' DEBRECEN SAS olmo a suda raga 6 Ù . - PENTITI] aa ‘ #00 cena ' el.4 ‘ . È A i Ù ' sab (ao li sd : * OR «ra ni del t . LU sana 4 eee i nda TO "o va “ rem ‘ ‘ ‘ to dé Ù 1 Pas a ' ta Li ‘ LL alii oa } ve CASE AAZIALI «4 s09 va 144% RARI, . anqordeng.i . 390 î vive rag BOC ‘ ’ du i È sce PUNTI CAI) Î vata du 00 “" [ i » ULI UNA [ (WI alrivi 8 0 HA \ nea Y stbi } ' i ' i ‘ pi) ' i] ‘ . ù 4 ) pui n hi prola g LITE DI dala x [ ‘ Vidi Ù DACI ve LAI a RMUTENI IA ERI l'iari carnib grani î i vii balla 1) wi ‘ rai vicla'he #. ANGOLO qui 4 A si evi PIOTI 1° 4° aa sodi ve é cado vii Va A Vi'aguba nota »i Pa ì o i ARENA UL La PORT LEI hi wire ali Non E ’ È BECCO da ’ A si Magecnar 0] Me Ù stia PET INCI ] der 061 vi CAVNRC SCAN ve. » a ’ dint) ‘ &» alt TOC sv ‘a ARI ‘ ' veda i e 74 ' ngi é Vea ' LI D) CI . aus ' . eil sù : ‘ CIO wa ns éw è. IIOTO, apra passati ‘ Ù Ci III " Vai rasa 6 +0 dei Sup x PIE Pt SAI ZII . teo . * ROCCO DIONOEIANO "i a "a ot) . Ù ‘ ' "» A x A A ba . vi . . sa “ é a . x a * ret È Ù a È MET venale Ù i Ù ky a anna » ’ . . » . DEI i Va. sla nd e 0 ' N00 Ae x l ; a bretoe RENT) n 9 posa ga da % .* MO È de A se ° i i , "» INTO . . o . * “ . .» » 4 A 4. ee AAA pos ren « . + se se «ei vai D0 . A PE va . e. .evon do. x p la +; 00600 P i è . DOO * sa NOOO È È i ? een ; RIMODO0O ì vi mete ' Ù : . ‘0° - »- Ù Ò A NETTO Ù dh " (ae . è Wreint i DIET na vi . . . sio ehy ‘ x * - e % “ eu ie IC) : Ù * . , i . *.* ‘ RO . sad sognigoi 81 a DI, Fo do» * 7 ’ sapete oi si) sr Voda ta * è ' a METETT) «el COLLZIO i 4 A : : sue Vatea tie . - . dans spie ae . . È ; Ù ' s . 1 a CI ' À A i Had» p06 ‘ ' se #° è % Ù ar pi 0° "» : ’ . l a "a ,o . " va q *ms0 : A À » A "e È A ° A sa strado r4 Ù > ‘ ae 1a e, 4 , do ‘ vi ' ' hg k Gi e s* ’ ù podi % vo» \ ° uit ‘ . A i #1» Ù è ni ' LAS ' , * . na” n v ‘ . . Pi ’ Ù + xd si l dre wi i <«.% È RAZR da awe 1-4 . A vm. è \ . y bi : opero 10 + 5 dp, 4° fa LARINNI, “08 i "* . La è, * Ù » A via ‘ . » pa na (Cad p ph #s * Ù . x ‘ vi ' Ù RANDIp0s Pai E i ' è ’ A id CC n Ù x : ’ ‘ ; ' N x . ' . N ul 4 iù n . peas A e 3 ' à ' ; . - ‘ : A x ‘ ‘ 4 : Re api * ‘ . neriat è ' . : ' o die si . . ea i i 4 "va » ‘ e ù x è ’ Ù x \ » rv d ù Ù mì ” ’ di ' n "e n x tras ‘ ’ . a ; n . Land i UP PA ‘ ' a ‘ ida i dl Da TT +. Ù aus i da ne ‘'sà ® 1094 " nà #4 PTT ne» sd +. rad oc er Mi di è 6 TIC tav. #* ve x s n sv ' stia sasa -. n “as (i vip i a ‘ î x Ù opa Vida i ve . . . DICONO, varda vos e appare i « e ' , A deri IAN » u9 . i x li PET (EINE PET ’ . si Feet 1 sad ". Ò 4 i è qui io at Ù ‘ ' e AA toa "a SIL] î nd p Nr DEAL, sor i : as ” î a RICO »’ UL ‘ i feibas È di . : v ws 80 . U È : p dpr icca ‘ . È fi vi ds DIRLA . ‘ “. . ’ LI Jia 4 nd Ù . ‘ ‘ sera "o . “ J ' : uuifa è A a TI vas - de x AV A . . previene . PA . b DIC, i TACCO ear PRETI, sit PI , Tide * ‘ Ù . li si o paso CO . en a a Aa LT vas gie i ' ' a Vas = a i an » “ ‘ * da tori Ù . ‘ + ni a dA Di) ul È ‘ ROBCTI ETRO Ù a hi ul i À MO TO . ul sa nea Leu a | ' " vu; NO Ù «bi "e CO sa » «00 Va “ f ACC N a» . ' . . .. ‘è . MISE AOCICILIACALI THE FIELD MUSEUM LI LL MINA 5711 00016 6349 GIORNALE DI SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE GIORNALE DI — Sani VITTI E) EUMNONICN PUBBLICATO — PER CURA DELLA SOCIETÀ DI SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE DI PALERMO | (Vol. XXXIII, anni 1921-1922-1923) 62435 PALERMO SOUOLA TIP. « BOCCONE DEL POVERO » 1923 INDICE GENERALE: | DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XXXIII Anni 1921-1922-1923 Regolamento della Società A La 6 6 ò ; na 1 Norme per la stampa di memorie ed articoli nel Giornale della Società Elenco dei soci a 1° gennaio 1923 . o PARTE I Commemorazioni Per la morte di Antonino Borzì, Presidente della Società Er Merenda — Saluto alla salma di Antonino Borzì, il XXII settembre MCMXXI, nella Piazza della Stazione Centrale, pria che la salma s'avviasse per Messina S. Di Marzo — Parole dette nell’aula magna della R. Università, il 13 novem- bre 1921, commemorandosi Antonino Borzì . ; 7 o Ò 0 D. Lanza — Discorso letto nella stessa occasione . Per la morte di Mariano Gemmellaro, Vice Segretario della Società. F. Cipolla — Commemorazione di Mariano Gemmellaro, letta nell’adunanza del 30 dicembre 1921 7 : A : b E x a 3 PARTE II Memorie scientifiche P. Merenda — Della continnità dei pubblici servizi M. Gemmellaro — Il trias nei dintorni di Palermo P. Merenda — Le società cooperative di produzione O. Minéo — Nuovi studi sulla rifrazione atmosferica in Sicilia Maria C. La Rosa — Il coefficiente di temperatura nell’elasticità di torsione : determinazione di alta. precisione fatta sopra un filo di nikel . o È A. Sellerio —Il problema delle zone di silenzio . ? . c siriessrasianeosi sittertarcsige. «È nia 2a] carpe sab case F sa F Tai Linsgriat:s ti. Liussnia fi -i6%8 aula aegezi a setole, var stagno atea PPATTTA RICA risdept pres storia tria => SER): ; ________——_—____________..___1____t1.........- I III“ “E TIKI K KTW. WI .Th}I 0 OT RR OT Io tito MR RKGOLAMENTO 7 DELLA sippiit ani SOCIETA" DI SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE DI PALERMO (APPROVATO NELLA SEDUTA DEGLI 8 orTOBRE 1883) Art. 1.—Il Consiglio di Perfezionamento, creato con RK. Decreto del 2 nov. 1864, in luogo e vece del R. Istituto d’Incoraggiamento per la Sicilia, assume da ora avanti il nomé di Società di Scienze Naturali ed Economiche. Là Società intendérà all'incremento ed alla diffusione delle Scienze ma- tematiche, naturali ed economiche, e delle loro applicazioni all’ agricoltura ed alle arti. ‘Art. 2.— A tal fine nelle sue adunanze si farà lettura e discussione delle ‘memorie che saranno presentate. “Att. 3.— Farà, per ‘mezzo dei suoi soci, conferenze e letture pubbliche sopra argomenti delle scienze e delle applicazioni cui essa intende. ‘Art. 4. — Pubblicherà per le stampe i suoi proprii lavori, con'un perio- dico di cui stabilirà il programma particolare. Att. 5. — Sulla richiesta delle autorità governative, provinciali e comu- nali, dietro deliberazione affermativa della Società, potrà incaricarsi : e a) di fornire alle cennate autorità le informazioni ed i pareri che le saranuo richiesti; ‘ 5) di bandire concorsi a premi d’incoraggiamento, e distribuire i premi che saranno promessi per le materie di cui si occupa la Società. © ‘Art. 6. — Potrà incaricarsi altresì di concorsi stabiliti da privati, purchè i premi siano consegnati prima della pubblicazione del concorso. VIII IO DELLA SOCIETÀ DI SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE “Euttalne: na PAIICIE F-AE TRAP RtTI Parte organica della Società Art. 7.- La Società, avrà tre pedjni di, sogi; : ordinari, corrispondenti ed emeriti. Art, 8.— I soci ordinari dovranno risedere in Palermo, ed il loro numero è fissato {a 21 ; dèi;co rispo denti; {ire denti \noù, tranho superare: il ‘nu- RL RETE di tan ha ita è Peio Ri ue i UG Il numero di soci emeriti/è ancl’esso .illimitato. Art. 9. — La Società avrà nu Presidente, un Vice-Presidente, un Segre- ira:/ Mn Ah 4631 tario, un Vice- -Segretario ed un Mesprigre, ‘che saranno og fra i socii. ordinarii ed emeriti residenti, per un biennio, e potranno essere rieletti. ‘ I 3 cfr 1 E ° ° _ 1] i PELLI soli co pigpissa (Ei (isa bin) Riunioni: 10950 dla sotdsiotito 3 AÉ Ì asness siliajo, KT ge ornaicig ga walt oiotia bl Aran Gara ada) i. 34) Art..10,—.La Società, terrà, sellute generali, pubbliche o) straordinarie. i 1 La, seduta generale, avrà luogo nel mese di dicembre ; in essa si renderà CNSEZI adibil conto, di quanto fu fatto, nell'annata; precedente, e si discuterà il piano ge- uerale dei nuovi lavori e studi da trattarsi. ia RIA ivi Dal. dicembre a, tutto; giugno, la, Società terrà una seduta pubblica ad ogni seconda domenica del mese, ove verranno lette le memorie presentate (FERRI) dai; socii, ed, altre comunicazioni scieutifiche importanti, e ne sarà pubblicato un resoconto, in forma, di, Bollettino della, Società. | _.,, DI) FEAGI Sabtisto Potbosto L'ifi & jriti, ide, sedute; ordinarie, e, straordinarie , private siga fissate dal Presi- i etdolifstii dente, a norma del bisogno. .ufentae sona iv Aa CRI LI 1 bA:E] S;idbigiai PALLI! bi gasidiitig;nre brt.s dio d,p;if srncAtit.i hay Perché, uDa,I innione,,s ia, legale, in prima. convocazione è ne- cessario;.che, sia, presente la, maggioranza, dei, 21, socii ordinarii presenti,” in Palermo; in,seconda, convocazione le deliberazioni : saranno valide qualunque sia il numero dei soci presenti. slider biada th pi diko im Arta lau s0cì, corrispondenti non avranno voto quando. si, tratti del- AVEITI CIO IEIISE NC) Di pe 1651 l'elezione dj. ,spgii di, qualangue ordine, e della elezione dei fanzionarii.. tibt dt IIS sooh, s0gli Jemeriti, Avranno, voto come i socii o l gua tranne.che nella scelta 19% SA dei socii, a qualunaue, classe essi, Anparienzon O, REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ DI SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE TX Art. 13.-- Le votazioni si faranno per alzata e seduta, meno quando si tratti di questione personale, nel qual caso si faranno a voti segreti. Art. 14. — Ogni socio, per pubblicare lavori nel Giornale, dovrà prima presentarli alla Società, la quale ne approverà subito la stampa, ovvero potrà affidare lo esame ad una apposita Commissione, per riferiene in altra seduta. Art. 15. — Nel Giornale della Società possono pure pubblicarsi degli ar- ticoli di non soci, purchè siano presentati da un socio ordinario, ed appro- vati da una apposita Commissione. Funzioni delle cariche Art. 16. — Il Presidente veglia all'esecuzione del regolamento, sottoscrive gli atti accademici, la corrispondenza colle autorità costituite ed i privati, ed i mandati di pagamento. Art. 17.-- Il Vice-Presidente sostituisce il Presidente ogni qualvolta questo è assente o impedito ; in mancanza anche del Vice Presidente, fun- zionerà il più anziano dei soci. i Art. 18.— Il Segretario compilerà i verbali, la corrispondenza; contras- segnerà le relazioni e tutti gli atti accademici; sopraintenderà alla pubbli- cazione del Giornale e del Bollettino; terrà in consegna archivio e biblioteca, e, nella prima tornata di ogni anno, leggerà un rapporto col quale darà conto di tutti i lavori accademici dell’anno precedente, e questa lettura sarà pubblicata. Art. 19. Il Vice-Segretario farà le veci del Segretario in caso della sua asseuza: mancando anche il Vice-Segretario, funzionerà il socio più gio- vane dei presenti. Elezioni Art. 20. — I soci ordinari saranno scelti tra i corrispondenti residenti. La elezione dei soci ordinari e corrispondenti sarà preceduta da invito speciale del Presidente a tutti i soci ordinari, e sarà fatta in due tornate. Nella prima tornata si comporrà per ciascun posto vacante una lista di candidati, nella quale saranno compresi i nomi di quelle persone che nella votazione hanno riportato tre voti almeno. suletii: > SATA NE vo ur e ta + Alda X REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ DI SCIENZE NATURAL! ED ECONOMICHE Questa votazione sarà fatta a schede segrete. Nella tornata successiva tutti i nomi della lista dei candidati saranno sottoposti alla votazione segreta, un dopo l’altro, nell’ordine dei nuumeri ottenuti nella prima votazione, e, nel caso di parità di voti, la sorte deciderà sull'ordine da adottarsi. Perchè un candidato possa venir eletto al posto vacante, dovrà ottenere “e la maggioranza assoluta, che non sia minore di otto voti; e, tra coloro che 3 3 l’avranpo ottenuta, s'intenderà eletto colui, che avrà riunito il maggior nu- $ SE mero di voti. È i La parità sarà risoluta con una seconda votazione, e, nel caso che la o È i parità si ripetesse, resterà eletto l'anziano di nomina, e in pari data di no- | mina l’anziano di età. 3 Non conseguendosi da alcun candidato il numero dei voti necessario, si 9 procederà ad una nuova nomina, con le formalità dianzi accennate, dopo tra- scorso il termine di tre mesi dal giorno della seconda votazione. Art. 21.— La elezione dei soci corrispondenti non residenti sarà fatta E nel seguente modo : i 5 In una tornata ne sarà fatta la proposta almeno da tre soci, accompa- gnata da un rapporto sopra i titoli del candidato, il quale rapporto sarà - consegnato al Presidente; SPA ( I 7 In un’altra tornata il nome del candidato sarà sottomesso alla votazione. Art. 22. — Potranno essere dichiarati soci emeriti i soci ordinari, che, per età o per salute, per occupazioni estranee, o per altri motivi non potessero ù adempire agli obblighi loro imposti. A Art. 23-—- La elezione del Presidente si farà per mezzo di schede segrete O ciascuna contenente un solo nome. S'intenderà eletto colui che avrà riportato la maggioranza assoluta. è: Nel caso che nessuno abbia raggiunto la maggioranza, avrà luogo un | ‘ secondo squittino, nel quale sì voterà sui soli due nomi, che hanno riunito il maggior numero dei sufiragi. 28 Colle stesse norme sarà fatta la elezione del Vice-Presidente, del Segre- da tario, del Vice-Segretario, e del Tesoriere. = Tali elezioni saranno fatte di regola nel mese di dicembre. Se, per ri- - z 4 de) nio, gli eletti dovranno durare in Ufficio pel tempo stesso, che rimaneva ai funzionari cui vengono sostituiti. Obblighi dei Soci Art. 24. — Sarà preciso obbligo di ogni socio ordinario d’intervenire nelle tornate periodiche della Società. I soci ordinari, che per un intero anno non sono intervenuti alle riunioni senza aver notificato l’assenza alla Società, saranno, sopra proposta del Pre- sidente, passati a soci emeriti, se la loro nomina a soci ordinari data da più di 10 anni; in caso diverso l’assenza prolungata sarà considerata come ri- nunzia al posto accademico. Fondi ed amministrazione Art. 25. — Le spese occorrenti saranno fatte sui fondi assegnati dallo Stato, Provincia e Comune, e dai privati. Art. 26.— La Società voterà annualmente il proprio bilancio. Art. 27. — L'esercizio finanziario di ciascun anno si protrae per la liqui- dazione sino a tutto febbraio dell’anno susseguente, nel qual mese il Pre- sidente presenterà il conto morale dell’ esercizio precedente, accompagnato dal couto finanziario del Tesoriere. La Società, dopo Vesame di una Commissione, discuterà ed approvverà il conto. Art: 28. — Il Tesoriere incasserà i fonai assegnati al mantenimento della Società, e li verserà in una madre-fede apposita, o li terrà a conto corrente presso la Cassa di risparmio. Pagherà i mandati a firma del Presidente. Giornale Art. 29. — Il Giornale della Società sarà diviso in volumi, e formerà la continuazione di quello del Consiglio di Perfezionamento. Le memorie dovranno essere tatte originali, e regolate per la spesa delle tavole conforme a quanto prescriverà la Società in base ai fondi disponibili. NORME PER LA STAMPA DI MEMORIE ED) ARTICOLI NEL GIORNALE DELLA SOCIETA” (Approvate nella seduta del 28 febbraio 1917; emendate il 3 aprile 1923) e —— e—_—_—_—_—_—_——— Art. 1. — Ogni socio che voglia pubblicare memorie scientifiche nel Giornale della Società, deve darne avviso preventivo al Presidente. Art. 2. — Dopo di questo avviso, la memoria sara presentata e letta in Società (art. 2, 10 e 14 del Regolamento). Art. 3. — Compiuta la lettura, il Presidente chiederà alla Società se ap- prova che subito si proceda alla stampa della memoria (art. 4 e 14, 1° parte). Alla votazione possono partecipare i soli soci ordinari presenti. Essa sarà segreta, e ciascuno voterà pel sì o pel no. Art. 4 — Se la maggioranza è per il sì, il Presidente scriverà immedia- tamente sul manoscritto l'ordine della stampa, e la memoria verrà passata al tipografo (art. 14, 1° parte); salvo il caso che gli stanziamenti del bilancio, tenuto conto anche dei diritti alla stampa degli altri autori, non permettano l'inserzione per intero nel volume dell’anno. Ciò essendo, la memoria verrà continuata nel successivo volume o nei successivi. Art. 5. — Se la maggioranza è per il no, il Presidente, seduta stante, invita la Società ad eleggere un’apposita Commissione che riferisca in altra torLata (art. 14, 2° parte). Art. 6. — Nel Giornale della Società possono pure pubblicarsi articoli di non soci, purchè siano presentati da un socio ordinario (art. 15). Art. 7.— ll socio presentatore darà preventivo avviso della presenta- zione al Presidente. NORME PER LA STAMPA ECC. Art. 8.—- L’articolo sarà letto nella sednta a ciò destinata. Dopo la let- tura, si procederà come all'art. 5. Art. 9.— Quando i lavori presentati a norma degli art. 14, 2% parte e 15 del Regolamento, superino le 20 pagine, la Commissione tecnica dovrà. sentire il parere del Tesoriere, ed esaminerà se detti lavori possano essere pubblicati per intiero 0 convenientemente ridotti dallo stesso autore. Riferirà in ogni caso all’ Assemblea nella successiva seduta. (Deliberazione 30 giugno 1913). Art. 10. — Le deliberazioni della Società, riguardanti le inserzioni di me- morie nel volume della Società, devono essere, in ogni caso, approvate dalla maggioranza assoluta dei presenti. (Deliberazione 4 luglio 1913). Art. 11.— Nella prima pagina di ogni lavoro pubblicato saranno messi in nota i nomi dei commissari che hanno riferito per la parte scientifica, secondo l’art. 14, 2° parte, o il nome del socio ordinario presentatore e dei Von nt i I ZANE MA ere ET commissari dei quali è cenno all’art. 15 Reg. (Deliberazione 4 luglio 1913). ò è 4 Il Vice Presidente P. MERENDA È Il Segretario i e C. Lazzaro A Guia a spe! — © ELENCO DEI SOCI DELLA $ DI PALERMO CE died OCIETÀ DI SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE Sede della Società : Istituto di Geologia — R. Università. -e- UFFICIO DI PRESIDENZA (1923 1924) Presidente — Macaluso Prof. Damiano Vice-Presidente — Merenda Prof. Pietro Tesoriere — La Rosa Prof. Michele Segretario — Lazzaro Prof. Carmelo Vice-Segretario — Cipolla Prof. Francesco Bibliotecario — Giardina Prof. Andrea Soci Ordinari a 1° gennaio 1923 COGNOME E NOME Angelitti Prof. Filippo Bagnera Prof. Giuseppe Bresciani Prof. Costantino Di Stefano Prof. Teodosio Dionisi Prof. Antonio Errera Prof. Giorgio Giardina Prof. Andrea Lanza Prof. Domenico La Rosa Prof. Michele Data di nomina a Corrispondente anteriore al 1892 11 gennaio 1913 11 gennaio 1913 anteriore al 1892 4 marzo 1913 3 febbraio 1910 22 dicembre 1904] 22 dicembre 1904 6 febbraio 1911 Data di nomina ad Ordinario 8 maggio 1899 21 marzo 1917 21 marzo 1917 3 febbraio 1910 9 giugno 1919 2 dicembre 1911 21 marzo 1917 21 marzo 1917 4 marzo 1918 ABITAZIONE R. Osserv. Astronom. a Palazzo Reale. Via Stabile, 193 Via Alloro, 49 Via E. Amari, 130 Piazzetta Bertolami, 9 Via Butera, 31 Via Cavour, 81 ELENCO DEI SOCI Data. di nomina | Data di nomina COGNOME E NOME a ad ABITAZIONE Corrispondente Ordinario j Lazzaro Prof. Carmelo 13 febbraio 1892 | 3 febbraio 1910 | Via F. Crispi, 41 Macaluso Prof. Damiano anteriore al 1892 | anteriore al 1892| Via Rosoliuo Pilo, 63 Manfredi Prof. Luigi 1° maggio 1894 | 20 giugno 1907 | Via Divisi, 109 Merenda Prof Pietro 24 maggio 1894 | 22 dicembre 1904| Corso P. Pisani, 50 Mineo Prof. Corradino 20 luglio 19:2 | 9 giugno 1919 | Via La Mantia, 135 Natoli Prof. Fabrizio 4 marzo 1913 9 giugno 1919 | Via Stabile, palazzo rimpetto la Chiesa Inglese. Pagano Prof. Giuseppe 8 maggio 1899 | 3 febbraio 1910 | Via P. Paternostro, 1 Pitini Prof. Andrea 2 dicembre 1911] 9 giugno 1919 |Via Valea 49 4 Pagliani Prof. Stefano 13 febbraio 1892 | 16 dicembre 1893 Spallitta Prof. Francesco 27 aprile 1894 | 3 febbraio 1910 | Via Macqgueda, 7 I soci ordinari dovranno risedere in Palermo, e il loro numero è fissato in 21 (art. 8 del Regolamento). Soci Corrispondenti residenti a 1° gennaio 1923 COGNOME E NOME . Data di nomina ABITAZIONE Albeggiani Prof. Michele anteriore al 1892 | Salita Banditore, 4 Basile Prof. Ernesto anteriore al 1892 | Via Siracusa, Villino Basile Catalano D.r Giuseppe 9 giugno 1919 - | Corso Calatafimi, 467 Cipolla Prof. Francesco 9 giugno 1919 | Via Falde, 24 De Franchis Prof. Michele 9 giugno 1919 Via S. Martino, 81 De Francisci Prof. Giovanni 9 giugno 1919 Via Felice Cavallotti, Dina Prof. Alberto 11 gennaio 1913 | Via Cuba, 20 Ercolini Prof. Guido 9 giugno 1919 Folco Prof. Carlo 3 febbraio 1910 | Piazza Campo, 20. | N. d’ordine ELENNCO DEI SOCI COGNOME E NOME Galati D.r Rosario Gebbia Prof. Michele Levi Prof. Giuseppe Levi Prof. Mario Giacomo Luna Prof. Enrico Mattei Prof. Giovanni Ettore Oddo Prof. Giuseppe Oliveri Prof. Emanuele Pellini id. Giovanni Salemi-Pace Prof. Giovan-Battista Schopen Prof. Luigi Santangelo ing. Giovan Battista Data di nomina 9 giugno 3919 9 giugno 1919 9 giugno 1919 11 gennaio 1919 9 giugno 1919 3 febbraio 1910 9 giugno 1919 11 gennaio 1913 17 marzo 1914 anteriore al 1892 anteriore al 1892 9 giugno 1919 ABITAZIONE Via Montalbo, 116 Piazza Bologni, 24 Via Benedetto Civiletti, 14 R. Orto Botanico Piazza Guarnaschelli, 5 Arco dei Cartari, 12 Via De Spuches, 1 Via Lincoln, 90 Piazza Castelnuovo, 15 I soci corrispondenti residenti non potranno superare il numero di 25 (art. 8 del Regol. Soci Corrispondenti non residenti a 1° gennaio 1923 COGNONE E NOME Albertoni Prof. Pietro Ampola Prof. Gaspare Angelico Prof. Francesco .| Arata Prof. P. N. Bianchi Prot. Leonardo Checchia-Rispoli Prof. Giuseppe RESIDENZA E DOMICILIO Bologna Roma Messina ‘ Buenos-Ayres Napoli Roma 0 iii BISI L ue Ape dEi NSSO PARTE LL COMMEMORAZIONI XXIII SETTEMBRE MOMXXI NE LA PIAZZA DELLA STAZIONE FERROVIARIA CENTRALE «pria che la bara s’avviasse per Messina SALUTO DATO ALLA SALMA DI ANTONINO BORZÌ DAL VICE-PRESIDENTE PROF. PIETRO MERENDA La morte d'Antonino Borzi lascia un gran vuoto nelle file della Società di scienze naturali ed economiche, la quale, dolentissima, prende il lutto, e depone crisantemi su questo feretro. Tutti siamo uguali dinanzi alla nascita, al diritto, alla morte; ma in noi c'è una fiammella, che Dio ha largito diversamente , e che pochi sanno alimentare ed invigorire, sicchè splenda di vi- vida luce. Tra questi pochi la scienza di Linneo annovera Antonino Borziì. | Della Soccetà di scienze naturali ed economiche, come socio, Egli era decoro e lustro; come Presidente, il nome di Lui resta legato ad una magnifica tradizione, la quale nei tempi recenti s'in- gemma de’ nomi di scienziati d’altissima fama: Simone Corleo, Gaetano Giorgio Gemmellaro, Adolfo Venturi, Giovanni Di Ste- fano. La Soccetà di scienze naturali ed economiche dà l’ estremo saluto al suo illustre Capo, la cui perdita rimpiange amaramente. LI cell PE GIA E RASO I LOTTI ST IRE Tana COMMEMORAZIONE DEL Proî. Comm. ANTONINO BORZÌ Celebrata nell'Aula Magna della R, Università di Palermo il 13 novembre 1921 PROF. SALVATORE DI MARZO Vice Presidente della R. Accademia e Rettore della R. Università Antonino Borzì si commemorà oggi per voto comune della Facoltà di Scienze, della Reale Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti, della So- cietà di Scienze naturali ed economiche e dell’ Istituto superiore di stu- dii commerciali e coloniali, che vollero affrettarsi a rendere all’ Illustre Maestro l’omaggio che gli era dovuto. La data prescelta non poteva essere più opportuna. Perchè mentre dimostra l’ affettuosa sollecitudine ad ono- rare la memoria di un Uomo, che fu decoro della Scienza Italiana, permette ai giovani di apprendere, sin dall’ inizio dei loro studi universitari, la di- gnità di questa Scuola, che non è solo talento, ma anche sacrificio, che non è solo dottrina, ma anche carattere. Io penso infatti che un’ uomo di Scienza, più che col valore dei propri contributi, giovi con la esemplarità dell’ abnegazione e della fede. I suoi contributi non sono e non possono essere che il punto di partenza di ricerche, le quali, traendo utile dalle sue fatiche, sorpassino le sue opere. Più duratura è la virtù dell’ esempio di ardore, di fiducia e di onestà, che lo infiammano e lo guidano. Per questo esempio la scuola diventa degna di tal nome, per questo esempio il disce- polo apprende a venerare la scienza e a farsene alla sua volta maestro. PAROLE DEL PROF. SALVATORE DI MARZO ln un tempo in cui, stabilito saldamente il primato del valore italiano, bisogna ormai attendere a mantenere il primato della scienza italiana, sì che questa nostra patria sia, quale noi la vogliamo, la terra di ogni gloria, il ricordo della vita operosa e serena di un forte uomo di studi deve avere per altro efficacia ben maggiore di un semplice rito di gratitudine e di stima. Deve significare e significa (ne sono certo) la promessa, che soprattutto ci bea, che l’opera nostra non rimarrà interrotta e che energie fresche e ga- gliarde si apprestano a continuarla. Di Antonino Borzì dirà degnamente il Chiarissimo Prof. Domenico Lanza, designato dalla Facoltà di Scienze a dirigere il R. Orto Botanico. L’oratore, per le alte doti di uomo, di cittadino, d’insegnante, per la devo- zione al compianto Maestro, è ben meritevole dell’ ufficio commessogli, ed io ringraziandolo a nome del Corpo accademico dell’ Università e dell’ Isti- tuto superiore di studi commerciali e coloniali e dei Soci della Reale Ac- cademia e della Società di Scienze naturali ed economiche, lo invito a pro- nunciare il suo discorso. ‘ Pio TRoS/O DEL PROF. DOMENICO LANZA x Gran ventura è oggi la mia di prendere qui innanzi a voi la parola per commemorare il Prof. Antonino Borzì, poichè l’ intima soddisfazione che ognuno sente nel ricordare ed esaltare la figura di un caro estinto, in me, che al Borzì fui legato da saldi vincoli sentimentali ed intellettuali, è mille volte accresciuta dall’autorità dei consessi nel cui nome io parlo, dalla nobiltà del luogo e dalla elevatezza dell’uditorio. Ond’io devo rendere il più vivo ringraziamento a questa Facoltà di Scien- ze, alla R. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti, alla Società di Scienze Naturali ed Economiche ed all'Istituto Superiore di Studi commerciali e co- loniali, che designandomi a dire l’ elogio di Lui, hanno voluto riconoscere l’affetto e la devozione da me nutriti verso l’insigne Maestro scomparso, chè altro titolo io non avrei avuto a tale designazione. Antonino Borzì nacque a Castroreale in provincia di Messina il 20 Ago- sto 1852 da Pietro, ingegnere del Catasto, e da Dorotea Lucifero. Morì a Lucca, compiuto appena il 69° anno di età, il 24 agosto prossimo passato. Alla luminosa carriera della sua vita arrise una benigna stella, che fin dallo inizio lo indirizzò sulla via adatta alla qualità del suo ingegno e lo pose nelle condizioni favorevoli per percorrerla con fortuna. Per gli uo- mini dotati di speciali caratteristiche mentali spesso sono le cieche combina- zioni dei primi casi della vita quelle che determinano il successo, o l’insuc- cesso, e tante preziose energie umane restano vane perchè non valorizzate dallo avviamento tempestivo confacente alle loro qualità specifiche. ? 10 COMMEMORAZIONE DEL PROF. ANTONINO BORZÌ Il Borzì fece i primi studi in Messina, dove il padre aveva in animo di avviarlo ad una carriera burocratica di Stato, ma la caduta in un esame liceale, come egli stesso raccontava, lo determinò ad abbandonare la via assegnatagli, per seguirne altra di sua elezione. Fu alquanto incerto se de- dicarsi allo studio delle scienze naturali o a quello della pittura, nella quale aveva già fatto qualche progresso e conseguito un premio in un concorso lo- cale. A contemperare le sue naturali inclinazioni con i concetti paterni di praticità, fu nel 1869 mandato a seguire i corsi deli R. Istituto forestale di Vallombrosa, per la quale via sarebbe diventato un Ispettore forestale, una specie di naturalista-burocratico. Qui ebbe la fortuna di incontrarvi, professore di botanica, Federico Del- pino, il naturalista filosofo, il maestro fascinatore, che suscitò in fiamma la scintilla già ardente nell'animo del giovanetto allievo e lo determinò irre- vocabilmente alla carriera scientifica, e ne tracciò con segno indelebile |’ in- dirizzo. Il Borzì ricordò sempre con affetto, con reverenza, con gratitudine il suo grande maestro e gli era caro rievocare quegli anni in cui, libero da ogni cura e lontano da ogni distrazione, trascorreva con lui le intere giornate in intimità filiale, in perfetta comunanza di spirito, percorrendo boschi e praterie, osservando, raccogliendo, ragionando e disputando. In quel tempo si guadagnò una borsa di studio all’estero, ma sebbene, come è facile immaginare, al giovane avido di apprendere dovesse assai sor- ridere l’idea di conoscere nuovi paesi, nuovi maestri, nuovi metodi e muovi argomenti di studio, egli chiese ed ottenne che la destinazione del sussidio gli fosse commutata perchè potesse ancora rimanere in quell’ambiente toscano che gli fu così caro per tutta la vita. Potè così proseguire per qualche tempo gli studii presso l’Istituto Superiore di Firenze, dove fu discepolo di Filippo Parlatore. Tornò poscia a Vallombrosa come assistente del Delpino e quindi vi rimase come successore di lui nello insegnamento. Per pochi anni; poichè nel 1879 fu, per concorso, nominato professore di botanica nella R. Università di Messina, nella età di soli 27 anni. Poche e di modesta importanza sono, come è naturale, le sue pubbli- cazioni sino a questo momento. Aveva esordito nel 1874 con una nota in- DISCORSO DEL PROF. DOMENICO LANZA 11 torno agli uffici dei gonidii nei Licheni, quistione allora di attualità, e due altri lavori di crittogamia aveva pubblicato, uno sulla sessualità degli Asco- miceti, un altro sulla morfologia e biologia delle Mostocaceae, oltre qualche scritto di materia forestale. Ma egli portava con se nell’ alto ufficio cui ve- niva chiamato i più sicuri affidamenti per l’avvenire : altezza d’ingegno, pas- sione ardente, preparazione profonda. La sua vasta produzione scientifica è tutta posteriore alla sua assunzione alla cattedra; egli cominciò a produrre quando molti altri sogliouo finire. Insegnò e lavorò in Messina 13 anni, durante i quali pubblicò un gran numero di lavori di crittogamia, principalmente di algologia, ed iniziò la pub- blicazione di quegli « Studi algologici » che dovevano renderne così chiaro il nome, pubblicò anche alcuni lavori di anatomia vegetale e trattò pure di sistematica, scrivendo della Quercus macedonica DG., istituendo la Q. Mo- risti Borzì e segnalando la presenza di nuove piante avventizie nella flora messinese. A Messina il Borzì trovò la mancanza di ogni mezzo di studio. Non vi era più un Orto Botanico dopo la distruzione di quello famoso del Castelli, che ebbe vita prospera ma breve nel secolo XVII; non vi era gabinetto, nè collezioni. Il Borzì con l’ aiuto del Comune fondò il nuovo Orto e vi iniziò erbario, biblioteca e laboratorio. Pure in Messina fondò la rivista botanica Malpighia, che diresse fino al 1898 insieme ai professori O. Penzig e R. Pirotta, la quale visse vita rigo- gliosa ed ha continuato fino al presente sotto altra direzione. Resasi vacante nella nostra Università la cattedra di botanica per la morte di Agostino Todaro , il Borzì nel 1892 fu dalla Facoltà chiamato ad occuparla, e vi rimase fino al termine della sua vita. Qui un campo nuovo, inesauribile di osservazioni e di ricerche si offerse al suo spirito aperto, alla sua alacre attività: il nostro Orto Botanico di chia- rissima fama secolare per le ricchezze meravigliose che i predecessori ave- vano saputo adunarvi. Le particolari condizioni del nostro clima permettono che qui convivano piante di tutti i paesi e di tutti i climi, meno solo degli estremi, e sì sviluppino e fioriscano e fruttifichino all'aria aperta in piena nor- 12 COMMEMORAZIONE DEL PROF. ANTONINO BORZÌ malità di vita. L'animo entusiasta e la mente versatile del Borzîì non pote- vano rimanere insensibili a tante ricchezze ed egli, senza abbandonare gli studii di algologia, alla quale restò sempre fedele, si diede con tutto l’ardore allo studio delle varie e complesse manifestazioni della vita di relazione delle piante superiori, della loro biologia, portando numerosi e notevoli contributi in questo campo della scienza. Nello stesso tempo il medesimo materiale gli offriva occasione a pregevoli note di morfologia, di anatomia, di floristica, A] suo arrivo a Palermo egli trovò ancora pendente una antica tratta- tiva, già iniziata dal Todaro, tendente a riunire all’ Orto Botanico, mediante permuta, una considerevole estensione di terra appartenente all’Orto stesso, ma distaccata da esso. L’ affare, di capitale importanza per l’ avvenire del- l'Orto, era quanto mai complicato perchè connesso al piano di ampliamento della città c concorrevano in esso gli interessi dello Stato, rappresentato da varii ministeri, gli interessi del Comune e gli interessi dei privati proprietarî circostanti. Sacrificandovi per molti anni buona parte del suo tempo e della sua attività, egli riuscì finalmente a districare le esasperanti. pratiche buro- cratiche, a superare vantaggiosamente i contrasti d’interesse e l'Orto botanico ne riuscì più che raddoppiato di estensione. Ebbe anche la fortuna della assegnazione dei fondi per la costruzione del nuovo edifizio per l’Istituto botanico, limitato fin allora in locali angusti ed inadatti, e studiandone egli medesimo i piani e curandone personalmente l'esecuzione con industriosa economia, riuscì in breve tempo e con poca spesa a dotare l’Istituto di un locale ampio, comodo, rispondente alle esigenze degli studî moderni, che è uno dei più belli fra i nuovi edifizî universitarî. Ma la sua attività non si arrestava allo incremento del Giardino e dei laboratorii, egli nello stesso tempo aspirava a che tanta ricchezza di materiale e di favorevoli condizioni di studio fosse meglio valorizzata a vantaggio della scienza e ideò e propose la fondazione di una stazione botanica in- ternazionale, istituzione che avrebbe potentemente favorito gli studii di bio- logia vegetale ed avrebbe fatto tanto onore al nostro paese. Ma la proposta, tanto plaudita all’estero, non raccolse qui da noi quel favore che essa me- ritava, nè giova qui ricercarne le ragioni. DISCORSO DEL PROF. DOMENICO LANZA 13 Un risveglio delle energie nazionali si andava intanto manifestando in Italia in quel decennio che precedette la guerra, un senso di maggior fidu - cia nelle nostre forze, una più intensa volontà di lavoro, che ci davano una miglior coscienza dei nostri bisogni e dei nostri doveri e destavano nuove aspirazioni. Il problema della agricoltura meridionale, sempre vivo e incombente sulla economia nazionale, attirava più che pel passato l’attenzione dei tecnici e dei governanti e nello stesso tempo si presentava alla coscienza nazionale il bisogno della espansione coloniale. A questi impulsi, a queste aspirazioni non restò chiuso lo spirito dell’uo- mo che oggi onoriamo. Oltre che uomo ‘di studii, di speculazione, egli era ‘anche uomo d’ azione e considerò la scienza non soltanto come mezzo di elevazione dello spirito, ma anche come un’ arma possente per la conquista del benessere materiale dell’umanità. Ed egli concepì il disegno di utilizzare le risorse scientifiche dell’Istituto, profittare delle condizioni particolarmente favorevoli della situazione di esso a vantaggio del miglioramento dell’ agri- «coltura meridionale e coloniale. Fin dalla sua fondazione, sullo scorcio del ‘700, 1° Orto Botanico di Pa- lermo per la sua posizione geografica si trovò ad essere il più adatto tra quanti ne fossero in Europa alla coltura delle piante dei climi caldi, ed è questa sua naturale specializzazione che lo ha reso famoso fra gli Orti Bota- nici di tutto il mondo. E per la natura stessa delle cose fu anche tratto ad interessarsi dell’ agricoltura siciliana, la quale ad esso deve nei tempi an- dati l’ introduzione di diverse piante di primaria importanza, quali ‘il Man- darino , il Nespolo del Giappone, varie razze di Tabacchi, di Cotone, ecc. Il Borzì sentì che nella nuova attività coloniale che la nazione si pre- parava a svolgere l’Orto Botanico di Palermo era naturalmente chiamato ad ‘assumere la sua parte, e con gli scritti e con la parola infaticabilmente pro- pugnò che presso l’ Orto Botanico sorgesse una istituzione rispondente a tali seopi, e superando difficoltà d’ ogni genere, tra i quali principalissima l'indifferenza della generalità, per forza della sua tenace volontà e dell’ au- «torità del suo nome ottenne dapprima che sorgesse presso l’Orto stesso una 14 COMMEMORAZIONE DEL PROF. ANTONINO BORZÌ modestissima « Sezione Coloniale », in seguito, come Ente autonomo, il R. Giar- ‘dino Coloniale. Fu quest’ opera la cura assorbente dell’ ultimo periodo della sua vita, adoperandosi egli in ogni guisa perchè alla nascente istituzione fossero assicurati i mezzi sufficienti per prosperare e che si rendesse or ganica ed effettiva la sua funzione in rapporto alle altre istituzioni agricole e coloniali. Nè con la creazione del R. Giardino Coloniale si arrestò la sua azione in pro’ degli studii coloniali. Compreso profondamente della importanza che essi dovrebbero avere nel nostro paese, e del concetto che essi trovano qui in Palermo la loro sede naturale, non tralasciò altre occasioni per pro- muoverle fra noi. Unitosi a quel gruppo di benemeriti che idearono la fon- dazione in Palermo di un Istituto superiore di studii commerciali, propugnò ed ottenne che in esso fosse compresa anche una Sezione coloniale e tenne nel nuovo Istituto la cattedra di « Prodotti naturali delle Colonie ». Ma mentre svolgeva così larga e varia attività come scienziato e come organizzatore, egli era nello stesso tempo zelantissimo dello insegnamento, che considerò sempre come il precipuo ed il più gradito dei suoi doveri: sicchè il mancare una lezione era per lui un caso estremamente raro, de- terminato solo da gravi motivi ed accompagnato sempre dal più vivo ram- marico. Il suo valore e le sue benemerenze egli ebbe la fortuna di vedere una- nimemente riconosciuti nel mondo scientifico, dove raccolse cariche ed onori segnalati, mentre la sua spiccata figura fisica, la parola facile ed elegante, la vivacità dello sguardo e dei movimenti, la varia cultura, la piacevolezza della conversazione, la franchezza del carattere gli procuravano la simpatia generale. Fu socio di molte accademie e società scientifiche italiane e straniere, fra. le quali ricorderò che fu: Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei dal 1903. Presidente della Società botanica italiana dal 1906 al 1908. Laureato dell’Istituto di Francia. DISCORSO DEL PROF. DOMENICO LANZA Dottore honoris causa della Università di Uppsala nel 1907. Socio della R. Accademia di Stoccolma. Socio della Società dei XL alla vigilia della sua morte, il 20 agosto di ‘quest’anno. Fu insignito della medaglia d’oro al merito agrario dal Ministero d’agri- «coltura nel 1917 in occasione delle solenni onoranze che gli furon rese per il compiersi del suo 40° anno di insegnamento. Ed in tale circostanza gli fu anche offerta una grande medaglia d’oro commemorativa da parte di nu- merosi colleghi italiani e stranieri. Fu Preside della Facoltà di Scienze e Presidente delle due istituzioni palermitane che qui oggi insieme all’ Università lo commemorano, della So- cietà di Scienze Naturali ed Economiche dal 1918, della R. Accademia di Scien- ze, Lettere e Belle Arti da due anni., Nella Presidenza di quest’ultima particolarmente portò l’ ardore che egli poneva in tutte le sue cose, aspi- rando a renderne più intensa l’attività, ad acquistarle sempre maggiore con- siderazione e simpatia nel paese, alla cui vita egli intendeva che più diret- tamente l’Accademia dovesse partecipare. Ed è in noi tutti ancora vivo il ricordo dell’opera premurosissima da lui spiegata perchè la nostra Accade- mia conseguisse il suo definitivo assetto nella nobile sede che le è stata «di recente assegnata. Questa, o signori, la vita operosa dell’ uomo illustre che oggi com- memoriamo, durante la quale la sua produzione scientifica fu ricchissima e continua. La bibliografia borziana da me raccolta comprende 174 scritti fra volumi, opuscoli e scritti minori, pubblicati dal 1874 al 1921, nel periodo cioè di 47 anni. Percorrendola, si rimane innanzi tutto colpiti dalla grande varietà degli ‘argomenti trattati dal Borzì; non vi è quasi branca della botanica che egli non abbia coltivato, in cui non abbia lasciato una sua orma. Scrisse di al- gologia e di micologia, di morfologia, di anatomia, di fisiologia, biologia ed ‘ecologia, di sistematica, di storia della botanica, di botanica applicata. Ma 16 COMMEMORAZIONE DEL PROF. ANTONINO BORZÌ nonostante una così grande varietà di argomenti, non si tratta di una pro- duzione slegata, di un vagare per campi separati, ma di espressioni varie dî una concezione unica, la quale intende ed abbraccia come unità tutte le ma- nifestazioni della vita vegetale. In questa nostra epoca di specializzazione scientifica, giustificata fino ad un certo punto dal continuo estendersi ed approfondirsi delle nostre cono- scenze, ma spinta oltre misura dalla maggior facilità con cui i mediocri, che sono naturalmente i più, possono riuscire a crearsi una competenza superiore restringendo sempre più la materia di studio, e rendendosi perciò simili a quegli operai di somma abilità nella lavorazione di un solo dei mille pezzi di una macchina, nel cui vasto e complesso piano a loro ignoto ignorano. il posto e la funzione al loro pezzo assegnati; in quest'epoca, dico, di eccessiva specializzazione il Borzì non fu uno specialista; il suo sguardo aveva ampiezza da abbracciare in unica veduta il vasto campo della scienza botanica, la sua. lena di lavoratore aveva possa di percorrerlo in tutti i sensi. Il suo spirito fu dominato da quel profondo senso del mistero della vita che spinge ad intuire al di là del meccanismo strumentale contingente. l’esistenza di un principio vitale generale, di una psiche universale, di una finalità superiore, i quali sfuggono a qualsiasi tentativo di indagine positiva, ma di cui si ha la sensazione nel limite insormontabile appunto che all’inda- gine stessa in ogni caso si oppone. Questo modo di intendere e di sentire i fenomeni della vita ci spiega come nelle pagine del nostro biologo ci troviamo talvolta in presenza di affermazioni e spiegazioni che appaiono non interamente suffragati da dati. positivi, ci spiega l’irrequietezza del suo spirito che traspare dagli seritti, de-. terminata dalla tormentosa insufficienza dei mezzi umani di ricerca a cer- ziorarci sui problemi alla cui intelligenza non può restare estraneo l’intimo» nostro modo di sentire, poichè dietro il mistero della foglia che volge la sua lamina verde alla luce del sole, del fiore che si fa bello per la perpetuità. della razza, sta il mistero nostro, il mistero umano, della nostra origine e- del nostro destino. E questo modo di intendere e di sentire unifica in un tutto armonico la. DISCORSO DEL PROF. DOMENICO LANZA 177 svariata produzione scientifica del Nostro e la’ pervade di un alito di poe- sia. Nelle forme e nelle funzioni dei vegetali tutti, dalle alghe unicellulari alle più complicate fanerogame, nelle variazioni e negli adattamenti egli vedeva sempre lo stesso principio vitale unico, animatore ed immanente. Nell’analisi della produzione scientifica del Borzì devo necessariamente limitarmi agli scritti più notevoli, e fra essi primi per ordine di tempo e d’im- portanza ci si presentano quelli di algologia, con i quali egli iniziò la sua car- riera e che proseguì sino al termine di essa, studii riflettenti non solo la descrizione di molte forme nuove, ma anche la complessa fenomenologia vitale di questi organismi microscopici, deducendone geniali concezioni teo- riche generali. I primi lavori del Borzì sulle Alghe, recanti il titolo « Note alla Morfo- logia e Biologia delle Alghe ficocromacee», apparvero nel « Nuovo Giornale Botanico Italiano» dal 1878 al 1882 e riguardano quel gruppo di Alghe terrestri inferiori nelle cui cellule accanto alla clorofilla si trova associata una sostanza azzurra speciale, detta « cianoficina » e che perciò vengono dette « Cianoficee.» Tali sono tutte quelle entità e forme biologiche che vanno. descritte sotto i nomi di Nostoc, Oscillaria, Scytonema, Rivularia, ecc. Gli « Studi algologici» riguardano invece talune specie di Alghe verdi propriamente dette, siano marine che di acqua dolce. Il primo fascicolo di. quest'opera, pubblicato a Messina nel 1883, comprende la descrizione minu- ziosa delle forme e della vita di 7 generi di dette Alghe, dei quali 5 nuovi. Il secondo fascicolo, che ottenne il premio internazionale Desmanzières ,. conferitogli dall’ Istituto di Francia, apparve a Palermo nel 189% e com- prende 12 generi, dei quali 5 nuovi. Il Borzì fu uno dei primi ad impiegare il metodo delle colture pure: nello studio delle Alghe, metodo che lo condusse ai più interessanti risultati. non solamente dal punto di vista biologico, ma anche da quello sistematico. Infatti con tal metodo è possibile mettere in evidenza i rapporti esistenti fra forme e stadii di sviluppo costituenti nel ciclo vitale di una medesima entità. gli anelli di una stessa catena, i quali la semplice osservazione allo stato: di natura farebbe apparire invece come entità singole. 3 COMMEMORAZIONE DEL PROF. ANTONINO BORZI Non è qui possibile passare in rassegna tutti i punti interessanti che si trovano esposti per la prima volta nei detti due volumi degli « Studi algo- logici » e per la maggior parte definitivamente acquisiti alla scienza. I risul- tati più salienti e di maggior interesse per la Biologia generale, si possono SA compendiare nelle seguenti conclusioni : 1) Nelle Alghe verdi inferiori Ja vita si riassume in un certo numero di fasi, alle quali corrispondono altrettante forme di sviluppo ; il numero di coteste fasi non è fisso, ma varia secondo le condizioni di luogo e di tempo. _2) Ogni forma di sviluppo è atta a persistere e a perpetuarsi per mezzo di germi asessuati o per scissiparità. - 3) In molti casi questo modo di moltiplicazione si prolunga per un tem- po indeterminato e ciascuna forma sembra perciò non avere alcun rapporto con le forme che l’hanno preceduto. 4) Talvolta le forme diverse si ripetono periodicamente e regolarmente, scomparendo qualsiasi traccia dello stato anteriore con l’ apparizione del nuovo stato. 5) Talune forme fanno parte del ciclo normale della vita dell’ organi- smo; altre rappresentano delle particolarità accidentali di organizzazione, dovute a modificazioni morfologiche congenite, all’indebolimento del potere nutritivo, all’alterazione o al cambiamento delle condizioni fisiche e chimiche del substratum. Tutte coteste forme del resto, sono aite a mantenersi per scisssiparità. Il Borzì riprese in seguito gli studi sulle Cianoficee o Alghe azzurre, esponendo in numerose pubblicazioni i risultati delle sue molteplici osserva- zioni; citiamo fra l’altro il lavoro sulle « Comunicazioni intercellulari delle Nostochinee », nei quale poneva in rilievo la presenza di esilissime perfora- ture esistenti neile membrane cellulari, mettenti in comunicazione le relative cavità; nello stesso lavoro veniva segnalata per la prima volta la presenza dei così detti granuli di cianoficina. L’uno e l’altro argomento, in verità, sono tuttora degni di ulteriori indagini, richiedendo l’impiego di mezzi di tecnica microscopica assai delicati. In un altro lavoro dal titolo : « Probabili accenni di conjugazione presso alcune Nostochinee » il Borzì segnalava taluni feno- DISCORSO DEL PROF. DOMENICO LANZA 19 meni di fusione cellulare che avevano luogo nella formazione delle spore del- l’Anabaena torulosa; ma Egli stesso riconobbe più tardi che questi fatti vanno meglio approfonditi colla perfetta conoscenza delle intime particolarità di strut- tura del contenuto cellulare e che, tutto sommato, le Cianoficee, come tutte le Schizofite, debbono considerarsi, almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze, come organismi destituiti della facoltà di propagarsi sessualmente. | Molti anni più tardi e cioè nel 1914 e nel 1916 videro la luce nel « Nuovo Giornale Botanico Italiano » gli « Studi sulle Mixoficee », due scritti che pos- sono considerarsi come la sintesi di tutto il lavoro fatto dal Borzì in questo vasto ed intricato campo di organismi. Le Mixoficee, denominazione adottata definitivamente dal Borzì, seguendo l’esempio della maggior parte degli autori moderni, per indicare appunto le Alghe di cui parliamo provviste di pigmento azzurro, fanno parte di quella grande classe di organismi vegetali inferiori, detta delle Schizofite, che comprende anche le forme le cui cellule non hanno pigmento di sorta, e vanno perciò considerate alla stessa stregua dei Funghi, e si distinguono col nome di Mixomiceti. Nel lavoro cui accenniamo Egli tentò una completa coordinazione sistematica dell’intero gruppo delle Mixofi- cee, cercando di rilevare i rapporti con le altre forme della classe cui ap- partengono, nella quale tuttora regnano il disordine e la confusione. Questo era precipuamente il compito che si era proposto nella trattazione speciale delle singole famiglie di Mixoficee, trattazione che Egli incominciò nel se- condo dei due scritti menzionati , il quale comprende però solo la famiglia delle Stigonemacee. L’ opera, grandiosa come si vede, nelle sue linee e nei suoi fini, rimane perciò incompleta; ma è ormai segnata una traccia sicura, lungo la quale potranno incamminarsi ulteriori ricerche, ed il « Systema Mixophycearum » , proposto dal Borzì rimane quasi come il filo d’ Arianna nel vasto e complicato labirinto di questo mondo microscopico. Il sistema di cui parliamo comprende due ordini, che vanno a prendere posto fra gli ‘altri ordini della classe delle Schizofite. L’ uno, detto’ delle Nostochinee, com- prende le forme nelle cui cellule il pigmento ficocromaceo non assume una forma e figura distinta di cromatofori; nell’ altro, detto delle Glaucistinee, le cellule contengono invece sempre dei cromatofori. {l primo si suddivide in 90 COMMEMORAZIONE DEL PROF. ANTONINO BORZÌ due sottordini: Nemagenae, o Mixoficee filamentose e Coccogenae, o Mixoficee unicellulari. r Per ciò che riguarda il contributo ai problemi di Biologia generale por- tato dal Borzì coi suoi studi algologici, il suo pensiero si basa sul con- cetto che la. caratteristica fondamentale della vita delle Mixoficee è , come abbiamo accennato, la mancanza di un atto sessuale. Il grande polimorfismo di questi organismi, secondo il concetto del Borzì, va messo appunto in rela- zione coll’assenza di un atto fecondativo, di cui non esiste del resto in essi alcuna possibilità, data la struttura dei protoplasti e la mancanza di un nu- cleo perfetto. Sicchè le serie di generazioni agamiche di uno stesso individuo si succedono indefinitamente, ma il ciclo evolutivo resta sempre incompleto e non si può giammai ripristinare col ritorno alla primitiva generazione. Ciascuna forma agamica, pertanto, suscettiva di accrescersi e di riprodursi con mezzi propri particolari, quali spore, ormogoni, ormocisti, planococchi, ecc. può considerarsi, qualora non si tenga conto della storia dello sviluppo, co- me una entità biologica e sistematica a sè, indipendente ; e se, per ipotesi, si suppone che alcuni di questi germi o forme agamiche possano acquistare l attitudine di coniugarsi, ogni generazione diverrebbe losto di fatto indipen- dente dalle altre, acquistando un proprio ciclo evolutivo, certo più semplice senza che rimangano tracce dei suoi rapporti genetici colle altre forme di evoluzione, della quale in origine era semplicemente uno stadio, ma rimanendo solo dei legami di affinità sistematica. Questa spiegazione, secondo il Borzì, servirebbe a gettare un po’ di luce sulla concezione della origine dei vari tipi vegetali, mettendo in risalto la importanza della funzione sessuale come processo di fissazione e di conserva- zione dei caratteri morfologici fondamentali dei tipi “suddetti durante la evo- luzione del Regno vegetale. Dopo i lavori di aigologia dobbiamo ricordare quelli sulla biologia delle piante superiori, nei quali il Borzì diede più largo sviluppo alle idee del suo grande maestro Federico Delpino, imprimendovi un carattere più moderno, quale i progressi della scienza richiedevano. E qui mi sembra opportuno precisare quale sia il rapporto di deriva- DISCORSO DEL PROF. DOMENICO LANZA ‘zione del pensiero e dell’opera del Borzì da quelli del Delpino, di cui egli fu ‘e si proclamò sempre reverente discepolo. | Il Delpino non fu al Borzì maestro d’ una materia specifica d’insegna- mento, ma maestro nel senso più alto e più largo di formatore del pensiero ‘e del sentimento naturalistico; per cui mentre il Delpino svolse |’ opera sua. principalmente nel campo interessantissimo ma limitato della biologia fiorale, nella quale fu sommo, ed in quello della sistematica a base biologica delle fanerogame, avvalendosi soltanto del sussidio della morfologia , il Borzì non trattò quasi mai di tali argomenti, ma il modo di intendere e di sentire la vita ispiratogli dal Delpino egli applicò allo studio di altre e più svariate ma- nifestazioni vitali dei vegetali superiori ed inferiori, avvalendosi del sussidio non soltanto della morfologia, ma benanco della anatomia, della istologia, della fisiologia, discipline che egli apprese da se stesso; ed è particolar- mente notevole come egli abbia proprio iniziato la sua carriera con pubbli- ‘cazioni di algologia e di micologia, materie affatto ignote al suo grande maestro. è Al concetto vitalistico informatore dell’opera delpiniana pertanto, il Borzì non solo diede una assai più larga applicazione, ma diede l’ appoggio dei portati più moderni della scienza. Egli ebbe anche il merito di definire con precisione e circoscrivere net- tamente in una branca distinta della biologia generale l’insieme di quei fe- nomeni della vita, il cui studio dal Delpino con vocabolo di significato alquanto incerto era stato detto Biologia e che il Nostro, ad evitare equivoci, preferì in ultimo designare col nome di Ecologia introdotto quasi contemporanea- mente al Delpino dall’ Haeckel, mentre finora di essi fenomeni era mancata una netta concezione d’insieme, una precisa distinzione dalla materia della Biologia generale e della Fisiologia, nelle quali spesso sono andati confusi. Per il Borzì nelle funzioni fondamentali della vita — nutrizione e gene- razione — bisogna distinguere i processi intimi, i quali sono dominati da una costante regolare uniformità in qualunque individuo, qualunque forma e nome esso abbia, da quelli ausiliarii che si svolgono nei rapporti col mondo ‘circostante e che rendono la vita di relazione degli individui stessi quanto 99 COMMEMORAZIONE DEL PROF. ANTONINO BORZÌ , mai variata e complessa. Or mentre dei primi riusciamo facilmente a spie garci il meccanismo e l’essenza con l'intervento di azioni chimiche e fisiche, questo stesso fondamento non è possibile riconoscere nel carattere dei rap- porti che intercedono fra l’individuo vivente ed il mondo circostante, poi- chè questi appariscono determinati da un principio che li regola, li coordina,. li dispone congruamente a fini prestabiliti. E così questa forma di estrinse- cazione della vita di relazione negli esseri viventi secondo il Borzì sì rivela. diretta e regolata da un fondamento che può dirsi psichico. Le multiformi. interessantissime manifestazioni di questa attività, che possiamo dire di ca- rattere strettamente vitalistico, quali p. e. i fenomeni che riguardano le abi tudini, i costumi, gli istinti, ed in generale qualunque altro fenomeno della materia vivente riferibile alla vita di relazione con l’ ambiente e del quale- non possiamo concepire la natura come fenomeno di carattere chimico 0. fisico, costituiscono la materia della Ecologia, che perciò risulta parte ben distinta della Biologia generale e ben distinta anche da quell’ altra parte di questa che considera i processi di variazione, mutazione, eredità ed e- voluzione in generale e per la quale il Borzì proponeva il nome di Biodi- namica. Fra gli argomenti di Biologia e di Ecologia trattati dal Borzì, un gruppo di scritti riguardano quello della sensibilità nei vegetali. Nel discorso tenuto in quest’aula per l'inaugurazione dell’anno accade- mico 1893-94 dal titolo « Gli attributi della vita e le facoltà di senso nel re- sno vegetale », egli proponeva le basi di una dottrina dei sensi delle piante,. ponendoli in raffronto con quelli degli animali e spiegando la loro particolare. natura e le manifestazioni in relazione ai caratteri proprii della vegetalità,. alle funzioni ed alla struttura dei vegetali stessi ed alla loro origine nei pri-- mordi della evoluzione organica. Pochi anni dopo il prof. Noll dell’ Univer- sità di Bonn pubblicava una estesa memoria quasi dello stesso titolo, svi- luppando i medesimi concetti del Borzì, ma senza citarlo, quantunque dello. scritto del Nostro fosse stata data larga notizia dalle maggiori riviste bota- niche straniere. In un lavoro sull’apparato di moto nelle Sensitive sottopone ad esame- DISCORSO DEL PROF. DOMENICO LANZA 23 ‘critico la teoria dell’ Haberlandt, il quale aveva sostenuto che i movimenti di quelle piante avessero un fondamento fisico, idrostatico, e dimostra con ‘esperienze che gli elementi anatomici indicati dall’ Haberlandt come sede «del fenomeno non possono essere impegnati nel fenomeno stesso , il quale, ‘secondo il Borzì, ha la sua sede in taluni elementi particolari annessi al fascio, distinti per la ricchezza di protoplasma e per il nucleo vistoso, per cui è da ritenersi che il fenomeno sia di natura protoplasmatica e quindi essenzialmente biotica. Nel lavoro sulla « Azione degli stricnici sugli organi sensibili delle piante » ‘accertò che essa è corrispondente a quella che le medesime sostanze eserci- tano sui muscoli animali, e che l’azione successiva del cloroformio e di altri ipnotici è anche nelle piante quella di ripristinare le sospese facoltà sensitive ‘e determinò altresì il meccanismo d’ azione di tali sostanze sulle singole ‘cellule, consistente nelle variazioni che esse inducono sul potere osmotico del protoplasma. Conferma con tali ricerche il Borzì la natura vitalistica dei movimenti di cui si tratta e l’unità fondamentale della materia viva nei due regni organici. Studiò la sensibilità delle piante rampicanti in un lavoro sulla « Ana- tomia dell'apparato senso-motore dei cirri delle Cucurbitacee », nel quale mise jn rilievo una caratteristica strutturale delle cellule epidermiche della estre- ‘mità del cirro, mercè la quale il loro protoplasma è posto in grado di ri- ‘sentire direttamente lo stimolo del sostegno, per cui tali cellule epidermiche «devono considerarsi come gli elementi specifici di senso, mentre collegamenti protoplasmatici intercellulari con particolari elementi collenchimatici fibrosi ‘sottostanti, che vanno considerati come elementi motori, determinano la con- trazione di questi ed il conseguente avvolgimento del cirro. Nello stesso tempo ‘spiegò il meccanismo per cui tale forma acquisita sotto l’azione dello stimolo ‘diventa definitiva e raggiunge la solidità necessaria alla funzione di sostegno, ‘mediante la lignificazione di un particolare tessuto cui diede il nome di la- ‘mina. del Bianconi. Altro gruppo di lavori del Borzì riguardano lo studio della xerofilia, 0s- «Sia la possibilità dell’adattamento della vita vegetale alla secchezza. Questo di COMMEMORAZIONE DEL PROF. ANTONINO BORZÌ fenomeno fisio-biologico attrasse particolarmente la sua attenzione da antico tempo, e fu, a me pare, lo studio di esso che indirizzò il suo pensiero alle applicazioni della biologia vegetale alla agricoltura dei climi caldi e secchi. Nello scritto su « L'acqua in rapporto alla vegetazione di alcune xerofile » studia ed interpetra come adattamenti diretti allo assorbimento dell’ acqua. meteorica certi caratteri morfologici e strutturali di organi aerei di talune piante. 41 Nelle « Note alla biologia delle xerofile della flora insulare mediterra- nea », lavoro rimasto incompleto, affronta lo studio della xerofilia sperimen-. talmente e ne tenta una spiegazione ed idea una scala di determinazione basata sulla maggiore o minore capacità degli organi staccati dalla pianta di trattenere l’acqua in essi contenuta. Casi particolari di xerofilia illustrò negli scritti « Xerotropismo delle Felci» e « Alghe xerofile della Tripolitania ». Lavori d’ indole più strettamente ecologica sono quelli sulla dissemina- zione, fra i quali meritano particolare ricordo le « Ricerche sulla dissemi- nazione delle piante per mezzo di Sauri ». In questa memoria mise in rilievo. la parte importante e prima di lui trascurata che tali animali prendono nella disseminazione di molte piante, dimostrando, anche sperimentalmente, la. reale esistenza di adattamenti saurofili in molti frutti e la reale attrazione che questi esercitano sulle lucertole. Presentò nello stesso tempo una classifica- zione dei tipi saurofili e mise in rapporto la saurofilia col fenomeno ancora. oscuro della caulocarpia, apportando su di esso nuova luce. Ricorderò ancora gli studii sulla funzione aerofilactica e udofilactica nel regno vegetale, argomento che prima trattò nei riguardi delle piante della Flora libica e che poi fece oggetto di uno studio generale. Siudia in essi gli adattamenti dei vegetali per la difesa contro le azioni avverse dell’ambiente- aereo — vento e pioggia — adattamenti anatomici e morfologici delle singole- parti, sviluppo e modo di crescere dello intero corpo, sia per sottrarsi all’ a- zione del vento, o per resisterle o per secondarla, resistenza delle foglie al l’azione strappante e lacerante del vento, disposizioni dirette a ‘sbarazzare- le foglie dall’acqua piovana, ed altre simili, e propone una chiara e completa. classificazione dei tipi vegetali in rapporto a tali funzioni. DISCORSO DEL PROF. DOMENICO LANZA 25 Troppo dovrei dilungarmi se volessi ricordare tutti i contributi portati dal Borzì nel campo della biologia vegetale: note sulla germinazione dei semi di Araucaria, sulla biologia degli embrioni di Inga, sulla impollina- zione di Visnea, di Cocos, delle Epacridaceae, sulla distribuzione dei sessi nel Castagno, e parecchie altre ancora. Mi limiterò ad accennare a due lavori d’indole generale sulla materia. L’ uno fu letto in questa sala per l'inaugurazione dell’anno accademico 1914-15 e porta il titolo « Vita, forme, evoluzione nel regno vegetale ». In esso il Borzì si sforza di chiarire il nesso essenziale che lega questi tre ordini di fenomeni. Critica quei sistemi di concezione della origine delle forme viventi, i quali considerano la natura dei processi formativi come pura ma- nifestazione degli stimoli esterni, e sostiene il concetto che la materia vi- vente sia dominata da un principio affatto autonomo nella sua azione mentre gli invocati agenti esterni rappresentano non altro che cause occasionali ne- cessarie a svegliare la sua attività, ad estrinsecare la sua latente energia, nel quale rapporto tra questi agenti e quel principio, che nella sua appli- cazione si comporta come se fosse guidato da un senso particolare di perce- zione, sia pure incosciente, il Borzì addita le fonti prime dei processi evo- lutivi della facoltà psichica. Passa poi alla considerazione delle fisonomie degli individui vegetali e delle diverse azioni esterne formative di esse, con- sistenti nei rapporti di mutua convivenza e nei rapporti col mondo fisico e col mondo animale, non che alla considerazione delle associazioni vegetali, nelle quali vede attuato non il principio della lotta, ma il principio di un pacifico commensalismo , di una perfetta armonia sociale. Conchiude final- mente che i processi formativi tanto della organizzazione degli individui quanto delle associazioni, che hanno agito durante la lunga evoluzione del mondo vegetale, si siano ai tempi nostri arrestati; per cui si dichiara cre- dente nella tissità attuale delle specie e nella stabilità delle associazioni, e nega ogni valore alla così detta disseminazione a distanza. T concetti sommariamente accennati in quello scritto egli svolse poi con larga trattazione in un magnifico volume ricco di osservazioni proprie sulle piante in gran parte allo stato di matura nell’Italia centrale, nella Sicilia ed 4 26 COMMEMORAZIONE DEL PROF. ANTONINO BORZÌ in qualche angolo della Libia e della Svezia che egli visitò, e denso di considerazioni originali e spesso geniali. Egli arrivò appena in tempo a ri- vederne le ultime bozze, ma non ebbe la fortuna di vederlo pubblicato; pro- prio l’altro ieri con la più viva commozione ho ricevuto dall’editore la prima copia dei «Problemi di filosofia botanica » del Borzì. Questo libro riassume e coordina tutta l’ attività scientifica di lui nel campo della biologia e ne fissa in forma definitiva il pensiero. Esso eg i volumi degli « Studii algologici » costituiscono le opere maggiori del Borzì. Rimarchevole lavoro di morfologia è quello « Sullo accrescimento dello stipite delle Palme ». Un attento studio organogenetico, eseguito su numerose specie di Palme, Jo condusse a considerare la produzione del fusto di dette piante come dipendente dall’attività dei tessuti sottostanti alle basi fogliari, e quindi a risolvere la questione dello accrescimento diametrale del fusto delle Palme, sulla quale molto si era già scritto. La natura particolare del- l'organo assile delle Palme veniva da siffatta osservazione singolarmente chia- rita e considerata come quella di un ceppo comune di una grande colonia di individui, rappresentati ciascuno da una foglia. Questa concezione po- neva sul tappeto la vecchia quistione generale di alta morfologia: qual’ è |. l'organo tipico fondamentale del cormo delle piante superiori? La teoria del- piniana, detta del «fillopodio», non interpetra manifestamente la natura di siffatto organo fondamentale, limitandosi a spiegare l’origine del fusto come proveniente da un insieme di basi fogliari concresciute. Secondo il concetto borziano invece le foglie non sarebbero che una parte, sia pure la più im- portante ed appariscente dell’organo in parola; questo avrebbe anzi valore quasi di individuo vero e proprio, di unità elementare del corpo vegetativo totale, esistente potenzialmente allo stato di tessuto meristemale nell’ a- pice vegetativo, dove tutti i caratteri dell’organismo definitivo sono assommati e confusi insieme. A questa unità elementare il Borzì diede il nome dì « me- roblasto »; ed è solo per effetto del differenziamento posteriore, in vista delle necessità fisico-biologiche delle funzioni di assimilazione e di sostegno, che esso acquista alla sua periferia il carattere di foglia ed al centro quello di fusto. DIMPL'AI NCAA, e b i TANESICAZIAIA DISCORSO DEL PROF. DOMENICO LANZA 27 Parecchi notevoli contributi portò anche il Borzì nel campo della ana- tomia vegetale. | Chiarì la conoscenza istogenica delle radici, determinando l’origine delle radici laterali delle monocotiledoni da un unico elemento del pericambio e studiando nello stesso tempo le differenze del processo di formazione di tali radici nelle fanerogame e nelle crittogame vascolari. Studiò i cristalli nucleari di Convolvulus. Trovò lenticelle nelle foglie di Cumellia, organi generalmente proprii dei fusti, ma che si riscontrano anche in tali foglie di lunga durata. Taccio di molti e molti altri scritti minori di vario argomento, per ac- cennare a quelli che riguardano la botanica applicata. Numerosissimi sono gli opuscoli, gli articoli su giornali, le relazioni ad autorità ed a congressi, gli scritti di propaganda in genere con i quali egli insistè instancabilmente a diffondere le sue idee in materia ed a procurare aiuti per la loro attuazione concreta. In essi combattè in primo luogo per il riconoscimento del principio che ogni progresso nel campo pratico dell’ agricoltura non è, e non può essere che la conseguenza del progresso nel campo scientifico, contro il vieto pre- giudizio di un dissidio inesistente fra scienza della vita vegetale e pratica a- gricola. Pregiudizio ormai superato nei rapporti fra gli altri rami della scienza e le corrispondenti attività produttive’, ma che purtroppo esiste ancora in materia di agraria. Il concetto fondamentale dell’applicazione della sua scienza al miglio- ramento dell’ agricoltura egli pose nella considerazione che dei due fattori della attività vitale, organismo ed ambiente, si è tenuto conto nel passato solo di quest’ultimo ; anzi soltanto di una parte di esso, dell'ambiente nu- tritizio ; tutte le cure sono state rivolte al miglioramento di questo con la lavorazione e la concimazione del terreno. Ma l’agricoltura moderna non può essere contenuta interamente dentro i limiti segnati dai vecchi e classici concetti chimico-agronomici dovuti a quella benemerita scuola, cui l’agraria deve la sua instaurazione su basi razionali e tanto conseguente progresso. Un ulteriore progresso dipende dall’altro fattore della prosperità agraria, 98 COMMEMORAZIONE DEL PROF. ANTONINO BORZÌ il fattore biologico; cioè l’organismo stesso della pianta, non preso ancora in sufficiente considerazione. D’onde la necessità dello studio, fatto con metodo e su basi scientifiche, della vita, delle abitudini delle piante da coltivare e dell’applicazione dei processi che la biologia sperimentale ci offre, quali la selezione per la purificazione delle buone razze esistenti o per la creazione di nuove, l’ibridazione ed altri. i Nè meno insistè sul concetto che il criterio della regionalità è domi- nante in questo campo degli studii, come in tutti i problemi agrarii, d'onde la necessità che qui da noi sorgesse una istituzione biologico - agraria per lo studio delle piante agrarie locali e per l’introduzione di nuove, l’opportu- nità, suggerita dalle affinità ambientali, che ad essa fosse affidata la direttiva scientifica della agricoltura coloniale, collegandola alle istituzioni tecniche poste in colonia. Gli studii dal Borzì e dai suoi collaboratori compiuti nel R. Giardino Co- loniale, sebbene ancora appena nascente, le esperienze intraprese sulle piante più adatte alla cultura nelle nostre colonie e su quelle che vantaggiosamente potrebbero introdursi nell’ agricoltura della nostra Isola, sono già molti ed interessanti e si trovano consegnati nei volumi dei Bollettini del Giardino Coloniale stesso e dell'Orto Botanico. Ricorderò gli studii, ormai definitivi ; sull’Agave Sisalana, la quale già è cominciata ad entrare nel campo pratico della grande cultura. Quelli sui Cotoni, condotti sul concetto che il problema della cotonicoltura in Sicilia consiste non soltanto nello studio delle pratiche culturali che meglio si addicono ad una razionale coltivazione di questa preziosa pianta nell’Isola, quanto principalmente nella ricerca fra le innumerevoli esistenti, o nella creazione di una razza adatta alle condizioni ambientali della Sicilia. Ricorderò ancora i molti tentativi di cultura di varie piante a caucciù e quello felicissimo sulla Barbabietola. La relazione del Borzì sulle espe- rienze di cultura della Barbabietola da zucchero in Sicilia è un vero modello del genere. La coltivazione di questa pianta era ritenuta impropria ad un clima meridionale come il nostro; bastò spostarne convenientemente l’epoca di semina e di raccolta perchè essa vegetasse e producesse non meno bene DISCORSO DEL PROF. DOMENICO LANZA A 29 «che nei paesi più settentrionali del nostro. Ed un modello di monografia IS biologico - agraria è quella sul Cynodon Dactylon, la comune « Gramigna », ‘applicata al rinsaldamento dei terreni mobili. Signori, io non posso chiudere l’elogio dell’uomo insigne, la cui memoria ‘oggi qui onoriamo, senza mettere in rilievo un aspetto che ne rende più cara e più simpatica la figura; voglio dire la schietta italianità del tipo di scien- ‘ziato che egli incarnava. Essa si affermava nella vivacità e nella versatilità ‘dell’ingegno, nella larghezza ed originalità di vedute, nella integrazione della conoscenza scientifica col vivo senso dell’arte. Nè con questa espressione mi riferisco soltanto al fine gusto di cui egli ‘era dotato per tutte le manifestazioni dell’ arte, specialmente per la pittura, ‘e per la musica; nè soltanto all'eleganza della espressione, alla purezza della lingua, alla larghezza sobria del periodare, per cui le sue pagine sono raro ‘esempio di buona prosa scientifiea moderna e si riattaccano alla tradizione ‘che i nostri antichi, scienziati e letterati ad un tempo, ci hanno tramandato. Ma sopra tutto intendo alludere al senso che egli ebbe della bellezza insita in ogni oggetto ed in ogni fenomeno naturale, la quale, a chi sa intenderla non è solo fonte di godimento, ma è anche lume all’intelletto, per quel pro- fondo legame che unisce fino ad identificare il vero ed il bello. Italiano per le naturali caratteristiche dello spirito, lo fa anche per l’e- ducazione. In un’ epoca in cui per essere riconosciuti scienziati si riteneva indispensabile avere appreso da maestro d’oltre Alpi ‘e ciascuno vantava la propria marca straniera, il Borzì ebbe un sol maestro, italiano, e di esso si vantò, ed il resto della sua cultura formò da sè stesso direttamente sui ‘ibri e nella osservazione della natura. Più tardi visitò ripetutamente i mag- .giori istituti botanici esteri e fra gli scienziati stranieri ebbe molti amici ed ‘estimatori, specialmente in quella Svezia, patria del sommo Linneo, dove ‘lo studio delle piante è quasi un culto nazionale radicato nella tradizione, ipaese che il Borzì ammirava ed amava di vivo affetto e di cui parlava cor- rentemente la lingua; ma tutto questo dopo che la sua cultura fondamen- tale e l’atteggiamento del suo spirito s'erano formati italianamente in Italia. 30 COMMEMORAZIONE DEL PROF. ANTONINO BORZI Perchè, o Signori, se è vero che la scienza non conosce nazionalità, ma è universale, ciò è quando per scienza si intende semplicemente fa nuda co- noscenza dei dati di fatto; ma la scienza come concezione filosofica del mondo e della vita è legata alle intime qualità native della razza, di cui lo scienziato è nobile ed espressivo rappresentante. Tali, o Signori, la vita e l’opera scientifica di Antonino Borzì, sulla guale meglio di noi che la guardiamo troppo da vicino potranno dire quelli che ci seguiranno, ma di cui possiamo fin da ora con sicurezza affermare che occuperà un posto segnalato nella storia delle scienze biologiche in Ita- lia. Un grande e vereraudo naturalista contemporaneo, Giuseppe Sergi, che- premette una affettuosa pagina al volume postumo sopra ricordato, non ha esitato di chiamare il Borzì «sommo biologo ». Noi cultori di scienza palermitani, cui corre più stretto l’ obbligo di conservarne ed onorarne la memoria, none potremmo meglio quest’ obbligo. assolvere, nè in maniera a lui più grata, che mantenendo vivo il nostro inte- ressamento per quell’[stituto che fu il campo della sua feconda attività, l’og- getto delle sue appassionate cure, adoperandoci con vigile affetto che il nostro. meraviglioso Orto Botanico tenga sempre alta la sua posizione rel mondo. scientifico, conservando il carattere che natura gli formò e la gloriosa tradi- zione che gli hanno costituito i tre scienziati che ne hanno tenuto la di rezione, tutti e tre siciliani, tutte e tre insigni, secondo il carattere ciascuno. del suo tempo, Vincenzo Tineo, Agostino Todaro, Antonino Borzì. Pubblicazioni del Prof. Antonino Borzì . «Intorno agli officii dei gonidii de’ Licheni ». In Scienza contemporanea. an- no II, Messina, 1874, pagg. 12. — Lo stesso, con note, aggiunte ed una tav. In N. Giorn. bot. ital., vol. 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Messina, 1880. . « Hauckia, Nuova Palmellacea dell’isola di Favignana ». In N. Giorn.bot. ital., vol XII, pag. 290-295 e tav. VII. Pisa, 1880. . «L’ ilixi-suergiu (Quercus Moristi, Borzì)». Nuova Querce della Sardegna. In N. Giorn. bot. ital., vol. XII, pag. 5-11 e tav. I. Firenze, 1881. . « Note alla morfologia e biologia delle Alghe Ficocromacee ». III. Rivularia- ceae. In N. Giorn. bot. ital., vol. XIV, p. 272-315 e tav.XVI-XVII. Firenze, 1882. PUBBLICAZIONI DEL PROF. ANTONINO BORZÌ . «Il nuovo Orto Botanico. Relazione al Sindaco della città di Messina ». In L’ Agricoltore Messinese, pagg. 29. Messina, 1883. 3. « Nuovi studi sulla sessualità degli Ascomiceti », pag. 6. Messina, 1883. . «Studii Algologici. Saggio di ricerche sulla biologia delle Alghe ». Fase. I. pagg. VI-120 e tav. I-IX. Messina, 1883. 5. « Rhizomyzxa, nuovo Ficomicete », pagg. 56 e due tav. Messina, 1884. _ « Rhizomyxa, nouveau Phycomycète. Abrégé de l’auteur». In Archives italiennes de Biologie, tom. V, pagg. 23. 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E in Tribuna Coloniale, 1921, n. 38 e 39. 172. «Come dobbiamo insegnare la Botanica nelle scuole secondarie?» In Rivista di Biologia, vol. III, pag. 464-470. Roma, 1921. 173. «Il genere Lagerheimella delle Mixoficee ». In Boll. della Società di Sc. Na- turali ed Economiche di Palermo. Seduta del 16 Luglio 1921, pag. 6-15. 