioni e lotta contro di esse în Sicilia . > La Rosa M._]ntorno alla “relatività, nei fenomeni fisici . : ; c o c » Lazzaro C. E CopPoLA A.— Sull’azione farmacologica del Tropinone. Ricerche sperimentali » Misuri A.—Contributo alla forma carcinologica siciliana. 1 Crostacei Podottalmi dei Golfo di Palermo. Nota I Brachiuri . 7 _ : . o . - ° » CaeccHIA RispoLI G. — 1° Nuove osservazioni sulla formazione pliocenica di Apricena (Capitanata). 2° Sul “Pecten rhegiensis,,. Seguenza del Pliocene garganico . c D CHeEccHIA RispoLI G. Osservazioni geologiche sull’ Appennino della Capitanata. Parte Mercante: c . 3 7 5 £ ; ; 5 ; o o : : . » CaEccHIA-RispoLi G.—Sy! “Mastodon angustidens,, Cuvier dei dintorni di Burgio in provincia di Girgenti . . . G . 3 : 5 ” 6 . : , » CHeccHIa-RispoLI G.— Sopra alcuni Echinidi del Cretaceo superiore della Tripolitenia raccolti dal cav. Ignazio Sanfilippo ò ; 6 DOO Ò 3 i b » CARAPELLE E.— Studio sulle acque che alimentano la città di Palermo : . ; » 117 201 209 251 265. 277 Elenco dei Soci della Società di Scienze Naturali ed Economiche UFFICIO DI PRESIDENZA (1913-1914) Presidente—Venturi prof. Adolfo Vice-Presidente—Merenda prof. Pietro Segretario—Lazzaro prof. Carmelo Vice-Segretario—Checchia-Rispoli prof. Giuseppe Bibliotecario —Di Stefano prof. Giovanni Vice- Bibliotecario —Carapezza prof. Emerico Tesoriere—Macaluso prof. Damiano 1. Allery Di Maria Tommaso Marchese di Monterosato Angelitti prof. Filippo Borzì prof. Antonino Cervello prof. Vincenzo Di-Stefano Teodosio 2. 3. 4. 5. 6. 7 8. Errera prof. Giorgio 9. Lazzaro prof. Carmelo 10. La Rosa prof. Michele 1. APbeggiani prof. Michele 2. 5. Ampola prof. Gaspare Albertoni prof. Pietro 4. Angelico prof. Francesco Checchia-Rispoli prof. Giuseppe Di-Stefano prof. Giovanni SOCI ORDINARI . Macaluso prof. Damiano . Manfredi prof. Luigi . Merenda prof. Pietro . Pagano prof. Giuseppe . Pagliani prof. Stefano . Raffaele prof. Federico . Spallitta prof. Francesco . Venturi prof. Adolfo . Whitaker comm. Giuseppe . Zambonini prof. Ferruccio SOCI CORRISPONDENTI — Palermo — Bologna — Roma — Talermo VI ELENCO DEI SOCI DELLA SOCIETÀ DI . Arata prof. P. N. . Bagnera prof. Giuseppe . Basile prof. Ernesto . Bresciani prof. Costantino . Briosi prof. Giovanni . Bianchi prof. Leonardo . Bucca prof. Lorenzo . Caliri prof. Filippo . Cantone prof. Michele . Capellini prof. Giovanni . Carapezza prof. Emerico . Ceradini prof. Cesare . Ciofalo prof. Saverio , Corbino prof. Orso Mario . De Mattei prof. Eugenio . Dinnisi prof. Autonino svof. Alberto ine: prof. Carlo prof. Michele cechiavo Aprile avv. Camillo . Foaerà prof. Filippo . Folco prof. Carlo . Gemmellaro dott. Mariano . Gerbaldi prof. Francesco . Giardina prof. Andrea . Guccia prof. Giambattista . Grassi prof. Battista 32. . Lanza dott. Domenico Koerner prof. Guglielmo . Levi prof. Mario, . Lojacono prof. Michele . Lieben prof. Adolfo . Mondino prof. Casimiro . Mineo prof. Corradino 9. Minnnni prof. Gaetano . Mattei prof. G. Ettore . Mosca prof. Gaetano 42. . Nacquet prof. Adolfo Naccari prof. Andrea . Natali prof. Fabrizio . Ogliarolo prof. Agostino . Olivieri prof. Vincenzo . Olivieri Dott. Emanuele SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE — Buenos-Ayres — Palermo — idem — idem — idem — Napoli — Catania — Palermo — Napoli — Bologna — Palermo — Roma — Termini -Imerese — Roma — Catania — Palermo. — idem — Bologna — Torino — Roma — Catania — Palermo — idem — Pavia — idem — Palermo — Roma — Milano — Palermo — idem — idem — Vienna — Pavia — Palermo — Catania — Palermo — Torino — Catania — Parigi — Palermo — Napoli — Palermo — idem ELENCO DEI SOCI DELLA SOCIETÀ DI SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE 48. Orlando prof. Vittorio Emanuele — Roma 49. Palazzo prof. F. C. — idem 50. Pintacuda prof. Carlo — Palermo 51. Pellegrini prof. Giovanni — idem 52. Pitini prof. Andrea — idem 53. Rattone prof. Giorgio — Modena 54. Riggio prof. Giuseppe — Palermo 55. Riccò prof. Annibale — Catania 56. Righi prof. Augusto — Bologna 57. Roiti prof. Antonio — Firenze di PP UN Fa . Ross prof. Ermanno 59. . Scacchi prof. Eugenio Salvioli prof. Giuseppe . Salemi Pace prof. Giovanni . Sanso prof. Luigi . Schopen ing. Luigi . Soler prof. Emanuele . Spica prof. Pietro . Struever prof. Giovanni . Tanzi prof. Eugenio . Terracciano prof. Achille . Torelli prof. Gabriele . Tonelli prof. Alberto . Trambusti prof. Arnaldo . Blaserna prof. Pietro . Caldarera prof. Francesco . Paternò prof. Emanuele . Peratoner prof. Alberto . Ruggieri avv. Leonardo — Monaco (Baviera) — Napoli — Napoli — Palermo — Messina — Palermo — Padova — Padova — Roma — Firenze — Sassari — Napoli — Roma — Palermo SOCI EMERITI — Roma — Palermo _— Roma — idem —. Palermo VII suica Tornata del 4 marzo 1913 Commemorazione del Prof. Giuseppe Ricca-Saletno Signori Soci, Il giorno 1° di settembre dell’anno testè trascorso; spirava nella natìa S. Di Fratello il prof. Giuseppe Ricca-Salerno, che fu a lungo nostro collega e no- P stro Vice-Presidente; ed ochime! nn insieme di circostanze avverse potò far | parere che la dipartita di Ini avesse lasciato indifferenti noi soci, profes- 3 sori, ammiratori, scolari, (1) mentre l’estinto meritava stima ed amore, mas- simamente come scienziato e come insegnante. Potè parere, ma non fu, e il dolore degli animi s’è manifestato ben tosto alla prima occasione: il Rettore | della nostra Università, prof. Raffaele, inaugurando il presente anno accade- mico, disse di lui, che occupò lo stesso ufficio nel 1895-96, parole di grande | elogio e di profondo rammarico (2); Costantino Bresciani, che fu allievo del | Ricca-Salerno ed ora è professore di Statistica nell’Ateneo palermitano, pub- blicò una necrologia assai pregevole dol trapassato; (3) lo commemorò nella R. (1) L'infausta nuova fu comunicata ai giornali di Palermo, per lettere o telegramma, forse. lo stesso di, insieme all’altra che per la dimane s. Fratello preparava all’estiuto funerali so- sa lenni; ma e quella e questa venner pubblicate la sera del 2 settembre, quando già la salma - | era sotterra: onde chi lesse apprese la sventura dopo che tutto era finito, e gli mancò la pos- sibilità di rendero al trapassato il tributo di stima e d’affetto che desiderava. Nè l’Istituto nostro e l’Università si trovaron meglio; in vero il dispaccio, che dava l’annunzio fatale, giun- se la sera del 1°, e solo la mattina del 2 fu portato al Presidente prof. Venturi, che in quel | tempo di vacanze autunnali sostituiva il Rettore dell'Ateneo: era inutile diramare avvisi | € partire, perchè si sarebbe giunti dopo le funebri onoranze. Alle quali restò solo di farsi | rappresentare; e questo, per quel che potè valere, venne fatto. (2) Annuario della R. Università degli studi di Palermo, per l’anno accademico 1912-13. Palermo, Giannistraponi, 1913, pag. 9. |. i (8) Ia., p. 187. NET ko DI ‘ P. MERENDA Accademia di scienze, lettere ed arti il Prof. Pitrè: ora, attemprando al desiderio del nostro Presidente, interpetre dei vostri sentimenti, del defunto, per quanto mel consentono le mie deboli forze, m'intratterrò io brevemente. Tutto questo non è un conformarsi agli usi accademici, ma risponde ad ‘affetti reali e a quel culto che noi dobbiamo per quegli uomini che eccellono megli studi, e che tengono alta fra le genti la stima della nazione, così co- me le buone armi la rendono rispettata e temuta. E per ciò che. mi riguarda, vi sono ragioni anche personali, delle quali vi convincerete voi stessi. Conobbi il Ricca nel 1873, quando, se mal non ricordo, egli si era appena laureato in ‘Giurisprudenza; e l'occasione fu che insieme prendemmo parte al concorso pei primi angioini di Economia Politica, nel quale egli riportò il 1° premio. Mi par di vederlo ancora nel di della prova, che allora era solo per iscritto; piuttosto piccolo dalla persona, vestito compostamente d’un' abito ‘scuro, serio nel portamento; e conversammo un tratto, attendendo gli esaminato- ri, degli studi che c’eran rari, e mi piacque la quadratura della sua mente, e il suo dire sobrio e riflessivo. Da allora fummo iegati d’amicizia. È vero che poi lo perdetti di vista per lunghi anni, durante i quali egli studiò Economia Po- litica a Pavia con Luigi Cossa; vinto un posto di perfezionamento all’ estero (1877) fu a Berlino scolare del Wagner, ed ebbe a maestro l’Engel nelle ri- cerche statistiche; tornato in Italia, fu dapprima libero docente, e poi profes- sore straordinario di Scienza della Finanza a Pavia (1879); da ultimo venne nominato professore ordinario di Economia Politica a Modena (1880). Se non che una volta c’incontrammo in Palermo, a caso e per via, e fummo lietissimi di rivederci, e ci trovammo amici come nella prima spen- sierata giovinezza; e l'amicizia nostra continuò dappoi inalterata, anche quando, dopo la morte del prof. Giovanni Bruno, chefu maestro suo e mio, concorremmo in parecchio, nel 1901 alla cattedra di Economia Politica di Palermo, ed egli meritamente riportò la palma: anzi lo scambievole costante affetto diventò più intimo per la maggiore frequenza. Nè valsero ad intiepidirlo differenze di scuola (1) o triste suggestioni; é vorrei dire anche ora durare esso in me, quantunque morte inesorabile l’amico mio abbia rapito. Giuseppe Ricca-Salerno visse anni 63, dei quali tutto il più bel fiore, dal 1873 al1904, consacrò alla scienza e all’insegnamento, perocchè non fu distratto d’ altre occupazioni, nè la politica ebbe per lui delle attrattive, o gli si presenta- rono delle occasioni per invaghirsene; le quali forse non potevano venire a lui, che menava vita raccolta e casalinga, in tempi nei quali raramente si va a (1) Egli prediligeva certe dottrine d’Alemagna che a me non garbavano. COMMEMORAZIONE DEL PROF. GIUSEPPE RICCA-SALERNO 3 cercar tra sapienti quei che debbono governare ed amministrare: la cosa pubblica, e par quasi che non s’abbia bisogno di loro, ma di chi si fa innanzi e, come disse il Poeta di nostra gente, sollecito risponde. Senza chiamare, e guida: I° mi sobbarco. Come scienziato, in fatto di cose economiche, egli pubblicò parecchi studi, e son notevoli fra questi tre lavori teorici, snl capitolo (1), sul valore, sul salario (2), argomenti di grande interesse per la disciplina che professava, anzi quella del valore di carattere fondamentale: e ne riportò rinomanza: larga e lode dei competenti; quant'è poi alla Scienza delle Finanze, oltre d’un manuale e di scritti minori, diede alla luce nua istoria delle dottrine finanziarie in Italia, col raffronto delle dottrine forestiere e delle istituzioni e condizioni di fatto, la quale ebbe due edizioni: quand’era alla prima, l’opera fu da Luigi Cossa giudicata come il lavoro migliore di lui (3). (1) “Sulla teoria del capitale lo studente italiano può consultare il diligente lavoro del Ricea-Salerno.,, Così scrisse MAFFEO PANTALEONI, Principi di economia pura, pag. 307, in nota. (2) Il frantispizio porta questa epigrafe: Perchè una gente impera e Valtra langue. È un verso di Dante (Inferno, VII, 82) tratto dal luogo nel quale Virgilio spiega al Poeta che sia la Fortuna. (3) Introduzione dello studio dell’Economia Politica. Milano, Hoepli, 1892, pag. 525. L’Handwòrterbuch der Staatswissenchaften (1911) alla voce Ricca-Salerno, in una breve biografia, da un doppio elenco dagli scritti di economia e finanza da lui pubblicati, e cioè —JIn Libri. La libertà del lavoro considerato a come principio supremo dell’ordinamento sociale. Palermo, 1874 (*).—Sulla teoria del capitale. Milano, 1877.— Del salario e delle sue leggi. Padova. 1878 (dal Giornale degli Economisti)..—Teoria generale dei prestiti pubblici. Milano, 1879.—Storia delle dottrine finanziarie in Italia. Roma, 1881, 2% Ed., Palermo, A. Reber, 1896 (comparsa la*pri- ma volta nelle “ Memorie della R. Accademia di Lincei),, (**) —- Mannale di Scienza. -delle Finanze. Firenze, 1888. — La teoria del valore nella storia delle dottrine e dei fatti economici. Palermo, 1894 —L’imposta progressiva e le riforme tributare di alcune Stati europei * Palermo, 1894— Le entrate ordinarie dello Stato —Finanze locali (nel volume [X del trattato di Di- ritto Amministrativo. Milano. 1897-98) (***#).—La teoria del salario nella storia delle dottrine e dei fatti economici. Palermo, A. Reber, 1900. b) In Articoli di Riviste e di periodiche pubblicazioni: 1. Nel Giornale degli Economisti: Oggetto e compito dalla Scienza delle Finanze (1878). —Dell’imposta progressiva secondo alcune recenti dottrine tedesche (1878). —Nuove dottrine sistematiche nella Scienza nelle Finanze (1887). — Le dottrine finanziarie in Inghilterra tra la fine del secolo XVIIe la prima metà del XVIII (*) È la tesi svolta nel concorso ai premi angioini del 1873. (#*) Nel 1881, e onorata d’un premio. (#**). Intende il Primo trattato completo di Diritto Amministrativo italiano a cura di V. E. Orlando, con la collaborazione di altri giureconsulti italiani, edito della Società editrice li- braria. Il volume fu compiuto nel 1902. P. MERENDA ne come quelli francesi e italiani. La dottrina si estendeva, oltre che all’alemanni alle opere anstriache ed inglesi; l acume critico non era semplicemen negativo, ma il portava alle costruzioni teoriche, ed anche alle applicazioni strumento così la deduzione come l’ induzione, aiutata da camparazioni. di pi dati attinti alla storia ed alla statistica; era però alieno dall’indirizzo ma- tematico, che oggi ha tanti segnaci ferventi. Non è questo nè il luogo nè il tempo di ricercare quanto sia 0 l'at 3 ; fermazione del Cossa che il Ricca segni la transazione tra la scuola storica. e la classica (1); nè fino a qual segno le dottrine del Wagner e del Marx ab- biamo conferito nelle sue; nò se e quanto l’operosità di lui abbia concorso (1888). — Protezionismo e libero cambio nei paesi vecchi e nuovi i (1891). — 2. Nell’Annwuario. delle Scienze giuridiche, politiche e sociali (di C. E. Ferraris) 1880- 84: La legge del bilancio.— Dell’imposta sul reddito. — L'assicurazione degli operai. Di aleune questioni. relative al” debito pubblico. uc: 5. Nell’Archivio di Statistica: La progressione dai bilanei negli Stati moderni CLI, 1878) — L'ordinamento dell’imposta fondiaria in Italia (1882). SIOE 4. Nel Bulletin de VInstitut international de Ci La depressione. ‘industriale in Eu- ropa e negli Stati Uniti di America (1886). Il debito pubblico in Buropa 0) negli Stati Uniti d’A- merica speri SONE . Nella Nuova Antologia: Le questioni finanziarie in Germania (1879). _ La legislazio- | neÈ ‘internazionale del lavoro (1890). — La trasformazione storica dei trIbuti in Europa e in America (1891). Sa quistione delle otto ore di lavoro in Inghilterra (1891). —La controversia. id del socialismo in Inghilterra (1891) Le riforme tributarie in Prussia (1891) --. La quistione bancaria in Inghilterra (1892)—Il servizio di tesoreria e le Banche (1892). ZA nazionaliz- zazione della; terra e le riforme sociali (1893) — La nuova fase delle ritorme tributarie (1894). — Paolo Balsamo e la quistione agraria in Sicilia (1895). 6. Nel Finanzarchiv (hîsg. von Shanz) Die Reform der indirekten Stenern in Ita-. lien (I vol.)- Die neue Regelung der Grundstener in Italien (II vol.) 7. Nel Circolo Giuridico: Sullo stato presente della economia politica (1892). 8. Nell’Aschivio giuridico: L'economia politica di Adamo Smitt (vol. 17, 1876). Alla doppia lista, così ben fatta, dell’Handworterbuch bisogna aggiungere che nella 4% serie della Biblioteca dell’Economista, vol. I, parte II, Politica commerciale (1897) trovasi da mo- nografia: Protezionismo e libero scambio nei paesi vecchi e nei nuovi, che il Ricca chiama Saggio e ch'è il lavoro pubblicato già nei fascicoli 1° aprile e 1° maggio 1891 del Giornale degli Eco- nomisti; però con molte correzioni ed aggiunte. i (1) Opera citata. Wii N MERA U COMEMORMAZION& DEL PROF. GIUSEPPE RICCA-SALERNO 5 al progresso della scienza. Io non sarei da tanto, nè l’animo mio addolorato si presterebbe ad un lavoro di questo genere: dove parla il cuore in angoscia non c'è posto per la critica; nè tampoco l’indole e la consuetudini di quest’as- semblea il consentirebbero; nè ciò far si potrebbe così a braccio. Certa cosa è ch’egli faceva onore alla patria che ci è tanto diletta, e la sua infermità e la suna dipartita furono per gli studi una grave perdita. Per legge . l’insegnamento della Economia Politica nelle Università deve compiersi in un anno solo; onde si può fare un corso intero d'’istitituzioni, d’e- lementi, non uno d’alta cultura, ammeno che il docente non voglia trovarsi costretto di rimanersi a mezza via; e questo pare a me uno dei tanti affetti deplorevoli dell’ordinamento universitario nostro, che confonde l’indirizzo profes- sionale con lo scientifico, e, volendo metterli in armonia, nuoce ad entrambi. Ora il Ricca, come gli altri professori di Economia Sociale degli Atenei d’Ita- lia, doveva adattarsi a stare in questo letto di Procuste, e, insegnante volonte- roso ed efficacissimo, vi s'acconciava come meglio poteva, con lo zelo, e con la serietà negli esami, nei quali era tanto lontano dalla rilasciatezza quanto dalla rigidità; ed ebbe il vanto di aver creato a Modena due scolari, che as- sursero a bella fama, Augusto Graziani e Carlo Angelo Conegliani, e che diventa- rono professori universitari; nè quia Palermo l’insegnamento suo fu men fecondo, e tre valorosi giovani uscirono dalla sua scuola, e conseguirono la libera docenza, dei quali uno, Fabrizio Natoli, ha occupato ormai, nella bella e sventurata Messina, la cattedra lasciata vuota da Emilio Cossa, figlio di Luigi, perito nel- la orrenda catastrofe del 28 dicembre 1908 (1). Gli ultimi auni, della vita di Giuseppe Ricca-Salerno furono assai tri- bolati. Col 1900 si arrestò la sua ricca produzione scientifica: quell’anno fu a lui fatale, perocchè la moglie sua, che già aveva sofferto perturbamenti mentali, perdette la ragione. Ed egli sopportò l’inferno tra le domestiche pareti prima di decidersi ‘ad un duro passo, finchè il terrore che la disgraziata attentasse ai propri giorni lo rese più incline ad ascoltare i consigli del fratello, dottore in medicina; onde, traboccata la bilancia, ei fu costretto a ricoverarla in una delle cosid- dette case di salute; dove la poveretta vegeta ancora, perocchè, sendo ancor bambina la scienza delle malattie dell’intelligenza, raramente si guarisce. E dietro questa separazione, l’angosciato marito dovette supplirla nelle cure della (1) Il Natoli, con gentile pensiero, nel discorso inaugurale letto il 21 dicembre 1909 in quella R. Università di Messina, che ancora aspetta sorte migliore, illustrava l’opera scien- tifica del suo predecessore. DI MERENDA figlinolanza, staccandosi dagli studii prediletti. Rd . ecco più dui verso Ò offuscarglisi la vista, e si suo. temperamento, ordinariamente calmo, ina Ist perdere, nel 1911, la maggiore della sue figlie, che gli era carissima, e di. carla invano, brancolando fra le tenebre. Tanto martirio, che aveva. Sul contegno della cloral-ossima rispetto all’acqua e agli alcali NOTA dei Dottori F. CARLO PALAZZO e V. EGIDI. I risultati più notevoli di questa ricerca sono stati riassunti da Palazzo in una precedente Nota (1), ed in essa è stato già concluso che il prodotto da noi studiato deve considerarsi come un miscuglio dei due stereo-isomeri previsti dalla teoria. Nella presente Nota ci limitiamo per ciò a descrivere senz'altro le esperienze, agginngendo solo qualche particolare che per ragione di brevità è stato omesso nel riassunto testè citato. 1. Preparazione della cloral-ossima. L’ossima del cloralio è stata ottenuta per la prima volta da V. Meyer nel 1891 (2) e nella preparazione di essa occorre attenersi ad una condizione che, secondo Meyer, è di sostanziale importanza: occorre, cioè, operare in soluzione concentratissima, usando inoltre l’idrossilammina sottv forma di cloridrato, e in forte eccesso rispetto all’idrato di cloralio. Difatti, allorchè si opera invece con idrossilammina libera e in soluzione acquosa non molto concentrata, l’azione di questo reattivo non si limita al solo gruppo aldeidico, ma si estende anche al gruppo — CCI,, cosicchè si ottiene invece una monocloro-gliossima (3). In questa seconda reazione si elimina naturalmente acido cloridrico, e per ciò si comprende che ad essa può opporsi un argine introducendo nel campo (1) R. A. L., 27, II, 530 (1912). (2) Annalen, 264, 118, (3) cfr. Niigeli, Berichte, 29, 499 (1886) 2 F. CARLO PALAZZO E V. EGIDI della reazione un eccesso di cloridrato d’idrossilammina. Ma, d’altronde, poichè tale eccesso è destinato soltanto ad esercitare un’azione di massa, tendente, cioè, a restringere nel maggior grado possibile la sostituzione del cloro col residno ossimmidico, così è anche ovvio, che in luogo del sale suddetto d’idrossilam- mina potrebbe adoperarsi con lo stesso risultato anche un cloruro metallico molto solubile. Ed infatti noi abbiamo per lo più preparato la cloral-ossima di Meyer sostituendo all’eccesso di cloridrato d’idrossilammina (3 molecole so- pra una di cloralio-idrato) del cloruro di calcio. In 40 cme. d’acqua si sciolgono a caldo gr. 15 di cloridrato d’idrossilam- mina (1 mol.) e gr. 48 di cloruro di calcio cristallizzato (2 mol.); si aggiun- gono quindi gr. 36 di idrato di cloralio in polvere (1 mol.), e si riscalda qualche minuto a 50-60°. L’ossima si forma ben tosto, ma prima di separarla, in im- buto a rubinetto, è bene aspettare che il liquido sovrastante divenga limpido. A differenza del prodotto di Meyer, il quale, preparato secondo le indicazioni di lui è puro per analisi, la cloral-ossima ottenuta nel modo suddetto trascina per lo più un po’ d’acqua; tuttavia, per le nostre esperienze questo fatto non aveva alcuna importanza, giacchè noi depuravamo ulteriormente il prodotto grezzo. È o A questo fine noi non ci siamo limitati, come indica Meyer, a raffreddare l’ossima sciropposa con acqua ghiacciata, e a spremere fra carta da filtro i cristalli che in tal modo si separano: abbiamo invece trattato con etere il prodotto grezzo, e la soluzione eterea, separata in imbuto a rubinetto da una piccola quantità d’acqua che rimane indietro, abbiamo ben disseccato per lungo con- tatto con molto solfato sodico anidro. Distillando allora il solvente, a pression ridotta, si ottiene come residuo un prodotto sciropposo, incoloro, che nei suoi caratteri corrisponde perfettamente all’ossima di Meyer. È 2. Azione dell’acqua sulla cloral-assima sciropposa. Allo studio di questa reazione fummo indotti dal fatto, che, neila scissione alcalina della cloral-ossima sciropposa, il cloro, secondo l’esperienza di V. Meyer, si elimina quantitativamente in forma di cloruro, mentre la sorte del carbonio e dell’azoto non è chiarita per intero dalla sola formazione di anidride carbo- nica e di acido cianidrico. E per ciò, nel caso che la reazione con l’acqua si limitasse soltanto all’idrolisi del gruppo — CCI, nel senso dello schema: CCI; — CH= NOH — 9. 000H CHE SNOHIDD il risultato avuto da Meyer nella scissione alcalina dell’ossima si sarebbe potuto subito chiarire appunto in base a tale idrolisi. L'esperienza confermò pienamente la x È il SUL CONTEGNO-DELLA CLORAL-OSSIMA RISPETTO ALL'ACQUA E AGLI ALCALI 3 nostra previsione. Difatti, allorchò l’acqua si fa reagire a temperatura ordinaria, l’anidride carbonica e l’acido prussico si formano solo in quantità sparuta, cosicchè non può parlarsi di una scissione dell’ossima, ma, sostanzialmente, si verifica solo una trasformazione del gruppo — CCI, in carbossile, — trasforma- zione del tutto analoga a quella osservata recentemente da Kling (1) sul semi- carbazone del cloralio. Se si opera con l’acqua a diluizione molto forte, l'acido cloridrico si eli- mina molto rapidamente ed in misura pressochè teorica. Tuttavia, poichè rico- noscemmo ben presto che il modo più opportuno di isolare il prodotto carbos- silico era quello di precipitarlo sotto forma di sale di rame, non però del tutto insolubile, così in pratica non abbiamo potuto adottare diluizioni troppo grandi. Numerosi saggi preliminari ci mostrarono che il migliore risultato (dal punto di vista dell’isolamento degli acidi ossimmido-acetici) si ottiene trattando la cloral-ossima sciropposa con un peso decuplo di acqua. Dibattendo tale misenglio, a mano o in agitatore, l’ossima entra rapidamente in soluzione, ed il liquido assume tosto reazione acida. l'acidità del liquido cresce poi coll’andar del tempo, raggiungendo un mas- simo dopo 4-5 giorni. Questo massimo è relativo, beninteso, alla concentrazione adottata, e, conformemente alla legge dell’azione di massa, può venire in vario modo oltrepassato: sia, diminuendo, per ulteriore aggiunta di acqua, la. con- centrazione dei joni H- che si formano nell’idrolisi del gruppo —OCI,, sia, eli- minandoli addirittura per neutralizzazione del liquido con alcali. In quest'ul- timo caso, quando, cioè, in una stessa giornata, più e più volte si neutralizza. il liquido ritornato acido, l’idrolisi del gruppo —CCI, procede molto pi Ù spe- dita, e in pochi giorni l'eliminazione di acido cloridrico è quantitativamente molto vicina a ciò che esige la teoria; laddove, nelle condizioni accennate iu principio, l’acidità massima, secondo apposite determinazioni, per lo più corri- sponde solo ad una quarta parte di quella che si calcola per la completa idro- lisi del gruppo —CCI,. Ciononostante, per le nostre esperienze, nelle quali si voleva da un canto escludere affatto gli alcali, e dall’altro non diluire ecces- sivamente, data la solubilità dol sale di rame, abbiamo adottato fra la cloral-os- sima e l’acqua soltanto il rapporto 1-10. Il fatto, che in queste condizioni il massimo di acidità conseguito è molto lontano da ciò che esige la teoria, non dipende (o, almeno, non in grado notevole), da un’idrolisi parziale del gruppo —CCI? nel senso dello schema: —CC1, + CCL,(0H) - CCI(0H),, ‘(1) Bulletin, V-VI, 412 (1909); Zentralblatt, 1911, IT, 1785. 4 F. CARLO PALAZZO E V. EGIDI bensì da ciò, che, in una porzione di cloral-ossima tale idrolisi è completa, e sopra un’altra porzione nou si verifica punto. Difatti, dal liquido acquoso, che, per una data diluizione, abbia già raggiunto il massimo di acidità, si può sempre ricuperare, per estrazione con etere, ana quantità più o meno notevole di cloral-ossima inalterata, mentre la simultanea presenza di un acido carbossilico mostra che un’altra porzione di cloral-ossima ha invece subìto completa idrolisi del gruppo —CCP. Dopo riposo di 4-5 giorni, i liquidi acidi provenienti dal trattamento suin- dicato venivano aggiunti di un eccesso di soluzione di acetato ramico; essi assumevano così un color verde scuro intenso (in gran parte dovuto alla pre- senza di molto cloruro ramico indissociato), e lasciavano precipitare piccola quantità di nn prodotto anch'esso di un colore verde scuro. Questo prodotto — che, per la sua natura un po’ gelatinosa, si filtra solo con difficoltà — dopo abbondante lavaggio con acqua, veniva ulteriormente depurato sciogliendosi in acido solforico (normale) e precipitandosi la soluzione solforica (filtrata) con un volume d’alcali equivalente all’acido impiegato. Che questo processo rappre- sentasse veramente una depurazione, risultava dal fatto, che, nel trattamento del prodotto grezzo con l’acido solforico, rimaneva sempre indietro una piccola quantità di sostanza bianco-giallastra, amorfa, gelatinosa. Il prodotto da noi ottenuto, applicando per due volte consecutive il processo testè accennato, venne infine lavato, successivamente, con acqua, alcool, etere, e disseccato nel vuoto su acido solforico, fino a peso costante. Esso non con- teneva cloro, e, analizzato, diede i seguenti risultati: 1) Gr. 0,5488 di sostanza, dopo completa idrolisi con acido nitrico e cal- cinazione del residuo fino a peso costante, fornirono gr. 0,1862 di ossido di rame, corrispondenti a gr. 0,149 di rame metallico. 2) Sostauza gr. 0,2795; Cu0 gr. 0,146 = gr. 0,1166 di Cu. 53) Sostanza gr. 0,3866; Cu0 gr. 0,2036= gr. 0,1626 di Cu. 4) Gr. 0,1418 di sostanza fornirono cme. 12,25 di azoto, misurati a 20° e a 763 mm. Cu °/, trovato 42,7 41,8 42,05 (media 42,18) N. °%/ trovato — _ cs 9,29 La composizione del prodotto da noi analizzato corrisponde dunque, esat- tamente, a quella di ossimmido-acetato ramico, per la quale si calcola infatti. su cento parti: Cu 42,23 N 9,29 Non rimaneva dunque che da identificare l’acido o gli acidi corrispondenti a SUL CONTEGNO DELLA CLORAL-OSSIMA RISPETTO ALL'ACQUA E AGLI ALCALI 1) questo sale, da assodare, cioè, se si trattasse dell'acido ossimmido-acetico finora noto, fusibile a 138°, o dello stereoisomero non ancora conosciuto, 0, infine, eventualmente, di un miscuglio di entrambi questi acidi. Tale compito non è stato molto semplice; e la prima difficoltà da noi incontrata risiedeva nel fatto, che il nostro sale di rame era sostanzialmente diverso da quello accennato da Hantzsch e Wild per l’acido ossimmido-acetico fusibile a 138°; cosicchè, a prima vista, avuto riguardo ai risultati analitici, lo si sarebbe dovuto piuttosto ritenere come il sale di rame dell’acido stereoisomero non ancora conosciuto. Allo scopo di chiarire questo punto noi credemmo per ciò opportuno studiare più da vicino l’acido ossimmido-acetico fusibile a 138°. Secondo Hantzsch e Wild, trattando quest’acido, in soluzione acquosa non troppo dilnita, con acetato ramico, si ottiene un precipitato cristallino ; tuttavia, gli Autori non dànno di esso alcuna analisi, e non indicano nemmeno il colore del precipitato. Ora, secondo le esperienze da noi appositamente istituite, l’acido ossim- mido-acetico (1), fornisce dune diversi sali, con contenuto diverso di rame. Allorchè si tratta la soluzione concentrata dell’acido con piccola quantità di acetato ramico, si ottiene un precipitato di colore celeste, che dev'essere il sale indicato da Hantzsch e Wild, presentandosi appuuto cristallino, aghiforme ; tuttavia, la com- posizione di questo sale, secondo un’analisi da noi fatta, non corrisponde alla formula di un ossimmido-acetato neutro, sul tipo, ad es., del sale baritico (CH: NO.). (COO.) Ba 4-2 aq. descritto dagli stessi Autori, bensì a quella di un sale in cui sia saturato solamente il carbossile, e non il gruppo ossimmidico . Gr. 0,3882 di sale, semplicemente asciugato all'aria, fornirono gr. 0,1084 di CuO0=gr. 0,0866 di Cu. Su 100 parti: Trovato Calceolato per (CH:NOH—C00),Cu+2 aq. Cu 22,90 23,07 Se a questo sale, precipitato nel modo anzidetto, si aggiunge ulteriormente, ma con precauzione, nuovo acetato ramico, ‘esso entra in soluzione, e dal liquido, cho ha per ciò assunto un colorito verde scuro, si separa dopo qualche riposo un nuovo sale del colore stesso del liquido, ed il cui aspetto non è più cristallino come quello del sale celeste di partenza. Per questo nuovo sale, verde seuro, noi abbiamo trovato all’analisi una percentuale di rame molto superiore a quella riscontrata nel sale celeste (2), e non può dunque rima- {1) Quest’acido fu da noi preparato tanto secondo Wieland, dall’acido gliossilico (Berichte, 45,3363-1910-p. f. 1434-1369), quanto secondo Hantzsch e Wild (l. c.) dall’acido bicloro-4dcetico e idrossilammina (p. f. 138°). (2) Sostanza gr. 0, 5791; Cn0 gr. 0, 2700 = gr. 0, 2157 di Cu. CH : NO ; > Su 100. parti: Trovato Calcolato per CO00 —Cu Cu 37, 25 42, 23 6 F. CARLO PALAZZO E V. EGIDI nere dubbio che esso costituisca in sostanza un sale neutro, corrispon- dente, cioè, nella sna composizione al sale baritico descritto da Hantzsch e Wild; la divergenza del nostro risultato da ciò che esige la teoria è solo da imputarsi alla difficoltà di ottenere questo sale verde del tutto scevro di quello celeste; dappoichè, se per evitare ciò, si eccede anche di poco nella quantità di acetato ramico da aggiungersi al sale celeste, il nuovo sale verde senro non si precipita. In ogni modo, dal sale verde scuro da noi analizzato si può sempre rimettere in libertà l’acido ossimmido-acetico per trattamento con acido solforico diluito, ed anzi, in tale operazione, quando sia fatta con cautela, si ripassa transitoriamente per il sale celeste che contiene meno rame. L'acido ossimmido-acetico, che si ricava dal liquido solforico mediante ripetute estra- zioni con etere, è perfettamente puro, fondendo infatti, come noi trovammo,a 138°. Ciò premesso, è interessante notare come dal sale di rame che noi otte- nemmo per idrolisi della cloral-ossima sciropposa, anch’esso di colore verde scuro e alquanto solubile nella soluzione di acetato ramico, non si ricava in modo analogo l'acido ossimmido-acetico fusibile a 138°. Avendo decomposto il sale con acido solforico diluito, ed estratto la soluzione solforica con etere, in modo analogo come per il sale verde scuro ottenuto dall’acido ossimmido- acetico, noi ottenemmo un prodotto, dalla cor:posizione di acido ossimmido- acetico (1), il quale fondeva tuttavia già a 100°, rammollendosi, per di più, alcuni gradi prima. Avuto riguardo a tutto ciò, devesi dunque escludere che la note- vole differenza nei punti di fusione, da noi riscontrata tra l’acido ossimmido- acetico finora noto ed il prodotto acido proveniente dalla cloral-ossima sci- ropposa dipenda da impurezze intese nel senso ordinario di questa parola. A prima vista si crederebbe, piuttosto, di aver da fare con l’acido ossimmido- acetico stereoisomero di quello noto: ed invero, mentre sotto qualche aspetto il prodotto acido ricavato dalla cloral-ossima sciropposa corrisponde esatta- mente all’acido ossimmido-acetico noto, in qualche punto del sno contegno se ne differenzia nettamente. Così, ad esempio, è affatto coincidente il suo con- tegno rispetto all’acetato di rame, potendosi ottenere da esso, con le cautele sopracennate, un sale celeste, e, successivamente, un sale verde; ma, d'altra parte, mentre l’acido ossimmido-acetico fusibile a 138°, aggiunto di poche. gocce di cloruro ferrico, nen dà colorazione sensibile (2), il prodotto acido (1) Gr. 0,1664 di sostanza iornirono eme. 23,9 di azoto, a 25° e a 758 mm. INA trovato 15,97 calcolato per C,H,0,N 15,75 (2) A questo riguardo deve notarsi, che Hantzsch e Wild (1. c.), riferendosi a tale saggio, parlano invece di una colorazione rossa; ciononostante, ci siamo potuti convincere con ripe- tute prove sull’acido ossimmido-acetico puro, che tale colorazione si manifesta solo dopo qual- SUL CONTEGNO DELLA CLORAL-OSSIMA RISPETTO ALL'ACQUA E AGLI ALCALI 7 proveniente dalla cloral-ossima sciropposa, trattato in ugual modo, fornisce sùbito dna colorazione rossa, fino a rosso-ciliegia (i). E poichè non sì poteva a pricri escludere che alcune delle proprietà già note per l’acido ossimmido- acetico fusibile a 138° convenissero anche allo sterecisomero finora non cono- sciuto, così si sarebbe potuto, ripetiamo, pensare a tutta prima che l’acido da noi ottenuto, fusibile a 100°, rappresentasse tale stereoisomero. Secondo il nostro modo di vedere, invece, il prodotto acido ricavato dalla cloral-ossima sciropposa è da interpretarsi senz’ altro come una mescolanza dei due acidi ossimmido-acetici stereoisomeri ; e ciò, per due ragioni principalmente : anzitutto, perchè il suo punto di fusione è poco netto, e questo fatto per una sostanza acida ricavata da un sale puro, e che dà essa stessa, all’ analisi, risultati esatti, non pnò dipendere da /w.purezze nel senso ordinario della parola; in secondo luogo, perchè tale punto di fusione lo si trova già elevato di parecchi gradi, quando il prodotto, estratto con etere, si tratta con una piccola quantità di questo solvente, e si determina il punto di fusione sulla porzione asportata con l’etere. Questo procedimento, di soluzione frazionata in etere, deve consi- derarsi come un modo di separare i due stereoisomeri, e condurrebbe forse al loro completo isolamento, se si potesse applicare sistematicamente ad una quantità rilevante di prodotto. Purtroppo noi dovemmo rinunziare a questo còmpito: difatti l’idrolisi della cloral-ossima, alla diluizione che era opportuno adottare, si verifica solo sul 25 °/, circa della sostanza, e poichè, d’ altro canto, la preci - pitazione con acetato ramico è anche in quel caso assai incompleta, così non abbiamo potuto disporre che di quantità relativamente piccole del sale ramico in questione. 3. — Distillazione frazionata della cloral-ossima sciropposa, e punto di fusione della cloral-ossima solida. che minuto dall’aggiunta del reattivo, e solo quando questo non sia adoperato in quantità troppo piccola. E’? perciò ovvio riferire tale reazione cromatica ad un fatto di ossidazione (nel corrispondente acido idrossammico), analogo a quello che Palazzo mise in chiaro per la for- maldossima e per parecchi altri suoi omologhi. [Cfr. Verhandlungen d. Ges. deut. Naturfor- scher n. Aerzte 1909, p. 99, Atti del Congresso intern. di Londra 1911; sez. IV a)]|. Si com- prende allora la possibilità, che le due modificazioni stereoisomere di un’ossima, o di un acido ossimico, quale è appunto l’acido ossimmido-acetico, diversifichino fra loro per la rapidità con cui dàuno la detta colorazione, potendo essere più o meno spiccata, da uno stereoisomero all’altro, l’attitndine a ossidarsi nel corrispondente acido idrossammico. (1) Tale differeuza non si può imputare ad un inquinamento con acido formidrossammico, eventualmente formato per scissioni secondarie della cloral-ossima, giacchè lo stesso prodotto ‘che si colora col cloruro ferrico non riduce punto il nitrato di argento ammoniacale. 8 FP. CARLO PALAZZO E V. EGIDI Già in Meyer si trova indicato che la cloral-ossima, in piccola quantità, bolle inalterata; noi potemmo constatare, che, operandosi a pressione ridotta (20-30 mm.), si può distillare senza traccia di decomposizione qualsivoglia quantità di cloral-ossima. E il risultato di tale distillazione è specialmente notevole in rapporto alla questione, se il prodotto liquido che rimane indietro nel congela- mento dell’ ossima sciropposa (congelamento, che, anche a 0°, è soltanto parziale), rappresenti, come pensava Meyer, della cloral-ossima semplicemente surfusa, o costituisca, invece, un isomero del prodotto solido. In realtà, nella distilla- zione nel vuoto la cloral-ossima si comporta in modo tale da doversi proprio interpretare come una miscela di due prodotti, dei quali uno, solido a tempe- | ratura ordinaria, è tenuto in soluzione dall’ altro, liquido. Eseguendo il frazionamento dell’ossima sciropposa, si ottengono infatti, costantemente, una porzione solida, la quale è l’ultima a passare (p. eb. 85° a 20 mm.), e parecchie frazioni liquide, che precedono la solida (p. eb. 65-85° a 20-25 mm.). Evidentemente questo fatto, che la porzione bollente a temperatura più alta solidifica tosto nel collettore, mentre le porzioni che la precedono, passate a temperature meno alte, rimangono liquide, basta da solo a far conclu- dere che lo stato liquido di tali frazioni non può per nulla attribuirsi a surfusione. Il fatto poi che la costanza del punto di ebollizione viene ragginnta solo al passaggio della frazione che costituirà il prodotto solido, si concilia benissimo con l'ipotesi di un miscuglio d’isomeri, anzi prova addirittura che si ha da fare con un miscuglio. È infatti ovvio, che il punto di ebollizione del liquido deve sempre più elevarsi, a misura che esso sempre più si spoglia della por-. zione più facilmente volatile, e che diverrà costante solo allorquando tale por- zione si è del tutto eliminata. Dati questi rapporti, si comprende sùbito come sia relativamente facile ottenere del prodotto solido puro, o quasi puro, mentre sarebbe nn còmpito molto più laborioso isolare (per frazionamento) del prodotto liquido che non tenga in soluzione più o meno ossima solida. Del resto, a maggiore riprova di ciò, che lo stato liquido dell’ ossima di Meyer non dipende affatio da sopratusione del solio, possiamo anche aggiun- gere, che il punto di fusione dell’ ossima solida è stato da noi trovato tanto più alto, quanto meno impregnata di prodotto liquido doveva essa ritenersi. Così, mentre Meyer, pur con qualche riserva, diede il punto di fusione 39-40°, noi, per il prodotto ottenuto secondo la stessa tecnica da lui descritta, ma spogliato quanto più possibile (per forte compressione fra carta da filtro) del liquido aderente, potemmo osservare, invece, un punto di fusione a 50°; e per il prodotto solido d/st///ato, e spogliato anch’ esso da un po’ di liquido aderente, . prima per centrifugazione (nel miglior modo dentro un crogiolino di Gooch), SUL CONTEGNO DELLA CLORAL-OSSIMA RISPETTO ALL'ACQUA E AGLI ALCALI 9 e poi per compressione fra carta da filtro, avemmo ad osservare nn punto di fusione ancor più elevato, a 56°. 4. — Azione dell’ acqua sulla cloral-ossima solida. Com'è noto, Dunstan e Dymond (1), in base ai risultati della trasposizione di Beckman da loro applicata all’ acetaldossima ed alla propionaldossima, poterono concludere che le forme solide di queste ossime sono di struttura 47/7, le forme liquida di struttura s7r. È per ciò naturale supporre, che, se i medesimi rapporti valgono anche per le due forme di cloral-ossima, e se la nostra conclusione circa l’ idrolisi dell’ossima sciropposa è veramente esatta, allora, sottoponendosi all’ azione dell’acqua, non più l’ossima sciropposa, bensì le due forme pure, isolatamente prese, non dovrebbe rimanere la più lieve incertezza circa la natura dell’ acido ossimmido-acetico ricavato; giacchè esso dovrebbe, in un caso, pienamente identificarsi con l'acido ossimmido-acetico fusibile a 138°, e, nell’ altro, costi- tnire lo stereoisomero non ancora conosciuto allo stato di purezza: MELO 00] He 000], | | N 0H HO —- N Y Y H_ C- C00H. H—C_— COOH | | N — OH HO N Ora, come abbiamo già rilevato, la cloral-ossima liquida, analogamente all’ acetaldossima e alla propionaldossima liquide di Dunstan e Dymond, non si può ottenere del tutto scevra dall’ isomero solido, dappoichè, per la'vicinanza dei punti di ebollizione, i vapori della forma liquida trascinano vapori della forma solida. Ma questa ultima forma si può, invece, avere abbastanza facil- mente scevra dell’ isomero liquido ; epperò, era interessante, a titolo di controllo, sperimentare se tale forma, allo stato di purezza, fornisse esclusivamente V a- cido ossimmido-acetico fusibile a 138°. In verità, avendo fatto anche questa esperienza, avendo adoperato, cioò, per la reazione con l’acqua della cloral-ossima solida, ottenuta per distilla- zione frazionata dell’ ossima sciropposa, e spogliata con particolar cnra (per centrifugazione, e successiva compressione fra carta da filtro) delle piccole (1) Journ. Chem. Soc., 65, 206 (1894). 10 F. CARLO PALAZZO E V. EGIDI quantità di liquido ad essa aderenti, abbiamo ottenuto un risultato sostanzial- mente analogo a quello già descritto per l’ ossima seiropposa. Ciononostante, tale risultato, avuto riguardo a una osservazione da noi fatta sin dall'inizio dell’ esperienza, non contraddice punto le nostre conclusio- ni sulla natura della cloral-ossima sciropposa, ed anzi, sotto un certo punto di vista (diverso naturalmente da quello originario) ne reca perfino una nuova conferma. Nel trattamento della cloral-ossima solida con acqua, già dopo pochi minuti di contatto, si verifica costantemente una completa flnidificazione dei. cristalli, la quale non si può menomamente imputare a sviluppo di calore, giacchè nelle condizioni tenute (10 gr. di cloral-ossima solida su 100 gr. di acqua a temperatura ordinaria), la temperatura del liquido rimane pressochè immutata, e perciò ben lontana dal punto di fusione dell’ossima. Si verifica dunque non la fusione pura e semplice dell’ossima solida, bensì la trasfor- mazione di una parte almeno di essa nella forma isomera liquida capace di tenere in soluzione la forma solida. Ora, questo particolare contegno dell’ os- sima solida non può che mettersi in rapporto con la presenza di acido clori- drico, il quale si forma infatti immediatamente, al primo contatto deil'ossima con l’acqua, e per ciò, se da un canto esso impedisce diricavare come prodotto dell’ idrolisi soltanto l’ acido ossimmido-acetico fusibile a 1389, dall'altro ri- corda sùbito il contegno della ar2#-benzaldossima, la quale, sotto l’ zione del- l’acido cloridrico. si trasforma infatti nel cloridrato dell’ ossima six (1). Questa stessa interpretazione è evidentemente da applicarsi anche al contegno che mostra la cloral-ossima solida, pura, allorchè silasci dimorare all'aria; questo prodotto, cie, in essiccatore ad acido solforico, si mantiene affatto inalterato, quando rimane invece all’ aria si rammollisce gradatamente, fino a fluidificarsi del tutto; è ovvio che qui interviene in primo tenpo |’ umi- dità atmosterica idrolizzando il gruppo —CC18, e l’acido cloridrico così pro- dotto trasforma poi la rimanente ossima solida nello stereoisomero liquido. Db. — Bromal-ossima. Questo prodotto, di cniè stato fatto cenno nella citata Nota di Palazzo, venne da lui ottenuto per azione del cloridrato d’idrossilammina sull’ idrato di bromalio, prendendo precauzioni analoghe a quelle osservate nelcaso della cloral-ossima. Se la reazione si fa avvenire in soluzione molto concentrata, e a caldo, l’os- sima si separa sùbito come liquido oleoso, incoloro, che solidifica solo dopo (1) cfr. Beckmann, Berichte, 22, 432 (1889). SUL CONTEGNO DELLA CLORAL-OSSIMA RISPETTO ALL’ ACQUA E AGLI ALCALI 11 riposo di qualche giorno. Ma se si mescolano semplicemente i due liquidi, appena caldi e non molto concentrati, solo una piccola porzione dell’ ossima si deposita oleosa (solidificando per altro ben tosto); la massima parte sisepara, dopo alcune ore, in magnifici cristalli aciculari, che sono già puri per analisi. Essi mostrano infatti, ben deciso, il punto di fusione 115°, che non si altera per cristallizzazione dall’ etere di petrolio. 1) Gr. 0,1500 di sostanza, alla determinazione di bromo col metodo alla calce, fornirono gr. 0,1204 di jone bromo. 2) Gr. 0,3867 di sostanza fornirono cme. 16 di azoto, misurati a 25°%ed a 762 mm. Su 100 parti: Trovato Calcolato per CBr°-CH: NOH Br 80,40 81,08 N 4,63 4,73 3) Gr. 0,4950 di sostanza abbassarono di 0,39° il punto di congelamento di gr. 16,59 di acido acetico glaciale. Trovato Calcolato per CBr*-CH: NOH Peso molecolare 298 i 296 Anche questa ossima è, rispetto agli alcali, altrettanto alterabile che la cloral-ossima; tuttavia, sotto l azione dell’ acqua, elimina acido bromidrico senza trasformarsi in una modificazione liquida; — e per ciò uno di noi si propone di studiare ambedue le reazioni ora cennate, col duplice intento di assodare per la modificazione solida la struttura di 27/-aldossima, e di confermare in pari tempo le conclusioni a cui siamo giunti per la cloral-ossima sciropposa di V. Meyer. Roma, Istituto chimico-farmacentico della R. Università, novembre 1912. a — O SII Men VA "SE i se vl do NI, (06) ? Sintesi di due ossi-tetrazoli isomeri da azo-immide e acido fulminico NOTA dei DOTT. F. CARLO PALAZZO e GAETANO MAROGNA. Le interessanti ricerche di Hantzsch e Vagt “Ueber das sogenannte Dia- zoguanidin,, (1), mentre chiarivano la natura di questo prodotto già ottenuto da Thiele (2), caratterizzandolo come carbammid-immid-azide, d’altra parte, con la preparazione della carbamm-azide (II), davano adito a nuove indagini sulla stabilità o meno di questo tipo di composti. La carbammid-immid-azide, comuuque formata, —o per idrolisi del sno nitrato (8), o per diretta unione del- l’acido azotidrico con la cianammide—si converte sempre, con minore o mag- giore rapidità, nel derivato tetrazolico corrispondente: HEN-OCNE H,N.C-—NH 1) La Lo NE NON A e invece l’azide dell’acido carbammico: EPNIEO Da) kN NN non si isomerizza punto, e fa pensare perciò alla possibilità di isolare azidi con analogo contegno, nelle quali, cioè, la velocità di trasformazione in con- posti tetrazolici isomeri sia praticamente sulla. \ (1) Annalen, 874, 339 (1900) (2) Annalen, 270,1 (1892) (3) Questo si ottiene per azione di acido nitroso sul nitrato di ammido-guanidina. e 14 F. CARLO PALAZZO E GAETANO MAROGNA In verità le reazioni con l’acido azotidrico studiate nell’ultimo biennio da Palazzo (1), da Oliveri-Mandalà (2), e da Dimroth (3), sopra sostanze con car- bonio bivalente, hanno permesso di isolare soltanto dei composti tetrazolici, di- guisachè, per le azidi, che in teoria corrispondono a tali composti, deve pen- sarsi che siano dotate di nna velocità di trasformazione grandissima; esse costi- tniscono, cioè, altrettanti casi analoghi a quello della carbammid-immid-azide. In vista dell'interesse che si annoda alle trasformazioni ora indicate, sotto il punto di vista più generico degli equilibrii che necessariamente si istitni- scono fra addendi, azidi, e prodotti tetrazolici, siamo stati indotti astudiare più da vicino la reazione del fulminato di sodio sull’acido azotidrico, tanto più che da essa, come appunto aveva trovato uno di noi (4), non prende origine uni-. camente l’N.ossi-tetrazolo, ma si isola un altro prodotto azotato, la cui na- tura restava ancora da chiarire. Con le esperienze che descriveremo in questa Nota, relative a tale pro- dotto, noi abbiauo potuto escludere in modo sicuro, che esso costituisca la triazo-formaldossima, e per ciò, fra le varie azidi che si formano in tutte le sintesi sopra indicate, la carbamm-azide occupa una posizione a sè, rimanendo l’unica che non si converta in derivato tetrazolico. D'altro canto, poichè alla sostanza da noi studiata, che è isomera con quella già ottenuta da Palazzo nella stessa reazione, devegi attribuire egualmente una struttura di ossi-tetra- zolo, così la nostra ricerca conduce ad un risultato che offre interesse anche sotto altro aspetto, fornendoci infatti, come sarà discusso in seguito, una note- vole prova per la fantomeria dell’ acido fulminico. I. Preparazione del sale sodico dell’iso-ossi-tetrazolo. L’/so-ossi-tetrazolo fu ottenuto la prima volta da Palazzo, in parte sotto forma di sale sodico (5), in parte libero, estraendo con etere acetico il liquido che proviene dalla reazione del fulminato sodico con l’acido azotidrico, nel qual caso lo si ricava però mescolato all’N.ossi-tetrazolo, da cuni non è age- vole separarlo (6). 4 (1) R. A. I. 29, I, 218 (1910) (2) ibidem, pag. 228; Gazzetta 40, II, 441 (1910) (3) Berichte, 43, 2219 (1910) (4) Palazzo, l. c. (9) Rendiconti della Soc. Chim. Ital. 2 (2), 29 (1910) (6} Uno di noi era riuscito tempo fa ad isolare l’7so-ossi-tetrazolo dal suddetto miscuglio, cristallizzando anzitutto questo da poco acido acetico bollente, e depurando ulteriormente il SINTESI DI DUE OSSI-TETRAZOLI ISOMERI DA AZO-IMMIDE E ACIDO FULMINICO 15 Conveniva perciò preparare notevole quantità del sale sodico, e a questo fine abbiamo proceduto nel seguente modo: Da una soluzione di 20 gr. di azoturo di sodio (prodotto tecnico della Casa Raschig), acida per acido solforico, si scacciava la maggior parte dell’azo-immide, raccogliendo un volume di distillato (50 cme.) uguale ad un quarto del liquido acido totale, e sui liquidi provenienti da due distillazioni simili, raffreddati a—12°, si faceva gocciolare molto lentamente la soluzione di fulminato sodico (80 cme.) la quale proveniva dalla trasformazione di 40 gr. di fulminato mercurico (1), ed era pure raffred- data a—12°. Operando a questo modo, la temperatura del miscuglio saliva soltanto a —5°, e in queste condizioni potemmo constatare, che la sintesi dell’N.ossi- tetrazolo retrocede, mentre è notevolmente favorita la formazione dell’ isomero, il quale, per il suo carattere fortemente acido, viene a trovarsi poi in soluzione sotto forma di sale sodico. Invero, nella reazione dell’ acido azotidrico snl ful- minato sodico, si forma in un primo tempo azoturo di sodio, ma questo viene in gran parte decomposto dall’ /so-ossi-tetrazolo. L’ equilibrio, data la grande solubilità dell'acido azotidrico in etere acetico, e la sua volatilità, può poi venire ulteriormente spostato in favore del sale dell’ossi-tetrazolo, quando si lasciano evaporare i liquidi provenienti dalla reazione suddetta, dopo di averli estratti ripetute volte con etere acetico. In tal modo il sale sodico si separa sotto forma di cristalli incolori, o appena colorati in giallo paglierino, con un rendimento del 50-60 °/, (fino a 27 grammi di sale da 40 grammi di fulminato mercurico). Tali cristalli si ottengono in due forme, con diverse costanti, appartenenti allo stesso sistema triclino (2); difatti, secondo le osservazioni del ch.,:0 Prof. nuovo prodotto attraverso il sale di sodio. Difatti, per ebollizione con alcali concentrati, PN. ossi-tetrazolo viene distrutto, mentre dal liquido alcalino, raffreddato, cristallizza il sale sodico dell’zso-ossi-tetrazolo. Da questo sale si ricava facilmente l’ossi-tetrazolo libero, puro, operando nel modo indicato al $ 2. (1) Il fulminato mercurico era preparato secondo Beckmanu (Ber, /9, 993), e depurato per dissoluzione in cianuro potassico e precipitazione con acido solforico diluito. Il sale così otte- nuto veniva lavato con acqua, ‘alcool, etere, e lasciato seccare all'aria. (2) Di queste due forme compare l’una o l’altra a seconda della concentrazione del liquido ; nelle condizioni sopradescritte, nelle quali il l'ignido è molto ricco del sale, la cristallizzazione di questo avviene per lo più rapidamente, dopo poche ore di riposo, e compare allora la forma 5; allorchè, invece, il liquido non è molto concentrato, la cristallizzazione si verifica solo dopo alcuni giorni, ed in tal caso i cristalli sono della forma a. 16 F. CARLO PALAZZO E GAETANO MAROGNA A. Rosati, che ebbe la cortesia di misurarle (1), una forma (4) presenta le costanti : 13 03 @ = B T e risulta dalla combinazione di en) UD formando grazdi cristalli, NDIONE (O tabulari 1,2494: 1: 0,8521 , 130° 6 114° 477 79° 8411), — (ea) RE) ((bhL.))e Do > ( 101 secondo 010 l'altra forma (0) presenta le costanti: BRDE (0) 7] Y c= 0,6798: 1: 1,0834 54° 53 124° 32'1/, 121° 43 e risulta dalla combinazione di ( eo e EL) {100}: (0103: (0015. (Fi): formando piccoli cristalli, anch'essi appiattiti secondo | 010 È Dai cristalli suddetti abbiamo ottenuto il sale puro per analisi, mediante due cristallizzazioni da poca acqua bollente. Questo sale contiene acqua di cristallizzazione che si elimina in modo com- pleto per riscaldamento a 120°. A differenza del sale sodico dell’ N.ossi-tetra- zolo, esso, in soluzione acquosa, ha reazione neutra, non si colora punto con cloruro ferrico, e, aggiunto di vitrato di argento o di acetato mercnrico, fornisce i corrispondenti sali, in forma di precipitati più o meno voluminosi, bìanchi. Trattato con cloruro di benzoile, secondo Schotten-Baumann, dà un benzoil- derivato, che cristallizza in magnifici aghi da miscuglio di benzolo ed etere petrolico, e fonde nettamente a 94°. All’ analisi, il sale di sodio suddetto ci fornì i numeri richiesti dalla teoria: I) Gr. 0,3138 di sale sodico idrato, in soluzione acquosa, richiesero per la trasformazione in sale d’argento cme. 19,3 di nitrato di argento N/, (2), cor- rispondenti a gr. 0,0444 di Na. (1) R. A. L., seduta del 3 Novembre 1912. (2) Questa quantità venne dedotta per differenza, adoperandosi eccesso di nitrato d’argento e valutandosi tale eccesso (in una parte aliquota del liquido filtrato) mediante solfocianato ammonico N/,o. SINTESI DI DUE OSSI-TETRAZOLI ISOMERI DA AZO-IMMIDE E ACIDE FULMINICO 17 Su 100 parti Trovato Calcolato per CHON,Na + 3H,0 Na 14,16 14,19 II) Gr. 0,9957 dello stesso sale, mantenuti a 120° fino a peso costante, diminuirono di gr. 0,3307. Su 100 parti Trovato Calcolato per CHON,Na 4 3H,0 H,0 33,22 33,33 III) Gr. 0,2005 di sale sodico, disidratato a 120°, richiesero, per la tras- formazione in sale di argento, cme. 13,6 di nitrato di argento N/,,, corrispon- denti a gr. 0,04273 di Na. Su 100 parti Trovato Calcolato per CHON,Na Na 12133 21,29 Ii benzoil-derivato diede, nella determinazione di azoto, il seguente ri- sultato : Sostanza gr. 0,1536; azoto cme. 38 a 16° e a 759 mm. N° trovato 28,76 Caicolato per CHON,(C0.C,H,) 29,47 Come abbiamo già rilevato, il sale sodico in discorso è del tutto stabile all’acqua ed agli alcali, ma con acido solforico, o con acido cloridrico fumante, subisce una completa demolizione nel senso già indicato da Thiele e Ingle (1) per il tetrazolo. In essa, analogamente anche a quanto avviene per 1’N.ossi- tetrazolo, una parte dell’azoto si elimina in forma di ammoniaca, una parte allo stato elementare, ed un’altra ancora sotto forma di idrossilammina. a) ammoniaca — Gr. 0,1629 di sale sodico idrate fornirono tanta ammo- niaca da saturare cme. 10,3 di soluzione N/,, di acido solforico, cioè gram- mi 0,1751. Su 100 parti Trovato Calcolato per 1 NH, NH, 10,74 10,49 a) azoto —1. Gr. 0.1754 di sale idrato, decomposti con acido solforico concentrato in corrente di anidride carbonica pura, fornirono cme. 32,7 di gas, misurati a 11° e a 758 mm. 2. Gr. 0,1700 di sale, trattati nel modo suddetto, fornirono eme. 33,2 di gas, misurati a 12° e a 756 mm. Su 100 parti Trovato (2) Calcolato per 2 N 3 N 22,16 23,06 17,28 (1) Aunalen, 287, 245 (1895). (2) L’eccesso di gas non è imputabile a ossido di carbonio, giacchè nella seconda deter- minazione di azoto, nella quale si ebbe una percentuale di gas più elevata, l’ azotometro era preceduto da un apparecchio a bolle con soluzione cloridrica di clornro ramoso. Perciò rite- 18 F. CARLO PALAZZO E GAETANO MAROGNA c) idrossilammina — Fu riscontrata solo qualitativamente. 2. Iso-ossi-tetrazolo dal sale sodico. Gr. 20 di sale sodico idrato puro, sciolto in 50 eme. di acqua, furono aggiunti di 60 cme. di acido solforico al 20 °/, e di 80 gr. di solfato ammonico. L'aggiunta di questo sale è molto opportuna giacchè l’zso-ossi-tetrazolo è molto solub'le in acqua e si lascia estrarre con molta difficoltà da nna soluzione acquosa pura. Il liquido suddetto venne noi agitato a macchina per otto volte cousecutive, con 100 cine. di etere, e per la durata di 15 minuti alla volta. In queste condizioni si riesce ad asportare pressochè la quantità teorica dell’a- cido; gli estratti eterei, previamente seccati con cloruro di calcio, fornirono gr. 9,9 di prodotto quasi puro, mentre a 20 gr. di sale sodico idrato ne cor- rispondono gr. 10, 6. L’acido si cristallizza nel miglior modo dall’etere acetico, e si ottiene in cristalli trasparenti di forma variabile, ora molto allungati, ora rassomiglianti a buste da lettere. Esso fonde nettamente a 155°, rammollendosi qualche grado prima, e comincia a decomporsi solo al disopra di 160°. E? molto solnbile in acqua, alcool metilico, alcool etilico, poco solubile in etere, ed insolubile anche a caldo in benzolo. In soluzione acquosa, non si colora punto con cloruro ferrico; e con acetato mercurico, e con nitrato di argento, fornisce precipitati bianchi, insolubili negli acidi diluiti. L’acido si lascia poi titolare benissimo con gli alcali. Gr. 0,2440 del prodotto cristallizzato dall’etere ‘acetico, e seccato in stufa a 100°, richiesero per la neutralizzazione cme. 28,25 di idrato sodico N/,, cor- rispondenti a gr. 0,0424 di gruppo :NH. Su-100 parti Trovato Calcolato per (CHON,): NH :NH 17,57 17,44 Nella scissione con acido solforico si ottengono azoto, idrossilammina, ed ammoniaca. Quest'ultima, come si era già constatato per il sale sodico, cor- risponde ad una quarta parte dell’azoto totale. Gr. 0,2367 di sostanza fornirono tanta ammoniaca da saturare cme. 14,75 di soluzione N/, di acido solforico, cioè gr. 0,05015. Sn 100 parti Trovato Calcolato per 1 NH, NH, 21,18 19,76 L'azione dell’acido solforico conduce perciò agli stessi risultati che per l’N.ossi tetrazolo. Questa identità di contegno non si riscontra invece nella scissione cloridrica. A differenza dall’N.ossi-tetrazolo, l’isomero, trattato con niamo molto probabile, che il detto eccesso sia costituito da protfossido di azoto, il quale po- trebbe formarsi a spese dell’idrossilammina. SINTESI DI DUE OSSI-TETRAZOLI ISOMERI DA AZO-IMMIDE E ACIDO FULMINICO 19 acido cloridrico fumante, elimina, invece che due, una sola molecola di am- moniaca; ma l’idrossilammina che, in quel caso, viene ridotta ad ammoniaca (cfr. Palazzo, l. c.), non compare nemmeno qui, e, con ogni probabilità, l’azoto, che nella scissione solforica fornisce idrossilammina, viene invece eliminato nella scissione cloridrica sotto forma di protossido d’azoto (derivante con probabilità da acido iponitroso). Avendo riscaldato per 4 ore, a 200°, gr. 0,5 di zso-ossi-tetrazolo con 4 eme. di acido cloridrico fumante, trovammo la quantità teoretica di cloruro ammonico (corrispondente ad nna molecola di ammoniaca), del tutto esente di idrossilammina e di sostanza inalterata. Nessun altro prodotto era contenuto nel liquido cloridrico, epperò riteniamo che la considerevole pressione da noi constatata all’ apertura del tubo fosse da imputarsi non soltanto ad azoto e ad anidride carbonica (quest’ultima iden- tificata con idrato di bario), ma ancora a protossido di azoto. Da ultimo dobbiamo rilevare, che uno dei caratteri più notevoli, tanto dell’acido libero quanto dei sali sopra menzionati, è costituito dal loro potere esplosivo. L'acido libero, alla temperatura di 160°, si lascia impunemente fon- dere, ma il prodotto solidificato, battuto sull’incudine, detona fortemente. In modo simile si comportano alla percussione il sale di mercurio ed il sale d’argento. Piuttosto indifferente all’urto è il sale sodico, il quale, tuttavia, detona fortemente se si riscalda a 240°. Notevole è poi per il sale di mercurio la circostanza che esso si mostra all’urto meno sensibile del fulminato mercurico, laddove, riscaldato, esplode a temperatura mero alta, che si può ritenere molto vicina a 150° (1). Il sale mercurio si può anche portare ad esplosione con la sciutilla, o con una miccia Bixford, ed in alcune esperienze ai piombi per detonatori, di con- fronto con il fulminato mercurico, produsse delle dilatazioni notevolmente mag- giori (2). Avuto riguardo a tali caratteri, ci siamo dovnti astenere dall’ analisi ele- mentare del sale sodico e dell’acido libéro, reputando del resto che la loro composizione fosse sufficiontemente dimostrata dai dati sopra riferiti. \ (1) In un’esperienza fatta: a questo fine con una piccolissima quantità di sale, in un appa- recchio per punto di fusione, il sale esplose qualche grado sopra 146°; l'osservazione precisa si rese impossibile, perchè il bulbo del termometro venne perforato da parte a parte. (2) Gr. 1 di sale mercurico, semplicemente acceso con miccia ordinaria Bixford, fornì cme. 18 di dilatazione, mentre 1 gr. di fulminato mercurico tecnico, in condizioni identiche, fornì una dilatazione di emc. 13. 20 F. CARLO PALAZZO E GAETANO MAR®@GNA 5. — Struttura dell’iso-ossi-tetrazolo. Riguardo alla natura del prodotto descritto in questa Nota, abbiamo già. accennato che esso non è da considerarsi come triazo-formaldossima, ma come derivato tetrazolico, ed infatti le esperienze sopra riferite non possono lasciare sotto questo riguardo dubbio di sorta. Senza dilungarci però su questo punto, rammentiamo semplicemente che una triazo-formaldossima, per ragioni di ana- logia, con vario formaldossime da un canto (1), con varie azidi dall’altro (2). in soluzione nell’acqua dovrebbe essere più o meno dissociata secondo lo schema: de NOn: Se NASO NOA e perciò, i sali da essa ottenibili per precipitazione, o per neutralizzazione con > 7 alcali, dovrebbero risultare da miscele di azoturi e fulminati. Al contrario, essi costituiscono delle sostanze uniche (3), e ciò è in particolar modo evidente per il sale di sodio, il quale resiste all’ebollizione con l’acqua e con gli alcali, e, in soluzione acquosa non reagisce alcalino come il fulminato sodico, nè si colora con cloruro ferrico, mentre gli azoturi e i fulminati alcalini con questo reattivo forniscono intense colorazioni di estrema sensibilità. D'altro canto, la natura tetrazolica del prodotto risulta dalle scissioni sopra. riferite con gli acidi solforico e cloridrico, nelle quali l’azoto ed il carbonio si eliminano in quello stesso modo che è tanto caratteristico per i tetrazoli (4).’ Ciò che rimaneva dunque da stabilirsi, dopo le esperienze sopra descritte, era solo la condizione di legame in cui si trova l'ossigeno, e sotto questo punto di vista noi abbiamo ritennto opportuno riconfermare per il prodotto descritto già da Palazzo la struttura da lui attribnitagli. A ciò siamo facilmente riusciti, otte- nendo da quello, per azione di diazometano, un etere che contiene ossi-metile (5). (1) Cfr. Nef, Annalen, 280,2305 (1894); Palazzo. R. A. L., 76 I, 545, nonchè Atti del Con gresso di Naturalisti e Medici tedeschi, Colonia 1908 p. 95. ; (2) Cfr. Hantzsch e Vagt, l. c. (3) Per es. il sale d’argento non contiene fulminato, che lo renderebbe estremamente sen- - sibile all’urto, ed il sale mercurico è del tutto insolubile in piridina, mentre il fulminato mer- curico si scioglie bene in questo solvente. (4) Come ulteriori prove si potrebbero anche addurre la grande analogia col tetrazolo nei caratteri di solubilità, e l’esplosività dei sali ancora più notevole nell’iso-ossi-tetrazolo. (5) Per l’eterificazione procedemmo nel modo consueto, con la quantità calcolata di diazo- metano in soluzione eterea anidra al 2 °/,. L’ N.ossi-tetrazolo secco, e finamente polverizzato, venne introdotto a piccole porzioni e a temperatura ordinaria, per il che si aveva ùn regolare sviluppo gassoso. Terminata la reazione, metà del solvente venne distillata, e la rimanente SINTESI DI DUE OSSI-TETRAZOLI ISOMERI'DA AZO-IMMIDE E ACIDO FULMINICO 21 ‘Così, l’eliminazione di idrossilammina nella scissione acida ela completa deino- liziono mediante alcali concentrati. già osservate da Palazzo, aggiunte alia pre- senza di un ossidrile, ora più nettamente dimostrata, costituiscono una prova indiscutibile per ammettere la struttura di N.ossi-tetrazolo. Ponendo ora a confronto I’ N.ossi-tetrazolo con l’isomero sopra descritto, risulta fra loro due la medesima differenza che è stata di recente segnalata da Wieland (1) fra tetrazoli ed N.ossi-tetrazoli. Questi nItimi, cioè, sono 20/0 meno stubili dei tetrazoli. « Essi condividono con i tetrazoli solo la eliminabilità « (Abspaltbarkeit) dell’ azogruppo in forma di azoto, una reazione questa che «i tetrazoli subiscono solo per riscaldamento con acidi concentrati. » E tale ‘circostanza conduce dunque a supporre, che l’ /s0-ossi-tetrazolo deve differire , dall’ Noossi-tetrazolo per la posizione dell’ ossigeno e dell’ idrogeno che in quest’ ultimo costitviscono l’ossidrile. In realtà, al diverso comportamento dei due iscmeri rispetto agli alcali concetrati fa perfetto riscontro il loro contegno con gii alcali. diluiti e freddi, e col diazometano: |’ N.ossi-tetrazolo si com- porta come acido molto debole, e dà un etere 0ss/-metilico, mentre 1° ;s0-ossi- tetrazvio mostra proprietà acide spiccatissimo, riferibili piuttosto ad un idrogeno immidico, e fornisce un etere che contiene 420-metile (2). A questa diversa 5) metà venne scacciata con una corrente di aria secca. Si ottenne in tal modo un residuo oleoso, incolore, il quale, raffreddate a 0° e mescolato con piccola quantità di acqua. solidificò completamente. Per cauta cristallizzazione di tale prodotto dall'acqua, ottenemmo iufine una sostanza che fondeva nettamente a 93-94°, e che, alla determinazione di ossi-metile col metodo Zeisel, diede il seguente risultato : Gr. 0,1198 di sostanza fornirono tanto —O.CH? da consumare gr. 0,122 di AgNO, corri- spondenti a gr. 0,0222 di —O.CH3. Su 100 parti Trovato Calcolato per la formula (CHN,): N.OCH, —0.CH? 18,57 31,00 Questo valore, alquanto più basso del teorico, da noi riscontrato per la percentuale del- l’ossi-metile, si deve, almeno in parte, attribuire al fatto che la reazione dell’acido jodidrico sull’etere dell’N.ossi-tetrazolo è molto energica, quasi violenta, ed esigerebbe quindi dal punto di vista analitico una cautela maggiore di quella da noi adoperata. Del resto, non è nemmeno da escludersi che l'acido jodidrico agisca in parte da riducente, ed in tal caso una parte del metile, rimanendo attaccata all’azoto, non sarebbe più determinabile col metodo Zieisel per le sostanze contenenti 0ss7-metile. (1) Berichte, 42, 4201 (1909) — (2) Questo etere lo preparammo facendo agire 1’ ossi-tetra- zolo, in soluzione eterea diluita (col prodotto solido si verificano esplosioni), sopra una soluzione diluita di diazometano, raffreddata a —10°. Per eliminazione dell’ etere in cor- rente d’aria secca, ottenemmo un residuo oleoso di color giallo-bruno, che venne senz'altro 22 F. CARLO PALAZZO E GAETANO MAROGNA posizione assunta nei due isomeri dall’ unico atomo di idrogeno acido deve corrispondere una diversa posizione dell’ unico atomo di ossigeno, e si potrebbe perciò pensare per l’/so-ossi-tetrazolo ad una formula di costituzione: tanto più che un carattere acido altrettanto forte di quello posseduto dal nostro ossi-tetrazolo è anche mostrato da alcuni composti triazolici,i quali contengono un ossidrile legato a carbonio, per es., dal 5. ossi-1.2.3-triazolo di Curtins: NS, C.O0H 3 senonchè, per i sali alcalini di detti composti l’ unione del metallo all’ ossigeno, indicata da Curtius, e da Bockmubhl (1), non è in modo alcuno dimostrata, ed inoltre il suddetto ossi-triazolo si colora col cloruro ferrico in rosso-bruno intenso (2), e, trattato secondo Schotten-Banmann, dà un derivato 4i-benzoilico (3). Viceversa, il nostro ossi-tetrazolo non si colora con cloruro ferrico, e dà un derivato 7z0r0-benzoilico; del resto, un composto dalla struttura di C.os- si-tetrazolo non potrebbe evidentemente fornire idrossilammina nella scissione con acido solforico. Per queste considerazioni noi riteniamo che la struttura del nostro prodotto sia da rappresentarsi nel modo più verosimile con la formula seguente: NES, N N:0 INA NH la quale si può trovare appoggiata anche dal carattere eminentemente esplosivo di esso e dei suoi sali. Del resto, ci proponiamo di sottoporre a nuova indagine il nostro composto, sottoposto alla scissione con acido solforico. Tale scissione procede in modo affatto analogo a quella dell’iso-ossitetrazolo libero, e permette di concludere sui posto occupato dal metile, giacchè, in luogo di ammoniaca, si forma metilammina. (1) Berickte, 453, 2441 (1910) (2) cfr. Dimroth, Annalen, 378, 352-3 (1910) (3) Dimroth, 1. e. SINTESI DI DUE OSSI-TETRAZOLI 1SOMERI DA AZO-[MMIDE E ACIDO FULMINECO 23 specialmente cercando in quali condizioni si potrà ridurloi n tetrazolo; difatti, «dopo quanto abbiamo discusso, l’unico punto, forse, non del tutto chiarito è quello relativo al modo di legarsi dell’ ossigeno, potendosi ad es. immaginare anche la formula che segue: specialmente in considerazione delle recenti ricerche di Wieland e Semper sui fu- rossani (1). Ma, indipendentemente da ciò, siamo d’ avviso che i nostri risultati auto- rizzino già ad una speciale veduta circa la rafura dell’ acido fulminico libero. Il fatto che nella reazione da noi studiata prendono origine simultaneamente due ossi-tetrazoli isomeri, non reciprocamente trasformabili (e di cui uno solo, il prodotto N.ossi, è pretto derivato della carbil-ossima), costituisce, a parer nostro, una prova che nella reazione sudetta l’ acido fnlminico non interviene solo come carbil-ossima. Sotto questo punto di vista la nostra reazione sareb- be dunque da porsi a fianco di quelle, già da un pezzo note, di Holleman (2) e di Scholl (3), nelle quali, dall’ acido fulmmico, si ottengono derivati dall’ acido isocianico, e ad altre recenti di Palazzo e di Wieland, per cui dall’acido fulminico si può passare a un nuovo isomero, il formo-nitril-ossido H.C = N. Nel caso nostro NOA l’acido fulminico avrebbe anche reagito in una forma tautomera, quella di for- monitril-ossido normale H.C = N:0, ma ciò sarà discusso in una prossima Nota. (1) Annalen, 358, 36 (1907) (2) Berichte, 23, 2998, 3742 (1890) (3) Berichte, 23, 3509 (1890) Ittiodontoliti del calcare asaltifero di Ragusa in Sicilia MARIANO GEMMELLARO Prefazione Sulla età e sulla costituzione geologica dei terreni di Ragusa (prov. di Siracusa) sono stati pubblicati da molti autori, dal 1826 ad oggi, vari scritti (1). Molte pregevoli notizie ci hanno fornite parecchi altri studiosi intorno ai giacimenti asfaltiferi esistenti in quella regione (2) e sulle fosforiti ricono- (1) Gemmellaro C. — Vulcani estinti di Val di Noto, Mem.1* e Mem.2?; Atti Ac. Gioenia, Catania 1826 e 1833. Gemmellaro C. — Nota sui vulcani estinti di Val di Noto, Atti, ibidem, 1853. Hoffmamn F. — Geognostiche Beobachtungen gesammelt auf einer Reise durch Italien und Sicilien in-der Jahren 1880 bis 1832, 1I Abtheilnng, Berlin, 1839. Waltershausen W. S. V. — Ueber die submarinen Vulkanischen Ausbriiche in der tertitir For- mation des Val di Noto, Gittingen, 1846. È Lyell C. — Elements of Geology, (Trad. franc.) Parigi, 1867. Stoppani A. — Corso di Geologia Milano, 1867. FuchsTh. — Il Sarmatiano nei dintorni di Ragusa (trad. Appelius) Boll. Com. Geol. It., Roma, 1874 Travaglia A.— Za sezione di Licodia — Eubea e la Serie dei terreni nella Regione S. E. della Stcilia, I e IT, Bollettino Com. Geol. It., Roma 1880. Cafici I. -- Sulla determinazione cronologica del calcare a selce piromaca e del calcare compatto e marnoso (forte e franco) ad echinidi e modell di grandi bivalve nella regione S. E. della Sictlta, Boll. Com. Geol. It., Roma. 1880. . i Cafici I.—La formazione mtiocenica del territorio di Licodia — Eubea, Mew. R. Ace. d. Lincei, Vol. XIV, 1883. Baldacci L. — Descrizione geologica dell'Isola di Sicilia, Roma, 1886. Coppa R.—/l Miocene del Siracusano, Atti Ac. dei Zelanti di Acireale, Vol. IX, Acireale, 1899. Ragusa E.—Studi geologici sui calcari iblei (prov. di Siracusa), Atti Ac. Gioenia, Catania, 1902. Ragusa E. — Strultura tettonica dei calcari di Modica, Atti Ac. Gioenia, Catania, 1905. (2) Coquand H.—Swr les gisem. asphatt. des environs de Ragusa, Bull. Soc. Geol. de France, T. 25. S. II, Parigi 1867-68. Manzella E. — L'asfalto di Ragusa, Giorn. Scient. di Palermo, Palermo, 1895. Malo L. —— L'asphalte, 3° edition, Parigi, 1898. Lotz H. — Ueber di Asphaltvork. v. 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Che la formazione prevalente nella regione in esame è il Miocene, il quale riposa in trasgressione sul Luteziano riconosciuto nei dintorni di Priolo e nei pressi di Chiaramonte-Gulfi iu base allo studio delle nummuliti ivi rac- colte dal defuuto dottr. Ragusa, eseguito dal dottr. G. Checchia-Rispoli (4) o sul Neocomniano, che affiora nella valle del Dirillo, tra Licodia Eubea e Monte- rosso Almo. 2°. Che i calcari marnosi dei pressi di Ragnsa, i quali contengono i tanto noti giacimenti asfaltiferi, appartengono per la posizione e per i fossili al Miocene medio. * x * I calcari bituminiferi di Ragusa sono abbastanza fossiliferi; vi si rinven- gono avanzi di mammiferi, (squalodontidi) denti di pesci, (squali) cefalopodi, (nau- tilidi) pochi gasteropodi, frequenti bivalve, abbondanti resti di echinidi e qualche corallario. i Una buona collezione di questi fossili si conserva nel Museo geologico di Pa- lermo; importantissimo tra essi è il teschio completo di Squalodontide, intorno al quale mio Padre redasse la breve Nota avanti citata. Nessuna illustr azione pa- leontologica esiste fin oggi degli altri organismi del calcare bituminifero di Ragusa. E da sperare che i molluschi siano presto oggetto di studio speciale. Il dotir. Checchia-Rispoli, il quale si occupa in atto dello studio degli echinidi di quel luogo, i comunica gentilmente la seguente lista: Clypeaster scutellatus M. De Serres. >» altus Klein. Hemiaster coranguinum Gregory sp. Opissaster Scillae Wright. Schizaster Desori Wright. oltre a varie altre specie nuove. * E In questa Nota io mi occupo solo dello studio dei denti di pesci rinvenuti nelle cave di asfalto di Ragusa (C%- Tabuna). Molti di questi denti esistevano, come ho detto, nel Museo di Geologia e Paleontologia dell’ Università di Palermo (1) Ragnsa E. — £ifrovamento di fosforiti a Modica, Boll. Acc. Gioenia, Catania, 1901. (2) Gemmellaro G. G. — Sul rinvenimento di un teschio di Squalodontidi nel calcare bitumi- noso di Ragusa in Sicilia, Atti Ac. Lincei, Rend., vol. XI, 2° sem. fasce. I, Roma, 1902. (3) Dal Piaz G. — Neosqualodon, nuovo genere della famiglia degli Squalodontidi, Mém. Soc. Paléont. Suisse, vol. XXXI, Genève. 1904. (4) Checchia-Rispoli G. — L’ Zocene di Chiaramonte-Gulfi in prov. di Siracusa, Atti Ac. Lincei, Rend., vol. XIV, 2° sem., fasc. 10, Roma, 1905. i JITTIODONTOLITI DEL CALCARE ASFALTIFERO DI RAGUSA 27 e debbo alla cortesia del prof. G. Di-Stofano di averli potuto studiare, molti altri sono stati da me raccolti sui Inoghi. Le specie determinate sono le seguenti: Odontaspis cuspidata Ag. ‘sp. : Oxgrhina hastalis Ag. » Desori Ag. Carcharodon megalodon Ag. i » auriculatus de Blainv. sp. Galeocetdo aduncus Ag. Se il numero di queste specie è scarso, abbondante invece è quello degli esemplari per ogni specie. Ottimo è lo stato di conservazione dei denti, i quali sì mostrano quasi tutti completi anche della radice e sono facilmonte isolabili dalla tenera roccia in cui sono inclusi. Mi è stato perciò possibile di precisare la posizione di ogni dente nelle mascelle delle varie specie, sicchè credo che questo lavoro, il quale illustra poche forme note, abbia per questo nna certa utilità, oltre a quella che nasce dal far conoscere esattamente gli ittiodontoliti .del calcare bituminifero di Ragusa. * * _ Il risultato dello studio di questa fauna ittiologica non permette alcun minuto riferimento cronologico della formazione che la contiene, in quanto che le specie determinate si rinvengono in tutte le divisioni del Miocene. Però lo studio degli altri fossili che accompagnano questi ittioliti e specialmente quello degli Echinidi, e la presenza dell’ Afuria Afuri Bast., dimostrano a sufficienza che quella formazione, come è stato già scritto, deve sicuramente riferirsi al Miocene medio. Istituto geologico dell’ Università di Palermo, 3 Febbraio 1913. M. GEMMELLARO xi da a TETI RA Ri RE BE IRE TI SIAE RIA SERALE Vi RN DB M. GEMMELLARO Descrizione delle specie ELASMOBRANCHI LAMNIDAE Gen. ODONTASPIS Agassiz. Odontaspis cuspidata Ag. sp. (Tav. I, Fig. 1-12) 1833-43. Lamna cuspidata SO L.—Poiss. foss.. vol. III, pag. 230, tav. 37 a, fig. 43-50. » la » denticulata gui) — loc. cit., vol. III, pag. 291, tav. 37 a, fig. 51-53. > » (04) dubia Id. — loc. cit., vol. III, pag. 295, tav. 37 a, fig. 24-26. 1846. Lamna cuspidata Ag. — Sismonda E., Descrizione dei pesci e dei cro- stacei fossili del Piemonte, pag. 47, tav. II, fig. 29-32. 1889. Odontaspis cuspidata Ag. sp. — Bassani F., Contributo alla Paleontologia della Sardegna. Ittioliti miocenici, pag. 25, tav. L fio. 14; tav. II, fig. 10. 13, 16, 17. —. 1895. » » Ag. sp. — De Alessandri G., Contribuzione allo studio dei pesci terziari del Piemonte e della Liguria, pag. 11, tav. io De: 1900. » » Ag. sp. — Segnenza L., / vertebrati fossili della provincia di Messina, pag. 56, tav. VI, fig. 14-15. 