174. « Problemi di Filosofia Botanica», pagg. 344. Roma 1920. (Pubblicato in Ot- tobre 1921). FRANCESCO CIPOLLA COMMEMORAZIONE DEL Prof. MARIANO GEMMELLARO Letta nell'adunanza del 30 dicembre 1921 «della Società di Scienze Naturali ed Economiche tenutasi nell'Istituto di Geologia della R. Università di Palermo . Signori, Non altro titolo io mi riconobbi, quando nell’ ultima seduta di questa Società il compianto nostro Presidente Prof. Antonino Borzì volle affidarmi, vol consenso dei Soci presenti, onorevole incarico di commemorare il Prof. Mariano Gemmellaro, se non la benevolenza di questa Società e la fortuna di essere stato assiduo e affettuoso compagno di lavoro al caro Estinto in questi ultimi anni, in cui egli si accingeva a svolgere la sua più fervida at- tività scientifica. Giacchè non io, che seguivo con vera e fraterna soddisfazione i pro- gressi dell’ inestimabile amico nel campo scientifico, avrei potuto essere il fedele interprete dei sentimenti di cordoglio, di cui è compresa questa So- ‘cietà per la immatura e rapida scomparsa del nostro consocio, che alle doti elette del gentiluomo perfetto univa quelle dello scienziato insigne. DESTEEA però la mia inadeguata competenza a dire degnamente di Lui, la cui ‘elevata posizione fra i geologi italiani era ormai riconosciuta, potrà, forse non suscitare in Voi, come vorrei, quel sentimento di ammirazione per il . giovine geologo, non lascerò sfuggirmi la fortunata occasione, che mi avete ‘offerta, di potere manifestare ancora una volta pubblicamente, il mio affetto e la mia gratitudine all’ indimenticabile Mario (così tutti lo chiamavano) in questa aula, che sentì la sua voce d’insegnante entusiasta e coscenzioso, in questo Istituto e Museo che lo videro studioso instancabile e fervido lavo- ratore. COMMEMORAZIONE DEL PROF. MARIANO GEMMELLARO Possono altresì le mie parole raddolcire il dolore dei suoi cari e sopra- tutto della gentile e desolata consorte signora Adele Bonocore, che gli fu per 19 anni compagna affettuosa e della sorella signora Giuseppina Gaglio; a cui ancora una volta esprimo, anche a nome di questa Società, il senti- mento del nostro vivo rimpianto per la perdita del loro diletto congiunto, con l'assicurazione che il tempo non potrà affievolire in noi la di Lui vene- rata Memoria. Nacque Mariano Gemmellaro a Palermo il: 18 dicembre 1879, dal com- pianto professore senatore Gaetano Giorgio e dalia gentildonna Maria Pan- taleo, anch’essa di famiglia illustre nelle scienze. Egli ebbe la ventura di appartenere a quella celebre famiglia Gemmel- laro, a cui va legata la storia delle dottrine geologiche in Sicilia, nonchè del loro sviluppo da più di un secolo e mezzo. Già nel 1766 il suo antenato Raimondo Gemmeliaro scriveva la storia dell'eruzione dell’ Etna di quell’anno. Ricordiamo che il padre suo, onore e vanto della geologia siciliana della seconda metà del secolo scorso, fu figlio di Carlo l’enciclopedico, professore nel 1831 di storia naturale nell’Università di Catania, il quale alla sua volta fu fratello dei due valenti vuleanologi dell'Etna, Mario e Giuseppe. Nel nostro Mario, come nel padre suo e nel nonno, che si laurearono prima in una scienza diversa da quella che professarono dopo così lumino- samente, i suoi sentimenti di naturalista, non si rivelarono che tardi. Fra una vita brillante egli trascorse i primi anni della sua gioventù e nel 1900 si addottorò in legge. Ma dopo la morte del padre, nel 1904, per incitamento del comune Mae- stro Giovanni Di Stefano, il quale fu prima allievo e poi successore di Gae- tano Giorgio Gemmellaro nella cattedra di geologia di questa Università, il giovine Mariano sentì tutto il dovere di non potersi sottrarre alla nobile tra- dizione della sua famiglia. E nel raccogliere l’ eredità morale, trasmessagli dagli avi, si accorse che esistevano in lui elementi tali che avrebbero po- tuto cambiarlo in uno appassionato naturalista. COMMEMORAZIONE DEL PROF. MARIANO GEMMELLARO 49 Ritornò allora con assiduità e coscenza alle lezioni della scuola, sostenne, sempre con splendidi voti, gli esami speciali del corso di Scienze Naturali, ove si laureò nel luglio del 1908 con il massimo dei punti e la lode, svol- gendo, sotto la guida sapiente e affettuosa di Giovanni Di Stefano, una tesi di paleontologia, che egli poi, un anno dopo pubblicò col titolo: « Nuove osservazioni paleontologiche sul Titonico inferiore della provincia di Palermo ». Così egli iniziò le sue pubblicazioni, intorno ad un argomento, su cui aveva molto lavorato il padre suo, cioè sulla fauna del Titonico siciliano, nella sto- ria del quale è ormai noto che il nome di G. G. Gemmellaro è rimasto ce- lebre, accanto a quello di Oppel, Zittel e Neumayr. Permettetemi che sin d’ora io Vi annunzi che il nostro Mario, tosto che decise e imperiosamente volle dedicarsi agli studi geologici, quasi sempre preferì occuparsi, talvolta solo per integrarli, di quegli argomenti che furono tanto cari al padre suo, e da questi magistralmente svolti. Già nella introduzione alla sua tesi di laurea egli scriveva: « Nel ripren- dere e continuare gli studi del compianto mio genitore , intendo anche, per quanto possano le mie deboli forze, onorare la memoria di Lui, mostrando che l’opera sua non è rimasta infeconda, ma serve di base e di spinta a studi ulteriori ». Sicchè tutti videro continuarsi in lui l’infaticabile e luminosa attività paterna, nello affrontare e risolvere i più difficili problemi della geologia si- ciliana. Fu per questo che egli, ancor giovane, illuminato da sì fulgida luce, con la tenacia delle sue ricerche, con la serietà dei suoi lavori, presto si affermò nel campo degli studi geologici, e non tardi sarebbe pervenuto a quell’ al- tezza, che avevano felicemente raggiunto i suoi maggiori. Tralasciando di parlare di alcune sue note, fatte in collaborazione del Checchia-Rispoli sulle orbitoidi del Sistema cretaceo della Sicilia, per cui M. Gemmellaro intervenne, coll’amico Checchia e il suo maestro, nella lotta tanto animosa, intorno alla localizzazione stratigrafica delle Lepidocicline, io ritorno alla sua prima pubblicazione sul Titonico inferiore. In essa illustrò numerose forme nuove di quella fauna fossile della Sicilia occidentale, già 7 50 COMMEMORAZIONE DEL PROF. MARIANO GEMMELLARO fatta in gran parte conoscere dal padre, dal Prof. Di Stefano e dal Marchese Di Gregorio. Questo studio egli riprese circa 10 anni dopo, con la illustrazione dei due generi di crinoidi: Pseudosaccocoma e Apiocrinus, che fe° meglio cono- scere di quello che non avesse fatto il Remes sopra i fossili di Stramberg, e con la scoperta di alcune nuove località titoniche nella Provincia di Pa- lermo e Girgenti. Preziosi, per chi voglia eseguire escursioni geologiche nei dintorni di Palermo, sono i suoi due articoli: « Conca d'Oro » ed « Escursione al giaci- mento fossilifero di Ficarazzi », scritti rispettivamente in occasione del VII Congresso geografico e della ultima Riunione della Società Geologica Italia- na, tenutisi in Palermo. Le sue ricerche sul Lias medio siciliano ci diedero |’ interessante sua memoria: « Sui fossili a Terebratula Aspasia delle contrade Rocche Rosse di Galati in provincia di Messina ». Il lavoro era stato iniziato dal suo geni tore, ma da lui venne continuato con la descrizione dei gasteropodi, per cui poterono ancor meglio riferirsi quei sedimenti siciliani a quelli di Hierlatz. Con speciale passione M. Gemmellaro si occupò anche di ittiologia del Terziario, nello studio del quale il prof. Di Stefano indirizzava da principio i suoi discepoli, ben sapendo quanto poco si era lavorato intorno a questo periodo geologico, specialmente nella Sicilia occidentale. Anche su questo argomento il nostro Mario, seguendo le orme del pa- dre, scrisse parecchie interessanti memorie, che possono riguardarsi come piccole monografie paleontologiche. Con quella sugli ittiodontoliti del Miocene medio delle provincie di Palermo e di Girgenti confermò l’età dei sedimenti assai estesi, che contengono quei fossili, nei dintorni di Corleone, Campo- fiorito, Castronovo, Palazzo Adriano e Burgio; con quella sugli ittiodontoliti eocenici di Patàra illustrò, per la prima volta in Sicilia, un gruppo completo di pesci fossili eocenici; con quella sugli ittiodontoliti del calcare asfaltifero di Ragusa, oltre al contribuire alla conoscenza, assai scarsa di quel Miocene medio, potè precisare, con uno studio tanto difficile quanto utile, la posi- zione di ogni dente nelle mascelle delle varie specie; con quella infine sui ” COMMEMORAZIONE DEL PROF. MARIANO GEMMELLARO DI crostacei e pesci fossili del Piano Siciliano dei dintorni di Palermo riuscì a constatare, anche per questo tipo di animali, l’ esistenza nei nostri depositi quaternari di specie quasi tutte viventi, tranne di qualche forma di carattere più antica e di qualche altra vivente attualmente in mari più freddi. A questa serie si collega altresì la sua nota sugli « Otoliti del Piano Si- ciliano nei dintorni di Palermo», con la quale il numero dei pesci del Plei- stocene di Palermo venne notevolmente accresciuto. Le sue interessanti pubblicazioni gli meritarono l’abilitazione alla libera docenza in Geologia, che egli ottenne nel 1914, e quindi l’incarico dell’ in- segnamento della Geografia fisica in questa Università che tenne per alcuni anni. A questo suo dedicarsi agli studi di geofisica si deve l’ importante suo lavoro sulle: doline nella formazione gessosa a N. E. di S. Ninfa, riprodu- cente i fenomeni carsici di quella regione con una tale precisione, che egli confessò di avere potuto raggiungere mercè il valido aiuto del suo maestro Di Stefano, il quale in quei luoghi, vicino al suo paese natìo, l’accompagnò con tenerezza quasi paterna. Trovandosi il posto di assistente di questo Istituto, dopo la sua laurea, già occupato, egli dal 1910 al 1914 fu assistente presso la cattedra di Gol- tivazione delle Miniere in questa R. Scuola di Applicazione. Ivi, sotto la guida del Ch.mo Prof. Carlo Folco, ebbe la occasione di addestrarsi nelle applicazioni della Geologia, in questo ramo praticamente così utile della no- stra scienza, nel quale egli sì rese prezioso specialmente durante la guerra. Ricordo di questo suo ufficio è il suo studio geologico sul giacimento solfifero di Grottacalda in Sicilia. Interessanti risultati furono da lui conse- guiti in ricerche nella zona solfifera, nell’utilizzazione delle acque, nello stu- dio dei depositi di petroli, di asfalti, di fosfati, di ligniti, e nel far meglio conoscere e sfruttare l’importante giacimento di solfati in quel di Calasci- betta, il quale promette di divenire un prezioso deposito di vari e utilissimi minerali. Perciò il suo consiglio fu richiesto e apprezzato da enti e società indu- striali, tra cui rammento la Società « Montecatini », la Soldit, la Société Gé- nérale des Soufres, ecc. COMMEMORAZIONE DEL PROF. MARIANO GEMMELLARO E la sua scienza M. Gemmellaro mise anche a servizio della patria in guerra, quando nel maggio 1917 forniva informazioni, d’indole geologica, al Comando della Difesa Costiera (Settore di Palermo). | Anche negli ultimi suoi giorni, insieme con altri stava rivolgendo la sua attività per preparare lo sfruttamento e la migliore applicazione dei prodotti dell’isola di Vulcano. Nella fine del 1914 egli occupava il posto di assistente in questo Istituto; che anche durante il suo primo ufficio non aveva tralasciato di frequentare, e fu allora per Di Stefano il coadiutore zelante e affettuoso, sino agli ultimi giorni della vita del Maestro , a lui legato da un’ amicizia vivissima, di cui era altrettanto ricambiato. Da quest’epoca il Gemmellaro potè dedicarsi, quasi esclusivamente, alla sua scienza prediletta, tranne in quegli annui della guerra in cui, come di- cemmo, egli si mise a disposizione di quanti allora lavoravano intorno ai maggiori problemi industriali dell’Isola nostra. Quando nel 1918 si rese vacante con la morte del Prof. G. Di Stefano la cattedra di geologia di questa Università, egli ebbe l’ onore di occuparla per incarico. Fu questa occasione per lui un maggiore incitamento a perseverare nel lavoro assiduo, per rendersi degno di occupare definitivamente, come tito- lare, la cattedra del Padre suo e del suo Maestro. A questo periodo d’intenso lavoro si deve la scoperta che egli fece del Kelloviano inferiore nell’isola di Favignana e nella montagna della Tardàra presso Menfi, analogo a quello che G. G. Gemmellaro aveva trovato nella Rocca chi parra presso Calatafimi, e del Piano Tirreno di Issel nel Quater- nario di Favignana. Ceselli di lavori paleontologici sono le sue illustrazioni del cranio del Neosqualodon Assenze Forsyth Major sp. (il cui ritrovamento era stato da tempo annunziato dal padre suo) e di un frammento di mascella di Cybium Botti Cap. sp. del calcare asfaltifero di Ragusa. In questo studio egli pervenne a stabilire la formola dentaria del magnifico esemplare che si conserva in que- sto Museo, nonchè a proporre un raffronto, non ancora tentato, della serie rr i e o a à , i et ' Cer COMMEMORAZIONE DEL PROF. MARIANO GEMMELLARO 53 stratigrafica dei calcari Iblei con quelli di Malta, del Bellunese e del Bacino «di Vienna. Su materiale in parte raccolto dall’Ing. Cortese e dal Prof. G. Di Stefano nel loro viaggio in Egitto del 1912, M. Gemmellaro eseguì, dedican- «dolo con reverente affetto e in omaggio di gratitudine al Maestro, il suo la- voro sugli Ittiodontoliti fossili di quella regione, col quale confermò l’ età -di Maéstrichtiano superiore agli strati fosfatiferi della Valle del Nilo e del Deserto Arabico. Simile conclusione egli trasse dallo studio degli avanzi dei rettili della ‘stessa località. Finalmente M. Gemmellaro, memore della promessa che egli fece quando, nella commemorazione del defunto Maestro, da lui letta nella seduta di que- sta Società del 3 febbraio 1918, a proposito della revisione che il Dì Ste- fano stava iniziando degli studi sul Trias Siciliano, disse : ‘« Sarà prova di devozione alla memoria dell’Estinto tentare di ripigliare l’importante argomento e compiere col tempo la grande opera iniziata », nel principio di quest'anno a questo grande lavoro si accinse; dedicandolo come il primo, al Padre suo, quasi che, presago della sua prossima fine, volesse «sciogliere un doppio voto: al Maestro che l’ avea così amorevolmente for- | mato, al Padre per rispetto ed onore del quale, egli aveva voluto accettare la grande eredità scientifica. Dell’ importanza di questo lavoro, le cui geniali conclusioni, da lui for- tunatamente preannunziate, siamo sicuri che saranno pienamente confermate, quando esso sarà completato , è stato detto estesamente dal prof. L. Scho- «pen, (1) che meglio di me ebbe il piacere di seguire il nostro Mario sin dal- l’inizio della sua carriera ed accompagnò G. Di Stefano e G. G. Gemmellaro . nelle faticose escursioni sui monti triasici della Sicilia. Mario però non potè ultimarne che la sola prima parte, perchè la sua fibra, già indebolita dall’ influenza del 1918, non potè resistere all’ immenso (1) Pror. Lurar ScHopen, Mariano Gemmellaro ed il suo ultimo lavoro sul Trias dei «dintorni di Palermo. (Bollett. della Federaz. Mineraria Italiana — Roma, luglio-agosto 1921), 54 COMMEMORAZIONE DEL PROF. MARIANO GEMMELLARO e molteplice lavoro. Una breve e violenta malattia, nel pomeriggio del 16 giugno di quest'anno lo rapiva immaturamente all’affetto della famiglia, de- gli amici, e alla scienza, che molto ancora avrebbe potuto sperare da Lui. Sfortunatamente egli non arrivò ad ascendere alla cattedra, a cui i suoi meriti ormai lo rendevano idoneo; ma io credo che M. Gemmellaro potè spe- gnersi tranquillo, con la coscienza di aver saputo custodire e continuare la gloriosa tradizione trasmessagli dai suoi antenati. E fu questo il solo conforto che noi tutti avemmo nell’ immatura sua. scomparsa; egli era già il geologo siciliano degno di stare accanto agli il- lustri professori di questo Istituto. Fu questo l’unanime sentimento espresso dagli uomini più eminenti nella scienza geologica nell’inviare le condoglianze a noi e alla famiglia, insieme con quel profondo cordoglio che spinse auto- rità, colleghi, amici, allievi, ammiratori a partecipare ai suoi funerali. Alle elette doti di mente del Gemmellaro, per le quali molti sodalizi scientifici lo ascrissero fra i loro soci (tra cui questa Società di Scienze Na- turali ed Economiche, ove egli disimpegnò con grande scrupolo ed assiduità l’ufficio di V. Segretario, la R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti, e il Circolo Giuridico di Palermo, la Società Geologica Italiana, la Società « Ura- nia» di Torino, ecc.), si univano Quelle di un cuore veramente ottimo e un carattere diritto, schietto, leale. Anche per questo riguardo egli perseguì la nobile tradizione dei Direttori di questo Istituto. Cortesissimo con tutti, vivace, pronto all’aneddoto spiritoso e al motto. arguto, fu stimato ed amato da quanti ebbero il piacere di conoscerlo. Signori, Un crudele destino ha colpito i figli dei due grandi geologi siciliani della seconda metà del secolo scorso, i quali vollero seguire le orme paterne; Luigi Seguenza e Mariano Gemmellaro ; travolto il primo in giovine età, con la moglie e figli, tra le macerie del terremoto di Messina, scomparso il secondo immaturamente, senza discendenza, quando stava per raccogliere i fruiti delle sue elaborate ricerche. . COMMEMORAZIONE DEL: PROF. MARIANO GEMMELLARO 55 Non resta a noi che seguirli nella via luminosa che ci hanno tracciato. Se però gli studiosi della geologia della Sicilia crientale non hanno la ventura di giovarsi anche del prezioso materiale accumulato dai Seguenza nel Museo geologico messinese, che andò distrutto nella catastrofe del 1908, noi della Sicilia Occidentale possiamo consolarci che quello raccolto e con- servato dai nostri maggiori trovasi qui a nostra disposizione, tale e quale ce l'hanno tramandato. Esso, come è stato ben detto, è gloria nostra palermi- tana, e chiunque avrà l’onore di dirigere questo Museo, dovrà sentire il do- vere di accrescerlo per il vanto della Sicilia e per il progresso della scienza. D'altro canto l’attività spiegata dal nostro illustre Estinto, pari a quella «dei suoi predecessori, per ‘ja conservazione delle ricche e preziose collezioni petrografiche e paleontologiche di questo Istituto, nel breve tempo che ne tenne la direzione, ci ammonisce della grande responsabilità, che a noi Si- ciliani particolarmente incombe, di custodire gelosamente questo sacro pa- trimonio, che è stato chiamato quasi l’opera di parecchie generazioni e fonte -d’inesauribili argomenti di studio e di lavoro fecondo. 2 EEE NC delle pubblicazioni del Prof. Mariano Gemmellaro. 1908. « Prima Nota sulle Orbitoidi del Sistema cretaceo della Sicilia » (in collabo— borazione con G. Checchia-Rispoli) ». — Giornale della Soc. di Scienze Nat. - ed Econ, di Palermo, vol. XXVII. « Seconda Nota sulle Orbitoidi del Sistema cretaceo della Sicilia » (in collab. c. s.). — Ibid. « Nuove osservazioni paleontologiche sul Titonico inferiore della provincia di Palermo ». — Ibid. « Conca d’oro. Cenni geologici» (da « Palermo e la conca d’ Oro » edito in. occasione del VII Congresso Geografico Italiano). « Escursione al giacimento fossilifero di Ficarazzi presso Palermo eseguita dalla Società Geologica Italiana il 7 sett. 1909 ». — Boll. della Società Geo- logica Italiana, vol. XXVIII. « Sui fossili degli strati a Terebratula Aspasia della contrada Rocche Rosse presso Galati (prov. Messina) Cefalopodi (fine). Gasteropodi. ». — Giorn. della Soc. di Sc. Nat. ed Econ. di Palermo, vol. XXVIII. « Ittiodontoliti del Miocene medio di alcune regioni delle provincie di Paler- mo e di Girgenti ». — Ibid., vol. XXIX. : « Ittiodontoliti eocenici di Patàra (fra Trabia e Termini Imerese)». — [bid. «Crostacei e pesci fossili del Piano Siciliano dei dintorni di Palermo ».— Ibid. « Ittiodontoliti del calcare asfaltifere di Ragusa ». — Ibid. « Studio geologico sul giacimento solfifero di Grottacalda (Sicilia ) ». — Ibid. «Le doline nella formazione gessosa a N.E. di Santaninfa (Trapani) ». Ibid. vol. XXXI. i . « Commemorazione di Giovanni Di Stefano ». — Ibid., vol. XXXIL. « Sulla presenza del Kelloviano inferiore (Zona con Macrocephalites maero- cepbalus Schlott. sp.) nell’ Isola di Favignana ». — Rivista Ital. di Paleont. ann. XXIV. « Sopra un crinoide (Pseudosaccocoma strambergense Remes) del Titonico in- feriore e dell’Urgoniano della provincia di Palermo ».—Riv. Ital. di Paleont. ann. XXIV. ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI DEL PROF. MARIANO GEMMELLARO 57 « Ittiodontoliti Maéstrichtiani di Egitto ». — Atti della R. Ace. di Sc. Lett. ed Arti di Palermo, vol. XI. « Osservazioni sul Quaternario dell’ isola di Favignana ». — Boll. della Soc. di Sc. Nat. ed Ec. di Palermo (seduta di giugno). «Sulla presenza del Kelloviano inferiore (Zona con Macrocephalites macro- cephalus Schloth. sp.) della montagna della Tardàra, presso Menfi in Sici- lia ». — Ibid. (seduta di dicembre). « Il Neosqualodon Assenzae Forsyth Major sp. del Museo geologico della Università di Palermo ». — Giorn. della Soc. di Sc. Nat. ed Econ. di Paler-. mo, vol. XXXII. « Sul Cybium Botti Cap. del calcare bituminifero di Ragusa (prov. di Sira- cusa) in Sicilia ». — Boll. c. s. (seduta di giugno). « Contributo alla conoscenza del Titonico inferiore di alcune località delle provincie di Palermo e di Girgenti ». — Boll. c. s. ‘« Otoliti del Piano Siciliano dei dintorni di Palermo ». - (Giorn. c. s. vo- lume XXXII). « Rettili Maéstrichtiani di Egitto ». — Ibid. «Il Trias dei dintorni di Palermo. — P.I. La fauna triasica dei calcari della cave di Bellolampo di Palermo. Disp. 1° Cefalopodi (Revisione) Gasteropodi ». — Ibid., vol. XXXIII. RARFESTE MEMORIE SCIENTIFICHE Della continuità dei pubblici servizi $ 1. — Dello sciopero in generale, per quanto riguarda il lavoro manuale Argomento di questo scritto è la continuità dei pubblici servizi. Trattarne è d’attuale interesse collettivo, perchè di questa continuità non abbiamo più goduto, e con immenso danno, dopo il 1918. Poichè le deplorate interruzioni sono avvenute mediante scioperi, e questi, cessata la guerra, precessero nei braccianti, ci si consenta che, principiando il presente studio, dello sciopero in genere diciamo alcun che per quanto riguarda il lavoro manuale, aggiungendo ciò che sulla materia prescrive la nostra legislazione. La terra classica degli scioperi è l'Inghilterra. Là, avendo avuto suo primo svolgimento la grande industria moderna, era naturale che gli operai, non potendo ottenere individualmente aumenti di salari, s'intendessero per chie- derli collettivamente, e forzar la mano dei datori di lavoro col far tacere la fabbrica. Adamo Smith, nella sua classica opera della Ricchezza delle nazioni, pubblicata nel 1776, già ci parla di scioperi (1). (1) Biblioteca dell’Economista, 1». serie, vol. II, p. 45 e segg. 60 PROF. PIETRO MERENDA S'è discusso a lungo se lo sciopero giovi o no agli scioperanti. Certo è che una legge economica governa i salari: essi seguono quella che governa tutti i valori: non possono essere permanentemente sotto le spese di produ- zione del lavoro, cioè inferiori a ciò che è necessario alla vita; non possono essere permanentemente al di sopra della differenza tra il prodotto lordo e le spese di produzione del’industria, perchè allora, oltre di cessare il pro- fitto, s'intacca il capitale, e l’intraprenditore chiude la fabbrica; crescono quando aumenta il capitale o diminuisce l’ offerta del lavoro; calano allorché dimi- nuisce il capitale che chiede lavoranti, od aumenta l’offerta delle braccia. Ma questa legge generale non è la sola in funzione, perchè, qualora l’industria pro- grediente offra larghi profitti, il padrone può aumentare i salari, e trovare tuttavia nell’esercitarla tornaconto bastevole. In questo caso lo sciopero può essere proficuo all’operaio; nel caso opposto gli è di danno : egli perde in- . vano le giornate nelle quali se n’ è stato lontano dall’ opificio. Che se poi manca la concorrenza estera e i prezzi si possono quindi elevare senza osta- coli, l'aumento dei salari, fino a certo punto, diminuisce i profitti; da quel punto in poi va a colpire i consumatori: gl’industriali, dato l’ aumento del costo di produzione, aumentano i prezzi, taglieggiando il popolo (1). $ 2. — La legislazione italiana sugli scioperi d’operai o contadini Non s'ha notizia di scioperi in Italia prima del 1860; s’aveva sentore che. di tanto in tanto, facessero capolino all’ estero; le leggi punitive dei sette Stati, nei quali era divisa Ja Penisola, non tutte ne trattavano; i moralisti tenevano lo sciopero come un delitto sociale. Ma col tempo le cose mutarono : ‘alba della grande industria s’affacciava sull’orizzonte, i costumi non erano più I (1) È il caso dell’Italia durante, e- massimamente dopo la guerra, vuoi per la interru- zione del commercio col nemico (Decreto-Legge 16 maggio 1915, N. 659, pel quale nel con_ flitto non dovevano applicarsi le disposizioni in senso contrario degli art. 211 e 212 de Codice per la marina mercantile) vuoi per la barbara funzione dei sottomarini, vuoi per gli stolti divieti d’importazione. DELLA CONTINUITÀ DEI PUBBLICI SEEVIZI 61 proprio quelli. Il codice penale deli Stati Sardi, 20 novembre 1859, di poi esteso a quasi tutta Italia, aveva queste disposizioni : Ari. 385. « Qualunque concerto formato fra coloro che dànno lavoro agli operai, il quale tenda a costringerli ingiustamente ed abusivamente ad una diminuzione di salario, od a ricevere in pagamento di tutto o di parte del medesimo merci, derrate od altre cose, se tale concerto è seguito da un principio d’esecuzione, sarà punito col carcere estensibile ad un mese e con multa da lire cento a lire tremila ». Art. 386. « Ogni concerto d’operai che tenda, senza ragionevole causa, a sospendere, impedire o rincarare i lavori, sarà punito col carcere estensibile a tre mesi, semprechè il concerto abbia avuto un principio di esecuzione ». Art. 387. « Nei casi preveduti dai due precedenti articoli i principali istiga- tori e motori saranno puniti col carcere per un tempo non minore di sei mesi ». Art. 388. « Le disposizioni dei tre precedenti articoli, saranno applicate ri- spettivamente: Ai proprietari e fittaiuoli i quali, senza giusta causa, si con- certassero per fare abbassare o stabilire a vile prezzo la giornata degli operai di campagna; Agli operai di campagna che si concertassero, senza giusto motivo, per far aumentare il prezzo della giornata di lavoro ». Così lo sciopero non era considerato, in sè e per sè, come un delitto: lo era quando mancasse la ragionevole causa, o, ciò che fa lo stesso, la giusta causa. Scioperi poi accompagnarono, sebben di rado, lo svolgersi della grande industria italiana, e sorse controversia se non fosse eccessivo lasciare al giudice il determinare se nel fatto di essi vi fosse o no la ragionevole causa. Gli economisti, seguendo l’insegnamento di Federico Bastiat (1) e d’altri maestri ne la disciplina che coltivavano, generalmente parlando, ritennero che un concerto di lavoranti inteso ad ottenere dai padroni patti migliori fosse lecito, essendo conseguenza della libertà del lavoro. Ben vero trovarono giusto : (1) Discorso pronunziato all'assemblea costituente francese, il 17 novembre 1848, inserito a pag. 495 del vol. 5° delle Oewvres complets (Paris, Guillaumin, 1854-60). 62 PROF. PIETRO MERENDA 1° che anche i padroni si potessero unire, a tutela degl’interessi loro minac- ciati dalle leghe degli addetti al lavoro manuale; 2° che la. libertà di sciope- rare fosse congiunta a quella di continuare il lavoro alle vecchie condizioni da parte dei non aderenti al concerto, e d’imprenderlo, da parte degli operai estranei; 3° che fosse rispettato ciò che fra padroni ed operai si pattuiva;: 4° che un preavviso anteriore allo sciopero desse modo al padrone di ese- guire le ordinazioni in sorso, secondo le convenzioni stabilite coi clienti sulla base del costo della manodopera. I giuristi seguirono fra noi quest’indirizzo, che per la prima parte fu co- dificato. Invero il Codice penale Zanardelli, 30 giugno 1889, prescrisse : Art. 165. « Chiunque, con violenza o minaccia, restringe o impedisce in qualsiasi modo la libertà dell’industria o del commercio, è punito con la de- tenzione fino a venti mesi e con la multa da lire cento a tremila». Art. 166. « Chiunque, con violenza o minaccia, cagiona o fa perdurare una cessazione o sospensione di lavoro, per imporre, sia ad operai, sia a padroni od imprenditori, una diminuzione od un aumento di salario, ovvero patti diversi da quelli precedentemente consentiti, è punito con la detenzione sino a venti mesi ». Art. 167. «Quando vi siano capi o promotori dei fatti preveduti negli articoli precedenti, la pena di essi è della detenzione da tre mesi a tre anni, e della multa da lire cinquecento a cinquemila ». È chiaro: completa libertà di sciopero e di serrata; punizione dell’offesa alla libertà, arrecata con violenza o minaccia. Ma la istigazione, l'inganno, il colpire |’ attività industriale od agraria mentre s’hanno patti precedenti, ordinazioni in corso, mietitura o vendem- mia a faré? Non sono delitti, per la legge, ma offese alla morale, da giudi- carsi dalla coscienza individuale e dalla pubblica opinione, la quale il legi- slatore ha supposto sempre vigile, operosa, giusta : previsione spesso frustrata dalla desidia, dall’indifferenza, dall’aspettare che il Governo lasci cadere la manna dal cielo; ma che talora si concreta ed impera sovrana, rendendo odiosi ed insostenibili scioperi e serrate. Che se in taluni casi astrattamente il padrone ha un’azione civile per danni contro gli scioperanti, quest’azione DELLA CONTINUITÀ DEI PUBBLICI SERVIZI 63 non si può mettere in atto, e per il numero dei responsabili e per la con- dizione economica loro. Durante la guerra i Socialisti insidiarono l’esercito alle spalle, e la per- versa azione loro culminò e nei tristissimi fatti consumati il 21 agosto 1917, che oscurarono la bella fama patriottica di Torino, e nella rotta di Capo- retto, la quale per miracolo non determinò il conquasso della nazione. Ma il sobillamento traditore (1) ebbe poca presa fra le masse della Penisola (2), ed i pubblici funzionari non mancarono ai proprii doveri. Gli addetti alle ferrovie, smesse le vecchie deplorate tradizioni, non per amore del lucro eccezionale che godettero (3), nè per timore dell’ avvenuta occupazione militare delle linee e delle stazioni, con annegazione che sopra loro attirò le universali simpatie, nessuna fatica risparmiarono affinchè gli immensi movimenti di militari e di bellici materiali si potessero compiere con la perfetta regolarità necessaria a fronteggiare il nemico potentissimo ; (1) Prima del 24 maggio 1915 era lecito opinare che dichiarar la guerra ai nostri al- leati di 32 anni non rispondesse al decoro e agl’interessi dell’ Italia; ‘era lecito alla mag- gioranza, che !a pensava così, d’apporsi, con ogni mezzo legale, alla minoranza prepotente. Ma dopo quel giorno avversar la guerra era lo stesso che favorire il nemico della patria, e l’averla avversata costitui tradimento imperdonabile dei Socialisti ufficiali. Perciò ripugna anche al senso morale che costoro assumano il potere. Quanto diversa invece fu la condotta dei Riformisti, e dei cosiddetti Cattolici, che oggi costituiscono l’ossatura, a dir così, del Partito popolare ! Con l’ espressione cosiddetti Cattolici, ci riferiamo all’ improprietà di questo titolo : il Cattolicismo è una religione, ed è professata dalla grande maggioranza degl’Italiani; non può confondersi con un partito politico. (2) Nessuna nel Mezzogiorno, in Sicilia ed in Sardegna. (3) A cominciare dai 3 milioni assegnati, 1°8 agosto 1915, come compenso per le pre- stazioni d’opera eccezionale durante la mobilitazione. Il Governo concesse durante la guerra una indennità, che fu aumentata con D. L. 13 agosto 1917, D. 1394. Decreti Luogotenen- ziali del 13 agosto 1917 N. 1393 e del 10 febbraio 1918, N. 129, concessero indennità di pernottazioni e di lavoro, fuori residenza, e di diaria e indennità di pernottazione per il personale in missione nell’interno del regno. 64 PROF. PIETRO MERENDA ond’era a presumere che pazientassero dopo l'armistizio, e con pari virtù aiutassero a ricostruire la rovinata economia del paese. Gl’impiegati postali e telegrafici alla volta loro lavorarono energicamente a far pervenire a destinazione corrispondenza e telegrammi, che raggiunsero una massa enorme. Si poteva da loro aspettarsi che mutassero contegno dopo l’armistizio ? Gli altri impiegati dello Stato, non solo al proprio còmpito adempirono, ma diedero varie prove di patrio amore. Basta ricordare | offerta di oltre 300.000 lire fatta da funzionari civili e militari per l'Opera mazionale in fa- vore dei combattenti. Un Comitato la recò poi a Roma, e fu ricevuto, il 13 gennaio 1919, dal ministro del Tesoro on. Nitti, che in quell’occasione disse alte parole sui doveri ch’era più urgente adempissero Governo e nazione. $ 3.-- Scioperi d’operai e contadini dopo l’armistizio. —I primi scioperi di addetti ai servizi pubblici. Intanto si svolgevano gli scioperi di varie categorie di operai, e qualche sciopero di contadini, non tutti causati dal disagio economico, anzi parecchi aventi indole sovversiva. Recò sorpresa e rammarico al pubblico che quei casi diventassero epi- demia morale, e che questa attaccasse poi i pubblici impiegati, e in essi di- vampasse. La forma talora non poteva essere peggiore: minaccia di danni al pubblico servizio, ultimatum a giorno fisso e quasi ad ora, linguaggio irri- verente ed irruente. . Secondo ricordiamo, primi ad essere presi dal male furono gl’impiegati delle poste e dei telegrafi. Il Governo s’ affrettò a dare affidamenti, e il Co- mitato d’azione delle classi, sedente a Roma, ai 26 dicembre 1918, deliberò di sospendere l’agitazione. Difatti un decreto luogotenenziale del 26 gennaio 1919, N. 66, concedeva un aumento annuo di L. 600 sugli stipendi del per- sonale di ruolo dell’Amministrazione delle poste, dei telegrafi e dei telefoni, e di L. 300 sulle retribuzioni del personale fuori ruolo. Un altro decreto suc- cessivo, di N. 67, accordava ozio agli ufficiali delle poste e del telegrafi, dalla DELLA CONTINUITÀ DEI LAVORI PUBBLICI 65 sera del sabato alla mattina del lunedì, con quale disturbo per il pubblico non c'è chi non sappia. Che ne avvenne? Le altre categorie d’ impiegati o manifestarono rispettosamerite che a questo mondo c’erano anch'esse, e sof- frivano pure del rincaro generale di tutto ciò che serve alla vita, o s’agita- rono nella forma che di sopra abbiamo deplorata. Il Governo cercò di con- ‘tentarle tutte successivamente, e si pnò dire che nei mesi da febbraio a mag- . gio 1919 non passò settimana nella quale non si pubblicasse un decreto luo- gotenenziale riformante regolamenti e tabelle di carriera (1). Fu deplorato che chi più gridava era servito meglio e prima (2). I ferrovieri adoperarono 1 modi peggiori, e ottennero più che tutti. Con decreto luogotenenziale 8 giugno 1919, N. 912, sì ammise l’applica- zione dell’orario di 8 ore e del riposo settimanale per il personale delle fer- rovie dello Stato, con le eccezioni a stabilirsi, tenuto conto delle differenti condizioni di servizio delle varie categorie e dei varii gruppi di agenti. L’{1 giugno compare un decreto luogotenenziale, di N. 913, che accorda ad essi importanti miglioramenti : 36 milioni di nuova spesa! Lo stesso giorno avviene un fatto dolorosissimo l’ Unione magistrale, vo- lendo imporre al Governo miglioramenti economici, promuove, alla vigilia della chiusura dell’anno scolastico, lo sciopero dei maestri elementari (3). Fu (1) Tardi si provvide al personale insegnante universitario (R. D. 17 agosto 1919, N. 1706, di poi modificato con R. D. 13 maggio 1920, N. 929). Ma si provvide insufficientemente. (2) Il quale andazzo è stato qua e là imitato dai corpi politici minori. In una grande città sin lo spazziuo municipale ottenne un caro viveri di L. 200 al mese. Nella stessa le Parrocchie son mantenute dal Comune; ebbene a Parroci e Cappellani si dà soltanto il caro-viveri di L. 25 mensili. Ma gli spazzini eran temibili: avevano, per qualche giorno, lasciato le strade nel sudiciume ! (3) Nel quale anche il modo non fu esente da giuste censure. I maestri non aderenti, e che non seppero organizzarsi e resistere, furon trascinati nel vortice; poco cavalleresca- mente, qua e là, contro le maestre che volevano fare scuola, s’adoperò la costrizione. La Tommaseo fu incerta, e non diede di sè bella mostra. In quel torno anche una parte della Magistratura s’agitò, e parecchi si-sgomentarono V “ 9 66 PROF. PIETRO MERENDA uno scandalo enorme, prova anche questa del guasto morale delle anime, perocchè gli educatori del popolo diedero un tristissimo esempio alle molti- tudini. Come potrann’essi nell’avvenire inculcare alle giovani generazioni il rispetto per l’autorità e la legalità, se son rei d’avere sprezzata quella, vio- lata questa? Il Governo concesse tutto (1). Era ministro della pubblica istru- zione l’on. Berenini, socialista-riformista, già autore con l’on. Agnini del pri- mo disegno di legge sul divorzio. Della vittoria s'osò menar vanto; arrossi- rono invece i vecchi che un dì furon maestri di scuola, educati a ben altri principii. Intanto cadeva il ministero di quell’Orlando che aveva proclamato la resistenza ad oltranza, feconda di vittoria; e il 24 giugno 1919 saliva al potere il primo Ministero Nitti. Lo stesso dì 24 giugno venne tenuto a Torino un congresso di postetelegrafonici. In esso 5205 voti furon favorevoli ad aderire alla Confederazione Generale del lavoro, dell’indole comunista della quale nes- suno può dubitare. S'ebbero appena 942 voti contrari e 62 astensioni. La maggioranza non traviata restò a casa inerte ! Il 21 luglio il Partito socialista ufficiale prepara uno sciopero generale : si capisce a che scopo. Lo caldeggiano i ferrovieri di Torino; vi è contrario il Comitato centrale dei ferrovieri italiani. Scoppia lo sciopero, ma non cor-. risponde alle parricide intenzioni dei promotori, i quali iniquamente miravano a interrompere la navigazione, i trasporti per ferrovia, la posta, il telegrafo ed i telefoni, i servizi del gas e della luce elettrica. al pensiero che il terzo potere dello Stato potesse far deplorare uno scandalo senza esempio : sgomento eccessivo, perchè non teneva conto della prudenza dei più assennati, e del pieno sentimento generale dei delicati doveri dell’ ufficio nobilissimo. Il malessere cessò con i miglioramenti apportati dal Decreto-Legge Luogotenenziale , 24 marzo 1919, N. 368, ch° è controfirmato dal ministro on. Facta. (1) I decreti legge luogotenenziali approvanti le tabelle dei nuovi stipendi per i maestri elementari e per gl’ insegnanti delle scuole medie, han la data del 6 luglio, e rispettiva- mente i N. 1239 e 1186. Portan la firma del nuovo ministro della pubblica istruzione on. Baccelli, ma furono elaborati sotto il precedente Ministero. DELLA CONTINUITÀ DEI PUBBLIUI SERVIZI 67 Si va frattanto successivamente provvedendo ad altri aumenti di stipen- dio d’altre categorie d’impiegati, venendo da ultimo le più quiete. Il pubblico crede di potere ormai godere un po’ di tranquillità, e di non avere più mo- lestie nell’andamento dei servizi. Povero illuso ! L’adesione dei postetelegrafonici alla Confederazione Generale del lavoro produce il suo frutto : l’ostruzionismo. Invano il 16 settembre il ministro on. Chimenti presenta docilmente alla Camera il disegno di legge per i provvedimenti in favore del personale, ap- provati, nella mattina medesima , dal Consiglio dei Ministri: si delibera di procrastinare lo sciopero, ma raddoppiare 'l’ostruzionismo, finchè il Governo ceda del tutto. Soltanto il 21, quando la vittoria è piena, si torna al normale funzionamento del servizio (1). Nei mesi successivi si provvide ad aumenti di stipendio di altre categorie d’impiegati, sempre cominciando dalle più torbide. A certo punto si prova il bisogno di mettere un tal quale ordine ad una parte della materia così varia, così complessa e divenuta così arruffata, e si emana il R. D. Legge 23 ottobre 1919, N. 1971, il quale è tosto seguito da un altro R. D. Legge del 27 novembre, N. 2231, modificante le tabelle del precedente, e che stabilisce altre norme circa l'ordinamento e lo stato econo- mico del personale dell'amministrazione dello Stato, della magistratura, delle cancellerie e segreterie giudiziarie e dell'avvocatura erariale. È discutibile tuttavia la riforma adottata, che ha nome dei ruoli aperti, per la quale le classi, entro ciascun grado, si sopprimono; i gradi si ridu- cono di numero; la promozione ha luogo, per così dire, meccanicamente, per via di aumenti eguali, a periodi d’anni determinati. Piacque come livellatrice, piacque perchè esentava dall’attendere le va- canze nella classe superiore per morte e collocamento a riposo; praticamente (1) Le disposizioni novelle son condensate nel R. D. Legge 2 oltobre 1919, N. 1858, concernente l’ ordinamento degli Uffici e del personale postale, telegrafico e telefonico. È un codice contenente ben 110 articoli, e ricco di tabelle. 68 PROF. PIETRO MERENDA non proporzionò gl’incrementi attuali di stipendio all’aumentato prezzo delle merci, e non produsse i vantaggi morali aspettati dal legislatore. $ 4.— Gli scioperi ferroviarii, postali, telegrafici e telefonici del gennaio 1920. Le L. 200 nuovo pomo della discordia. Come strenna di capo d’anno del 1920, i ferrovieri avean chiesto : au- mento di stipendio e d’indennità fino a L. 200 al mese, soppressione dei treni notturni, riposo festivo. Il Governo, ministro dei lavori pubblici l’on. De Vito, aveva cercato d’accontentarli quanto più fosse possibile, e le trattative pen- devano. Nello stesso tempo i postetelegrafonici, ai 14 gennaio, quando nessuno se l’aspettava (1), bandirono quello sciopero, del quale il pubblico, non ostante la sua smemorataggine abituale, si ricorderà per un pezzo, e che cessò il 21. Ma il giorno innanzi era scoppiato lo sciopero ferroviario (2), che terminò il 30 gennaio. I postelegrafonici concordarono col Governo nuove tabelle organi- che, da presentarsi all'approvazione del Parlamento. Gli scioperanti delle fer- rovie ottennero : riammissione completa in servizio; giornata di 8 ore: (3) (1) Nemmeno il ministro per le poste e i lelegrafi on. Chimenti, ch'era venuto sereno in Palermo a rappresentar il Governo pel centenario della nascita di Francesco Crispi. (2) L’on. Nitti, che trovavasi a Parigi pei lavori della Conferenza, subito tornò a Ro- ma, per assumere, egli disse il 9 febbraio in Senato, tutta e completa la responsabilità del Governo. i (3) Vale a dire assunzione di nuovi impiegati, maggiori spese per pagamento d’ ore straordinarie. Poi l’on. Nitti faceva le meraviglie dell’essere più che passivo l’esercizio di Stato delle Ferrovie! Le cause della deficienza sono molteplici, ma il trattamento fatto al personale è prevalente. Quando nel 1893 sorsero in Sicilia i Fasci dei Lavoratori, dai quali sarebbe venuto un parricidio senza il polso fermo di Francesco Crispi, era lor grido : La terra ai contadini ! La miniera ai minatori! La ferrovia ai ferrovieri! Adesso l’esercizio di Stato delle ferrovie non solo assorbe tutto il reddito, ma costa all’Italia 800 milioni all’anno, secondo la voce generale. Ciò significa che di fatto la ferrovia s’è data ai ferrovieri, cui per l’ incomodo i contribuenti fanno pure un vistoso regalo annuale. DELLA CORTINUITA DEI PUBBLICI SERVIZI 69 conglobarsi negli stipendi e paghe indennità e compensi (escluso il caro-vi- veri) in tabelle d’ approvarsi per legge; tre rappresentanti del personale nel Consiglio d’amministrazione. Il delitto di sciopero fu accompagnato da altri reati: si fecero saltare ponti, si misero bombe sui binari, si usarono falsi segnali di scambio, si ti- rarono fucilate ai treni viaggiatori ed ai bagagliai dove stavano le scorte militari, si sparsero gas asfissianti in gallerie già purtroppo male aereate, si "dettero legnate ai compagni non scioperanti, se ne intimidirono con minacce le famiglie, s’assaltarono o presero a sassate o coprirono di contumelie i cit- tadini che alla bell'e meglio cercavano di ricomporsi un servizio necessario, come il postelegrafonico o il ferroviario (1). } Ritardavano i provvedimenti economici promessi ai ferrovieri. Questi mi- nacciarono, e allora trattative avvennero tra l’organizzazione loro ed il Go- verno, dietro le quali questo, ai 20 marzo, deliberò che l’esame delle nuove tabelle organiche, da presentarsi al Parlamento, fosse affidato ad una com- missione màsta di funzionari delle Ferrovie dello Stato e di rappresentanti del Sindacato ferrovieri ; che frattanto s’ accordasse un anticipo di L. 200 mensili (2). Oltre a ciò si riduceva l’ orario di servizio a 7 ore: agli agenti del per- sonale di 2° categoria e del personale ausiliario degli uffici addetti ai depo- siti locomotive, alle squadre di rialzo, ai magazzini annessi, ed agli agenti in aiuto dei capi tecnici per i lavori delle officine (3). Così la tregua fu stipulata. (1) Ricapitolazione del senatore Rolandi-Ricci, nel discorso di cui parlaremo in appresso. 2) Così veniva passata la spugna sopra la gerarchia: tutti uguali ! (3) Vi sono stazioni nelle quali il servizio, che prima era fatto da un sol capo, ora è fatta da quattro, i quali, secondo ci si assicnra, s’alternano, facendo 6 ore di servizio per uno. Ogni operazione poi che si fa, per quanto minima, ha un uomo addetto, che dopo quella, non ha altro da fare, ed ozia. I ferrovieri erano 92205 nel 1907, quando cominciò l’esercizio di Stato. Dal 1907 al 1915 crebbero del 27 °/,, ed ascesero a 119423, con un aumento di 25218 impiegati, mentre, come osserva il PANTALEONI (I fenomeni economici della guerra, nel Giornale degli Economisti, PR®F. PIETRO MERENDA 70 E la resa a discrezione è completa. Trapelò essersi diramata dalla Di- rezione generale delle ferrovie una circolare riserbata, mirante a revocare l'impegno assunto dal Governo per la promozione di diritto a macchinisti, dei fuochisti, che, durante lo sciopero, avevano funzionato da macchinisti, salvando una parte del servizio. Anche un’altra capitolazione: s'erano istituite, in alcune principali sta- i zioni, a dir così, delle scuole, dove estranei apprendevano il maneggio dei o treni. Ne venne un’ira di Dio, che fu placata sopprimendo i corsi, e spez- zando così un’arma di futura difesa. ; | Le larghezze pecuniarie presero forma legale con il funesto R. D. Legge del 2 maggio 1920, N. 615, col quale si concedevano 95 milioni, da ripartirsi, | in parti uguali, tra i ferrovieri, e 5 milioni da destinarsi in sussidi alle di costoro Cooperative di consumo; L. 200 mensili nette al personale suddetto, a contare dal 1° marzo, a titolo di anticipo su quanto sarà dovuto in conse- guenza dell’applicazione delle nuove tabelle. Dicemmo funesto il decreto legge regio del 2 maggio 1920,sma era più esatto riferire quest’oggettivo agl’ impegni presi dal Governo il 20 marzo, i quali produssero disastrose conseguenze morali, e chi sa quali altre ne pro- durranno in avvenire ! I postelegrafonici a questo modo ragionarono : « Avete dato L. 200 men- sili d'acconto ai ferrovieri. Sì? E perchè non fate altrettanto per noi, che ci troviamo in condizioni analoghe ? Perchè stiamo tranquilli, e rimaniamo fe- deli alle istituzioni? Bene : vedrete!» giugno 1916, pag. 453) tutto l’esercito aveva 28795 persone nell’organico, e tutta la marina 5285 : insieme 34080 uomini, ossia il 30 °/, dell’organico ferroviario. E tali cifre sono rimaste pressocchè invariate dal 1907 al 1916. Per conto nostro, consultato l’Annuario statistico italiano, anni 1917 e 1918 (pag. 282) abbiamo trovato : pel 1916, personale stabile, od in prova, 118.967: avventizio, 46,234: in tutto 165.201. Quanti sono al dì d’oggi? Pur troppo l’annata dell’Annuario del 1919 non è ancor pub- blicata. Oh! che si vogliano ridurre ancora gli stanziamenti pei servizii di statistica, così necessarii ad illuminare gli studiosi, e per riflesso il pubblico? DELLA GONTINUITÀ DEI PUBBLICI SERVIZI yi! E allora, minacciosi, s'orientarono più risolutamente verso il Socialismo, e ai 26 aprile, lanciato da Roma, comparve un manifesto, intitolato : Confe- derazione generale del lavoro, federazione dei sindacati postali, telegrafici, te- lefonici, unione guardafili telegrafici, sindacato di terza categoria, e che di- ceva così: «I lavoratori postelegrafonici al proletariato ! « Mentre s’inizia un vasto movimento della nostra classe, riteniamo op- portuno illuminare il proletariato organizzato sulle cause recenti e remote che suscitarono ed aggravarono il nostro disagio. economico. «Abbiamo comuni con voi le aspirazioni di un domani migliore di equità e di giustizia sociale, comune la fede, comuni gl’interessi e la sorte. Sfruttati nella quotidiana fatica da un diverso padrone, i postelegrafonici italiani in- tendono, sotto il comune vessillo della Confederazione generale del lavoro, aiutare l’affermarsi ed il prevalere del proletariato organizzato per realizzare la conquista dei pubblici poteri. Anche noi crediamo che il crescente disagio economico delle classi lavoratrici sia intimamente connesso con le condizioni generali dell'Economia internazionale, e che le attuali classi dirigenti siano impreparate e incapaci a risolvere la grave crisi che pur turba la civiltà contemporanea. i «Il proletariato, data la sua qualità di classe esclusivamente consuma- trice, si trova completamente indifeso di fronte allo incessante costo della vita. Sta di fatto che, mentre il costo della vita era aumentato nella misura del 400 °/, alla fine del decorso febbraio, l’ aumento dei salari, dal 1914 ad oggi, è stato del 130 °/, per il personale di 2% categoria, e del 200 °/, per il personale di 3° categoria. «La nostra categoria, intende portare, attraverso l organizzazione, la classe propria a un contributo tecnico pel miglioramento dell'azienda (1); re- clama più umane condizioni di vita civile; intende preparare per sè una so- cietà illuminata a criteri di giustizia sociale, e perciò chiede al proletariato (1) Non ci mancherebbe altro! 792 PROF. PIETRO MERENDA organizzato la sua solidarietà, e promette la propria per la definitiva redenzione del lavoro ». Richiesero che pure a loro venisse conceduto un anticipo di L. 200 men- sili sopra i miglioramenti proposti alla Camera. Il Ministro Alessio ottenne i. 75 pel personale di ruolo, L. 40 per l’avventizio. Le L. 200 al mese rap- presentavano per lui una quistione di,carattere generale, che non poteva ammettere una soluzione limitata ai richiedenti, e che, estesa a tutti gl’im- piegati dello Stato, avrebbe importato un nuovo aggravio annuo di un mi- liardo e mezzo (1). Ragionamento giustissimo, che naufraga però contro lo scoglio di questa semplice domanda: Perchè ai ferrovieri si, e a noi no ? Male certamente che iante egregie persone si lascino accoppare da po- chi torbidi, accecati dal credere che siasi lor fatto torto; ma senza quel fatto scandaloso non avremmo avuto quest’altro guaio ! L'orientamento verso il Socialismo, corredato dall’ ostruzione, fu una mossa felice, come si vedrà in appresso. E pare che la stessa o simile domanda già fatta da postelegrafonici, so- pra le 200 tire, si sien fatta gl’ impiegati dei Ministeri, colonne dello Stato. Nel Mattino di Napoli leggemmo questa notizia, data da Roma, 26 aprile 1920: (1) Ignoriamo su quali basi, certamente solide, l'On. Alessio abbia fondato il suo calcolo Stando all’Annuario statistico italiano pel 1917 e 1918, pag. 424, gl’ impiegati dello Stato, alla fine del 1918, non compresi i ferroviari e telefonici e gli avventizi, erano 170.326; onde, a L. 200 al mese, una spesa di L. 408 milioni. Ma dovrebbero includersi telefonici ed avventizi; e poi quanti nuovi impiegati sono stati assunti dopo il 1918? Il PANTALEONI (1. c., pag. 432) scrive: «Il numero dei posti in organico, senza contare la guerra e la marina, era, nel 1907, di 109.580; nel 1915 è salito a 136.753. È ciò un au- mento di 17.173 impiegati, e quindi un aumento del 25 °/, sul loro numero, in soli 8 anni. Ogni anno, in media, la burocrazia si è accresciuta di 3397 individui » ! In ragion diretta dell'invasione del campo riserbato dall’attività dei privati, deve cre- scere il numero degl’ impiegati dello Stato, anche quando s’ abbiano soltanto di mira le necessità del pubblico servizio. DELLA CONTINUITÀ DEI PUBBLICI SERVIZI 73 «Il fascio d’ azione miylioramento economico impiegati statali ha convo- cato i suoi aderenti ad un comizio al «teatro Nazionale », con l’ intervento di cinquemila soci. La presidenza è stata assunta da Bellamia, dei Lavori Pubblici. 3 | «Dopo ampia discussione, si è passato alla votazione di tre punti pre- sentati all’Assemblea dal Comitato esecutivo del Fascio, e cioè : È I. «Deve il Fascio d’azione, per il miglioramento economico impiegati statali, trasformarsi in associazione permanente? L’assemblea ha approvato compatta. II. « Nell’affermativa, deve essa prendere una direttiva politica ? Si ri- sponde di sì per acclamazione. ; III. « Nella seconda affermativa, si ade la iscrizione del fascio alla Confederazione generale del lavoro? Risposta'affermativa, a grandissima mag- gioranza ; solo pochissimi impiegati non acconsentono ». Hanno torto gl’impiegati? Si, perchè un uomo di carattere non abdica, per interesse personale, alle sue convinzioni politiche ed ai suoi obblighi di onore. Può darsi che volevano semplicemente far paura all’on. Nitti, per ob- bligarlo a conceder loro ciò che concesso avea ai ferrovieri, e che nel pro- fondo dell’ animo conservino l’ attaccamento alla patria, la volontà di non essere fedifraghi, memori del giuramento prestato: Ma l’Avanti!, dopo aver ricordato loro la parte avuta alle radiose giornate di maggio 1915, metten- dosi in quest’ ipotesi, con logica stringente fece loro osservare che, quando sì aderisce ad un partito politico, si contraggono impegni politici, sicchè non era ammissibile che, dopo ottenuto lo scopo, buttassero via l’abito comuni- sta, come si fa d’un vestito da comparsa, che non serve più. Quant'è al fior di gente che credette d’aver tutto salvato astenendosi dal- l’intervenire al « Teatro Nazionale », esso non conta: è ‘vissuto senza infa- mia e senza lode. x E questo è il torto. Avevano ragione, perchè, mentre essi han quasi rad- doppiato i loro proventi, son pressati d’aumenti di prezzi più che quadru- x plicati, e l’animo loro è preso da sdegno per la sperequazione derivante dal- l’immeritato trattamento di favore fatto agl’ impiegati ferroviari. Tenendo 10 T4 PROF. PIETRO MERENDA conto anche degli accessori, un capo stazione guadagna più di un consigliere di Cassazione, un applicato ferroviario più di un Professore ordinario d’U- niversità, un casellante più d’un Maggiore di fanteria (1). Onde un vivo malcontento generale, che non esplode, e che creerebbe nemici dello Stato, se nemici potessero essergli servitori devoti, fedeli alla patria. Tuttavia una tal quale rilasciatezza nello zelo è stata inevitabile, e le ruote della pesante macchina amministrativa si muovon più lentamente che mai, come se fossero irrugginite. Tutto si arresterà qui? Ma chi può dirlo ? Quelle 200 lire sono purtroppo il pomo della discordia! È ormai tempo di parlar chiaro : lo Stato, volendo contentare chi più minaccia, prepara il proprio dissolvimento, se una mano forte non salva l’Italia. $ 5. — Lagnanze ingiustificate pel trattamento fatto agli agenti e capi della pubblica sicurezza Dove le lagnanze degl’ impiegati dei Ministeri e delle amministrazioni centrali e provinciali non ci paion giustificate, è per quel che riguarda gli stipendi accordati agli agenti ed ai capi della pubblica sicurezza. Si sa che in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Germania, in Francia, e quelli e questi sono largamente compensati, e pel grave e pericoloso compito, e onde atti- rare nel servizio buoni elementi. Invece in Italia, con stipendi al disotto del salario dell’infimo operaio, non si trovavano più agenti. La riforma ebbe due fini: il primo di riparare a questo male; il secondo di creare un corpo di guardie ben disciplinato, che potesse fronteggiare i tumulti, evitando che l’e- sercito, la cui missione fondamentale è la difesa della nazione dallo straniero, in quelli intervenisse, eccetto nei casì estremi, in cui deve imporsi con uno (4) Eppure gli ufficiali dell'Esercito, odiati dai demagoghi come un ostacolo alle mire loro, restano esempio mirabile di pazienza, di subordinazione, d’ attaccamento all’ ordine. I pochi deviamenti, derivanti da irragionevole amor patrio, sono eccezioni che confermano la regola: alludiamo ai moti di Fiume. i Un'altra classe di cittadini merita lode. Il clero patisce la fame: eppure soffre e tace! DELLA CONTINUITÀ DEI PUBBLICI SERVIZI 75 straordinario apparato di forze, o sì deve far uso delle armi terribili moderne per reprimere una sommossa (1). Opportuna l’istituzione degli agenti investi- gativi, se fosse stata resa capace d’apprestare servizi simili a quelli dei de- tectors inglesi e americani (2). S 6. — Altre interruzioni dei pubblici servizii, manifestazioni ribelli, attentati all’ordine pubblico Tornando adesso ai postelegrafonici, essi, lanciato l’ultimatum, il 20 aprile iniziarono l’ostruzionismo. Cercò di fronteggiarlo come potè meglio, aiutato da volontari, il Ministro Alessio; ma i danni per il pubblico furon gravissimi. Coerentemente all’assoluto atteggiamento socialista assunto dal Sindacato, questo emise la decisione di scioperare addirittura per la giornata del primo maggio. Ciò fu anche eseguito a Palermo, con l’aggiunta di recarsi in massa alla Camera del lavoro, per ivi unirsi al proletariato : unirsi vuol dire parte- cipare a quella manifestazione, che nel proclama fu detto rappresentare ri- vista delle forze, in attesa dell’ora suprema. (1) Della riforma l’On. Nitti merita lode, per quanto contemporanea al guasto dell’e- sercito; ed egli, nello scegliere il Quaranta a direttore generale della Pubblica sicurezza del Regno, ebbe la mano felice, sì come felice 1’ aveva avuto l’ On. Orlando nell’ organizzare l’ufficio per la repressione dell’abigeato in Sicilia, e nel mettervi a capo il Battioni, la cui opera, interrotta per la persecuzione dei disertori di guerra, che battevano la campagna, fn poi distrutta col ritiro delle squadriglie, con la conservazione soltanto nominale dell’ uffi- cio, e con gli studi per sostituire al sistema Orlando l assicurazione obbligatoria contro l’abigeato : assicurazione che avrebbe portato a indecorose transazioni coi capi dei malvi- venti, ch’è un assurdo, perchè il premio dell’assicurazione della tutela del diritto si paga già, a dir così, con le imposte; ch’è incontraddizione col concetto giuridico dello Stato, al quale non si può abdicare senza rovina. i (2) Di che è a dubitare assai. E se i dubbii sono ben fondati, deterioramento ne avrebbero le indagini della polizia, non più guidate dagli abili ufficiali, per anzianità col- locati a riposo dal precedente Ministero. Che ne sarebbe della tutela delle persone e della proprietà ? 76 PROF. PIETRO MERENDA E noi abbiamo arrossito pei fedifraghi che s'ammassarono nel corteo e nel comizio, dove la bandiera dei tricolori d’Italia, quella bandiera che, adot- tata nell’ottobre 1796 dai patriotti lombardi, ci ha raccolto sempre attorno a sè nei dì della gioria e in quelli della sventura, noi inorridendo l’abbiam vi- sta avvolta come spregevole, in modo che il solo rosso fosse appariscente. Così sulle teste sventolava quella insegna la quale simboleggia, non l’amore e la Patria (1), ma l’odio e la guerra civile. E il Prefetto Pesce non permise, ma chiuse l’occhio destro e l’occhio sinistro. Egli era stato trasferito da Mi- lano a Palermo, perchè, pel centenario del Gran Re, Padre della Patria, volle che in quel palazzo di città splendesse al sole il vessillo nazionale; se avesse impedito la profanazione nella città dei Vespri, del 12 gennaio e del 4 aprile, poteva essere ricacciato ad Ascoli, o messo a disposizione ! Nè con l’ ostruzionismo e la manifestazione ribelle del 1° maggio cessa- rono le gesta di coloro che, non contrastati dai buoni, imperano dispoti- camente. Quando s’invasero le fabbriche, i Consigli riuniti della Federazione e del Sindacato postelegrafico inviarono ai compagni operai l’espressione della solidarietà loro ; invitarono tutti i postelegrafonici a considerare, agli effetti dei singoli servizi, gli operai metallurgici quali gestori degli stabilimenti oc- cupati, ed a dichiararsi pronti a seguire qualsiasi azione nazionale che ve- > nisse ordinata dal Comitato centrale della federazione; impartirono l’ordine ai guardafili di tagliare, al primo segnale, i fili del telegrafo! Ognuno crederebbe che i ferrovieri, così lautamente trattati (2), diven- (1) Nel 1830 Giovanni BERCHET, nell’ode Allarmi! AWl’armi!, scritta in occasione delle rivoluzioni di Modena e di Bologna, cantava : Dall’Alpi allo Stretto fratelli siam tutti! Sui limiti schiusi, sui troni distrutti, Piantiamo i comuni tre nostri color! U Verde, la speme tant’anni pasciuta ; Il Rosso, la gioia d’averla compiuta; Il Bianco, la fede fraterna d’amor. (2) Pei ferrovieri, secondo le notizie imperfette che abbiamo raccolte, lo Stato spendeva 175 milioni a 10 luglio 1907; 325 a 10 luglio 1915; 1 miliardo e 451 milioni ne spese in apri-. le 1920. A quanto si arriverà ? DELLA CONTINUITÀ DEI PUBBLICI SERVIZI 71 tassero quieti; e questo certamente dovette credere il Ministero. Tutt’ altro ! L’arrendevolezza li ha resi più audaci. A Viareggio si commettono disordini inauditi, si sciopera in altre parti della Toscana, e si mandano truppe e guar- ‘die regie. Ebbene, i signori ferrovieri impediscono la partenza, e i treni si muovono sol quando la forza ubbidisce ! Ed i colpevoli sono arrestati forse, dato il loro flagrante delitto? No: questo accadrebbe a noi, se tentassimo anche meno: quelli lì van trattati coi guanti gialli! Soltanto tardivamente furon deferiti al potere giudiziario. Allora, aprite cielo! sciopero di solida- rietà dei ferrovieri e di altre classi. 11 6 maggio un treno a Genova potè continuare la sua corsa dopo tre ‘ore di sosta, solo allorchè fu accettata eroicamente ia ingiunzione del per- sonale di servizio che scendessero un centinaio di guardie regie ch’eran di- rette per Firenze. Ci sono disordini nell’alta Italia ? I ferrovieri non fanno partire le guar- «die. Altrove impediscono persino che partano soldati in licenza. C'è nel treno materiale da guerra? Non si parte ! Spetta ai ferrovieri de- .cidere della politica estera, cioè se si debbono mandare o no rinforzi in Al- bania, se i Polacchi debbono o no venire aiutati nella lotta contro lo Stato russo, che, per quanio comunista, è sempre quello ! E tutto questo si tollera in santa pace, con rassegnazione da anacoreti! Ma se non altro il servizio andasse bene per il pubblico! Invece: ri- tardi, ingombri, disastri continui, che fan pensare convenga di rinnovare la pratica d’un tempo, quando pel viaggio da Torino a Genova in diligenza, si ‘correvano tanti pericoli, che i passeggieri, prima di partire, si confessavano ‘e comunicavano (1). Senza contare che l’ultimo manovale vi guarda e vi parla dall'alto in basso, come se fosse l’imperatore del Giappone! E potreb- (1) Da quando l’esercizio delle ferrovie fu in mano dello Stato, s'è avuto un crescendo ‘negli scontri ferroviari, proprio in ragion diretta dell’ aumento del personale. Vergognoso ‘questo fatto : nelle ferrovie delle provincie ora redente non si sentì parlar mai di deraglia- menti di treni o di qualcosa di simile ; ora che quelle sono in mano nostra, le disgrazie «Spesseggiano, e son gravissime : quella della Pontebba insegni! 78 i PROF. PIETRO MERENDA b’esser altrimenti, se manca la disciplina, se ognuno fa quello che gli viene comodo, incurante cdell’incolumità dei viaggiatori e dei proprii compagni, che tante volte ci lasciano la vita per primi? (1). Il pubblico sbraita: è lo stesso come abbaiare alla luna. Pel 1° maggio. . Il Comitato esecutivo del Sindacato dei ferrovieri italiani dirama a tutte le sezioni e gruppi una circolare, con la quale determina, che i ferrovieri tutti debbono partecipare all’ astensione del servizio per 24 ore, la quale deve esser osservata con la più rigida disciplina, così nell’interruzione come alla ripresa del lavoro, e, oltre che significare una grandiosa dimostrazione di so- lidarietà, deve anche servire di ammonimento per ogni effetto che la grande famiglia ferroviaria è più che mai unita e affratellata per la propria difesa e per la propria tutela. E i direttori, i Prefetti, i Ministri? Non contano più nulla! Dicono che ciò sia moderno. Neghiamo : l’anarchia è di tutti i tempi di decadenza, dopo i quali o la società, stanca, cerca un padrone che rimetta l’ordine, o si diventa servi dello straniero. Passiamo ad un altro servizio pubblico, quello dei trammais, divenuto. anch’esso necessario per la maggior parte dei cittadini, massime nelle gran- di città. L'ora legale diede sui nervi anche alla Federazione italiana dei tramvieri, la quale decretò che i tramwais dovessero regolarsi in conformità all’ora so- lare! Il decreto del tramviere legislatore s'è eseguito : sotto la minaccia d’uno sciopero, nessuno fiatò. Ognuno immagina gl’inconvenienti che ne son venuti, o n’è stato vittima. A Palermo muore il segretario della Camera del Lavoro; ebbene i tram- vieri sospendono di proprio capo il servizio, onde partecipare all’ accompa- gnamento funebre. Fan lo stesso, volendo tenere un comizio di giorno. È Pasqua? Giungono ordini da Roma che nel pomeriggio costringono il pub- (1) Del mercimonio e dei furti tacciamo, come fatti eccezionali, per quanto derivanti anch'essi dall’indisciplina. DELLA CONTINUITÀ DEI PUBBLICI SERVIZI 79 c ‘blico ad andare a piedi. Che importa poi se quel dì a Palermo c’è la fiera dei giocattoli, così cara ai bimbi ed ai padri ed alle madri, che procaccia alla piccola industria, a tanti operai, a tanti rivenditori un’occasione di gua- »dagno attesa tutto l’anno! Ci soleva esser anche un servizio straordinario di trams per comodo dei «compratori, ma quest'anno non si è avuto nemmeno quello giornaliero, sic- ‘chè pel minor concorso han perduto, gli spacciatori delle baracche e dei po- ‘sti volanti, e la Società Sicula Tramways, le cui spese, per l'enorme costo del ‘carbone, superano l’entrate. E viene il 1° maggio : l’assemblea dei tramvieri «delibera che il servizio non funzionerà per l’intero giorno. L’audacia intanto cresce in ragion diretta della debolezza: i tramvieri -di tutta Italia si preparano ad imporre il riposo domenicale, giacchè dicon loro, i ferrovieri già l'hanno ottenuto in gran parte. E veniamo alla navigazione. Le prepotenze esercitate dalla lega del per- ‘sonale, imponendo alti salari, alti stipendi e simili, son note (1). Il Gap. Giulietti, anche sotto Giolitti (2), fa quel che vuole: ordina che. ‘partano per Fiume vapori diretti al Brasile, che sbarchinpo soldati i quali debbono andare per servizio dello Stato; se no, sì resta. Tipico il caso avvenuto a Genova la notte del 26 aprile 1920. Da alcuni giorni erano giunti dal Mar Nero tre piroscafi, destinati a un servizio rego- lare inglese fra Barcellona e gli scali d’ Inghilterra. Ora, col favor delle te- nebre, dal mare e dalle calate si avvicinarono alle navi, e vi salirono a gruppi, una cinquantina d’ individui. Le guardie regie di pattuglia alla do- gana centrale, notato il fatto strano, chiamarono in rinforzo un’altra pattu- glia, e salirono sopra uno dei piroscafi, per vedere di che cosa si trattava. Erano i rappresentanti della Federazione dei lavoratori del mare, che, per in- (1) È incredibile quanto costa ormai mensilmecte, per rimunerazione e per vitto, l’equi- paggio d’ un vapore. Semplici marinai arrivano a riscuotere più di mille lire al mese. Le casse dello Stato son lì a supplire alle deficienze ! (2) Al Ministero Nitti successe quello di Giolitti il 15 giugno 1920. 80 PROF. PIETRO- MERENDA carico ricevuto, dovevano impedire la partenza dei tre piroscafi” Tutti i fe- derati portavano all’ occhiello la coecarda rossa. Invitati a scendere, parte aderirono, dodici invece rimasero a guardia del piroscafo. Le guardie, tor- nate nella calata, spararono una ventina di colpi di moschetto in aria, e così accorsero altri agenti, i quali arrestarono i dodici federati, sequestrando di- verse rivoltelle. Però l'indomani gli arrestati, per interessamento del Cap. Giulietti, segretario della Federazione, furono rilasciati. Perchè la Federazione diede quell’ordine? Perchè, secondo affermò, aveva saputo da buona fonte che le navi erano state tolte alla republica dei Soviets, e perciò, come atto di solidarietà, aveva creduto opportuno d’intervenire, onde trattenerle nel porto di Genova a disposizione della Russia. Per l’art. 243 del Codice per la marina mercantile le navi mercantili di nazione nemica che si trovassero nei porti dello Stato al momento della di- chiarazione di guerra, sono libere d’uscirne. Ciò nondimeno, in via di rap- presaglia, potrà farsi luogo all’embargo o sequestro di tali navi, quando il nemico avesse cominciato le sue ostilità, catturando le navi nazionali che si trovassero nei suoi porti, od adoperando estorsioni nelle provincie «dello Stato. Dunque, nel caso di Genova, la Federazione ha commesso un fatto che nemmeno era lecito al Governo del Re; or poichè questo fatto d’ inaudita audacia fu tale da turbare le relazioni amichevoli del Governo italiano con un Governo estero, esso costituiva un reato punito dall’art. 113 del Codice. Penale. Ebbene le guardie regie fecero il dover loro; ma gli altri organi dello Stato a che esistono? Veramente non si sa più. RIS vogliono altri fatti edificanti di rigida disciplina da un Kia e di for- tezza dall’altro ? Scegliamo a caso. L’ equipaggio del piroscafo Città di Cagliari, appartenente al Ministero. dei trasporti, rifiutò di far partire la nave. Il Ministero è costretto a sosti- tuirlo. Allri equipaggi, in altre occasioni, si comportano allo stesso modo. Tutti sono sostituiti e pagati. Insomma Giulietti regna, il Codice per la marina mercantile non esiste più, e nemmeno quello perale: dice il pubblico : Perchè allora non facciamo DELLA CONTINUITÀ DEI PUBBLICI SERVIZI 81 Re d’Italia Giulietti, e non aboliamo quelle leggi non più conformi allo spi- rito dei tempi? (1). Un ultimo accenno a disordini gravi, di pubblico danno. Non è da tenersi in non cale lo sciopero o l’ostruzionismo avutosi qua e là nei servizi della illuminazione elettrica ed in quella a gas. Non eutriamo nei particolari, perchè son noti i disagi e le noie che ne son venuti al po- polo che paga. $ 7.— Sguardo complessivo agli avvenimenti narrati. Dando adesso uno sguardo complessivo agli avvenimenti descritti im-- perfettamente nel 6° paragrafo, si presenta agli occhi nostri lo spettacolo desolante della frequente interruzione di servizi dello Stato : ferrovie, poste, telegrafi, telefoni, e di quelli della marina mercantile, e degli altri dei tram- ways, della illuminazione elettrica ed a gas. Tutti questi scioperi han prodotto gran disturbo ai cittadini che pagano, e, accrescendo direttamente o indirettamente il costo delle merci, han con- tribuito all’attuale elevatezza dei prezzi; e mentre negli scioperi degli operai e dei contadini s'è avuto il circolo vizioso : «alti prezzi, scioperi, alti salari, rincari, e poi daccapo, in questi di Stato siamo stati spettatori di un altro circolo vizioso: alti prezzi, scioperi, aumento di stipendi, accrescimento d’im- poste o di circolazione cartacea per fare fronte alla maggiore spesa ; prezzi più alti, e poi scioperi, e ritorno della deplorata. vicenda. Tutto ciò senza parlare del maggior discredito che, per gli scioperi nei servizi pubblici, ci ha colpiti all’estero, dove, per gli scioperi d’operai e contadini e pei disordini, ci sì crede un paese in rivoluzione od alla vigilia di esserlo; maggior discredito. che sì risolve in danno economico grande, e quindi in maggior costo della vita (1) Occorre notare che il passaggio delle cure della marina mercantile dal Ministero della marina al nuovo Ministero dei trasporti segnò la fine della disciplina. 82 PROF. PIETRO MERENDA Categorie speciali hanno ottenuto uno stato economico scandalosamente privilegiato, in ragione della loro organizzazione e dei commessi reati: ciò riesce insopportabile per le altre trattate men bene, pur avendo meriti mag- giori, e ci fa temere mali più grandi per l'avvenire. Il popolo ha fatto le spese della sopercheria premiata con particolari favori dall’umile acquiescenza degli uomini politici; e il popolo è stato mal servito, rotta essendo la disciplina, e potendo ognuno fare il suo comodo senza timore. $ 8. — Le cause del disordine. Arrivati a questo punto, giova rimontare alle cause di tanto disordine: La prima causa consiste nel disagio economico, ch’è reale ed acutissimo. Questo disagio spesso oscura l'intelletto ed inaridisce il cuore; da ciò un certo buon successo della propaganda socialista, il quale però crediamo fittizio. La seconda consiste in un tal quale eccitamenio di nervi, onde son presi gran numero d’Italiani, specialmente nelle regioni che parevano più in- civilite, e a preferenza fra quei che non parteciparono ai tremendi cimenti della guerra. La terza nel deficiente spirito di legalità da parte di molti cittadini. Implicito in queste ultime due cause, che costituiscono una malattia delle anime, c'è un egoismo senza freno: pare che sia proprosito, non più limitato ad operai e contadini, di lavorare il meno possibile; guadagnare quanto più si possa, e con qualunque mezzo. Quest’egoismo e questo proposito, in certe calegorie d’addetti ai pubblici servizi, non solo si coneretano nella imposta diminuzione delle ore del lavoro, ma anche nel pretendere retribuzioni ec- cessive, obbligando i pubblici poteri a concederle, con l’appuntare, a dir così‘ loro una pistola al petto: chè tanto vale il dire: O questo, ovvero il pubblico sarà privo del servizio. Nè questo tristissimo criminoso disegno, ed il conse- guente tentativo d’attuarlo, si limitano ad un servizio solo. Ci sono stati dei x momenti in cui è mancato poco che s’estendessero, previo concerto, che, se fallì ieri, può riuscire domani, a tutti i pubblici servizi. DELLA CONTINUITÀ DEI PUBBLICI SERVIZI 83 S'immagini che cosa avverrebbe con una ‘coalizione generale: impedite le comunicazioni marittime e ferroviarie; soppresse quelle tramviarie per la città; senza più notizie nè postali, nè telegrafiche, nè telefoniche; al buio per le strade di notte; senza provviste per cibarsi: non ci mancherebbe altro, a compiere la devastazione, che deviare l’ acqua Marcia, l’acqua del Serino, l’acqua del Scillato (1), così come potrebbe fare un crudelissimo nemico as- sediante ! Non già che si voglia far male al popolo per il piacere di farlo; ma si fa da molti il male per guadagnare di più con un lavoro minore : questo è il fine, quello il mezzo; e ciò è analogo a ciò che leggemmo dicesse Bismarck: «La vera strategia consiste nel dare colpi pesanti al nemico, in quanto esso si compone di militari, ma in seguito nel cagionare tante sofferenze agli abi- tanti del paese, ch’essi abbiano la nostalgia della pace, ed insistano presso è governi loro per ottenerla ». A quei molti s'uniscono i pochi, che con essi han comune l’aspirazione, ma per conto proprio mirano eziandio alla rivolta, onde beatificarsi e beatificare del paradiso terrestre regalato alla Russia da Lenin: disgraziatamente questi pochi sono spesso i dirigenti palesi od oc- culti (2). I Quarta causa del disordine è la timidezza ed incertezza degli uomini di governo nel tutelare il diritto, osservare e far osservare le leggi. Essa po- trebbe spiegarsi con la paura che s'è avuta dei Socialisti, e col desiderio di «non venire in urto, durante la guerra, con certe calegorie di cittadini, e (1) In una città d’ Italia il pericolo di questa coalizione, in cui si doveva anche asse- tare il pubblico, fu scongiurato perchè s’intuì a tempo. Che simili condizioni si prevengano è necessario: Salus publica suprema lex ! (2) Nella massa vi sono i timidi, in coscienza loro contrarii al movimento, ma che vi aderiscono per malinteso spirito di solidarietà, ovvero per paura d’ essere svillaneggiati e lesi nella persona. Certe volte la maggioranza resiste ai sobillanti, e nulla vale a smuoverla, nè lusinghe, nè minacce, nè attentati; cert’altre resta salda una minoranza eroica, la quale non è sor- “retta, e, non solo poi resta senza premio, ma si vede bollata d’infamia dai compagni vittoriosi. 84 PROF. PIETRO MERENDA conservare l unione sacra; ma ciò può costituire un’attenuange pel periodo di tempo nel quale avevamo a fronte uno dei più: potenti imperi del mondo : or quest’ attenuante si trasforma in aggravante pel tempo posteriore all’ar- mistizio di Villa Giusti. Adesso timidezza ed incertezza generano ribellione : tutti son convinti che la via per ottenere è danneggiare e minacciare di met- tere il mondo a soqquadro : il Governo finisce col cedere! In quinto luogo nei provvedimenti dello Stato s'è seguito un metodo er- roneo, e il sentimento della giustizia è stato spesso manchevole, ed è pre- valso ad esso la convenienza momentanea; onde il debole tenuto in non cale, il forte lisciato ed obbedito. Nel 1876, dato un sensibile aumento dei prezzi, che si reputava stabile, il Governo prevenne: una legge del 7 luglio, N. 3212, preserisse la riforma dei ruoli, onde pareggiare e migliorare gli stipendi: ciò che fu eseguito con decreti del 31 dicembre 1876, i quali eziandio stabilirono l’aumento sessen- nale del 10 °/,. Tutti rimasero contenti. Nessun danno ebbe il pubblico ser- vizio; del resto lo Stato avrebbe represso, poichè gli uomini al potere, oc- correndo , sapevano aver la coscienza che lo Stato è una forza a servizio del diritto, e, quantunque governasse la Sinistra storica, essa, dal lato del polso. fermo, come la Destra aveva sciolto le società rivoluzionarie della Ro-. . magna e fatti arrestare i repubblicani di Villa Ruffi, Fortis compreso (1), così Nicotera non lasciò fare i Socialisti della capitale a Santa Croce di Gerusa- lemme, e debellò il brigantaggio in Sicilia. Nel 1908 si presentarono circo- stanze simili alle presenti, ma diversissime nelle proporzioni: fuvvì un note- vole accrescimento di prezzi, forse dovuto al deprezzamento dell’oro per l’au- mento della produzione del Transwall, dopo la guerra Beora (2), e gl’'Italiari divennero, per così dire una nazione d’agituti, senza però il veleno sovver- titore. Le provvisioni dello Stato furon tardive, e si ebbero accenni deplore- (1) Fu poi Ministro e Presidente del Consiglio, attirato nell’orbita legale dalla irresisti- bile potenza delle istituzioni che ci reggono. (2) La guerra di Caino. DELLA CONTINUITÀ DEI PUBBLICI SERVIZI 85 ‘voli d’indisciplina negli impiegati : il servizio pubblico parzialmente ne soffrì; ma, con leggi opportune, si largirono dei miglioramenti, che, uniti ad una ‘certa fermezza dei governanti, fecer tornare le cose allo stato normale. Però dopo la recente guerra, da un lato lo sfrenamento non ha avuto. limiti, dal- l’altro, invece di provvedere radicalmente con misure di carattere generale, s'è gittata l’offa a chi gridava di più, a chi minacciava di più e con maggior petulanza, e, peggio, s'è ceduto di fronte all’ ostruzionismo e all’ abbandono del servizio, lasciando inapplicate le patrie leggi. Ferrovieri, impiegati postali, telegrafici e telefonici, e persino gli educatori del popolo, han potuto imporre la volontà loro allo Stato. Da ciò due mali enormi. Primieramente lo scandalo. Eppure le classi di pubblici funzionari che han dato esempio peggiore sono state trattate meglio, e, con immenso dolore dobbiam confessarlo, poco o niente avrebbero ottenuto se fossero restate quiete, attendendo fiduciose è provvedimenti del Governo (1)! In secondo luogo lo scontento: la lotta guasta gli animi e scompagina la subordinazione; le tabelle organiche poi non s’improvvisano, ma vanno pon- deratamente elaborate secondo i bisogni reali del servizio, e serbando i rap- porti fra le varie carriere : invece si sono riformate in fretta e furia, e a spiz- zico, e sotto minacciose pressioni, onde, e sen potrebbe dare ampia dimostra- zione, scosse alla gerarchia e sperequazione, che, dato il metodo, erano ine- — vitabili. Così l’ autorità dello Stato, diventando non rispettabile, pare quasi un mito. S'è andati incontro ad una spesa che in altri tempi sarebbe parsa fa- volosa, e non si è riusciti a contentare la generalità e a ristabilire l’ordine ‘e il ritorno all’attività d’una volta. C'è uno stato morale che oramai gl’impie- gati dovrebbero aver la virtù di correggere da sè; e, qualora non l’abbiano, la correzione sia forzata; e poichè gli uomini politici agiscono per paura, ‘questa paura s’infonda nelle anime loro della forza coalizzata e travolgente «della pubblica opinione, la quale deve dire risolutamente: Ed ora basta! (1) Precisamente l’ opposto della massima dei Romani: Debellare superbis, parcere su- biectis. 86 PROF. PIETRO MERENDA Ben diverso era il metodo che si doveva seguire. Appena posate le armi, quando si vide che gli stipendi degli addetti ai servizi pubblici non bastavano più alla vita, si doveva affrontare nell’insie- me il problema, e concedere spontaneamente dei miglioramenti transitorii, che avessero messo gl’impiegati in grado di supplire alla svalutazione della moneta. Un tanto per 100, che avesse accresciuto proporzionatamente i pro- venti di ciascuno, conservando la distinzione delle carriere e gli ordini ge- rarchici: ecco quello che occorreva. E perchè transitorii ? Perchè questo stato di cose non può durare eterno, e, secondo noi, avremo fatalmente una di- scesa di prezzi, che giova affrettare. Or quando quel giorno verrà, diminuire gli stipendi acccresciuti con tabelle permanenti sarà ben difficile! Non già che di tutto questo non siasi avuta l’intuizione, come chiaro si vede dai successivi decreti concedenti caro-viveri, e che qui non istaremo ad enumerare. Ma quest’intuizione non fu ben fecondata da esatti criteri : a mo- dificazioni regolamentari e di tabelle non si doveva procedere, per non im- peguare l’avvenire : il caro-viveri doveva equilibrare lo svalutamento della mo- neta; essere un tanto per 100 applicabile a qualunque stipendio, piccolo 0 grande che fosse; (1) estendersi a tutti i dipendenti dello Stato: titolari, avventizi, di ruolo, fuori ruolo, civili, militari, ferrovieri, postali, delle industrie appar- tenenti al demanio fiscale; non seguire i dettami della falsa democrazia, per (1) Con Decreto Luog., 10 febbraio 1918, N. 107, fu concesso, fino a tutto l’ esercizio finanziario successivo a quello in cui fosse pubblicata la pace, un aumento di stipendio all’intiero personale civile, militare e ferroviario delle Amministrazioni dello Stato: nelle misure seguenti : del 30 °/, sulle prime lire 2000 annue; del 15°/, sopra la quota eccedente le L. 2000 e fino alle L. 4000; del 10°/, sulla quota eccedente L. 4000. Sarebbe stato più giusto assegnare un tanto per 100 uniforme , essendo il rincaro proporzionato al reddito. comunque, non si eguagliava artificialmente ciò che per natura di cose era dispari. Un D. Luog., 14 settembre 1918, N. 1314, concesse a tutti un'indennità mensile di L. 100, al netto dell’ aumento percentuale di cui al D. L. del 10 febbraio 1918, N. 107. Da allora il caro-viveri è stato uniforme, cioè la stessa somma mensile è stata largita così al Diret- tore generale come al portiere ! DELLA CONTINUITÀ DEI PUBBLICI SERVIZI 87 la quale i piccoli si aiutano, i grandi si trascurano, e si finisce col pareggiare ‘ciò che è dispari. E converso, s’è fatto tutto l’opposto, cagionando orgoglio in basso, mortificazione in alto, sperequazioni, malcontento (1). Seguendo i retti criteri, si sarebbe speso lo stesso, in ultima analisi, ma ‘con benefici effetti: evitare sofferenze, scandali, pericoli per lo Stato. Diciamo ‘che si sarebbe speso lo stesso, perchè si può credere che, tirate le somme, ‘ed eccettuati i ferrovieri ed i postali, lun per l’altro siensi raddoppiate le rimunerazioni; or questo, con un graduale aumento per 100, si sarebbe ot- tenuto del pari, e senza disdoro dello Stato, dato che non si potesse equi- librare l'aumento dei proventi all'aumento dei prezzi, come sarebbe stato equo. Quest’errore di metodo, e la mancanza di fortezza nel resistere alle pre- tese eccessive, ha profittato ai Socialisti, che si son giovati di quello e di .questa per fare proseliti fra le coscienze pusille; tal quale come nei abbiam pro- fittato dell'errore dei Socialisti, i quali, mettendo carte in tavola, come suol ‘dirsi, ci hanno edotti che alla fin fine professavano il ributtante Comunismo. L’errore medesimo s'è commesso circa le pensioni. Esse, in fondo, sono «state raddoppiate stabilmente, con R. D. Legge 23 ottobre 1919, N. 1970, pei nuovi pensionati civili collocati a riposo dal 1° ottobre 1919 (2). E i vecchi pensionati? Per loro si sono emessi due provvedimenti suc- .cessivi: il 1°, con D. L. 27 febbraio 1919, N. 191, col quale, mensilmentea ‘senza rapporto veruno (al solito) con l’entità della pensione (3), si concede- (1) MeLcHIORRE Giosa pubblicò nel 1818 un’ opera che, fra le tante scritte da lui, fu «giudicata la migliore, la quale è intitolata Del merito e delle ricompense, trattato storico e filosofico. Egli voleva per essa indurre i concittadini suoi ad esser giusti, ricompensande in ragion diretta del merito. Poteva aspettarsi che giungerebbe un tempo in cui questo «compenso fosse in ragione inversa ? Abbiamo sott’occhio la 3» edizione in due volumi: Lugano, Auggia e comp., 1832. (2) Con R. D. Legge 27 novembre 1919, N. 2373, furon accordati ai nuovi pensionati ferroviari gli stessi vantaggi concessi agl’impiegati civili e militari in pensione, dal 1° otto- bre 1919 in poi. (3) Un criterio più logico e più giusto venne seguito dal Regolamento per l’esecuzione «dell'art. 22 del D. Luog. 12 Novembre 1916, N. 1598, sulle pensioni privilegiate di guerra. 88 PROF. PIETRO MERENDA vano L. 30 alle pensioni dirette, L. 20 a quelle di riversabilità; il 2° con R. D. L. 31 luglio 1919, N. 1304, che elevava l'assegno mensile livellatore a L. 50 e a L. 30 rispettivamente, estendendone il godimento ai pensionati, alle ve- dove ed agli orfani che hanno un assegno continuativo a carico del fondo pensioni per il personale delle ferrovie dello Stato. Che cosa sono mai 50 e 30 lire mensili, di fronte al rincaro enorme? (1). Detto Regolamento, 20 maggio 1917, N. 876, all’art. 4 ha questa disposizione : « La pensione privilegiata sarà aumentata per ogni anno di servizio effettivo o di campagna di guerra in ragione di un ventesimo della differenza fra la pensione minima di riposo e quella pri- vilegiala per gli ufficiali effettivi e per i militari di truppa i quali, non avendo raggiunto il limite di anzianità di servizio richiesto per il collocamento a riposo dalle vigenti dispo- sizioni, abbiano prestato sotto le armi, rispettivamente, non meno di cinque o non meno di otto anni di servizio... Qualora, invece, gli ufficiali o i militari di truppa abbiamo raggiunto il limite di anzianità per il collocamento a riposo, la pensione privilegiata verrà liquidata in ragione della pensione di riposo accresciuta di un decimo, ove questo trattamento risulti più favorevole di quello stabilito con l’articolo precedente ». (1) Altre classi poi sono trascurate addirittara. I Garibaldini e gli altri prodi superstiti delle guerre dell’indipendenza, son provvisti, e non tutti, dell'assegno di L. 1 al giorno: e al grido loro d’angoscia, ma non d’apostasia, s° è risposto , oh vera ingratitudine ! con un erudelissimo cavillo curialesco, cioè che tale L. 1 giornaliera non é un assegno alimentare, ma rappresenta ricompenso nazionale inalterabile ! Tutti sanno che, senza il magnanimo tentativo del 4 aprile 1860 in Palermo, sarebbe mancata |’ insurrezione della Sicilia, e Garibaldi non si sarebbe imbarcato a Quarto. Un decreto dell’ I ottobre di quell’ anno del Prodittatore Mordini stabilì che ai suverstiti del 4 aprile si desse un impiego confacente alla condizione di ciascuno, e frattanto assegnò una pensione di L. 0,85 al giorno. Nessuno ha avuto mai l’impiego; tutti hanno avuto le L. 0,85. I tre ultimi sopravviventi, giunti ormai all’estrema vecchiezza, chiesero un prov- vedimento. Anche a loro si disse che non c’era nulla da fare: non godevano assegno ali- mentare, ma ricompensa nazionale inalterabile! I pensionati delle Provincie, dei Comuni e di altre pubbliche amministrazioni son ri- masti nella più squallida miseria, perchè , tranne aleuni grossi Municipii, e qualche Pro- vincia, che, generalmente con riduzioni, han seguito |’ insufficiente provvedimento dello Stato, gli altri 8000 Comuni e le altre pubbliche amministrazioni nulla hanno sancito a sol- lievo dei propri pensionati. Nè vale il rispetto per |’ autonomia delle amministrazioni pub DELLA CONTINUITÀ DEI PUBBLICI SERVIZI 89 Or noi crediamo che non si dovesse nè accordare sussidi a spizzico ed inadeguati, nè mutar la legge nelle pensioni, emanando il R. D. L. 23 otto- bre 1919, N. 1970; ed invece era necessario un aggravio transitorio delle pubbliche finanze, stabilendo un tanto per 100 di aumento adeguato su tutte le pensioni di Stato (1). bliche diverse dello Stato. Perchè questo rispetto non s’ è invocato quando fu imposto a Provincie e Comuni di modificar le tabelle e di concedere caro-viveri ai loro impiegati in attività di servizio? Ahime! s'è avuto timore che s’arrestassero i pubblici servizii dei corpi politici minori! (1) I pensionati. nel Congresso celebrato a Roma il 15-17 febbraio 1920, invocarono : a) Estensione della nuova legge sulle pensioni ai pensionati dello Stato civili e mi- litari, cui fu liquidato l’assegno vitalizio secondo il testo unico 21 febbraio 1895, N. 70. b) Pareggiamento dalle vecchie pensioni, in base ai nuovi stipendi degl’impiegati in attività di servizio. c) Obbligo a tutti gli enti locali antarchici di migliorare le condizioni dei propri pen- | sionati, alla stessa stregua adottata pei pensionati civili e militari, secondo la lettera a) e 2). d) Estensione e pareggiamento, secondo le lettere a) è), a favore dei pensionati fer- roviari, cui venne fatta la liquidazione anteriormente al 1° ottobre 1919. Logiche e giuste richieste, derivanti dagli stessi provvedimenti dello Stato. Nè s’adduca in contrario la feoria contrattuale. In vero, ammettendola di peso, riten- gasi pure giuslo che si dia a ciascun pensionato, in moneta corrente nel Regno, l'assegno nominale che per legge gli spetta, sia di quella moneta qualsiasi il valore reale. É evidente, dicono gl’ interessati, che siffatta regola va allora seguita per tutti. Oh! perchè essa non s’ è attuata per gl’ impiegati in attività di servizio e pei giubbilati dal 1° ottobre 1919 in poi, ed invece agli uni ed agli altri, in relazione allo svilimento della moneta corrente net Regno, furono accordati aumenti stabili ? La mente poi del legislatore, nel concedere le pensioni, fu certamente quella d’appre- stare, nei vecchi giorni, a coloro che onoratamente avevan semini lo Stato, un assegno alimentare a seconda del tempo durato nello impiego, e del grado che ciascuno s’aveva, mentr’ era atto al lavoro, cioè in ragion diretta del merito. Or quando la moneta corrente non ha più un valore reale uguale al nominale, ma è svilita; quando tale svilimento non è leggiero, e non si tratta delle piccole oscillazioni solite a prodursi naturalmente nel va- lore della moneta, ma di caduta del valore, prodotta Principalmente dall’enorme emissione di carta-moneta (inflazione), e ciò è avvenuto per azione diretta dello Stato; quando, per ( 12 90 PROF. PIETRO MERENDA Così sarebbero state risparmiate tante acutissime sofferenze, e anche con vantaggio politico. Le disparità create dal legislatore con il suo scarso sen- timento di giustizia, han generato una corrente, reale o fittizia, contraria alle istituzioni, non solo fra gl’impiegati in attività di servizio, ma anche fra un certo numero di pensionati (1). conseguenza, l’assegno alimentare non è più quello, ma in concreto è ridotto siffattamente da essere un assegno di fame: allora quest’assegno dovrebbe aumentarsi fino a raggiungere di nuovo ciò che dar voleva il legislatore nella mente sua. Questo è di rigorosa giustizia, secondo gli sventurati cui fu liquidata la pensione anteriormente al 1° ottobre 1919. Chi può negare ch’essi abbiano ragione? E v’'ha di più. Nella pensione entra certo un dono graiuito rimuneraiore dello Stato, o, per meglio dire, il compenso dovuto all’impiegato si divide in due: una"parte (stipendio( si dà mentr’egli è nel vigor degli anni, e presta servizio attivo; l’altra quando vengono i tristi giorni della vecchiaia ed il conseguente collocamento a riposo : questa parte seconda del compenso rappresenta il concorso della pubblica amministrazione alla somma annuale che costituisce il vitalizio. Concorso, perocchè la pensione non è costituita da quest’ ele- mento solo, e ne contiene un altro, ch’ è prevalente, ed è il prodotto capitalizzato delle ritenute sugli stipendii, il quale rappresenta la restituzione d’un risparmio forzato; onde il nome di debito vitalizio, con proprietà di linguaggio dato al fondo per le pensioni stanziato in bilancio. Ora, se in genere lo Stato è costretto attualmente a pagare in moneta sva-' lutata ciò che contrattò in moneta buona, avendo ridotto realmente il 100 al 25, e dando perciò 25 di fatto, e 100 sol di nome; esso il prodotto capitalizzato delle ritenute dovrebbe restituire in moneta che avesse lo stesso potere d'acquisto di quella ricevuta , non defrau- dando quindi tre quarti del valore a coloro che lo Stato deve considerare come ossa delle sue ossa e carne della sua carne. Ma questo terzo argomento è men forte del secondo. (1) A Lecce si pubblica una buona rivista per questa classe di cittadini, denominata Il controllo. in essa fu stampata, il 30 aprile 1920, una lettera aperta , nella quale sì usa- vano parole irriverenti verso le istituzioni, amare verso la guerra; e s’affermava che, data l’indifferenza dello Stato per coloro i quali nei giovani anni l'avevano servito, 50 mila pic- coli pensionati votarono pei Socialisti nelle elezioni politiche del 1919, e gli altri vanno orientandosi verso un partito che più di tutti si mostra ligio ai concetti cristiani (« Sinite parvulis ad me venire», proteggete i poveri, amatevi o popoli lun l'altro). Poco patriottica manifestazione, esagerata nei fatti (non essendo, p. e., credibile la defezione dei piccoli === TIE DELLA CONTINUITÀ DEI PUBBLICI SEEVIZI 91 Siamo certi che la grandissima maggioranza degli antichi servitori degli . enti politici reagisca contro qualunque tendenza od arte avversa al nostro politico ordinamento, chè dei Numi è dono Servar nelle r.iserie altero nome (1). Ma è chiaro che i Socialisti insidiano anche i pensionati, tanto più che deputati di quel partito, e di ciò van lodati, s'interessano ormai di loro alla Camera, e l’ Avanti!, tardivamente si scalda. È un altro danno ed un altro rc pericolo, che possono crescere, e che derivano dai criteri erronei e dallo == scarso sentimento di giustizia degli uomini politici (2). pensionati, quelli da L. 600 in giù, ch’ebber duplicati gli assegni loro) erronea nelle dottri- ne: contro la quale fu subito protestato. Questa protesta pubblicando Il controllo, addì 21 maggio, nel seno d’ un articolo del direttore, si facevano professioni di lealtà e di amor - ci patrio; ma l’articolo era intitolato : Ribelli per fame. Ora un’ampia confutazione delia lettera aperta, dove anche si affermava che i pensio- nati ribelli non dovevano esser mai, ma far valere i diritti e le ragioni loro legalmente, PRISIOO "FK non fu pubblicata ! (1) Bisogna ricordare che, in febbraio 1920, nel III. Congresso dei pensionati tenuto a ata Roma, il Presidente dell’Associazione dei pensionati di Milano, biasimò il Presidente della wr = Federazione italiana, sostenendo che questi non avea la facoltà d’offrire allo Stato, come aveva fatto nel gennaio, l’opera dei ferrovieri pensionati, e così aveva fatto del crumirag- “RR: gio. L’altro rispose che lo sciopero ferroviario, così com’era stato impostato, aveva esulato da ogni movente economico, ed aveva assunto il carattere d’un vero attentato politico alla compagine dello Stato. A difesa del quale egli aveva preso il posto suo: avrebbe fatto al- trettanto ripetendosi l’ occasione. A queste dichiarazioni aderì la totalità dei congressisti, con una grandiosa manifestazione. (2) I soli pensionati dello Stato (non compresi i ferrovieri, i reduci delle patrie batta- glie, e simili, il cui assegno non dipende dalla legge generale sulle pensioni civili e militari, (testo unico del 1895)) ascendono a 264.265. Vi sono altresì 93.936 pensioni straordinarie. V. Annuario statistico italiano, 1917 e 1918, p. 424. Il trionfo dei Socialisti, non solo non è probabile, ma nemmeno è possibile. Se mai avvenisse, gl’illusi ne vedrebbero delle belle! I posti degl’impiegati in attività di servizio, da lungo tempo invidiati, verrebbero presi dai comunisti veri, ed i pensionati avrebbero il trattamento che si fa ai fannulloni inabili al lavoro. PROF. PIETRO MERENDA $ 9. — Due questioni inerenti alle ripetute interruzioni che in Italia hanno subito i pubblici servizii Tornando adesso agli scioperi degl’impiegati in servizio attivo, sorgono due quistioni, del massimo interesse, che giova esaminare. La giustizia è fondamento dei regni; Stato, quindi, Provincie, Comuni, imprese industriali debbon esser giusti ed anche equi; e pertanto debbono aiutare spontaneamente, entro i confini del possibile, i proprii dipendenti , quando una crisi di rincaro, come quella che attraversiamo , furiosamente imperversa. Che se di propria volontà nol facessero, gl’ interessati , che soffrono, possono legittimamente chiedere, agitarsi, affine che si provveda adeguatamente. Ma la questione è di limiti: e pei pubblici impiegati risiede in questi termini: « Gli addetti ai pubblici servizi han diritto di scioperare » ?_- Non è dubbio del pari che in un governo libero i pubblici impiegati, es- sendo cittadini, han diritto di godere della libertà concessa a tutti dalla co- stituzione. Qui però sorge un altro problema: « La libertà politica, che han diritto di godere gli addetti ai servizi pubblici, può estendersi fino ad azioni tendenti alla mutazione della forma del governo e al dissolvimento della ci- vile società ? $ 10.— Sul primo quesito: Gli addetti ai pubblici servizii hanno diritto di scioperare ? s’inizia l'esame dai lato delle leggi vigenti Sul primo quesito ricordiamo che, fin dal 1889, secondo la legislazione positiva, lo sciopero non è più reato per se stesso, purchè pacifico, cioè senza nè violenza, nè minaccia. Ma lo stesso Codice penale Zanardelli, pubblicato in quell’anno, ha fatto uv’eccezione, ed ha considerato invece come crimine lo sciopero dei pubblici funzionari, anche puro e semplice, con la seguente disposizione dell’art. 181 - «| pubblici ufficiali che, in numero di tre o più, e previo concerto, abbando- nano indebitamente l’ ufficio, son puniti con la multa di lire cinquecento a tremila e con l'interdizione temporanea dall’ufficio. Cee ge Ra pr Tenia DE DELLA CONTINUITÀ DEI PUBBLICI SERVIZI 93 «Alla stessa pena soggiace il pubblico ufficiale che abbandona il proprio ‘ufficio per impedire la trattazione di un affare, o per cagionare qualsiasi no- ‘cumento al pubblico servizio ». Nè l’ostruzionismo resta impunito : «Il pubblico ufficiale che, per qual- siasi pretesto, anche di silenzio od oscurità contraddizione o insufficienza ‘dalla legge, ometta o rifiuti di fare un atto del proprio ufficio, è punito con la multa da lire cinquanta a millecinquecento. « Se il delitto sia commesso da tre o più ufficiali, previo concreto, la multa ‘è da lire cento a tremila » (art. 178). L'ostruzionismo, in fatto di corrispondenza postale o telegrafica, può pro- durre la soppressione. Anche questa è preveduta. « Chiunque indebitamente sopprime una corrispondenza epistolare o telegrafica che non gli sia diretta, ancorchè, essendo chiusa, non l’abbia aperta, è punito con la reclusione sino ad un anno e con la multa da lire cento a tre mila. «Se il fatto cagioni nocumento , la reclusione non può essere inferiore a tre mesi, nè la multa alle lire cinquecento » (art. 160). Più tardi si trovò necessario di aggiungere altre sanzioni a quelle stabi- lite dal Codice penale, essendo sorti taluni disordini fra i dipendenti dello Stato. Dicemmo che circa dodici anni addietro si presentarono circostanze si- mili alle presenti, per quanto assai diverse per le proporzioni e per mancare allora o esser deboli i nemici interni dello Stato. Fuvvi un notevole accre- scimento di prezzi. Scioperarono parecchie categorie d’operai; gli addetti alle ferrovie non concesse all’industria privata le imitarono; vari gruppi d’impie- gati pubblici si costituirono in, leghe, e non dettero requie ai governanti; il servizio pubblico ebbe danni, o corse pericolo. Erano presidente del Consiglio l’On. Giolitti, guardasigilli l'On. Orlando. Provvedendo ai ripari, si dettarono norme novelle sullo stato degl’ im- piegati, a modificazione di quelle anteriori. Ne vennero due leggi: una del ‘25 giugno 1908, N. 290, sullo stato giuridico degl’ impiegati civili dello Stato ed una del 30 giugno, N. 304, sullo stato economico degli stessi. Dei miglio- ramenti furono apportati tanto nell’un senso che nell’altro, ma nello stesso 9 PROF. PIETRO MERENDA tempo, a restaurar la disciplina, nella Jegge sullo stato giuridico furon de- terminate meglio o comminate delle punizioni, e prevedute le guarentigie affinchè venissero inflitte con giustizia. All’art. 14 fu prescritto: «Sono dichiarati dimissionari, senza pregiudizio dell’azione penale secondo le vigenti leggi, gl’impiegati che volontariamente abbandonano l’ufficio, o prestano l’opera propria in modo da interrompere 5 perturbare la continuità e la regolarità del servizio. Può però il ministro, sul parere del Consiglio d’amministrazione e disciplina, considerate le con- dizioni individuali e le personali responsabilità, applicare invece la sospen- sione del grado e dello stipendio, l’esclusione dagli esami d’idoneità o di me- rito distinto , la proroga delle promozioni anche per semplice anzianità, la revocazione dell'impiego ». Conseguenza della dimissione dichiarata, la perdita del diritto a pensione. Spiacque ai turbolenti questa stretta di freni, e l’art. 14 chiamarono ar- ticolo capestro. Contemporaneamente, per provvedere ad esigenze dell’ amministrazione ferroviaria e per rinsaldare la disciplina, venne pubblicata la legge 7 luglio 1907, N. 429, riguardante l’ ordinamento dell’ esercizio di Stato delle ferrovie non concesse all’industria privata (1). Essa, all’ art. 56 tornò a prescrivere : - «Tutti gli addetti alle ferrovie esercitate dallo Stato, qualunque sia il loro grado o ufficio, son considerati pubblici ufficiali. «Senza pregiudizio dell’azione penale secondo le leggi vigenti, coloro che volontariamente abbandonano o non assumono l’ ufficio 0 prestano l’opera propria in modo da interrompere o perturbare la continuità e regolarità del 0 servizio, sono considerati come dimissionari e sono surrogati. «Può però il direttore generale, su parere favorevole del Consiglio d’am- (1) Il disegno di legge dovett’esser curato dal ministro dei lavori pubblici Emmanuele Gianturco. % In quanto contrarie alla nuova, furono abrogate le leggi del 22 aprile 1905, N. 137, del 12 luglio 1906, N. 332, e tutte le altre leggi e disposizioni relative all’ esercizio di Stato- delle ferrovie. DELLA CONTINUITÀ DEI PUBBLICI SERVIZI 95 ‘ministrazione, considerate le condizioni individuali e le personali responsa- bilità, applicare invece la sospensione dal servizio, la proroga del tempo per l'aumento dello stipendio o della paga, o la degradazione ». Lo Stato, oltre che intervenire, nell’interesse pubblico, in materia di fer- rovie concesse all’industria privata, di tramvie a trazione meccanica e di au- tomobili, credette pure d’intervenire per imporre un equo trattamento del per- .sonale addetto a quelle aziende. In ordine a quest’ultimo punto, il Pantaleoni scrisse: « Così pure è certo ‘che leggi, come quella che dicesi dell’ «equo trattamento » son distruttrici di attività economica, e servono solo ai politicanti. Similmente, leggi che attribuiscono agl’ impiegati delle aziende private stato giuridico analogo a ‘quello degl’impiegati governativi, sono contrarie alla produttività delle azien- de, perchè questa esige capacità , attività strenua e disciplina per parte de- «gl’impiegati e degli operai, e questi caratteri non si ottengono che mediante una continua e rigorosa selezione di operai e d’impiegati, cioè mediante il licenziamento degli incapaci e dei disadatti, senza intervento dello Stato, sia con calmieri, sia con prezzi di minimum nei servizi personali, sia con sup- posti diritti acquisiti al posto » (1). Ma lasciamo andare. Con R. D. 9 maggio 1912, N. 1447, fu pubblicato il Testo unico delle disposizioni di legge per le ferrovie concesse all’industria pri- vata, le tramvie a trazione meccanica e gli automobili, il quale, all’ art. 115 dice così: «Tutti gli addetti alle ferrovie concesse all’industria privata, qua- lunque sia il loro grado ed ufficio, son considerati come pubblici ufficiali. Ove nei rispettivi regolamenti manchino prescrizioni analoghe, e gli ordinamenti dell’imprese assicurino al personale un equo trattamento, coloro che. volon- tariamente abbandonano o non assumono l’ ufficio o prestano l’ opera pro- (1) I fenomeni economici della guerra, nel Giornale degli Economisti, giugno 1916, p. 454. Notiamo che quest’ intervento dello Stato, per ciò che concerne le ferrovie concesse alla industria privata, ha prodotto oneri eccessivi alle amministrazioni, le quali in generale son «divenute passive, mal supplendo gl’imposti aumenti di tariffa e i concorsi pecuniari dello Stato. 96 PROF. PIETRO MERENDA pria in modo da interrompere o perturbare la continuità e regolarità del ser- vizio, sono dichiarati dimissionari, e quindi surrogati. Può però l’esercente, considerate le condizioni individuali e le speciali responsabilità, applicare invece un provvedimento disciplinare ». La legge nol dice esplicitamente, ma si potrebbe argomentare dal suo testo, se fosse lecito in materia penale, che questa disposizione s’estenda alle tramvie; comunque han provveduto regolamenti particolari, la cui osser- vanza è di patto tra impiegato ed impiegante (1). Il Codice per la marina mercantile sancisce gravi pene contro gli ad- detti alla navigazione che non adempiano gli assunti doveri. È chiaro, dunque, che la legislazione patria considera come reato lo sciopero delle persone che prestano l’ opera loro nei pubblici servizi, sotto qualunque forma sia messa in atto. Sentiamo poi tutti che quello moralmente è illecita cosa; non si può ammettere che, per qualunque ragione, s'arresti , perturbi la vita civile, politica, economica del paese. $ 11.— Come adesso le leggi vigenti non sieno più osservate. Interpellanze discusse nel Senato del Regno l’8 febbraio 1920. In che guisa fu trattata dal senatore Ro- landi - Ricci la prima quistione dal lato pratico e da quello giuridico. Eppure queste leggi, per debolezza del Governo, non si applicano più, e i dirigenti terrestri delle organizzazioni, e il dirigente marittimo Cap. Giu- lietti son diventati i nostri padroni. E lo Stato ? Lascia fare, transige, ver- gognosamente ubbidisce, dimenticando che la politica sta nell’ essere e mo- strarsi forte (2). (1) Con legge del 30 settembre 1920, N. 1405, venne costituita una Commissione per la determinazione del trattamento del personale addetto ai pubblici servizi di telefonia gestiti dall'industria privata. Questa legge però non contiene sanzioni per coloro che abbandonano il servizio o lo rendono in modo discontinuo od irregolare. Vuol dire che per ora il legislatore se ne ri- mette ai regolamenti delle singole aziende. (2) Mazzini, Manifesto della giovane Italia, 1831, pag. 6. Negli Scritti editi ed inediti, vol. II, Imola, Galeati, 1907. —_—_—__+ _——Wr== =_= rrees-“er > perc ni nà sir dir en RO a ? cs-appreare zine rogo apra - £ - di sid à DELLA CONTINUITA DEI PUBBLICI SERVIZI 97 Narrammo degli scioperi dei ferrovieri e dei postelegrafonici del 1° gen- naio 1920. I . Il paese biasimò severamente così la interruzione dei servizi come la condotta del Governo rilasciata e pavida verso gli scioperanti, tanto più in quanto la quasi contemporaneità dei due scioperi, che privarono ad un tempo di notizie e di comunicazioni, fece sospettare a molti che un’intesa ci fosse, e ribelle, però mal riuscita (1). A scioperi finiti, 18 febbraio si discussero dal Senato del Regno tre in- terpellanze sopra di quelli: una del senatore Calisse; una firmata da ben 42 membri della Camera alta, tra i quali gli on. De Cupis e Rolandi-Ricci: una dell'On. Di Brazza. Gli oratori furono eco della pubblica indignazione, del- l’offeso senso morale del popolo; pure riconoscendo, come anche noi credia- mo doveroso di fare, le gravissime difficoltà fra le quali doveva agire il Go- verno, e per esso il suo capo, «il quale (furon parole dell’on. Calisse) non aveva certo la responsabilità di quanto s’era venuto formando attraverso ed a cagione di larga serie di fatti precedenti ». Molte cose verissime e giustissime furon dette; ma noi, per l’ economia di questo lavoro, ci fermiamo unicamente al discorso del senatore Rolandi- Ricci, e alla risposta data dall’ on. Nitti agl’interpellanti (2) sopra l ap- plicazione delle leggi contro lo sciopero, e sopra la giustificazione dottri- nale loro. (1) Nella tornata dell’8 febbraio 1920, i senatori Calisse e Rolandi-Ricci esplicitamente misero in rilievo e la contemporaneità dei due scioperi, e la coincidenza loro con gli av- venimenti coevi, e gli sforzi adoperati a far scioperare elettricisti e tramvieri. Conclusero che il colpo fallì, ma non fallì la speranza di poterlo meglio aggiustare in una nuova occasione. Nessuno ha smentito i due onorevoli senatori. Taluno attribuì lo sciopero ferroviario alla debolezza mostrata dal Governo in quello postale. (2) Chi ne avesse vaghezza e amasse trar profitto di quanto s’agitò in quella memoranda seduta, potrebbe leggere tutto negli Atti parlamentari, Senato del Regno, Legislatura XXV, 1» Sessione 1919-20, Discussioni, XXI tornata, pag. 429 a 472, 13 98 PROF. PIETRO MERENDA Il Rolandi- Ricci lodò il modo col quale era stato composto quello fer- roviario, e specialmente l’essersi assoggettati gli scioperanti alla perdita delle giornate di lavoro non fatto (1), devolvendone il risparmio conseguito ad un’opera che in ogni caso si sarebbe dovuta sovvenire dal Governo (2). Salva quest’ultima parte, la lode non ci pare abbastanza meritata. Invero ci sarebbe piaciuto ch'egli avesse anticipato lo stringente dilem- ma, che più tardi, parlando alla Camera il 31 marzo, pose l’on. Sarrocchi, e ch'è questo: «Se i ferrovieri avevano ragione, non si doveva farli arrivare allo scio- pero: se avevano torto, il Governo non doveva cedere ». Oltre a ciò l’on. senatore vorrà indulgere se osserviamo non avere egli considerato che questo discutere e trattare coi ribelli alle leggi, i quali lan- ciano ultimatum come farebbe il capo di un esercito nemico che intima la resa a discrezione, paralizzano l’attività economica della nazione, commettono altri reati comuni; questo discutere e trattare da potenza a potenza con loro, perverte la coscienza morale, annulla la superiorità dello Stato sopra tutto e sopra tutti, entro i limiti del diritto. Egli non considerò nemmeno che la posizione economica dei ferrovieri. con le ultime concessioni, divenne signorile. Essi hanno complessivamente. una retribuzione immeritata, conseguita con la prepotenza, ch’ è scandalosa di fronte agli altri pubblici ufficiali, incontestabilmente di maggior merito. Pari soddisfazione non mostrò l’oratore dell’opera del Governo nel corso e nella soluzione dello sciopero postale, telegrafico , telefonico. Deplorò in quella seduta l’on. Ricci il pessimo andamento del servizio postale. Nel che s’appose al vero. Il servizio postale e il telegrafico andavano benissimo all’epoca delle Di- rezioni Generali, e restan memorabili e rimpianti per le poste il Barbavara, pei telegrafi Ernesto D'Amico. Si guastarono quando delle due Direzioni si n (1) Si calcola che, in 10 giorni, gli scioperanti abbian perduto 10 milioni. (2) Primo fondo collettivo per la costruzione di case economiche pei ferrovieri. | È Î bi | É È ” e = ro > age er re DELLA CONTINUITÀ DEL PUBBLICI SERVIZI 99 fece un Ministero. Migliorarono dappoi, e il servizio postale andava con la precisione d’un orologio regolatore, tanto da meritare gli elogi d’ogni ordine di cittadini. Dopo di nuovo fu meno apprezzato, ma, ed è lodevole, si rialzò durante la guerra. Adesso è oggetto di lagnanze generali (1). Deplorò del pari, ed a ragione, che la disciplina continuamente decada, perchè i miglioramenti sono stati unicamente conceduti di seguito ad ostru- zionismo; a proposito dello sciopero, allora recente, deplorò del pari che, se non si voleva esercitare nessuna rappresaglia contro gli scioperanti, non si doveva nemmeno tollerare alcuna violenza contro quelli che non avevano abbandonato il lavoro; la tutela venne tardi, e, se i fedeli non vollero ricom- pense materiali, non si seppe loro concedere veruna ricompensa morale; de- plorò che i volontari, per lo più studenti, non fossero stati premiati come meritavano. | Nè si può non plaudire a queste eloquenti parole dell’on. senatore: « Che doloroso contrasto si presenta alla mente se ricordiamo oggi quei poveri ra- gazzi, col nome della mamma frequente sul labbro, e quegli uomini trentenni pensosi dei figliuoletti lasciati a casa, i quali, nulla chiedendo per sè e tutto dando alla patria, animati dal sentimento del dovere ed obbedienti ai freni della più rigida disciplina, soffrivano, combattevano, morivano nel fango delle trincee, sulle arsure carsiche, fra i geli alpini, sotto le raffiche della mitraglia, fra le intossicazioni dei gas, sotto lo schianto dei bombardamenti, e li con- frontiamo con questi impiegati dello Stato, che, per esser meglio pagati, at- tendono all’ agguato il momento ch’ essi credono più proficuo per imporre brutalmente le loro pretese!» Proprio all’agguato! poichè fu costantemente scelto il momento in cui il capo del Governo doveva esser presente alla Con- ferenza della pace, rivestito di tutta l’autorità che viene dall’aver dietro di sè un paese concorde e tranquillo. [N Ma la parte più notevole del discorso dell’ on. Rolandi-Ricci è quella in cui dichiara inammissibile il diritto allo sciopero dei pubblici funzionari. (1) S'impostano lettere, e non arrivano o giungono con enorme ritardo. Ed in quanto al servizio telegrafico, si telegrafa, e il telegramma impiega giorni a coppie! 100 PROF. PIETRO MERENDA « Per i servizi pubblici esercitati direttamente dallo Stato, egli disse, l’i- nammissibilità dello sciopero è intuitiva, non solo giuridicamente, ma anche politicamente e moralmente. C'è incompatibilità radicale tra la nozione di ser- vizio pubblico e la nozione di sciopero, insegna il Barthélemy. « La libertà di sciopero, riconosciuta giustamente agli operai delle aziende private, cui corrisponde la libertà della serrata padronale, deve, per necessità ineluttabile di cose, non esser consentita agli addetti ai servizi pubblici dello Stato, la necessità assoluta dei quali esclude che lo Stato abbia mai esso. a sua volta, la possibilità di contrapporvi da parte sua la serrata. «È ancora vera, e non potrà non esserlo sempre, sotto qualunque regi- me la dichiarazione di Berlier, raccolta da Locerè, che la « posizione speciale . Da due mesi si lavorava dal Governo a formare le scorte per gli appro- vigionamenti. Esso ha potuto fronteggiare lo sciopero, e poi, in pochi giorni, ripristinare alquanto il servizio « senza che l’Italia abbia sofferto la fame, «senza che nessuna fabbrica industriale si sia chiusa ». L’on. Nitti seguitò di- - cendosi contento sopratutto d’ esserne uscito senza morti, senza che vi sia stata una repressione violenta. A quei che avean detto sarebbe stato dovere- @——m——@—e; Ni DELLA CONTINUITA DEI PUBBLICI SERVIZI 115 cura quasi paterna anche oltre la tomba (1); ond’è che pubblici ufficiali e — Stato costituiscono un tutto inscindibile, perchè le persone fisiche concretano la persona giuridica, e quelle e questa incarnano l’organizzazione giuridica della convivenza. V'ha di più. Il pubblico ufficiale sì poteva dimettere: nessuno gliene avrebbe fatto carico; sarebbe stato surrogato, senza che ne soffrisse la perma- nenza della funzione : invece no : è rimasto, ma, concertandosi con altri com- pagni e insieme con loro, ha interrotto 0 prestato in modo irregolare il servizio; ha commesso un’estorsione contro la collettività, quasi dicesse : 0 la borsa o la vita; ha imposto la volontà d’una minuscola organizzazione, per interessi minimi, alla volontà dell’organizzazione universale, ai suoi interessi grandi; ha rotto il vincolo giuridico che lo legava allo Stato, per poi riallacciatlo a suo libito, dopo ottenuto quanto domandava, spezzando così la compagine politica; ha quindi leso il diritto pubblico, e volontariamente : or questo fatto è dolo, e questo dolo cader deve sotto la sanzione penale della legge penale. Ma, oltre la lesione del diritto pubblico , nell’ interruzione e irregolarità c'è il danno. Anche nei rapporti privati interruzione e irregolarità possono costituire un tal quale danno pel pubblico, ma più direttamente colpiscono, e in maggior misura, il padrone; per lo più feriscono esclusivamente que- st'ultimo : il danno c'è dunque, ma esso è puramente e semplicemente di ca- rattere patrimoniale; mentre, quando si tratta di servizio pubblico, esso è eziandio morale o politico, ed il danno patrimoniale è in senso, non più par- ticolare, ma generale, perchè paralizza e, prolungato, spegnerebbe la vita economica della nazione. Nello stato attuale di civiltà, essendo la produzione fondata sul lavoro diviso, e la soddisfazione dei bisogni sullo scambio, si consuma quel che (1) Vero è che in pratica talora quest’ intendimenti dello Stato vengono frustrati per un malinteso spirito fiscale; ma la colpa per lo più è degli uomini, non delle cose, e più che in altri, è da ricercarsi negli stessi impiegati, che non consigliano bene gli uomini politici. 116 PROF. PIETRO MERENDA [N non sì è prodotto, e si produce quello che non si consuma; or, mettendo da canto la irregolarità, e considerando soltanto la interruzione dei pubblici servizi ferroviarii, essa arresta la circolazione dei beni; il che significa : far mancare le materie prime e il carbone alle industrie manifatturiere , e impedire che i manufatti sien disponibili pel consumatore; far marcire le der- rate alimentari nei luoghi di produzione o nei porti: pertanto l’interruzione espone popolazioni intere a morire di fame e di freddo. Per cento motivi, anche non economici, si è costretti a recarsi da un luogo ad un altro, e spesso con urgenza, e si resta invece lì nel disagio, aell’inazione, nel dolore! E que- sto, considerando soltanto la interruzione, e nel solo servizio ferroviario ! Si attende ansiosamente una lettera od un dispaccio, e niente arriva. Le private faccende vanno sossopra, le buone occasioni si perdono, non si ha notizia della madre inferma o dei figli. Si va in un pubblico ufficio perchè si sbrighi una pratica, e lo si trova chiuso, e le cose nostre vanno in malora! Tutte le classi sociali sono colpite: anche se i Ministri, perchè sordi ai giusti lamenti degl’impiegati, sono biasimevoli, il gran pubblico, ch’è inno- cente, che fa le spese, è vittima. n Quei che, godendo di pubblico impiego, pigliano posizione contro lo Stato, si schierano contro la convivenza, la quale ha il diritto di non essere col- pita nei suoi interessi vitali della sparuta minoranza egoistica che è ai suoi servizi; si schierano contro la convivenza, che non paga certamente i tri- buti perchè siano scialacquati da categorie di vampiri organizzate per dis- sanguarla. Pertanto, dato e non concesso che nei singoli casi lo Stato abbia torto e l'impiegato ragione, questo potrà far valere i suoi diritti con tutti i mezzi legali: stampa, petizioni, riunioni, MAI INTERROMPERE, previo concerto, la con- tinuità e la regolarità del servizio. Qualora l’interrompa, con quest’atto egli s'è volontariamente dimesso; e deve eziandio rispondere d’un reato punibile. Invero, se un cittadino non impiegato agisce in modo da interrompere un pubblico servizio o da impedirne la regolarità, non avrebb’ egli commesso un delitto? N1 pubblico ufficiale c'è l’aggravamento che il dolo viene proprio da colui al quale il servizio venne affidato ! Ò n i È È | Siti rode rg n te (Se, II hi I 7» DELLA CONTINUITÀ DEI PUBBLICI SERVIZI 117 Veniamo adesso alle distinzioni escogitate dall’on. Nitti. Sulla prima classe di funzioni, quella relativa alla sovranità, l’accordo è ‘completo; i relativi servizi, obbligatoriamente offerti dallo Stato, non possono «soffrire che se ne interrompa la continuità e la regolarità : queste devono es- sere assolute: come non si concepisce una organizzazione giuridica a balzi, così la sovranità, che vi è contenuta, non può essere intermittente; è mi- sfatto l’azione con la quale si consumasse interruzione od irregolarità, es- ‘sendo di diritto pubblico il rapporto fra l’impiegato e lo Stato. Ma in questa classe di funzioni sovrane entrano : la difesa, l’estero, la giustizia, le finanze, e nulla più. Non c'entrano punto: la pubblica istruzione, le colonie, i mini- steri tecnici (lavori pubblici; ferrovie; poste e telegrafi; agricoltura, industria e commercio): le relative funzioni non fan parte della sovranità, e nell’organizza- zione giuridica rappresentano, non l’essenziale, ma l'accessorio; tuttavia del- l’organizzazione fan parte, quindi è anche reato interrompere la continuità ‘e la regolarità dei servizi che vi si riferiscono, essendo pure di diritto pub- blico il rapporto fra l'impiegato e lo Stato. Perchè il capo del Governo tacque di questa classe di funzioni? Ammette forse per essa il diritto allo sciopero © Si può rispondere che il presidente del Consiglio non voleva andare tant’oltre, e che voleva limitarsi ad accogliere il diritto di sciopero in quella parte dei ministeri tecnici, dove il servizio ha carattere industriale. E sia ! «quantunque allora il contrassegno distintivo non istarebbe più in quella be- nedetta sovranità, e per lo meno rifiutar si dovrebbe quel diritto, non solo a quei funzionari che prestano l’ opera loro nelle funzioni essenziali dello Stato, ma anche agli altri che la prestano nelle accessorie. Or limitandoci all’ esame dei servizi dei ministeri tecnici che han ca- rattere industriale, cade acconcia una distinzione. V° hanno servizi ammini- .strativi speciali, richiesti dai privati, che lo Stato assume con privativa per motivi di pubblica utilità, cioè per apprestarli in un modo più economico e sicuro che far non possa l’îindustria privata; onde lo scopo non è quello di ottenere un profitto (se ce n’ è, tanto meglio !) ma è l’altro di conseguire, mercè una tassa, il rimborso totale delle spese incontrate. Han questo ca- 118 PROF. PIETRO MERENDA rattere le ferrovie, nei paesi in cui proprietà ed esercizio sono nelle mani dello Stato, le poste, i telegrafi, i telefoni, la fabbricazione delle monete, se- condo il regime che si adotta. Qui il rapporto è di diritto pubblico, V’impie- gato ha un contratto con la Nazione, diritto allo sciopero non ce n'è. L’avvedutezza dell’ on. Ministro, a difendersi dal biasimo iaflittogli dai senatori interpellanti, consiste precisamente in questo: eliminare da tali ser- vizi il rapporto di diritto pubblico; mancate così le basi, crolla l’edificio che vi sta sopra, cioè la qualifica di pubblico ufficiale, determinante le corrispon- denti sanzioni penali ed amministrative. Ecco chiarito dove miravano le pa- role del suo discorso « che stanno, per la estensione delle attività, che espli- cano, tra le grandissime imprese di carattere veramente pubblico, e, per la na- tura delle attività, fra le imprese di carattere privato»; miste quindi o semi pubbliche, anzi più private che pubbliche, tanto che «in molti paesi sono ge- stite in forma puramente privata » (1). V’hanno poi le privative fiscali, industrie che lo Stato esercita all’infuori delle norme ordinarie del diritto comune e della concorrenza, allo scopo di ricavarne un profitto superiore a quello corrente (2), col quale provvedere ad (1) Vedremo in appresso quale importanza abbia questo per il diritto allo sciopero, e quanto valga l’ affermazione che «lo Stato interviene per regolare lo svolgimento solo in quanto si riferisce all’interesse, all'ordine ed alla sicurezza pubblica ». (2) 11 valor normale dei prodotti di queste industrie, quello cioè attorno al quale si producono le ossillazioni continue del valore corrente o di mercato, non è determinato dal costo (spese di produzione); questo, trattandosi d’attività diretta alla formazione di ricchez- ze artificiali soggette a monopolio, segna il valore minimo, al di sotto del quale non si può fissare il valore normale senza incorrere in una perdita. Ordinariamente il valore normale supera il costo, fissandosi dal monopolista nel punto in cui c'è parità tra offerta e domanda. Il valore corrente espresso in moneta (prezzo) non è dibattuto. non nasce dal rapporto tra domanda ed offerta, ma è determinato, in modo unilaterale, dal monopolista, nell” in- tento di assicurarsi il maggior profitto. Egli lo può alzare od abbassare secondo il torna- conto suo. Se, alzandolo, la clientela acquisitrice dà in complesso maggior profitto di quel che darebbe un maggiore spaccio a prezzo ridotto, egli preferirà la combinazione nella quale si offre ad alto prezzo. Quando invece il prezzo elevato contrae eccessivamento lo spaccio, DELLA CONTINUITA DEI PUBBLICI SERVIZI 119 ‘una parte delle spese pubbliche, e che include in sè anche un’imposta. Queste ‘industrie sono le imprese puramente private, delle quali parlò 1’ on. Nitti, e ben disse. Quantanque i tributi siano di diritto pubblico, essendo qui pre- valente lo scopo, non del servizio pubblico, ma del profitto dell'impresa, si può ‘ammettere che tra lavorante e Siato vi sia un rapporto di diritto privato, si- mile a quello che passa tra operai e padroni; e la logica ci porta a consentire qui il diritto di sciopero. In aprile ultimo scioperarono gli operai appartenenti alla Federazione dei lavoratori dello Stato : sali, tabacchi, ecc. La coscienza popolare, che talvolta è buon giudice, non s’ è indignata così come per gli scioperi in cuì il rapporto è di diritto pubblico : al più ha potuto biasimare le pretese eccessive, allo stesso modo col quale ha biasimato quelle pur tali avanzate negli scioperi che si riferiscono all'industria privata. È però un’am- missione teorica la nostra, in questo senso che gli addetti a questo genere di lavoro pretendono oramai un ordinamento simile a quello di cui godono gl’impiegati governativi: stabilità, promozioni, pensioni, diritti quindi: non hanno pari slancio quando si tratta dei doveri. Comunque ei non c’è qui nulla -da riformare: la legge non considera i relativi operai ed impiegati come pub- blici ufficiali (1), e quindi non commina delle sanzioni. Or se per i servizi pubblici attinenti all'essenza della sovranità, per quelli ‘perchè il consumatore, esasperato, fa a meno del prodotto ovvero si contenta di surrogati, ‘sicchè il profitto cala, allora il monopolista offre ad un prezzo minore. Pare che in quest’ultimi tempi i rettori dei monopolii di Stato non siano molto accorti: volendo maggior profitto, elevano i prezzi, senza riflettere che si debbono fare i conti col - consumatore. (1) Ma se non li considera come pubblici ufficiali, nemmeno li mette allo stesso piano ‘degli operai addetti all'industria privata. In fatti la legge sulla istituzione dei probi - viri, 15 giugno 1893, N. 295, per la conciliazione delle controversie che per l’esercizio delle in- «dustrie sorgono fra gl’intraprenditori e gli operai o apprendisti, o anche fra operai, in di- ‘pendenza dei rapporti di operaio o apprendista, dichiara all’art. 45: «Le disposizioni della «presente legge non sono applicabili ai direttori, agli amministratori, agli impiegati ed agli < operai addetti agli stabilimenti e cantieri dello Stato». 120 PROF. PIETRO MERENDA tere industriale ma di pubblica utilità, non c’è diritto allo sciopero (1); ne ven- gono due conseguenze : la prima che, per quanto sî consideri questa materia con serietà, e con serenità e si riesami, non in base ai soli concetti fonda- mentali proposti dall’on. Nitti, ma con quelli, emendati però ed integrati, non si riesce a trovare che la nostra legislazione in fatto di scioperi dei pub- blici ufficiali sia da correggere come in parte giuridicamente ed economica- mente errata ; la seconda conseguenza è che non c’è diritto a tener su Vor- gano che serve agli scioperi; e pertanto diciamo senz’ambagi essere opinione generale che, a far tornare stabilmente l’ordine, le federazioni, che impru- dentemente si son lasciate costituire, debbono esser disciolte. Ma la libertà ? il diritto d’associazione ? La libertà non è fine a se stessa, ma ha per fine il bene; se con questo è antitesi, va limitata : diceva Robespièrre (e la citazione dovrebbe riuscir gradita ai rivoluzionari) diceva che La libertà d’un cittadino finisce quando comincia quella di un altro. Che avrebb’egli detto se quest’altro è il paese, con cui si è contraltato, e che paga ? Il diritto d’associazione! Statutario e sacro per cose lecite, ma per cose illecite è inammìssibile. i «Saremo schiavi adunque ® » Un momento: schiavi no, perchè lo Stato non costringe nessuno ad abbracciar questa o quella professione determinata; e qualora se ne sceglie una che contenga, nell’ interesse sociale, quella re- strizione, non si diventa schiavi, ma sì fa uso della propria libertà: la quale del resto, oltre che nell’inizio, non manca in prosieguo : quando l’impiegato (1) «Non è possibile alimentare nella mente dei funzionari il concetto che |’ ostruzio- nismo e lo sciopero dei servizi pubblici siano, nei rapporti con lo Stalo, un’arma di difesa. Nessun governo, nessuno Stato è possibile in tali condizioni. Vi è un’enorme differenza tra il rapporto che lega il funzionario allo Stato, e quello che vincola il colono al proprie- tario, l’operaio all’industriale. Lo Stato non è in contrasto coi funzionari, nè essi, i quali ne sono parti, possono essere contro lo Stato ». Così il Ministro Alessio, nella tornata della. Camera dal 6 maggio 1920. a questa accessori ma non industriali, per gli altri, pure di Stato, aventi carat- Vo SE FATA 5 i ue ui asi i dia Li, e_ NE ia 2 COTTA ea ou e ema +1 —— rn pe prasazea pr __ er * ad ®. DELLA CONTINUITÀ DEI PUBBLICI SERVIZI 1921 trova qualche cosa di meglio, può dimettersi e tornar libero come prima; non gli è lecito, e gli s'imputa a reato, restare , e interrompere il servizio o prestarlo da burla. Del resto è anarchico pensare che, ubbidendo alla legge, si abdichi alla propria personalità. L’orgoglioso cittadino Romano, finchè conservò il santo spirito di legalità , diceva fieramente: Siam servi della legge, affinchè pos- — siamo esser liberi ! Un punto assai delicato di quest’esame è quello di determinare s'è o no ammissibile lo sciopero nei servizi pubblici, retti da privati (intraprenditori singoli o società) col fine di ricavare un profitto. Entrerebbero, tanto per intenderci, in questa categoria: i tramwais ; gli automobili per viaggiatori; le ferrovie secondarie concesse all’ industria pri- vata; le imprese d’illuminazione elettrica, di produzione del gas illuminante, di conduttura d’acqua potabile. Vi entrerebbero del pari, nei paesi in cui il legislatore crede più utile lasciare la gestione del tutto in mano dei privati, le ferrovie ed i telefoni, secondo accennava l’on. Nitti nel discorso suo. > La difficoltà tecrica è questa: « Ammettere si può il carattere pubblico quando trattasi d’industria privata ? Non è contraddizione nei termini >» Intanto abbiamo un fatto : la disciplina imposta dallo Stato alla navi- gazione, e le sanzioni gravissime comminate dal Codice per la marina mer- cantile, pur trattandosi di rapporti meramente industriali, tra impiegati (ma- rini) ed impieganti (armatori). Dunque, per analogia, disciplina e sanzioni si possono stabilire per le persone che si addicono alle imprese anzidette, a guarentigia in queste, come nella marina, del pubblico servizio. Non è am- missibile che lo Stato intervenga per regolarne lo svolgimento solo in quanto si riferisce all'interesse, all'ordine ed. alla sicurezza pubblica, e si disinteressi poî della continuità e della regolarità del servizio. È Volendo adesso penetrare nel principio giuridico, e andare oltre l’analo- gia, a noi pare che il principio giuridico sia questo : « È di diritto l’intervento dello Stato, e quindi l'imposizione di disciplina e sanzioni, allorchè un servizio, pur essendo apprestato da privati a fine esclusivo di profitto, rivesta carattere pubblico, nel senso che l’intera azienda ha contrattato idealmente il vincolo giuridico di render quello, in quella tal forma e con quelle regole. 16 129 PROF. PIETRO MERENDA E del resto si ponga mente che la concessione delle linee dei tframmais è fatta dai Comuni, con l'approvazione dello Stato; che l’esercizio degli au- tomobili è concesso dallo Stato; che lo stesso avviene per le ferrovie secon- darie, le quali anche ricevon da quello un sussidio chilometrico. Ne pare evidente che il principio regolatore debba, a maggior ragione, aver vigore quando si tratta di municipalizzazioni, e cioè d’imprese di tram- wais, illuminazione elettrica, gas, acqua, rette da Municipi nel pubblico in- teresse, sia per dare al pubblico i prodotti dell’ industria a miglior mercato di quel che possa fare l’industria privata, sia per ricavarne un profitto. La- sciamo lì se questi propositi si risolvano in illusioni. Per tutte queste considerazioni dobbiamo rispondere NO al quesito: Gli addetti ai pubblici servizi han diritto di scioperare ? $ 16. — Si risolve pure negativamente il secondo quesito: La libertà politica, che han diritto dî godere gli addetti ai servizi pubblici, può estendersi fino ad azioni tendenti alla mutazione della forma di governo e al dis- solvimento della civile società ? Lo Statuto del Regno sancisce per tutti i cittadini: uguaglianza legale, libertà personale, libertà di coscienza e di culto, libertà di opinione e di stampa, libertà di riunione e di associazione. Questi diritti appartengono pure all’impiegato, ma con limitazioni che in parte son comuni agli altri cittadini, in parte dipendono dalla condizione particolare di lui. Non solo gli è vietato ciò che è del pari illecito agli altri membri della società politica, ma mon gli è permesso tutto quanto non si addice al suo rap- porto con la pubblica amministrazione. Così gli sarà permesso di discutere per le stampe sopra i servizi pubblici, gli è vietato censurare il potere cui egli è addetto e i provvedimenti che emana; la diffamazione e l’ingiuria sono reati per tutti, ma egli non può nemmeno esporre al dileggio i suoi superiori, ov- vero mancar loro di rispetto, e nemmeno pubblicamente discuterli. Dalla na- tura dell’ufficio e dalla gerarchia nasce il dovere dell’ubbidienza che l’inferiore deve agli ordini dei superiori, la quale ha per limiti la moralità e la legge. a” DELLA CONTINUITÀ DEI PUBBLICI SERVIZI 123 Può aspirare, non cospirare. Cospirando , oltre le pene comminate per tutti, perde la sua qualità d’impiegato. Non può associarsi a manifestazioni esterne contrarie allo Stato che serve, ed alla forma di governo imperante, molto meno ad azioni tendenti a rovesciarla; tanto peggio se dirette a dis- solvimento della Società civile, che lo Stato, del quale egli è organo, ha preciso dovere di tutelare. Egli allora manca al precetto della fedeltà, il quale s'intende, non solo in senso morale, ma anche politico. É un nemico che si deve espellere. Tutto questo non fa comodo, è contrario all’andazzo pel quale i diritti S’esagerano, i doverì non s'adempiono; ma non c’è che fare: dev'essere pro- clamato, perchè giusto e vero, e dev'essere inculcato : ne va di mezzo la sa- lute della patria! | Con un NO dobbiamo pure rispondere al secondo quesito. 26 giugno 1920. Ne n 1. — Dello sciopero in generale, per quanto riguarda il lavoro manuale 2. — La legislazione italiana sugli scioperi d’operai o contadini 3. — Scioperi d’operai e contadini dopo l’armistizio. — I primi scioperi degli addetti ai servizi pubblici 4. — Gli scioperi ferroviarî, postali, telegrafici e telefonici del gennaio 1920.— Le L. 200 nuovo pomo della discordia. 5. — Lagnanze ingiustificate pel trattamento fatto agli agenti e capi della pubblica sicurezza . È - i c È È È ; 6. — Altre interruzioni dei pubblici servizi, manifestazioni ribelli, attentati all’ordine pubblico . 7. — Sguardo complessivo agli avvenimenti narrati 8.-- Le cause del disordine . 9. — Due .questioni inerenti alle riputate interruzioni che in Italia hanno subìto i pubblici servizi. $ 10. — Sul primo quesito: Gii addetti ai servizi pubblici hanno diritto di scio- perare? S’inizia l’esame dal lato delle leggi vigenti . $ 11. — Come adesso le leggi vigenti non siano più osservate. — Interpellanze discusse nel Senato del Regno l’8 febbraio 1920. — In che guisa fu trat- tata dal senatore Rolandi- Ricci la prima questione dal lato pratico e da quello giuridico . è : $ 12. — La risposta del Presidente del Consiglio $ 13. — Le affermazioni del Presidente del Consiglio, se si ammettessero , tor- rebbero quasi allo Stato il diritto di reprimere gli scioperi dei suoi im- piegati. i $ 14. — È vero che le leggi esistenti sono inapplicabili ? -- Pruove del contrario _ $ 15. — Si combatte la tèsi che le leggi esistenti dipendano da errate concezioni giuridiche ed economiche. — Risposta negativa al primo quesito $ 16. — Si risolve pure negativamente il secondo quesito: Lu Vbertà politica, che han diritto di godere gli addetti ai pubblici servizi, può estendersi fino ad azioni tendenti alla mutazione della forma di governo e al dis- solvimento della civile società ? Pag. 56 » 60 64 68 74 75 81 82 92 _r———————————————— PT ._P___—— ___ ___r_mtrTr®oyo rv ere eeWerrdltoreeroomMW]wW o mwWww«wYrrrrrtT_rrtr_ COCCO Ud CC OOC COCCO COCO COC COCCO OSO MeTOo TORTO OTOCEC TO CT. . _—r—re©Lre€-—r-;;--<—_"<®<“» cfr. neortus Mojs. — Gemmellaro G. G., I Cefalopodi del Trias ete., pag. 277, tav. III, fig. 15-18. G. G. Gemmellaro mise in confronto i fossili in esame con un esem- plare Cladiscites neortus Mojs., di Someraukogel, avuto in comunicazione, e ne rilevò le differenze. Non determinò specificatamente le forme siciliane, non essendo in esse ben visibile la linea lobale. Riprendendo in esame gli esemplari di Bellolampo, ho notato che essi, per la forma e per la ornamentazione, meglio che al Cladiscites neortus, sì — avvicinano al Procladiscites Griesbachi Mois., quale è illustrato dal detto Autore a pag. 172, tav. XLVIII, fig. 3-4 della sua Monografia: Die Cephalo- poden der Mediterranen Trias-Provinz. Essendo però oscuri i caratteri della linea lobale, non credo. prudente mutare la determinazione di mio Padre che, pertanto, noto con dubbio. Esemplari: N. 2 e alcuni frammenti. (1) Mossisovies E. — Op. cit., I, pag. 146, tav. LXVIII, fig. 5-6, 1873. A IL « TRIAS » DEI DINTORNI DI PALERMO Pinacoceratidae Mojs. Placites Mojs. Placites Baidaensis G. G. Gemm. 1868-76. — Oppelia Baidaensis G. G. Gemm.— Gemmellaro G. G., Studi pa- leontologici sulla Fauna del calcare a Terebra - tula Ianitor etc., p. I, pag. 36, tav. IX, fig. 3-4. 1904. — Placites G. G. Gemm.— Gemmellaro G. G., I Cefalo- podi del Trias superiore etc., pag. 281, tav. II, fig. 19-24. ‘Questa specie dei Monti di Billiemi (Bellolampo), fu fondata nel 1868-76 da G. G. Gemmellaro, e ritenuta titonica. Ritrovata in seguito, ed abbondante, nelle cave del calcare triassico della stessa regione, fu compresa da mio Padre nella sua Monografia: I Cefalo- podi del Trias superiore ete., e fu di nuovo e meglio figurata. Come è noto, la specie in esame è affine al Placites subsymetricus Mojs. (1) per la forma della sua sezione e per la configurazione generale della linea lobale, mentre richiama il Placites myophorus Mojs (2), soltanto per la or- namentazione. Esemplari : N. 24, (1) Mossisovics E. — Gebirge um Hallstatt, I, pag. 56, tav. XXII, fig. 3, 1873. (2) Mossisovics E. — Op. cit., I, pag. 54, tav. XXII, fig. 7-10, 1873. MARIANO GEMMELLARO Megaphyllitidae Mojs. Megaphyllites Mojs. Megaphyllites insectus Mojs (?). 1873. — Pinacoceras insectum Mojs. —- Mojsisovics E, Das Gebirge um Hall statt, I, pag. 44, tav. XX, fig. 1-7. 1882. — Megaphyllites insectus Mojs. — Mojsisovics E., Die Cephalopoden der Mediterranen Trias-Provinz, pag. 191. 1904, — Mojs. — Gemmellaro G. G., I Cefalopodi del : Trias etc., pag. 292, tav. II, fig. 16-18 (cum syn.). li esemplari rìferiti a questa specie sono abbondanti nei calcari di Bel- lolampo. Mio Padre, incerto nella determinazione di essi, ne inviò alcuni al Mojsisovies, il quale li attribuì al suo Megaphyllites insectus. Un attento esame del copioso materiale oggi esistente nel Museo di Pa- lermo , in confronto con le figure e con le deserizioni date dal Mojsisovics per le sue specie: Megaphyllites insectus, Meg. humilis, Meg. sandalinus, Meg. obolus, e forme affini, mi ha convinto che è molto difficile distinguere tra di loro le specie istituite dall’Autore. Fra gli esemplari siciliani io ho trovato Megaphyllites che possono essere riferiti all'una o all’altra delle specie fondate dal Mojsisovics. Pertanto, pur mantenendo la determinazione fatta dall’autorevole paleon- tologo, la noto con dubbio. i Esemplari: N. 20. Phylloceratidae Zitt. Rhacophyllites Zitt. Rhacophyllites Billiemensis G. G. Gemm. 1904. — Rhacophyllites Billiemensis G. G. Gemm.— Gemmellaro G. G., / Ce- falopodi del Trias etc., pag. 294, tav. II, fig. 13-15, tav. XI, fig. 16 e tav. XXIII, ; fig. 6. IL « TRIAS» DEI DINTORNI DI PALERMO 143 Questa specie è abbondante nel calcare delle cave di Bellolampo. Essa fu diligentemente illustrata da G. G. Gemmellaro, il quale ne fece rilevare i rapporti e le differenze con le forme più vicine: Rhacophyllites debilis Hauer; Rhac. neojurensis Quenst.; Rhac. Zitteli Mojs. e Rhac. occultus Mojs (1). Esemplari: N. 12; alcuni frammenti. GASTROPODA PROSOBRANCHIA ASPIDOBRANCHINA Pleurotomariidae d’Orb. Worthenia Koninek (em. Kittl). Worthenia coronata Miinst. sp. (Tav. I, fig. 1) 1841. — Pleurotomaria coronata Minst. — Miinster G., Beitroige IV, pag. 109, i tav. XI, fig. 26. 1868-76. — papiilosa G. G. Gemm.—- Gemmellaro G. G., Studi pal. sulla Fauna del calcare a T. Ianitor del N. di Sicilia, p. II, pag. 75, tav. XIII, fig. 16-18. 1891. — Worthenia coronata Miinst. sp. — Kittl E., Die Gastropoden der Schichten von St. Cassian, I, pag. 19, tav. II, fig. 3-11 (cum syn.). Minst. sp. — Bòhm I., Die Gastropoden d. Marmolatakalke, pag. 215, tav. IX, fig. 18. (1) Mossisovics E. — Das Gebirge um Hallstatt, Supplement - Heft, pag. 318-320, 1902. 144 MARIANO GEMMELLARO 1899. — Worthenia coronata Miinst. — sp. — Kit'l E., Die Gastropoden d. . Esinokalke, pag. 10. 1905. — Miinst. sp. — Blaschke F., Die Gastropoden- fauna der Pachycardientuffe der Seiseralpe , pag. 179. Non ho dubbio nel riferire alla nota specie di Miinster, gli esemplari, creduti allora titonici, descritti da G. G. Gemmellaro sotto il nome di Pleu- rotomaria papillosa G. G. Gemm. I molti individui della specie, rinvenuti nelle cave di Bellolampo, mo- | strano una spiccata variabilità di ornamentazione da conchiglia a conchiglia, come è dimostrato dalle figure pubblicate a suo tempo da mio Padre e da quella che io dò in questo scritto. Può dirsi che gli esemplari siciliani sono meno spiccatamente ornati delle forme alpine e che le loro dimensioni sono generalmente maggiori. Per que- st’ultimo carattere le Worthenia coronata di Bellolampo richiamano la Wor- thenia magna I. Bohm, della Marmolata (1). Data la variabilità della Worthenia coronuta Miinst., a me sembra, d’ac- »* cordo col Blaschke, che sia giusto astenersi dallo attribuire i vari esemplari a numerose varietà (come ha proposto Kittl nel suo studio sui gasteropodi di S. Cassiano), le quali non avrebbero valore zoologico. Esemplari: N. 6; molti frammenti. Gosseletina Bayle (em. Kittl). Gosseletina Zitteli G. G. Gemm. sp. 1868 - 76. — Pleurotomaria Zitteli &. G. Gemm. — Gemmellaro G. G., Studi pal. sulla Fauna del calcare a T. Ianitor del N. di Sicilia, p. II, pag. 75, tav. XIII, fig. 12-15. (1) Bònm I. — Die Gastropoden des Marmolatakalkes, pag. 216, tav. IX, fig. 35, 18995. IL « TRIAS» DEI DINTORFI DI PALERMO 145 Questa specie distinta, ritenuta allora titonica da G. G. Gemmellaro, fu dallo Autore egregiamente illustrata nella Monografia sulla Fauna del cal- care a T. Ianitor di Sicilia; non credo quindi che sia il caso di riprodurne la descrizione e le figure. Ritengo che la forma in esame, tra le Pleurotomariidae, debba riferirsi al genere Gosseletina , tanto per la forma della sua conchiglia, quanto per la posizione della fascetta del seno. Come è noto, i più recenti autori hanno riservato il nome di Gosseletina ai tipi di forma globulare, non ammettendo troppa importanza ai caratteri dell’ombellico messi in rilievo dal De Koninek, autore del genere Gossele- tia (1), mutato poi in Gosseletina dal Bayle (2), Esemplari : N. 1. Gosseletina cancellata G. G. Gemm. Sp. 1868 - 76. — Stomatia cancellata G. G. Gemm.— Gemmellaro G. G., Studi pal. sulla Fauna del calcare a T. Iamnitor ete.; p. ID pag. 76, tav. XIII, fig. 19-20. Questa specie fu istituita da mio Padre, il quale la ritenne titonica. Più tardi, il rinvenimento di altri esemplari nelle cave di Bellolampo rese ma- nifesta la sua età triassica; la sua appartenenza alle Pleurotomariidae è pro- vata dalla presenza della fascia del seno, non visibile nell’ unico esemplare illustrato da G. G. Gemmellaro. La specie in esame deve attribuirsi alle Gosseletina Bayle, per la sua forma, subsferica, per la sua spira bassa ed ottusa e per i suoi sgiri convessi che avvolgono largamente i precedenti. | L'apertura è rotonda, la columella è callosa; l’ombellico è chiuso; la fa- scia del seno occupa la regione apicale dei giri. (1) De Koninek L.— Cale. carb. de la Belgique, III, pag. 28, 1883. (2) KirtL E. — Die Gastropoden der Schichten von St. Cassian, I, pag. 205, 1891. 146 MARIANO GEMMELLARO Gli ornamenti consistono in leggiere costole spirali che vengono intersecate da strie flessuose che danno un aspetto irregolarmente cancellato alla su- perficie della conchiglia. Questa specie può mettersi in rapporto con la Gosseletina Fuchsi Kittl, di San Cassiano (1) dalla quale però si distingue per la forma più depressa, per il maggior sviluppo dell’ultimo giro e per la ornamentazione cancellata. Ksemplari : N. 3. Gosseletina minuta n. sp. (Tav. I, fig. 2, 3). Conchiglia di piccole dimensioni, non ombellicata, subsferica, con spira bassa ed ottusa, composta quasi per intero dall’ultimo giro che avvolge lar- gamente gli anfratti precedenti. La sutura è netta e bene impressa. La fascetta del seno è stretta ed occupa la regione apicale dei giri. L’apertura è rotonda; il labbro esterno è spesso ed arrotondato, quello interno è calloso e si piega sulla regione columellare. La ornamentazione è data dalle evidenti strie di accrescimento , inter- rotte nel loro regolare andamento da un tratto concavo sulla fascetta del seno. Tra Je Gosseletina, questa in esame ha rapporti con la Gosseletina Ca- typso Laube sp. (2) dalla quale però si distingue per la mancanza dell’ om- belico, e della striatura spirale; inoltre la forma siciliana è più globosa e non conica, come la specie di S. Cassiano. Esemplari: N. 1. (1) KrrrL E. — Op. cit., I, pag. 41, tav. I, fig. 22, 1894. (2) LauBe G. — Fauna von St. Cassian, III, pag. 58, tav. XXVIII, fig. 2, 1868. KirtL E. — Op. ciît., 1, pag. 41, tav. I, fig. 18, 1894. IL « TRIAS» DEL DINTORNI DI PALERMO Trochidae Ad. (1) Ziziphinus Gray. Ziziphinus Cocchii G. G. Gemm. sp. (Tav. I, fig. 4) 1868 - 76 — Zrochus Cocchii G. G. Gemm. — Gemmellaro G. G., Studi pal. sulla i i Fauna del calcare a T. Ianitor ete., p. II, pag. 82 IONI ho 17: Questa specie, ritenuta titonica, fu ampiamente descritta e bene illustrata da G. G. Gemmellaro. Io qui figuro un bello esemplare rinvenuto nelle cave di calcare marmoreo di Bellolampo. È una conchiglia di medie dimensioni e, tra le specie triassiche conge- neri, può mettersi in relazione col Ziziphinus semipunctatus Miinst. sp. di San Cassiano (2) dal quale però si distingue, oltre che per le maggiori di- mensioni, per la diversa ornamentazione e per la minore angolosità dell’ul- timo giro. Esemplari : N. 2. (1) Oltre alla specie quì descritta, mio Padre, nella sua Opera sopracitata, illustrò co- . me titoniche, provenienti dalla R.ne Billiemi (Bellolampo) tre nuove forme di Trochus (Tr. Beneckei; Tr. Massalongoi; Tr. Recuperoî). Esprimo il dubbio che anche queste specie, rin- venute a Billiemi (Bellolampo), possano essere triassiche. Lo stesso dubbio debbo manifestare per la bella conchiglia descritta da G. G. Gem- . mellaro (op. cit., Il, pag. 78, tav. XIV, fig. 10-11) col nome di 7urbo Lorioli, nonchè pel Trochus billiemehsis Distef., illustrato dall’Autore nella sua Nota dal titolo: Nuovi gaste- ropodi titonici (pag. 11, tav. Il, fig. 17) Nat. Sic.. Palermo, 1882. (2) KirtL E. — Die Gastropoden der Schichten von St. Cassiam ete., 1, pag. 251, tav. VII, fig. 6-11, 1894, MARIANO GEMMELLARO Neritopsidae Fischer Neritopsis Grat. Neritopsis compressa (Klipst.) Hérnes. (Tav. I, fig. 5, 6) 1855. — Neritopsis compressa Klipst. — Hòrnes M., Ueber die Gastropoden und Acephalen der Hallstitter Schichten, pag. 41, tav. II, fig. 9 a, Db. Hérnes non Klipstein — Koken E., Die Gastro- poden der Trias um Hallstatt, Iahrb. d. K. K. geol. R. A., pag. 103. Hornes non Klipstein — Koken E., Die Gastro- poden der Trias um Hallstatt, Abhand. d. K. K. geol. R. A., pag. 72, tav. XII, 3-4. 1897. — gibbosa Kok. — Koken E., Op. cit., pag. 73, tav. XII, fig. 2. L’esemplare siciliano corrisponde in tutto alle descrizioni ed alle figure di Hérnes e di Koken. Quest'ultimo Autore ha g ustamente messo in rilievo sui fossili di Hallstatt, la variabilità di ornamentazione della specie, sepa- randone due varietà: (var. filigrana; var. transversa). In conseguenza della constatazione di tale variabilità, fatta dallo stesso Koken, io non credo che - la Neritopsis gibbosa Koken, principalmente distinta per la ornamentazione a grosse costole trasversali, sia una buona specie. Essa può, a parer mio, considerarsi al massimo, come altra varietà della specie in esame. Neritopsis corrugosa G. G. Gemm. 1868 - 76. — Neritopsis corrugosa G. G. Gemm. — Gemmellaro G G., Studi pal. sulla Fauna del calcare a T. Ianitor ete., p. II, pag. 60, tav. XI, fig. 6, 7. IL « TRIAS» DEI DINTORNI DI PALERMO 149 ® + Questa specie, illustrata come titonica da G. G. Gemmellaro , fu rinve- muta nelle cave di Billiemi*(Bellolampo). Essa ha rapporti con la coeva Neritopsis compressa Hòrn., ma non può ‘confondersi con questa, avendo la spira molto meno ottusa, l’apice appun- tito e le suture meno impresse. Ha, inoltre, l’ apertura relativamente più grande con margine columellare largo, calloso e concavo, molto più di quanto «sì osserva nella specie di Hòrnes. ‘ Non ho creduto necessario riprodurre le figure di G. G. Gemmellaro , ‘le quali sono fedelmente eseguite; il semplice confronto tra di esse e quelle -della Neritopsis compressa , che io dò in questo scritto, basta a far ricono- .scere la spiccata differenza tra le due specie. Esemplari: N. 3. Naticella Minst. Naticella striato - costata Miinst. (MavWgho 7018) | 1841. — Naticella striato - costata Miinst. — Minster G., Beitroge, IV, pag. 101, tav. X, fig. 15. 1849. — Turbo striato - costatus È d’Orb.—d’Orbigny A., Prodrome, I, pag. 191. 1852. — Naticella striato - costata Miinst.—Giebel G., Deutschl. Petref., pag. 549. ‘1868. — Natica striato - costata —Minst.-- Laube G., Fauna von St. Cassian, III, pag. 14, tav. XXII, fig. 9. 11868 - 76. — Neritopsiîs elegans —G. G. Gemm.— Gemmellaro G. G., Studi . pal. sulla Fauna del cale. a T. Ianitor d. N. di Sicilia, p. II, pag. 61, tav. X, fig. 17, 18. ‘1892. — Naticella striato - costata Miùnst.-Kittl E., Die Gastropoden der Schich- ten von S. Cassian, II, pag. 133, tav. fig. 24, tav. IX, fiz. 25-27. Miinst.—Bòhm I., Die Gastropoden des Mar- molatakalkes, pag. 253, tav. X, fig. 9. 150 MARIANO GEMMELLARO 1899. — Naticella striato - costata Minst. — Kittl E., Die Gastropoden der Esi- nokalke, pag. 83. Conchiglia subglobosa, trasversalmente allungata, composta di giri con- vessi rapidamente crescenti, separati da impresse e distinte suture. L’ultimo giro, grandissimo, forma quasi la intera conchiglia. L’apertura ha forma subcircolare, leggermente angolosa indietro. Il lab- bro interno è un pò ispessito, quello esterno è sottile; l’ombellico è quasi completamente chiuso. La superficie è ornata da poche, ma forti e rilevate costole trasversali con sezione variabile e-subangolosa, tra le quali si osservano delle strie fi- nissime. Sopra alcuna delle costole trasversali si vede, a volte, una legge- rissima striatura. Gli esemplari siciliani confrontano bene con la specie di Miinster; essi, come è noto, furono ritenuti titonici da G. G. Gemmellaro , il quale li de- scrisse sotto il nome di Neriîtopsis elegans. La Naticella striato - costata Miinst., come è stato rilevato dagli Autori, è una specie molto variabile, sia nella forma della conchiglia e delle costole sia nel numero di quest'ultime, sia nella maggiore o minore apertura dello ombellico. Per queste ragioni a me sembra che la Naticella I. Bohmi Hb. (1) debba rientrare nella specie in esame. La Naticella striato-costata Minst. ha relazioni con la Naticetla Blaschkei Hib. (2), ma si allontana da questa distinta specie per la maggiore altezza dell’ultimo giro e per avere, tra le costole trasversali rilevate, soltanto delle strie, mentre nella specie di Hiberle si osservano, ivi, delle vere costole se- condarie. Quest’ ultimo carattere si rileva bene anche nella figura del Blaschke (1) HABERLE D. — Op. cit., pag. 328, tav. II, fig. 23 a, b 24, 1908. (2) HaBERLE D. — Op. cit., pag. 472, tav. Il, fig. 25-27. IL « TRIAS» DEI DINTORNI DI PALERMO 151 della sua Naticella cfr. striato-costata Miinst. (3) che, come è noto. fu com- presa da Hiaberle nella sua nuova specie. Esemplari: N. 2 e alcuni frammenti. Naticella planicosta n. sp. (Tav. I, fig. 9, 10). Conchiglia subglobosa un pò più larga che alta. Spira cortissima, costi- «tuita da tre giri rapidamente crescenti, di cui l’ultimo, grande, è ventricoso; ‘la sutura è distinta, ma poco profonda. L’apertura è rotonda, leggermente ristretta indietro; il labbro esterno è ‘arcuato e sottile, quello interno appare leggermente ispessito e arrotondato ‘al margine. L’ombellico è chiuso. La superficie è ornata da cinque costole larghe e appiattite, le quali fanno rilievo soltanto sul lato anteriore, talehè il giro appare formato da vari segmenti, l'uno sull’altro embricato. Inoltre, tanto sulle appiattite costole, quanto sulla restante superficie, si notano finissime strie, delle quali alcune si riuniscono a fascetti. La nuova specie, tra le triassiche congeneri, ha rapporti maggiori con la Naticella striato - costata Minst. sp., dalla quale si distingue per la forma più globosa, per il minor numero delle costole e per la differenza spiccata nella forma di esse, che sono basse ed embricate e non rilevate, come sì os- «servano nella specie del Miinster. Ha pure rapporti. con la Naticella Blaschkei Hib., ma se ne allontana mancando delle costole secondarie trasversali, le quali, in questa specie, sono ‘evidenti tra le costole principali. Esemplari: N. 1 e alcuni frammenti. (3) BLascHKe F. — Die Gastropodenfauna der Pachycardientuffe, pag. 190, tav. XIX, «fig. 26, 1905. i : MARIANO GEMMELLARO Naticopsidae Fischer. Naticopsis M. Coy. Naticopsis Moroi G. G. Gemm. sp. (david: 1868-76. — Natica Moroi G. G. Gemm. — Gemmellaro G. G., Studi pal. sullo Fauna del calc. a T. Ianitor ete., p. II, pag. 51, tav TR; Mio 1, 3. Conchiglia grande, di forma trasversalmente ovale, composta da giri convessi, rapidamente crescenti. La spira è acuta e sporgente; la sutura è nettamente impressa; l’ultimo giro è grande e ventricoso. L’apertura ha forma ovale, arrotondatà e mostra una stretta ed appiai- tita incrostazione callosa sul lato columellare. Questa callosità si allarga in- aietro, raggiungendo il margine posteriore del labbro esterno, il quale ac- cenna ivi una leggiera doccia. La conchiglia è coperta da forti ed ineguali strie di accrescimento, le quali spesso, aggruppandosi in fasci, divengono pliciformi. Una bella ornamentazione spirale è poi data da leggiere ma regolari costole, che si estendono sopra la superficie. Ho figurato di nuovo la specie già illustrata da mio Padre, per mettere in evidenza la presenza delle costole spirali sulla superficie della sua con- chiglia. Questa ornamentazione vale a distinguere la forma studiata dalla vicina Naticopsis obvallata Koken, di Hallstatt (1) la quale mostra i suoi giri ornati soltanto da forti ed ineguali strie di accrescimento. Esemplari : N. 1. (1) Koken E. — Op. cit., pag. 70, tav. XII, fig. 5-8, 1897. IL « TRIAS» DEI DINTORNI DI PALERMO Hologyridae Kittl. Come è noto, il Kittl (1) ha riunifo nella Famiglia delle Hologyridae quelle tra le Naticopsis che non mostrano riassorbimento interno della con- chiglia o raramente manifestano una fossetta o solco di riassorbimento an- teriore, sotto il labbro interno; comprendendo nella detta Famiglia i seguenti Generi: Dicosmos, Fedaiella, Marmolatella, Planospirina ed Hologyra. Non tutti i più recenti Autori (2) hanno seguito la classificazione di cui sopra, tutti però sono concordì col Kittl nel ritenere che, in ogni caso, deve essere mantenuto il Genere Dicosmos, fondato dal Canavari nel 1890 (3), benchè esso Genere sia caratterizzato in modo insufficiente, sopra caratteri comuni con altri Naticopsidi, oppure sopra caratteri caduchi. i Conseguentemente a tal modo di vedere, il Kittl nel 1899 ha creduto di dover pubblicare una nuova diagnosi del Genere Dicosmos Can., mettendo in evidenza come sue caratteristiche : l’ottusità della spira, la mancanza di ‘riassorbimento interno della conchiglia (salvo talvolta la presenza di una fossetta anteriore di riassorbimento) la presenza di uno strato subcorticale striato - anastomizzato e quella eventuale di un debole dente anteriore. Definito così il Genere Dicosmos Can., il Kittl (op. cit., pag. 37, 1899) non ha mancato di esaminare i rapporti tra il deito Genere ed il Genere Fedaiella, fondato nel 1894 (4); ed ha riconosciuto che le differenze tra i due gruppi di forme sono trascurabili, tanto da non escludere che. Dicosmos e Fedaiella possano riunirsi in unico Genere. (1) KirTL E. — Die Gastropoden der Esinokalke, pag. 34 e seg., 1899. (2) BLASCHKE F. — Die Gastropodenfauna der Pachycardientuffe ete., pag. 182 e seg. 1905. HaBeRLE D. — Paldiontologische Untersuchung triadischer Gastropoden ete., pag. 326 e seg., 1908. (3) CANAVARI M. — Note di malacologia fossile, 1890. (4) KirrL E. — Die triadischen Gastropoden der Marmolata, pag. 138, 1894. 