1910. » » Ag. sp. — Leriche M, Les poissons oligocènes de la Bel- gique, pag. 268, tav. XV, fig. 1-21. i 1912. » > Ag. sp. — De Stefano G., Pesci fossili di Bismantova, pag. 388, tav. XIII, fig. 12-14 e tav. XIV, fig. 31-37. » » ” Ag. sp. — Gemmellaro M., /ffiodontoliti del Miocene medio di alcune regioni delle provincie di Palermo e di Girgenti, pag. 125, tav. III, fig. 15-20. » » » Ag. sp. — De Stefano G., /tfiofauna fossile dell'Emilia, pag. 46, tav. I, fig. 10-13; tav. II, fig. 10. Illustro qui vari denti di questa specie che io considero distinta dalla Odox- taspis Hopei, come ho già scritto in due miei precedenti lavori (1). Questi denti appartengono nelle mascelle dello squalo a differenti posizioni che io ho determinato seguendo la nomenclatura proposta dal Leriche pel ganere Odontaspis, nel suo lavoro sui pesci eocenici del Belgio (pag. 116 e seg; — fig. 16 nel testo). I due denti illustrati a tav. I, fig. 1-4 di questo lavoro sono grandi e allun- gati; la loro corona, verticale, mostra una curvatura sigmoidale ; la base tondeg- (1) Gemmellaro M. — Ittiodontoliti del Miocene medio di alcune regioni delle provincie di Palermo e di Girgenti, pag. 127. Gemmellaro M. — /ttiodontoliti eocenici dir Patàra, pag. 293. ITTIODONTOLITI DEL CALCARE ASFALTIFERO DI RAGUSA 29 giante ha sezione semicircolare, i margini non sono taglienti su tutta la loro estensione. Le faccie della corona sono liscie ; quella interna si mostra convessa, l'esterna quasi piana. La radice, in parte visibile in uno dei due esemplari, non è molto spessa. Per questi caratteri credo che i due ittioliti in esame siano denti anteriori della mascella inferiore. L’altro dente illustrato (tav. I, fig. 5-6) è un Jaterale destro della mascella inferiore. La sua corona, quasi verticale non è molto slanciata ed ha i margini taglienti in tutta la loro estensione. La radice mostra le branche piuttosto allargate. Simile al precedente è il dente illustrato a tav. I, fig. 7-8; esso però ha la corona curva verso il fondo della fance. E’ un dente laterale destro appar- tenente alla mascella superiore. Altri due denti, figurati a tav. I, fig. 9-10 di questo lavoro, presentano più piccole dimensioni e forma slargata della corona. Per la loro somiglianza con i denti descritti ed illustrati dal Leriche atav. XV, fig. 4-5b. del suo lavoro ‘“Poissons oligocènes de la Belgique,, io inclino a credere che siano denti inter- mediari; non ne sono però sicuro perchè i due esemplari in esame mancano della radice la quale, quando si mostra a branche allargate, fa distinguere i denti intermediari da quelli sinfisari. L’ ultimo dente infine, (tav. I, fig. 11-12) piccolo, a corona larga e diritta con margini taglienti, è fornito di conetti secondari di forma non molto acuta. Esso mostra la radice compressa, a branche allargate ed è simile a quello illustrato dal Leriche (op. ciz.) a tav. XV, fig. 21-21 b. E un denticello poste- riore destro della mascella inferiore. Come è noto, fino ad oggi in Sicilia la Qdontaspis cuspidata è stata rin- venuta solo in depositi miocenici. Gli esemplari illustrati fanno parte delle collezioni del Museo geologico di Palermo. Gen. OxYRHINA Agassiz. Oxyrhina hastalis Ag. (Tav. I, Fig. 13-26) 1833-43. Oxyrhina hastalis Agassiz L. — Poiss ]oss., vol. III, pag. 277, tav. 34, fio. 3,,5-18, 15-17. plui» » leptodon Id. — loc. cit., vol. III, pag. 282, tav. 32, fig. 1-2, 4. i » » » xiphodon Id. — loc. crt., vol. III, pag. 278, tav. 33, fig. 11-17. Duna » trigonodon Id. — loc. cit., vol. INI, pag. 279, tav. 37, fig. 17-18. SIE » plicatilis 1d. — lo. cit., vol. III, pag. 279, tav. 37, fig. 14-15. SIG » retroflexa Id. — loc. cit., vol. IMI, pag. 281, tav. 33, fig. 10. DRESS » quadransId. — loc. cit., vol. III, pag. 281, tav. 37, fig. 1:2. 1846. » hastalis Ag. — Sismonda E., Descrizione dei pesci e dei cro- stacei fossili del Piemonte, pag. 40, tav. I, fig. 42, 45-47 (non 41, 43, 44.) » » xiphodonAg.— Id. loc. cit., pag. 42, tav. I, fiò. 51-52. » » plicatilis Ag.— Id. loc. cit., pag. 42, tav. I. fig. 48-50. 1858. » hastalis Ag. Gemmellaro G. G., Ricerche sui pesci fossili della Sicilia, pag. 36, tav. 6, fig. 5. feno ee 90 M. GEMMELLARO 1858. Oxyrhina leptodon Ag. — Id., loc. cit., pag. 38, tav. 6, fig. 9-J1. » » xrphodon Ag. — Id., loc. cit., pag. 37, tav. 6, fig. 6-8. 1891. » hastalis Ag. — Bassani F., Contributo alla Paleontologia della Sardegna. Ittioliti miocenici, pag. 31, tav. I, fig. 3 tav. II, fig. 18-26. 1895. » » Ag. — De Alessandri G., Contribuzione allo studio dei pesci terziari del Piemonte e della Liguria, pag. 13, tav. I, fig. 9. 1897. » » Ag.— Id., Avanzi di Oxyrhina hastalis del Miocene di Alba, tav. I. 1900. » » Ag. — Seguenza L,, / vertebrati fossili della provincia di Messina, pag. 46, tav. VI, fig. 23-28. 1910. » » Ag. — De Stefano G., Pesci fossili della Calabria meri- dionale, pag. 183, tav. IV, fig. 3-5. 1912. » >» Ag.— Id., Pesci fossili di Bismantova, pag.406, tav. XIII, fig. 23-24; tav. XIV, fig. 60-66. » » » Ag. — Gemmellaro M., /tf/odontoliti del Miocene medio di alcune regioni delle provincie di Palermo e di Girgenti, pag. 131, tav. IV, fig. 7-12. E » » > Ag. — De Stefano G., /ttiofauna fossile dell’ Emilia, pag. 48. tav. I, fig. 18-19; tav. II, fig. 15-18. Questa diffusissima specie è rappresentata nel Miocene di Ragusa dai seguenti ittiodontoliti : Due dentilaterali, posteriori, destri, della mascella superiore (tav.I, fig. 13-14) in tutto simili a quello illustrato dal De Stefano a tav. XIII, fig 23 etav. XIV, fig. 62 del suo lavoro “Pesci fossili della pietra di Bismantova,, e a quello designato col N. 9 dal De Alessandri nella tavola annessa alla sua Nota sul- l’Oxyrhina hastalis del calcare miocenico di Alba. Un dente laterale, posteriore, sinistro, della mascella superiore (tav. I, fig. 15-16) uguale ai precedenti. Due denti anteriori della. mascella superiore (tav. I, fig. 17-20) simili a quello di Bismantova illustrato dal De Stefano a tav. XIV, fig. 65, 66 del suo già citato lavoro. Due denti anteriori della mascella inferiore (tav. I, fig. 21-24) a corona più slanciata di quelli anteriori precedentemente descritti, riferibili al tipo di quelli figurati dal De Stefano (op. ce7., fig. 60, 61, tav. XIV) e dal De Alesandri distinti con le lettere 5 e c nella tavola annessa alla sua nota sull’OxyrAzza di Alba. Mlustro infine (tav. I, fig. 25-26.) due esemplari che mostrano i caratteri dei denti posteriori di questa specie. Non posso però assegnarli all’ una o al- l’altra delle due mascelle poichè, come è noto, nel genere Oxyrkira, tanto nella mascella superiore (sebbene in essa un pò più spiccatamente) quanto in quella inferiore, i denti laterali e posteriori si inclinano verso la fauce ed è perciò difficilissimo di determinarne la posizione, specialmente quando si tratta di esem- plari sprovvisti di radice. L’Oxyrkina hastalis è uota in Sicilia in terreni miocenici e pliocenici. Gli esemplari illustrati fauno parte delle collezioni del Museo geologico di Palermo. ICARO DAN o reale Sn ITTIODONTOLITI DEI CALCARE ASFALTIFERO DI RAGUSA 3L Oxyrhina Desori Ag. (Tav. I, Fig. 28-30 e Tav. II, fig. 1-8) 1833-43. Oxyrhina Desoriî Agassiz L. — Poiss., foss., vol. III, pag. 282, tav. 37, 18406. » » fig. 8-13. » leptodon Id. — loc. cit., vol. III, pag. 282, tav. 37, fig. 3-95. ’ Desorti Ag. —- Sismonda E., Descrizione dei pesci e dei crostacei fossili del Premonte, pag. 44, tav. II, fig. 7-16. » hastalis Ag. — Id., loc. cit., pag. 40, tav. I, fig. 41, 45, 44, (non 42, 45, 47). » minuta Ag. —.Id., /oc. cit., pag. 44, tav. II, fig. 36-59. » isocelica Sismouda E. — Td., loc. cit., pag. 43, tav. II fig. 1-6. Otodus sulcatus Sismonda E. — (non Geinitz) Id., /oc. cit., pag. 59, tav. I, fig. 34-36. Oxgrhina complanata Sismonda E.—Id. loc. cit., pag.41,tav.I, fig. 59-40. Otodus sulcatus Sism. — Gemmellaro G. G., ricerche sui pesci fossili della Sicilia, pag. 34, tav. I, fig. 10. Lamna crassidens Ag. — Id., loc. cit., pag. 42, tav. VI, fig. 15, 16. » Lyellit Gemmellaro G. G.— Id. /oc. cit., pag. 43, tav. VI, fig. 17. » inequilateralis Gemm. G. G.— Id. loc. cit., pag.43, tav. VI, fig. 22. Lamna salentina Costa O. G. sp.,— Bassani F., Contributo alla Paleon- tologia della’ Sardegna. Ittroliti miocenici. pag. 22, tav. II, fe 241. Oxyrhina Desoriî Ag. — De Alessandri, G., Contribuzione allo studio dei pesci terziari del Piemonte e della Liguria, pag. 14, tav. I, fig. 10-10 a. Lamna salentina Costa 0.G.sp. — Id., loc. cit. pag. 10, tav.I, fig. 6-6 a. Oxyrhina Pesori Ag. — Bassani F., /Ifliofauna del calcare eocenico di Gassino, pag. 19, tav. II, fig. 24-58. » » Ag. — Seguenza L., / vertebrati fossili della provincia di Messina, pag. 44, tav. V, fig. 1-12. » >» (Agassiz) var. praecursor Leriche — Leriche M., Les poissons eocènes de la Belgique, pag. 128. 189. » >» (Agassiz) Sisnonda -— Leriche M., Les potssons oligo- cèenes de la Belgique, pag. 275, tav. XVI fig. 16-31. » » (Agassiz) Sismonda, mut. flardrica Leriche — Leriche M., Les poissons oligocènes de la Belgique, pag. 278, fio. 78-87, nel testo. > - » Ag.— De Stefano G., Pesct fossili di Brsmantova, pag. 399, tav. XIII, fig. 11-21, tav. XVI, fig. 45-57. » » Ag. — Gemmellaro M., /friodontolit del Miocene medio ‘di alcune regioni delle provincie di Palermo e di Gir- genti, pag. 154, tav. IV, fig. 15-29. » » Ag. — Id., Zftiodontoliti eocenici ai Patàro, pag. 296, tav. I, fig. 7-8. Non insisterò in questo lavoro sui ben noti caratteri di questa specie. nè sulle osservaziori alle idee del Leriche ed alle varietà da lui istitnite, che ho già esposto nelle mie precedenti pubblicazioni sugli ittiodontoliti siciliani. Illustro qui dei denti di OxyrAzza Desori Ag. che, salvo le maggiori dimen- A : Mica TN, I 32 M. GEMMELLARO sioni di qualche esemplare, corrispondono bene a quelli figurati del Leriche (Poiss. olig. d. Belgique, pag. 279, figure nel testo) sotto il nome di Oxyrhina Desori (Agassiz) Sismonda, mut. flandrica Ler. I primi tre esemplari illustrati (tav. I, fig. 27-30 e tav. II, fig. 1-2) sono «denti anteriori della mascella superiore. Hanno corona pinttosto stretta, a margini taglienti; la faccia interna è fortemente convessa, l’esterna è piana, più o meno incisa da solchi presso alla base dello smalto. Nei due esemplari riprodotti a tav. I, con le fig. 27-30, la corona descrive una curva sigmoidale molto pronunziata, nell'altro esemplare (tav. II, fig. 1-2), provvisto di radice a branche slargate, la curva sigmoidale è meno accentnata mentre l'apice è più fortemente rivolto in fuori. La corona poi di questo dente s’inclina nn pò rispetto alla radice. Credo che i primi due denti appartengano alla prima fila degli anteriori, mentre il terzo appartiene alla seconda. Gli altei duo esemplari che illustro (tav. II, fig. 3-6.) sono simili in tuito a quelli descritti e figurati dal Leriche a pag. 279, fig. 82, 32 a ed 82 b del suo citato lavoro (Po:ss. o/tg. 4. Belg.) Sono denti ‘anteriori della mascella inferiore. Ambedue gli esemplari mancano di radice. Illustro infine (tav. II, fig. 7-8) un dente uguale a quello figurato dal Le- riche (op. ci., tav. XVI, fig. 29-29b)sotto il nome di OxyrAzza Desori Sismonda (1) L'ittiolito in esame ha corona svelta, non prosenta curvatura sigmoidale, ha l'apice rivolto in fuori. La corona si mostra inclinata rispetto alla radice, la quale è fortemente incavata nel mezzo sul lato esterno ed ha le branche mol. | to slargate. Questo dente è nn laterale sinistro della mascella inferiore. L’Oxyrhina Desori Ag. è stata fino ad oggi rinvenuta in Sicilia in depositi eocenici e miocenici. Gli esemplari illustrati fanno parte delle collezioni del Museo geologico di Palermo. Gen, CARcHARODON Miiller et Henle Carcharodon megalodon Ag. (Tav. II, Fig. 9-12 e Tav. III, Fig. 1-4) 1833-43. Carcharodon megalodon Agassia L. — Poiss. foss., vol.III, pag. 247, tav. 29. » » » polygygrus Id. — loc. cit., vol. III, pag. 259, tav. 30, fig. 9-12. DIE » productus Id. — /oc.cit., vol. III pag. 251, tav. 30fig. 24e 6-8. ina » rectidens Id. — loc. cit., vol. IT, pag. 250, tav. 302, fig. 10. >>, > sudauriculatus Id. — loc.cit., vol. III, pag. 261, tav. 30 a, figu- ra 11-12, | 1858. » megalodon Ag. — Gemmellaro G. G., ricerche sui pesci | fossili della Sicilîa, pag. 28, tav. II. » » » Ag., var. siculus Gemm. — Id., loc cit. pag. 24, tav. III. (1) Come ho già scritto in un mio precedente lavoro (Itiodontoliti eocenici di Patàra, pag. 298) io credo col Woodward, col Bassani, col De Alessandri, col Priem e col De Stefano, in oppo- sizione alle idee del Leriche, che spetta all’ Agassiz e non al Sismonda la priorità della deter- minazione specifica dell’ Oxyrkina Desori. i ITTIODONTOLITI DEL CALCARE ASFALTIFERO DI RAGUSA Co) 1858. Cercharodon megalodon var. subanriculatus Ag.-Id., loc. cit. pag. 25, tav. IV fio. 1-5. » » productus Ag. — Id.. loc. cri., pag. 30, tav. V, fio. 3-5. » » latissimus Costa — Id. loc. cit. pag. SI. tav. IV, fig. 4. » » Coste Gemm. G. G.—Id. loc. cié. pag. 27, tav. V, fig. 1-2. IS9I » megalodon Ag. -—— Bassani F., Contributo alla Paleontologia della Sardegna. Ittioliti miocenici. pag. 14 tav. I, fio. 1-2. 1895. Carcharodon megalodon Ag. — De Alessandri G., Pesci terziari del Pie monte e della Liguria, pag. 6, tav. I, fig. 1. 1900. » > Ag. — Segnenza L., / ver rtebrati fossili deila provincia di Messina, pag. 503, tav. VI, fig. 1-3. 1910. » » Ag. — De Stefano G., Pescr fossili della Calabria meridionale, pag. 177, tav. IV, fig. 1- 1912. » » Ag. — Id., esci Jossili di 0. pag. 360 tav. XIII, fio Mib: navi XIV fino: » » » Ag. — 1d., Ittiofauna fossile dell’ Emilia, pa g.Al, tav. I, fig. 6, tav. II, fig. 4. Riferisco a questa Spoolo numerosi denti rinvenuti nel calcare bituminifero di Ragusa. Sono grandi, massicci, a larga base e mancano di conetti laterali distinti. La faccia interna della corona, sensibilmente convessa, mostra spesso una depressione nel tratto mediano ;l’ esterna piana o leggermente convessa, presenta talvolta presso la base dello smalto delle deboli pieghe verticali. In qualche esemplare l'apice è leggermente curvo in fuori. Come è noto, nel genere Carcharodon i denti della mascella superiore s’ in- clinano leggermente, ma sempre dippiù, procedendo verso il fondo della fauce;. quelli della mascella inferiore, invece, relativamente più piccoli ma più spessi che i corrispondenti della mascella superiore, mostrano la loro corona più stretta, più slanciata, più convessa alla faccia interna e restano sempre quasi del.tutto verticali. Infine la faccia esterna dei denti infvriori si mostra leg- germente rigonfia; la radice di essi è più sporgente sul lato interno e le sue branche formano un angolo meno ottuso che nei denti della mascella superiore. Sni denti delle due mascelle ‘il margine dello smalto scende più sulla faccia esterna che sulla interna. Io illustro in questo lavoro quattro bei denti i quali presentano i seguenti caratteri: Il primo (tav. II, fig. 9-10) largo, massiccio, a corona largamente triangolare con margini convessi, ha la faccia esterna piana con deboli pieghe alla base e la faccia interna convessa con una lieve depressione alla regione mediana inferiore. È nno dei primi denti laterali della mascella superiore. Gli altri due denti, illustrati a tav. II, fig. 11-12 e tav. III, fig. 1-2, sono più slanciati del precedente, hsnno forma triangolare più acuta e si mostrano rolativamente- più spessi. Inoltre la loro faccia esterna è leggern ente convessa e la radice si mostra sporgente sul lato interno. 1 margini della corona sono quasi diritti. Le corone di ambedue i denti s’inelinano appena verso ii fondo della fauce. i Lo smalto sulla faccia esterna scende più in basso che sulla interna. Ivi tra la radice sporgente e il margine inferiore dello smalto si nota un’area, triangolare, larga e depressa. Dei due denti descritti l’uno (tav. II, fig. 11-12) appartiene al lato destro 34 M. GEMMELLARO della mascella inferiore, l’altro (tav. III, fig. 1-2) al lato sinistro della stessa mascella. L’ultimo dentino figurato, (tav. III fig. 3-4) che ha piccole dimensioni ma che mostra tutti i caratteri distintivi di questa specie, è probabilmente uno dei denti del fondo della fance. Mi rimane però il dubbio che sia un ittiodontolito il quale non raggiunse il suo completo sviluppo. Sono noti i caratteri che distinguono questa specie dal Carchkarodon auri- culatus de Blainv. (1) che qui riassumo: Maggior larghezza della base della corona, seghettatura piccola e regolare, faccia interna più fortemente convessa, forma più tozza, massiccia e meno acuminata, margini non molto assottigliati, mancanza di conetti laterali distinti. E nota pure la controversia esistente tra i paleoittiologhi sulla estensione cronologica del Carck. megalodon, lucidamente riassunta dal De-Stefano a pag. 362 del suo bel lavoro sui “ Pesi fossili di Bismantova ,,, Da canto mio, per quanto riguarda la Sicilia, posso affermare quanto appresso: Nell’ Eocene siciliano non si è mai rinvennto il Carch. megalodon e nem- meno nell’ Oligocene per quando i depositi di tale epoca siano ben scarsi nel- l'Isola nostra. Il Carch. Costae G. G. Gemm.=Carch. megalodon Ag., indicato ‘come proveniente dal “terreno nummulitico dei dintorni di Pachino,, proviene invece dal Miocene, anch'esso sviluppato in quei luoghi. Tutti i denti di questa specie, sicuramente determinati, provengono da ‘depositi miocenici, anzi specialmente dal Miocene medio siciliano. Nel Pliocene di Sicilia non esiste il Carcharodon megalodon. I vari denti pliocenici attribuiti al Carch. megalodon, provenienti da varie località della Sicilia e in parte conservati nelle Collezioni del Museo geologico di Palermo, sono invece sicuramente da riferirsi al Carcl. Fondeleti. Gli esemplari illustrati fanno parte delle collezioni del Museo geologico di Palermo. Carcharodon auriculatus de Blainv. sp. (Tav. III, Fig. 5-8.) 1818. Squalus auriculatus de Blainville H. D. — Nouv. Dictionnaire d’ Histoire Nat., vol. XVII, pag. 384. 1833-43. Carcharodon anriculatus de Blainv. sp. — Agassiz L., Porss. foss. vol. III, pag. 254, tav. 28, fig. 17-19. > ’ heterodon Ag. — Id., ‘loc. cit.. vol. ITI, pag. 258, tav. 28, fio. 11-16. ART » angustidens Ag. — Id., loc. cit., vol. III, pag. 255, tav. 28, fig. 20-25, tav. 50, fig. 3. Di 108 > » lanceolatus Ap. —Id., loc. cit., vol. III, pag. 257, tav. 30, fig. 1. d > » toliapicus Ag. Lian loc. cit., vol. TI, pag. 257, tav. 30 a, fio. 14. >» » megalotis Ag. — Id., loc. cit., vol. III, pag. 258, tav. 28, fig. 8-10. CIANO » disauris Ag. — Id. loc., cit. pag. 259, tav. 28, fig. 7. 1 Nei miei due precedenti lavori sugli ittiodontoliti siciliani ho già esposto le ragioni per le quali ritengo Carch. angustidens Agassiz sinonimo di Carch. anriculatus de Blainv. sp. ITTIODONTOLITI DEL CALCARE ASFALTIFERO DI RAGUSA 35 1858. Carcharodon angustidens Ag. — Gemmellaro G. G., Aicerche sui pesci fossilt della Sicilia, pag. 28, tav. 5, fig. 6. > » » var. furgidus — Id., (loc. cit, pag. 29, tav. 5, fig. 7-8. 1891. » auriculatus de Blainv. sp.—Bassani F., Contributo alla Pa- leontologia della Sardegna. Ittioliti miocenici, pag. 19, tav. II, fio. 24-25. 1895. » » de Blainv. sp.— Id., Avanzi di Carcharodon auri- . culatus scoperti nel calcare cocenico di Valle Gallina. 1895. » » de Blainv. sp.— De Alessandri G., Contribuzione allo studio: dei pesci terziari del Piemonte e della Li- gurta, pag. 7, tav. I, fig. 2-2 a. 1899. » » de Blainv.sp.—-Bassani F., /(f/0/auna del calcare eocenico di Gassino, pag. 22, tav. I, fig. 36-39. ‘1900. » » de Blainv. sp.—Seguenza L.. / vertebrati fossili della provincia di Messina, pag. 63, tav. 5, fig. 14-18. 1905. » » de Blainv. sp.—Leriche M.. Les pozssons docénes de la Belgique, pag. 88, 130, 189, 208. 1910. » angustidens Ag. — Leriche M., Les poissons oligocénes de È 1 la Belgique, pag. 289, tav. XVII. » » » Ag. var. {urgulus — Id., loc cit., pag. 291, tav. XVIII. 1912. » auriculatus de Blainv. sp.—De Stefano G., Pescifossili di o pag. 358, tav. XIII, fig. 8-9, tav. XIV, g. 4-7. > » sp.. confr. angustidens Ag. — Id., loc. cit., pag. 363, tav.XII. fig. 8, tav. XIII, fig. 6-7, tav. XIV, fig. 1-2. » » auriculatus de Blainv.sp.—Gemmellaro M. Ittiodontolti del Miocene medio di alcuni regioni delle provincie di Palermo e di Girgenti, pag. 121, tav. IMI, fig. 1-14. i » ” de Blainv. sp.—De Stefano G., /ttiofauna fossile dell’ Emilta, pag. 39, tav. I, fig. 1-3, tav. II, fig. 1. » » angustidens Ag. — Id., loc. cit., pag. 40, tav. I, fig. 4-5, tav. II, fig. 2-3. » » auriculatus de Blainv. sp.-- Gemmellaro M., Itt/odon!o"iti eo- cenici di Patàra, pag. 300, tav. I, fig. 9-11. Anche questa specie è rappresentata da molti denti nel calcare bituminifero di Ragusa. Illustro qui due belli esemplari i quali presentano i seguenti caratteri : Il primo (tav. ITI, fig. 5-6) è un dente laterale destro dalla mascella superiore (8* fila). La sua corona, di forma triangolare, è curva indietro, talchè, mentre il margine anteriore è convesso, il posteriore è invece concavo. La faccia interna è regolarmente convessa, l’ esterna è piatta con un lieve rigon- fiamento in basso nella regione mediana. L’apice è rivolto in fuori, i denticelli laterali sono distinti, la seghettatura è minuta ed uniforme. Lo smalto scende più in basso sulla faccia esterna, ove forma al limite un angolo molto largo, che sulla faccia interna, ove descrive una curva. La radice, poco sporgente anche sul lato interno, ha branche slargate, corte, compresse e arrotondate. L’esemplare descritto confronta bene con alcuni dei denti illustrati dal Leri- che sotto il nome di Carch. angustidens e della varietà (var. (urgidus) nelle tavole XVII e XVIII del suo lavoro ‘ Posssons oligocénes de la Belgique ,,. 63 M. GRMMELLARO Il secondo dente che descrivo (tav. III, fig. 7-8) mostra soltanto il denticello laterale posteriore ;l’ anteriore manca. E° un dente laterale sinistro della mascella inferiore (5* fila) simile a quello illustrato dal Leriche (op. cit.) a tav. XVII, con le figure 15-15 b. La corona è slanciata, ma piuttosto spessa ed è, appena sensibilmente curva verso dietro. I margini sono ambedue leggermente oncavi. La faccia iuterna è convessa, l'esterna è è piatta, ma mostra nelmezzo un rilievo che viene accentuato dalla compressione dei margini e da una depressione mediana in basso, presso il limite dello smalto. Lo smalto scende più in giù sulla faccia esterna che sulla interna. Mentre all’ interno il suo margine descrive un angolo molto otttuso, a lati quasi retti, all’esterno determina nn angolo meno ottuso, a lati concavi. Tra il limite dello smalto e la radice si nota sul lato interno, un’area depressa e stretta, che segue il limite dello stesso smalto. i In questo dente, a differenza di quanto si osserva nell’esemplare preceden- temente descritto, la radice, per quanto fornita di branche compresse, è rela- tivamente molto sporgente dal lato interno. Ho già esposto nei miei precedenti lavori le ragioni per le quali, in oppo- sizione alle idee del Leriche, io insisto a tenere riunite sottoilnome di Carcha- rodon auriculatus de Blainv. sp. le forme da quell’autore distinte coi nomi di Carch. avriculatus, di Carch. argustidens e di Carch. angustidens var. turgidus. Secondo il mio modo di intendere questa specie, la sua estensione crono- logica va dall’Eocene al Miocene medio. In Sicilia il Carch. auriculatus, è stato fin’ oggi rinvenuto in depositi eoce- nici e miocenici. I fossili illustrati fanno parte delle collezioni del Museo geologico di Palermo.. CARCHARIIDAE Gen. Galeocerdo Miller et Henle Galeocerdo aduncus Ag. (Tav. III, Fig. 9-10) 1833-43. Galeocerdo aduncus Agassiza L. — Poîss. foss., vol. III, pag. 281, tav. 26, fig. 24-28 (col nome di Ga/eus atluncus). 1858 Sphycna prisca Ag. — Gemmellaro G. G. — Aicerche sui pesci fossili della Sicilia, pag. 19, tav. 6, fig. 3 (non tav. I, fig. 5) 1891. Galeocerdo aduneus Ag. -- Bassani F., Contributo alla paleontologia della Sardegna. Itlioli'i miocenici, pag. 36, tav.I, fig. 4 o tav. II, fig. 20. 1895. » » Ag. — De Alessandri G., Contribuzione allo studio dei pesci terziari lel Piemontee delia Liguria, pag. 17,. tav. I, fig. 14-14 a. 1909. , » Ag. —- De Stefano G., Osservazioni sulla ettofauna pliocenica di Urciano e S. Quirico, pag. 578, tav. XVII, fig. 2-4. Y, nale RIT e RA TATE A De PA. Call "di fn ha” alli‘ CAI LPP VA i t di ni Y r AGI SaR 5 I ITT(OD)NTOLITI DEL CA LCARE ASFALTIFERO DI RAGUSA 37 Riferisco a questa specie un bel dente completo proveniente del calcare bituminifero di Ragusa. La sua corona ha forma quasi triangolare; l orlo anteriore è regolarmente convesso, mentre il posteriore è notevolmente incavato. Le seghettature marginali sono molto evidenti nel tratto posteriore che rimane sotto l’ incavatura del margine, diventano finissime nella parte a questa soprastante mostrandosi poi abbastanza distinte sn tutto il margine anteriore. La superficie interna del dente è convessa, quella esterna è concava; ivi lo smalto scende più in basso cine sulla faccia interna. La radice, a branche compresse e slargate, è leggermente sporgente sul lato interno. Il dente è provvisto di cavità interna. Stadiando questo fossile, ho anche io notato le analogie di forma, già rilevate dal De Stefauo, che legauo il Gweocerdo aduncus al Gal. latidens Ag. Specialmente per la sua forma molto allungata io ritengo che il fossile in esame sia un dente laterale. Non posso giudicare a quale delle dune mascelle esso appartenga, poichè, come è noto, nel genere Ga/eocerdo i denti sono agnali tanto nella mascella superiore quanto nella inferiore. Come ha già fatto osservare il prof. Bassani, il Ga/eocerdo Sismondae G. G. Gemm. è un frammento di dente di Carcharodon; è invece da riferirsi alla specie in esame il fossile illustrato da mio Padre sotto il nome di SpAyrza prisca,a tav. 6, fig. 3 del suo lavoro sni pesci fossili di Sicilia. Il Dottr. Coppa (1) ha descritto ma non figurato, un dente proveniente da Ragusa riferendolo a Galeocerdo aduncus Ag. Credo, per quanto risulta dalla sua descrizione, che questa determinazione sia esatta. Essendo d’ignota provenienza l’esemplare illustrato da mio Padre, bisogna dire che fino ad oggi in Sicilia, dol Galeocerdo aduncus non sono stati rinvenuti che due soli esemplari (denti), tutti e due provenienti dal calcare miocenico di Ragusa. L’esemplare illustrato fa parte delle collezioni del Museo geologico di Palermo. (1) Coppa A.—Studio geologico e paleontologico del Miocene del Siracusano (Atti Ac. Se. Lett” ed Arti d. Zelanti di Acireale, vol. IX, 1897-98.) 40 M. GEMMELLARO SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I6 Fig. 1-4. Odontaspis cuspidata Ag. sp—Denti anteriori della mascella inferiore, visti dai due lati. i > D-6. > | ® Ag. sp.—Dente laterale destro della mascella. “A i | inferiore, visto dai due lati. È, VS EI » Ag. sp. — Dente laterale destro della mascella. pi superiore, visto dai due lati. pu i » 9-10. » » Ao. sp.-- Denti intermediari, visti dallato interno. dA DM 1206 » Ag. sp. — Dente posteriore destro della mascella TAR È inferiore, visto dai due lati. ti >» 13-14. Oxyrhina hastalis Ag. — Denti laterali posteriori destri della ma- SI scella superiore, visti, il primo dal lato interno & e il secondo dal lato esterno, ‘ » 15-16. » > Ag. — Dente laterale posteriore sinistro della n°. mascella superiore, visto dai due lati. 3 » 17-20. » » Ag. — Denti anteriori della mascella superiore, 5 visti dai due lati. i te » 21-24. Sal » Ag. — Denti anterîori della mascella inferiore, : visti dai due lati. }: >» 25-26. » >». Ag. — Due denti Posteriori visti, il primo dal a lato esterno, il secondo dal lato interno. Ò > 27-30. Oxyrhina Desori Ag. — Denti anteriori della mascella superiore, (prima fila) visti dai due lati. Tutti gli esemplari figurati in queste tavole sono a grandezza naturale. GEMMELLARO M. - ITTIODONTOLITI DI RAGUSA Tav. I. CAMPAGNA FOT, FQOTOT. MARZARI - ScHIQ M. GEMMELLARO SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA II . Oxyrhina Desori Ag.—Dente anteriore della mascella superiore (* da fila), visto dai due lati. da Ag._Denti anteriori dello mascella inferiore, dai due lati. visto dai due lati. 9-10. Carcharodon megalodon Ag.—Uno dei primi denti laterali delete sua . scella superiore, visto dai due lati. SE Ag.Dente laterale destro della mascella infe- A riore, visto dai due lati. toe : iS) Li È D) a N < = sO 2 pa 4 [7») 2 (do) < pè A = Si ZI ‘3 ©) E Zi ©) (a) © hd E Sì (e = (©) cc Fig. 1-2. Carcharodon megalodon Ag. —_ as laterale sinistro ) della mas cella inferiore, visto dai due lati. » 2-4. I » —Ag.—Dente posteriore, o o non com sviluppato, visto dai dne lati. » 5-6. Carcharodon auriculatus de Rlainv. sp.—Dente laterale destro ella mascella superiore (ottava fila), visto dai d » 1-8. » » de Blainv. sp.--Dente laterale sini i mascella inferiore (quinta fila), visto dai . > 9- 10. Galeocerdo aduncus Ag. —Dente lalorato, visto dai LIO lati. & A Tav. III, MARZARI = SCHIO FOTOT. GEMMELLARO M. - ITTIODONTOLITI DI RAGUSA CAMPAGNA FOT, FATINA TR re LI ERGE LANA a RO gr » SÈ E RETE : ki Osservazioni geologiche sull'Appennino della Capitanata PARTE II per G. CHECCHIA-RISPOLI Continuiamo in questa seconda Nota lo studio geologico della regione ap- penninica della Capitanata. Per completare però quello della parte compresa nel circondario di San Severo, occorrerà ancora qualche osservazione sulla regione collinosa compresa tra il F. Fortore ed il torrente Saccione, che in- dica in parte il confine a Nord tra il Molise e la Capitanata, e che spero dare al più presto. L’area studiata in questo secondo lavoro è compresa tra il corso del Fortore ed i paesi di Carlantino (m. 558), Castelnnovo della Dannia {m. 543), Pietra Montecorvino (m. 456), e S. Marco la Catola (m. 686); essa non è che la coutinuazione verso Sud del territorio compreso tra Castelunovo della Daunia, Casalunovo Monterotaro e Casalvecchio di Puglia, precedentemente studiato (1). Il territorio, in parte collinoso ed in parte di bassa montagna, raggiunge a Monte Sambuco 985 metri di altezza ed è costituito da una serie di alture, che vanno generalmente elevandosi verso l'Appennino, con una disposizione parallela all'asse di questo. In tale regione di pieghe predominanti, costituita in modo prevalente di marne ed argille ed in modo subordinato di calcari ed arenarie, non si osservano che forme dolci ed arrotondate, ricoperte di fol- tissimi boschi. - Però seirilievihanno un aspetto uniforme, essi per la facile erosione delle roccie, di cui sono costituiti, presentano frequentemente ripidi ed incisi bur- roni e localmente profondissimi solchi incisi dalle acque selvaggie, come quelli (1) Checchia-Rispoli G. — Osservazioni geologiche sull'Appennino della Capitanata, P. £ {Giorn., di Sc. Nat. ed Econ. ed Palermo, vol. XXIX), 1912. 46 i G. CHECCHIA-RISPOLI che si possono osservare nei dintorni di Pietra Montecorvino e di San Marco la Catola. Là dove predominano invece le arenarie, come sotto Celenza Val- fortore, si osservano alte scogliere dalle pareii a picco, formanti imponenti muraglioni naturali. Nella costituzione geologica di questa parte dell’Appennino prevalgono le argille scagliose variegata dell’Eocene con intercalazioni di strati di calcare, di brecciuoie calcaree e dibanchi di arenaria e le formazioni caleareo-marnoso- arenacee del Miocene, assai più estese e sviluppate di quelle eoceniche. Per quanto riguarda una regione contigna a quella di cui qui parliamo, ove sono sviluppate formazioni simili, cioè la Basilicata, notiamo che il De Lo- renzo aggrega tutti questi terreni nel /ysch, nel quale comprende quelli dell’Eocene superiore, dell’Oligocene e del Miocene medio e superiore (1). Le ultime propaggini dell'Appennino, che formano quella linea di umili elevazioni, come la collina di Lucera, di Fiorentino, Chiancone, Crocetta, del Bove, Moralda, e via di seguito sino alla. collina di San Paolo Civitate e poi i cosidetti wonz: Liburrici, formati dai colli del Poticaro, di Ischia Greppe, Coppa delle Rose, ecc. sulla destra del Fortore, sono costituite dalle argille sabbiose e dai sabbioni del Quaternario antico, che continnano a svilupparsi per tutto il Tavoliere. Sn queste formazioni stanno le alluvioni rappresentate da depositi ghia- ioso-ciottolosi con sabbia, specialmente sviluppati lungo l'ampia vallata del Fortore e di tutti quei vari corsi minori che vanno a scaturire nel Fortore 0 scendono verso la pianura. i EOCENE L’'Hocene, nei luoghi che qui studiamo, continua a presentarsi con la faczes caratteristica delle argille scagliose, come iu quelli precedentemente descritti. ‘Le argille, che già abbiamo visto svilupparsi sotto l'abitato di Castelnuovo della Dannia, prosieguono a guisa d’ampia fascia verso Pietra Montecorvino ed oltre verso Motta Montecorvino nel circondario di Foggia, come vedremo in segnito. Questi due paesi sono edificati sulle argille scagliose eoceniche. Presso Pietra e nei snoi immediati dintorni sono frequenti le argille, i calcari in (1ì} De Lorenzo G.— Geologia e Geografia fisica dell’Italia meridionale. Bari. Tip. G. La Terza e figli, 1904. È OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SULL’APPENNINO DALLA CAPITANATA 47 strati per lo più spessi, e le arenarie. I calcari sono poco fossiliferi e tra gli avanzi più o meno frammentati di alghe, briozoi, piccoli pettini ed ostriche. si osser- vano A/veolina milinm Bose, Operculina canalifera d' Archiac, Nummulites vario larius Uamarck, sp., N. Tehihatcheffi ® Archiae, Orthophragmina Pratli Michelin Spi, ecc. Ho scritto già nel mio precedente lavoro che le argille scendono verso il Tavoliere sino ad una quota variabile tra i250 e 200 m. per andare a met. tersi sotto alle argille quaternarie. Verso ovest invece, queste si spingono ad una quota variabile tra i 500 e i 600 m. La rotabile Castelnnovo-Motta Mon- tecorvino segna presso a poco il limite tra la formazione eocenica e gnella calcareo-marnosa del Miocene, sotto cui la prima scompare per riapparire ver- so il Fortore. Quivi, le argille scagliose che di già abbiamo viste svilupparsi nelle regioni dette Poggio Valle del Conte, M. Majorana, Serra Fontanelle, Isca Spagnela, scompariscono risalendo a monte, sotto Carlantino e Celenza Valfor- tore, perchè ricoperte dai sedimenti arenacei del Miocene; ma esse ricompaiono snbito appena passato il ponte detto dei Tredici Archi, nella regione Valva. Conviene qui notare che dal ponte dei Tredici Archi sino ai pressi di Roseto Valfortore in Capitanata, il finme Fortore in luogo di continuare a for- mare il confine naturale della provincia di Foggia ad occidente, s'interna nel- Molise e poi nel Beneventano; il confine invece qui per breve tratto è dato presso a poco dal torrente detto /a Cazola, afflnente di destra del Foitore (1). Nella parte inferiore del sno corso questo torrente attraversa le argille scagliose eoceniche, le quali si estendono per le regioni Casarnelli, Macchia della Chiesa, Luprina sulla sna destra, per andare a sottomettersi ai deposi- ti miocenici salendo verso S. Marco e per le regioni Serra Castiglione e Monte Calvo sulla sua sinistra. In tutte le regioni citate l’Eocene è costituito di argille scagliose per lo più cenerine, ma qua e là sono anche verdiccie, rossiccie, gialliccie, con inter- calazioni di isola di arenarie giallo-rossiccie e di sottili strati di calcari e di breccinole calcaree zeppe di foraminiferi. Per quanto rignarda la tettonica cella formazione eocenica, non ho che a ripetere quello che già ho scritto, cioè che la sua caratteristica è di essere costituita di una serie di pieghe parallelemente disposte all'asse appenninico; la pendenza generale degli strati è verso Est, però localmente questi si mo- strano contorti in mille guise. L’Eocene è dappertutto fossilifero, ma dove si può fare la più al rac- colta di fossili migliori è nella regione Serra Castiglione, propriamente lugo (1) Il Catola, dall’ampio bacino, nasce alle falde del Monte Pagliarone (m. 1030) presso Alberona in Capitanata: esso lungo il corso superiore è povero d'acqua, ma nel medio si ar- ricchisce di vari minori tributari, tra eni il Montauro, il San Vito, il Cerasa; sotto Volturara Appula riceve sulla sua sinistra il torrente dei Moti, indi serpeggiando, dopo aver ricevnto il torreute Canalicchio sulla sua destra, si scarica nel Fortore nella region Valva. 48 G. CHECOHIA-RISPOLI la costa che scende verso il letto del torrente la Catola. L’erosione flu- viale qui avendo denudate fortemente le argille, ha messo a nudo gli strati della breccinola calcarea; l’azione degli atmosferili ha contribuito anche a rendere più disgregabile la roccia nelle parti superficiali, sicchè i fossili si © possono facilmente isolare. Questi sono per la massima parte foraminiferi ap- partenenti ai generi A/veolina, Operculina, Nammulites, Orbitotdzs, Lepidocyelina Orthophragmina, Gypsina, ecc. i Insisto qui nel fatto che i fossili si raccolgono nello stesso calcare asso- ciati insieme, auzi essi provengono tutti da un unico strato intercalato nelle ar- gille, il quale si trova proprio sulla costa della Serra Castiglione che scende verso il letto del torrente la Catola, ad una quota di circa 200 metri, emer- gente dalle argille scagliose. Non ho tenuto mai conto dei fossili sciolti sul terreno. Le Zepi4tocyclina sono saldate insieme con gli altri fossili e la loro pre- senza non può essere attribuita nemmeno a rimaneggiamenti. Ecco intanto la lista dei fossili finora determinati: Alveolina Baldaccii Ch.-Risp. » milium Bosc. » » var. /epidula Schwg. » cfr. oblonga d’Orb. » Jestuca Bosc. Flosculina pasticillata Schwg. » decipiens Schwg. » daunica Ch.-Risp. Operculina granulosa Leym. Nummnlites latispira Mngh. (A). » Dollfusi Ch.-Risp. (A) e (B). >» atacicus Leym. (A) e (B). » Beaumonti d’Arch. (A). » frentanus Ch.-Risp. (A) e (B). » biconicus Ch.-Risp. (A). » incrassatus De la H (A) e (B). » vartolarins Lmk. sp. (A). » garganicus Tell. (A) e (B). » appulus Ch.-Risp. (B). » Partscht de la H. (A). » millecaput Bonbée (A). Orbitoides Caroli Ch.-Risp. Lepidocyelina marginata Micht. sp. (A) e (B). » lL'aulini Lem. et Douv. > appula Ch.-Risp. Orthophragmina scalaris Schlumb. » umbelicata Deprat. » sella d'Arch, sp. 49 OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SULL’APPENNINO DELLA CAPITANATA ‘(ormeniogent)) @.19I]OAV], [Pp Ioato]eo Inorqqus © eqidIy (cf ‘(ouelzeA]H) ‘000 ‘5422n/009.1 dg ‘ibuissog vox9ag uo00 eqpSae pe erteuory (5g IbBas I epd ‘(ouergsuent) vusdibor è vupofizopid -9] U0d WTBO]eo e IsouIeII LIBO]eo ‘ouIeri (0% *(onersIoAUY) vunIlioopiderg ‘sagiguununy ‘vuifosarg pe AgIB0]eO a[|ou10oe.Iq uoo eso1l[aeos e]jidIy (51 è 0 SEI ES SERE I 7 Siani e i H rea ; È i a o 5 o i ‘00è Ù : A Vada w i (1 : n IUOQIOJ" SJ > : , : : NUUICANA : i i = Ì È : Vatu ! wo S ja AO] 6P9 ‘ezzeje e] ed 000001 2z0tIsIp e] ded 000006. v i h ù . , x ‘ste OPue,Io K ogg ut E[O] BI P| OVIER'S Quo bus BERULIOS 50 G. CHECCHIA-RISPOLI Orthophragmina Di Stefanoi Ch.-Risp. » appulo Ch.-Risp. Gypsina globulus Reuss. sp. ecc. (1). Nella mia Nota precedente rapportai la formazione delle argille scagliose di questa parte dell'Appennino meridionale al Bartoniano superiore preso nel senso lato degli antichi autori. Lo studio del nuovo : materiale raccolto, ben più importante ed abbondante, mi permette ora di precisare meglio l'età di quel complesso di argille. Esso va riferito a strati eocenici che indicano il passaggio dal Luteziano all’Auversiano, nel senso adottato oggi dagli autori francesi. Sono a questo determinato specialmente dallo studio delle Nummuliti. Questi fossili per la grande importanza che vanuo sempre più acquistando, occupano, tra i foraminiferi; il primo posto per la determinazione dell’età dei terreni compresi tra il Cretaceo ed il Miocene. MIOCENE Sulla formazione diauzi descritta poggia in discordanza una pila di strati. molto spesso costituiti nella parte inferiore prevalentemente di scisti marnoso+ calcarei e nella superiore di arenarie calcareo-argillose. Questo. insieme va distinto in due parti strettamente legate. i fi Ta parte inferiore, che è molto più sviluppata in potenza ed in estensione, è costituita da scisti marnosi, di color bianco tendente al gialliccio, alternanti con strati di calcare marnoso piuttosto sottili e molto distinti, di color chiaro (giallicci all’esterno ed azzurroguoli all’interno) e con banchi di calcare orga- nogeno bianco-grigio, formato specialmente dall’accumulo di litotanni, briozoi, con scarsi fossili macroscopici, come pettini ed ostriche e con foraminiferi, Mi fra i quali Operculina, Lepidocyclina, Miogypsina ecc. Questi strati sono intrasgressione su quelli eocenici, sui quali si presentano per grande estensione, cioè sull’area intorno la quale stanno i paesi di Castel- nuovo, Carlantino, Celenza-Valfortore, S. Marco la Catola, Volturara Appula -e si spingono anche oltre, come si vedrà uelle successive Note. (1) Lo studio di questa fauna comparirà tra breve col titolo «Z Foreminiferi dell’ Eocene det dintorni di San Marco la Catola ‘in Capitanata >, nel volume XIX delle Memorie di Paleon- tologia pubblicate per cura del prof. M. Canavari a Pisa. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SULL'APPENNINO DELLA CAPITANATA DI Questa formazione culmina a Monte Sambuco, la cuni vetta boscosa raggiunge ‘circa 1000 metri di altezza. Parlando. dell’Eocene ho precisato i limiti tra le .due formazioni. La rotabile che va da Castelnnovo della Daunia a S. Marco la Catola si «svolge per intero sui calcari marnosi, e le trincee eseguite permettono di 0s- servare bene questo insieme nettamente stratificato. Anche questa formazione è contorta e sollevata, e la sua pendenza è ‘prevalentemente ad Est di circa 30°. Ho già detto che i fossili macroscopici in questo complesso -sovo scarsis- «Simi e che quando si trovano sono rappresentati da resti e frammenti di brio- zoi, pettini ed ostriche. I foraminiferi invece sono più abbondanti, ed ho po- into determinare finora: Operculina complanata Defr. Heterostegiua depressa D’O1b. Lepidocyclina marginata Micht. sp. » Canellei Lem. et Douv. » Tournoneri Lem. et Donv. ecc. Miogypsina irregularis Micht. sp. ecc. Vediamo brevemente ora quale sia l’età di questo complesso marnoso-cal- .careo. Il prof. Sacco nei suoi studi geologici sul Molise (1) e sull’Appenuino meridionale (2) riferisce la identica formazione, che è molto sviluppata in tutto l'Appennino, alla parte superiore dell’Eocene, cioè al Bartoniano auctornm. Pur convenendo col prof. Sacco in molte vedute, nou trovo però, almeno per «quanto riguarda la formazione in esame, gli elementi per riferirla all’Eocene superiore. Credo invece che si tratti di Miocene e ciò per due ragioni: una «stratigrafica e l’altra paleontologica : 1°.I calcari marnosi sono sempre sconcordanti con le argille scagliose -eoceniche e concordanti invece con le arenarie calcareo-argillose soprastanti, riferibili all’Elveziano o secondo il prof. Sacco al Mio-Pliocene. 2° In essi vi sono solamente Leprdocyclina e Miogypsina, mentre le Nuwm- muliti eoceniche, come del resto anche quelle oligoceniche, vi mancano in modo assoluto. i Tenuto conto di tali fatti, io ritengo che questo insieme marnoso-calcareo debba essere riferito molto probabilmente al Langhiano, e credo che questa formazione dell'Appennino sia corrispondente a quella studiata da me in Sici- lia, che una volta era ascritta all’Evcene, e che dopo i nostri studi va rife- rita invece al Miocene. (3) (1) Sacco F.—--I/ Molise. Schema geologico. (Boll. d. Soc. Geol. Ital., vol. XXVII) Roma, 1908. (2) Sacco E.—L’Appennino meridionale. Studio geologico sintetico. (Boll. d. Soc. Geol. Ital., vol. XXIX) Roma 1910. i (3) Checchia-Rispoli G. — Su! Miocene medio di aleune regioni delle provincie di Palermo e di Girgenti (Gior. di Sc. Nat. ed Econ. di Palermo, vol. XXVIII), 1910. 52 G. CHECCHIA-RISPOLI La parte superiore del gruppo in esame è costituito di sabbioni calcareo- argillosi, più o meno cementati passanti in qualche caso a sabbie sciolte o ad arenarie molto tenaci, nettamente stratificate, fissili, facilmente separabili in lastre. Queste arenarie, localmente dette chiazche, sono adoperate per lastricare le strade e per farne soglie di porte e di finestre. La loro colorazione è in genere grigio-gialliccia o grigio-verdiccia, e talora grigio-rossiccia per la ridu- zione di sali di ferro, di cui in alcuni punti l’arenaria è ricca. Questa formazione si estende in Capitanata lungo la destra del fiume For: tore e si spinge sino ai pressi di Carlantino e di Celenza; indi s’interrompe per breve tratto e riappare nei pressi e dentro l’abitato di S. Marco la Catola.. I tre paesi ora nominati sono edificati su questa formazione. La rotabile Car- lantino-Celenza segna presso a poco il limite tra i calcari marnosi e le are- narie. Per causa della facile erosione delle roccie, questa formazione è molto: denudata e perciò è dato di trovare frammenti delle sue roccie dappertutto, il che indica che la sua estensione doveva essere maggiore. Inoltre, le arenarie, lungo il corso del Fortore, formano alte scogliere, dalle pareti a picco. Anche la tettonica risente della natura litologica della forinazione: infatti essa pur segnendo l'andamento generale della sottostante, con pendenza ad Est, local- mente suol presentare forti pieghe, come quella a ginocchio, che fn messa a giorno parecchi anni or sono nel 1909 sotto Celenza Valfortore, per co- struire un gran Sionnle e che venne ora ricoperta e mascherata dal muro di sostegno. Questa formazione è discretamente fossilifera. Essa oltre a contenere nu- merosi foraminiferi appartenenti ai generi Cristellaria, Vaginulina, Pulvinulina, Nodosaria, Operculina, Amphistegina, in qualche località contiene fossili macrosco- pici, fra cui abbondano più di tutti i pettini, che per la resistenza del guscio poterono meglio couservarsi; i gasteropodi invece sono mal conservati e determinabili per lo più solo genericamente. Nella regione Valva presso il ponte dei Tredici Archi, ho potuto racco- gliere e determinare finora i seguenti fossili; Terebratula sinuosa Br. Ehynchonella plicato-dentata Costa, var. faurosimplex Sacco Ostrea cochlear Poli Chlamys scabrella Lmb. sp. » miocenica Micht. sp. » pes-felis L. sp. Amussinm cristatum Bru. Flabellipecten Besseri Andrz. sp. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SULL’APPENNINO DELLA CAPITANATA 55 Pecten losslingi Bichw. » revolutus Micht. Anomia ephippium Lmck. Isocardia cor L. Mactra triangula Ren. Pectunculus obtusatus Partsch Turritella vermicularis Br. Balanus tulipiformis Ellis. ecc. (1). In base allo studio di questa fauna, eseguito da me vari auni or sono, e dei caratteri litologici della formazione, io riferi alla parte elevata del Miocene medio questi strati arenacei della Capitanata, i quali non sono che la conti- nuazione di quelli delle limitrofe provincie di Campobasso e di Benevento. Il dott. Patroni che studiò i fossili provenienti dai dintorni di Baselice, in pro- vincia di Benevento, riferì gli strati in esame all’Elveziano. Questi, oltre ai molluschi, raccolse una ricca fauna di clipeastri che riferì al Clypeaster intermedius, C. Reidti, C. altus, C. Scillae, C. pyramidatis, C. gib- bosus, C. marginatus, C. alticostatus, C. portentosus ecc. (2). Il prof. Sacco riferisce invece questi depositi al Mio-Pliocene (3). Ma in verità pare che si tratti di strati un pò più bassi; infatti non vi si presenta il carattere del Piano Pontico; invece, i fossili che si raccolgono « caratterizzano molti giacimenti del Miocene medio dell’Italia, nel quale noi com- < prendiamo pure il Tortoniano, come i depositi della Collina di Torino, di « Vignola, Baldissera, Sciolze, Cinzano, Albugnano, Serravalle, Scrivia, ecc. «in Piemonte; quelli di Baselice in provincia di Benevento; dei dintorni di « Reggio Calabria; della Sardegna, di Centuripe in provincia di Catania, ecc. < Però, se questo fatto basta ad escludere l'appartenenza della formazione in «esame al Pliocene, per altro insistiamo nel far notare che tutto l’insiome della « fauna da noi citata, sta ad indicare un livello molto alto del Miocene medio, «e di mare poco profondo; precisamente a poca distanza si presenta l’Elye- « ziano fossilifero di Baselice, illustrato dal dott. Patroni.» (4) Oltre di ciò bisogna tener presente lo stretto legame stratigraficd che esiste fra questa formazione e la sottostante, da noi riferita al Langhiano. < il Istituto Geologico dell Università di Palermo, 1 bebbraio, 1913. (1) Ho tolto da questo elenco il Pecten rhegiensis Segu., perchè non mi pare che si possa precisamente identificare con la forma del Pliocene, rappresentando piuttosto una forma di passaggio tra il P. Kochi e P. rhegiensis, con maggiori affinità con il primo. (2) Patroni C.— Fossili miocenici di Baselice in provincia di Benevento (Atti R. Acc. Se. Fis. e Mat. di Napoli, vol. V, serie 2° n° 12), 1893. (3) Sacco F.—J/ Molise, ecc. ; (4) Checchia-Rispoli G.— Osservazioni geologiche lungo la valle del Fortore in Capitanata, 1904. Marmitte di erosione marina lungo la costa di Castellammare del Golfo per G. CHECCHIA-RISPOLI === Nella parte nord-ovest della Sicilia una delle regioni notevoli per lo sviluppo del Quaternario marino è il tratto di costa che si estende dalla sta- zione dello Zucco a Castellammare del Golfo e s’ interna sino sotto Alcamo. In tutta questa estensione i sedimenti del Praro Siciliano formano delle alture, che s’innalzano sino a circa 250 m., come presso Alcamo; altezze considerevoli queste, se si tien conto che nei dintorni di Palermo e di Bagheria l’elevazione di tali depositi non va di là di 70 ad 80 m., su piannre basse e degradanti in modo moito lento verso il mare. Come dappertutto, i depositi del Piano Siciliano trasgrediscono su vari texreni più antichi e sono interrotti solamente in nn puuto, lungo la valle del torrente Finocchio, per notevole larghezza. Quivi affiorano invece le argille scagliose dell’ Eocene medio, separate dalla spiaggia da una stretta lista di tufo calcareo, il quale ricomincia subito di là da questa interruzione e continua fino a Castellammare, dove va a terminare contro gli alti dirupi di dolomie e di calcari mesozoici di quei monti. In tntta la regione descritta il Quaternario è rappresei tato dal noto /z/o calcareo, che è una breccia corchigliare di color biancc-gialliccio o rossiccio,. più o meno compatta. Talora però il info passa, specialmente nella parte sn- periore, a sabbioni calcarei sciolti o ceèmentati, come presso la stazione di Balestrate. Nei pressi di Castellammare, e quivi anche nell’ abitato, il tufo calcareo contiene lenti di argille plastiche di color grigio-tnrchino, identiche a quelle dell’ Acqua dei Corsari presso Palermo. Tali argille formano lo strato imper- meabile su cni scorrono o si raccolgono le acque d’infiltrazione, ragginnte per mezzo di pozzi scavati nello spessore del tufo. Tufi ed argille pendono assai debolmente verso il mare di circa 10°, Ho di già accennato che le formazioni quaternarie raggiungono una quota 56 G° CHECCHIA-RISPOLI di circa 250 m., abbastanza elevata rispetto ad altri punti della costa setten- trionale della Sicilia. Abbiamo qui le prove di un movimeuto negativo della linea di spiaggia, del resto già accertato per la costa settentrionale della Sicilia e qui molto spiccato. Questo sollevamento, iniziatosi di già alla fine dell’Eocene, continuò a verificarsi durante il Post-pliocene e continua tuttora. Prove ne sono in primo luogo ,le terrazze litoranee, al cui piede le onde impetuose del Golfo, sempre mosse dal Libeccio, scavano nel tufo calcareo, un gradino, che è!ben visibile. Altre prove abbiamo nella esistenza di fori prodotti da animali marini litofagi sopra l'odierno livello del mare e nelle strette e profonde incisioni dei valloni attraverso i depositi descritti. Infine un’ ultima prova, come spiegherò qui ap- presso, è la presenza di cavità, scavate nel tufo calcareo, simili a marmitte, dovute all’ erosione marina, le quali si produssero in un tempo non molto lontano dal presente, ma che oggi si trovano a circa 15 metri e più al di sopra del livello marino. Su questi tufi calcarei si osservano due ordini di erosione: uno molto: irregolare e molto sviluppato, l’ altro più limitato e regolare. Sulla formazione post-pliocenica ora descritta sta un potente deposito di - terra rossa, il cui spessore in alcuni punti sorpassa i 4 metri, come si può vedere nei tagli delle cave e lungo Je trincee della strada rotabile dalla stazione di Castellammare al paese. A questa ferra rossa sono commisti dei blocchi, dei ciottoli e delle ghia- iette, per lo più arrotondati, di arenaria quarzosa, di quarzite ed anche di cal- care compatto. Inoltre nella parte inferiore del deposito si trova uno strato ben netto di ciottoli e di ghiaiette, che formano il limite tra la terra rossa ed il tufo calcareo. Per causa del loro peso, i ciottoli sono disposti in modo che i più grandi si trovano in basso edi più piccoli in alto. (v. Tav. I, fig. 1) Questo strato di ghiaie e di ciottoli segue tutte le accidentalità della roccia sottostanie, la dicni superficie è dappertutto fortemente incisa, corrosa, solcata, e frastagliata in modo del tutto irregolare. Questo aspetto della superfice del tufo. calcareo, ben visibile nelle cave e lungo le trincee, è certamente dovuto all’antico lavorio : della erosione delle acque superficiali selvaggie. Nello stesso tempo l’azione di dissoluzione delle acque meteoriche, ricche di acido carbonico, produceva len- tamente la disgregazione e la dissoluzione del calcare, dando origine a quel residno argilloso di color rosso ruggine, per la presenza di composti ferriferi sopraossidati. Ad accrescere lo spessore della terra rossa, come ci è dato os- servarla oggigiorno, contribuirono anche le forti alluvioni, che scendendo im petnose dalle pendici dei monti circostanti, trasportarono e trasportano tuttora terra e ciottoli. L'alterazione chimica dei tufi non è indicata solamente dai solchi e dalle incisioni: in taluni punti questa azione, aiutata dalla maggiore disgregabilità MARMITTE DI FROSIONE MARINA LUNGO LA COSTA DI CASTELLAMMARE DEL GOLFO 57 della roccia, produsse delle vere tasche d’alterazione di forma irregolare, le quali sono talvolta molto grandi e profonde. (v. Tav. I, fig. 2). Si tratta insom- ma di quelle cavità chiamate organi geologici (puits naturels, sink holes), dovute: all’alterazione chimica del calcare per opera delle acque alluvionali. L'altra serie d’erosioni, che si osservano anche nel tufo calcareo, è for- mata di cavità più regolari e di unmero più limitato. Percorrendo la rotabi- le che conduce dalla stazione di Castellammare al paese, le trincee fanno ve- dere, prevalent»mente sul lato sinistro, una serie di cavità, circa venti, dispo- ste secondo una linea paralieia a quella della spiaggia (v. Tav. Il). Queste cavità sono tutte verticali ed irregolarmente distanti fra di loro, potendosene osservare parecchie in brevissimo tratto. lo quali hanno Je pareti, che quasi si toccano. La forma di queste cavità è cilindro-conica, con la mag-. giore larghezza verso la parte mediana, anzicchè verso la bocca. Così ne esi- ste una che è profonda 2 metri, che verso la bocca ha un diametro di 40 cm.. e nel mezzo di 60. Verso la base il diametro per lo più va restringendosi ed il fondo è sempre più o meno concavo. Le dimensioni di queste buche sono: variabili; la più grande è alta circa 3 m. e larga circa 8U cm.;la più piccola è alta 1 m. e larga circa 40 cm.; fra questi estremi vi sono tutti i gradi in- termedi. Le pareti di queste cavità sono levigate e fanno osservare dei solchi spi- rali grossolani, oltre ai piani di divisione degli strati. Molte di queste buche, prima di essere messe alla luce, erano riempite di terra rossa; ma poi furono in parte o del tutto vuotate, quando si eseguirono le trincee per la rotabile, che le tagliarono. Certamente più addentro, verso terra devono esistere altre linee di simili cavità, ora a noi nascoste dallo egorme spessore della terra rossa; infatti in una recente escursione in contrada detta /a Tavolata, ne ho. visto altre due, di cni una caratteristica che mostra pure la presenza dei solchi spirali: questa ha circa 1 m. di diametro ed è profonda 2 m. La sna forma è cilindrica a fondo concavo. L'origine di tali cavità è differente da quelle delle altre descritte avanti. Queste ultimo hanno sempre la forma irregolare e quando sono vnotate, come. avviene in qualche cava, o lungo le trincee, fanno vedere la corrosione irre- golare delle pareti, che non lascia dubbio alcuno sul fenomeno di dissoluzione, che le produsse; le altre invece, oltre di avere una forma regolare, hanno le pareti lisciate e solcate in modo spirale. Mentre le prime devono la loro ori- gine ad una azione precipuamente chimica, le altre furono prodotte, come si vede, da una azione meccanica erosiva. ; Ciò posto restaa chiarire da quale causa meccanica naturale furono prodotte lé cavità descritte. La disposizione di queste marmitte allineate secondo una direzione parallela alla odierna spiaggia; la loro abbondanza; la mancanza in 58 x. CHEGCHIA-=RISPOLI quei lnoghi di qual'inque indizio lasciato da antiche cadute di acque superfi- ciali; il fatto della formazione di quelle terrazze litorali, sul cuni ciglione sono escavate, avvenuta dopo la deposizione degli strati fossiliferidel Piano Siciliano, mostrano che quelle cavità sono dovute ad nna erosione prodotta dal mare, duranto la elevazione di quelle terrazze litorali. Siccome il tufo calcareo è pieno di diaclasi, così l’erosione della roccia aiutata anche dalla disposizione quasi orizzontale di quegli strati, si produce più facilmente secondo queste fessure, originandosi larghe breccie, isolotti, caverne, cavità, tutti quei fenomeni insomma propri dell'erosione marina. Ora in varie di quelle cavità si sono certamente insinuati dei grossi ciottoli, che sempresi trovano sulla spiaggia, iquali hanno subito un continuo movimento per l’azione delle onde, specialmente in mua regione, in cui il mare è sempre agitato dai forti venti, chespirano impetuosi nell'ampio golfo. Quando i ciottoli sono abbastanza affondati da non poterne più uscire, le onde rompentesi su quella spiaggia, imprimono loro un movi- mento rotatorio, mediante il quale essi approfondiscono a poco a poco le cavità solcandone la parete. È così che debbono essersi prodotti questi tubi verticali cilindro-conici, durante l’innalzamento della spiaggia. Le marmitte dei giganti (dette anche mulini di mare) ip all’erosione marina, per quanto note in vari punti, non sono così comuni come quelle torrenziali e glaciali. Per limitarci all’Italia, ricordiamo un altro bello esempio studiato or non è molto dal Platania nell’isola di Aci-Trezza (1). Poi il Sacco ne cita varie nella penisola salentina (2), e l'Issel nella Liguria (3). Io pure ne ho rinvenute alcune in via di formazione lungo la costa garganica a sinistra di Vieste, e che spero d’illustrare quanto prima. Palermo, 1 marzo 1913. — Istituto Geologico Universitario. (1) Platania G. — L'esosione marini all'Isola di Aci-Trezza (Mem. d. Class. di Sc. della RI Acc. degli Zelanti, 3* Ser., vol. V, Acireale), 1905-06. (2) Sacco F.—Za Puzlia. Schema geologico (Boll. Soc. Geol. Ital., vol. XXX, fasc. 3), 1912. (3) Issel A. — Cavità rupestri simili a caldaie dei giganti (Atti Soc. Ligustica di Se. Nate e geogr.. Vol. XVIII), 1907. CHECCHIA - RISPOLI G. — MARMITTE D’EROSIONE ECC. TRAWIAIE FIG. 1 CASTELLAMMARE — Tasche irregolari di erosione nel tufo calcareo. Al limite tra il tufo e la terra rossa si osserva chiaramente lo strato ghiaioso - ciottoloso. FIG. 2. CASTELLAMMARE — Tasche e fistole nel tufo calcareo (Cave lungo la rotabile dalla stazione al paese) ECCHIA - RISPOLI FOT. CL. R. HUBER RAR % * x TAVOLA IL CHECCHIA - RISPOLI G. — MARMITTE D’EROSIONE ECC. TAV. Il Marmitte di erosione marina nel tufo calcareo lungo la rotabile dalla stazione a Castellammare. ECCHIA - RISPOLI FOT. GL. R. HUBER t SA pr: vi = 2 rar x mengna n iure cinici dino meo i di lire at Ha) PERS SITI ae si St 5 - a i x È + 7 Wa Ì o È ee & a sa da Ù Ù ci È E y = x = si = Das E a 1 ME ESAZIt EEN È nia n DAVE E ei tie indi aS lire vote dine Di , n è - di h îi i) ca ’ Pi li i ; È = DI Sopra alcuni Echinidi oligocenici Di della Cirenaica” per G. CHECCHIA-RISPOLI Il Cav. Ignazio Sanfilippo ha sin dal principio di questo anno donato al- l Istituto Geologico dell’ Università di Palermo buona parte delle collezioni di rocce e di fossili fatte da Ini in Cirenaica ed in Tripolitania. Di già il prof. Giovanni Di-Stefano ed io abbiamo presentata una comu- nicazione preliminare sui risultati dello studio di tali collezioni a questaSo- cietà di Scienze Naturali ed Economiche nella seduta dell’ 11 gennaio del corrente anno. In questa Nota, io intendo descrivere aleuni Echinidi provenienti dalla Cirenaica, senza però che io possa aggiungere indicazioni di località più precise, che, per ora, per ragioni d’ indole puramente industriale, non ci si poterono dare. Come si è già detto nella comunicazione preliminare, abbiawo determinato i seguenti foraminiferi, raccolti tra Derna e Cirene, cioè : Nummulites gizehensis Forskal sp., N. curvispiraMngh., N. discorbina Schlth., N. subdiscorbina dela H., le quali dimostrano in Cirenaica l’ esistenzn del Pra;0 del Mokattam, cioè del Lutezi.no, secondo di già è stato detto principalmente dal Gregory (1). Gli Echinidi, che illustro in questo lavoro, insieme con . gli altri fossili, che qui cito, provengono tutti da una stessa località pure tra Derna e Cirene. La roccia che li contiene è un calcare marnoso di colore giallo cupo, talora ros- sastro per abbondanza di ossidi di ferro, di cui è ricca. I fossili finora determinati sono i seguenti : (1) Memoria presentata alla Società di Scienze Naturali ed Economiche di Palermo uella seduta del 4 marzo 1913. (2) Gregory I. W. and otbers.— Conribulions to the Geology of Cirenaica (Q. 1.6.8. v6. 67), 1011. 64 G. CHECCHIA-RISPOLI Nummulites intermedius d’ Arch., Nummulites Fichteli Michlt.; Nummulites vascus Ioly et Leym., Nummulites Boucheri de la H., Nammulites Bouillei de la H., Nummulites Tournoneri dela H.; Echinolampas chericherensis Gautiher, Tre- todiscus Duffi Greg. sp., Clypeaster biarritzensis Cotteau, Scutella sp.; Ostrea cya- Hula Lmk., Pecten arcuatus Brocc., Chlamys biarritzensis mut. bellicostata Wood, ecc. È bene rilevare che le Nummuliti si trovano anche aderenti ai fossili e rieme piono talora gli Echinidi. La fauna ora citata caratterizza nettamente l’ Oligocene inferiore. Secondo il recente studio del Gregory risulta che tale formazione in Ci- renaica non era finora precisata e che quella indicata sinteticamente col nome di Slonia limestones ascritta all’ Eocene superiore (Priaboriano), potrebbe riferirsi all’Oligocene; nel predetto studio oltre agli Echinidi, da noi pure citati, sono anche indicati, nei calcari di Slonta, vari molluschi, il cni studio non permette un sicuro riferimento. È strano però che in tale lavoro si sia trasenrato lo studio delle Nummuliti, che pure sono indicate dal Gregory e che avrebbero precisato il posto da attribuirsi a quella formazione. Gli Echinidi qui studiati sono di perfetta conservazione, sicchè eredo che sia utile la loro pubblicazione. Istituto Geologico della R. Università — Palermo, marzo 1913. SOPRA ALCUNI ECHINIDI OLIGOGENICI DELLA CIRENAICA 65 Tretodiscus Duffi Gregory sp. (Tav. I, Fig. 1-5) 1911 Amphiope Duffi Gregory I. W. The fossil Echinoidea of Cyrenaica, in Contributions to the Geology of Cyrenaica (Q.1. GL S., vol. 67), pag. 667, PI. XLVII, fig. 2 e 3. Dimensioni : Lunghezza . 6 : A ; , 5 1 . - . mm. 55 Larghezza . È 6 ; RR ; d 3 : Mo00 Altezza i. : . 7 2 2 È ° ; 3 Sr Petalo anteriore: lunghezza —. . È ; 5 ) see: » » larghezza . 2 s * 5 5 Ran) 6 Petali pari anteriori: lunghezza 7 - : - - reno » » » larghezza 5 1 ; 2 : RIETI: » è posteriori: lunghezza : - LA 3 SEDILI » » » larghezza . . È È È 1 UNA Peristoma . . ò > 5 ) È . oe gt Periprocto . 5 È ; 7 È 5 S È 2 A 6 Specie di grandi dimensioni, alquanto più larga che lunga, molto de- pressa, dal contorno subcircolare, poco sinnoso, più ristretto nella metà an- teriore che in quella posteriore, troncato posteriormente. Margine assottigliato e quasi tagliente specialmente ‘nella metà posteriore. La faccia superiore ha il massimo della sna altezza verso la sommità apicale, la quale è cen- trale. Faccia inferiore del tutto piana. i | Apparecchio apicale centrale, molto sviluppato, monobasale,"di forma sub- pentagonale, con quattro pori genitali, grandi, circolari, gli anteriori più vicini dei posteriori e con cinque ocellari, anch’essi ben visibili e allungati trasversalmente. Pori degli idrotremi ben visibili. Petali poco sviluppati, che si estendono di meno della metà della distanza, che passa tra l’apice ed il margine, alguanto disuguali: l’impari è il più corto 66 G, CHECCHIA-RISPOLI ed il più stretto: gli anteriori pari i più larghi, ed i posteriori i più lunghi. Tutti sono appena aperti alle estremità. i Zone porifere strette, composte di pori, di cuni gli interni piccolissimi, ro- tondi e gli esterni molto lunghi e stretti, uniti ai primi per mezzo di un pro- fondo solco. Quelle dell’ambulacro impari sono formate di 40 paia di pori o- guuna; le anteriori pari di 45 e le posteriori di 50. Ogni paia è separato dal- l’altro da una costola appiattita, che è ornata di 5 tubercoli disposti in serie regolare. Le zone all’estremità degli ambulacri pari anteriori sono largamente arrotondate. Zone interporifere larghe nna volta e mezzo una zona porifera. I solchi ambnlacrali della faccia inferiore sono ben netti e verso il mar- gine si ramificano. Peristoma centrale, circolare. Periprocto piccolo, leggermente ovale nel senso longitudinale, posto al primo quinto della dis‘anza trail margine posteriore ed il ‘peristoma. Intagli proporzionatamente piccoli, ovalari nel senso dell’asse dell’ambulacro. Tutta la superficie è ricoperta di piccoli tubercoli, serobicolati, avvicinati; nelle zone interporifere essi sono disposti in serie regolari. Osservazioni. Il Gregory ha descritto una nuova specie di Amp/iope prove- niente dalla Cirenaica. La specie è stata istituita su esemplari in pessimo stato “di conservazione, e dei quali non si conosce affatto la faccia inferiore. Ciono- nostante dalla descrizione e dalle figure di tali esemplari noi crediamo di ricono- scere nella specie della Cirenaica la forma in esame o non abbiamo per ora ragioni per tenerle separate. In base allo studio dell'esemplare raccolto dal cav. Ignazio Sanfilippo perfettamente conservato pare a noi che l’echinide in esame sia da riferirsi piuttosto al gen. TPretodiscus, che al gen. Amphiope. La nuova specie se non è un 7rezodiscus tipico, essa perla formadegliintagli allun- gati nel senso dell’asse degli ambulacri si avvicina di già molto ai Trefodiscus, di cui si può considerare una delle forme più antiche del gruppo. La specie in esame in sostanza non differisce dai 7refodiscus viventi, specialmente se consideriamo il 7. Rumphi Klein (= Lobophora aurita Ag.), che per gli intagli meno profondi. Or non è molto si è occupato di questo gruppo di Echinidi il Sig. Lam- bert in un lavoro speciale (1). Egli considera come Amp/iope, oltre alle specie con lunule arrotondate e trasverse, anche quelle a lunule assiali od allun- (1) Lambert J. — Recherches sur le genre Amphiope (Bull. Soc. d. Sc. Nat. de Beriers} 1906. SOPRA ALCUNI ECHINIDI OLIGOCENIGI DELLA CIRENAICA 67 gate (Amphiope pedemontana Air. del Tongriano di Dego e S.ta Ginstina); mentre come Trefodiscas le forme con lunule ed intagli allungati a forma di fessura (Tretodiscus biforis Gmelin, 7. &umphi Klein}. Lo Stefanini invece in-un suo saggio sulla distribuzione geografica, sulla origine e filogenesi degli Scuze/lidae considera come A7mphivpe le specie a lunnle arrotondate e trasverse e come Iretodiscus quelle a lunule ed intagli aliungati ad ovali (1). Su questa distinzione, basata su di nn carattere, il quale, secondo la ge. neralità degli autori, non ha un valore molto cousiderevele, si potrebbe disen- tere a lungo e per risolverla definitamente ci vorrebbe molto materiale pro- veniente da vari terreni. Per quanto riguarda la specie della Cirenaica, a noi sembra trattarsi di nna forma più vicina a 7retodiscus che ad Amphiope : come abbiamo già scritto il Trefodiscus Duffi non si distingue dal tipico 7. Aumphi attuale che per gli intagli meno profondì. Il rinvenimento di questo 7refodiscus nell’Oligocene inferiore è importante, in quanto che viene a confermare ciò che ha scritto lo Stefanini riguardo alla filogenia di questo gruppo di Echinidi e che cioè dai « Trefodiscus oligo- «< cenici europei, si sviluppa il gen. Ar:phiope, a lunule subrotonde od ovalari « trasverse, il quale si estende lungo le coste atlantiche orientali della Bretagna «a Londa (A. Nenparthi Lor.) compreso il Mediterraneo; mentre i Trefodiscus «con le loro forme a Innule ovalari-assiali o allungate, emigrano di buon’ora « sviluppandosi sopratutto nell'Oceano. indiano e nel Mar del Giappone, ove- < sono conosciuti fin dal Miocene ». Echinolumpas chericherensis Ganthier (Tav. I. Fig. 6-11) 1889-94 ZEchinolampas Perrieri Cotteau, Échinides Focènes, tom. II, pag. 126, ' Tav. 241 e 242, Fig. 1-2. 1899 » chericherensis, Gauthier in Fourtau. Rev. Èch. Foss. Égypte (Mem.. Inst. Éoypte, vol. III, fase. 8) pag. 732. 1903 » » Pervinquière, Geol. Tunisie Centrale. Carte Géol. Tunisie, pag. 198, 200, 201, 202, 204. 1911 » » Gregory, loc. cit. pag. 669, Tav. XLVIII. Fig. 1a 16, e 2 e Tav. XLIX, Fig. 1-3. (1) Stefanini G. .- Osservazioni sulla distribuzione geografica, snllu origine, e sulla filogenesi. degli Seutellidae (Boll. Soc. Geol. ltal., vol. XXX), 1911. 68 G. CHECCHIA-RISPOLI ° Dimensioni: I, II, III, Lunghezza ; s . i : mm. 60, 54, 52 ° Larghezza 5 ; 5 x È » DÒ, DIE 48 Altezza ; ; 5 7 : >» 26, 22, 24 Specie di medie dimensioni, dal contorno generalmente subpentagonale, ristretto indietro, ove è più o meno rostrato, con la sua maggiore larghezza verso l’ultimo terzo posteriore. Faccia superiore convessa e talora leggermente conica, cen Ja maggiore altezza verso la sommità apicale, che è eccentrica in avanti. Fianchi arrotondati e spessi. Faccia inferiore quasi piana, declive verso il peristoma. Apparecchio apicale eccentrico in avanti, bene sviluppato, granuloso, mu- nito di quattro pori rotondi, di cui gli anteriori più vicini dei posteriori. Aree ambulacrali petaloidi, lunghe, un po’ ristrette all'estremità, ove sono sempre molto aperte, ineguali. L’anteriore è la più diritta, la più ristretta e la più corta di tutte. Le aree anteriori pari sono subflessnose e sensibilmente pi corte delle posteriori, che sono le più larghe. Zone porifere bene sviluppate, subdepresse, compeste di pori ineguali gli interni rotondi, e gli esterni allungati, subvirgolari, uniti da un solco sub- flessuoso, disposti a paia trasversi, separati da una costicina granulosa. Le zone dell’ambulacro impari sono eguali fra di loro; quelle dei pari anteriori sono le più disuguali, avendo le zone posteriori circa 10 paia di più delle an- teriori. La differenza fra le zone degli ambulacri pari posteriori è meno rilevante, in quauto che le zone anteriori posseggono 4 paia di pori di più dalle anteriori. Zone interporifere un po’ sporgenti, larghe circa 3 volte una zona pori- fera: quelle però delle aree posteriori sono anche quattro volte più larghe. Peristoma eccentrico iu avanti, grande, di forma pentagonale, molto allun- gato trasversalmente, situato in una depressione non molto protoni circon- data da una floscella poco sporgente, ma appariscente. Periprocto inframarginale, situato vicinissimo al marginè posteriore, sub- triangolare, visibile solamente dalla faccia inferiore. Tubercoli piccoli, scrobicolati, molto abbondanti sulla faccia superiore, più avvicinati sul margine, più grandi e più distanti nei pressi del peristoma. Nel SOPRA ALCUNI ECHINIDI OLIGOCENICI DELLA CIRENAICA 69 ‘mezzo dell’area interambulacrale impari esiste sempre in tutti gli esemplari da noi esaminati una fascia longitudinale più o meno larga, liscia, seuza tu- bercoli, la quale lascia scorgere chiaramente la sutura mediana delie placche : questa fascia parte dal margine posteriore del peristoma e si arresta a metà di distanza tra il peristoma ed il periprocto. Osservazioni. Gli esemplari da me studiati presentano qualche variazione, sia nella forma generale del contorno, che può essere più o meno ovale o più o meno rostrato; sia nella forma della faccia superiore, che è talora regolar- mente convessa, tal’altra leggermente conica. Altre piccole variazioni si osser- vano nella larghezza delle zone porifere ed interporifere. Su queste leggere variazioni riesce difficile anche ilteutativo di stabilire delle varietà in questa specie. Per altro. i vari esemplari da noi studiati, che sono sei, sono caratte- rizzati tutti dell’avere l’apice spostato in avanti, il peristoma molto allungato trasversalmente e spostato avanti, e dalla fascia priva di tubercoli situata nel- l’interambulacro impari. Gli esemplari della Cirenaica corrispondono molto a quelli provenienti della Tunisia e descritti dal Cotteau sotto il nome di £Eckizolampas Perrieri de Loriol. Però in seguito gli esemplari della Tunisia furono staccati da quelli proveniente dall’Egitto ed ora sono conoscinti col nome di Z. chericherensis Gauthier. Del resto di già il Cotteau aveva rilevato alcuni caratteri differen- ziali tra gli esemplari egiziani e quelli tunisini, e che consistono nella forma re- golarmente ovalare e nelle ininori dimensioni del peristoma dell’ £. Perrieri de Loriol (1). Auche il Sig. Lambert dall'esame di alcuni esemplari della Cirenaica avuti in comunicazione dal Gregory, così ebbe ad esprimersi: «En résumé, sans trancher la question de l’identité de 1° £. perrzer: de la < Tunisie avec l’Z. perrieri de l’Égypte, je crois qu'il existe dans l’Afrique du < Nord, dans la Cyrénaique et la Tunisie, un Ec/kmnolampas de forme asser va- « riable, 4 petales plus an moins devoleppés, qui constitue une espéce actuel- « lement réunie per les auteurs a l’Z. perzieri de Loriol des environs de Thèbes. «Je n'hésite donc pas a déterminer ces Eckinolampas Nos. 229, 279 ect. «comme Eckinolampas perrieri Cotteau, mais je n'ai pas de matérianx suffi- « sants pour affirmer l’identitè de cette forme avec l’Z. perrieri de Loriol » (2). (1) De Loriol.—Morogr. Ech. Numm. Byypt., pag. 95, Tav. V, Fig. 2, 28 1888; Id.— Zoc. Ecy. Aegypt., pag. 25, Tav. VII, fig. 2-3 a, 1883. (2) Gregory. — Loc. cit. pag. 668 e 660. G. CHECCHIA-RISPOLI Ora i nuovi esemplari raccolti sembrano ancora più confermare le distin- zioni tra VZchin. Perrieri De Loriol e V’Echin. Perrieri Cottean, conoscinto al presente col nome di £. chericherensis Gauthier. Il Gregory, che ha riferito recentemente all’. cherzicherezsis aleuni esem- plari della Cirenaica, in pessimo stato di conservazione, vorrebbe includere nella sinonimia di questa specie l’Eckin. Blainvillei Agassiz (1), VE. Zignoi Oppenheim (2) e PZ. Aydrocephalus Oppenheim (3). Noi non siamo di tale opinione, perchè queste tre forme, tra l’altro, oltre all'essere prive della fascia nuda nell’interambulacro impari, hanno il peristo- ma piccolissimo e meno eceentrico (4). (1) Oppenheim. — Die Priabonaschichten und ihre Fauna, pag. 102, Tav. IX, Fig. 1-10, 1900.. (2) Oppenheim. — Loc. cit., pag. 103, Tav. IX, Fig. 3-50. (3) Oppheneim. — Loc. cit, pag. 105, Tav. XVII, Fig. 5-5 d. (4) Durante la correzione delle ultime bozze di stampa di questo lavoro, ritardato per causa della esecuzione della tavola, mj è pervenuta una Nota dei dottori Fabiani e Stefanini, nella quale vedo con piacere che sono esposti gli stessi fatti da me avanti citati (v. Fabiani R., e Stefanini G., Sopra alcuni fossili di Derna e sull’età dei Calcari di Slonta, in Atti dell’Ac- cademia Scientifica Veneto-Trentino-Istriana, anno VI, 1913). G. CHECCHIA-RISPOLI |°—‘’ SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I (1) i ‘2 i Visto ia (Ga: i ci SR SEA] » > Visto di profilo. Gr. nati ASSE >» 4 » » Appareochio anicalo molto put » 5 » » da 6-8 8 Bchinolampas o... Garibior Grand. nat. 3 sotto e di lato. | SI + » gti e (o » Altro esomplare. Grand. nat. e sopra e di lato. to 7 dell'Università di Palermo. CHECCHIA - RISPOLI G._ ECHINIDI OLIGOCENICI DELLA CIRENAICA CL. R, HUBER PALERMO Cr IstITUTO DI GEOLOGIA DELLA R. UNIVERSITÀ DI PALERMO Grostacei e pesci fossili del ‘Piano Siciliano,, dei dintorni di Palermo PER MARIANO GEMMELLARO PREFAZIONE La fauna dei ji calcarei e delle argille del “ Piano Siciliauo ,, dei dintorni di Palermo è stata già molto studiata da parecchi autori (1). Però, mentre alcune classi di animali, i Molluschi e gli Echinidi per esempio, hanno avuto mna estesa illustrazione, ben poco finora è stato pubblicato intorno agli altri fossili, molto importanti, che si rinvengono in quei giacimenti. (1) Philippi A. R. —Zrnmeratio Mollascorum Siciliae, Berlino, 1836, Agassiz et Desor. — Catalogue raisonn. des Echinod. ete., 1846. Desor. — Synopsis des Echinides fossilee, 1858. Milne-Edwards A. — Remarques sur la faune carcinologique des terrains quaternatres, L’ “In stitut,, journal des sciences et des sociétés savants en France, pag. 88, Parigi, 1861. Monterosato T. — Notizie intorno alle conchiglie fossili del M. Pellegrino e Vicarazei, Pa- lermo, 1872. Monterosato T. — Cazalogo delle conchiglie fossili di M. Pellegrino e Ficarazzi presso Palermo, Boll. Com. Geol. It., vol. VIII, fasc. 1-2. 1877. Monterosato T. — Relazione tra i molluschi del Quaternario di M. Pellegrino e Je specie estinte, Boll. Soc. Se. Nat. di Palermo, n. 2, 1891. De Gregorio A. — Studi su alcune conchiglie mediterranee viventi e fossili etc. Parte 1%,2°% e appendice, Boll. d. Soc. Malac. it., vol. X-XI, Siena, 1884-85, De Gregorio A. — Note sur un Asteride et un Cirripéde du Postpliocene de Sicile des genres Astrogonium et Coronula, Ann. de Géol. et de Paléont., 17 livr., Palermo, 1895. Neviani A. Briozoi neozoici di alcune località d’ Italia, P. VI, Boll. Soc. Geol. It., S.IE vol. I, fasc. 1-2, Roma, 1900. Salinas E. — Sopra alcuni Miliobatidi fossili della Sicilia, Giorn. Se. Nat. (di Palermo, vol. XX, 1900. Checchia-Rispoli G. — Sopra un crostaceo dei tnfi calcarei posipliocenici dei dintorni di Pa- lermo, Boll. Soc. Geol. Ital., vol. XXII, fase. INI, Roma, 1903. Checchia- Rispoli G. — L’Atelecyclus rotundataus Olivi, fossile nel Postpliocene dei dintorni di Palermo, Nat. Sicil., anno XVIII, n. 4, Palermo, 1905. Checchia-Rispoli G. — GU Echinidi viventi e fossili della Sicilia, P. II, Gli Echinidi del Piano Siciliano etc. Palacont. Italica, vol. XIII, Pisa, 1907. fitre sta 74 M. GEMMELLARG Sui Pesci del ‘ Siciliano,, dei dintorni di Palermo non. esiste che la illustrazione di due specie di My/obafis fatta dal Dott. E. Salinas nel suo lavoro avanti citato, e sui Crostacei decapodi non conosco che la citazione di quattro specie di Brachiuri per opera del Milne-Edwards A. (op. ci, pag. 88) e due Note del dott. G. Checchia-Rispoli, delle quali la prima illustra un guscio di Xanto florida (specie già notata dal Milne-Edwards) e la seconda un esemplare di Azelecyclus rotundatus OL. Ù %* N *o E In questo lavoro io pubblico i Crostacei decapodi e gli Ittiodontoliti del « Piano Siciliano » dei dintorni di Palermo, descrivendo le specie che, per comodità del lettore, ho elencato nell’unito Quadro sinottico, anche allo scopo di precisarne la estensione cronologica e la distribuzione geografica, secondo i risultati dei più recenti studi e della mia indagine. (vedi tab. a pag. seg.). O) Dall'esame delle forme specificamente determinate si ricava: a) Crostacei: i. Tutte le specie studiate sono ancora viventi. i 2. Delle quattro varietà fossili di specie viventi descritte in questo lavoro, due sono nuove (Maya squinado var. Di-Stefanoi e Atelecyclus rotundatus var. Checchiai) e due (Ebalia Cranchit var. romana Rist. e Callianassa subterranea var. dentala Rist., fnrono già istituite dal compianto Ristori su esemplari rin- venuti nella formazione di Monte Mario. Queste quattro varietà non vivono nei mari attuali. 5. Molte delle specie descritte ‘vivono oggi, oltre che nel Mediterraneo; in mari più freddi. La Gebdia stellata Leach, cui ho avvicinato alcuni fossili qui illustrati, vive come è noto, sulle coste dell’Inghilterra e non si conosce nel Mediterraneo. b) Pesci: 1. Tutte le specie studiate, meno una (Odortaspis acutissima Ag.) sono ancora viventi. 