154 MARIANO GEMMELLARO In effetti, io non credo che vi siano fondate ragioni per tenere distinti i generi Dicosmos e Fedaiella; i seguenti caratteri fondamentali sono tra loro comuni : Conchiglia liscia, spessa; spira depressa con apice ottuso, labbro interno non sempre fornito di un debole dente anteriore ed a volte di uno poste- riore; strie di accrescimento rivolte indietro; mancanza di riassorbimento in- terno della conchiglia, o, raramente traccia di esso, fornita da una fossetta anteriore, sotto il labbro interno. Pertanto io credo che le forme comprese nei Generi Dicosmos e Fedaiella debbono tra di loro riunirsi, mantenendo per esse il nome di Dicosmos Can. 1890, il quale, benchè insufficientemente caratterizzato, è certamente più an- tico, ed ha quindi diritto di essere prescelto. Così pure ritengo che, essendo la Planospirina esinensis (Stopp. sp. ?) Kittl, specie tipo del Genere Planospirina Kittl, 1899 (op. cit., pag. 48, 1869), nei suoi caratteri sostanziali non dissimile da Fedaiella (come scrive lo stesso Kittl), anche tal Genere debba sopprimersi, passando in sinonimia nel Ge- nere Dicosmos. Venendo all’esame del Genere Marmolatella Kittl, fondato nel 1894, credo opportuno ricordare che l'Autore, posteriormente (op. cit., 1899, pag. 37), ha scritto che questo Genere differisce da Fedaiella soltanto per la forma au- riculare della conchiglia e per la retroflessione delle strie di accrescimento. Quest'ultimo carattere però (come io stesso ho potuto constatare) sì os-_ serva anche nel Genere Fedaiella che, come sopra ho scritto, è per me si- nonimo di Dicosmos. Resterebbe quindi soltanto la forma auricolare è di- stinguere i due gruppi di Kittl, il quale ha confessato che, se non avesse già creato i due nomi generici, non li avrebbe distinti, ed ha scritto che il Genere Marmolatella deve riguardarsi come un piccolo ramo di Fedazella. Questo modo di vedere e di distinguere del paleontologo tedesco per [S me non è esatto. Mentre non esistono differenze generiche tra Dicosmos (= Fedaiella) e molte Marmolatella, esistono spiccatissime tra Dicosmos ed alcune Marmolatella. La verità è che le specie raggruppate da Kittl sotto il nome di Mar- 1L « TRIAS » DEI DINTORNI DI PALERMO 155 molatella non costituiscono un gruppo omogeneo. Non possono tenersi unite nello stesso Genere forme del tipo della Marmolatella complanata Kittl, o della Marm. ingens. Kittl, con forme del tipo della Marmolatella stomatia Stopp. sp., dalla quale, come si vedrà appresso, dipendono varie Murmo- latella siciliane. Non è giusto considerare come congeneri, delle forme con callosità columellare pochissimo estesa e delle forme con callosità columel- lare tanto estesa da diventare settiforme, fino ad occupare la metà dell’ a- pertura (M. Stomatia Stopp. sp.; M. nebrodensis G. G. Gemm. sp.). Si potrà opporre che è questione di grado nella estensione del setto; ma, nel caso in esame, tanta variazione nella estensione del setto, nello stesso Genere, non mi pare ammissibile. Troppo estesa e troppo concava in rap- porto a quella delle altre specie è la callosità columellare settiforme nella Marm. stomatia e nelle specie siciliane che ne dipendono. Con un setto co- lumellare così approfondito ed esteso, certamente anche l’ animale dovette avere differenze di forma. Conseguentemente, come ho sopra accennato, io considero come Dico- smos tutte le Marmolatella a callosità columellare ristretta e poco profonda illustrate dagli Autori, mentre lascio nel Genere Marmolatella soltanto la Marmolatella stomatia Stopp. sp. e le specie siciliane che descriverò appresso. con le Marmoalatella tipiche non può confondersi il Genere Platychilyna Ko- ken 1992 (1) il quale la rammenta per gli ornamenti e pel suo setto colu- mellare largo e tagliente, avendo quest’ultimo il riassorbimento interno della conchiglia e mancando la forma auriculata delle Marmolatella. Riassumendo : tra le Hologyridae io distinguo : Gen. Dicosmos Can., 1890; comprendente Dicosmos, Fedaiella, Planospi- rina e Marmolatella, pro parte (forme a callosità ristretta). Gen. Marmolatella Kittl, 1894. em.; comprendente soltanto Marm. sto- | matia Stopp. sp., e le specie siciliane da essa dipendenti (forme a callosità estesissima, profonda e settiforme). (1) Koken E. et WGHRMANN S. — Die Fauna der Raibler Sch. vom Schlernplateau, pag. 195, 1892. 156 MARIANO GEMMELLARO Mantengo poi, con la diagnosi data dal Kitt) (op. cit., pag. 49), il Genere Hologyra Koken 1892, il quale risulta ben caratterizzato e distinto perchè, pur avendo una callosità columellare settiforme e larga rispetto alle sue di- mensioni, ha forma non auriculata, ma conica, spesso sporgente e mai ap- piattita negli esemplari adulti. Presenta inoltre le strie di accrescimento quasi diritte e spesso mostra un funicolo ombellicale. Dicosmos Can. Dicosmos cfr. pulcher Can. (Tav. I, fig. 13-19). 1890. — Dicosmos pulcher Can. — Canavari M., Note di Malacologia fossile , pag. 214, tav. V. Conchiglia omhellicata, composta di pochi giri, rapidamente crescenti: apice ottuso, guscio abbastanza spesso. Le suture sono nette, ma non profonde; l’ultimo giro, grandissimo, for- ma quasi tutta la conchiglia. L’apertura ha. forma quasi circolare, un pò allungata e ristretta indietro. Il labbro esterno è spesso ed a margine arrotondato; quello interno, subret- tilineo, presenta una ristretta ma spessa e convessa callosità, che sì ripiega sul lato columellare, chiudendo l’ombeilico. La conchiglia, come appare dalle sezioni che riproduco (tav. I, fig. 15, 16) non ha riassorbimento interno; presenta un ombellico largo, ma poco profondo; non ha traccia di denti sul labbro interno. La superficie è coperta da strie di accrescimento flnissime con anda- mento Jeggermente flessuoso , rivolte indietro. Gon forte ingrandimento si scorgono anche delle tenuissime strie spirali. Lo strato subcorticale della conchiglia presenta una ornamentazione com- plicata ed elegantissima che riproduco in dettaglio a tav. I, con la figura 19. Questa ornamentazione, indipendente da quella della superficie, consta di IL « TRIAS» DEI DINTORNI DI PALERMO \ 157 strie trasversali le quali, partendo dalla regione interna dei giri, procedono per un certo tratto, rivolte in avanti, verso la regione esterna; poi tali strie si biforcano e si rivolgono indietro, piegandosi a ginocchio nel luogo della biforcazione. Nel successivo percorso verso l’esterno, le strie assumono un andamento ‘ondulato ed alcune di esse si biforcano ancora, una od anche due volte. Oltre alle strie trasversali descritte, altre più fine si partono dalla re- gione interna dei giri, rivolte però marcatamente indietro. Tali strie sì ar- restano però nella zona di prima biforcazione delle altre rivolte avanti; così avviene che la superficie subcorticale della regione interna, apicale, dei giri risulta ornata da minute losanghe. Una ornamentazione spirale, costituita da strie finissime, interseca poi, ‘sopra tutta la superficie dei giri, l’ornamentazione sopra descritta. Quando furono rinvenuti nelle cave di Bellolampo i primi fossili rife- ribili alla specie in esame, il compianto prof. G. Di-Stefano, allora Direttore del Museo Geologico di Palermo, pregò il prof. M. Canavari, dell’Università di Pisa, di volergli comunicare per confronto gli originali esemplari del suo Dicosmos pulcher, di cui fece nuovamente figurare l'esemplare ombellicato, e da cui illustrazione io quì riproduco (tav. I, fig. 12). Certo le forme siciliane sono assai vicine al Dicosmos. pulcher Can. e, specialmente, quasi si identificano con l’esemplare perforato, quì riprodotto. Come è noto, gli esemplari studiati dal prof. Canavari sono due sol- tanto, e per dippiù incompleti, essendo spezzata obbliquamente la parte an- teriore dell’ultimo giro e mancando, quindi, i caratteri della apertura. Inoltre, non è osservabile la forma della callosità columellare, poichè questa manca in ambedue i fossili. Invero gli esemplari in discorso (e specialmente |’ esemplare ’ perforato) rassomigliano molto al Dicosmos complanatus Stopp. sp. (1), ma non possono identificarsi a questa specie, poichè mancano in essi, come ho detto, i ca- (1) StoPPANI A. — Les pétrifications d’Ésino, pag. 41, tav. X, fig. 1, 2, 1858. 158 MARIANO GEMMELLARO ratteri della callosità columellare che, come è noto, è molto appiattita nella specie di Stoppani. Per la stessa ragione rimango in dubbio circa i rapporti tra la specie del prof. Canavari e le forme siciliane; pertanto, sebbene io riconosca tra i due gruppi le grandissime affinità da cui sono legate, non mi sento facul- tato a riunirli. Il Dicosmos terzadicus Mojs. sp. in Tornquist (1), cui tale Autore riu- nisce, come varietà pulchra, il. Dicosmos pulcher Can., a me sembra invece che sia da riferirsi al Dicosmos mammispira Kittl. D’ altro canto credo che forse è da ascriversi a Dicosmos pulcher l'esemplare che ii Tornquist illustra come Dicosmos planoconverus Kittl (= Dicosmos complanatus Stopp. sp.) (2), tanto più che, come sopra ho detto, il Dicosmos pulcher, nelle figure dei prof. Canavari, sembra proprio il Dicosmos complanatus Stopp. sp. Esprimo il dubbio che il Dicosmos maculosus Klipst sp., in Blaschke (3) sia da identificare con la specie di Bellolampo e ritengo che il Dicosmos declivis Kittl sp. in Tommasi (4), appartenga alla specie in istudio. Probabilmente, parte del Dicosmos declivis Kittl appartiene alla forma in esame, tolta la var. conoidea, che deve considerarsi come specie distinta (Dicosmos conoideus, Kittl). La specie studiata ha rapporti con il Dicosmos lemniscata M. Hbern sp. (5), ma è più appianata nella spira, ha la callosità columellare stretta e- rigonfia e manca di depressione suturale. (1) TORNQUIST A.— Neue Beitrage zur Geologie und Pal. der Umgebung von Recoaro. ete:- pag. 358, tav. XX, fig. 2, pag. 259, tav. XX, fig. 3, 1899. (2) KirTL E. — Die Gastropoden der Esinokalke ete., pag. 46. (3) BLascHKE F. — Die Gastropodenfauna der Pachycardientuffe ete., pag. 190. tav. XX, fig. 1 a, b, 1905: (4) Tommasi A. — I fossili della lumachella triasica di Ghegna etc. , pag. '40, tav. IL fig. 17, 1913. (59) H6ERNES M. — Ueber Gastropoden aus der Trias der Alpen, pag. 26, tav. III, fig. 8 (non fig. 7), 1856. IL «TRIAS» DEI DINTORNI DI PALERMO 159 Ha pure affinità con i Dicosmos complanatus Stopp. sp. ed applanatus Kittl, dai quali però agevolmente si distingue per la forma rigonfia della cal- losità columellare, che è invece appiattita in quelle specie alpine. Esemplari: N. 70 e vari frammenti. Dicosmos mammispira Kittl. (Tav. I, fig. 20). 1894. — Naticopsis (Hologyra) terzadica Kittl (non Mojs.) — Kittl E., Die tria. dischen Gastropoden der Marmolata, pag. 141, tav. IV, fig. 18 (nor fig. 17). 1895. — Dicosmos 2 terzadicus Kittl sp. — Béhm I., Die Gastropoden des Mar- molatakalles, pag. 258. 1899. — Dicosmos mammispira Kittt — Kittl E., Die Gastropoden der Esino- ‘ kalke, pag. 36. 1908. —- Kittl-- Haberle D., Gastropoden aus dem Ge-. biet von Predazzo, pag. 331, tav. III, fig. Ga, b (cum syn.). Conchiglia composta di pochi giri regolarmente accrescentisi e forte- mente involuti. Spira ottusa, poco elevata sopra il lato apicale, il quale è | appiattito. Le suture sono distinte, ma poco profonde; esse sono accompagnate da una debole depressione subsuturale. L’ultimo giro, appiattito sopra, è, nel resto, rigontio. L’apertura ha forma ovale allungata, ristretta indietro; il lato columel- lare è calloso. | Non si osserva traccia di riassorbimento interno della conchiglia. Le strie di accrescimento sono numerose e finissime; leggermente on- dulate, esse sono rivolte indietro. Solo in qualche esemplare ho potuto cu- statare, nella depressione subsuturale, l’esistenza di finissime strie spirali. 160 MARIANO GEMMELLARO Sulla superficie della conchiglia si notano delle macchie a fiamma dî color grigio scuro, che spiccano sul fondo grigio chiaro del fossile. Ho potuto anche osservare sullo strato subcorticale della conchiglia, una ornamentazione indipendente da quella della superficie, costituita da strie trasversali piuttosto forti, intersecate da strie spirali finissime. Gli esemplari siciliani confrontano in tutto con le illustrazioni date da- gli Autori. Come è noto, la specie ha affinità col Dicosmos terzadicus Mojs. sp. (1) dal quale però si distingue per avere il lato apicale molto meno. declive. Esemplari : N. 4. Dicosmos monstrum Stopp. sp. (Tav Itfig,2210922,2 1858. — Natica monstrum Stopp.— Stoppani A., Les petrifications d’ Ésino, pag. 40, tav. IX, fig. 1, 2. 1899. — Fedaiella monstrum Stopp. sp. — Kittl E., Die Gastropoden der Esi- i nokalke, pag. 39, tav. V, fig. 1, 2; tav. VI, fig. 1,2 (cum syn.). 1901. — » i Stopp. sp. — Mariani E., Monte Salvatore, pag. 11. 1905 cfr. monstrum Stopp. sp.-- Haberle D., Gastropoden aus dem Gebiet von Predazzo, pag. 475, tav. MII, fig. 1. Forma globosa, più larga che alta. Spira corta, composta da tre giri; l’ultimo è grande, inviluppante, leggermente depresso sul lato apicale, fornito di una evidente depressione subsuturale. | L’apertura è ovale, arrotondata avanti, ristretta ed angolosa indietro; il labbro esterno è arcuato, quello interno è meno arcuato ed è calloso. Esso (1) Moysisovios &. — Ueber einige Verstainerungen der Sidalpen, pag. 434, tav. 13, tig. 5, 1873. hi IL « TRIAS» DEI DINTORNI DI PALERMO 161 ricopre il lato columellare, facendo, avanti e dietro, un certo angolo, al con - giungimento col labbro esterno. La callosità è larga e depressa e copre per intero la regione ombellicale. La ornamentazione è costituita da strie di accrescimento ben visibili e regolari, le quali si incrociano con strie spirali finissime. Delle macchie irregolari, di color bruno, spiccano sul color grigio dei fossili. Tra le specie congeneri, quella che più si avvicina alla forma studiata ritengo che sia il Dicosmos relropunctatus Stopp. sp. (1) dal quale però si distingue per la presenza della depressione subsuturale e per la forma più depressa e slargata in basso della callosità columellare. Esemplari : N. 2. Dicosmos lemniscata Horn. sp. (Tav. I, fig. 23, 24). 1856. — Natica lemniscata Horn. — Hòrnes M., Gastropoden aus des Trias der Alpen, pag. 26, tav. II, fig. 8 (non fig. 7). 1868 - 76. — Natica hemisphaerica G. G. Gemmellaro (non Roem.) — Gem- mellaro G. G., Studi pal. sulla Fauna del cal- care a T. Ianitor del N. di Sicilia, p. II, pag. 55, tav Ni io 02° 1873. — pellagiaca Mojs. — Mojsisovics E., Verstein. a. Sidalpen , pag. 434. 1895. — Marmolatella ingens Bòhm — Bòhm I., Die Gastropoden des Marmo- latakalkes, pag. 256, tav. XII, fig. 6, fig. nel testo 47. 1859. — Fedaiella lemniscata Hòrn. sp.—Kittl E., Die Gastropoden der Esino- kalke, pag. 41, tav. VIII, fig. 1-6 (cum. sym.) (1) STOPPANI A. — Pétrif. d’Ésino, pag. 45, tav. X, fig. 9, 10, 1858 - 60. 162 MARIANO GEMMELLARO i 1908. — Fedaiella lemniscata Horn. sp. — Hiberle D., Gastropoden aus dem Gebiet von Predazzo, pag. 476, tav. 1II, fig. 2a, Db. 1913. — Hérn sp. (?) Tommasi A., Lumachella triassica di Ghegna, pag. 41. Alcuni degli esemplari che riferisco alla nota specie di H6rnes, furono a suo tempo illustrati da G. G. Gemmellaro, come titonici, sotto il nome di Natica hemisphaerica G. G. Gemm. (non H6rnes). Altri fossili, in condizioni di conservazione migliore, furono poi rinve- nuti nelle cave di Bellolampo ed il loro studio non mi lascia alcun dubbio circa la loro appartenenza a Dicosmos lemniscata Hòrn. sp. Le descrizioni e le figure dell'Autore (pro parte), di Kittl e di Hiberle confrontano in tutto con le caratteristiche degli esemplari siciliani. Il fossile che ho figurato mostra evidente la depressione subsuturale e la forma ap- pianata della callosità columellare. In nessuna conchiglia ho scorto traccia di ornamentazione spirale. Esprimo il dubbio che il Dicosmos (Fedaiella) Seisensis Blasch., illustrato da questo Autore (1), sia da avvicinarsi alla specie in istudio, piuttosto che al Dicosmos declivis Kittl sp., come opina il Baschke. Esemplari: N. 4. Dicosmos Meriani Hérn. sp. 1856. — Natica Meriani Hòrn. — Hòrnes M., Gastropoden aus der Trias der Alpen, pag. 26, tav. II, fig. 6. 1868 - 76. — Natica Arduini G. G. Gemm. — Gemmellaro G. G., Studi pal. sulla Fauna del calcare a T. Ianitor del N. di Sicilia, p. II, pag. 56, tav. X, fig. 3-5. (1) BLascHKE F.— Die Gastropodenfauna der Pachycardientuffe, pag. 191, tav. X fig. 2, 1905. IL « TRIAS» DEI DINTORNI DI PALERMO 163 1899. — Fedaiella Meriani Hòrnes sp.— Kittl E., Die Gastropoden der Esi- SIM, nokalke, pag. 43, tav. IX, fig. 4-6. 1913. — Hérnes sp. (?) — Tomasi A., Lumachella triassica di Ghegna, pag. 41. Non ho dubbio nel riferire al Dicosmos Meriani Hòrnes sp. le conchi- glie, ritenute titoniche, ascritte da mio Padre a Natica Arduini G. G. Gemm. Gli esemplari di Bellolampo corrispondono in tutto alla descrizione ed alle illustrazioni di M. Héornes, nonchè alle osservazioni ed alle figure della specie date dal Kittl nella sua Monografia sui Gastropodi di Esino. Mi è sembrato inutile illustrare di nuovo gli esemplari siciliani, che fu- rono egregiamente figurati da G. G. Gemmellaro. Esemplari : N. 3, Dicosmos Prevosti G. G. Gemm. sp. ° (Tav. I, fig. 25, 28). 1868-76. — Nerita Prevosti G. G. Gemm.—-Gemmellaro G. G., Studi pal. sulla Fauna del calcare a T. Ianitor del N. di Si- cilia, p. II, pag. 66, tav. X, fig. 13-16. Questa bella e distinta specie fu descritta come titonica da G. G. Gem. mellaro, sotto il nome di Nerita Prevosti. Ulteriori ritrovamenti nelle cave di Bellolampo, oltre a provare la sua età triassica, ne hanno fatto una tra le più abbondanti specie siciliane del Genere Dicosmos. La conchiglia è liscia, spessa, di forma trasversalmente ovale ; la spira è discretamente appianata, composta da tre giri dei quali l’ ultimo, grande e avviluppante, mostra una leggiera depressione subsuturale. | L’apertura è grande, arrotondata avanti, ristretta ed angolosa dietro. Il labbro esterno, piuttosto spesso , ha margine arrotondato; quello interno è calloso e si rovescia sul lato columellare, mascherando l’ombellico. 164 i MARIANO GEMMELLARO La callosità columellare è piuttosto convessa, discretamente estesa, slar- gata nel mezzo, ristretta avanti e dietro. La superficie è ornata da strie di accrescimento finissime e da strie spirali ancor più fine, visibili solo con la lente. Alcuni esemplari mostrano anche sulla superficie delle macchie irregolari, nerastre, tra le quali alcune hanno forma subrettangolare. Lo strato subcorticale delle conchiglie manifesta una fine ornamenta- zione dovuta allo intersecarsi di strie trasversali finissime con strie spirali ancor più fine. Come appare dalle sezioni eseguite, di cui una riprodotta a tav. LI, fig. 27, non si riscontra traccia di riassorbimento della conchiglia. Il Dicosmos Prevosti G. G. Gemm. sp. ha rapporti col Dicosmos pulcher Can. (1), ma deve tenersi da questa specie distinto per la forma, che in tutti i numerosi esemplari studiati, è sempre globulare e mai compressa, come avviene nel Dicosmos pulcher, e per avere la spira più sporgente, ma meno appuntita. Dippiù la forma della callosità columellare è differente, es- sendo nella specie in esame più estesa nel mezzo e relativamente meno con- vessa di quanto non sia negli esemplari che io ho riferito, sebbene con dub- bio, alla specie del Canavari. Certo , l’ affinità tra le due specie in istudio è rilevante, nonostante le differenze sopra notate; ma il confronto degli esemplari di Dicosmos Prevosti con gli originali del Dicosmos pulcher, comunicati a suo tempo dal prof. Ca- navari, non autorizza, a parer mio, la fusione di esse. Altre specie, vicine alla forma studiata, ma meno affini del Dicosmos pulcher Can., sono il Dicosmos declivis Kittl sp. ed il Dicosmos Meriani, dianzi descritto. Esemplari: N. 29 e molti frammenti. (1) CAnAvARI M. — Note di malacologia fossile, pag. 214, tav. V, 1890. È LV rari — ee ci Cal dé 3 È cr 4 n »' eco = do IL «€ TRIAS » DEI DINTORNI DI PALERMO Dicosmos complanatus Stopp. sp. (Tav. I, fig. 29, 30). 1850. — Natica maculosa? Hauer — Hauer F., Venetian Foss, pag. 13, tav. IV, fig. 16. » complanata Stopp.— Stoppani A., Les pétrifications d’ Ésino, Pass bltavi fo, 21 1894. — Marmolatella planoconvera Kittl — Kittl E., Die triadischen Gastro- poden der Marmolata, pag. 144, tav. IV, fig. 1-4. 1899. — complanata Stopp. sp.-— Kittl E., Die Gastropoden der Esinokalke, pag. 46, tav. VIII, fig. 7, 8; tav. IX, fig. 7-10. 1899. — Naticopsis (Marmolatella) planoconvera Kittl. — Tornquist A., Der Spite-Kalk, pag. 360, tav. XX, fig. 4. 1901. — Marmolatella complanata Stopp. sp. — Mariani E., Monte Salvatore, pag. Il. 1908. — Marmolatella cfr. complanata Stopp. sp. — Hiberle D., Gastropoden aus dem Gebiet von Predazzo, pag. 537 (cum. syn.) Gli esemplari studiati corrispondono in tutto alle descrizioni ed alle fi- gure della specie, date dagli Autori. È evidente, nelle conchiglie siciliane , .la forma spiccatamente angolosa dell’ultimo giro il quale forma, come scrive Stoppani, un piano anteriore altrettanto largo che la conchiglia, provvisto presso la sutura di una depressione quasi canaliculata. Uno dei miei esemplari conserva la parte anteriore del lato columellare | coperta dalla callosità stretta e concava, come quella degli esemplari figu- _rati da Stoppani. LI La superficie è ornata da strie di accrescimento che a volte si adden- ‘sano e a volte si diradano, incrociate da fini strie spirali. Dippiù, delle mac- chie brune di forma subtriangolare, disposte in serie spirali, spiccano sul color grigio dei fossili. 166 MARIO GEMMELLARO Sul substrato conchigliare si vede il solito reticolato di strie trasversali e strie spirali, ben marcate. Come è noto, al Dicosmos complanatus Stopp. sp. bisogna riunire il Di- cosmos planoconverus di Kittl. La specie in esame ha rapporti col Dicosmos lemniscata Hérn. sp., e, data la variabilità di quest’ultima forma (Kittl, Esino, pag. 41), riesce a volte difficile il separare conchiglie appartenenti alle due specie. Esemplari: N. 2. Marmolatella Kittl (em. M. Gemm.) Marmolatella nebrodensis G. G. Gemm. sp. (Tav. II, Fig. 1, 2) 1868 - 76. — Nerita nebrodensis G. G. Gemm.— Gemmellaro G. G., Studi pa- leontologici sulla Fauna del calcare a T. Ia- nitor del N. di Sicilia, p. II, pag. 64, ta- vola XII, fig. 1, 2. Questa specie fu ritenuta titonica, e come tale illustrata da G. G. Gem- mellaro. In seguito, numerosi altri esemplari furono rinvenuti nel calcare triassico delle cave di Bellolampo. Le conchiglie sono grandi, di forma auriculata, obliquante depressa. L’ultimo giro, avviluppante, è depresso sul lato apicale; lateralmente è con- vesso. i La sutura è distinta; la spira è poco proeminente. L’apertura è grandissima, in relazione alle grandi dimensioni dell'ultimo giro, ed ha forma trasversalmente ovale. Il labbro esterno è arcuato e pre- senta un margine sottile, tagliente allo esterno. La regione columellare è concava ed inerostata dalla estesa e spessa callosità del labbro interno, il quale si ripiega su di essa. Tale callosità si protende nel vano dell’ apertura occupandone la metà interna e costituendo un setto con margine subrettilineo, arrotondato, di- retto da avanti in dietro. IL « TRIAS» DEI DINTORNI DI PALERMO 167 Non vi è traccia di denti, nè si osserva riassorbimento interno della conchiglia. La superficie è ornata da evidentissime strie di accrescimento, spesso pliciformi, le quali si retroflettono in modo accentuato. Presenta inoltre delle traccie di colorazione, consistenti in strie e macchie nerastre, irregolarmente disposte. Una zona nera, con lucentezza cornea, cinge il labbro ed il mar- gine esterno della grande callosità columellare. Questa specie, insieme con le altre che descriverò appresso, tutte di- pendenti dalla Marmolatella stomatia Stopp., costituisce con essa il Genere Marmolutella, così come io lo considero, e come ho scritto avanti. La Marmolatelta nebrodensis G. G. Gemm. sp. ha stretti rapporti con la Marmolatella stomatia Stopp. sp. Da essa però si distingue, oltre che per la forma meno auriculata, per il minore sviluppo dell’ ultimo giro e per la diversa forma della callosità settiforme a margine subrettilineo e non con- cavo, come si osserva nella specie di Stoppani. Sono di accordo col Kittl nel ritenere che parte degli esemplari illustrati da I. Bòhm (Gastr. d. Marm., pag. 255) come Marmolatella stomatia, gio- vani, debbono invece ascriversi al Dicosmos applanatus Kittl Spi Esemplari: N. 8 e numerosi frammenti. Marm. nebrodensis G. G. Gemm. sp., var. tuberculosa Distef. (Tav. II, fig. 3, 7). 1882. — Neritina tuberculosa Distef. — Di-Stefano G., Nuovi gasteropodi tito- nici, pag. 9, tav. II, fig. 15 a, b. Questa distinta forma, vicina alla specie precedentemente descritta, fu illustrata dal prof. G. Di-Stefano (il quale la ritenne titonica) sotto il nome di Neritina tuberculosa, nella sua Nota: Nuovi gasteropodi titonici (Nat. Sic., I, n. 5, Palermo, 1882). Riconosciuta oggi la sua età triassica e le molte analogie che la legano alla Marmolatella nebrodensis G. G. Gemm., io la considero come varietà di questa specie. 168 MARIO GEMMELLARO Le conchiglie hanno forma auriculare, come quelle della specie, e come quelle presentano la grande callosità columellare, settiforme. La varietà però differisce nettamente dalla specie, oltre che per le costanti minori dimen- sioni, per la sua ornamentazione, la quale è costituita da costole spirali ben rilevate, interrotte all’incrocio con le forti strie di accrescimento, spesso riu- nite a fasci. Le costole spirali non si estendono però sulla regione apicale delle con - chiglie, ove si nota soltanto qualche raro tubercolo e si vedono solo le e. videnti strie di accrescimento, molto retroflesse. Delle macchie bianchicce (a forma di trattolini disposti in serie spirali) completano la ornamentazione di questa bella varietà. Come si vede dalla sezione (tav. II, fig. 6), nei fossili studiati, non si osserva riassorbimento della conchiglia. Esemplari: N. 12 e vari frammenti. Marmolatella Hoffmanni G. G. Gemun. sp. (Tav. Il, fig. 8, 19). 1868 - 76. — Nerita Hoffmanni G. G. Gemm. — Gemmellaro G. G., Studi pal. sulla Fauna del cale. a T. Ianitor del N. d. Sicilia, p. II, pag. 65, tav. XII, fig. 3- 7. Questa specie fu illustrata da mio Padre tra le Nerite, credute allora titoniche, della Regione Billiemi. Nelle cave di Bellolampo se ne sono di recente trovati alcuni esemplari. Le conchiglie hanno medie dimensioni, sono di forma trasversalmente ovale. La spira è corta, composta di tre giri, rapidamente crescenti, dei quali l’ultimo, avviluppante, è depresso sul lato apicale. L’apertura è grande, subcircolare. Il labbro esterno è arrotondato con margine subtagliente ; quello interno, calloso, si ripiega sulla regione colu- mellare, incrostandola, e si protende, settiforme e incavato, nel vano dell’a- DN pertura. Il margine della callosità è arrotondato ed ha un profilo concavo. ree"» Stopp. sp. — Tommasi A., / fossili della luma- chella triasica di Ghegna, pag. 61. Di questa grande specie che, d’accordo col Tommasi, intendo nel senso È lato datole dal Kittl, io figuro il più completo e ben conservato esemplare 184 MARIANO GEMMELLARO che posseggo, il quale confronta bene, specie per la ornamentazione, col fos-- sile di Val dei Mulini illustrato da Kittl a tav. XVI, fig. 2 del suo studio. Una leggiera differenza si nota soltanto nella forma un pò meno allungata e nel fatto che l’ultimo giro non mostra anteriormente, sopra la distinta ca-- rena longitudinale, la concavità marcata che si osserva nello esemplare di Esino. - IS Un altro esemplare più grosso di quello figurato, è sciupato alla super-- ficie; ma per la forma pupoide, e pel maggior sviluppo dell’ultimo giro in confronto ai precedenti, corrisponde in tutto all’altra forma di Esino, illu- strata dallo stesso Kittl a tav. XVII, fig. 1 della sua Monografia. Esemplari: N. 3 e alcuni frammenti. Omphaloptycha panormitana n. sp. (Tav. IV, fig. 3, 4). Conchiglia grande, di forma spiccatamente turriculata, costituita da 8-9. giri regolarmente crescenti, leggermente convessi. Sutura impressa. L’apertura. è allungata, arrotondata avanti, ristretta indietro. Il labbro. esterno è arcuato e sottile, quello interno, leggermente incrassato, lascia scor- gere, aperto, una larga fessura ombellicale. L’ultimo giro, convesso, ha uno sviluppo relativamente maggiore dei pre- cedenti. La ornamentazione risulta di strie di accrescimento leggiere e legger- mente sigmoidali, meglio visibili sull’ultimo giro. Inoltre nella parte poste- riore di ogni giro, e più sull’ultimo, si vede una ornamentazione spirale co-- stituita da poche ma regolari costicine, separate da spazi piuttosto larghi. La specie in esame ha rapporti tanto con la Omphaloptycha Aldrovan- dii Stopp. sp., quanto con le forme distinte da Stoppani col nome di Chem-- nitzia Cainalli, giustamente considerate dal Kittl come varietà della Ompha- loptycha turris Stopp. sp. Dalla Omphaloptycha Aldrovandii si distingue però agevolmente per la. forma molto più allungata, per la maggiore convessità dei giri, per la man- IL « TRIAS» DEI DINTORNI DI PALERMO 185 canza della carena più o meno accentuata sull’ultimo giro, per la differente _ forma dell’apertura, nonchè per l'evidenza della fessura ombellicale. Inoltre le strie di accrescimento della specie in istudio sono sigmoidali e non diritte come si osservano nella Omphal. Aldrovandti. Con la Omphaloptycha turris Stopp. sp., var. Cainalli, varicià caratteriz- zata nella specie dalla maggiore ampiezza dell’ultimo giro, son) notevoli le affinità, ma notevoli pure appaiono le differenze tra le quali in primo luogo | è a notare la mancanza della stretta faccetta suturale obliqua che si osserva nella specie di Stoppani. Differenti inoltre sono l’andamento e la forma delle strie di accrescimento e diversa è la localizzazione delle costelle spirali, si- tuate soltanto, nella specie siciliana, nella parte posteriore dei giri. Esemplari: N. 5. Omphaloptycha Gemmellaroi n. sp. (Tav. IV, fig. 5-7). 1868-76. — Pseudomelania Columna G. G. Gemm., non d’Orhb. — Gemmellaro - G. G., Studi pal. sullo Fauna del cale. a T. la- nitor d. N. di Sicilia, p. II, pag. 7, tav. I, fig. 13. Cepha G. G. Gemm. non d’ Orb. — Gemmellaro G: G., op. cit., p. II, pag. 7, tav. II, fig. 14. G. G. Gemmellaro, ritenendo titoniche le conchiglie in esame, le riferì in parte alla Chemnitzia Columna d’Orb., in parte alla Chemnitzia Cepha d’Orb. Più tardi egli stesso riconobbe la identità delle forme distinte e la loro. età triassica, comprovata da nuovi ritrovamenti fatti nelle cave di Bellolampo (Billiemi). Per questo dedico a mio Padre la specie in istudio la quale deve attribuirsi al genere Omphaloptycha e non può considerarsi come una Undu- laria (Toxoconcha), perchè ha l’ultimo giro non angolato, i giri non sealinati e le strie di accrescimento non sinuose. La conchiglia è turriculata, acuta costituita forse da 10 giri di cui non ne rimangono visibili che 7 nell’esemplare meglio conservato. La superficie 24 186 MARIANO GEMMELLARO dei giri, i quali hanno un accrescimento piuttosto rapido è leggermente con- vessa e spesso quasi piana. Una distinta ma angusta faccetta suturale si mo- stra sui margini di ogni giro. Le suture sono bene incise e profonde. La superficie è coperta da evidenti strie di accrescimento con andamento quasi rettilineo le quali si riuniscono a gruppetti e divengono più marcate sullo spigolo delle faccette suturali. L'ultimo giro è regolarmente arrotondato. 1 caratteri dell’apertura mancano. In sezione essa appare di forma ovale allungata, ristretta avanti e dietro. Il labbro interno è rovesciato sull’ombellico che chiude quasi completa - mente, lasciando solo una stretta fessura ombellicale. Come appare dalla sezione, la cavità columellare è ampia. La specie descritta, si avvicina più che a ogni altra alla Omphaloptycha- Scaliai Tomm. (1). Si distingue però dalla forma di Ghegna per avere i giri ancor meno convessi, per la presenza delle faccette suturali e per le forti strie di accrescimento il cui andamento non è sigmoidale come quello che si osserva nella specie del Tommasi. Ha pure rapporti con la Omphaloptycha aequalis Stopp. sp. (1), ma se ne allontana per la forma meno svelta e per avere un maggiore angolo spirale oltre che per la diversa natura della ornamentazione. Esemplari: N. 6. Omphaloptycha Diblasii G. G. Gemm. sp. (Tav. IV, fig. 8.) 1868-76. — Natica Diblasii G. G. Gemm. — Gemmellaro G. G., Studi pal. sulla Fauna d. calc. a T. Ianitor d. N. di Sicilia, p. II, pag. 52, tav. IX, fig. 3, 4. Questa specie fu descritta da G. G. Gemmellaro come forma titoniea, sotto il nome generico di Natica. (1) Tommasi A.— I fossili della lumachellc. triasica di Ghegna, pag. fig. 4, 1913. (2) SroPPANI A. — Op. cit., pag. 16, tav. II, fig. 8, 1858-60. ® IL « TRIAS» DEI DINTORNI DI PALERMO 187 Essa proviene dalle cave del calcare triassico di Bellolampo e deve rife- rirsi al Genere Omphaloptycha, del quale evidentemente presenta i caratteri. La conchiglia ha forma ovato-conica, columella vuota e rima assai sottile. La sua spira è corta, composta di giri leggermente convessi divisi da. nette suture. L'ultimo giro è grande, convesso e forma i due te;zi-della con- chiglia. L’apertura è ovale, ristretta indietro, arrotondata avanti ove presenta una discreta doccia. Il labbro, arrotondato al margine esterno, si appiattisce su quello interno. La superficie è ornata da strie di accrescimento sigmoidali. Una orna- mentazione spirale è data da costicine regolari (3-4) localizzate presso il mar- gine posteriore di ogni giro e, nell’ultimo, visibili anche avanti intorno al- l’ apertura. ; La Omphaloptycha Diblasii, specialmente per la sua ornamentazione spirale è vicina alla Omphaloptycha semicostata G. G. Gemm. sp.; richiama altresì, per la forma, la Omphal. fedeiana Kittl sp. (1). Però non può asso- ciarsi ad alcuna delle due specie indicate perchè i caratteri della apertura, e specialmente quelli del lahbro , differiscono evidentemente da quelli che presenta la Omphal. semicostata G. G. Gemm. sp.; mentre la forma della sua conchiglia è ancor più ventricosa di quella della Omphal. fedeiana, l’ultimo giro è più alto e più grande e la spira è più corta. Esemplari: N. 6. Omphaloptycha Tommasii n. sp. i (Tav. IV, fig. 9-11). Conchiglia di piccole dimensioni, conica, leggermente pupoide, costituita da 6-7 giri convessi separati da suture nette ed incisc. (1) KirrL E. — Die triadischen Gastropoden der Marmolata, pag.163, tav. VI, Fig. 10 a 12, 1894. 188 i MARIANO GEMMELLARO L’ ultimo giro, regolarmente arrotondato, costituisce quasi la metà del- l’intera conchiglia. s La superficie è ornata da strie di accrescimento leggerissime, con adan- mento sigmoidale e da sottiti costelle spirali più marcate presso il margine posteriore dei giri. “4 L’apertura è ovale ristretta indietro ed appuntita, arrotondata avanti. ove mostra una leggiera doccia. ll !labbro esterno è piuttosto spesso ed arrotondato, quello interno si ri- piega ed appiattisce sull’ombellico che chiude quasi completamente lasciando visib.le solo una stretta fessura ombellicale. Tra le piccole forme triassiche alle quali la nuova specie può essere com- parata, la più vicina appare la Omphaloptycha Heeri Kittl sp. (1), dalla quale però si distingue per la forma meno pupoide, per non avere i giri angolosi nel mezzo, per il maggior numero di costelle longitudinali e per la differente for- ma dell'apertura che nella specie siciliana è arrotondata avanti e fornita di doccia, mentre in quella della Marmolata si mostra ristretta e appuntita. ksemplari: N. 11. Omphaloptycha ooniopsis n. sp. (Tav. IV, fig. 12, 13). | Conchiglia di forma nettamente ovoide costituita da cinque giri dei quali i primi quattro sono stretti e poco convessi mentre l’ultimo occupa più di tre quarti della intera altezza del fossile e si mostra regolarmente convesso. Le suture sono nette, distinte, ma poco profonde. L’apertura ha forma ovale allungata, ristretta avanti, acuta indietro, ar- rotondata sul lato esterno. | Il labbro esterno manca negli esemplari studiati; quello interno, quasi rettilineo, è rovesciato ed appiattito sull’ombellico che chiude quasi comple- - tamente. (1) Kiri E.— Die triadischen Gastropoden der Marmolata, pag. 162, tav. VI, fig. 16 e 17, 1894. IL « TRIAS» DEI DINTORNI DI PALERMO 189 La ornamentazione è costituita da strie di accrescimento ondulate più o “meno marcale e riunite a fascetti, da leggiere costicine spirali accentuate nella ‘regione anteriore dell’ultimo giro e da sottilissime strie spirali a zig-zag si- mili a quelle che si notano nella Omphaloptycha pachygaster Kittl. Questa specie, rara nelle cave di Bellolampo non ha rapporti con alcuna «delle Omphaloptycha conosciute. Si riconosce a prima vista per la sua forma ‘ovoide e pel grandissimo sviluppo dell’ultimo giro col quale, assume l’aspetto — «di una Oonia. Esemplari : N. 2. Omphaloptycha (Coelostylina) conica Miinst. sp. (Tav. III, fig. 16). 1841. — Melania conica Miinst. — Miinster G., Beitrige, IV, pag. 94, tav. IX, fig. 21. i 1868-76. — Phasianella Buvignierì G. G. Gemm. non d’Orb. — Gemmellaro G. G., Studi pal. sulla Fauna del cale. a T. Ianitor del N. di Sicilia, p. II, pag. 77, tav. XIII, fig. 93-25. 1894. — Coelostylina conica Minst. sp. — Kittl E., Die Gastropoden der Schi- chten von St. Cassian, p. III, pag. 181, tav. V, fig. 1-7. 1907. — Miinst. sp. — Broili F., Die Fauna der Pachycar- dientuffe der Seiser Alp., pag.120, tav. XI fig. 7-12. 1908. — roliatontycha (Coelostylina) conica Minst. sp. — Haberle D., Gastro- poden aus d. Geb. v. Predazzo, pag. 411, tav. VI, tig. 7 (cum syn.). (Coelostylina) conica Minst. sp.— Tommasi A., I fossili della lumachella triasica di Ghegna, p. II, pag. 97, tav. IV, fig. 5, 6. I due piccoli esemplari della specie, fino ad oggi rinvenuti, ritenuti tito- ‘nici da G. G. Gemmellaro e come tali riferiti alla Phasianella Buvignieri d'Orb., ‘appartengono invece ai calcari triassici delle cave di Bellolampo e devono -certamente ascriversi alla Omphaloptycha conica Miinst. sp. 190 MARIANO GEMMELLARO Essi confrontano in tutto con le figure date dall’Autore e dagli scrittori che in seguito illustrarono la ben nota specie. La conchiglia è conica, fusiforme costituita da 7-8 giri a superficie con- vessa, separati da suture impresse e distinte. Le strie di accrescimento, sottilissime, si vedono solo nell’ultimo giro ove, con forte ingrandimento, appare anche una ornamentazione spirale costituita da linee finissime. L’apertura è ovale ristretta indietro, il labbro non è visibile in nessuno degli esemplari studiati. La callosità columellare ricopre la strettissima fessura ombellicale. Come è noto, questa specie è stata citata in Sicilia dallo Scalia (1) tra 1 fossili del gruppo di Monte ludica. Esemplari : N. 2. Omphaloptycha (Coelostylina) Distefanoi n. sp. (Tav. IV, fig. 14) Conchiglia di grandi dimensioni, conica, ventruta, costituita da 7-8 giri convessi, i quali si accrescono rapidamente. L’ultimo giro forma i due terzi dell’intera conchiglia; le suture sono nette, lineari e profonde. L’apertura è ovale, ristretta indietro, dilatata avanti, la columella è molto curva. Sull’ultimo giro si osservano chiaramente delle forti depressioni peri- stomali corrispondenti allo inecrassamento del margine del labbro esterno. [Il labbro interno si rovescia sulla columella e vi si appiattisce leggermente cal- loso, coprendo la fessura ombellicale. La superficie è ornata di strie di accrescimento flessuose con andamento | sigmoidale. Una tenue ornamentazione spirale sì scorge presso l'apertura, sulla regione anteriore dell’ultimo giro, ove è costituita da poche ma nette costicine. (1) Scaria S.— Il Gruppo del Monte Iudica, Boll. Soc. Geol. It., vol. XXVIII,. pag. 315, 1909. IL « TRIAS» DEI DINTORNI DI PALERMO | 191 La conchiglia in esamo ha rapporti con la Omphaloptycha Olivi Stopp. ‘sp. (1). Questa specie è quella tra le congeneri che più le si accosta, per lo aspetto massiccio e per la convessità dei giri, specialmente nella figura data hi - dal Kittl (2). Poichè, le figure di Stoppani mostrano una spira più allungata, | un maggior numero di giri ed un aspetto meno massiccio, allontanandosi È ‘quindi dippiù dalla forma siciliana. Ad ogni modo anche dal tipo figurato -da Kittl è agevole distinguere gli esemplari in esame per avere un maggiore . larghezza in rapporto all’altezza, per la forma dell'apertura molto meno ri- «stretta e per la maggiore curvatura della columella. | Esemplari: N. 2 e vari frammenti. v4 Omphaloptycha ?. Mercati G. G. Gemm. sp. (Tav. IV, fig. 15) 1363-76. — Natica Mercati G. G. Gemm.-- Gemmellaro G. G., Stud. pal. sulla Fauna del calc. a T. Ianitor d. N. di Sicilia, p. 1I, pag. 53, tav. IX, fig. 8-11. Collegni G. G. Gemm. — Gemmellaro G. G., op. cît., p. II, pag. 58, tav. X, fig. 9-11. di Un esame accurato dei fossili determinati da G. G. Gemmellaro come Natica Mercati e Nat. Collegni, nonchè di altri esemplari rinvenuti nelle cave ‘del calcare triassico di Bellolampo, mi ha convinto della assoluta identità delle due specie istituite da mio Padre e ritenute titoniche. Conservo il no- me specifico della prima forma descritta. Sono conchiglie di medie dimensioni, di forma ovato-conica, strettamente ombellicate, con spira formata da 5-6 giri convessi. L’ultimo giro è molto ‘sviluppato e quasi ventricoso. L'apertura è grande ed ovale, prolungata avanti in una doccia leggiera, ristretta indietro. (1) Sroppani A. — Pétrif. d'Ésino, pag. 61, tav. XIII, fig. 11-12, 1858 - 60. (2) KirtL E. — Die Gastropoden der Esinokalke, pag. 147, fig. nel testo 77, 1899. 192 : MARIANO GEMMELLARO Il labbro esterno è piuttosto spesso, arcuato ed a margine arrotondato; quello interno incrassato e calloso si rovescia sul lato columellare coprendo in tutto o in parte la cavità ombellicale. Roc or superficie è provvista di strie di accrescimento evidenti, con anda- mento sigmoidale, quà e Jà riunite a fascetti. Tali strie vengono regolarmente intersecate da linee spirali finissime, punteggiate. Si notano inoltre irrego- larmente disposte e con forma irregolare, numerose macchie di color grigio. giallastro. Tali macchie si vedono in tntti gli individui, in ogni stadio di syi- luppo. Rimango in forse sulla determinazione generica della specie studiata che riferisco con dubbio al Gen. Omphaloptycha. A prima vista le conchiglie in esame possono sembrare delle Amauropsis,. ma tale riferimento credo che debba escludersi per la presenza della orna- mentazione spirale a linee punteggiate che non si riscontra in questo Genere. D'altro canto, mentre è certo che alcuni caratteri (presenza deila doccia, rapporti con Omphal. fedeiana Kittl e con Omphal. striato-punclata Stopp. sp.) (1) avvicinano la specie siciliana al Genere Omphaloptycha, non può esclu- dersi che essa sia da ascrivere al Genere Telleria (2). Il largo ombellico di quest’ultimo genere sarebbe chiuso negli esemplari adulti. Nei piccoli esem- plari della specie siciliana è infatti visibile la cavità ombellicale, che, al con- trario, nei grossi individui è chiusa perchè ricoperta dalla callosità del labbro interno. Esemplari: N. 18 e vari frammenti. Omphaloptycha? Mercati G. G. Gemm. sp., var. elongata n. v. (Tav. IV, fig. 16, 17) Alcuni degli esemplari della specie ante studiata, sia di grandi quanto di piccole dimensioni, si distinguono dagli altri per una forma più svelta per (1) STOPPANI A. -- Op. cit., pag. 61, tav. XIII, fig. 13, 14, 1858-60. (2) KirrL E. — Die Gastropoden der Schichten von St. Cassian, INI, pag. 207, 1894. IL « TRIAS» DEI DINTORNI DI PALERMO 193 un minore angolo spirale e per le II SOI proporzioni dell’ultimo giro in rapporto ai precedenti. Ritengo che queste forme costituiscano una distinta varietà che per la | sua caratteristica gracilità propongo sia detta : Omphaloptycha ? Mercati (x. G. Gemm., var. elongata n. v. Esemplari: N. 8 e vari frammenti. Undularia Koken. Undularia (Toxoconcha) uniformis Stopp. sp. (Tav. IV, fig. 18, 19) 1858-60. — Ohemnitzia uniformis Stopp. — Stoppani A., Les pétrifications d'É- sino, pag. 32, tav. VII, fig. 23; 1899. — Undularia og uniformis Stopp. sp.— Kittl E., Die Gastro- poden der Esinokalke, pag. 168, tav. XII, fig. 28, fig. nel testo 99. uniformis Stopp. sp. — Tommasi A., I fossili adi lumachella triasica di Ghegna, p. II, pag. 59, tav. IV, fig. 12. Conchiglia conica, svelta, della quale sono visibili sei giri. Questi sono quasi piani o leggermente convessi, limitati da strette ma distinte faccette suturali inclinate. Le suture sono nette. L’nltimo giro è angoloso, la base è conica. [N La superficie è ornata da strie di accrescimento tenui, a volte plicifor- mi con andamento leggermente ondulato, e da rade strie spirali sottilissime, | irregolarmente spaziate, Sulla base le strie di accrescimento divengono più evidenti e più fles- suose e vengono incrociate da una ornamentazione spirale costituita da nette ‘costicine. Mancano i caratteri dell'apertura che, in sezione appare di forma subrom- bica. La columella, vuota, si strozza all’apertura (tav. IV, Mento) Come appare dalla superiore discussione, gli esemplari siciliani di que- 25 194 i MARIANO GEMMELLARO sta specie, mentre corrispondono bene alle figure date dal Kittl sulla forma che egli considera come tipo della specie, si allontanano da quella illustrata dal Tommasi, specialmente per la presenza della ornamentazione spirale e delle faccette suturali. Però, d’accordo col Kittl, comprendendo la specie di Stoppani in senso lato, io ritengo giustificato includere in essa le forme lisce e mancanti di fac - cette suturali come quelle di Ghegna, illustrate dal Tommasi. La Undularia (Toroconcha) uniformis Stopp. sp. ha rapporti con la Und. Brocchii Stopp. sp. var. brevis Kittl (1), e con la Und. transitoria Kittl (2). Si distingue però agevolmente dalle due specie per la maggiore acutezza dello spigolo che limita la base e per la forma più nettamente conica sia della spira che della base. Inoltre la spira nella Und. uniformis non è gra- dinata come nella Und. Brocchii e le suture non sono così profonde come si vedono nella Und. transitoria. Esemplari: N. 2 e alcuni frammenti. Macrochilina Bayle Macrochilina (Rama) ptychitica Kittl (Tav. UI, fig. 17-19) 1894. — Macrochilina ptychitica Kittt—Kittt—E., Die triadischen Gastropoden der Marmolata, pag. 173, tav, VI, fig. 29, non 30. 1895. — Rama Kittl sp. — Bòhm TI., Die Gastropoden des Marmola- takalkes, pag. 295, tav. XVI, fig. 3, fig. nel testo 88, non 89. 1899. — Macrochilina (Rama) ptychitica Kittl — Kittl E., Die Gastropoden der Esinokalke, pag. 184. Non ho dubbio nel riferire gli esemplari siciliani alla nota specie del Kittl di Esino e della Marmolata. i Le conchiglie sono piccole di forma conico-allungata a volte leggermente (1) KirTL E. — Die Gastropoden der Esinokalke, pag. 167, tav. XII, fig. 15, 16, 1899. (2) KITTL E. — Die triadischen Gastropoden der Marmolata, pag. 155, tav. V, fig. 11, 1849. IL « TRIAS» DEI DINTORNI DI PALERMO 195 piriformi. I giri sono generalmente convessi; ma in alcuni individui si mo- strano leggermente appianati nel mezzo. La sutura è netta e molto profonda; essa è piuttosto obliqua rispetto al- l’asse della conchiglia. L’ultimo giro è grande, convesso ed occupa quasi i due terzi dell’altezza. ci L’apertura è ovale, leggermente ristretta indietro; il labbro è sottile con | margine arrotondato; non si osserva ombellico. , La superficie è ornata da strie di accrescimento finissime ma distinte con andamento largamente sigmoidale. La Macrochilina (Rama) ptychitica Kittl, ha rapporti con la Macr. (Rama) Vaceki Koken, di Hallstatt (1) differendone però per la forma più acutamente conica, pel maggior sviluppo dell’ultimo giro e per la mancanza delle strie spirali che si notano sulla base della specie alpina, Esemplari: N. 4. Cerithiidae Menke Protorcula Kittl Protorcula subpunetata Miinst. sp, (Tav. IV, fig. 21, 22) 1841 — Turritella subpunctata Mtinst. — Miinster G., Beitriige IV, pag. 118, tav. XIII, fig. 10. 1894. — Undularia (Protorcuta) subpunctata Miinst. sp, — Kittl E., Die Gastro- poden der Schichten von St. Cassian, III, pag. 188, tav. VII, fig. 50-54, 56 (cum sym.). 1900. — Protorcula subpunctata Miinst. sp.— Kittl E., Trias Gastropoden des Bakonyer Waldes, pag. 40, tav. III. fig, 1, 2. 1905. — Miinst. sp. — Blaschke F. Die Gastropodenfauna i der Pachycardientuffe der Seiseralpe, pag. 210, tav. XX, fig. 30. (1) KokEN E. — Die Gastropoden der Trias um Hallstatt, pag. 92, tav. XVI, fig. 4; tav. XVII, fig. 8, 1897. 196 -MARIANO GEMMELLARO Conchiglia turriculata, leggermente conica, non ombellicata, composta da giri piani o leggermente concavi, fortemente carenati ai margini. Le carene dei giri si uniscono alle suture che sono ben distinte, ma non molto pro- fonde. L’ultimo giro è carenato; la base è conica, a superficie leggermente concava. L’apertura ha forma subromboidale e mostra il labbro esterno forte- mente inflesso verso la parte interna. Le strie di accrescimento si prolungano da sutura a sutura con andamento molto obliquo rispetto all’asse della conchiglia; il raggrupparsi di esse a piccoli fascetti rende leggermente nodulose le carene dei giri. Sulla base, le strie di accrescimento hanno un andamento leggermente sigmoidale. Una finissima striatura spirale copre tutta la superficie della conchiglia ad eccezione della base. La Protorcula subpunctata, Miinst. sp. ha affinità con le Protorcula uni- carinata e Prot. larica Kittl di Esino, dalle quali però si distingue per la pre- senza delle fini e numerose strie spirali. Dalla Protorcula larica poi si distingue anche per la sua forma molio meno conica, Esemplari: N. 2 e qualche frammento. Protorcula Puritanorum G. G- Gemm. sp. (Tav. IV, fig. 22) 1876. — Cerithium Puritanorum G. G. Gemm. — Gemmellaro (3. G., Prima ap- pendice agli Studi pal. sulla Fauna del cale. a T. Ianitor d. N. di Sicilia, pag. 4, tav. A, fig. 2,3. Questa bellissima specie, ritenuta allora titonica da G. G. Gemmellaro. è ahbondante nelle cave del calcare triassico di Bellolampo. La conchiglia ha generalmente grandi dimensioni, è regolarmente conica .ed allungata. La spira risulta di 11-12 giri quasi piani o leggermente concavi, i quali presentano avanti, lungo la sutura, un cingolo sporgente, moniliforme, il quale dà alla conchiglia una forma gradinata. L’ultimo giro è carenato. In alcuni esemplari (nei più completi) si vede IL TRIAS DEI DINTORNI DI PALERMO 1 197 ‘che tale carena si biforca presso l'apertura dando luogo a due serie di tu- bercoli divise da un solco longitudinale. La base è declive e leggermente convessa. L’apertura è subromboidale e si prolunga avanti in un principio di canale. Il labbro esterno è arrotondato; il lato columellare è escavato e legger- mente calloso. La superficie della conchiglia, tranne che sulla base, la quale è liscia, è ‘ornata da fini e regolari strie spirali piuttosto spaziate tra di loro. Le strie di accrescimento, con andamento piuttosto rettilineo, sono molto inclinate rispetto all’asse della conchiglia e si riuniscono spesso a fascetti, mettendo capo ai tubercoli del cingolo moniliforme anteriore dei giri. Il riferimento della forma in istudio al Genere Protorcula Kittl non mi pare dubbio; ed allo stesso Genere ritengo che debba ascriversi la Ompha- loptycha Donizzettii Tomm. (1) che è quella tra le specie triassiche che ha rapporti maggiori con questa in esame. La forma siciliana si distingue da «quella del Monte Ezendola per la maggiore conicità della conchiglia ed an- golosità dell’ultimo giro, oltre che per la presenza della distinta ornamenta- zione data dalle strie spirali. Esemplari: N. 4 e parecchi frammenti. Protorcula Schopeni n. sp. (Tav. IV, fig. 23) Istituisco questa nuova specie sopra un esemplare, disgraziatamente in-- ‘completo, il quale per la sua forma non ha affinità con alcuna delle specie note congeneri. La conchiglia è conica, non ombellicata, composta da giri convessi, piut- tosto alti, fortemente carenati al margine anteriore, leggermente a quello po- (1) Tommasi A.— Contr. alla Paleontologia della Valle del Dezzo, pag. 63, tav. 1l, fig. 6 e 7, 1901. 198 - MARIANO GEMMELLARO steriore. Le suture, nette ma poco impresse, si scorgono sotto il margine an- teriore di ogni giro. La base è conica, a superficie leggermente concava: i caratteri dell’aper- tura mancano, ma, in sezione, la bocca appare di forma subromboidale. La base è liscia; sui giri invece, oltre alle nettissime strie di accresci- mento, quasi rettilinee e molto inclinate rispetto all’asse della conchiglia, sì nota una finissima ornamentazione costituita da strie spirali. Ho già detto che la nuova specie per la sua forma e specialmente per la convessità dei giri non ha relazione con alcuna delle coeve forme conge- neri; per l’ornamentazione spirale sui giri, la specie che più le si avvicina è la Protorcula subpunctata Miinst. sp., precedentemente descritta. Esemplari : N. 1. « S >) > 5°) fasi Phisli marnosi solto la dolonria R, Cifo Ad, TAV. A. .. GP n uber, Pit. GCEMMELLAROM. — IL TRIAS DEI DINTORNI DI PALERMO. — ILaFauna di Bellolampo. TAV. A. asian dei Noonti di Pellofampo Nbonte Eiccio Piano della Montagna) MNeonte Aiccio (Fiano dell'a Montagna) Paida (Fortella del Daino) Kkisti marnosi cd arenarie sotto la dolonia Sisti marnosi cd arenarie sollo fa dolomia- RSCuber, fi . Pa î » v » \ A : x y A - È 0 ; ni a t CSR Cop } sì ‘ a È c È ; È : agi ROL . ’ Pas x x 9 n i ME ò ‘ , 8.5 ut aa — Ù = 7 ha ‘ i ‘ Ls c ag RE z sa pi; "a dr SEZ È; n L \ €» n, = ì x ; AR Yet # ù È A % È I" Na . L s k vai I, 5 DI e - x È a) I i " y pi he ad 33 < bl mi ‘ n 4 TTT : SA, ug”; » » È . < L% ‘ - Pa x vi var n RE sd x ea cu ne = } ci =cieini Lie X : GA È Le DL . Lao — pre LIA PERA Mea - v mite i 5 È r È DUCA ie % Dì 9 è , x Ù BLA a < (O, b 4 È » Ae 4 ul = 4 . i i = , x x PR n ‘ ino.) x = » i = » " 4 z 4 << % — sl È i, “a Era G : “ sa “ vb sa 4 È £ i, ‘ ; È R ; î “ do 2 es . ® "a " SS îù ti ® ‘ ” < " o i È a ° = fe î A 00 ù LAIicitOni z } si - a RL RI Dia x î ’ d $ . tiro A E i . p x «Sea È i v ù x i " . . d'a ‘ - iv x IA % v den Wi 3 a > 3 . Ù \ è x MARIANO GÉMMELLARO SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1. — Worthenia coronata Miinst. » 2,5. — Gosseletina minuta n. sp. >» 4 — Ziziphinus Cocchii G. G. Gemm. sp. » 5, 6. — Neritopsis compressa (Klipst.) Horn. » 7,8. — Naticella striato-costata Miinst. > 9,10. — » planicosta n. Sp. > 11. — Naticopsis Moroi G. G. Gemm. Sp. » 12... — Dicosmos pulcher Can. (Originale del Museo di Pisa). > IZAGZE — cfr. pulcher Can. : > 20. _ mammispira Kittl. >A215599. monstrum Stopp. sp. > 23, 24. lemniscata Hòrn. sp. 2528. — Prevosti G. G. Gomm. sp. 29, 30. — complanatus Stop. sp. Gli esemplari sono figurati a grandezza naturale. Essi appartengono alle Collezioni del Museo Geologico della R. Università di Palermo P. . VIME LLARO M. - Il Trias dei dintorni di Palermo. — 1. La Fauna di Bellolampo. Tav. I RR Huber del, rat fata a Sa SS (>) = SS fesa MARIANO GEMMELLARO SPIEGAZIONE DELLA TAvOLA II. Fig. 1, 2. —Marmolatella nebrodensis G. G. Gemm. sp. 3-7. — » » G. G. Gemm. sp., var tubercolosa Dist. 8-12. — » Hoffmanni G. G. Gemm. sp. 13-15. — » semisulcata G. G. Gemm. sp. 16-18. — Hologyra erycina G. G. Gemm. sp. d0) — Purpuroidea profundesulcata n. sp. 20, 21, — » » ‘. M. Gemm. var gracilis n. v. 92, 25, — Ptychostoma fasciatum Kittl. 24, 25. — Loxonema arctecostatum Miinst. sp. 26, 27. — Omphaloptycya Escheri Hòrn. sp. 28, 29. — » Bacchus Kittl. Gli esemplari sono figurati a grandezza naturale. Essi apportengono alle Collezioni del Museo Geologico della R. Università di Palermo Tav. II. Danesi - Roma Huber del. 9 ’—W s- SS (=) > S fa MARIANO GEMMELLARO SPIEGAZIONE DELLA TavoLa III. -- Omphaloptycha Baccus Kittl. » subextensa Kitil pachygaster Kittl. Billiemensis G. G. Gemm. semicostata G. G. Gemm. sp. (fig. 12, sezione al- l'apice). pulchella G. G. Gemm. sp. 15. — Aldrovandi Stopp. sp. 16. — Omphaloptycha (Coelostylina) conica Miinst. sp. (ingr. al doppio) 17-19 — Macrochilina (Rama) ptychitica Kittl. Gli esemplari sono figurati a grandezza naturale. Essi appartengono alle Collezioni del Museo Geologico della R. Università di Palermo. Il Trias dei dintorni di Palermo. — I. La Fauna di Bellolampo. Faw “I Danesi- Roma Huber del. > S D > (So) Fa MARIANO GEMMELLARO SPIEGAZIONE DELLA TavoLa IV. — Omphaloptycha pulchella G. G. Gemm. » panormitana n. sp. » Gemmellaroi n. sp. » Diblasii G. G. Gemm. sp. -_ » Tommasti n. sp. = » coniopsis n. Sp. — Omphaloptycha {Coelostylina) Distefanoi n. sp. — Omphaloptycha ? Mercati G. G. Gemm. sp. 16,17. — e » G. G. Gemm. sp. var. elongata n. v. 18, 19. — Undularia (Toxoconcha uniformis Stopp. sp. 20, 21. — Protorcula subpunctata Miinst. sp. 99. _ » Puritanorum G. G. Gemm. sp. o 93. — » Schopeni n. sp. Gli esemplari sono figurati a grandezza naturale. Essi appartengono alle- Collezioni del Museo Geologico della R. Università di Palermo. a à, MELLARO M. - Il Palermo. — I. La Fauna di Bellolampo. TaveiVi ta 1, Danesi - Roma Huber del, TTT TIc0cncccoToT Questo risultato mi determinò nell’idea di proseguire nelle ricerche, e precisamente di istituire osservazioni reciproche e contemporanee; non solo perchè queste permettono uno studio più completo del fenomeno, ma anche per potermi servire di segnali brillanti. In verità le puntate sui due segnali trigonometrici di Valguarnera e Ciancardo sono spesso assai difficili, tro- vandosi i due punti nel primo quadrante, che è a Palermo il più caligino- so, per via del mare. Ma scoppiata la guerra europea, fui, il 10 maggio 1915, chiamato sotto le armi, e, sebbene destinato a Palermo, non potei, dal 1915 al 1918, occu- parmi di alcuna ricerca; chè appena mi fu consentito di svolgere i corsi universitari dei quali ero incaricato. Solo nel luglio 1918, per un congedo avuto nel periodo delle lezioni u- niversitarie, potei riprendere la ricerca. Non fu possibile stazionare sùl Monte Ciancardo e non poche difficoltà bisognò superare per stazionare in Valguarnera, nonostante la gentile ospi- talità del principe ALLIATA, proprietario del palazzo sul cui belvedere si trova il segnale. Le osservazioni reciproche e contemporanee abbero luogo tra l’Osserva- torio astronomico di Palermo e Valguarnera : io stazionavo all'Osservatorio e a Valguarnera stazionava il mio allievo dott. CAPPADONA. Questa traiet- toria è compresa tra due punti distanti quasi 15 chilometri, con un dislivello di appena 58 metri. È pressa poco nelle condizioni della traiettoria Valver- de-Valguarnera, salvo che un breve tratto (di circa un chilometro) corre sul mare. Nelle poche osservazioni che si poteron compiere (19 e 23 luglio), si ebbe il fatto singolare di rifrazioni negative all'Osservatorio, nelle ore più calde del giorno, e di rifrazioni piccole, ma positive, a Valguarnera; quindi coefficienti piccolissimi, nelle ore più calde, e qualche volta negativi. Le osservazioni furono interrotte a cagione del mio richiamo sotto le 240 CORRADINO MINEO armi, il 1° agosto 1918. Purtroppo, avvenuto il mio congedo nel gennaio 1919, varie ragioni, tra le quali non ultime le cure didattiche addirittura as- sorbenti del dopv guerra, non mi hanno più permesso di riprendere e arrie- chire le osservazioni. Chiudo questi cenni col rivolgere un vivo ringraziamento al Direttore dell’Osservatorio astronomico Prot. ANGELITTI, all’astronomo Prof. De Lisa e al principe ALLIATA di VALGUARNERA, per l’ospitalità da ciasenno gentil- mente concessami; e ringrazio ancora il Dott. CAPPADONA, per la collabora- zione prestatami. Valore del ‘materiale d’osservazione e ragione del lavoro. 2. A_ prima vista, data l’irregolarità presentata dal fenomeno nelle osser- vazioni compiute, potrebbe sembrare che il materiale raccolto abbia scarso valore. Ma, a pensarci meglio, lo studio della rifrazione lungo traiettorie, per così dire anomale, ha un alto interesse. In generale, conviene, in queste ricerche, mettersi da un punto di vista più ampio, per l’importanza che esse hanno non solo in Geodesia ma anche in altri campi. Limitarsi, in- somma, a traiettorie dove si possa presumere l’avverarsi del caso regolare, cioè il verificarsi della così detta legge del BAYER, implica una restrizione arbitraria del campo della ricerca e una rinunzia a conoscere pienamente il fenomeno della rifrazione atmosferica, con danno degli stessi problemi che strettamente riguardano la pratica geodetica. Sarebbe p. es. di grande interesse lo studio di traiettorie comprese tra punti nei quali si verifichi il fenomeno dell’ inversione della temperatura (lungo le quali si dovrebbero, presumibilmente, riscontrare valori relativa- mente più alti del coefficiente di rifrazione). Nè minore importanza hanno le traiettorie correnti, in parte o in tutto, sul mare. È noto, infatti, che da molte traiettorie marine sono risultati valori relativamente più alti del coef- ficiente di rifrazione (HARTL): cosa, peraltro, conforme alle previsioni teo- riche. Vi sono, è vero, fatti che sembrano contradittori; ma il materiale d’os- servazione va arricchito e quello esistente meglio discusso. Non basta, in- NUOVI STUDI SULLA RIFRAZIONE ATMOSFERICA IN SICILIA Z41 fatti, il paragone sic et simpliciter di una traiettoria marina con una terre- stre; giacchè p. es., sul fenomeno dell’insolazione, che ha la massima impor- tanza nella rifrazione atmosferica, influisce non poco, caeteris paribus, il ri- lievo (1). Accrescere siffatte osservazioni appare quindi necessario. Meglio sarebbe tentare di ricondurre la ricerca nel campo sperimentale, imitando i fenomeni «con opportuni modelli, come già si è fatto, in questioni simili, da WOoLLA- ston, WooD, TERQUEM..., e, più recentemente, dal GARBASSO nella sua clas- sica Memoria sul miraggio (2). In queste considerazioni mi sembra che il presente lavoro trovi la sua ragion d’ essere. In esso, per riunire tutto quanto sull'argomento è stato fatto da questo Istituto geodetico, sono comprese poche osservazioni reciproche e contempo- ranee tra l'Osservatorio di Catania e quello dell’Etna (agosto 1897) e una . Serie di 54 osservazioni tra Martorana e Pellegrino (dicembre 1897). Formole adoperate per il calcolo delle osservazioni. 3. Durante le determinazioni zenitali, si osservavano i dati meteorici di temperatura, pressione e umidità relativa. Ma non ho creduto, almeno per ora, di sfruttare questi dati, È vero che i principi della Termodinamica per- mettono ormai un’analisi matematica rigorosa dei fenomeni atmosferici; ma le conclusioni di quest’analisi valgono, com’è noto, in condizioni limiti dalle «quali spesso si allontanano molto le condizioni reali. Le formole posson servire alla deduzione di coefficienti medi di rifra- zione e non già a rispecchiare la variabilità del fenomeno e le sue oscilla- zioni diurne. (1) Per l’importante questione qui accennata, vedi SoLER, Ricerche su talune teorie di ri- frazione geodetica, Memorie della Società italiana delle Scienze (detta dei XL). Serie III. To- mo XVI. 1910. (2) GARBASSO, Il miraggio. Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, Tomo LVII, 1906-1907. 31 249, ; CORRADINO MINEO Il risultato, infatti, di qualche calcolo d’assaggio da me fatto (con le for- mole di HELMERT, semplificate e rese così comode dal REINA) (1) è di asse- ‘gnare al fenomeno una regolarità diurna, che esso è ber lontano dall’avere. Mi son quindi attenuto alle formole classiche di BouGUER, che, com’ è risaputo, si fondano sull’ipotesi d’una legge semplicissima di decrescenza della densità atmosferica (quindi dell’indice di rifrazione) con l’altezza (0, per meglio dire, col raggio vettore geocentrico). | Queste formole p. es. non cadono in difetto (come quelle fondate sul gra- diente aerotermico) nei casi d’inversione della temperatura: soltanto non sono applicabili. nei casi di miraggio, dove peraltro l'anomalia si limita a certi strati atmosferici (inferiori o superiori) (2). Nel] presente lavoro uon pubblico, quindi, i dati meteorici. 4. Nel caso di osservazioni reciproche e contemporanee, il coefficiente n di BoUGUER è dato dalla nota formola z,+z,—180° ; (1) == = dove 2, e z, sono le zenitali apparenti (ridotte all’Ellissoide) dei due estre— mi della traiettoria luminosa e 7 è il così detto angolo geocentrico, dato dalla formola (2) = | TX radiante, dove s è la distanza geodetica delle due stazioni, misurata sull’Ellissoide, e- per p si può prendere senz’altro (trattandosi di distanze non superiori ai 16 chilometri) il raggio di curvatura di essa geodetica in un suo estremo. Que- stultimo raggio si calcola subito dalla formola di EULERO 1 _cos’a, sen’a iù pr e (1) Reina, Sulla determinazione del coefficiente di rifrazione terrestre in base ad elementi ‘meteorologici (Memorie della R. Ac. dei Lincei, Anno 1916, Serie Quinta, Vol. XII, Fase. II). (2) Per un confronto sperimentale della teoria di BouGUER con le altre, vedi la Memo- ria precedentemente citata del SOLER. NUOVI STUDI SULLA RIFRAZIONE ATMOSFERICA IN SICILIA 243 in funzione dell’azimut ellissoidico a in un estremo di s, del raggio di cur- vatura È del meridiano e della gran normale N nello stesso estremo. Nel caso di osservazioni zenitali fatte da una sola stazione su punti li- vellati, chiamiamo H, l'altitudine del centro di stazione, H, quella del punto mirato, © la vera zenitale ellissoidica della retta congiungente i due punti e la zenitale osservata ridotta all’Ellissoide. Allora il coefficiente di rifrazio- ne è dato dalla formola | 3% dove © si calcola per mezzo di quest'altra (4222) Li tane(-t)= Ter Elementi per il calcolo delle osservazioni. 5. Traiettoria Martorana-Pellegrino. — Il lato Martorana-Pellegrino fa parte. della rete di prim'ordine, che trae la sua origine astronomica da Castania; e «da un nostro calcolo di compensazione (1), abbiamo Log s = 3'7596624, l-i851°5421/37 ‘essendo « l’azimut ellissoidico di questo lato nell’ estremo della Martorana. Per il raggio di curvatura p« dello stesso lato, nel suo estremo in Martorana, abbiamo quirdi Log pe = 6:8034315; ‘sicchè si deduce per l’ angolo geocentrico 7 il valore = 1865. (1) Mineo, Calcolo delle posizioni geodetiche dei due nuovi segnali di Ciancardo e Valguar- mera nelle vicinanze di Palermio (Giornale di Scienze naturali ed economiche di Palermo, vol. XXVI, 1908). 244 CORRADINO MINEO . Nou conoscendosi le deviazioni locali per Pellegrino, ci serviamo delle zenitali geoidiche, invece delle ellissoidiche, nella formola (1). 6. Traiettoria Osservatorio di Catania (asse cupola)--Osservatorio etneo (asse cupola). — Per il lato geodetico che congiunge i due punti, si ha Log s= 44320827; ma, date le posizioni dei due teodoliti, che erano ex-centro, il logaritmo della distanza geodetica, relativa alla traiettoria ]uminosa, fatte le necessarie ridn- zioni, ci risultò eguale a 44317770; e per x si trovò T=$16%p. Anche in questo caso si adoperano le zenitali osservate, senza riduzione ‘all’ Fllissoide, nella formola (1). 7. Traiettoria Martorana-Valguarnera. — L’altitudine H, del centro di sta- zione si ottiene sommando alla quota della sommità del pilastrino della Mar- torana, che è di m 36:368, come risulta dalla livellazione geometrica (1), l’al- tezza del centro dello Starke (N. 339), che era di m 0:31. Sicchè abbiamo H,= m 36678. Dalla stessa livellazione risulta che l'altitudine del punto mirato su Val- guarnera (spigolo superiore d’ una torretta) è H,==m 138:220. Per il lato Martorana-Valguarnera, abbiamo inoltre, dal lavoro già citato: Logs = 41442361 , a=108°1970; e quindi Log pe = &8050197 , = 4504. (1) Questa livellazione fn eseguita, il 1897, dal topografo VALLE dell’Istituto geografico- militare. NUOVI STUDI SULLA RIFRAZIONE ATMOSFERICA IN SICILIA Segue dalla (5): C= 89938431. Qui siamo in grado di ridurre all’Ellissoide le zenitali osservate, cono- scendosi le deviazioni in latitudine ein azimut per la Martorana. La latitu- dine astronomica dalla Martorana è (1) L= 38°6'55'281; mentre per quella ellissoidica, proveniente da Castania, si ha (2) p= 3806047413. Il prof. VENTURI determinò inoltre l’azimut astronomico di Monte AI- fano sull’ orizzonte della Martorana, che è (3) A = 93°%42/51'24. e calcolò pure, dello stesso punto, lazimut ellissoidico (sempre dalla prove- nienza di Castania), trovando a = 93°%42'51'96. Abbiamo SISI Ap=1—9=7'87 , 4a=A—-a=—-0"72; sicchè, chiamando i la deviazione totale in Martorana, cioè 1 angolo delle due normali geoidica e ellissoidica; B l azimut (contato al solito modo) del (1) A. VENTURI, Sulla latitudine della specola geodetica della Martorana in Palermo (Rend. Ac. Lincei, 1897). 0 (2) A. VENTURI, Nuova determinazione della deviazione locale in latitudine e in longitudine dell'Osservatorio di Palermo (Giorn. di Sc. nat. ed economiche, vol. XX, 1890), p. 58. (3) A. VENTURI, Azimut di M. Alfano sull’orizzonte della specola geodetica della Marto- rana în Palermo (Pubblicazioni della r. Commissione geodetica italiana, 1892). 246 CORRADINO MINEO piano di deviazione rispetto al meridiano astronomico di Martorana, ricaviamo — da note formole: A= 192% P=4792055600 Se 2 è la zenitale osservata di un punto, 2* la zenitale ellissoidica, la differenza è allora data dalla formola Az=z—z2*=icos(£ — a), dove a rappresenta qui l’ azimut del punto osservato. Applicandola al caso nostro, troviamo Dunque, per ridurre all’Ellissoide le zenitali geoidiche di Valguarnera, bisogna diminuirle di 334. 8. Traiettoria Martorana-Ciancardo. — Dal nostro lavoro citato, abbiamo Logs = 40809053 , a=111°7'57 6. Segue Log pa = 6:8049642 , 1=389 4. L'altitudine del punto mirato su Ciancardo (spigolo superiore d’ un pic- colo muro costruito sopra un casotto) è H,= m 292:405. Ne consegue 7 L= 196,00 ra: Inoltre Az=3 "69. Bisogna, dunque, diminuire di 369 le zenitali osservate di Ciancardo per ridurle all’ Ellissoide. NUOVI STUDI SULLA RIFRAZIONE ATMOSFELPICA IN SICILIA DAT 9. Traiettoria Valverde-Valguarnera. — Nella terrazza dell’Osservatorio me- teorologico di Valverde (già appartenente alla Società di Acclimazione) esi- ste un pilastrino al cui centro sono riferite le misure azimutali del VENTURI (Nuova determinazione della deviazione locale...) ; ma io non vi potei stazio- nare, perchè da esso, per nuovi edifizi sorti, non sono più visibili i due se- gnali di Ciancardo e Valguarnera. Si dovette quindi far costruire un altro pilastrino sulla stessa terrazza. Chiamando V, e Y,icentri del primo e del secondo pilastrino, risultò da misure indirette (non essendo neppur visibili i due pilastrini, Vl uno dall’ altro) : r=m21'42 , .0—= 227936; dove:r è la distanza V,V. e ® l’azimut (a meno di 1’) della direzione V,V,. __ Il punto mirato su Valguarnera non fa parte della rete determinata dal VENTURI, ma è invece compreso nella rete da me calcolata (Calcolo delle po- sizioni geodetiche...), che si appoggia agli stessi punti di prim’ordine della pri- ma: resta dunque determinata la posizione di Valguarnera rispetto al punto Y, (dal triangolo i cui vertici sono V,, Martorana e Valguarnera), e, con suf- ficiente esattezza, anche rispetto al punto V,, mediante gli elementi di ridu- zione. Si trova per il lato s, congiungente V, con Valguarnera e per il suo azimut approssimato a in V,: Log s = 42010659, a = 9958. Quindi, essendo di 38'6' 168 la latitudine ellissoidica di Valverde, segue : Log pa= 68051395, e poi i tat900, L’altitudine della sommità del primo pilastrino su Valverde (punto trigo- nometrico) è nota dalla menzionata livellazione geometrica, eseguita dal VALLE: essa è di m 71‘63. Fu quindi facile determinare l’altitudine della som- 248 CORRADINO MINEO mità del nuovo pilastrino, che risultò di m 71:61; e poichè l’altezza del centro dello Starke (N. 409) era di m 0:32, ne consegue per l’altitudine del centro di stazione Hi a 40:93: Infine, per la zenitale vera della retta congiungente il centro di stazione col punto collimato sn Valguarnera, si trova t= 8949560. Si adoperano le zenitali osservate, per il calcolo di n dalla (4), non co- noscendosi le deviazioni locali nei due punti. 10. Traiettoria Valverde-Ciancardo. — La posizione di Ciancardo è anch'essa pienamente determinata rispetto al punto Y, (dal triangolo che ha i vertici in T, Martorana e Ciancardo) e quindi rispetto a V,, per mezzo degli ele- menti di riduzione. Detta s la lunghezza del lato ellissoidico congiungente Y, con Ciancardo e a il suo azimut in V,, si trova : Logs= 41449722, a = 101°39". log pa = 6:8051198, «= 4504. Ne segue t= 89°9723"4. Si adoperano, nella (4), le zenitali osservate. 11. Traiettoria Osservatorio-Valguarnera. — Dai lavori più volte citati si de- duce, per il lato ellissoidico congiungente l'Osservatorio astronomico di Pa- lermo (asse della grande cupola) con Valguarnera : Log s = 41663016; e per l’azimut a di questo lato, nel primo estremo : NUOVI STUDI SULLA RIFRAZIONE ATMOSFERICA IN SICILTA a = 105°57 294. Nè, per lo scopo, occorrono riduzioni ; perchè, all’ Osservatorio, lo stru- ‘mento fu collocato sopra un pilastrino vicinissimo alla grande cupola, e a Valguarnera sopra un altro che feci costruire sul belvedere del palazzo del principe ALLIATA, vicinissimo al segnale trigonometrico. Essendo la latitudine ellissoidica dell’Osservatorio di 38'6'36/1, si trova Log pa = 6:8050598, ‘e quindi oe 47379. L'altitudine della sommità del pilastrino anzidetto dell’Osservatorio astro- ‘mico, è di m. 78:47: aggiungendovi l’altezza (m. 0:31) dello Starke (N. 339), si ha l'altitudine IIAEZIORGESTE del centro di stazione all’ Osservatorio. L’altitudine della sommità del pilastrino costruito su Valguarnera si de- terminò partendo da quella del caposaldo orizzontale (m. 135:57023), posto su di una pietra della piccola gradinata presso la casetta in cima al belvedere, ‘e risultò di m. 136:83; e poichè l’ altezza del centro dello Starke (N. 409) era di m. 0:32, segue per l’altitudine del ceutro di stazione a Valguarnera : Be milo: Per le due zenitali vere, dall’ Osservatorio e da Valguarnera, seguono rispettivamente i valori <= 8950160, Ct, = 90173779. I due elioscopi venivan collocati in prossimità dei punti di stazione e .si avevano gli elementi per ridurre le zenitali osservate ai centri dei rispet- tivi teodoliti. ; 32 CORRADINO MINEO Le osservazioni. - 12. Gli strumenti adoperati furon sempre due universali STARKE gemelli dei quali si può trovare ogni particolare nelle Memorie citate. Naturalmente si riesaminarono, ogni volta, le livelle zenitali, ritrovando pres9 a poco gli stessi valori delle parti. Nel quadro seguente son riportate le osservazioni reciproche e contem- poranee tra l'Osservatorio di Catania e quello dell'Etna. In queste osserya- zioni il Prof. VENTURI stazionava a Catania, mentre sull'Etna stazionava il topografo GINEVRI; il quale, trovandosi là a operare per conto dell’ Istituto. geografico, si prestò gentilmente a eseguire quelle altre misure per lo studio del coefficiente di rifrazione. I punti mirati erano due elioscopi posti vicini agli strumenti. Le osservazioni furon pochissime, perchè l'Etna restava co- stantemente coperta giorno e notte, e si scopriva, per qualche ora soltanto, il mattino. Esse, del resto, furon dovute abbandonare, non appena il GIxE- VRI ebbe terminato il suo lavoro. In questo quadro, come in tutti gli altri, il coefficiente di BouGUER è ‘espresso in millesimi. NUOVI STUDI SULLA RIFRAZIONE ATMOSFERICA IN SICILIA. Traiettoria Osservatorio di Catania = Osservatorio etneo. (Osservatori : VENTURI E GINEVRI) Osservatorio Osservatorio Osservatorio || Osservatorio di Catania dell’ Etna di Catania dell’Etna Z tj Z A 5 agosto 1897 a | | h m i 6:40 | 84°1'41"*9 |96°10'48"-6 144 710 | 84°1°39':9 | 96°10'52"-7 6:50 A, BOCoRMSio 7730 436 56-1 TOO NATI 563 132 | | | 6 agosto 1897 144 7:40 477 137 7:50 470 136 8:00 43:9 155 8:10 46:6 141 8:30 448 7 agosto 1897 517 130 8:20 52°7 117 8:30 592 | 122 53:8 | 124 (I IS (SO) | Si vede quanto regolare sia il fenomeno lungo questa traiettoria (lun - (nebbia) (nebbia) «ghezza: km. 27; dislivello tra gli estremi: 2870 m. circa). Dalle osservazioni si deduce un valor medio del coefficiente n= 0135 (peso 19), ‘ed è singolare la coincidenza di esso col valore che si deduce dalle osserva- zioni fatte, nell’agosto 1895, tra la Martorana e M. Pellegrino (1). 13. Nel quadro seguente si riportano le osservazioni reciproche e con ‘temporanee tra Martorana e Pellegrino. Il prof. VENTURI osservava dalla spe- «cola della Martorana; il prof. SoLER, dal semaforo di Pellegrino. (1) Cfr. VENTURI e LopeRrFIDO, lavoro citato. CORRADINO MINEO Traiettoria Martorana-Pellegrino. (Osservatori : VENTURI E SOLER) | Martorana Pellegrino | Martorana I Pellegrino Ora, \|- => 225 SS | ve DO Zi Za | 14 dicembre 1897 8414/4792 073 | ‘10 | 84244877 449 119 41:6 447 087 | 38:0 46:0 129 | 15 dicembre 1897 38 ‘09 168 7 7| 37:55°4 37°56:6 184 e 217 219 197 206 242 200 190 190 208 192 182 160 16 dicembre 1897 193 || 12:30 192 204 212 206 206 200 167 161 NUOVI STUDI SULLA RIFRAZIONE ATMOSFERICA IN SICILIA AO Il fenomeno è qui molto irregolare, nonostante che la traiettoria sia breve a 6 km.) e con forte dislivello tra i suoi estremi (circa 600 m.). Dalle servazioni diurné si trae il valor medio n=0"189 (peso 37), | molto più alto di quello riscontrato, per la stessa traiettoria, nel 1895 (n. 12). — Ma le osservazioni del 1895 ebbero luogo nell’agosto mentre queste, del 1897, | urono eseguite nel dicembre; ed è conforme alle previsioni teoriche che il _ coefficiente di rifrazione sia più alto in dicembre che in agosto. Dalle osservazioni notturne (20% — 21’ ) si ricava n= 0144 (peso 17). x Î 14. Non riporto tutte le osservazioni compiute, dal VENTURI e dal So- | LeR, su Valguarnera e Ciancardo. Mi limito a una serie di misure eseguite 4 Poe durante tutto 1° anno 1898; chè negli altri auni la rifrazione lungo queste traiettorie presenta suppergiù le stesse vicende. CORRADINO MINEO Traiettorie Martorana-Valguarnera e Martorana-Ciancardo h m 11.30 |89°38' 45] 186|88°49/45"7 16:00 11:80 15:30 11:30 15:30 37:58 ‘5| 213 38: 3 ‘4| 191 37:46 *2| 267 38: 8 ‘3| 169 37:52 *7| 240 33107 158 2:38 194 16:4| 138 6:53] 178 — 15:22) 133 5:0| 188 6-4 178 3:2| 192 59:5| 208 45:0| 273 51:4| 264 38: 9-1] 146 ‘ 48:8] 165)25 (Osservatori : VENTURI E SOLER.) Valguarnera Ora 1898 hm 18117 43 *0| 195/19 41° 2) 20423 38 ‘6, 217/24 48 ‘0| 16931 | 41 *0; 205) >» 16 .00 11:590| 38 16:00 15:30 Febbraio 1898 510 18 11:30 510 153 » 16:30 Marzo 1898 541| 138|11| 11:30 51-1| 153|12| 16:30 49:4| 162/22| 11°00- 49:2| 163| »| 17:00 11:00 49*0| 164»»| 16:30 Aprile 1898 52*6| 145|15) 11:30 49:2| 162) >| 1630| 37. 51:2| 152/25) 11:30 38° 37-6|] 222] >|] 16:30 Maggio 1898 40:1| 209/21| 1100 37°3| 224) »| 17:00 31‘5] 25431| 11:50 51:3| 152] »| 17:00. 136 593 37:512 Ciancardo n 3759 -6) 208 6-3] 178 1-7) 198 11:30 15 ‘1| 139 39 189 118 2:9 45:9| 180 511) 153 pe 5 183 1 1179 di 5) 161 50:2| 158 499) 159 48-0) 169 42-0) 200 423) 198 62 430) 194. 44-7) 186 54:2| 137 53-S) 139 f 3 El Qra ho m 11:00 |89°38' 24) 195|88°49'43"7| 191/20 16:50 |. 11:00 15:00 11:00 16:30 11:30 | 15:30 1 NUOVI STUDI SULLA RIFRAZIONE ATMOSFERICA IN SICILIA te1 \a| 37:55 ‘4| 285 46 +9 264 35 ‘8| 316 | 38:14:0| 144 5°2| 185] 37:58:8| 211 38: 4:3| 187 17:4| 123 3-9| 189 02 2] 0| 10:5 1591 2:5 196] 2:5| 1961 Ciancardo NZ - 50*1| 158|18 E 3 Ora | n Si Giugno 1898 40) ‘9 205) > 41 7) 20120 96 ‘1| 230) » 16:30 11:50 16:30 — Luglio 1893 52'4( 146120 495) 161| » 42:2| 199/22 498) 160) » 45*9) 180/29 52:9| 144] » 11:00 16:30 11:00 16:30 12:00 17-00 Agosto 1898 11:00 16:00 11:00 17-00. 48:5| 166/20 51:2| 152|[23 42-4| 193/26 Settembre 1898 11:00 16:00 10:00 16:30 475) 171|15 50-0| 159/17 47:8| 17024 437] 19127 Ottobre 1898 447 5075 11:30 186|18 30] 1500 156)20 Novembre 1898 432 425 194 11:30 | 197 ) 10) 15:80 I 10:00 | 89° d Ta] l4 102] 88°49' 179 ‘8| 158 ‘9| 180 166 181 167 181 12:5| 150 3°9| 189 67176] 6-61 1771 5 5 4 4 +90 Valguarnera Valguarnera | Ciancardo |a 0/2 0:9 69 9°9 470 468 174 175 485 527 166 145 256 _CORRADINO MINEO Da questo quadro si vede quanto siano alti i valori di n. inoltre i va- lori medi dedotti dalla traiettoria Martorana-Valguarnera sono costantemente | più alti di quelli dedotti dalla Martorana-Ciancardo (per l’anno 1898 come per gli altri anni). Fin da ora possiamo dire, salvo a tornare sull'argomento (n. 20), che la differenza non si può ascrivere che alla diversa altitudine dei punti mirati; giacchè le due traiettorie, quanto al resto. sono press'a poco nelle stesse condizioni (nn. 7 e $). Nel seguente quadro do i valori medi dei coefficienti di rifrazione, de- dotti dal complesso di tutte le osservazioni (VENTURI-SOLER). Quadro riassuntivo delle osservazioni da Martorana su Valguarnera e Ciancardo. i (Osservatori : VENTURI E SOLER.) COEFFICIENTE MEDIO DI RIFRAZIONE STAGIONE 5 - 3 > A Traiettoria { Traiettoria 6 Martorana-Valguarnera | Martorana-Ciancardo ; 43 11019 |5| 15017» Coefficiente medio goneralo Coefticiente annuo gonoerale ESE TE BS: 203 Autunno . 160 210 Inverno, .! 161 197 ° [Primavera] 182 209 Histoan 169 191 Autunno .| 169 193 ° |\Primavera 156 Î 185 Esta ceca 147 2 186 Hsiù: ss : P; Primavera Pri mavera I | Queste medie, come si vede, oscillano intorno a valori sempre alti dì n. 15. Nel quadro seguente, riporto aleune delle serie di misure compiute da me, dalla Martorana, su Valguarnera e Ciancardo, allo seopo di studiare l’andameuto diurno del fenomeno. NUOVI STUDI SULLA RIFRAZIONE ATMOSFERICA IN SICILIA Ù Traiettorie Martorana-Valguarnera e Martorana-Ciancardo. (Osservatore: MINO.) Valguarnera Ciancardo | Valguarnera Ciancardo Ora n | g .z n | 27 gennaio 1908 h m t 252] 88°49‘450 | 184 13:30 | 89°3810"2 | 161] 88'49'52"8 255| invisibile — || 14:30 15 :3|156| invisibile 189 51 -6 | 145|| 15:80 12 ‘6 | 150 580 190 55 <0 | 133|| 1630 CDILTTS 49 4 168 invisibile == 24 febbraio 1905 409 | 205|| 14:00 583 | 142/|-15-00 | 52:7 | 145] 16:00 55*3 | 131) 17:00 567 | 124 80 marzo 1908 4°7|185 538 | 139]! 14-30 49:7 | 169 9 Asd pae LUG 45:81 180 91:3| 111 61:8 | 096] Pa 49 |184 © 452 n 13:30 ° 45:4|182 19 aprile 1908 37538 | 234 44:83 | 185|| 15:30 9:2 | 165 — 564|126 38:15-6 | 145 60-2 | 106)| 14:30 37573 218 — 50:5 | 156 144 | 142 462 | 178 13 maggio 1908 37:58:2| 214 468 | 175|| 14:00 38-3:3 | 191 50:2 | 158 58:2 | 214 49:9 | 159|| 16:00 6-5 | 177 50-5 | 156 38:13:4 | 138 52:8| 144 | 30 giugno 1908 6:0 | 179 46:2 | 178|| 14:00 10:6 | 160 544 | 136 13:7 | 145 525 | 146) 15:00 17:6 | 128 53°7 | 139 11:3|156| 534/141 16:00 176 | 128 55°0 | 133 16:2 | 150 43*8 | 191] 17:00 119168 - 51:8 | 140 33 S CORRADINO MINEO lf Valguarnera Ciancardo Valguarnera V4 27 luglio 1908 hm hm 8:00 ‘38° 0”1|308|] 88049476) 171) 17:00 | 8938144] 142] 88°4953 10:00 0 | 166 55 1 | 153) 18:00 10-0| 161 15:00 ‘6 | 163 527 | 145 12 agosto 1908 9:00 ‘50.8 | 246 41:9|200|) 12-00 10:9 | 158 51°2 | 153 10:00 *IIAAT4 403 | 208) 14:00 10:7 | 159 504 | 157 11:00 ‘1|175 51:0 | 153) 15-00 12:0 | 153 543 | 137 — 28 settembre 1908 8:00 ‘6 | 176 50:8 | 155,| 15-00 6:4| {78 509 | 154 10:30 ‘5 | 155 DAT 135| 16:00 2-8 | 19 48-7 | 167 12:00 21/099 58:0 118) 17:00 | caliginosa | — 327 | 248 13:00 -17°7!127| invisibile = 80 ottobre 1908 10-00 113 | 156 545 | 136| 15-00 40) 188 58-6|115 1100 | 37:56-6 | 221 42:6 | 19717:00 37-58:2 | 21 49-8 | 160 13-00 38: 4:3 | 187 61:1|102 30 novembre 1908 9:30 | caliginosa | — S1'4|254| 15:00 552 le 353°7 | 242 T 12-00 37:93:4 | 235 42:8 | 196|\ 16-00 537 | 23 41:8 201 13-00 56:9 | 220 39:3 | 214 7 dicembre 1908 8:30 38° Sera È 12:00 57:7|21 387 (217 9:12 pioggia _ -|| 15° 56:9 | 22 453 | 193 | Alcune di queste serie (febbraio, marzo, maggio, settembre) seguono abbastanza bene la legge empirica del BayER; altre sono assai meno rego_ lari. Si conferma, però, il valore alto del coefficiente di rifrazione (più alto per la Martorana - Valguarnera). i 16. Nelle misure seguenti, i due soliti segnali sono osservati da Valverde, Mentre, alla Martorana, le osservazioni si facevano dalla torretta, perfetta- mente isolata e coperta, a Valverde era costretto a osservare dalla terrazza dell’Osservatorio meteorologico, mettendo lo strumento al riparo d’un grande ombrellone geodetico. NUOVI STUDI Gi. RIFRAZIONE ATMOSFERICA IN SICILIA Traiettorie Valverde-Valguarnera e Valverde-Ciancardo. (Osservatore: MINEO.) Valguarnera Ciancardo Valguarnera Ciancardo = viene e SO PIRA O UA Yj n ENI 26 agosto 1914 i ; ih m 89°48/41"4| 291] 89° 8°229| 367] 11:30 | 89°49'30' 282] - 22‘4|270|| 12:00 | 40 211 36 ‘4| 209|| 12:30 152 36 ‘0 | 210]| 13:00 152 426 | 181] 16-00 113 51 ‘4| 142] 16:30 let 46 ‘0 | 166|| 17:00 090]. 54:2| 130] 17:30 079 49 -2 | 152|| 18:00 23 settembre 1914 173 — 440 | 173|| 14-30 217 32:2 | 227|| 15:00 138 086 | 199|| 15:30 >| 064 58:6 | 132|| 16:00 077 62:1 | 094 16:30 >| 091 514 | 142) 17-00 115 424 | 132|| 17:30 090] 48:83 | 154 2 ottobre 1914 307 | 099 50:2 147| 12:30 36:3 | 077 399 | 193 90 06 41.8 | 185) 13-00 399 | 063 41°2 | 187. 46: 062| S9° 83577 062 122 094 090 105 139 159 diano 38:5 | 068 31165||-13-30 24:5 | 123 45-7 | 167 356 | 079 33-7 | 221|| 14-00 31:2 | 097 50*2 | 142 5 ottobre 1914 È 43:48:6 | 263 19:2|285|| 9:00 291 | 140 427 | 181 47 | 239 354 | 213] 9:30 546 | 083 40*1 | 192 596 | 220 27°5 | 248|| 10:00 19:5 | 142 343 | 218 49*58"1 | 070 497 150|| 10:30 21:7 | 133 349 | 215 6 novembre 1914 43:43'1 | 284 (A a 10:50 246 | 125 42:0 | 184 59°7 | 219 24*6 | 261/| 11:00 375 | 072 43:4 | 178 ‘ 49-99 | 180 Do sa 11:30 21:2|156| .- 40:0|192 10:8 | 176 25:9 | 285]|| 12:00 . 149) 160 ‘ 4048] 159 CORRADINO MINEO Valguarnera Ciancardo Valguarnera Ciancardo 7A | 2 j Z 2 dicembre 1914 hm h sm 4 1430 | 89°49'25”9 | 118] 89° 8439 | 173) 15:30 | 89°49' 8”5|186| 89° 8'313|242 15:00 202140 - 46:6 | 164]! 16-00 9:2|182} © —298|240 Qui il fenomeno è più irregolare, specialmente nella traiettoria Val- verde - Valguarnera, dove si presentano valori molto grandi del coefficiente nelle ore del mattino e valori piccoli (non mai avuti nella traiettoria Mar- torana- Valguarnera) nelle ore calde della giornata. Osserviamo per ora che la traiettoria Valverde - Valguarnera è meno inclinata della Martorana-Val- guarnera, giacchè Valverde è più alto della Martorana (n. 9). 17. Nel quadro segnente, infine, riporto le osservazioni reciproche € contemporanee tra l’ Osservatorio astronomico di Palermo e Valguarnera. Nelle due stazioni, le operazioni avevano luogo, necessariamente, all'aperto e gli strumenti erano al riparo di grandi ombrelloni geodetici. Si osservò dal 17 al 23 luglio; ma, per le necessarie prove e per le. solite ragioni di poca visibilità dei segnali, le osservazioni bene riuscite son quelle del 19 e 23 luglio. i ;_ ti: ti ; “NUOVI STUDI SULLA RIFRAZIONE ATMOSFERICA IN SICILIA Traiettoria Osservatorio astronomico = Valguarnera. (Osservatori : MINEO E CAPPADONA): Osservatorio astronomico Valguarnera di Palermo 3 19 luglio 1918 8949113 90°17/13"3 17:68 13:0 521 i 13:7 451 237 491 23-6 50:18:0 239 320 5.008 298 211 49431 "E 9:2 23 luglio 1918 o 128 188[ 106 | 147 118 i 191| 117 | 154 . 176 046| 082 | 064 189 050| 076 | 063 151 071| 093 | 082 20'8 015| 073, 048 921 - 026] 026 | 000 250 - 002) 054 | 026 142 -003) 099 | 048 ASTREA -024) 070 | 023 Li -0083| 084 | 038 220 007] 067 | 037 L'Osservatorio astronomico è ancora più alto dell’Osservatorio meteoro- . logico, sicchè questa traiettoria è la meno inclinata all’ orizzonte. _ Come si vede, le osservazioni presentano il fenomeno interessante di ri- frazioni negative nella stazione più bassa. In modo assai più spiccato que- sto fenomeno si è presentato al Prof. BARBIERI nelle sue interessanti osser- vazioni estive nella pianura leccese (1). (1) BARBIERI, Ricerche sulla rifrazione terrestre eseguite a Lecce nel 1902 (Memorie della Società delle Scienze, 1904). 262 CORRADINO MINEO Nel quadro precedente, n, e n, sono i coefficienti locali, all'Osservatorio e a Valguarnera, mentre n è, al solito, il coefficiente medio della traiettoria, 18. Coefficiente meridiano di ritrazione. Ho creduto opportuno di calcolare le medie ; distribuite per mese e per anno, del coefficiente nelle ore più calde (dalle 11 alle 13), non solo perchè in quelle ore la rifrazione è più regolare, ma perchè così i dati sono più comparabili. Ho considerato a parte le due traiettorie Valverde. Vani e Osser- vatorio-Valguarnera, che presentano le anomalie già segnalate; mentre ho associato le altre, dove la rifrazione ha presentato suppergiù -le stesse vi- cende e gli stessi valori. Coefficiente meridiano di rifrazione.’ FA TRAIETTORIE TRAIETTORIE Martorana-Valguarnera, Martorana-Ciancardo Valverde-Valguarnera Martorana-Pellegrino e Valverde-Ciancardo e Osservatorio-Valzuarnera 1897 |2 i 1899|£|1908 Gennaio. | i; i ) 165 Febbraio . . .| 141 NALZOs GS 145 Aprile; CS T 163 Masglol esanak A) ;j 169 Giugno . “n | 172 Imiolio, RE i 3 161 Agosto ARIE 158 Settembre . . . ( 122 Ottobre 174 Novembre . .. . 204 Dicembre . fi Vaia La N I Non si scorge alcuna legge di variazione del coefficiente meridiano du- rante l’anno: solo si nota che sono abbastanza concordanti le medie men- sili degli anni 1898 e 1908, eccezion fatta per i. mesi di giugno e di seî- | tembre, nei quali si hanno le massime discordanze; ma nel settembre le osservazioni son poche, e nel giugno 1908 in minor numero di quelle del giugno 1898. x 6 | NUOVI STUDI SULLA RIFRAZIONE ATMOSFERICA IN SICILIA “© 263 19, Errori temibili nei dislivelli. — Per vedere quali errori ne possano | conseguire per i dislivelli nel caso che questi si volessero calcolare per mezzo delle zenitali osservate nei vari anni, consideriamo p. es. le due Ei traiettorie Martorana - Ciancardo e Martorana - Valguarnera e assumiamo ‘ net ‘come valor medio del coefficiente : n=017. | Ponendo H,-- H, =", dalla (5) del n. 4 abbiamo con sufficiente appros- | simazione 6 î : 3 CALZE h=——_— È i tan g(: 9 - dove & è il valore che compete a ciascuna traiettoria. Il valore h* del di- slivello che si deduce in funzione della zenitale osservata 2, è dato invece dalla formola essendo Segue, dalla formola di LAGRANGIA : 8 (pe radianteX sen? ei t) Ah=lh—h*= dove (** è un valore interno all'intervallo (t, l*).. Nel caso di Ciancardo, tenendo presenti i valori estremi avuti per 2 nelle osservazioni dei vari anni, si trova, per n=0-17: ta—t<10”, JA quindi, per l'errore A% nel dislivello : TRAE 4 |AR|e_ Ù (oeificiente di temperatura nell elasticità; di forsione Determinazione di alta pretisione fatta sopra un filo di Nickel ‘© Nel corso di alcune ricerche sperimentali di alta precisione eseguite in questo. Istituto Fisico, sulle oscillazioni di un sistema elastico di torsione, e nelle quali fui chiamata a prestare la mia collaborazione, fu affidato a me l’incarico di determinare il coefflciente di temperatura del modulo di torsione del filo impiegato, con la stessa precisione raggiunta in dette ricerche, ben più grande di quella che è stata raggiunta nelle misure del genere sinora fatte (2). Le difficoltà che si debbono superare in questo genere di determinazioni, se sono troppo ovvie a pensare, sono difficili a superare, specialmente quan- do le esigenze della precisione siano così grandi come quelle che mi erano state imposte; sicchè credo di fare cosa utile nel dare un breve riassunto del mio lavoro. La temperatura influisce per varie vie sul periodo delle oscillazioni : a) Altera le dimensioni del corpo sospeso al filo, e quindi il momento d’inerzia. b) Altera le dimensioni del filo, e quindi il valore «del momento di torsione unitario ». (1) Memoria presentata dal socio Prof. Corradino Mineo, nella tornata del 1° maggio 1928. Deliberala la stampa il 23 dello stesso mese ed anno, dietro approvazione d’una com- missione, composta dei soci: Angelitti Filippo, La Rosa Michele e Mineo Corradino. (2) Coulomb, Werheim, Kupfer, Cantone, ecc. 268 MARIA CONCETTA LA ROSA c) Altera il modulo di «rigidità» del corpo, o la costante di torsione, e perciò influisce di nuovo sul momento di torsione unitario. Le due ultime variazioni sogliono venire considerate in blocco, e si suole perciò parlare di un cambiamento del modulo di torsione del fito dato, e non del materiale di cui esso è fatto. Per maggior chiarezza ricorderemo che il periodo di oscillazione di un sistema come questo considerato viene espresso dalla formola sa: essendo w il momento d’inerzia del corpo sospeso al filo, rispetto all’asse di questo e k il « momento di torsione unitario », e ricorderemo che k va rica- vato dalla formola : ML tenendo presente che essendo L ed r le dimensioni del filo, M il momento della coppia di torsione che vi è applicata, © l’angolo di torsione ed » il modulo di rigidità del ma- teriale di cui il filo è costituito. Dell’influenza della temperatura su p riesce facile tener conto, se il corpo sospeso al filo ha forma geometrica molto semplice e regolare, come sempre si suol fare, per es. : cilindro, parallelepipedo, sfera etc., 0 se esso è costituito di parti di queste forme, perchè si conoscono con sufficiente esattezza i coef- ficienti di dilatazione dei materiali più comunemente impiegati. ; Meno facite riuscirebbe il calcolo della correzione dipendente dai muta- menti delle dimensioni del filo, o più precisamente del raggio, malgrado la conoscenza del coefficiente di dilatazione, a causa della piccolezza di questo, e quindi della debole precisione che si può raggiungere nella sua misura, e della grande influenza che avrebbe sul risultato un piccolo errore commesso su r a motivo dello esponente con cui esso entra nella nostra relazione. IL GOEFFICIENTE DI TEMPERATURA NELL’ELASTICITÀ DI TORSIONE 969 Per questo motivo si ritiene spesso preferibile di conglobare i mutamenti delle dimensioni con quelli del modulo di rigidità, per foggiarsi un solo coef- (MARIS 3 5 Sani meglio dello stesso k, e viene «designato col nome di modulo di torsione del filo dato. ficiente di variabilità della quantità Disposizione sperimentale. L'apparecchio destinato ad oscillare era costituito da un cilindro circo- lare di ottone, cavo e riempito con piombo, il tutto molto ben tornito, così da riuscire perfettamente simmetrico rispetto all’asse geometrico, che serviva di asse di oscillazione. Era portato da un filo di nickel molto regolare, di mm. 0,65 di diametro, lungo 75 em. Il giunto era costituito da un lungo (22 cm.) gambo cilindrico di ottone, a cui era saldato e stretto a vite il filo di sospensione. L’estremo superiore del filo era saldato ad un altro cilindretto di ottone che, con l’intermediario di un apposito pezzo, veniva fortemente assicurato ad una mensola molto robusta, solidamente incastrata in un grosso muro interno di questo Istituto. Questo, per la sua costruzione e ubicazione, dava piena garenzia di stabilità sotto il doppio punto di vista meccanico e termico Il cilindro oscillante veniva a trovarsi sospeso a 30 cm. di altezza da una larga mensola di marmo, sulla quale coassialmente corrispondente con esso era stato disposto uno speciale sostegno, che serviva a farlo ruotare di un angolo determinato, senza imprimergli movimenti laterali; cioè a dare al si- stema sospeso una determinata torsione iniziale a, senza scosse o sposta- menti nocivi. x Questo sostegno era composto di un treppiedi di ottone a viti calanti occorrenti per la livellazione, di una colonna cilindrica di altezza variabile mediante cremagliera, di una piccola piattaforma circolare girevole rispetto alla colonna, in grazia della solita montatura tronco - conica. Questa piccola piattatorma portava tre dentini disposti secondo i vertici di un triangolo equilatero, con centro sull’asse di rotazione, destinati a sol- levare il pendolo di torsione. Questo sostegno era disposto in modo che 270 MARIA CONCETTA LA ROSA l’asse della colonna si trovava sul prolungamento del filo di sospensione, co- sicchè, manovrando la cremagliera, era possibile sostenere leggermente il pen- dolo, e quindi dargli quella torsione iniziale che ci piaceva, senza andare in- contro ad apprezzabili perturbazioni. Due arresti, opportunamente disposti al disotto della piccola piattaforma di sostegno, servivano a mantenere costante l’angolo scelto. Il gambo del pendolo portava attaccato uno specchietto, sul quale veniva a riflettersi un fascio di luce uscente da una fenditura sottile fortemente illu- illuminata; fascio che penetrava in un cannocchiale allorchè lo specchio pas- sava per la posizione di riposo del pendolo, formando una sottile immagine sullo incrocio dei fili del reticolo. La misura del periodo di oscillazione fu fatta con un pendolo regolatore, ed un ottimo cronografo a punte di Mioni (1). Il funzionamento di questo insieme era eccellente. Oggetto di molte scrupolose cure fu il dispositivo destinato a creare at- torno al filo di sospensione quella temperatura costante che si desiderava, ed a farne la misura; e ciò perchè esso doveva rispondere alla doppia. condi- zione di dare una temperatura costante per tutto il tempo, abbastanza lungo, una mezz’ora almeno, occorrente per la determinazione esatta del periodo, e di dare una temperatura uniforme lungo il filo, o meglio in tutto Vl am- biente in cui esso si trovava insieme allo apparecchio destinato alla misura della temperatura stessa. 1 i Infatti, solo a patto che questa condizione di cose fosse stata ben realiz- zata, misure di questo genere potevano avere valore. Fu preparata, perciò, una stufa elettrica, costituita da un tubo di ottone lungo cm. 88,5, il cui diametro era di mm. 23; questo tubo venne ricoperto allo esterno di un leggero strato di cartone di amianto, sul quale vennero posti due avvolgimenti di filo di argentana, tali che ogni spira di uno ve- 1) Il tutto prestato con gentile solidarietà, a questo Istituto Fisico, dal Prof. C. Mineo direttore del Gabinetto di Geodesia di questa R. Università, al quale porgo qui, per la parte che mi riguarda, i migliori ringraziamenti. IL COEFFICIENTE DI TEMPERATURA NELL’ELASTICITÀ DJ TORSIONE 271 niva a trovarsi fra due spire consecutive dell’altro, a distanza di pochi de- cimi di millimetro; cosicchè, facendo passare la corrente nei due avvolgi- menti in senso inverso, risultava nullo il campo magnetico all’ interno del tubo. Ciò per evitare la nota influenza sul coefficiente di torsione. Questi avvolgimenti furono ricoperti da uno spesso strato di cartone di amianto. Il tubo di ottone portava, in corrispondenza alle basi, due dischi spessi di fibra, ai quali furono adattati dei tappi di ebanite. In questi erano pra- ticati un foro coassiale al tubo, per lasciar passare il filo da studiare, ed altri fori (due nel tappo inferiore e uno nel superiore) destinati al seguente fine. Quelli a coppia servivano a fare passare, nella camera cilindrica, un filo fatto in parte di ferro e in parte di platino, disposto parallelemente ed a breve distanza del filo di sospensione del pendolo, ed in modo che la saldatura ve- niva a trovarsi a un terzo della lunghezza di questo; ed un altro filo di ferro che veniva pure a. saldarsi al platino in corrispondenza dell’altro terzo del filo di sospensione. È superfluo dire che furono prese opportune cautele, per impedire che i fili di ferro venissero a toccare le pareti del tubo ed il filo di sospensione, oppure si toccassero fra loro. I due fili di ferro e quello di platino, saldati insieme, costituivano evi- dentemente il sistema termo-elettrico destinato alla misura della temperatura della camera interna del rocchetto, per mezzo di due contatti termo-elettrici distinti, situati all’incirea.a livello dei punti che dividevano il filo di sospen- sione dello apparato oscillante in tre parti uguali. È superfluo avvertire che i capi di questi fili, che uscivano all’esterno, erano saldati ai fili di rame necessari per le congiunzioni a distanze suffi- cientemente grandi dalla stufa, e che le saldature, tenute molto vicine, erano ben protette da ogni influenza termica accidentale, in modo da essere sicuri «che la loro temperatura si manteneva rigorosamente costante. Un semplice gioco di commutatore permetteva di inserire nel circuito del galvanometro l’una o l’altra delle due coppie termo-elettriche. Gosì che sì poteva misurare, con un piccolissimo intervallo di tempo, la temperatura * a i f 279 MARIA CONCETTA LA ROSA dominante nella camera, in corrispondenza del terzo inferiore e del terzo superiore.. È superfluo dire che furono chiusi accuratamente con cotone di amianto e bambagia i fori superiori della stufa, per evitare il formarsi di correnti convettive; ma è bene dire che il filo da studiare fu preso appositamente più corto della camera cilindrica, e che perciò dentro di questa penetravano per parecchi centimetri il cilindretto di ottone della sospensione ed il gambo del cilindro oscillante, in modo che nessuna parte del filo veniva a trovarsi in prossimità delle testate del rocchetto-stufa, dove poteva cominciare a ma- nifestarsi una incompleta uniformità delle condizioni termiche. Parecchi schermi di cartone di amianto furono disposti lungo quella por- zione del gambo del cilindro oscillante che emergeva dalla stufa, a fine di proteggerlo della irradiazione di questo; fine che fu assai bene raggiunto. Naturalmente le due coppie Fe - Pt, prima della loro sistemazione nella camera di riscaldamento, furono tarate, insieme con lo stesso galvanometro Hartmann e Braun, con le dovute cure, per mezzo di bagni ad olio e di un buon termometro al 09,1; nell’intervallo 20° - 270°. Metodo di misura. LÌ Un punto importante, nella pratica esecuzione delle misure, riguarda il modo di realizzare la costanza della temperatura nella stufa. Questa era in circuito con una batteria di accumulatori, un reostato a lampade in derivazione, un reostato a corsoio, ed un buon amperometro Siemens. Il potenziale della batteria era almeno doppio di quello occorrente per mantenere nella stufa la corrente di riscaldamento desiderata; questa veniva perciò attenuata per mezzo del reostato. Per fare una serie di-osservazioni ad una data temperatura, sì comin- ciava a riscaldare ad una temperatura un po’ più elevata di quella deside- rata, e si faceva allora diminuire la corrente di riscaldamento, cercando da allora in poi di mantenerla ad un valore praticamente costante: ciò che si \ LE COEFFICIENZE DI TEMPERATURA NELL’ELASTICITÀ DI TORSIONE 273 otteneva con la continua sorveglianza della indicazione dell’ amperemetro e. con la manovra del reostato. Si seguiva allora per un certo tempo la indicazione data da) galvano- ‘metro inserito nel circuito delle coppie termo - elettriche, aspettando che an- che questa apparisse sufficientemente costante. Allorchè questa sufficiente stabilità termica era raggiunta, si constatò sempre che le deviazioni date al galvanometro dalla coppia termo-elettrica superiore, erano identiche a quelle della inferiore; fatto che dimostrava che allo interno della stufa si avevano condizioni di uniformità termica più che | soddisfacenti. î Nella maggior parte delle misure fatte si poterono, con queste cure e con la continua sorveglianza, ottenere condizioni meravigliose di costanza che dànno le migliori garenzie per la esattezza dei risultati. Raggiunta l’ uniformità e la costanza della temperatura, si metteva la | massa sospesa in oscillazione per mezzo dell’apparecchio avanti descritto, il quale permetteva di dare sempre Ja medesima torsione iniziale senza altre perturbazioni apprezzabili. Si lasciavano trascerrere, dallo istante in cui il si- stema veniva lasciato libero di oscillare, dieci minuti esattamente per assi- curare al filo sempre lo stesso stato elastico iniziale, e si cominciava quindi ad osservare e registrare gli istanti di passaggio del pendolo per la posizione di riposo. Sì registravano ogni volla 36 passaggi consecutivi, e si sospendeva la registrazione, per ricominciarla dal 100%° al 136% passaggio. Lo scopo di questo modo di procedere è evidente. L’ errore commesso nello apprezzamonto cronografico di ciascun passaggio, dopo un po’ di pra- tica acquistata, risultava certamente minore di ‘/,, di secondo, sicchè l’errore da temere nella misura della durata di una oscillazione semplice risultava compreso fra '/,o e ?/,, di secondo, se si calcolava questa durata facendo la differenza dei tempi di due passaggi consecutivi. Scegliendo invece 1’ istante del 100° passaggio e quello iniziale (zero) il medesimo errore veniva a cadere sopra una durata cento volte maggiore, in modo che l’errore sul valore della durata di un’ oscillazione diveniva cento volte più piccolo. 35 274 MARIA CONCETTA La ROSA Siccome poi questa stessa durata di cento oscillazioni si poteva dedurre con 36 coppie di passaggi consecutivi (avendone osservato 36 all’inizio e 36 a partire dal 100°) facendo la media di tutti i valori così trovati, si veniva a commettere nella determinazione della durata di un’oscillazione un errore medio di volte più piccolo di quello che avrebbe dato la deter- TXT minazione fatta in base a due passaggi consecutivi. Immediatamente prima, ed immediatamente dopo la registrazione di ciascun gruppo di passaggi, si leggeva la deviazione data al galvanometro da ciascuna delle due coppie termo-elettriche, e la temperatura dala dal ter- mometro posto in contatto con le saldature fredde. La precisione così ottenuta nella determinazione del periodo è di molto più grande di quella finora raggiunta nelle misure di questo genere, e riuscì adeguata alle esigenze delle ricerche, a cui fu accennato in principio di que- sto lavoro, e per le quali queste nostre determinazioni furono intraprese. R: TSE i 0: 15. _ Nel Giornali della Società possono pure. pubbLicarsi degli ar- | ticoli di non soci, purchè siano presentati da un socio ordinario, ed appro- r R pui dla una ossa Commissione. ‘Funzioni delle cariche. Art. 16. — Il Presidente veglia all'esecuzione del regolamento, sottoscrive : gli atti accademici, la CORISPRAA SOA) colle autorità costituite ed i privati, ed i mandati di pagamento.‘ È ù i Art. 17.—Il Vice-Presidente sostituisce il Presidente ogni qualvolta I questo è assente o impedito; in mancanza anche del Vice-Presidente, fun- zionerà il più anziano dei soci. Art. 18.— Il Segretario compilerà ‘i verbali, la corrispondenza; contras- & segnerà le relazioni e tutti gli atti accademici; sopraintenderà alla pubbli-. | cazione del Giornale e del Bollettino; terrà in consegna archivio e biblioteca, e, nella prima tornata di ogni anno, leggerà un rapporto col quale darà conto di tutti i lavori accademici dell’anno precedente, e questa lettura sarà pubblicata. \ | È Art. 19.—Il Vice-Segretario farà le veci del Segretario in caso della il sua assenza : mancando anche il Vice-Segretario, funzionerà il socio più gio- | t vane dei presenti. ‘ i SE Elezioni i L i Art. 20. —I soci ordinari saranno scelti tra i corrispondenti residenti. | La elezione dei soci ordinari e corrispondenti sarà preceduta da invito speciale del Presidente a tutti i soci ordinari, e sarà fatta in due tornate. Nella prima tornata si Comporrà per ciascun posto vacante una lista di candidati, nella quale saranno compresi i nomi di quelle persone che nella votazione hanno riportato tre voti almeno. VIII REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ DI SCIENZE NATURALI ED Questa votazione sarà fatta a schede segrete. Nella tornata suc tutti i nomi della lista dei candidati saranno sottoposti alla votazione s x un dopo l’altro, nell’ordine dei numeri ottenuti nella prima +oisasone, € nel | caso di parità di voti, la sorte deciderà sull’ordine da adottarsi. — SOLE fre Re Perchè un candidato possa venir eletto al posto vacante, dovrà ottenere la maggioranza assoluta, che non sia minore di otto voti; e, tra coloro che l'avranno ottenuta, s’intenderà eletto colui, che avrà riunito il maggior nu- mero di voti. | i La parità sarà risoluta con una seconda votazione, e, nel caso che la parità si ripetesse, resterà eletto l’anziano di nomina, e in pari data di no- © mina l’anziano di età. Non conseguendosi da alcun candidato il numero dei voti necessario, si procederà ad una nuova nomina, con le formalità dianzi accennate, dopo tra- scorso il termine di tre mesi dal giorno della seconda votazione. Art. 21. — La elezione dei soci corrispondenti non residenti sarà fatta nel seguente modo: In una tornata ne sarà fatta la proposta almeno da tre soci, accompa- DE L ca e toe PEA MA, 3 x Joi A Ò ”. pia su Me de re >< me - ù; XA Ch uo 2 ® ae » e n ha r he en È _ — ene - mean ron ei tz "= e gnata da un rapporto sopra i titoli del candidato, il quale rapporto sarà consegnato al Presidente; i In un’altra tornata il nome del candidato sarà sottomesso alla votazione. Art. 22.-- Potranno essere dichiarati soci emeriti i soci ordinari, che, per età o salute, per occupazioni estranee, o per altri motivi non potessero adempire agli obblighi loro imposti. mila be mà --— an ——-_I Art. 23. — La elezione del Presidente si farà per mezzo di schede segrete ciascuna contenente un solo nome. S’intenderà eletto colui che avrà riportato la maggioranza assoluta. Nel caso che nessuno abbia raggiunto la maggioranza, avrà luogo un secondo squittino, nel quale si voterà sui soli due nomi, che hanno riunito il maggior numero dei suffraggi. sno 0 bri de pi dti DR rie dA Colle stesse norme sarà fatta la elezione del Vice-Presidente, del Segre - tario, del Vice Segretario, e del Tesoriere. Tali elezioni saranno fatte di regola nel mese di dicembre. Se, per ri- | Obblighi dei Soci Art. 24. — Sarà preciso obbligo di ogni socio ordinario d° intervenire nelle rnate periodiche della Società. I soci ordinari, che per un intero anno non sono intervenuti alle riunioni si senza aver notificato l'assenza alla Società, saranno, sopra proposta del Pre- "CA 4 | sidente, passati a soci emeriti, se la loro nomina a soci ordinari data da più di 10 anni; in caso diverso l’assenza prolungata sarà considerata come ri- i «nunzia al posto accademico, Fondi ed amministrazioni 3 IRMITSTITT Art. 25. — Le spese occorrenti saranno fatte sui fondi assegnati dallo Stato, Provincia e Comune, e dai privati. Art. 26. — La Società voterà annualmente il proprio bilancio. Art. 27.— L'esercizio finanziario di ciascun anno si protrae per la liqui- dazione sino a tutto febbraio dell’anno susseguente, nel qual mese il Pre- 4 sidente presenterà il conto morale dell’esercizio precedente, accompagnato 0 R dal conto finanziario del Tesoriere. | La Società, dopo l'esame di una Commissione, discuterà ed approvverà il conto. Art. 28. — Il Tesoriere incasserà i fondi assegnati al mantenimento della Società, e li verserà in una madre-fede apposita, o li terrà a conto corrente . presso la Cassa di risparmio. Pagherà i mandati a firma del Presidente. Giornale Art. 29. —Il Giornale della Società sarà diviso in volumi, e formerà la continuazione di quello del Consiglio di perfezionamento. Le memorie dovranno essere tutte originali, e regolate per la spesa delle tavole conforme a quanto prescriverà la Società in base ai fondi disponibili. rare DEA LO LATINI RARI I A aa ii AC r* -" <— Lupe amc fer, - re e) i Aeg e ca pre A Wi NORME | PER LA STAMPA DI MEMORIE ED ARTICOLI ) NEL GIORNALE DELLA SOCIETA’ I (Approvato nella seduta del 28 febbraio 1917; emendate il 3 aprile 1923) n l1.—Ogni socio che voglia pubblicare memorie scientifiche ne; ‘Al | Giornale della Società, deve darne avviso preventivo al Presidente. l Art. 2. — Dopo di questo avviso, la memoria sarà presentata e letta in Società (art. 2, 10 e 14 de] Regolamento). Art. 3. — Compiuta la lettura, il Presidente chiederà alla Società se ap- prova che subito si proceda alla stampa della memoria (art. 4 e 14, 1° parte). D) w Alla votazione possono partecipare i soli soci ordinari presenti. Essa sarà | segreta, e ciascuno voterà pel st o pel no. Art. 4. — Se la maggioranza è per il sî, il Presidente scriverà immedia- tamente sul manoscritto l’ordine della stampa, e la memoria verrà passata al tipografo (art. 14, 1% parte); salvo il caso che gli stanziamenti del bilancio, tenuto conto anche dei diritti alla stampa degli altri autori, non permettano l'inserzione per intero nel volume dell’anno. Ciò essendo, la memoria verrà continuata nel successivo volume o nei successivi. Art. 5. — Se la maggioranza è per il no, il Presidente, seduta stante, invita la Società ad eleggere un'apposita Commissione che riferisca in altra tornata (art. 14, 2 parte). Art. 6. — Nel Giornale della Società possono pure pubblicarsi articoli non di soci, purchè siano presentati da un socio ordinario (art. 15). Art. 7.—Il socio presentatore darà preventivo avviso della presenta- o zione al Presidente. NORME PER LA STAMPA ECC. © Art. 8. L'articolo sarà letto nella seduta a ciò destinato. Dopo tura, si procederà come all’art. 5. Art. 9. — Quando i lavori presentati a norma degli art. 14, 2 ì 15 del Regolamento, superino le 20 pagine, la Commissione tecnica dovrà | # sentire il parere del Tesoriere, ed esaminerà se detti lavori possano lessi: pubblicati per intiero o convenientemente ridotti dallo stesso autore. Riferirà in n SO x ogni caso all'Assemblea nella successiva seduta. (Deliberazione 30 giugno 1913). i Art. 10. — Le deliberazioni della Società, riguardanti le inserzioni di me. morie nel volume della Società, devono essere, in ogni caso, approvate dalla. maggioranza assoluta dei presenti. (Deliberazione 4 luglio 1913). Art. 11.— Nella prima pagina di ogni lavoro pubblicato saranno messi in nota i nomi dei commissari che hanno riferito per la parte scientifica, secondo l’ art. 14, 2° parte, o il nome del socio ordinario presentatore e dei commissari dei quali è cenno all’art. 15 Reg. (Deliberazione 4 luglio 1913). Il Vice Presidente P. MERENDA Il Segretario C. LAZZARO ENCO DEI 5001 DELLA SOCIETÀ DI SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE vu DI PALERMO i L coteoso | Pi Sede della Società: Istituto di Geologia — R. Università -_G - << UFFICIO DI PRESIDENZA (1925-1926) Presidente — Merenda Prof. Pietro Vice-Presidente — Giardina Prof. Andrea ii Tesoriere — La Rosa Prof. Michele “D Segretario — Lazzaro Prof. Carmelo Vice-Segretario — Cipolla Prof. Francesco Bibliotecario — Giardina Prof. Andrea Soci Ordinari a 1° gennaio 1927 È Data di nomina | Data di nomina E COGNOME E NOME a ad ABITAZIONE E Corrispondente Ordinario il 1| Angelitti Prof. Filippo anteriore al 1892| 8 maggio 1899 | Osserv. Astronomico ‘ a Palazzo Reale. i 2| Cipolla Prof. Francesco 9 giugno 1919 | 26 maggio 1924 | Via Falde 24 | 3| De Franchis Prof. Michele » » 13 giugno 1925 | Via S. Martino 81 | 4{ De Francisci Prof. Giovanni » » » » | Via Fel. Cavallotti 15 5 | De Stefani Prof. Teodosio anteriore al 1892| 3 febbraio 1910| Via Alloro 49 6| Folco Prof. Carlo 3 febbraio 1910 | 13 giugno 1925 | P.za Gen. Cascino 20 T| Gebbia Prof. Michele 9 giugno 1919 » » Piazza Bologni 24 8| Giardina Prof. Andrea 22 dicembre 1904] 21 marzo 1917 | Piazzetta Bertolani 9 91 Lanza Prof. Domenico » » » » Via Butera 81 ELENCO DEI SOCI Data di nomina | Data di nomina # COGNOME E NOME Ago ad | “ABITAZIONE: Corrispondente Ordinario ; La Rosa Prof. Michele 6 febbraio 1911 | 4 marzo 1913 | Via Cavour 81 . Lazzaro Prof. Carmelo 13 febbraio 1892| 3 febbraio 1910 | Via F. Crispi 41 i Lumia PIOENEINERCE 9 giugno 1919 | 26 maggie 1924 | Via Ben. Civilletti 1 Macaluso Prof. Damiano anteriore al 1892 | anteriore al 1892 | Via Rosolino Pilo 63 Manfredi Prof. Luigi 1° maggio 1894 | 20 giugno 1907 | Via Divisi 109 Merenda Prof. Pietro 24 maggio 1894 | 22 dicembre 1904] Corso Pisani 50 Mineo Prof. Corradino 20 luglio 1912 |9 giugno 1919 | Via Cuba 46 Oddo Prof. Giuseppe 9 giugno 1919 | 26 maggio 1924| P.za Guarnaschelli 5 Pagano Prof. Giuseppe 8 maggio 1899 |3 febbraio 1910 | Via P. Paternostro I Salemi Pace Prof.Giov.Battista] anteriore al 1892 | 13 giugno 1925 | Via Lincoln 90 ‘ I soci ordinari dovranno risiedere in Palermo, e il loro numero è fissato in 21 (art. $ del Regolamento). dio Li TI - er Soci Corrispondenti residenti a 1° gennaio 1927 COGNOME E NOME Data di nomina ABITAZIONE ta Rd Abbadessa Prof. Salvatore 13 giugno 1925 Via Saverio Cavallaro 2 Albeggiani, Prof. Michele anteriore al 1892 | Salita Banditore 4 Basile Prof. Ernesto » » | Via Siracusa- Villino Basile Buscalioni Prof. Luigi 26 maggio 1924 | R. Orto Botanico Catalano Prof. Giuseppe 9 giugno 19i9 Corso Calatafimi 467 Cipolla Prof. Michele 13 giugno 1925 Piazza XIII Vittime 3 Dina Prof. Alberto 11 gennaio 1913 | Via Cuba 20 Fabiani Prof. Ramiro 23 giugno 1925 Via G. Pacini 46 Lombroso Prof. Ugo 26 maggio 1924 | Ist. di Fisiologia. Porta S. Agata | COGNOME E NOME Data di nomina | Manzella Prof. Eugenio 13 giugno 1925 3 Masci Prof. Guglielmo » » | Mattei Prof. Giovanni Ettore | 3 febbraio 1910 Quercigh Prof. Emanuele 26 maggio 1924 Saftiotti Prof. Umberto » » |15| Santangelo Ing. Giov. Battista |9 giugno 1919 Schopen Sig. Luigi | anteriore al 1892 Sellerio Prof. Antonio 26 maggio 1924 Somma Prof. Francesco 13 giugno 1925 I soci corrispondenti residenti non potranno superare il numero di 25 (art. 8 del Regol). Soci Corrispondenti non residenti a 1° gennaio 127 COGNOME E NOME | N. d’ordine Albertoni Prof. Pietro MN i Angelico Prof. Francesco Arata Prof. P. N. Bianchi Prof. Leonardo uu a Checchia - Rispoli Prof. Giuseppe (er) Ceradini Prof. Cesare ABITAZIONI R. Scuola d’Ingegneria R. Università È R. Orto Botanico R. Univers., Ist. di Mineralogia Via Enrico Albanese 13 Via Mazzini 12 Piazza Castelnuovo 15 R. Scuola d’Ingegneria Via Cavour 64 RESIDENZA E DOMICILIO Bologna-Via Libertà 5 Messina-R. Università Buenos Ayres Napoli-Via Museo 73 Roma-Via Pianellari 16 Roma-R. Scuola d’Ingegneria ren | © E CP ELENCO DEI SOCI COGNOME E NOME Corbino Prof. Orso Mario Roma- Via Panisperna $9 b. De Mattei Prof. Eugenio Catania-Via Fragalà 7 Ercolini Prof (uido Mantova-R. Istituto Tecnico Foderà Prof. Filippo Catania-R. Università Galati Prof. Rosario Treviso-R. Liceo Gerbaldi Prof. Francesco Pavia-Piazza del Carmine 2 Koerner Prof. Guglielmo Milano-R. Istituto Lombardo di Scienze e lettere Levi Prof. Giuseppe Torino-R. Università-Facoltà di Medicina Levi Prof. Mario Giacomo Bologna-R. Scuola Super. di Chim. Industr. Minunni Prof. Gaetano Catania-R. Università Mondino Prof. Casimiro Pavia-R. Università Mosca Prof. Gaetano Torino-Corso Umberto 45 Naccari Prof. Andrea Torino-R. Università Oliveri Prof. Emanuele Siena-R. Università Orlando Prof. Vittorio Emanuele Roma Palazzo Prof. Francesco Firenze-R. Istituto Forestale Rattone Prof. Giorgio Parma-R. Università-Istituto di Patol. Gen. Ross Prof. Ermanno Monaco (Baviera) Nymphenburg Salvioli Prof. Giuseppe Napoli-R. Università Scacchi Prof. Eugenio Napoli-R. Università Scaffidi Prof. Vittorio Napoli-R. Università | AE Sanso Prof. Luigi a di Biologia marina. Soler. Prof. Emanuele Padova-R. Università Spica-Marcataio Prof. Pietro Padova-Via Ospedale Civile 49 Tanzi Prof. Eugenio Firenze-Via Bernardo Segni Torelli Prof. Gabriele Napoli-R. Università Trambusti Prof. Arnaldo Genova-Via Cesare Cabella Zambonini Prof. Ferruccio Napoli-R. Università Il numero dei soci corrispondenti non residenti è illimitato (art. $ del Regolamento). | ELENCO DEI SOCI 7a n v ; - Soci Emeriti a 1 gennaio 1927 N COGNOME E NOME. | RESIDENZA E DOMICILIO PAGE ‘Palermo, Via, Gregorio Ugdulena 2 2 agnora 1 Prof. > Giuseppe A Bat Tuco Roma, R. Università Ria Polozza: R. Università Fi f e Prof. Antonio _ | Roma, R. Università i | Errera Prof. Giorgio | si Pavia, R. Università 6 Pagliani Prof. Stefano rà Conai Via Francesco Sivori 8 i Paternò Prof. Emanuele Roma, R. Università 8| Raffaele Prof. Federico Roma, R. Università 9| Withaker Comm. Giuseppe Palermo, Via Dante, Villa Malfidano Soci defunti nel triennio 1924-1926 Ordinari: Natoli Prof. Fabrizio, Pitini Prof. Andrea, Spallitta Prof. Francesco. Corrispondenti residenti: Pellini Prof. Giovanni. Corrisponpenti non residenti : Ampola Prof. Gaspare, Ciofalo Prof. Saverio, Emery Prof. «Carlo, Grassi Prof, Giovanni Battista, Oglialoro Prof. Agostino, Tonelli Prof. Alberto. Socì Emeriti: Peratoner Prof. Alberto, Ruggeri Avv. Leonardo. Z So N LU = = © (©) | FILIPPO CALIRI A’ 25 ottobre dell’anno passato ‘moriva, nella tarda età di 85 anni (1), il nostro socio corrispondente Filippo Caliri. Egli merita che di lui si serbi memoria. | Laureatosi in medicina nel 1859, quando Giuseppe Garibaldi, nell’anno 1860, dopo l’entrata a Palermo, creò l’esercito di volontarî con il quale, vin- cendo a Milazzo, a Reggio, al Volturno, assicurò il trionfo di quella rivo- zione gloriosa della Sicilia, senza la quale l’Unità d’Italia sarebbe stata, chi sa per quanto tempo ? nient’ altro che un’aspirazione; Fifippo Caliri indossò la camicia rossa, e, da chirurgo militare di battaglione, prese parte alla cam- pagna memoranda. Posate le armi, prepose all’esercizio della professione gli studî di Fisica e di Meccanica. Così lo vediamo : dimostratore alla cattedra di Fisica nel 1861, assistente nel 1864, macchinista nel 1868, e, tenuto in pregio dall’illustre Pietro Blaserna, supplirlo più volte nell’insegnamento universitario; e nel 1867 di- venire insegnante nell’Istituto Tecnico. Più tardi anch’io insegnai in quella . scuola, sicchè nostra consuetudine diventò amicizia. E che bei tempi eran quelli ! Professori come Caliri, Antonio De Marchi, Salvatore Malato-Todaro, (1) Era nato in Floridia, provincia di Siracusa, il 31 luglio 1837. O) COMMEMORAZIONE DEL PROF. FILIPPO CALIRI facevano corona a Preside d’un valore eccezionale, Giovanni Guidotti, oggi ahimè, dimenticato! Ed il nostro socio v'educò la gioventù ai fisici teoremi per ben 47 anni. D’aspetto bonario e sorridente, conoscitore profondo della materia, chiaro nell’esporla, preciso sull’adempimento del dovere, era dagli studenti venerato ed amato; i colleghi, quand’Egli chiese il riposo, vollero l’immagine di Lui nel gabinetto di Fisica, a perenne ricordo. Nella scienza non lasciò di sè durevole monumento, perchè alle ricerche dottrinali preferiva le applicazioni. Epperò, fin dal 1861, diede alla luce la proposta d’ un Nuovo telegrafo elettrico stampante , in sostituzione di quello Morse a linee e punti: si doveva comporre d’ un apparecchio trasmettitore ed inversore, trasmettente i segnali ed invertente la corrente elettrica quando si volesse, e d’un apparecchio ricevitore, destinato u stampare sulla carta i dispacci trasmessi. Però quest’invenzione non è nota, mentre quella dell’Hu- ghes fu adottata. Nè saprei dire perchè fortuna non arrise al nostro con- cittadino. i Ma la sua passione per le applicazioni dalla delusione non fu soffocata, ed ebbe pieno sfogo nel 1870, allorchè fondò l’Officina tecnica Piazzi, dove, per anni 22 (1), trasfuse tutta l’anima sua di scienziato e di meccanico, oc- cupandosi esclusivamente di meccanica di precisione, svolgentesi in appa- recchi -di Fisica per i gabinetti delle scuole medie e delle Università, or imi- tando, ora novità ideando, ora modificando ; sicchè in diverse Esposizioni fu premiato, ed acquistò bella fama. Tale fu Filippo Caliri. Poteva salire più in alto; ma gliel’avranno impedito mitezza del carat- tere e modestia, forse eccessiva. Egli, compianto da quanti lo conobbero, passò serenamente alla vita che non avrà fine. 1° maggio 1923. Pietro MERENDA (1) Nel 1882, forse stanco dell’eccessivo lavoro, cedette l'officina al figlio, Prof. Fedele, che la direge tuttavia. ANDREA PITINI ——Sr Ancora studente, si dedicò a ricerche di Farmacologia; fu nominato as- sistente alla cattedra nel 1904, libero docente nel 1905, aiuto, su parere una- nime della Scuola di Farmacia dell’Università di Palermo, nel 1909. Dopo essere stato compreso fra i vincitori del concorso alla cattedra di Farmacologia della R. Università di Cagliari, venne nominato incaricato alla cattedra di Farmacognosia nella nostra Università. Riuscì vittoriso e primo nel concorso per medico ispettore nell’ufficio d’Igiene della città, e tenne il posto di direttore del laboratorio chimico clinico dell’ospedale civico di Pa- lermo, per la laurea che egli aveva in Chimica e Farmacia e per i suoi lavori ì in Chimica bromatologica e Chimica clinica. Lascia una serie di pubblica- zioni d’indole sperimentale, di cui talune d’importanza, e fra queste notevole quella sull’aspirina. Galantuomo in tutto il senso della parola, e perciò stimato, servendo ? da medico la Patria durante la guerra, nel giudicare degl’idonei alla milizia, congiunse la rettitudine alla fortezza. | Nei propositi costante, dedicò tutta la sua ‘attività alla scienza, e non È. curò la pratica professionale, che, per le Sue doti e per la vasta Sua cultura specialmente nel campo della terapia, avrebbe potuto per lui essere larga fonte di guadagno. — Ebbe non pochi ostacoli nella carriera scientifica, ma seppe superarli; e quando, può dirsi, egli aveva quasi raggiunto il suo ideale, mori, ‘appena cinquantenne, il 18 dicembre 1923. Lascia un Gent featerio a chi seppe zi, e valutarlo sin dal banchi della scuola. - N e e celeste 7 marzo 1924. CarMELO Lazzaro LI Lu = S 2, = D yUI n Fi — = Li = SIMONE CORLEO La filosofia dell’identità e la scienza Simone GCorleo aprì gli occhi alla luce in Salemi il 2 settembre 1823, Egli, con la sua grande mente, onorò la Sicilia e 1’ Italia; onde. sul cadere dell’anno passato ed in questo corrente anno, s'è celebrato e si va celebrando il centenario della nascita di Lui. Nella Biblioleca, filosofica di Palermo, focolare d’alta cultura tenuto ac- ceso da Giuseppe Amato, e dal quale s’irradia tanta luce, è stata esposta in sintesi tutta l’ opera intellettuale del Grande Salemitano; vennero illustrate le idee d’identità e di sostanza da Lui poste a terreno e fondamento del si- stema filosofico suo, e messe in relazione con la sintesi critica ch’Egli fa dei sistemi filosofici; furono anche presentate le idee di Lui sulla riforma degli mar Fecero eco Marsala e Salemi, due città dove amici, ammiratori, sco- lari, concittadini, evocarono la figura e le dottrine generatrici e feconde del trapassato immortale. Perchè mai anche la Società di scienze naturali ed economiche s’associa a quest’omaggio, e festeggia anch’ essa il centenario d’un filosofo? Permet- tete ch'io mi giustifichi, poichè io principalmente debbo rispondere di que- sto fatto, che può parere lontano dagl’intenti della nostra istituzione e dalle “consuetudini nostre. PIETRO MERENDA Due sono le ragioni per le quali ci associamo alla celebrazione di que- sto centenario : la prima è che Simone Corleo ci appartiene intimamente; la seconda che l’ opera scientifica di Simone Corleo è, a dir così, inviscerata negl’intenti della nostra Società. Questo corpo morale scientifico che ci raccoglie non è nato ieri, come a molti può sembrare; ma, attraverso svariate vicende, conta ben 93 anni di vita. ; Per Regio Decreto del 9 novembre 1831 (i Decreti Regî allora erano le leggi dello Stato) venivano stabiliti: un Istituto d’incoraggiamento di agricol- tura, arti e manifatture in Palermo; una Società economica in ogni capo di Provincia; una Commissione economica in ciascun Comune di Sicilia : Società e Commissioni coordinate con |’ Istituto. Alle spese di questo concorrevano: lo Stato, le Provincie, il Comune della Capitale; ed esso, formato d’ uomini notevoli per dottrina e per espe- rienza, adempì, per 33 anni, alla sua missione, con gli studi, con una ri- Vista, coi concorsi a premî per monografie sopra argomenti determinati di pubblica utilità, con le Esposizioni. Se non che (e per noi vecchi liberali è doloroso ricordarlo) dopo la no- stra gloriosa rivoluzione fummo, ahimè! spogliati del beneficio largitoci nel 1831, perocchè un Regio Decreto del 2 novembre 1864 disse: «In luogo e vece del Regio Istituto d’Incoraggiamento, che è disciolto , è istituito un Corpo accademico, il quale, sotto la denominazione di Consiglio di perfe- zionamento, intenda alla diffusione e al progresso delle scienze che s’inse- gnano nell’Istituto Tecnico e delle loro applicazioni, ed eserciti ad un tempo la direzione e la vigilanza dell’Istituto medesimo ». I Decreti nel Regno d’Italia non hanno vigor di legge; tuttavia la tra- sformazione ebbe effetto. L'Accademia, sotto la forma novella, dal lato scien- tifico divenne più teorica che pratica, nè più concorse allo svolgimento eco- _ nomico ed alla prosperità dell’Isola; segnalossi per la diffusione della cultura, ed i più anziani fra noi rammentano le magnifiche conferenze pubbliche onde risuonava l’ Aula Magna della R. Università, dove ì Blaserna, î Tacchini, i Corleo, i Cannizzaro, i Gemmellaro spargevano a piene mani i più preziosi LA FILOSOFIA DELL'IDENTITÀ E LA SCIENZA T' della scienza, e su quistioni di grande momento, nazionali o locali, vano, a dir così, le correnti dell’opinione pubblica illuminata. Anche questa nuova forma accademica non piacque più : un R. Decreto el 31 maggio 1876, n. 3134, costituiva presso l’Istituto Tecnico una Giunta — di Vigilanza, abolendo implicitamente ‘il Consiglio di perfezionamento. t- £ I soci del Consiglio non si persero d’animo a tale nuova iattura, e co- | stituirono l’attuale Società di scienze naturali ed economiche, lo statuto della quale, sotto il nome di Regolamento, fu approvato l'8 ottobre 1883. Or nel secondo periodo della vita del nostro corpo accademico, quello del Consiglio di perfezionamento, Simone Corleo fu Presidente di esso per «anni non pochi, e in gran parte si deve a Lui la fama che l'Istituzione ac- | quistò in tutto il mondo civile. Noi, che ereditammo la ricca, per, quanto . fra tante vicende, poco ordinata biblioteca, i cui tesori, se rimontano al 1831, divennero cospicui dopo il 1864; noi che ereditammo l’alte tradizioni scien- : tifiche della penultima forma, potremmo, rispettando la coerenza, e mostran- doci grati, astenerci dal celebrare il ceutenario di Simone Gorleo ? Come mai, venendo all’altro motivo della celebrazione, come mai l’opera scientifica di Simone Gorleo si può dire inviscerata negl’ intenti del nostro Sodalizio ? Ecco. Corleo fu enciclopedico : filosofo, è creatore d’un sistema, che pare a me la vera Filosofia scientifica, così lontana dal gretto Positivismo, (1) come dallo sterile Idealismo assoluto; naturalista, in Fisica prodigò sua sa- pienza nel volume sui creduti fluidi imponderabili, e nel libro sopra l’inner- vazione; ed in quanto alle economiche discipline, non solo manifestò con- cetti importantissimi sull’ ordinamento italiano delle imposte, ma si deve a Lui la legge sull’ enfiteusi dei beni ecclesiastici in Sicilia, della quale, da soprintendente generale, curò gratuitamente l’ attuazione, scrivendo poi la (1) Ho presente un lavoro di CoRLEo, Le differenze tra la Filosofia della Identità e l'odierno Positivismo, estratto dalla Rivista di Filosafia scientifica, diretta da Enrico Mor- selli, serie 24, anno V, vol. V, febbraio 1887. . 8 PIETRO MERENDA istoria dell’opera compiuta, e di guesta additando i benefici venuti alla agri- coltura siciliana. Oggi, iniziando la celebrazione, spero di dimostrarvi che il sistema di Lui debba considerarsi come la vera Filosofia scientifica ; per gli altri rami del sapere, nei quali Egli impresse orma profonda del suo genio, e che entrano direttamente negl’intenti del nostro Sodalizio, spero che i colleghi competenti, ai quali mi sono rivolto, vorrano fare uno studio simile al mio, e presentarvelo. Corleo abbraccia la Filosofia universalmente, cioè come la scienza del- l'umano sapere. Perchè la Filosofia possa bastare ad un compito così grandioso, Egli ha | creato un sistema. Direte che i sistemi filosofici ce n’è a centinaia. Vi prego di non giudicare affrettatamente, e d’esaminar meco sopra quale terreno Egli ha. posto il fondamento del superbo edificio, ed in che consiste questo fon- damento. Comincia osservando él pensiero come si presenta, e raccogliendo ciò che in esso si presenta, senza nulla presupporre. Trova che v hanno parvenze le quali, senza che noi vi riflettiamo, e senza il concorso della volontà no- . stra, identicamente si presentano. Così è di tutte le percezioni sensitive esterne, e di tutte quelle che riferiamo all’interno del corpo nostro. Questa parvenza, che s’ identifica con la precedente, chiama pure percezione com- plessiva ed irriflessa. 2° 0° Or, date due parvenze, non saremmo in grado di distinguerle se esse fossero talmente identiche fra loro da non recare elemento veruno non iden- tico, mercè del quale sceverar si potesse questa istessa dualità loro, per lo meno in ragione di successione di tempo; ed il fatto primitivo del pensiero si presenta come un fenomeno in parte identico ed in parte non identico : così siamo in grado di riconoscere tanto l’identico quanto il diverso. Oltre a questa prima legge d’identità, che consiste nel presentarsi iden- ticamente tutto ciò che identicamente si presenta, e diversamente tutto ciò che diversamente si presenta, v’ha una seconda legge, la quale risulta dallo stesso identico e dallo stesso diverso, che, a mano a mano, per le nuove parvenze, "| LA FILOSOPIA DELL’IDENTITÀ Y LA SCIENZA 9 "diventano più distinti, sicchè appaiono, in un secondo momento, come com- | plessi formati di parti che prima pur erano, ma non apparivano ; e questa | seconda specie è l’identità del tutto con le parti che lo costituiscono. ‘Non pare anche a voi che identità e diversità siano in natura, e che le — due leggi di Corleo si trovino negli oggetti esterni a noi e nel corpo nostro, È. ed, in virtù della nostra organizzazione medesima, tali e quali si rappresen- EN tino nel pensiero ? ; Le medesime leggi d’identità fan riprodurre le nostre percezioni e qual- siasi pensiero nostro : la parte richiama le altre rappresentazioni parziali, benchè diverse, che compongono l’identico totale precedente. Questa legge d’ associazione impera tanto nello stato spontaneo quanto nello stato riflesso, ossia del ripiegamento dell’ intelletto sopra le percezioni spontanee, il quale, illuminato dall’attenzione, può avvenire così accidental- mente come per opera volontaria. Così, lavorando sopra lo stato spontaneo, ha effetto la sintesi e l’analisi riflessa delle percezioni. Sopra la stessa legge d’identità è fondata l’astrazione, che, insieme alla libertà morale, distingue radicalmente Vl uomo dai bruti. L’ identico, rappre- sentandosi in gruppi diversi, diviene punto tipico di rappresentazione per tutto ciò che lo somiglia, e punto differenziale per tutto ciò che nol somi- glia. Dalle frequenti ripetizioni del punto identico in mezzo a gruppi diversi, sorge l’ isolamento, l’ astrazione dell’ identico da tutti gli altri elementi. coi quali si trova unito, e che non lo somigliano. Così ci rappresentiamo, per esempio , i colori diversi, indipendentemente dagli oggetti colorati; così ci rappresentiamo il colore senza più riferirci nè al bianco nè al rosso ; e, pro- cedendo per astrazione del punto comune fra astrazioni simili, andiamo sa- lendo verso astrazioni sempre più elevate: qualità, sostanza, essere. Ci possiamo rappresentare gli oggetti intieri, ci possiamo rappresentare le astrazioni isolate, ci possiamo rappresentare complessi astratti da gruppi diversi e di percezioni o di astrazioni. Tali concepimenti riflessi sono ap- punto le idee. Queste si posssono anche ricevere bell’e fatte dalla società domestica e dalla civile. Tutte possono anche essere erronee. E siffatta possibilità. può 2 PIETRO MERENDA essere remota, cioè derivante dallo stato spontaneo: si potè la parzialmente somigliante parvenza prendere per somiglianza totale, e così apprezzarla nello stato riflesso. Può essere prossima, nel ritenere ciò che parzialmente è iden- tico come identico totale. FI zi "A Il giudizio è fondato sulla legge medesima della identità totale ed ele- mentare. Il predicato è una parte del soggetto, se il giudizio è affermativo, o non è parte di esso qualora negativo il giudizio sia. Per poter dire che l’ elemento sia o non sia nel tutto suo, è l’ identità che deve rivelarlo. Se ne fa parte, il predicato gli è identico parzialmente con la stessa necessità, universalità, assolutezza ed evidenza onde il tutto, che abbia questi caratteri, riluce. Finalmente complesso di giudizi è il raziocinio, che serve a scoprire in- cognite verità per mezzo di verità note, giovandosi della immaginazione come guida, e della identità come sindacato , nel passare dall’ ipotesi (primo mo- mento dal raziocinio inventivo in cui s'ha la somiglianza, e si sospetta l' i- dentità) alla fèsî (secondo momento in cui si è in possesso della identità totale); ovvero serve a dimostrare il nesso ignoto tra verità conosciute (ra- ziocinio dimostrativo). Ma il passaggio da un giudizio ad un altro è giusti- ficato dalla connessione che deve esistere tra loro, la quale è effetto della identità totale o parziale che essi hanno con un giudizio di maggiore esten- sione, che tutti li abbraccia, ed è identico con essi come il tutto è identico con la somma delle parti. Pur troppo l’errore si può insinuare anche nei giudizi e nei ragionamenti : basta prendere l’identico parziale come identico totale. Nella Filosofia e nelle altre scienze evita lo errore il metodo, cioè quella disposizione che si dà al complesso dei giudizi ed ai ragionamenti, sia per esporre sia per. dimostrare, sia per avviare alla ricerca o del fatto ignoto o della legge che governa il fenomeno; e non può avere altro scopo che non sia quello di condurre all’ identico totale per mezzo di tutti i parziali suoi, od ai parziali mediante la decomposizione del totale loro. Così la legge della identità diventa una regola. Sul terreno dell'identità Corleo fonda il suo edificio filosofico. Non pare di: se le ddr soprastanti son buone, e la Hi pbriga ubbidisce al pre- » cetti della statica ? ADE passo innanzi. Il Filosofo di Salemi applica alle idee metafisiche la | regola della identità. Senza di esse, noi ci ridurremmo a conoscere unica- “mente le sensibili cose. Tutti facciamo uso continuo delle idee metafisiche : sostanza, causa, essere, tempo, atomo, forza, e via discorrendo. Le idee metafisiche son composte di elementi presi dagli oggetti osser- vabili, interiori od esterni, mediante Al astrazione e la sintesi degli astratti; però i unione di tali elementi in un sol tutto, non solo non è mostrata di- rettamente dall’osservazione, ma non potrà esserlo giammai. Tali oggetti e relazioni si legano strettissimamente cogli esseri e con lo stato degli esseri che osserviamo; ma noi li argomentiamo dalle cose e dai fenomeni mondiali, con i quali sono connessi; onde coteste idee riescono positivo-negative : po- sitive, per.la parte che assicura l’esistenza reale di quegli esseri e di quelle » P Db relazioni; negative, per la parte che negar deve la rassomiglianza loro con gli altri esseri e con le altre relazioni sensibili, mediante gli elementi dei quali siam costretti a formarcele, e con il linguaggio onde dobbiamo esprimerle. Per giustificarle, il nostro Filosofo reputa necessario esaminare se siano esatte le idee madri di sostanza, fenomeno, potenza, atto, causa ed effetto, idee madri dalle quali dipende che abbiamo delle idee metafisiche. Or v’ha una idea prima, dalla quale nascono, per necessaria filiazione, tutte l’altre: quest'idea è quella di sostanza, la più feconda di conseguenza in Filosofia, e, per influsso suo continuo, in tutte le scienze. La sostanza, secondo il comune modo in cuì va intesa, è ciò che sus- siste per sè, e serve di soggetto d’inerenza agli accidenti. Consta di tre ele- menti: il noumeno, che non comparisce, e che sta sotto di lei; il fenomeno, (l’accidente) che comparisce; la potenza, della quale il noumeno è dotato per effettuare il fenomeno : sicchè il noumeno produce il fenomeno, ed, attuan- dosi, lo sostiene. x E esatta questa idea? Per essa l’uno, mentre è una unità non plurale 19 PIETRO MERENDA nel tempo istesso contiene in sè il plurale, perchè ba il potere d’ emetter Rua fuori il plurale, che prima non era, e di sostenerlo su di sè. Così l’identico è nel tempo stesso non identico, e può da sè farsi diverso, emettendo la diversità dal seno suo. Poichè questi elementi dell’idea sono contraddittori, essa non può esser vera, La sostanza non può contenere nè sviluppare potenza veruna per pro- durre o sostenere qualche cosa diversa da sè: essa non può essere che atto, quello che è, sempre atto identico ed invariabile. Il fenomeno pertanto è ‘atto anch'esso, e non può essere potenza, nè sviluppamento di potenza. Co- me #l più non è la estrinsecazione o la produzione dell’uno, ma è una som- ma di unità congiunte insieme, così il fenomeno è l'insieme delle sostanze, ed è esattamente identico con esso. Conseguenza prima di questo teorema: la sostanza, ossia |’ atto sostan- ziale, dev'essere intransitiva, essendo un atto sempre identico che nè passa nè muta: ciò che muta e passa, cioè il fenomeno, è la forma della pluralità e la composizione sua. Conseguenza seconda : la potenza non può essere il germe d’atti diversi esistente nell’unità, o nella sostanza. Essa è per essenza composta e plurale. significando la possibilità degli atti sostantivi a disporsi in gruppi e modi diversi, ed a formare diversi risultamenti. Conseguenza terza : l’azione vuol essere considerata sotto due differeuti aspetti: 1° come semplice, sostanziale, immutabile ed intransitiva, la stessa sostanza-atto; 2° come complessiva e fenomenica, risultante dalle azioni sem- plici sostantive od elementari; quella appunto che cangia e si commuta in ragione delle variazioni che il composto subisce, sia nel numero, sia nella rispettiva posizione degli elementi: mentre ciascuna sostanza è impenetra- bile e non s’effonde al di fuori, l'insieme degli elementi è identico alla somma degli stessi, e perciò l’ azione complessiva muta, com’ essi mutano nei rap- porti loro. Applicando la regola dell’identità, e la rettificata idea di sostanza, e quelle ad essa correlative di fenomeno, potenza ed azione, Corleo passa a correggere le idee di causa ed effetto, di spazio e di tempo, @' ente reale e LA FILOSOFIA DELL’IDENTITÀ E LA SCIENZA 13 possibile, d’essenza, cdi necessità ontologica, di contingenza, d’assoluto logico e d’'assoluto ontologico, tutte più o meno inesatte per influsso della sostanza potenziale; e seguita compiendo lo studio del pensiero e delle leggi che lo governano, delle idee, degli esseri in generale. Di qui, deducendo, e corro- borato dagli studi vasti suoi in Fisica, Fisiologia, Teologia e Morale, e sem- pre valendosi della rigorosa regola dell’identità, costruisce il resto del siste- ma, nella Cosmologia, nella Teologia, nell’Antropologia, nella Sociologia. Risultamenti sono: 1) la reale esistenza del fuor di me, e quindi il parallelismo tra il mondo esterno e l'interno; 2) la determinazione delle leggi che governano la materia, così inor- ganica come organica; 3) la necessità che il molteplice si connetta con l’Uno eterno, non po- tendo il mondo essere senza principio; 4) l’esistenza nell'uomo d’ una sostanza collaborante con gli elementi materiali, sostanza di natura diversa da questi (lo spirito); 5) il dovere, come azione a fare in conformità all’umana natura, presa questa nel senso di ciò che è identico alla conservazione ed al perfeziona- mento dell’individuo e della specie; 6) la società domestica, civile, politica, necessarie all’esistenza ed allo sviluppo della persona umana. Da ultimo, nella Sofologia, è studiata la connessione, nella Filosofià, di tutte le scienze fisiche, metafisiche e morali, e s’addita il metodo generale che può aiutarle alla ricerca del vero ed al conseguimento della certezza, e com’esso debba variamente atteggiarsi secondo i diversi rami dello scibile. È eccessivo affermare che questo sistema ‘filosofico sia da considerarsi come la, vera Filosofia scientifica, e quindi non disdicevole a naturalisti ? [Il sistema è fondato sul terreno dell’identità, e la regola dell’identità ne governa tutto lo sviluppo; onde i ragionamenti del Filosofo di Salemi sono d’un. rigore che soltanto la Matematica, che vi è tanto cara, può emulare. Passiamo più specificatamente alle fondazioni che basano sopra questo terreno. PIETRO MERENDA ‘ L’idea di sostanza com’è stata corretta da Corleo, è appieno conforme ai risultamenti delle scienze fisiche. Non bisogna dimenticare che general- mente gli antichi credevano, in base ad un’osservazione imperfetta, che quattro elementi o corpi semplici componessero la materia : aria, terra. acqua. e fuoco ; or siccome ognuno di cotesti elementi appariva produttore di fe- nomeni diversi, era quindi una sostanza, soggetto d’inerenza, potenza feconda di più accidenti. Logico, naturale che nella mente dei filosofi nascesse ana- loga idea metafisica, nè più nè meno concordante con le dottrine della scienza bambina d’allora. Nè si dica che fuori della Terra l’osservazione grossolana dei fenomeni naturali volgesse ad idee diverse da questa le menti assetate di sapienza. ll Sole, sino a Galileo, fu creduto immagine incontaminata di purezza, e considerato come incorruttibile : tipo di sostanza, di cui il moto attorno alla Terra ed i fenomeni della luce e del calore erano gli accidenti. Ciò che fu creduto del Sole fu pur creduto delle Stelle. Quell’idea di sostanza adesso non si regge più di fronte alla scienza at- tuale. Ciò che prima pareva semplice, s'è trovato composto. Ogni elemento ha una propria natura immutabile, ed un’azione propria: è quello che è; non isviluppa potenze, non dà luogo a fenomeni diversi: la composizione degli elementi ha potenza di produrre i corpi, varî, non solo in ragione dei com- ponenti, ma anche della posizione loro. Onde le sostanze componenti sono azioni, ed azioni le composte. Degli atomi s'è potuto determinare il peso, e la graduale modificazione delle proprietà fisiche e chimiche col variare del peso. N’è venuta la disposizione degli elementi in ordine crescente di pesu atomico, e la collocazione ad intervalli determinati di elementi analoghi per le proprietà loro; n’è seguita la meravigliosa compilazione d’un quadro, nel quale si vede che il complesso delle proprietà di ciascun elemento è in re- lazione col posto ch’ esso occupa nel sistema periodico. Da ciò il miracolo d’osservare dei posti ancora non occupati, e di divinare l’esistenza d’elementi ignoti tuttavia, i quali furono di fatto scoperti dappoi. . Tutte queste risultanze scientifiche relegano fuori uso la vecchia idea metafisica della sostanza potenziale. Guai se i chimici si valessero di lei! LA FILOSOFIA DELL’IDENTITÀ E LA SCIENZA 145, E ciò che s’è detto dell’idea di sostanza in rapporto alla Chimica, si potrebbe ripetere di lei in rapporto con tutte le scienze; ma non occorre, pe- rocchè quando una teoria filosofica come quella di Corleo sulla sostanza si trova applicabile alle parti della materia in mezzo alla quale noi viviamo, ei pare evidente ch’essa risponda a verità. Nè vale osservare che siamo in presenza d’una vera rivoluzione scien- tifica : la scoperta dell’elettrone. L’atomo non sarebbe più indivisibile, avrebbe gli elettroni come parti costituenti: siamo nel regno degli invisibili immen- samente piccoli, andiamo verso la capitale. Neanco l’ elettrone sarebbe una sostanza potenziale: tutti gli studi fatti sin qui lo dànno come sostanza-atto, senza potenzialità. i Dalle quali considerazioni è lecito dedurre che la perfetta corrispondenza della parte fondamentale di questo sistema con lo stato della scienza attuale, dà diritto ad affermare che la Filosofia di Corleo sia da considerare come la . vera Filosofia scientifica. Nè a siffatto giudizio legittimo mena soltanto questa perfetta corrispon- denza; e, a convincervene, se non temessi di sorpassare i limiti, che mi sono imposti, vi esporrei gli ammaestramenti sul metodo, che Corleo dà nella Sofologia, e sarei tentato perfino di riprodurre ciò che egli scrive sopra quest’argomento in rapporto alle scienze fisiche. Poichè il 22 aprile 1924 si compie, e sarà celebrato, il secondo cente- nario della nascita: di Emmanuele Kant, padre famoso del Soggettismo, questa è un’altra ragione perchè, in simile congiuntura, sonori Simone Corleo, che del Filosofo di Conisberga è il contrapposto. 1l 31 agosto 1932 si chiuderà il 1° concorso decennale al premio da con- ferirsi alla memoria più pregevole che sarà presentata sopra i principî fon- damentali svolti nei lavori scientifici di Simone Corleo. Lasciatemi concepir la speranza che ad uno dei nostri soci tocchi l’onore della vittoria ! 7 marzo 1924. Pietro MERENDA lat / Determinazione della latitudine dell'Osservatorio Astrono- mico di Palermo fatta col metodo di Horrebow-Talcott © Determinazioni precedenti È Le' determinazioni della latitudine dell’osservatorio di Palermo eseguite dalla sua fondazione sono le seguenti : Piazzi (1) col metodo delle distanze polari adoperando il Cerchio di di Ramsden ottenne nel 1791 92 Palli = 380 6° 44,0 | nel 1793-94 (2) | p= 38° 6° 45/5. Rifatti i calcoli con le posizioni più esatte delle stelle adoperate ottenne = 38° 6° 44/4 ma concluse poi col primo valore ottenuto, p= 380 6° 44' 0. RaconA (3) ripetendo le osservazioni di Piazzi ottenne nel 1855, per il centro del Ramsden i = 38° 6° 40,8 (*) Memoria presentata dal socio Prof. Filippo Angelitti, Direttore del R. Osservatorio Astronomico di Palermo, nella tornata del 6 Giugno 1924, accolta per la stampa dietro fa- vorevole parere d’una commissione composta dei soci: Filippo Angelitti, Corradino Mineo e Michele De Franchis (Il Presidente: Prerro MERENDA). (1) Della Specola Astronomica. Libro IV, pag. 163. Palermo MDCCXCII. (2) » » » Libro V, pag. 131. (3) Giornale Astronomico e Meteriologico deì R. Oss. di Palermo un. 63-64, vol. III. 1859, 3 18 VITTORIO STRAZZERI e nel 1859 adoperando il Circolo Meridiano di Pintor e Martins con una- serie di distanze zenitali = 38° 6° 42,67 per il centro del Meridiano e «= 38° 6' 42” per il centro del Ramsdem. TaccHINI (1) con lo stesso Circolo Meridiano e con osservazini di Nadir e della 61 Cygni, ottenne nel 1867, p= 38° 6' 44,24 per il centro del Meridiano. Zona (2) con misure di distanze zenitali, mobilizzando uno dei cerchi del Circolo Meridiano concluse nel 1884 col valore = 38° 6' 45,59 per il centro del Meridiano e o = 38° 6’ 44,9 per il centro del Ramsden, e poi (3), nel 1891 con uno strumento di passaggi della casa Bamberg si- tuato nel primo verticale, i o = 38° 6' 44,0 per il centro del Ramsden. Strumento e stanza di osservazione ‘ Lo sirumento zenitale di Wanschaff è collocato nella torre nella quale era impostato l’antico circolo verticale di Ramsden. Esso è del noto tipo di piccolo modello con cannocchiale di mm. 80 di apertura e m. 1 di distanza focale; differisce dagli altri consimili per avere il cerchio verticale intero e graduato per tutta la circonferenza. Il micrometro è formato di due telai uno fisso e l’altro mobile, condotto da una vite micrometrica con la testa divisa in 100 parti. e Il telaio fisso porta 5 fili orari ed altri 4 disposti in senso normale ai primi; due di questi sono situati nel centro del campo e distano fra loro di circa 24 parti della vite micrometrica, cioè di circa 12, e gli altri due limi- tano il campo utile del cannocchiale. ‘(1) Bullettino Metereologico del R. Oss. di Palermo. Anno IV, vol. IV, 1868, pag. 25. (2) Zona, Nuova ricerca sulla latitudine di Palermo. — Pubblicazioni del R. Oss. di Palermo. — Vol. III, pag. 71. Anni 1883-84-85. (3) ZonA, Lat. del R. Oss. di Palermo. Pubblicaz. del R. Oss. di Palermo, Vol. V, 1883. 19 | DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE ECC. Le rivoluzioni della vite micrometrica si leggono sopra una laminetta seghettata i cui denti distano fra loro appunto di una rivoluzione; questi sono in numero di 20, distinti di 5 in 5 con una intaccatura più profonda. + Il telaio mobile porta. 