2. L'unica specie estinta ha una estensione ‘cronologica che va dall’Oli- gocene al Pleistocene. Il De Stefano. Ginseppe l’ha già citata nelle sabbie post- plioceniche di Caianna, io oltre che nel « Siciliano » dei dintorni di Palermo, l'ho rinvenuta nei sabbioni agglutinati, quaternari, a litotanni dei dintorni di Sciacca (Regione Torre del Tradimento). Riassumendo quindi, i tufi calcarei e le argille che costituiscono il « Pzazo Siciliano» Doderlein, 1872, offrono una fauna carcinologica e ittiologica con caratteri analoghi a quelli che presenta la ben nota fauna malacologica di CROSTACEI E PESCI FOSSILI DEL ‘ PIANO SICILIANO ,, ECC. QUADRO SINOTTICO Cai (5) ] Nomi delle specie CROSTACEI Dromia vulgaris M. Edw. Dorippe lanata Bose. Ebalia Cranchii Leach, var. romana Rist. Ebalia Pennantit Leach Calappa granulata Fabr. sua squinado Latr. » , Latr., var. Di- Slefanoi n. v. . Pisa Gibbsi Leach Lambrus sp. Xanto florida Leach Pilumnus villosus Risso Briphia spinifrons Sav. Portunus tuberculatus Roux Atelecyclus rotundatus OL., var. Checchiai n. v. Gonoplax confr. rhomboides Desm. Pachygrapsus marmoratus Stimps. Pagurus sp. Gebia confr. stellata Leach Eocene Oligocene Miocene Pliocene Pleistocene | Mari odierni + + FHH+ 44 HH +4 F+H+4+ + +4 Callianassa subterranea Leach, var. dentata Rist. PESCI Carcharodon Rondeleti M. et H. Odontaspis acutissima Ag. _ Oxygrhina Spallanzanii Bp. . Notidanus grisens Gul. pira clavata L. | Dentex confr. valgaris ©. | et Vi.) . Sargus vulgaris Geoffr. + + HH È Chrysoprhys aurata L. sp. » coeruleosticta Me C. et V. Chrysoprhys sp. Ù + Distribuzione geografica ed osservazioni M. Britannico, Atlantico, Mediterraneo. Mediterraneo. La £. Cranchii Leach vive nel M. Britannico e nel M. Mediterraneo. M. Britannico, Mediterraneo. M. Mediterraneo M. Atlantico, Mediterraneo. Coste dell’Inghilterra, Mediterraneo. M. Britannico, Atlantico, Mediterraneo. M. Nero, Mediterraneo. Atlantico, Mediterraneo. d » L'A. rotundatus O1. vive nell’Atlantico, nel M. . di Senegambia enel Mediterraneo. Il G. rhombotdes Desm. vive nell'Atlantico, e nel Mediterraneo. Atlantico, Mar Nero, Mediterraneo. La G. stellata Leach vive sulle coste dellfn- ghilterra. Non è nota nel Mediterraneo. La C. sublerranea Leach vive nel M. Britan- nico e nel Mediterraneo. Atlantico,Pacifico,M.d’Australia,Mediterraneo. Specie estinta. Atlantico, Mediterraneo. d » Mari d’Europa, Mar Mediterraneo. Il D. vulgaris C. et V. vive nell’ Atlantico e nel Mediterraneo. Atlantico, Madera, Coste della Spagna, Me- diterraneo. Atlantico (dalla Spagua all'Inghilterra), Medi. terraneo. + ++ +44 Atlantico medio, Mediterraneo. 76 M. GEMMELLARO quei sedimenti (1) cioè: quasi tutte le specie sono ancora viventi; vi persiste qualche forma di carattere più antico; si nota l’esistenza di qnalche specie vivente in mari più freddi. i Per queste considerazioni, oltre che per la posizione stratigrafica superiore allo Astiano di Altavilla, il « Piano Siciliano » deve esser tenuto distinto dal Pliocene ed aggregato al Pleistocene marino di cui costituisce il termine più basso (2). * E Gli avanzi di Crostacei e di Pesci sono molto rari nei sedimenti del “Piano Siciliano, Ho potuto riunire una abbondante collezione di questi fos- sili solo perchè il prof. G. Di Stefano ha voluto affidarmi in istudio quelli del Musee geologico di Palermo, ed il Marchese di Mouterosato ha gentil- mente creduto di affidarmi anche quelli della sua progevolissima collezione, in gran parte provenienti dalia raccolta del Brugnone, da lui recentemente aoquistata. Per questo è mio gradito dovere di rendere, tanto al prof. Di Ste- fano quanto al Marchese di Monterosato, i più cordiali ringraziamenti. Debbo anche ringraziare il prof. F. Raffaele, direttore del Museo di Zoo- logia ed Anatomia comparata dell’Università di Palermo, il quale ha gentil- mente messo a mia disposizione le collezioni e la biblioteca del suo Istituto, nonchè il collega dott. A. Misuri il quale, occupandosi in atto della fauna car- cinologica vivente nel golfo di Palermo, mi ha cortesemente comunicato la lista delle specie da lui determinate. Istituto geologico dell’Università di Palermo, Aprile 1913. M. GEMMELLARO (1) Monterosato T..-Cafalogo delle conchiglie fossili di M. Pellegrino e Ficarazzi,Boll. Com. Geol. It., VIZI, 1877. (2) De Stefani C. — Sedimenti marini dell’epoca postpliocenica, Boll. Com. Geol. It., 1876. Di Stefano G.— // Pliocene ed il Postpliocene di Sciacca, Boll. Com. Geol. It., X, 1889. Di Stefano G. e Viola C. — L'età dei tnfi calcarei di Matera e di Gravina, Boll. Com. Geol., n. 2, 1892. Gemmellaro M.— Escursione al giacimento fossilifero di Ficarazzi, Boll. Soc. Geol. It, XXVIII, 1909. Gemmellaro M. — Palermo e la Conca d'Oro, VII :Congr. geogr. it., Palermo. 1910. Gygnoux M. — Pésultats generaux d’une étude des anciens rivages dans la Mediterranée o0e- È cidentale, Ann. d. Université de Grenoble, T, XXIII, fase. 1, 1911. UNI GONE RINO LI PA CROSTACEI E PESCI FOSSILI DEL ‘ PIANO SICILIANO,, ECO. laid DESCRIZIONE DELLE SPECIE CRUSTACEA DECAPODA BRACHYURA NOTOPODA Latr. DROMIIDAE (Dana) Cls. Gen. DromtA Fabr. Dromia vulgaris M. Edw. (Tav. I, Fig. 1) 1782. Cancer dormitator Herbst —Naturg. der Krabben und Krebse, tav. XVIII, fig. 103. LI92ov dromia Olivi — Zoologia adriatica, pag. 45. 1815. Dromia mediterranea Leach W. E. — Malacostraca podophthalmata Brifan= | nine, tav. XXIV. 1816. » de Ehumphius Risso— Crustacés des environs de Nice, pag. 16. 1825. >» Aaumphi Risso — Desmarest A. G@., Considérations générales sur la classe des Crustaces pag. 137, tav. 18, fig. È. 1837.» valgaris Milne-Edwards H., Histoire naturelle des crustacés vol. II, pag. 100. 1885. » » M. Edw. — Carus I. V., Prodromus Faunae Mediter- raneae, vol. I, pag. 498. 11 CAenEA » M. Edw.—Magrì F., / Crostacei decapodi del Compar- fimento marittimo di Catania, pag. 3. Questa specie è rappresentata da un dito mobile della “ mano ,, destra, il quale confronta in tutto con idattilopoditi della specie, studiata nelle Collezioni del Museo Zoologico di Palermo. La Dromia vulgaris M. Edw., vivente nel golfo di Palermo, ove è stata anche di recente indicata dal dott. Misuri, viene citata oggi per la prima volta, fossile nel Pleistocene dei dintorni di Palermo. L’esemplare figurato è stato rinvenuto in una cava di pietra da costru- zione (2/0 calcareo) della R.:° Castellana, alle falde del M. Pellegrino. Esso si conserva nelle collezioni del Museo geologico dell’Università di Palermo. MERITA VPI DO LL PESI RATA ITTRON E OMESSA TI ge Gi NE GNEO 78 M. GEMMELLARO DORIPPIDAE Dana Gen. DoRIPPE Han Dorippe lanata Bosc. (Tav. I. Fig. 2) 1885. Dorippe lanata Bosc. — Carus I. V., Prodromus Faunae Mediterraneae, vol. I, pag. 499. LO. » » Bosc. — Magrì F.— / Crostacei decapodai del Compartimento marittimo di Catania, pag. 4. Riferisco a questa specie alcune dita staccate. Sono sottili, lunghe, a sezione triangolare, solcate sopra, minutamente den- tate. Corrispondono esattamente con le dita degli esemplari viventi nel golfo di Palermo, determinati dal dottor Misuri. Oltre che per la perfetta identità costatata col confronto con gli esemplari suddetti, non ho dubbio sulla determinazione specifica di questi fossili anche perchè la Dorippe lanata Bosc. è l’unica specie del genere vivente nel Medi- terraneo. Infatti la D. affinis Desm., segnalata dal Costa O. G. nel golfo di Napoli è da identificarsi con la specie in esame, secondo l’opinione antorevole di H. Milne-Edwards (v. CARUS, op. cit, vol. I, pag. 499). La Dorippe lanata Bosc. è citata per la prima volta fossile in Sicilia. Gli esemplari studiati sono stati rinvenuti nelle argille del “ Siciliano DI di Ficarazzi (Cave Puleo, presso Acqua dei Corsari). Essi fanno parte della Collezione del Sig. Marchese di Monterosato. OXYSTOMATA de Haan LEUCOSIIDAE Dana Gen. EBALJA Leach Ebalia Cranchii Leach, var. ssi Ristori (Tav. I, Fig. 3-6) 1815. Zbalia Cranchiî Leach W. E. — Malacostraca podophthalmata Britanniae, tav. XXV, fig. 7-11. ISS ee Leach — Carus I. V., Prodromus Faunae Mediterraneae,. vol. I, pag. 502. 1889. > » Leach, var. romana — Ristori G., { crostacei fossili di Monte Mario, pag. 22, tav. I, fig. 21-28. Ne ria Le AbiLL È AA EA di a A CROSTACEI E PESCI FOSSILI DEL ‘PIANO SICILIANO,, ECC. 79 Riferisco alla distinta varietà istituita dal Ristori, i numerosi scudi e frammenti di scudo che ho potuto studiare. Sn di essi, col confronto con le figure del Leach, ho pututo controllare le differenze tra gli esemplari della varietà fossile e quelli della specie vivente. Queste differenze, come ha rilevato il Ristori, sono: scudo, nella varietà più allungato; tubercolo corrispondente allobo cardiaco posteriore, più grosso e acuminato nei maschi; appendici spinose del margine posteriore dello scudo più acuminate, specialmente uelle femmine. Alla varietà in esame riferisco pure, ma con dubbio, alcuni frammenti di addome di individui femmine i quali, più clie con le altre specie congeneri, mostrano analogia con gli addomi della specie, figurati dal Leach. Fignro il migliore esemplare nel quale sono visibili solo tre segmenti. Esso è tondeggian- te, leggermente convesso, piuttosto scabro nella regione mediana, fornito al mar- gine di leggieri tubercoli. Due forti solchi lo traversano nel senso della lun- ghezza, dsterminando in mezzo una zona rilevata, convessa. i -L’Ebalia Cranchiù Leach, vive rara sulle coste dell’Inghilterra. Il Costa O. G. (1) l'ha segnalata frequente nel golfo di Napoli, il dott. Misuri non l’ha rinvenuta nel golfo di Palermo. Essa vien qui citata nella sua varietà (var. romana Rist.) per la prima volta rinvenuta fossile uel “ Siciliano ,, dei dintorni di Palermo. i Gli esemplari studiati provengono in parte dalle cave delle falde di Monte Pellegrino, (R.:° Castellana) ed in parte dalle argille di Ficarazzi (Cave Puleo, presso Acqua dei Corsari). Alcuni fanno parte delle collezioni del Museo geo- logico di Palermo, altri appartengono al Sig. Marchese di Monterosato. Ebalia Pennanti Leach (Tav. I, Fig. 7-8) 1815. Ebalta Pennantiù Leach W. E. — Malacostraca podophthalmata Britanniae, tav. XXV, fig. 1-6. 1885. > » Leach — Carus I. V., Prodromus Faunae Mediterraneae, i pag. 502. 1889. > » Leach — Ristori G., / crostacet fossili di Monte Marie, pag. 21, tav. I, fig. 24, 25. (1) Costa O. G.— Manna del Regno di Napoli, Add. ai Decapodi Brachiuri, pag. A. BO M. GEMMELLARO ] Illustro an propodite appartenente a questa specie, privo del dattilopodite. Esso è piuttosto breve, discretamente compresso e mostra al margine superiore mna cresta taglieute. La sua superficie è leggermente scabra, ornata da tuber- coletti specialmente presso il margine inferiore. Il dito fisso, piuttosto compresso è leggermente solcato e minutamente dentato al margine interno. Esso è di Innghezza quasi uguale a quella della mano. L’esemplare studiato corrisponde in tutto alla chela di Monte Mario illu- strata dal Ristori (op. cif., pag. 21, tav. I, fig. 24, 25). Come è noto, le chele della specie in esame si distinguono dalle congeneri ed in ispecie da quelle della vicina £. Cranchii, per la cresta distinta che presen- tano al margine superiore e per avere le dita lunghe quasi quanto la mano, mentre queste nella Z. Crarchii si mostrano molto più brevi. L’Ebalia Pennanti Leach vive, come è noto. sulle coste dell’Inghilterra; essa fu indicata dal Costa nel golfo di Napoli e dall’Haller a Lipari e a Messina. Non è stata rinvenuta dal dott. Misuri nel golfo di Palermo. Fossile fu rinvenuta dal Ristori nella formazione di Monte Mario; viene qui indicata per la prima volta nel « Siciliano » del bacino di Palermo, L’esemplare studiato proviene da Ficarazzi (Cave Puleo, presso Acqua dei Corsari). Esso fa parte della collezione del Sig. Marchese di Monterosato. CALAPPIDAE Dana Gen. CALAPPA Fabr. Calappa granulata Fabr. (Tav. I, Fig. 9-10) 1789. Cancer calappa Herbst — Maturg. der Krabben und XKrebse, pag. 196, tav. XII, fig. 75-76. 4816. Calappa granulata Risso — Crustacés des environs de Nice, pag. 18. 1825. » » Desmarest — Corsiderations générales sur la classe des crustacés, pag. 109, tav. X, fig. I. 1837. » x Fabr. — Milne-Edwards H., Histoire naturelle des Cru- stacés, vol. II, pag. 103. 1861. » > Fabr. — M. Hifasi. A., Remarques sur la faune carcino- logique des agis quaternaires, pag. 88. 1885. » » Fabr. — Carus I. V., Prodromus Faunae Mediterraneae, vol. I, pag. 502. 1911. > » Fabr. — Magrì F., / Crostacei decapodi del Comparti mento ono di Catania, pag. 5. le: eni vii a tei fit aL È CROSTACRI E PESCI FOSSILI DEL ‘ PIANO SICILIANO,, ECC. 81 Questa specie è rappresentata da un dito mobile della « mano destra » appartenente ad un individuo giovane. È corto, massiccio, compresso e arcuato; mostra superiormente nna cresta bene accusata, ornata di tubercoli evidenti, Confronta in tutto con i dattilopoditi degli esemplari viventi della specie. La Calappa granulata Fabr. era già stata indicata da A. Milne-Edwards nei /ufi calcarei del «Piano Siciliano» dei dintorni di Palermo (1). Questa specie è anche vissuta nel Pliocene. Un bellisimo dito mobile della mano destra, proveniente della Formazione pliocenica di Altavilla (Astiano) si conserva nelle Collezioni del Museo geologico di Palerino: lo illustro a tav. I, fig. 10 di questo lavoro. Come è noto il genere Ca/4gppa conta numerosi rappresentanti nei terreni terziari. Osservo incidentalmente la grande analogia di forma che passa tra i fossili da me studiati e quelli del Pliocene di Orciano illustrati come Caleppa sp. dal compianto Ristori (2). La Calappa granulata Fabr. vive sulle coste di Sicilia. (Haller, Grubo) Recentemente fu determinata dal Misuri nel golfo di Palermo. Gli esemplari illustrati provengono: il primo dalle cave di f2fo pleistocenico delle falde di Monte Pellegrino, R.r=° Castellana; l’altro dalle sabbie plioceniche di Altavilla; fanno parte, l’uno della collezione del Sig. Marchese di Montero- sato, l’altro delle collezioni del Museo geologico di Palermo. OXYRHYNCHA Latr. MAJIDAE Miers. Gen. MayJA Lmk. haja squinado Latr. (Tav. I, Fig. 11-12) 1782. Cancer squinado Herbst. — Naturg. dh Miao und Krebse, pag. 214, tav. XIV, fig. 84-85. 1815. Maja squinado Latr. — Leach W. E., Malacostraca podophthalmata Britan- niae, tav. XVIIL (1) Milne-Edwards A. — Remarques sur la faune carcinologique des terrains quaternaires, pag. 88. (2) Ristori G. — Contributo alla fauna carcinologica del Pliocene italiano, pag. 6, tav. I, fig. 10, 15. 82 : M. GEMMELLARO 1816. Maja squinado Latr. — Risso, Crustacés des environs de Nice, pag. 44. 1825000 » Latr. — Desmarest, Considérations générales sur la classe des Crustacés, pag. 145. 18610605 » Latr. — Milne-Edwards A., femarques sur la faune car- cinologique des terrains quaternairis, pag: 88. iS So » Latr. — Carus I. V., Prodromus Fuunae Mediterraneae, vol. I, pag. 507. i 49 diet >» Latr. — Magrì F. — / Crostacei decapodi del Compartimento marittimo di Catania, pag. 3. TIllustro un cefalotorace, ed un frammento della regione frontale di un altro individuo della stessa specie. Il guscio è incompleto; mancano la regione anteriore destra e le parti marginali sinistre; esistono le regioni mediane ed una parte di quelle margi- nali destre. È anche visibile una parte della regione frontale sinistra con la relativa fossa orbitale. Il guscio è discretamente convesso e coperto di tuber- coli acuti e di forti spine, specialmente nelle regioni marginali e lungo la linea mediana delle regioni gastrica e cardiaca. L’altro frammento di guscio che io illustro comprende due spine ed il corno rostrale sinistro. Questo è rotondo, acutamente conico e mostra alla base qualche raro tubercolo. Come è noto, il cefalotorace della Maja squinado Latr. si distingue da quello della eongenere M. verrucosa M. Edw. per essere meno ovato, auterior- mente più attennato, più convesso e perchè ricoperto di spine e tubercoli numerosi e acuti, mentre sulla linea mediana delle regioni gastrica e cardiaca della Maja verrucosa si osservano soltanto dei piccoli tubercoli arrotondati. La Maja squina0o fu già indicata fossile nei sedimenti del “Siciliano,, dei dintorni di Palermo dal Milne-Edwards, il quale però rinvenne soltanto delle chele appartenenti alla specie. Ho creduto utile illustrare i resti del guscio per causa della grande ra- rità di questi fossili, dovuta probabilmente alla loro sottigliezza e fragilità. Oltre di quello qui descritto, è noto fossile soltanto un altro guscio riferi- bile al genere Jaja Lmk., quello pubblicato dal Lorenthey col nome di Mae miocenica, proveniente dal Tortoniano del Capo S. Marco (Oristano) in Sar- degna (1) Il lavoro del Lorenthey prova che questo genere, rappresentato nei mari attuali da parecchie specie, cominciò di già a vivere nel Miocene su- periore. Probabilmente il genere Micromaya Bittner, dell’Eocene del Vicentino (2) (1) Lorenthey E. — Betrige zur tertiiren Dekupodenfauna Sardiniens, Mathem. und Naturwiss. Berichte aus Ungarn, vol. XXIV, pag. 287, tav. I, fig. 1 a-b e 10 a-f., Leipzig, 1907. {2} Bittner A. — Dre Brachyuren des Vicentinischen Tertitirgebirges, Deuk. d. K. K. Ak., vol. XXXIV e XLVI, Wien, 1857 e 1883. CROSTACEI E PESCI FOSSILI DEL “PIANO SICILIANO ,, ECC. ÙE deve considerarsi come predecessore del genere Maja Lmk., cui è Jegato da affinità molto notevoli. La Maja squinado vive nel golfo di Palermo (Misuri). Gli esemplari illustrati sono stati rinvenuti in una cava di fufo calcareo alle falde del Monte Pellegrino, R.®° Castellana; essi fanno parte delle collezioni del Museo geologico dell'Università di Palermo. Maja squinado Latr. var. Di-Stefanoi n. v. (Tav. I, Fig. 13-14) Istituisco questa nuova varietà della Maja squinado sopra un frammento di guscio di cui sono visibili solo le regioni frontali. In esso si osserva che le spine rostrali, molto appiattite, sono più acute, più divergenti e più rivolte in fuori che nella specie sopra descritta. Inoltre, mentre nella Maya squinado esse sono quasi sprovviste di tubercoli, nello esemplare in esame si mostrano invece coperte da tubercoli fin quasi all'apice, tanto sulla faccia superiore quanto sulla inferiore. Il resto del guscio poi, per quanto è visibile, è coperto da tubercoli più fitti e pronunziati che nella specie e mostra i margini delle fosse orbitali più divergenti e forniti di una più robusta e più divergente spina. Infine, mentre nella specie la spina orbitale inferiore è uguale o più grande della superiore, nella varietà in esame essa è invece di gran lunga meno sviluppata, riducendosi a una semplice punta spiniforme. Dalla superiore descrizione si rileva che il fossile da me rinvennto ha pure rapporti di forma con quella 7a vivente sulle coste dell’isola di Capri che fu distinta dal Costa O. G. col nome di Maja ambigua. Però, secondo l’au- torevole opinione del Carus (0p. cit. pag. 507), la specie del Costa non è forse distinta e deve unirsi alla Maya squinado. Io non posso giudicare sulla ideu- tità o meno di queste due specie; ad ogni modo la mia varietà si discosta tanto dall’una quanto dall’altra per avere le spine rostrali più acute, più divergenti, coperte per intero da tubercoli e pel sensibile minore sviluppo della spina orbitale inferiore. Per le stesse differenze la varietà iu esame si allontana dall’altra specie vivente nel Mediterraneo, cioè dalla Maja verrucosa M. Edw. L’esemplare illustrato proviene da una cavadi 2/0 calcareo della R."° Casiel- lana alle falde di Monte Pellegrino. Esso fa parte delle collezioni del Museo geologico dell’Università di Palermo. er POST 00 UIC LORIA TRN ATI NECA RP PROEL PI RUE IO IT EI RTRT seit % 84 M. GEMMELLARO Gen. PisaLeach Pisa Gibbsi Leach (Tav. I, Fig. 15) : 1815. Piso Gibbsti Leach W. E.—Malacostraca podophthalmata Britanniae, tav. XIX. 1885. » » Leach — Carus I. V., Prodromus Faunae Mediterraneae, vol. I, pag. 507. Riferisco a questa specie un frammento di cefalotorace privo delle regioni frontali, e di parte di quelle marginali, laterali e posteriori. Mostra due lunghe e forti spine al margine posteriore delle regioni meta- .-branchiali destra e sinistra ed un graude tubercolo prominente sul margine posteriore, in corrispondenza della regione cardiaca. Tre tubercoli più piccoli si riscontrano più avanti in ognuna delle regioni mesobranchiali ed un altro . tubercolo, di forma irregolare e piuttosto acuto, sorge nella regione mesogastrica. Altri due tubercoli si riscontrano da ogni lato nelle regioni protogastriche ed un piccolo tubercolo infine sorge in corrispondenza del lobo epigastrico. Specie affine alla Pisa Gibbsi è, com'è noto, la Pisa armata Latr., dalla quale però la specie in esame si distingue, tra l’altro, per uon avere sulla parte posteriore della regione cardiaca la grande spina che oltrapassa il margine posteriore del guscio, caratteristica di quella specie. Col confronto poi tra gli esemplari di Pisa Gibbsi e quelli di Pisa armata del Museo zoologico di Palermo ho trovato che nella prima specie, come av- viene anche nel fossile in istudio, la distanza relativa tra il grande tubercolo della regione cardiaca e quello della regione mesogastrica è sempre maggiore. La Pisa Gibbsi Leach, oltre che sulle coste della Gran Bretagna, abita anche nel nostro Mediterraneo. Di recente fu trovata dal dott. Misuri nel golfo di Palermo. In questo lavoro la specie in esame è citata la prima volta come fossile nel Pleistocene (Siciliano) dei dintorni di Palermo. L'esemplare illustrato proviene da una cava di pietra da costruzione (7z- fo calcareo) alle falde del Monte Pellegrino (R.r° Castellana) Esso fa parte delle collezioni del Museo geologico dell’Università di Palermo. Pei e ai a iii tei = È n Li “pl i (i È RL 3 A ) uu. : ; E ; E. CROSTACEI E PESCI FOSSILI DEL “?PIANO SICILIANO ,, ECC. 9) PARTHENOPIDAE Miers GEN. LAMBRUS Leach Lambrus sp. (Tav. I, Fig. 16-17) Riferisco a questo genere alcuni frammenti di dita robuste, angolose, ar= cuate, dentate all’interno e specialmente fornite alla base di un grosso dente, Ksse sono ricoperte da fini tubercoli spinosi e da spine acute specialmente sulla superficie esterna ed in corrispondenza delle angolosità. Allo stesso genere riferisco un frammento di carpopodite anch'esso spinoso e fortemente angoloso. Sui pochi frammenti sopra descritti non credo prudente di venire ad una determinazione specifica. Tra le specie viventi nel Mediterraneo essi possono specialmente avvicinarsi a Z. angulifrons M. Edw. e a L. mediterranens Roux, Tutte due queste specie, indicate dal Misuri nel golfo di Palermo, mostrano le “mani,, ed il carpo muniti di spine numerose ed acute. Gli esemplari descritti provengono in parte dalle cave di tufo calcareo delle falde di Monte Pellegrino, R."® Castellana, ed in parte dalle argille del “Siciliano,, di Ficarazzi (Cave Puleo, presso Acqua dei Corsari). Essi si conservano nelle collezioni del Museo geologico di Palermo ed im quelle del Sig. Marchese di Monterosato. CYCLOMETOPA M. Edw. CANCRIDAE Dana Gen. XaNTO Leach Xanto florida: Leach (Tav. I, Fio. 18) 1792. Cancer poressa Olivi (?) — Zoologia adriatica, pag. 48, tav. II, fig. 3. 1815. Xarto florida Leach W. E. — Malacos'raca podophithalmata Britanniae, tav. XI. 1861. » floridus Leach—Milne-Edwards A., Femarques sur la faune carcinologique des térratns quaternaires, pag. 88. 1385.» /lorida Leach — Carus I. V., Prodromus Fannae Mediterraneae, 7 i vol. I, pag. 512. 86 M. GEMMELLARO 1903. Xanto floridus Montagu -- Checchia-Rispoli G., Sopra uz crostaceo der tufi calcarei postpliocenici dei dintorni di Palermo, fig. nel testo. Appartengono a questa specie alcune propoditi e varie dita isolate. Figuro qui una «mano» destra la quale è priva del dattilopodite. Essa si mostra liscia e angolosa; il dito fisso, unico visibile, è poco svi- lnppato. Esso è solcato, sia sul lato esterno che sull’interno, dalla base fin quasi. all’apice. Tubercoli grandi e piccoli, alternati con una certa regolarità, torgtini la dentatura di queste chele. Ho riferito i miei fossili alla Xarzo florida Leach e non alla Xanto tnber- culata Bell. poichè, come è noto, la mano ed il carpo di quest’ultima specie si mostrano rugosi e tuberculati, mentre quelli della Xazio florida sono, co- me nei miei esemplari, lisci e angolosi. Le chele della Xazto florida si distinguono poi da quelle della Xanto ri-- vulosa Risso, per essere angolose, ma non solcate al margine superiore come avviene in questa ultima specie. Un guscio della Xazto florida è già stato segnalato fossile nel Pleistocene (Siciliano) dei dintorni di Palermo, dal dott. G. Checchia-Rispoli; alcune chele della stessa specie furono già rinvenute negli stessi luoghi dal Milne-Edwards A. Tra le specie del genere Xazfo viventi nel Mediterraneo, questa è l’unica rinvenuta dal Misuri nel golfo di Palermo. Gli esemplari studiati provengono dalle argille siciliane di Ficarazzi (Cave Puleo, presso Acqua dei Corsari). Essi si conservano in parte nelle collezioni del Museo geologico fr Paler- mo ed in parte in quelle del Sig. Marchese di Monterosato. ERIPHIDAE Dana Gen. PiLumNnUs Leach Pilumnus villosus Risso (Tav. I, Fig. 19-20) 1816. Cancer nirtellas var. A. Risso — Crustacés des environs de Nice, pag. 13. 1885. Pilumnus villosus Risso — Carus I. V., Prodromus Faunae Medi- ferraneae, vol. I, pag. 514. Appartengono a questa specie molte chele perfettamente simili a quelle degli esemplari del Museo zoologico di Palermo. (20° ti da Digi a ipa MIE ADITO I AE VIT, SIP Pie, DIG PRETE III | CROSTACEI E PESCI FOSSILI DSL ‘ PIANO SICILIANO ,, ECC. 87 Sono spesse, corte, tondeggianti, completamente liscie. Il dito fisso, corto, robusto e tozzo, è fortemente dentato nel mezzo. Piccoli tubercoli si notano sul .resto del margine interno. Il dito mobile, curvo, presenta una rientranza al margine in corrispondenza del forte dente del dito fisso. Il Pilumnus villosus Risso è l’unica specie, tra le congeneri viventi nel Me- diterraneo (2. Wirfellus Leach, P. spinifer M. Edw.. P. aestuarii Nardo), che presenta le chele del tutto prive di spine o di tubercoli. Questa specie, trovata dal Misuri, vivente nel golfo di Palermo, viene qui indicata fossile fu la prima volta nel Pleistocene dei dintorni di Palermo. Gli esemplari studiati provengono da Ficarazzi (Cave Puleo, presso Acqua dei Corsari). Essi in parte appartengono alle collezioni del Museo geologico di Palermo ed in parte alla collezione del Sig. Marchese di Monterosato. Gen. EripHia Latr. Eriphia spinifrons Sav. (Tav. I, Fig. 21) 1782. Cancer spinifrons Sav.— Herbst., Naturg. der Krabben und Krebse, pag. 185, tav. XI, fig. 65. ali » Sav.— Risso, Crustacés des environs de Nice, pag. 13. 1826. Zriphia spinijrons Sav. — Desmarest, Considérations générales sur la classe des Crustacés, pag. 126, tav. XIV, fig. 1. 1885. » » Sav. — Carus I. V., Prodromus Faunae Dediterraneae, pag. 514. TRIO » > Sav. — Magrì F. — / Crostacei decapodi del Comparti- mento marittimo di Catania, pag. 13. Appartenenti a questa specie ho rinvennto diversi dattilopoditi di varie dimensioni. Ne illustro uno il quale appartenne alla «mano» destra di un in- dividuo adulto. È robusto, arcuato, con superficie completamente liscia e pre- senta al lato interno, presso la base, un forte tnbercolo cuni segne la denta- tura irregolare e decrescente. Superiormente, alla base del dito, si notano alcuni minuti tubercoli e alcune piccole granulazioni. Gli altri esemplari studiati ripetono i caratteri di quello ora descritto, presentano però minori dimensioni. i Noto la grande somiglianza che queste dita offrono con quelle dell’£rphie _punctulatu Rist., specie dal detto autore istituita su fossili del Pliocene italiano (1) (1) Ristori G.— / crostacei brachinri e anomuri del Pliocene italiano, pag. 109., tav, IL., fig. 2, 15, 16., Roma; 1886. » » -- Contributo alla fauna carcinologica del Pliocene italiano, pag. 3, tav. I, fig. 3; Pisa, 1889. RO gl TOT FROCIO QRS (AZ TPRO COME AP 88 M. GEMMELLARO La Eriphia spinifrons Sav. viene indicata fossile per la prima volta nel “Siciliano,, dei dintorni di Palermo. Questa specie, vivente nel Mediterraneo, è — stata rinvenuta di recente anche nel golfo di Palermo (Misuri.) Gli esemplari studiati provengono dalle cave di 77/0 calcareo alle falde di Monte Pellegrino, R.®° Castellana; dalle argille siciliane di Ficarazzi (Cave Pu- leo, presso Acqua dei Corsari) e da una cava di 2/0 calcareo di Bagheria (Proprietà Cordova e Greco.) | Essi fanno parte delle collezioni del Museo geologico di Palermo e di quelle del Sig. Marchese di Monterosato. PORTUNIDAE (Dana) Cls. Gen. PortuNUS Fabr. Portunus tinberculatas Roux (Tav. I, Fig. 22-25) 1885. Portunus tuberculatus Roux — Carus I. V., Prodromus Faunae Mediter- raneae, vol. I, pag. 516. Riferisco a questa specie una bella chela completa che conserva attaccato un frammento del carpopodite. Questo è fornito di una forte ed acuta spina interna e di una esterna. La mano è armata sopra da un dente molto acuto. La presenza delle spine snl carpo e del deute sulla mano, mi ha permesso la determinazione specifica del mio fossile. Infatti, è per questi caratteri che le chele del Portanus tuberculatus si distinguono da quelle delle unmerose specie congeneri. Insieme all’esemplare illustrato io ho avuto in esame molti altri frammenti di chele e dita isolate che riferisco pure al Gen. Porfunus, ma pei quali non mi pare prudente di venire ad nna determinazione specifica, mancando i netti caratteri che ho riscontrato nell’esemplare che illustro. Il Portunus tuberculatas Roux, già notato dal Prestandrea nel Mar di . Sicilia, è stato anche rinvenuto dal Misuri nel golfo di Palermo. Questa specie viene da me citata fossile per la prima volta nel “Siciliano,, dei dintorni di Palermo. L’esemplare illustrato proviene dalle argille di Ficarazzi (Cave Puleo, presso Acqua dei Corsari); esso fa parte delle collezioni del Museo geologico. dell’Università di Palermo. Gli altri esemplari riferiti al genere rorz4zus, ma non determinati specifi- camente, provengono dalle cave alle falde del Monte Pellegrino, R.2° Castellana, e dalle stesse argille di Ficarazzi. Essi, in parte sono proprietà del Museo geo- logico di Palermo ed in parte del Sig. Marchese di Monterosato. CROSTACEI E PESCI FOSSILI DEL “PIANO SICILIANO ,, ECC. 89 CORYSTIDAE Cls. Gen. AtELEoycLUS Leach. Atelecyclus rotundatus Olivi, var. Checchiai n. v. (Tav. I, Fig. 24-25) 1792. Cancer rotundatus Olivi — Zoologia adriatica, tav. 2, fig. 2. MSI6. » Olivi Risso A., Crustacés des environs de Nice, pag. 5, tav. I, fig. 1. 1825. Afelecyclus cruentatus Desmarest. — Considérations générales sur la classe des Crustacés, pag. 89. 1885. » » Desm.— Carus.I. V., Prodromus Faunae Mediter- raneae, vol. I, pag. 519. 1905. > rotundatus Olivi — Checchia-Rispoli G., L’ Afelecyclus rotundatus Ol., fossile nel Postpliocene di Palermo, fig. nel testo. Illustro un guscio mancante delle regioni antero-laterali destre. Non mi dilungo nella sua descrizione essendo in tutto corrispondente all’altro rinvenuto dal Dott. G. Checchia Rispoli nel ufo calcareo postpliocenico di Ficarazzi e da lui minutamente descritto ed illustrato (1) . Sul margine sinistro del mio esemplare si notano i nove denti crenulati e rivolti innanzi, caratteristici della specie. Il settimo e il nono dente però, sono meno sviluppati degli altri, aualogamente a quanto ha fatto notare il Checchia per il suo esemplare e a differenza di quanto si osserva negli esemplari viventi della specie, i quali presentano tutti i nove denti ugualmente sviluppati. Il Checchia, pur notando, come ho detto, le differenze indicate sopra, le ritenne dovuie all’incompleto sviluppo dell’individno rinvenuto e non credette di istituire una varietà, anche perchè ebbe in esame un solo esemplare. Oggi però che dai molti esemplari trovati è confermata e dimostrata costante la differenza tra la forma fossile e quella vivente rilevata da quell’autore, io, credo che sia il caso di distinguere dalla specie vivente, le forme fossili del l’Atelecyclus rotundatus Olivi del bacino di Palermo, istituendo una nuova vai rietà (var. Checchia:) la quale, pur presentando i nove denti crenulati carat- teristici della specie, mostra il nono e il settimo dente molto meno sviluppati (1) Checchia-Rispoli G. — L’Atelecyclus rotundatus Olivi, fossile nel Postpliocene di Palermo, fig. nel testo. Ue ii li 90 È M. GEMMELLARO degli altri. Sembra inoltre che la varietà fossile nou abbia mai raggiunto le di- meusioni della specie vivente. Non insisto sulle differenze tra l’Afelecyclus rotundatus Ol. ed il congenere Atel. heterodon Leach. In quest'ultima specie, come è noto, si osservano sette denti marginali il cui orlo crenulato si prolunga indietro, mentre nella prima . i nove denti uguali si rivolgono costantementein avanti. L’Atelecyclus rotundatus Ol. = Afel. cruentatus Desm. (in Carus, pag. 513) . vive nel Mediterraneo; è stato segnalato a Napoli (Hope), non è noto sulle «coste della Sicilia, nè è stato rinvenuto nel golfo di Palermo. L’esemplare illustrato proviene da una cava di /2/0 calcareo delle falde. di Monte Pellegrino, R."© Castellana; esso si conserva, insieme a quello descritto dal Checchia, nelle collezioni del Museo geologico dell’Università di Palermo. CATOMETOPA M. Edw. GONOPLACIDAK M. Edw. Gen. GonoPLAX Leach Gonoplax confr. rhomboides Desm. (Tav. I, Fig. 26) 1825. Gonoplax rhomboides Desmarest. — Considérations générales sur la Classe des Crustacés, pag. 125, tav. 15, fig. 2. 1861. » » Desm. — M. Edwards A., /Memarques sur la faune carcinologique des terreins quaternares, pag. 88. 1885. » ò Desm. — Carus I. V., Prodromus Faunae Mediter- raneae, vol. I, pag. 521. TIGILIE > > Desm. — Magrì F., / Crostacei decapodi del Compar- timento marittimo di Catania, pae. 16. Riferisco al genere Goroplax un dito mobile della mano destra. il quale si mostra identico ai dattilopoditi degli esemplari congeneri, viventi nel golfo di Palermo. Si tratta probabilmente di un dito di Gonoplax rhombordes Desm.; non. posso però sicuramente gindicarlo, data la grande somiglianza tra le chele di «questa specie e quelle della congenere Gonoplax ungulata Leach, anche essa vivente nel nostro golfo. Come è noto il M. Edwards ha segnalato l’esistenza della Gonoplax rhom- boides nel Pleistocene dei dintorni di Palermo (op. cit., pag. 88.) , La Gonoplax angulata Leach = G. bispenosa Leach è stata indicata dal CROSTACHRI E PESCI FOSSILI DEL “ PIANO SICILIANO ,, ECC. di Ristori, fossile a Monte Mario (1) ove il Desmarest (2) rinvenne alcuni crostacei fossili che distinse col nome di Gonoplax impressa Desm. Nel Pliocene italiano il compianto Ristori indica pure due specie di Go- noplax (G. formosa R.. e G. Meneghinit R.) di cui la prima ha rapporti di affinità colla G. rhomboides Desm. e la seconda colla G. angulata= bispinosa Leach. (3) Affine alla G. angulata, vivente, e alla fossile G. Meneghinii Rist. è la forma del Pliocene piemontese illustrata dal Crema col nome di Gono- plax Saccr Crem. (4). A giudicare dalle descrizioni e dalla figura del Crema (op. cil., pag. 16, fig. 16) credo che questo autore abbia prudentemente fatto riferendo, sebbene con dubbio, al genere Gonoplax la sua Gonoplax ? Craverii Crem., la quale in- dubbiamente ha molte affinità con la Gonoplax Meneghini Rist., pliocenica an- che essa, e con la vivente Gonoplax angulata Leach. Come ho sopra accennato, Gonoplax rhomboides Desm. e Gonoplax angulata Leach sono specie viventi nel golfo di Palermo, ove di recente sono state in- dicate dal dott. Misuri. L’esemplare illustrato proviene dalle argille del ‘Siciliano,, di Ficarazzi (Acqua dei Corsari, Cave Puleo). Esso fa parte delle collezioni del Museo geo- logico di Palermo. GRAPSIDAE Dana . Gen. PacHYGRAPSUS Stimps. Pachygrapsus marmoratus Stimps. (Tav. I, Fig. 27-28) 1825. Grapsus varzus i -Latr. — Desmarest A. G., Considerations gé- nérales sur la Classe des Crustacés, pag. 131. > Cancer marmoratus Fabr.— Id., loc. cè'., pag. 131. 1885. Pachygrapsus marmoratus Stimps.— Carus I. V., Prodromus Faunae Mediterraneae vol. I, pag. 523. 1911. 5 » Stimpa. — Magrì F., / Crostacei decapodi del Compartimento marittimo di Catania, pag. 1°. (1) Ristori G. — / crostacei fossili di Monte Mario, pag. 20. (2) Desmarest — ZHistoîre naturelle des crustacés fossiles, pag. 102, tav. VIII, fig. 18-14. (3) Ristori G.— LZ crostacei brachiuri e anomuri del Pllocene italiano, pag. 111-114. tav. ILL, fig. 11-13 e 8-10. (4) Crema C.— Sopra alcuni decapodi terziari del Piemonte, pag. 15, fig. 15. - 9® M. GEMMELLARO Riferisco a questa specie una bellissima chela destra completa, identica a quelle degli esemplari viventi, con i quali la ho confrontata. È robusta, massiccia, tondeggiante e superiormente fornita di evidenti tubercoli. Le dita, robuste ed arcuate, mostrano denti forti ed irregolari. Per la presenza dei tubercoli sulla parte superiore della mano ho potuto distinguere questa chela da quelle della specie affine, Pachygrapsus maurus Hell., anche essa vivente nel Mediterraneo. Il Pachygrapsus marmoratus Stimps., già noto sulle coste della Sicilia per opera del Targioni-Tozzetti, è stato di recente pure trovato nel golfo di Palermo dal Misuri, il quale vi ha anche rinvenuto la specie affine, Pachy- grapsus maurus Hell. La specie in esame viene qui citata fossile per la prima volta nel “Sici- liano,, dei dintorni di Palermo. L’esemplare illustrato proviene dalle argille di Ficarazzi (Cave Puleo, presso Acqua dei Corsari); esso si conserva nelle Collezioni del Museo geologico del- l’Università di Palermo. ANOMURA PAGURIDAK Dana Gen. PaGuRUS Fabr. Pagurus sp. Riferisco al genere Pagurus, sensu lato, alcuni frammenti di propoditi rin- venuti nel Siciliano dei dintorni di Palermo. Questi fossili, di piccole dimensioni e di forma angolosa, mostrano la superficie coperta di piccoli tubercoli fitti e spinosi quali si accentuano specialmente sulle angolosità e sul lato esterno. Non credo prudente in base a questi frammenti di procedere ad una deter- minazione specifica, tenuto anche conto della grande quantità di specie viventi e fossif=contenute nella grande famiglia dei Paguridi. Gli esemplari studiati, provenienti dalle argille siciliane di Ficarazzi (Cave Puleo, presso Acqua dei Corsari) fanno parte delle collezioni del Museo geolo- gico dell’Università di Palermo. CROSTACEI E PESCI FOSSILI DEL ‘ PIANO SICILIANO ,, ECC. 93 MACRURA THALASSINIDAF M. Edw. Gen. GEBIA Leach Gebia confr. stellata Leach (Tav. I, Fig. 29-30) 1815 Gebia stellata Lsach — Malacostraca podophthalmata Britanniae, tav. sl, fig. 1-9. 1825. >» » Leach — Desmarest A. G., Considérations générales sur la Classe des Crustaces, pag. 204, tav. 35, fig. 2-2c. SB a Leach—Milne-Edwards H., Histoire naturelle des Crustacées pag. 313. 1889, >» (cfr) stellata Leach — Ristori G., . crostacei fossili di Monte Mario, pag. 24. Appartengono a questo genere molte chele lunghe, quasi cilindriche e quasi del tutto liscie, le quali presentano il dito fisso, poco sviluppato e spini- forme. Il dito mobile manca negli esemplari studiati; spesso sul dito fisso spiniforme si nota una piccola spina secondaria acutissima. Sulla superficie delle chele, specialmente alla parte superiore, si osservano in alcuni esemplari delle minutissime spine, invisibili ad occhio nudo. Più che alle chele delle specie viventi nel Mediterraneo (Gebza ltoralis, Gebia deltura) queste chele fossili somigliano a quelle della Gebdia stellata Leach la quale, come è noto, è specie settentrionale, vivente sulle coste del- l'Inghilterra. i Pur avvicinando a questa specie gli esemplari in esame, non li identifico ad essa mancandomi il materiale di confronto ed essendo purtroppo imperfette le figure del Leach e del Desmarest che ho potuto consultare. Come è noto, il compianto Ristori ha rinvenuto tra i crostacei di Monte Mario alcune chele, che descrisse ma non figurò, e che io credo possano iden- tificarsi coi fossili da me studiati (1). Gli esemplari illustrati e descritti provengono dalle argille Siciliane di Ficarazzi (Cave Puleo, presso Acqua pei Corsari). Essi in parte si conservano nelle Collezioni del Museo geologico di Palermo ed in parte in quelle del Sig. Marchese di Monterosato. (1) Ristori G.— Ì crostacei fossili di Monte Mario, pag. 24. cattà Vee 94 M GEMMELLARO Gen. CALLIANASSA Leach Callianassa subterranea Leach, var. dentata Ristori (Tav. I, Fig. 31-32) 1815. Callianassa subterranea Leach W. E. Malacostraca podophthalmata Britanniae, tav. XXXII, fig. 1-10. 1825. » > Leach — Desmarest A. G., Consederations générales sur la Classe des Crustacés, pag. 205, tav. 36, fig. 2-2 c. 1 1885. » > Leach — Carus I. V., Prodromus Faunae Mediter- raneae, vol. I, pag. 489. 1889. » > Leach, var. centata Ristori — Ristori G., Icro-. stacei fossili di Monte Mario, pag. 24, tav. I, ‘fig. 19-20. i 1895. » > Leach, var. dentata Ristori — Crema C., Sopra alcuni decapodi terziari del Piemonte, pag. il. Le due chele che ho avnto in esame corrispondono a quelle della Cal- lianassa subterranea Leach, però mostrano sul dito fisso una serie di cinque piccoli denti che, partendo dalla base di esso, raggiungono il dente maggiore che sorge alla metà del dito. Denti ancora più piccoli fanno poi seguito al dente maggiore, il quale è più sviluppato che nella specie vivente, e si continuauo fino all’apice del dito. Il dito fisso, lungo il margine esterno, si mostra poi ornato,da una fila di tnbercoli. Come risulta dalla superiore descrizione, i miei fossili sono dunque in tutto uguali alla Callzanassa subterranea. Leach, var. dentata, istituita dal Ri- stori sulle chele rinvenute nei tufi calcarei di Nettuno ed Astura (1). Come è noto (2) la distinta varietà istituita dal Ristori è stata rinvenuta an- che nel Pliocene dell’Isola di Pianosa e nell’Elveziano dei Colli torinesi. Que- sta forma perciò ha una estensione cronologica che va dall’Elveziano al Piano “ Siciliano ,,. La Callianassa subterranea Leach, var. dentata ‘Ristori viene qni citata per la prima volta fossile nel bacino di Palermo. Gli esemplari illustrati e descritti provengone dalle cave di tufo calcareo alle falde del Moute Pellegrino (R."° Castellana); essi fanno parte delle colle- zioni del Museo geologico dell’Università di Palermo. (1) Ristori G. — / crostacei fossili di Monte Mario, pag. 25, tav. I, fig. 19-20. (2) Crema C. — Sopra aleuni decapodi terziari del Piemonte, pag. 11. d- îi id ;; «i. È a Ù n "i i e ie i ‘1881. CROSTACEI E PESCI FOSSILI DEL ‘ PIANO SICILIANO,, EU 95 PISCES ELASMOBRANCHII SELACHII ASTEROSPONOYLI LAMNIDAE Gen. CarcHARODON Miiller et Henle Carcharodon Rondeleti Miiller et Henle (Tav. I, Fig. 33-36 e Tav., II. Fig. 1-6) 1841. Carcharodon Rondoletii — Muller et Henle, Systematische Beschreibung der Piagiostomen, pag. 70. 1833-43. » sulcidens — Agassia L:, Poissons fossiles, vol. III, pag. 254, tav. 30 a, fig. 3-7. 1399. © » Tornabene — Gemmellaro G. G., Ricerche sur pesci fossili della Sicilia, pag. 33, tav. I, fig. 12. Rondeletii Muùll. et Henle — Doderlein P., Manuale ittiologico del Mediterraneo, fasc. I, pag. 66. 1882. » » Miiller et Henle — Woodward A., Catalogue of the fossil fishes in the British Museum, pag. 420. Y 1839-93. » Rondeletii Miill. et Henle — Carus I. V., Prodromus Faunae Méditerraneae, vol. II, pag. 506. 1891. >» » Miillor et Henle — Bassani F., Contributo alla Pa- leontologia © d2lla Sardegna. Ittroliti miocenici, pagina 17, Note. 1595. >» Rondoletit Miller et Henle — De Alessandri G., Contridbuzione allo studio dei pesci terziari del Piemonte e della Liguria, pag. 8, tav. I,fig. 3-3 a. 1399. » Rondeleti Miiller et Henle — Vinassa de Regny P. E., Pesci i neogenici del Bolognese, pag. 80, Tav. II, fig. 2-4 1900. » » Miiller et Henle — Seguenza L., / vertebrati fossili della provincia di. Messina, pag. 506, tav. VI, fio. 4-7. 30 NR PIRRO ID PIACE CERCA RI 96 M. GEMMELLARO 1903. Carcarodon Rondelett Miller et Henle—Pasquale M., Revisione dei Selaciani fossili dell'Italia meridionale, pag. 8, tav. I, fig. 1. 1905. » » Miller et Henle — Bassani F., La ittiofauua delle argille marnose plistoceniche di Taranto e di Nardò, pag. 13. tav. I, fig, 1-2. 1910. » » Miiller et Henle — De Stefano G., Osservazioni sulla etttofauna plocenica di Orciano e S. Quirico, pag. 558, tav. XVI, fig. 1. 1911. » >» Miiller et Henle — Id., Suz pesci pliocenici dell'Imo- lese, pag. 392, tav. X, fig. 1-7. i 1812, » » Miiller et Henle — Id., Itteofauna fossile dell'Emilia, pag. 43, tav. I fig. 7 e tav. II fig. 5-6. Denti di forma triangolare, generalmente appiattiti e poco spessi. Margini laterali della coronairregolarmente dentellati; spesso qualche dentello si mostra bifido. Corona diritta o leggermente curva in fuori. Faccia interna regolar- mente convessa, talvolta appiattita nel mezzo; faccia esterna piana o quasi piana, spesso ornata da pieghe e solchi in basso, presso il limite dello smalto. Radice con branche corte, piuttosto arrotondate, compresse e più o meno: divaricate; essa è leggermente sporgente sul lato interno. Della specie in esame ho avuto in istudio otto denti, di varie posizioni nelle mascelle dello squalo. Io le ho precisate servendomi del confronto con le numerose preparazioni ittiologiche della specie, conservate nel Museo Zoolo- gico di Palermo. Come è noto, caratteri principali per ‘istingnere in questa specie i denti della mascella superiore da quelli dell’inferiore sono: Dimensioni relativamente. maggiori e spessore relativamente minore; corona meno stretta e meno slan- ciata, meno convessa alla faccia interna; graduale inclinazione della corona verso il fondo della fance, radice meno sporgente sul lato interno ed a branche formanti un angolo più ottuso che nella mascella inferiore. Nei denti della mascella inferiore, la faccia esterna è spesso leggermente rigonfia. Degli otto denti studiati, quattro appartengono alla mascella superiore e quattro alla inferiore. Mascella superiore: Il primo esemplare illustrato (tav. I, fig. 33-34) è un dente anteriore.. Grande e poco spesso, mostra corona a forma di triangolo isoscele, piana all’esterno, poco convessa allo interno e appiattita nel mezzo; ha l’apice leg- germente curvo in fnori. La radice, poco sporgente sul lato interno, ha le branche corte, arrotondate e compresse, formanti un angolo molto ottuso. ‘© * Gli altri tre denti illustrati (tav. I, fig. 35-36 e tav. II, fig. 1) sono laterali; di essi i primi due appartengono al lato sinistro, il terzo al lato destro della mascella. Ripetono i caratteri del dente anteriore sopra descritto, ma mostrano la corona inclinata verso il fondo della fauce, talchè, mentre il margine ante- CROSTACEI £ PESCI FOSSILI DEL ‘“ PIANO SICILIANO,, ECC. 97 riore rimane diritto o leggermente convesso, il posteriore descrive invece una. linea concava. Mascella enferiore : Il primo esemplare illustrato (tav. II, fig. 2-3) è un dente anteriore. Rela- tivamente piccolo ma discretamente spesso, ha corona triangolare isoscele, stretta e slanciata; la faccia esterna è leggermente rigonfia, l’interna è convessa. La radice manca. ì Gli altri due esemplari figurati (tav. II, fig. 4-5) sono denti laterali del lato sinistro, mentre l’ ultimo dente che illustro (tav. II, fig. 6) sembra un la- terale del lato destro, la cui posizione nella mascella doveva essere posteriore di quella dei precedenti. - Come ho già scritto in miei precedenti lavori, il Carcharodon Rondeleti Miiller et Henle era già noto nel Pliocene siciliano (Collezioni del Museo geologico dell’ Università di Patermo). Alla specie in esame sono anche da riferirsi i due denti di Leonforte il- lustrati da mio Padre sotto il nome di Carcharodon sulcidens Ag., nel suo la- voro ‘‘fiicerche sui pesci fossili della Sicilia,, (pag. 32, tav.IV, fig.6 e 7, non fig. 5) e gli altri due denti citati nello stesso lavoro a pag. tn, sotto lo stesso nome, provenienti da Castrogiovanni. Anche il Carcharodon Tornabene G. G. cun, , è da identificarsi col vivente C. Rondeleti Miller et Henle. In quanto all'estensione cronologica di questa specie sono in grado di af- fermare che essa in Sicilia non è mai stata rinvenuta in sedimenti più antichi del Pliocene. (1) Gli esempari figurati e descritti provengono tntti dai /ufi calcarei e dalle argille siciliane dei dintorni di Palermo (0.9 Malaspina, Falde di M. Pellegrino R.n° Castellana, Cave Puleo all’Acqua dei Corsari) e dai dintorni di Bagheria e di S. Flavia. Essi in parte si conservano nelle collezioni del Museo geologico di Palermo. ed in parte sono di proprietà del sig. Marchese di Monterosato. (1) Tuigi Seguenza indicò il Carchaerodon Rondeleti nel Miocene superiore di S. Piero (Messina). Sono in grado di assicurare che quel giacimento appartiene invece al Pliocene. Così, come è ormai accertato nell'Italia continentale, per i denti di Carch. Rondeleti di Terra d'Otranto, (Vedi: Bassani, A4rg%/e Plistoceniche di Taranto ete.; pag. 14, Nota; De Stefano, Ittiofanna pliocenica di Orciano etc., pag. 560.) i quali appartengo.ro a depositi pliocenici e non miocenici, rimane anche provato per la Sicilia il fatto che la specie in esazze non si rinvie- ne nel Miocene dell’Isola. RE. : ASTRI TSI Z TA E RR OI 98 M. GEMMELLARO Gen. ODONTASPIS Agassiz Odontaspis acutissima Ag. (Tav. II, Fig. 7-17). 1833-45. Lamna (0d.) acutissima Agassiz L. — Poissons fossiles, vol. III, pag. 294, tav. 37 a, fig. 33-35. ta a » » contortidens Id. — loc. cit., vol. III, pag. 294, tav. 37 a, fio. 17-23. 1546. » elegans Sismonda E. (non Ag.) — Descrizione dei pesci e det crostacei fossili del Piemonte, pag. 46, tav. II, fig. 33-35. 1858. » (0d.) cr. tortidens Ag.—Gemmellaro G. G., Ricerche sui pesci fossili della Sicilia, pag. 44, tav. I, fig. 13, tav. VI, fio. 13-20. 3 1891. Odontaspis cnotortidens Ag. — Bassani F., Contributo alla Paleonto- logia della Sardegna. Ittioliti miocenici, pag. 288 1895. » » Ag.—De Alessandri G., Contribuzione allo studio dei pesci terziari del Piemonte e della Liguria, pag. 12, tav. I, fig. 8-8 a. 1900. » » Ag. — Seguenza L., / vertebrati fossili della pro- vincia di Messina, pag. 59, tav. VI, fig. 13. 1901. » » Ag. — De Stefano G., Alcuni pesci pliocenici di Calanna, pag. 556. 1905. » » Ag. — Pasquale M., Revisione dei Selaciani a sili dell'Italia Ve pact8o: | 1910. ò » Ag. — De Stefano G., Pesci fossili della Cala- | ! bria meridionale, pag. 180, tav. V, fig. 17-19. I910; » » Ao. — Id., Osservazioni sulla iltiofauna pliocenica È di Orciano e S. Quirico in Toscana, pag. 563, tav. XVI, fio. LU; tav. XVI dI 19 R09235 1910. » aculissoma Ag. — Leriche M., Les poissons oligocénes de la Belgique, pag. 261, tav. XIV, fig. 1-27. TOA » contortidens Ag. — De Siano G., Sui pesci pliocenici dell I- molese, pag. 394, tav. x fig. 8-10. 1912. » aculissima Ag. — Id., Pesci fossili di San I0Da, pag: 398, i tav. XIV, da 3IZ-44. 1912. » contortidens Ag.—-Gemmellaro M., Zitiodontoliti del Miocene medio di alcune regioni delle provincie di Pa- lermo e di Girgenti, pag. 128, tav. IV, fig. 1-6. 1912. » acutissima Ao. — De Stefano G., Ittiofauna fossile dell ÉE- milia, pag. 46, tav. I, fig. 14-16. i e CROSTACRI E PESCI FOSSILIÌ DEL “ PIANO SICILIANO ,, ECC. 99 Denti stretti, slanciati, curvi verso la gola .0 variamente flessuosi, piuttosto turgidi alla base della corona, mostranti spesso una depressione ed una breve piega verticale alla parte inferiore mediana della faccia esterna. Faccia interna convessa, faccia esterna piana o anche essa leggermente convessa. Margini per intero taglienti solo nei denti laterali e posteriori, i quali, per questo, si mostrano più compressi dei denti anteriori. Sulla faccia interna di quasi tutti questi denti si notano sullo smalto le pieghe flessnose, meglio distinte presso la base, caratteristiche della specie. Ho studiato una quarantina di esemplari, tutti però privi di radice e dei dentini laterali. Per questo ho incontrato qualche dlticolio nel determinarne la posizione nelle mascelle delle squalo. Traidenti che qui figuro (tav. II, fig.7-17) quello piccolo, Jesiniforme, acuto a base tondeggiante, riprodotto con la figura 7, è un dente sinfisario; gli'altri (fig. 8-10) grandi, a base. turgida e tondeggiante, variamente flessnosi e con margini non del tutto taglienti, sono denti anteriori. Meno acuti dei precedenti, con base compressa e con margini lateralt taglienti fino alla base, sono i denti laterali (fig. 12-14) mentre i posteriori (fig. 15-17) sono brevi, compressi, tozzi, presentando una forma piuttosto triam- golare, diversa da quella slanciata che si riscontra negli altri denti studiati. L’Odontaspis acutissima Ag., ha una estensione cronologica che va dall’O- ligocene al Pleistocene. Il De Stefano, comeòè noto, ha rinvenuto questa specio a Calanna (Calabria) in un deposito considerato, per la fauna malacologica e stratigraficamente, come postpliocenico (1) Nel Museo di Geologia dell’Università di Palermo esiste un bel dente anteriore di questa specie, munito delle caratteristiche pieghe flessnose sul lato interno, il quale è stato rinvenuto nei uf? calcarei quaternari, con? Litotanni, dei dintorni di Sciacca (Torre del Tradimento) Lo illustro qui (tav. II, fig. 11) a maggior prova dell’esistenza di questa specie, anche nel Post- ln In Sicilia, oltre che nel Miocene medio, questa specie si raccoglie anche nel Pliocene di Messina (Seguenza) ed in quello dei pressi di Leonforte (Col. Mus. Geol. di Palermo). Con questo lavoro l’Odontaspis acùtissima viene citata per la prima vetta fossile nel ‘“ Siciliano ,, dell’Isola. Gli esemplari illustrati provengono dalle cave di tufo calcareo delle falde del Monte Pellegrino, R.*° Castellana; in parte si conservano nelle collezioni del Museo geologico di Palermo ed in parte in quelle del Sig. Marchese di Mon- terosato. (1) De Stefano G. — Pesci fossili di Bismantova, pag. 335, Nota 4. ll RE RA apt): CRETINO I BASI 4 pe, PI de te Ù CA “yer 4 A De 100 M. GEMMELLARO Gen. OxYRHINA Agassiz Oxyrhina Spallanzanit Bonaparte (Tav. II, Fig. 18-21) 1832-41. Oxyrhina Spallanzanii — Bonaparte C. L., Iconografia della fauna ita- lica, vol. III, pag. 134, tav. 53, fig. 1. 1833-43. » » Bonap. — Agassiz L., Poissons fossiles, vol. III, pag. 276, tav. G., fio 2-2 a 1841. » gomphodon — Miiller et Henle, Systematische Beschreibung. der Plagiostomen, pag. 68, tav. 28. 1881. » Spallanzani Bonap.— Doderlein P., Manuale illiologico del Mediterraneo, fasc. II, pag. 62. 1889-93. Lamna Spallanzanii Gthr. — Carus I., V. Prodromus Faunae Mediter- raneae, vol. II, pag. 505. 1389. Oxgrhina confr. gomphodon Miller et Henle — Vinassa de Regny P., Pesci neogenici del Bolognese, pag. 82, tav. IL fig. 10. i 1900. Oxyrhna Spallanzani Bonap.—Seguenza L., [vertebrati fossili della pro vincia di Messina, pag. 488, tav. VI, fig. 29-56. 1905. » Spallanzani Bonap. — Pasquale M., Revisione dei Selaciani fossili dell'Italia meridionale, pag. 14. — 1905. » » Bonap. — Bassani F., La ittofauna delle argille marnose plistoceniche di Taranto e di Nardò pag. 14, tav. I, fig. 5. 1910. » » Bonap. — De Stefano G., Osservazioni sulla ittiofauna pliocenica di Orciano e S. Quirico, pag. 570, tav. XVI, fig.3, 7, 14. 1911. Oxgrina Spallanzani Bonap. — Id., Sui pesci pliocenici dell'Imolese, pag. 396, tav. X, fig. 16-25. 1912. ‘> » Bonap.— Id., Ittiofauna fossile dell'Emilia, pag. 49, tav. I,fig. 20 e tav. II, fig. 19-20. Denti più o meno triangolari, robusti, massicci, fortemente turgidi alla base, specialmente sul lato interno. Faccia esterna piatta o lievemente con- vessa; faccia interna fortemente convessa, margini laterali taglienti e pellucidi. Radice robustissima, molto sporgente sul lato interno, a branche più o meno forti, poco divergenti nei denti anteriori, divaricate nei laterali e. posteriori. ET E TAO O 110 CROSTACRI E PESCI FOSSILI DEL ‘ PIANO SICILIANO,, ECC. I denti laterali della mascella superiore si inelinano verso il fondo della fauce e così pure, ma meno pronunziatamente, quelli della mascella inferiore. L'angolo formato dalle branche della radice è più ottuso nei denti della mascella superiore che in quelli corrispondenti della mascella inferiore. Quest'ultimo carattere è particolarmente spiccato per i denti anteriori (Le- riche, Pozssons olig. d. Belgique, pag. 275.) In questo lavoro io illustro due denti, di cui uno(tav. II fig. 18-19) com- pleto anche della radice, l’altro (tav. II, fig. 20-21) mancante della branca destra. I due denti in esame hanno corona svelta, robusta, triangolare, con an- damento sigmoidale e leggiera curvatura rispetto alla radice. Faccia esterna leggermente convessa, interna fortemente convessa. Due leggiere depressioni corrono lateralmente sulle facce, rendendo i margini taglienti e pellucidi. La base della corona è fortemente turgida e rigonfia sul lato interno. La radice, sporgentissima sul detto lato, mostra le forti branche disuguali e formanti un angolo non molto ottuso. Sono due denti anteriori, che attribuisco alla mascella inferiore. special- mente per il carattere delle branche della radice non molto divaricate. L’esemplare illustrato con le fig. 18-19, appartiene al lato sinistro, (probabil- mente alla 2.* fila dei denti anteriori) quello illustrato con le fig. 20-21, appartiene al lato destro (probabilmente alla 1.* fila dei denti anteriori). Luigi Seguenza (I vertebrati fossili della provincia di Messina, pag. 490) indica la Oxyrhina Spallanzanii come rara nel Miocene superiore, abbondante nel Pliocene di Sicilia. Io sono al caso di escludere che questa specie sia vis- suta nel Miocene siciliano poichè vari sedimenti della provincia di Messina, già attribuiti al Miocene superiore, devono invece riferirsi al Pliocene. Alcuni denti di Oxyrhina Spallanzani, rinvenuti nel Pliocene dei dintorni di Leonforte, si conservano nel Museo geologico di Palermo. Gli esemplari illustrati provengono dalle argille del « Piano Siciliano » di Ficarazzi (Cave Puleo, presso Acqua dei Corsari). Essi fanno parte delle collezioni del Museo geologico della R. Università di Palermo. NOTIDANIDAE Gen. NoripbaNUS Cuvier Nolidanus griseus Gmelin sp. | (Tav. II, Fig. 22) 17388. Squalus Duels Gmelin — Systema Naturae, vol. I, pag. 1495, sp. 21. 1881. Exanchus griseus (L.) Raf. — Doderlein P., Manuale ittiologico del Medi terraneo, fasc. II, pag. 76. Vine rali i o oi 102 M. GEMMELLARO 1889. Notidanus gigas Woodward — Catalogue of the fossi ns en the Britisi. Musenm, I, pag. 165-166. 1399. » D’Anconai Lawley — Vinassa de Regny P., Pesci neogenici del Bolognese, pag. 83, tav. II, fig. 14. i 1889-93, Exanchus griseus Raf. — Carus I. V., Prodromus Faunae Mediterra- neae, vol. II, pag. 499. 1900. Notidanus (Exanchus) griseus Raf.—Seguenza L., I vertebrati fossili della provincia di Messina, pag. 472. 1901. Notidanus griseus Cuv. — Bassani F.,- I Notidanus griseus Cuvier, nel Pliocene della Bastlicata, pag. 175, fig. intere. 1903. » » Gmelin sp. — Pasquale M., Revisione dei Selaciana fos- sili dell'Italia meridionale, pag. 19. 1910. » » Gmelin sp.— De Stefano G., Osservazioni sulla ittio- fauna plocenica di Orciano è S. Quirico, pag. 585, tav. XVIII, fig. 3-10. 1911. » ” Gmelin sp. — Id., Pesce plrocenici dell'Imolese, pag. 389. 1912; » » Gmelin sp. — Id., Zttzofauna fossile dell'Emilia, pag. 54, tav. II, fig. 28-30. Il Leriche a pag. 257 del suo lavoro «Po:ssons oligocénes de la Belgique» descrivendo la dentatura del Noidanus griseus Gmelin sp., scrive che il mar- gine anteriore del cono principale dei denti laterali della mascella inferiore: di questa specie è semplce, mentre quello della altra specie vivente (N. cinereus)"porta alla base un forte denticolo che accompagna talora esterior- mente un denticolo più piccolo. Questa descrizione va leggermente modificata, perchè, come già hanno fatto rilevare Bassani e De Stefano e come io stesso ho potuto controllare sulle preparazioni ittiologiche del Museo zoologico di Pa- lermo, il margine anteriore del cono principale dei denti laterali della ma- scella inferiore del N. griseus non è semplice, ma si mostra sempre ornato da una seghettatura che, evidente alla base, va a svanire a circa due terzi dell’altezza del cono. Inoltre il Leriche (0p., cit., pag. 256) a proposito dei conetti accessori di questi denti scrive che essi si contano in numero di sette od otto. Io. invece, in alcuni denti, della specie osservati nel Museo zoologico di. Palermo, ho po- tuto contare, oltre il cono principale, nove e talvolta dieci conetti accessori. Riferisco alla specie in esame un bellissimo dente laterale destro della mascella inferiore. Esso è larghissimo, piatto, quasi rettangolare. La sua faccia esterna è piana, l’interna è leggermente convessa. Presenta, oltre il cono prin- cipale, dieci conetti regolarmente decrescenti, di cui l’ultimo è piccolissimo;. f CROSTACEI E PESCI FOSSILI DEL “PIANO SICILIANO ,, ECC. 103 ‘questi conetti sono inclinati verso il fondo della fauce e danuo all’ittiolito «quello ‘aspetto di pettine notato dal prof. Bassani. (1) “Il cono principale ha il margine anteriore ornato da seghettature che s'iniziano evidenti alla base e svaniscono poi a due terzi dell’altezza di esso. Il resto del margine del cono principale e degli altri dieci susseguenti è liscio e tagliente. i Lo smalto della corona scende un po’ più in basso sul lato esterno, che sull’interno. La radice semplice, non divisain branche, hala forma di una lamina rettaugolare compressa; è più spessa nella parte anteriore che nella posteriore. Essa non sporge sul lato esterno del dente, sporge invece sul lato interno, formando un angolo con la base della corona. Il Notidanus griseus Gmelin era già noto nel Pliocene siciliano, secondo le indicazioni di Luigi Seguenza (Messina, R. Scoppo; S. Filippo inferiore). L’esemplare illustrato è stato rinvennto nelle argille del “Siciliano,, di Fica- razzi (Cave Puleo, presso Acqua dei Corsari). Esso si conserva nelle collezioni del Museo geologico dell’ Università di Pa- lermo. i TECTOSPONDYLI RAJIDAK Gen. RAJA Cuvier Baja clavata L. (Tav. 11, Fig. 25, 24) 1767. Raja clavata Linneo — Systema Naturae, vol. I, pag. 597, sp. 8. 1852-41. » » LU — Bonaparte 0. L., Zconografia della fauna italica, vol. i NE paso»: 1833-43. » antiqua Agassia L. — Poissons fossies, vol. III, pag, 371, tav. 37, fio. 33-33 a. » >» » ornata Ag. — Id. loc. cit., vol. III, pag. 372, tav. 37, fig. 34-34 a. 1876. » ornatissima Lawley R. — Nuovi studi sopra ai pesci ed altri ver- i lebrati fossili delle colline toscane, pag. 43. 1884. > clavata Rond. — Doderlein P., Manuale ittiologico del Mediterraneo, fasc. III, pag. 176. 5 (1) Bassani F.— Il Notidanus griseus Cnv. nel Pliocene della Basilicata e di altre regioni .talvane e straniere, pag. 175. (Rend. Acc. Sc. fis. e mat. di Napoli, s. III, vol. VIII) Napoli, 1901. DO Rage “a E PRATT DEL TRAI 104 M. GEMMELLARO 1889-95. £a7a clavata L: —Carus I. V., Prodromus Faunae Mediterraneae, vol. Il, pag. 521, 1901. » » L. — Bassani F., Su alcuni avanzi di pesci del DUCA t0= scano, pag. 521. 1903. » » L.— Pasquale M., Revisione der Seluciani fossili dell Itulia - meridionale, pag. 21. 1910. » » L.— Ds Stefano G., Osservazioni sulla ittiofauma pliocenica di Orciano e S. Quirico, pag. 599, tav. XVIL fig.-22, 30, 32, 33. Riferisco alla vivente Roja clavata L. una grossa placca dermica, fornita. del sno acnleo, e molti aculei isolati. : Jia placca dermica in esame (tav. II, fig. 23-24) è spessa, di forma gros- solanamente ellittica, angolosamente convessa sopra e sotto, ove mostra una larga intaccatura trasversalmente obliqua. La sua superficie superiore è leg- germente scabrosa nella regione mediana e diviene poi rugosa a margine, come anche rugosa si mostra la superficie inferiore. L’acnleo, impiantato nel mezzo della placca, è curvo indietro ed ha un andamento irregolarmente flessuoso. Gli altri aculei isolati che ho potuto esaminare, ripetono, salvo le maggiori o minori dimensioni, tutti i caratteri di quello sopra descritto. Come è noto, nella Raja clavata L., oltre alle differenze di forma della dentatura tra individui maschi e femmine, vi è differenza tra le dimensioni, la forma, la situazione- e l’aggruppamento delle placche dermiche e delle spine sul corpo dell’animale, a seconda del suo sesso (v. Carus — Prodr. Faunae Med., vol. II, pag. 521) In generale, le placche dermiche grandi e spesse del tipo di quella da me figurata, può dirsi appartengano con maggiore probabilità ad individui femmine delle specie. Noto qui incidentalmente, che la differenza della forma dei denti nel genere faja, mentre in alcune specie è in relazione col sesso (R. clavata) in altre è in relazione anche con lo sviluppo degli individui, come avviene nella R. oxyrhynchus L., i cui individui maschi, nella giovane età, hanno denti quasi simili a quelli delle femmine, diversi di forma da quelli che poi assu- mono nell’età adulta. La Raja clavata L., già indicata nel Pliocene italiano dal prof. Bassani, dal De Stefano e dalla Mira Pasquale, non era stata ancora indicata fossile in Sicilia. Gli esemplari Sdi provenienti da Ficarazzi (Cave Puleo, presso acqua dei Corsari) fanno parte della collezione di proprietà del Sig. Marchese di. Monterosato. CROSTACEI E PESCI FOSSILI DEL “ PIANO SICILIANO ,, ECC. EELROSTEI ACANTHOPTERYGII PRISTIPOMATIDAE Gen. D an TEX Onvior Deniew confr. vulgaris Cuv. et Val. N (Tav. HI, Fig. 25-30) 180510. Dentez vulgaris Cuvier G. et Valencierines A. — Histoire naturelle i i des poissons; vol. VI, pag. 220, tav. 155. Cav. — Doderlein P., Manuale sttiologico del Mediter- — raneo, fasc. IV, pag. 128. Cuvo = Vacii T.V., Prodromus Faunae Medit erraneaue, «vol. IL, pag. 623. D. oulgrris C. et ria F., La itiofauna delle “ ‘argille inarnose plistoceniche di Taranio e di Se Nardò pag. 3, tav. II, fig. 8; fi. 9 e Pa. (2) i Denton ian Cuv. et Val. — De sonni G., Osservazioni sulla stti0- fauna pliocenica di Orciano ‘e S. Quarico, pag. 611, St, tav. XIX, fig. 17-20. » Dentex sp. (cfr. D. vulgaris C. et V.) — Id., Pesci pliocenici dell'Imolese, RETI e pag. 399, tav. X; fig. 31-33. | (cfr. D. vulgaris O. et V.) Id. Ithofauna fossile dell'Omilia, 14% paso: (64, tav. IT, fig. 31; tav. II, fio. 40-41, fre i Riferisco al penere Dez/ex alcuni danini esterni ed alciine vertebre isolato . I denti sono molti simili a quelli illustrati dal De Stefano a tav. XX, fig. 17-20. del suo lavoro. “Osservazioni sulla Ittofauna” pliocemca di Orciano e Di È Quirico, $ .. Trra le vertebre, n più grossa è 5 lunga 18 mm. ed ha un diametro di, lo conim.; la più ‘piccola è lunga 12 mn. ed ha um diametro di 11 mm. << Sebbene un :pò;più corte rispetto al diametro, jueste vertebre corrispondono bene a quelle del Pleistocene di Taranto riferite dal prof. Bassani ‘al genere, sin esame. Sono. poi perfettamente uguali a quelle plioceniche, illustrate e descritte Fal Do Stefano nei suoi vari lavori sugli ittioliti italiani: eat ne MALA IRE RI 106 M. GERMMELLARO Trattandosi di denti e vertebre isolati non credo possibile di determinarne con sicurezza la specie, però l’accurato confronto che ho fatto tra i miei ittio- liti e le preparazioni ittiologiche del Museo zoologico di Palermo me ne dimo- strano la probabile identità coi Derniex vulgaris Cuv. et V. Gli esemplari studiati provengono dalle cave di {ufo calcareo di Bagheria, da quelle delle Falde di M. Pellegrino (R."° Castellana) e dalle argilie di F# carazzi (Cave Puleo, presso acqua dei Corsari). Essi si conservano in parte nelle collezioni del Museo geologico di Palerme ed in parte nella collezione del Marchese di Monterosato. SPARIDAE Gen. SARGUS Cnvier Sargus vulgaris Geoffr. (Tav. II, Fio. 51-39) 1809. Sargus vulgaris Geoffr. de S. Hilaire — Description del Egipte; Pots- sons, vol. XXIV, pag. 312, tav. 18, fig. 2. 1809, Sparus sargus Briiunich — Iehf. Masse, pag. 38, sp. 52. 1810. Sargus puntazzo —Risso A.— Ichthyologie de Nice, pag. 237, sp. 4. 1830. >» Salviani Cuvier G. et Valenciennes A., Histozre naturelle des porssons, vol. VI, pag. 98. 89006 vulgaris Geoffr. — Doderlein P., Manuale ittrologico del Medi- terraneo, fasc. V, pag. 206. 1889-93 » » Geoffr. — Carus I. V., Prodromus Faunae Meliconi neae, vol. II, pag. 632. Riferisco a questa specie una ventina di denti incisivi e molti molari, i quali presentano i seguenti caratteri: I denti incisivi, più lunghi che larghi, hanno la loro corona. foggiata @ scalpello, sono piuttosto curvi in dentro e mostrano il taglio poco sottile e mediocremente obliquo. La superficie esterna è leggermente convessa, l’interna è concava, i margini laterali sono appiattiti e determinano due superfici piane, limitate da angoli leggermente smussati, all’incontro con le faccie dei denti, Procedendo verso il basso si nota una forte costrizione, ornata da solchi tra- sversali, dopo la quale i denti si comprimono fortemente dai lati e, rimanende tondeggianti sulla superficie esterna, si prolungano in dentro, spingendosi a guisa di lamina, in direzione normale a quella del taglio della corona. CROSTACEI E PESCI FOSSILI DEL “ PIANO SICILIANO ,, ECC. 40% I denti molari sono piccoli, tondeggianti, a forma di mezza sfera. Non ho dubbio sulla determinazione specifica di questi denti avendone eseguito un accurato confronto con i numerosi esemplari del Museo zoologico dell’Università di Palermo. Come è noto, la specie più vicina al Sargus vulgaris Geoffr., segnatamente per la forma dei denti incisivi, è il Sargus fasciatus Cav. et Val., anche esso vivente nel Mediterraneo; però i denti incisivi di quest’ul- tima specie si distinguono da quelli della prima per essere più stretti, più lun- ghi, (quasi pedunenlati) e più obliqui al taglio esterno. I molari poi, che io ho riferito alla specie in esame e che potrebbero con- fondersi con quelli simili del genere Chrysophrys, mancano del colletto solcato e striato comune nelle specie di questo genere. Essi poi sono stati rinvenuti insieme agli incisivi sopra descritti. Il Sargus vulgaris Geoffr., viene citato per la prima volta, fossile nel “Si ciliano,, dei dintorni di Palermo. Gli esemplari illustrati e descritti sono stati rinvenuti in una cava di tufo calcareo allefalde di M. Pellegrino (R.2° Castellana); essi si conservano nella c0l- lezione del Sig. Marchese di Monterosato ed in quelle del Museo geologico. dell’Università di Palermo. Gen. CHRYsoPHRYS Cuvier Chrysophrys aurata L. sp. (Tav. II, Fig. 40-44) 1766-68. Sparus aurata Linneo — Systema Naturae, I, pag. 467. 1828-49. Chrysophrys aurata L. sp. — Cuvier G. et Valenciennes A,, Histoire naturelle des poissons, vol. VI, pag. 85, tav. 145. 1889. » » L. sp. — Doderlein P., Manuale ittiologico det i Mediterraneo, fasc. IV, pag. 156. 1889-93. » » L. sp. — Carus I. V., Prodromus Faunae Medi- terraneae, vol. II, pag. 628. 1901. » » L. sp. — Bassani F., Su alcuni avanzi di pesci del Pliocene toscano, pag. 190. 1905. » » L. sp. — Id., La tttiofauna delle argille marnose o plistoceniche di Taranto e di Nardò, pag. 38. 1910. » > L. sp. — De Stefano G., Osservazioni sulla ittio- fauna pliocenica di Orciano e S. Quirico, pag. 619. 1912. » » L. sp.--Id., Ittiofauna fossile dell'Emilia, pag. 66, tav. I, fig. 34-37. ai > 108 M. GEMMELLARO ARONA Appartengono a questa specie molti bei molari e pochi denti canini. I molari, di forma ovale, simile a mezza fava, hanno corona appiattita, log» germente ondulata e distinta dalla base per mezzo di una costrizione o colletto sn cui si notano delle pieghe verticali e delle fine strie longitudinali. Questi denti sono più o meno escavati all’interno e la loro parete si presenta discretamente spessa nei varì esemplari studiati. Sono i grandi denti molari posteriori che si osservano nella vivente Chrysophrys aurata L. sp. (1) i I pochi denti canini, rinvenuti insieme ai molari descritti, sono conici, poco curvi e di forma molto tozza. Presentano anch'essi un ben distinto col- letto e sono ornati alla base da pieghe e da strie finissime. Confrontano in tntto coi canini della specie, esaminati nel Museo zoologico di Palermo. Debbo qui notare la grande analogia di forma che passa tra i molari di questa specie, quelli della Chrysophrys Agassizi Sism. e quelli. della Sovna phrys Lawleyi Gervais. x Quando si rinvengono denti molari isolati, del tipo ch quelli in esame, non si può mai a parer mio essere sicuri della determinazione specifica. Ad ogni modo, io ho riferito i miei fossili alla Chrysophrys aurata L. sp., oltre che per la perfetta identità con gli esemplari del Museo zoologico di Pa- lermo, per il fatto di averli rinvennti in un sedimento postpliocenico, ed insieme ai pochi canini conici e tozzi, quali si riscontrano nella vivente Chrys. aurata e non uncinati, come quelli dalla Chrys. Agassiz. La Chrysophrys aurata L. sp; già nota nel Pliocene dell’Italia continentale, nelle argille quaternarie di Colle S. Magno (Caserta) e nelle argille marnose plistoceniche di Taranto, viene citata per la prima volta fossile nel Pleistocene siciliano. Gli esemplari illustrati, rinvenuti in una cava di tufo calcareo alle falde del Mont Pellegrino, (R.®° Castellana) appartengono alle collezioni del Museo geologico di Palermo. Crysophrys coeruleostieta Cuv. et Val. (Tav. II, Fig, 45-48) 1828-49. Crysophrys coeruleosticta Cuvier G. et Valenciennes A. — Hzstorre naturelle des poissons. vol. VI, pag. 110. 1889. » » Cnv. et Val. — Doderlein P., Maruale it- tiologico del Mediterraneo, fase. IV, pag. 162. (1) .Come è noto, la Ckrysophrys crassirostris Cuv. et Val., ha dentatura simile a quella della specie in esame, caratteristica per la presenza dei grossi molari posteriori. Bisogna notare che, secondo l’autorevole parere di molti zoologi, la Chr. crassirostris non è una buona specie; essa è ritenuta soltanto una forma adulta della C%r. anrata (v. Carus I. V, — Prodr. F. Med., pae. 629; e Doderlein P. — Mar. Itt. d. Med., fasc., IV, pag. 160; anche secondo Steindacher, Day e Vinciguerra). =I è siena Se? 6% ahi ui e nta RETTO SOR T_T PI ARI i È CROSTACRI E PESCI FOSSILI DEL “ PIANO SICILIANO ,, ECC. 109 1889-93. Crysophrys coeruleosticta Cuv. et Val. — Carus I. V., Prodromus Faunae Mediterraneae, vol. II, pag. 629. 1905. » ao Cuv. et Val. — Bassani F., La dttiofauna delle argille marnose plistoceniche di Taranto e di Nardò, pag. 39. Riferisco alla Chrysophrys coeruleosticta Cuv. et Val., molti denti canini rinvenuti nel “Siciliano,, dei dintorni di Palermo. Sono grandi, conici, piuttosto svelti, curvi indietro. Il loro apice, relati- vamente acuto, è separato da un forte colletto dalla base, che è lateralmente compressa e si prolunga in dentro. - Sottili strie e leggiere pieghe ornano la base di questi ittioliti. Essi corrispondono perfettamente ai canini della specie che ho studiato sulle preparazioni del Museo zoologico di Palermo. I canini della Chr. coeruleosticta si. distinguono bene da quelli della congenere Chr. aurata per essere più grandi, più curvi e di forma conica maggiormente appuntita nella regione apicale. La Chrysophrys coeruleosticta Cuv. et Val., già nota nelle argille marnose plistoceniche di Taranto, viene qui indicata per la prima volta, fossile in Sicilia. Gli esemplari studiati provengono dalle cave di tufo calcareo delle falde di M. Pellegrimo (R."° Castellana). Essi, in parte appartengono al Museo geolo- gico di Palermo, in parte alla collezione del Sig. Marchese di Monterosato. ' LA Chrysophrys sp. (Tav. II, Fig. 49-54) Riferisco al genere Chrysophrys un centinaio di molari emisferici, di varie dimensioni, portanti alla base un colletto più o meno evidente, finemente striato e plicato. i î Non credo prudente di eseguire determinazione specifica, basata solo so- pra dei molari isolati. Non escludo anzi che alcuni di questi denti abbiano anche potuto appartenere alla fance di qualche Sargus, oppure a quella di qualche altro genere che presenta molari di forma simile a quelli illustrati. I molari figurati provengono dalle cave di /u/o calcareo delle falde di M. Pellegrino (R.r° Castellana), dalle cave di Bagheria, dalle argille di Ficarazzi {Cave Puleo, presso Acqua dei Corsari). Essi fanno parte delle collezioni del Museo geologico di Palermo e della collezione del Sig. Marchese di Monterosato. TAVOLA T. 112 M GEMMELLARO SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I Fig. 1. Dromia vulgaris M. Edw.— Dito mobile della < mano » destra. » 2. Dorippe lanata Bosc. — Dito. > 5-4. Ebalia Cranchi Leach, var. romana Rist.—Seudi. ob. » » Leach, var. romana Rist. —Frammento di addome. ni > 6. » > » » Opa: ». —Sendo ingran- dito. y IANET: » Pennanti Leach — Propodite. DINO. » » Leach — Propodite ingrandita. > 9-10. Calappa granulata Fabr. — Due dita mobili della « mano » destra. (Il Dattilopodite illustrato con la fig. 10 proviene dal Pliocene di Altavilla). » 11-12. Maja squinado Latr. — Frammenti di guscio. > 13-14. >» » . Latr., var. Di Stefanoi n. v.—-Frammento anteriore del guscio. » 15. Pesa Gibbsi Leach — Frammento del guscio. >» 16-17. Lambrus sp. --- Dito e frammento di carpopodite. >» 18. Xanto florida Leach — Propodite. » 19-20. Pelumnus cvillosus Risso — Chele. > 21. Erephia spinifrons Sav. — Dattilopodite della «< mano » destra. — » 22-23. Purtunus tuberculatus ‘Ronx—Chela con frammento di carpopodite. » 24-25. Atelecyclus rotundatus Ol. var. Checchiai n. v. — Guscio e detta» glio del margine laterale sinistro, ingrandito, >». 26. Gonoplaxconîr.rhombordes Desm.—Dito mobile della «mano» destra. » 27-28. Pachygrapsus marmoratus Stimps. — Chela destra. > 29-30. Gebia confr. stellata Leach — Propoditi. » 51-52. Callianassa subterranea Leach, var. dentata Rist. — Propoditi. » 33-34. larcharodon Rondeleti Mull. et Henle — Dente anteriore della mascella superiore, visto dai due lati. » Mill. et Henle — Denti laterali sinistri della mascella superiore, visti, il primo dal. lato esterno e il secondo dall'interno. U (96) 7 DI (er) % GEMMELLARO M. - CROSTACEI E PESCI DEL ‘PIANO SICILIANO,, DEI Tav. |. DINTORNI DI PALERMO. DE FOTOT. DITTA MARZARI - SCHIQ ba FPAVOLA IL 114 M. GEMMELLARO SPIEGAZIONE DELLA TaAvoLa II Fig. 1. Carcharodon Rondeleti Miill. et Henle — Dente laterale destro della mascella superiore, visto dal lato esterno. > 2-3. » » Miill. et Henle — Dente anteriore della mascella inferiore, visto dai due lati. SOCI » > Mill. et Henle — Denti laterali sinistri della ma- scella inferiore, visti, il primo dal lato interno ed il secondo dallo esterno. » 6 » 2 Miill. et Henle — Dente laterale posteriore de- stro della mascella inferiore, visto dal lato interno. >» T. Odontaspis acutissima Ag.—- Dente sinfisario. >» 8-11. » » Ag. — Deuti anteriori. (Il dente illustrato con la fig. 11 proviene dal Quaternario di Sciacca). » 12-14. » » Ag.— Denti laterali. » 15-17. > » Ag.