11 fili equidistanti fra loro di due rivoluzioni circa della vite micrometrica. Questi fili si mantengono PIREO ai fili orari del telaio fisso. La sala di osservazione è circolare di diametro all’incirca di m. 4 ed è sormontata da una cupola metallica girevole, che presenta una fessura dia- metrale di cm. 70 di larghezza. i Nella stanza si trovano un barometro di Ceccarelli, tipo Fortin ed il pendolo Frodsham n. 2060. i L’illuminazione si ottiene per mezzo di lampadine elettriche alimentate dalla corrente stradale. Distanze dei fili del reticolo mobile Per le distanze dei fili del reticolo mobile si sono osservate stelle alla elongazione orientale ed a quella occidentale. La fessura della cupola e la custodia del cannocchiale si aprivano mez- z'ora prima d’iniziare le osservazioni. Cinque minuti prima del tempo calcolato dell’ elongazione della stella sì puntava lo strumento in azimut ed in altezza. Eseguita la puntata in altezza si fissavano le livelle definitivamente al cannocchiale, si chiudeva la vite del braccio, che lega il cannocchiale al piede, e poi con la vite di richiamo per i piccoli movimenti si centravano le bolle. Quando la stella entrava nel campo si faceva la lettura delle livelle, lettura che si ripeteva dopo aver dati gli appulsi ad occhio e orecchio dei passaggi della stella agli undici fili del reticolo” mobile. Dalle prove eseguite risultò che le livelle rimanevano immobili durante la ‘ osservazione salvo lo spostamento di qualche decimo di parte nella livella inferiore, si è perciò pensato di eseguire più di una serie di 11 appulsi sulla stessa puntata e con la stessa stella, per cui si è proceduto come segue. Si puntava il cannocchiale in distanza zenitale con una differenza di 20° in più o in meno della distanza calcolata, secondo che la stella era all’elonga- zione orientale o a quella occidentale. VITTORIO STRAZZERI Si sceglieva questa differenza di 20’ perchè, la distanza del filo I al filo XI essendo di 17’ 13, rimanesse il tempo di leggere le livelle dopo la prima serie di 11 appulsi e di rimettere con la vite di richiamo il cannoc- chiale in posizione tale da fare un’altra serie di appulsi. ar % Non si è mai trascurato di leggere le livelle dopo la prima serie di ap- pulsi, per accettarsi dell'immobilità del cannocchiale durante l'osservazione, Si ciò che si è sempre verificato. | Si sono fatte due o tre serie di 11 appulsi, secondo che il tempo calco- lato per l’elongazione capitava più vicino al sesto appulso della prima serie o al sesto appulso della seconda serie. Con qualche stella fu fatta una sola serie di 11 appulsi e con una sola ne furono fatte quattro serie. i Le serie di appulsi fatte su una stessa stella e perciò con la stessa puntata furono trattate come se fossero state un’unica serie fatta per un re- ticolo di ampiezza maggiore. | Le correzioni adunque apportate nelle misure sono state quelle relative alla curvatura ed alla rifrazione e queste s’ intende in funzione della di- stanza zenitale della stella alla sua elongazione. Diamo un esempio di riduzione relativo ad una stella con la quale si fecero tre serie di appulsi. . Il significato dei simboli è il seguente : % app. Èapp. indicano l’ ascensione retta apparente e la declinazione apparente della stella al 1 ottobre 1923, t l’angolo orario per l’istante dell’elongazione, . a, z lazimut e la distanza zenitale, c la correzione del pendolo, e quindi T=0app. +t+c il tempo segnato dal pendolo all’istante dell’ elon- gazione, — 200 i @ il tempo dei passaggi, . K la correzione per la curvatura da apportare al log [8 - ©) cos è in ‘unità del quinto ordine decimale (1075). - DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE ECC. PNSSE MVP:TO 1 Ottobre 1928 — Osservazione di una stella all’ elongazione West. Pendolo di Frodsham N. 2060. Cerchio ad Est. QE dg h s' ‘ o) : é Diaconis 3,0% & p= 17 832,3. è ap == 05 48_ 58" (0) h mos da, (o) ; h m s t=437 29,7 a=3123" 2=4775' T=amp+t+c=214722,8 cos è—|9,61243] log (0 — T 0-T gl Distanza | Distanza 0g ( | K[( ) cos na) "a | media str.log cos Ò K filo VI]dal filo VI 0 FILO | Tempo |9—-T [log (0-1) dei passaggi i e—_—__- _ | XI 91 42 36,4] — 280,4] 2, 45697n |2, 06940n | 4[— 117,317] 34,363 X _ 52,9 268,9] —43120n 04363 | 4| 110,358] 27,604 IX 45 9,8 253,0] 40312 01555n | 3] 103,638] 20,684 VIII 26,8 936,0] 37291n | 1, 98534n | 3 96,674] 13,720 VII 43,9 219,6] 34163n 95406n | 3 89,956 7,002 VI 44 0,3 202,5) 30645n 91886n | 2 82,954 0,000 V 16,9 185,9] 26928n 887711 | 2 16,153 6,301 Do IV 33,7 169,1) 22814n 84057n | 2 69,277] 13,677 be III 50,3 152,5] 18327n 79570n | 2 62,471] 20,485 Il 45 6,9 135,9] 13322 | ‘| 74565n | if | 55,672] 27,282 Il 48,584] 34,370 | I 24, 92) — 118, 6 07408n 68651n XI 47 45,6] + 22,8|1, 35793 [0, 97036 | |+ 9,340| 34247| 34,301 x 48 19 391) 59218 |1, 20461 16,018| 27,569] 27511 IX 189) = 56.11 74896 | 36139 22983] 20,604| 20,616 VIII 35,8 730) 86532 | 47575 29,905] 13,682| 13/653 VII 52.6 = 898| 95328 | 56571 36,788 6,799 6,893 VI 49 92) 106,42, 02694 | 63937 | i] 43,587] 0000) 0,000 V 25,9 1231) 09026 | 70269 | 1] 50489 6,842] 6883 13 IV 42.6] 1398) 14551 75794 | 1 = 57270) 13.683| 13,793 | IL 597) 1969 19562 | 80805 | 1] 64274| 20,687| 20/647 IL 50 162) 1734) 23905 | 85148 [2] 71033) 27446| 27/458 I 329] 19041) 27898 | 89141 | 2) 777873) 34286] 34380 ii. XI 5I 43,0 26022, 41531 |2, 02774 | 3| 106,588| 34,321 | 3° 52 0.0) 2772) 44279 | 05522 | 4 113,546 27,361 pe 16,6] 2938] 46805 | 08048 | 4] 120,348) 20,561 VIII 337) 3109 49262 | 10505 | 4| 127353| 13,556 VII 50,0 327,2) 51481 12724 | 4| 134030) 6,879 | VI 53 6,8| 3440) 53656 14899 | 5Ì 140909 0,000 vVE 238/3641) 55713 | 17006 [5] 147914 7005 IV | 410) 3789) 57772} 19015 |5| 154917) 14008 Il 575 394,7| 59627 | 20870 | 5| 161,678] 20,769 II 54 14,3] 4115) 61437 | 22680 | 6| 168554 27/645 I 310 + 4289] 63165 | 24408 | 7|+ 175,392] 34483 27 VITTORIO STRAZZERI Chiamata iu la correzione media per la rifrazione espressa in secondi d’arco per una differenza di 1° di distanza zenitale, quelle per 15 sarà 15 de | | 60.60 dz — e quindi la stessa correzione espressa in secondi di tempo sarà I da 60.60 dz’ Indicando adunque con a la distanza osservata di un filo dal filo VI la correzione c da apportare a questa distanza sarà a_dr 3600. dz’ Assumendo per distanza del filo I dal filo VI la media di quelle osser- (gi, == vate (vedi il quadro seguente), la correzione da apportare a questa distanza per la rifrazione sarà perciò o 28,345 iv ar NSD: naro dra IE e=l+ | ) 600 dr = 3600” de = 17.98082] 77 = 0008557 7 Riportiamo nella tabella seguente i valori di c, relativi ai vari fili, cal- y ‘solati in modo analogo. Filo loge 7,98032 0,00956 7,8833100 0,00764 -_7,75862 0,00574 7,58295 0,00383 7,28232 — 0,00192 7,28021 0,00191 7,58197 0,00382 7,75824 0,00573 7,88331 0,00764 7,98050 0,00956 f DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE ECG. ©» i 93 ; È Dear) de 1 Considerando che il massimo valore di dz P®' le stelle osservate è quello relativo alla t Ursae minoris (z2= 50°.43*), che è di 2,5, dal quadro precedente si scorge che limitandosi alla quarta cifra decimale le correzioni relative ai due fili di ognuna delle coppie (V, VIT), (IV, VIII), (LIE, IX), (U9:9A (I, XI) sono da ritenersi uguali, anzi che dette correzioni ordinatamente sono multiple di quella relativa al filo V secondo i numeri 1, 2, 3, 4, 5. Nella prima colonna del quadro seguente sono registrate le date delle osservazioni, À i I nella seconda i nomi delle stelle osservate all’elongazione, nella terza, nella quarta e nella quinta ordinatamente la grandezza ; l’ascenzione retta e la declinazione apparente, i nella sesta il numero p delle serie di misure eseguite sulla stessa puntata, e nelle altre colonne le medie delle misure, eseguite sulia stessa puntata del cannocchiale, delle distanze dei fili I, II, III, IV, V, VII VITI, IRON dal Vil | Alla base del quadro è riportata per ogni filo la somma [pw] delle parti decimali di tutte le: misure eseguite, corrette per la curvatura, poi la somma [pc] di tutte le correzioni relative alle rifrazioni da opportare alle singole misure della sua distanza dal filo VI ed infine la media w__[Pw]+ pe] p] delle distanze dei fili dal filo VI, corrette perciò per la curvatura e la ri- frazione : pa “[fice Joss foso esa Joe : Oz po | « LIL 280 |[6o6 59 [aos [eso [eta [ag ‘8860 H 96 | 01 919 000 ‘2 [898 [Giz [Gc [966 i pil ‘OI 2 « EL9 28 foes [loco |ree o [08 E IUSA EE 979 19. [228 [zoz [oz |198 ‘ORI(I d L89 928 [ess [ogo [ove [ere ‘Ue H 61 L69 (98 |ozz ‘81081 [167 |ISE We) H 6 689 L18 [ero *rifiso = [reo [886 9IL ID teo [Ges 988 |ezo [ecc [27 |sog 61 IUS£O I 67 [019 c6 Sez [oz |L6G [997 LI OB © 19 gio. 8819 fog£ |LSG [06S [egg GL N PA ORI d ep [ese Igo *L |oos |Loz [SwG [SI 89 UNGRONZIT | ‘otig J Cw [FIL GIG |99, [Ig [697 c9 LI ‘eI( 3 OEL |888 | ess |ao [cio |Foy 81 ‘ORI 0 TRN (SLC) 056 |06s [coz [919 89 1] ‘e ® 809 |Eez [608 978 [So |s9e 89 li Ren 'ogIg J 11 [919 |cco ess Joss [272 LI ‘oeIQ 3 60° [OIL |F7EL ces |a | 9L va! ‘UT ‘SIA G gcc [GL |688 926 |ITL [799 99 n UNSAHE| < LE |Il7 [geco [zee 66 [628 [899 [096 69 dA F916 19 LI Lv [seo [ecco [cer [Lez ‘9 [[L16°9 fecz [C99 [616 89 9 DEMEVS |< CLESFE|LEESL0|L9+07|69'-€T|600%£ ||8605L |LELSE1{LL940G|0GS'.LO|87eS7E RR 09 09 | 166 uGE uEI ‘0eiq H GI| I 19S valo Salem malta t'artomt ut 71 sig RIE Ramon ez, aa BUOIZEIJII P] J0d 1}}BLIOO UOU JJEKOSUEM IP BIP}IU8Z 8jCINODOUUEO |8P ajiqoWi 0]09]aI |8P ii 18P èZUeJSIg (A) z -_ à D i < al < È 13 A (=) a zz 2 N < zi = ci SÌ A a (=) Vritae|1estra|pio or|per'cr[rosto |106%9 [sezie1cootor]pectsararae rt [o a]+ {a dl 862 ‘I [soe T (16 ‘0 [109 ‘0 [coe ‘0 ||20£ ‘0 [109 ‘0 [cre ‘0 [606 ‘I [86 ‘I QUOIZ]IjII è] J0d 1U01Z91109 a][jop ewwog = [9 d] TE ‘a|oro ‘GE|G1g ‘poi ‘fece “09| |1GL ‘G9|68C vel1or ‘G7GCw oelene ‘86| oz = [d] [m_d] 817 9E7 8LE GET L8Y 897 LE 607 687 GGG Gee €8£ 1ee Lee 0Ge 167 Gee #09 989 769 Glo 689 696 LIS, 79 199 86. 008 UYA [6GL 6LL d68 LIL PE6 768 968 L68 688 796 LO6 665 066 €06 |LT8 968 ‘9 |CIL LTO “L [668 #76 ‘9 [#68 000 ‘L |TE8 66 |7SL 668 |OLL G8L: |7OL 7e9 609 GIL 879 |FOL TLG 667 LOL OGG GG 8LY 804 GUY 086 T86 887 CET LOY 696 967 LVY OT 6E GL TS 87 9 G 66 GL 6 6 87 6 66 GL TE 87 99 G. 66 GL 06 66 L9 66 GE I 168 LI 07 0 © 97 97 SI 66 66 1 TE 8 LI 07 06 © LE 96,1 ‘SSB") 07 ‘BI 3 ‘ssen ‘H 96 ‘Urp ‘SIA $ ‘SSe) 07 ‘9BI( 3 ‘sseD ‘H 98 'SSBO EF \ Si ie Y A Q Zi Ls (=) D CE [ri E Dosi i < 2 fl R (2) (cal 4 Si N - < Zi [ani = [e] _ RD E (ca (=) dI M mM Mm mM GI I _ i LIS [796 869 186 TOL (E Tr9 LI8 618 GIL G8 976 68 76 028 168 8eL V78 698 679 VIS GY VALE GGY GET L6Y = GI SI 8 6 GL 96 TI 89 9 8 6L 66 GE I 91 GE LI 0G 6 S SSE) 07 ‘QI J wued ‘H 61 « « LILY P8|WESLe|Lwe«0G|L89"«€ 170649 Di va] 85 | ‘ogg è 698°:9 [LES I|G79'0G|0G9':L0|687'7E 01 ‘NO TTA “A "AT ITII4A AWON BUOIZEIIA Bj Jed 9}}8I109 UOU JJPUOSUEM IP B|E}IU97 S|PIUOOUURA |OP AjiqOUI 0/09I}a1 |8P iI} 19P 22UEISIQ 81 8I IL Ss u SG 10 8I ca s_ u_u e een IX DIA *dde Q *dde Do) S 661 8YedT - - r : delÈ : cane > "a wi Reti Ro e OL n a AREE SER DIE SANTA I SILE O SIEM IE ID A PIA E DS rt | VITTORIO STRAZZERI L’errore probabile di una singola osservazione r e l'errore probabile R- del risultato per la distanza di un tilo dal filo VI sono stati calcolati in base alle formole r = 0,6745 pen , R=0,6745 Vi lessi: fg ARESE Ip] (n_1) - dove adunque p è il numero delle serie di misure eseguite sulla stessa pun- tata, n= 34 il numero delle puntate e v le differenze tra la media A relativa al filo che si considera e le misure eseguite, ciascuna di queste corretta e per la curvatura e per la rifrazione. Diamo qui sotto le distanze A in discorso espresse in tempo ed in archi coi relativi errori r e R. 345 427 27,535 | 6 53,038 20,663 | 5 9,945 13,789 | 3 26,828 6,901 1 43,512 6,867 1 43,005 13,757 3 26,359 20,646 b 9,691 27,531 6 52,962 34441 8 36,615 Le misure fatte ad occhio ed orecchio e ridotte all'equatore sono da ri- tenersi buone quando l’errore probabde di una singola osservazione è infe- riore alla quantità. r 2) 2.04,07c0s*24+2 (3 | L DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE ECC. 97 IS dove è è la declinazione della stella osservata e v è l'ingrandimento del can- nocchiale (1). : Si è calcolato v secondo la formola Paté LO ove R è il raggio dell’obbiettivo e P quello dell’anello oculare, il quale è stato misurato col. dinametro di Ramsden (2). i SI è trovato R=cm. 8 Pic s0:15ì Assumendo per è la massima delle declinazioni delle stelle osservate e cioè per èì= 78° 8' 26" si ha p= + 0,08636. Essendo adunque il massimo valore di r per le misure eseguite quello relativo al filo IX, che è 05,069, le misure concluse sono da ritenersi buone. Studio della vite micrometrica. Un primo studio del valore della distanza percorsa da un filo del reti- colo mobile in corrispondenza a 0,01 di rivoluzione della vite micrometrica, cioè di una parte della testa della vite, si fece col metodo delle coincidenze, portando cioè a coincidere il filo V prima col filo a della coppia centrale dei fili fissi, poi a bisecare questa coppia ed infine a coincidere col filo d. In corrispondenza a ciascuna di queste operazioni, coincidenza o bise- zione, si facevano dieci letture. Lo stesso poi si praticò col filo VI e col filo VII. (i) Albrecht. Formeln und Hulfstafeln fiir Geographische Ortsbestimmungen. Leipzig. Verlag von Wilhelm Engelmann, 1894, pag. 17. (2) MuRrANI, Fisica, Manuali Hoepli, Milano, 1917, pag. 562. VITTORIO STRAZZERI Di queste serie di misure ne furono fatte nove, nei giorni 3 e 4 noyem- bre 1922 e di queste 3 con illuminazione elettrica. Si trovò così che la distanza del filo V al filo VI corrispondeva a ri- voluzioni 2,00988 e quella del filo VI al filo VII di rivoluzioni 2,00086. Sapendo che queste due distanze erano rispettivamente di 1° 43°, 515 ed 1' 43", 007 si conclude che il valore medio di 0,01 di rivoluzione era 103”, 515 200, 988 103”, 007 200, 007 dal filo V al VI — 0”, 5150, e dal filo VI al VII = 0‘, 5148, dai quali valori si scorge che approssimativamente la distanza da due fili corrisponde a due rivoluzioni della testa della vite. Un altro valore di una parte della testa della vite si è ricavato da 25 osservazioni della polare all’elongazione occidentarle, fatte anche per lo stu- dio degli errori periodici del passo della vite nei giorni 19 e 26 marzo e 3— 5 —10 — 12— 17 — 24 aprile 1923 col cannocchiale ad West. Si puntava il cannocchiale in azimut ed in altezza circa mezz'ora prima del tempo calcolato, collocando il filo VI alla rivoluzione DS Quando la stélla si presentava nel campo si leggevano le livelle e preso il "primo appulso quando la stella era bisecata dal filo I si girava la testa della vite di 15 parti, cosicchè il filo 1 veniva a precedere la stella. Quando questa ‘veniva bisecata nuovamente dal filo I si prendeva un secondo appulso e S; ripeteva questa manovra per 27 volte, cosicchè allora la testa della vite era stata girata di parti 15 XX 27, cioè di rivoluzioni 4,05 e perciò il filo VI si trovava alla rivoluzione 12,05. Lette le livelle si riportava il filo VI alla rivoluzione 8° e sì ricomincia- vano a prendere gli appulsi quando la polare veniva bisecata dal filo IV, ripetendo poi la manovra precedente; la stessa manovra poi sì ripeteva col filo VII e col filo X. | Qualche volta si sono presi gli appulsi solo coi fili I, IV, VII e qualche volta solo coi fili IV e VII. Le riduzioni sono state fatte come nell'esempio riportato perla misura DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE 29 delle distanze di fili, oltre l’averci introdotte le correzioni per l’inclinazione- che sono state piccolissime. Che una certa variazione d’ inelinazione dovesse presentarsi era previ- dibile perchè, per es. il 19 marzo il tempo impiegato ad eseguire le quattro serie di misure è stato di 1", 7" e la vite in questo tempo è stata toccata 27 X4= 108 volte. Del resto quel giorno la correzione media per l’inclinazione e per rivo- luzioni 4,05 è stata di 0‘,1658 e quindi per p.15=r.0,15 di 0‘.0061. La prima, la terza e la quinta colonna del quadro seguente intestala - x; danno il numero delle parti della testa della vite a cominciare sem pre dallo zero; la seconda, la quarta e la sesta intestate y; i valori medi corrispon- | denti risultanti dalle dette osservazioni ridòtte in secondi di arco. Xi Vi Xi Vi Xi Vi 7 15| 75911 150 | 7741425 | 285| 147,42408 | 30 | 15,37824 165 | 85,29488 | 300| 155,27361 È 45 | 2295923 180] 93,00042 | 315| 163,91044 | 60 30,77045 195 | 100,91466 330 | 170,76372 75 38,92235 210 | 108,82578 345 | 178,13697 90 | 46,67797 225 | 116,4073v 360 | 185,91759 wu 105 | 54,39763 240 | 124,18017 | 375 | 194.04051 È 120 61,98678 255 | 131,66589 390 | 201,77562 | È 135 66,67024 2701 139,67473 | 4051 209,69167 Se la vite fosse stata perfetta i valori y; dello spostamento del reticolo mobile sarebbero proporzionali ai numeri x, corrispondenti delle parti, d; cui si girava la testa della vite, per cui chiamato con fgg il coefficiente di proporzionalità, due valori x ed y corrispondenti avrebbero dovuto soddi- sfare all’equazione i =oetto: X Riferendosi ad un sistema di assi cartesiani ortogonali, questa equazione w rappresenta una retta di rapporto direttivo tgy. VI'TITORIO STRAZZERI Determiniamo questo rapporto in modo che la somma dei quadrati delle distanze dei punti (x,y) da questa retta sia minima. Supposto noto il valore di fg y la distanza di un punto (x;, y) è uguale a xiS@©Ny — YiCOSy, cosicchè la somma dei quadrati delle distanze di tutti i 27 punti è data da (x;seny — y;cosy) = sen*y.2x;° — sen2y.Lx;y; + cos*y.Ey:. de= Perchè questa quantità sia massima o minima occorre che si annulli la sua prima derivata rispetto a y, cosicchè si dovrà avere sen2y.2x;" — 2c0s2y.Ex;yi —sen2y.Ly; = 0, e quindi QEX:;Yi t = ———_..: 192 và, (x;? Vi) Risolvendo questa equazione si trovano le due soluzioni tgy= 0,5171853, tgy = — 1,9335553, ove i due valori di y sono manifestamente complementari. i È chiaro che questi due valori del rapporto direttivo si riferiscono, il primo alla retta passante per l’origine degli assi, per cui la somma dei qua- drati delle sue distanze dai punti (x; y;) è minima ed il secondo alla retta passante sempre per l’origine degli assi, per cui la somma delle sue distanze dagli stessi punti è un massimo. Volendo calcolare tg x col metodo dei minimi quadrati, dalle 27 equazioni xteg—y=0, - (i=12,....27) si ricava l’equazione normale. tgy.Dx;? == Lx;yi == 0 e quindi si ha iii DINE ; tex — pra . DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE Osservando allora che si ha” " 3 - È Xx= 15ì e ricordando la formola 142434... +n=fnh+1@n+1), si ricava i Za SEO (2a) M6.6930° ove vi è lasciato il numeratore sotto la forma x,y; perchè il il suo valore era stato calcolato nella precedente determinazione di tgy. Così si è ricavato - | toy = 0,517544. Per le riduzioni si è adottato il valore trovato col meiodo precedente, cioè tey = 0,5171883. | Per tener conto degli errori periodici del passo indicando sempre con y il valore corrisponde ad un numero 2 di parti della testa_della vite poniamo y= xtgx + asenx + Bcosx + ysen2x + 3c0s2x ove adunque a, 8, ,è sono delle costanti da determinare. Osservando che per x = 0 deve essere y= 0, si ricava p=—3, cosicchè la precedente si scrive y= xtgy + «senx + B (cosx — cos2x) + ysen2x = xtgy + asena + 9psent sent + ysen2x. Ponendo in questa ei vat (Li. 27) si hanno 27 equazioni, che risolute col metodo dei minimi quadrati daranno ! valori più probabili di a, f, y. 39 VITTORIO STRAZZERI Per calcolare i coefficienti «, f,7 si osservi in queste equazioni |’ argo- Sele dn SI. mento x, che compare nelle funzioni senx, sengcosg ; sen2x rappre- senta centesimi di giro, cosicchè volendo adoperare le comuni tavole loga- ritmico-trigonometriche si deve scrivere al posto di x 360 sar 100 a \ Inoltre poichè si ha An= 15Ì Pr x _3x; LIE l'argomento x; nelle funzioni senx,, sen +#cos4}, sen2x; deve sostituirsi con 9 2 l’altro (336)x;= 5EI. Con questa sostituzione il sistema delle 27 equazioni si scrive asen (541) + 2fsen (271) sen (81°1) + ysen (1081) +-x;itgy— y;=0(i=12....27). Nella tavola seguente diamo i logaritmi dei coefficienti e dei termini noti di queste 27 equazioni. o _ 0 N Sì I a 0 DS - dà n W SN ra © (N {SI 15 è è n O DN Sì 20 [N°] ae entandi i vete PE ne ci La N NS N N N Sì C DS dDOUN [N°] = a=" senb4'i 9,97821 9,48998 9,76922= 0,00000= 9,76922» 9,48998 9,97821 9.90796 = (8 9,90796= 9,97821» 9,48998% 9,76922 0,00000 9,76922 - 9AZI98= 9,9782» 9,90796= BISI 9,90796 9,97821 9,48998 9,76922» 0,00000= 9,76922= 9,48998 bi | 2sen27° sen gf E WWE _——_——tt060—1.r..._._ er Ececwuwuoum—_.. ripe --°_____ 0,24553» 0.04846° 0,00000 9,69897 6,15241 0,04846 944524» 0,30108» 94452» 0,04846 9,15241 9,69897 0,00000 0,0481465 0,24553» 9,69897 9,95270 — 0 9,95270 9,69897 0,24553% 0,04846» 0,00000 -9,69897 9,15241 DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE ECG. (Ge=, sen108'ì 9,97821 9,76922» 9,76922= 9,97821 = (09) 9,97821» 9,76922 9,76922 0,97821" 00) ‘9,97821 9,76922» 9,76922» 9,97821 Spa] 9,97821= 9,76922 9,76922 9,87821» —— 90 9,97821 9,76922% 9,76922: 9,97821 — 90 9,97821" — 9,76922 i== xilgX;—yYi 9,22175 9,13751 9,49693 9,41586 9,12587a 9,11893= 8,80216" 8,87610 9,17452 9,21272 8,60551 8,96624 9,80618% 9,13716= 8,61479» 7,79588» 9,26898 8,54802» 8,43008= 9,07449a 8,99029= 8,97002» 9,47318 9,21048 8,98623: 8,87070= | 9,36652» 9,93615 0,30938" 9,87781n = 3 0,01655= 0,01655 0,42437 9,62409 0,30103 9,13586" 9,624092 9,87781 0,30938 0,30103 0,17065 0,17065 9,13587 9,93615" Rita 0,42437 9,93615 0,30948 9,87781 | 6a 0,01655= 0,01655 Di detto 27 equazioni si è dedotto il seguente sistema normale 13,44105a+ 0,064348 + 0,210417+ 0,26184—=0 0,06434a+26,672508+ 0,13819— 2,51288—0 0,2104144 0,138198+-13,750117+ 0,01742—=0, 34 VITTORIO STRAZZERI . che risoluto ci dà =—0”,0199019 = pe=13,43678 —ce=0”,035101 ty=0",0236678. B= 0,0942701 pa=26,67086 c3=0,024917 53=0,016807 =— 0,0019095 py=13,74611 ey=0,034718 = &,=0,023411 : e—0",12868 —é&=0,086796 dove pe, ps, py indicano ordinatamente i pesi, eg, 5}, 21 gli errori medi, &x, €, $y gli errori probabili dei valori trovati per a, f, x ed infine e l’errore di un’osservazione di peso 1 ed e' l’errore probabile di un’osservazione. Con questi valori di a, 8, y in SE: alla formola go asenx+-2fsen 5 AS 3 +1sen2a, dove come si è detto l'argomento x delle funzioni trigonometriche senz, senz-sen 5, sen2x indica centesimi di giro, si è calcolato il quadro seguente che ci dà in secondi di arco i valori di un numero intero di parti della te- sta della vite a partire dallo zero. aj[op eunoseIO è 27024nddo 2u0rz0U199P e] 9 a7uas4nddD DIL GUO!SUSISV] »7 B| 9 »E ©] ‘E[[9)S eI[op vezapunsb e] ® aUOU ]I 0UEZIOd EUUO]09 » B] ® »] 2] QUOIZEAI9SSO Ip 0ye1os onp ajsonb è raIre[o1 quonsas upenb anp 19N *]SH pe e]eiyoI0UUEI [09 HEI 9100 9] [I 9 JS9M PE e[eiyoo0UUEI [09 776] 21QWU979s g.] 97BAI9SSO 0UOINJ ajsenb 1p fa[[e]S 7] IP QUOIZBAJOSSO ] UO9I 6}RUIWAI9YAP 9)eIS OUOS OIpawi ]ep ISsJ ij auburo 19p azueIsIp ar] OIpaul |ep JIBJO ISSIJ II} anbuio I9p aZ0BISIA 98031 | 689406 | 99zi'oc | 9roL'e7 | cecr'e7 | Geroe7 | ceer'e7 | 7097 | 6SIIL7 | L09497 1660497 | LI6S7 | 1680°7 | OELSF7 | E690477 | 8Gc6m | SI7O(ET | 68647 | cio‘ | GooSIF 8€86°007 | 0997°07 | 97666 | SSC76E | 0€7628E | 882686 | aecsze | o9ggze | coeso | L19759 sogLice | GroGtee | eaLo‘re | Lec17% | Grogtge | soLoge | scosse | aaoo'se | 9897/18 | ecgs‘og OEO7'0E | FIL8°66 | TIFEG6G | 6I18°86 | 78686 | 6LSL°La | SeceLe | 901298 | 268198 | 90297 ESTE | GLEOTO | EOLO | SGIO°EG | coorte | 9s6cte | 99808 | 908618 | Scola | SeLe'og 069008 | 79956I | 9F906I | LE9S8I | 809081 | LESGLI | GISOZI | EESCIT | S690491 | 87FSCI O6E0°GI | GESTI | IFZOTI | L7ISSET | 6800°D | ZIGRGI | OSL6II | ILIFTI | 997601 | 064701 00166 | 00686 | 68988 | OL7TE8 | ere | oIos'z | euzz'9 | reso | teeze | vooge LI89%..E | E8EI.7 | 9SE9€ | TEIN.E | 0669, | cIzo..a | 068.1 | Zeg0,1 | 89150 | 00000 ©) (S) [So] (ca) Z (2) D E [uni E < 3 < n _ Sì] (©) [SÌ 2 9 N >: z ted È fa (cal E = (| 6 8 9 € 7 E % 0 Sepe = 4 61216] *HEYOSUBA\ 9|B}1097 9[BI9IOUUB) JAP BIII]IMIONSIVW ANIA BI[PP BISI BI[P HIBd 9]jop 140]BA VITTORIO STRAZZERI Cann. ad West Palermo 8 settembre 1922 20 37 45,1 10î.0 613237 | > 42.345 119,6 40 5226 | » 53 15,0 542 | 681 433726 |21 1 43 46,0 | 598 62 1544 | > 16 358 101,0 | 1221 50 419 | > 33 482 87.0 | 100,8 24 58 14 | 22 2226 55,8 | 670 20 38 49,6 20 43 46,1 20 54 190 21 2 90 21 16 475 21 33 52,3 22 3 262 45° 032" nm Gephei y Cygni i £ Cygni a Cephei 74 Cygni t Pegasi Palermo 16 ottobre 1922 Nome | g GRES DESIE filo 1 104,9 | 1922 96,0 | 116,9 88,8 | 987 N b m s s 56° 4445" | 23 8 50,0 86,1 61 51 45 > 20 31,4 73.9 12 20 14 » 24 58,0 78,5 IRA 23.9 35,8 23 21 26,6 23 26 16,2 Br.3077| 6,0 4 Gass.| 5,8 70 Peg.| 5,0 o Cass. Cass. e Pisc. 8 Andr. 5,0 2,0 4,0 2,3 0 40 242 052 55 0 58 573 1 526,0 47 5A 50 60 18 1 70 28 34 35 12 46 040 03 >» 5I 248 » 58 443 15 6,0 30,4 54 64,7 30,4 45,1 25,2 T4A 49,8 60,0 45,7 2.6 54,9 Nel quadro seguente diamo le distanze dei fili del medio di esso, dedotti dagli appulsi qui sopra riportati ed infine le distanze medie e gli errori pro- babili, che sono stati calcolati con la nota formola, R=0,6745 Ù tri n(n—1) R=Ecr. Prop.| + 0,029] + 0,027 | +0,041 | + 0,030 | + 0,032 | DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE, ECC. Nome filo 1 DR 3 4 5 a Cygni +19711| + 9954 | +0411 | — 10265 | — 19810 ‘n Cephei 20,285 10,035 | +0,358 10,035 20,285 y Cygni 20,283 9,770 | — 0,212 9,967 19,875 € Cygni | 20,150 10,134 | -+0,116 10,264 | —20,136 a Cephei 19,930 10,100 | -+0,140 9,914 20,246 74 Cygni 20,205 10,409 | +-0,306 10,104 20,052 : Pegasi | 20,072 9,918 | +0,129 9,936 20,181 Br. 3077 19,873 10,000 | +0,077 10,232 19,718 | 4 Cassiop. 20,193 10,054 | +0,151 10,272 20,127 70 Pegasi 19,977 10,217 .| — 0,332 10,101 19,772 ‘o Cassiop. 20,074 10,104 — 0,121 9,983 19,980 |. y Cassiop. 20,175 10,167 | -+0,060 9,751 19,907 | e Piscium | © 20,008 9,994 | — 0,218 9,836 19,949 B Andr. 20,033 9,820 | -+0,098 10,033 19,919 Media 20,069 10,048 | -+0,068 10,049 19,997 Determinazione della sensibilità delle livelle. Le due livelle di Talcott sono graduate l'una da 0 a 40 e l’altra da 50 a 90. Per le determinazioni dei valori angolari di una parte di ciascuna li- vella si dirigeva il cannocchiale verso una canna fumaria distante più di tre chilometri, facendo si che i due centri di bolla delle livelle si trovassero spo- state dai punti medî di graduazione, cioè da quelli segnati rispettivamente con 20 e 70, senza che però le bolle si appoggiassero. Si faceva allora coincidere uno dei fili del reticolo mobile con lo spigolo della cornice di detta canna fumaria. Si leggeva allora la testa della vite, si ripeteva questa coincidenza e la lettura corrispondente per cinque volte; la- sciati trascorrere un pajo di minuti si leggevano le livelle. 38 | VITTORIO STRAZZERI Così si veniva ad avere in corrispondenza ad una posizione dei centri di bolla una posizione della testa della vite, data dalla media delle cinque letture. i ; Allora con la vite di richiamo del braccio si girava il cannocchiale di tanto che i centri di bolla venissero a trovarsi da banda opposta, rispetto ai centri di lettura 20 e 70, con le due posizioni precedenti. | Mediante la vite micrometrica sì portava allora a coincidere lo stesso filo del reticolo mobile, dianzi adoperato con lo stesso spigolo di cornice e si ripetevano le cinque letture della testa della vite e poi si leggevano le livelle. | In questo modo si veniva ad avere in corrispondenza ad un’altra posi- zione dei centri di bolla un’altra posizione della testa della vite. ‘ La distanza dei centri di bolla nelle due posizioni osservate veniva per- ciò a corrispondere alla differenza delle due letture della testa della vite, cosicchè dividendo questa differenza, ridotta in secondi di arco, per i nu- meri delle parti , che indicavano le due distanze dei centri di bolla si ave- vano il valore di una parte di una livella ed il valore di una parte dell’altra. Di queste osservazioni se ne fecero 12 nei giorni 17 e 24 novembre 1922. La tavola che riportiamo dà i valori medi di centesimo in centesimo di parte di ciascuna livella, fino ad una parte. Per questa determinazione si sono fatte solo 12 misure, sia perchè nelle osservazioni di latitudine si è avuta sempre cura prima del passaggio delle stelle al meridiano, cioè dopo l’inversione del cannocchiale di rimettere, per quanto il tempo disponibile lo permettesse , le bolle delle livelle in centro, ragione per cui le correzioni d’inclinazione introdotte nel calcolo delle lati- tudine quasi sempre furono inferiori ad una parte, sia ancora perchè la de- terminazione fatta nel settembre 1906 diede valori differenti da quelli rica- | vati in questa determinazione di appena 0‘,001 in più per una parte della prima livella e di 0,002 per una parte della seconda. Per l’altra determinazione fatta nel luglio dello stesso anno 1906, e perciò con una temperatura molto più alta, queste differenze salgono rispettivamente a 07,058 e a 07065. — DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE ECC. I. Livella divisa da 1 a 40. P.1=1",082 P_|0,00| 0,01 | 0,02 | 0,93 | 0,04 | 0,05 | 0,06 0,07 0,08 | 0,09 ‘100| 0,108{ 0,119| 0,130] 0,140] 0,151] 0,162] 0,173{ 0,184| 0,194| 0,205 200] 0,216) 0,227] 0,238] 0,248| 0,259 0,270 0,281] 0,292] 0,302] 0,313 300] 0,325] 0,336] 0,347] 0,357] 0,368| 0,379] 0,390] 0,401] 0,411] 0,422 400] 0,433 0,444] 0,455] 0,465] 0,476] 0,487] 0,498] 0,509] 0,519] 0,530 500| 0,541] 0,552| 0,563| 0,573] 0,584| 0,595] 0,606] 0,617| 0,627] 0,638 600] 0,649 0,660| 0,671] 0,681] 0,692] 0,703] 0,714] 0,725] 0,735] 0,746 700] 0,757] 0,768| 0,779] 0,789] 0,800] 0,311| 0,322] 0,833{ 0,843| 0,854 800] 0,866] 0,877] 0,888/ 0,898| 0,909 0,920] 0,931| 0,942 0,952] 0,963 900] 0,974] 0,985 0,996 1,006] 1,017] 1,028] 1,039] 1,050] 1,060] 1,071 II. Livella divisa da 50 a 90. P. 1—= 07,995 P_|0,00|0,01 | 0,02 | 0,03 | 0,04 | 0,05 | 0,06 | 0,07 | 0,08 | 0,09 0,000] 0,000| 0,010] 0,020] 0,030] 0,040| 0,050] 0,060] 0,070] 0,080] 0,090 100| 0,099] 0,109] 0,119] 0,129] 0,139] 0,149] 0,159] 0,169] 0,179] 0,189 200] 0,199] 0,209] 0,219 0,229] 0,239 0,249 0,259 0,269] 0,279] 0,289 300] 0,298] 0,308] 0,318] 0,328] 0,338| 0,348] 0.358] 0,368] 0,378] 0,388 400| 0,398| 0,408] 0,418] 0,428] 0,438| 0,448| 0,458] 0,468| 0,478] 0,488 500] 0,497] 0,507] 0,517] 0,527] 0,537] 0,547] 0,557] 0,567! 0,577] 0,587 600] 0,597] 0,607] 0,617] 0,627] 0,637| 0,647] 0,657] 0,667] 0,677] 0,687 700] 0,696] 0,706| 0,716] 0,726] 0,736] 0,746| 0,756] 0,766] 0,776| 0,786 800] 0,796] 0,806] 0,816] 0,826| 0,836] 0,846] 0,856] 0,866] 0,876| 0,886 900] 0,895] 0,905] 0,915] 0,925] 0,035] 0,945] 0,955] 0,965] 0,975] 0,985 9 uo] S Sì a o_2_SI_ >. UÙ_a_ w = O_0_ I > 0 P_W N Tavole per la riduzione delle parti delle livelle del Cannocchfale di Wanschaff. 0,000] 0,000] 0,011] 0,022] 0,032] 0,043] 0,054] 0,065] 0,076] 0,086] 0,097] 0,001] 0.001 D SÌ id ds ao di di sp Ww N VITTORIO STRAZZERI Determinazione della latitudine. — Ricerca delle coppie. Per la ricerca delle coppie da osservare per la determinazione della la- titudine si pensò di valersi di un solo catalogo e precisamente del « Cata- logo di stelle computato sulle osservazioni fatte all'Osservatorio del Campi- doglio da A. Di Legge ed F. Giacomelli ». Questo catalogo dà le posizioni medie delle stelle per |’ epoca media t,=1900, per cui occorrendo le posizioni medie per le epoche medie t=1922 e t=1923 si fece il trasporto usando le formole date dalle Connaissance des temps. a=x+m(t—t)+n“(t—t,)senamtgdm+(t—to)p" d=dt+n'(t-t)cosant(t—t0)t" ove a, e è, sono rispettivamente |’ ascensione retta e la declinazione d’ una stella per l'epoca t, del catalogo, am e èm le stesse quantità per l'epoca me- dia pit) a e è le stesse quantità per l’epoca data t, m ed » le costanti della precessione per |’ epoca gli), #u° ed w" le variazioni annuali della ascensione retta e della declinazione della stella per moto proprio. Il quadro seguente dà le posizioni medie delle 22 coppie osservate per il 1922 e per il 1925. In esso, la 1° colonna dà il nome delle coppia, la 2° il numero di ordine che la stella ha nel catalogo, la 3° e la 4° ordinatamente il nome e la grandezza della stella, la 5* e la 6° l’ascensione retta e la declinazione della stella per l'epoca media 1929, la 72 e la 8° l’ascensione retta e la declinazione per l’ epoca media 1923, la 9° e la 10° il moto proprio annuale in ascensione retta ed in declinazione. DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE ECC. Posizioni medie delle stelle osservate per il 1922 e per il 1923. 1374 | 70 Gemin. umero Coppia| del NOME £. Catalogo I C. T.| £ Pegasi |3,1 SIR . 3820 | < Cephei 3,4 3853 | gp Pegasi Var. In 3866 | 5 Andr. | 5,8 3888 | Cassiop. 5,7 II 3900 | Pegasi | 46 £ 3944 | 75 Pegasi | 5,8 IV | 3960 |7 Cassiop. | 5,0 V 5 | « Andr. 2,0 30 Andr. ; | 6,1 46 | Cassiop. 5.6 Mi 83 | 53 Piscium| 6,1 . 119 |. 64 Piscium| 5,3 VII 139 | Cassiop. 5,8 342 | 4 Persei 5,2 MI asG e Arietis (58 881 | n Arietis Od Di 40 | < Persei | 5,4 466 u Arietis 5,9 x 481 Persei 6,4 XI 500 | 21 Persei 5,4 | 580 | K Persei 4,0 559 Arietis 4,5 XII | 588 Persei |48 628 Persei 5,7 sull 675 | e Persei 3,8 109 Tauri 6,0 i 796 | m Persei 6,3 810 | 2 Camelop.| 5,6 i 824 | 7 Tauri 4,3 855 | © Camelop.| 5,8 Di 893 Tauri 6,4 946 | o Aurigae | 5,3 AN 966 | 9 Aurigae | 5,3 1004 | 129 Tauri | 5,8 SL 1049]. 130 Camel. | 6,3 1097 | y8 Orionis | 5,3 Vie 1173 Lincis 5,8 XX 1199 Aurigae| 6,1 1241 | yS Aurigae| 5,8 XXI | 1269|Camelop. | 5,7 z 1288 | Monocer. 6,4 66 Aurigae| 5,4 5,9 Cal 10 Ne DS°5 D° Di Do Oo. CIO. SA Ji _DSb Dow Www dI 41 1922 34,28|10 53/81/65 59,43|27 12,57/48 8,63|52 4631/23 0,30/17 13,06/58 20,80/28 17,36/47 28,561 + 45,28/14 52,55|16 416/59 5,874 11/79/22 2478/20 54,34/55 32,96|31 13/67/44 36,95|28 3/99|47 — 28,17/36 36,78]39 58,34|33 53,30|42 16,83|53 33,64|29 40,23|55 42,61|21 16,83|/41 98,51/94. 32,06|16 94,93|98 50,42/19 50,94/56 22,36|32 7,05]43 -44,969 39,220 rr 25,390 23,390] 55) 14,080 32,157 46,864 5,704 1,699 39,498 49,620, 56,089 9,406 10,864 26,961 39,806 36,113 43,226 23,508 45,745, 0,150) 37,856 55,187 9060 3,270 55,114 15,379 31,024 56,428 10,897 41,403 34,786 38,096 39,020) 41,235) 43,138 23,438 BR BIS DSP Www du N NN Oo NY NOD Dodò DO UO 1923 1,21 49/12 36,56 17,71 40,58 8718 32,05 40,80 2,19 59/52 51,57 37,30 45,41 4618 91,27 32/55 35,54 30,00 53,98 56,01 25,87 11,38 37,26) 1736 48,84 29,88 44 47 36 39 49 53 29 41 34 16 41 45 37 33 46 43 13 47 25 54 19 48 8 10 43 24 59 06 41 19 30 39 54 1 49 13 3,811 01,014 29,569 59,480 13,323 90,476 8,740 19,619 19,858 9949 99,651 38,071 9,493 16,107 45,136 49 149 37,141 39/568 35,607 39,498 40,749 20,004 51,737 51,689 20,816 20,200) po | pe n in 109 | 10 rara + 1464 135 — 142|— 140 + 130|+ 133 + 139|4 123 + 100/— 276 + 9 14 + 24 5 + 69+ 52 95|— 156 + 8|+ 6 — 25|_— 17 + 33|— 8 o 2- (31 + 924 16 — 24. 11 + 9— 37 + 6/— 28 + 151/— 160 Dego Mei i Le + 47|,— 91 — 70 9 — 194 9 + 7.-- 4I — 15|— 43 + 24|— 39 + 4+ 21 + 16/-— 12 34/4 147 — 6, 11 + 144 24 VITTORIO STRAZZERI Osservazioni di latitudine. Le finestre della stanza di osservazione e la fessura della cupola furono sempre aperte per le osservazioni di latitudine circa un’ ora prima d’ inco- minciare. La temperatura dell'ambiente risultò pur tuttavia sempre all’incirca un grado più alto della temperatura esterna. Le puntate furono fatte ai fili orari 4. 2. 4. 5 cominciando ogni sera col cannocchiale ad Est o ad West secondo che l osservazione si iniziava con una coppia che la serata precedente era stata osservata col cannocchiale ad West o ad Est. AI filo orario 3 si pigliava il tempo del passaggio. Data l’epoca inoltrata dell’anno si preparò un esteso programma di stelle, perchè se per nubi o altre accidentalità una coppia non potè essere os- servata, si potè sostituire immediatamente con un’altra. x La formola adoperata per il calcolo della latitudine è quella nota 9a z(d+.) di T(M- Mx) +C+RH1, dove : è, e è; sono le declinazioni apparenti delle stelle della coppia osservata, M. ed M, rispettivamente le misure in secondi di arco delle distanze delle stelle della coppia dal centro del reticolo corrispondente alla posizione del filo VI alla rivoluzione 10, GC la correzione per la curvatura del parallelo, R. la correzione per la rifrazione, I la correzione per l'inclinazione. Le riduzioni delle stelle alla posizione apparente sono state eseguite me- diante la formola 3s5p =Bmedio-+Aa+-Bb+Cc+Dd+A'a+-Bb+tp", dove t indica la frazione di anno trascorsa fino al giorno di osservazione e 8 il moto proprio in declinazione. DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE ECC. 43 f . Le quantità M., My sono state calcolate separatamente per ciascuna stella, N Le correzioni per la curvatura sono state eseguite in base alla formola 2 g=1° n 2 O) senl'tgò F°, dove F indica la distanza del filo su cui si è fatta la lettura dal medio dei fili. Essendo il filo 1 ed il filo 5 distanti dal medio dei fili rispettivamente di 205,069 e di 195,997 abbiamo assunto per tutti e due l’unico valore F,=205,053, ed essendo il filo 2 ed il 4 distanti dal medio dei fili rispettivamente di 103,048 e di 105,049 abbiamo assunto per tutti e due l’unico valore F,=105,048. Indicando adunque sempre con è, e è, rispettivamente la declinazione della stella a Nord e quella della stella a Sud, la correzione C da apportare nel calcolo della latitudine viene data da: 15° C=3 2 ì seni "gd"+tg2)(F 24+F2)="2 sent ‘.sen(à,-d,)secdsecd.(F,°+F,?), cioè o ) 7 X I C—=|[8,83759]sen(d,+d,).secà..secò..(F,}+F,?). "L’errore èC che si commette applicando questa formola per un errore commesso nel calcolo di F, ed in quello di F, si avrà differenziando la precedente 2 Ù . a0=> seni ”’sen(à,+3,)secd,secd(P,3F,+-F,3F;). Se al secondo membro di questa espressione si sostituisce 05,1 al posto di òdF, e di dF,, il valore di questo secondo membro così modificato sarà 44 VITTORIO, STRAZZERI superiore in valore assoluto al vero, qualunque sia la coppia di stelle che sì considera, poichè gli errori probabili di F, e di F, sommati alle quantità di cui si sono alterate le distanze dei fili 1 e 5 e quelle dei fili 2 e 4 da medio dei fili sono in a Te assoluto minori di 0,1. Considerando che per le stelle osservate si ha sempre dn tò<769,30" , îi) À di oe a) N N < cc & 7Ò ©) _ [e (©) E E > D+ +4+41+4 AA « D => © RES 2022 2805 8T ‘MO - GG6I le, (:9+%0)7 i eipon |,9'.ge=% D u u- mi AT | “I ©] ST °N 0149199) | eiddo I]OO]Bo ISP IREeIOSIM TIUOIZBAISSSO S]]9p New nerx - (©) 7 [cal Q Zi — A DD E = E < 2 < ai 2 n (=) (ai Zi ©) lani N Pi < = ce] Si Ei i [@) L6:9 +64 18844 9CC+4 PERE SIR SLO'E 69 eFL'ge 81:86 G06:9G €0L9G GG6:ee VANE EIR‘SG £9 680/28 9L6‘9£ POL‘9E 3698 GI7CE POLE 89 GLL'GI 8E9‘GI 686°11 L98°11 09 108€ GLIE asa 090 GL 60e‘6e 891°66 7. e |poL'9y TO7*E7 |06L'97 69 LE = 5 (so +0) T 8IOFF ECR'E7 ILV&Y E8‘£7 GIL 47 ECG4Y 66667 0CO'#7 31047 LeVY% 889 6% 1607} 90C'E7 66L'E7 GO7'G7 0097 GIG'OT 68L'E FOLEY OLE F68°E7 8947 CIGEE CEG'U7 9187 676/07 716:£7 907'Gr CEL 0cL‘EE 9'.gg=d 780°0 018°0 E19°0 8E6°0 (ECONO) Le0°1 98L°0 89940 8E0°0 9L0°0 L61°0 086%0 FEET 91260 6L1°0 807°0 GELO OEL°O 0600 880°0 I(GASO 8£0‘0 G68‘0 699°0 £08‘0 666.0 #66:0 6090 oLL‘0 LIE*l LEG'O 660 IZ] ++ SE Ami or 010 « 91040 “i te | OGH'OL CL9‘69 00°69 I GEO 69 GEG'GI CER'OL 0ES‘sI —. [006°0L LI9'18 6 —|GL9°0L €087 [OCSE GOL'GP = [0C0'0L L9E'LE = |0CC'69 L9'97 8L8°8% |O&r'1L 61867 —|EL8°69 IEG'8% 6 +|618‘69 E8G'TE [0CG'OL 8FO:EG [aLz'69 Gooe IGLFOL ITl'GG [06:69 G7L'IG |GLG'19 0E6'0G I —|006'69 GGL'OE |0OL°Z9 TOL'IE = |066:69 007418 |OSG'OL GOV7E 9 +|06h°69 GEoTE = {GLL'69 066/81 |GL6:69 6681 |CGl'oz GLI:06 |000‘0L 8L8°GL —|0So‘oL 869‘97T 8 —|CGS'69 997 °cc 000°69 Lo, |GLE°69 (pp -epi] SI GEL'69. 001°06 008561 0SL'81 000561 GL9/61 069‘08 001°06 0C0‘06 OCG'GI OC0*61 GLE'61 06606 0GS'6I 009°61 GEL'61 0G#'61 0GO'0G GL6'61 GGESLI SLO'6I 07 61 ©1961 0C0‘08 0GE‘67 GL861 GIGI 008'6I CLO*GT GL8'61 GLE'6I GL0'61 006‘61 TITOOTC9 OP OVEVMSTAI GLE'OL N00°69 CEE OL GL9'89 CQ LOL 668 89 001 GL 0GL'89 00669 00E*69 106‘69 066.69 0G1'9 GLE‘89 001°0L 096:89 610. Cc9:69 008‘L9 096‘69 000°0L GLO'OL GTI 69 0G1‘89 006°0£ GLE*L9 00L'0L GLETL 007°89 CE9'GL GLL'69 660. 0C661 GL9°8T 006°6T GAGIII GLO*GI 0C9°8T OCO TA OCO°6I 00S'6I 0C6°8I eGL'6I 6E9°8T OCO*LI GGE‘8I 0G7'6I 00281 CG8‘61 00661 CRE LI 000°6T GL961 002/61 09461 GL0'8T 002‘06 GLG:LI OGT‘0G 0E6‘0G GL9'8I 6616 GLO61 GY 61 SI [B10°0T I1A{C1e°8 L8L'K] TTA[GFE‘8 91801 ITA|GOL'8 69611 MAIFGI*8 66801 IA{L0C°6 FE9°0I I1A|690‘6 69G*TI ITA|18048 0EG6 AI[G68°T1 TOT°6 AIf7ISIT GG6°8 AIISGRIT 6LE'6 . 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Riferendosi perciò alle altre 88 osservazioni con le 20 coppie rimanenti si hanno le seguenti medie = - ———————_—_——_—— __-_“”“_”_z_—r—r—r_ —————++—r— x | 56,084 | 07,017 | 0”,121| —0%,031 î i p=38° 6" 43",511. 38°%5/47”,399 | 38°6/43591 Per il calcolo degli errori abbiamo seguito lo stesso metodo adoperato da Bianchi nella sua Determinazione della latitudine dell’Osservatorio Astro- nomico al Collegio Romano (1). L’errore probabile di una coppia è stato calcolato con la formola di Peters (2) tei. r=0,6745 VEL dove : [vv] è la somma dei quadrati di tutte le differenze che si ottengono sottraendo i valori di « ricavati dalle osservazioni di una coppia e la loro media, n=88 il numero totale delle osservazioni ed m=20 il numero deile ‘coppie. Così si trova | r=0",b41 (1) Memorie del R. Osservatorio Astronomico al Collegio Romano. Serie III, Vol. IV, parte I, pag. 107. (2) Astr. Nac. n, 1034, 50 VITTORIO STRAZZERI L'errore probabile p d’ osservazione sul medio valore di @ dato dalle os- DS servazioni di una coppia è stato calcolato con la formola mM 14 ga 1 [N sia Y . . . . dI Ù dove ai l'inverso del numero di determinazioni ricavate dalle osserva- | zioni di una coppia. Nel nostro caso essendo et 899 ima p=0,366 Calcolando ? errore probabile della latitudine di una coppia con la formola WR py=0,6745 |/_1L, dove le e sono la differenza della latitudine media ed i singoli valori otte- nuti, si è ricavato po=0",733. L’errore probabile p, della semisomma delle declinazioni sì è calcolato con formola MEVAIET Papi ao e si è avuto ( ) i p s=0",636 Da questi valori divisi Vm si sono avuti gli errori del risultato e pre- cisamente. DETERMINAZIONE DELLA LATITUDINE ECC. Errore probabile di osservazione=0",082. Errore probabile della semisomma delle declinazioni=0",142. ‘ Errore probabile della latitudine=0",164. Si conclude adunque che si ha per il centro del Cann. Zenitale : ‘Latitudine del R. Osservatorio Astronomico di Palermo (1922-23) p=38° 6° 43,59+0",16 ed al centro del Circolo ‘meridiano p=38° 6' 44, 26+0”16. VITTORIO STRAZZERI Osservatorio Astronomico di Palermo TU ITgcccoco€c6c66cgc{0c.0c0.0.)000000C(OopmTtiTdt%o$0qc06ctqtqcqcoqÌo po rmè. | TTT Too NNO O OTO O O I INCI Il Monte Gallo a N. 0. di Palermo nel Quaternario inferiore In una serie di escursioni fatte in questa primavera a Monte Gallo, posto a N. O. della città di Palermo e costituito da dolomie del Trias superiore, a cui sovrastano i calcari compatti di età più giovane e prevalentemente i quelli cerulei venati di bianco del Titonico, ho potuto eseguire alcune os- servazioni (1), che io credo interessanti, non solo perchè ci spiegano l’origine a FRANCESCO CIPOLLA | | o di quel piccolo rilievo montuoso, ma ci spingono sulla via di analoghe ri- cerche, più generali sulle montagne della nostra Conca d’oro e della costa settentrionale dell’isola. Sedimenti marini. — Dal piano di Partanna-Mondello (vedi cartina topo- È | grafica), risalendo il Monte Gallo per la valletta scavata tra il così detto Bauso DO | Rosso (2) a destra e il Primo Pizzo a sinistra, lungo il sentiero che conduce | al Semaforo, s'incontrano i calcari sabbiosi, più o meno fossiliferi, detti vol- garmente tufi calcarei, ad altezze e con posizione ben differenti di quelle . che sogliono avere ordinariamente gli analoghi tufi nel bacino di Palermo 0 (fig. 1). | | SRI RI | (1) Le prime osservazioni ‘furono da me riferite, insieme con alcune considerazioni sul ‘ sollevamento del monte, in una mia comunicazione dal titolo: « Sopra due interessanti località del Siciliano dei dintorni di Palermo » fatta nella seduta del 7 marzo 1924 della Società di Scienze Nat. ed Econ. di Palermo (vedi Bollettino della detta Società del 1924). (2) I nomi dei luoghi sono quelli indicati nella carta topografica al 25.000 dell’Istituto Geog. Milit. (levata nel 1912). 54 FRANCESCO CIPOLLA Mentre infatti, come è noto, nella pianura circostante i sedimenti tufacei del Siciliano sono a strati quasi orizzontali e non più alti di 15 0 20 m., iv invece spostandosi dalla loro orizzontalità si appoggiano alle scarpate di calcare secondario delle due pareti della valletta, ne seguono la pendenza, inoltrandosi in essa per più di 200 m. Verso la falda della montagna e all’imboccatura del valloncello, a circa 70 e 80 m. di altezza, nei tufi, che sono adatti per materiale da costruzione ed hanno notevole spessore, sono state aperte delle cave, di cui le più an- tiche con le grotte vicine furono utilizzate da tempi remoti come modeste casupole (1) e sino a pochi anni fa servirono di abitazione a numerose fa- miglie di poveri contadini. Nelle cave si può bene osservare la pendenza degli strati, che è di circa 30° N. E. nella parete sinistra della valletta e di circa 16° S. O. nella parete destra (fig. 22). | lvi ho potuto raccogliere poche conchiglie di molluschi appartenenti a a specie note nei depositi del tufo del Siciliano, tra cui grandi valve di Ostrea lamellosa Br., Cardium papillosum Poli, Venus Rusterucii Payr., Pecten ja- cobaeus L., Chlamys varius L., Murex scalaris Br., ecc. Le cave del lato sinistro del valloncello si trovano sino all’ altezza di 158 m.; al di là della quale lo spessore del tufo si va di molto assottigliando sino a ridursi ad alcune spalmature, visibili sempre sullo stesso lato e sino a 192 m., come grandi macchie biancastre sul fondo grigio della montagna, anche a grande distanza da Mondello. Verso i 150 m. di altezza gli strati di tufi hanno un’inclinazione di 10° a 30° E., cioè insieme con quelli delle falde salgono sul monte in direzione di N.-0. e O. Poche incrostazioni tufacee sui calcari del lato destro, che scende ripido verso il burrone, si osservano lungo la mulattiera che va al semaforo, non più alte però di un centinaio di metri. (1) Scinà D., La topografia di Palermo e dei suoi contorni, Palermo -1$18, pag. 19, 59. IL MONTE GALLO A N. O. DI PALERMU NEL QUATERNARIO INFERIORE 55 A sinistra e a breve distanza del valloncello del Bauso Rosso, un altro ne sale sul monte, tra il Primo Pizzo e il Pizzo Vuturo, ed è chiamato val- lone del Pizzo della Sella (fig. 3°). | Nel suo lato sinistro, all’ altezza di circa 85 m., i tufi sono anch'essi così spessi che da molto tempo vi sono state aperte delle cave. Nei tagli verticali della roccia si può bene osservare 'e misurare la loro inclinazione, che, simile a quella del lato sinistro del primo valloncello, è di circa 28° N. E. Nella parete destra non si trovano tracce del detto sedimento, mentre i tufi di sinistra si vedono gradatamente elevarsi da quelli contigui e sub-orizzon- tali della pianura per salire sul monte in direzione N. O. sino all’altezza di 120 m.; ‘ma qui ridotti a lembi molto sottili. Non è difficile in alcune località, come p. es. nel Bauso Rosso presso il 3° ponticello sulla stradetta, in quella insenatura leggermente elevantesi presso la località Spina Santa, e nei dintorni del Semaforo osservare gli strati del calcare grigio-scuro, appartenenti, come dicemmo, al Titonico, se- guire la stessa inclinazione già notata nei depositi quaternari che talora li ricoprono; cioè quella di circa 30° N. E. Sopra la pila di calcari titonici presso Spina Santa, la cui stratificazione è molto chiara insieme con la loro pen- denza su ricordata, si appoggia all’altezza di circa 200 m. un crostone di tufo variamente contorto a guisa di cupola e formante il tetto di una piccola grotta. A sinistra si trovano cave nei tufi e un pò più in basso, verso 160 m. sul versante orientale di Cozzo Portello gli strati tufacei si fanno molto po- tenti e cavernosi e sono assai piegati ed inclinati. L’altezza sul 1. m. che raggiungono ip questa parte della montagna è ancor più da notarsi, se si pensa che, mentre quelli dei due menzionati val- loncelli s'internano nel monte di un Km. circa dal piano della campagna di Mondello, questi ultimi invece sono lontani appena poche centinaia di metri da quelli dello stesso piano, con cui sì raccordano per mezzo di altri depo- siti, alti una quarantina di metri, lungo la stradetta che si svolge attorno alle falde sud orientali della montagna, e precisamente nel tratto che cir- conda Ja hase del Cozzo Portello. Ci si accorge facilmente che in questa. parte estrema e più occidentale del versante esaminato la dislocazione dei 56 ; FRANCESCO CIPOLLA tufi è stata più accentuata, anzi in taluni luoghi essi si mostrano in posi- zione quasi verticale. Sulla ripida parete occidentale del monte, costituente il lato destro della cosiddetta gola di Tommaso Natale, non si rinvengono tufi del Siciliano. Si trovano invece nel versante meridionale del prolungamento della montagna dell’Inserra, che declina verso la detta gola. Dopo la grande piazza di Tommaso Natale, che è quasi nel centro della gola, la carrozzabile va leggermente abbassandosi verso N. 0. sino al mare, nella cui spiaggia pianeggiante si rinvengono a bassissima quota i sedimenti del Quaternario marino, superiore al Siciliano (1), su cui è costruito in parte l’ameno e ridente paesello di Sferracavallo. Questo deposito , costituito an- ch’esso da arenarie sabbiose assai coerenti, con il caratteristico « Strombus bubonius Lmk.» e tutta una fauna di mare caldo, mentre quella, come è risaputo , del Siciliano è propria di mari freddi, si estende anche a destra, cioè a N., del paese e forma protraendosi verso il mare, la pittoresca Punta di Barcarello. - Ivi è facile accorgersi che esso si adagia, con pochissima pendenza verso il mare, in discordanza sugli strati ben distinti del calcare ceruleo e fossi- lifero del Titonico, che sono di molto inclinati a N. O. e identici anche nella posizione a quelli che stanno immediatamente sopra il monte, presso Pizzo Schillaci, a 400 m. circa di altezza. Gli stessi calcari titonici e anche quelli cretacei, in parte livellati dal prossimo mare, perchè poco emersi con le loro irregolari testate , in parte celati dagli ingenti cumuli di detriti, discendenti come regolarissimi piani inclinati dalle scoscese sovraccennate pareti, circondano quasi tutta la base del monte. Bagnati dai flutti del mare Tirreno, formano adesso degli stretti ripiani, come la così detta fossa, nei pressi del Faro e della Torre di Mon- "dello. Ivi però non si scorge traccia alcuna di sedimenti quaternari. (1) Il Quaternario marino superiore, riconosciuto e ben caratterizzato per la prima volta da G. Seguenza, fu denominato in seguito « Piano Tirreno» dall’ Issel, e ora va comune- mente inteso col nome di «strati a Strombus».—I suoi fossili caratteristici furono per la | prima volta indicati a Sferracavallo dal Marchese A. Di Gregorio. IL MONTE GALLO A N. O. DI PALERMO NEL QUATERNARIO INFERIORE 57 I descritti fenomeni hanno, a mio avviso, non poca importanza, perchè sinora non eran noti depositi del Siciliano elevantisi a così grandi altezze come quelli da noi riscontrati sul Monte Gallo (1). I tufi del bacino di Palermo ragiungono in media una trentina di metri Sui m. e si è ritenuto che sulle falde dei monti della Conca d’Oro le onde . del mare del Quaternario inferiore non si spingessero al di sopra di ottanta metri? (2). Solchi del battente. — Oltr> ai sedimenti marini riscontrati sui fianchi di M. Gallo, altri fenomeni non meno interessanti e in evidente relazione con essi si osservano sulla stessa montagna. Essi attestano ancor meglio V’ esi- stenza di un antico mare non solo nei luoghi sopra citati, ma anche in al- tri all’interno della montagna. È noto che l’azione erosiva (azione meccanica e talvolta anche chimica) del mare produce nelle pareti verticali o molto inclinate delle coste, spe- cialmente se calcaree o dolomitiche, delle caratteristiche incavature, la cui larghezza è ordinariamente. dovuta ai livelli limiti raggiunti in quei luoghi dalle ìdue maree. Queste superfici concave, scolpite e lisciate dalle onde che baitono le coste, spesso forate dai litodomi, si sogliono denominare solchi del battente. Si scorgono nelle coste dei mari attuali, talvolta abbastanza estese oriz- zontalmente; non di rado divengono linee segnalatrici di quei movimenti del suolo intesi col nome generico di bradisismi. Penetrano dentro le grotte o caverne, che lungo le coste sogliono essere scavate o ingrandite dalle onde del mare, lì dove la roccia presenta minore resistenza per antiche fratture o natura litologica diversa. (1) 11 Marchese A. Di Gregorio in una gita al Monte Gallo aveva notato con meraviglia È le cave di tufi esistenti ad insolita altezza nell’inizio del primo vallone (Bollett. del Club Alp. Ital., 1889, vol. XXII, n. 55. I depositi subetnei, raggiungenti 800 m. nella regione «la Vena» ritenuti prima siciliani, si attribuiscono ora al Calabriano. (Scalia Il Post- pliocene dell’ Etna, Catania, 1907, pag. 23. — GienouUX, Les formations marines pliocènes et quaternaiîres de l’Italie du Sud et de la Sicile. Paris, 1913, pag. 160). (2) GieNnoUX , Op. ciît., pag. 184. 58 1 ‘FRANCESCO CIPOLLA Tali fenomeni tra gli altri sono stati notati dal Rovereto (1) nella nota Grotta Bianca a Capri. Sul Monte Gallo e intorno ad esso, al di sopra dei tufi del Siciliano elevantisi a notevoli altezze, si rinvengono, egualmente spostati dalla antica loro orizzontalità e precisamente con la stessa pendenza, lunghi solchi del battente che in alcuni luoghi, come vedremo, e specie sulle pareti sud-ovest dei due primi vall..icelli e sulla grande muraglia settentrionale della mon- tagna si conservano benissimo. Non di rado queste tracce di antichi mari sono state altrove riconosciute; per i monti circondanti il bacino di Palermo si sono solo ritenute scavate dal mare, che ha deposto i tufi e le argille quaternari, quelle grotte gene- ralmente allineate ad un’altezza di 80 m. circa sulle pendici di essi (2). Ed a questa altezza in genere si ammette che si trovino attualmente le antiche linee di spiaggia del mare del siciliano non solo a Palermo, ma anche in molti altri luoghi dell’isola (3). Rifacendo lo stesso giro attorno al monte, descritto sopra per il ritro- vamento dei tufi, ed iniziandolo dal primo vallone a sinistra del Bauso Rosso è agevole osservare a circa 110 m. circa d’altezza una netta incavatura pro- lungantesi a destra nel versante meridionale del monte (fig. 4*), ove declina leggermente verso il paese di Mondello, e a sinistra nella parete S. O. del valloncello stesso (fig. 1°). Si tratta indubbiamente di un antico solro del battente, che s’ innalza, a guisa di grande arco dal terreno sottostante con pendenza di 25° circa, analoga cioè a quella dei tufi di quel luogo, e con una larghezza di un me- tro e 60 cmi. Ha talvolta come tetto la superficie inferiore, cioè il cosiddetto muro di uno strato di calcare compatto; ordinariamente però non segue la | stratificazione della roccia in cui è inciso. Esso s’ interna dentro il vallone, risalendolo, come dicemmo, nella sua. (1) Rovereto Gaetano, Geomorfologia. Vol. I, Milano, 1923, pag. 624, fig. 25. (2) BaLpacci L., Descrizione geologica dell’isola di Sicilia. Roma, 1886, pag. 176. (3) Gianoux M., Op. cit., pag. 184. IL MONTE GALLO A N. O. DI PALERMO NEL QUATERNARIO INFERIORE 59 parete sud sino all’altezza di 130 m.c.; poi scompare per un tratto di 150 m., e le sue scomparse sono dovute quasi sempre o perchè cancellato dalla de- nudazione o mascherato da cumuli di detriti o per la mancanza di parete idonea al suo scolpimento. | Riappare dopo, ma con minor. pendenza (10° circa) all’altezza di 203 m. Qui s’interrompe novamente per un intervallo di una sessantina di metri per riapparire e cancellarsi subito dopo un’altra quarantina di metri. Quando ritorna a mostrarsi si è già iunalzato a 220 m. e continua ad incidere quella parte della parete del valloncello, che è tagliata verticalmente sino alla sua sommità, per una lunghezza presso a poco di 500 m. In questo tratto il solco sì prolunga quasi orizzontalmente, rimanendo quindi a 220 m.c. di altezza. Essendo inoltre orizzontali le testate degii strati che appaiono in questa parete a piombo della valletta, che sta per terminare pnell’altipiano esistente . ad ovest della cima ove s’erge il semaforo, al solco è riuscito più agevole seguire la stratificazione; e difatti esso ha utilizzato come suo tetto la su- perficie inferiore di uno strato. Nella parte poi più alta della curvatura di questo tratto del solco, da molto tempo si sono fermati gli stillicidi delle acque scorrenti dall’alto, lasciandovi un gran numero di stallatiti ed incro- stazioni travertinose che rendono più pittoresco, con ornamenti recenti, lo antico scolpimento operato dalle onde (fig. 5°). Un piccolo sentiero che sale lateralmente al solco, lungo il valloncello, permette di osservare da vicino e nei suoi particolari l’interessante fenome- ‘no. Talora il sentiero riesce in stretti ripiani, rivestiti non di rado da pan- china littorale ed inclinati verso il burrone ;.che possono ritenersi come il prolungamento inferiore, pianeggiante del solco marino. In quest’ultimo tratto della valletta, oltre ai fori scavati dalle foladi nella roccia levigata dell’incavo , si riscontrano altri fatti, che io credo siano in relazione, anzi dipendenti dalla stessa causa che produsse lo spostamento del solco dalla sua originaria posizione orizzontale. Si trovano aperte nello spessore della parete rocciosa, due fenditure, a breve distanza l’una dall’ altra, a sezione triangolare, con il vertice in alto, avente la prima 3 m. di altezza e 2 m, di profondità; ancora più grande è la seconda; riempite entrambe da materiale brecciforme. ì) FRANCESCO CIPOLLA Lungo poi la linea dell’incavo, verso la fine dell’ anzidetto tratto oriz- zontale o lievemente ondulato, si rinviene una piccola grotta, la cui altezza . sull’attuale livello del mare è di circa 225 m. (fig. 6°). Il solco penetra dal lato destro del suo imbocco , che in origine doveva essere perfettamente trian- golare, e ne esce dal lato sinistro. È alta, dal pavimento sino alla sommità della volta che è a superficie conica, una quindicina di metri, e le sue pareti sono ora rivestite da numerose e fitte stalattiti colonnari, che ne hanno di molto ridotto la capacità interna. | Dopo la grotta, lo scavo che è fatto nella dolomia frammentaria trias- sica declina per 20 m. c., restando sino al termine della parete verticale del vallone all’altezza di 210 m. Ivi si osserva un’altra spaccatura apertasi sulla stessa parete e riempita da materiale cataclastico. Si scorgono in seguito altre tracce del solco sino a 100 m. di là del ponticello in muratura costruito sul burrone, lungo la mulattiera che va al semaforo, lasciando in fondo a sinistra il così detto Pizzo della Sella. Di lì il solco si collega con l’altro scolpito nella parete opposta del valloncello, cioè del versante N. e N. E. del Primo Pizzo, anch'esso all’altezza di 220 m. circa. Però in questo versante lo scavo è ben poco visibile; anch’esso forato, dove si scorge, dai litodomi, .0 è stato quasi completamente eroso dagli agenti atmosferici o celato da massi e da materiali detritici rotolati dall’alto, in gran parte non dovette essere scolpito per la mancanza di una parete adatta nella montagna; e ciò sino allo sbocco della valletta sulla pianura di Mondello. In compenso, come vedemmo, vi sono assai sviluppati i depositi di breccia conchigliare e arenacei, in cui varie cave sono state aperte e sfrut- tate da antica data. | Il solco del battente riappare nella parete frontale del Primo Pizzo. sulla scoscesa falda meridionale del monte , all’altezza di m. 100 c., che è. quasi eguale a quella del corrispondente tratto scavato nella frontale del Bauso Rosso. Esso poi s’interna nell’altro valloncello, così detto del Pizzo della Sella, trovandosi scolpito nel fianco occidentale del Primo Pizzo, lungo il quale IL MONTE GALLO A N. O. DI PALERMO NEL QUATERNARIO INFERIORE 61 si eleva gradatamente e con pendenza analoga a quella che rilevammo nei sottostanti strati di tufi esistenti altresì nel lato sinistro (fig. 3°). All’inizio della linea di scavo entro questo secondo vallone, un’ altra spaccatura an- cora si osserva simile a quella che trovammo, ma più in dentro, ir quello ‘precedente, anch’ essa riempita da frammenti angolosi di roccia fortemente collegati da cemento calcareo tenacissimo. Il solco, bene conservato e visibile a grande distanza, si continua inin- terrotto, risalendo il valloncello sino all’altezza di ben 360 m. all’incirca, ove raggiunge la parete opposta del monte, cioè quella nord occidentale, stra- piombante sulla già menzionata Fossa lungo il mare di Sferracavallo. Di lì, donde è incantevole la vista, sulla immensa distesa del mare, del- l’isoletta delle Femmine e delle lontane montagne di Castellammare sino al Capo S. Vito, a sinistra, e dell’isola di Ustica a destra, una bianca striscia del solco, volgendo un pò a settentrione, incide il lato N. O. del Pizzo della Sella. La piccola striscia si scorge anche dalla Punta di Barcarello che, come vedemmo , si protende a mò di minuscola penisoletta, nel glauco mare di Sferracavallo. Dal Pizzo della Sella poi, come anche di giù, dal mare di Sferracavallo, è facile osservare il detto solco incidere, presso a poco alla stessa elevata al- tezza, un-piccolo tratto della parete N. O. del Pizzo Vuturo, prospiciente anch’esso sul mare. La lunghezza percorsa dal solco nel secondo vallone è di circa 1 km. e 300 m. con una direzione S. E.- N. O.; ma esso non appare sul lato opposto diruto del vallone medesimo; e ciò in modo identico e per le stesse ragioni verosimilmente ammesse nell’esame del fenomeno nel versante S. E. del Primo Pizzo. Vi sono invece sviluppati i sedimenti tufacei del Siciliano, | cui sopra accennammo. Continuando il giro per la fronte S. e S. E. del monte non è difficile riconoscere sparse tracce del solco alla solita altezza di m. 100 circa e quasi orizzontali, posizione che persiste sino alla località così detta Spina Santa, ove a 145 m. apresi una grotta, detta delle Colombe, che potrebbe essere una delle solite spaccature, già rinvenute prima, ingrandita dall’azione delle acque, i cui depositi si trovano, come notammo, a breve distanza. FRANCESCO CIPOLLA Il versante piega poi a S. E. verso la località Colonne (1), abbassandosi verso la pianura di Partanna e sporgendo in essa col così detto Cozzo Por- tello, ma ivi su quelle pendici dirupate come per un buon tratto della fan- tastica parete a strapiombo sul paesetto di Tommaso Natale il soleo più non si riscontra. Esso ricompare verso l’estremità della detta parete, che è quella più occidentale del monte ed è costituita da dolomia triassica, sovra- stata da pochi strati di calcare titonico. Questi prima inclinati, poi s'innal- zano verso N. O. (fig. 7°), cioè verso il così detto Pizzo Schillaci, caratterisco torrione dolomitico d’aspetto alpino (fig. 8°), che essi non ricoprono, ma riap- parsi dopo a sinistra del Pizzo, inclinano verso il mare, assumendo analoga pendenza (fig. 9*) di quelli che stanno giù nella su citata Fossa. lvi costi- tuiscono l’irta scogliera lungo la spiaggia di Sferracavallo, già ricordata. In questo lato della montagna la linea, un pò ondulata , si vede verso i 400 m. circa, un pò ai di sotto della cima del Pizzo Schillaci (fig. 8°), vol- gere a destra nella parete N. O. e quindi leggermente declinando riprendere quel piccolo tratto, sopra osservato, nel Pizzo di Vuturo (fig. 9%). Dal Pizzo della Sella poi, dall’altezza di c. 360 m., come vedemmo dall’ estremo set- tentrionale del secondo vallone, va. declinando nel tratto compreso al di sopra della così detta Pietra Tara e l’impressionante frana della Mezzaluna, sino a 220 m. circa; ivi però si scorge più su, a breve distanza e parallelo ‘quasi a quello sinora descritto, un altro solco (fig. 10°). Nell’alto della parete settentrionale, anch’ essa a picco, sopra la Grotta dell’ Olio e il famoso impervio Malpasso, i due solchi , alti c. 200 m. sono evidentissimi (fig. 119) ed in parte adorni di belle stalattiti colonnari, rossa- stre, come quelle osservate verso la fine del valloncello presso il Bauso Rosso. Nel percorso del solco più alto, che porta in basso uno stretto ri- piano, è aperta una grotta con belle ed intatte stalattiti all’ interno, e sono (1) Ivi si trovano delle antiche cave di marmo rosso, donde come asserisce lo ScIxà, (Op. cit., pag. 32), furono cavate le colonne che adornano l’ altare maggiore del Duomo di Palermo. IL MONTE GALLO A N. O. DI PALERMO NEL QUATERNARIO INFERIORE 63 scavate alcune nicchie internamente dipinte in rosso dalle ac que discendenti ‘dalle’ balze soprastanti. Entro una di queste nicchie si vede una piccola parte, non colorita, del fondo e rimasta bianca, assumere, vista da lontano, la figura di un galletto; da ciò pare che sia derivato il nome imposto alla montagna. Assai eroso e spesso interrotto, perchè mascherato dai rumerosi coni di detriti, un unico solco si continua, declinando, nella parete verticale di N. E, inciso sui calcari stratificati che compaiono presso la cresta e sembrano somiglianti a quelli che abbiamo visti sulla parete opposta, sopra la gola di Tommaso Natale. E ciò sino al Faro. Presso l’antica torre di Mondello, dopo le cave attualmente in esercizio di calcare grigio scuro e ceruleo (in gran parte titonico) utilizzato per i la- vori del nuovo porto, una linea liscia ed incavata leggermente, si scorge poco al di sopra delle tre grotte preistoriche, dette della Regina, del Capraio e Per- ciata, che stanno fra i 60 m. c. sul livello del prossimo mare (1). Essa sarà probabilmente la continuazione di quella che si scorge sopra il Faro all’al- tezza di 150 m. Conclusioni.— Dalle osservazioni fatte sul Monte Gallo e sopra espo- ste sì possono ricavare le seguenti conclusioni. I tufi calcarei riscontrati sulle scarpate meridionali e dentro i vallon- celli, sia per la fauna fossile che contengono sia perchè in prolungamento di quelli di età già nota costituenti il piano di Mondello e di Partanna, che è parte del grande bacino di Palermo, sono da ritenersi sedimenti del Qua- ternario inferiore marino, così bene da noi rappresentato e denominato « Piano Siciliano ». 1 . c. < , È Ora . È » . ù Essi, poichè si trovano con stratificazione inclinata appoggiati sulle scar- pate della montagna e ad altezze sul livello attuale del mare molto supe- (1) In queste grotte è facile raccogliere raschiatoi di selce e resti di cucina e conchiglie di molluschi mangerecci. 64 FRANCESCO CIPOLLA riori a quelle raggiunte dagli strati contigui e sineroni del bacino di Palermo, hanno dovuto seguire un sollevamento speciale che fu proprio della inon- tagna ed ebbe luogo dopo la loro deposizione, cioè dopo il Siciliano. Ciò confermano anche, e meglio determinano, le linee longitudinali del così detto solco del battente, incise sul M. Gallo, le quali, sia perchè similmente inclì- nate ai tufi sottostanti, sia perchè immediatamente sovrastanti non solo ai tufi dei valloni e delle scarpate, ma anche a quelli della pianura di Mon- dello, non possono essere state scolpite che dal mare del Siciliano. L’avere riscontrato nel versante S.e S. E. del monte i calcari titonici in concordanza con quelli del Siciliano e con l’inclinazione del solco, mostra che i primi, almeno nei luoghi suddetti, erano in posizione orizzontale du- rante la deposizione dei tufi. | L'esistenza dei tufi e del solco intorno al monte ci fa arguire che questo era circondato da tutte le parti dal mare nel Siciliano. Il modo poi come essi sì riscontrano nei due valloncelli ci dimostrano che nel primo (tra il Bauso Rosso e il Primo Pizzo) il mare, il quale allora occupava tutto il bacino di Palermo, vi penetrava come in una stretta insenatura sino ad un chilometro all'incirca, mentre nel secondo (del Pizzo della Sella) non solo vi penetrava, ma riesciva dalla parte opposta collegandosi con l’altro, che lambiva le fa- lesie nord e nord ovest del monte. Questo perciò era allora diviso in due parti, che sorgevano come isolotti più, o meno pianeggianti, intorno a cui le onde scolpivano le linee di spiaggia e scavavano le nicchie e le grotte. La ‘ più grande altezza raggiunta dal solco verso il Pizzo Schillace, che strapiomba sul mare come tutta la parete che segue a destra, ci mostra che il solleva- mento massimo raggiunto dopo il Siciliano si verificò in quella plaga e fu di circa 400 m. i i E poichè le cime più alte del Gallo raggiungono adesso i 520 m. circa, se ne deduce che gli isolotti che prima lo rappresentavano, si elevavano al massimo di un centinaio di metri sulle acque del Quaternario antico. L’attuale posizione del solco intorno al monte e il suo ritrovarsi seol- | pito nei calcari più alti della parete triassica di N. O., contro la quale sì adagiano in basso i calcari titonici e cretacei che costituiscono la spiaggia, IL MONTE GALLO A N. O. DI PALERMO NEL QUATERNARIO INFERIORE 65 | che da Sferracavallo, per la Fossa e il Malpasso giunge sino alla Torre di | Mondello (vedi sez. geol.), ci dinotano che il sollevamento verso occidente è | avvenuto per uno spos'amento verticale in alto delle tre pareti di N. O., di N. e di N. E. sopra una grande linea di frattura, preesistente al Quaternario ed avente le tre dette direzioni, lungo le falde in parte bagnate ora dal Tir- reno e in parte correnti nella gola di Tommaso Natale. Il versante S. e S. E. del monte ha seguito, innalzandosi gradatamente, come lo dimostra la graduale pendenza del solco e della stratificazione dei O tufi nonchè la presenza di non poche spaccature sulle pareti dei valloni, il | grande sollevamento verticale, avvenuto specialmente nella falesia di N. O. | lungo i piani di faglia. Ritengo che nello stesso periodo di tempo emergeva la pianura di Mon- | dello e con essa i tufi e le grotte scavate dalle acque, poichè non si trovano | ‘ altri solchi più bassi nei fianchi meridionali del monte nè depositi del Qua- ternario superiore; mentre i due solchi, i cui estremi poi si congiungono, formatisi nelle falesie maggiormente sollevate, indicano due pause locali ve- rificatesi durante la loro ascensione. Il sensibile declinare verso N. O., cioè verso il mare, dell’ ultima parte DI | della gola di Tommaso Natale, e precisamente quella immediatamente dopo | il paese, e l’esistenza degli «strati a Strombus » affioranti nella piccola baia 1 di Sferracavallo sino alla Punta di Barcarello, ci denotano un movimento negativo del suolo, già riconosciuto da Gignoux (1), in quella plaga lungo | | | la frattura percorrente la falda occidentale del monte. Ivi si adagiarono i L sedimenti del Quaternario superiore, la cui originaria e quasi indisturbata | posizione comprova che ulteriori e notevoli movimenti del Monte più non avvennero nel Postsiciliano, oltre a quel piccolo sollevamento di natura di- ! versa, per cui emersero questi ultimi depositi marini. L'assenza dei tufi del Quaternario inferiore dalla Punta di Barcarello e È sulle spiaggette a destra sino alla Torre di Mondello, cioè nell’ altra parte delle rocce rimaste in basso al di là e lungo le linee di faglia, si*spiega con (1) Granoux M.— Op. cit., pag. 194. 66 FRANCESCO CIPOLLA la grave fratturazione e notevole immersione nel mare subita dagli strati di queste plaghe per l’innalzamento delle pareti verticali del monte. sosì i tufi del Siciliano, se pure ivi depositati, furono sconvolti e som- mersi. E vennero ad emergere, in alcuni tratti, le testate dei sottostanti strali, come quelli del Titonico e del Cretaceo presso la Punta di Barcarello, e si allontanarono più o meno dal mare le scoscesi falesie, a cui si appog- giarono i caratteristici coni di detriti; mentre il declive versante meridionale fu dovuto all’emersione dei terrazzamenti e delle piattaforme littorali, ope- rati dal mare del Siciliano intorno agli antichi isolotti, da cui sorse poi Vat- tuale montagna del Gallo. È probabile che le tre grotte presso la torre di Mondello, esistenti verso Vestremo della parete N. E., cioè in quella parte che meno subì il solleva- mento nel Siciliano, se non scavate furono sicuramente molto ingrandite dal mare del Postsiciliano, le cui onde operarono la perforazione di quei cuni- coli più o meno larghi e profondi (fig. 12), fra cui quello della Perciata rag- giunse la parete opposta del monte sopra il paese di Mondello. Dopo ciò lo studio geofisico e tettonico del rilievo montuoso a N. 0. di Palermo non solo chiarisce in modo soddisfacente la sua origine, ma de- termina l’ epoca e il modo del sollevamento. Esso inoltre ci spiega la sua morfologia generale: infatti il suo sollevarsi verso O. sopra una linea spez- zata di fratture ci dà ragione della forma che avrebbe una sua sezione tra- sversale (vedi sez. geologica), tracciata p. es. secondo un piano passante per Partanna Mondello e i vallone del Pizzo della Sella. Questa sezione avrebbe presso a poco la forn;a di un triaugolo rettangolo, di cui |’ ipotenusa rap- presenterebbe una lirea condotta sulla superficie gradatamente innalzantesi del monte, il cateto più piccolo un’altra tirata verticalmente lungo la parete a piombo sul mare di Sferracavallo, e il cateto più grande la larghezza della base della inontagna. Infine dopo le superiori conclusioni vorrei credere che | irregolare sol- levamento di uno dei monti del Palermitano, alle cui falde si stendono i classici depositi del Siciliano, rappresenti anch'esso uno dei vari « movimenti locali» che non attaccano la nota teoria eustatica del Suess. Ko O b O S ì 3. CIPOLLA F. - Il Monte Gallo a N-O di Palermo nel Quaternario inferiore. Tav. Gartina Vopografica di M° Gallo 4, ro a - CIPOLLA F. - Il Monte Gallo a N-O di Palermo nel Quaternario inferiore. Ten If Fig. 9. - Parete N-O di Monte Gallo a sinistra del Pizzo Schillaci, vista dalla Punta di Barcarello. In alto la linea del solco e una pila di calcari titonici, inclinati verso il mare di Sferra- cavallo. (La linea per maggior chiarezza è stata un po’ accentuata). Fig. 10 - Pizzo della Sella e il doppio solco nella parete a sinistra sino a “La Mezzaluna ,,, dalla Punta di Barcarello. (11 tratteggio è stato accentuato per maggior chiarezza). 5 Danesi-Roma G, di Salvo fot Tavola VII. CIPOLLA F. - Il Monte Gallo a N-O di Palermo nel Quaternario inferiore. Tav. VII. Fig. 11. - Tratto del doppio solco sulla parete N del Monte, sopra il Malpasso, visto dal nare ; con grotta e stretto ripiano nel solco superiore. Fig. 12. - 1 cunicoli della Grotta del Capraio nella parete N-E di Monte Gallo. Danesi-Roma G. di Salvo fot ATOOTTAMATA JIMI TION VO RISI IS IGUI VIN FORD ICUIMDOIMUTH EVI OGOLI POCO OOTTORCATICRUMAUT ORME OMO UO OO COVO OVUOOUO TONCO MO OOOCOROO CCR DOSCORO CORIO O OTO OUTOOOEVACTMEUUMROCCOMOOCOR VOTO TOTO OTOOOR OTO CO OFOO FOTO OOFOMOOTACOUTMOCOOMOOOOO COVO OTCOR TANTRA COC MOTANMOETEMOFUNOOOOOOONU MENARINI o =Z=Z=.À.—uuWN+\©»«&(M“M“MÀ]ÀÉ)ié_ È |)Òijè | |] ]:?>]?]qQqf0iiî°‘ i: *i:fÈiÈ°ÈÈÈÈÈiiiù!:|:|ì!uz:i:i:-:-.-.---«iMITtTCITZE7ZPZEOUE li» CENTENARIO DELLA NASCITA DI SIMONE CORLEO Ciro i La natura della innervazione secondo S. Corleo Quando, nel 1857, il Corleo pubblicava le « Ricerche sulla natura della innervazione » (1), i filosofi si orientavano già verso quella filosofia biolo- gica che cercava e cerca di determinare leggi generali, fondandosi sui ri- sultati dell'indagine obiettiva. Il Corleo, filosofo e naturalista, sentì tutto il valore del nuovo orientamento filosofico, e vi portò il contributo del sno ingegno e della sua vasta dottrina. « Nella filosofia teoretica», Egli scrive nelle Memorie inedite, « ho cre- duto introdurre la sperimentazione per accertare ed analizzare gli elementi di alcuni fatti psicologici, come il Wundt ha fatto nel suo Seminario di Lipsia ». E nel Trattato sulla innervazione afferma che gli studî sul pen- siero umano, e sull’anima che ne è la causa principale, non possono con tutta l’esattezza compiersi se insieme non si scandagliano le forze del corpo, e principalmente del sistema nervoso, che ha pure la sua strumentale con- comitanza nell'esercizio del pensiero. > La sua mente però era già decisamente orientata verso un determinato . sistema filosofico, siechè Egli potè salvarsi da quelle esagerazioni chè do- vevano fatalmente trascinare ad una concezione rigidamente materialistica (1) S. Correo — Ricerche su la natura della innervazione, con applicazioni fisiologiche, patologiche e terapeutiche. Palermo, off, tip. Lo Bianco, 1857. Il 82 £. LUNA dei fenomeni vitali. Certo Egli sentì tutta la difficoltà del problema fon- damentale che sempre, in ogni epoca, ha agitato la mente degli nomini di studio, del problema cioè che tende a determinare i rapporti tra anima e corpo, tra energetica e lavoro spirituale; e dovette tanto più acutamente sentir questo problema, perchè nell’ epoca nella quale Egli visse il trava- glio era reso più acuto dallo sviluppo delle scienze fisiche e chimiche. In quel periodo il Du Bois-Reymond combatteva con il libro sulla elettri- cità animale la più aspra battaglia : il grande fisiologo, completamente at- tratto dalla fisica meccanista, si opponeva aspramente alla tendenza vita- lista, che ne rappresentava l’antitesi, e però negava l’autonomia delle forze vitali, contrapponendo una teleologia statica ad uva teleologia dinamica. Il Corleo, la cui mente aveva certo risentito molto dell’influsso che 1° in- dagine scientifica del Du Bois-Reymond esercitava sugli nomini di studî della sua epoca, non potè però accettare le conclusioni del grande fisio- logo, tanto che scrisse: « Taluni, che per pochezza di studî o per amore di esaltare troppo l’animo, attribuiscono a questo esclusivamente tutto ciò che compone il pensiero, non si avveggono che togliende al corpo la sua parte, facilitano l’impresa dei materialisti, imperocchè, ciò che appartiene al corpo essendo dato all’anima, e dimostratosi dal canto opposto dai ma- terialisti, che ciò che si dà all'anima, è proprio del corpo, se ne suol de- durre la falsa conseguenza, che il solo corpo è quello che produce il pen- siero. Dare a ciascuno ciò che gli appartiene, è proprio del retto sceien- ziato; ed allora non è possibile che più si confondano le proprietà e le at- tribuzioni dell'anima con quelle del corpo, nè viceversa » (1). Qui ci par quasi di leggere quello che alcuni anni dopo, e cioè nel 1878-79, scriveva il Claude Bernard (2); sì ha nella concezione del fisio- logo francese, come ora vedremo, lo stesso atteggiamento conciliativo del Corleo, quell’ atteggiamento per cui il Driesch (3) potè affermare che il (1) S. CorLEo; l. c., pag. 413. (2) CL. BERNARD — Legons sur les phenomeènes de la vie ete., Paris, 1878-79. (3) DrirescHa Hans — Il vitalismo (trad. ital. per M. Stenta; Palermo), pag. 176. LA NATURA DELLA INNERVAZIONE SECONDO S. CORLEO 83 Claude Bernard non distinse abbastanza nettamente la differenza tra la teleologia statica e quella dinamica. Noi ci stacchiamo dai vitalisti, dice il CI. Bernard, perchè la forza vitale, comunque la si voglia chiamare, non potrebbe far nulla da sola, non essendo in grado di operare se non me- diante le forze generali della natura, incapace com'è di manifestarsi senza lo aiuto di quelle: ma ci stacchiamo parimenti dai materialisti, perchè, sebbene i fenomeni vitali si trovino immediatamente soggetti all'influenza delle condizioni fisico-chimiche, queste condizioni non avrebbero la facoltà li aggruppare e di disporre armonicamente i fenomeni in quell’ordine ed in quella successione che essi manifestano negli esseri viventi (1). E tutto ciò si riannoda con l’idea sintetizzata più tardi dal Luciani il quale, affer- mando che, con la ricerca delle condizioni materiali dell’attività dell’ani- ma, la fisiologia si riannoda con le scienze morali, viene conseguentemente ad affermare che « l’esplicazione delle forze psichiche, anche per quanto ri- guarda l'indirizzo etico, dipende in gran parte dal sostrato somatico » (2). Altri punti del Trattato sulla natura della innervazione riescono a chia- rir meglio il pensiero del Corleo. Egli scrive: « Ciò premesso, io passo ad osservare che l'organo cerebrale concorre solo come strumento nell’eserci- zio dell’intelligenza, ma come strumento necessario nelle attuali condizioni della nostra vita »... e poi più oltre: « Epperò l’esame attento dei succen- nati atti intellettuali fa pur troppo vedere, qual sia la parte che vi ponga YIo, e quale quella che vi ponga il cervello. Tutto ciò che vi ha di libero, e tutto ciò che vi ba di coscienza negli atti intellettuali, appartiene allo spirito, appartiene a colui che può dire Io, e che non risulta da parti; imperocché, ciò ch'è composto non può dare che effetti necessarî e non mai liberi, nè può avere coscienza degli atti proprî... All’ opposto, tutto quello che è necessario, tutto quello che è risultamento, che è subordinato alla composizioue e che varia con essa, è effetto del corpo, del molteplice, di quello che non può dire Io, che non può per sua natura essere libero, (1) DriescH— 1. c., pag. 172. (2) LUCIANI — Fisiologia dell’uomo, 1943. 84 E. LUNA ma resta subordinato all’ azione predominante e libera del Me, ed a lui serve come strumento » (1). É quello stesso concetto della subordinazione del fisico ad una forza vitale, anima o entelechia che dir si voglia, che enuncia il CI. Bernard quando afferma che la forza vitale dirige dei feno- meni che non produce, mentre gli agenti fisici producono dei fenomeni che non dirigono: e come per questo il Driesch riconosce nel Claude Bernard una affermazione vitalista, così credo che anche noi possiamo riconoscere nel pensiero del Corleo un orientamento deciso verso il vitalismo. Ma è bene che io non mi addentri oltre nell'indagine dell’atteggiamento spirituale del Corleo : ad altri questo difficile compito (2). Io mi son proposto un compito più modesto, e cioè quello segnato dai limiti che si è imposti lo stesso Corleo nel suo Trattato sulla inner- vazione, che, come dice l’ Autore, è opera più di natura fisiologica che filosofica. L'attività del S. Corleo fu in gran parte rivolta a combattere la teoria dei fluidi imponderabili ed a ricondurre ai principî fondamentali dell’azione molecolare tutti i fenomeni del mondo fisico. Nel libro sulla natura della innervazione si propone appunto di trasportare questi principî nel campo degli esseri organizzati, e con ampia documentazione combatte 1’ ipotesi del /luìdo nervoso, che per molto tempo venne considerato come il gene- ratore delle manifestazioni molteplici dell’attività vitale. Se noi ci riferiamo (1) S. CorLeo— l. cit. pag. 420. (2) Hanno scritto sul sistema filosofico di S. Corleo, fra gli altri: GENTILE — S. Corleo, in: La Critica, 1910. Grora — Corleo e la sua filosofia morale, R. Sandron, 1898. MeRrENDA P.— In memoria di S. Corleo, ricorrendo il XXVII anniversario della morte di Lui. Società di Sc. naturali ed econ. di Palermo, 1918, Aniorra — in Rivista di filosofia, 1917. Dr CarLo — Simone Corleo. Bibliot. filosofica di Palermo, 1923. OrestAaNnO — Disc. comm. di Corleo pronunziato il 5 Giugno 1910 a Salemi. ‘ LA NATURA DELLA INNERVAZIONE SECORDO S. CORLEO ‘59 ‘all’epoca nella quale il Corleo visse, ci spieghiamo perchè fosse ancora ne- cessaria questa lotta accanita contro un’ipotesi che incombeva da anni nel campo delle scienze fisiche e delle scienze biologiche, precludendo la via «ad ogni ulteriore progresso. L'ipotesi del fluido nervoso, per quanto imbellettata da una equivoca vernice scientifica, valeva quanto quell’altra più antica degli spiriti vitali o animali, che si credeva circolassero dentro tubi forati o canali, i nervi, e che nella concezione del Willis e degli antichi, rappresentavano la quintessenza del sangne e del chilo. I progressi della fisica, e la scoperta dell’elettricità, fecero sostituire agli spiriti vitali il fluido nervoso, che ve- niva immedesimato col fluido elettrico; ma la sostituzione del nome non poteva per nulla realizzare un. vero progresso nella conoscenza dell’intima essenza del meccanismo nervoso. Da ciò la crociata dei contemporanei del Corleo e del Corleo stesso. Tutti gli errori delle scienze fisiche e chimiche, scrive il Corleo, vengono dalla ipotesi di alcune sostanze imponderabili; e parimenti nelle scienze biologiche e mediche tutti gli errori provengono dall’ ipotesi di un fluido nervoso, che si fa gratuitamente concorrere alla produzione di tutte le azioni vitali (1). Non esiste, pei sostenitori della dottrina molecolare, una speciale sostanza, nè ponderabile nè impondera- bile, che circoli lungo i nervi e l’encefalo, ma l’ intima essenza del mec- ‘canismo nervoso consiste in uno stato di mutuo disquilibrio delle mole- cole che compongono l'organismo animale, raccolto in specialità sulla massa ‘ encefalica e sui nervi. Così ragionando, veniva naturale ammettere una certa affinità tra energia nervosa ed enorgia elettrica, perchè anche questa «non è una sostanza sui generis che abita dentro i corpi, ma è lo stato di mutuo disquilibrio delle molecole componenti i corpi medesimi. Però, come le molecole inorganiche e quelle organiche sono simili negli elementi primitivi, ma diverse nell’ aggregazione, così ancora i mutui disquilibri delle une e dalle altre molecole debbono avere i punti fondamentali di somiglianza, ma in tutto non possono mai assomigliarsi ». (1) S. CorLeo — loc. cit., Introduzione. E. LUNA E così, nel concetto di Corleo, la elettricità delle molecole organiche- e cioè la innervazione, non è precisamente la stessa nè può propagarsi allo- stesso modo della elettricità inorganica: si tratterebbe in sostanza di due diversi modi di essere, di due diverse specie di aggregazione. E tutto ciò- per concludere «che due specie di elettricità si devono distinguere, una. inorganica la quale si osserva e si riconosce per mezzo delle consuete ca- ratteristiche insegnate dalla Fisica; l altra organica, che ha pure i suoî: mezzi ed i suoi connotati per essere riconosciuta, elettricità organica, la quale negli animali e nell'uomo, essendo raccolta sopra un apposito sistema» moltiplicatore e propagatore, prende il carattere di innervazione ». L’ipotesi degli stretti rapporti tra energia nervosa ed energia elettrica» è così convincente per il Corleo, che Egli non esita ad affermare che, come- l'elettricità inorganica può accrescersi in tensione mercè le eliche ed i mol- tiplicatori, cosi pure l’elettricità animale, cioè la innervazione, si può ae-- crescere in tensione per mezzo dei gangli e specialmente per mezzo del- l’eneefalo. Non vi ha dubbio che su tale orientamento del Corleo molto dovette- influire l’operosità scientifica del grande fisiologo Emil Du Bois-Reymond,. il quale pochi anni prima, e cioè nel 1843, aveva studiato i fenomeni elet- tromotori che si manifestano nei nervi in conseguenza dell’ applicazione- su un tratto di essi di una corrente costante, e nel 1848 pubblicava il suo classico Trattato « Untersuchungen iiber thierische Elektricitàt». Ma an- cora prima del Du Bois-Reymond, e cioè sin da Hausen (1743) e de Sau- vages (1744), si era ammessa la natura elettrica della energia nervosa: più. tardi, dopo che Walsh (1773) stabilì che le scosse della torpedine sono di natura elettrica e dopo la classica scoperta del Galvani (1786), 1’ ipotesi della assoluta identità tra le due forme di energia parve tanto verosimile,_ che alcuni fisiologi cercarono di calamitare degli aghi di ferro collocandoli nello sciatico degli animali nei quali questo nervo veniva eccitato (Vavas-- seur e Berandi, 1828), esperienze queste che poi vennero contraddette da Miiller e Matteucci. Con la scoperta dei fenomeni elettrotonici, determi-- nati dalla corrente polarizzante, il Du Bois-Reymond aveva fatto risorgere - LA NATURA DELLA INNERVAZIONE SECONDO S. CORLEO 87 ila speranza che il problema della conduzione nervosa si avviasse per una ‘soluzione soddisfacente : il grande fisiologo, difatti, pensava che i cambia- menti elettrotonici (aumentata o diminuita eccitabilità polare, varianti del potere elettromotore pure ai poli) rappresentassero modificazioni fisiologi- «che del nervo e fossero quindi la base della sua funzione di conduzione. Ma le ricerche di Helmholtz fecero di un colpo crollare la speranza carez- zata dai fisiologi. L’Helmholtz infatti, servendosi specialmente del merodo grafico, ed applicandolo sui nervi della rana, trovò che la velocità della «conduzione nervosa è minima rispetto alla propagazione della energia elet- .trica; è per tali ricerche che noi oggi sappiamo che l’elettricità corre con Ja velocità di 464 milioni di metri al secondo, mentre l’ eccitamento ner- voso si trasmette con una velocità tanto piccola (metri 27,25 al secondo) ‘che può essere paragonata al moto di una locomotiva o al volo dell’aquila. Non parve, dopo queste ed altre ricerche che per brevità ometto, che si potesse più sostenere il concetto della identità tra energia elettrica ed “energia nervosa, ma non si rinunciò all’idea di una stretta parentela tra i ‘fenomeni elettrici e la conduzione nervosa, nel senso che nel fenomeno ‘della conduzione intervenissero in qualche modo delle energie elettriche. Il Corleo, sotto l’impressione che in quell’alba di rinnovamento scientifico ‘esercitavano nella mente dei naturalisti i risultati dell’indagine sperimen- «tale, abbracciò con entusiasmo le nuove dottrine e si diede sovratutto «a volgarizzarle, portandovi un contributo speculativo che mostra tutta la «ricchezza del suo ingegno. Ma, come è naturale, esagerò !... « Negli esseri -organici » Egli scrive «la elettricità si sviluppa, è vero, da tutta Ja massa «degli organi, ma un involucro quasi coibente, qual’è la pelle o altro qua- ilunque tessuto cutaneo, impedisce la dispersione della interna elettricità. É un caso di malattia, e malattia mortale come il colera, in cui sprazzi “elettrici uscir si veggono in gran copia dalla pelle umana, come attesta averlo osservato Atkinson ». La stessa perdita continua di elettricità os- «servarono Crawford e Mueller in Pietroburgo durante V’epidemia di colera. Ed ammette ancora il Corleo il passaggio dell’elettricità animale da un “individuo all’altro, come avviene nell’ unione sessuale; allora «si sentono 85 E. LUNA quasi degli scatti elettrici, che si dirigono dall nino all’ altro, simnlando quasi in certo modo } azione del magnetismo artificiale ». E come scosse elettriche vengono considerate dal Corleo i colpi che la mano dell’ostetrico riceve quando essa è introdotta nell’utero in caso di parto mannale : que- sti colpi sono tali che sembrano intorpidire la mano per qualche tempo, non altrimenti che se avesse ricevuta la scossa della torpedine, Anche nelle piante si sviluppa energia elettrica perchè non esiste, se- condo Corleo, chimismo organico che non sia accompagnato da elettricità, «nè può darsi attrito di umori semoventi senza parimenti sviluppare una proporzionata dose di elettricità », ed è curioso come l'Autore concepisca lo scambio tra ]’ elettricità delle piante e quella dell’ ambiente: « Cadute che sono le foglie di alcuni alberi in certe stagioni, la natnra presenta tntti i loro ramoscelli nudi, come tante punte acuminate dirette all’ aria, per scaricare sulla stessa l'elettricità sovrabbondante nell’albero, o per at- tirare la elettricità inorganica dell’aria ambiente, allorchè la pianta ne ha bisogno ». I progressi scientifici delle successive generazioni di studiosi dovevano far giustizia di tutte queste esagerazioni, e l’antica dottrina dell’elettricità animale, così come era stata formulata dal du Bois-Reymond e dai snoi contemporanei, perdette in seguito ogni valore. Lo studio rigoroso dei fe- momeni elettrolitici e delle correnti di polarizzazione, integrandosi con i progressi della fisico - chimica, doveva portare ad una interpretazione di- versa dei fenomeni bioelettrici. Considerando un segmento di tessuto ani- male, sia esso un nervo o un muscolo, ceme una pila di concentrazione, è facile comprendere come un eccitamento qualsiasi debba determinare una modificazione locale della concentrazione di ioni e provocare quindi una differenza di potenziale elettrico rispetto ai punti vicinì: da ciò la forma- zione di una corrente. E tale corrente può spiegarci il meccanismo della conduzione lungo i conduttori nervosi. La conduzione è indubbiamente legata a processi fisico-chimici, rever- sibili, che con estrema rapidità si propagano da una estremità all’altra nei colloidi dei conduttori nervosi, così come si propaga, secondo l’immagine ‘lello Phluger, accensione di una miccia. he) ? LA NATURA DELLA INNERVAZIONE SECONDO S. CORLEO So Secondo il Corleo l’innervazione, la quale dal centro si distribuisce a tutti gli organi sensori, è unica ed identica di natura per tutti: essa poi produce risultati diversi secondo la diversa natura dei nervi sensitivi a cuni sì distribuisce, e dell’oggetto esterno che deve con la sua azione ecci- tarli. In altri terminì gli effetti sensitivi devono essere sempre conformi alla natura sia dell'oggetto esterno che del nervo dove l'oggetto agisce (1). Il Corleo fonda tale sua opinione sulle seguenti considerazioni : Anzitutto, se ogni organo sensorio avesse una attività nervosa a sè, 0, come dice l'Autore, una innervazione a sè, non potrebbe aversi quella statica nervosa che permette la depressione di un senso ed il contemporaneo esaltamento di un altro senso, nè si potrebbe avere la riflessione di un organo sen- sorio ad un altro, o da un organo sensorio agli organi del movimento; ed ancora, dovendo il centro nervoso esercitare la sua necessaria influenza sopra ciascun organo sensitivo, deve per sua natura agire in unico ed iden- tico modo sopra tutti gli organi da sè dipendenti. Oggi si direbbe più modernamente lo stato attivo degli ordegni ner- vosi è identico in tutti, la specificità dipendendo solo dalla natura dello stimolo e dalla particolare struttura degli ordegni stessi. Il Corleo naturalmente si schiera in favore della dottrina dell’ identità delle funzioni nervose, accettata da Du Bois-Reymond, Hermann, Miiller, ed allora dominante. Solo più tardi, per opera di Griitzner, Hering ed al- tri, si prospettò la possibilità che i diversi nervi avessero un modo di fun- zionare qualitativamente differente, e cioè che i singoli neuroni differissero tra di loro per la qualità stessa specificatamente diversa della loro attività. Ma è certo che la dottrina dell'identità è quella che riceve i maggiori con- sensi, ed oggi il problema è essenzialmente rivolto a stabilire se la speci - ficità del processo nervoso avvenga nell’ organo periferico, come sostiene il Wundt, o se essa invece dipende dal cervello, come sostiene 1’ Helmotz, o se invece « nella percezione di un oggetto si ha la sintesi di qualche (1) Qui è bene far rilevare che con questa indicazione di nervi sensitivi, il Corleo com- prende tanto i conduttori nervosi quanto le loro connessioni centrali. 90 E. LUNA cosà che avviene negli organi di senso e di qualche cosa che avviene nel cervello » (Rolla) (1). Ammettendo il principio di identità delle funzioni nervose, il Corleo conseguentemente ammette che, in condizioni speciali, la carica neryosa possa essere spinta più verso un nervo sensitivo anzichè verso nn altro, in guisa che possa l’azione di un senso esaltarsi molto e quella di un al. tro deprimersi o quasi cessare del tutto: esiste, quindi, una specie di com- penso di innervazione tra un organo sensorio che funziona maggiormente, e quelli che niente o poco funzionano. E tutto ciò perchè, secondo Cor- leo, i nostri ordegni nervosi funzionano come gli apparecchi elettrici, e per- chè la innervazione è in certo modo identica alla trasmissione dell'energia elettrica. Il cervello non conterrebbe in sè la sorgente unica delle energie nervose, ma centralizzerebbe queste ultime, trasmettendole a tutte le parti dlell’organismo secondo i loro bisogni, armonicamente; ma in certe condiì- zioni, fisiologiche e patologiche, si avrebbe una emissione maggiore in un senso e quindi una diminuzione di emissione in altro senso. Si vede in questo ragionare lo sforzo di stabilire ad ogni costo analogie con i feno- meni del mendo fisico : si presuppone quasi che nell’ organismo si abbia una carica costante di energia nervosa che, nel distribuirsi per tutte le vie di accesso ai nervi, ne trovi alcune impervie e si scarichi quindi per altre che non presentino ostacolo. Noi non possiamo seguire il Corleo in una interpretazione così rigidamente fisica della distribuzione della ener- gia nervosa, e che appare oggi così artificiosa. Pero, a prescindere da ciò, sta di fatto che il Corleo ha bene inteso quello stato di limitazione della coscienza che è l’attenzione, in cui la messa a fuoco di una determinata sensazione o imagine implica l’oscuramento di altre sensazioni o di altre imagini che si presentano nello stesso tempo. La inegnale distribuzione dlella carica nervosa che, secondo il Corleo, importa nell’attendere 1° esal- tamento di una sensazione o imagine a detrimento di altre, corrisponde al concetto odierno di considerare l’attenzione come effetto della inibizione, (1) RoLLa G.— Questioni psicologiche, in Logos, Anno VI, fasc. 4, 1923. LA NATURA DELLA INNERVAZIONE SECONDO S. CORLEO O1 la quale nella attenzione esterna si esercita sugli organi della percezione, ell in quella interna limita l’associazione ad un unico obiettivo, donde la inibizione di riflessi accessori, secondo il concetto di Bechterew. Come ancora oggi intendono alcuni psicologi, i quali distinguono una attenzione volontaria ed una attenzione involontaria, detta altrimenti spon- tanea, il Corleo distingue una attenzione comandata dalla volontà ed una involontaria o forzosa. «Talvolta » serive il Corleo «l’attenzione è coman- data dalla volontà, in modo che essa fissa, per così dire, il senso sopra l'oggetto determinato, che vuole contemplare, ed ingrandisce talmente le minime sensazioni, donde risulta il tutto di quel tale oggetto, da non per- dlerne nessuna particolarità, restando nel tempo stesso deboli e diminuite tutte le sensazioni di natura diversa. Oltre a questa attenzione volontaria, ve ne ha una involontaria e forzosa, in cui l'oggetto medesimo, per il pia- cere che reca nella sua contemplazione (una bella fisionomia, un campo fiorito, una magnifica prospettiva) costringe quasi l’occhio a fermarsi, ed ob- bliga la mente ad attendere. Ora in questo secondo caso si osserva la cosa nel suo vero essere, cioè si vede quella bilancia naturale che regna in tutti gli organi sensorî > (1). Nella definizione del Corleo si riconosce subito il supposto carattere . differenziale tra attenzione volontaria e quella involontaria. Nel primo caso l’attenzione comandata dalla volontà ingrandisce un senso e debilita nn altro: nel secondo caso è lo stimolo ricevuto dal senso che richiama colà l’attenzione, debilitando contemporaneamente la forza sensitiva di tutti gli altri organi. La quale affermazione vuol dire che l’attenzione involonta-. ria ha una causa emotiva, mentre quella volontaria presuppone una scelta ed implica quindi un giudizio. Non si può però, ad occhi chiusi, accogliere questa differenziazione del- l attendere così come è nella concezione del Corleo e di altri psicologi, perchè |’ attenzione, in qualunque forma e in qualunque condizione essa sì presenti, sia essa esterna, e cioè diretta ad oggetti esterni, o interna e (1) S. Correo —1l c., p. 246. 7, 92 VW. LUNA cioè diretta a stati di coscienza, è sempre una scelta, e come tale implica un atto volitivo fondato sopra un criterio di preferibilità, che può essere molto elaborato, come avviene nell’ uomo adulto, ma può invece essere molto rudimentale, come dobbiamo pensare che avvenga nel bambino. An- che nel caso che il pensiero venga, come dice Brugia (1), passivamente at- tratto da poche reazioni atti percettivi, ricordi, rappresentazioni —, bi- sogna sempre pensare che all’attrazione, che è passiva, succeda poi volu- tamente la concentrazione in qualcuna di queste reazioni, senza di che non vi sarebbe l’attenzione. La quale, ripeto, in tanto è attenzione, in quanto è scelta, e quindi atto volitivo. In tutte le forme di attenzione si suppone, come in qualunque azione volontaria, l'intervento dell’ To attivo. Nè sus- siste l’altra distinzione tra le due supposte forme dell’attendere, consistente nella causa emotiva, che si ammette nella forma spontanea, mentre si nega in quella volontaria, per cui si è arrivato perfino ad ammettere che « l’at- x tenzione è esclusivamente volontaria solo se non dipende affatto dal ca- *. rattere emotivo della rappresentazione alla quale si rivolge » (Masei) (2). perchè 1’ elemento emotivo determinante si ha nell’ una e nell’ altra delle due forme di attenzione. Ma ritorniamo al Corleo. tI Lee lati Lp Egli ricorda che si hanno nel campo patologico casi singolarissimi della «e» cessazione di tutti i sensi con la suprema chiarezza di un senso solo; p. e. oscurazione della vista, mancanza del gusto e dell’ wlito con una squisi- tezza di tatto straordinaria. Ciò dimostrerebbe per I’ Autore che l'esercizio ‘ sensitivo di un nervo si ha a spese della innervazione generale, la quale, appunto per ciò, fornisce agli altri nervi una carica minore. « Vi ha dun- que un compenso di inuvervazione tra un organo sensorio, che funziona viemaggiormente, e quelli che o niente o poco funzionano » (3). E sempre nello stesso campo patologico il Corleo ricorda che i ciechi hanno un tatto (1) BRUGIA — La irrealtà dei centri nervosi, pag. 163. Bologna 1923. (2) Masci F.— Elementi di filosofia, Napoli 1904. (3) S. CorLeo — loc. cit., pag. 246-247. LA NATURA DELLA INNERVAZIONE SECONDO s. CARLEO 95 «estremamente fine « non acquistato per sola abitudine, ma per sè vera- anente tale », e distinguono le impressioni diverse di una colonna d’aria libera in una strada retta e di un’altra colonna d’aria circoscritta e limi- ‘tata da an muro vicino. É fatale, per |’ Autore, che ciò debba avvenire : da carica nervosa deve fatalmente istradarsi per quella via che è pervia, e raggiunge in essa quell’ alto potenziale che funzionalmente si rivela con ‘affinamento di una particolare sensibilità. Però questa interpretazione del Corleo, improntata ad un meccanicismo “che consegue naturalmente alla dottrina della stretta analogia tra condu- zione nervosa e conduzione elettrica, non può spiegare adeguatamente tutta ‘una serie di fenomeni squisitamente psichici. Ma è poi vero che l’organo sensorio chiamato ad una funzione, dicia- ‘mo così, compensativa, diventi più squisito, più fine, più penetrante nel- ‘Pesercizio di questa sua funzione ? Pare invece che i sensi i quali, per es., nel cieco, sostituiscono parzial- ‘mente quello visivo mancante, acquistano non una maggiore finezza, ma ‘un campo di utilizzazione maggiore di quello che non si abbia nel veg- gente; in questo esiste la possibilità di una più vasta utilizzazione, ma essa -è allo stato potenziale, e solo una speciale richiesta e ! abitudine che @ questa consegue, riesce a metterla in efticienza. « Non è già che il nato ‘sordo acquisti una finezza superiore del senso visivo e del tattile; egli im- para invece, mediante questi sensi, a percepire tutto che è forma e movi- :mento nella pronunzia, e a riprodurla esso stesso, e a percepirla pronta- mente e distintamente in altri. Dall’ alfabeto delle dita passa all'alfabeto mimico delle labbra, ed all’alfabeto scritto; ma la lingua vocale resta per ‘lui un mistero » Masci (1). Si può affermare che il Corleo abbia portato nei più diversi campi della fisiologia e della psicologia la sua attenzione e 1’ acume della sua critica, ed alcuni capitoli sembrano più l’opera di un contemporaneo che quella di uno scrittore della metà del secolo scorso. (1) Mascr— loc. cit. PEA vr o EE E 7 W È fi ì i È | I In STE AA te Ar E. LUNA Ecco, per es., quello che scrive a proposito della funzione glandolare : «Tra tutte le secrezioni esiste un’armonia manifesta ed indubitabile, tale che Yuna spesso non stà senza dell’altra, o Vuna compensa l’altra, o il di- sordine dell’una refluisce tosto sull’altra » (1). Noi non potremino con più felice sintesi e con maggiore precisione riassumere tutto quello che è oggi acquisito in fisiologia nel campo delle correlazioni glandolari. Ma vi ha di più: in quel breve periodo è considerata tanto la funzione vicariante quanto quella sinergica, due modalità di correlazione glandolare che, pur essendo tanto diverse luna dall’altra, spesso non vengono sufficientemente distinte. A dir vero, gli esempi che il Corleo porta si riferiscono più alla prima che alla seconda modalità, ma certo il concetto di sinergia funzionale dei complessi glandolari non sfuggì al nostro Antore, come si dimostra dove Egli scrive «tale che l'una spesso non sta senza dell’altra ». Questo priu- cipio di fisiologia glandolare riceveva più tardi nna larga e documentata conferma. E di fatti, per citare un esempio, Bayllis e Starling scoprirono. che Pazione sulla mucosa duodenale del chimo acido dello stomaco deter- mina la secrezione di una sostanza speciale, detta secretina, la quale passa nel circolo sanguigno e va ad eccitare, per via chimica o neurochimicea, la secrezione del succo pancreatico, del succo enterico e della bile. Fra gli esempi di correlazione glandolare addotti dal Corleo non ve wè alcuno che si riferisca a correlazione tra le glaudole endocrine; ma ciò sì comprende facilmente, quando si pensi che solo in questi ultimi anni i biologi hanno studiato quella parte della fisiologia glandolare che va col nome di endocrinologia, determinando in modo speciale tutte le correlazioni funzionali tra gli organi a secrezione interna. Però già sin dall'epoca nella quale visse il Corleo, sotto gli impulsi dati alla fisiologia delle glandole da G. Miiller (1830) e da CI. Bernard (1855) si aveva, con quelle restrizioni che fa giustamente ii Pende (2), il concetto di glandola a secrezione in- terna; e. però possiamo pensare che quando il Corleo seriveva «insomma (1) S. CorLeo — loc. cit., pag. 465. (2) Penpe — Yrattato di endocrinologia. Vallardi, 1914. LA NATURA DELLA INNERVAZIONE SECONDO S. CARLEO 95 ‘n tutte le secrezioni vi è concatenazione », Egli intendesse anche riferirsi alle glandole a secrezione interna, le cui correlazioni funzionali oggi sono a noi abbastanza note sia come correlazioni ormoniche interglandolari, sia come correlazioni ormoniche intraglandolari, sia come correlazioni endoe- socrine (Pende). i Per l'armonia delle correlazioni funzionali anzidette il Corleo invoca «l'intervento del sistema nervoso. « Questa concatenazione non è sostenuta, semplicemente per la identità dei materiali organici, che rispettivamente segregano, ma ben anche per ettetto della innervazione che mantiene la bilancia di tutte queste secrezioni medesime» (1). Più particolarmente questo concetto è espresso a pag. 468: « In gene- rale, per non più dilungarci, possiamo stabilire una regola, che l'attitudine «di una data parte organica a segregare o ad eliminare una qualunque de- terminata sostanza, attitudine che esiste solamente in una o in due parti ‘antagonistiche, è tutta dipendente dalla innervazione, la quale sola regola ‘il corso degli umori, avviva il chimismo organico, e sostiene la stessa fun - zione secretoria, non altrimenti che la pila elettrica sostiene il chimismo e l’esosmosi delle varie sostanze attraverso delle membrane animali, come se ne accertarono Wollaston, Eberle, Foderà. Il chimismo secretorio senza la guida della innervazione non avrebbe localizzazione di sorta, e :sì potrebbe indifferentemente operare in ogni dove, come in ogri dove si ‘incontrano i principii, che servono al chimismo medesimo. Infatti, cessata ‘appena la vita, tutti i vari principî che il sangue contiene incominciano ‘certe loro chimiche lotte, che uon esistevano per lo innanzi, perchè non ‘erano compatibili con la forza del principio vitale che li guidava al debito ‘loro luogo, e faceva succedere le loro chimiche reazioni in quei punti, ove ‘meglio conveniva pel mantenimento di tutto l’organismo ». Tutto ciò dimostra quanto influisse sul pensiero di Corleo il concetto allora dominante che le correlazioni trofiche tra le varie parti che costi- tniscono l'organismo fossero mantenute esclusivamente dalla funzione ner- (1) S. CorLro — loc. cit. pag. 465. 96 E. LUNA vosa. Sicchè Egli poteva scrivere che la innervazione, nel tempo stesso- che rappresenta nell’animale la somma dei singoli disquilibrî delle sue in- time molecole, diventa nel tempo stesso la forza che opera o dirige tutti: gli effetti organico-vitali dell'animale medesimo, e poteva ancora aggiun- gere che la energia nervosa rappresenta la forza regolatrice di tutte le fun- zioni, la bilaneia che mantiene Ja statica fra tutte le parti. L’analisi critica di una ricca casistica sperimentale tende oggi però ad: assegnare all’ azione ormonica la funzione che determina le correlazioni. trofiche tra le varie parti dell’ organismo; ma, come giustamente osserva Pende, « neppure oggi noi possiamo fare a meno dell’ intervento del si-. stema nervoso, per comprendere così le correlazioni trofiche tra i varî tes-. suti dell’organismo, come le correlazioni reciproche tra le stesse glandole- endocrine », e però si tende ad ammettere un meccanismo di correlazione- menro-ormonico o endocrino simpatico. Ma qual’ è il meccanismo dell’ azione nervosa, e cioè, nel caso che ci interessa, qual’è il rapporto tra l’attività nervosa e ! attività glandolare ?° Al concetto vago, indeterminato, di azione nervosa, nel quale si riposava la mente dei fisiologi che vissero nell’epoca del Corleo ed anche più tardi, subentra oggi, per l’attività di nna vigorosa schiera di indagatori, un con- cetto più determinato. Ricordo la celebre esperienza del Demoor (1): quando in una glandola salivare si fa circolare del liquido di Ringer, si ottiene una determinata attività secretoria, ma se al liquido di Ringer si aggiunge della saliva. questa attività secretoria della glandola salivare aumenta. Si ammette oggi che ciò avvenga perchè la saliva contiene una sostanza (termostabile ed: mna termolabile), le quali si formano per l’eccitamento della corda del tim-. pano : queste sostanze sono intercalate tra l’eccitamento nervoso e l’azione- glandolare e sono un elemento necessario tra i due. Ricordo ancora le espe- rienze di Koch, il quale, stimolando i nervi gastrici, vide formarsi delle- (1) Demoor — Le meécanisme intime de la séerétion salivaire. Arch. intern. de physiolo— gie, 19/3. LA NATURA DELLA INNERVAZIONE SECONDO S. CORLEO 97 sostanze le quali eccitano la secrezione gastrica. E sempre nello stesso or- dine di idee, per quanto riferentisi ad organi diversi, ricordiamo le belle esperienze di Loewi (2), che sarebbe desiderabile venissero confermate. Un cuore isolato di rana contenente liquido di Ringer, è stimolato per via del vago; dopo mezz'ora circa il Ringer si introduce in un altro cuore isolato di rana, ed allora in quest’ultimo si ha netta azione inibitrice, e cioè di- minuzione delle contrazioni, nell’assenza di ogni stimolo del vago. Ciò fa supporre che la stimolazione del vago determina la formazione di sostanze con azione inibitrice sul cuore: tali sostanze, come lo stesso Autore ha dimostrato, si formano prima ancora che avvenga la contrazione muscolare. Lo stesso risultato, con effetto però stimolatore, si ha quando in iden- tiche condizioni di esperimento, si stimola il simpatico. Questi ed altri esperimenti che per. brevita ometto, dimostrano che nel meccanismo della funzione glandolare le sostanze formate sotto l'eccitazione nervosa « rap- presentano un anello necessario tra l’attività nervosa e l’attività glandola » (Lugaro) (1). Con gli esperimenti del Loewi queste conclusioni si estendono naturalmente anche ad altre azioni nervose. L'indagine, su questa via, non potrà non dare quei risultati che per- mettono di precisare Vintimo meccanismo della funzione nervosa. Uno dei problemi fondamentali della neurologia è quello che riguarda localizzazioni cerebrali, e però esso non poteva sfuggire allanalisi critica dlel filosofo naturalista. Nella valutazione storica delle idee del Corleo noi faremo astrazione c per quanto sarà possibile, dell’esperienza venutasi ulteriormente maturando per opera di fisiologi e clinici. È da premettere che, quando il Corleo scriveva il suo Trattato sulla na- tura dell’innervazione, il mondo scientifico era ancora sotto l'impressione dell’opera di Gall e Spurzheim, a buon diritto considerati come i fonda- (2) Loewr — Veber humorale Uebertragbarkeit der Herznervenwirkung. Pfliigers Archiv. f. d. ges. Physiologie, 192i. — Weitere Untersuch. ete., in Klinische Wocheschrift, 1922. (1) S. LuGaro — Sul meccanismo delle azioni nervose. Riv. di patol. nerv. e ment., 1924, Me NI ci si RI ; i 3 È “ ; È )3 - LUNA tori della dottrina delle localizzazioni cerebrali, e delle critiche violente che il Flonrens moveva a questa dottrina, e in particolar modo alle aber- ‘azioni di essa culminanti nella frenologia 0 organologia cerebrale. Nel pe- riodo, che segna l’agonia del sistema frenologico e nello stesso tempo Ver- rore della esagerata critica demolitrice del Flourens, il Corleo potea seri- vere con spirito di imparzialità: « Già si sa che aleumi fisiologi, e princi- palmente Gall e i suoi scolari, andarono tant’oltre in guesta materia, che vollero localizzare nel cervello le varie sedi delle diverse branche dell’in- telligenza. Ma più di tutto essi pure attesero a stabilire le varie sedi delle tendenze o degli istinti. Però alle loro pretese si opposero altri fisiologi, i quali in varî sensi attaccarono la dottrina della localizzazione delle fa- coltà intellettuali o delle tendenze istintive. E sembra che se i primi vol- lero troppo circoscrivere e troppo materializzare le suddette varie sedi dell’intelligenza, gli altri al contrario con la confusione delle loro confu- tazioni han voluto rapire di tutto punto al cervello il nobile suo concorso negli atti intellettuali » (1). La serenità del giudizio nel Corleo appare tanto più meravigliosa quanto più si considera la scarsezza dei dati sperimentali che sulla funzione delle varie parti del sistema nervoso si avevano nell’epoca nella quale Egli visse. Hertwig e Flonrens avevano dimostrato che dopo l'asportazione completa ‘«lei due emisferi cerebrali cessava nell’ animale la facoltà di riconoscere tutto ciò che lo circonda e se stesso, cosa che non si era osservata quando si toglievano altre parti dell’asse cerebrospinale, per es.: il cervelletto , i corpi quadrigemini : tutto ciò portava ad ammettere che la intelligenza si dovesse localizzare nei due emisferi. Altri fisiologi avevano confermato questi dati sperimentali, ma non si era stabilito l'accordo se fosse la por- zione anteriore o quella media o quella posteriore o la base dei lobi ce- rebrali la sede in cui si esercitano le funzioni dell’intelligenza. L’esperimento cercava sempre di far luce in quel labirinto che è il si- stema nervoso, ma la tecnica insufficiente, spesso la mancanza del con- (1) S. CorLEo, loc. cit., pag. +18. LA NATURA DELLA INNERVAZIONE SECONDO S. CORLEO 99 trollo anatomico, una certa superficialità di giudizio portavano a delle con- clusioni che oggi a noi sembrano quasi inverosimili. E così dal Gall si attribuiva al cervelletto la funzione venerea : invece Flourens e Longet attribuivano a quest’'organo la funzione di coordinare i movimenti, e San- cerotte , Petit, Foville e Dugés attribuivano ad esso la funzione di rice- vere le sensazioni. Foderà e Magendie videro disturbarsi la statica del moto dopo il taglio o del cervelletto o dei talami ottici, e pensarono che esistesse una specie di statica tra il cervelletto ed i talami ottici per man- tenere l'equilibrio dei movimenti. I corpi quadrigemini Vennero messi in relazione con la funzione visiva (Flourens, Hertwig, Magendie). Legallois con i suoi esperimenti aveva assegnato al midollo allungato la suprema direzione dei movimenti respiratori; avendo però osservato il Longet che al disotto del punto di emergenza del vago si possono praticare delle se- zioni le quali non aboliscono del tutto, ma parzialmente, la funzione re- spiratoria, questa funzione direttiva si è estesa sino ai primi nervi cervi- cali. Miller, Marshall-Hall ed altri attribuirono al midollo spinale la pro- duzione dei movimenti muscolari, e specialmente quella dei movimenti riflessi : altri Autori invece credettero trovare nel midollo la sede della sensibilità dolorifica, altri la sede dell’esercizio venereo. Non citerò altri esempi: ve n'è abbastanza, io credo, in quelli già ri- cordati per far nascere lo scetticismo sul concetto di localizzazione nel sistema nervoso centrale. Eppure il Corleo, pur riconoscendo la manche- volezza dei dati sperimentali ed il disaccordo tra questi ed i dati anato- mopatologici, non si crede autorizzato ad escludere la localizzazione delle funzioni nelle varie parti dell’asse nervoso, e quindi, implicitamente, ad ammettere che l’intero asse cooperi sempre in ogni funzione nervosa. Scor- rendo le pagine sulle localizzazioni cerebrali del Corleo si riporta limpres- sione che questo filosofo naturalista abbia veramente intuito quale dovea essere più tardi, per le ricerche di Flechsig, Brodmanp, Broca, Luciani, la dottrina delle localizzazioni cerebrali. E si ponga mente a ciò, che proprio in quell’epoca le idee correnti sulla strattura del sistema nervoso dovevano rendere quasi inverosimile 100 È E. LUNA l’ipotesi di una localizzazione delle complesse funzioni nervose. Nozioni frammentarie, incomplete, che giustificavano ancora Vaforisma ennneiato- tre secoli prima dal Fantori: obscura textura, obscuriores morbi, functiones obscurissimae. Nei secoli precedenti al XIX gli studiosi si erano limitati alla grosso- lana osservazione della forma dell'encefalo e del midollo spinale: solo nel 1833 Ehrenberg scoprì che il sistema nervoso centrale è costituito da un numero inealcolabile di tubi capillari, e nel 1838-40, per opera di Helmolz, ® è hi . x . Remak, Ehrenberg e Purkinje, si scoprì la cellula nervosa. Im segnito, Rolando in Italia, Gall e Spurzheim in Alemagna incominciano a pigliare in esame i fili nervosi «che agglomerandosi tra di loro, costituiscono lencefalo » , e quando il Corleo scrive il suo Trattato, si è già scoperto con la microscopia «un mondo nuovo » nel sistema dei nervi : tubi primi- tivi che si prolungano indefinitamente senza confondersi mai tra loro, una materia grassa che riempie i tubi, ed i filetti centrali che dalla materia grassa sono di ogni dove isolati: rigonfiamenti sferoidi od ellittiei di al- cuni tubi, i quali coincidendo tutti ad un dato punto costituiscono i gangli. Tutt'altro che definito era poi il problema delle connessioni nervose. Nel 1851 Wagner seoprì che tra i prolungamenti della cellula nervosa del- l'organo elettrico in Torpedo, uno solo era it relazione diretta con una fibra nervosa: più tardi, nel 1854, il Remak estese questa conoscenza a tutte le cellule motrici, ma solo nel 1865 il Deiters potè affermare che è attributo di tutte le cellule nervose che fra i numerosi prolungamenti muno solo è in relazione diretta con una fibra nervosa: questa scoperta fece fare un passo decisivo nelle nostre conoscenze sulla struttura del si- stema nervoso. Non sembri quindi strano che il Corleo scrivesse che al microscopio la massa encefalica presenta un proseguimento non interrotto di fili, i quali provengono dalla grande rete nervosa, ed intrecciandosi in rarî sensi, si agglomerano insieme senza mai confondersi, e vanno final- mente a terminare nella sostanza grigia corticale delle circonvoluzioni. Questo dato incontrastabile della uniformità di tessitura, e della forma filamentosa non mai interrotta di tutta la massa encefalorachidiana, era LA NATURA DELLA INNERVAZIONE SECONDO $S. CORLEO 104 ‘dal Corleo messo in relazione con il fatto funzionale che tutte le lesioni rapide e subitanee di qualunque punto di tale massa perturbano la inner- vazione generale e scompigliano non già quella sola funzione che sembra essere localizzata nel determinato punto offeso, ma le funzioni tutte, e met- tono in repentaglio la vita. Ma nonostante questa premessa sulla « uniformità di tessitura » e sulla « forma filamentosa non mai interrotta di tutta la massa encefalorachidiana >», il Corleo si ostina a negare che | intero asse nervoso cooperi sempre iv ogni funzione nervosa, e però ammette una localizzazione nelle funzioni del cervello. Non però la localizzazione rigida, paradossale, sfrenata della scuola frenologiea : non l'ipotesi di un cervello diviso in tanti organi indi- pendenti, ognuno dei quali è destinato ad una speciale funzione, la quale cosa contrasterebbe, come ammette un altro filosofo naturalista contempo- raneo, l’Anile (1), coi caratteri della più modesta attività psichica: ma è ° già nella mente del Corleo la concezione di un cervello che risulta dalla aggregazione di parti, ciascuna delle quali è in relazione con determinate vie di moto e di senso e con determinate vie commessurali, e nel quale però le diverse combinazioni delle funzioni intellettive, che sono Pattributo funzionale delle diverse parti, determinano l’unità funzionale del cervello nella elaborazione dei diversi atti psichici (2). La profondità dell’analisi ed il rigore della critica che il Corleo portò nello studio dei diversi elementi che costituiscono il complesso delle azioni mervose, meriterebbero un più largo commento: ma quello che è stato da me accennato, in una visione necessariamente fugace, è sufficiente, io «credo, per mostrare che il filosofo siciliano, pur essendo per sua natura portato alle astratte speculazioni dello spirito, non disdegnava di soffer- marsi, con rigore di indirizzo scientifico, nello studio obiettivo dei feno- meni naturali; dava così l’esempio di quello che debba essere un sano € (1) AniLE A.—-Le localizzazioni cerebrali. Atti R. Accad. med. chirurgica di Napoli, 1917. (2) Sullo stesso argomento vedi E. Luna. Problemi fondamentali di Neurologia , Pa lermo 1924. l i rase Se seen 102 E. LUNA - proficuo filosofare. Egli scriveva: <..... se non si mettono di accordo Je scienze naturali con le scienze logiche, saranno imperfette le une e le altre >. 4 questo suo indirizzo mentale Egli rivela in tutra l’opera suna, tanto che i suoi commentatori l'han fatto sempre risaltare. Così scrive il Merenda (1): « Vi hanno filosofi che distinguono la Filosofia dalla Scienza: questa va terra terra, è empirica; quella com’aquila vola, è trascendente. Corleo non accetta questa separazione. Egli abbraccia la Filosofia universalmente, cioè in modo che compendia entro di sè tutte le scienze, che le coordini in- sieme, che le diriga nel loro scopo, nel loro metodo, nei loro oggetti : che armonizzi tutto ciò che potrebbe apparire discorde fra i varii rami dello seibile: la intende insomma come la scienza di tutto Vl umano sapere ». E così scrive il Di Carlo (2): «... più in là si avrà ancora occasione di ricordare quest’ opera, la quale già ci rivela le direttive della mente del Corleo , le sue preferenze intellettuali, il concetto che la filosofa dovesse fraternizzare nel modo più intimo con la scienza e con essa dovesse an- dare nell’accordo più perfetto ». È stato appunto P amore per lo studio dei fenomenti naturali che bha spinto il Corleo ad adattare la dottrina allora in valore della elettricità animale alla interpretazione dei fenomeni complessi dell’attività nervosa. Pur in mezzo agli errori, giustificabili se si considera 1’ epoca nella quale il Corleo visse, si vede nella sua opera filosofica la intuizione di verità che dovevano più tardi essere dimostrate: e però, in aleune delle Sue concezioni, egli appare veramente come un precursore. Integrando spesso le conoscenze e le speculazioni del Corleo, con quelle dei suoi contemporanei, bo cercato anche di dare una idea, sia pure vaga, «li quelle che fossero le conoscenze sul dinamismo nervoso nella metà del secolo XIX. (1) MERENDA P.+-In memoria di S. Corleo. Lettura fatta il 2 Marzo 1918, nella Soc. di Sc. naturali ed economiche di Palermo. (2) Dr Carro E. -- Simone Corleo. Radio, 1924. LA NATURA DELLA INNERVAZIONE SECONDO S. CORLEO 105 _ “Quanto cammino, che a noi sembra lontano, e che è appena misurato «dalla vita di un uomo! Addentrandoci nello studio dei varij problemi , fondamentali e particolari, riguardanti l’ essenza e la meccanica del dina- mismo nervoso, restiamo sorpresi del progresso così rapidamente ottenuto in uno dei campi più difficili e complicati della biologia. A volte stentiamo quasi a credere che a distanza di cento anni o meno abbia potuto ope- rarsi una così radicale risoluzione nelle nostre convinzioni, e nel modo stesso di profilare i problemi che riguardano il funzionamento del sistema nervoso. Verità, che sembrarono allora ovvie, sono state smantellate dal- l'esperimento ulteriore : problemi prospettati allora con una semplicità che a noi sembra ora infantile, si sono andati via via sempre più complicando : particolari aspetti di essi, allora neppure intravisti, sono ora al fuoco della nostra febbre di indagine. E questa febbre di indagine del biologo non si arresta di fronte al mistero nel quale si avvolge il dinamismo nervoso, anzi moltiplica i mezzi di studio, perfeziona la tecnica, e chiama a sussi- dio altre scienze, come la fisica e la chimica, perchè un fenomeno venga esaminato nella complessità della sua costituzione. E la tenacia dell’inda- gatore scopre sempre nuove verità, sicchè deve dar fede alla nostra ardua e difficile impresa la profonda convinzione che, come inesauribile è il campo delle nostre ricerche, altrettanto inesauribili sono le risorse che aiutano l’uomo di studio a scoprire la verità. QINTII Lil IRE IO REATI DES ONTE VLAN GONH OUR UFIVOVERNT VAN OETIFATTTOODUV IR VOOR CGI EDOVTEVNON FAR OVER O TOKIO V TAO OCAIUSHTOIO RAI UEO ORTO OA NEONATI DATO GODO OD TORO RE TRONTO TECO COGZ OSSEO UOICOCEROA NOEC OO A MANTO IDEA FOFODOEGOO TOTO DOTOIOTOOMDVE VICO OSOEMTOOED OCA OEVOMOOEE PRONTE MESEIUDTULO AGIO L. BUSCALIONI e G. CATALANO ee — Do Il legno crittogamico e la costituzione arcaica DÀ dei fillomi delle Acacie fillodiniche e fillodopodiche » ——___ 0 __ ...... || . È noto da tempo che nelle Cormofite arcaiche il fusto era formato in gran parte da legno centripeto, sul quale s'innestava si e no il legno cen- | trifugo, di guisa che una netta separazione fra radice e fusto, almeno in | | teoria, non si poteva fare. Il midollo non esisteva, in quantochè, data la struttura protostelica del cilindro centrale, la regione che ora è occupata da questo tessuto era riempita di legno centripeto. Con evoluzione, trat- teggiata a grandi linee, una parte del legno centripeto assunse i caratteri | dell’attuale tessuto parenchimatoso midollare, mentre il resto mantenne È | immutati i caratteri di elementi xilemici conduttori (midollo misto). Finalmente nelle attuali forme tutto-il midollo divenne parenchima- toso. Tracce dell’arcaica condizione di cose si verifica ancora attualmente nelle Orittogame superiori e nelle Gimnosperme ed uno dei casì più belli | è quello degli Equiseti, nei quali solo relativamente da poco tempo si è | scoperta la struttura centripeta. Nelle Gimnosperme attuali, per non entrare in troppi dettagli, faremo rilevare che il legno crittogamico, dopo essere scomparso dal fusto, si man- tenne ancora alla base delle foglie, indicandoci in queste una struttura più 13 106 L. BUSCALIONI E G. CATALANO arcaica (Cicadee). Se ora rivolgiamo la nostra attenzione alle Fanerogame angiosperme, noteremo che fino ad ora il legno centripeto fu riscontrato soltanto da uno di noi (Buscalioni) nel curioso organo a cui egli, in un precedente studio col prof. Mattirolo, aveva dato il nome di chilario senza che tuttavia gli Autori, in questa prima serie di osservazioni, si fossero ae- corti della vera natura anatomica del singolare organo. Qualche cosa di analogo venne pure scoperto in qualche ovulo di pianta a tipo primordiale (Laurinee), come risulta dai lavori del Buscalioni. (Il legno crittogamico del fascio vascolare seminale di talune angiosperme considerato nei suoi rap- porti colle teorie filogenetiche, Malpighia, 1921; — sulle tracheidi mieropi- lari del seme delle Laurinee. Boll. Accad. Gioenia, 1919). Più recentemente il Cordemoy avrebbe trovato il legno centripeto nel fusto delle Casuarinee, su di che giova rilevare che queste piante sono molto arcaiche e i loro fillomi ricordano quelli delle Equisetacee. Cellule a pareti ispessite e reticolate ricordanti un po’ da vicino il tessuto di trasfusione, o legno centripeto, che dir si voglia, si trovano pure disse- minate qua e là nel mesofillo di alcune foglie (ad esempio nelle Nepenthes, secondo Zimmermann) ed anche a ridosso delle terminazioni vascolari. Tut- ti gli Autori che si sono occupati di questo argomento ritengono tuttavia che esse siano semplicemente delle cellule di parenchima ordinario modi- ficate a scopo biologico (di trattenere cioè acqua). Però allo stesso modo che il Buscalioni suppone che non tutte le cellule di trasfusione delle Ci- cadee appartengano realmente al legno centripeto, sarebbe pure il caso di vedere se in alcuni di questi esempi segnalati dai vari AA. non si abbia per converso da fare con vero tessuto di trasfusione. Studiando noi da tempo la costituzione dei fillodi delle Acacie austra- liane e dei fillodopodi di questa, nel senso definito da Buscalioni e Mu- scatello, su materiale ricchissimo fornitoci dalla Direzione degli Orti Bo- tanici di Berlino, di Parigi e di Kew, a cui qui rinnoviamo i nostri ringra- ziamenti, abbiamo trovato che in vicinanza dell’apice dei fillodi, si notano, a ridosso delle primane dei singoli fasci, delle cellule a pareti ispessite e reticolate. Analoghi elementi e cogli stessi rapporti coi fascì compaiono IL LEGNO CRITTOGAMICO E LA COSTITUZIONE ARCAICA PCC. 107 pure in vicinanza dell’apice dei fillodopodi. Siffatte cellule si estendono a poco a poco sotto al palizzata, formando così tutto attorno al tessuto cen- trale acquifero di questi organi una vera guaina di elementi vascolari. . E qui occorre notare che, salvo le debite eccezioni, subiscono questa modi- ficazione quasi soltanto le cellule periferiche del tessuto centrale dei fillodi in largo senso, le quali sono più piccole delle altre e traggono origine dal mi- dollo, o dal pericido, o dalla corteccia profonda, o infine da tutto il periblema. I Li De << OT ) Vereto o coscienti SE ® @ Acacia trigonophylla. — Fillodopodio: tre fasci libero - legnosi uniti da legno crittogamico. SeZ, arco sele- roso liberiano: Pa, palizzata; Li, libro; Pr; protoxilemi: Cr, legno crittogamico, Solo in corrispondenza dell’ estremo apice anche un numero più o meno grande di cellule assili del tessuto centrale e talora persino tutte quante su- biscono siffatta metamorfosi. A lungo siamo stati perplessi se si dovessero considerare siffatti ele- menti come un vero e proprio tessuto di trasfusione, o non piuttosto come. SIOE dee ee à , Ù 108. L. BUSCALIONI E G., CATALANO una banale metamorfosi delle cellule parenchimatose centrali, avente ana- logia colle disposizioni osservate da Zimmerman e da altri. Quest'ultimo modo di interpretare i fatti sembrava più logico, dato che le così dette cellule di trasfusione, salvo gli ispessimenti e le ornamentazioni delle pa- reti, sono per dimensioni e forma spesso analoghe a quelle prettamente pa- renchimatose del tessuto centrale periferico, 0 assile. Però, dopo che la nostra attenzione fu rivolta in particolar modo ai fillodopodi siamo venuti alla conclusione che siffatti elementi, a tipo di tra- cheidi, sia per la loro posizione topografica rispetto alle primane dei fasci vascolari e sia ancora per esser presenti nei fillodopodi, sanno considerati come veri elementi di trasfusione, 0 in altre parole come rero legno critto- gamico. Per comprendere meglio il nostro concetto segrnaleremo, in poche pa- role, l'evoluzione dei fusti nelle piante. Nel Siluriano e forse anche prima, erano comunissimi certi tipi vegetali dicotomici, ritenuti come organismi inferiori, ma che il Kriusel ha riconosciuto recentemente essere apparte- nenti a forme già molto evolute. Pare che in essi mancassero le foglie ge- nuine. Da questi tipi, per un processo che fu molto bene intuito dal Po- toniè, uno dei rami della dicotomia divenne foglia, l’ altro mantenne im- mutato il carattere di fusto. La foglia doveva essere dapprima corticante o decorrente e più o meno ascrivibile al fillopodio di Gaudichaud e di Del- pino. Ma ben tosto sì concretò in un organo ben distinto dal fusto, che anzi in molte Leguminose, per esser fornito di stipole, cuscinetto, picciuolo, ghiandole e lembo composto deve essere considerato come molto evoluto. Però fra queste stesse Leguminose troviamo ancora molti tipi, viventi specialmente nei siti aridi dell'Australia, tutt'ora patria di forme arcaiche anche animali, nei quali lindividualizzazione della foglia rispetto al fusto è ancor poco manifesta. Questi tipi sono appunto le Acacie fillodopodiche, nelle quali asse e foglia son siffattameute fusi fra loro che solo a partire della regione dove il fillodopodio emerge liberamente si può parlare di un lembo fogliare, ridotto però alla semplice espressione di una base fogliare. analoga a quella dei fillomi pur sempre degradati di talune Monocotiledoni (Agave), colle quali ha molti caratteri anatomici comuni. IL LEGNO CRITTOGAMICO E LA COSTITUZIONE ARCAICA ECC. 109 E qui giova notare che mentre l’asse di dette Acacie non ha una strut- tura realmente raggiata qual'è quella degli assi genuini, poichè i cordoni vasali formano spesso solo due semilune (come in aleune Acacie fillodopo- «diche), troviamo per converso all’incirea la stessa struttura nei fillomi di queste, di guisa che non si ha più una difterenza strutturale fra quanto ap- partiene morfologicamente al caule e quanto spetta alla così detta foglia (fillopodinica). Può dunque recare meraviglia se in un filloma così poco differenziato incontriamo il tessuto di trasfusione, sebbene manchi per lo più nell’asse ? avviene questo anche nelle Gimnosperme stesse, in cni ultimo accenno di tessuto di trastusione si trova nelle foglie, colla differenza che nel nostro caso il legno cerittogamico prevale all'apice, mentre nelle Cicadee esso si trova di preferenza alla base. Infine la nostra sorpresa deve venir meno se consideriamo che nei semi delle stesse Leguminose il tessuto di trasfusione costituisce il chilario in- ‘corporato nel tegumento che, in ultima analisi, è d’origine fogliare. Nelle degradate Acacie fillodopodiche tutta quanta la struttura fogliare per quanto riguarda i fasci vascolari, si concreta a poco a poco nel tratto Fappresentato dall’ ala decorrente. Ma quanto più si riduce la lunghezza «di questa porzione , tanto più il rimaneggiamento delle traccie fogliari tende ad effettuarsi in vicinanza del nodo. Nelle fillodiniche, dove manca del tutto la decorrenza, le traccie fogliari (se così ancora possoùo chia- marsi), si individualizzano al n0do stesso da cui emerge il fillodio. Nascendo ad immediata vicinanza 1 una dell’ altra si comprende come esse possano nel punto stesso di ‘emergenza del fillodio disporsi in modo da costituire un cuscinetto. Ma il nisus formativo di un fillodopodio (gene, ormoni, ecc.) non è perduto in questi tipi di Acacia, per cui poco al di là del cusci- netto si ricostituisce, nel fillodio, una struttura perfettamente omologa a quella del fillodopodio, cioè una struttura bifacciale, grazie appunto a sif- fatti fattori, e quindi si comprende come anche qui si ripeta la struttura ‘centripeta nel xilema. Rd è intanto singolare il fatto che mentre nelle plantule di molte di 110 L. BUSCALIONI E G. CATALANO queste Acacie e di quelle fillodopodiche si ha un tipo fogliare evoluto, nelle forme adulte per ridursi il filloma allo stato di fillodopodio o di fil- lodio, si torna a un tipo arcaico strutturale. L’ evoluzione anzichè pro- gressiva è qui regressiva, come si ha in molte piante ed animali paras- siti e come è stato osservato recentemente per lo stesso cranio umano, Forti di tutte queste considerazioni siamo venuti alla conclusione che, analizzando da un punto di vista teorico la costituzione dei fillodi e dei fillodopodi, non già il parenchima periferico del tessuto centrale si è tra- sformato in legno crittogamico, ma che si abbia invece il caso inverso, che cioè quest’ultimo probabilmente, con l’evoluzione, abbia assunto la costitu- zione di un tessuto parenchimatoso. In altre parole si ha qui nn passaggio che ricorda perfettamente la trasformazione del blocco centripeto dell’asse, nelle piante arcaiche, in midollo misto e in midollo. Però a questo rignardo non possiamo lasciar sotto silenzio alcuni fatti che sono emersi di tanto in tanto dal nostro studio. Noi avevamo osservato che di norma il tessuto centrale dei fillodi si continua col corticale del fusto, indicandoci così un'unica derivazione, per quanto, come attestano antiche osservazioni del Buscalioni sopra radici anomale di Monocotiledoni, tra corteccia e midollo le differenze siano di poco momento e discutibili. Vi ha però un fatto singolare, che cioè allorquando in un fillodio due grossi fasci sono oppo- sti, il tessuto parenchimatoso che li separa perde i caratteri del tessuto centrale per assumere quelli del tessuto midollare del fusto della specie. Viè di più: in molte Acacie fillodopodiche, l’asse invece di esser costituito da un cilindro centrale chiuso, presenta, come si è detto, due semilune o archi libero legnosi che si guardano per la concavità, lasciando nel punto di impianto dei fillodopodi una specie di hiatus. Da questo occhiello esce fuori e si avanza profondamente nel fillodopodio il vero tessuto midollare. Que- sto stato di cose sarebbe l’ultima espressione di una disposizione aucora più conclamata, che si osserva, ad esempio, nell’ Acacia trigonovhylla, dove ernia midollare si estende per tutto l’asse del fillodopodio, nel tratto in- cui questo si emancipa, involucrata dal tessuto centrale a grandi cellule, a sua volta rivestito da quello a piccoli elementi. Or bene qui appunto tro- IL LEGNO CRITTOGAMICO E LA COSTITUZIONE ARCAICA BCC. 111 viamo che sono tutti quanti questi elementi, ma specialmente quelli derivati dal midollo dell’asse, che si trasformano in tessuto di trasfusione. Noi siamo stati così fortunati da constatare che in corrispondenza del- l'estremo apice di questi fillodopodi, mentre tutto il tessuto realmente midollare addossato ai fasci assume carattere di legno centripeto , scom- pare in pari tempo il metaxilema da alcuni dei pochi fasci che costitui- scono l organo, di guisa che a contatto del libro vengono a trovarsi le primane, cui fanno seguito dal lato interno i veri e genuini elementi del legno centripeto. La struttura del fascio diventa quindi identica a quella di una Stauropteris o di altri tipi arcaici. Più addietro invece i fasci sono ‘o mesarchi o endarchi (alla base del fillodopodio). Assodati questi fatti noi possiamo concludere che nelle Acacie fillodo- podiche arcaiche doveva esserci un fillodopodio (tilloma o ramo trasfor- mato in filloma) in cui si aveva, è vero, un midollo, ma questo era costi- tuito da elementi di trasfusione. Una parte del tessuto centrale attuale (cioè quella costituita da cellule piccole periferiche) forse costituiva il così detto mantello, da uno di noi (Buscalioni) descritto nelle radici delle Monocotiledoni, o anche ; se si vuole, la così detta zona. perimidollare. Nella maggior parte delle forme fillodiniche attuali esso parrebbe derivare piuttosto del periciclo. Per quanto riguarda le cellule grandi del tessuto cen- ‘ trale siamo in dubbio se ascriverle al midollo genuino o ad altri elementi. In più di un caso la loro origine ci parve nettamente corticale. Sta infatto che mentre i piccoli elementi periferici del tessuto centrale contribuiscono ancor oggi a dare il tessuto di trasfusione in tutte le Acacie fillodiniche, in largo senso, le altre due sorta di elementi, cioè quelli centrali e quelli provenienti dal midollo assile penetrato nel fillodopodio, lo danno solo im via eccezionale. G. DE FRANCISCI GERBINO if Centenario della nascita di Simone Corleo I concetti del Filosofo di Salemi in materia di tributi Simone Corleo, nella sua multiforme attività di filosofo e di scien- ziato, si occupò anche di finanza. I saggi che egli ha lasciato, concernenti questa disciplina, appaiono ancor oggi assai interessanti e densi di pro- fonde considerazioni; e di essi, dimenticati o non conoscinti dai più, è utile richiamare la memoria in questo periodo tribolato, nel quale il problema finanziario assurge ad importanza più che mai rilevante. Il saggio più notevole si riferisce ai Principii direttivi delle tasse ita- liane (1). È un lavoro nel quale, partendo da premesse teoriche in parte originali, il Corleo giunge a conclusioni pratiche nei riguardi del bilancio e del sistema tributario italiano. Il Corleo comincia col discutere il fondamento delle imposte. Egli le chiama tasse, adottando la terminologia seguìta generalmente nella pratica e perfino nelle nostre leggi fiscali. Ma, d’altra parte, distingue nettamente le imposte dalle tasse vere e proprie, che chiama tasse per beneficii speciali. Egli contrasta: la teoria, secondo la quale le imposte rappresentano un compenso da noi dovuto allo Stato, alla Provincia, ed al Comune pei ser- (1) Estratto dal Giornale di Scienze Naturali ed Economiche, Palermo, 1874, vol. X. I CONCETTI DI S. CORLEO IN MATERIA DI TRIBUTI 113. vigi che essi ci. rendono, osservando che lo Stato, la Provincia, il Comune non sono enti distinti da noi, e che, d’altra parte, la teoria della contro- prestazione non mette in rilievo che i servigi che noi riceviamo da questi tre diversi gradi di associazione sono tali che noi stessi non potremmo procurarceli con le singole nostre forze ed anche con quelle della rispet- tiva famiglia. I A questa teoria egli contrappone l’altra, secondo la quale Vimposta è il prelevamento di una parte dei nostri prodotti per pagare il lavoro ne- cessario a quei benéfici comuni di conservazione e di perfezionamento, che soltanto con spese comuni possiamo ottenere, Il Corleo, cioè, in sostanza concepisce correttamente imposta come un particolare consumo, come la destinazione di una parte della ricchezza pri- vata per l’appagamento dei bisogni collettivi. Premessa questa nozione della imposta, egli passa ad esaminare quale debba essere la materia tassabile, e combatte l’opinione di quegli scrittori i quali han pensato che la più acconcia materia sia costituita dal lusso, osservando giustamente che il lusso è una cosa ben piccola in confronto della grave cifra delle spese dei singoli stati, delle provincie e dei comuni; e che, d’ altra parte, se si colpisse il superfluo o particolarmente il lusso non si farebbe che diminuire sempre più la produttività dei grossi capitali e l’operosità di chi li possiede; mentre il peso di tutte le tasse, ristretto su poca gente, sarebbe allora tanto grave da dover schiacciare qualunque superfluo e qualunque lusso, sicchè la materia tassabile sarebbe in breve consumata. Egli afferma dunque che debba esser tassato il reddito. E a questo punto esamina anche egli la questione se sia preferibile una tassazione proporzionale o una tassazione progressiva del reddito, concludendo in senso contrario alla progressione, « peroechè, serive, quando ad un certo punto l’imposta prendesse un rapporto di un 50 °/, od anche più, chi vor- rebbe mai applicarsi e rischiare i proprii capitali per dare alla comunità una metà ed anche più del suo guadagno ? La tassa progressiva paraliz- zerebbe le maggiori operosità, farebbe fuggire dal campo della produzione 15 114 G. DE FRANCISCI GERBINO i più cospicui capitali, quelli che sono più benefici perchè si impiegano a minore interesse. Ovvero dovrebbe essa rimanere esclusa, (il che, poi, è assai più sem- plice) quando, cioè, s'intesterebbe il reddito a persone diverse per assotti- gliarlo apparentemente in tante frazioni, e così risparmiargli la tassa maggiore. Il Corleo, dunque, è nettamente avverso alla progressione, come è con- trario alla progressione un altro nostro grande siciliano : Francesco Ferrara. Veramente, è da osservare che le ragioni del Corleo sono validissime in quanto si dirigono agli eccessi della progressione: quando la scala della progressione raggiunge il 50 °/,, 0 peggio quando lo supera, come è accaduto in Italia nella imposta successoria, che prima delle recenti riforme in taluni casi di trasmissioni tra estranei superava il 102 9/,, la influenza ritardatrice del risparmio è evidente, come diventa imponente il fenomeno della evasione. Ma alte aliquote si possono avere anche col sistema della imposta proporzionale; e pertanto le giuste censure rivolte al sistema delle alte aliquote non valgono a dimostrare in sè nocivo il sistema della pro- gressione. Chè anzi, ove questo sia moderatamente applicato, può anche riuscire favorevole alla formazione del risparmio, poichè, dato un certo fabbisogno dello stato, la maggiore tassazione dei possessori dei redditi più elevati, consentendo un minore aggravio dei possessori dei redditi mi- nori, lascia a questi la possibilità di risparmiare quelle somme che col si- stema della proporzionale sarebbero assorbite dalla imposta. Chè in so- stanza la progressione non è che un metodo per ripartire in un certo modo il carico tributario fra le varie classi di contribuenti; e può bene avvenire che il riparto attuato a mezzo della progressione ostacoli meno la forma- zione del risparmio di quel che non. la ostacoli una ripartizione attuata a mezzo della imposta proporzionale. Il Corleo sostiene, come dicevo, che base di imposta debba essere il reddito; ma combatte con acutezza di argomentazioni il concetto della im- posizione unica del reddito: l’ostacolo principale a tale forma di imposi- ha accumulato e gli ha lasciato la sua eredità, lo deve ancora sino ad un I CONCETTI DI S. CORLEO IN MATERIA DI TRIBUTI 115 zione deriva, secondo il Corleo, dalla difficoltà di accertare tutto il reddito;. donde deriverebbe la conseguenza dell’eccessivo peso del tributo, che, non potendo colpire una parte del reddito, dovrebbe tutto gravare su quell’altra parte, che è accertabile. Appare anche precisa, nel saggio di cui mi occenpo, la nozione delle tasse : di quelle che il Corleo chiama tasse per beneficii speciali, dove egli pone in rilievo la necessaria connessione tra il vantaggio speciale che dalla pubblica istituzione ricava il singolo, e il vantaggio generale, indiretto che ne trae la collettività : la connessione, cioè, tra appagamento di un bisogno. collettivo divisibile e l’appagamento di un bisogno collettivo indivisibile, dal che egli conclude esattamente che « è pur troppo giusto che cotesti medesimi servizii speciali non siano pagati per intero da coloro soltanto che diretta- mente. li domandano, ma anche la massa concorra al pagamento in propor- zione al beneficio che per indiretto ne trae ». È questo, cioè, il principio cosidetto del rimborso parziale delle spese da parte degli utenti di un pub- blico servizio di natura divisibile; principio che, disconosciuto da molti serittori, o, almeno, applicato solo a categorie particolari di tasse, appare invece essenziale in tutte le tasse. È peraltro da rilevare che il Corleo annovera fra le « tasse per servizii speciali » il tributo sulle successioni, come anche i tributi che colpiscono. i trasferimenti per atti tra vivi. i Questi tributi colpiscono quella parte della ricchezza che non si consu- ma, ma viene risparmiata, e si capitalizza, e trapassa da una mano all’altra. Ora, secondo il Corleo, questa ricchezza che diviene l'oggetto dei trapassi per atti tra vivi e per successioni, ha bisogno di custodia molto più lunga. che non la ricchezza che va consumata, e dà luogo a quasi tutti i litigi che si agitano davanti i tribunali; ed è appunto per questa proprietà accu- mulata che lo Stato spende una gran parte dei suoi stipendi pel personale della sicurezza pubblica e dell’ordine giudiziario. Non si può mettere in dubbio che colui che raccoglie una successione riceve un beneficio. Ora, se egli deve in massima parte questo bene a chi 116 G. DE FRANCISCI GERBINO certo punto allo stato che ha garentito i lavori ed i risparmii e che colla sua forza e coi suoi tribunali regola le successioni, e fa eseguire la volontà del defunto. Come si vede, il Corleo segue la dottrina che considera i tributi ere- ditarii come tasse, dottrina seguita dal Leroy-Beaulien e da altri, e che per verità non giustifica tali tributi, i quali invece sono vere e proprie imposte, perchè non hanno alcun riferimento a quel particolare vantaggio che l’erede riceve dallo stato che gli garentisce la proprietà. col *x * Il Corleo è contrario alle privative, che egli considera come rimasugli medievali; ed osserva che non appartiene allo Stato esercitare industrie, e molto meno il proibire la concorrenza pubblica per talune di esse. Non vi ba dubbio, dunque, che presto o tardi le privative dei’ sali e dei tabacchi dovranno cedere. I Il Corleo fu su questo punto cattivo profeta. É vero, peraltro, che egli riconosceva che la cessazione di quelle privative dovesse rimandarsi all’e- poca nella quale il disavanzo economico del paese fosse terminato. Ed oggi ci troviamo in condizioni non più belle di quelle che esistevano quando il filosofo di Salemi scriveva. D'altra parte, è innegabile che la privativa dei tabacchi costituisca una delle migliori imposte ed una delle più redditizie. Quanto al lotto, il Corleo non trasenra di rilevare come esso sia da tutti condannato quale una tassa volontaria della miseria e della ignavia che aumenta ancora la demoralizzazione. Ma acutamente osserva che i principi di moralità non entrano tutti in una volta nelle masse, e molto meno può farveli entrare lo Stato per mezzo di lesgi e di proibizioni; e sopratutto il principio morale di dover confi- dare nel proprio lavoro e nei proprii risparmii e non mai nella cieca sorte è quello che s’introduce l’ultimo nelle masse. Quindi, se lo Stato sopprimesse ora il lotto mentre ancora questo prin- cipio di moralità non è abbastanza generalizzato, l’effetto sarebbe diame- tralmente contrario a quello che se ne vuol ricavare: rinfocolerebbero le I CONCETTI DI S. CORLEO IN MATERIA DI TRIBUTI 1 YA lotterie private locali con promesse più ingannevoli e con danni più certi. Secondo il Corleo, pertanto, il lotto di Stato è un male minore che infrena un male maggiore; e lo Stato potrà sopprimere il detto gioco quando + ‘la pubblica moralità per questa parte sarà sviluppata. Troviamo qui nel nostro filosofo e finanziere sostenute quelle ragioni ‘ a giustificazione del monopolio del lotto che sono state poi messe avanti da altri; e fra essi ricordo l’Einaudi, secondo il quale il tributo sulle vin- cite al lotto non solo è moralissimo, ma è tra le migliori imposte del no- stro sistema tributario. k* * * É da rilevare ancora quanto il Corleo scrive sulla imposta fondiaria e in ispecie nei riguardi del progetto Scialoja sul riscatto della imposta, pro- getto fondato sulla teoria dello ammortamento. Egli è recisamente contrario a tale progetto, contro il quale osserva che per esso l’imposta si trasforma in un diritto di comproprietà dello Stato; mentre questo non può mai di- I venire comproprietario dei beni o dei frutti del lavoro dei privati a nessun | titolo e per nessuna ragione. Degne del massimo rilievo poi sono le acute considerazioni del Corleo \ «circa l’errore ed i danni del voler determinare e tassare il reddito vero di ciascun anno e circa la preferenza da accordarsi al sistema basato sulla I 3 3 5 x n . È 2 AS il E media di un lungo periodo: sistema il quale implica una procedura più I i semplice e più rapida di accertamento, evita le frodi, stimola i contribuenti | . . ì . Do a migliorare ed accrescere la produzione. | ) Il concetto del reddito medio, che il Corleo sostiene anche in altri suoi scritti, è uno dei più notevoli, e meriterebbe ancor oggi di avere una più | larga applicazione nell’accertamento dei nostri tributi. Il volere accertare | il reddito vero, il reddito preciso riferibile ad un singolo anno o ad un breve periodo di tempo dà luogo a difficoltà non lievi, spinge alla frode, è causa di sperequazione e di contrasti tra fisco e contribuenti. Del che si è avuta una dolorosa esperienza nella imposta, recentemente introdotta in Italia, sni redditi agrarii dei proprietarii coltivatori diretti. In essa si e ferrara perente ct cercata È 6 È mr ». ce ; n 118 G. DE FRANCISCI GERBINO pretendeva accertare direttamente il reddito vero dei proprietarii coltiva- tori sulla base di calcoli analitici di entrate e spese; ma si vide subito ‘nell’applicazione pratica del tributo che ciò era impossibile; onde si crea- rono delle tabelle di redditi medii per qualità di terreni e per colture, sulle quali si basò l'accertamento. Ed a queste tabelle sembra si voglia sostituire un sistema di accerta- mento basato snl catasto, il che vuo] dire accertamento di redditi medii per un lungo periodo di tempo. Il Corleo sosteneva, anzi, che per prendere una giusta media è neces- sario sorpassare il periodo ordinario di una generazione ed arrivare al tren- tennio. Il che sembra forse eccessivo. Comanque, è indiscutibile il pregio del sistema che egli propone, e sul quale vivamente insiste. Passando a parlare delle imposte di consumo, il Corleo si dichiara con- trario alla imposta unica, che giustamente osserva sarebbe insopportabile a tutti quelli che ne verrebbero colpiti. Egli difende la tassa del macinato da ingiuste critiche, e rileva non esser vero che la Sicilia abbia fatto la sua rivoluzione del 1860 per togliersi il dazio del macino: fu un’erronea spinta, che vollero dare alla rivoluzione quelli che vennero a dirigerla pro- mettendo | abolizione di questa tassa. Osserva, peraltro, che la tassa del. macinato era appuntabile pel metodo ingiusto, vessatorio e demoralizzatore della sua applicazione, e critica il sistema di accertamento basato sul con- tatore, al quale egli propone di sostituire il criterio dell'imponibile cata-- stale dei molini, temperato colla media dell’ ultimo decennio degli affitti. Il Corleo si mostra recisamente avverso ai dazii doganali, alle imposte di fabbricazione, ai ‘dazi di consumo, che, egli dice, hanno lo svantaggio di dover essere affidati alla troppo variabile moralità umana per esser ap- plicati e riscossi. Ed a queste imposte, di cui invoca la abolizione, pro-- pone di sostituire altra materia tassabile, e precisamente il valore locativo delle case, determinato sulla base dell'imponibile di ciascuna casa abitata : proposta, questa, che troviamo anche in un altro scritto relativo al dazio di consumo. Come si rileva dalla rapida esposizione che io ho fatto, il lavoro sulle. I CONCETTI DI S. CORLEO IN MATERIA DI TRIBUTI 119 tasse italiane costituisce una visione sintetica e un esame critico del si- .stema tributario italiano. Altri scritti del Corleo si riferiscono a particolari questioni tributarie; ed in essi vediamo riconfermate le idee sostenute in -quel lavoro. Ricordo fra essi lo scritto sul Riordinamento della imposta fon- diaria e l’altro su L'attuale disegno di legge sul riordinamento della imposta 4 fondiaria. Nel primo sono dimostrate le ragioni per le quali il mezzogiorno ._ .d’Italia opponeva resistenza alla perequazione fondiaria mediante l’appli- «cazione del catasto geometrico. E qui il Corleo espone sinteticamente le «condizioni dell’Italia meridionale, che era ancora per la massima parte in principio della sua trasformazione agricola, e che aveva bisogno dell’af- fluenza dei capitali alla campagna. Lo arrestare in questo periodo di tra- sformazione e di supremo bisogno, egli diceva, il concorso del capitale è il maggiore dei danni che si possa arrecare all’agricoltura meridionale. E lo si arresta infatti quando si stabilisce con una legge che un estimo ge- nerale si ha da fare in tutti i fondi rustici entro il periodo di dieci anni, s cioè entro il periodo del movimento principale delle migliorie, che le mi- gliorie stesse del decennio devon servire di base alla fissazione della pro- duttività del suolo nel ventennio seguente e poscia a tutti i futuri tas- | i samenti. | Ed il Corleo insiste nel concetto, che già abbiamo rilevato, nella con- | i venienza, cioè, della fissità della rendita tassabile nella campagna, che al- letta i capitali a correre alla terra per il ricavo del maggior prodotto. Vi 19 sono dei tempi in cui il carattere essenziale della fissità dove assolutamente rilucere e primeggiare per attirare alla terra i capitali; e sono appunto i tempi iu cui essa ha bisogno di trasformazione nei metodi di coltura e ‘nella distribuzione della proprietà. | 3 Molto meno è opportuno, continua egli, stabilire per legge che si verrà i a certi perindi, a ventennii, a trentennii, a rivedere le nuove migliorie per tassarle egualmente. É lo stesso che dire : astenetevi dal migliorare la terra | imperocchè lo Stato vi sarà sempre addosso coi suoi agenti. Osservazioni, queste, esattissime, le quali si potrebbero ancor oggi ri- petere nei riguardi delle recenti modificazioni dell'ordinamento dell’imposta 1920 G. DE FRANCISCI GERBINO fondiaria. I recenti provvedimenti, coj quali si dà facoltà all’amministra- zione finanziaria di accertare anno per anno i mutamenti nello stato delle colture, costituiscono indubbiamente un ostacolo al miglioramento della terra, ostacolo che è appena attennato dalle esenzioni concesse, limitate a brevi periodi di tempo, per le trasformazioni colturali. E contro questi provvedimenti bene potrebbero ripetersi oggi le giuste osservazioni del Corleo, il quale, insistendo allora nella necessità di non scoraggiare l’in- vestimento dei capitali nella terra, affermava che di estimo non si dovesse parlare sino a quando la coltivazione della campagna d’Italia non avesse ‘aggiunto dappertutto una media massima di sviluppo, tanto che si fos- sero utilmente fissati, nè potessero più retrocedere, Nell’altro scritto, L'attuale disegno di legge sul riordinamento della tassa fondiaria, che integra quello di eni ho parlato, il Corleo si ferma special- mente sulla formazione dell’ estimo censuario, ed insiste nella necessità delle larghe medie, nelle quali le zone più distanti non si eguagliano, ma si equilibrano; i favori e i disfavori, che il cielo, l’industria, l'abbondanza o meno dei capitali, la diversa viabilità, la influenza delle leggi produssero in un dato tempo, si compensano con quelli che cagionarono in un altre periodo. Senza le larghe medie, incalza il Corleo, in materia di tasse non. vi'ha giustizia, e apparente perequazione si risolve in effettivo sperequa- mento. E qui egli insiste in quella proposta già fatta nell’altro scritto: che, cioè, base dell’estimo censuario sia non l’ultimo dodicennio, ma.il trenten- nio, se veramente si vogliono la giustizia e la pace tra il settentrione ed il' mezzogiorno d’Italia. Il Corleo fa talune proposte di particolari modifiche del progetto di legge sulla perequazione fondiaria, di cuì qui non mi occupo. Rilevo però fra esse quella che riguarda la necessità di stabilire un limite equo non insuperabile alle sovrimposte comunali e provinciali, che egli afferma sono cagione vera della eccessiva gravezza della tassa fondiaria. Ed i) Corleo cita l’esempio della provincia di Girgenti, dove sì raggiun- geva l’aliquota del 50 °/, che egli riteneva insopportabile. E come avrebbe egli qualificato le aliquote attuali, che ‘superano di gran lunga in taluni 4 I CONCETTI DI S. CORLEO IN MATERIA DI TRIBUTI 191 comuni il 100 °/,? Quelle sue osservazioni hanno dunque ancor oggi un sapore di attualità, poichè ancor oggi il problema delle sovrim poste locali non è risoluto. E se il legislatore ha finalmente attuato il provvedimento, che è conforme alla proposta del Corleo, se, cioè, ha stabilito un limite massimo insuperabile alla facoltà di sovrimporre degli enti locali, d’altra parte tale provvedimento non ha ancora avuto applicazione, e sono sempre vive le lagnanze dei contribuenti, ancor oggi oppressi dalla eccessiva tas- sazione locale. La necessità di applicare sin da ora un limite insuperabile alla facoltà di sovrimposizione degli enti locali appare inderogabile; e giova, dunque, rievocare le esortazioni che il Corleo faceva, pur in tempi ed in condizioni tanto diverse dalle nostre! K 4 WoMicS È ancora degno di rilievo l’altro scritto I dazii di consumo nella presente crisi e la libera concorrenza, in cui il Corleo mostra anche la suna cono- scenza profonda della agricoltura siciliana, e fa delle considerazioni ehe hanno valore anche adesso. Egli lamenta la grave pressione tributaria del- l’agricoltura (purtroppo è un fatto, questo, che tuttora noi lamentiamo) e insiste nella proposta, alla quale ho accennato or ora, che sia contenuta entro limiti precisi la facoltà di sovrimporre delle provincie e dei comuni. | È assai interessante il quadro che egli fa dello stato deplorevole in cui | si trovava allora (il Corleo scriveva nel 1889) la campagna. cio Nei riguardi del dazio di consumo, di cui il Corleo non manca di rile- vare i perniciosi effetti sulla produzione, egli osserva esattamente che quan- Ì | do il prezzo è avvilito per sproporzione tra richiesta ed offerta il dazio | non fa che rinvilire sempre più il prezzo stesso, che va tutto a carico di | chi offre, cioè del povero produttore. Nè vale il dire, egli aggiunge, che | il dazio di consumo va a carico del consumatore, perchè nei casi di crisi, cioè di strabocchevole offerta, qualunque dazio ricade a danno del pro- 18 duttore. Da queste esatte considerazioni il Corleo deduce che i dazi di consumo ; 4 1992 ‘ G, DE FRANCISCI GERBINO debbono stare in rapporto col valore delle merci, e che vi deve esser un limite che non possa essere affatto sorpassato. E qui egli insiste nel di- mostrare i danni che sulle industrie agrarie in crisi esercita il dazio di ‘consumo che non ha alcun riferimento al valore del prodotto. E brillan- temente combatte l'argomento di coloro i quali, quando una industria a- graria è in crisi e si invocano provvedimenti finanziari dicono: perchè non ‘cambiate cultura? Come se il cambiarla egli scrive, fosse la cosa più fa- cile del mondo! Come se gli occorrenti capitali fossero alla portata di tut- ti! Come se ciascuno fosse in condizione di poter tranquillamente aspettare tutto il tempo necessario per avere dal cambio di cultura i novelli pro- dotti! Come se fosse sicuro che, quando esso avrà compiuto il cangiamento, gli altri non abbiano fatto pur lo stesso e non si trovi da capo nella iden- tica condizione di una eccessiva offerta! Infine come se la terra possa con indifferenza prestarsi egualmente a qualunque mutamento di coltivazione ! Parole agree, queste, che rivelano nel Corleo un profondo conoscitore delle condizioni dell’agricoltura, e che ancor oggi si potrebbero ripetere a tutti i tanti dispensatori di ricette pel miglioramento agrario della Sicilia, di cui spesso ignorano le condizioni di clima, di suolo, di ambiente econo- mico e sociale. ‘Nei riguardi dei dazî di consumo, peraltro, è da rilevare che il Corleo ‘è fautore della loro abolizione: tale proposta egli aveva fatto, come abbiamo visto, nel suo scritto: Sui principî delle tasse, e qui ripete insistendo nel suggerire in sostituzione una imposta sul valore locativo delle case, che egli pensa sarebbe più mite, non esigendo le forti spese di percezione dei dazî di barriera, e sarebbe meno difficile alla riscossione. Riconosce qui, peraltro, che nel momento in cui egli serive sarebbe utopistico pensare a mutamenti così radicali; onde fino a quando non si possono abolire si deb- bono trasformare in dazi ad valorem. E vengo finalmente all’ultimo scritto del Corleo in materia di finanza: La demoralizzazione delle tasse, scritto che mi sembra il più notevole fra quelli minori. In esso il Corleo si occupa di quelle imposte che demora- lizzano, cioè che incitano i contribuenti a non essere morali rispetto ad ‘esse sin nell’applicazione sia nel pagamento. n ___ strati = = 53: = 1 CONCETTI DI S. CORLEO IN MATERIA DI TRIBUTI 123 Egli comincia col chiarire il coneetto di moralità affermando che ciò -che danneggia il bene di tutti non è morale, nè può legittimamente do- ‘mandarsene la esecuzione, Ed in conseguenza una tassa, o un sistema di tasse, che esiga una moralità in danno di sè stesso, tende a demoralizzare, ‘è un’iniquità, nè si può domandare una morale di tal fatto. In materia d’imposte, secondo il Corleo, bisogna partire dalla premessa fondamentale che quanto pagano di meno alcuni contribuenti si aggrava «sugli altri per le necessità del bilancio: premessa la quale forma la base di ogni sperequazione e di ogni ingiustizia a danno degli onesti che pagano, In conseguenza l’ essere onesto e il far trovare intera la propria materia tassabile espone inevitabilmente a vedersi colpito per tanto più, per quanto ‘è la materia tassabile degli altri che sfugge. Dunque, dice il Corleo, è dovere del legislatore e del Governo che le tasse siano imposte ed organizzate in modo che la materia su cui debbono cadere, per quanto è possibile, non sia fatta sfuggire, poichè allora l’onesto paga veramente quello che deve. ° Ora per tre ragioni la massa dei contribuenti può essere indotta a non comportarsi moralmente rispetto alle tasse e ad evitarne il pagamento per quanto sia possibile: o perchè il tributo è realmente grave in relazione alla materia tassabile; o perchè vi sia sperequazione tra una materia e un’altra, o perchè, pur essendo giusto il peso e la proporzione, si voglia «addirittura conoscere l’ effettivo della materia soggetta a tassa, nè si vo- gliano cercare quelle larghe ed eque medie, che contengono tutti gli effetti delle contingenze diverse, e che lasciano un margine ai miglioramenti senza il timore di vedersi continuamente il fisco alle spalle. E nei riguardi della prima delle tre ragioni il Corleo insiste nel con- -cetto già espresso negli altri lavori, che tutte le tasse debbano ragguagliarsi sull’ordinario valore della materia tassabile. In rapporto, poi, alla seconda causa (sperequazione tra classe e classe) _ il Corleo rievoca, pur in questo scritto, lo stato di immiserimento della cam- pagna italiana, e rileva che quando ci è bisogno di denaro non ci è altro capro da sacrificare più prontamente che l’agricoltore. ni Adi SEI ZIZTANN A Pra = rr RIME: CCETTE n PITASNTIS. 