— Denti posteriori. » 18-19. Oxyrhina Spallanzanii Bonap. — Dente anteriore della mascella in-. feriore (2* fila a sinistra) visto di fianco e dal lato interno. » 20-21. . > > Bonap. — Dente anteriore della mascella in- feriore (1° fila a destra) visto dai due lati. » 22. Notedanus griseus Gmelin sp. — Dente laterale destro della mascella i inferiore, visto dal lato interno. » 23-24. Raja clavata L. — Placca dermica vista di fianco e di sotto. » 20-27. Dentex confr. vulgaris Cuv. et Val. — Canini esterni. > 28-20. » » » » » » — Vertebre. » 81-39. Sargus vulgaris Geoffr. — Denti incisivi e denti molari. » 40-44. Chrgsophrys awata L. sp. — Dente canino e denti molari posteriori. > 45-48. > coeruleosticta Cuv. et Val. — Denti cavini. > 49-54. » sp. — Molari. GEMMELLARO M. - CROSTACEI E PESCI DEL “PIANO SICILIANO,, DREI Tav. Il. DINTORNI DI PALERMO. FOTOT. DITTA MARZARI - SCHIO Cavallette, loro invasioni e lotta contro di esse in Sicilia per T. DE STEFANI PEREZ OSSERVAZIONI FATTE DURANTE L'INVASIONE DELLA PROVINCIA DI PALERMO NEGLI ANNI 1910-1911 Quanto sto per dire intorno alle cavallette che da qualche anno (1906) a questa parte si resero moleste ad alcune campagne della Provincia di Palermo è il risultato di quelle osservazioni che mi è riuscito di fare negli anni 1910 e 1911. i Le cavallette, nome generico che abbraccia or questa or quella specie di Ortotteri o diverse insieme, che a periodiindeterminati costituiscono l’aggrega zione di numerosissimi individui, sono note da antico tempo, eppure alcuni particolari della loro vita e specialmente i rapporti loro con altri insetti, non sono ben conosciuti. Recentemente si sono fatte delle osservazioni interessan- tissime, ma ancora resta molto da scoprire. Quello che oggi pubblico non è che un incompleto capitolo della loro vita, ed io spero che altri voglia interessarsi a delncidare le incognite che tuttora esistono nella vita di questi comunissimi insetti e flagello dell’a- gricoltore, e richiamo specialmente poi. l’attenzione degli entomologi su alcuni parassiti del Doczostaurus maroccanus, l’acridide che ha costituito le bande delle cavallette nella Provincia di Palermo e che è la specie più temibile per i paesi meridionali d’Europa. Parassiti molestissimi a questi ortotteri ne sono stati segnalati diversi © le scoperte del Riley in America sull’Epicauta vittata sono di un altissimo interesse; il Runckel d’Herculais alla sna volta in Algeria, nell’Argentina ed anche in Francia, ha scoperto altri coleotteri e ditteri viventi a spese di ca- 118 T. DE STEFANI PEREZ vallette ed egli, nella sua grande opera (1) a pag. 366 del 1° volume, a pro- posito di questi parassiti e degli animali predatori dice, che l’avvenire ri- serva agli investigatori un buon campo d’osservazioni sull'opera degli necelli e su quella degli insetti distruttori di cavallette; ed invero. sni nemici dei danuosi ortotteri ancora vi è molto da fare. OA Prima di riferire le osservazioni da mo fatte su questi parassiti utilissimi, 7 ur: credo opportuno far precedere una breve relazione su l'andamento dell’inva- °° a sione delle cavallette, e in questa occasione accennerò anche alla lodevole © 1 azione spiegata dal Governo allo scopo di mettere un freno ai danneggiamenti csi (a dei malefici insetti. È SE o Infine, come appendice, riporterò le mie risposte al. questionario proposto sa dall'Istituto Internazionale di Agricoltura per una inchiesta internazionale sul- DE A la lotta contro le cavallette. LOG Palermo, Novembre 1912. LI Ù x ; ; 1% Ù 1 i r Troposto DE STEFANI PEREZ. 0 (1) Kinckel d’ Herculais. Invasions des Acridiens vulgo Sauterelles en. Algerie. Ouvrage pubbliè sur la demande des Minitres de l’Istruction publique et de l’Agriculture sous les auspices de M, Jules Cambon Gouvernur Gènèral de l’Algèrie. Alger 1893-1905. CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILTA 119 RELAZIONE SULL’INVASIONE Nel 1910 e nel 1911 il Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio mi incaricava di dirigere la lotta contro le cavallette che da alcuni anni si erano moltiplicate staordinariameute nella provincia di Palermo; oggi ringra zio il suddetto Ministero della fiducia accordatami e credo opportuno riferire le osservazioni che su questi insetti e su alcuni loro parassiti mi è riuscito di fare. La lotta è stata energicamente condotta con mezzi sufficienti approntati dal Governo, mercè i quali l'invasione potè essere arrestata in parte in mol- te località e non assurgere a causa di un vero disastro. Il territorio maggiormente invaso è stato quello del Circondario di Cefalù cioè, Petralia Soprana, Petralia Sottana, Polizzi Generosa, Geraci Siculo, Bom- pietro ed Alimena. Qui la moltiplicazione del Dociostanrus maroccanus abbracciò nna estensione di circa 4000 Ett. ein alcune località, come quelle specialmente di Petralia Sottana, il numero degli insetti fu di gran Innga superiore a quello dei territorii degli altri Comuni. Dai fianchi delle superbe Madonie, dal nndo loro versante meridionale, gli insetti divoravano i pascoli la di cui zolla era stata loro culla e scende- vano verso il basso, verso la ricca pianura coltivata, distruggendo i seminerii, le vigne, gli orti e le siepi; persino le ruvidissime e spinose foglie dell’ £ry%- gium campestre, della Carlina quiimifera, dello Scolimus esculentum ed altro piante selvagge sparivano stritolate dalle loro mandibole o venivano ridotte al solo scheletro. Chi non ha visto una di queste invasioni non può farsi un'idea del numero che compone gli eserciti delle cavallette e di quali danneggiamenti siano esse capaci. Questi insetti, nella loro marcia, non conoscono ostacolo; essi vanno sempre innanzi, superando i. burroni, attraversando le siepi e le strade, arrampicandosi e-sorpassando anco le mura: dei fabbricati e rovinando e distruggendo quanto incontrano sulla loro via. In queste invasioni ho visto le larvette nscire a milioni dal terreno, e quando, mercè i mezzi messi in opera per distruggerle, una data località si credeve purgata, l’indomani essa ne era coperta più di prima. Il sottosnolo era zeppo di ooteche e la schiusa non sincrona lasciava venire fuori ogni giorno nuove larvette che pareva non finissero mai. La moltiplicazione delle cavallette sulle coste occidentali della Sicilia è 120 T. DE STEFANI PEREZ stata di gran lunga inferiore a quella del circondario di Cefalù; così a Terra- sini, sulle coste marittime, dove gli insetti in quei terreni riarsi dal sole, aridi e arenosi schiusero sin dalla metà di marzo, poterono facilmente essere di- strutti, e l’unico parassita che colà ho trovato ai primi di giugno, era rappre- sentato in buon numero da una mosca, che ho anche AO comunissima nel Circondario di Cefalù. Un particolare deguo di nota, relativo a questo dittero in quella località, mi sembra quello della sua piccolezza, mentre esso, che sui versanti delle Madonie, ove comparve nella secondaquindicina di giugno, è molto più robusto di quello di Terrasini. La differenza di dimenzione, tra gli itidividui delle due località, è tale che si stenta a credere essere in presenza della stessa specie. Questo dittero lo si ritrova spesso in grande quantità nei siti frequentati dal Dociostanrus in parola ed è certamente l’agente più attivo destinato a ridurre questa cavalletta e forse anche altri acridii ed altri ortotteri. Altri parassiti ho trovato sulle pendici delle Madonie a seguire gli stormi del Dociostanurus maroccanus; fra essi sono molto importanti due coleotteri, un Cleridae cioè ed un Meloidae di cui dirò più avanti. I metodi, messi in opera per osteggiare gli eserciti distruttori, furono quelli che le località ‘consentivano; si trattava di operare in terreni molto accidentati, frastagliati da profondi burroni, da rocce, sparsi di ciottoli, tra avvallamenti e colline, fra ripidi pendii e rari piani coperti di spine. In queste condizioni non era possibile l’impiego del così dettò sistema Cipriotto o di qualcuna delle sue modificazioni, non era neanco il caso di pensare ai rulli o alle reti striscianti del Corsi; gli uni non avrebbero potu- to ruzzolare, le altre avrebbero raccolto spine e pietre stancando poi gli ope- rai; non ho fatto uso delle reti a mano, che in queste grandi caccie disimpe- gnano nn lavoro troppo limitato; esse saranno utilissime per l’entomologo col- lezionista, ma di nessun valore per raccogliere i miliardi di cavallette delle grandi invasioni; altri sistemi non ho creduto pratici, e assolutamente inutili Je lampade svedesi di cui il vento, tanto per accennare uno dei loro difetti, devia la fiamma. i Di sostanze insetticide non ho fatto uso, perchè il trasporto della quan- itità di liquido bisognevole in località montagnose, discoste dall’abitato me le hanno fatto escludere. Pressato però dai reclami degli interessati ho solo adope- rato, in alcune delle località di più facile accesso e dove le larve o le ninfe erano grandemente accumulate, una miscela di ?[, di Benzina ed ‘], di Petrolio, e ciò CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA Pascolo invaso dalle cavallette 122 T. DE STWFANI PEREZ allo scopo di servirmene come sostanza infiammabile e non come. insetticida . diretto; tale preparato, a mezzo di innaffiatci di latta, come quelli usati dai giardinieri e appena capaci di quattro o cinque litri (per non rendere il recipiente inolto pesante), seniva da due operai, sotto la sorveglianza di nn capo, con prestezza sparso sulle agglomerazioni delle cavallette ed appena vuotato l’innaffiatoio, essi rapidamente si allontanavano, mentre il capo operaio gettava un fiammifero acceso sul liquido sparso che accendendo di un subi-. to e producendo nna forte detonazione, lasciava sul campo una ecatombe di cavallette. Il metodo è certamente efficacissimo, ma non scevro di pericoli, come è anche grande il consumo di liquido, ed io non saprei consigliarlo che nei casi delle giovani larvette che si tengono riunite a gruppi, o in quelli in cui anche le ninfe formano degli enormi attruppamenti compatti come nell’invasione odierna di Polizzi Generosa ed in molte località di petralia Sottana; nelterri- torio di quest’ultimo Comune è stata molto caratteristica la località di Pranoi}. qui le cavallette erano talmente fitte che in tre o quattro ettare, non restava scoperto due dita di terreno. i Nella lotta contro questi insetti, fra tutti i metodi sino ad oggi praticati, ho dovuto convincermi che i migliori ed i più economici ad un tempo sono due, cioè, la distruzione delle nova fatta in autunno e in primavera e l’impiego - dell» note tende per la raccolta degli insetti. Il primo di questi due metodi ha molto valore per la riduzione della schiusa in quantochè, accertati e segnalati i depositi delle nova, queste si possono raccogliere e distruggere comodamente e senza fretta, e sebbene non tutte possono essere distrutte, sia perchè depositate in terreni non dissodabili, sia perchè sfuggite alla ricerca, pure il vantaggio che se ne ottiene è gran- dissimo venendo a diminuire enormemente il numero degli insetti nella pros-- sima stagione. Un tal metodo, può praticarsi nell’antunno, inverno e primavera; nel primo caso non è neanco necessaria la raccolta e distruzione delle nova, bastando - la loro semplice rimozione a farli morire; così, con una semplice e superfi-- cialissima zappettatura o aratura del terreno. a 4 o 5 Cent., messe le ooteche allo scoperto, non un uovo giungerà a maturità, ed il lavoro si rende molto economico; nel secondo caso. cioè nella rimozione del terreno in primavera, è > necessario invece che le ooteche vengano raccolte, perchò allora le nova avranno compito il loro ciclo di sviluppo e con lo esporle al sole non si. farebbe altro che affrettarne la schinsa. CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESS® IN SICILIA 123 Tale sistema distruttivo però, allorchè si tratta di grandi invasioni, richiede una forte spesa, ed in pratica esso potrebbe essere dissimpegnato con miglior profitto dai proprietari e dagli agricoltori, tanto nell’interesse proprio che generale, sia mettendo a cultura i ger?/, sia sconvolgendo semplicemente gli spezzoni di terreno inquinati dalle uova; il lavoro così verrebbe diviso e sarebbe molto pratico. Il metodo della raccolta degli insetti a mezzo delle tende lo credo il più efficace e pratico di tmti; si tratti di piccole o di grandi invasioni, un tal si- stema è l’unico che dà degli eccellenti risultati. Alle tende da me adoperate, ho dato le dimensioni di metri 6X4,50 o 6X5; più piccole rendono minor servizio, più grandi divengono ingobranti; queste tende, di tela bianca e resistent», portano nel centro un buco da 30 a 36 cent. circa di diametro ed al bordo del quale è encito quello di un sac- co, (ottimi i sacchi così detti da zucchero); il fondo di questo sacco ceve potersi aprire e chiudere a mezzo di uno spago. Con tale sistema, nelle invasioni del 1910 e del 1911, nei territori di Pe- tralia Sottana e di Petralia Soprana, ogni tenda catturava da cinque ad otto quin- tali al giorno di larve o di ninfe. Questo metodo permette anche la cattura degli insetti adulti purchè se ne faccia uso in date ore del giorno e prima che gli insetti abbiano deposto le nova; le ore più propizie sono quelle della mattina dalle quattro alle nove e la sera dalle 16'/, alle 19‘'/; nelle ore più calde della giornata invece non si catturerebbe una cavalletta, esse fuggirebbero a volo. Di adulti, nelle poche ore di lavoro se ne catturavano cinque quintali in una giornata, cioè 10 sacchi da 2.; Kg. ognuno in media per ogni tenda. Or se si considera il numero di insetti distrutti in tal modo, non vi è chi possa disconoscere il valore' grandissimo della raccolta delle cavallette fatta a mezzo delle tende. A maggiormente convincere coloro che verso un tal sistema di caccia potrebbero avere dei dubbi io presento loro il segueute calcolo: In un grammo di cavallette della prima età, ne vanno in media 75, in «un Chilg. quindi 75000, in un quintale 7.100.000 in cinque quintali l'enorme cifra di 37.500.000. :; Questo stesso calcolo potrebbe anche farsi per le ninfe di cui in un chi- logrammo entrano da metà ad nn terzo di questo numero, a seconda il loro sviluppo. In quanto agli insetti adulti di Doczost. maroccanus si comprendono in uu 124 T. DE STEFANI PEREZ fx Kg. da 900 a 1500 insetti. e snpponendo che i dne sessi fossero in egnal aumero, avremo che ben 300 mila femmine venivano in inedia distrutte da una tenda, e queste, potendo deporre ognuna 80 uova in media, avremo 24 milioni. di uova distrutte, È Un tal risultato invoglia certamente ad usare un metodo sin’oggi stato creduto di poco o quasi nessun valore; pur nondimeno tale credenza non merita censura se si riflette che da moltissimi anni in Italia non ‘si avevano, avuto grandi moltiplicazioni di cavallette, e quando manca la pratica si fa sfoggio di teoria. po La raccolta degli insetti adulti a mezzo delle tende è anche da impiegarsi, con molto profitto nei casi di emigrazioni, mentre le cavallette, come dirò più. “innanzi, non emigrano in cerca di nuovi pascoli, ma in cerca invece di nuovi terreni dove deporre le uova; allora, nei primi dne giorni che esse si sono stabilite nella nuova dimora, e non hanno cominciato la deposizione o l’hanno appena iniziata, il dar loro la caccia riesce di grandissima utilità, quindi non è esatto sospendere i lavori di distruzione appena gli insetti hanno messo le ‘ ali ed hanno cominciato i loro voli. Il numero regolamentare di operai assegnato da me per ogni tenda era di 15 cioè, 12 tra donne e ragazzi, due operai adulti per cavare i fossati dove seppellire gli insetti raccolti e per trasportare il sacco ripieno di essi ed nun sorvegliante capo operaio; la mercede corrisposta loro era: donne e ragaz- zi L. 1,25 al giorno, ai due nomini L. 2 o 2,50, al sorvegliante L. 3: in media quindi gli operai di una tenda, venivano a costare L. 22,25 al giorno; con la qual piccola somma si distruggeva un grande numero di insetti. Questi operai dovevano recarsi sul lavoro alle sei del mattino e continuare sino alle nove, dalle nove alle dieci si dava loro un'ora di riposo, quindi si ritornava a lavorare sino a mezzogiorno; allora era accordato un altro riposo di due ore; alle due si ricominciava continuando la raccolta degli insetti sino a sera se gli operai potevano dormire sulle località, se no sisospendeva alle sei per dar loro il tempo di giungere al paese prima che abbuiasse. Un calcolo, che dia una media sicura delle ooteche che possono racco- gliersi in una giornata, uonè facile farlo, dipendendo esso da diversi fattori;. così, se un terreno è più o meno tenace e secco, se sizappetta dopole piogge, se è povero o ricco di ooteche ecc. se ne possonc raccogliere molte o poche;. in media, dne zappatori (a L. 2 al giorno) e 10 raccoglitori, donne o ragazzi (a L. 1,25), che vengono dietro, possono raccogliere da 15 a 25 Kg. di ooteche;- or sapendosi che in un grammo, in media, entrano da uno e mezzo a due- 7 A CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 125 Gruppo di ooteche di un grande deposito di uova 12€ T. DE STEFANI PEREZ astucci, e che ogni astuccio contiene circa 40 uova, attenendoci alla cifra’ minore, avremo che raccogliendo un chilogramma di ooteche; si sono distrutte 60.000 nova cioè 900.000 pér.15 chilogrammi e 1.500.000 per 25 chilogrammi. È questo un risultato che nella distruzione delle cavallette bisoona tenere in grandissimo conto. Nelle piccole invasioni la vittoria si ottiene facilmente, specialmente se queste si avverano in pianura o in terreni poco accidentati; ma allorquando si tratta di abbracciare un vasto territorio in terreni di montagna, interrotti da rocce e da burroni, allorquando dagli spezzoni incoltivabili sparsi tra i terreni messi a cultura, tra le vigne ed altri beneficati, le cavallette compa- riscono a centinaia di milioni, oh allora la bisogna va ben altrimenti! Che tutti questi metodi di lotta rinscissero poi a debellare completamente 3 i dannosi insetti non è possibile; la quantità di nova e di cavallette che sfug- gono alla distruzione è rilevante, ma questi metodi valgono molto a mettere un serio limite al loro numero che diversamente non frenato tutto farebbe sparire dalla campagna. La distruzione degli insetti può ottenersi dalla natura solamente a mezzo dei numerosi parassiti che ad un dato momento li investono tanto allo stato di novo che di insetto; allora le cavallette, per questi loro potenti nemici, scompariscono per un lungo periodo di anni. E così fortunatamente pare che stia per succedere alle cavallette del Circondario di Cefalù, dove il Dociostfaurus maroccanus è già invaso da più specie di mosche e da aleuni coleotteri che ne distruggono le nova, da un piccolo imenottero e da un verme che attaccano gli adulti. Quest'anno, nella Provincia di Cagliari, ove l’invasione delle cavallette apparve rilevantissima, non ebbero a verificarsi dei danni perchè questi insetti ‘erano per la maggior parte parassitizzati. La lotta naturale rimette l’equilibrio. Una delle ragioni, anzi la principalissima, per cni le cavallette hanno ‘potuto moltiplicarsi in così straordinario numero nel circondario di Cefalù, sta nel fatto che i numerosi terreni delle scoscese pendici orientali delle Mado- nie sono sottoposti al vincolo forestale: Quì, dove non è permessa la coltiva- zione per timore delle frane, facilmente ad avvenire per lo scioglersi delle nevi delle montagne che le sovrastano, dove quindi il terreno non viene mai ri- mosso, gli insetti trovano la necessaria tranquillità alla loro riproduzione; es- si affidano a quei terreni le loro uova sicuri che nessuno verrà a rimnoverli dal sito dove sono state deposte. me creo Cala di CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 127 Un'altra ragione che milita in favore di questa grande moltiplicazione è quella del carattere del nostro agricoltore, del nostro campagnuolo; egli non ‘osserva, non prevede, non si allarma se non quando il male lo colpisce di- rettamente; egli inoltre, spera e conta su gli altri, mai sulle proprie forze e così non si muove, non si prepapara una difesa, non lotta, ma grida ed invo- ca aiuti sempre quando il m:le lo ha di già colpito e spesso anche quando non c'è più rimedio. Un fatto caratteristico a questo proposito mi è occorso a Petralia Sotta- na: mentre si esortavano aleuni contadini a prestar l’opera loro, due di essi, con la massima indifferenza, risposero che i loro seminerii erano al piano molto lungi dal campo di azione delle cavallette, che’ queste non avrebbero potuto danneggiarli e che per tanto non intendevano dare nessuna prestazione d’opera. Ma più tardi le cavallette giunsero al piano ed un bel giorno i lore campi furono devastati. ; A non poter frenare interamente poi la moltiplicazione del Z/ciosfauras maroccanus sulle pendici delle Madonie, contribuirono grandemente le condi- zioni climatiche dell’ultima primavera; il mese di maggio del 1911 fu molto anormale, piovigginoso e fresco, ed alle Madonie, a 1000 e 1500 metri, anche freddo; la bassa temperatura, assolutamente insolita di tale mese, fece si che colà la natura si risvegliasse con ritardo, la schinsa non avvenne regolarmente e nell'ordine in cuni avrebbe dovuto seguire a seconda la progressione con cui le uova erano state deposte. Intanto, per lo elevarsi più tardi della temperatura, fra gli ultimi di maggio e primi di giugno, essa si verificò quasi in unica volta, in pochissimi giorni in tutte quelle località, estendendosi per un corso di circa 40 chilo= metri, il terreno formicolò di larvette. Fronteggiare quel numero grandissimo di insetti, in terreni molto acci- dentati, per mna estensione vasta, non era la cosa più facile di questo mondo, nè della mano d’opera necessaria; in momenti in cuni i lavori di cam- pagna si accavallavano, poteva facilnente farsi incetta e le cavallette quindi poterono in diverse località recare gravi danni. Sebbene le misure adottate fossero state di grande utilità, avendo per esse potuto mettere un limite alle innumeri falangi, pure non poche cavallette poterono raggiungere lo stato adulto ed emigrare. Da queste ragioni si comprende facilmente che se da una parte le me- teore poterono riuscire di aiuto agli insetti, da un altro lato l’ignavia umana contribuì grandemente a proteggerli, e la legge votata recentemente dalla 128 T. DE STEFANI PEREZ Camera dei Deputati italiani varrà forse a spronare gli agricoltori a non re- stare neghittosi e vittime passive innanzi al flagello delle cavallette. MOLTIPLICAZIONE DI ALTRI ORTOTTERI IN SICILIA Da quattro anni a questa parte, oltre a una grande moltiplicazione del Dociostanrus maroccanus, altre specie di ortotteri hanno avuto un grande au- mento; tra questi un altro acridide, il Calipfamus italicus, che comparso a -stagione più avanzata del suò confratello, si è notato in diverse campagne del territorio di Monreale; esso però non ha costituito delle grandi bande, anzi nel 1911 diminnì grandemente. Le uova di questa specie erano invase dalla Cyihkerea obscura ed è forse dovuto a questo dittero la riduzione del loro numero. Nel gruppo delle locnstidi, il formoso Decficus albifrons (F) ha avuto grande sviluppo in tutta l’isola; io l’ho osservato comune nel territorio di Monte- maggiore Belsito, dove arrecò qualche danno ai covoni sparsi per i campi negli ex fendi Contessa e Vacco. Una maggiore moltiplicazione di esso si è avuta nel territorio di Cor- leone dove l’ho trovato in ex fendo Becchinello, Rnbina, Casale, S. Gandolfo, -weno comune nelle contrade di Mazza diana, Frattina, Aranci, Magione e Donna Beatrice. In alcune di queste località, oltre al grano legato in covoni e lasciato ad asciugare sui campi, fu danneggiata qualche vigna. L’ho trovato anche comune nel territorio di Caccamo, in qualche località della Provincia di Trapani e di Palermo, non che in quella di Caltanissetta; ma dovunque non ha costituito dei grandi aggruppamenti, nè conosco esempii in cui questa specie abbia formato le spaventose riunioni di alcuni ne: le falangi innumere delle cavallette. È questo un ortottero molto caratteristico che per i suoi costumi può, qualche volta, rinscire anche utile perchè, sebbene mangii grani, pure è un potente acridofago. Abita inoltre, in modo speciale, le località più aride © coperte di spine ed è anche strano nei suoi gusti. Riporto sul proposito la seguente osservazione che ho fatto parecchie volte: In luglio e in agosto, per le strade mulattiere ed i viottoli ed anche tra le ristoppie dei grani già falciati, ho sorpreso il Decticus albifrons riunito in numerosi individui tutti intenti a succhiare avidamente sullo sterco fresco degli animali equini; forse l’arsura estiva, la secchezza del luogo, la mancanza di piante verdi ad esso gradite lo ESSE IN SICILIA 12 «vue di grano /tealforte guaste o distrutte di lie ci vallette Cavallette intente a divorare alenne spigle di gra. o 189 T. DE STEFANI PEREZ spingono a dissetarsi con l’umore di quelle deiezioni. Che questi ortotteri, pur vivendo in località aride e in campi riarsi dal sole, amano la frescura e ricer-. cano l’umidità è provato dal fatto che moltissimi se mne incontrano nei. siti acquitrinosi e lungo le basse siepi dei campi. Oltre queste specie hanno avuto un certo aumento / Ephippigera rugosi collis (Ramb.) e la acocleis annulata (Fieb.) locustidi queste poco temibili perchè essendo attere non possono espletare le loro molestie che in una zona molto limitata: pur nondimeno, sebbene abbiano costumi anche carnivori posso-- no rinscire di molta molestia al grano detto 727 che, essendo l’ultimo ad essere falciato, è l’unica oasi un poco succolenta che resta tra i vasti campi di grano già mietuto, tra le ristoppie riarse dal sole. Ho voluto accennare all’aumentata moltiplicazione di queste specie tanto. perchè gli agricoltori le tenessero di mira come membri di una famiglia quasi sempre dannosa, quanto perchè essi si formassero un giusto concetto dell’au- mento di alcune specie che non sono sempre al caso dal raggiungere gli attruppa menti degli acridii. NOTIZIE GENERALI SU QUESTI PARASSITI e Zonabri (Mylabri) vartabilis (Pallas) var. lacera (Hù). La larva di que- sta meloide che ho riscontrato numerosissima dentro i cannelli del Docrosfaz- rus maroccanus è molto attiva nel distruggere le nova di cui ingerisce tanto. la teca che il suo contenuto. Di già, per averlo osservato il Kiinckel d’Hercnlais, è noto che un’altra specie, la Z. Schrerberi (Reiche), (quest'altra specie si trova anche in Sicilia (1) (1) In Sicilia si trovano ancora altre Zorabris come la Z. impressa (Chevr.) e la sua va- rietà sH/lata (Baudi), Ragusae (Pic), la Z.4—punetata (L.), la Z. 10—punetata (F) (nec Oliv.), la Z. distincta (Chevr) e la sua varietà Sicula (Baudi), e tra le varietà della Z. variabilis oltre la Zacera, vi si trova anche la var. mutabilts (Mars) che probabilmente tutte vivranno a spese di ortotteri. Queste meloidi adunque hanno per noi una grandissima importanza perchè, come paras- -atti di insetti dannosissimi quali sono gli ortotteri in genere ed aleune specie in particolare, son degni della più alta considerazione. A giudicare dall’immenso numero delle loro larve che io ho trovato nelle ooteche del Dociostanrus maroccanus, son convinto che questi insetti contribuiscono grandemente alla scomparsa delle cavallette distruggendo un grande numero di uova; in centinaia di ooteche che a diverse riprese ho esaminato in tutto l’inverno, la maggior parte l’ho trovato abitate dalle loro larve. URP LAST ECONO o CAVALLETTE, LOR» INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 131 vive a spese delle uova di cavallette in Algeria (£wncke/ d’Herculais. Les Coleoptères parasites des Acritiens. Les metamorphoses des Mylabres 1890) e lo stesso Kiinckel ha osservato in Francia la Zorabris variabilis in numero straordinario seguire il Calzptamus italicus nella sua marcia (1), il du Buysson ancora in Francia, ha trovato anche egli la Zon. variabilis a frequentare certe località dove formicolavano il Packytlus nigrofasciatus (Degeer), l Oedipoda coerulescens (L), il Caliptamus italicus (L), il Gomphocerus rufus (L) e diverse | specie di Stenobothrus (2); cosicchè ha supposto che anche le larve di questo vescicante si attaccassero alle uova di queste cavallette. Che le Zozabris (Harold) o My/abris (Fabr.) vivessero a spese degli ortot- teri l'aveva già supposto il Gorritz, anche il Professore Riley e il Dott. Beau- regard hanno presunto lo stesso; ma l’accertamento è dovuto al Kiinkel d’Her- . culais (3) che ha trovato le l:rve della Mylabris Schreibersi nelle ooteche degli Acridii e specialmente in quelle di Docrosfaurus maroccanus. Io, all’epoca della mia scoperta, nei cannelli di Docrostaurus marocca- nus non ho rinvenuto che la larva della Zozabris (Mylabris) variabilis var lacera sotto la forma scaraboide, in luglio poi ottenni, in schiavitù, numerosi insetti perfetti e numerosissimi ne riscontrai in libertà. Il 17 agosto 1911 in ex feudo Canna, in vicinanza del bosco Dragonara sulle Madonie, e precisamente nella località intesa Prraina Trasusu, potei sorprendere diverse femmine di questa Zonabris intenti a deporre le nova. Il lavoro che disinpegnano attivamente questi insetti, per mettere al sicuro la loro portata, consiste nello scavare con le mandibole il terreno in vicinanza dei nidi di Doczostaurus maroccanus. Il bucolino che al proposito essi tracciano è rotondo, perpendicolare al suolo, profondo circa 2 cent. e largo 6 uill. Appena ultimato il lavoro, l’insetto esce dal cunicolo e vi rientra a rincue lone fino a raggiungere il fondo 6 vi resta con la testa appena a livello dele l’apertura del buco. Comincia allora l’atto della deposizione che dura circa una mezz'ora, in tale funzione l’insetto è agitato da un tremolio incessante causato dallo sforzo nell’emettere le uova. Appena un certo numero di queste è stato deposto, l’insettuccio si tira in (1) Xiinckel d' Herculars — Causes naturelles de l’extinction des invasions de sauterelles. Role du Milabrys variabilis et de l’Entomopbthora grylli en France 1901-902. : (2) R. du Buysson-Sur la ponte du Mylabris variabilis (Poll.) (Bull. d. 1. Soc, Entom de _ France 1902. (3) Kiinckel d’Herculais. Les Acridiens et leurs invasions en Algerie 1889. 132 T. DE STEFANI FEREZ sn venendo a sporgere fuori col torace e un po’ anche con le elitre; allora con le mandibole e conle zampine anteriori tira a sè e caccia nel buco parte. dei detriti di terra che aveva estratto, e a mezzo di un movimento singolare. pressa con l’estremità dell'addome questo terriccio sulle uova; poco dopo rico- mincia ad avere il solito tremolio, segno certo che ha iniziato l'emissione di altre uova; dopo poco si ripete l'operazione di interramento che dura finchè il buco non venga completamente ricoperto non lasciando di esso, assoluta- mente, alcuna traccia all’esterno perchè vi accumula sopra, oltre al terriccio che continua a pressare con l’estremità dell'addome e con le zampe posteriori,. pietruzze e detriti di erbe secche che strappa a qualche piantina circostante e trasporta con le mandibole sul nido. 3 Espletato tntto il lavoro, che tra l’aprire il cunicolo e poi richinderlo, dopo la deposizione, ha la durata di circa un'ora, l’insettuccio fa un po? di toletta col ripassare le zampine anteriori sulle elitre e togliervi le bricciole terrose che vi si sono attaccate, quindi fa scorrere queste zampine per pulirle tra le mandibole e finalmente si invola abbandonando alla sorte la sua progenie. Le particelle terrose, le pietruzze, i detriti di piantine che l’insetto cac- cia dentro il suo uido, come ho detto, sono tirate dalle mandibole e dalle zampine anteriori, queste in tale operazione, hanno i tarsi e le tibie piegate in dentro quasi ad angolo retto così da formare un piccolo rastrello, allo sco- po certamente di potere raccogliere una maggiore quantità di materiale da mandare giù nel nido. La schiusa delle larvette avviene esattamente dopo 30 giorni, esse vengono fnori dall’uovo urtando col dorso le pareti della teca, questa si fende longitudi- nalmente lasciando libero il varco all’insetto; questo giace dentro l’uovo piegato ventralmente in modo che la sua testa è a livello dell’estremità dello addome. Le larvette, appena uscite sono vivacissime, la loro vivacità aumenta appena si sono asciuttate un poco ed allora con rapidità si aggirano pel terreno. SERIA questa prima forma di larva nelle Meloidi ne succede una seconda, detta scaraboide, la quale ad un dato momento acquista una forma speciale, subisce cioè come un incisvamento in cui, sotto date condizioni, perdura più o meno a lungo; per quest'altra forma credo di dovere adottare l’espressione di larva ipnotica e non di psendocrisalide perchè, come dimostra il Kiinckel d’Hercu- lais, da tale forma non si ha la crisalide e quindi l’insetto perfetto, ma invece da essa si ottiene la stessa larva che tale forma aveva precesso (1); in_ altri termini, la larva ad un dato momento, viene a trovarsi dentro un invo- (1) Kiinckel d’Herculais-Observations sur l’hypermètamorphose ou hyprodie chez les Can- tharidiens. La phase dite de pendo-chrysalide, considèròe comme phénomène d’enkystement,1894 CAVALLELTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 133 lucro dove può attraversare un tempo più o meno lungo in riposo, senza nutrirsi, così che questo stato deve considerarsi come un incistamento, uno stato di sonno che l’inselto acquista quando le condizioni favorevoli alla sua esistenza veugono a mancargli (1). Così mi pare più esatta l’espressione usata (1) Perrier Ed. - Praité de Zioologie, 1893. e proposta dal Kiinckel d’Herculais di ‘prodia, cioè di assopimento perchè esprime /idelment l’idee dun eire qui sommetlle dans une loge, dans un ètui. In tal modo lo sviluppo tegùmentario che racchiude la larva in riposo, la quale invero non subisce nessun cambiamento organico, si dirà ipnoteca e ipnodia lo stato di sonnolenza dell’insetto. In questi insetti adunque non esiste una vera ipermatomorfose e dall’ipnoteca non si ottiene che una larva in tutto simile a quella che si è addormentata. Le Zonabris, come si vede, nel modo di vivere somigliano molto alle Me loidae americane e disimpegnano tra noi lo stesso ufficio che l’Epicauta vittata nelle nova del Caloptenus spretus è Cal. differentialis in America. Per quanto si siferisce alla forma ipnotica della Zorabris devo aggiun- gere, che queste larve io l'ho rinvenuto dentro e fuori le ooteche degli ortot- tori, immobili, con la testa adagiata sullo sterno, con le parti orali poco svi- luppate, con le antenne appena accennate, i piedi piccolissimi, quasi tnber= coliformi; il loro corpo giallo-arancio abbreviato e meno turgido e meno in- curvato vetralmente della forma scaradoide. In dicembre ho trovato queste larve costantemente sotto tale forma e iu numero veramente enorme nei depositi di nova nel territorio di Petralia Sottana, in quei terreni poi, dove la deposizione delle nova era stata povera, come in ex fendo Xirene, Donalegge, Serre di Terrerosse e in qualche altra località, di queste larve ipnotiche se ne trovavano un grande numero in vicinanza delle sparse ooteche. Alcune di queste larve ipnotiche che ho tenuto in schia- vitù, nei primi di aprile, rompendo longitudinalmente sul dorso il loro invo- — Imero, sono comparsi allo stato di larva scaraboide. ; 5 MaProccanus fed (56) rsa T. DE STEFANI PEREZ Trichodes ammios (Rabr) var. flavicornis (Germ.) Questa specie di C/eridae che ho trovato esclusivamente dentro i cannelli delle nova di Diciosfanrus maroccanus, dentro ai quali compie tutte le sue trasformazioni, è il parassita meno comune che ho rinvenuto, ma con ciò mon intendo dire che vi era raro, tutt'altro, esso era meno comune del parassita. precedente, ma sempre in buon numero. In luglio, nei siti frequentati dal Dociostaurus in parola, colà dove l’acridio ha dimorato diversi auni, ho osser- vato centinaia di questi 7//ckodes aggirarsi sui fiori porporini della Cerfanrea calcitrapa e su quelli gialli della Cer. Schamo, o su quelli di Zryrgium cam- pestre, anche un buon numero ne ho ottenuto nello stesso mese dai cannelli portati a casa, ed ho dovuto osservare che i dne sessi, poco dopo essersi cambiati in insetto perfetto, appena incontrati, si accoppiano e in quest’atto persistono un paio d’ore. Ho anche osservato, tanto negli esemplari in schiavitù, quanto in quelli incontrati in libertà, che le macchie colorate, che leggiadramente adornano le loro elitre, in non pochi esemplari, anzicchè rosse, compariscono gialle, e questo colore, che in alcuni si cambiava in rosso dopo due otre giorni, in altri permaneva più a lungo, per circa una settimana, e ciò anche negli esem- plari uccisi. Questa abberrazione che si incontra anche in individui in ac- coppiamento, finisce sempre con lo scomparire divenendo del colore rosso normale. Altre specie di questi leggiadri coleotteri è saputo che sono parassiti di diversi imenotteri: il Trichodes apiarius (L) vive a spese dell’ape domestica, il Trich. alvearius (F) nei nidi di Osmia, Megachile e Anthophora, il Trich. octo- punctatus(F) nei nidi di Chalicodoma rufescens (Licht.), ed altre specie del genere condurranno simile vita parassitaria; che questi coleotteri, o almeno il Zric.ammios, fossero parassiti di insetti non melliferi, ci era stato segnalato, come rinveuuto nei cannelli delle nova di una cavalletta, dal Sig. la Paz Graelles, dal Lichtenstein nella sua comunicazione fatta alla Socièfé entomolo- giqae de France (1); questa, sino ad ora, la sola notizia che si aveva su simile parassitismo dei 7rzckodes. Ritengo pertanto, che l’odierna mia osservazione non sia priva di un qual- che interesse, tanto perchè viene a confermarsi l'osservazione del Graelles, (1) Bull. Entom. (Sèance du 22 Aout 1883, p. XOVII). — i AA Ae 64 o en I 7 "IC" i 1 CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 135 quanto perchè viene acquisito positivamente alla Scienza un fatto interessan- tissimo nella storia del Dociostanrus maroccanus e in quello del 7richodes am- mios. CYTHEREA (MULIO) OBSCURA (F). Questo dittero £owmbili@ae, il predatore più attivo e più numeroso delle nova di Dociosfauras maroccanus, mi è stato determinato dall’IIl. Prof. M. Bezzi al quale porgo i miei più vivi ringraziamenti; egli mi scriveva trattarsi di una specie della quale si sconosceva la biologia, e per tanto girò di essa quel poco che ho potuto conoscere. Alcuni individui «i questa mosca mostransi molto precocemente nelle lo- calità frequentate da ortotteri cioè. in quelle incolte, lungo i viottoli ecc. è prima che fosse iniziata la deposizione delle nova del Dociostaurus maroc- canus. Questo fatto potrebbe interpetrarsi in due m»di, uno supponendo che questo dittero istintivamente frequenta quelle località generalmente prescelte da alenni ortotteri per la prolificazione, l’altro che questa mosca, oltre del Ooteche di Locioslanrus maroccanus molto ingrandite: in 4 visibile una larva di CyMherea, in d i resti tecali delle uova che la larva parassita ha ingerito. 136 È T. DE STEFANI PEREZ Dociostaurus in parola, possa vivere anche a spese. di altri acridii; ciò me, lo fa credere il fatto di averla incontrata in siti dove non si trova il Doc. maroccanus e dove era scarsissimo il Calptamus italicus; la ho visto aggirarsi da luglio sino alla fine di settembre lungo i viottoli, volare di fiore in fiore in siti incolti e selvaggi e dove non si trovava che rarissimo lo Stezobo/krus rufipes (Zett.) Le ooteche del Doc. maroccanus, raccolte nei mesi invernali nelle bassure «delle Madonie, sono infestate dalle larve della Zonabris e da quelle di questa mosca, gli astucci si trovano bucati ora all’opercolo, più spesso sui lati, mol- tissimi sono vuoti e solo contengono i detriti tecali delle nova che le larve hanno ingerito. Mentre il terreno, bagnato dalle pioggie invernali, è umido e morbido è possibile alle larve del dittero di lInocomuoversi, così che vuotato un astuccio possono passare in un altro accanto, ciò però può solo succedere dove si tro- vano grandi agglomerazioni di ooteche di ortotteri, mentre per la sua strut- tura la larva non potrebbe fare un lungo cammino. Forse questa è la ragione perchè in siti dove non si trovano accnmoli di ooteche sono rare le mosche, le quali, vuotato un cannello, non ne possono raggiungere un altro a distanza. In estate, nelle ooteche, si trovano pochissime larve adulte, il grande numero invece si rinviene nicchiato nel terreno a poca distanza da quelle; ciò mi pare vale a confermare il fatto della difficile locomozione di queste larve che sorprese dai calori estivi che hanno indurito il suolo, non possono più attraversarlo e restano immobili là dove erano giunte, attendendo all’ulteriore loro trasfor- mazione o traversando allo stato letargico il resto della stagione. La ninfa di questa mosca, prossima a cambiarsi in insetto perfetto, con movimenti di impulsione laterali che imprime allo addome e per la speciale struttura di tutto il suo tegumento, del quale dirò nella breve descrizione morfologica di essa, abbandona ia sua nicchia e spostando il leggiero strato terroso che la ricopre, si avvicina alla superficie del suolo e viene, per circa la metà del corpo, in piena luce; allora la sua spoglia si rowpe sul dorso del torace e sulla testa e la mosca ne vien fuori. Per liberarsi della spoglia ninfale, appena uscite le prime zampine, si aiuta come può con queste appun- tandole sul terreno, e quando ha messo fuori tutto il corpo, per rinforzare le sue diverse parti, si arrampcea su una pietruzza o sullo stelo di una piantina o sopra una qualunque elevazione vicina e dopo pochi minnti si invola rapidamente. T. DE STEFANI PEREZ 157 I PARASSITI UN PO’ DI STORIA Il Procuratore generale, Paolo Zanghì, che nel 1832 fu dal Governo delle due Sicilie incaricato dell’estirpazione delle cavallette che in quell’epoca infe- stavano la Sicilia, nel primo volume delle sue opere diverse (1) a pag. 111, a (1) Zanghì Paolo - opere diverse (Sec. Ediz.) VOL. I. 1840 Messina. a proposito delle uova di questi ortotteri scrive: ....... Un lombrico sinanco sotterra, come io ho osservato, si introduce nel guscio per mezzo di un piccolo buco che vi forma e si ciba delle nova che vi sono racchiuse. Questo animaletto delude tutte le cure delle cavallette ado- perate per chiudere l’astuccio e preservarlo da qualunque disastro o nocu- mento. ,, Salvo la determinazione dell'animale, l'osservazione dello Zanghì è esatta, il parassita però invece di essere un lombrico, un verme di terra, deve essere stato la larva di qualche insetto che introducendosi nei cannelli delle uova si nutriva del loro contenuto. Quando ho letto tale brano dello Zanghì confesso che quel lombrico nei cannelli (ooteche) (2) delle cavallette non mi persuase punto perchè, met- (2) (anche sacchi, astucci, gusci ditali, involueri, ovaie). tendo in raffronto l’ambiente dove vivono questi insetti, che è quello umido e grasso, con l’altro preferito dalle cavallette, che è quello secco ed ‘arido, mi nacque il dubbio che la determinazione dello Zanghì doveva essere errata, tanto più che i lombrici non sono carnivori e vivono dell’umus da cui pos- sono trarre i succhi nutritizi. ; Or sebbene tutto quanto lo Zanghì ha scritto in quel volume sia informa- to ad una grande esattezza pure, la determinazione del lombrico mi lasciò incredulo, e credo che i fatti mi abbiano dato ragione. Nelle mie frequenti gite in campagna per dirigere le misure difensive contro le cavallette in Provincia di Palermo, ebbi la occasione di trovarmi ‘nel territorio delle due Petralie e di Geraci Siculo, dove, facendo zappettare il terreno per la raccolta dei numerosi cannelli di nova di LDoctostaurus ma- roccanus, deposte negli incolti, restai sorpreso del numero straordinario di al- cune larve che si trovavano frammiste fra quei grandi depositi. 138 T. DE STEFANI PEREZ L’Ispettore forestale, Sig. Calogero Inghilleri, che mi coadiuvava nei la- vori con attività giovanile veramente ammirevole e che stabilmente nel 1910 dimorò nelle località infestate Jagli acridii, mi diceva che quelle larve, così numerose, egli le aveva osservato nei terreni di abituale dimora del Doczrostaurus, colà dove non manca quasi mai di deporre le uova, mentre nei nuovi depositi, dove cioè per la prima volta gli ortotteri avevano deposto, quelle larve erano, di gran lunga in minore numero o mancavano del tutto. e questo fm da me verificato e trovato esattissimo. Or. precisamente queste larve mi fecero sovvenire del lombrico dello Zan- ghì, il quale, profano di Scienze Naturali, potè benissimo chiamare col nome di un verme la larva, del predatore di nova, trovata nelle ooteche degli ortot- teri; d’altronde in Sicilia comunemente, tutte le larve degli insetti si dicono vermi, siano essi di coleotteri, imenotteri, ditteri, i bruchi delle farfalle e persino insetti perfetti ed altri animaletti, ammenochè esse non vengano, qualche volta, indicate con nome speciale, come p. es. Vecchia roja, Gnocculu, Maccarruni le larve di alcuni scarabeidi e con qualche altro nome quelle di pochi altri in- setti; or credo clie lo Zanghì non sfuggì a questa volgare denominazione. Con ciò non intendo fare un appunto allo Zanghì che seppe tanto bene fare ed operare contro le cavallette evitando un disastro a molte contrade siciliane, e che scrisse inoltre un libro veramente pratico per la lotta contro- i dannosi insetti al quale, anche oggi, dobbiamo ricorrere e seguire in molti particolari. In Italia, che io mi sappia, nessun parassita era stato trovato come vi-. vente delle nova di Acridii, ma a me oggi è avvenuto di riscontrarne in Si- cilia in gnelle di Docziostaurus maroccanus (Thumb.) Il soggetto è di certo interesse, ed ho, creduto bene di renderlo noto perchè altri potessero contribuire a completare la biologia di insetti di un grandissimo valore nell'economia della campagna. Questi utilissimi parassiti, oltre all’avere una grande importanza nell’ento- mologia applicata, ne hanno ancora molta per la scienza pura. La moltiplicazione, che il Docziostaurus o Stauronotus maroccanus da alcuni anni aveva assunto in alcune località di Sicilia, è stata enorme; le energiche misure prese dal Governo contro queste cavallette sono valse a mettere un limite al loro numero, ma in quanto a vincerle completamente non è stato possibile; i loro immensi attruppamenti, estesi sopra una superficie di circa quaranta chilometri quadrati, dopo una schiusa durata appena una diecina di giorni, dagli ultimi di maggic ai primi di giugno sul versante meridionale | CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 139 delle Madonie, non fu più possibiie fronteggiarla intieramente, nè con la rac- colta delle larve nè impiegando il fuoco, e gli insetti, raggiunto lo stato adulto in una trentina di giorni, iniziarono i loro voli migratorii. In questa loro emigrazione essi furono seguiti quasi costantemente da alcuni parassiti che fortunatameute hanno un grande valore come distruttori di cavallette. ANIMALI PARASSITI E PREDATORI DELLE CAVALLETTE Altri autori italiani che dopo lo Zanghì hanno scritto snlle cavallette, non fanno menzione di un parassitismo come quello accennato da lui, essi invece ‘citano alcuni acari che vivono sul torace e sulle ali di molti ortotteri, tanto allo stato adulto che di larva e di ninfa, come su Ca/optenus o Caliptamus italicas, Stauronotus o Dociostaurus maroccanus, Oedipoda coerulescens, Pam- phagus marmoratus, Pamphagus simulimus, Tryxalis nasuta, Saga serrata, Dec- licus albifrons, Ephippigera rugosicollis ed altri. Fra le pieghe delle ali della Martis religiosa io ho rinvenuto uu piccolis- simo imenottero, un Proctotrupide che ho descritto nel 1891 (1) e che come gli acari, non può apportare agli ortotteri che qualche trascurabilissima molestia Che l’umidità' favorisse lo sviluppo delle spore dell’ Extomophthora grylli è provato da numerose esperienze fatte su gli insetti in schiavitù; il Prof. Cuboni, Direttore della Stazione di Patologia Agraria di Roma, volle tentare se mai fosse stato possibile di trar partito da questo parassita per la lotta contro le cavallette; ripeto le sue parole: mentre le esperienze di gabinetto affidavano di un felice risultato, sulle cavallette tn aperta campagna fallirono complelamente, nor ‘avendo potuto ottenere la riproduzione dell’ Entomophthorea. (2) Eppure il Prof. Cuboni aveva osservato l’epidemia in natura nell’agro romano a Salone ed a Civita Castellana. Il Kiinckel d’Erculais e Ch. Langlois, in una comunicazione fatta al Con- gresso d’Orano in Algeria nel 1888, Gicono di più (3): “ Nons avons le regret de dire que c’est toujours après que les Criquets pèlerin s’etaient appariès, -accouplès, avaient pondu, qu'il mouraient contaminès; que c’etait par consequent (1) 7. Destefani, De duobus uovis hymenopteris Sicilia (in Nat. Sic. X pag.119 1891, Palermo (2) Cuboni C. Esperienze per la diffusione della Entomophthora grylli Fres. contro le «cavallette (Nuovo Gior. Bot. Ital. Vol. 21° —1889. (3) Xunckel d' Herculais et Ch. Langlois. Les champignons parasites des Acridiens (Comptes Rendus de l’Academie de Sciences de Paris, 1891) 140 T. DE STEFANI PEREZ l’orsqu’ils avaient accopli leur cycle èvolutif et commis leurs ravage qu’ ils succombaient. ,, Ed il Kiinckel d’Herculais altrove ‘(1) ‘“....il est regrettable que. la moltiplication artificielle de leur spores ne puisse etre rèalisèe; la nature seule opère la propagation de ces Oryptogames et assure ia contamination des Acridiens par de voies que nous ignorons....., L’Empusa o Entomophthora grylti adunque se può riuscire in natura mici- diale alle cavallette allorquando queste hanno compito tutte le loro funzioni, se d’altro canto non è possibile dirigerla artificialmente, essa per noi riesce perfettamente inutile ed alla potenzialità delle cavallette devono . concorrere altre cause che a periodi irregolari ne determinano la diminnizione o se man- cano, l'aumento; ora in queste cause possono avere un gran peso alcuni ani- mali, specialmente gli insetti predatori e parassiti veri. PARASSITI ANIMALI Nei cannelli delle uova di Dociostaurus maroccanus io ho trovato le larve di due coleotteri e di un dittero non prima d’ora osservati in Italia; cio è strano, mentre gli insetti perfetti vi son ben frequenti e la specie conosciuta. . Tali parassiti meritano tutta la nostra attenzione e però in queste note dirò di essi quel tanto che della loro biologia ho potuto conoscere. Intanto credo dovere osservare come mai, a giudicare dal grandissimo numero di Dociostaurus maroccanus comparso nel 1910 e 1911, in due località: siciliane tanto diverse per clima e topografia, sui contrafforti cioè delle Nebro- di, ad una altezza che varia dai 900 ai 1700 metri, e nel territorio di Terrasini, nella parte occidentale dell’isola, proprio a circa solo 30 metri di elevazione e vicino alla Spiaggia, i parassiti di cui dirò potrebbero far credere che la loro azione non abbia molto valore contro le cavallette; a giudicare ancora dal silenzio degli. autori intorno ad essi, potrebbe credersi al poco valore, alla poco attività distruttiva di questi parassiti, ai quali invece io ho ragione di attribuire un’ a- zione energica nel limitare la moltiplicazione degli acridii o almeno, di una delle specie più dannose, il Docziostanrus maroccanus. Se oggi l’azione dei parassiti in Sicilia non si è manifestata intutta la sua pote 1za, deve piuttosto attribuirsi al fatto che questi agenti della lotta natu- (1) Anckel d’ Herculais. Causes naturelles de l’extintion des invasions de sauterelles. Role du Mylabris variabilis et de l’Entomophthora grylli en France 1901-902. (Comptes rendus e l’Association Francais pour l’Avancement des Sciences 1902). CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICIL 141 rale giunsero cou. ritardo sui campi infestati dagli ortotteri, cosichè questi, non molestati, poterono moltiplicarsi a milioni. Intanto io ho la convinzione che se i parassiti non giunsero oggi a vincere i dannosi insetti, li ridurranno nei giusti limiti a breve scadenza. Ho accennato alle due stazioni dove 7/ LDocroslanrus mor occanussi è enor- memente moltiplicato, cioè a quella delle Nebrodi o Madonie, i monti più alti dell’interno della Sicilia, e all’altra delle spiagge di Terrasini ad occidente; or queste due località, così diverse e così lontane una dall’altra, ci dimostrano qualmente l’acridio in parola non abbia preferenza per nna speciale stazione, ma che esso sceglie e dimora colà dove può trovare condizioni di terreno fa- vorevoli alla sua moltiplicazione ed all’esercizio delle sue mandibole. La differenza che intercede fra dune località così diverse, si riduce per gli insetti al più o meno precoce loro sviluppo; di fatti, mentre a Terrasini, tra i primi di giugno le larve erano divenute ninfe e poco dopo la metà dello stesso mese insetti perfetti, negli nltimi del mese avevano finito la deposizione delle nova ed erano morti. In questa località, sin dai primi di marzo, le larve del Dociostiurus maroccanns erano di già comparse, sui contrafforti delle Madonie invece le nova cominciarono a schiudere in maggio, e in settembre l’insetto adulto non aveva completata la sna deposizione. Le larve da me osservate come parassiti predatori delle uova di Doczo- staurus maroccanus sono: una Melotdae in grande quantità, un C/eridae le più, sparute in numero ed un Bowblidie in quantità straordinaria. Tutte e tre queste larve sono armate di robuste mandibole che loro servono tanto per praticare una rottura nell’ooteca terrosa del Docrosfunrus. onde raggiungere le uova, quanto per attaccare e stritolare le teche di queste e nutrirsi del loro contenuto. Un altro Zombilidae, che per ‘vra rimane indeterminato, ho anche visto perseguire in grande numero in agosto gli storti emigranti del Docrostanrus: maroccanus e sorvolare sni depositi delle uova dove gli ortotteri si fermavano. a deporre; su di esso non potei fare più serie osservazioni quest'anno {1911), ma non è che un altro valevole nemico delle nova di cavallette. Dalle ooteche poi raccolte in marzo (1912) ho ottenuto frequente, nia non comune, un’altra mosca la 7achina larvarum, (L.) Oltre a questi parassiti ho anche osservato, per ben diverse volte in agosto la Chalcis Dalmanni (Vhms.) assalire il Doczostanrus maroccanus allo stato adulto ed ho potuto assistere alla manovra di questo parassita per fissarsi sul dorso dell’acridio: Il calcide, volando molto presso al suolo nelle località frequen- tate dalle cavallette per la deposizione delle nova, piomba all'improvviso sopra 142 T. DE STEFANI PEREZ l’ortottero, sia maschio che femmina, ed allora la vittima si agita scomposta- mente, tenta tutto per levarsi dal dorso l’ingrata soma, agita convulsivamente le elitre e le ali, passa e ripassa sul suo dorso rovesciandole le lunghe gambe posteriori, ma la Chulcis continua a tenersi sul posto che ha scelto resistendo a tutti i tentativi messi in opera dal Dociostaurus per scacciarla; finalmente questo ricorre ad un mezzo eroico, cioè si arrabbatta rivoltolandosi al suolo e allora la CRalcis abbandona e vola via. La Chalcis, sul dorso del Dociostaurus, mi è parso stabilirsi al limite posteriore del torace e la base delle elitre, tenendosi con l'addome. rivolto all’indietro; ho supposto che in tale posizione essa impiantasse il sno ovoposi- tore sul primo segmento addominale e vi deponesse un novo, ma a me non è riuscito di scoprire quest’uovo per quanto Dociostaurus, assaliti dalla Chalets, ‘avessi esaminato. Volato via il parassita, la cavalletta, non so se per gli sforzi fatti nel volersi liberare dall’intruso, o per effetto della molestia da quello direttamente apportatavi, resta per un pezzo come intontita. Or se la Chalcis non fosse un parassita primario, ma un iperparassita, non si comprenderebbe il perchè le cavallette dovrebbero tanto temerla; dal- tronde anche la Chalcis albifrons dell'America è ritenuta parassita di acridii. Questa Cnalcis Dalmanni intanto è stata ottenuta numerosissima ‘anche ‘dalle larve di Sarcophaga carnaria (1) e questa mosca alla sua volta, sebbene dubbiosamente, è creduta parassita del Caloptenus spretus dell’ America. Inoltre, nel Doczostanrus maroccanus ho riscontrato anche un Verme, il Mermis albicans, e la prima volta che l’ho scoperto mi sono accorto di esso per un caso singolare, ho trovato cioè una femmina di Ep/ippigera rugosicollis. a divorarne un’altra di Dociostaurus maroccanus che aveva attaccato su un lato del torace, mi abbassai per raccogliere la locustide, ma con essa venne anche il Dociostaunrus tirato su da un lungo filamento che teneva uniti i due insetti; e realmente essi erano incatenati da un ben strano e pericoloso legamento, dal verme sopradetto il quale in parte era ancora nel torace dell’acridio e parte era stato ingoiato dalla locustide. (1) . Destefani -Una nota sulla Chlacis Dalmanni. (In Nat. Sicit. Ann. TX, 1890) Palermo. RE E ERO, RITIENE CAVALUET E, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICHLIA 143" DESCRIZIONI DELLE FORME OSSERVATE. Zonabri s variahils (Pallas) var. lacera (Kust.) Fig. 10% — Uovo molto ingrandito 7 ie. 11° di Zonabris variabilis var. lacera Larva di Zonabris molto ingrandita UOVO. Le uova, di un bianco burro, sono levigate, a forma di botticina e ad estremità rotonda; in ogni nido se ne trovano da 30 a 50, ed hanno le di- mensioni di due millimetri. La loro schiusa si verifica dopo 30 giorni che sono state deposte, perchè quelle che ho visto deporre il 17 agosto, schiusero esattamente il 17 settembre successivo; le larvette sono vivacissime e di una tenacità di vita incredibile; esse, senza nutrimento, si mantennero vispe fino al 15 ottobre, poi incomin- ciarono ad indebolire e il giorno 20 erano tutte morte. Jo ho fatto del mio meglio. per allevarle, per osservare la loro trasforma- zione in seconda larva, a tale scopo ho messo a loro disposizione delle ooteche di Dociostaurus maroccanus che tentarono di bucare verso il mezzo, ma sospe- sero il Javoro a metà, nè si curarono più di esse; offersi loro delle ooteche aperte, ma non vollero mai pigliar cibo; era evidente che mancava loro qualche cosa; e questa qualche cosa che faceva difetto non ho saputo trovarla, certamente. erano le condizioni naturali che mancavano. LARVA. Fig. il. Corpo allungato, chitinico, assottigliantesi all’indietro, cosparso di scarse setole più o meno lunghe, più ricche alla regione orale testa fulva; regione toracica dorsale dello stesso colore; occhi neri, rontodi; 144 T. DE STEFANI PEREZ piccoli, laterali; mandibole robuste ad estremità acuta e nera, semplici, falcate; ‘antenne di tre articoli, subeilindrici, coi primi due robusti, il secondo un po? più lungo del primo, il terzo più sottile e più corto degli altri e sormontato da una setola diritta, palpi mascellari di tre articoli, leggermente clavati, ar- ticolo distale conico; palpi labiali di due articoli cilindrici ad estremità rotonda; piedi fulvi, gracili, lunghi, spinulosi, estremità dei tarsi del primo paio portanti tre lunghi unguicoli sottili, digitiformi, leggermente curvi verso il basso, di cui il mediano molto prodotto, gli altri due più piccoli. : Addome pallido, sua estremità provvista di due sottili e Innghe setole nere ‘dirette all'indietro, segmenti dorsali bruni, margine posteriore ventrale dei tre penultimi ornato di quattro macchiette brune poste ad ugual distanza tra loro, di cni le due laterali provviste di una sola setola nel loro mezzo, le due del centro invece di due sui lati. Fig. 12.22% Larva di Zonabris Fig. 13.* Larva ipnotica di Zonabris di dimensioni naturali ed ingrandita. di dimensioni naturali ed ingrandita. 2 larva Fig. 12 (Forma scaraboidae) Figuro questa larva nelle sue dimen» sioni naturali ed ingrandita. ; Il suo corpo, più o meno bruniccio, è nudo, di 12 zooniti oltre la testa, i primi tre sono glabri, gli altri sul dorso e sulla parte ventrale portano dei punticini rilevati; le mandibole sono nere, robuste, a costa interna tagliente, col dente ad estremità ottusa, esse hanno la forma di un berretto frigio. n piedi sono hrevi e robusti, terminati da un’unghia fulviccia o bruna, ‘acuta, chitinosa. Le antenne brevissime, composte di tre articoli, gli occhi non sono accennati Lung. 10-12 mill. 2* larva Fig. 13 (Forma ipnotica) Anche questa forma figuro nelle dimen- CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 145 sioni naturali e la rappresento ancora molto 'inorandita vista dalla parte ventrale. Essa è completamente di color giallo-arancio, più corta é meno turgida della forma scaraboide, a lati più paralleli, pochissimo incurvata ventralmente, quasi diritta; gli ambulacri sono brevissimi, tozzi, quasi tubercoliformi; il corpo sparso di pochi peli cenerini, è glabro; la testa è piccola con le appendici molto ridotte come le parti orali; è cieca. Lung. 8 mill. Fig. 14.*— Ninfa molto ingran- Fig. 15.* — Insetto adulto gran- Fig. 16.* -— Larva di Zricodes dita della Zonabris. dezza naturale. ammios molto ingrandita e di grandezza naturale. NINFA Fig. 14 — Bruna, nuda, con la testa allungata a mo di collo ripie- gata sullo sterno, mandibole ben pronunziate con l'estremità coperta dal clipeo. palpi labiali turgidi, diritti, allungati sui piedini raccolti sullo sterno, terzo paio di piedi molto prodotti sull’addome sino a raggiungere il quinto zonite ventrale. Ultimo zonite ventrale con due mamelloni interni quasi al suo estremo. Lung. 10 mill. INSETTO ADULTO Fig. 15—Per icaratteri distintivi di questa forma vedere, per quanto si riferisce al tipo, Axbè, /conographie 1836; per la varietà consul- LI «tare Kiistér, Kafer Europas. Trichodes Ammios (F) var. flavicornis (Gem) LARVA—Nella figura 16 rappresento ingrandita questa larva. Essa è di color ‘giallo-pallido e roseo; lia forma depressa, ma ventralmente è spesso rigonfia come una larva saccata, verso la parte anteriore invece è assottigliata. La sna testa è piccola, chitinosa, gli occhi mancano, le mandibole sono robuste e coni- formi, molto elargate verso la base e presentano le due facce di struttura. ‘diversa cioè, la inferiore rilevata e costata nel mezzo in modo da venire a formare come due triangoli inclinati uno verso la parte interna della mandibola, l’altro verso la costa esterna, la facce o lato superiore è pianegiante; sulla «costa esterna si notano tre peluzzi rigidi e diretti all’innanzi. La testa presenta 146 T. DE STEFANI PEREZ ben visibili le antenne ed i palpi mascellari di tre articoli ciascuno. Il corpo di questa larva è sparso di brevissima pelurie pallida, specialmente alla sua parte anteriore; l’ultimo segmento poi, alla sua estremità, è provvisto di due spinette chitinose, brune, acute e dirette all’indietro. Lung. 10-12 mill. NINFA — Questa offre nulla di speciale, la nota forma mummifica conla testa ripiegata sullo sterno sun cui si addossano tutte le appendici, mentre la. pelurie del corpo circonda l’insetto come in una sfera. pi INSETTO ADULTO — Raffiguro questa forma in gr andezza notte il (Fig. 17) in quanto ai suoi caratteri, rimando il lettore alla descrizione del abric:o, Mantissa, 1787. yer quello che si riferisce al tipo; alla descrizione del Germar, Fauna Insectorum 1820, per la varietà. Fig. 18.° — Cytherea obscura Fig. 17.° — Trichodes ammios in grandezza naturale. (=) in grandezza naturale Cytherea obscura — (Fab.r) Fig. 18. Rappresenta questa forma in grandezza naturale. mentre delle altre sue forme darò alcuni dettagli. UOVO — Bianco, pellucido, levigato, cilindrico, arrotondato alle due estremi- tà. Dimens. 0,670 X 0.335. E. Fig. 19.* — Larva di Cythe- Fig. 20.8 — Ninfa di Cythe- Fig. 21.* — La stessa vista: rea di grandezza natu- rea vista di faccia, ingrandita. di fianco, ingrandita. rale e ingrandita. CAVALLATTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 147 LARVA—Fig.19*Bianco-lattea, apoda, nicrocefala, cieca, piegata vontralmen- te in modo chele sne estremità vengono quasi a contatto, porzione anteriore più ingrossata della posteriore. Corpo perfettamente nudo, di 13 segmenti. Dimens. Cent. 1, X 3 mill. in media. NINFA—Fig. 20% fulva, testa grande, più piccola del torace, vertice armato di sei robusti aculei coniformi, distanziati fra di loro e disposti quasi a semi- cerchio, i due mediani più Innghi e più robusti, gli altri accoppiati su unica base; i dentini di queste coppie sono di dimensione diversa e il più piccolo porta alla base nun sottile pelo fulvo rivolto verso l’alto, più lungo circa della metà del dentino stesso; due altri peli più piccoli si osservano sul vertice dietro i primi due dentini più grossi. Altri quattro dentini bruni sono sulla facce, due più piccoli centrali sone quasi tubercolari e ad una certa distanza di essi sono due veri e piccoli tnbercoli, gli altri due dentini sono inseriti poco al di sopra della base della proboscide e sono discretamente robusti, a punta acuta e rivolti verso l'alto. Gli occhi sono nettamente accennati, molto grandi ed occupano gran parte della testa; sopra un punto del loro contorno interno esiste un pelo simile a quelli già accennati. La proboscide giace distesa diritta tra le zampiue e le ali raccolte sullo sterno. Torace quasi sferico, leggermente zigrinato, calli umerali ben distinti; ali, in vicinanza della loro costa, spesso con delle spinette acute. Segmenti addominali levigati, in numero di nove, ben distinti, ventral- mente pianegianti, sul dorso invece reniformi e sulla cresta ornati di una frangia di dentini bruni molto acuti, distesi all'indietro e ricurvi in alto; tali dentini mancano all’ultimo zonite il quale invece è provvisto di due forti denti estremi. Tutti i segmenti, meno l’ultimo, sono provvisti ai lati di una, due o tre setole ciascuno per lo più rienrve all'indietro. Lung. 1, 1'], Cent. Osservazione. Mi sono induggiato un poco a descrivere l'armamento di questa ninfa perchè esso ha una grande importanza nella biologia dell’insetto; tutti quei dentini gli sono necessarii per tirarsi fuori dal terreno dove stava sepolta; difatti, avvicinandosi il momento della trasfor= mazione in insetto adulto, la ninfa, con movimenti di impulsione impressi all'addome, tendè di avvicinarsi alla superficie del suolo, i dentini del capo urtando contro le particelle terrose ‘che sovrastano, le rompono, le spostano, mentre le spinette dei segmenti dorsali dell’addome aiutano la spinta e la disgregazione delle particelle terrose, e così l’insetto poco alla volta giunge all’aperto; quando esso è uscito dal suolo per circa la mettà del sno corpo, la spoglia ninfale si rompe, come ho detto, sul dorso del torace e della testa e l’insetto adulto ne vieu fuori. 145 T, DE STEPANI PEREZ INSETTO ADULTO Fig. 18.2 Nero cenerino-tomentoso. Testa poco appiattita, occhi distanti tra loro, antenne brevi, articolo apicale conico, proboscide mediocre, diritta in avanti. Tomento sulla facce e dietro la testa argenteo, sul vertice bruno. Torace appiattito, suo tomento bianco-cenerino, sui lati e sullo sendo frammischiato di lunghi cigli fulvi, ali brune, col terzo apicale e parte del margine interno, ialino: piedi gracili. | Addome cilindrico-conico, cenerino, dal 3.° al 5.° segmento dorsale fram. mischiato a peli fulvi più Iunghi del tomento, i due penultimi anelli neri, l’ul- timo argenteo con l’estremità nera. Lungo 9-12 mm. (non compresa la proboscide). È possibile trarre profitto da questi tre parassiti per una lotta naturale contro le cavallette ? Rispondere a questa domanda allo stato attuale delle nostre conoscenze non è possibile; si potra ammetterne o escluderne la possibilità solo quando sarà profondamente conosciuta la biologia dei tre insetti. Se si potesse rìuscire ad un allevamonto artificiale, sarebbe nina grande conquista, ed a cià dovrebbero mirare gli studi ulteriori. L'allevamento in schiavitù delle larve, di CyMerea, da quel poco che ho potuto couoscere, lo ritengo possibile; io le ho per ben due anni tenute in casa vive e sebbene un buon numero fosse morto, non poche si cambiarono in insetto perfetto e in questo stato si accoppiarono. Resta a vedere ora se sarà mai possibile da questi accoppiamenti ottenere la riproduzione ed allevare la relativa generazione. Ciò è quanto ci dirà la Scienza in appresso; per ora non possiamo che mettere avanti delle ipotesi possibili, su cui, la tenace volontà degli studiosi deve ostinarsi per la risoln- zione di uu problema che potrebbe apportare un grande bene. Dalle tre larve in schiavitù non ottenni mai parassiti, ciò potrebbe far supporre che esse non avessero nemici, in questo caso si renderebbe più diffi- cile lo spiegare la comparsa delle orde di cavallette a periodi irregolari. Nel- l’alternarsi delle specie, nella lotta naturale, certo altri fatti, sia di ordine epidemico, sia di ordine climatico, devono concorrere a spiegare la scomparsa, dei parassiti, la mancanza dei quali porterebbe l'aumento delle cavallette. Son questi altri dubbii da chiarire; ma comunque sia, questo dei parassiti. CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 149 delle cavallette, è un soggetto della massima importanza che bisogna svisce- rare minutamente. Le cavallette, come è saputo, sottraggono milioni alla campagna, ed altri milioni si spendono per la loro distruzione, diversi popoli ne sono terribilmente afflitti, per esse spesso veugono ridotti in miseria; i paesi dell'Europa meridio- nale hanno non poco da soffrire dalle loro rapine, e la comparsa dello loro falangi è sempre e dovunque causa di spavento e di rovina. I Governi oramai consci di quale importanza sarebbe un metodo di distruzione veramente effi- cace, hanno stabilito dei vistosi premii a tal proposito (Repubblica Argentina), altri incoraggiano lo studio dei loro parassiti. La lotta artificiale che si è sempre conbattuta per la distruzione delle cavallette sin oggi ha dato scarsissimi risultati; tutti i metodi escogitati, aleuni dei quali hanno molto valore, sono ben lungi dall'avere quell’inportanza pratica sulla quale poter fare sicuro assegnamento. Il metodo distruttivo veramente efficace si potrà solo raggiungere con Lo studio biologico dei parassiti, con la lotta naturale. Recentemente il Sig. F. H. D'Hèrelle, ex Direttore della Stazione agricola di Mèrida (Messico) ed oggi addetto all'Istituto entomologico La Defensa agricola di Boenos-Ayres, incaricato della lotia contro gli insetti dannosi, ha presentato all’Accademia delle Scienze di Francia, nella tornata del 22 maggio 1911, una memoria intorno ad un’apidemia batterica da lui osservata al Messico e preci- samente nell’Yucatan, che arreca la morte nei branchi di cavallette (Schisto- cerca pallens) che infestano quelle contrade. Nel n. 129-51 marzo 1912 del Journal d'Agricoltare Tropicale leggiamo, sul proposito, qualche cosa di più positivo sull'azione e sulla virnlenza di questio bacterio e sulla praticità di usarlo nella lotta contro le cavallette. Come è noto, una delie regioni più esposte ai danni delle cavallette, è la Repubblica Argentina, tanto che colà si hanno estesi territorii ove non è pos- sibile aleuna coltura perchè soggetti periodicamente alle invasioni di questi insetti Ora fu appunto il Governo dell'Argentina che, venuto a conoscenza della pubblicazione del D’Herelle, riconobbe tutta l’importanza che se ne poteva ritrarre, e senza indugio invitò il D’Herelle a volere tentare la diffusione del bacterio nell’Argentina, mettendo a sua disposizione tutti i mezzi di cui poteva abbisognare. ; Il D’Herelle accettò l’invito, ed anzi tutto, con i soliti mezzi, ottenne un aumento di virulenza del bacterio, si che le cavallette prigioniere, inoculate arti- ficialmente morivano in sole sei ore, anzichè in quarantore come dapprima 150 T. DE STEFANI PEREZ erasi osservato. Allora passò alla inoculazione nei campi. Ii 16 gennaio, presso Esoa- lada, fn arrestato un branco di cavallette mediante una lamina cingente uno spazio di circa mezzo ettaro di superficie; un mezzo litro di coltura del bacterfo fu xersato qua e là per il terreno; dopo quattro giorni il 75 per cento delle ca- vallette erano morte, e dopo pochi altri giorni ancora anche le rimanenti ebbero la stessa sorte. Ii microbo esisteva abbondantemente negli individui morti riempiendone il tubo intestinale ed anche nelle deiezioni da quelle emesse prima di morire. Il 18 gennaio una prateria di 35 ettari, ove si trovavano numerose caval- lette alate, fu resa infetta: mediante na litro di coltura del bacterio versato qua e là, dopo cinque giorni si trovò una quantità enorme di cavallette morte o malate per tutta la prateria e per le boscaglie adiacenti. In seguito furono sparsi ue litri di coltura del bacterio in una prateria ove si trovavano due branchi di cavallette occupanti circa due ettari ognuu- no, l'indomani si avevano già numerose cavallette che, passando vicino a questi focolai di infezione e soffermandovisi, venivano alla loro volta contamivate, e poco dopo, in uu raggio di più chilometri, si ritrovarono numerosissimi i loro cadaveri. Avaloghi esperimenti, eseguiti in altri distretti, hanno dato risultati identici ‘ L’insetto prende l’infezione mangiando erbe contaminate di tale bacterio e muore in un termine da otto a trentasei ore; gli si sviluppa in tale periodo una violente diarrea, che imbratta tutte le erbe vicine, le quali diventano nuovo focolare di infezione. Le stesse cavallette poi, con i loro voli, propagano l’in- fezione a distanza; infatti, il primo esperimento fu eseguito il 16 gennaio ad Escalada, due o tre giorni dopo furono segnalati casì di infezione a 49 chi- lometri di distanza, otto giorni dopo ne furono riscontrati altri ad 80 chilometri di distanza. Questo bacterio, che ha ricevuto il nome di Coccobucillus acridiorum, pare che sia l’ageute specifico mercè cui i dannosi ortotteri potranno snalmenle essere vinti e le campagne di molti paesi liberate da un gravissimo flagello, contro cuni da secoli si è inutilmente lottato. Per quanto riguarda alcuni dei parassiti da me osservati il loro allevamento artificiale, come ho detto, lo credo possibile, ma occorrono altre conoscenze prima di poter credere vicino la risoluzione del problema; il buon volere e i sacrifici di mezzi e di tempo forse potranno solo farci riuscire allo scopo. Tra questi parassiti merita speciale attenzione la Cyéherea obscura perchè essa è quella che più degli altri inquina il Dociostaurus maroccanns e il Calipta- wins italicus nelle ooteche di cui distrugge in grandissimo numero le uova: 152 ELENCO DEI PARASSITI E NOTE SUI PREDATORI DELLE CAVALLETTE | T. DE STEFANI PEREZ Credo utile dare qui l'elenco dei parassiti e dei predatori delle cavallette; dei predatori dirò succintamente mentre la loro azione, per quanto valore possa avere, non assurge mai all'importanza di quella dei parassiti. PARASSITI ANIMALI Roo INSETTI Ordini Famiglie Generi Specie Osservazioni Coleotteri Cleridi Trichodes ammios (F.) {Lalarva di questaspecie vive | delle nova di Dociostaurus. maroccanus. - » » » umbellatarum » > (Oliv.) » Meloidi Zonabris Schreibersi » » (Reich.) > » » variabilis (Pall) » e nelle uova di Calopta-. mus italicus. > » » floralis (Pallas.)| Nelle uova di Dociostaurus maroccanus. » Bio » 14-punctata La larva di questa specie vi- (Palls.) ve delle uova di Dociosta- urus maroccanus. » » » 4-punctata (L.)| Nelle uova di Pezzotettix e Steathophyma. » » Meloe » » » » Sitaris È » » » » Epicauta vittata In America è stata trovata a distruggere le uova di Caloptenus differentialis. - 2 » » verticalis (Il1.)| Anche la larva di questa spe cie si crede vivere a spese delle uova di ortotteri. Imenotteri Ichnenmonidi | Ichneumon |acridicida Specie semplicemente, nomi- (Rond.) nale, stata indicata dal Ron- | dani sopra larve trovate in larve di acridini. » » » gryllarius » » dal Pachyti- (Rond.) lns migratorius. » » » gryllicida » » » (Rond.) Pret » Ophionidi Ophion \purgatus (Say.)| Su Pachytilus migratorius in America. » » » Cam poplex Sp. » » » > » Mesochorus |vitreus(Walsch) » » » » Pimplaridi Ephialtes |notanda (Rileg) » » > ? Sigalphidi Microgaster |militaris » » » (Walsh.) 2 » Chalcididi Gastrancistrus \viridiscens » » » (Walsh.) > » Scelio ovivora (Ril.) | Indicata dall'America dalle | uova di Oedipoda carolina. Ordini Imeotteri >» Ditteri. I dra SSIS RA) CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI Famiglie Chalcididi Scoliidi Bombilidi * ss » “ Asilidi » RARI ML) ESSE IN SICILIA 155 Osservazioni Generi Specie Chalcis albifrons Citata dall’ America come pa- È rassita di acridii. » Dalmaunni Parassita del Dociostauras (Thus.) maroccanus. - Scolia bicineta (F.) |Citata dal Rondani come tro- vata sugli Acridii della Sardegna. . Bombylius sp. La larva vive nei cannelli di uova di Dociostanrus ma- roccanus e di Ocnerodes Volxemii. Antrax fenestrata (Ill.)| La larva vive delle uova di Dociostaurus maroccanus. Cytherea obscura (F.) | La larva vive delle uova di Sysfoechus Dociostaurus maroccanus. Triodites » » Callistoma > » Protacanthus SS ’ » » Erax Bastardi Nelle ooteche di Acridii (?} Tdia lunata (fasciata) La sua larva si nutre delle (Mg.) uova di Acridium peregri- num e depone le uova sulle ooteche degli ortotteri. Chortophila cilicrura Nelle nova di Dociostaurus maroccanus, Caloptenus spretus, Schistocerca ame- ricana, Schistocerca pere- grina. Sarcophaga | clatrata (Mg.) | La larva vive nel corpo del uurus (Rnd.) affinis (Mg.) atropos (Mg.) cruentata (Mg?) haematodes (Mg.) arytrura (Mg.) lineata ? carnaria (L.) opifera Caridei Lambens Dociostaurus maroccanus ed Acridinm aegyptium. Nel corpo di Dociostaurus maroccanus e Acridium peregrinum. Nell’ Acridinin peregrinum. Nel Dociostaurus maroccanus » >» Dubbia se sia parassita di Acridii. lo è con certezza di Chrysocraon dispar. Nel corpo del Dociostaurus maroccanus, Sul corpo del. Caloptenus spretus. (N. B. Queste due ultime specie hanno per pa- rassità la Chaliis foscolom- bei). Parassita di Melanoplus de - vastator. Indicata dalla Spagna ‘come parassita di cavallette e dall’ Argentina. 2 454 T. DE STEFANI PEREZ Ordini Famiglie Generi Specie Ditteri Asilidi Antomyia |angustifrons L | Mg.) 5 > » radieum calop- teni (Mg.) > » » erytrocephala (Mg.) » » Calliphora » » ì Tachina anonyma » n SR » falcicanda » » ? ferox larvarum (L) » » Nemorea acrydiorum » Leptidi Chrysopila | nubecula (E) ARACHNIDI Arachnoidea Acarina Trombidium » » » giganteuni » » » locustarum » » Leptus acridii Rhyncholeptus | phalangioi des » » o edipodarum VERMI I Vermi parassita delle cavallette non sono dei ‘loro genere di vita, ma che ne differiscono molto per l’insiemo della” lor organizzazzione, essi sono dei veri nematodi. (1) Kiinekel d’Herculais-Invasion des Acridiens vulgo Sauterelles en Algerie 1898. Sti holosericeum |Sotto le elitre. degli Gordius ma dei Mermis. (1), nematelminti che rassomigliano ai Gordus per la forma esteriore e il Osservazio Nello uova di Calopt io) America (La larva sta specie è lombrigus 0 ver Nelle nova di Ca LE Attacca le cavallet, stato adulto. » >» ed Attacca le cavallette | stato embrionale. sa Deposita le uova. nel della vittima. Le larve divorano le di Dociostanrns. ana nus. % e sul torace. »d Abd » >» » » pi VEE n e e e e ie in n CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA Famiglie Generi I Specie 155 Osservazioni Nematodi Gregarinidi Polycistidi Mermis nigrescens albicans GREGARINE Clepsidrina ovata PARASSITI VEGETALI Nel corpo dello Stenobothrus morio, Paraplerus allia- ceus, Osophus stridulus. i Nello Stenobothrus; è stata anche indicata dall’Oedi- poda carolina degli Stati Uniti e del Caloptenus spretus e differentialis; 0s- servata in Sicilia in Doc. maroccanus ed Ephippige - ra rugosicollis. Negli intestini delle caval- lette in genere. Questi parassiti sono dei funghi microscopici di diversi generi che cau- sano una malattia crittogamica negli Acridii; essi hanno poca importanza per- chè, come ho detto, quando la malattia si sviluppa pare che avvenga dopo che gli insetti hanno deposto le uova; ho citato le esperienze del Cuboni e cito ora un caso portato dal Kiinckel d’H erculais il quale, avendo raccolto, nel marzo 1891 a Biskra, una femmina di Sc/istocerca peregrina affetta da tale malattia, potè tenerla viva sino a maggio è nel frattempo si accoppiò più volte e depose uova per ben due volte. ? Ordini Famiglia Funghi Hyphomyceti Generi Specie Osservazioni Lachidium Alternaria Iearia >» acridiorum tenuis destructor ophioglossoides farinosa Attacca gli adulti. >» » Attacca le uova. >» » (N. B. Queste tre ultime spe- cie possono forse riuscire di qualche utilità ucciden- do le uova.) 156 ; T. DU STEFANI PEREZ BACTERII O 5 Coccobacillus acridiorum (D’Herelle) Uccide la Schistocerca pallens del Messico, la Schist americana dell'Argentina, l’Acridinm peregrinum della Colombia PREDATORI Tra i predatori delle cavallette si trovano rappresentanti di molti ordini di animali: Mammiferi, Uccelli, Rettili, Pesci, Insetti ed Arachnidi. Ipiù a ttivi. sono certamente gli uccelli che tutti, in genere, beccano insetti e fra questi, anche cavallette che allo stato di uovo, di larva e di adulto distruggono in grande quantità; alcuni di essi, pur essendo granivori per eccellenza, non disdegnano le locuste e gli acridii delle di cui larve sovente allevano i loro piccoli. Sono stati tante volte citati il Falco grillaio e il vespertino, alcune specie di Storni come accaniti persecutori di cavallette, e sinanco le simpatiche rondinelle si sono viste nei loro voli sublimi a rasentare il terreno e ghermire le piccole larve di acridii. In tutte le famiglie deg!i necelli troviamo mangiatori di cavallette, ma alcune specie ne sono ghiottissime; io, nel 1910 e nel 1911, ho visto stormi del Corvus corax e di Moned ula turrinm in maggio, predare abbondantemente larve di Dociostaurus maroccanus per diversi giorni di segnito, e l’invasione .del territorio di Terresini del 1911, venne in buona parte annientata dai detti uccelli; questi, scesi dai prossimi monti, erano convennti a migliaia nei terreni invasi, e la loro azione è stata di una incontrastabile efficacia. Sarebbe ben Innga Pennmerazione di tutte le specie di mnccelli per noi tanto utili, ma credo superflno un tale elenco, basta sapere che gli uccelli in genere sono di un’utilità incontrastabile alla campagna e che la caccia in- cosciente che si esercita contro di essi ci apporta gravissimi danni. Tra i mammiferi, come mangiatori di cavallette, si annoverano i cani, le volpi, le mustele, il tasso, i topi ragni, le crocidure, i maiali poi ne sono ghiottissimi, e ne mangiano persino le pecore. Anche i Rettili mangiano cavallette; ho visto la comune Lacerta muralis gher- mire con estrema sveltezza il Calptamus italicus, ed ho visto anche la varietà melana del nostro comnue serpentello Zamerzis viridiflavus cacciare il Docrostaura mMaroccanus. Tra i Batraci le rane e i tardi rospi predano pure cavallette e tra le. Chelonie, la Testudo graeca non le disdegna. CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 157 Gli stessi Pesci, allora che il vento abbatte in mare o in nn finme gli stormi volanti dei dannosi ortotteri, se ne cibano. Altri ortotteri e varii insetti usufruiscono in diversi modi delle cavallette; tra i primi, quell’altro dannoso ortottero del Deckcus albifrons non ha scrupolo di divorare i fratelli; lo stesso operano la Martis carolina, il Gryllus campestris e varie specie di Libellula. Tra i secondi i Carabidi fanno strage specialmente di larve, e le Cicin- dele, le Calosome gli Elaphrus i Pasimachus, gli Harpalus, le Amara ne divorano nn grande numero, anche i Tenebrionidi annoverano i loro bravi mangiatori di cavallette ed è stata osservata la Pimelia rugosa ad uccidere e divorare una femmina di acridio peregrino nell’atto che deponeva le uova; tra gli Scarabeidi la larva del 7rox suberosus nell’Argentina è creduta nna grande divoratrice di nova di cavallette. Negli Imenotteri le formose Sphegidae approvvigionano i loro nidi di acri- dii, così la Sphex flavipennis, alleiseta, subfuscatus e pa!ndosus, l’Enodia fervens ed alcune Larre. Anche alcuni Arachnidi si annoverano tra i predatori di cavallette, di essi si cita qualche Migale, la Latrodectes terdecimguttata, la Lycosa Ledeli la quale nelle sue uscite notturne cattura l’Acridium peregrinum ed io, nella rete dell’Epeira adianta Walk ed in quella dell’Argiope lobata Pallas in Sicilia, ho trovato il Dociostaurus maroccanus, dove forse era capitato per caso in uno dei suoi salti, aggrovigliato da cento fili di cui i ragni l'avevano circondato per succhiarlo a loro comodo. L’esemplare trovato nella rete dell’ Eperra era morto, vuoto e disseccato, quello invece trovato nella rete dell’Argiope era capitato al momento a face- va forza erculea per sfuggire, ma ad ogni movimento, ad ogni steccata dei suoi piedi posteriori il ragno era pronto ad aggiungere nuovi legami sino a renderlo iminobile; sinanco il velenoso scorpione Meferometrus maurns cat- tura e succhia l’acridium peregrinum. ao —rsn—="n TI RINO Il | | | | | == == ==="== "=== = - - n APPENDICE Risposte al questionario proposto dall’Istifuto Internazionale di Agricoltura per una inchiesfa internazionale sulla lotta contro ie cavallette. Poche parole di introduzione. Quell’importartissima istituzione dell'Istituto internazionaledi agricoltura, sorta per volontà di S. M. Vittorio Emanuele III, interessandosi della piaga delle cavallette, ha ritenuto che potrebbe riuscire assai utile una completa rac- colta di notizie su tutto quanto è stato fatto finora nei varii stati contro questi dannosi insetti; all'uopo ha redatto un apposito questionario che più avauti inserisco ed al quale, per invito del Ministero di Agricoltura, Industria e Com- mercio, mi affrettai a rispondere come appresso: Molto di quanto scrissero e ci tramandarono gli antichi intorno alle caval- lette non sono che esagerazioni ed errori, riandare su quelle asserzioni è quindi inutile; parlare di cavallette lunghe tre piedi e grosse tanto quanto dalle gambe disseccate delle femmine in India si servivano come di seghe, dire che le cavallette sono state strumento dell’ira divina, parlare di locuste velenose come quella usata da Agrippina per disfarsi di Claudio e da questi poi per uccidere Britannico, ed affermare oggi che nelle loro migrazioni pre- cede come esploratore un primo plotone, mentre il grosso dell’esercito viene dopo, significherebbe, nè più nè meno, non conoscere ancora i più dannosi insetti che abbia la campagna. Se altri animaletti possono danneggiare i nostri grani, annientare le no- stre vigne, compromettere i nostri frutteti, i nostri boschi, le nostre praterie, sono ‘essi delle specie che vivono ordinariamente di una sola pianta o di poche o di un dato prodotto; la loro vita è legata alla vite, agli agrumi, a quella data foraggiera etc., mentre non è così per le cavallette, queste fanno loro alimento di qualunque vegetale, dal prezioso grano alla più umile graminacea, PR TIT a af it pren fe ARM) SE ARE I II MIT SO CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 159 dalla vite alla pianta selvaggia, dai succolenti ortaggi alle foglie coriacee e spinose di ruvidissime Carline, Erynginm, Scolimus ed altri vegetali. Le loro potenti mandibole tutto attaccano e le loro grandi riunioni an- nientano spesso estese coltivazioni di una intera regione. Trovo quindi lodevolissir.o l'inchiesta promossa dall’Istituto Internazionale di Agricoltura, e se all’appello risponderanno le persone che con le cavallette spesso hanno avuto da fare, intendo persone veramente tecniche e non quelle che tali si dicono per aver sfogliato alcuni libri e per aver fatto gli entomologi sulle carte altrui, e che con tracotante prosopopea si impancano a sapienti e pratici, non dubito che non possa giungersi ad un positivo risultato. Da parte mia, come ho detto, risponderò come so e posso al proposto questionario, ma queste mie risposte ritraggono fedelmente quanto mi risulta dalle mie osservazioni nella pratica di parecchi anni avuta nella lotta contro le cavallette, ed in quella più lunga di entomologo. ° Ma prima di entrare nell’argomento delle risposte, ritengo opportuno dover dire dell’errore in cui cadono moltissimi nel ritenere che le cavallette in Ita lia ci vengono dalle coste occidentali africane, allorchè esse assillate dal loro istinto, agevolate dai venti, nella pretesa ricerca di nuovi pascoli, sorpassano a volo il mare e come un invadente esercito piombano sullo Stivale e nelle sue isole. Come siasi fatta strada questa credenza io non so, forse dal fatto di averlo scritto Plinio e di averlo altri ripetuto, forse dal fatto che alcune spe- cie di cavallette dell’Algeria, del Marocco, della Tunisia, dell'Egitto e di altri paesi africani, sono comuni anche in Italia, forse ancora perchè in quei paesi le orde devastatrici compariscono più di frequente ed essendosi favoleggiato molto sulle loro migrazioni si sono fatte giungere anche tra noi. Or ciò non è esatto, mentre, se le cavallette emigrano non lo fanno per il piacere di viag- giare e godersi il mondo, nè emigrano in cerca di nuovi e più snecolenti pa- scoli, questa credenza è nn errore che bisogna togliere; quello che le spinge a muoversi a volo è tutt'altra virtù, è l’istinto che le sprona a ricercare nuove terre incolte e ferme per provvedere alla deposizione delle uova, il mare non lo traversano, se ci si sono trovate è stato il venuto, a cui non hanno potuto resistere. che ve le ha spinto o vi sono andate incosciamente; le caval. lette non hanno nn volo duraturo nè il mare tra l’Africa e la Sicilia potreb- bero traversarlo in nn’ora come un falco od una rondinella. Esse però si spingono molto lungi dal lnogo natio, è vero, ma ciò lo fanno per tappe più o meno lunghe, a sbalzi, riposandosi e cibandosi e ripigliando 106 T. DE STEFANI PEREZ fl volo finchè non avranno trovato la località adatta al loro scopo. Questo fatto ho potuto costatàre varie volte in Sicilia. Ma anche allo stato di larva le cavallette accennano ad un certo istinto migratorio, istinto che si accentua maggiormente allorchè son ginnte allo stato di ninfa; in questi stadii naturalmente non può attribuirsi ad esse l’istinto materno. Eppure non è il bisoguo di nuovi pascoli che le muove; ho visto le riunioni di giovanissime larve spostarsi per breve tratto da un giorno all’altro, ho visto numerose ninfe continnamente in moto allontanarsi a saltarelli da una località all’altra e traversare campi di grano ed orti e vigne è tenerissimi pascoli che divoravano in parte senza soffermarsi a lungo, e solo vi si trovavano la mattina di buon’ora o la sera al tramonto del sole, mentre poi a sole alto ripigliavano il loro andare ad una meta ignorata. E intanto quei campi avrebbero potuto alimentare ancora per molti giorni questi ed altri branchi. E° dunque uu altro istinto che le spinge a muoversi di continno che noi non comprendiamo, e che può solamente intendersi considerandolo come una facoltà ereditaria. In Italia abbiamo diverse specie di ortotteri che possono costituire, come costituiscono, i diversi branchi di cavallette. Or perchè questi insetti si vogliono far venire dall’Africa mentre li abbiamo in casa? Invece è certo che le invasioni in Italia non sono avvenute che per la moltiplicazione di specie indigene. Certe credenze non si formano che per manco di osservazioni e per aver ginrato in verba magistri. Ed ora risponderò alle domande del questionario: «<« Questionario per una inchiesta Internazionale sulla lotta contro le cavallette » Cenno storico. Generalità. II. Hislensione dei territorir infetti e modalità delle invasioni. III. Generi, specie o varietà nocive nella regione. Pat ASI IT AI de cal CAVALLETTE, LORO INVASIONI BR LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 161 TIVE Dati Biologict. 1°) epoca di apparizione dell’insetto adulto; 2°) accoppia- mento; 3°) deposizione delle uova; 4°) nascita delle larve; 5°) stato di ninfa; 6°) insetto adulto; 7°) maniera di vivere dell’insetto con la particolare indi- cazione della “zona permanente,, abitata e dell’epoca della loro migrazione in rapporto ai fattori topografici e ineteorologici; 3°) nutrimento abituale ed occasionale. VE Cause effettive o probabili che ne favoriscono i danni. Intensità dei danni arrecati. VUE Organizzazione locale dal punto di vista della lotta. 1° — Leggi, Decreti e altre misure legislativo ed amministrative: a) nazionali, 0) regionali. 2°) Misure non ufficiali prese da Società, Sindacati ecc. 5°) Mezzi finanziari: a) ufficiali, b) non ufficiali. VII. Mezzi di lotta adottati nella regione, con le indicazioni particolareggiate dei metodi e degli strumenti ad essi relativi e delle epoche del loro impiego. 1°) naturali a) vegetali; b) animali 2°) meccanici e fisici 3°) chimici 4°) misti VIII. Fisultati pratici già ottenuti e che possono ottenersi con i differenti mezzi di lotta. i IX. Cosa potrebbe farsi in avvenire? (Eventuale utilità, di una intesa inter- nazionale per la lotta contro le cavallette, ecc.) X. Preghiera di trasmettere le pubblicazioni del paese, concernenti tutte le questioni che formano oggetto del presente questionario o d’indicarne esatta- mente il loro titolo. ———————-{i rl 162 T, DE STEFANI PEREZ Risposta alla f° domanda: CENNO STORICO Generalità La storia delle invasioni in Sicila, mentre io non intendo occuparmi che della mia regione soltanto, è presto fatta, e per essere più conciso non so fare di meglio che riportare cronologicamente le date delle apparizioni delle ca- valletie. 1355. Invasione per quasi tutta la Sicilia. 1563. » » » 1637. » limitata all’agro palermitano. 1655. » in diverse campagne non specificate. 1656-1657. » grave per tutta la Sicilia. 1659. » » » » 1687. » in Provincia di Caltanissetta. 1688. » grave per tutta la Sicilia. 1699. » in diverse provincie specialmente in quella di Siracusa. 1703-04. > in provincia di Caltanissetta. 1708-09-10-11-12, grave per tutta la Sicilia per cinque anni di seguito. 1755-56 > in diverse campagne dell’isola. 1784. » in tutta l'isola, grave. 1739. Invasione in tutta l’isola, grave. 1796. » » » 1801-1813. » continue e gravi ora in questa ora in quella provincia. 1829.‘ » della provincia di Catania. 1832-33. >» » » di Caltanissetta. 1357-58-59.» limitata sulle Madonie. 1865. » » alla provincia di Messina. 1365. » » » di Trapani. 1866. » nell’intera isola di Pantelleria. 1869-70.» in diverse provincie. 1877-58. > nelle campagne di Castelvetrano. 1882. » nelle Provincie di Catania e di Caltanissetta. 1883. » nelle campagne di Aidone. CS pa N LO ai onda rta CAVALLETTE, LORO IVASIONI HB LOTTA CONTRO DJ ESSE IN SICILIA 163 1906-07-08. 09-10-11-12» nel Circondario di Cefalù nei territori delle due Petralie, di Geraci Siculo (Palermo). 1910-911. > in territorio di Terrasini (Palermo). 1910-911. > in territorio di Polizzi Generosa (Palermo). dodici in territorio di Resuttano (Caltanissetta). 1911-12. > in territorio di Gangi (Paler.) 1911-12. > in territorio di Catania. 1910-11-12» — lievissima in territorio di Trapani e Girgenti. Ora, se diamo uno sguardo a queste date delle invasioni in Sicilia, ci ac- corgeremo di leggi»ri che esistono delle grandi lacune, mentre non può am- mettersi, per esempio, che dal 1555 al 1657 fossero scorsi almeno due secoli senza che fosse avvenuta altra invasione di cavallette in uno spazio di tempo in cui l’isola era punto coltivata, e le cavallette trovavano condizioni più fa- vorevoli alla loro moltiplicazioue; del pari non può neanco ammettersi che invasioni non ci fossero state prima di quell’epoca, dobbiamo invece credere che i cronisti di allora uon si diedero cura di registrare tali avvenimenti. Comunque, da queste stesse date che abbiamo sotto occhio, non può ne- anco rilevarsi legge alcuna onde stabilire se mai la moltiplicazione straordi- naria di quest’insetti e le conseguenti invasioni soggiacessero ad una regola, mentre che tra una data e l’altra non esiste nessun rapporto di intervallo. Se dunque non esiste una legge che determina la comparsa delle orde di cavallette, dobbiamo ricercarne le ragioni in altre cause; e queste credo che possiamo trovarle nelle stagioni a loro favorevoli, nelle località adatte per la. deposizione delle uova, nella mancanza di parassiti e predatori che le osteggiano. Or siccome queste condizioni non possono essere guidate a beneplacido dell’uomo, questi ha il dovere, se vuole salvare le sue coltivazioni, di difen- dersi dalle cavallette con tutti quei mezzi-di lotta. che sono in suo potere, se non altro, le sue misure difensive varranno a ridurre di molto i danni de- gli insetti che egli deve subire. Risposta alla 2° domanda: Estensione dei territorii infetti e modalita delle in;asioni. Tutta la Sicilia va soggetta alle invasioni delle cavallette indigene, dalle sue spiegge ai suoi più alti monti dell’interno, quasi ogni anno, la moltipli- cazione di alcune specie è molto sentita. dg 164 T. DE STEFANI PEREZ La topografia e la posizione geografica dell’isola sono tali che la diffe- renza di clima, tra una zona e l’altra, si riduce ad un anticipo o ritardo di pochi giorni nella schiusa delle uova di questi insetti. Nessun territorio di nessuna provincia siciliana è mai andato esente dalle cavallette, esse nelle diverse epoche ne sono state gravemente molestate. E per venire ad un epoca recentissima dirò, che nel 1911 i dannosi insetti com- parvero nel territorio di Terrasini (Palermo), proprio sulle spiagge occiden- tali, sin dai primi giorni di marzo; questa comparsa molto precoce si spiega con l’ubicazione e la natura del terreno dove le uova erano state deposte nella precedente stagione, cioè in terreno sabbioso e fermo, arido, permea- bilissimo ed esposto al sole. Nel 1912, nel territorio di Petralia Soprana, l’antitesi dell’altezza in para- gone di Terrasini, in contrada Santa Mariva, le larve del Doczostauras marocca= nus comparvero pure in marzo. Tra le due stazioni il clima è molto differente, ma la stagione asciutta, l’inverno che fu una primavera continuata, il terreno sabbionoso ed esposto al sole, fecero anche qui anticipare lo svolgimento delle nova e la conseguente schiusa delle larve. Ordinariamente questa schiusa in Sicilia, allora che le stagioni corrono regolari, suole avvenire in aprile, dai primi alla metà del mese circa, ma nelle zone montuose si continua sino agli ultimi giorni del mese ed anco in maggio. Così nel 1912, appunto per una stagione di mitezza eccezionale, si ebbero contrade dove le piccole cavallette comparvero in marzo e misero le ali negli ultimi di maggio, in altre contrade invece in maggio continnava la schiusa. Jo ho costatato in Sicilia che si possono avere tre periodi distinti nella schiusa delle cavallette cioè: uno precocissimo nelle località presso. il mare, un altro ordinario nelle bassure (località dal campagnolo dette marine perchè riparate dai freddi) ed un terzo periodo assai tardivo da circa 900 metri in su. Ordinariamente le callette in Sicilia sogliono divenire alate tra i primi di luglio; il trovarne in maggio non è che una eccezione occasionata da una sta- gione eccessivameute calda ed asciutta. In agosto ha luogo l’accoppiamento e l’inizio della deposizione delle nova che si prolunga per tutto settembre e parte di ottobre per le schiuse più tardive. ci È CAVALLETTE, LOrO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 165 Risposta alla 3° domanda: Generi e specie o varietà nocive nella regione. Oggi si conoscono in Sicilia 115 specie di ortotteri bene accertate e divise in 62 generi. In generale questa famiglia di insetti riesce sempre dannosa, ma i mem- bri più temibili e capaci di apportare dei danni veramente gravi alla campa- gna si riducono a pochi, essi però compensano questa deficienza col loro nu- mero. Tra queste specie nefaste tiene il primo posto il Docrosfaurus maroccanus segue il Calplamus italicus e quindi il Decticus albifrons; a queste specie fan- no degno corteo il Crifoltippus coerulescens, il Pachytilus nigrofasciatus, VAro- lopus thalassinus; altri per l’Italia aggiungono l’'Acridinm lineola o Acridinm egypitinm o Acr. tarlaricum V Acr, fascratum, il Poecilomon ronicus, lo Stenobotrus variabilis, lo Sten. biguttatus, VOcnerodes cononicus, la Locusta viridissima, la Leptophyes punctatissima. Vl Ephippigera Zelleri, VEphipp. rugosicollis, la Raco- cleis annulata, il Brachytrypes megacephalus, il Decticus verrucivorus, il Pla- tychleis grisens, l Ephippigera vitium,il Pezotettis pedestris, il Pachytilus stridulus. Or nell’enumerazione di queste specie ci è molta esagerazione, mentre se è vero che tutte sono dannose, per molte di esse non si hanno esempii di aver costituito numerosi attruppamenti, e se vogliamo ridurre le cose al loro vero stato, le specie, capaci di apportarci gravissimi danni, si riducono, nel nostro paese, a solo tre, cioò al Dec/icus albifrons, al Caliptamus italicus e sopra tutto al Dociostaurus maroccanus. Lo stesso Deczicus albifrons in nessun paese d’Europa ha costituito delle orde capaci di potere devastare vaste contrade ed intraprendere emigrazioni, piuttosto esso non ha avuto che un piccolo aumento ed ha per poco allargato il campo della sua attività, ma sempre nelle località di sua ordinaria dimora, uelle località aride ed infrascate, tra le ristoppie e sui covoni dopo mietuto il grano. In quest’ultimo caso esso riesce dannosissimo, ma è ben lungi dall’as- sumere l’importanza delle vere cavallette il cui nome significa distrazione. Questo aumento della specie si è costatato in questi ultimi anni in aicuni territorii dei Comuni della provincia di Trapani, di Girgenti, di Caltanissetta e di Palermo, ma il danno che in essi ha recato è stato sempre molto limitato. Nel 1911, nei territorii di Alia e di Montemaggiore (Prov. di Palermo), fu pure in aumento un altra locustide, l’attera Racocleis annulata, la quale, allora che i calori estivi avevano tutto disseccato ed il grano era mietuto, meno la 166 T. DE STEFANI PEREZ tardiva fimilia, invadevano le spighe di questi campi che rodevano in buona ‘parte; ma la loro azione dannosa è ancora più limitata di quella del Decticus. Altre specie, come per esempio l ZpAippigera rugosicollis nel 1910 ebbe pure un graude aumento e in agosto, in Provincìa di Trapani. di Girgenti e di Palermo ho incontrato campi incolti dove crescevano numerosi Meziculum, «diverse specie di Ferz/e ed altri generi di ombrellifere e Sci//a i cui .teli, in via di disseccamonto, erano letteralmente infarcite delle uova di questa specie; ma di queste locustidi mai nessuna sarà capace di formare gli assembramenti innumeri degli acridii, le cavallette per eccellenza capaci di apportare un wero disas tro. E iu tutti i paesi del mondo sono precisamente alcune specie di Acridi Je più temute. In Africa, fra questi, si contano: lo Staurortas maroccanus, la Schistocerca peregrina, il Pachytuus sulcicollis, VAcridium septemfasciatum, il Caluptamus spretus e differentialis; il pachytulus migratorius, la Schis!ocerca americana, pal- lense e paranensis, nell’Indie la Schistocerca peregrina e qualche altra, in Buro- pa il Docrostaurus maroccanns, il Caliptamus italicus. Queste due ultime specie son quelle stesse che si riscontrarono in Italia ‘e che hanno costituito le orde devastatrici delle cavallette, ma in questi nlti- mi anni, solo nel 1910 il Calpfrmus italicus ebbe in Sicilia un piccolo anmento in Provincia di Palermo, in seguito si è ridotto al suo numero normale. La specie che ha sollevato i giusti all’armi, quella che ha costituito gli enormi attruppamenti, le orde delle cavallette, che avrebbe potuto apportare gravissimi danni, è stata il Docrostaurus maroccanus il quale, nella Provincia «di Palermo, nel Circondario di Cefalù specialmente, ha assunto gravissime proporzioni ed oggi, sebbene contro questo ortottero si fossero adottate dal Governo energiche misure, pure tende ad elargarsi nelle provincie limitrofe di Caltanissetta e di Catania. Il Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio per limitare la mol- ‘tiplicazione di questa dannosa specie, per evitare che essa si espandesse in altri territorit dell’isola, non ha lesinato somme ai suoi incaricati e la distru- ‘zione è riuscita molto energica, ma pure qualche branco, sfuggendo alla per -secuzione, è evaso infestando altre provincie. Tra i branchi di queste cavallette si possono trovare altre specie conso- ‘ciate, io vi ho riscontrato il Calptamus italicus il quale, più che seguire il Dociostaurus maroccanus direi, che era stato preso nel mezzo, ed iu vero il suo mumero era sparutissimo. CAVALLETTF, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 167 Rispcsta alla 4° domanda Dati biologici: I° Epoca di apparizione dell'insetto adulto; 2° Accoppiamento; 3° Deposizione «delle uova; 4° Nascita delle larve 5° Sta'o di ninfa; 6° Insetto adulto; 7° Maniera di vivere dell'insetto con la particolare indicazione della zona permanente abitata e dell’epoca della sua migrazione n rapporto ai fattori topografici e metereolo- gici; 8° Nutrimento abituale ed occasionale. Soffermandomi solamente sulle specie che in modo speciale possono riu- scire di molto dauno in Sicilia e tralasciando le altre di secondario interesse noto la comparsa degli insetti adulti. 1° Dociostaurus maroccanus. Allo stato perfetto o adulto suol fare la sua comparsa nelle bassure dell’isola, in quelle località volgarmente per antono- masia, come abbiamo detto, chiamate marine, verso gli ultimi di giugno, e ian mano che si ascende verso le alture lo si incovtra in luglio. 2° Dopo circa una settimana che l’irsetto ha completate le ali, che è di- venuto adulto cioè, avviene l’accoppiamento dei sessi il quale si ripete più di una volta finchè la femmina non inizia la deposizione delle nove, 3° Quando le uova hanno acquistato il loro completo sviluppo, ciò che avviene circa un mese dopo che gli insetti sono divenuti adulti, si inizia la deposizione; così possono aversi deposizioni di uova in luglio, in agosto, in settembre e sino nei primi di ottobre, a seconda che l'andamento della stagione abbia affrettato o ritardato lo sviluppo degli insetti e quindi delle uova. 4° La nascita delle larve del Docrostuurus maroccanus avviene ordinaria- mente in aprile, anche nelle indicazioni di date molto antiche la comparsa delle larve è segnata in quel mese; così nel 1708 in Provincia di Caltanissetta fu notata ai 5 di aprile, nel 1709 nella stessa località agli ctto dello stesso mese, nel 1703 sempre in provincia di Caltanissetta, ai 12 di aprile e nel 1704 ai 17 dello stesso mese. Ma tale comparse delle larvette può subire delle variazioni a seconda l'andamento delle stagioni; mentre un inverno freddo e prolungato ritarda. lo svolgimento delle uova, un inverno mite e breve lo accelera. Nel 1912 la. 168 T. DE STHFANI PEREZ comparsa delle larve nelle basse località fu assai precoce, esse già furono da me osservate saltellanti sin dalla metà di marz». In contrapposto ho costatato in montagna, presso Geraci Siculo, le larvette schindere anche negli ultimi giorni di maggio. 5° Queste larve crescono rapidamente, le prime nate sono già ninfe ai primi di maggio e insetti alulti circa i primi di gingno; le larvette schiuse più tardi divengono insetti perfetti verso gli ultimi di giugno e anche nel corso del mese di luglio. E’ in tal modo che avviene sin dai mesi primaverili, pel corso di tutta l'estate e parte dei mesi autunnali, una successione di insetti adulti, con una non interrotta deposizione di uova e di emigrazioni per la ricerca di nuovi terreni adatti alla loro prolificazione. 6° Il Dociostanrus maroccanus Thumb. o Gryllus eructatus. Charp. o Stauronotus cruciatus, Finh si distingue ai seguenti caratteri: Color generale giallaccio, testa grossa, vertice pocc spinto innanzi, triangolare, con una fossetta sub trapezziforme in alto sotto alla quale si trovano altre due fossette laterali triangolari, faccia ampiamente gialliccia, sua carena anteriore lineare incavata. Pronoto carenato, poco ristretto nella parte anteriore e trasversalmente bisol cato di sopra da linee ondulate, trisolcato sui lati. Lembi inferiore del pronoto gialli, con una macchia bruna anteriore al di sopra, parte superiore adorna da due linee gialle divergenti incluse fra due lineette brune. Elitre ed ali più lunghe dell’addome, le prime verdastre, reticolate, macchiate di bruno, le se- ‘conde verdastre trasparenti. Cosce posteriori giallastre all’esterno con due macchie brune superior- ‘mente. e col ginocchio bruno, internamente rosse, tibie interamente rosse con sega bruna; tarsi giallastri. Lungh. mill. 18-24 maschio. » » 23-30 femmina. 7°. La zona permanente di quest’ortottero è costituita dalle località che, per ragioni speciali, non vengono mai coltivate e di terreni che si trovano in tali condizioni ne abbiamo in tutta la Sicilia; anche nelle epoche di ordinaria riproduzione di questa specie, non vi è luogo incolto e ristoppie, sia al monte che al piano, dove non si incontra il Docrostaurus maroccanus, e finchè esso si mantiene in numero sparuto non emigra, cosa che fa invece allora che la sua moltiplicazione si rende straordinaria. Le emigrazioni di quest’insetto, come abbiamo visto, si avverano allora CAVALLETTE, LORO INVASIONI LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 169 “che le sne nova sono giunte a maturità e l’insetto deve allora provvedere al- la loro sicurezza, e per deporle si mnove in cerca di località adatte. Ordinariamente queste epoche di migrazioni avvengono in agosto, è questo mese che costituisce l’epoca caratteristica; anche in settembre si costatano «emigrazioni, purchè il tempo corra caldo ed asciutto, in caso diverso non si spostano per nulla. Sono le località aride e specialmente ‘deserte, incolte, i terreni fermi esposti a mezzogiorno le zone abitate da questo acridio, e lo si trova iu mon- tagna come in pianura e forse più in montagna che al basso, ma la verità si .è, che dovunque esso trova condizioni di riposo e di sicurezza per le sue nova vi si sofferma a lungo. I contrafforti delle Madonie, delle montagne cioè dell’interno dell’isola completamente e perennemente incolte perchè sottoposte al vincolo forestale. per timore delle frane, i grandi feudi di montagna dove per la natura del terreno non è possibile nessuna coltivazione, sono i luoghi da esso preferiti, ma ciò non esclude che possa trovarsi anche in terreni coltivati che solo per qualche anno, a causa delle rotazioni agrarie in uso in Sicilia, restarono incolti. Nella deposizione delle uova, il Doctostaurus maroccanus, l’unica specie del genere che abita l’Italia, preferisce i terreni sabbionosi perchè trova meno resistenza nel bucare il suolo per deporre le uova, ma esso depone anche in «terreni molto tenaci e sassosi. L’armatura genitale femminile negli Acridiz, pressocchè uguale in.tutte le specie, esternamente è conformata in quattro dentini fortemente chitinosi, ricurvi all’iafnori, che impiantati nel terreno, con ‘movimento di avvicinamento e di allontanamento che vi imprime l’insetto, si in- sinnano nel suolo spostando le particelle terrose, spinti dall’addome disteso, allungato come un dito rigido per l’evaginamento delle pieghe intersegmentali occasionato dall’introduzione di aria nell'intestino al momento di operare. 8° L’acridio in parola fa suo nutrimento di qualunque pianta, sono troppo poche quelle che disdegna, gusta più delle altro le graminacee, ma si attacca anche a piante ruvidissime specialmente quando le prime, a stagione inoltrata, sono troppo secche, allora, come lio detto, le foglie coriacee e spinose delle Cartine, dell Eryngium, degli Scolimus e di altre costiuiscono il sno alimento occasionale. I costumi del Caliptamus italicus non differiscono un granchè da quelli del Dociostanrus maroccanus, solo mi pare che esso, almeno in Sicilia, sia più riluttante ai viaggi e non intraprende, almeno a volo, le. migrazioni del suo «confratello; esso ama viaggiare piuttosto a salterelli, a piccolissimi voli e non 170 T. DE STEFANI PEREZ fa un grande cammino, da una contrada passa in un’altra accanto e così prosegue per un buon tratto. E specie comunissima in Sicilia, basta fare una passeggiata in luglio ed agosto tra le frasche e le ristoppie per vederne levare a volo una buona quan- tità, offrendo un singolare spettacolo con le loro alette rosse e distese. Il Decticus albifrons, locustide formoso e mordace, è più ruvido dei due. acridii sopra detti; esso abita ordinariamente località più aride e più selvagge che non quelli, ed è sparso in tutta l’isola, rinscendo di qualche danno ai grani. in via di completa disseccamento, specialmente quando legati in covoni, dopo la mietitura, restano sui campi a completare il disseccamento per essere poi disposti a biga ed aspettare il loro turno per la trebbiatura. Ma questa specie, nel senso vero della parola, non emigra mai, solo nel- l’epoca della fregola e non sempre, si sposta da un luogo all’altro per bre- vissimi tratti; attirato dalla Ince dei fanali entra incosciamente nei paesi prossimali alle località di sua ordinaria dimora e dentro le abitazioni. Ma queste scappatelle del Decticus albifrons non sono emigrazioni e de— vono ritenersi l’effetto di nna forte e momentanea eccitazione. Un’altra Locustidae può apportare ai grani qualche piccola molestia al modo stesso della specie precedente; ma essa è attera e la sua azione dan-- nosa si esplica in una zona ristrettissima, circoscritta nei dintorni del suo luogo natio. Tutti gli ortotteri, ora per un verso, ora per un altro, possono, allora che favorevoli condizioni ne fanno straordinariamente anmentare il numero, come- ho detto, riuscire dannos'. Il loro nutrimento, in generale erbivoro, li porta. a servirsi di molte piante della nostra economia e così essi si rendono assai molesti. i In molti vigneti del territorio di Terrasini, Cinisi, Carini, in quelli di Par-- tinico e di Alcamo in parte, nelle contrade eminentemente arenose, è stato notato da qualcheduno, come molto dannoso alle viti, un Gryllidae dal corpo massiccio e dalla testa molto grossa, il Brac?tytrypes megacephalus. Questo in-- setto dall’aspetto strano invero, no. è certamente utile, ma non ha dato mai o:casione a lagnaaze, forse perchè esso non ha potuto mai assumere una grande moltiplicazione, mentre sono suo nutrimento i teneri getti della vit’. Ed invero, la sua esistenza assolutamente legata ai terreni profondamente CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICIL 171 arenosi, che esso per le sue abitudini non può lasciare, non gli permettono un ‘momento di riposo, la tranquillità necessaria alla sua moltiplicazione. I terreni che si trovano nelle condizioni su detti in Sicilia sono tutti pian- tati a vigna. Questo singolare grillo ha costume di abitare in cunicoli assai profondi ‘che scava con le sue zampe anteriori, e tale operazione può farla solo in ter- reni molto sciolti come sono quelli arenosi, anche perchè le sue zampe non .sono adatte a grandi sforzi e male lo coadiuvarebbero in terreni tenaci. Ora in tal lavoro l’insetto può arrecare alle viti qualche leggerissima mo- lestia, mentre la vite, in tali terreni, è provvista di un fittone che si approfonda moltissimo e di numerose barbicelle di cui la rottura di qualcheduna, pel la- voro dell’insetto, non ha nessuna importanza dannosa. Ma uwaltra ragione milita in difesa del grosso grillo, ragione per lui però molto dannosa: E’ pratica agraria, per la coltivazione della vite, di vangare quei terreni ben cinque volte all’anno, cioò in novembre, in dicembre o gen- ‘naio, in marzo, in maggio e in agosto; così ne avviene che i cuniculi del Bracky- frypes vengono continuamente distrutti e le nova dell’insetto del pari. In tal modo non è possibile una grande moltiplicazione e in effetti i vi- ‘ticultori su tale insetto non hanno mai elevato lamento. Non starò a passare in rivista altre specie, mentre nessuna in Sicilia può ‘raggiungere i danni del più temuto degli ortotteri enropei, il Docrostaurus ma- rOCCANUs. Risposta alla V° domanda Cause effettive e probabili che ne favoriscono i danni. Intensità dei danni arrecati 1° — Le cause effettive che agevolano i danni delle cavallette sono da ricercare nella loro grande moltiplicazione che circostanze di luogo e di clima favoriscono grandemente. In quelle regioni dove i terreni incolti esposti a sud sono molto estesi e la loro costituzione e conformazione si prestano allo svi- luppo degli insetti, dove parassiti e predatori e misure di distruzione fanno difetto, dove l’agricoltura, sia per necessità di cose, sia per ingnoranza, la- scia ancora molte terre non dissodate, dove gli insetti, in una parola, possono attendere tranquillamente e non disturbati a tutto il loro sviluppo, tutte que- ste circostanze dico, finiscono col dare un grande impulso ai danni di cui e-s si sono capaci di apportare. 172 i i T DE STHFANI PEREZ Tra le cause probabili che favorisco"r10 i danni delle cavallette è da an- novarsi in Sicilia il sistema di rotazione agraria dei terreni graniferi; tale si stema lascia un terzo della terra incolto perchè possa ricostituirsi col riposo; altra causa probabile è anche riferibile alla nessuna conoscenza che gli a gri coltori hanno degli insetti, per cui essi non operano nulla per impedirne la. moltiplicazione. L'intensità dei danni a cui possono pervenire le cavallette è grandissima; esse effettivamente, col loro immenso numero, sono capaci di distruggere estese coltivazioni specialmente di grani, di piante foraggiere ed orti; ho visto campi di frumento sparire sotto il soverchiante numero di questi insetti e del grano- non restare all’impiedi che il solo stelo, spighe e foglioline erano state divo-- rate. Ù Nel 1910, in giugno, in contrada Gisa, in quel di Petralia Sottana (Circon- dario di Cefalù (Palermo) lavoravano diverse. squadre di operaia frenare lo avan- zarsi di enormi riunioni di ninfe del Doczosfaurus maroccanus, con tende col- lettrici e col fuoco, verso mezzogiorno mi ero seduto sul ciglio diun ubertoso- campo di ceci a merendare, ma alcuni attruppamenti di quelle ninfe, nel mentre. superavano gli ostacoli delle tende e del fuoco, mi circondavano e sorpassa- vano e come una fiumana invadevano il campo di ceci di cui, dopo un momen- to, non restava che qualche legnoso stelo; e quelle ninfe continnarono a scen-- dere verso il piano, distrussero una siepe nella quale si imbatterono, avanza- rono ancora e invasero il primo campo di grano che incontrarono e che di-- strussero come i ceci. Trasportare in cifre i danni che possono arrecare questi insetti lo credo- perfettamente inutile anzi impossibile, dipendendo essi dai terreni che vengono invasi e dalle coltivazioni che gli insetti distruggono e dal loro numero; il certo- si è che se essi non fossero osteggiati dallo misure ai difesa che Governi e- privati adottano contro le loro invasioni, rezioni intere potrebbero perdere tutte- le coltivazioni. Risposta alia VI domanda: Organizzazione locale dal punto di vista della lott\: 1.° Legg', Decreti e altre misure legislative 24 amm'n'strabive : a) nazionali. b) regionali. 2.° Misure non uffic'ali prese da Soc'età, Sinlacati ece. 3.° Mezzi finanziarii : CAVALLETTE, LORO IVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 173. a) ufficiali. b) non ufficiali. 1.° Per quanto si riferisce alla Sicilia le disposizioni legislative più antiche, che io conosco per la lotta contro le cavallette, sono quelle emanate dal Governo borbonico nel 1832 che si iniziano con un regolamento; dopo che l’Italia divenne una e indivisibile lu guerra agli insetti dannosi in genere cadde sotto le disposizioni generali del Codice civile, della Legge comunale e pro- vinciale del 20 marzo 1865 e del successivo regolamento del dì 8 gingno dello stesso anno, delle interpretazioni del Consiglio di Stato e dei Regolamenti locali; nel 1911 però S. E. il Ministro Nitti, impensierito della comparsa delle cavallette in diverse Provincie italiane (Calabria, Sicilia e Sardegna) formulò la legge del 15 giugno 1911. I, — REGOLAMENTO DEL GOVERNO BORBONICO PER L'’ESTIRPAZIONE DELLE CAVALLETTE IN SICILIA Art. 1. Tutti i possessori di terre indistintamente, sieno proprietarî, enfiteuti inquilini, gabelloti, o di qualunque altra maniera detentori di fondi, sono obblig ati, tra il termine improrogabile di giorni otto, a rivelare nella Cancel- leria del Comune, nel cui territorio sono le terre sudette situate, se vi sieno state in esse terre deposte delle nova di grilli ossia cavallette, ed in qual luogo, descrivendo tutte le particolarità, e le circostanze dello stesso luogo» Per quei fondi per i quali non si presenterà 1ivelo, la mancanza del medesimo sarà riccnosciuta per contravvenzione colla verifica che ne farà l'autorità in- caricata, o colla nascita degli animali sudetti in qualunque parte delle terre da }oro possesse o detenute. Art. 2. Sono del pari tenuti i possessori e detentori di terre come sopra, tra lo stesso termine di otto giorni, rivelare se nei rispettivi fondi vi sieno state anche di passaggio cavallette, in qual tempo furono vedute e scomparse, quale direzione esse presero, designando ancora tutte le altre circostanze, e conoscenze relative al detto passaggio. Art. 3. I possessori dei fondi limitrofi che saranno scienti del deposto seme dei grilli nei fondi vicini a quelli da loro posseduti, sono anche tennti, fra il giro di otto giorni, di farne il corrispondente rivelo. PS ie ATE TI 174 T. DE STEFANI PEREZ Art. 4°. A cura del Sindaco deve tenersi nella Cancelleria del Comune un registro nel quale si noterà il giorno del rivelo, il nome, cognome, e la con- dizione del rivelante, il fondo che si rivela colla sua estensione e confini. la speculazione agricola del medesimo, se tutto ad erba, se parte ad erba e parte a seminerio, o ad altra cultura, ed infine chi ne sia il proprietario, o l’enfi- tenuta, o il gabelloto, o colui che lo possegga con altro titolo. Art. 5°. Resta a peso dei Cancellieri comunali di riceversi i riveli nei precedenti articoli prescritti, e di rilasciare ai rivelanti gratuitamente il cor- rispondente certificato del segnito rivelo. Art. 6°. I contravventori alle prescrizioni contenute negli articoli 1, 2, 3, pagheranno una multa di onze 20 per ciascuno. I contravventori agli articoli 4 e 5 saranno soggetti all’ammenda di onze 5. I Art. 7°. Ricevuti i riveli, o ammanita qualunque altra prova che possa sup- plirvi, il Sindaco farà immediatamente intimare i possessori, o detentori dei fondi infetti, acciò infra il tormine di dieci giorni dopo l’intima cominciassero a raccogliere le nova dei grilli o sieno cavallette che vi trovano, e infra il termine di giorni quaranta dopo la detta intima ne compissero la estirpazione. Mancando a questi doveri i possessori e i detentori dei fondi sotto qualunque titolo saranno soggetti ad una multa di onze 30. Art. 8°. Il Sindaco dovrà assicurarsi dell’effettiva quantità delle nova rae- colte che dovrà trattenere per essere riconsciuta dai funzionarii delegati al- l'oggetto dall’Intendente o dai Cominissarii, di cui si terrà ragione all’articolo 27. Gli enunciati delegati accortandosi delle quantità raccolte, daranno le di- sposizioni convenienti per mandarli alle fiamme, Art. 9°. I proprietarii o detentori di qualunque natura dei fondi infetti dopo ;che avranno raccolte e consegnate le nova saranno tenuti far subito raschiare sino a quattro dita o zappare, o arare le terre infette, e sospette d’infezione «nel corso dei giorni quaranta asseguati coll’art. 7. Le menzionate terre si dovranno zappare, ove si scelga questo , metodo, ‘per tre volte, ad uso di maggese, qualora si arassero dovrà l’aratro rompere per tre volte in modo che la terra resti perfettamente infranta. I contravven- tori alle disposizioni del presente articolo pagheranno onze venti. Art. 10. La spesa pel raccoglimento delle nova dei grilli o sieno caval- lette, e per raschiare, o arare, o zappare le terre resta a peso dei proprietari dei fondi. Se però i fittajuoli, o altri detentori dei fondi si servissero delle terre zappate, o arate dovranno pagare al proprietario la spesa erogata. Qua- Jora i proprietarii dei fondi infestati si trovassero assenti, in tal caso i fitta- N CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 175 Juoli o detentori che sono anche obbligati allo adempimento delle prescrizioni di sopra indicate, dovranno anticipare la spesa, di cni si tratta nel presente articolo, con riportare dagli operai le corrispondenti quietanze onde compen- sarsola nei pagamenti. Bene inteso però che nell’atto di adempirsi dai fitta- inoli, o detentori all’obligo anzidetto debbono dar subito conto di tutto ai rispettivi proprietarii per disporre costoro quanto crederanno opportuno ai loro interessi. i Art. 11°. I Sindaci destinerauno dei periti nel territorio del proprio Comune a fin di osservare se gli individui di sopra indicati avessero effettivamente rivelato, se iriveli fatti fossero stati eseguiti con esattezza a secondo le norme del presente regolamento, e se le persone destinate al raccoglimento delle uova ed alla raschia, o zappa, o all’aratro sieno proporzionate ai lavori da eseguirsi: Se osserveranno negligenza o dolo nello esegnire le precedenti disposizioni dovranno i detti Sindaci curare di far raccogliere le nova dei grilli o sieno cavallette e fare raschiare, o zappare, o arare le terre destinando a tale oggetto a carico dei contravventori quella quan tità di persone che sarà riputata ne- cessaria e sufficiente al bisogno. Gli o perai saranno tenuti consegnare ai Sin- daci le uova raccolte, i quali le faranno accumulare per essere riconoscinte dai funzionari delegati come si è prescritto all’art. 3. Art. 12°. Le spese per la perizia e per lo adempimento delle prescrizioni dell’articolo precedente dovranno anticiparsi dal Comune. Art. 15°. Ad evitare che i possessori dei fondi non credessero riconoscere le perizie, e quindi credessero di potersi opporre al pagame..to sia delle peri- zie, nel caso della contravvenzione, sia di tntto ciò che la perizia descriverà, il Sindaco nel punto in cui andrà a visitare i fondi che saranno infetti ne farà legale avviso agl’interessati, acciocchè volendo possano assistere alla pe- rizia, e non assistendovi non possano contro quella reclamare. Art. 14°. La spesa indicata nell’art. 12 andrà solamente a carico di quei possessori che saranno dopo la perizia dichiarati contravventcri, e sarà ripar- tita ad essi in rate proporzionate del valore dei loro fondi, che dopo il ter- mine stabilito si troveranno infetti. I Consigli di Intendenza intesi gli interessati ed i Sindaci rispettivi faranno: la distribuzione di tali rate: quando non vi fosse alcun contravventore allora, si provocheranno le disposizioni del governo intorno al modo di indennizzare il Comune della spesa sofferta. Art. 15. Se i propietarii delle terre differiscono l'adempimento di tutte le disposizioni preseritte per. l’estirpazione delle uova nel proprio fondo, ed ad- di x i: A PRESO 5 PURI E 176 T. DE STEFANI PEREZ ” 2 ducessero impossibilità di mezzi per l'esecuzione, i Sindaci saranno tenuti a destinare persone per far loro eseguire le indicato operazioni. Le somme che saranno necessarie al suddisfo di tutte le spese che saranno bisognevoli do- vrauno i Sindaci sotto la propria responsabilità esigerle, sei fondi si troveranno gabbellati, dai gabbelloti, i quali saranno obligati anticipare sulla gabella da loro dovuta ai propretarii le som'us bisognevoli all'oggetto, se si trovano in economia si dirigeranno sui prodotti, sul bestiamo cho si trovasse nel fondo, ‘o sn di coloro che dovranno pagare il prezzo dell'erba, che si trovasse venduta ‘e che si potesse vendere dichiarando i fondi obbligati ad occorrere a tutte le spese dell’estirpazione delle cavallette. E poichè per realizzare siffatto incasso nei modi regolari, è necessario qualche tempo, vi provvederanno proutamente ‘col denaro i Comuni a titolo di mutuo, nel di cni territorio è compreso il fondo infetto. Resterà a cura dei Sindaci di riportare dagli ‘operai da loro destinati la corrispoadento quietanza della in>rcesda loro soddisfatta. Art. 16. I Sindaci contravventori agli articoli 11 e 15 saranno sottoposti alla multa di onze 50. Art. 17. Se le uova saranno riposte in qualcne fondo ripido e sassoso ove non può adottarsi la zappa o l’aratro, i proprietarii o possessori dei fondi saranno sempre tenuti a raccogliere le dette uova ai termini delle prescri- zioni indicate negli articoli precedenti, ed i Sindaci assicurandosi della impos-. sibilità di potersi tai terreni raschiare o zappare o arare cureranno che si ‘adoperino tutti altri mezzi ad eseguire l'estirpazione. Art. 18°. I Sindaci dovranno curare di far raccogliere le nova che tro- vansi nelle trazzere, vie pubbliche, terre comunali e nei fondi proprii dei Co- muni con dovere poscia fare arare, zappare o raschiare solamente le terre in- fette nel modo istesso che si è prescritto per i fondi dei particolari. Ogui Sin- ‘daco contravventore sarà soggetto alla multa di onze trenta. Art. 19°. Se malgrado dei provvedimenti contenuti nei precedenti articoli ‘compariranno delle cavallette dovranno eseguirsi le seguevti prescrizioni. I proprietarii, i fittainoli, o i dententori dei fondi di qnalunque natura saranno tenuti a loro proprie spese di raccogliere i grilli già nati, di far uso delle mazzaranghe dette volgarmente mataffi per neciderli appena sviluppati schiacciandoli, e se tali mezzi riusciranno inutili per essere le cavallette già grandi e volatili, useranno le tende per ingalappiarle, o quell’altro miglior metodo che l’esperienza suggerirà. Art. 20°. I Sindaci dovranno curare l’esecnzione del precedente articolo CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA d'ONTRO DI ESS® IN SICILIA 177 Art. 21. I contravventori agli art. 19 e 20, pagheranno una multa di onze venti. Art. 22. I Sindaci al semplice avviso che siensi veduti de’ grilli in qualche ‘fondo dovranno, avvisandone i proprietarii, o i detentori, destinare immedia- tamente nn numero sufficiente di persone con tende, mazzaraughe, e ramaglie acciò sollecitamente si potessero raccogliere ed uccidere. Il Comune dovrà anticipare la spesa con riportarne dagli operai la quietanza individuando i luoghi espurgati per la ripetizione contro chi di diritto. Art. 23. I Sindaci dovranno curare l’espurgo degli aquidotti, o altri ser- ‘batoj di acqua ingombri di grilli, e le spese per tale espurgo saranno a carico del Comune per le acque pubbliche, e de’ particolari per quelle di privata pro- prietà. Art. 24. Le multe prescritte in queste istruzioni saranno inflitte dall’ Inten- dente, inteso il Consiglio d’Intendenza, e sulla requisitoria del Segretario ge- nerale pubblico ministero. I Commissarii del Governo di cui è parola nello articolo seguente 27, i Delegati, che destineranno gl’Intendenti ne’ comuni, ed i Sindaci stenderanno rispettivamente processo verbale della verificata contravven- zione con testimonii, e la rimetteranno all’Intendente per pronunziare sulla corrispondente multa. Saranno le suddette multe riscosse da’ Sindaci pervia di coazione amministrativa, e quando le multe sono inflitte a’ Sindaci, saranno riscosse a cura de’ primi Eletti, e si terranno a disposizione del Governo. Gli Intendentì sorveglieranno l'adempimento il più esatto per la riscossione delle multe e faranno tenere in Intendenza un registro particolare di tutte le multe inflitte sì a carico dei particolari che dei funzionarii amministrativi. Art. 25. Tutti coloro che denuncieranno le contravvenzioni prevedute ne- gli articoli precedenti, godranno terza parte della multa fissata per la denun- ziata contravvenzione. Art. 20. Gl’Indententi anche sulla proposizione dei Commissarii, sono fa- coltati ad accordare dei premii a coloro che contribuiscono alla estirpazione totale delle cavallette sia in un territorio, sia in più territorii: la somma del premio sarà in proporzione del maggior servizio che prestarono o ad una in- ‘tiera valle, o ad una parte di essa. Tali premii saranno autorizzati o sui fondi “disponibili delle valli, o dei Comuni secondo l importanza dell’ utile arrecato per cui a seconda dei casi sarà provocata l'approvazione del Governo. Art. 27. In ogni valle saranno eletti uno o più Commissarii del Governo, i quali mettendosi di accordo coll’Intendente avranno la sorveglianza diretta xper la pronta esecuzione di tutte le disposizioni contemplate nel presente re- PRU E NON REATO DIRI 4 0 178 | T. DE STEFANI PEREZ golamento; si metteranno in giro per quella estensione di Provincia che sarà a ciascuno affidata, visiteranno i luoghi infetti, e colla straordinaria autorità delegata a’ medesimi cureranno che si verifichi la totale estirpazione delle ca- vallette, ed adempiranno col massimo zelo l’incombenza che lor viene in si fatta circostanza affidata per prevenire una pubblica calamità. Gl’Intendenti ove crederanno opportuna la loro presenza vi si recheranno- personalmente. i Art. 28. Gl’Intendenti sulla proposizione de’ Commissarii sono facoltati di delegare nei comuni de’ probi e facoltosi possidenti a sorvegliare ne’ rispet- tivi territori la esatta esecuzione di tutte siffatte disposizioni. Gli anzidetti: delegati vigileranno che da’ Sindaci, dagli Eletti, da’ Gindici di circondario per la parte che li rignarda come funzionarii di polizia si adempissero tutte l’enunciate prescrizioni, e se occorresse, ove il bisogno lo porta, al celere adempimento, ed ordineranno per ottenere l'oggetto quelle disposizioni che. crederanno opportune. Art. 29. Il Direttore generale di Polizia, e gl’Intendenti sono incaricati: di vigilare alla esecuzione del presente regolamento. Palermo 8 ottobre 1832. 2. A questo Regolamento, nel marzo 1833 ne seguì un altro suppletorio: REGOLAMENTO SUPPLETORIO PER L’ESTIRPAZIONE DELLE CAVALLETTE Art. 1, Tutti i possessori in atto di terre indistintamente sieno proprie=- tari, enfiteuti, inquilini, gabelloti, coloni, o di qualunque maniera o titolo li posseggano, siano procuratori, o custodi, sono obbligati di usare la più accu- rata vigilanza per vedere se negli enunciati fondi, riconosciuti o no infetti di nova, siano nate le cavallette, e scopritele sono tennti fra 24 ore denunziare al Sindaco la esistenza delle larve, facendone il corrispondente rivelo nella cancelleria del Comune, nel cui territorio esiste il fondo, descrivendo i punti ove sia avvennto lo sviluppc, ed ove quindi si trovino. Art, 2, Gl’individni tutti enunciati nell’articolo prededente, sono obbligati del pari di rivelare infra 24 ore nella Cancelieria suddetta, se nei dettifondi: sieno passate: delle cavallette già grandi e saltellanti. CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA ; 179 Art, 3. Gli individui tutti come sopra, conoscendo nei fondi loro limitrofi yi siano nate delle cavallette, o vi sieno entrate saltellanti, devono anche essi fare il rivelo nel termine ancora di 24 ore, dichiarando il fondo ove le caval- lette siano nate, e siano passate. Art. 4. I Sindaci sono obbligati di eseguire quanto è prescritto nei pre- “cedenti tre articoli pei fondi comunali, pelle trazzere, e pelle vie pubbliche ‘come ugualmente pei fondi abbandovati, nel senso specificato nelle precedenti risoluzioni Ministoriali. Art. 5. I Sindaci al semplice avviso di essersi vedute cavallette in qualche fondo, subito e senza alcuno ritardo intimerauno il possessore come sopra, ein ‘caso che sia altrove domiciliato intimeranno qualunque persona che nel fondo lo rappresenti, o lo custodisca a destinare in 24 ore il numero di lavoratori che sarà creduto necessario per distruggerle al più presto, e ciò eglino stessi eseguiranno pelle trazzere, pelle vie pubbliche, e pei fondi abbandonati; di- -chiarando ai particolari, che scorse le ore 24, e non eseguita la ordinanza del Sindaco, per cui non si troverà nei fondi il numero degl’individui necessarii all’estirpazione, il Sindaco destinerà o lo intero numero, o il supplimento che . manca a compiere nel pin breve tempo possibile i necessarii lavori. Art. 6. I metodi da adoperarsi adattibili a misura delle circostanze locali, «saranno di schiacciarle colle mazzaranghe, o altro strumento nelle ore mattu- tiue o serotine, tempo in cui si ritrovano rinnite, bruciarle così riunite con paglia o frasca, che le sarà sparsa di sopra, di cacciarle con iscope, ramaglie o altri mezzi, in fossati profondi dne palmi appositamente cavati alla estremità dei fondi e coperte quindi di paglia o frasca darvi fuoco, ovvero pigiarle coi piedi, o colle mazzaranghe, e ricoprirle colla terra ammonticchiata da un lato del fosso. Ove poi comincino ad essere saltellanti si usino le tende per ingal- lappiarle, o quell’altro miglior metodo che la esparienza ha suggerito, o potrà suggerire a detto scopo. i Art. 7. I Sindaci dovranno curare che dai possessori, come sopra, dei fondi infetti si esegua puntualmente quanto è prescritto nei suddetti articoli. Trascorso il termine di ore 24 assegnato per destinarsi gli uomin a di- struggere le cavallette, essi Sindaci ai termini dell’articolo 5 saranno tenuti a destinarveli con darne avviso ai possessori suddetti. Il Comune ne ; dovrà -anticipare la spesa con ripetere dagli operai la quietanza individuando i JImoghi espurgati. Il Sindaco in caso di non pronto pagamento. da chi di diritto ‘assicurerà il modo da rimborsarsi il Comune, precedendo amministrativamente «sul bestiame, sull’erbagio, sui gene ri, e qualunque prodotto dei fondi sia che 180 T. DE STEFANI PEREZ trovasi in economia, sia che trovasi gabellati salvi ai proprietarii, ed ai gabel-- loti i diritti, che pelle particolari convenzioni rispettivamente ad essi possono- competere da provvedersi dai Magistrati competenti. Art. 8. I contravventori di qualunque articolo del presente regolamento- siano funzionarii, siano particolari, saranno sottoposti alla multa di onze trenta: da infliggersi ai termini dell’art. 24 del regolamento di ottobre 1832. Art. 9. I Sindaci dovranno anenra curare lo espurgo degli acquedotti o al- tri serbatoii di acqua ingombri di cavallette, badando bene, per non fare in- fettare l’aria, di bruciarle o seppellirle sotto terra. Le spese per tale espurgo- saranno a carico del Comune pelle acque pubbliche, e dei particolari per. quelle di privata proprietà. Art. 10. I Sindaci saranno inoltre obbligati sotto la propria responsabilità d'indagare se nei territorii dei rispettivi Comnni sieno state anche di passaggio. le cavalleite, in qual fondo si sieno vedute, e scomparse, se abbiano fatto posa, o dove, e quale direzione abbiano presa. e ciò affinchè si facciano estirpare. le nova che forse vi avranno deposte, da coloro i quali sono a ciò obbligati. Art. 11. I Sindaci, i Delegati e tutti i locali funzionarii, incaricati di questo- importante servizio cureranno lo esatto adempimento di tutte siffatte disposi-- zioni, ed useranvo tutta la vigilanza e sollecitudine perchè vengan eseguite in tutte le loro parti. Art. 12. Restano ferme le disposizioni dei regolamenti precedentemente- pubblicati, e che non vengono da alenno articolo del presente regolamento. modificati. Art. 13. Il Direttore Generale di Polizia, gli Intendenti, iCommissarii del Governo son incaricati dell’esatta esecuzione di questo regolamento suppletorio..- Palermo 8 marzo 1833. 38. — DISPOSIZIONI DEL CODICE CIVILE ITALIANO CAP. II DELLA PROPRIETA Art. 438. Nessuno può esser costretto a cedere la suna propriètà od a per- metter» che altri ne feccia uso. se non per causa di utilità prbblica legal- mente riconosciuta e dichiarata, e premesso il pagamento di nna giusta indennità.- Le norme relative alla sproporzione per causa di pubblica utilità sono» determinate da leggi speciali. CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 181 4. — LEGGE COMUNALE E PROVINCIALE (28 MARZO 1865) Tino JO (0, VIDE Art. 146. Saranno soggetti alle pene di polizia sancite dal Codice penale i contravventori ai regolamenti vigenti, o che venissero formati in esecuzione delle leggi per l’esazione delle imposte speciali dei Comuni, per regolare il godimento dei boni comunali, per l’ornato e la polizia locale, ed agli ordini e provvedimenti a ciò relativi dati dai prefetti, dai sottoprefetti e dai sindaci. Che nei regolamenti suddetti si può sancire la disposizione, mediante la quale i proprietarî di fondi siano obbligati a distruggere i bruchi con reci- dere od abbruciare i rami cui sono attaccati. Che in vista di provvedere ad un maie generale, e per opporsi al quale non è possibile altro modo d’impedire il maggior danno derivabile all’agri- coltura, una siffatta disposizione si appalesa necessaria, e quindi non può ritenersi contraria all'articolo 29 dello Statuto fondamentale del Regno ed all’articolo +38 del Codice civile. Che le persone nominate dall'autorità comunale, anche senza avere le qualità d’agenti di polizia giudiziaria, possono entrare nei poderi o terreni altrui senza il permesso del proprietario per osservare se vi sieno cavallette e darvi la caccia. Che l'Autorità comunale può prescrivere tassativamente particolari lavo- ri per la distruzione delle cavallette, come l’aratura e la coltivazione del ter- reno privato. Che l’Autorità stessa può obbligare tutti i cittadini ed i proprietari dei terreni vicini a quelli invasi dalle cavallette a prestarsi con l’opera propria nei lavori per la distruzione delle Cavallette. Che l'Autorità municipale in genere ha il diritto incontrastabile di prov- vedere nei regolamenti di polizia rurale al modo di prevenire o riparare a quelle calamità che distruggono i raccolti ed i frutti della terra, ed appor- tano danni al benessere della popolazione. Che il Magistrato municipale, trattandosi di pubblica calamità, dalla quale le forze individuali di ciascun cittadino non bastino a premunirsi e si richie- dono per ovviarvi o rimuoverla l’azione collettiva locale, può disporre in con- seguenza convenientemente di essa, purchè non ecceda lo scopo che si vuole Iaggiungere. 182 T. DE STEFANI PEREZ Che l'Autorità cumunale, a termini dell’art. 44 della Legge comuuale e provincialo, può pretendere dal proprietario la rifusione intiera o parziale della spesa occorsa, quando, si trattasse di far eseguire dei lavori nelle proprietà altrui. Che la facoltà di richiedere da tutti quei lavori, servizî o soccorsi che possono servire a riparare i danni provenienti da pubbliche calamità, è bastata sull’articolo 685, N° 3 del Codice penale; in conseguenza di ciò l'Autorità co- munale può richiere il concorso obbligatorio di ognuno nella distruzione delle Cavallette. VITTORIO EMANUELE III ‘ per grazia di Dio e per vylontà della Nazione RE D'ITALIA Il Senato e la Camera dei deputati hanno approvato; Noi abbiamo sanzionato e pro mulghiamo quanto segue: ASEABIE È autorizzata la spesa di L. 250,000 da stanziare nella parte straordina- ria del bilancio del Ministero di agricoltura, industria e commercio, per l’e- sercizio 1910-911, allo scopo di concorrere alla distruzione delle cavallette, con facoltà di tenere impegnati, come residui passivi, i fondi che resteranno disponibili al 30 giugno 1911. Art. 2. Il Ministero è autorizzato ad emettere mandati di anticipazione ai fini di cui al precedente articolo, per somme superiori a L. 30.000 a favore dei pre- fetti delle Provincie invase dalle cavallette, in conto di contabilità speciale; come pure è autorizzato, in casi speciali di somma urgenza, ad emettere man- dati di anticipazione, anche quando non sia giustificata l’erogazione della som- ma precedentemente anticipata. Art. 3. Il Ministero di agricoltura, industria e commercio è autorizzato a nomi- nare, in ogni Provincia invasa dalle cavallette, un Commissario temporaneo, scelto di preferenza fra il personale tecnico dipendente, che dovrà provve- dere all’organizzazione ed alla direzione dei lavori di distruzione. Le spese occorrenti per i lavori di ‘listruzione per metà a carico dello ‘Stato, laltra metà sarà ripartita tra la Provincia e i Comuni infetti o minac- ciati. Il riparto delle spese sarà fatto dal Commissario salvo il ricorso al Mi- nistero di agricoltura, industria e commercio. x RAPE RNA; CRE ENRPENA PUMEO e o. CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTIA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 185 I Comuni hanno facoltà di contribuire con prestazioni d’opera, il cui importo verrà defalcato dal contributo a loro carico. I Comuni sono autoriz- zati ad imporre ai cittadini atti al lavoro le prestazioni d’opere necessarie re- tribuendo i bisognosi. Ove pur sussistendo la necessità, i Comuni non impon- gano la prestazione d’opera , ll prefetto provvederà a ciò con sna ordinanza su proposta del commissario. Art. 4. La presente legge andrà in vigore il giorno successivo a quello della sna pubblicazione. Ordiniamo che la presente, munita del sigillo dello Stato, sia inserta nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di ossorvarla e di farla osservare come legge dello Stato. Data a Zoma, addì 15 giugno 1911. VITTORIO EMANUELE. GIOLITTI - NITTI - TEDESCO. Visto, il guardasigilli: FinoccHIARO APRILE. Che io sappia nessuna Società, nessun Sindacato ha preso mai nell’isola misura alcuna per combattere le cavallette; si sono invece pubblicati molti ar- ticoli nei giornali lamentando a torto ed a ragione l'inerzia del Governo an- che quando questi veniva in soccorso della campagna minacciata e danneg- giata, si è sempre reclamato chiedendo aiuti «0 4/0, ma nulla si è fatto senza l’aiuto del governo; si sono bensì costituiti qualche volta dei Comitati cittadini i quali hanno pronunziato belle parole, forse avranno avuto ottime intenzioni, ma poi sono finiti col reclamare solamente dal Governo. In quanto ai mezzi finanziari è stato sempre il Governo che le ha ap- prontato; nè qualche centinaio di lire speso molto raramente da qualche Co- mune o da qualche raro Comitato cittadino, può aver peso nella bilancia. Nella lotta contro le cavallette non si tratta di poche lire per riuscire, ma di molte migliaia invece. Intanto riferendomi aiîle poco liete condizioni finanziarie in cui si dibat- tono la maggior parte dei Comuni siciliani sopraffatti dalle spese obhligatorie, mi pare che la disposizione dell’art. 3° della legge 15 giugno 1911, che fa obbligo ai Comuni invasi dalle cavallette ed a quelli minacciati, di pagare il quarto delle spese eventuali sostenute dallo Stato nella lotta contro i dannosi 184 T. DE STEFANI PEREZ insetti, dovrebbe modificarsi nel senso che tali spese dovrebbero essere soste- nute dai proprietarì che sono i veri interessati, imponendo loro una tassa mi- nima ma permanente che andrebbe a costituire un fondo il cui accumulo ser- virebbe esclusivamente per la difesa in genere da tutti gli insetti dannosi, Risposta alla VIl domanda. Mezzi di lotta adottati nella regione, con le indicazioni particolareggiate det metodi e degli strumenti ad essi relativi e delle epoche del loro impiego : a) Vegetali i 1° naturali b) animali 2° Meccanici e fisici 5° Chimici 4° Misti I metodi di lotta impiegati in Sicilia in questi ultimi anni contro le ca- vallette, si sono ristretti a pochissimi, e ciò perché fra quanti ne sono stati escogitati e proposti si è data la preferenza ai più praticie più adatti alle con- trade dove Ia lotta doveva svolgersi. Dirò in breve di essi, ma prima accenno alla lotta naturale la quale ha certamente la sua grandissima importanza: i 1°) Sin’oggi sui parassiti vegetali che attaccano le cavallette può farsi poco asseguamento, gli studii del Kiinckel d’Herculais, e del Prof. Cuboni hanno dimostrato che guidare artificialmente questi parassiti al nostro fine è opera vana; in effetto si è attribuito molto valore all’Empasa grylli (Fres) o Entomoph- fora grylli, ritenuta come la sola veramente capace di uccidere in pochi giorni orde intere del Calpfamus italicus. Altri microscopici funghi che possono tro- varsi sulle cavallette pare che siano :neno fatali agli insetti e sono inoltre più rari. Or che l’Empusa grylti abbia una grande azione nefasta su alcune specie di ortotteri, diversi autori lo dicono, ma in Sicilia non si è mai osservata la decinazione delle cavallette per simile infezione parassitaria; ciò forse potrà dipendere da mancanza di costatazione, ma più probabilmente dal clima dell’i- sola il quale, in genere, non si presta a favorire lo sviluppo della crittogama; tale sviluppo è grandemente agevolato da un ambiente umido, ed a me pare CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 185 di avere osservato che gli ortotteri sanno garentirsi dall’umidità, o per lo meno essi hanno tali costumi che li difendono dal micidiale parassita. Sul proposito credo di aver fatto un’osservazione che altri probabilmente avrà potuto fare prima di me, ma della quale non so se sia stata mai data una spiegazione: A me è parso che le larve, le ninfe e gli 2dulti del CaZip- tamus italicus, del Dociostaurus maroccanus, del Decticus albifrons, della Raco- «cleis annulata, le quattro specie su cui ho fatto l’osservazione, sogliono, sull’im- brunire, riunirsi sotto i covoni sparsi per i campi, sotto il frascame, arram- picarsi alla parete dei muriccinoli, sugli steli delle erbe, su quelli degli ar- busti, o di altro che trovano alla loro portata, standosene immobili e tenendosi rivolti verso l’alto, e così restano per tutta la notte e così si trovano ia mattina di buon’ora prima che il sole siasi levato a riscaldarli e risvegliare la loro attività. Or questa abitudine di cercare un riparo duraute la notte e di arrampi- carsi su sostegni eretti, io la spiego con l’istinto degli insetti che li porta a garentirsi dall'umidità: Sotto i covoni o altro riparo essi vengono a trovarsi al coperto della ruggiada notturna, arrampicati su gli steli delle piante e di altri sostegni lo saranno meno, ma invece sono più esposti alla correute aerea, più ventilati quindi e la mattina il sole li investe e li asciutta prima di quelli che possono trovarsi sul terreno inumidito dalla rugiada; tale abitudine a me pare che abbia, negli insetti in parola, lo scopo di evitare un ambiente che forse riconoscono poter riuscire loro di danno. Mi confermo in questa idea anche perchè ho osservato, nella contrada Zucco, le larve del Docrostaurus arrampicate sugli steli dell’orzo ancora verde, senza che esse di tale graminacea facessero loro nutrimento, mentre poi la mattina, quando il sole le aveva riscaldato, scendevano al suolo e a salterelli raggiun- gevano i prossimi campi a frumento e in bnona parte li devastavano. Un: fatto simile ho osservato in territorio di Caccamo in giugno con gli adulti del Deczicus albifrons; questi insetti verso sera si riunivano in grande numero sugli steli di alenuni rovi che formavano siepe e dei quali non attac- cavano punto nè le parti tenere di esse, ne le foglie, ma a giorno alto, quando il sole li investiva, abbandonavano la loro stazione notturna e invadevano il prossimo orto distruggendone le piante tenere e succolenti. Lo stesso fatto, presso a poco, ho osservato in luglio in exfendo Contes- sa presso Montemaggiore Belsito; quì il Decheus albifrons passava, come a Cac- ‘camo, la notte su gli steli dei rovi, il giorno poi scendeva ad assalire alcuni prossimi campi di ceci e di questi divorava tutte le parti tenere e il seme: anche in questo territorio di Montemaggiore ho osservato la facocleis annulata, verso 186 T. DE STEFANI PEREZ sera, tenersi immobile sulle spighe del grano di cui l'indomani a sol levato, divorava i semi o tagliava le spighe al colletto facendole cadere al suolo dove da altre campagne venivano divorate. La quantità grandissima di questi insetti che la sera si rinniva sul culmo del grano non vi si trovava affatto durante il giorno, le acocleis invece erano in maggior numero sul terreno. Che l'umidità favorisce lo sviluppo delle spore della Zntomophfora griylli è provato da numerose esperienze fatte su gli insetti in schiavitù; il Prof. Cuboni, Direttore della Stazione di Patologia Agraria di Roma, volle tentare se mai fosse stato possibile di trar partito da questo parassita per la lotta contro le cavallette; ripeto le sue parole: mentre le esperienze di gabinetto affidavano di un felice risultato, sulle cavalletto in aperta campagna fallirono comletamente, non avendo potuto ottenere la riproduzione dell’ Entomo- phtorea (1). Eppure il Prof. Cuboni aveva osservato l’epidemia in natura nell’agro romano a Salone ed a Civita Castellana. Il Kiiuckel d’Herculais e Ch. Langlois, in una comunicazione fatta al Con- gresso d’Orano in Algeria nel 1888, dicono di più (2) ‘# “Nous avons le regret de dire que c’est toujours après que les Criquets, pèlerin s’etaient appariòs, accouplès, avaient pondu, qu'ils avaient accopli lenr cycle èvolutif et commis leurs revage qu’ils succombaient.,, ,, Ed il Kiinckel d’Erenlais altrove (3) “ .....il est regrettable que la molti- plication artificielle de lenr spore ne puisse étre rèalisèe; la nature seule ope- re la propagation de ces Cryptogames et assure la contamination des Acridiens par de voies que nons ignorons..... ;, ;;- L’Empusa o Entomophtora grylli adunque se può riuscire in natura mi- cidiale alle cavallette allorquando quesie hanno compito tutte le loro funzioni, se d’altro canto non è possibile dirigerla artificialmente, essa per noi riesce perfettamente inutile, ed alla potenzialità dello cavallette devono concorre- re altre cause che a periodi irregolari ue determinano la diminuzione o l’anmento; ora in queste cause possono avere un grande peso alcuni ani- mali, specialmente gli insetti predatori e parassiti veri. (1) Cuboni C.— Esperienze per la diffusione della Entomophtora grylli Frés. contro le. cavallette (Nuovo Gior. Bot. [tal. Vol. 21° 1889. (2) Kiiuckel d’Herculais et Uh. Langlois-Les champignons parasites des Acridiens (Com- ptes Rendus de l’Academie de Sciences de Paris, 1891). (3) Kiinckel d’Herculais-Causes naturelles de l'extintion des invasions des suterelle-Role du Mylabris variabilis et de l’Entomophtora grylli en France 1901-902. (Comptes rendus del-- l’Association Francaise pour l’Avancement des Sciences-1902). ld P, L x $i s MERLI let ORE î PUNDA, VR SE PA ITAE, PSE 39 TION Rini e ae RPESTRP RR a RETTO RO CLORO FRI DIRI RARI PR EENNTIO, SPETT i Pt INI CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICIL 187 PARASSITI ANIMALI Nei cannelli delle uova di Doczostanrus maroccanus io ho trovato le larve di due coleotteri e di na dittero non prima d’ora osservati in Italia; ciò è strano, mentre gli insetti perfetti vi sono ben frequenti e la specie conosciuta. Tali parassiti meritano tutta la nostra attenzione e però in queste note dirò di essi «quel tanto che della loro biologia ho potuto conoscere. Intanto credo dovere osservare come mai, a gindicare dal grandissimo numero di Dociostaurus maroccanus comparso nel 1910 e 1911, in due località siciliane tanto diverse per clima e topografia, sui contrafforti cioè delle Ne- brodi, ad una altezza che varia dai 900 ai 1700 metri, e nel territorio di Ter- rasini, nella parte occidentale dell’isola, proprio a circa solo 30 metri di ele- vazione e vicino alla spiaggia, i parassiti di cni dirò potrebbero far credere che la loro azione non abbia molto valore contro le cavallette; a giudicare ancora dal silenzio degli autori intorno ad essi potrebbe credersi al poco valore, alla poco attività distruttiva di questi parassiti, ai quali invece io ho ragione di attribuire un’azione energica nel limitare la moltiplicazione degli acridii o almeno, di una delle specie più dannose, il Docrostanras maroccanus. Se oggi l’azione dei parassiti in Sicilia non si è manifestata in-tutta la sua potenza, deve piuttosto attribuirsi al fatto che questi agenti della lotta naturale giunsero con ritardo sui campi infestati dagli ortotteri, cosichè questi non molestati poterono moltiplicarsi a milioni. Intanto io ho la convinzione ce se i parassiti non giunsero oggi a vincere i dannosi insetti, li ridurranno nei giusti limiti a breve scadenza. Ho accennato alle due stazioni dove il Dociostaurus maroccanus si è enor- memente moltiplicato, cioè a quella delle Nebrodi o Madonie, i monti più alti dell’interno della Sicilia, e all’altra delle spiagge di Terrasini ad occidente; or queste due località, così diverse e così lontane una dall'altra, ci dimostra- no qualmente l’acridio in parola non abbia preferenza per una speciale stazione, ma che esso sceglie e dimora colà dove può trovare condizioni di terreuo favo- revoli alla sua moltiplicazione ed all’esercizio delle sue mandibole. La differenza che intercede fra due lecalità così diverse, si riduce per gli insetti al più o mieno precoce loro sviluppo; di fatti, mentre a Terrasini, sin dai primi di marzo le larve del Doczostaurus marroccanus erano già com- parse e tra i primi di giugno divenute ninfe, poco dopo la metà dello stesso 188 \ T. DA STEFANI PEREZ mese erano insetti adulti ed avevano finito la deposizione delle nova; sui con- trafforti delle Madonie invece le nova cominciarono a schiudere in maggio, e in settembre l’insetto adulto non aveva completata la sua deposizione. Le larve da me osservate come parassiti predatori delle uova di Docio- staurus maroccanus sono: una JMelordae in grande quantità, un Cleridae le più sparute in unmero ed un Bombilidae in quantità straordinaria. Tutte e tre que- ste larve sono armate di robuste mandibole che loro servono tanto per pra- ticare una rottura nell’ooteca terrosa del Dociostanrus onde ragginagere le uova, quanto per attaccare + stritolare le teche di queste e nutrirsi del loro contenuto. Un altro Bomb:lidae. che per ora rimane indeterminato, ho anche visto perseguitare in grande nnmero in agosto gli stormi emigranti del Docrostanras maroccanzs e sorvolare sui depositi delle uova dove gli ortotteri si fermavano a deporre; sn di esso non potei fare più serie osservazioni quest’ anno (1911), ma esso non è che nn altro valevole nemico delle nova di cavallette. Dalle ooteche poi raccolte in marzo (1912) ho ottenuto frequente, ma non comune, un’altra mosca la Tachina larvarum L. Oltre a questi parassiti ho anche osservato, per ben diverse volte in ago- sto, Ia Ohalcis Dalmanni (Thms.) assalire il Dociostaurus maroccanus allo stato adulto, ed ho potuto assistere alla manovra di questo parassita per fissarsi sul dorso dell’acridio: Il calcide, volando molto presso al suolo nelle località fre- queniate dalle cavallette per la deposizione delle nova, piomba all’improvviso sopra l’ortottero, sia maschio che femmina, allora la vittima si agita scompo- stamente, tenta tutto per levarsi dal dorso l’ingrata soma, agita convnlsiva- mente le elitre e le ali, passa e ripassa sul suo dorso rovesciandole le Innghe gambe posteriori, ma la Cha/cis continua a tenersi sul posto che ha scelto resistendo a tutti i tentativi messi in opera dal Docrostaurus per scacciarla, finalmente questo ricorre ad un mezzo eroico, cioè si arrabbatta rivoltolandosi al suolo e così la Cka/cis l’abbandona volando via. La Chalcis, sul dorso del Locrosfanrus, mi è parso stabilirsi al limite po- steriore del torace e la base delle elitre, tenendosi con l’addome rivolto all’in- dietro; ho supposto che in tale posizione essa piantasse il suo ovapositore sul primo segmento addominale e vi deponesse un uovo, ma a me non è riuscito di scoprire quest'uovo per quanto Doc:ostaurus, assaliti dalla Chalcis, avessi esaminato. Volato via il parassita, la cavalletta, non so se per gli sforzi fatti nel vo- lersi liberare dall’intruso o per effetto della molestia da quello direttamente apportatavi, resta per un pezzo come intontita. j id x fi ERE UN vai CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 189 Or se la Chalcis non fosse un parassita primario, ma un iperparassita, non si comprenderebbe il perchè le cavallette dovrebbero tanto temerla; dal- tronde anche la Chalcis albifrons dell'America è ritenuta parassita di acridii. Questa Cha/cis Dalmanni intanto è stata ottenuta numerosissima anche dalle larve di Sarcophaga carnaria (1) e questa mosca alla sua volta, sebbene dub- biosamente, è creduta parassita del Ca/optenus spretus dell'America. Inoltre, nel Docrostaurus maroccanus ho riscontrato anche un Verme il Mermis albicans, e la prima volta che l’ho scoperto mi sono accorto di esso per un caso singolare, ho trovato cioò una femmina di Ephippigera rugosicol lis a divorarne un’altra di Dociostaurus maroccanus che aveva attaccato su un lato del torace, mi abbassai per raccogliere la locustide, ma con essa venne anche il Docrostanrus tirato su da un lungo filamento che teneva uniti i due insetti; e realmente essi erano incatenati da un ben strano e pericoloso lega- mento, dal verme sopradetto, il quale in parte era ancora nel torace dell’a- cridio e parte era stato ingoiato dalla locustide. La lotta artificiale che si è sempre combattuta per la distruzione delle cavallette, sin oggi ha dato scarsissimi risultati; tutti i metodi escogitati, al- cuni dei quali hanno molto valore, sono però ben lungi dall’avere quell’im por- tanza pratica sulla quale potere fare sicuro assegnamento. Il metodo distruttivo veramente efficace si potrà solo raggiungere con lo studio biologico dei parassiti, con la lotta naturale. Recentemente il Sig. F. H. D’Hèrelle dell'Istituto Pastenr, ex Direttore del- la Stazione agricola di Merida (Messico) ed oggi addetto all’Istituto entomo- logico la Defensa agricola di Buenos Ayres incaricato della lotta contro le ca- vallette, ha presentato all'Accademia delle Scienze di Francia, nella tornata del 22 maggio 1911, una memoria intorno ad un’epidemia batterica da lui os- servata al Messico e precisamente nell’Yucatan che arreca la morte nei branchi di cavallette (Schistocerca pallens) che infestano quelle contrade. Nel N° 129, 31 marzo 1912 del Jourza!l d’Agricolture Tropicale leggiamo sul proposito qualche cosa di più positivo sull’azione e sulla virulenza di que- sto bacterio, e sulla praticità di usarlo nella lotta contro le cavallette. Come è noto, una delle regioni più esposte ai danni delle cavallette é la Repubblica Argentina, tanto che colà si hanno estesi territorii ove non è pos- sibile alcuna coltura perchè soggetti periodicamente alle invasioni delle eaval lette stesse. [| (1) T. Destefani — Una nota sulla Chalcis Dalmanni, (In Nat. Sicil. Ann. IX, 1890) Palermo. A Be tir e 190 È T. DR STEFANI PEREZ Ora fu appunto il Governo dell'Argentina che, venuto a conoscenza della pubblicazione del D’Hérelle, riconobbe tutta l’importanza che se mne poteva trarre e senza indugio invitò il D'Hgérelle a voler tentare la diffusione del bacterio nell’Argentina, mettendo a sua disposizione tutti i mezzi di cui poteva abbisognare. Il D’Hèrelle accettò l’invito, ed anzitutto con i soliti mezzi ottenne un aumento di virulenza del bacterio, sì che le cavallette prigioniere inoculate artificialmente morivano in sole sei ore, anzicchè in quarantore come dap- prima erasi osservato. Allora passò alla inoculazione nei campi. Il 16 gennaio presso Escalada fu arrestato un branco di cavallette me- diante una lamina cingente uno spazio di circa mezzo ettaro di snperficie: un mezzo litro di coltura del bacterio fu versato qua e là per il terreno, dopo quattro giorni il 76 ;1° delle cavallette erano morte, e dopo pochi altri giorni ancora anche le rimanenti ebbero la stessa sorte. Il microbo esisteva abbon- dantemente negli individui morti, riempiendone il tubo intestinale, ed ancora nelle deiezioni da quelle emesse prima di morire. Il 18 gennaio una prateria di 35 ettari, ove si trovavano numerose ca- vallette alate, fu resa infetta mediante un litro di coltura del bacterio versato quà e là: dopo cinque giorni si trovò una quantità enorme di cavallette morte o malate per tutta la prateria e per le boscaglie adia centi. In seguito furono sparsi tre litri di coltura del bacterio in una prateria ove si trovavano due branchi di cavallette occupanti circa due ettari ogunno; l'indomani si avevano già numerose cavallette, che passando vicino a questi focolai di infezione e soffermandovisi venivano, alla loro volta, contaminate, e poco dopo in un raggio di più chilometri, si ritrovarono numerosissimi iloro cadaveri. Analoghi esperimenti eseguiti in altri distretti hanno dato risultati iden- tici. L'insetto prende l'infezione mangiando erbe contaminate di tale bacterio e muore in un termine da otto a trentasei ore: gli si sviluppa in tale periodo una violenta diarrea, che imbratta tutte le erbe vicine, le quali diventano fo- ‘colare d’infezione. Le stesse cavallette poi, con i loro voli, propagano l’infe- zione stessa a distanza; infatti il primo esperimento fu esegnito il 16 gennaio ad Escalada; due o tre giorni dopo furono segnalati casi d’infezione a 45 chi- lometri di distanza; otto giorni dopo ne furono riscontrati altri ad 80 chilo- metri di distanza. Questo bacterio, che ha ricevuto il nome di Coccobacillus acridiorum, pa= CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 191 re che sia l’agente specifico mercè cui i dannosi insetti potranno finalmente essere vinti, e le campague di molti paesi liberati da un gravissimo flagello contro cui da secoli si è inutilmente lottato. Queste notizie intorno ad nn parassita di tanto valore era ben naturale che a noi italiani, molestati troppo spesso dalle cavallette, destassero un gran- de interesse, ed allo scopo di, poterlo avere ed esperimentarlo da noi, a mez- zo del Cav. Prof. Gustavo Notari. incaricato del nostro Governo a Buenos Ayres, potei mettermi in relazione col Sig. D’Herelle del quale mi ebbi la seguente | risposta: Institut Pasteur 25, Rue Dutot (15 Arrond.) Paris, le 16-7-1912 Monsieur le Professenr J'ai recu votre lettre par la quelle vous me demandez de vous envoyer une culture de Coccobacillus acridiornia. Je regrette de ne ponvoir faire droit è votre domande: quelques mote d’application vous feront comprendre les motif de mon refus. La methode de destruction des Sauterelles par la propagation de l’èpi- zootie causèe par la coccobacille qui j'ai dèconvert est estremement delicate et necessite l’emploi d’une technique compliquèe et minutieuse: le virus ne peut ètre employe tel qu'il est reca, mais la virulance doit etre exaltèe et eu- tretenne sur place durant tont la durèe des infestations. Sans entrer dans plus de dètails et pour vons montrer de quel ordre sont ces defficultès, il me suffira de vous dire que si les iufestations sont faite avec un microbe attenuè, on arriverait à un resultat intieremet different de celui qu'on attendrait, car au lieu de communiquer ans Sauterelles une epizootie on les immuniterail contre une attente ulterieure dn coccobacille méme s°il etait cette fois tre virulant; cest vous dire que les infestations doiven etre faites, non pas seulement par un bacteriologiste, mais encore par un bacte- riologiste tres an conrant de procedè: c'est à cette seule condition que la methode puet donner des resultate semblabes à cens qui ont ète obtenn dans la Republique Argentine. De plus duns votre cas, l’espèce de Santerelle qui ravage la Sicile est tres differente du Schistocerca americana; il faudrait faire auparavante des experiences pour controler la receptivite. pour cette espèce particuliere: ceste un travail assez long. Venllez agreer, Mousieur le professeur, l’assurance de ma haute consi- derations. F. D’ HÉRELLE LR 440) PESI 192 T. DE STEFANI PEREZ Questi giustissimi argomenti apportati dal Signor D'Hérelle ci dimostrano che ancora la lotta contro le cavallette non può dirsi vinta, ma che siamo già sulla buona strada ed io mi propongo di sorvegliare in Sicilia le cavallette indigene e gli altri ortotteri se mai esistesse in esse un coccobacillo simile all’acridiorum, mentre sarebbe bene fare degli esperimenti con questo del D’Hérelle; per tanto faccio voti al uostro Governo perchè si tentino altri passi per poterne avere qualche coltura. Per quanto riguarda alenni dei parassiti da me osservati il loro alleva- mento artificiale, come ho detto, lo credo possibile, ma occorrono altre cono- scenze prima di poter credere vicina la risoluzione del problema; il buon vo- lere e i sacrifici di mezzi e di tempo forse potranno solo farci riuscire allo Scopo. Tra questi parassiti merita speciale attenzione la Cyierea obscura perchè essa è quella che più degli altri inquina il Docrostaurus maroccanus e il Ca- liptamus italicus, nelle voteche dei quali distrugge in grandissimo numero le uova; probabilmente vive ancora a spese di altri ortotteri se non pure di altri insetti. Le larve di questa mosca vivono benissimo in ambienti chiusi e giungono a compiere la loro trasformazione, il tutto sta nel trovare il modo di come potere ottenere in schiavitù la riproduzione della specie. La scienza ha risolto altri e più ardui problemi, il coraggio e l’abnega- zione degli studiosi potranno risolvere anche questo. 2° Tra i mezzi di lotta meccanici e fisici, nelle ultime invasioni avvenute in Sicilia, si sono prescelti le note tende collettrici, il fuoco, procurato a mez- zo del petrolio e del petrolio miscelato alla benzina, e la raccolta delle nova. Tutti altri metodi ho creduto non usarli sia perchè in gran parte non attua- bili nei terreni siciliani per la loro conformazione topografica, sia perchè di poco o nessunissimo risultato pratico. Per la raccolta e distruzione degli insetti allo stato di lavra, di ninfa ed anche, sino ad un certo momento, degli insetti alati, il metodo delle tende collettrici lo credo il migliore di tutti, tanto per la sua praticità, quanto come mezzo economico. : Riporto quanto a questo proposito ho scritto nei miei diversi rapporti al Ministero di Agricoltura: Nel rapporto del 1910: In quanto ai metodi dilotta messi in pratica que- CAVALLETTE, LORO IVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 193 st’anno, ho creduto bene di usarne solamente due cioè, le tende di tela forte per la cattura degli insetti, la raccolta delle nova; tutti gli altri metodi siano meccanici, fisici o chimici non corrispoudono allo scopo o almeno, non danno quel risultato che si ottiene con le tende, queste, oltre all’essere le più eco- nomiche, secondo me e secondo chi mi ha coadiuvato nella lotta contro le cavallette, sono, almeno in molti terreni siciliani, le più pratiche. Tali tende ho stabilito nelle dimensioni di metri6 X 4,50 odi 6 X 5. Esse portano un foro nel loro centro di 30 o 35 centimetri di diametro ai cui bordi si sono cuciti quelli dell’apertura di uno dei comuni sacchi da grano o quelli di uno dei più grandi da zucchero ; l'estremità opposta di questi sacchi deve potersi chiudere ed aprire a mezzo di nn cordoncino. In queste tende così preparate e distese tra le falangi delle cavallette, con rami e frasche, si suno spinti gli insetti pian piano verso di esse, e quando ne erano ripiene, rialzando repentinamente i loro lembi, si mandavano giù nel sacco per l'apertura in esso praticata. Quando il sacco poi era ripieno sino ad un certo punto, si scioglieva il cordoncino dell’apertura inferiore e si facevano cadere gli insetti in un fosso, preventivamente preparato, del diametro di circa un metro, dove prestamente si interravano. La raccolta delle nova è stata eseguita zappettando il terreno a 4 o 5 centimetri di profondità, in modo da mettere allo scoperto i così detti can- nelli o astueci (ooteche) che li contengono e che i ragazzi e le donne, che venivano dietro agli zappatori, man mano andavano raccogliendo, e quando se ne erano riuniti un certo numero si seppellivano in fosse profonde e pres- sandoli con terra. È Nel rapporto del 1911: ........In queste contrade non ci si trova in piannra e grandi distese libere; quì non è possibile impiegare per esempio, il sistema cipriotto che richiede pianure prive di burroni, di rocce e di accidentalità, tanto meno è possibile l’impiego dei rulli per schiacciare gl’insetti; nè in questi terreni possono ado- perarsi le reti striscianti tra gli innumerevoli ciottoli grandi e piccoli e spinei e sierpi sparsi pel suolo. Le reti a mano sono punto pratici, in queste grandi cacce l’operaio sarebbe presto stanco ed impossibilitato a poter lavo- rare per l’intera giornata, perfettamente inutili riescono le lampade svedesi di cuni il vento devia la fiamma, ed oggi aggiungo che stanca l’operaio, che non disimpegna nessun utile tra le masse di cavallette e tal sistema lo dire più un giuoco che un metodo di lotta. Tra i diversi metodi impiegati contro le cavallette ripeto, ho dovuto rico- +94 T. DE STHFANI PE REZ noscere più pratico ed economico quello delle tende per la raccolta delle larve, delle ninfe e, in date condizioni, anche degli adulti. Se ho criticato le reti a mano tanto più devo criticare la loro sostituzione con un sacco ed ancora di più se tale ordigno è così grande e pesante che per trascinarlo bisogna tirarlo a braccia o farlo trascinare da animali o dietro un carro; nè parlerò di casse snodate con reti invischiate, nè di casse di ferro con fuoco poste su due ruote e fatte passare sulle larve per bru- ciarle; nè di fossati o di qualche altro metodo empirico e punto pratico; io non sono esclusivista, ma non faccio poesia, e uella lotta contro le cavallette, nelle grandi invasioni, ci vnol metodo e criterio. E credo anche dover dire in questa occasione, che come mezzo al fine, trattandosi di lavoro che in gran parte viene affidato all’onestà degli operai, bisogna guidare questi con dolcezza e con savì ed opportuni consigli, essi al- lora lavorano con più coscienza e faranno del loro meglio per cattivarsi l’amo- re dei loro superiori, quando invece trattati con burbauza e rimproverati inop- portunamente da un collerico direttore, che crede in tal modo di essere ener- gico, produce, come ho dovuto constatare, la ribellione ed il tradimento. 3°) In quanto ai metodi chimici per distruggere le cavallotte io le esclu- do tutti; quelli sino’ggi proposti non hanno sortito buon effetto ed alcuni non sono punto innocui. Non farò la rivista delle sostanze impiegate perchè ormai è stato provato che non corrispondono allo scopo. Il petrolio, adoperato solo o in miscela con la benzina, non può riferirsi ad un metodo chimico, tali sostanze servono per aprirci la porta della fisica, per provocare la fiamma con cui bruciare gli insetti. La chimica si è lasciata vincere dalle cavallette! 4°) Il fuoco, le tende e la raccolta delle nova sono i tre metodi distrut- tivi che in Sicilia possono seriamente mettere uu freno alle cavallette. Il metodo che chiameremo del fuoco è molto efficace, sebbene non sia sce- vro di pericoli, ma usato con le debite precanzioni corrisponde benissimo allo scopo. Esso va eseguito spargendo sugli insutti agglomerati il petrolio, sia a mezzo dei comuni innaffiatoi da giardiniere, sia impiegando le pompe, e fra queste più pratica, anzi l’unica possibile per i terreni accidentati di Sicilia, quella a pedale; al getto spolverizzato, dopo uscito dalla canula, si attacca il fuoco con un cerino e l’operaio guida la fiamma su gli insetti senza lasciarla. dii) dei Si tania Late i CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA VONTRO DI ESsS IN SICILIA 195 Al petrolio, sparso con gli innaffiatoi, si da fuoco dopo che l'operaio ad- detto ha rapidamente finita l’operazione ed è uscito dall’appezzamento di ter- reno coperto di cavallette che deve incendiarsi. Allo scopo poi di rendere più celere l’accensione del petrolio sparso con gli innaffiatoi, ho miscelato in esso ?/, di benzina. Questo secondo mezzo di spar- gere il petrolio cou gli innaffitoi è più economico del primo e dà gli stessi risultati. 2. — La raccolta che io reputo più efficace, come ho detto, è quella che va eseguita con le tende collettrici innanzi descritte. 3.— La raccolta delle nova, zappettando il terreno a tre o quattro cen- timetri, è certamente un’ettima operazione, ma nou la ritengo esauriente, sia perchè non è mai possibile raccogliere le nova in un vasto territorio, sia perchè non tutti i terreni dove si trovano deposti sono suscettibili di es- serezappettati, sia anche perchè l'operazione riuscirebbe molto dispendiosa; ad ogni modo io non la escludo; in certi terreni facilmente zappettabili e dove i depositi ovigeri sono molto ammassati può benissimo eseguirsi come mi- sura veramente valevole. Se è vero che in autunno ed in inverno, zappettando nun terreno inqui- nato dalle nova queste, anche non raccolte, periscono in parte, è anche vero che un buon numero sfuggono alla distruzione e la misura quindi riesce in- completa; per tale ragione questo metodo distruttivo nonriesoe di sicura effic-- ‘cia ed è mestieri molto discernimento per applicarlo a luogo ed a tempo. Potrebbe lasciarsi al contadino la libertà di raccogliere, se vuole, queste uova e corrispondergli un tanto a peso. Risposta all’VIll domanda: Risultati pratici ottenuti e che possono ottenersi coni differenti mezzi di lotta Gli ottimi risultati pratici che si sono ottenuti in ogni tempo con la raccolta degli insetti a mezzo delle tende, ed ultimamente con l’impiego del petrolio e dellabenzinacome mezzo al fine, dovevano farci riconoscere la”grande utilità di questi due metodi che da soli, ben regolati, hanno dato risultati eccellenti limitando in pochissimi giorni l’immenso numero di cavallette che ultimamente infestarono alcune contrade della Sicilia. 196 T. DE STEFANI PEREZ Una pratica sommamente utile sarebbe quella di ridurre, per quanto sarà possibile, i terreui incolti; sono queste le località preferite dalle cavallette per deporre le nova, ed allorquando avremo tolto o limitato la base che agevola la moltiplicazione dei dannosi insetti, non avremo più ragione di paventare le loro grandi incursioni. Tale raccomandazione è specialmente da farsi ai proprietarii, agli agri- coltori che, in mezzo ai loro terreni seminativi, lasciano alcuni appezzamenti non rotti dalla zappa i quali, apprestano asilo sicuro ai dannosi insetti. Si dovrebbero ridarre i terreni vincolati, modificare, dove è possibile, le rotazioni agrarie e in tal modo, ridotti gli incolti, si verrebbe indirettamente a ridurre il numero delle cayallette. Allora la lotta contro di essi diverrà più facile e meno affannosa; un pic- colo numero di nemici si vincerebbe più agevolmente. Risposta alla iX domanda: Cosa potrebbe fursi in avvenire? (Eventuale uitlità di un'intesa internazionale per la lotta contro le cavallette. ecc.) . Se altri mezzi di lotta più energici e più sicuri di quelli sopra cennati non abbiamo, quello che potrebbe farsi per l’avvenire sarebbe di agevolare, aiutare in tutti i modi lo studio dei parassiti che attaccano le cavallette. O- ramai, ed a ragione, è ritenuto che contro gli insetti dannosi, il mezzo più valido di lotta è quello con iloro nemici naturali. Le cavallette ne accolgono un bnon numero, alcune specie riescono ad esse di gravissimo danno, ed è precisamente verso di queste che bisogna rivolgere la nostra attenzione e ve- dere se mai è possibile di poterle guidare a nostro comodo; sono questi parassiti che bisogna seriamente studiare nella loro biologia. Tale studio però ha bisogno di incoraggiamento e di ainti dai Governi, ed un'intesa internazionale, sotto questo puuto di vista, è necessaria. L'Italia, la Francia, la Spagna, il Portogallo, la Germania, la Russia, la Grecia, lA- frica settentrionale e altri paesi ne sono tutti interessati, e questi Stati do- vrebbero spiegare un grande amore al raggiungimento di nn tale fine. Praticamente, potrebbe nominarsi una Commissione internazionale di pro- vetti entomologi i quali, incaricati di un simile studio, dovrebbero avere l’ob- bligo di tenersi in continuo e cordiale rapporto, di scambiarsi reciprocamente dI \d al: 30)” CAVALLETTE, LORO INVASIONI £ LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 19/7 lo idee, le osservazioni fatte, i risultati ottenuti e ciò sempre per l’iuterme- diario dell’Istituto Internazionale di Agricoltura. In tal modo lo studio potrebbe essere molto agevolato, a se mai si giun- gesse a qualche cosa di concreto, il merito tornerebbe ad onore dei Governi, dell’Istitato Internazionale di Agricoltura e della Comissione da esso nominata. Dalla recente scoperta fatta in Argentina dal Signor D’Hérelle, noi sap- ‘piamo che diverse cavallette sono decimate da un Micrococco di cui possono arsi delle colture e aumentare anche la sua virulenza; ciò ci affida a ben spe- rare, perchè anche gli ortotteri di altri paesi possono soccombere di un qual- che consimile bacterio, ed invero non possiamo affermare con sicurezza se la mortalità delle cavallette, osservata alcune volte in qualche paese enropeo, è veramente da attribuirsi all’Er/omophtora grylli o non ad un qualche bacterio. Un altro punto molto interessante credo che sia quello di impartire ai giovanotti, e specialmente nelle scuole agrarie, ampie conoscenze intorno agli nsetti utili e dannosi, dimostrando loro quale importanza abbiano in un senso e nell’altro, per l'economia campestre, questi piccoli esseri. Nè sono da trascurarsi gli animali predatori, specialmente gli uccelli, per i quali una legislatura protettiva dovrebbe essero concordata fra tutte le Na- zioni, come spesso, in varii Congressi, ne è stato fatto voto basandosi special- mente sui seguenti punti: a) Divieto di ogni cattura di uccelli, oltre il periodo nel quale la caccia è permessa. 5) Soppressione di ogni mezzo di caccia salvo il fucile. c) Divieto assoluto di cattura in massa di uccelli; d) Divieto assoluto (salvo quando riguarda nno scopo scientifico o di ripopolamento) della presa dei nidi, delle uova e delle covate. e) Istituzione di leghe di protezione e diffusione dello insegnamento in— torno agli uccelli utili. TED 198 T DE STEFANI PEREZ PUBBLICAZIONI SUL SOGGETTO DELLE CAVALLETTE O CHE CON ESSE HANNO ATTINENZA RIGUARDANTI IA SICILIA 1855. 1855. 1840. 1868. , 1869. 1379. 1889. 1909. 190? 1910. _—_—cla-@ Gr_— ZAnGHÌ P. — Delle cavallette e del modo di distruggerle. Palermo. ALessIi G. — Sul metodo di distruggere le cavallette. (Atti dell’Acca- demia Gioenia di Scienze naturale di Catania. T. IX, pag. 329) Catania. ZanGHÌ P. — Sulle cavallette e sul modo di dictrnggerle. Opera in cir- costanza della invasione avvenuta nella Provincia di Caltanissetta nel 1832, (Sec. Ediz.) Vol. I. Messina. . InzenGa G — Invasione di cavallette in diverse contrade di Sicilia (Annali di Agricoltura Siciliana. Ann. V. Ser. II, Pag. 140-149. Palermo DoDERLEIN P. — Studii sulla invasione di cavallette in talune contrade della Provincia di Caltanissetta nell’estate del 1868. Palermo. Commissione eletta dalla Giunta municipale di Caltagirone. Relazione intorno alla verifica delle ovaie delle cavallette nel latifondo Graniere, Caltagirone. Pincirore MAROT G. —- Di un insetto del genero locusta che danneggia le viti nel territorio di Terrasini (Atti del Comizio Agrario) Palermo. RiGIo G. — Alcune notizie sui progressi attuali dell’Entomologia in Sicilia (Atti della R. Accademia di Scienze, Lettere e belle arti, Vol. X, 1887-88) Palermo. DE STEFANI T. — A proposito delle cavallette (Gazzetta Commerciale N. 651) Palermo. » Alcune notizie sulle cavallette (Bollettino del R. Orto Botanico e Giardino coloniale di Palermo. Ann. IV, fasc. I. Palermo. » Osservazione sulla nidificazione dell’Ephippigera ru- gosicollis Ramb. e del Caloptenus italicus Lin. (Giornale di Scienze naturali ed economiche, Vo- lume XXVIII) Palermo. di 4 tue nl RE PRATI POE ET Sa AR I OI PET RE O A CAVALLETTE, LORO INVASIONI E LOTTA CONTRO DI ESSE IN SICILIA 199 1910. AocARDI S.—Esame critico dei mezzi di lotta consigliato per la di- struzione delle cavallette (Bollettino della Cat- tedra ambulante di Agricoltura di Girgenti (L’Agri- coltore agrigentino) Girgenti. 1911. Da STEFANI T.—Le cavallette e i loro parassiti in Sicilia (Nuovi An- nali di Agricoltura Siciliana. Ann. XXII, fase. IV) Palermo. 1912. id. Le cavallette ed alcuni loro parassiti (Bollettino del Mi- nistero di Agricoltura, Industria e Commercio pag. 30-52, Ann. XI. Ser. C. Fasc. 2-3) Roma. Erano già stampate queste nie note intorno alle cavallette allorchè, in un manoscritto del secolo XVI che si conserva nella Biblioteca comunale di Palermo ai segni Qq. C. 85 sotto il titolo De /andibus, Siciliae et praesertim vallis Mazariae a pag. 45, trovo la seguente nota del dottore in medicina Joannes Jacobus Adria: | « Vidi anno domini 1490 maxima agmina locustarum per aeres volancia- « solem cooperiebant. Adea intensa erant ad invicem inncta quae solis lumen A coperiebant-duravit a mane ad meridium-venit ab Africa et transiit per Ma- LI zariam per littus pro primo volatu ab Africa per Palicam per Saccam Acri « gentum Gelam Camerinam Heracleam usque ad Syracosas ubi in terra ce- « ciderunt. « Episcopus Syracosarumvir bonus timeus plagam dei excommunicavit-facta « scomunicatione statim surgunt et terra ingenti volatu et in medio mari sub- « merguntur et inillis littoribus propter scomunicam putrefiunt-et insurgit < epidemia-pestis valida que denudavit Syracosas Gelam Acrigentum Saccam « Mazariam maritimas urbes-fuit plaga pharaonis-Et ultra locusta grosse ca- « debant ab agmine volando quae comederunt nostras messes, vineas, omnes « fructus comederunt usque ad cortices arborum-remansernnt unde sine cor- « ticibas quod fuit sammum flagellum per tres annos.» = Va À Intorno alla “ relatività ,, nei fenomeni fisici COMUNICAZIONE del Pror. M. La Rosa (1) È noto che i postulati essenziali su cui la teoria di Einstein è stata e- dificata, e su cui poggia tutta quanta sono due: Il principio di relatività propriamente detto. Il principio della costanza della velocità della luce. Il primo di essi afferma che tutti i fenomeni fisici, a simiglianza di quanto già si conosceva per i soli fenomeni meccanici, si svolgono sempre con le medesime leggi qualunque sia la velocità costante che, rispetto ad un dato sistema di assi di riferimento, ha il mondo in cui i fenomeni stessi avvengono. Il secondo afferma che la velocità della luce è una costante universale: essa cioò è misurata sempre, rispetto ad una unità invariabile, dal medesimo numero, indipendentemente dalle condizioni di moto della sorgente rispetto al- l’osservatore; e dell'una e dell’altro rispetto al sistema. di riferimento. Ora affinchè la teoria della relatività possa diventare nua teoria fisica, occorre che l’affermazione di entrambi i postulati possa farsi sulla base dell’esperienza. È bene di ricordare subito che tutte le straordinarie conseguenza che col- piscono in pieno i concetti primitivi di tempo e di spazio ed i postulati fon- damentali della meccanica classica scaturiscono solamente dalla sovrapposizione del 2° al 1° dei postulati enunciati. Sembra oramai fuori di dubbio che al primo postulato tocchi un posto ed uno eminente, in tutti i rami della nostra scienza. 7 (1) Seduta del giugno 1913 202 M. LA ROSA Le numerose e svariate esperienze fatte con l’intento discoprire l’influenza della traslazione terrestre sui fenomeni ottici ed elettromagnetici hanno dato, col loro esito concordemente negativo, valido fondamento per | affermazione di questo principio. E resterà merito non piccolo di Einstein quello di aver messo in chiara luce questa profonda esigenza che scaturisce dai fatti; anche. se nell’avvenire più o meno prossimo, la teovia della relatività sarà costretta a cadere. Qualunque imagine del Mondo Fisico sarà per sorgere dovrà uniformarsi al primo principio, sarà cioè una teoria relativista: per tanto mi sembra fin da ora conveniente l’indicare col nome di Einstein, quella in disenssione, che da lui è stata chiamata “teoria della relatività,, Per il secondo principio le cose stanno in modo assai diverso. Di esso mi sono ampiamente occupato in un lavoro precedentemente pub- blicato (1); qui mi contento di ricordare che la scarsa critica che attorno a quelio è stata fatta conviene in modo quasi unanime nelnon riconoscergli alcun fon- damento logico, e che le pocheespelienze che sono state escogitate e tentate, hanno avuto per lo più esito incerto e non conseniono affermazioni definitive. Devesi dunque con serenità riconoscere, che qualunque altra concezione che perinetta di estendere il principio di relatività ai fenomeni ottici ed elettro- magnetici merita da parte nostra, almeno, la stessa considerazione che è stata accordata alla teoria cdi Einstein. E dico almeno, poichè non motivi sentimentali, ma alte esigenze di economia intellettuale ci consiglierebbero di accordare la preferenza a quella, fra tutte le possibili concezioni, che ci permetta l’estensione voluta col minimo sagrificio del patrimonio scientifico già acquisito. Ora da varie parti sono state suggerite e sostenute delle vedute balistiche, ‘o meglio meccaniche, sull’emissione, le quali promettono di condurre ad una teoria relativista che concilii il nuovo principio, con i fenomeni dell’ottica e dell’ elettromagnetismo, senza recare il più piccolo danno alla meccanica classica. i Esse però non hanno avuto molta fortuna, forse per l’imperfezione con cui è stato espresso il loro unico punto di vista fondamentale. Questo è in perfetta contradizione col secon io postulato di Einstein, e suole essere enunciato in questi termini: la velocità di propagazione della luce di- pende dalla velocità della sorgante, e preciswmento è quella che risulta dalla 1) N. Cim. s. VI, vol. 3; 1912. INTORNO ALLA ‘“RELATIVITÀ,, NEi FENOMENI FISICI 203 composizione della velocità costante con cui la luce parte da nna sorgente in riposo, con la velocità della sorgente; la composizione essendo fatta con la regola di Galileo. Ora, come ho detto, questo enunciato è imperfetto; tanto che può perfino apparire come contradittorio col principio di relatività di cui vnole estendere l'impero a tutti i campi della Fisica. Occorre dunque formolare più correttamente questo postulato fondamentale delle teorie meccaniche, e credo che nella forma più propria riuscirà a vincere la diffidenza con cui a buou diritto, qualcuno ha guardato verso questo modo di pensare. Dire senz’altro, che la velocità della luce emessa da una sorgente, in quiete, si compone con quella della sorgente, quando essa sia animata da moto sembra anche a me, un curioso non senso; che costringe da una parte a pen- sare a qualche cosa, che l’emunciato non precisa, a cui necessariamente bi- sognerà riferire la velocità considerata—e questo qualche cosa di imprecisato conduce alla vecchia idea di un assoluto, che in nna concezione puramente relativista non può trovar posto—e dall’altra, costringe ad immaginare una molteplicità di velocità di propagazione della luce nel vuoto diverse fra loro‘ e aventi tutte una realtà obiettiva; veduta questa che è appena accettabile in una concezione dell'emissione come quella della vecchia teoria corpuscolare. Ma se vogliamo saldamente appoggiarci sul principio di relatività, possiamo e dobbiamo, nell’enunciare i postulati fondamentali di nna teoria qualunque* far monzione soltanto di mofi relativi; p. es. del moto della sorgente ri- spetto al mezzo in cui la luce si propaga, 0 più esattamente, del moto della sorgente e del mezzo rispetto all’osservatore. Così volendo partire dal punto di vista delle concezioni meccaniche, tutto ciò che possiamo correitamente supporre sulla propagazione delie Ince pro- veniente da nna sorgente in moto rispetto al mezzo, è questo: che un osser- vatore O, in riposo rispetto al inezzo stesso, vede la luce propagarsi in una certa direzione con la velocità che egli ottiene componendo, con la regola di Galileo, la velocità del moto relativo della sorgente con la velocità con cui egli vedrebbe propagare la luce Inngo quella direzione se la sorgente non fosse ani- _ mata dal moto relativo. Otteniamo così un risultato anch’esso schiettamente relativo; poichè vale solo per il nostro osservafore, un risultato che non nasconde traccia alcuna del concetto di assoluto, e che a mio parere ha il pregio di imporsi spontanea- mente alla nostra iutuizione; poichè nulla vi è da cui la nostra mente possa 204 M. LA ROSA rifuggire, nell’ammettere che la regola di composizione rimanga valida anche nella propagazione della luce, quando si tratta di nn osservatore come O, che abbia perfetta conoscenza, non dell’inconcepibile moto vero della sorgente, ma di quello relativo, cioè dei successivi cambiamenti della distanza chelo separa dalla sorgente. E su questo punto mi permetto ancora d’insistere. In queste considera- zioni non si fa e non si può fare questione di movimento in sè; nessana ra- gione abbiamo di pensare che sia la sorgente in moto e l'osservatore fermo, ovvero di pensare il contrario; noi non conosciamo che cambiamenti di distanza (i moti in considerazione sono traslatori uniformi) e non possiamo che limi- tarci ad affermare che le velocità della Ince, quali appaiono a questo od a quell'altro osservatore, dipendono da tali cambiamenti della distanza fra l’os- servatore e la sorgente. Ma per potere trasportare questo assunto fondamentale nel mondo fisico bisognerà ancora completarlo, per tenere conto delle proprietà dei mozzi in cui la luce si propaga. Il migliore partito in questo caso, in cui possiamo farlo, è quello di lasciarci guidare dall’esperienza. Questa via ho appunto seguito nel lavoro che ho avanti ricordato, in cni ho adottato implicitamente come postulati essenziali delle concezioni mecca- niche i seguenti: Se la Ince proveniente da una certa sorgente si propaga in un mezzo d’indice 7 e se la sorgente ed il mezzo hanno una velocità relativa (costante) y 1°) Unosservatore O in quiete rispetto alla sorgente vede la luce propa- garsi in una certa direzione con ia velocità che si ottiene componendo —- com la regola di Galileo — la velocità con cuni la luce viaggerebbe in quella dire- zione se il mezzo fosse in quiete rispetto ad O, co1 la velocità del nozzo ri- spetto alla sorsente, moltiplicata per il fattore di riduzione” —, 2° Un osservatore 0, in quiete rispetto al mezzo, vele la Iun:e propa- garsi in una certa direzione con la velocità cile si ottiene co:nponend) — eon la solita regola — quella vista da O, con la velocità cho questi(0) ha rispetto ad0;: Come è evidente questi postulati non contengono altro che il risultato del- ‘esperienze di Fizean o l’ipotesi fondamentale delle concezioni meccaniche : Vap- plicabilità della regola di composizione di Galileo alla propagazione della luce. Su questi presupposti, secondo me semplici e conformi ai risuliati dell’e- spexienza, l’interpretazione dei fenomoni nei mezzi in moto relativo può forse INTORNO ALLA “RELATIVITÀ,, NEI FENOMENI FISICI 205 “procedere e raggiungere pieno svilnppo senza cadere in ulteriori contradizioni. Credo bene che per ora, potremo solo pervenire ad un’imagino puramente ‘astratta in cni forse non troverà posto neanche la nozione dell’Etere—cosa che potrebbe essere di vantaggio —cinè potremo pervenire solo a un modello pura- meute analitico, o di prima specie — come si esprime il Lenard — quali sono del resto la teoria elettromagnetica e quella della relatività; perchè sembra molto difficile che si possa per ora riuscire a comporre con gli elementi che abbiamo sotto mano, quali ce li forniscono le conoscenze attuali del Mondo Fi- \sico, una soddisfacente imagine di seconda specie, un modello concreto insom- ma, in cui possa da per tutto imperare il principio di relatività. Fra le imagini concrete note, la più vicina a questo desiderato è forse quella della teoria elettromagnetica—emissiva abbozzata di Kunz è da Thomson; la quale perciò meriterebbe, da parte di qualche distinto teorico, maggior «considerazione di quella che finora le è stata accordata. Secondo tale modo di vedere lo spazio —che si potrebbe forse pensare riempito con l’Etere—sarebbe invaso da nna moltitudine di tubi di Faraday, ‘che scaturiscono dagli elettroni e che accompagnano questi nel loro moto. Le pertubazioni luminose viaggerebbero dentro tali tubi con una velocità ‘caratteristica immutabile, ed avrebboro rispetto ad un osservatore qualsiasi la velocità risultante della composizione di questa velocità caratteristica con «quella del moto dell’elettrone (la sorgente) rispetto all’osservatore. Ma più che la costruzione di questo o di quell’altro modello concreto —tutti utilissimi come ipotesi di lavoro—importa in questo momento la ricerca «di un elemento qualsiasi che valga ad orientare il pensiero scientifico defini- vamente o pro o contro il modo di vedere di Einstein. E su questa via l’esperienza ha ancora per se nn compito; poichè è ancora in sno potere la decisione tra il punto di vista di Einstein © quello meccanico. Nel mio lavoro che ho già più volte ricordato, mostrai con l'appoggio dei postulati poco avanti enunciati, che l'esperienza di Michelson e Morley, se ripetuta con luc> non terrestre, può daro il verdetto desiderato; poichè mentre «secondo la teoria di Eiustein essa dovrebbo dare ancora esito negativo secondo il punto di vista meccanico dovrebbe invece darlo positivo. Allo st:sso fine si può pervenire, impiegando come sorgente di ince uu fascio di raggi canali. L'esperienza in til ciso dovrebbe essure più facile per il valore non troppo piccolo del rapporto fra la velocità di questi raggi è ‘quella della luce. Conto in un prossimo avvenire di tentare io st»>sso la prova. Qualunque sarà per essere il risultato, le nostre conoscenze sui fenomeni «Ottici nel mezzi in moto ne trarrano sicuro vantaggio. MR SO RETTE REST EM IENA Ge ORI 206 M. LA ROSA Il compito di schizzare brevemente ciò che attualmente si pensa della» teoria di Kinstein non sarebbe completo qualora non facessi un cenno —sia d pure fugacissimo—delle nuove difficoltà che nel seno stesso della teoria sono”. germogliate e dallo stesso Einstein sono state segnalate. Ha scritto in un suo lavoro (1) il Prof. Abraham che la \eoria di Einstein 4 sarebbe venuta meno al suo fine di yode/lo universale, se non avesse accolto © in se i fenomeni dipendenti dalla più comune e più diffusa delle forze della Natura; la gravitazione Di questa profonda necessità deve essersi da tempo convinto lo stesso - Einstein, il quale già acni or sono tentava di estendere ai campi di gravi- tazione la sva teoria. i Ma le ricerche più approfondite rimontano a poco più di un anno. Esse. hanno condotto ad attribuire all’energia—a cuni già lo sviluppo precedente della ‘teoria aveva dovuto assegnare inerzia-—anche peso, cioè ad affermare l’esi- stenza nel campo di gravitazione di un legame fra la velocità di propagazione della luce ed il potenziale. Manifestamente è questo nu risultato che modifica profondamonte, se non. rinnega del tutto, il 2° postulato della relatività; poichè trasforma inuna fun- zione del potenziale del punto, quella velocità della Iuce che dovrebbo posse dere il carattere di una costante universale. Ma secondo Einstein questa conclusione non pregiudica sostanzialmente il valore della teoria; sebbene ne limiti di molto la portata. « L’odierna teoria della relatività —egli scrive—secondo il mio modo di. vedere. conserverà la sna importanza come la più semplice teoria, per il caso- limite notevole di avvenimenti che si verificano nello spazio e nel tempo sotto un potenziale di gravitazione costante». (2). Ma a dire il vero seinbra che la teoria di Einstein ridotta iu tali termini non possa neanche couservare il significato di una teoria al limite, cioè, ac- quistare il valore che spetta a quei processi di schematizzazione, molte volte così ntili e fecondi nella nostra scienza. A me pare che l'affermazione di Einstein si potrebbe accettare qualora. la teoria—e per essa il sistema di equazioni della trasformazione di Lorenta— si potesse applicare istante per istante ai fatti che si svolgono sia pure iv una. regione infinitesima di un comune campo di gravitazione. (1) Ann. d. Phys Bd. 36, pag. 1056-1912. (2) Ann. d. Phys. 38, pag. 1063-1912. INTORNO ALLA “RELATIVITÀ, NEI FENOMENI FISICI WT Ma la cosa noù è così. Nell'ipotesi che la velocità della luce dipenda dal potenziale di gravitazione la trasformazione di Lorentz non è più valevole memmeno in un dominio infisitesimo dello spazio di Minkowski. Einstein Stesso ha ciò riconosciuto. (1) Il solo campo di validità rimane quello in cui il potenziale di gravitazione è costante, cioè in cui manca la forza gravitazionale, ma di tale validità il Fisico non ha ragione di occuparsi. Il campo delle sue ossorvazioni, il teatro dei fenomoni che egli studia, @ per i quali costruisce senza cessa immagini e modelli nuovi, è dovunque sog- getto alla fo-za di gravitazione; al di fuori di qui nonvi è che para Metafisica! Si ha dunque ragione di dire che il creatore à neciso In sua creatara nello sforzo supremo che mirava ad assicurarle l’nniversale dominio. I Ma tale impreveduto scioglimento non deve soverchiamenta rallegrare tutti quelli che hanno accolto con grande diffidenza la nuova teoria .L'at- tività poderosa ed audace dei giovani teorici può prepararci nuove sorprese; la facilità con cui si creano, si modificano, e si distruggono i postulati fon- damentali potrà permettere di raggiungere la desiderata estensione della teoria di Biustein ai campi di gravitazione, evitando le complicazioni contro cui adesso è andata ad urtare L'ultima parola non è dunque detta, e non sarà detta, finchè non sarà possibile portare nel campo dell’elevato dibattito chiari é precisi i dettami del- l’esperienza. (1) Ann. d. Phys., Bd 38, pag. 3568-1912 ie e RAT oi IsTITUTO DI MATERIA MEDICA E FARMACOGNOSIA DELLA R. UNIVERSITÀ DI PALERMO Sull’azione Farmocologica del fropinone Ricerche speriimentali PROF. CARMELO LAZZARO DOTT. ALFREDO COPPOLA Direttore Interno PARTE PRIMA STUDIO CHIMICO E FARMACOLOGICO SULLA TROPINA E COMPOSTI DERIVATI Fra tutte le indagini che sono state eseguite sull'argomento dei rapporti tra la costituzione chimica e l’azione fisiologica dei farmaci, hanno segnata- mente assunto un interesse di maggior rilievo quelle riguardanti la classe im- portantissima degli alcaloidi; però, mentre da una parte alcuui derivati alca- loidei, quali, ad esempio, i derivati della chinina, della stricnina, della morfina, della pilocarpina, hanno formato oggetto di numerosi lavori sperimentali, sia dal punto di vista chimico che da quello farmacologico, la letteratura registra, d’altra parte, soltanto poche ricerche in riguardo ai derivati del principio al- caloideo della Belladonna: l’atropina. Data quindi la grande importanza che quest’alcaloide presenta per le sue numerose applicazioni terapeutiche, e, an- cora, l’esistenza nel suo comportamento farmacologico di unmerose azioni col- laterali perturbatrici, e spesso addirittura nocive, abbiamo creduto di studiare alcuni derivati che, per la loro costituzione chimica hanno ancora notevole relazione con l’atropina, allo scopo di determinare quale sia l’ufficio farma- cologico che nel complesso aggregato molecolare di questa esercitano i diversi gruppi atomici, con la mira finale, s'intende, di potere giungere alla prepara- zione di qualche corpo in cui pur conservandosi le particolarità di azione te- rapeutica dell’atropina, risultino eliminate le azioni collaterali nocive, i feno- meni d’intolleranza, e sopratutto, l’alto potere tossico. 240 C. LAZZARO E A. COPPOLA 1° APPUNTI BIBLIOGRAFICI SUI RAPPORTI TRA COSTITUZIONE CHIMICA ED AZIONH FARMACOLOGICA DEI DERIVATI DELLA TROPINA — Il principio attivo della Belladonna fu intraveduto e quasi isolato dal Runge fin dal 1810; ma solo nel 1825 riuscì a Brandes di isolare i principi attivi di questa solanacea, ai quali diede i nomi di atropina, giusquiamina e daturina. L'atropina, alcaloide puro, fu isolata dal Mein, nel 1831, dalla radice della Belladonna; e due anni dopo, (1833) Geiger ed Hesse l’ottenevano dalle parti erbacee della stessa pianta; nel 1834, iafine, Liebig ne stabiliva la formola empirica. (C,, H,; NO,). D’allora sono state numerose le ricerche eseguite per determinarne la costituzione, specialmente da parte del Kraut, del Ladenburg, di Merliug e Will, (1), e del Willstàtter. Da queste ricerche è risultato che l’atropina, trattata a caldo con acqua di barite, o con acido cloridrico concentrato, o con soda a 120°, si scinde, as- sumendo una molecola di acqua, in fropina e acido tropico ; C,, Hy} NO,+H, 0—G, H,, NO+C, H, 0;. La struttura dellacido tropico dimostra che esso è l’acido «= fenil = f = ossi CH,0H propionico C,H.. CH ; la base tropina ha la seguente costituzione : COOH; CH» CH CH; | | N.CH3 CH.O0H | CHy CH CH, cioè consta di un anello di atomi di carbonio; con un ponte formato dallo azoto costituendo due nuclei, uno pirrolico e uno piridinico. Dall’acido tropico e dalla base tropiua è stato possibile ottenere per sin- tesi l’atropina, scaldandoli a lieve calore in soluzione molto dilnita di acido cloridrico. In queste condizioni l’acido tropico entra dalla parte del gruppo CHOH a prendere il posto dell'atomo di idrogeno dello idrossile della tropina mentre si elimina una molecola d’acqua. L'atropina è dunque l’etere tropico della tropina: un tropato di tropina. Secondo i concordi risultati delle ricerche di Fraser (2) (1869), di Hel- (1) Citati dal Guareschi (Comment. alla Farm. it. 1897). (2) — Fraser — Procedings of. the R. Society of Edinburgh 1869. SULL’AZIONE FARMACOLOGICA DEL TROPINONE 2i1 lmann (1), 1873), e di Buchheim (2), (1876) risulta che la tropina, per sè, somministrata per via interna non esercita inflnenza alcuna sulla pupilla, ma essa mostrerebbe già nn accenuo della azione dell’atropina sulle terminazioni intracardiache del vago. Il Buchheim. nel corso dei suoi studi sulle modificazioni che subisce in ge- nerale l’azione farmacologica degli eteri mediante la introduzione, nella loro mole- cola, di diversi radicali acidi della serie alifatica o della serie aromatica, fu tratto alla importantissima osservazione che alla base tropinva (inattiva sulla pupilla) si può fare acquistare l’azione midriatica caratteristica della atropina, intro- ducendo nella sua molecola un radicale acido della serie aromatica. Tale gli si addimostrò la combinazione dell’acido benzoico con la tropina, benzoato di tropina o benzoiltropina. Ladenburg (3) il quale continnò le esperienze del Buchheim, facendo rea- gire insieme la tropina con vari acidi della serie aromatica, riuscì a prepa- rare una intera serie di eteri composti artificiali della tropina, che egli riunì in un gruppo chimico delle cosidette ‘ Tropeine,, e nelle quali appunto il radicale dell’acido tropico, che nell’atropina è unito alla base tropina, viene sostituito con altri radicali acidi. Tra queste tropeine artificiali, che Ladenburg si affrettò a saggiare riguardo alla azione pupillare, una specialmente richiamò la sua attenzione: quella ri- sultante dalla combinazione della tropina con l’acido amigdalico (0 fenilglico- lico), e alla quale, appunto per la notevole somiglianza nell’azione con l’atro- pina, egli diede il nome di omatropina. Il Gottlieb nel 1896 pubblicò, sulla azione farmacologica delle varie tropeine in rapporto alla base tropina, nn completo ed assai importante lavoro speri- mentale, eseguito nel laboratorio dello Schroeder (4). Nè si limitò il Gottlieb allo studio delle tropeine aromatiche, chè anzi iniziò le sus ricerche con le tropeine della serie alifatica, da poco preparate dal Merk, quali la succiniltropina, la lactiltropina, l’acetiltropina, l’ippuriltropina. 2° AZIONE GENERALE — Noi non staremo qui a ricordare, perchè troppo (1) — Hellmann — Inaug. Diss. Iena 1873. (2) — Buchheim—Ueber di Pharmakologische. Gruppe des A. Atropins. Arch. f. exp. Path. u. Pharm, B. V. (3) — Ladenburg — Liebig's. Annalen Bd. CCVI. (4) Gottlieb. Ueber die Wirkungen des Tropins und der Tropeine. (Arch. f. ex. P. n. Ph XXXVII. - PIO C. LAZZARO E A. COPPOLA \ note, le principali azioni dell’atropina; crediamo però opportuno riassumere poche notizie sn quanto sino ad oggi si conosce circa le azioni farmacologiche della base tropina e delle varie tropeine. In generale, dalle osservazioni fin qui note, può stabilirsi come, mal- grado la loro intima parentela chimica; non tutte le tropeine, si possono riu- nire sotto un unico gruppo farmacologico; poichè, mentre per molti di questi eteri artificiali della tropina non sono più dimostrabili le caratteristiche azioni dell’atropina alcaloide, altri ne differiscono anche qualitativamente per la loro azione, lasciando riconoscere interessanti relazioni con altri gruppi farmaco- logici. Anzitutto le varie tropeine differiscono, spesso notevolmente, tra loro nel g.ado del loro potere tossico e nel quadro generale dello avvelenamento: la sostanza madre stessa, la base /r'’opina, si mostra negli animali da esperimento come relativamente priva di tossicità, potendo p. es. venire nei gatti sommi- nistrata per bocca sino alla dose di gr. 0,80 per kg. senza che insorgano no- tevoli fenomeni tossici. Contrariamente poi a quel che avviene quando la si applichi direttamente nel sacco congiuntivale, la tropina, allorchè viene somministrata ad alte dosi, dà come sintomo costante dello avvelenamento, una spiccata midriasi, la quale, evidentemente, ripete una genesi totalmente diversa dalla midriasi atropinica. L'introduzione del radicale acetilico nella molecola della tropina confe- risce a questa base delle virtù eccitanti. Così nelle rane pochissimi centigrammi di acetiltropina producono una e- videntissima esagerazione della eccitabilità riflessa; nei conig'i poi, e nei gatti, dosi di gr. 0,10-0,50 determinano l’insorgere di forti convulsioni tonico-cloniche, in mezzo alle quali avviene la morte. La succiniltropina invece, manca totalmente di virtù eccitanti: nei gatti la morte non segue che per dosi oltrepassanti il mezzo grammo, e dietro fenomeni paralitici. Nello rane dosi di gr. 0,02 producono nna evidente azione curarica, ma contemporaneamente viene paralizzato il midollo spinale. È singolare poi il comportamento della ippuriltropina, la quale nelle rane mostra una particolare combinazione delle azioni fisiologiche delle due men- zionate tropeine: cosicchè, accanto ad una azione curarica, paragonabile a quella della succiniltropina, essa spiega, dopo alcun tempo, un’azione stricnica sul midollo spinale in maniera analoga alla acetiltropina; basta infatti separare in una rana un arto dalla circolazione, per vedere iusorgere in quell’arto delle SULL’AZIONE FARMACOLOGICA DEL TROPINONE 213 -convulsioni tonico-cloniche, mentre il resto del corpo, non preservato dall’ azione curarica della sostanza, langne in paralisi. Nei mammiferi poi, che sono meno accessibili all’ azione curarica, la morte avviene, solo in seguito a dosi molto elevate, in mezzo a fenomeni di eccita- mento e convulsioni stricniformi. La /actltropina infine è tra tutte le tropeine della serie grassa la meno tossica, per cni dosi anche superiori a due grammi non producono, nei cani, fenomeni di avvelenamento. 5° AZIONE SULLE PUPILLE — Già il Fraser (1) nel 1869 aveva notato che la tropina non produce alcuna dilatazione pupillare, anche quando venga portata in sostanza, ed in grande quantità, nel sacco congiuntivale. Il Buchheim osservò che la eterificazione col radicale dell’acido benzoico conferisce a questa base l’azione midriatica, ma, perchè questa si svolga, è necessario che la benzoiltropina venga applicata in soluzione concentratissima, Fra le altre tropeine aromatiche il Lademburg trovò che la atrolactil- tropina, da lui chiamata pseudotropina, agisce sulla pupilla identicamente all’atropina; e che anche il fenilglicolato di tropina (omatropina) dilata la pu- pilla non meno intensamente, sebbene in maniera meno duratura. Da questi risultati il Lademburg si era ritenuto autorizzato a conchindere che tutte le tropeine aromatiche posseggono, quantunque in grado diverso, il potere mi- driatico; senonchè le successive esperienze del Falk (2) dimostrano che altri eteri aromatici, come la saliciltropina e la cinnamiltropina mancano di tale azione. Lo stesso differente comportamento posseggono le tropeine della serie grassa. Infatti, mentre la acetil e la succinil-tropina non modificano l'ampiezza pupillare, la lactiltropina e la ippuriltropina posseggono evidente l’azione mi- driatica (Gottlieb). Sulla base di questi risultati il Pictet (3) nel 1891 credette di potere con- cludere che agiscono da midriatiche solo quelle tropeine il cui acido contiene un ossidrile alcoolico; con questa veduta però non concordano le azioni mi- driatiche della benzoiltropina e della ippuriltropina; e fino ad oggi non è stato possibile stabilire fino a qual segno l’acquisto dell’azione pupillare da parte della tropina dipenda dalla costituzione chimica dell’acido che la eterifica. 4° AZIONE SUL CUORE —- Come abbiamo già precedentemente accenna- (1) Fraser Loc. citato. (2) Falk Liebig's Annalen. Bd. CCVI. (3) Pictet. Die Pflangenalkaloide und ibre Chemische Constitution. Berlin. 1891. 214 C. LAZZARO E A. COPPOLA to, secondo le antiche esperienze di Buchheim, Hellmann e altri, la tropina,. la quale sulla pupilla non esercita azione midriatica, spiegherebbe invece sul cnore una influenza simile a quella esercitatavi dalla atropina, sebbene in grado molto più debole. Un tale comportamento della base tropiua sarebbe stato invero in evidente contradizione con quanto iu generale si osserva nel vasto campo delle azioni farmacologiche; infatti ad esempio, il comportamento fisiologico della muscarina, della pilocarpina, della nicotina, dello fisostigmina e dell’atropina medesima dimostrano che nella più gran parte dei casi esista tra l’azione pupillare delle sostanze e l’azione cardiaca di esse un perfetto parallelismo, tale che è difficile trovare una sostanza che abbia una qualsiasi inflnenza pupillare senza che essa ne spieghi una corrispondente sul centro dell'apparecchio circolatorio, o reciprocamente. Questa contraddizione però nou è che apparente, poichè le esperienze del Gottlieb hanno, mediante un prezioso reattivo farmacologico, la muscarina, in maniera sicnra dimostrato che, se è possibile mediante dosi piuttosto elevate di tropina rimuovere l’arresto diastolico del cuore prodotto dalla muscarina (la quale, come è noto, agisce eccitando l'apparecchio nervoso inibitore), è ugualmente, possibile per mezzo della muscarina, provocare l’arresto di un cuore che già si trovi sotto l’azione della tropina. Tale antagonismo bilaterale non si verificherebbe se i due farmaci agis- sero sul medesimo apparecchio inibitore cardiaco, l’uno eccitandolo l’altro paralizzandolo, e ciò per la ben nota legge farmacologica generale che, quando dune sostanze agiscono in senso contrario sugli stessi elementi nervosi allorchè, cioè, esiste tra essi un antagonismo fisiologico, diretto, questo, come il Prof. Cervello ha fatto notare parlando dell’antagonismo tra paraldeide e stricnina (1), tra nenrina ed atropina (2), si esplica soltanto in maniera uni- laterale, nel senso che non è mai possibile mediante un farmaco che agisce in senso eccitante rimuovere l’azione di un altro che agisca paralizzando il medesimo elemento anatomico. Giacchè nel nostro caso si tratta di un antagonismo nosografico, apparente, bisogna per conseguenza, ricercare la genesi della rimozione dell’arresto mu- scarinico in una influenza eccitante esercitata dalla base tropina su altri ele- menti del cuore: o direttamente sulla fibro-cellula muscolare, o sui gangli ec- citomotori. Il fatto. infine, che la tropina si dimostra ancora capace di rinfor- (1) V. Cervello Arch. per le scienze med. VII, p.1l. (2) » Sull’azione fisiologica della neurina. Annali di Chimica, ece. Vol. I, V. IV. dA Bio, Sonata aes SULL’AZIONE FARMACOLOGICA DEL TROPINONE 215 ‘zare o di ripristinare le contrazioni del cuore, quando queste siano indebo- lite o rispettivamente arrestate, per l’azione di un sale di rame (Gottlieb), so- stanza che, come Harnack e Withowiski hanno dimostrato (1), agisce dimi- nnendo, fino ad abolirla, l’eccitabilità della fibra muscolare, — non lascia al- «cun dubbio che questa base deve la sua proprietà caratteristica di rinforzare la sistole cardiaca ad un'azione eccitante spiegata sui gangli eccitomotori del- cuore. Alla stessa guisa della tropina, benchè con gradi diversi di intensità, si «comportano sul cuore di rana le varie tropeine della serie grassa e della se- rie aromatica. Dalle esperienze del Gottlieb risulta che la più attiva in questo senso è la lactiltropina alla quale, a breve distanza seguono la ippuriltropina, l’acetil- tropina e la succiniltropina. Volendo riassumere in poche parole l’azione cardiaca delle sostauze in qui- stione, diremo che: a)— Tanto la tropina quauto le varie tropeine rappresentano dei mezzi eccitanti per il cuore: esse aumentano la tendenza del ventricolo ad arrestarsi in sistole; vincono, per quanto incompletamente, l’azione della muscarina; ec- citano a nuove ed energiche contrazioni un cuore paralizzato mediante una so- luzione di nn sale dirame; 60) — Per la spiegazione del meccanismo di questa loro azione cardiaca è necessario e sufficiente invocare un’azione eccitante sugli apparecchi nervosi eccitomotori intracardiaci; c) — La lactiltropina partecipa, per la sua azione, tanto delle proprietà delle altre tropeine, quanto delle proprietà dell’alcaloide atropina poichè dosi elevate di essa rendono dimostrabili una paralisi degli apparecchi inibitori. Quanto poi alle influenze delle tropeine sulle terminazioni intracardiache «del vago, ricorderemo come dalle esperienze di Gottlieb risulta che nei cani la acetiltropina e la succiniltropina non le influenzano in modo sensibile; la ippuriltropina produce una tenue e fugace depressione del tono di questo nervo; la lactiltropina, infine, quando sia so uministrata a dosi elevate, agisce in ma- niera analoga all’atropina. Secondo i risultati delle esperieuze eseguite dal Bartheaun nel 1880, anche alla omatropina bisogna attribuire una leggera azione paralizzante sulle terminazioni del pnenmogastrico. Come abbiamo già ricordato, la lactiltropina è quella che possiede, tra tutte le tropeine, la più spiccata azione (1) — Harnack e Witkowski — Arch. f. ex. Path. un. Pharm. Bd. V. 216 C. LAZZARO E A. COPPOLA midriatica: le tropeine stanno dunque, quanto alla loro attività sull’apparecchio inibitore del cuore, nello stesso ordine nel quale si trovano quanto alla loro azione midriatica. V — AZIONE SULLE SECREZIONI. -- Dalle esperienze del Gottlieb risulta che, tra tutte le tropeine solo la lactiltropina si mostra sempre a dosi pinttosto elevate capace di arrestare la salivazione prodotta dalla pilocarpina. Da questo rapidissimo sguardo sulle azioni farmacologiche delle tropeine risulta: 1.° — L’azione delle tropeine non solo differisce quantitativamente da quella dell’atropina, ma anche, per alcune di esse, non sono dimostrabili le azioni periferiche di questo alcaloide. 2° — Nella serie della tropina e delle tropeine si osserva sempre un pa- rallelismo perfetto tra le diverse influenze periferiche sul vago, sulla pupilla, sulle secrezioni, nel senso che tali azioni possono tutte mancare, come ad esempio per la lactiltropina, o essere tutte evidenti ; i 9°—La tropina e le tropeine posseggono una azione eccitante snl cuore, mentre, come è noto, una simile azione per l’ atropina o non è affatto dimostra- bile, (e questa è la opinione della maggior parte dei farmacologi) 0, se questa esiste, come Dastre ed altri sostengono, essa appare solo dopo dosi straordinaria- mente più elevate di quelle che già paralizzauo pienamente l’ apparecchio inibitore. VI° — ALTRI DERIVATI DELLA TROPINA — (Cenni sulla loro struttura chi- mica). i Mentre, grazie ai lavori di Fraser, Hellmann, Buchheim Ladenburg, Falk, Pictet, Bertneau, Marcacci, (1), Gottlieb, e molti altri, l’azione farmacologica della tropina e delle tropeine, può considerarsi oggi come quasi sicuramente co- nosciuta in ogni sua parte, lo stesso non può dirsi per uya intera serie di al- tri derivati della tropina, i quali, preparati già da qualche tempo, non hanno ancora, per quel che noi sappiamo. ricevuto il battesimo delle indagini farmaco- logiche. Come abbbiamo precedentemente ricordato, la base tropina (CH,,N0) uno dei prodotti di scissione dell’atropina, presenta la seguente struttura chimica: CH, > Sigg See Hr | | N.CH; CH.OH | Î CH, CH CH, (1) — A. Marcacci. — Sull’azione fisiologica dell'A potropina. Giorn. della R. Accademia Med. di Torino, 1884, SUEL’AZIONE FArMACOLOGICA DEL TROPINONE pz 7; cioè consta di un anello di atomi di carbonio, con un ponte formato dallazoto; la sua molecola, così costituita, rappresenterebbe il prodotto di condensazione di un nucleo pirrolico e un nucleo piridinico, aventi due atomi di carbonio e uno di azoto in comune. Ossidando la tropina con acido cromico, Merling osservò che si eliminano due atomi di H e si ottiene un nuovo composto (C.H,,N0), ché, per la sna formola di costituzione, CH, CHI CH, | | N.CH; CO CHo -CH CH rappresenta chimicamente il chetone corrispondente all’alcool secondario, tro- pina, da cui deriva per ossidazione; se poi si spinge molto il processo ossi- dativo, si giunge invece, per apertura del nucleo piridinico, ad un altro com- posto di reazione acida (C,H,,NO), della formola: CH, CH CH, COOH | | | N.CH; | | CH, - CH COOH Al primo composto egli ha dato il nome di Zropirone; il secondo lo ha chiamato Acido tropinico. Lo stesso autore trovò che, se si tratta la tropina con un altro mezzo ossidante, il permanganato di potassio, questa base perde il gruppo CH, che fa parte del metile legato all’atomo di azoto, e si trasforma in una nuova base (C.H,;NO) la cui costituzione chimica: 7 CH» CH CH; > | NH CH.OH CHy CH CHo dimostra che anch'essa, come il corpo da cnîì deriva, funziona da alcool se- condario: questa sarebbe la Troprgenina. La tropigenina poi, appunto per questo suo speciale comportamento da alcool secondario, è a sua volta ancora capace, quando venga trattata con a- cido cromico, di eliminare, per ossidazione, due atomi di H, dando luogo alla formazione di nn nuovo chetone, (C, H,, NO) detto Norzropinione : CH; CH CHy Q 2 i Q | Q È ARIE LEA II 218 C. LAZZARO E A. COPPOLA Finalmente il Ladenburg è rinscito a preparare, sia per processi di ri- duzione, sia per sostituzione, altri derivati della tropina: tali la fropidina (GG HB,g N) da una parte, la weft/!ropina, il tropilidene (C, H,) e il frimettlamminotropilene (C.H,;) dall’altra. i Intendendo intraprendere uno studio comparativo su alcuni di tali deri- vati della tropina, abbiamo cominciato dal primo di questi corpi, con l’eseguirecioò tanto sulle rane che sui mammiferi, delle ricerche sperimentali sull’azione farmacologica del 7ropinone. PARTE SECONMIDA RICERCHE SPERIMENTALI SULL'AZIONE FISIOLOGICA DEL TROPINONE CARATTERI FISICI E CHIMICI — METODO DI PREPARAZIONE. — Il tropinone (C.H,3N0), ottenuto per la prima volta dal Merling, per ossidazione della tro- pina con acido cromico, si presenta sotto forma di una polvere finamente cristallina, splendente, facilmente solubile in acqua e che ha un puuto di fusione intorno ai 187 gradi. Esso rappresenia chimicamente il prodotto di ossidazione di nu. alcool secondario, e, come risulta dalla formola di costituzione, ormai sicu- ramente dimostrata, esso ha le funzioni chimiche di un chetone: CH; CH CH, | | NCH,S Co | CH» CH CH, Il metodo di preparazione di questa sostanza, secondo le indicazioni del Willstiter è il seguente (1): Grammi 10 di tropina (punto di fusione 51°) si sciolgono in grammi 200 di acido acetico glaciale, e, alla temperatura di 60°-70° vi si fa gocciolare lentamente, continuamente agitando, e nel periodo di due ore, nna soluzione di gr. 4,8 di acido cromico in gr. 4,8 di acqua e gr. 60 di acido acetico glaciale. Dopo l’aggiunta dell’ossidante, si riscalda la miscela per breve tempo a bagno maria bollente, fino a che tutto l’acido cromico venga ridotto; poscia, dopo raffreddamento, la massa si alcalinizza con soluzione di soda caustica, e l’ammino-chetone si estrae agitando sei volte con 200 ce. di etere (1) R. Willstitter--Berichte XXIX Bd. S. 396. SULL’AZIONE FARMACOLOGICA DEL TROPINONE 219 Evaporato l’etere, il residuo nettamente alcalino si neutralizza completa- mente con acido cloridrico, e poscia si pone ad evaporare nel vuoto su acido solforico. Si ottiene in tal modo un residuo giallastro, che, quando è perfet- mente secco, si fa cristallizzare da pochissimo alcool: è il cloridrato dell’am- mino-chetone. Ci è riuscito facile di ottenere, con tal metodo, piccole quan- tità, di prodotto (circa quattro grammi), corrispondente esattamente, nei ca- ratteri (punto di fusione, etc.), al prodotto descritto dal Willstatter, però, trat- tandosi di un processo piuttosto lungo, e volendo, d’altra parte, sperimentare sempre con un medesimo campione di sostanza, abbiamo preferito commissio- narlo direttamente alla Casa Schuchardt di Gorlitz. Il cloridrato di Tropinone che questa Ditta ci ha fornito è una sostanza igroscopica, facilmente solubile in acqua, che in soluzione reagisce leggermente acida. perchè lievemente idrolizzata. Di tale sostanza abbiamo intrapreso lo studio farmologico, adoperando una soluzione al 20°/,; le esperienze sono state divise in due serie: una prima ri- guarda l’azione del farmaco sulle rane; la seconda serie concerne gli esperimenti eseguiti sui mammiferi (cani, conigli, cavie, gatti). Ciascuna serie, a sua volta, comprende gruppi diversi di saggi sperimentali, riguardanti l’azione generale, l’azione cardiaca, (cuore /2 si/u, cuore isolato); la influenza sulla pupilla, sulle secrezioni etc. Nell’ esporre le sperienze, non riporteremo, per amor di brevità, i proto- colli di esse per esteso ; ci limiterewo solo a esporre i risultati di esse, avverten- do che di questi abbiamo voluto costantemente accertarci mediante ripetute prove. ESPERIENZE SULLE RANE a). Azione generale Da queste sperienze è risultato che nelle rane il tropinone provoca effetti venefici a dosi relativamente elevate, e che la dose mortale è di gr. 0,05-0,06. In un primo stadio esagera esso i riflessi, producendo delle scosse muscolari simili a quelle che si hanno per azione dell’ammoniaca; (1) in seguito suc- cedono delle scosse convulsive che differiscono per la forma da quelle deter- minate dalla stricnina: difatti gli arti anteriori anche nei maschi durante l’ac- cesso convulsivo non assumono mai l’attitudine dell’amplesso; e gli arti poste- riori formano sempre tra di loro nn angolo più o meno grande; oltre a ciò RR PVI SOT o 990 C. LAZZARO E A. COPPOLA di gli spasmi hanno piuttosto il carattere clonico. I movimenti respiratori si mo- dificano soltanto quando l’avvelenamento è molto progredito: dapprima si fanno più rari e superficiali, indi si arrestano; in questa fase anche i riflessi si affie- voliscono progressivamente sino alla scomparsa; succede poi la paralisi gene- rale di origine centrale e poi la morte. i Sotto l’azione del tropiuone la pupilla fin da principio si presenta legger- merte dilatata. 6) Sede di azione Stabilito che il quadro fenomenico dell’avvelenamento da tropinone si esplica nelle rane con fenomeni convulsivi, si trattava di definire quale la sede di origine di tali convulsioni. Il primo quesito che ci si presentava era se le convulsioni fossero causate dall’azione del veleno sugli emisferi ce- rebrali, sul bulbo o sui midollo spinale e, per risolverla, abbiamo ricorso alle classiche esperienze del Bernard. Da tali esperienze è risultato che, sotto l’az'one del tropinone, i riflessi, nelle rane in esperimento, si esagerano perchè viene esaltata la eccitabilità dei centri riflessogeni del midollo spinale; però gli spasmi convulsivi tonico- clonici sono limitati a quella parte di midollo spinale rimasta in connessione con la massa cerebro-bulbare, e possiamo quindi concludere che essi Lipomo dono da un'azione esercitata sui centri superiori. A dosi più elevate, a questo stadio segue la paralisi, che sembra decorrere dal midollo cervicale al lombare nella successione stessa con cui decorre la esagerazione del potere rmflesso. L'ultimo a paralizzarsi è il cuore. Quando la dose somministrata è eccessiva, come abbiamo potuto osservare con altre esperienze sulle rane, si passa immediatamente alla paralisi, senza che sia possibile osservare alcuna esagerazione nei riflessi e molto meno alcun fenomeno convulsivo. Abbiamo potuto infine, con altre esperienze dimostrare che la estirpazione degli emisferi cerebrali non esercita alcuna influenza apprezzabile sulla comparsa o sulla persistenza delle convulsioni. Dalla considerazione dei risultati di questa seconda serie di esperienze risulta, a nostro parere, ben definita la sede di azione del tropinone. (L)r—Lazzaro—Sull’ammoniaca e suoi derivati — Arch. delle Sienze Mediche. Vol. XV. N° 16. SULL'AZIONE FARMACOLOGICA DEL TROPINONE 221 1° — Questo farmaco agisce sul midollo spinale, determinandone un au- mento della eccitabilità riflessa. Se questo aumento viene spesso abolito quando si pratica la sezione dell’asse nervoso al di sotto del bulbo, gli è solo perchè esso non è tanto intenso quanto, per esempio, quello determinato dalla stric- nina; in modo che, mentre nell’animale così operato, e nel quale, per la gra- vità del traumatismno, è compromessa tutta l’attività funzionale del midollo spi- nale, l’esagerazione dei riflessi non pnò mettersi in evidenza, la stricnina, il cui potere di esaltare la eccitabilità delle cellule ganglionari sensitive spinali è di gran lunga superiore, ? ancora capace, in queste condizioni sperimentali sfavorevoli, di dar luogo alle caratteristiche convulsioni generali tetaniche. 2° |] Le convulsioni prodotte dal tropinone non dipendono dagli ei- sferi cerebrali, perchè la loro estirpazione non le sopprime, né impedisce il ioro manifestarsi; non dipendono nemmeno dal midollo spinale, perchè prati- cando la sezione di esso prima o dopo l'iniezione del farmaco, cessano, o ri- spettivamente, non si sviluppano, nel tratto inferiore; esse provengono iuvece -dal buibo, la cui esportazione le fa cessare, o impedisce che si sviluppino. c) Azrone sul cuore di rana in situ. Nelle esperienze sull'azione generale del tropiaone è costante il fatto che il cnore continui a battere ancora con sufficiente energia in rane già entrate nel perido di risoluzione. Trattandosi però di dovere determinare quali modificazioni rispetto al com- portamento dell’alcaloide atropina, della base tropina e delle varie tropeine, presenti la sostanza di cuni abbiamo intrapreso io studio farmacologico, abbiamo creduto di studiare più particolarmente la sua azione sulla circolazione san- guigna. Le esperienze a tale scopo esegnite ci hanno in modo evidentedi mostrato che sulle rane il tropinone non esercita alcuna spiccata influenza sul cuore in sito: dosi capaci di determinare non solo la sovraeccitazione del potere riflesso, ma anche gli accessi convulsivi e l’arresto del respiro von modificano sensibilmente nè il numero nè la energia delle contrazione cardiache. Per pro- vocare l'arresto del cnore bisogna adoperare dosi mortali; in questo caso la paralisi del midollo spinale risale anche al midollo allungato e il cuore ral- lenta i suoi battiti fino allo arresto in sistole, senza perdere la eccitabilità muscolare. Avendo rifatto molte di simili esperienze, ci è stato possibile constatare che, se nella maggior parte delle esperienze il cuore si arresta in sistole, è anche frequente l’arresto in diastole. Questo fatto non deve arrecare alcuna Pepro AR I Ma TESA È PRETI O Pe TRI da x , o ©; 999 C. LAZZARO EA. COPPOLA meraviglia, perchè in riguardo al cuore, si notano spesso notevoli differenze da una rana all’altra, dipendenti si della stagione che dalla specie. d) Azione sul cuore isolato Per studiare l’azione del tropinone sul cuore di rana isolato ci siamo ser- viti dell'apparecchio del Williams. Quanto alla costituzione del liquido destinato alla circolazione artificiale, abbiamo adoperato un miscuglio di una parte di sangue-defibrinato di bue, più tre parti di liquido di Ringer. Cominciavamo a prendere il tracciato del cuore normale: e, quando nou . osservavamo modificazioni, tanto sulla forma e ampiezza delle pulsazioni quanto sulla pressione, facevamo agire il tropinone, per lo più immergendo l'organo nello stesso miscuglio, di sangue con siero, nel quale era stato sciolta la so- stanza in studio; qualche volta sciogliendo il tropinone nel liquido circolante. Da queste esperienze è risultato che il cuore isolato non risente influenze sensibili allorchè è immerso in soluzioni che, per il loro grado di concentra- zione, si avvicinino o siano non molto superiori a quelle che si verificano nel sangue. circolante nell'organismo, o allorchè queste soluzioni si facciano di- rettamente circolare nelle sue cavità dimodochè siamo autorizzati ad affermare che il cuore di rana estirpato si comporta come il cnore in sito. Solo quando si impiegano delle dosi maggiori le pulsazioni divengono. più frequenti, prima aritmiche, poi irregolari, la loro escursione diminuisce rapidamente, la pressione si abbassa un poco. Il cuore rimane a lungo in questo stato, e, per ottenere il suo arresto definitivo, bisogna avvelenarlo con dosi relativamente enormi, e far circo- lare anche nello interno il tropinone: in queste condizioni il muscolo cardiaco si esaurisce progressivamente sino a perdere la sua eccitabilità; difatti le e- scursioni divengono piccole, la pressione si abbassa notevolmente; finalmente esso si arresta in diastole, non per paralisi degli apparecchi nervosi, ma per esaurimento della fibra muscolare. Resterebbe. invero, a definire se il leggero acceleramento delle pulsa- zioni, che caratterizza l’avveienamento del cuore estirpato, (e che non trova riscontro nelle esperienze sul cuore in sito) sia dovuto a paralisi dei gangi inibitori o ad eccitazione degli eccitomotori; ovvero anche, eventualmente, ad eccitazione della fibro cellula muscolare stessa. Però, (anche prescindendo dal considerare che quest’ultimo meccanismo di azione non troverebbe analogia nel comportamento di alcun altro farmaco: del gruppo delle tropeine), basterà ricordare che gli effetti della eccitazione SULL’AZIONE FARMACOLOGICA DEL TROPINONE 225 del muscolo cardiaco non si sogliono manifestare con una maggiore frequenza dei battiti, bensi con nna maggiore energia delle contrazioni, che possono essere anche più rare, come avviene per la fisostiomina. Nel nostro caso invece, come risulta dalle nostre esperieze, si ha dapprima una leggera diminuzione di frequenza, connessa con un aumento della ampiezza delle escursioni; quando poi, in un periodo successivo, si osserva l’accelera- mento, questo coincide con una minore escursione delle pulsazioni cardiache. Nel caso poi che tale acceleramento sia dovuto a paralisi degli apparecchi moderatori, il tropinone spiegherebbe sul cuore un’azione analoga a quella -dell’atropina, e quindi dovrebbe essere capace di vincere o prevenire l’avyve lenamento da muscarina. Non essendoci però riuscito di procurarci della muscarina sostanza che tanto la Casa Merk quanto la Schuchardt hanno ritirato dal com- mercio; nè essendoci stato possibile, per la medesima ragione, provare se esistesse un tale antagonismo fisiologico con la neurina,= cni il Prof. Cervello ha trovato agire come la muscarina = dobbiamo per ora, nostro malgrado limitarci a segnalare tale questione di capitale importanza per l'argomento di cni ci occupiamo. nella speranza di ritornarvi quando ne avremo il mezzo necessario, e non volendo, d’altra parte, fare altre deduzioni, che, mancando di base sicura, potrebbero essere in seguito dimostrate poco esatto. ESPERIENZE SUI MAMMIFERI a) Azione Generale. I fea:mepni generali osservati in questa prima serie di esperienze, corri- .spondenti in gran parte a quelli precedeutemente notati nelle rane, ci per- mettono di conchindere che anche nei mammiferi il tropinone esercita un’a- zione convulsivante, la quale non presenta sensibili differenze nei diversi a- nimali da esperimento, (cani, conigli, cavie), se si eccettui che nei primi, anche per dosi medie, si provoca facilmente il vomito, pel quale, come si sa i cani sono molto suscettibili. Rienardo alla origine di vali convulsioni, riferendoci a quanto abbiamo osservato nelle rane, non abbiamo creduto necessario di ricercare, con ulte- riori indagini sperimentali. la sede di azione di questa sostanza; molto più che tanto il quadro fenomenico nel sno complesso globare, come anche i singoli episodi di esso, danno adito alla presunzione che, assai verosimilmente, tali convulsioni siano dipendenti dalla influenza eccitante che il farmaco spiega sull’asse bulbo-spinale. 224 C. LAZZARO E A. CLPPOOA Una differenza essenziale risalta però nel comportamento, di fronte alla intossicazione, delle dune grandi classi di animali: nei mammiferi manca il pe- riodo paralitico postconvulsivo che invece si osserva nelle rane; come si sa, anche di fronte alla stricnina batraci e mammiferi presentano una analoga differenza di comportamento, b) Azione sulla pupilla. Tra i fenomeni di intossicazione da tropinone. un sintomo costante e che. si manifesta spesso rapidamente, tanto nelle rane che nei mammiferi, è la dilatazione pupillare, apprezzabile anche per piccole dosi. La midriasi in genere paò dipendere o da paralisi del nervo ocumalatore,. che auima il muscolo costrittore, o da paralisi del muscolo stesso; oppure da eccitazione nervosa o muscolare delle fibre raggiate. Noi non ci occuperemo della complessa questione anatomo-fisiologica circa la esistenza o meno di fin muscolo dilatatoro della pupilla, antagonista al co- strittore, molto più che, per i fini della esperienza farmacologica, tanto vale ammettere nella “ membrana limitante posteriore,, uno strato di fibre mu- scolari lisce raggiate aventi l’ufficio di contribuire alla dilatazione attiva della pupilla, quanto riporre il fattore principale dl questa dilatazione pupillare in una contrazione della robusta tunica muscolare delle arterie sotto l’inflnenza del simpatico o infine, in una azione di arresto o di inibizione esercitata dal simpatico sul plesso ciliare, plesso da cui originano i nervi destinati all’iride (1). Era naturale che, trattandosi di un composto chimico affine alla tropina, il primo problema che ci si è presentato alla mente è stato quello di stabilire se qui si tratti eventualmente di una azione sugli apparecchi periferici. A tale scopo abbiamo eseguite alcune esperienze, di cui ci limitiamo a riassumere i risultati: 1° — L’istillazione diretta della soluzione di Tropinonenel sacco con giun- tivale nelle rane non produce alcun effetto; come anche non ci è stato possi- bile provocare la midriasi nel bulbo oculare estirpato; 2° — L’instillazione della soluzione di tropinone nel fornice congiuntivale del cane, del coniglio, del gatto varie volte ripetuta, ci ha dato sempre uguale risultato negativo. Da queste esperienze resta esclusa un’ azione sugli apparecchi periferici; (1) Di tale importante questione potrà trovarsi una dettagliata trattazione, oltre che sui trat- tati di Oculistica, anche in: Testut-Anatomia umana. Vol. 2° Parte 4°, pag, 146 (1899). Ve- di anche: Spallitta. Azione del cloroformio sulla pupilla. Contributo alla fisiologia dei dilata- tori pupillari. Arch. di Farm. e Terap. Vol. 1° 1893 pag. 359. SULL’AZIONE FARMACOLOGICA DEL TROPINONE 225 quindi resta soltanto a decidere se si tratti della paralisi del cerro dell’ ocn- lomotore o della eccitazione del simpatico. Contro la prima di queste due in- terpretazioni stanno i risultati delle esperienze sull’ azione generale del tropi- none, i quali dimostrano che questa sostanza agisce sui centri nervosi eccitan- doli, non paralizzandoli, e quindi il comportamento dei centri oculomotori sa- rebbe una eccezione, anzi nn’ anomalia. Oltre a ciò, come abbiamo potuto varie volte osservare, gli stimoli Imminosi fanno immediatamente restringere la pup- pilla dilatata col tropinone: questi fatti che i riflessi dell’iride si conservano intatti mostrano, noi crediamo, evidentemente che il centro costrittore non è pla- ralizzato e quindi. per esclusione, la midriasi deye riferirsi ad eccitazione de centro dilatatore spinale, che agisce per la via del simpatico. c) Azione sul cuore e sulla pressione sanguigna. Per lo studio della pressione sanguigna abbiamo adoperato il chimografo del Ludwig modificato dal Rothe di Praga. In queste esperienze, fatte sui cani, la pressione fu presa sempre nella carotide, la quale, isolata, veniva posta in co- municazione col manometro che a tale apparecchio è connesso. Il tropinone, in soluzione acquosa al 20°/,, veniva iniettato mediante una siringa in vetro di Luer, per la vena safena ovvero per la giugulare. Da questa serie di esperienze, delle quali, per brevità, ci limitiamo a ri- ferire i risultati, risulta confermato ciò che abbiamo già osservato per le rane, che, cioè, piccole dosi di tropinone non esercitano una notevole influenza nè sul numero dei battiti cardiaci nè sul valore della pressione sanguigna. Solo per dosi medie le pulsazioni cardiache diventano lievemente più frequenti e sensibilmente più ampie, mentre si ha un manifesto aumento della pressione sanguigna il quale ultimo deve mettersi evidentemente iu rapporto con un ec- citamento del centro vaso motorio. Dosi elevate e rapidamente mortali producono una notevolissima diminu- zione dell’ampiezza delle pulsazioni: mentre la pressione cade rapidamente a zero. Riguardo al leggero aumento dei battiti cardiaci, anche qui, come abbiamo già detto a proposito del cuore di rana, potrebbe sorgere il dubbio che inter- venga un’azione paralizzaute sulle terminazioni intracardiache del vago; per la qual cosa abbiamo creduto importante eseguire altre esperienze, per studiare le modificazioni che il tropinone porta nell’apparecchio cardiovascolare quando siano previamente recisi i vaghi al collo, o quando se ne ecciti il moncone periferico. Nel primo caso abbiamo osservato che il decorso dell’azione rive- 5 LORI N IRSIPIOI SY RISO TRIP I ORI 226 C. LAZZARO E À. COPPOLA lata dalle precedenti esperienze non si modifica per nulla se in precedenza si sia praticata la vagotomia bilaterale; nel secondo si è trovato che l’eccitazione elettrica del moncone periferico del vago produce gli stessi effetti che vell’a- nimale normale. Restando esclusa quindi un’azîione del tropinone sulle terminazioni del pueunogastrico, saremmo propensi ad invocare, come causa di questo accele- ramento di battiti, una eccitazione, di gangli intracardiaci eccitomotori il che mosirerebbe grande analogia col comportamento del cuore di rana estirpato. d) Azione sulla secrezione salivare. Allo scopo di studiare la influenza deltropinone sulla secrezione salivare. abbiamo eseguite parecchie esperienze sulla ghiandola sottomascellare dei cani. come quella cheè. più delle altre, accessibile alla sperimentazione, e la quale è stata da molti anni soggetto a molteplici e svariate ricerche, fin dalle prime fondamentali del Ludwig e della sua scuola. La tecnica sperimentale da noi seguita per praticare la fistola del canale di Warthon è quella suggorita dal Fredericq nelle «Manipulatione de Physio- logie » (1) e che rinunciamo dal descrivere. Queste esperienze, sempre eguali e costanti nei loro risultati hanno di-. mostrato che il tropinone produce un notevole aumenio della secrezione salivare, il quale, già evidente per piccole dosi, diviene notevolissimo per dosi più ele- vate, fatto questo già osservato nelle prime esperienze sui cani. Quale la genesi di tale ipersecrezione? Considerando l’azione eccitante che questa sostanza spiega sui centri ner- vosi, non era a dubitare che la causa della salivazione risiedesse almeno pre- valentemente, in una eccitazione dei nervi secretori alla loro origine bulbo- protuberenziale; nondimeno abbiamo voluto accertarci se eventualmente questi subissero anche ed indipendentemeuta dalla influenza centrale, un eccitamento alle loro terminazioni intraglandolari: il fatto però constatato in alcune delle nostre esperienze che il taglio della corda del timpano, che è il nervo secre- tore deila glandola sottomascellare, riconduce la velocità media di deflusso della saliva secreta ad un valore anche inferiore a quello determinato prima della iniezione del farmaco, permette, noi crediamo, di concludere che la ec- citazione contrale sia l’unico fattore al quale si debba la genesi di tale iper- secrezione. e) —SECREZIONE URINARIA.—Essendo in ultimo rimasta a nostra dispo sizione una quantità insufficiente di prodotto, non ci è stato possibile di ese- IS SULL’AZIONE FARMACOLOQICA DEL TROPINONE 227 guire, circa la influenza del tropinone sulla secrezione urinaria, che una esperienza (doppio cateterismo degli ureteri in un cane di Kg. 16). Di questa però preferiamo non tenere conto nella esposizione delle nostre ricerche, non essendoci concesso di trarre da essa sola delle conclusioni sicure. CONCLUSIONE Dalla considerazione dei risultati delle riferite esperienze, risulta quanto segue: Il tropinone determina sul sistema nervoso tanto delle rane che dei mam- miferi fenomeni di eccitazione. NELLE RANE dosi inferiori a 4centigrammi esagerano i riflessi per influenza sul midollo spinale; dosi più elevate (4-8 centicrammi) spiegano sul midollo un'azione più energica che propagandosi ai centri superiori, suscita convul- sioni cloniche, nel tronco e nelle estremità, differenti per la fornia dalle convulsioni stricniche. A dosi mortali (0,05 0,06) gli elementi nervosi eccitati si paralizzano e si ha la morte. Oltre alla paralisi centrale bisogna ammettere che intervenga anche un'azione paralizzaute sulle terminazioni periferiche motrici, azione cu- rarica anzi, che, come risulta dalle esperienze, precede la paralisi dei centri motori, per cui, svolgendosi accanto all’azione convulsivante impedisce che le convulsioni possano acquistare tutta la loro energia. Se in unica volta si somministra una dose eccessiva di tropiuone i feno- meni paralitici si verificano più precocemente. La pupilla si dilata costantemente per eccitazione del simpatico. I movimenti respiratori solo nello stadio avanzato dell’avvelenamento diventano intermittenti ed infine si arrestano, Sulla circolazione il tropinone non esercita azione rilevante: abbiamo già ricordato come il cuore continni a battere con sufficiente energia nelle rane già entrat6 nel periodo di risoluzione. Quanto alla interpretazione del meccanismo di quel leggero acec'eramento delle prisazioni che caratterizza l’avvelenamento del cnore estirpato, e che non trova riscontro nelle esperienze sul cnore in situ, non siamo ancora in grado prima di seguire talune esperienze, e ne abbiamo esposte le ragioni, di potere dire l’ultima parola. NEI MAMMIFERI il quadro fenomenico generale corrisponde a quello osservato nelle rane: anche qui il tropinone esercita un'azione convulsivante, 928 G. LAZZARO E A. COPPOLA la quale non presenta sensibili differenze nei diversi animali da esperimento se si eccetina che nei cani, anche per dosi medie, si provoca facilmente il' vomito. per il quale, come abbiamo già ricordato, essi sono facilmente}suscettibili.. Sulla pupilla esso esercita un’azione midriatica di origine centrale, mentre manca assolutamente di una influenza sulle terminazioni dei nervi iridei. Riguardo all’influenza sull’apparecchio cardio vascolare, abbiano già detto che solo per dosi medie si cominciano ad osservare modificazioni, sotto forma di lieve aumento dei battiti cardiaci e della ampiezza delle pulsazioni e di un manifesto innalzamento della pressione sanguigna; e che, d’altra parte abbiamo: creduto di potere escludere un’azione del tropinone sulle terminazioni del vago Quanto alla secrezione salivare, questa viene di molto aumentata, e ciò. si verifica prevaleniemente, se non esclusivamente, per eccitazione dei nerv secretori alla loro origine bulbo protuberenziale. Il comportamento farmacologico del tropinone presenta dunque molte in-- teressanii analogie con quello delle varie tropeine e della stessa base tropina, sostanze tutte con le quali esso ha degli intimi rapporti di parentela chimica.. La base Zropina non lascia invero riconoscere fenomeni veri. e propri di eccitazione tranne che la midriasi, cui, identicamente a quanto siamo stati condotti ad ammettere nel tropinone, Gottlieb, ha messo in relazione con una eccitazione del centro dilatatore spinale. Abbiamo già fatto osservare core le virtù eccitanti che si mantengono: quasi latenti nella molecola della base tropina, divengono manifeste con la in- troduzione, nella molecola, del radicale acetilico, di tal che già piccole dosi di acetiltropina determinano l’insorgimento di convulsioni tonicocloniche mortali. Anche l’alcaloide atropina, possiede, com'è noto, la proprieità di dar lnogo ad una sovraeccitazione dei riflessi, che in alcuni individni può spingersi sino a determinare lo scoppio di convulsioni generali. Ricorderemo che la succiriltropina mauca di virtù eccitanti, anzi dà luogo a fenomeni paralitici (tanto di origine centrale, quanto, e specialmente di ori- gine periferica). Abbiamo aucora fatto ceuno al singolare comparti:uento della (ppa7///ropina, la quale, accanto ad una evidente azione curarica paragonabile a quella della succiniltropina, spiega anche un'azione stricnica sul midollo spinale, che si può mettere in evidenza. sotto forma di convulsioni tonico-cloniche, quando, con una preparazione alla Bernard, si preserva l’arto di una rana dell’azione curarica. Dalle esperienze del Gottlieb è risultato che la base tropina e le tropeine: i SULL’AZIONE FARMACOLOGICA DEL TR>)PINONE 299 esercitano un’azione eccivante sui gangli eccitomotori del caore, mentre solo per dosi elevate di una di queste (la Jactiltropina) si produce una sensibile depres- sione del tono del vago cardiaco, paragonabile all’influenza della tropina e anche nel tropinone noi siamo stati propensi ed ammettere un'azione eccitante sul cuore per quarto ci siamo molto riservati nell’emettere un tale giudizio. Da questo rapidissimo sguardo comparativo risulta ancora una volta con- fermata la dottrina che, conservandosi inalterato il nncieo fondamentale di una sostanza, le modificazioni secondarie appartate alla sua struttora, anche quando ap- pareuteuente tiasformino la sua azione fisiologica, pure non deter- minano che differenze di grado nel suo comportamento, come si può sempre | riconoscere studiando i derivati intermedi: infattile differenze dimostrabili nel comportamento farmacologico dei vari derivati della tropina non sono che quanti- tative, e vanno sicuramente messe in rapporto con la presenza dei vari radi- cali grassi ed aromatici che entrando nella molecola della base tropina, ne modificano la azione del mucleo fondamentale. Alla presenza di questi radicali acidi, come anche, per quanto riguarda l’atropina, al radicale dell’acido tropico, bisogna attribuire l’azione perife- rica paralizzante (vago, nervi secretori e nervi oculo-inotori) che costituisce l’azione caratteristica di questo alcaloide, e che si trova anche accennata in alcune tropeine, segnatamente nella lactiltropina. Abbiamo accennato alla grande importanza attribuita dal Pictet alla pre- senza di nn ossidrile alcoolico .sul radicale acido per spiegare la genesi delle azioni periferiche dell’atropina ‘e delle yarie tropeine, ma abbiamo anche ri cordato che fino ad oggi le nostre conoscenze non ci permettono di potere stabilire fino a qual segno l’acquisto, da parte della tropina, delle azioni pa- ralizzanti periferiche dipenda dalla costituzione chimica dell’acido che la ete- rifica. Su un altro punto importante, però è stata richiamata la nostra attenzione: Dato il fatto che Vazione eccitante sui centri nervosi è sempre presente nei derivati della tropina (per quanto in alcuni di essi venga spesse masche- rata da una contemporanea azione curarica), questa proprietà caratteristica deve essere certamente una funzione del suo nucleo molecolare. Ma è proprio assolutamenle vero che quest'azione convulsivante sia pre- sente in tutti, nessuno escluso, i derivati della tropina? No, perchè, per esem- pio, avendo avuto l’idea di saggiare sulle rane anche le proprietà di alcuni altri derivati non ancora studiati della tropina, quali l’acido tropinico, la tro- pigenina e il nortropinone, ci siamo convinti, per quanto ci proponiamo di ri- FONYTER A TORE, FREE VIS ASTI SY IRAN A GIOR EDT TI NADA PE s È RSRLIIGA Ter ara 250 C. LAZZARO E A. COPPOLA petere le esperienze sni mammiferi, che tra queste, solo . il nortropinone, si. comporti farmacologicamente come il tropinone, mentre la tropigenina e l’acido tropinico sono inattivi. / Si Se noi consideriamo la struttura chimica della molecola della base tropina quale dal Merling è stata immaginata, ci sarà facile scorgere che essa si presenta come il risultato della condensazione diretta di due nuclei entrambi eterociclici: un nucleo pirrolico ed un nucleo piridinico, aventi un atomo di azoto e due di carbonio in comune; se poi consideriamo la perfetta analogia che esiste tra l’azione fisiologica del tropinone con quella dei vari numerosi derivati della pilocarpina, la cui azione convulsivante centrale e paralizzante periferica Francesco Coppola (1) ha dimostrato essere in rapporto con la pre- senza in essi del nucleo piridinico crediamo non essere alcun dubbio come sia precisamente lo stesso nucleo piridinico quello che informa l’azione fisiologica generale delle tropeine e anche del tropinone e del nortropinone. Ma perchè quest’azione si svolge solo pei chetoni, tropinone e nortropinone mentre negli alcoli da cni questi derivano, essa non è dimostrabile ? Che sul vario comportamento di questi due ordini di sostanze influisca la presenza del gruppo carbonile (CO) caratteristico per la sua costante presenza nei che- toni, assente invece negli alcooli secondari ? E di che natura poi sarà questa possibile influenza ? Ulteriori esperienze, più d’indole chimica che di natura farmacologica, po- tranno risolvere tali questioni che per ora così ennaciate, potrebbero parere soverchiamente ardite. Giugno 1913. (1) E. Coppola—Sull’azione fisiologica della: Pilocarpina e dei suoi derivati in rapporto alla loro costituzione chimica. Annali di Chimica ece. Vol. VIII della Serie IV, 1873. ISTITUTO DI ZOOLOGIA ED ANATOMIA COMPARATA DELLA R. UNIV, DI PALERMO Dont. ALrREDO MISURI aiuto Contributo alla conoscenza della Fauna carcinologica siciliana I Crostacei Podoftalmi del Golfo di Palermo NOTA I. BRACRIURI Da qualche tempo avevo osservato sui mercati di Palermo una bella e ricca Fauna carcinologica, interessante per varietà di forme e per vivacità di colo- ri (gen. Porfunus) o per il fitto rivestimento d’alghe marine, che fa sembrare alcuni granchi delle zolle erbose semoventi (geun. Pisa e Maya). Mi procurai sul mercato queste crostacei da servire per il corso di esercitazioni di Zoologia: confrontai il materiale fresco con quello già esistente nella colle- zione generale del Museo Zoologico e mi accorsi che molte specie v'erano rappresentate, ma altre vi mancavano affatto. Nè mi risultò, d’altro canto, che pel Golfo di Palermo fosse studiata la Fauna carcinologica: in un lavoro assai interessante del Riggio (1) riferentesi però ad alquanti crostacei del Mare di Messina e di Palermo, trovai citate soltanto due specie di Brachiuri (Homola spinifrons Leach, e Portunus pusttlus Leach.) D'altra parie, credevo urgente una revisione della raccolta carcino- logica del Museo, perchè qualche specie mi pareva non troppo esattamente determinata, ed una parte del materiale, specie quello conservato a secco, do- Vveva essere sostituito. (1) Riggio G. Contributo alla carcinologia del Mediterraneo. 1. Nota. Sopra alquanti ero- stacei del Mare di Messina. Natrralisia Siciliano A. XVII. 1905. 232 A. MISURI Era opportuno che ai Brachiuri soprattutto rivolgessi la mia attenzione, lasciando, pel momento, in disparte gli altri gruppi di Crostacei dei quali farò oggetto di ricerche in seguito. Così, non limitandomi più all'acquisto dei granchi presso i venditori, coadiuvato dall’ainto-preparatore di questo Museo, Cap. Francesco Campagna, mi accinsi a pescarli direttamente, e, dopo avere esplorato in lungo e in largo il Golfo, giunse a raccoglier 56 specie. (In appendice pougo il gen. d’acqua ‘dolce Ze/phusa perchè riscontrato alla foce del finme Oreto). Non mi Iusingo che il catalogo sia completo: sopratutto mi mancarono i mezzi di effettuare pesche di profondità, ma mi auguro di poter completare in seguito e con apparecchi adatti, la serie di pesche la quale mi conduca alla conoscenza, quanto più sarà possibile, completa, dei granchi di profondità. Tutta la fauna dell’ex regno di Napoli, comprende, secondo Costa (1) 65 specie, compresa una d’acqua dolce (7e/phusa), contro le 57 della fauna paler- ‘ mitana, alla quale mancano le seguenti 11 che enumero, per non generare con- fusioni, con la errata grafia del Costa: Tia polita, Pinnotheres_ veteraum, P. pisum, Coristes dentatus, Ebalia Edwardsti, E. elengans Cos., Lambrus contracta Cos., Eurinome boletifera Cos., Mitrax scaber Cos., Achaeus cranchit, Dorippe ‘mascheronia (2). Si consideri poi che Portarus Maravignae Prest., è specie dubbia: che Carcinus maenas var. laevigatus Cos. è del pari dubbio: che Xarz/ho poressa, entra in sinonimia con Xarlo florida Leach: che Pinnotheres. cranchii, P. La- treillit, P. modiolae Cos., entrano in sinonimia con P. pisum Latr., che Inachus doryrchus Leach, assorbe come sinonimo /. communissimus Rizza; che /. Cocco è compreso da /. Moracicus Roux; che Macropodra gracilis è da riferirsi ad Achaeus Cranchit Leach; che Dorippe affinis è D. lanata. Sono dunque Il specie che scompaiono dal lavoro del Costa, il quale per- tanto cita pel Regno di Napoli soltanto 54 buone specie. Per facilitare lo studio comparato della fauna generale delle due Sicilie, con quellalocale palermitana, le pongo a confronto nello specchietto che segue, insieme con la correzione degli errori sistematici e di materiale trascrizione nei quali incorse il Costa: N. B. Le specie che esistono anche a Palermo sono segnate con la lettera P. (2) Costa—Fauna del Regno di Napoli—1837-1857 (Crost. Aracn. Anell.) (2) Esco la correzione tassonomica e grafica delle sp. citate: Thia polita Leach, Pinnotheres veterum Bose, P. pisum Latr., Corystes cassivelanus Leach, Ebalia Edwardsii Costa, B. elegans Costa, Lambrus Massena Roux, Eurynome aspera Leach, Mitrax dichotomus Desm., Achaens Cranchii Leach, Ethusa mascarone Roux. 3 dt 4 A ay $ vale ' È. i , CAI ata in e ea a “a lee cr he CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLA FAUNA CARCINOLOGICA SICILIANA 1. Portunus Rondeletiù sin. 2. P. corrugatus » d. P. holsatus » 4. P. longipes Ris. » 5. P. pusillus var. plur. >» 6. P. Valencienei Cos. » 7. P. macropipus Prest. > 8. P. Maravignae ej. » 9. P. marmorens » 10. Carcinus moenas » 11. — — var. laevigatus. Cos 12. Lupa Dufourii » 153. Ptatyonichus latipes » 14. Cancer pagurus » 15. Xantho poressa » 16. — var. a. florida » 17. — var. b. sonata Cos. 18. Pirimela denticulata » 19. Thia polita » 20. Eriphia spinifrons » 21. Pilumnus hirtellus » 22. Telphusa fluviatilis » 23. Gonoplax rhomboides > 24. Pinnotheres veterum » 25. P. Cranchii » 26. P. pisum » 27. P. Latreilli » 28. P. modiolae Cos. » 29. Grapsus varius » 30. G. diris Cos. Gaet. » 51 Coristes dentatus » 32 Ilia nuclens » 55. Ebalia Edwardsti » 34. E. elegans Cos. > 35. Parthenope mediterranea» 36. P. longimana » 37. P. contracta » di » >» P. arcuatus Leach Leach P. depurator Leach Bathynectes longipes A. M. Edw. Leach P. maculatus Risso P. tuberculatus Roux ? ? P. maculatus Risso — — Leach ? ? L. hastata M. Edw. — — M.Edw. — — Lin. X. florida Leach X. rivulosa Risso Leach Leach Say. Leach Say. Desm. Bosc. Latr. Latr. P. pisum » P. pisum P. pisum » Pachygrapsus marmoratus Stimps Nautilograpsus minutus M. Edw. Nautilograpsus minutus M.Edw. Leach Costa Costa Lambrus mediterraueus Roux L. angulifrons M. Edn. L. Massena Roux Ba w re ate ie Dio gel pe pel ch DIL A. MISURI 58. Enrinome boletifera Cos. Sin. di Eurynome aspera Leach 39. Mitrax scaber Cos. » » M. dichotomus Desm. _ 40. Acanthonix viridis Cos.» — » A. lunulatus Latr. Ps 41. Pisa Gibbsii rea iena aedeaeh P. 42. P. nodipes » >» —. —. Leach Pi 45. P. tetraodon >» — —. Leach Pa 44. P. corallina EMIR E: 45. Lissa chiragra » >» — — Leach P 46. Maja squinado » >» — —. Latr. Pi 47. M. ambigua Cos. >» » — — Costa ES 48. Inachus scorpio » > Rab JR 49. I. thoracicus >» » — —. Roux P. 50. I. Dorynchus i a» Iidorynchus Leach TRA 51. /. communissimus Rizza > » I. dorynchus Leach pà 52. I. affinis »> >» I. leptochirus Leach Ra 53. /. Cocco » >» I. thoracicus Roux DI 54. Achaeus Cranchit >» >» —. — Leach — 55. Macropodia phalangium “» —“» ’—StenorhynchusphalangiumM.Edw.P. 56. I. fenuirostris >» » St. longirotris M.Edw. JE5 DT. JM. gracilis » » Achaeus Cranchii Leach — 58. Latrelllia elegans IPO ia Roux 13, 59. Calappa granulata De enna Fabr. P 60. Homola spinifrons DID a - Leach Jrn 61. H. Cuvieri Se e Roux Pi 62. Dorippe lanata > > — -— Bosc E 63. D. mascheronia » » Ethusa mascarone Roux — 64. D. affinis » » Dorippa lanata Bose lE: 65. Dromia Rumphir » >» D. vulgaris M. Edw. E. Nondimeno il confronto del materiale da me raccolto nel Golfo di Paler- mo, con quello del compartimento marittimo di Catania, illustrato recentemente dal Magrì (1) mi ha convinto che forse pochissime saranno le specie da ri- cercare ancora a complemento di quelle citate nel presente lavoro. Infatti il Magrì cita per Catania 39 specie di Brachiuri, mentre io ne ho raccolte 56 specie (esclusa la 57% d’acqua dolce, che pongo in appendice), e della fauna carcinologica catanese mancano alla palermitana soltanto 5 specie, e cioè Eu- (1) Magrì F. I Crostacei Decapodi del Compartimento marittimo di Catania. Atti Acc. Gioenia di Sc. Nat. Catania, A LXXXVIII — 1911 — Ser. V. — Vol. IV — Mem. XIV. CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLA FAUNA CARCINOLOGICA SICILIANA 235 rynome aspera Leach, Lambrus serratus M. Edw. Portunus Doderleinit? Coe -co, Goniosoma viride G. O. Costa, Platygonychus latipes Penn. D'altro canto, quantunque il Magrì avverta che, tra Macruri e Brachiuri, « stante i mezzi bibliografici scarsi, di cui dispone Catania, 13 specie non ha potuto bene diagnosticarle, e quindi non ha creduto citarle » appare nomper- tanto la maggior ricchezza della carcinofauna palermitana in confronto della ‘catanese, alla quale mancano 22 specie citate da me per Palermo e cioè: Za- _tretllia elegans Roux, Stenorhynchus aegyptius M. Edw., Stenorhynchus longiro- tris M. Edw., Zrachus dorynchus Leach, Maja ambigua Costa, Pisa Gibsii Leach, Pisa armata Latr., ? Pisa convexa Phil. Mspt. A. Brdt.,? Pisa intermedia Nardo, Pisa quadricornis Phil Mspt. A. Brdt., Lambrus angulifrons M. Edw. Pirimela denticulata Leach., Xartho rivulosa Iisso, Xantho florida Leach., Xantho tubercolata Bell., Pilumnus spinifer M. Edw. Pilumnnus villosus Risso, Portunns tuberculatus Roux, Portunns maculatus Risso, Bathynectes longipes A. M. Edw. Gonoplax angulatus Leach, Nauulograpsus minutus M. Edw. In ogni modo risulta tra le due carcinofaune, palermitana e catanese, una grande affinità, esistendo 34 specie comuni alle due faune. Le specie mai citate per Palermo, sono 41 e cioè: Porcellana platicheles Lam., Homola spinifrons, Bosc., Dorippe lanata Bose, Ilia nucleus Leach., Ilia rugulosa Risso, Calappa granulata Fabr., Stenorchynchus phalangium M. Edw., Stenorchynchus aegyptus M. Edw. (specie mai citata per l’Italia), Inachus leptochiras Leach., Inachus dorynchus. Leach., Herbstia condy- liata M. Edw., Maja squinado Latr., Maja ambigua Costa (specie mai citata per la Sicilia), Pisa Gibbsit Leach. (specie mai citata per la Sicilia), P7sa ar- mata Latr., Pisa nodipes Leach, Pisa tetraodon Leach, ? Pisa convexa (Phil. Mspt) A. Brdt. (specie mai citata per la Sicilia).? Pisa intermedia Nardo (specie mai citata per la Sicilia), Pisa quadricornis (Phil. Mspt.) A. Brdt. (specie mai citata per la Sicilia), Zissa chiragra Leach, Lambrus medilerranens Roux. Pirimela denticulata (specie mai citata per la Sicilia), Yantho ‘nbercolata Bell., Pilumnus villosus Risso (specie mai citata la Sicilia), £y/phia spinifrons Sav.. Lupa hastata M. Edw., Portunus depurator Leach., Portunus fuberculatus Roux, Portunus pusillus Leach, Portunus arcuatus Leach, Portunus maculatus Risso ‘(specie mai citata per la Sicilia), Batkynectes longipes A. M. Edw., Carcinus maenas Leach, Platyonychus nasutus Latr., Gonoplax angulata Leach, Gono- _plax rhombordes Desm,. Brachynotus sexdentatus Hlgdf., Pachygrapsus mau- rus Heller, Nautilograpsus minutus M. Edw. (specie mai citata per la Sicilia). Delle suddette specie, come ho segnato a fianco di ciascuna di esse, una è nuova per l’Italia e 9 sono per la Sicilia. 230 A. MISURI Del resto, per quel poco che Isi conosce della carcinofauna fossile pa- lermitana, si può dire che nel Post-pliocene non differisse molto dalla at- tuale, giacchè il Milne-Edwards (1) da chele rinvenute nei sedimenti delle Falde del Monte Pellegrino, indicò le cinque specie seguenti: Maja squinado Latr., Gonoplax rhomboides Desm., Ilia nuclens Leach, Calappa granulata Fabr., Xantho floridus Mont. Di quest’ultima specie il Checchia Rispoli (2) illustrò nun carapace, ed in seguito rinvenne ed illustrò un altro carapace di Atelecyelus rotundatus Olivi (3) proveniente dal deposito postpliocenico di Ficarazzi, specie che manca alla Fauna attuale, o che vi è rarissima non avendola mai potuta raccogliere, quantianque l’amico Dott. Checchia Rispoli l'avesse segnalata alle mie ricerche. Da ultima il Dott. Mariano Gemmellaro m’informa che, oltre a Maya squi- nado Latr. e Calappa granulata Fabr. già illustrate dal Milne-Edwards, egli sta studiando avanzi fossili postpliocenici di Dromza vulgaris M. Edw., ed Zri- phia spinifrons Sav., delle stesse località. Si può asserire dunque che, delle otto specie fossili sia qui rinvenute, sette sono comuni alla Fauna attuale ed una è scomparsa dal uostro Golfo, o quanto meno vi è rarissima, mentre, come è noto, si rinviene comune nel Golfo di Napoli ed iu quello di Venezia. I mezzi di ricerca sona assai scarsi a Palermo, perchè pochi si dedicano alla pesca e poche varietà di arnesi usano: in genere il mercato viene fornito da pescatori di Trapani e di Marsala e della costa mer. e sett. (Sciacca, Maz- zara). Gli scarsi pescatori di Palermo, catturano granchi all’asciut.o, sul lido, sulle rocce emergenti dalle acque (Xarztko, Carcinus) senza alcun arnese da pesca; ovvero configgono un ferro foggiato ad uncino sul dorso di quelle di mole considerevole che appena sono sommersi dalle acque (Carcinus, Eriphia) in maniera da rovinarli assai. Altre specie vivente in acque basse, vengono pescate entro .il porto e gli specchi d’acqua adiacenti con piccole reti ad imbuto, tese all'apertura da un cerchio metallico raccomandato ad un bastone (c49pp0), ovvero il fondo viene dragato con piccole reti a strascico tese all'epertura da un semicerchio me- (1) Milne—Edwards A., Remarques sur la Faune carcinologique des terrains quaternai- - res (« l’ Institut » journ d. sc. et des soc. sav. en France p. 88) Parigi 1861. (2) Checchia-Rispoli G.. Sopra un Crostaceo dei tufi calcarei post.-pliocenici dei dintorni di Palermo. Estr. dal Boll. d. Soc. Geol. It., Vol. XXII (1913), Fasc. III. (3) Lo stesso. L’Atfelecyclus rotundatus Olivi fossile nel postpliocene dei dintorni di Pa-- lermo. Estr. dal Natur. Sic., Anno XVIII, N°. 4, 1905. i e de CONTRIBUTO ALLA CONOSCONZA DBLLA FAUNA CARCINOLOGICA SICILTANA 237 tallico attaccato ad nn Inngo palo, che recain basso al diametro del semicer- chio stesso nua specie di rastrello (2rgareddu). Con questi due mezzi si pescano di preferenza Maya, Pisa, Lupa, Portunus. | Al largo poi, da coppie di barche si usa nna grande rete a strascico che ginuge a profondità di 20-30 m. (gargamu) la quale raccoglie la maggior parte delle specie menzionate in questo lavoro. Se però le zampe e le chele dei granchi catturati con le mani all’asciutto, o col cuoppo o coll’angameddu sof- frono assai; se il carapace di quelli presi con l’uncino è sempre danneggiato, non è perfetto neppure lo stato di conservazione di quelli pescati col garga- mu, perchè gli animali con gli arti impigliati nelle grosse maglie della rete, se ne autotomizzano. D'altra parte specie grosse e robuste, tirate alla superficie insieme con specie minute ed esili, non solo con l’azione meccanica passiva del loro peso dan- neggiano queste ultime, ma le prime, conservandosi vive per qualche ora do- po tratte dal proprio elemento, se non vengano subito isolate, battagliano tra loro ed assalgono le specie ininori. Per ragioni ovvie a comprendersi, non sempre si può esser presente alle pescate e d’altronde non sempre può capitare la fortuna di pescare tutte le specie direttamente: spesso accade, allo sbarco dei pescatori, di passare in ras- segna la loro preda e trovare tra i granchi più comuni, proprio la specie in- teressante, ma rappresentata da un individuo solo e danneggiata in malo mo- do. Così molto materiale da riferirsi ai genn. Latreillia, Stenorhyncus, Inachus che forse avrebbe condotto a buoni risultati, è stato abbandonato da me a ma- licuore, perchè ridotto ad nn insieme di arti staccati e di carapaci deformati. Altra volta nelle pescate alla superficie, capitano anche specie di rilevanti profondità, forme minute, strappate al loro ambiente da cause perturbatrici, e temporaneamente venute a cullarsi in seno alle zoocorrenti che non sono rare nel Golfo. Però, come ho già accennato, è sempre incidentale la cattura di specie di profondità, nè, per ora, mi è possibile, per mancanza di mezzi meccanici di navigazione e di pesca, dragare sistematicamente il Golfo, che forse meriterebbe la pena d’una attenta esplorazione. Noto che i genn. Pisa e Maja sono i più ricchi di sorprese per lo zoo- logo, perchè appaiono a tutta prima d’una grande uniformità e rivelano poi i più svariati caratteri. Infatti i tegumenti scabri, aculeati, verrucosi, sono ri- vestiti da una minuta e fittissima flora algologica, in maniera da non mostrar più forma e colore proprî, ma da somigiare a zolle erbose. Macerato per qualche tempo in acqua alcoolizzata questo rivestimento ve- getale, ed energicamente fregato con uno spazzolino, mi è stato possibile stu- 238 A. MISURI diare forme interessantissime. Anzi, mi occuperò di proposito in seguito del gen. Pisa, rappresentato a Palermo da 8 specie, nelle sue variazioni indivianali,. non tanto per creare nuove specie o sottospecie, quanto per dimostrare al contrario, sulla coesistenza di caratteri di dune o più specie sullo stesso indi- viduo, la serie ininterrotta di forme riferibili, secondo me, con criterio largo,. a due sole specie, notevolmente mutevoli. Da ultimo non starò a riferire 40 ovo tutta la bibliografia carcinologica, giacchè questa, molto dilingentemente, è stata riferita sino al 1868 dal Nardo (1). Nella memoria già citata del Magrì, esiste un altro elenco bibliografico: . egli avverte però di non avere avuto a disposizione gran copia di libri, il che non gli ha permesso di conoscere il lavoro del Nardo, in guisa da citare sol- tanto sei scritti, dei numerosissimi anteriori al 1868. Senza ripetere oziosamente i due elenchi bibliografici del Nardo e del Magrì, sulla scorta della Biblioteca dell’Istituto Zoologico anche essa non ric- chissima, ho compilato la bibliografia che riporto in fondo al presente Capi- tolo. Non ho creduto di seguire il metodo d’alcuni A. A. i quali, anche per le specie più comuni, s'indugiano spesso a descrivere ed a figurare l’insieme o particolari di animali che per qualche minuto carattere si discostino dalla for- ma tipica della specie alla quale appartengono. Differenze del fondo, delle. acque nelle quali abitano, dimorfismo sessuale, leggero polimorfismo sia che tratti di individui giovani, adulti, vecchi; prima, durante, dopo la muta; con arti, verruche, spine, appendici d’ogni maniera rigenerati una o più volte ov- vero integri; azione della melma, della sabbia, dello sfregamento sulle roccie, dei detriti organici precipitanti a fondo, della vegetazione che copre alcune specie, fanno vedere all’osservatore troppo zelante caratteri degni di rilievo - e di descrizione, quando altro non sono se non mere accidentalità individuali, spesso passeggiere, tanto che scompariranno alla prima muta, ed in relazione col modo di vivere dell’organismo. Altri s'industriano a trovare manchevolezze nelle sobrie e classiche diagnosi del Carus (2) e con la descrizione di tutto ciò che è sembrato superfluo al suddetto A. credono di aggiungere chiarezza al lucido linguaggio diagnostico di lui, mentre non fanno altro che campli-- care senza scopo la sistematica del gruppo, già abbastanza complessa, non. (1) Nardo G. D. Annotazioni ill. 54 sp. di Crost. ecc. Mem. d. Ist. d. Se. Lett. Arti. Vol.. XIV — P. Il — Venezia 1869. (2) Carus — Prodromus Fanuae mediterraneae. Stuttgart 1884. CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLA FAUNA CARCINOLOGIA SICILIANA 239 fosse altro che per far si che il loro elenco faunistico possa considerarsi un « 0atalogo ragionato » come direbbe un naturalista della vecchia senola. Quanto ai nomi volgari delle singole specie, noto che è quasi sempre dop- pia, quasi che anche i marinai abbiano, senza saperlo, adottata la nomenclatura tassonomica binomia es. Grarciu zanghinu. Granciu (pron. quasi ranciu) sembra un nome generico comune a quasi tutti i Brachiuri; il nome che segue, (il quale può essere dato da una sola parola o da una locuzione es. Grancin ta- rantola di funnu) come quello specifico in zoologia, serve a distinguere la specie. Il Magrì ha potuto dare perla carcinofauna catanese l’elenco completo dei nomi volgari corrispondente a tutte le specie da lui illustrate: forse a Catania sarà più sviluppato il senso d’osservazione nei marinai, che avranno così impa- rato a conoscere praticamente una specie dall’altra. E certo tanto più e meglio sono rappresentati un’arte, un mestiere, tanto più sono specializzate: ad esempio tra il numeroso ceto peschereccio di Napoli che fornì alla Stazione Zoologica i più provetti marinai, il Lo Bianco (1) potè raccogliere nel pittoresco loro dialetto i nomi di tutte o quasi tutte le specie della ricchissima fauna partenopea. Qui, per la ragione anzidetta, della scarsità dei pescatori di mestiere, la terminologia non è completa, ed ove non esiste il nome specifico, basta ai marinai palermitani il nome generico di Grarciz, e per lo scarso senso d’os- servazione loro, lo stesso nome serve ad indicare talvolta due o più specie lontane sistematicamente, non solo, ma anche coi caratteri esterni non para- gonabili sia pure in modo grossolano. Ad esempio Grarciu tarantula è tanto Homola come Ilia: soltanto la prima è indicata come varietà coll’aggiunto di furzu, e la seconda ha un sinonimo: _parrinu. Granciu zanghinu significa Herbstia, Pisa, Lissa, e così via, come risulta dall’unito elenco, mentre un osservatore un po’ meno superficiale anche. non zoologo non le confonderebbe. Ò Nè lo stesso nome è generalmente accettato e conosciuto da tutti i pesca- tori di granchi; mentre alcuni chiamano //ia col nome di Grarciv tarantula ed altri con quello di parrinu (prete), altri ancora non le danno alcun nome, nem- meno quello di Grazciz. In genere mancano di qualsiasi nome le specie non commestibili e quindi d’importanza pratica negativa, quali Porce/lana, Latreillia, Stenorhynchus, Inachus, Acanthonyx, Pirimela. Nautilograpsus, per vivere attaccato a corpi sommersi vivi o morti (11- barcazioni, testuggini) non è ben conosciuto ed anch’esso non ha nome. (1) Lo Bianco S. Notizie biologiche rig. spec. il per. di mat. sess. ecc. Mitth. Z. Stat. Na- poli. Vol. 8, 1888—id, (2* ediz.) ibid. Vol. 13, 1899- id. (8° ediz.) ibid. Vol. 19, 1910. Lo stesso — Metodi usati nella Staz. Zool. p. la conservaz. ecc. ibid. Vol. 9, 1390. ag en" ua Sec. XVIII | \ Sec, XIX \ luz, Va 1, tI —_ LA vw " % - PETI PEy Ta ag , Ade illa A a aci on RE RE ITI IEOE AA Bai) » Phuùi Ù pagnotta n a f A. MISURI 3 i Bibliografia ieri iero Ramph - D’Amboinische Rariteit - Kamer Linné - Mus. Ludovici Ulrici Pallas - Spicilegia Zoologica Pennant - Brit. Zool. vol. IV Fabricîus - Species Insect. eo de Re daga iz Lamark - Syst. des Anim.-sans Vert. Bosc. - Hist. Nat. Crust. i Leach. - Zool Miscell. vol, 1I ; Leach - Trans. Linn. Soc. London - vol. XI Leach - Malac. Podopht. Brit. London Montagu - Trans. Linn. Soc. London vol. IX Risso - Hist. Nat. des Crust. des env. de Nice - Paris Latreille - Fam. Nat. du Règne Anim. Desmarest - Consid. gen. sur les Crust. etc. Paris Risso - Hist. Nat. de l’Europe meridionale vol. 5 Roux - Crust. de la Mèdit. Guérin - Ménéville - Mém. Mus. Hist. Nat. Paris Otto - Nova acta Acad. Caes. Leop. Carol. Latreille - Crust. in Cuv. Régue Anim. vol. IV Gray - Zool. Miscell. Cocco - Effem. Scient. Letter. per la Sicilia Prestandrea - Giorn. d. Sc. etc. per la Sicilia Milne - Edwards. Hist. Nat. Crust. Atlas in Cuv .Règne Anim. Lucas - Ann. Soc. Ent. de France ser. I. vol. VIII White - List Crust. Brit. Mus. Lucas. Anim. articulèes in Explor. Sci. de l’Algerie Gibbes - Proc. Amer. Assoc. Adv. Sci. Hope - Cat. d. Crost. ital. etc. Dana - U. S. Expl. Exped. vol. XIII - Crust. British. Crustacea Simpson - Proc. Acad. Nat. Sci. Philad. Sanssure De - Rev. et Mag. Zool. ser 2., vol. IX + Sanssure De - Mém. Soc. Phys. d. Genève vol. XIV CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLA FAUNA CARCINOLOGICA SIGILIANA 241 1858 - Sanssure De - Mem. Soc. Phys. d. Genéve vol. XIV 1860 - Stimpson - Aun. Lyc. Nat. Hist. New Jork vol. VII 1863 - Heller - Crust. des siidlichen Earopa 1865 - Milne Edwards - Ann. Scc. Ent. de France ser. 4. vol. V 1868 - Heller-Reise|]- Ost. Freg. Novara Zool. Theil. Il Band- INI Abth. (Crustaceen) Wien. 1872 - Milne-Edwards - Nouv. Archiv. Mus.Hist. Nat. vol. VIII 1877 - Stalto-Cat. Met. e Descr. d. Crost. d. Adriatico. Att. Ist. VeneSAtA Sere VE SII] 1877 - Kossmann-Malac. in Zool. Ergebn. einer Reise Kiistengeb. d. rothen Meeres (erste Hàilfte) 1877 - Targioni - Tozzetti - Costacei del viaggio della ‘“Ma- genta,, i 1878 - Hilgendorf - Monatsber. d. k. Akad. d. Wiss - Berlin 1878 - Milne Edwards - Etudes surles Crust. Podopht.in Miss. Sci. an Mexigue etc. i 1379 - Miers - Ann. and. Mag, Nat. Ist. ser. 5. vol. XIX a 1879 - Miers - Iourn. Linn. Soc. Lond. ( Zool. ) vol: XIV 1880 - Brandt-Bull. Acad. Sci. Petersb. vol. XXVI. 1881 - Studer - Verzeich. wihr d. Reise « Gazelle » ges. Cru- staceeu - Abhandl - K. Akad. Wissensch. Berlin. 1881 - Milne Edwards - Comptes rendus. vo'. XCIII 1881 - Man (de) - Notes Leyden Mns. vol. III 1882 - Milne Edvards - Rapport su la Fanne sous - marine d. les grand. prof. de la Medit. etc.in Arch. Miss. Sc. et Lite ser. 3. - vol. IX 1882 - Hock - Niederlind. Archiv. f. Zool. Suppl. Bd. 1 1882 - Milne - Edwards - Ann. et Mag. Nat. Hist.. ser 5 vol. IX - “ Travatlienr ,, pl. ined. | 1884 - Miers - Crust. in Report on Zool. Coll. “ Alert,, 1886 - Miers - Voyage of. H. M. S.“ Challenger ,, (Brachyura) Part. XLIX. 1900 - Riggio - Contributo alla Carcinol. d.Medit. 1% Nota (.Sw70) Monitore Zool. It. A. XI. | 1905 - Riggio - Id. Id. per esteso Nat. Sicil. A. XV/Z n 1909 - Paolucci - I Podott. dec. d. med. Adr. ital— Riv. mens. di; pesca idrobiol. A. XI. N.B.In appendice alla Bibliografia del Sec. XIX - va citato: Savigny - Syst. de div. cl. d’anim. sans vert. T. 1. p. III. (Crust. de l’Egypte et de la Syrie par V. Audonin.) nell’opera manca la data. A. MISURI Gu + GI mppes o nppe nurzied o e[nyueaeg noizIigd o e]upueaey uppes uUUNj IP e|uquereq ununz IP e|nyueIeg coen Ip MIOUVIO | nIOUBIO) MIUR) niauBIg) MQUBIL) MIOURIIO) MIO) NIQUVZIO) NIQURIY) mMougIo) UMIOURIL) nIOUVIO NIOUBIL) UIDURIO) MIOURIL) XxM0% SNOIOVIO]) SNTOVU]T ‘qoeer snatgoogde] suon] ‘1Q@.] 0141098 suqoeu] BAPH ‘N s1I9s0113U0] SUqIUATIOUIS MPA ‘IN sugdoadoe snon‘Aq10usgs BAPH ‘WNW marSne]eyd suqonAgIonegg ‘Iqi egepuuead edde]eg OSSIY eso|usna Vil] Toger] suajona ei] osog @jeue] eddiro(] xMOY ILIOIAN) C[OMoH over] suolpiurds e|omoH xNoW SUESO]o V1][I®17er] *MPH "HW SIIRS[nA eImol(] ‘Mer sojoqoAye]d eue][oo1oq ‘9]0A QUION ‘jUa108 @UION] I "p.0,p N IUSIT guomaInp ‘e ‘nggoddeo nioneae VAI9,p ‘e ‘ene[pioand niouvae RIGUI Ip e|upueaeg xN0q] SUOIOWIOT]Y SOTOVUT | Z} TI GUI Ip ejuqueaeg *Toeor] ruga sugoeu] | II LIEUI Ip V]uquBaBg ‘1qedg ordioos sngogu] | CI 'MPUH 11280 Ip è[uyuerse) | ‘FrumiSue]ed sngonAgo10ueIg | 6 vusuIsto nionVIR ‘Iqeg ejepuuead edde]eg | 8 eppionu niouede ossIg esojnsnI ez | £ eppiona nrougie MOST sno ONE LTA RO, LIB UI Ip e[uquBeaeg osog eqeue] eddrio(g | S TIC IP e|uqueIey | xnoYy ILorang ejowrozg | 7 LIU Ip ejujuvav] qore] suoazinids ejomogg | 8 "MP ‘I suespua eimorg | € “mer sojegoXge]d eue[joorog | I (PI0,;P *S]oA O010N ‘109108 UO N] "N Se euepiuuajed ej a asauezeo EDIfOJOwI9IEI CUNEey EJ Eu} O LNOM>MHUNOI 243 CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLA FAUNA CARCINOLOGICA SICILIANA tTeuunj Togo] vISGIIMO ESSI] Tqoeer] viodse omouAin ‘MPH ‘TN CUI][e100 esId Toeer] % UOpow1gor BSIiq Tqoger] sedipou esIid. 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MISURI CRUSTACEA DECAPODA 2% Tribus BRACHYURA Latr. 1* Legio NOTOPODA Latr. 1% Fam. PoRcELLANIDA (Dana) CIs. Gen. Porcellana Lam. (incl. Pisidia Leach). 1. Porcellana platycheles Lam. Sin. Cancer platycheles Penn. Nome volg. Granciu? Specie mai citata per Palermo: trovata dal Magrì nel compartimento marittimo di Catania. È rara, a quanto mi viene riferito. Non appare sul mercato non avendo valore alimentare: io non potei procurarmene alcun esemplare, solo ne esistono alquanti, piuttosto malandati, nella collezione generale di questo Museo. Abita i fondi melmosi a poca profondità: trovasi talvolta nelle pescate d’altri granchi. 5° Fam. Dromuipa (Dana) Cls. Gen. Dromia Fabr. 2. Dromia vulgaris M. Edw. Sin. Dromia Rumphii Bose nec. Fabr. Latr. Desm. Dr. communis Luc. Cancer dromia Lin. Rumpkh. Nome volg. Graniu di naca Specie già citata per la Sicilia (Mus. Vindobon.) e per Palermo (Neumam) recentemente rinvenuta a Catania dal Magrì. Esisteva già nella collezione generale di questo Museo e fn anche abbon- dantemente raccolta da me, essendo specie assai ovvia e comune sul mercato. Abita nei bassi fondi melmosi. Riferiscono gli A. A. che glindividui qgio- vani sono spesso rivestiti dalla spugna Suderites domuncula, ma spesso mi è occorso di trovare individui adulti e di mole considerevole egualmente rico perti dal porifero in parola. È specie comune ed edule: gl’'individui ad essa appartenenti presentano la maggiore uniformità di forme e di colorito, senza divergenze di sorta nè- d’età nè di sesso. Gen. Zatrerllia Roux 3. Latreillia elegans Roux Nome volg. Granciu? Lodi esse CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLA FAUNA CARCINOLOGICA SICILIANA 247 Specie citata per la Sicilia (Grohmann) e per Palermo (Grube). Già esisteva un discreto numero di esemplari nella collezione generale del Museo Zoologico; è alquanto rara, tuttavia ne rinvenni vari individui tra le pe- \scate di altre specie. Non è edule. Vive al largo in acque profonde. È specie minuta dagli arti esilissimi quasi sempre maltrattati, sia per i mezzi di pesca alquanta primitivi che si usano, sia per il rude contatto di altre specie di mole maggiore. Non è citata dal Magrì per le acque di Catania. Gen. HomoLa Leach (TELXIOPE Raf.) 4. Homola spinifrons Leach. Sin H. spinifrons Desm. Latr. Cancer barbatus Hbst. Dorippe spinifrons Lamk. Hippocarcinus Aldr. Telxiopes palpigera Raf. Nome volo. Grancin tarantula di funnu. Specie mai citata per la Sicilia, nè per Palermo, prima dell’elenco del Magrì che la rinvenne a Catania, e del Riggio (Messina). Esisteva già nella Collezione generale del Museo Zoologico: anch'io ne tro- vai qualche raro esemplare. Il Magrì la dice abbondante a Catania. Vi è la massima fissità di caratteri nei varî individui anche di diversa provenienza. Vive a considerevoli profondità. E mangereccia. 5. Homola Cnvterit Roux Sin. H. Cuvieri Desm. Latr. Dorippe Cuvieri Risso. Nome volg. Grancin taraninla di fannu? Specie esclusivamente mediterranea, citata per la Sicilia (Costa) e per Catania (Magrì). Mi consta esser rarissima, nè io potei mai procurarmene alcun esemplare. Uno solo ne esiste, preparato a secco, nella collezione generale del Mnseo Zoologico. Vive in acque poco profonde: è edule. Raggiunge dimensioni considerevolissime, superiori a quelle dei più grossi individui del gen. Maya. eri RE Reali 20 da RE ANTO ace PAT DAR A. MISURI 4% Fam. DorIPpPIDA Dana. Gen. DorIpPE Fabr. 6. Dorippe lanata Bosc. Sin. D. lanata Costa. D. facchino Risso. Cancer facchino Hbst. C. lanatus Lin. C. hirsutus Aldr. Fabr. Planco. Nome volg. Granciu gaddu. Specie esclusivamente mediterranea, citata soltanto per Catania dal Magri. Esisteva nella collezione generale del Museo Zoologico: a stonto potei pro- curarmene qualche esemplare, essendo rara, ed in ciò la fauna carcinologica pa- lermitana coincide con quella catanese per la quale il Magrì la dice scarsissima. Abita in acque poco profonde; è buona a mangiarsi. Viè la massima uni- formità nei rappresentanti della specie. 2* Legio OXYSTOMATA De Haan 1° Fam. LeUucoSsIIDAE Dana Gen. Ilia Leach (Leucosia Fabr.) 7. Ila nucleus Leach. Sin. Ilia laevigata Risso I. parvicanda Costa Cancer nucleus Lin., Hbst Araneus crastaceus Aldovr. Lencosia nuclens Fabr. Bosc. Pall. Risso. Desm. Cuv. Cancer macrochelos Rondel. Aldovr. Roux C. laevigatus Risso Nome volg. Grancin tarantula o parrinu. Specie esclusivamente mediterranea, mai citata per la Sicilia, prima dell'elenco carcinologico di Catania (Magrì). Era già rappresentata nella colleziona generale del Museo Zoologico. La rinvenni con discreta frequenza nelle pescate d’altri granchi, ma il contatto di questi e le reti grossolane, lasciano iutatto il solo carapace: gli arti sono quasi sempre danneggiati. Non è edule. Abita a poca profondità, ma sui fondi più svariati. Individui giallastri provengono dallo specchio d’acqua di S. Ninfa (fondo algoso di 3 m. di pro- fondità) individui giallo-rossicci, giallo-bruni sono proprì di Romagnolo (fondo fangoso di 5-6 m. di profonilità); individui decisamente bruni, bruno-violetti, CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLA FAUNA CARCINOLOGICA SICILIANA 249; grigio acciaio, abitano alla foce del finme Oreto (fondo fangoso di 30 m. di profondità). È specie molto costante per quel che rignarda le forme e le dimensioni, senza accentuato dimorfismo sessnale, però è varia quanto mai per le scolture grannliformi del carapace e per il colorito: Si hanno tegumenti del tutto lisci, ed altri appena granulosi ai margini anteriori, o posteriori, o laterali del torace e del primo articolo delle chele (1) e queste caratteristiche, combinandosi con quelle che offre il colorito, dànno una serie alquanto complicata di variazioni. Dalle forme a tegumenti lisci, attraverso quello un pò granulose, si passa alla specie seguente /. 7ugulosa Risso, senza soluzione di continuità. 8. Ilia rugulosa Risso Sin. ./. rugulosa Roux, M. Edw., Costa. Nome volg. Grancin tarantula o parrinu. Mediterranea come la precedente: trovata a Catania (Magrì) Vale tutto ciò che dissi a proposito della affine /. ruc/eus, della quale secondo l'opinione del Costa. sarebbe una semplice varietà. Il Carus tuttavia l’accetta come buona specie. 2. Fam. CALAPPIDAE Dana Gen. Calappa Fabr. 9. Calappa granulata Fabr. Sin. 0. granulata Latr. Risso, Ronx, Desm., Cuv. Cancer granulatus Lin., Hbst. Cancer heraclerticus A/dr., Lam. Nome volg. Granciu addu o gaddu (2). Specie esclusivamente mediterranea, già citata per Messina (Haller) e per Catania (Grube, Magrì). Già fu raccolta nella collezione di questo Museo Zoologico. Io ne trovai rari e piccoli esemplari in estate: più frequenti in inverno, ma non coll’ab- bondanza riscontrata dal Magrì a Catania. (1) nonchè spine più o meno pronunciate nelle regioni intestinale e branchiale. (2) Il secondo nome volgare. costituisce un sinomino di quello dato a Dorippe lanata. Ho raccolto dalla viva voce dei pescatori le due denominazioni, che sono entrambe giustificate dall’aspetto dell'animale. Grancin addu (granchio alto) per la considerevole dimensione dorso — ventrale del carapace assai convesso: yranciz gaddu (o granchio gallo) non solo per le den- tellature dei bordi later. posteriori del carapace, ma anche per le chele che sembrano abba- stanza fedelmente riprodurre due teste di gallo. L’osservazione dei pescatori coincide con quella dei sistematici che hanno istituito una G. gallus Hbst. AIMEE STEMI PRTE NRE VUROOTOI CRAC OLI OCRA RCA IF A FI 250 bare A A A. MISURI E commestibile. Vive a discrete profondità; alquanto frequente alla foce del finme Oreto (fondo fangoso di 30 m.) E specie assai fissa: le areole rosse che appaiono disseminate nel fondo giallastro dei tegnmenti, possono essere più o meno accentuate. Sin. 3® Legio Oxyrhyncha Latr. (Majoidea Dana) 1% Tribus MAJINAE Miers ( Dana, INACHOIDIENS A.M.Edw.) 1% Fam. INACHIDAE Miers 1% Snubfam. LEPTOPODINAE Miers ( MacRopPoDbIENS A. M. Edw. LEPTOPODI- DAE Dana p. Stps.) Gen. Stenorhynchus Lamk. (Cancer L. Inachus Fabr., Maia Bosc, Macropus Latr. Macropodia Leach) 10. Sterorhynchus plalangium M. Edw. Canc: plalanginm Penn. Fabr. Macropodia plalangium Leach. Desm. St. inermis Heller Inachus plulangium Fabr. Nome volg. Granciu? Specie citata per Catania (Magrì) Non mi fu dato trovare esemplari di questa nè delle seguenti due specie dello stesso genere: dovrei pertanto studiare quelli conservati iu alcool deila collezione generale del Museo Zoologico. Da notizie raccolte qua e là, ho po- tuto desumere che le tre specie si pescano periodicamente insiome con altri granchi. Nessuna ha valore commerciale, non essendo edali. Abitano al largo alla profondità di varie ceutinaia di metri. Ciascuna specie non solo si distingue dalle altre congeneri per caratteri minuti, ma esistono forme di passaggio tra l’nua e l’altra. 11. Stenorhynchns aegyptius M. Edw. Sin. Stenorhynchus plalangium Aud. Sin. Nome volg. Grancin? Specie mai citata per l’Italia: esclusivamente mediterranea. 12. Sfenorhynchus longirostris M. Edw. Macropodia longirostris et arachnides Risso MU. tennirostris Leach. Desm. Costa St. tenuirostris Bell. Nome volg. Granciu? Specie già citata per la Sicilia (Mus. Vindobon.) e per Palermo (Philippi). CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLA FAUNA CARCICOLOGICA SICILIANA 251 2° Sulfam.InAcHINAE Miers (MacroPoprens A.M.Edw EuRYPODIDAR Stips.) Gen. Inachus Fahr. (Macropus Latr. Maia Boss.) 15. Inachus scorpio Fabr. Sin. /. scorpio Penn. Cuv. Desm. Macropus scorpio Latr. Cancer dorsettensis Penn. C. scorpio Lin. Fab. I. dorsettensis Leach. I. mauritanicus Luc. I. communissimas Rizza. None volgare Grancin? Specie già rinvenuta in sicilia (Grohmann). alla Trezza, Siracusa (Rizza). Catania (Rizza, Magri) a Palermo (Targioni-Tozzetti). Esisteva già nella collezione generale del Museo Zologico: è raro assai, come ha pure osservato a Catania il Magrì, il quale però lo dice commestibile, mentre a Palermo viene del tutto trascurato. Abita a varie centinaia di m. di profondità. Questa e le specie seguente congeneri, come osservai per il genere affine Stenorhynchus, scao differenziabili per minute caratteristiche ora accentuate, ora obliterate, sì che dall’una all’altra esistono forme intermedie. 14. Inachus leptochirus Leach. Sin. /. leptorhynchus M. Edw. I. affinis Rizza. ; Nome volg. Grancin? Specie raccolta a Catania dal Magrì. Esisteva già nella collezione generale del Museo Zoologico. Per tutte le altre notizie v. il precedente /. scorpio 15. Zrachus thoracicus Roux Sin. /. Cocco Rizza. Nome volg. Granciu? Specie esclusivamente mediterranea, citata per la Sicilia (Mus. Vindob). per Palermo (Targioni-Tozzetti) e per Catania (Magrì). Esisteva già nella collezione generale del Museo Zoologico. Per tutte le altre notizie v. il preced. /. scorpzo 16. Irachus dorygnchus Leach Nome volg. Granciu ? Specie gia citata per la Sicilia (Grohmann), ma non per Palerno. 252 A. MISURI Già esistente nella collezione generale Museo Zoologico. È più frequente delle altre specie congeneri. Per tutte le altre notizie v.. il preced. /. scorpio. p. ACANTHONYCHIDAE Stps). Gen. ACANTXONYXx Latr. 17. Acanthonyx lunulatus Latr. Sin. Maja postea Libinia lunata Risso A. viridis Costa Libinia lIunulata Desm. A. lunulata Cuv, Nome volg. Grarciu? Specie esclusivamente mediterranea, citata per la Sicilia (Haller, Neu- mann) per Palermo (Targioni-Tozzetti) e per Catania (Magri). Era già conservata nella Collezione generale del Museo Zoologico; io ne trovai in grande abbondanza, d’ estate, mentre asserisce il Magrì trovarsi a Catania, scarso e d’inverno. È al tutto trascurata non essendo edule: nelle pescate a piccola profon- dità, viene raccolto insieme con altri grauchi. Il colorito verde brillante si riscontra negl’individui che vivono su fondo ricoperto da ZV/va lactuca; quelli provenienti da fondo sabbioso o fangoso, sono giallastri o giallo-bruni. Esistono due forme di questa specie che non sono state sino ad ora poste nel dovuto rilievo: una cioè dal corpo tozzo, l’altra dal corpo allungato. Pro- pongo di chiamare brackiaspi gli animali della prima forma e macroaspi quelli della seconda. Tra i macroaspi ha trovato un solo individuo giovane dal colorito rosso mattone intenso e con gli aculei e coi margini del carapace biancastri. L'esem- plare proviene dal porto di Palermo e precisamente da un tratto di fondo. coperto da piccole praterie di r0d4.ficee. Forse l’animale ha assunto una colo- razione siupaticaintonandola con quella dell’ambiente? Forse si è cibato delle alghe il cui pigmento ha impregnato i tessuti del suo corpo? Nell’un caso o nell’altro il carattere cromatico è temporaneo ed indivi- duale ovvero è duraturo ed ereditario ? i A tutte queste domande non posso rispondere per aver trovato uu solo individuo che è morto poco dopo la cattura. Se fosse vissuto, cambiandogli ambiente, avrei tentato di risolvere alineno il primo di questi quesiti: invece, 3* Subfam. ACANTHONYCHINAE Miers (MAIENS PHANEROPHTALMES M. Edw.. Le CONTRIBUTO ALLA CONOSCEBZA DELLA FAUNA CARCINOLOGICA SICILTANA 255 la conservazione in alcool distruggerà tra breve ogni traccia di pigmentazione. Dato che fortunatamente si potessero in seguito trovare altri esemplari che presentassero questa pigmentazione e si potesse documentare la sua ere- ditarietà, sarebbe opportuno farne, non dico una specie, ma almeno una var. ruber o rubescens di A. lunulatus Latr.? È vero l’assorto linneano che color non facit species, ma è pur vero che il color verde è stato considerato come buon carattere specifico (A. vir/dis Costa) e forse non sarebbe esagerato distinguere sistematicamente questa da A. lunulatus. Segnalo danque all’attenzione degli studiosi questo caso, a mio credere, assai interessante. 2. Fam. Mayipa& Miers Subfam. MAJINAE Miers (MatENS CRYPTOPHTHALMES M. Edw. p.) Gen. Herbs:ia M. Edw. (Canc.r Hbst. Inachus Fabr. Maja Latr. Mitheax Risso.) 18. Herbstia condyliata M. Bdw. Sin. Mitrax Herbstir Risso). MU. scaber Costa. Nome volg. Granciu za. chinu. Specie esclusivamente mediterranea, rinvenuta a Catania (Magrì). Ne esistevano già alcuni esemplari nella collezione generale del Mu- seo Zoologico: qualche altro ne raccolsi io. È scarso come per la carcinofau- na catanese. È commestibile. Vive alla profondità di alcune centinaia di metri e viene pescato insieme con le Maja e con le Pisa, anzi, con queste ultime viene spesso confusa dai pescatori. d Gen. Maja Lamk. (Cancer L. Inachus Fab.) î 19. Maja squinado Latr. Sin. M. squinado, Costa. Caucer Squinado Hbst. C. spinosus Olivi. Inachus cornutus Fabr. M. crispata Risso. C. Maja Lin. Scopoli, Leach, Desm. Nome volg. Grancun fuduni. Specie non citata fino ad ora per la Sicilia eccettochè per Catania (Magrì). Verano già alcuni grandi esemplari conservati a secco nella collezione generale del Museo Zoologico, ma essendo comune e largamente commestibile, mi fn facile trovarne in abbondanza in ogni stagione. 254 A. MISURI Abita in acque poco profonde su fondo sabbioso o roccioso ed iu questo ultimo caso, non bastando a simulare l’aspetto dell'ambiente il colorito e le asperità del tegumento, è pure rivestita di una minuta flora algologica, tanto che la determinazione specifica non può esser fatta agevolmente senza prima avere asportato con cura l’invoglio vegetale. È la più grande di mole tra le congeneri. 20. Maja verrucosa M. Edw. Nome volg. Grarcu fuduni. Specie esclusivamente mediterranea rinvennta, in Sicilia, solo a Catania (Magrì). Già era conservata nella collezione generale del Museo Zoologico: è co- munissima in tutto il Golfo e trovasi entro il porto stesso di Palermo, a poca. profondità. Per tutte le altre notizie v. la preced. /a/4 squinado. 21. Maja ambigua Nome volg. Granciu fuduni, Granciu russu. Specie esclusivamente mediterranea, citata solo dal Costa per l'Isola di Capri. A Palermo è tuttavia comunissima e viene distinta dalle altre due specie congeneri anche dai pescatori che, oltre al nome di Granciz fuduni, comune alle altre, le dànno anche quello di Grarzciu russu (v. Portunus), e ciò non solo per la sua mole assai piccola tra le affini gigantesche, ma anche perchè, non coprendosi di alghe, mostra nudi i proprì tegumenti giallo-rossastri. Il Carus la registra dubitativamente come buona specie: certo partecipa dei caratteri della M. squinado e della M. verrucosa insieme e li riproduce in più piccole proporzioni. Per tutte le altre notizie v. la preced. Maya squinado. Gen. Pisa Leach 22. Pisa Gibbsu Leach P. Gibbsti Desm. Cancer biaculeatus Mont. Pisa biaculeata Leach, Targ. Tozz. Nome volg. Grancmn z2unghinu Specie mai citata per la Sicilia nè per Palermo. Già esisteva nella Collezione generale del Museo Zoologico.. È alquanto rara e non è commestibile. Abita a piccole profondità sui fondi più svariati, coi quali intona i proprì colori e spesso si riveste d’una flora analoga a quella dell'ambiente. Il genere è ricco di specie, nessuna delle quali è molto nettamente distinta dalle altre ara PA nr dia Lic ar A VIIA DI DE SEGA SITR f VETTORE EE ERE 0 CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLA FAUNA CARCINOLOGICA SICILIANA 256 ed in verità che alcuni ammettono come buone specie, ma effettivamente tra l’una e l’altra forma tipica non esistono confini ben definiti, bensì una graduale serie di forme intermedie della più difficile collocazione sistematica. 23. Pisa armata Latr. Sin. [nachus musivus Otto Sin. Sin Maja nodipes Leach Maja rostrata Bosc P. nodipes Costa Nome volo. Grancin zanghinu. Specie già citata per la Sicilia (Mus. Vindobon,) non per Palermo. E abbastanza frequente in estate. Per tutte le altre notizie v. la preced. Pisa G0bbst. 24 Pisa mnodipes Leach. P. nodipes Desm. Aldr. Inachus mauswus Otto Pisa armata Roux et? Risso: sec. Al. Brandt. Nome volg. Grancin canghinu È specie assai rara: fu trovato solo a Catania (Magri). Per tutte le altre notizie v. la preced. Pisa Gibbsti. 25. Pisa tetraodon Leach. P. tetraodon Leach. Cancer praedo Hbst. Blastus tetraodon Leach, 3 Maya,, postea Inachus lurticornis Risso P. huticornis Targ. Tozz. C. telraodon Penn. Maja tetraodon Bose Nome volo. Granze 2anghinu. i Specie già citato per la Sicilia (Mus. Vindobon.) e, dubitativamente. per Catania (Magrì). E’ abbastanza frequente. Per tutte le altre notizie v. Ja preced. Pisa Gebbsn. 26. ? Pisa convexa (Phil. Mspt.) A. Brdt. Nome volg. Granciu zanghinu. Specie esclusivamente mediterranea, citata sino ad ora soltanto per Na- poli. Carus la registra dubbiosamente come specie. emettendo l’ipotesi che si tratti d’una varietà della P. fefraodon, e veramente lelievi divergenze tra l’una feti. a ni SERBE E LISCIO SESIA RE GROTI 256 A. MISURI e l’altra non possono costituire caratteri specifici. Nondimeno gliesemplari da me posseduti, che trovansi facilmente, rispondono alla diagnosi datane dal sud- detto A. ed io ve li attribnisco, conservando il nome preceduto da interrogativo. Per tutte le altre notizie, v. la preced. Pisa Gibbsti. 27. ? Pisa intermedia Nardo Nome volg. Grancin canghinu. c Specie esclusivamenve mediterranea mai citata per Palermv nè per la Sicilia. Dubbiosa come 7. convera. i Per tntte le altre notizie v. la preced. isa Grbbsit. 28. Pisa corallina M. Edw. Sin. Maja corallina Risso Inachns corallinus Risso postea i Nome volo. Grancin zanghinu. Specie esclusivamente mediterranea, già citata per la Sicilia (Mus. Vindobon.) per Messina (Targioni-Tozzetti). per Palermo (Targioni, Philippi) e per Catania (Magrì). Già esistente nella collezione generale del Museo Zoologico. Non :nolto, frequente. | Per tutte le altre notizie v. la preced. P. Grbbsti. 29. Pisa quadricornis (Phil. Mspt.) A. Bradt. Nome vole. Grancin zunghinu. Specie esclusivamente mediterranea trovata solo a Napoli dal Philippi Il Carus suppone, giustamente, che trattisi di una varietà di P. corallina. E° frequente la forma tipica, come altre forme con qualche carattere delle spacie congeneri. Per tutte le altre notizie v. la preced. . Grbbsu 5 Fam. PERICERIDAE Miers (Marens cryProPHTALMES M. Edw. p.) 1% Subfam. PERICERINAE Stps. Gen. Lissa Leach, (InAcHus Fabr., Pisa Latr.) 50. Lissa chiragra Leach. Sin. L. chiragra Desm. Cancer chiragra Hbst. Pet. Fab. Inachus chiragra Fab. Maja chiragra Bose. Latr. Nome volo. Grancin zanghinn. Infatti i pescatori lo confondono con le specie del gen. Pisu Specie esclusivamente mediterranea, citata per la Sicilia. (Mns. Vindobon.) e per Catania (Magri). i ni % Mo A An A ne apt Si i ES Li AM E E Lo Ihr i AIA n CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLA FAUNA CARCINOLOGICA SICILIANA 257 È assai rara: è commestibile. Abita a profondità di qualche centinaio di m. preferibilmente su fondo, roccioso. E° specie assai fissa. 2% Tribns PARTHENOPINEA Miers (Dana) 4% Fam. PARTHENOPIDAE Miers ( PARTHENOPIENS et CANCERIENS CRYPTO- PODES M. Kdw.) Subfam. PARTHENOPINAE Miers Gen. LamBRUS Leach (PARTHENOPE Fabr.) 31. Zambrus angqulifrons M. Edw. Sin. Parthenope angulifrons Latr. P. longimana Costa L. Montgrandis Roux juv. L. pumilus Costa. Nome volg. Granciu saffrizio Specie esclusivamente mediterranea, già citata per la Sicilia e per Paler- mo (M. Edw.) e per Catania (Magriì). È piuttosto rara. Si mangia. Abita alla più varia profondità e nell'ambiente più diverso, senza per questo variare di caratteri somatici. Ne ebbi esemplari provenienti dallo spec- chio d’acqua di S. Ninfa (fondo algoso dei 5-4 m.) da Romagnolo (foudo fan- goso 6-7 m.) dalla foce del fiume Oreto (fondo fangoso 30 m. di prof.) 32. Lambrus mediterraneus Roux Sin. Zarynome Al!rovandi Risso, Hbst, Seba. Parthenope mediterranea Costa. z P. Humbertii Cantr. Nome volg. Granciu suffrizio Specie già citata per la Sicilia (Haller) ma non per Palermo. 3 Già esisieva nella Collezione generale del Museo Zoologico: ne raccolsi po- chi esemplari, essendo specie rarissima. Per tutte le altre notizie v. il preced. L. angulifrons 4% Legio. CYCLOMETOPA M. Edw. (CANCROIDEA Dana) 1% Fam. CANCRIDAE Dana. 1% Subfam. CANCRINAE Dana. 38. Gen. Pirimela Leach. 33. Pirimela denticulata Leach. od Edimb. Encycl. VII. 391. Malac. Pod. Brit. Lon- don. 1815. Tab. III figg. 1-6. Sin P. denticulata Desm. Costa VE E I PIPE RE RO CMS MON 258 A. MISURI Qaucer denticulatus Mont. Trans. Linn Soc. IX-87. Tab. II fig. 2 Nome volg. Grarzciu? Mai citata per la Sicilia nè per Palermo. Specie rarissima. Ne ho trovati due esemplari soltanto provenienti da Romagnolo (fondo fangoso 5-6 m.) E commestibile. Viene confusa dai pescatori con alcune specie del gen. Portunus. 2. Subfam. XANTHINAE Dana Gen. Xantho Leach 34. Xantho rivulosa Risso Sin. Cancer cinereus (Bosc) Guèrin Xantho florida var. 8 Leach Xantho zonata Costa Nome vole. Granciu di ferru Specie già citata. per Palermo (Neamann-Targ.-Tozz.) e per Messina (Targ.-Tozz.) i i Esisteva nella collezione generale del Museo Zoologico. Trovasi abbastanza frequentemente in acque poco profonde ed anche sulla riva stessa, tra la ghiaia e gli scogli appena lambiti dal mare. 0, È commestibile. Deve il suo nome volgare alla durezza del suo carapace liscio ed al colorito bruno di molti individni, come a quello grigio d’ acciaio, grigio violetto delle chele di questa specie e delle congeneri. Però il colorito può anche variar molto, dal giallo aranciato con chiazze e puuti rossastri, al giallo-verde, al bruno, al violetto. Le differenze specifiche sono lievi ma costanti in guisa da dare buoni caratteri di fissità alle specie 35. Xantho florida Leach. Sine. Cancer poressa Olivi, Risso, Leach, Desm., Latr. X. poressa Costa. » X. incisa Leach. Nome volo. Grancin id ferru Specie già citata per Palermo (Targioni - Tozzetti). Esisteva sulla collezione del Museo Zoologico. Ne pescai varì individui, con minor frequenza di quelli della specie precedente. Per tutte le altre notizie v. il preced. X. rivulosa. 36. Xantho teberculata Bell. Nome volg. Granciu di ferru. Specie mai citata per Palermo nè per la Sicilia. Si pesca di frequente insieme con X. rzivulosa. Per tutte le altre notizie, v. il preced. X. rivulosa. CONTRIBUTI) ALLA CONOSCENZA DELLA FAUNA CARCINOLOGIGA SICILIANA 259 2% Fam. ERIPHIDAE Dana Gen. Pilumnus Leach (Cancer L.) 37. Pilumnus hirtellus Leach Nome volo. Grancin pilusa. Specie già citata per Palermo (Neumann, Targ. Tozz.) e per Catania (Magri) Esisteva nella collezione generale del Museo Zologico: quantunque non sia -«comunissimo, potei averne individui viventi che abitano qua e là pel Golfo in acque basse o sul litorale roccioso appena lambito dalle onde, e dentro il porto stesso di Palermo. È edule. 53. Pilumnus spinifer M. Edw. Sin. Cancer villosus Sav. Nome volg. Grarcin pilusu. Specie eclusivamente mediterranea già citata per la Sicilia e per Palermo :(Targ. Tozz.) È assai più raro delle altre specie congeneri. Per tutte le altre notizie v. il preced. P. /rr/ellus 39. Piumnus villosus Risso Sin. P. spinulosus Kessl. Nome volg. Granciu pilusu. Specie mai citata per Palermo nè per la Sicilia. Esisteva già nella collezione generale del Museo Zoologico. L'ho riscon- trato frequente nelle pescate poco profonde insieme con Xar/o, Porfunus. Per tutte le altre notizie v. il preced. P. Rhirtellus. Gen. Eriphia Latr. 40. Eriphia spinifrons Latr. Sin. £. spinifrons Fab. Latr. Hbst. Risso. Desm. Cancer pagurus Al\dr. Nome volg. Grancin pilusu. Specie citata per Catania (Magri). Esisteva nella collezione gsnerale del Museo Zoologico. Ne catturai dei «grossi esemplari a fior d’acqua el all’asciutto sulle scogliere, sulle banchine e sull’antemurale del Porto di Palermo. Da acque basse con fondo roccioso presso Romagnolo provengono gl’individui che si trovano sul mercato, ove son abbondanti e ricercati quasi quanto quelli del gen. Porunus. Il nome volgare di Grarciu pilusu è sinonimo per P/lumnas; e si deve ‘alle spine ed ai peli della parte anteriori del carapace: altrilo chiamano Granciz A 260 A. MISURI di ferru che è sinonimo per Xartho, del quale ricorda il colore grigio d’ac- ciaio e violetto. 3%. Fam. PORTUNIDAE Cis. 18. Subfam. PORTUNINAE (Dana) Cls. Gen. Lupa Latr (Neptunus De H. p.) a) 41. Lupa hastata M. Edw. Sin. ZL. (Portunus) Dufourit Latr. Neptunus hastatus A. M. Edw. ; Nome volg. Granciun gammi (o cuosci) lmonghi. Specie già citata per la Sicilia (Targ - Tozz.) e per Catania (Magrì) Esisteva già nella collezione generale del Museo Zoologico. Molti ne rac- colsi: magnifici esemplari quelli provenienti da Mondello. Abita in acque basse per tutto il Golfo. E’ commestibile. 1% Subfam. PORTUNINAE (Dana) Cls. b) Gen. Portunus Fabr. 42. Portunus depurator Leach Sin. Portunus holsatus Fabr. Cancer depurator Lin. Olivi, Hbst, Desm. Portunus lividus Leach Portunus plicatus Risso ? P.vernalis Risso Nome volg. Granciu biancu. i Specie citata per la Sicilia (Mus. Vindob.) e per Catania (Magri). È assai frequente in acque basse per tutto il Golfo e dentro il Porto e la Cala di Palermo. É il granchio commestibile per eccellenza insieme con i congeneri. Il gruppo generico, molto ben definito rispetto agli altri, ha le proprie suddivisioni specifiche facili diagnosticamente per la fissità di cia- scuna specie, ma basato su differenze minime. Il colore fondamentale è gial- lo-verdastro, grigio-verde, con variazioni locali. 45. Portnunus inberculatus Roux Sin. Portunus macroy ipus Prest. P. pustulatus Norm. Nome volg. Granciu biancu. Specie già citata per la Sicilia (Prest-andrea) ma non per Palermo. É rarissimo. Se ne conserva un solo esemplare nella collezione generale del Museo Zoologico. Non ho potuto raccogliere notizie a sno riguardo. CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLA FAUNA CARCINOLOGICA SICILIANA 261 44. Portanus corrugatus Leach. Sin. Cancer puber Lin. Pet. Portunus puber Fabr. Cancer corrugatus Penn. Hbst P. corrugatus Bosc, Desm., Costa Nome volg. Granciu russa Specie già citata per la Sicilia (Mus. Vindobon.) per Palermo o Messina (Targ-Tozz.) per Catania (Magrì). . E’ comunissimo ed assai pregiato. Ne pescai un individuo giovane subito dopo la muta ed uno che stava effetuandola ed ho potuto riscontrare che mentre il carapace preesistente è dnro e d’un bel rosso vivo o rosso bruno, il nuovo è biancastro: la pigmentazione dunque va manifestandosi dopo la muta. Per tutte le altre notizie v. il preced. P. depurator 45. Portunus pusillus Leach Nome volg. Granciu russu, Grancetteddu russu. Specie già citata per la Sicilia dal Roux che lo dice frequente, e per Ca- tania dal Magrì che asserisce trovarsi in tutte le stagioni, e per Messina (Riggio). È mangereccio. Si pesca insieme con P. corrugatus, al quale somiglia molto, eccezione fatta per le dimensioni. Io ho potuto raccoglierne a fatica e non tutti in buono stato, data l’imperfezione dei mezzi di pesca e la delica- tezza della specie, otto esemplari, ma mi propongo di continuare nelle ricerche onde averne un buon numero e poter farne accurati confronti, essendomi sorto in mente il dubbio che la specie possa identificare con stadî giovani di /. cor- rugalus o quanto meno ridurla ad una varietà del suddetto genere. Per tutte le altre notizie v. il preced. P. depurator. . 46. Porlunus arcuatus Leach Sin. P. fondeletii Risso. P. emarginatus Leach. Nome volg. Granciu russu. Specie citata per Catania (Magrì). Era abbondatemente rappresentato nella collezione generale del Museo Zoologico. Frequentissimo sul mercato. Si pesca ovunque nelle acque basse del golfo e negli ambienti più vari. É specie fissa abbastanza. Per tutte le altre notizie v. il preced. /?. depurator. 47. Portunus maculatns Risso Nome volg. Granciu russu | Specie mai citata per la Sicilia. ei dl A N nt 262. ; A. MISURI Ne ho rinvenuto un solo esemplare proveniente da Romagnolo. Non ho notizie in proposito. Gen. Bathyneetes Stimps. (Portunus Fabr. p.) 48. Bathynectes longipes A. M. Edw. Sin. Portunus longipes Risso. P. infractus Otto. P. Dalyelli Sp. B. Nome volg. Grarciu biancu. Specie già citata ger la Sicilia (Mus. Vindob.) É abbastanza raro. Si pesca al largo a rilevante profondità. Per tutte le altre notizie v. il preced. P. depurator 2% Subfam. PLATYONYOBINAE (Dana) Cls. ‘ Gen. GCarcinus Leach. i 49. Carcinus maenas Leach. Sin. Carcinus maenas Desm. Cancer maeras Lin. Fabr. Hbst. Latr. Risso. Portunus maenas Leach. Nome volg. Grancin d’aqua duci. Specie già citata per Catania (Magrì). Si trova abbastaza frequentemente alle più varie profondità, di preferenai su fondo algoso. È commestibile. Gen. Platyonychus De Haan (Portumnus Leach) 50. Platyonychus nasutus Latr. Sin. P. nasutus M. Edw. | Portunus biguttatus Risso. Nome volg. Grancetieddu d'acqua duci. Specie già citata per la Sicilia (Grohmann) e per Catania (Magri). È estremamente raro: ne pescai soltanto due individui, provenienti da ac- que basse lungo il Foro Italieo. È commestibile. 5° Legio CATOMETOPA M. Elw. (GRAPSOIDEA Latr.) 2% Fam. GonoPLacipba& M. Edw. Gen. Gonoplax Leach (Ocypoda Bosc.) DI. Gonoplax augulata Leac) Sin. Ocypoda angulata Bosc. Gonoplax bispinosa Leach. Nome volg, Granciun cuosci 0 gammi luonghi. Specie citata per la Sicilia (Mns. Vindubon.) RAP NRE SE È PTT A RM a Lace: deci CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLA FAUNA CARCINOLOGICA SICILIANA 263 Era già conservata nella collezione generale del Museo Zoologico. I pe- scatori lo confondono con Zupa hastata e lo chiamano con lo stesso nome di quella. ; Abita a notevoli profondità da ogni parte del Golfo. È scarso. Si mangia. 52. Gonoplax rhomboides Desm. Sin. G. rhomboides Latr. Bosc. Roux. Ocypoda rhomboides Bosc. O. longimana Latr. Risso. G. longimana Lam. Cuncer rhomboides Fabr. Hbst, Sulzers, Besler, Olivi, Latr. Nome volg. Grarciu cuoser o gammi luonghi. Specie già citata per la Sicilia (Mns. Vindobon.) e per Catania (Magri) Era già conservato nella collezione generale del Museo Zologico. È un pò meno raro del preced. G. argulata al quale rimando per le al- tre notizie. ; Gen. Brachynotus De Haan (Cleistostoma De H. p. Heterograpsus Luc). Sin. 53. Brachynotus sexdentatns Hgdlf. Gonoplax sexdentatus Risso Heterograpsus sexdentatus Luc. H. Lucasi M. Edw. Cleistostoma Gemellarit Rizza. Nome volg. Grancetieddu d’acqua duci. Specie citata per Catania (Magri). E’ frequente nelle pescate di Carcinus maenas, del quale condivide, insieme con P/atyonychus nasutus, il nome volgare. E'edule. Si trova in acque basse per tutto il Golfo. 4. Fam. GRAPSIDAE Dana 1. Subfam. GRAPSINAE Dana Gen. Pachygrapsus (Randall) Stimps. 54. Pachygrapsus marmoratus Stimps. Sin. Grapsus varius Latr. Leptograpsus marmoratus M. Edw. Nome volg. Grancetieddu di mari fui fui. Specie già citata per Palermo. (Neumann), per Messina (Targ. Tozz.) e per Catania (Targ. Tozz., Magrì). Esisteva nella collezione generale del Museo Zoologico. Potei trovarne due esemplari danneggiatissimi in una pescata di Lupa hasfata. È raro. È DE VERI pra a E AMIN URI mangereccio. ; Non ho notizie Sull’/abitat di questa e della specie seguente. 55. Pachygrapsus maurus Heller Sin Grapsus maurns Lnc. Leptograpsus maurus M. Edw. Nome volg. Grarcetiedda di mari fui Di Specie già citata per Catania (Magri). Esisteva nella Collezione del Museo Zoologico. Ne ho rinvenuto un sol esemplare tra le scogliere fuori l’antemurale del porto. Per tutte le altre notizie v. il preced. P. marmoratus. Gen. Nautilograpsus M. Edw. (Planes Leach Mscpt, Bell.) 56 Nantilograpsns minutus M. Edw. Sin. Grapsus minutns Latr. Gr. testudinnm Roux Gr. pelagicus Roux N. pelagicus H _M. Edw. Heller Gr. diris Costa SU N. diris M. Edw. Heller Nome volg. Grancin ? Specie mai citata per la Sicilia nè per Palermo. Esisteva nella collezione del Museo Zoologico. E’ raro. Vive sotto il carapace delle tartarughe marine. Fam. ERIPHIDAR Gen. Telphusa Sin. Zelphusa finviatilis Sav. T. flnviatilis Desm. Costa Cancer filnviatilis Rondel. Gesn. Aldr. Nome volo. Grancin di ciumi. Già esisteva nella collezione generale del Museo Zoologico. Abita nel finine Oreto. ae ri n RT Gi tri Ia 1. Nuove osservazioni sulla formazione pliocenica di Apricena (Capitanata) 2. Sul “Pecten rhegiensis,, Seguenza del Pliocene garganico PER G. CHECCHIA-RISPOLI In due mie brevi Note geologiche, pubblicate vari anni or sono, mi sono occupato della formazione pliocenica dei dintorni di Apricena ed ho accennato in via generale allo sviluppo del Pliocene nella regione garganica, il quale ivi si presenta con la facies calcarea, prevalentemente zoogena, comune a tutta la regione pugliese e detto perciò a /ipo appulo-garganico (1). Percorrendo l’estate scorso di nuovo quei luoghi per studiare l'estensione di taluni terreni cretacei in quella parte occidentale del promontorio del Gargano, ho potuto anche compiere alcune nuove osservazioni su quel Pliocene, che cedo utile pubblicare. Collegando tali osservazioni con i dati fornitici dai nu- merosi tagli artificiali, siamo ora in condizione di poter stabilire la intera co- stituzione della formazione pliocenica in quei lnoghi, la quale così risulta dal basso in alto: ; 1°— Calcare brecciato compatto, durissimo, dagli elementi varicolori, bene stratificato, ricco specialmente di coralli, piccoli brachiopodi e molluschi. Ta- le deposito, come lo attestano i frammenti che lo costituiscono, si è interamente formato a spese dei sottostanti calcari cretacei, sieno urgoniani, che turoniani. Il sio spessore è variabile e può anche sorpassare i cinque metri. Questa forma- zione s'incontra nella località detta San Giovanni in Piano presso la stazione (1) Checchia-Rispoli G.—I calcari di San Giovanni in Piano presso Apricena (Capitanata) {Boll. Soc. Geol. Ital, vol. XXIII), 1903. Id.— Contributo alla conoscenza del Pliocene della Ca- pitanata (L’Escursionista meridionale, anno I), Avellino 1905. 266 G. CHECCHIA-RISPOLI ferroviaria di Apricena; ma in seguito percorrendo quei luoghi, ed una volta insieme col mio amico M. Gignoux, la ho trovata pure nella località della /4 Murgetta presso la stazione di Poggio Imperiale, ove forma una specie di crosta, spessa oltre un metro, sopra i calcari nrgoniani. Il Gignonx paragona questi strati per la loro facies a quelli che presso Reggio a Monte Corvo costituiscono la base di quel Pliocene (1). 2°—Gli elementi della breccia rimpicciolendosi di molto ‘danno ori- gine ad una brecciolina calcarea, tenace, compatta, di color bianco-gialliccio, formata di nn impasto di piccoli organismi e di frammenti di più grandi. 1 fossili vi sono rarissimi e per lo più mal conservati. Questa brecciolina non sorpassa 1 metro di spessore. 5. Per passaggi graduali si arriva infine ad un calcare grossolano di color paglierino, iocalmente detto /2f0 ed adoperato coms buon materiale da costruzione, mentre la brecciolina, ora detta, è adoperata come pietra per trebbia. Tale calcare per lo più è resistente, ma talora passa ad un sabbione calcareo più o meno cemeutato. Questo terzo membro non sorpassa i dieci o dodici metri di spessore. Esso è sviluppatissimo nella regione detta 7ufara e ad Ingarano tra Apricena e Sau Nicandro Garganico. Ma si ritrova poi anche tra Apricena e Poggio Im- periale ed oltre sino alle pendici del Lago di Lesina. Gli strati del tufo sono disposti quasi orizzontalmente e poggiano o sulla breccia descritta al numero 1, o anche direttamente sui calcari urgoniani e tnronianvi, i quali sono debolmente ondulati, e formano delle conche basso ed ampie, come tra Apricena e San Nicandro (2). (1) Gignoux M.—LZes formations marines pliocènes et quaternaires de l'Italio du Sud et de la Sicile (Annales de l’Université de Lyon, Nouv.Sér. I, Sciences, Medecine, fasc. 36), 1913. (2) Nota. In questa parte del promoutorio garganico il Turoniano è poco sviluppato. Ess9 affiora in vari punti ad Est di Apricena nelle regioni Poggio Panuona ed Ingaravo. La b- calità fossilifera s' trova in nua proprietà del Sig. Ramieri a circa 500 m. a N. E. del Cimi- tero d’Apvicena. Due o tre piccole cave, oramai abbandonate e poco profonde, permettono di osservare gli spessi strati del calcare compatto, gialliccio, fossilifero, che pendono di pochi gradi {15° a 20°) a S.S.0. Il prof. Parona di Torino nel materiale raccolto dal dott. M. Ricciardelli e conservato nel Musco Geologico di Firenze ha determivato Duranza corna-pastoris, Boradio- lites colubrinus, Eoradiolites etr. liratus. Jo ho raccolto pure altro materiale, che spero in seguito di poter studiare. Gli strati del Turoniano, spessi al più una cinquantina di metri, poggiano alla loro volta sui calcari compatti bianchi e rosei dell’Urgoniano, che si sviluppano su tutto il versante del Gargano, che guarda il Tavoliere, mentre si spingono verso Ovest sino ai pressi della Stazione di Poggio Imperiale, affiorando per l’ultima volta nella località detta la Mur- ì { 4 3 «N di NUOVE OSSERVAZIONI SULLA FORMAZIONE PLIOCENICA DI APRICENA (CAPITANATA) ECC. 267 Verso Apricena il tufo calcare è ricoperto dalle formazioni quaternarie del Tavoliere (v. Sezione). SEZIONE TRA APRICENA E POGGIO DEI PERRONI Scala 1:50.000 P. Perroni m.509,. R® Ingarano : m. 200. R" Tufara Apricena Cimitero 1m300 1°) Calcari bianchi e rosei a piccole Pe- 3°) Tufi calcarei giallicci a Chlamys la- quienia e a Miliolidi (Urgoniano). tissima, Pecten Rhegiensis, ecc. (Pliocene). 2°) Calcari giallicci, ceroidi con Duraria 4°) Sabbia ed argille sabbiose a CHI. o- cona-pastoris, Eoradiolites colubrinusece. (Tu- percularis, C. varia, ecc. (Quaternario). roniano). Il tufo calcareo è molto fossilifero; avendovi raccolti altri fossili, credo bene di dare l’elenco completo delle specie, che finora si conoscono. kotalia Beccariv L., E. Partschiana d°Orb., Amphistegina mammillata dOrb.; Cladocora coespitosa L. sp.; Dorocidaris papillata Leske, Arbacina romana Mérian sp.; Myriozoum truncatum Pall., Hornera reteporacea Mil. Edw., Salicornia sinuosa Hassall, S. crassa Wood, /dmonea fenestrata Busk, /. triforis Heller, Bifustra delicatula Busk, Eschara sinuosa Br. sp.; Megerlia truncata L.; Ostrea coclear Poli, O. stentina Payr., Anomia ephippium L., Pecten Iacoboeus L., P. rhegiensis Segu., Chlamys latissima Br. sp., C. bollenensis Mayer sp., Ch. scabrella Lmk. sp., C. varia L. sp., C. apercularis L. sp., C. pes-felis L. sp., Amussium cristatum Br. sp.; Dentalinm dentale L., Scalaria (Sthenoryglis) globosa de Boury; Balanus concavus Bronn; Carcharodon Kondeleti Mill. et Henle, Odontaspis cuspidata Ag., Oxyrina hastalis Ag., O. Spallanzani Bon., Chrysophrys aurata L. sp.; vertebre di Cetacea. glietta. Tale affioramento urgoniano è il limite estremo occidentale della zolla calcarea gar- ganica. Nelle spaccature verticali dei calcari urgoniani si osserva un deposito argilloso rossastro, che contiene una quantità rilevante di ossicini e di denti di piccoli mammiferi, per lo più roditori. In taluni punti tale è l’abbondanza di questi resti ossei da risultarne una vera brec- cetta ossifera. Questo deposito. che appartiene al Quaternario, merita uno studio speciale, anche perchè è l’unico che finora si conosca in tutta la Capitanata. 268 G. CHECCHIA-RI POLI II In un grosso blocco di tufo calcareo, molto tenero e perciò poco adatto per costruzione, abbandonato in una cava della Regione Tufara, presso Apri- cena, fra i tanti pettinidi che facilmente ho raccolto, ho potuto anche distin- guere numerosi esemplari di un altro Pecfer, che finora non era stato ancora indicato in quella formazione pliocenica,i quali vanno riferiti al Pecten Rhegiensis Seguenza. Poichè si tratta di un forma che fino a poco tempo fa si poteva considerare come rara, mentre ora comincia ad essere rinvennta iu vari punti del bacino mediterraneo ed avendo avuto la fortuna di raccogliere molti. esemplari di tutte e dne le valve, in ottimo stato di conservazione, credo utile di descriverla e figurarla, poichè m'è stato possibile di osservare molte variazioni individuali, che finora non erano state riscontrate in esemplari di altri giacimenti. La frequenza inoltre con cui questa specie si presenta in quei luoghi, c'induce a considerare, come località tipica del /’ecfen rhegiensis, i dintorni di Apricena, alle falde del Gargano, nell’alta Puglia. Pecten rhegiensis Seguenza (Tav. I, Fig. 1-9) 1880 /arira Ehegiensis Seguenza, Le formazioni terziarie della provincia di Reggio (Calabria) (Mem. R. Acc. dei Lincei, ser. III, vol. VI), pag. 188, Tav. XIV, Fig. 17, 17a, 17b. 1897 Pecten » Segu. Saeco, / Molluschi dei terreni terziari del Piemonte edella Liguria, P. XXIV, Pectinidae, pag.59, Tav. XVII, Fig. 11-14. 1905. > » Segn. Depéret et Roman, Mozographie des Pectiniaés néogènes de l Europe et des regions voisines; P.I, Genre Pecten (supplement), (Mém. Soc. Géol. de France, Tom. XIII, fase. 2, pag. 85, Tav. X, Fig. 1-1a). 1981 » » Segu. Gignoux, Zes formations marines pliocènes et quaternaires de l’Italie de Sud et de la Sicile, (Ann. d. l’Université de Lyon, n. s., I, Sciences, Fase. 36, pag. 359 e segg). AM. O I RL PERE, gi PRI DINA PI, EVITA PIERO PST EROI RR TRA le NEON AL SN Oo NUOVE OSSERVAZIONI SULLA FORMAZIONE PLì)OCENICA DI APRICENA (CAPITANATA) ECC. 269 Dimensioni : I II III IV V Larghezza . ; 3 . È - ino Cio 65, 65, — Altezza ; : ; ; ; È >. 48, 45; 59, 56, 70 Spessore . ; ; 3 E i; siede: 25, 25, — Conchiglia per lo più di medie e raramente di grandi dimensioni, più larga che alta, con un rapporto tra le due maggiori dimensioni alquanto variabile, potendosi avere esemplari dal contorno più o meno allungato trasversalmente. Valva destra fortemente convessa, profonda, con l’apice abbastanza incur- vato e sporgente sulla linea cardinale, che è lunga ed ispessita. Superficie ornata di dodici od anche raramente di tredici costole radiali principali, non molto sporgenti, larghe, brevemente tondeggianti, le quali si originano ad nna certa distanza dall’apice, che è perfettamente liscio e si vanno slargando verso il margine palleale. Esse presentano due o tre solchi longitu- dinali, che si originano poco dopo l’inizio delle costole e si approfondiscono verso-il margine ventrale della conchiglia; in generale i solchi sono stretti e poco profondi. In un caso più complicato si osserva un solco principale più forte, che biparte la costola e poi due solchi più leggeri su ciascuna metà. Nel caso in cui i solchi sono due, può darsi.che uno sia piùgrande, oppure che titti e due siano eguali. Sn di un medesimo esemplare si osservano indifferen- temente costole bipartite e tripartite e questo fatto è indipendente dalle varie regioni della valva. Teniamo a rilevare che non v'è alcuna costanza nel numero dei solchi su ogni costola nello stesso esemplare, mentre gli antori che si sono occupati del Perle rhegiensis hanno sempre scritto che le costole sono bipartite; ora avendo io potuto esaminare un buon numero di esemplari di ottima con- servazione, sono rinscito a stabilire che il carattere della bipartizione delle costole non solo non è costante, ma nemmeno è il più comune, essendo più fre- quente invece il caso di esemplari che presentano le costole tripartite. Fra i vari esemplari raccolti, uno solo (v. Tav. I, Fig. 5) presenta le co- stole nettamente bipartite, però nella regione anteriore e in quella posteriore esse sono tripartite. Un altro esemplare (v. Tav. I., Fig. 3), presenta le costole della metà an- teriore nettamente bipartite e quelle della posteriore bi- od anche tripartite. 270 G. CHECCHIA-RISPOLI Talora ma rarissimamente in qualche esemplare le costole più piccole hanno il solco poco accentuato sino quasi a sparire. Oltre alle costole principali, il cui numero è costante, ve ne sono altre nella parte anteriore e posteriore della valva, che sono semplici; il numero di queste è variabile nelle due regioni; in quella posteriore può essere di quattro, e nella anteriore per lo più è di due: questa differenza è in rapporto con lo spazio lasciato libero dalle costole principali, che è più grande nella parte posteriore. Gli intervalli intercostali sono del tutto piani ed uguagliano in larghezza la metà circa delle costole. La superficie della conchiglia è ornata di finissime lamelle concentriche, molto avvicinate fra di loro, tanto che se ne contano da cinque a seiin un mil- limetro. Le strie di accrescimento sono più rilevate negli spaziintercostali e verso il margine palleale. Le orecchiette sono grandi, flessuose, convesse, subeguali, essendo la po- steriore alquanto più sviluppata dell’anteriore; ornate di costicine radiali talo- ra in. numero di dieci e di finissime st»ie di accrescimento parallele al mar- gine esterno delle orecchiette. L’orecchietta destra è leggermente incavata. Valva sinistra concava verso la sommità e piana verso il margine palleale, leggermente inequilaterale. Essa presenta undici o dodici costole principali, le quali sono moltosporgenti verso il margine ed attenuate verso l’apice, che è liscio. Inoltre sono strettamente arrotondate e presentano dei solchi longitudinali, uno ‘o due, molto meno profondi di quelli della valva destra. Intervalli più larghi delle costole e del tutto piani. In una delle valve sinistre (v. Tav. I, Fig. 8), che è la più grande da moi raccolta, negli spazi intercostali si osserva uni costicina intercalare, che verso il margine ventrale si fa più sporgente; mentre nelle altre (v. Fig. 7 e 9) questa costicina è appena accennata e talora manca del tutto, per cui si può dire che questa costicina intercalare si sviluppa con l’età della conchiglia. Lo spazio anteriore e posteriore lasciato libero dalle costole principali è interamente ricoperto da semplici e numerose costicine radiali di ineguale grandezza, in numero di 20 o più per ogni regione; separate da solchi poco profondi. Tutta la superficie è coperta da fine lamelle concentriche. Le orecchiette sono subeguali e, come quelle della valva destra, portano numerose costicine radiali e finissime strie di accrescimento, Rapporti e differenze. — Per quanto il Pecten rhegiensis sia noto da pa- recchio tempo, cioè sin dal 1880, pure pochi autori se ne sono occupati; questi per NUOVE OSSERVAZIONI SULLA FORMAZIONE PLIOCENICA DI APRICENA (CAPITANATA) Ecc. 271 ordine cronologico, oltre del Seguenza, che fu l’autore della specie, sono il Sacco, il Depéret, il Roman, l’Ugolini, ed ultimamente lo Gignonx. Tutti questi autori sono d’accordo nel rilevare, come carattere principale della spe- ‘cie, il fatto della bipartizione delle costole principali dovuta alla presenza di un solco longitudinale, che si origina quasi all’inizio della costola per appro- fondirsi man mano verso il margine palleale. Secondo il Seguenza ed anche secondo il Sacco, il P. rRegiensis si avvicina molto al P. medius Lmk., vivente nel mar Rosso, distinguendosi per le costole più larghe e più sporgenti, per il solco, che le biparte, più distinto e per altri particolari secondari, come p. ‘es. per le strie di accrescimento più sporgenti e meglio distinte. Dallo esame dei numerosi esemplari da noi raccolti nella formazione plio- cenica dei dintorni di Apricena in Capitanata, è risultato invece che il carat- tere della bipartizione delle costole non è il più comune e che invece più fre- quente è il caso della tripartizione delle costole e non raro quella della tetra- partizione. Abbiamo poi anche visto che su di nno stesso esemplare si possono os- servare costole bipartite e tripartite > quindi non è nemmeno il caso di isti- tnire delle varietà o mutazioni, per quanto riguarda il vario aspetto delle co- stole, perchè queste variazioni si osservano su di un medesimo esemplare. Qualche osservazione dobbiamo fare riguardo alla sinonimia di questa spe- cie. I Sigg. Depèret e Roman nella prima parte della loro importante Mono- grafia sui Pettinidi neogenici dell’Enropa, ritengono come sinonimo del P. y/e- giensis Segu. il P. Macphersoni Bergeron. Questi autori figurano o descrivono come ?. rhegiensis un tipico esempla- re di P. Jacphersoni del Pliocene medio di San Pedro di Alcantara (Spagna) (1). Il dott. R. Ugolini in una Nota speciale ha dimostrato la impossibilità di potere riunire queste due forme (2). Questo autore ci dàla figura di un esem- plare tipico di P. Macphersoni e ai un esemplare quasi completo comprendente le due valve, proveniente dal Pliocene dei dintorni di Torino. Poi ci dà anche una figura di un altro esemplare di valva dustra proveniente dal Miocene superiore del Capo S. Marco (Sardegna). Paragonando queste fi (1) Depéret Ch. et Roman F.—Monographie des Pectinidés néogénes de l'Europe et des ré- gions voisines, P. I: Genre Pecten (Mém Soc. Géol. de France, Paléont., tome X, fasc. I) 1902. (2) R. Ugolini Sala esistenza del « Pecten Macphersoni» Berg nei terreni pliocenici del Piemonte (Boll. Soe. Geol. Ital., vol. XXVI, fasc. III), 1906. 1d. — Monografia dei Pettinidi meogenici della Sardegna. Parte terza ed ultima. Generi: Amussiopecten (cont.), Flabellipecten? Pecten, 1908, = ali ati rr ieri sla + nina RA e 72 G. CHECCHIA-RISPOLI iS) gure e le relative descrizioni degli esemplari con gli esemplari del Plio- cene di Apricena, si osserva che vi sono effettivamente dei rapporti di somiglianza fra il P. Macphersoni ed il P. rhegiensis, come il numero delle costole principali e secondarie, il solco che bipartisce le prime; ma esistono auche dei caratteri che li distingnono, e che furono di già notate dall’Ugolini. A questi noi possiamo aggiungerne altri, come quello della forma del guscio, il quale nel /. rhegiensis è sempre più largo che alto, mentre nel ?. Macpher- soni è orbicolare, anzi talora più alto che largo. Poi nel ?. r%egiensis i due lati della conchiglia sono eguali, mautre nel P. Macphersoni il lato posteriore è più lungo dell’anteriore. Le costule poi in quest’ultima specie sono anche più strette ed il solco che le bipirte poco accentuato. Questi caratteri si os- servano bene nell’esemplare figurato dai Sigg. Depéret e Roman (v. loc. cit. Tav. II, Fig. 6), che sarebbe il tipo del P. Macphersoni Berg., proveniente da S. Pedro di Alcantara. Gli esemplari figurati dall’Ugoliui, oltre della forma più alta del guscio, mostrano anche un fatto importante ed è che il solco che biparte le costole si origina a metà della costola verso la regione ventrale. Per gli stessi fatti io escludo della sinonimia del P. rhegiensis la Janira maxima L. var. dipartita Foresti (1), che i Sigg. Depèret e Roman vorrebbero mettere in sinonimia del P. rhegiensis. (2). La figura del Foresti è purtroppo un disegno brutto e quindi riesce diffi- cile fare un confronto; ma a giudicare purtuttavia dalla figura, a noisembra che, oltre alle ragioni portate dagli stessi Depéret e Roman, del solco cioè che di- vide le costole profondamente e largamente da eguagliarein larghezza la metà della costola, l'esemplare del Foresti ha una forma più alta chelarga. come il P. Macphersoni. Se un avvicinamento quindi bisogna fare, io propenderei più pel /. Mac- phersoni che peril P. rhegiensis. Del resto il Seguenza che ebbe buoni esemplari dell’una e dell’altra forma, ha pensato di tenerle distinte, anzi delle varietà del Foresti ne fece una specie distinta col nome di /azzra dipartita, per le costole più prominenti e più bipartite (3). Il Sacco poi sarebbe portato a considerare tale forma del Foresti come spiccata varietà del P. /acoboeus L., pur notando (1) Foresti — Cenni geologicr e poleontologici del Pliocene antico di Castrocaro (Mem. Acc. Sc, dell’Istit. di Bologna, ser. III, t. VI, pag. 562. Tav. I, Fig. 21-23) 1875. (2) Depèret et Roman. Monographie des Pectinidès neogènes de V Europe ecc. P. I. Genre. Pecten (supplement.) pag. 85. (3) Seguenza G. — Le formazioni terziarie della provinciadi Reggio, pag. .188 NUOVE OSSERVAZIONI SULLA FORMAZIONE PLIOCENICA DI APR(CENA (CAPITANATA) ECC. 273 #n essa una specie di tendenza al P. grardis Sow. del Pliocene anglo-belga e «erso il P. regiensis (1). Invece corrispondente al Pecten rhegiensis è l'esemplare del Piacenziano «di Vaugrenier presso Biot (Alpi Marittime), figurato dai Sigg. Depéret e Ro- man nel Supplement alla prima parte della loro Monografia. Del pari vanno riferiti al P. r%egiensis gli esemplari del Pliocene di Al- benga figurati dal prof. Sacco. Questi esemplari e spec:almente quello figurato aTav. XVIII, Fig. 11 della citata opera, corrispondono più di tutti agli esem- plari di Apricena. Diffusione stratigrafica. 1 P_rhegiensisè nua specie esclusivamente pliocenica e più generalmente diffusa nel pliocene inferiore e propria di tutta il bacino mediterraneo. Essa comparisce negli strati più bassi del Pliocene di Terreti nella provincia di Reggio di Calabria (Zarcleano, facies di marne bianche del Pliocene inferiore). Il Segnenza l’ha inoltre citata nel Zancleano di Vigna di Mare (o Testa del Prato) presso Reggio, in quello dei piani della Melia e dei dintorni di Stilo. Si trova nel Pliocene inferiore del Nizzardo presso Biot-Vaugrenier, Gai- raut. Nel limite tra il Piacenziano e l’Astiano di Oran e di Douéra in Alge- | ria. Nel Piacenziano ed anche nell’Astiano della Liguria e del Piemonte. Nel Pliocene dell’Isola di Creta. Il Gignonx ne ha riconosciuto la presenza nel Pliocene antico di Meynes (Gard); nel Piacenziano di Castellarquato e nel Pliocene antico dei dintorni di Civitavecchia. Infine è abbondante nel Pliocene di Apricena nella Puglia. Palermo, aprile 1914. (1) Sacco F. — /Z molluschi dei terreni terzi urii del Piemontee della Li juria. P. XXIV. Pec- finidae, pag. 59. I «i (S| LES i 2 ii e - ee tt e 276 G. CHECCHIA-RISPOLI SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I 5 ) Fig. 1. Pecten Ehegiensis Seguenza. Valva destra. si «cas» » » La stessa vista di profilo. - Da) » » Altro esemplare della valva destra.. dat. » » La stessa vista di profilo. SIUaO: » » » Altro esemplare. Valva destra. A NO » » Esemplare più giovane. Valva destra.. 200 en » » Esemplare adulto. Valva destra. > >E orta » » Esemplare giovane. Valva destra. RISO » » » Valva sinistra. 708, » » d Valva sinistra di un esemplare più grande. DO » » Valva sinistra di uno più giovane. N. B. Tutti gli esemplari sono figurati a grandezza naturale. Essi si con servano nelle collezioni paleontologiche dell’Istitato Geologico dell’Università . di Palermo. lav. FOTOT. DITTA MARZARI - SCHIO e ai i — PLIOCENE DI APRICENA Checchia - Rispol Osservazioni geologiche sull’ Appennino della Capitanata PARTE III PER G. CHECCHIA-RISPOLI Per completare lo studio di quella parte del Subappennino compresa nel circondario dl Sa nsevero, dobbiamo dire solamente qualche parola sulla regione che si estende tra il fiume Fortore ed il torrente Saccione, il quale segna in parte a nord -ovest il confine tra la Capitanata ed il Molise (1). Tale regione collinosa raggiunge la sua massima elevazione a Serra Ca- priola (m. 270) e come un gran piano inclinato degrada dolcemente verso l'Adriatico. i Su questo piauo, per ii lavorio delle acque correnti e per la grande di- sgregabilità dei terreni, si sono qua e là isolate delle piccole cime dalle forme largamente arrotondate, come il Colle Brecciato (m. 239), il Colle M acina (m. 187), il Colle Castrato (m. 210), la collina di Chieuti (m. 222) ed altre ancora di minore importanza. Oggidì tale lavorio delle acque superficiali, molto scarse invero in tutta la regione, è rappresentato da deboli incisioni e da solchi dovuti ai piccoli torrentelli, che vanno a scaricarsi nel Fortore, e da canali o fossi, che non ginun- gono a sfociare a mare, perdendosi nella larga zona di sabbie, che orlano in quel punto il litorale. sa Scarsissime sono le notizie geologiche anche di un qualche interesse che noi possediamo sulla regione ora descritta. A me è riuscito solo di trovare una (1) v. Checchia-Rispoli G. — Osservazioni geologiche sull’Appennino della Capitanata, P. I. (Giorn. di Sc. Nat. ed Econ. di Palermo, vol. XX1X), 1912; Id. — P. //, (/b., vol XXX), 1914. 278 G. CHECCHIA-RISPOLI breve citazione di Oronzo Gabriele Costa, che rimonta al 1854, il quale ci fa sapere della esistenza della Pinza frarcata Phil. fossile presso Serra Capriola nel luogo detto le Forzaci (1). Poi bisogna venire fino al 1908, epoca in cui il Prof. F. Sacco,pub blicando una cartina geologica, che è annessa al suo studio. sul Molise, segna, in questa estrema parte dell'Appennino pugliese, una zona di Pliocene inferiore ed un’altra di Pliocene superiore, oltre ad uu estesissimo tratto di plistocene diluviale (2). I risultati delle osservazioni da me compiute sui luoghi e lo studio dei fossili raccolti in varie località dei dintorni di Serra Capriola e di Chienti ci permettono ora di precisare l’età di quel complesso sabbioso-argilloso coi so- vrastanti conglomerati, che forma quella vasta regione e che è solo accessibi- le alle nostre indagini. Conviene qui rilevare che per la mancanza di profonde incisioni naturali o ditrincee artificiali, riesce alquanto difficile lo studio di questi terreni, come del resto succede per i medesimi, che si sviluppano in tutto il Tavoliere di Puglia. Auzi qui avviene che mentre il Fortore ha eroso fortemente il fianco destro nella regione attigua, formando degli alti muraglioni naturali, per cui sono a noi visibili, oltre i terreni quaternari, anche in parte quelli che fanno di base a questi (5), sul fianco sinistro, cioè nella regione proprio in esame, andava gradatatamente rilevandosi e foggiava tale fianco a dolce pendio, per «cuni noi non troviamo che terreni esclusivamente quaternari, come ora vedremo. Questo fatto è stato verificato puro dal Prof. Sacco per altri finmi, che dall’Appennino scendono nell'Adriatico, ed egli attribnisce tale fenomeno al modo speciale di emergere della regione appenninica. Nonostante la mancanza di sezioni naturali, tuttavia i dati raccolti nelle cave ‘d'argilla della regione, quelli fornitici dalla trincea lungo la rotabile che dal ponte sul Fortore porta a Serra Capriola, quelli desunti dallo scavo di un largo e profondo pozzo per uso del nuovo edifizio scolastico di Serra, e le osservazioni che potei fare lungo gli incassati sentieri mulattieri, che menano dai fondi rustici a Chieuti, mi hanno permesso di stabilire la successione degli strati di quella regione, che è semplicissima. In basso si hanno delle argille giallastre, od anche cenerine, a cui seguono delle sabbie dello stesso colore, ma tra le une e le altre intercede tutta la gradazione delle argille sabbiose e (1) Costa O. G. — Cenni intorno alle scoperte fatte nel Regno riguardante la. Paleontologia, nel corso dell’anno 1853. (Rd. Acc. Pontaniana, anno LI, fase. 19, Napoli, 1854. (2) Sacco F_— // Molise. Schema. geologico. (Boll. Soc. Geol. Ital, vol. XXVII), 1908. (3) Checchia-Rispoli G.— Osservazioni geologiche sull Appennino della Capitanata; Parte Prima. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SULL’APPENNINO DELLA CAPITANATA 279 delle sabbie argillose. In alto poisulle sabbie più o meno cementate sovrastano interrottamente i conglomerati. Tutti gli strati ora descritti sono suborizzontali. I fossili raccolti finora sono i seguenti : Ostrea sp. ind. Anomia ephippium L. Monia glauca Montrs. Pecten jacoboeus L. Chlamys flexuosa Poli sp. » opercularis LU. sp. » varia L. sp. Pinna pectinata L., var. Brocchi d’Orb, » » » ventrosoplicata Sacco Pectunculus violacescens Lmk. Car tinm tuberculatum Lmk., var. grannlifera Montrs. Venus multilamella Lmk. Solencurtus antigquatus Pultn. Mactra subtruncata da Costa Corbula gibbi Olivi Lembulus commutatus Phil. (= Leda fragilis Chmn.) Murex brandaris L. Nassa Olivii Bell. «clathtrata Bovn., var. ficaratiensis Montrs. Eyngicula buccinea Br. sp. Natica millepunctara Lmk. Naticina macilenta Phil. Scalaria communis Lmk. Turritella communis Risso. Cypraea (Trivia) europaea Monig. Questo elenco di specie molto modesto e che ulteriori ricerche potranno forse accrescere di numero è composto di forme quasi tutte viventi oggidì nel Me- diterraneo, salvo qualche eccezione. Di specie estinte non ve n’è che una, cioè la Nassa Olivit Bellardi: la forma in esame, che appartiene al gruppo delle N. semistriata, non è la N. Edwardsit Fischer, comune nel giacimento di Ficarazzi presso Palermo e vivente nel Mediterraneo, ma corrisponde in tutto alla . Olivii dell’astigiano (Piemonte). Io ho potuto accertarmene paragonando i miei esemplari con quelli della tipica N. Olivi, inviati in dono dal prof. Sacco di Torino al Marchese di Monterosato di Palermo. Questi poi gentilmente m’informa 280 G. CHECCHIA-RISPOLI che la .V. Olivit si trova anche nella collezione Brugnone, oggi di sua proprietà, come proveniente da Caltanissetta. Anche la Nassa clathrata Born. var. ficarattensis Montrs. è una forma estinta del piano siciliano del bacino di Palermo. I vari esemplari da noîi raccolti corrispondono perfettamente alle figure 10 ed 11 della tavola XV dell’impor- tante lavoro del Sig. M. Gignoux, testè pubblicato (1). Estinta pure, secondo il Monterosato, è la varietà granzulifera del 0ardinm tuberculatam Lmk. Infine per quanto riguarda la Mactra subtruncata da Costa (Mactratriangula Rev.), bisogna rilevare che gli esemplari che vi abbiamo riferiti perleloro dimensioni nou corrispondono a quelli che oggi vivo no nel Mediterraneo. Riguardo all’età di questa fauna conviene subito notare che essa è indub- biamente più recente di quella da noi ritrovata nella formazione marnoso-ar- gillosa raggiunta per mezzo delle escavazioni profonde dei pozzi nei dintorgi di Sansevero e da noi riferita alla parte più elevata del Pliocene, per una mag- giore percentuale di specie estinte, che essa contiene. La fauna in esame invece è coeva a quella che si raccoglie neglistrati superiori che formano la parte superficiale non solo del Tavoliere, ma auche la sommità delle alture, che circondano verso ovest la pianura pugliese. Sappiamo poi che questi strati contengono con una fauna marina, non caratteristica, anche resti di Z/ephas antiquus. Ora la fauna ad £. antiguus cor- risponde al Siciliano. Gli strati ora descritti si estendono al di la del Fortore e declinando scen- dono sino alla quota di 50 m. alla sella di Poggio Imperiale, ove si vanno a soprapporre sia ai terreni urgoniani della Murgetta, i quali rappresentano l'estremo lembo occidentale della zolla calcarea secondaria del M. Gargano, sia sui terreni pliocenici a facies appulo-garganica dei dintorni di Apricena (2). Sui depositi descritti sovrastano i conglomerati sviluppatissimi tra Serra ‘e Chienti e potenti oltre 5 metri. Questi conglomerati, che chiudono in alto la serie plistocenica, sono d’origine marino-litorale e gli elementi che li co- stituiscono sono essenzialmente calcarei, ma anche talora arenacei e silicei. * * * I terreni recenti in questa parte della Capitanata sono rappresentati, oltre che dalle alluvioni torrenziali e fluviali, dagli estesi e bassi depositi sabbiosi, (1) Gignonx M. — Zes formations marines pliocènes et quaternaires de l'Italie du sud et de Ja Sicile (Ann. d. 1. Université de Liyon, nouv. sér., I. — Sciences, Medecine. — Fasc. 36), 1913. (2) Checchia-Rispoli G. — 1°. Nuov osservazioni sulla formazione pliocenica di Apricena (Ca- pitanata); 2°. Sul “Pecten Rhegiensis,, Seguenza del Pliocene garganico (Giorn. Se. Nat. ed Econ. di Palermo, vol. XXX), 1914. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SULL’APPENNINO DELLA CAPITANATA 281 «he dalla spiaggia di Chieuti si estendono al Fortore ed ai dintorni del lago di Lesina ed oltre sino alle falde occidentali del Monte Devio. Per l’azione del vento queste sabbie hanno formato e formano tuttora delle dune, le quali sono specialmente sviluppate tra il Fortore e la Punta delle Pietre Nere; le più interne di queste dune, che raggiungono l’altezza di 6 a 7 metri, in parte sono imboscate; ma altre ve ue sono nude. Le sabbie, che le costituiscono, ab- bondano di gusci di conchiglie terrestri, che verso mare si vanno mescolando a quelle marine. Ricordiamo qui,sebbene rapidamente, che durante l’Olocene avvenne la for- mazione della laguna di Lesina, che precedette quella di Varano, la quale si formò in tempi storici vicini a noi. Le lagune di Lesina e di Varano erano in origine due insenature dell’A- clriatico entro i monti del Gargano, separate dal promontorio del Monte Devio, formatesi per opera delle correnti e dall'ondazione marina. La loro origine in poche parole è la segnente. I materiali trascinati dai fiumi che scendono nell’Adriatico, tra Vasto e Le- sina, e specialmente quelli delle forti piene del Fortore, trasportati dalla cor- rente mariua verso levante, incontrando il piede della Punta delle Pietre Ne- re, che prima doveva indubbiamente essere nn promontorio molto spinto den- tro mare, vi si depvsitavano proiettando una barra che man mano pro- cedeva verso est. Questo barra, dapprima lasciò una comunicazione tra il mare ed il seno, formando ua vero porto, ma proceden lo l’azione della corrente, e poichè a non molta distanza dalla Punta delle Pietre Nere, ve ne era un altra, cioè quella del Monte Devio, essa finì con l’attaccarsi a questa, formando una ve- ra diga e rinchiudeudo un lago, là dove prima v'era un seno di mare inter- nato dentro i monti della regione occidentale del Gargano. Che i materiali de- tritiei che hanno formato la barra provengono dell'Ovest, ce lo prova il fatto che la diga si assottiglia e diventa più bassa verso l'Est. . A completare l’azione del mare vi concorse anche quella del vento, che peraudo sui materiali mobili della barra li trasforinò in dune, separando de- finitivamente dal mare una parte della spiaggia, cile dapprincipio doveva, al- aneno ad alta marea, appartenere al dominio del mare. Formata la barra dol lago di Lesina, i materiali detritici hanno comin- ciato ad invadere il promontorio del M. Devio e di là spingendosi sempre ad «est formavano una nuova barra, che giungendo ad attaccarsi al promontorio di Rodi Garganico, ha nello stesso modo formato il lago di Varano, chiuden- do l’antico sezo nriano di Plinio. Li9) (02) US) G. CHECCHIA -RISPOLI CIRCONDARIO DI FOGGIA LA COLLINA DI LUCERA Come abbiamo già scritto nella Introduzione di questo nostro studio sul- l'Appennino pugliese, la vasta pianura della Daunia è cinta ad occidente da poggi e da colline disposte in forma d’emiciclo, le quali sono gli ultimi contraf- forti che manda giù la catena degli Appennini. Queste colline si inoltrano quali promontori nel piano di Puglia per poi ricadervi rapidamente; esse si mostrano abrupte da tutti i lati, meno che ad oriente, dove vanno insensibilmente de- gradando e da cui sono facilmente accessibili. Una di queste colline, che ergesi caratteristicamente isolata sul grande Tavoliere, è quella su cui sorge Lucera, dalla natura predestinata ad elevarvi. i su una grande fortezza. î Scarse sono le notizie che noi possediamo nella costituzione geologica di tale collina. Qualche anno fa il Moderni (1) e recentemente il Cruciani (2) che. percorsero quei luoghi perlo studio delle acque freatiche del Tavoliere, fanno menzione di sfuggita di argille turchine, che formano la base della collina di Lucera, e che essi, perana logia con altre argille, riferiscono al Pliocene, senza però indicazione alcuna di fossili, che potessero giustificare tale loro riferimento. i In seguito io ho visitato varie volte quella località e vi ho anche raccolto dei fossili, che, se non abbondanti, permettono di stabilire l’età di quegli strati. Come abbiamo detto avanti. anche qui ogni studio sarebbe stato assai difficile, dj se un taglio artificiale di parecchie decine di metri, prodotto dalla attivissima escavazione della zona marnosa-argillosa, non avesse messo allo scoverto una i E E E bella sezione. Lo studio di questa sezione permette di stabilire la seguente serie, dal basso in alto. 1° —Marne argillose, cenerine, nettamente stratificate, fossilifere, le quali (1) Moderni P. — Nofe preliminari sul pozzo artesiano perforato a Foggia per cura del Mi- nisiero di A. I. e C., Roma, 1910. x (2) Cruciani A. — Studi sulle acque freatiche e subalvee del Tavoliere di Puglia. In Seconda Relazione della Commissione Reale per gli studi e proposte relative ad opere d’irrigazione,. Roma, Tip. Bertero e C., 1913. | j | O IR e (er A Saf vr} Mu h di VE Va lutto Cala OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SULL’APPENNINO DELLA CAPITANATA 283 lateralmente e superiormente fanno passaggio ad altre di color giallo scuro. Tanto le une che le altre sono adibite per laterizi e stoviglie. La pendenza generale degli stati di tutta la sezione è ad est; ma a causa d’nna leggera ondulazione, in vari punti delle numerose cave, gli strati si mo- strano pendenti a nord-ovest. i 2° Nella parte superiore le marne a poco a poco diventano sabbiose ed acquistano una tinta più chiara; poi la sabbia finisce col predominare e le argille diventano molte sabbiose e nella parte più elevata esse sono associate a qualche strato di sabbia gialla, spesso argillosa e d’arenaria giallastra. Di questo membro mi è stato d.fficile poter raccogliere fossili, stando anche la ripidezza del taglio. In.esso non ho raccolto che qualche frammento di CWla- nys apegculuris L. sp. 3° Infine sempre in continvità, che pare assoluta, si passa ad una for- mazione essenzialmente sabbiosa ed a conglomerati. nei quali qualche fram- mento di Osirea e di Pecten ci indica che questo deposito terminale resta sempre «di origine marina. \ SEZIONE ATTRAVERSO LA COLLINA DI LUCERA Scala di 1: 50000 per le distanze J: 25000 per le altezze Castello Lucera - m.230 Masseria Seggia Ba m.150. Ponte della Pietra ; m.140. Come ho già detto, nel complesso marnoso-argilloso si raccolgono dei fossili, i quali non sono davvero abbondanti; finora ho determinato: Orbiculina maminismalis d'Orb. Chiamys scubrella Luk. sp. Corbula yibba Olivi. Nello Isselt Bell. Nnceula plucentina Lmk. Dentalin'n Delesserti Chenn Naticina fusca De Blainv. Surcula dimidrata Brocc. sp. Cleodora pyramiduta L. Hepatinnlus Seyuenzae Ristori. 284 G. CHECCHIA-RISPOLI In genere tutte queste specie si ritrovano con una certa abbondanza. Meno: la Corbula gibba, la Naticina fusca è le Cleodora pyramidata, tutte le altre sono estinte. Fra queste ve ne sono alenne, come Nucul/a placentina, Chlamys sca- brella, e Surcula dimidiata, che compaiono di già nel Miocene superiore, ma si sviluppano nel Pliocene. Riguardo alla Nez/o Isseli, che è il fossile più comune di questa formazione inferiore, bisogna rilevare che essa è una specie di mare piuttosto profondo e che finora è nota solamente nel Piacenziano della Li- guria. Le altre sono pure esclusivamente plioceniche, meno il Dentaltum Deles- serti, che si estingue nel Szc:/zano. Ora mentre tutto l'insieme delle specie giustifica il riferimento di quelle marne argillose al Pliocene, resta difficile però, data la ristrettezza della fauna, dire di qual piano del Pliocene qui si tratti. i o La presenza della Merlo Isseli accennerebbe ad un deposito di mare piuttosto profondo (Pracerziano). Abbiamo già detto che le marne passano gradatamente ad argille sabbiose, alle sabbie argillose e queste alla loro volta a sabbie ed infine ai conglomerati che chiudono in alto la serie. Tutta questo complesso è concordante; malgrado ciò, mentre le argille sabbiose e le sabbie argillose pare che debbano essere ascritte alla parte superiore del pliocene (Asfia10), le sabbie ed i conglomerati soprastanti invec> devono essere riferiti al Quaternario: questi ultimi termini non sono che la continuazione di quelli che poi si sviluppano maggiormente su tutto il vasto Tavoliere. Le marne cenerine continuano a svilupparsi sempre verso ovest per lo più ricoperte dai terreni quaternari; io le ho viste però affiorare qua e là alle Coppe di Iuvara ad occidente di Lucera ed oltre verso Motta Montecorvino, ove vanno a sovrapporsi a terreni più antichi, come vedremo nella successiva Nota. (1) Palermo, maggio 1914 (1) Il materiale paleontologico di cui si parla in questa Nota è conservato nelle collezioni del Museo Geologico della R. Università di Palermo. SUI “Mastodon angustidens,, Cuvier dei dintorni di Burgio in provincia di Girgenti PER G. CHECCHIA-RISPOLI Di frovte alla abbondanza di resti elefantini fossili in Sicilia, noti da anti- chissimi tempi, e che formano una delle maggiori attrattive del Museo Geo- logico dell’Università di Palermo, sta la estrema. scarsezza di avanzi di Mastodonti. Finora erano noti solamente alcuni frammenti mal conservati di denti appartenenti al Mastodon Borsonis Hays ed al M. turicensis Schinz, fatt; conoscere dal compianto dott. Luigi Seguenza e provenienti dalle argille lacu- stri di Gravitelli presso Messina riferite al piano portico (1). Per causa di questa scarsità, crediamo di far cosa utile illustrare un dente completo e ben con- servato di Mastfodon angustidens, tanto più che si tratta di una specie segna- lata ora per la prima volta non solo in Sicilia, ma anche in tutta l'Italia. Questo dente, che appartiene al Mnseo Geologico dell’Università di Paler mo, fu donato dal defunto deputato Dottor Giuseppe Licata da Sciacca al prof. Giovanni Di Stefano, che a sna volta ne fece dono al prof. G. G. Gemmellaro pel Museo suddetto. Il prof. Di Stefano sin da parecchi anni volle affidarlo a me in istudio, per il che sento il dovere di ringraziarlo vivamente. Il moiare di Mastodonte in esame è precisamente quello a cui accenna il prof. Capellini in una breve nota a piè di pagina di una sua Memoria dal titolo « Resti di Mastodonti nei depositi marini pliocenici della provincia di Bo- logna » (2) Questi ebbe occasione, in un sno viaggio a Palermo, nel 1892, di (1) Seguenza L. fu G. — 1 Vertebrati fossili della provincia di Messina j P. 2°, Mammiferi e Geologia del Piano Pontico (Boll. Soc. Geol. Ital., vol. XXI, fasc. I, pag. 168-172, Tav. VI; Fig. 1-8). 1902. (2) v. Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, serie V, tom, III, 1893. Me RA a 286 G. CHECCHIA-RISPOLI vedere questo dente, che riferì al Mastodon arvernensis e lo indicò come pro - veniente dalla formazione pliocenica dei dintorni di Burgio, essendo così stato informato. Quando nel 1906 ne intrapresi lo studio, rimasi dapprincipio con- vinto di tale riferimento specifico; però man mano che approfondivo le mie os- servazioni, mi riusciva sempre più impossibile un ravvicinamento dell’esem- plare in esame al VM. arvernensis. Ed essendo in me sorti dei dubbi sulla diagnosi già faita, ne sorse anche un altro circa la esatta provenienza del fossile e mera ragione a dubivare il fatio che dintorni di Burgio, oltre alla formazione pliocenica rappresentata da marne bianche (rubr), argille turchine e sabbioni calcarei cementati, erano indicati pure degli strati miocenici rappresentati da arenarie e calcari cloritici, secondo le osservazioni del Baldacci (1). Se non che queste indicazioni, riguardauti la natura litologica dei terre- ni miocenici di Burgio, contrastavano chiaramente con il fatto, che il materia- le, il quale fortunamente era ancora attaccato al dente e ne riempiva la cavità, mostrava una natura ben differente da quelle or su indicate. Da questo mate- riale si poteva facilmente desumere che la roccia formante il deposito, dal quale proveniva il Mastodonte, era nna brecciolina calcarea abbastanza dura, di color giallo, a piccoli elementi. Ero perciò sul punto di rinunciare momen- taneamente al mio studio. in attesa di altri dati, se per veutura non fossi ri- corso ad un'ultima risorsa, che poi agevolò largamente il mio compito. Con precauzione riuscii a distaccare il matoriale aderente al dente, lo raccolsi, lo disgregai, per farvi delle ricerche. Dal materiale disgregato e lavato potei raccogliere oltre ad alcuni frammenti di radioli di echinidi (Cyatocidaris ave- nionensis Desm). e a qualche piccola Osfrea, numerosi foraminiferi (Leprdocy- » » 90 30 40 » » » » » » » » » » interno Altezza dal margine inferiore della corona all’apice del tallone anteriore >» » » » posteriore Il dente in esame, in uno stato di quasi completa conservazione, appartiene ad un individuo molto giovane. mm. 112 » 52 » 55 » DI » 42 » 35 9 » - 32 » 27 to) Ai 5. 80 » 28 » 28 » 25 (?) (?) La forma è rettangolare, più ristretta posteriormente. L’asse longitudinale del dente in luogo di essere in linea retta descrive, come negli Elefanti, una curva accentuata. Il dente presenta quattro colline o ranghi di tubercoli o denticoli, in forma di piramidi irregolari un po’ arrottondati, obliqui in avanti e diminuenti suc- cessivamente di grandezza verso la parte posteriore. I denticoli dell'ultimo paio sono pochissimo sviluppati. 290 G. CHECCHIA-RISPOLI1 Tutti i tubercoli sono convergenti, cosiché l’apice della corona è più stretto della base; inoltre le serie dei tubercoli interni è sitnata alquanto in avanti della serie esterna. i Le colline sono separate tra di loro da valli traversali, bene accentuate, larghe e più profonde agli estremi cho al centro, interrotte in parte dai tuber- coli accessori, i quali sono tutti più bassi dei principali. ; La faccia anteriore del dente è liscia e mostra un tallone largo, appiattito, con evidente tendenza a dividersi in colli, più basso dei denticoli del primo paio e presentaute una faccetta incavata, che deriva dalla pressione del dente contro il tallone posteriore del dente precedente. 5 La faccia posteriore, del dente è più arrotondata dalla anteriore, ed ha la superficie non levigata coms l’auteriore; essa presenta un piccolo tallone conico e basso. Tanto i denticoli che i talloni inclinano in avanti. Longitudinalmente il dente è diviso da nna valle poco profonda. Lungo l’asse longitudinale, nella parte anteriore, addossato al primo tuber- colo interno, giace un tubercolo accessorio ben distinto, che sbarra nel mezzo la prima valle trasversale, la quale è più interrotta delle altre. Le altre valli nonostante la presenza di tubercoli accessori sono meno sbarrate della prima. É superfluo enumerare e descrivere questi tubercoli ac- cessori, che si osservano bene nelle figure della tavola II. Quasi tutta la superficie. dei tubercoli è intatta, solameute la parte culmi- nante mostra qua e là delle leggere tracce di logoramento. Il più logorato di tutti è il tnbercolo esterno, il quale non è più acuminato, come lo sono più o meno tntti gli altri, ma presenta delle faccettature o smussature pianeggianti; queste faccettature, sempre però meno accentuate, si osservano anche nel tn- bercolo posteriore; lievi tracce di logoramento si osservano sui rinranenti tu- bercoli; ma queste tracce sono talora insiguificauti e bisogna osservare che esse sono sempre più distinte uella serie esterna che in quella interna. Agginugiamo in fine che il denticolo esterno del secondo paio e quelli del terzo e quarto sono verso l’alto divisi in due punte, di cui le interne sono più basse delle esterne. Lateramente poi alle estremità esterna delle valli trasversali esiste una piccola protuberanza, che ha la parvenza di un tubercoletto accessorio. La base della corona del dente è inturgidita all’intorno;lo smalto è spesso e lucente e tutta la superficie di esso è fittamente percorsa da sottili strie snb- flessnose, concentriche e dirette più o meno orizzontalmente rispetto all’asse INS Lu hi ca oi prot dla aan. CSI SUL MASTODON ANGUSTIDENS CUVIER DEI DINTORNI DI BURGIO 291 longitudinale del dente; dette strie sono più evidenti sulle facce. lateral del cente e sn quella posteriore; la faccia anteriore, come abbiamo detto, è le- vigata. Descritto così il dente, non ci resta che dire della sua posizione nella bocca. Questa particolare ci ha offerto delle difficoltà, sia perchè ognuno sa quando è difficile lo gindicare con esemplari isolati ed incompleti, sia perchè per l’età giovanile del dente, questo non presenta le caratteristiche figure dello smalto. Queste, come è noto, sono più nette nella regione interna dei molari superiori e nella esterna degli inferiori; per cui mentre le figure dei coni interni dei molari superiori accusano una tendenza trifogliata, quelle dei «coni esterni suno più semplici; nei molari inferiori succede precisamente il con- trario. In base a questo fatto, ed alla circostanza delle convessità che è rivolta ‘all’interno e coafortati sopratutto dall’autorevole parere del prof. G. Capellini, noi crediamo che il molare in esame sia l’ultimo molare inferiore destro (1). I dettagli che precedono mostrano poi che quisi tratta d’nun mastodonte on- nivoro, dai mammelloni arrotondati, del gruppo del Masfodon angustidens Cuv. del M. longirostris Kaup. e del M. arvernensis Croiz. et Iob. Ognuno sa quanto è difficile distinguere fra le tre suddette specie, quando si hanno dei molari isolati ed a incompleto sviluppo. Intanto si può escludere a priori che qui si tratti del M. arvernensis, che è una specie pliocenica. Ri- guardo al %. longirostris del Miocene superiore, sappiamo che appartiene al tipo tetralofodonte, che è caratterizzato della presenza di quattro colline trasversali nei denti intermedi e da cinque nell’ultimo molare. Il M. angustidens appartiene iavece al tipo tri/ofodonte, che è caratterizzato dalla presenza di tre colline nei denti intermedi e di quattro nell'ultimo molare. Ma è noto però che nel M. argustidens i molari hanno delle tendenze al tipo tetralofodonte, quando il tallone è molto sviluppato e mostra delle escre- scenze, in questo caso è difficile distinguere quest’ultimo molare da quello del M. /ongirostris, perchè non si sa se queste escrescenze bisogna o non con- tarle per una collina di più. Il che fortunatamente non è pel nostro dente perchè questo molto chiaramente mostra le quattro colline ed il tallone è ancora piccolo ed indiviso: di molo cio nessun Cubbio vi può essere sulla sua determinazione specifica. La nostra diaguosi infine è coufortata dal fatto che il molare di Burgio paragonato al alcuni molari tipici di 7. angustidens del Miocene medio di Si- morre (Francia), esistenti nel Museo Geologico dell’Università di Palermo, non presenta aleuna particolare differenza d’una qualche importanza. Istituto Geologico Universitario —Palermo, maggio 1914 (1) Capellini G. — Mastodonti del Museo Geologico di Bologna (R. Ace. d. Sc. dell’Istituto di Bologna, Memorie, serie VI, tomo IV), 1907. | TAVOLA Mi tro, v alto. °° i Mc) Tar D è da {e} Der) N is 28, Lv stesso, v i ig. Fig. 1%. Terzo molare F NIGALE LONTAIDISr E Le LIT. TRIP:0DO —- PALERMO mR enon => Sopra alcuni Echinidi del Cretaceo superiore della Tripolitania raccolti dal cav. Ignazio Sanfilippo per G. CHECCHIA-RISPOLI Ho di già descritto in un mio precedente lavoro alcuni Echinidi oligo- cenici della Cirenaica donati dal Cav. Ignazio Sanfilippo a questo Istituto Geo- logico (1); illustro ora in questa seconda Nota un certo numero di Echinidi del Cretaceo superiore e propriamente del Maestrichtiano della Tripolitania. Questi fossili fanno pure parte del materiale raccolto dal Sanfilippo du- rante il suo fortunoso viaggio in Tripolitania, in gran parte nelj 1911, prima della sua prigionia, prima cioè che l’Italia dichiarasse la guerra alla Turchia (28 ottobre 1911) ed in parte nel 1912, lungo il percorso fatto come prigio- niero. i, Le località, donde prevengono i fossili qui illustrati, sono le segnenti: Gèbel Hàmra, ch'è la zona montuosa che circoscrive nel lato nord la grande pianura, che si estende a ponente di Socna. Uàdi Ururìgh, che è un affluente di destra del Sofgìn, ed il cui punto di confluenza si trova a sud di Bir-Lahmèh' presso Mergh, piccolo villaggio sulla. sinistra del Sofgìn; | Gèbel Tar, che è il gruppo montuoso ove trovasi Bir-Tar ad una qua rantina di chilometri a N. N. O. di Socna (2). (1) v. Checchia-Rispoli G.—Sopra alcuni Echinidi oligocenici della Cirenaica (Giorn. Sc. Nat. ed Econ. di Palermo, vol. XXX), 1913. i (2) Per maggiori dettagli riguardo alle località, qui indicate, rimando il lettore alla inte- ressante conferenza tenuta l’anno scorso dal Sanfilippo,-a Roma, nell’aula magna del Collegio Romano, il 2 marzo, e poi pubblicata, nel Bollettino della Reale Società Geografica, fasc. IIL, 1913, col titolo “ La missione mineralogica italiana nella Tripolitania,,. ‘298 G. CHECCHIA-RISPOLI Le rocce che racchiudono i fossili, non sono solo dei calcari, come fu notato da qualcuno, ma oltre di questi, si hanno calcari dolomitici, calcari silicei e marne, il di cui colorito va dal bianco al paglierino od al roseo. Gli Echinidi sono accompagnati da un gran numero d’altri fossili, come foraminiferi, coralli, briozoi, brachiopodi, lamellibranchi, gasteropodi e cefa- lopodi, già noti, in gran parte, per l’interessante lavoro del Krumbeck (1); mentre vari altri sono nuovi per la Tripolitania ed altri costituiscono delle specie unove, secondo le osservazioni del Prof. Giovanni Di--Stefano, che se ne sta occupando. Qui notiamo solamente la grande abbondanza di esemplari dell’Omphalocyclus macropora Luk.. i quali da solo in certi punti costituiscono la roccia e del Siderolites calcitrapoides Lmk. (2). Prima di chindere questa breve Introduzione sento il dovere di esternare qui pubblicamente i miei vivi ringraziamenti al Ch.mo paleontologo Sig. Jules Lambert per il valido aiuto di cui mi è stato largo nello studio di questa interessante faunula echinologica (83). Istituto Geologico della R. Università—Palermo, Gennaio 1914 (1) Krumbeck L.—Beitréige zur Geolojie und alacontologie von Tripolis (Palacontograghica,. vol. 53), 1906-07. i (2) Un elenco di fossili maestrichtiani della Tripolitania raccolti dallo Sforza, che è stato compagno di viaggio del Sanfilippo, è stato pubblicato dal prof. Carlo De-Stefani di Firenze, (v. De Stefani C. e Sforza M. Creta superiore da Orfella al Gebel Scda in Rd. R. Acc. dei Jincei CI. sc. fis. mat. e nat., vol. XXII, 11, 1913). (3) Durante la correzione delle bozze della presente Nota è stato pubblicato, nel vol. XIX della Palaeontographia Italica, un importante lavoro del prof. Carlo De Stefani dal titolo «Fossili della Creta superiore ruccolti da Michele Sforza in Tripolitania», in cui si tratta di fossili dello stesso livello, dal quale provengono quelli da noi qui illustrati. Nella fauna descritta dal D> Stefani gli E:hinidi sono rappresentati solamente da due specie, cioè Cy:/aster berberus D3 Stef. e Cyclaster beduinns Do Stef., che io però non ho ri- trovate tra gli Echinidi da me studiati. TAPIRO) CR ul SOPRA ALCUNI ECHINIDI DEL CRETACEO SUPERIORE DELLA TRIPOLITANIA ECC. 299 DESCRIZIONE DELLE SPECIE Leiocidaris sp. ind. (Cavi io 95) Questo frammento di Ci4daridae, senza depressione sensibile nel mezzo delle aree interambulacrali, è interessante per la sua larga zona mediana re- golarmente striata dai solchi delle Giramazioni nervose, i quali sono molto avvicinati, e per la ristrettezza delle sue zone militari ed ambulacrali. Le placche, allungate trasversalmente, sono basse, numerose (almeno 10 per ogni serie). I tubercoli lisci hanno i loro scrobicoli circolari, molto av- vicinati nella medesima serie, ma tuttavia sempre separati da una o due file di granuli; i granuli scrobicolari sono appena più sviluppati degli altri. Gli ambulacri sono mal conservati; ma là, dove si vedono meglio, verso la base, mostrano dei pori distintamente coniugati. Quest'ultimo carattere permette di ‘classificare il frammento in esame nel genere Lezocidaris. Pur troppo non è possibile determinare esattamente un Lerocidaris senza conoscere gli ornamenti della parte centrale dei suoi ambulacri. Questo frammento ricorda il L. a/fa Dames dell’Oligocene medio del Vicentino ed ha ugualmente dei rapporti con il Dorocidaris petrocoriensis Lambert, da cui si distingue per le sue placche più basse con una minore zona miliare adambulacrale, per i suoi scrobicoli più sviluppati, e suttutto per la disposizione coniugata dei suoi pori. La specie in esame sarebbe vici- nissima al LZezocidaris subvenulosa Peron et Gauthier, ma quest’ultimo ha i suoi screbicoli elittici, circoudati da cerchi serobicolari più distinti, con gra- nuli più nettamente mammellonati. Il Cidaris Rohlfsi Wanner è un Dorocidaris e non ha i medesimi amba- lacri a pori coniugati. Località. Gebèl Hamra. 300 3 : G. CHECCHIA-RISPOLI Holectyjpus Nachtigali Krumbeck Sp. (Tav. I, Fig. 2-20) 1906-07 Discoidea Nachtigali Krumbech Bertriige eur Geolagie und Palacontologie von Tripolis (Paleontographica, vol. 53, pag. 86, Tav. VII, Fig: 3a- d). Dimensioni : Lunghezza Nun e e A A Larghezza . ; ì 5 i : 5 : ; : ; a > Tale Altezza. i O I i Echinide di piccole dimensioni, dal contorno circolare, con la faccia supe-. Tiore convessa, poco elevata e con la inferiore quasi pianeggiante e appro- fondita nella parte centrale, ove apresi il peristoma. Contorno arrotondato. Apparecchio apicale esteso, composto di cinque placche genitali, delle quali la madreporica è molto sviluppata ed occupa tutto il centro dell’apparecchio. Cinque pori genitali grandi e rotondi. Cinque placche ocellari piccole e munite di fori traversali. Zone porifere lineari, pochissimo infossate, composte di pori piccolissimi, rotondi, disposti a paia; molto avvicinati sulla faccia superiore è verso il con- torno e più distanti verso il peristoma. Aree ambulacrali strette, ornate di piccolissimi tubercoli, radi, i quali però verso il contorno sono più appariscenti ‘@ disposti in modo da formare quattro serie. Aree interambulacrali larghe circa due volte e mezzo quelle ambulacrali, anch’esse ornate di tubercoli, che verso l’ambito formano otto serie. Tutta la superficie è poi ornata di granuli finissimi. Peristoma circolare, relativamente piccolo e situato in una profonda depres- sione della fuecia inferiore. Periprocto grande, longitudinale, regolarmente ovale, nou appuntito alle due estremità e situato più vicino al peristoma che al margine posteriore. Rapporti e differenze. Questa specie ben caratterizzata, con piccolo peri- procto infero, uon può essere confusa con altre. Il Krumbeak l’ha riferita al genere SOPRA ALCUNI ECHINIDI DEL CRETACEO SUPERIORE DELLA TRIPOLITANIA ECC. 301 Discotdea, ma noi l’abbiamo riportata al genere ZHo/ectypus, perchè essa è si- curamente priva di setti interni, come abbiamo potuto assicurarci dall’esem- plare in esame. Località. Uadi Ururigh. Psendocatopygus Rohlfsi Krumbeck. sp. (Tav. I, Fig. 3-30) 1906-07 Calopygus Fohljsi Krumbeck. Beitrage zur Geologie und Palaeontologie von Tripolis. pag. 87, Tav. VII, Fig. 4a-d. Dimensioni: Lunghezza . È S : ; o o . i 3 È gio Dania IL] Larghezza . , È ; . ò o : 3 3 È ». 15,5 Altezza 3 È 5 5 È : 5 . È ; 1 } nilo Tra il materiale echinologico raccolto dal Cav. I. Sanfilippo abbondano gli esemplari di questa specie, il cui tipo è ragguardevole per la forma molto alta, ad apice subconico, con larghi petali e a periprocto subtrigono. L’esemplare da nci figurato corrisponde bene per la forma alla specie del Krumbeck, ma non per i petali, i quali sono più stretti. Ma noi crediamo che questa differenza sia da attribuirsi all’età dell’individuo. kupporti e differenze, Questa specie a motivo del periprocto subtrigono rientra piuttosto nel genere Pseudocatopygus Cottean et Gauthier. Località. Gebèl Hamra. î Pseudoca'opygus Sanfitippoi Checchia-Rispoli (Tav. I. Fig. 8-8c) Dimensioni: Lunghezza . È . È - ; 2 i È È È : mm. 42 Larghezza . . : - ; o 7 $ È x - - » 32 Altezza 5 i 1 . _ ; 5 ; ; ; È 7 » 35 302 G. CHECCHIA-RISPOLI Echinide di grandi dimensioni, dal guscio molto sottile, di forma regolar- mente ovalare, dai fianchi ripidi e strettamente arrotondati, leggermente ap- piattito verso l'apparecchio apicale, con la maggiore altezza nella metà poste- riore, subito dietro l'apparecchio apicale. Faccia inferiore leggermente appiat- tita verso il peristoma. Contorno regolarmento elittico. Apparcechio apicale centrale, esteso, monobasale. di forma pentagonale; i pori genitali, in numero di quattro, sono grandi, ovali: gli anteriori più av- vicinati dei posteriori. Ambulacri a forma di petali, snperficiali, leggermente aperti alla estremità. con la maggiore larghezza verso la metà della loro lunghezza, disuguali: i più corti sono i pari anteriori, che hanno le zone composte di circa 32 paia di pori; i più lunghi sono l’anteriore impari ed i posteriori pari, che anno 40 paia circa di pori per ogni zona. Zone porifere superficiali, composte di pori disposti a paia obliqui, con- giunti per mezzo di un solco stretto: gli interni sono rotondi, gli esterni vir- goliformi. Ogni paio è separato dall’altro da una costola stretta, piatta, ornata di tre tubercoletti od anche di quattro verso la maggiore larghezza della zona porifera. : Peristoma leggermente spostato anteriormente, di forma pentagonale, al- lungato longitudinalmente, circondato da una floscella ben appariscente. Presso la bocca le placche peristomiali interambulacrali si gonfiano, diventano turgide e sporgenti. I fillodi sono bene sviluppati. Periprocto situato sulla faccia posteriore, alla sommità di un’area stretta e leggermente depressa: questa depressione s’attenna nella parte inferiore per confondersi col resto del guscio. Esso è allungato longitudinalmente, sub- trigcno, molto appuntito superiormente e piccolo. Tutta la superfice è ricoperta uniformemente di piccolissimi tubercoli, profondamente scrobicolati, più avvicinati sulla faccia superiore che su quella inferiore; verso il contorno sono più piccoli e più stipati. Finissimi miliar ricoprono gli spazi intertubercolari. Fapporti e differenze. Abbiamo esaminati vari esemplari di questa forma, che a noi pare debba essere distinta dallo Psexdocafopgus Rohlfsi Krumbeck sp., coli quale ha certamente dei rapporti di somiglianza. Fra i caratteri distintivi tra queste due specie notiamo, oltre le diverse dimensioni, soprattutto la forma. Questa, nello P. Sarfilippoi è ovata, leggermente appiattita sopra e sotto e dal contorno regolarmente ellittico, allungato longitudinalmente; nello P. £ok/fs: la forma è conica ed appuntita superiormente ed il contorno è subpentagoanle SOPRA ALCUNI ECHINIDI DEL CRETACEO SUPERIORE DELLA TRIPOLITANIA ECC. 303 con la maggior larghezza nella metà posteriore, in corrispondenza degli in- terambulacri posteriori. Anche i petali sembrano più appuntiti nello P. PRoX)- st ed i tubercoli in quest'ultimo sono più grandi e più distanti fra di loro. Per la forma globulosa la specie in esame ricorda il C. /aevis di Mae- stricht, ma se ne distingue per la posizione meuo eccentrica del suo peristoma e sopratutto por la forma allungata di questo, che ne fa uno Prendocatopygus Accanto agli esemplari ora esaminati, che sono numerosi, ve ne è un altro che mostra la faccia inferiore molto piana, anzi loggermente depressa verso il peristoma, cha inviterebbe a farne una specie distinta, se non fosse in cattivo stato di conservazione, che non permette di fare una completa diagnosi. Località. Uadi Ururigh. Botriopygus tripotltanus Krumbeck sp. (Tav. I. Fio. 4=) ) 1906-07 Pygorhynchus tripolitanus Krumbeck. Brertrige zur Geologie und Palea- ontologie von Tripolis, pag. 89, Tav. VII. Fig. 5a-c. Dimensioni è È RARO RRZZA DA Lunghezza. i , . o ; - ; 3 7 apo 2 2 lo) Larghezza. È i : i È ; : . È io 06 Altezza —. ; 5 ‘ È È . 5 E ò Specie di piccole dimensioni, dal guscio poco elevato. poco più lungo che largo e con la maggiore larghezza verso il primo quarto posteriore. La faccia superiore è regolarmente arrotondata con la maggiore altezza verso la metà posteriore. Faccia inferiore abbastanza concava. Apparecchio apicale eccentrico in avanti, monobasale, pentagonale, con quattro pori piccolissimi di forma ovale. Ocellari piccolissimi. Ambulacri a forma di petali, superficiali, abbastanza aperti all’estremità; ‘inegualmente sviluppati: i posteriori più luughi degli anteriori, avendo ogni zona pporifera, nei primi circa 30 paia di pori, mentre nei secondi 24. 304 G. CHECCHIA-RISPOLI Pori piccolissimi, disposti a paia obliqui: tanto gli esterni che gli interni - sono circolari e debolmente coniugati. Î Zone porifere strette. Zone iuterporifere larghe due volte una porifera. Peristoma eccentrico in avanti; grande, pentagonale, allungato trasversal- mente. | Periprocto situato sulla faccia posteriore, longitudinale, di forma ovale. Superficie del guscio interamente ricoperta di piccoli tubercoli, profon- damente scrobicolati, essi sono più avvicinati sul contorno, che sulla faccia su-. periore ed inferiore. hai Rapporti e differenze. Questa piccola specie non è nè nn Pygorkynchus nè un Botriopygus tipico. Si sa infatti che i veri rygorkynchus, cioè quelli del Neocomiano, per i quali fu stabilito il genere da Agassiz, hanno il peristoma obliquo. Quanto ai falsi PygorZynchus, cioè quelli dei terreni terziari, per i quali il Lambert ha stabilito il genere P/agiopygus, essi sono Îcaratterizzati per il loro periprocto posteriore, ma sempre nettamente trasversale, ciò che non è per la nostra specie, il di cui periprocto corrisponde a quello di un Eckrarnthus. La specie in esame non è propriamente un £027/0pygus tipico; ma biso- gna riconoscere che la specie tripolina entra a far parte più di questo ge- nere che in qualunque altro, pur presentando dei rapporti evidenti con il . gruppo degli Asferobrissus del cretaceo superiore algero-tnuuisino. La specie Tripolina rammenta un poco /’Achkinanthus pumilus dello stesso livello (Cardita Beaumonti Beds), ma la forma indiana è provvista della zona sternale granulosa. Località. Uadi Ururigh. Globator Lamberti Checchia-Rispoli (Tav. I, Fig. 6-7 a) Dimensioni: [HI Lunghezza . A : 3 : . } - ; ° 3 mm. 45, 25 Larghezza . ; ; 5 - 3 - ; } 5 } > 139, 29 Altezza . , 7 : ; : . . - 7 3 ; > 30, 20 SOPRA ALCUNI ECHINIDI DEL CRETACEO SUPERIORE DELLA TRIPOLITANIA ECC. 305 Specie di medie dimensioni. subglobosa, dal contorno pentagonale. alquanto più lnnga, che larga, con la maggiore larghezza in corrispondenza degli ambulacri pari anteriori e con la maggiore altezza in corrispondenza dell’apparecchio api- cale; contorno molto arrontondato, faccia inferiore piana attorno al peristoma. Apparecchio apicale centrale, esteso. Esso è costituito da quattro placche genitali, di cui la madreporica è molto sviluppata, senza però che essa riesca ad attraversare tutto l’apparecchio. Pori genitali grandi e rotondi. Le ocellari sono pentagonali, le posteriori non sono contigne, ma separate da una placca intercalare. Pori ocellari allun- gati trasversalmente. Pori degli idrotremi bene sviluppati. Aree ambulacrali, leggermente sporgenti e molte strette. Zone porifere filiformi, diritte, che si continuano dall’apparecchio apicale sino al peristoma. Esse risultano composte di piccoli pori rotondi, non coniu- gati disposti a paia obliqui, regolarmente sovrapposti. Zone interporifere larghe. Peristoma un po’ eccentrico in avanti, quasi superficiale, obliquo, ellittico, subangoloso. Il periprocto, visibile in un altro esemplare (v. Tav. I, F. 7) è grande, ovale, longitudinale ed è posto sulcontorno,in parte cioè sulla faccia superiore ed in parte su quella inferiore. Tubercoli piccoli profondamente serobicolati. Negli interambulacri sono confusamente disposti e molto distanti sulla faccia superiore e più avvicinati sul contoruo e sulla faccia inferiore. Negli ambulacri costituiscono delle serie regolari in numero di 4 a 6, secondo gli individui, sempre però essi sono più avvicinati verso il contorno. ‘Eapporti e differenze. A causa della forma gonfia del peristoma molta obliquo, questi esemplari sembrano di dover essere riferiti più al genere Globator, che a qualsiasi altro. I Conzlus e le vere Pyrina hanno il loro peristoma assai regolare e provvisto di mascelle. Quanto alle Pseudopyrina queste sono più allungate. Località. Uadi Ururigh. 306 G. CHECCHIA-RISPOLI Hemiaster Sanfilippoi Checchia-Rispoli (Tav. I, Fig. 10-10b) Dimensioni: Lunghezza . Si ; 4 7 : : o o Larghezza . ; 5 È . 3 4 3 7 ; Altezza i : 7 5 ; 3 o ; ; c Guscio di piccole dimensioni, dal contorno ovale, largamente intaccato anteriormente, troncato posteriormeute, con la maggiore altezza dietro l’appa- recchio apicale. Apparecchio apicale subcentrale, bene sviluppato, stretto ed allungato tra- sversalmente, composto di 4 placche genitali, di cui la madreporica assume un graude sviluppo, con porijgraudi, rotondi emolto distanti fra di loro. Le ocellari in numero di cinque sono piccolissime. Solco impari larghissimo, che intacca largamente il contorno anteriore e si prolunga distinto sino al peristoma. Zoue porifere composte di piccoli pori disposti a paia distanti fra diloro; i pori sono separati fra di loro da nn granulo e situati in una piccola de- pressione, alla base della parete del solco. Zona interporifera larghissima e cosparsa di granuli. Ambulacri pari larghi, non molti profondi: gli anteriori molto più lunghi e molto pìù divergenti dei posteriori, leggermente aperti alle estremità. Zone porifere larghe, composte di pori stretti ed allungati, disposti a paia, in nu- mero di circa 28, negli ambalacri anteriori, di virca 20, nei posteriori. Zone interporifere più strette di una zona porifera. Interambulacri sporgenti e carenati: il posteriore impari è carenato più degli altri. Fasciola peripetalica stretta, che contorna da vicino i petali e inflettentesi debolmente in corrispondenza degli interambnlacrali. Essa è quasi nuda. VOR eRO) I AIIINARORENA it SOPRA ALCUNI ECHINIDI DFL CRETACEO SUPERIORE DELLA TRIPOLITANIA ECC. 307 Peristoma accentrico in avanti, reniforme, piccolo, con labbro sporgente. Periprocto posto in alto della faccia pesteriore, ovale, longitudinale, leg- germente appuntito superiormente. Placche inteorambulacrali turgide nel mezzo. Tubercoli piccoli e radi su tutta la faccia superiore, meno lungo le ca- rene irterambulacrali anteriori, ove sono grandi; più sviluppati e più avvici- nati sul contorno, più grandi e più distinti sulla faccia inferiore e sul plastron, dove sono seriati, Le zone ambulacrali sono nude. Rapporti e differenze. Questo Hemiasier per quanto vicino all’H. chargen- sts Wanner, all’H. follandi Gauthier ed all’. asperatus Gauthier, non può essere confuso con alcuna di queste specie. L'H. Fourzeli ha i suoi petali posteriori più lunghi ed i pori dell’impari più stretti. L’/. Bram Per. et Gauthier ha i suoi petali anteriori pari meno divergenti, più flessuosi ed il suo apice più eccen- trico in avanti. Località. Gebèl Tahr. Hemiaster sd. ind. (Tav. I, Fig. 9-90) Dimensioni : Lunghezza . 5 . : ; i : 6 3 : o : mm. 25 Larghezza . 5 6 . s : 3 , Ò : ° » 24 Altezza } ) : : i 3 ; : 7 È ; ; » 20 Tra il materiale echinologico raccolto dal Sanfilippo, oltre a varî altri echinidi apparterenti a differenti generi, ma specificamente indetermivabili per il loro stato di conservazione, esiste un gran numero di Herzaster, i quali pur appartenenti a differenti specie, non si prestano ad una illustrazione completa per lo stato in cui si trovano. Tra questi noi siamo riusciti a separarne alcuni che sono riferibili ad un'unica specie, e che sono meglio conservati, e che noi illustreremo, senza dare però ad essi un nome specifico, nella speranza che altri più fortunati di noi possa riuscire ad avere tra le mani un materiale meglio conservato e studiarlo quindi più completamente. fianchi ripidi, troncato posteriormente. L'apparecchio apicale è spostato in di arrivare al margine anteriore. composte di pori allungati appaiati e separati da costole strette e eranulo interporifere più strette di una porifera. prunella Desor e P. Aubert Gauthicr, ma non appartiene ad alcu queste specie. i 93) G. CHECCHIA-RISPOLI Questi Pemzaster hanno un guscio di forma gonfia, snbglobulos Il solco impari è poco largo e poco profondo e svanisce del tutto Gli ambulacri anteriori sono flessuosi, poco profondi. Zone porifei Fasciola peiripetalica larga e nuda. Peristoma spostato avanti e mal conservato. (SERI Periprocto situato in alto della faccia posteriore. Tubercoli come nella specie precedente. Rapporti e differenze. Questo Hemiaster è di forma subglobosa, cc Località. Gebèl Tahr. «TAVOLA I "RES RCA DE VPUZIORZIL ER 310 G. CHECCHIA-RISPOLA Spiegazione della Tavola I. (1) Fig. 1 Zerocidaris sp. ind. Grand. nat. Lor. Gebèl Hamra. » 2-20 Holechtypus Nachtigali Krumbeck sp. Gr. nat. Fig. 2) visto superior- mente; Fig. 24) visto inferiormente; Fig. 20) ap- parecchio apicale molto ingrandito. Zoc. Uadi Urnrìgh. » 3-50 Pseudocatopygus Rohlfsi Krumb. sp. Gr. nat. Fig. 3) visto super; Fig. 3a) visto infer; Fig. 32) visto poster. Loc. Gebèl Hamra. 4-4b Botriopygus tripolitanus Krumb. sp. Gr. nat. Fig. 4) visto super; Fig. 4a) visto infer; Fig. 40) visto post. Loc. Uadi 4 Ururìigh. » 5-54 » >» Esempl. più piccolo. Gr. nat. Fig. 5) visto super; Fig. 5a) apparecchio apicale molto ingr. Loc. Uadi Ururìgbh. » 6-60 G/obator Lamberti Ch.-Risp. Gr. nat. Fig. 6) visto super; Fig. 64) visto infer; Fig. 60) profilo dello stesso. Loc. Uadi Uru- rìgh. » 7-la » » Esempl., più grande. Gr. nat. Fig. 7) visto super.; Fig. 7a) apparecchio apicale dello stesso molto ingr. Loc. Uadi Ururìgh. 8-8c Pseudocatopygas Sanfilippoi Ch.-Risv. Gr. nat. Fig. 8) visto super.; Fig. 8a) visto infer.; Fig. 80) visto poster.; Fig. 8c) apparecchio apicale dello stesso molto ingr. Loc. Uadi Urorìgh. » 9-90 Hemiaste» sp. ind. Gr. nat. Fig. 9) visto super.; Fig. 94) profilo dello stesso; Fig. 92) apparecchio apicale dello stesso molto ingr. Zoc. Gebèl Tahr. -100 Hemiaster Sanfilippoi Ch.-Risp. Gr. nat. Fig. 10) visto super; Fig. 100) profilo dello stesso; Fig. 100) apparecchio apicale dello stesso molto ingr. Zoc. Gebèl Tahr. Y LI Y (1) Il materiale illustrato in questa Nota si conserva nelle collezioni paleontologiche dell’I- stituto Geologico dell’Università di Palermo. Tavole All FOTOT. DITTA MARZARI - SCHIO s\° IstITUTO D'IGIENE DELLA R. UNIvERSITÀ DI PALERMO DIRETTO DAL PRoFr. L. MANFREDI Stu io sulle acque che alimentano la città di Palermo PROF. E. CAR\PELLE UFFICIALE SANITARIO Il lavoro presentato dal Carapelle si divide in tre parti. Nella prima l’A. dimostra la importanza che hanno le acque uella diffu- sione delle malattie infettive del tubo gastro-intestinale, e si propone l’esame delle condizioni di Palermo in ordine alla qualità e quantità delle sue aque po- tabili. Dal punto di vista della quantità: Analizza i dati riferiti dal Castiglia e dal Rotigliano confrontandoli con quelli raccolti personalmente e viene alla conclusione che effettivamente le acque dell’agro Palermitano, escluse quelle di Scillato, sarebbero state insnf- ficienti all’alimentazione idrica della città; dal punto di vista della qualità: e- spone tutti i giudizi formulati sn di esse ora in base a criteri analitici, ora in base a criteri orologici, che furono oggetto di varie pubblicazioni e discussio- ni dal 1878 al 1911, e trovando ora gli uni, ora gli altri troppo unilaterali, si propone lo studio complessivo di essi al fine di essere più sicuro nel formu- lare il giudizio finale. Nella parte seconda l’A. incomincia col descrivere le sorgenti di Scillato dando intorno ad esse un cumulo di notizie importantissime riferentesi alla struttura orologica del bacino imbrifero, al volume delle acque, alle analisi «di esse, alla descrizione sommaria dell’acquedotto e della conduttura cittadina. Passa quindi all’esame delle sorgenti dell’agro Palermitano premettendo 312 E. CARAPELLE un’ampia esposizione sulla natura del vasto bacino imbrifero limitato dai montf che circondano la coaca d’oro e rileva specialmente il carattere important che assume l’idrografia sotterranea di questa regione appunto per le pone sue condizioni orografiche e geologiche. L’A. così si esprime: . La corona di monti descritta che circonda la piana di Palermo e le ca nel bacino in quistione. A prescindere dalle sorgenti artificiali che nn po’ dapertutto, in città. nelle campagne, si rinvengono mediante lo scavo dei pozzi e che vengono prin palmente utilizzate a scopo irriguo (acque freatiche della campagna palermi- È tana) o per lo scopo deplorevole di smaltirvi le acque nere (acque freatiche © dei nuovi quartieri a N. della Città), le sorgenti propriamente dette o sorgenti — naturali si possono comprendere nei seguenti tipi: 1) Sorgenti d'affioramento, quelle cioè che scaturiscono alla Sposi per la vicinanza del terreno superficiale all’assisa impermeabile. 2) Sorgenti di contatto, quelle affioranti sulla roccia permeabile per e- rosioni naturali del bacino. co Se 8) Sorgenti a sfioratore, quelle che si manifestano al contatto del calcari permeabili con le argille impermeabili. Si desnme facilmente da quanto si è detto che tra tutte le numerose sor- genti affioranti nel bacino di Palermo, quelle che danno maggiore affidamento dal punto di vista delle loro salubrità sono le sorgenti montane o quelle di contatto che si manifestano sui fianchi dei declivii montani o quelle a sfiora- tore che spuntano per la messa in carico di acque profonde. Sono da consi derarsi come acque sospette tutte quelle, che sono pur troppo il maggior nuu- mero, che spuntano a valle, a grande distanza del pavimento imbrifero: esse appartengono quasi sempre a falde freatiche che scorrono a poca profondità dai terreni superficiali e sono pertanto per natura loro incorregibili. Quello iù STUDIO SULLE ACQUE CHE ALIMENTANO LA CITTÀ DI PALERMO 313 che noi diciamo è del resto d’accordo con il progetto altra volta disensso a Palermo nel campo tecnico, di intercettare cioò le acque vallive con digbe in- testate nel perimetro imbrifero, progetto che se da un lato sembrò e fn rea- lizzabile per lo spostamento di grandi e complicati interessi privati che arre- cava, veniva però a risolvere come meglio non si poteva fare il problema dell’alimentazione idrica di Palermo e l’altro non meno grave e tuttavia in- combente del risanamento del sottosnolo cittadino. L'A. ha voluto mettere in evidenza la forma del bacino imbrifero di Pa- lermo, tracciando i profili altimetrici dei monti che circondano la piana in quistione e segnando gli affioramenti d’acqua utilizzati a scopo potabile. Dal disegno riprodotto nella tav. annessa alla memoria originale appare chiaramen- te come purtroppo la maggior parte delle sorgenti affiorino a distanza del pe- rimetro imbrifero. Si passa quindi alla illustrazione sistematica delle così dette acque basse interne, cosa fin ora ancora non fatta poichè i vari autori si sono sempre oc- ‘cupati solo di alcune di esse e si viene alla descrizione delle sorgenti che in atto alimentano la città, descrizione che vale la pena riferire integralmente poichè essa ci dà agio di stabilire la pianta idrografica della nostra città. Le sorgenti vengono divese in 4 gruppi: 1. Gruppo delle acque di S. Ciro 2. » » della Grazia Di » >» del Gabriele 4. » » Nord-Ovest di Palermo GRUPPO DELLE ACQUE DI SAN CIRO Queste sorgenti si originano alle falde del Monte Grifone sotto lo spe- rone di S. Ciro. Scaturiscono da un denudamento della roccia la cui descri- zione geologica ho già premessa. Però, mentre la sorgente Bonanno Tortorici ai Ciaculli è sufficientemente ben capitata, quella di Mare dolce resta scoperta, abbandonata ad uso irriguo, e tagliata in due dalla strada che conduce ai Ciacnlli. 314 E CARAPELLE ; Una polla isolata di quest’ultimo affioramento, sita proprio di fr cancello o del fondo Nivolini di proprietà del Sig. Conti, è convogliata Jermo ad uso potabile dal Sig. Lauriano. È Dil ii est di SEI sorgiva ve ne è nu’altra AT dai delle lame ie e per la diiumonione della resa provocata dall'impi macchine idrovere in tutta la contrada. ex Chiara, Borea, Imperatore, Gui Maurigi, ca Sani Spirito e Lo Vecchio. 1 GRUPPO DELLE SORGENTI DEL GABRIELE Quoso gruppo di SUL le ho chiamate del Gabriele dallo sono costituite da due falde ilo le quali dauno i loro primi affiorame l’nno sul Nonte Cuccio in contrada Paradiso, l’altro alle falde del Monte Sera Le due falde idriche formano così le due branche di una ipsilon che si c giungono verso via Altarello e nel cui mezzo è l’abitato di Boccad là STUDIO SULLE ACQUE CHE ALIMENTANO LA CITTÀ DI PALERMO 315 in massima parte a scopo potabile, e da Danisinni continuano ancora com scopo di bevanda nella branca destra dell’y sì notano la sorgente Schiera e Tocchetto di Baida (alla collinetta di S. Isidoro), mentre nella branca si- istra voluminosissima sono le sorgenti Gabriele, Cuba, Nixio (sorgenti Ga- br ele propriamente dette), le sorgenti Guccia-Campofranco, Archirafi, Gesui- di i Alto e Gesnitico Basso, la sorgente Scozzari Daniele (puuto approssimato congiunzione delle due lame idriche) le sorgenti Trasselli, Florio, Bova, nabene e Santonocito, Airoldi La Rosa. :DPPO DELLE ACQUE DEI MONTI A NORD-OVEST DI PALERMO Da questo versante ad uso potabile abbiamo l’acqua Bova ex Amato che e convogliata in Palermo per differenza di livello, le acque Napolitane, nacchine e distribuiscono acqua nelle contrade suburbane : Resutana, S. Lorenzo, Pallaviciuo, Tommaso-Natale; e l’acqua Sferracavallo che affiora a piè di una _ Alla descrizione delle sorgenti LA. fa seguire una massa importante di i analitici dai quali scaturiscono i seguenti risultati: ses volume delle acque che scaturisce intorno Palermo perciò: approssima- amente si può calcolare a litri a secondo. — 104,520 per il gruppo delle acque di S. Ciro È 137,415 >; » » » della Grazia 179318 | » » del Gabriele E ) proveniente dai monti a nord-ovest di Palermo | Totale litri 551,208. | Come vedesi una quantità che, se anche dovesse ridursi solo a 400 litri a secondo, è sempre considerevole e costituisce uno dei maggiori pregi di | questa bella città. Queste acque, insieme a quelle di Scillato, indiscntibilmente ‘assicurano un cubo giornaliero sufficiente per ciascun abitante. È: Dal punto di vista chimico sono acque contenenti discreta quantità di cloro, 316 E. CARAPFLLE i relativamente molti nitrati e sostanze organiche, alcune contengono dell'am- moniaca e dei nitriti, la durezza non è in media eccessiva, ed il residuo soli rasenta spesso i limiti di tolleranza. Facendo la tara per quanto riguarda ammoniaca, nitriti, sostanze orga che e in parte cloro, dovuto alla trascuraggine con la quale buona | delle sorgive sono mantenute, non si può dire sono delle ottime acque potabili, ma neanche di quelle disprezzabili. i | i La temperatura oscillaute tra 16-17 gradi non pisani certc ria ma bisogna pur considerare, col Castiglia, che le scaturiggini sono in poco elevati ed in una regione ove sulla media di 30 anni (dal 1879 al: si ha una Zion oscillante tra sr e 1,9 n media: 17,2 (DE contrib ve n’è che sono buone anche in questo senso. Di modo che, tutto sommato, concordando il criterio geologico con qu chimico e batieriologico, messe le sorgenti nelle dovute condizioni, io sarei più ricchezza, utile al suo incremento economico sociale, senza avere prima con attenta disanima sceverato il buono dal cattivo. E ciò VA. fa servendosi dei criteri geologici, i soli che restano per potere tentare la soluzione del problema. — Nella parte terza l’antore passa in rassegna il sistema di conduttura ed erogazione rilevando tutti gli inconvenienti delle condutture in argilla e del sistema dei castelletti dimostrando in base ad analisi quali pericoli questi. DS timi costituiscono dal punto di vista della igiene. ; È Per quanto concerne la erogazione l’A. illustra il sistema dei serbatoi do mestici usati in Palermo rilevando come in essi l’acqua: aumenta di tempe- ratura, si carica di sostanze vrganiche, cloro, ammoniaca, nitriti e di germi i specialmente appartenenti alla classe dei fondenti la gelatina. x Infine dà una chiara esposizione del come si esercita in Palermo a x del fontaniere, ed espone le basi su cni deve fondarsi la riforma tecnica amministrativa dei corsi di acqua palermitani. (1) Perrone — Carta idrografica della Sicilia-Roma. STUDIO SULLE ACQUE CHE ALIMENTANO LA CITTÀ DI PALERMO 317 Le conclusioni in cui giunge lA. sono le segnenti: Per quantità di acqua Palermo è ben provvista. Per qualità bisogna distin- guere: vi sono delle sorgenti sulla cui potabilità vi ha dubbio, altre che do- vrebbero essere ancora studiate meglio, altre infine che devonsi ritenere mon potabili. Per le sorgenti le cui acque si riconoscono potabili devonsi ammettere al consumo solo dopo eseguita una razionale captazione a norma dell’igiene e dell’idraulica moderna. Per il sistema di conduttura e di erogazione la città di Palermu, seguendo i progressi ottenuti in altri capoluoghi non meno importanti, deve abolire il sistema dei castelletti e riunire le acque in appositi serbatoi convogliandole in «conduttura forzata. Nè l’ostruzienismo dei fontanieri abituati a vendere più di quello che ef- fettivamente gabellano deve formare ostacolo alla geniale idea di un consorzio (1) tra i proprietari di acque con la divisione degli ntili a norma della quantità consegnata al serbatoio. Il sistema a contatore poi dovrà assolutamente essere imposto come l’uni- «< A po n ja fa = j VE Me RAI ANZIIOIA (PR E) (Cal NINZARG AR, n ay NU (_V—W_S A, | n, I; TS lan aa \ (È fa i É J do È a —_ = Po i / Ya x = a a p& Se pa a RIA —- Ai al e (DIA AAAL = Rag ff - è (aa |a “| P E = ” —_ pi BRAEBERZARAIÀ AARGKk4/A4/74/5 (DR a, ne A pra ft PE ne ra pr a fi Ve fe lam); / | lam Vian] f n Pavia Là e N — ES Via Va aaa lalla I I DA SI AZZ AAA nm AA (N AA NERE (alal =, BREE ARA BERERAA alal MA n RA | | | ca ARAARARAAR Pa Leal aa PVI sa PA (mA AAA a A A AA N 22 DES pe nella! PERPES) AAA a ENENESI NY 2 (A Aa aaa x S \ gr Ì VON I I) Sa eV ii (= SI ZERI SS AIA PRNPNENENEN) AREAS "a ERE ZARA ) NIEONNIENIO a. i e Vea \ Pam Via.) \ Were I, Wan Wa VA ARR ARENA ORSI lea ANZI "RIRERE FRESA NENA, % N i al \ A RI fa n na Rena 2 RRPTCA ZARA REA AAA NE (SY ARA 9 N Ar ) NN (e eve IO ti) Aa alelalaa PA Pa y ANMRAIIII y A AZ I DE \AVAIYE n PENIENTA PRRRAZASSARIRERÀ anna IN AAA AARAARAZAA IE ZI N ia SsZZA seal gra al, \ VR A AARZARI i ì \l Lo A ZIE ARA ANA ARA CI Ro im è) ZI > N UP= na 1 VER ON Wie SSA ì | AR AR [Pea SERA à LITTA 3 9088 01