1° MASETTI ALI TERE SETTI E è À RETTA ro 124 G, DE FRANCISCI GERBINO Si vede che i metodi della finanza italiana sono stati sempre gli stessi :. anche oggi, purtroppo, è l’agricoltore che sopporta la parte prevalente del peso tributario ! E come allora diceva il Corleo che la campagna è esausta; come allora diceva che la sovraimposta comunale e provinciale l’ha immi- serito, così si può dire oggi! Con questa differenza, che mentre il Corleo citava in prova degli eccessi di imposizione il caso di provincie dove tra tasse provinciali e comunali si giungeva ad una imposizione sui terreni del 49 °/,, oggi si può dire, e tante volte è stato detto, che è frequentis- simo il caso di imposizioni eccedenti il 100 °/,. Fra gli altri elementi di sperequazione tributaria a danno della cam- pagna il Corleo ricordava anche la imposta di successione, la quale, egli diceva, pesa a preferenza sulla campagna, perchè i beni mobili, i prodotti del commercio, delle industrie, delle professioni, sono i più facili a nascon- dersi, e quando arriva il momento di applicare la tassa sono le cose agrarie che non possono mai completamente sottrarsi. Oggi si è riconosciuta la sperequazione determinata dall’ imposta sue- cessoria, e, non potendosi o non volendosi eliminare la sperequazione creata del tributo, si è eliminato il tributo medesimo. Ma in compenso sulla terra sono piombati altri tributi, che han ereato nuove sperequazioni : così l’im- posta sul patrimonio, così l’imposta sui redditi agrari, così l’imposta com- plementare, alla quale sfuggirà buona parte del reddito mobiliare. Onde- le constatazioni che allora faceva il Corleo si possono ancor oggi, ed in misura più rilevante anzi, fare. Ultimo motivo di demoralizzazione dei tributi, secondo il Corleo, è il non guardare alle larghe ed eque medie per stabilire la materia tassabile. E qui egli con precise ed acute considerazioni dimostra come sia vano e difficile in materia tributaria il volere conoscere 1 esatto, a quali errori conduca questo -sforzo di voler trovare e colpire l’esatto. Onde le tasse che meno si demoralizzano sono quelle fondate sulle larghe ed eque medie, che cercano l’esatto e la realtà, ma in media, in quella media che rappresenta il natu- rale compenso di tutti gli eventi, e che sì rinnova pacificamente di tempo. in tempo ed in larghi periodi. FRANCESCO CIPOLLA IL PLIOCENE DI LASCARI Studi stratigrafici sul Pliocene inferiore di Sicilia I terreni che s'incontrano percorrendo la serie pliocenica che dai pressi IS della stazione ferroviaria di Casteldaccia si estende sin quasi a Cefalù, Ù lungo quel tratto della costa settentrionale della Sicilia che corre ad E di | Palermo, hanno, a mio avviso, non poco interesse per la stratigrafia del Pliocene. siciliano. Sono costituiti da sabbie più o meno sciolte e giallastre, da arenarie i calcaree o argillose, da marne bianche. | | Le sabbie costituiscono principalmente i terreni circostanti il paesello di Altavilla (Milicia) e presso a poco limitati dagli ultimi tratti dei corsì | dei due torrenti Milicia e S. Michele. Esse contengono la nota ricchissima fauna astiana, in prevalenza rappresentata da conchiglie di molluschi (1). tra cui abbondano i gasteropodi. Le sabbie riposano in leggera discordanza = kEEEZZEIEGEEÒÈE 7 sopra un banco di arenarie calcaree (tufi calcarei 0 pietra morta) che com- paiono un pò a sinistra del torrente S. Giovanni (Milicia), ove s'immergono (1) L’elenco quasi completo di questi fossili trovasi in Seguenza G., Studi stratigra- fici sulla formazione pliocenica dell’ Italia Meridionale (1873-1877), pag. 198 e segg. Le collezioni però di Altavilla contengono ordinariamente non pochi fossili raccolti anche negli strati del Pliocene inferiore. — —r ser » seu pre YO FRITTATA SI 126 À FRANCESCO CIPOLLA i tufi del Quaternario, ma dalla sponda del torrente S. Michele (località Chiesazza) affiorano più o meno interrotte da spuntoni di calcare secondario (Torre Colonna, Capo Mandre), a cui tutto il banco arenaceo sovrasta, sin presso il paese di S. Nicola. Quì il tufo, che ha una potenza di circa 15 m., è ricoperto novamente dalle sabbie gialle, le quali anche per i fossili con- tenuti furono dal Baldacci (1) riferite al Pliocene superiore. Mentre però le affioranti sabbie astiane, che rieolmano una piccola sinelinale formata dai tufi e dalle sabbie inferiori sottostanti al territorio di Altavilla, sono poco spesse perchè abrase dal mare Siciliano (2), quelle che stan sopra la fermata di.S. Nicola, vengono ricoperte (3) da un banco di arenarie, po- tente circa quindici metri, con fossili del Quaternario, il quale notoriamente è molto sviluppato sotto Bagheria, nei pressi di Palermo, ece. Le arenarie poi plioceniche di S. Nicola riposano (4) sopra un potente banco di marne bianche a foraminiferi, di cui una parte viene tagliata in trincea dalla linea ferroviaria. Quest'ultimo membro della serie sopra descritta, dalla stazione di S. Ni- cola, ora associato o sostituito da banchi di sabbie giallastre, ora in brevi. tratti interrotto dagli strati calcareo-marnosi dell’Eocene (come a Termini Imerese) o dai calcari grigi compatti del Trias (come alla Roccazza) pro- segue per Trabia, Fiumetorto, Bonfornello, Campofelice sino a Lascari. dove han termine le formazioni del Neogene superiore della parte nord- orientale della provincia di Palermo (5). Queste formazioni plioceniche costituiscono graziose collinette più o meno vicine al mare, con terrazze raggiungenti quasi tutte l altezza di una cinquantina di metri, su cui sì adagiano alcuni dei paesetti sopra ri- cordati, come Altavilla, Campofelice (Roccella), Lascari. (1) BaLpacci L., Descrizione geologica dell’isola di Sicilia (1886), pag. 164. (2) GIGNOUX M., Les formations marines pliocènes et quaternaires de l’Italie du sud et de la Sicile (1913), pag. 190, tav. III, fig. 2. b (3) BaLpacci L., Op. cit., pag. 164. (4) Seguenza G., Studiì stratigrafici c. s., pag. 15 e BaLpacci L., Loc. cit.. pag. 164. (5) Cfr. sezione geol. in SEGUENZA, Op. cit., tav. I, fig. 1° e fig. 1° a pag. 16. 23 Re e IL PLIOCENE DI LASCARI 127 Le terrazze, situate allo stesso livello, fanno parte del grande spiana- mento (1), operato dal mare nel Quaternario (Siciliano), sulla costa sicula settentrionale allora emersa, costituita prevalentemente da rocce calcaree e marnose, che si prestarono facilmente, prima all’azione livellatrice delle acque marine, e furon poi più o meno profondamente divise e scavate dai numerosi torrentelli e burroni, discendenti dalle retrostanti montagne del Terziario antico e del Secondario. Della stratigrafia della parte alta del Pliocene antico della provincia di Palermo, costituita, come ho detto, dalle sabbie astiane e dalle arenarie inferiori, se ne occupò G. Seguenza (2), ed anch’io ne ho fatto cenno in alcune mie nole precedenti (3). La parte più bassa invece, quella cioè prevalentemente marnosa, è stata finora poco studiata, non solo dal lato paleontologico, ritenuto poco inte- ressante per la relativa scarsezza di fossili, ma anche da quello stratigra- fico, anche quando non si è voluta sincronizzare con la parte superiore e: ritenerla facies di questa. Pertanto gli strati profondi del Pliocene del Palermitano presentano caratteristiche interessanti per uno studio accurato delle loro condizioni di giacitura nella serie del Neogene superiore dell’isola. La collina di Lascari dalla sua estremità terrazzata, su cui giace il paese a circa 50 metri sul |. d. m., si prolunga, per due chilometri e mezzo e., lungo un asse diretto da O-NO a E-SE. Lateralmente limitata dai tor- renti Calcavecchio a destra e Colluzzo a sinistra, va lievemente innalzan- dosi sino ad appoggiarsi alla Rocca Corvo, staccantesi dalle ultime pro- paggini delle montagne di Gratteri, che fan parte dei caratteristici contrat- forti settentrionali delle Madonie. (1) Chiamato da Gienoux M. l’«ancienne plaine cotière Sicilienne», (Les formations marines etc.), pag. 174 e 202 e sez. tra Termini e Cefalù, fig. 28 a pag. 203. (2) SEGuENZA G., Op. cit., pag. 12, e tav. I, fig. 12. (3) CipoLLa F., Le pleurotomidi del Pliocene di Altavilla (Palermo), (1914). — I briozoi pliocenici di Altavilla presso Palermo (1921). - 128 \l'RANCESCO CIPOLLA Una sezione naturale fatta dal Calcavecchio lungo l’asse longitudinale della collina, mette allo scoperto un complesso di strati, tutti appartenenti alla parte più bassa del Pliocene siciliano. Essi si possono osservare per- correndo il primo tratto della rotabile Lascari-Gratteri o risalendo il letto del torrentello. Risultano così costituiti dall’alto in basso (vedi sez. geol., che riproduce quella naturale in Fig. I a pag. 129): 1) Un grande banco di marna bianca, su cui sono fondate le case di Lascari, e da cui si estrae un ottimo materiale per la fabbricazione di calce idraulica (vedi cava dei Fratelli Culoso, tav. I, fig. 1). Questo primo banco, che non presenta apparente stratificazione ha una. potenza massima di circa 20 m.; va assottigliandosi a misura che si sale sulla collina. Se ne scorgono piccoli lembi staccati dietro e sopra il paese. specialmente sotto il giardino e la casa dei Cappuccini: non se ne vede più traccia nella parte più alta presso Rocca Corvo, ove però affiorano altre marne bianche, le quali appartengono, come vedremo, ad altri banchi più bassi. ù La continuità laterale di questa marna superiore è resa manifesta dagli affioramenti della stessa roccia nelle sponde dei due torrenti su ricordati. e precisamente da alcuni lembi ridotti di essa presso la sponda sinistra del Calcavecchio, e da altri affioranti al di là della sponda destra del Col- luzzo, ove sono anche aperte delle cave. 2) Seguono tre strati di sabbie sciolte e di tufi giallastri, di cui due di circa m. 2,50, il terzo di alcuni centimetri di spessore, separati da tre stra- terelli (di cm. 40) di marna bianca. Sull’ultimo straterello marnoso riposa il terzo strato di sabbia, il più basso di questo secondo membro della serie di Lascari. 3) Agli straterelli marnosi sottostà una potente pila di sabbie, anche esse giallastre, che nella loro porzione anteriore, dietro il paese, sì presen- tano dapprina sciolte e poi fogliettate (tav. I, fig. 2). Indi, a cominciare da 200 m. circa dalla cava Culoso, divengono più o meno cementate da calcare, per una estensione di c. 300 m. in lunghezza TOINFII0IW-01 INTIMI L ‘S 'OLVUIWOTONOI ‘ — 'INUVOTVO INNI (2 ‘AIVLIINIDOI ‘AVS (9 ‘ALTOIOS TUUAITOÒO AS 00Ì Da nl i at ni C) artegbum 5 SS 226! Ga ZETA SAVA VIUVIAOHNIHI ANOIZWIS IMVOSYT IHNL IA TAVI INIDDAddYI OUILIWIS HPBOSET Ip BUI]][OI BI]9p BI150]093 SUOIZIS fis 130 FRANCESCO CIPOLLA e passano ad una arenaria calcarea, a grana fina (tufo), la quale raggiunge anche una potenza di una settantina di metri. In essa sono attualmente esercitate delle cave (tav. II, fig. 1), che for- niscono buona pietra da costruzione a Lascari e a Campofelice. Una cava fu scavata nei pressi dei Cappuccini, come praticavasi anti- licamente, in gallerie molto ampie, le cui volte raggiungono talvolta la superficie più alta della collina. Il Camposanto è costruito dentro una delle dette cave ora abbandonate. 4) La superiore formazione arenacea poggia sopra un secondo banco di marna bianca, identica a quella del primo, avente uno spessore di quasi m. 4 (tav. II, fig. 2). AI contatto di essa con le sovrastanti arenarie, in località posta presso a poco a metà del tratto di stradetta tra le moderne cave e il cimitero, sgorga una piccola sorgente di acqua, filtrante dagli strati permeabili su- periori e venuta ad emergere pel taglio operato dal torrente nel fianco della collina. Nello stesso posto è facile riscontrare sulle sabbie alcune efflore- scenze di cloruro di sodio, di origine evidentemente marina. 5) Segue uno strato di circa m. 2 di spessore, costituito da un con- glomerato, o meglio da una breccia, i cui elementi per lo più angolosi sono identici alle rocce eo-mioceniche delle balze soprastanti e dei terreni su cui riposa la serie sopra descritta. Simili brecce e frammenti di rocce si trovano facilmente sull’attuale spiaggia del mare vicino. 6) Infine un ultimo banco di marna bianca, di natura e spessore e- guali a quello medio (m. 4), sormontato talvolta da tufi o sabbie stratificate (spesse 1 a 3 m.), sostiene lo strato di conglomerato (5° membro della serie) e alla sua volta si adagia con notevole discordanza sui terreni più antichi della regione, affinranti nel letto del torrente, precisamente nella via Mandre, sotto il cimitero. Lembi isolati di questa marna' inferiore si scorgono al- tresì nella sponda sinistra del Calcavecchio, come avviene del primo e terzo membro della serie. I terreni più antichi, appartenenti in prevalenza al Terziario inferiore e - IL PLIOCRNE DI LASCARI 1531 medio, sono quelli che poi formano le colline tra Lascari e Cefalù e sono costituiti da quarziti e scisti argillosi e marnosi. Negli scisti marnosi sono anche aperte delle cave per la fabbricazione di cementi, tra cui quelle e- sercite dalla ditta Gbilardi di Palermo. . Le formazioni elencate sono tutte concordanti fra di esse, hanno una direzione di N 50° E ed una inclinazione di 18° NO. Il primo banco superiore di marna bianca aveva in origine uno spessore molto più grande di quello attuale. il suo assottigliamento che si osserva _ salendo verso Ja regione retrostante al paese, non che la comparsa delle testate dei varii elementi del secondo e terzo membro della serie nella parte più elevata della collina, sono evidentemente dovuti all’inclinazione degli strati e al terrazzamento quaternario. Le sabbie e gli straterelli di marna intercalati possono considerarsi col- legati al terzo membro della serie, nella successione della quale rappresen- tano il termine di passaggio dalla sedimentazione sabbiosa a quella marnosa superiore. Parimenti il quarto e sesto membro, costituiti da marne eguali anche nello spessore, e in cui sta interposto il quinto membro, relativamente piccolo, del conglomerato, si possono anch’ essi riguardare come parti di un unico banco marnoso inferiore, avente gli stessi caratteri litologici e faunistici di quello superiore, come meglio vedremo in seguito. Sicchè il membro attualmente più cospicuo della serie di Lascari, costi- tuito dalle sabbie sciolte lateralmente e gradatamente passanti alle arenarie, è posto tra due formazioni di marne bianche a foraminiferi d’indubbia età piacenziana. Le marne bianche appartengono alle rocce che, come è noto, sono le più comuni e più facili a riconoscersi nella parte inferiore del Pliocene di Sicilia, dove son chiamate volgarmente col nome di trubi o baiùte. Quelle a N delle Caronie e delle Madonie erano state già indicate come poco visibili, e per la provincia di Palermo appena affioranti a Lascari, nella contrada Bonfornello, presso la foce dell’Imera, sotto i conglomerati 139 FRANCESCO CIPOLLA quaternari, e a S. Nicola presso Altavilla (1). Ciò però non corrisponde esattamente a quanto abbiamo detto sopra e come risulta facilmente a chi vuol limitarsi solo a percorrere la linea ferroviaria tra Casteldaccia e Ce- falù. Esse sono poi sparse in quasi tutta la superficie dell’isola, ove, quasi sempre concordanti coi gessi del Miocene Superiore, raggiungono notevole spessore (sino a 150 m.), formando talvolta colline molto ripide, incise da profondi burroni. Nella loro composizione sono spesso variabili, potendo passare ad una . argilla quasi pura, o ad un calcare marnoso, come presso (Gesso, o ad un calcare tenero propriamente detto. i La parte calcarea è in massima parte costituita da gusci di foraminiferi, tra cui, come in quelle del Reggiano, predominano le Globigerine e le Or- buline. Sono state quindi ritenute dal Seguenza che primo le studiò, come fanghi depositatisi in grandi profondità oceaniche, identici a quelli dei mari odierni. Uno studio sommario da me compiuto-sulla fauna a foraminiferi conte- nuta nei vari banchi delle marne di Lascari, mi ha permesso di determi-- nare le seguenti specie : Nodosaria monilis Silv. » . rudis d’Orb. » raphanus L. Ellipsoidina ellipsoides Seg. Dentalina inornata d’Orb. » acuta d’Orb. Marginulina hirsuta d’Orb. Vaginulina legumen L. » » var. margarilitera Batsch. Cristellaria cymboides d’Orb. » crassa » (1) BaLpaccri L., Op. cit.. pag. 111. IL PLIOCENE DI LASCARI Robulina cultrata d’Orb. > similis » » inornata » Pullenia bulloides Ri» Truncatulina Akneriana » Boueana » ungeriana Orbulina universa Globigerina bulloides quatriloba biloba |» gomitulus Seg. Anomalina austriaca d’Orb. » complanata Reuss Bulimina Buchiana d’Orb. Pleurostomella alternans Schwager Uvigerina urnula d’ Orb. » pygmaea >» Polymorphina digitalis » » irregularis d’Orb. Sphoeroidina bulloides. » Dal superiore elenco rilevasi che quasi tutte le forme sono identiche a quelle già trovate dal De Amicis (1) nelle marne bianche dei dintorni di Bonfornello e dal Seguenza e Fornasini (2) in quelle dei pressi d’Altavilla, di Messina e della Calabria, ritenute proprie dei terreni del Pliocene inferiore dell’Italia meridionale e appartenenti a fauna batiale. (1) De Amicis G. A., I foraminiferi del Pliocene inferiore di Bonfornello presso Ter- mini Imerese in Sicilia. Naturalista Siciliano, Palermo (1895). (2) SeGuENza G., Op. cît., pag. 15 e 25. — Le formazioni terziarie nella provincia di Reggio (Calabria). Roma (1879), pag. 217 e segg. — FoRNASINI, Foraminiferi delle marne messinesi. Bologna (1894). 1594 . FRANCESCO CIPOLLA Ma se l’esame della giacitura e dei fossili delle marne di Lascari con- ferma i risultati finora ottenuti dai geologi circa la loro età, la posizione stratigrafica e i caratteri faunistici e litologici del membro più importante di quella serie, nuova luce apportano sulla questione dell’età delle sabbie e dei tufi calcarei pliocenici di Sicilia. Il detto membro trovandosi interposto ai banchi delle marne piacenziane e con queste concordante, non può essere riferito che alla stessa età di esse. Ciò costituisce, a quanto io sappia, un fatto oggi, per la prima volta. rilevato nella stratigrafia del Pliocene inferiore della Sicilia, dal quale quindi le sabbie più o meno cementate non possono più escludersi. La stessa intercalazione di tufi nelle argille piacenziane di Stigliano (Basilicata), trovata dal Viola, è ritenuta un dato interessante da Gignoux. il quale dopo ciò dichiara di non potere non riconoscere in quei tufi un equivalente laterale della base del Pliocene subappennino (1). Per la medesima ragione sono da sincronizzarsi ai trubi le altre sabbie o tufi che s’alternano o si sostituiscono alle marne, o che, trovandosi sol- tanto sovrapposte ad esse, tanto nella provincia di Palermo (2) quanto in altre località dell’isola (3), presentano gli stessi caratteri riscontrati nella serie Altavilla-Lascari. Poichè, come si è detto, l’alternanza e la sostituzione delle arenarie ai trubi è visibilissima, in banchi più o meno potenti ed estesi, da Lascari sino ad Altavilla. Queste rocce quindi, come bene conchiudeva G. Seguenza pel Reg- giano (4), non formano due membri distinti del Pliocene inferiore, ma «due forme litologiche che assume la medesima zona», cioè due facies (1) Grenoux M., Op. cit., pag. 133. (2) Per i tufi di S. Nicola cfr. BaLpacci L., Op. cît., pag. 164. (3) Molto probabilmente si devono ascrivere all’epoca dei trubi anche i calcari bian- ‘chi della collina di Sciacca, che sono sovrapposti e concordanti con le marne bianche. e contengono grandi Pecten e Ostrea, vedi Di SteFANO G., Osservazioni stratigrafiche sul Pliocene e il Postpliocene di Sciacca. Boll. d. R. Comit. geol. a’Ital., (1889). (4) SEGUENZA G., Le formazioni terziarie ecc., pag. 174. IL PLIOCENE DI LASCARI 135 della stessa età geologica, le quali in Sicilia si alternano o si sostituiscono sia nel tempo che nello svazio. Sono insomma due membri eteropici, ma sineroni della parte inferiore del periodo pliocenico; non però di tutto il periodo. Ciò era stato previsto dall’illustre geologo messinese, che riteneva do- vesse dalla Calabria passare in Sicilia il suo Zancleano, il quale, come meglio vedremo in seguito, è un termine più comprensivo per le nostre formazioni dell’antico Pliocene, di quello che nob sia il Piacenziano, che va in ge- nere riferito alla facies prevalentemente marnosa degli strati pliocenici in- feriori dell’alta Italia. .Inoltre, come graduale è il passaggio dalle sabbie alle arenarie, così le prime a seconda della loro grossezza passano talvolta verso il conglome- rato e si collegano o si avvicinano alle marne. I fossili più comuni nelle sabbie e nei tufi di Lascari, che non possono chiamarsi vere brecce conchigliari come quelli d’altre regioni siciliane, perchè vi difettano le conchiglie dei molluschi, sono rappresentati da foraminiferi, briozoi, nullipore e radioli d’echinidi. Invece nelle analoghe rocce dei pressi d’Altavilla e del Messinese, i fossili sono più appariscenti c molti di essi, che appartengono a vari tipi di animali, sono stati determinati da parecchio tempo (1). Ciò dipenderà verosimilmente da una maggiore profondità di deposito. ‘ Le specie che meglio caratterizzano questa facies sabbioso-arenacea del Pliocene inferiore della provincia di Palermo sono le seguenti (2) : Amphistegina vulgaris d’Orb. (comunissina). Lytechinus (Schizechinus) Chateleti Lamb. (1) CarcARA P., Memoria sopra alcune conchiglie fossili rinvenute nella contrada di Altavilla (1844), pag. 78. — SeGuEnza G., Studi stratigrafici ece., pag. 15, 24, 25. (2) La maggior parte di questi fossili si trovano nella collezione di Altavilla del Museo geologico iano di Palermo, che ho potuto esaminare, anche in questi ul- timi tempi, per gentile concessione dell’attuale direttore prof. R. Fabiani, a cui sono par- ticolarmente grato. — Alcuni portano l’ indicazione della località Cannamasca, i cui strati più bassi appartengono al Pliocene inferiore. I briozoi poi appartengono alla colle- zione da me studiata, vedi il mio lavoro: « I briozoî pliocenici di Altavilla » su citato. FRANCESCO CIPOLLA Clypeaster pliocenicus Seg. (specie caratteristica nello Zancleano d. Calabrie) (1). Pecten similis Laskey » medius Lk. » inflexus Poli » cristatus Brnn. Chlamys multistriata Poli » Jacobaea L. » latissima Br. (grandi esemplari, accumulati talvolta in determinate regioni). varia L. opercularis L. (più comune nella sua varietà a piccole dimensioni). scabrella Lmk. (la specie più diffusa di questo piano). Flabellipecten flabelliformis Br. (abbondante e in giandi esemplari, costituenti con il Pecten latissimus interi e potenti banchi). Flabellipectem Alessii Phil. Ostrea cochlear Poli Ostrea plicatula Gm. Perna Soldani Desh. (mentre si riscontra soltanto in modelli nelle Calabrie. ove trovasi esclusivamente nello Zaneleano, ad Altavilla è frequente e in esemplari ben conservati). Lucina leonina Bast. - Solen vagina L. Cardium striatulum Br. Cardium papillosum Poli Arca Noe L. Lima inflata Chemn. » solida Cale. (1) Il prof. G. CeccHIA-Rispori, in una sua recentissima nota « Sul Clypeaster plioce- micus Seg. della Calabria » (Boll. R. Uff. Geol., 1926), dichiara che questo clipeastro, unico in tutta la formazione pliocenica calabrese, proviene da quelle sabbie ricche di pagliuzze di mica, che, ovunque sì trovino, sono sempre sottostanti alle sabbie gialle propriamente dette, che rappresentano in Calabria la parte più elevata del Pliocene. ]L PLIOCENE DJ LASCARI Spondylus crassicosta Lk. Natica helicina Br. Conus Mercati Br. «» Noe Br. >» Aldovrandi Br. Turritella subangulata Br. Cancellaria Westiana Grat. Astralium (Bolma) rugosum L. var. excanaliculatum Sace. Cerithium vulgatum Brug. Murex torularius Lmk. Dentalium Noe Bon. Megerlia eusticta Ph. Terebratula ampulla Br. Balanus concavus Brnn. (con Dilincrose varietà). >» — spongicola Brnn. Rosseliana formosa Rss. Umbonula monoceros Rss. Filisparsa hastalis Muz. Mucronella Peachi Joha. Hippoporina surgens Mnz. Schizotheca. stellata Seg. Buffonella (?) congesta Seg. Phylactella annulatopora Mnz. 3 Fenestrulina ciliata Pall. var. calabra Seg. Cupularia umbellata Detr. Lunulites androsaces Micht. Figularia figularis John. Hippoporina obvia Mnz. Calloporina decorata Rss. Mastigophora Dutertrei Aud. Osthimosia tubigera Bk. Proboscina dilatans John. 138 PRANCESCO CIPOLLA Dal superiore elenco risulta che molte forme sono estinte, alcune si tro- vano anche nel Miocene, altre sono esclusive o particolarmente abbondanti nel Pliocene inferiore delle Calabrie (1) o di altre regioni. Si riscontra poi, rome nella fauna zancleana calabrese e d’altre regioni. la mancanza o la scarsezza dei gasteropodi e di molti gruppi di lamelli- branchi: di questi ultimi particolarmente abbondanti i Pettinidi e gli 0. streidi. , Il Seguenza ascriveva la mancanza 0 la scarsezza dei gasteropodi e dei lamellibranchi non ad originaria loro assenza, ma alla scomparsa delle loro spoglie in quei sedimenti. A corroborare tale ipotesi si rinvengono negli strati sabbioso - arenacei del Pliocene inferiore di Sicilia numerosi modelli o frammenti di conchiglie di molluschi, ridotte allo stato di avan- zata calcinazione. Sono invece abbondantissimi i foraminiferi, tra cui specialmente le anfi- stegine. Di queste non solo sono zeppi i tufi di Lascari, ma nei dintorni di Altavilla se ne trovano grandi accumuli in determinate plaghe della roccia, la quale in tal modo somiglia molto alla nota pietra lenticolare di S. Frediano e Parlascio in Toscana, e a quelle analoghe della Francia (Biot) e dell'Algeria (2). ‘I briozoi, ritenuti giustamente come il tipo di fossili più importanti nelle formazioni del Pliocene aulico, sono rappresentati nella facies sab- biosa di Lascari prevalentemente dalla classe dei ciclostomi, anzichè da quella dei chifostomi che sogliono in generale inerostare le conchiglie dei molluschi. Numerosi rappresentanti delle due classi si rinvengono invece nella i- dentica formazione, di Altavilla, în cui abbiamo potuto anche rilevare le (1) Secuenza G., Le formazioni terziarie ecc.. pag. 181. (2) Anche nel Pliocene dell’ Algeria le arenarie calcaree, alternanti talvolta con le marne piacenziane, offrono le stesse caratteristiche di quelle della Sicilia. Vedi: WeLsca M_, Sur les différents étages pliocènes des environs d' Alger. Bull. de la Soc. géol. de France. tom. XVII {1888). IL PLIOCENE DI LASCARI 139 particolari caratteristiche della sua fauna briozoica rispetto a quella astiana delle assise superiori (1). Inoltre sia dal lato litologico che stratigrafico e paleontologico questa formazione siciliana trova i suoi equivalenti non solo nelle Calabrie (2), ma anche nelle Puglie, dove, come ha notato il Prof. Sacco (3), « il Pliocene infe- riore assume 0 completamente o solo nella parte inferiore della serie una facies generale, quasi costante, assai caratteristica di calcare arenaceo bianco-gial- lastro o di sabbia agglutinata da cemento calcareo, formazione eminentemente organogenica (perchè zeppa di resti di brachiopodi, briozoi, echini, ecc.). Non manca, è vero, anche nelle Puglie, e specialmente dalla regione subappennina di Troia per l'ampia Val Bradano sino all’ Ionio la facies del Pliocene inferiore (tipica in gran parte del bacino cireummediterraneo) di marne ora sabbiose ora argillose, cioè il vero Piacenziano, potente ed estesissimo, che verso l’alto, con le solite alternanze marnoso - sabbiose, grigio-giallastre passa alle tipiche sabbie gialle dell’Astiano. Ma presso i rilievi cretacei delle Murgie pugliesi, alla base della serie plioce- nica marnosa compare la detta formazione calcareo-arenacea marnosa grigio- bianchiccia o giallognola, chiamata anche lì generalmente tufo, ed in modo speciale tufo zuppigno, tufo gentile, tufino, e distinta dal Mayer (1877) col nome di Materano. Perchè è appunto Matera, secondo il Sacco, la regione classica dove si può esaminare la posizione di questo piano, la sua sottogiacitura alle marne piacenziane e il suo accrescimento contro il rilievo cretacico. L’età di questo tufo calcareo, attribuito prima al Messiniano, fu ricono- sciuta più tardi pliocenica da Viola e Di - Stefano (4), che studiarono (1) CrpoLca F., I briozoi pliocenici di Altavilla ecc.. (1921). (2) Cortese E., Descrizione geologica della Calabria. Mem. descr. della carta geol. di Italia, vol. IX (1895), pag. 171. (8) Sacco F., La Puglia, Boll. della Soc. geol. ital., vol. XXX (1911), pag. 552. (4) Di-Sterano G. e VioLa C., L'età dei tufi calcari di Materu e Gravina. Bollettino del R. Comit. geol. d’Italia (1892). PE n ene 140 FRANCESCO CIPOLLA la fauna e la stratigrafia in quello di Matera e Gravina e ne diedero un buono elenco di fossili. . ; I tufi poi di Apricena (Puglie), riposanti anch’ essi su conglomerati © direttamente su calcari cretacei, furono alcuni anni fa presi in esame dal Cbecchia (1), che ne riportò una sezione geologica e ne determinò i princi- cipali fossili, tra cui, come in quelli di Matera e Gravina , delle Calabrie e. della Sicilia, compaiono abbondanti e tipici : Amphistegina mammillata d' Orb., Pecten rhegiensis Seg. (caratteristico nella base del Pliocene) (2), Chlamys latissima Br., Ostrea cochlear Poli . Balanus concavus Brnn., molti briozoi ecc. Infine rivelasi facilmente la grande affinità di questi calcari con quelli a fauna identica di Stigliano (Basilicata) (3), della provincia di Pisa (4), di Castrocaro, delle colline bolognesi (5) e di Castellarquato, i quali ultimi son zeppi di anfistegine e per quanto riferiti all’ Astiano inferiore da Gi- gnoux (6), perchè sovrastanti alle marne cerulee piacenziane e a facies sabbiosa, non si sono potute però riunire alle soprastanti sabbie a tipica fauna astiana. + Questa particolare formazione adunque, specialmente sviluppata nell’l- talia meridionale, conferisce una fisionomia nuova (Pliocene a tipo appulo- (1) CHkccanIA G., Contributo alla conoscenza del Pliocene della UVapitanata. L’ Escur- sionista Meridionale (1905). — Nuove osservazioni sulla formazione pliocenica di Apricena (Capitanata) e Sul Pecten rhegiensis Seg. del Pliocene garganico. Giornale di Se. Nat. ed Econ. (1914). (2) Gienoux M., Op. cit., pag. 360. E (3) VioLa C., Appunti geologici sulla regione miocenica di Stigliano (Basilicata). Bol- lettino del R. Comit. geol. d’Italia, (1891). (4) De Amicis G. A., Il calcare ad Amphistegina nella provincia di Pisa ed iî suoi fossili. Atti Soc. Tosc. di Sc. nat. (1886). (5) FoREsTI.L., Cenni geologici e paleontologici del Pliocene antico di Castrocaro.— Catalogo dei molluschi fossili pliocenici delle colline bolognesi. Mem. Ace. delle Sc. dell’Ist. di Bologna, ser. III, t. VI (1875) — t. IV, (1874). (6) Gienoux M., I Pliocene di Castellarquato. Boll. della Soc. geol. ital. (1924 IL PLIOCENE DI LASCARI 1471 garganico di Gignoux) al Neogene superiore italiano, il quale, benchè ec- cezionalmente in alcune regioni intrappenniniche sia costituito nella sua parte inferiore da sabbie, ghiaie o da calcari arenacei, è generalmente in- vece, nella media ed alta nostra penisola, rappresentato dalle note argil'e e marne cerulee. A queste ultime, a cui potrebbe rimanere il nome di Pia- cenziano, sì deve associare quindi la predetta formazione, primieramente descritta dal Seguenza e che può bene denominarsi Materano (Sacco), in- tesi però ambidue nel senso di facies. Per la grande somiglianza poi che il Materano ha con la facies analoga del Pliocene superiore subappennino fu detto anche pseudo-astiano, tanto è facile confonderlo con le tipiche sabbie gialle astiane, specie quando le sue parti superiori diventano più grossolane e più giallastre o quando man- cano i termini di passaggio {1). Provata quindi l’appartenenza di questa formazione calcarea al Pliocene inferiore e la sua distinzione da quelle analoghe del Pliocene superiore e del Postpliocene per la diversità della fauna, la posizione stratigrafica e il suo isolamento sopra vaste estensioni, ne consegue la possibilità non solo di trovarla estesa in altre regioni della nostra isola, (probabilmente sinora riferita all’Astiano, al Calabriano (2) o al Quaternario), specialmente: se priva di fossili; ma anche ricoprente direttamente la formazione imme- diatamente inferiore, cioè la zona gessoso-solfifera, sinora ritenuta sottopo- sta soltanto alle argille o alle marne piacenziave. Un altro membro importante nella serie di Lascari è anche il conglo- | (1) Sacco F., Op. cit., pag. 252 e segg. (2) A proposito del Calabriano è utile. avvertire che questo piano era stato netta- mente individuato nell’Italia meridionale da G. Seguenza e da questi trovato nella parte più alta del Pliocene (quarta zona). Fu chiamato però da lui Siciliano ed erroneamente identificato con i terreni postpliocenici di Monte Pellegrino e Ficarazzi (Palermo). — Il Siciliano, come è adesso inteso, fu dal Seguenza per le Calabrie passato nel Quater- nario e chiamato Saariano inferiore, per separarlo dal S. superiore, equivalente oggidì dell’orizzonte a Strombus bubonius. 149 FRANCESCO CIPOLLA merato, o meglio quella breccia ad elementi angolosi, che essendo compresa tra le marne bianche e con esse concordante si deve attribuire alla stessa epoca dei trubi, come abbiamo visto pei tufi e le sabbie. Il conglomerato, il quale fa parte integrante del Pliocene calabrese (Zancleano : 1° facies) e trovasi spesso alla base di quello pugliese e di altre regioni (1) su riportate, conferma anche in Sicilia la trasgressività di questo periodo su formazioni più antiche, non che l’inizio d’un nuovo ciclo sedimentario. La predetta roccia era stata già indicata nel Siracusano, dove le marne bianche sovrastano ad un conglomerato di elementi vari, nei quali si rin- vengono l’Ostrea cochlear L. e il Balanus concavus Brnn. (2). Quello delle Calabrie si presenta talora stratificato, forma delle grandi pareti a picco . raggiungendo notevoli potenze (sino a 50m.). É generalmente privo di fossili : in quello di Lascari vi abbiamo riscontrato qualche piccola conchiglia di Chlamys opercularis L. (3). e frammenti di briozoi e crostacei. Riassumendo possiamo conchiudere : 1) Anche in Sicilia il Pliocene nella sua parte inferiore si presenta litologicamente costituito non solo dalle argille cerulee e dalle marne. in prevalenza bianche (trubi); ma anche dalle sabbie e dalle arenarie cal- caree gialle, riposanti talvolta sopra un conglomerato. 2) Poichè queste formazioni, indicanti due condizioni differenti di pro- tondità nei depositi e contenenti faune diverse, si alternano o si sostitui- scono lateralmente, sono da riguardarsi come facies caratteristiche della stessa età geologica. (1) Anche il lembo pliocenico, recentemente indicato in Sardegna dal prof. Fossa-Max- CINI, riposa sopra un conglomerato, che fa graduale passaggio al sabbione. Vedi: Fossa- MaAncINI, La trasgressione pliocenica nella Sardegna orientale. Boll. R. Uff. Geol. d’Italia (1926). (2) Seguenza G. — Studi stratigrafici ecc., pag. 43; e sezione in fig. 14, n. 3. (3) È la varietà comune nello Zancleano di Calabria : di piccole dimensioni, con costole leggermente solcate, regolarmente convesse e separate da piccoli interstizi. Il, PITOCENE DI LASCARI 3) Non mancano i termini transitori, costituiti da formazioni marnose- sabbiose nè quelle sabbiose-arenacee. 4) Essendo il membro sabbioso-arenaceo della serie Lascari —S. Nicola- Altavilla risultato paleontologicamente e stratigraficamente distinto dall’a- naloga formazione superiore, la parte inferiore del Pliocene di Sicilia de- vesi cronologicamente distinguere da quella superiore, nella quale la facies sabbiosa od astiana è compresa. È vero che l’Astiano e il Materano hanno grande somiglianza sia lito- logica che faunistica, ma noi sappiano quale influenza eserciti la. facies sia nella natura dei depositi che nella composizione delle faune, special mente neogeniche. Non ha scritto infatti l Haug (1) che una fauna vindoboniana batiale rassomiglia più ad una fauna piacenziana batiale, che ad una fauna vin- doboniana neritica ? i Le anzidette formazioni del Pliocene inferiore erano state riunite da Seguenza nella sua sesta zona della serie stratigrafica del Terziario supe- riore dell’Italia meridionale e complessivamente riferite al suo piano Zan- cleano, non limitando però questo a determinate condizioni di deposito (2). Ma dopo Seguenza, gli autori che si sono occupati del Pliocene siciliano posero nella parte inferiore di esso soltanto le marne e le argille, interca- late o frapposte fra quelle e i gessi sottostanti, e nella parte superiore le argille azzurre sovrastanti alle marne, il tufo calcareo e le sabbie gialle. L’esclusione della facies sabbiosa littorale o neritica dal Pliocene infe- riore di Sicilia è dipesa in gran parte dall’erronea generale considerazione dell’indivisibilità cronologica del Neogene superiore, onde le antiche divi- sioni di questo periodo in Piacenziano ed Astiano, riguardate come età geo- logiche dalla maggior parte dei geologi anche moderni (Haug, Parona, ecc.) (1) Have È. — Praité de Géologie (1911), pag. 1608. (2) Per la limitazione definitiva di questa epoca cfr. SeEGUENZA G., Le formazioni ter- ziarie ecc., pag. 272 e segg. 144 FRANCESCO CIPOLLA sono state invece ritenute da alcuni altri come semplici facies di un unico periodo (Fuchs, De Stefani, Gignoux, ecc.). Tale confusione era stata già lamentata dagli antichi autori, tra cui il Capellini (1), il quale teneva a dichiarare che il suo Felsinoterio proveniva dalle sabbie del Pliocene inferiore, che, secondo lui, si estende, anche rappre- sentato dalla stessa roccia, nel Piacentino, nel Senese, nel Forlivese (2), ece. E tra i moderni, G. F. Dollfus (3), in un suo recente lavoro, contra- stando l’idea di alcuni stratigrafi, che anche in questi ultimi tempi consi- derano l’Astiano come facies littorale del Piacenziano, mentre, come egli asserisce, «anche ad Asti sotto le sabbie gialle si constata l’esistenza delle marne grigie o azzurre, molto spesse e con fossili della tipica fauna pia- cenziana di Castellarquato », termina con le seguenti parole, che servono pur bene di chiusa a questo nostro studio : « Les vrais étages géologiques sont independants des faciès, et une paléon- tologie soigneuse montre des differenciations pour chacun des aspects ». (1) CapeLLINI G., Sul Felsinoterio. Mem. dell’ Acc. di Se. dell’ Istituto di Bologna (1872), pag. 3. (2) A Capocolle presso Forlì i calcari arenacei pliocenici sottostanno immediatamente alle marne piacenziane, i cui foraminiferi e briozoi sono stati studiati recentemente dal Silvestri e da me. Cfr. SiLvestRI A. Microfauna pliocenica a Rizopodi reticoluri di Ca- pocolle presso Forlì. Atti P. Acc. R. N. Lincei (1923). — CrpoLra Y., Briozoi fossili della Romagna. Boll. d. Soc. d. Sc. Nat. ed Econ. di Palermo (1996). (3) DoLLrus G. F. — L’ étage tortonien en Albanie. C. R. somm. de la Soc. géol. de France (1924), pag. 192, 13. Sa =“ bn > ss Ss CIPOLLA F. - IL PLIOCENE DI LASCARI. Tav. I. Fig. 1. - Cava dei Fratelli Culoso nella marna bianca (baiàta) superiore. Straterelli marnosi Cava Culoso {| I l I La Fig. 2. - Sabbie fogliettate sottostanti alla marna superiore della fig. 1, e sormontati da straterelli marnosi bianchi intercalati. Danesî-Roma DI Salvo G. fo CIPOLLA F. - IL PLIOCENE DI LASCARI. FAVEI, Straterelli marnosi dic n E Div i. Fig. 1. — Cave nell’arenaria calcarea (tufo) sottostante agli straterelli e al banco di marna superiore. Straterelli marnosi | \ ' ' ì 4% t Arenarie Lascari calcaree ' | è 1 n ti ì SME I Ul — -Arenaria wu — = ° ES calcarea Redeeezionte © Marna bianca si ' 4 4 : Fig. 2. - Banco di marna bianca (medio) sottostante alle arenarie calcaree della fig. 1. n | A sinistra si vedono le fronti delle cave aperte nelle stesse arenarie. } Danesi-Roma DI Salvo G, fo le 33 f ss ì Dit SALUATORE COMES ® bermogliamento endocarpito sperimentale in Solanum Iucopersicum Ml Nota II. Ho pubblicato in precedenza una brevissima Nota (1) per dar notizia d’un esempio veramente singolare di rigoglioso germogliamento endocar- pico in Solanum Iycopersicum Mill. e mi decisi a farlo non tanto per la rarità del caso, che del resto è pochissimo do per quello che se ne sa dalla letteratura dirò così ufficiale (2), quanto per le considerazioni alle quali tale forma di germogliamento induce qualora venga messa in rap- porto coi resultati ottenuti dal Massart, il noto fitobiologo belga, nelle sue recenti ricerche di più recente pubblicazione (3) e di H. Oppenheimer in un suo pure recentissimo lavoro (4). (*) La presente memoria, presentata dal socio Prof. Luigi Buscalioni, Direttore del- l’Orto Botanico, è stata approvata per la stampa nella seduta del 3 maggio 1926, dietro. parere favorevole della Commissione all’uopo nominata, composta dai soci Prof.ri Bu- scalioni, Lanza, La Rosa. i (1) Caso notevole di germogliamento endocarpico in Solanum lycopersicum Mill., Boll. Soc. Sc. Nat., Palermo 1924... 0) Penzie, Pflanzen Teratologie (ult. ediz.). (3) Recueil de l’Institut Botanique Leo Errera — Bruxelles, 1922. (4) OPPENHEIMER, Heinz, Keimungshemmende substanze in der Frucht von Solanum Lycopersicum und anderen Pflanzen. Anz. Akd. d. Wiss. Wien, math. nat. kl. 1922. 59. N. 2-321. Riferita in Bot. Centr. Bd. I, N-F, pag. 230. Riassumo brevemente le ricerche di Oppenheimer (l. c.). Questo A. avrebbe trovato che i semi di Solanum lycopersicum non germinano fin tanto che si trovano dentro i frutti da lui studiati. La germinazione- 150 SALVATORE COMES Il Massart, nel suo lavoro, comincia col fare un’affermazione categorica, dirò così apodittica: i semi dei frutti carnosi, pur contenendo questi nel loro interno l’acqua, l'ossigeno e le condizioni di temperatura opportune, non vi germinano affatto. La mia precedente Nota fu ispirata dallo scopo di far rilevare che tale affermazione non è esatta, perchè, per lo meno, è troppo tassativa; trovan- p dosi casi, che io debbo credere molto più numerosi di quello che non ap- paia dalla bibliografia, di germogliamento d’uno dei frutti carnosi più tipici qual è quello di Solanum lycopersicum Mill. (sin: Lycopersicum esculen- tum). Partendo ognuno dal fatto da lui constatato, il Massart ed io abbiamo perseguito un naturale processo logico di indagini. Il Massart, nell’ affer- mazione della sua premessa, che cioè il germogliamento endocarpico non sia possibile nei frutti carnosi (e il fatto ch’egli non ricordi casi, conside- rabili anche come teratologici, di endogermogliamento fa credere alla mag- giore assolutezza della sua affermazione) se ne domanda il perchè e tenta cercarne un’ adeguata risposta. In definitiva egli crede che il germoglia- mento endocarpico dei semi dei frutti carnosi non sia possibile, contenendo il succo di tali frutti del glucosio che, per ragioni che in seguito discute- remo, avrebbe un effetto inibitore sul germogliamento stesso. In realtà, secondo le analisi riportate da Czapeck (1) e da altri, nei suc- avviene allorchè essi vengono tratti dal frutto e posti in un sostrato naturale. La man- -canza della germinabilita sec. l'A. deriva dal fatto che nella polpa del frutto di S. lycoper- sicum si trova una sostanza che impedisce siffatta germinabilità. Tale sostanza non è 6 : stabile a caldo e si può far precipitare con alcool od etere. Analoghe sostanze, impe- «denti la germinazione interna dei semi, si trovano nei frutti di Lagenaria vulgaris e Cu- cumis sativa, nonchè nei propaguli di Marchantia polymorfa, mentre mancherebbero nei frutti secchi (Phaseolus, Cheiranthus, Lupinus). Epperò, mettendo a germinare su carta da filtro imbevuta di succo di pomidoro variamente diluito entro scatole di Petri i semi della stessa pianta, l’A. osserva che l’energia germinativa aumenta col diminuire della concen- trazioue del succo. (1) Biochemische der Pflanzen. Rbeinardt. Miinchen. GERMOGLIAMENTO ENDOCARPICO SPERIMENTALE ECC. 151 chi di molti frutti carnosi prevarrebbe il glucosio. Però dalla constatazione che nei succhi di tali frutti prevale il glucosio non si può trarre che molto arbitrariamente la conseguenza che questa sostanza sia la causa inibitrice del germogliamento endocarpico dei semi, in quanto che questa conse- guenza sarebbe fondata soltanto sul celebre post hoc ergo propter hoc. A mio parere molte sono le cause inibitrici possibili ed io ricorderò fra queste la mancanza o quanto meno la diminuzione della luce o dell’aria atmosfe- rica e dei suoi costituenti che più direttamente intervengono nei fenomeni nutritivi, la variazione della pressione osmotica o dell’ umidità al disopra o al disotto di un optimum determinato ecc. Ma evidentemente il Massart fece nel senso su esposto la sua ipotesi, che per me resta una vera ipotesi di lavoro, benchè egli abbia cercato di suffragarla e di confermarla con le prove dell’esperienza. Riassumo i risultati da lui ottenuti. Egli mise dei semi di frutti carnosi nei succhi degli stessi frutti o anche di altri frutti carnosi (il Massart ado- pera carta da filtro imbevuta del succo) e notò che i semi stessi non ger- minavano fino a tanto che durava l’immersione nei succhi predetti. Dunque sono questi che normalmente inibiscono il germogliamento endocarpico, come, dato il risultato della precedente esperienza, essi ne inibiscono pure quello esocarpico. Tale inibizione non è specifica. Tuttavia l’azione dei succhi non distrugge la facoltà di germogliamento dei semi (1) dei frutti carnosi, essa la sospende semplicemente e, inoltre, la ritarda. Se infatti, dopo accurato lavaggio in acqua, egli metteva i semi in parola nel terre- no, in condizioni normali, egli ne otteneva il germogliamento, ma molto (1) Però, al riguardo dei semi dei frutti secchi sui quali pure sperimentò il Massart, l’azione del succo dei fruttì carnosi, nei quali egli li tenne immersi, non solo ne impe- diva il germogliamento per la durata dell’immersione nel succo, ma ne uccideva addirit- tura la facolta di germinazione; infatti da questi semi posti, dopo accurato lavaggio in acqua, in condizioni normali nel terreno non ottenne mai casi di germogliamenti | Sicchè a tal riguardo i risultati sostengono più esplicitamente l’ipotesi del Massart. 159 SALVATORE COMES più tardi di quello ottenuto in semi di confronto messi a germinare in queste ultime condizioni senza subire in precedenza l’azione del succo. Arrivato a questo punto delle sue ricerche il Massart naturalmente si chiese perchè il glucosio contenuto nel succo dei frutti carnosi eserciterebbe una azione inibitrice temporanea e in un certo senso ritardatrice sul germo- gliamento dei semi degli stessi frutti, se si fa agire al di fuori di questi, e permanente nei semi che rimangono dentro il proprio frutto. Egli pensò che ciò potesse dipendere dalla forte pressione osmotica del succo, e quindi del glucosio, entro cui trovansi immersi i semi; epperò, secondo lui, quelli immersi in succhi a minore pressione osmotica avreb- bero dovuto presentare una percentuale di germogliamenti (beninteso sem- pre dopo l’azione del succo e non durante la stessa, nel qual tempo germoglia- menti non se ne ebbero mai) maggiore di quella riscontrata nei semi trattati con succhi aventi pressione osmotica maggiore. La pressione osmotica del succo di pomidoro sarebbe, secondo l’A., di 5 atmosfere. Ora semi di pomi- doro deposti in tale succo per 7 giorni diedero dopo 2, 5, 10, 30 giorni rispet- tivamente 0; ti; d 0 (1) di germogliamenti, mentre quelli deposti pure per 7 giorni in succo di Melon écrit d’Antibes (Angurie ?) la cui pressione osmotica sarebbe di 10 atmosfere, avrebbero dato al solito dopo 2, 5, 10, 30 giorni rispettivamente 0; LE i ia di germogliamenti, quelli deposti pure per 7 giorni nel succo di uva bianca, la cui pressione osmotica, sem- pre secondo l’ A., sarebbe di 24 atmosfere, avrebbero dato dopo 2, 5, 10, 30 giorni rispettivamente 0; i i ua ai germogliamenti. Mi permetto rilevare che le percentuali riportate e che vanno riferite alla specie della quale mi occupo sono in certo modo in evidente contra- (1) Il numero piccolo, posto sopra, indica il numero reale dei germogliamenti avuti su un certo numero di semi sperimentati, questo numero è quello a destra della linea di frazione della quarta colonna. Il numero più grande, posto sotto, indica la percen- tuale dei germogliamenti. GERMOGLIAMENTO ENDOCARPICO SPERIMENTALE ECC, 153 sto colle idee direttive sostenute dal Massart. Questi infine volle sperimen- tare un succo definitivo, artificialmente preparabile, in modo da poterne far variare a volontà la pressione osmotica, ottenendo succhi diversi, e notò poi il comportamento dei semi messi a germogliare in tali succhi con pressione osmotica diversa, ma di determinata composizione chimica. A tal uopo si servì di soluzioni di saccarosio a diversa concentrazione e quindi a diversa pressione osmotica, precisamente delle seguenti soluzioni: a 34, 2°/5a17,1°/5a 8,55 °/n aventi rispettivamente le pressioni osmotiche di 20, 10, 5 atmosfere. In ogni soluzione tenne i semi 3 giorni, quindi li mise nel terreno allo scopo di notare il numero dei germoglìamenti dopo 2, 5, 10, 30 giorni. Per i semi di pomidoro egli ottenne rispettivamente i risultati seguenti : È . . 2 per la 1° soluzione Det DI o ; 1. 35. È per la 2° 9; 9} e 0 per la 3? » 0; 3 Do: De (1) Semi, sempre di pomodoro, posti prima nell’acqua pure 3 giorni e poi nel terreno dopo 2, 5, 10, 30 giorni diedero rispettivamente : % se pi ur di germogliamenti e semi di po- midoro posti direttamente nel terreno, senza alcun previo trattamento, per SLEISIORA RO . ; -.0; 4. 15 21/30? lo stesso numero di giorni diedero i seguenti resultati: {45 39 70 Dalla comparazione di tutti i risultati ottenuti colle esperienze prece- dentemente ricordate il Massart si credette autorizzato a concludere che la mancanza di germinazione nei semi dei frutti carnosi essenzialmente deriva dalla concentrazione dei succhi di questi frutti. Ciò spiega, egli ag- giunge, perchè il succo di questi frutti è quasi sempre glucosio e non sac- (1) Oltre alle indicazioni date nella nota precedente aggiungiamo che, secondo il Mas- sart, i numeri con l’esponente ‘, dove c’è, indicano plantule malate che muoiono subito, quelli con esponente ? indicano che i semi non germinati sono viventi, e quelli con lo esponente *, se c’è, indicano che le ultime 5 plantule sono fioride. 20 4AD4 SALVATORE COMES carosio, perchè a peso uguale il glucosio ha una pressione osmotica doppia di quella del saccarosio E vediamo, adesso, il filo logico delle mie brevi ricerche, che costitui- scono la parte originale di questa Nota. Constatata la possibilità, molto più frequente di quello che non appaia dalla bibliografia relativa, del germo- gliamento endocarpico dei semi di Lycopersieum esculentum, io fui subito portato a credere che il fenomeno era più fisiologico che teratologico (1) ed implicitamente a negare la premessa iniziale del lavoro del Massart, che cioè i semi dei frutti carnosi non possano germinate nell’interno di questi. Naturalmente, cadendo quest’affermazione del Massart, veniva a cadere la presunta causa inibitrice di un fenomeno che ricorre diremo così fisiolo- gicamente. Già sin dall'anno passato, 1923, cioè sin da quando io feci le mie prime osservazioni occasionali sul germogliamento endocarpico di S. lyco- persicum, avevo notato che le bacche osservate in uno stato di maggiore turgore, e quindi per lo più quelle meno stagionate, non presentarono caso alcuno di tale germogliamento nei loro semi. Esso germogliamento dive- niva quindi in certo qual modo funzione del tempo, infatti il massimo di germogliamenti si notò nelle bacche rimaste più a lungo in osservazione. Questo fatto era di per sè significativo. Adunque, io pensavo, l’ endoger- mogliamento si riscontra tanto più facilmente quanto più stagionate sono le bacche. Ora cosa può modificarsi nel loro interno in funzione del tempo perchè si presentino capaci dell’ endogermogliamento ® Con molta verosi- miglianza la loro costituzione chimica dal punto di vista qualitativo e quan- titativo, essendo presumibile che si conservi uguale la costituzione morfolo- gica dei semi. Allora mi chiesi : E perchè questa variazione di costituzione chimica non potrebbe ottenersi sempre e, ottenutala, non varrebbe sempre a causare, in quel determinato momento in cui si è ottenuta, l’endogermo- gliamento in parola? In altri termini perchè tutte le bacche, raggiunta una (1) Ammesso, come vogliono alcuni, che il processo non sia fisiologico, sarebbe da discutere se sia giusto chiamarlo teratologico o non piuttosto patologico. GERMOGLIAMENTO ENDOCARPICO SPERIMENTALE ECC. 155 certa età (stagionamento) non presentano tutte il germogliamento endocar- pico, ma alcune lo presentano, altre no? Ciò, secondo me, dovrebbe met- tersi in relazione coì fattori ambientali che potrebbero colla loro variazione in un senso o nell’ altro determinare quella, modificazione chimica di cui parlo, dato che una modificazione chimica ci sia. Un fatto mi aveva messo in sospetto fin dallo scorso anno, vale a dire che era tanto più facile rinvenire le bacche con semi germogliati nell’interno quanto più stagionate e quanto più flaccide esse erano, sebbene in tutto il resto dei loro caratteri si presentas- sero normali. Poichè questa tlaccidità va messa in rapporto diretto con la disi- dratazione e questa è in funzione diretta, oltre che della costituzione del frutto e dei processi fisiologici di cui è sede, della temperatura e in funzione inversa dell’umidità, pensai che proprio la variazione di questi due fattori e pre- cisamente l'aumento dell'uno colla diminuzione dell'altro potessero essere i fattori più atti a determinare le condizioni estrinseche per l’endogermo- gliamento, condizioni che, rimanendo le altre uguali. perciò caeteris paribus, potevano considerarsi le condizioni determinanti dell’endogermogliamento. Al riguardo ripensai che le bacche trovate da me l’anno passato con semi germogliati nel loro interno in così grande abbondanza erano state tenute al sole ma al riparo dell’ umidità. Premesso ciò credetti che avrei potuto ottenere un germogliamento interno in bacche a prolungato stagionamento ed esposte ad ambiente soleggiato ma relativamente secco. A tal uopo nel 1924 acquistai verso il principio della seconda metà di aprile delle bacche di Lycopersicum esculentum della solita varietà piriforme. Immediatamente ne aprii metà senza trovare in alcuna di esse il germogliamento endocar- pico dei semi; é quindi presumibile che non ce ne fossero anche nell’altra metà. Tenni quest’ altra metà per il 25°/, nelle condizioni in cui casual- mente esse furono tenute lo scorso anno, cioè esposte al sole, ma all’asciutto, ad una temperatura giornaliera media fra i 18° e i 279; per il 25°/, al buio ma nelle stesse condizioni igrometriche e termiche delle prime. Ebbene, nel 1° gruppo trovai, dopo un’ esposizione di più che un mese e mezzo, cioè alla fine di maggio e nei primi giorni di giugno, casi di germoglia- mento endocarpico ben avanzato per: circa il 20°/ delle bacche. Sta di 1656 SALVATORE COMES fatto però che tale germogliamento non era presentato da tutti i semi, poi- chè solo una certa percentuale di essi, oscillante fra il 15 e il 30°/, si presentavano germogliati. Nelle bacche tenute al buio l’endogermogliamento era appena iniziato nei semi di qualcuna fra esse soltanto. Fermiamo la nostra attenzione sulle pianticine ottenute dal germoglia- mento dei semi nelle bacche del primo gruppo. Esse, come ci fa vedere la figura annessa che, rappresenta la riproduzione della fotografia di una bacca con semi in germogliamento avanzato, presentano dei cotiledoni li- neari scanalati nell'interno d’ un bel verde gaio, un asse ipocotile bianco clorotico e un abbastanza sviluppato apparecchio radicale che si attacca alla massa della polpa; la lunghezza totale di queste piantine era di circa 4 centimetri (fig. 1). Nessun dubbio dunque che si possa ottenere speri- ine ch mentalmente un germogliamento endocarpico nelle bacche di S. Lycoper- sicum per quanto in una percentuale non molto elevata con semplicissimi mezzi di esperienza e perciò son portato a credere che si potrebbero rag- giungere risultati più generali e più rapidi, variando l’ impostazione delle esperienze stesse. La Figura 2 rappresenta la fotografia di tre bacche nelle quali è dato notare un vistoso ‘germogliamento endocarpico. Queste bacche apparten- GERMOGLIAMENTO ENDOCARPICO SPERIMENTALE ECC. 157 gono a materiale col quale ho intrapreso, nel 1925 (1) un terzo ciclo di o0s- servazioni e di esperienze, allo scopo di ripetere la possibilità dell’ endo- germogliamento sperimentale, possibilità che mi risulta confermata con maggiore evidenza dai resultati ottenuti e come la figura su citata eviden- temente dimostra. i Le bacche di questo terzo ciclo di esperienze furono da me acquistate alla fine di gennaio; ne 'apersi un certo numero subito per vedere se ci | | I 1 fossero eventuali casi di endogermogliamento. Su 20 bacche esaminate non | | Fia. 2. — Dimostra tre bacche in ev dente germogliamento endocarpico. trovai alcun caso di germogliamento. Ripetei |’ osservazione alla fine di 1% febbraio, cioè un mese dopo, su altrettante bacche, ne trovai germogliate | il 10°/, con meno del 5°/, di semi germoglianti. L'esame di un lotto di altre 20 bacche tenute nelle stesse condizioni in cui furon tenute le pre- cedenti fatto alla fine di marzo mi diede 14 bacche endogermeogliate, cioè una percentuale del 70°/, e la stessa elevata percentuale notai in media (1) Le esperienze riferite alla fig. 1 furono compiute durante il 1924, quelle riferite alla | fig. 2 durante il 1925. La presente nota fu scritta quasi per intero nel 1924; viene pubbli- cata quindi con il ritardo di due anni. | i 158 SALVATORE COMES per riguardo ai semi germoglianti. Continuo in questo senso le mie espe- rienze, ma sembrami che i risultati ottenuti sinora siano abastanza signi- ficativi non solo perchè contermano i precedenti, ma specialmente per la elevata e crescente percentuale ottenuta. Ciò mi fa pensare che l’ azione della temperatura come fattore che favorisce |’ endogermogliamento sia tanto più efficace quanto più presto essa agisce durante il ciclo di vita, anche latente, dei semi. Vero è che il grado di germogliamento non era uguale per tutte le bacche, nè uguale era il numero dei semi germoglianti. In alcune bacche che calcolo il 20 °/, delle osservate, per quanto riguarda il primo dato, il germogliamento era appena iniziato : i semi turgidi pre- sentavano uu leggiero innarcamento dell’embrione in quanto si notava sol- tanto la radichetta perforante; in altre pure per il 20 °/, tale perforazione era avvenuta e si era disimpegnato anche l’asse ipocotile, ma la piumetta coi cotiledoni trovavasi ingaggiata ancora dentro il seme, in altre poi ed erano il maggior numero (30 °/) il germogliamento si poteva dire al termine, inquantochè si era differenziata la piumetta e i cotiledoni e questi talora si mostravano completamente divaricati sì che non era più possibile no- tare al loro apice i tegumenti. Anche nelle bacche andate a male, come mostrava il loro contenuto filante nerastro e talora ammuffito, il germoglia- mento era riscontrabile e per un numero talora rilevantissimo di semi. Quanto alla percentuale dei semi germoglianti, mentre come sopra ho ricordato essa era rilevantissima nelle bacche a germogliamento completo (circa il 70°/,) si abbassava nelle bacche dove il germogliamento era ap- pena iniziato o di poco progredito al 50 e spesso al 30 °/,. Raramente nelle bacche con germogliamento al termine la percentuale si abbassava al 20 o al 10°/,. Va aggiunto che le bacche germogliate si presentavano per lo più turgide. Il fenomeno del germogliamento sembra doversi riferire oltre che allo stato di maturità dei semi alla modificazione chimica del conte- nuto idrocarbonato del succo. 1 semi germoglianti occupavano per lo più quella parte della bacca maggiormente esposta alla radiazione solare e quindi a luce e a temperatura intense. Debbo ricordare infine che non sol- tanto i resultati di questo terzo ciclo di esperienze brevemente riassunti — GERMOGLIAMENTO ENDOCARPICO SPERIMENTALE ECC. 159 in questa Nota, sono interessanti per il numero delle bacche in cui si no- tava il germogliamento endocarpico e per quello dei semi germoglianti, bensì per il notevole sviluppo raggiunto dalle piantine in tal modo veuute su. Esse raggiungevano una media altezza di 6-7 cm. per cui il loro corpo vegetativo era avvolto in eliche spiraloidi piuttosto schiacciate di cui 3-4 cm. appartenevano al solo fusticino, 1-2 alla radichetta fornita di evidenti rami- ficazioni laterali, da mezzo centimetro ad un centimetro ai cotiledoni. Ora, per connettere questi risultati alla conclusione del Massart, sarebbe stato opportuno notare quale era la composizione chimica del succo delle bacche con semi non germoglianti e quella delle bacche nelle quali fu no- tato l’endogermogliamento dei semi, almeno nei riguardi della presenza, ed in quale quantità, o della mancanza in esse della serie degli zuccheri. lo ho scelto, per procedere alla prima analisi, le bacche della varietà più co- comune di S. lycopersicum che non presentano mai, per quel ch’io sappia, casi di germogliamento endocarpico alla fine del loro sviluppo, cioè ap- pena mature. In esse avevamo presenza di zucchero invertito, precisamente nel quantitativo del 2,262 °/, con prevalenza di glucosio ed assenza com- pleta del saccarosio. L’analisi del succo delle bacche con germogliamento endocarpico dei semi rivelò piccolissime quantità di zucchero invertito, ap- prossimativamrnte il 0,26 °/, ed in esso non prevaleva più il glucosio. Anche qui per altro era notevole l’assenza del saccarosio. Credo non sia super- fluo ricordare, per l’attendibilità della ricerca, che si procedeva all’analisi delle bacche dopo averle liberate dai semi o dalle piantine, se si trattava di bacche che presentavano l’endogermogliamento (1). Queste due analisi ci dicono: 1° Che nelle bacche fresche e mature in cui non esiste germo- gliamento endocarpico dei semi c’' è zucchero invertito con prevalenza di glucosio. 2° Che la quantità di zucchero invertito si riduce a minime pro- (1) Queste analisi furono compiute nel Laboratorio di Chimica Farmaceutica della R. Università di Palermo, e colgo l’ occasione di ringraziare vivamente il Direttore del Laboratorio medesimo, Prof. Pellini, che ne curò l’esecuzione. 160 SALVATORE COMES porzioni nelle bacche con semi germoglianti, ma il glucosio non prevale più, mentre, come nel primo caso, è assente il saccarosio. Per quanto con- cerne il levulosio esso pure si presenta in diminuzione. Questi reperti analitici dànno in parte ragione al Massart, in quanto indicano la presenza del glucosio, e questo in prevalenza, nelle bacche con semi non germoglianti (cosa che del resto era nota) ma non confortano l’ultima sua conclusione, che, cioè, la germinabilità dei semi stia in rela-- zione con un succo a pressione osmotica minore di quella del glucosio, come sarebbe appunto quella del saccarosio, ottenuta nei suoi esperimenti. Infatti contraddice questa conclusione il risultato ricavato dall’analisi delle bacche con germogliamento endocarpico da me esaminate nelle quali l’ana- lisi stessa non ci ha rivelato saccarosio, contrariamente a quanto in con- seguenza delle conclusioni del Massart io stesso supponevo (1). Vero è però che diminuiva, in questo caso, anche il glucosio, ma ciò perchè, forse, esso veniva usufruito in gran parte nei processi respiratorii, insieme col preva- lente levulosio, dalla piantina (la quale si trovava, ricordiamocene, nelle condizioni delle piante che vivono al buio), e la sua scomparsa era proba- bilmente in rapporto all’azione di speciali enzimi. Del resto, se si può ara- mettere col Massart che la pressione osmotica del glucosio, a parità di peso, ha un valore quasi doppio di quella del saccarosio, non sì può dimenti- care che, a parità di numero di molecole, la pressione dell’uno ha lo stesso valore di quella dell'altro, dato che non intervenga un differente grado di dissociazione. Comunque, dal complesso di queste mie modeste osserva- zioni prende sempre maggior rilievo la contestazione che si può fare alla maggiore conclusione del Massart, che, cioe, la presenza del glucosio nei frutti carnosi eserciti un’azione inibitrice del germogliamento endocarpico dei loro semi, poichè io tale germogliamento, per quanto sì fosse sempre in presenza di glucosio, ho potuto constatare occasionalmente dapprima e mettendomi, poi, in condizioni sperimentali. Io opino che le ricerche esposte (1) Vedi la mia Nota sopra citata. GERMOGLIAMENTO ENDOCARPICO SPERIMENTALE ECC. 161 in questa Nota rappresentino un primo tentativo di germogliamento endo- carpico sperimentale per i semi di Solanum lycopersieum Mill. E siccome c'è da arguire che quello che si può sperimentalmente ottenere si debba verificare o almeno debba essersi verificato in ‘natura si potrebbe, gene- ralizzande questi fenomeni di viviparità (1) venire, all’ingrosso almeno, ad un concetto più puro dell’olofitismo, nel senso di poter considerare le piante cosiddette’ olofite indipendenti dall'ambiente organico ed organizzato, preso questo non solo come mezzo nutritivo bensì anche come mezzo riprodut- tivo, sebbene allorchè il frutto è staccato diventi per ciò stesso un mezzo ambientale (2). (1) A dire il vero, sotto il nome di viviparità i Botanici comprendono per lo più fe- nomeni differenti. Per citare qualche esempio si ha viviparità quando al posto d’un seme si forma una gemma (Poa, Agave, ecc.) come la si ha quando il seme fecondato sviluppa l'embrione, stando ancora sulla pianta (Mangrovie ecc.). Sarebbe bene pertanto distin- guere questi diversi tipi con nomi differenti e perciò appunto ho chiamato germoglia- mento endocarpico il fenomeno di cui mi occupo. Anche nel Regno animale la cosa è ugualmente complicata, essendo vivipari non solo gli animali in cui lo sviluppo dell'uovo fecondato avviene nel corpo materno, ma anche quelli che danno luogo, in questo, per via agamica ad altri organismi. (2) Vorrei aggiungere, almeno in via di probab'lità, che forse non a caso le Solanacee alle quali S. Sycopersicum appartiene, sono in prevalenza omocline: esse potrebbero fare a meno dei disseminatori perchè i loro semi germoglierebbero già dentro i loro frutti. E se non fosse azzardato sviluppare questo concetto si potrebbe pensare che il feno- meno della disseminazione determinato -a mezzo degli animali rappresenti uno speciale caso di adattamento, mentre debba ritenersi come caso generale e molto probabilmente primitivo il germagliamento endocarpico. SALVATORE COMES NOTA L’inflaccidamento delle bacche di S. Iycopersicum molto stagionate, cioè in con- dizioni di presentare il germogliamento endocarpico dei loro semi, penso debbasi at- tribuire più che ‘alla perdita di aegua attraverso l’epicarpo poco o punto permeabile, al- l’ idrolizzazione delle sostanze di riserva che permette |’ impiego immediato e la distru- zione di queste e la possibilità del germogliamento stesso. Considerando i casi più noti di viviparità, come quelli che si riscontrano nei frutti delle Mangrovie, del Sechium edule, delle Auranziacee, del nespolo nipponico, dell’Ellera, di aleune Agave e Cyperus [questi ultimi riscontrati dal Buscalioni nell’Amazona (Soc. Geogr. It. 1901) e quest'A. attribui- sce pure, è doveroso riconoscerlo, oltre che alla presenza dell’ acqua all’ influenza della temperatura la viviparità nelle specie da lui osservate, came le Mangrovie ecc. quasi tutte di paesi caldi], ci accorgiamo di leggieri che la germinabilità endocarpica dei loro semi è in connessione con una certa quantità di acqua che ora è posseduta dal frutto, se questo è carnoso, ora è fornita dall'ambiente e in modo speciale dal terreno se il frutto è secco (caso delle Mangrovie a radici acquatiche !). In altri termini il seme può germinare nel- l’interno del frutto, oltre che nel terreno, se può trovare in quello, come trova in questo, quella quantità d’acqua sufficiente a permettere la trasformazione, meglio, la digestione della sostanza di riserva ad opera di adeguati enzimi, digestione che suppone sempre un processo idrolitico. Poichè un certo grado di luce e più specialmente di temperatura (ipo- tesi di Buscalioni confermata dalle presenti ricerche) agevola questo processo idrolitico, anche perché attiva le funzioni di respirazione e di traspirazione che con quei processi digestivi sono strettamente connesse, ci spieghiamo perchè quali condizioni necessarie della germinazione endocarpica si manifestino l'acqua, il calore e la luce. Del resto esse sono le stesse condizioni necessarie perchè si verifichi d° ordinario un qualunque processo di sviluppo, anche nel senso vegetativo e ciò oltre che nei vegetali anche negli animali. P. es. A. Chabert (Le viviparisme) ha notato che in paesi tropicali ed umidi parecchie specie di Ciperacee e di Graminacee presentano la trasformazione di fiori in gemme, e una spiegazione analoga — secondo una felice ipotesi del Buscalioni che l’ ha adottato anche per le piante fossili — potrebbe avere il fenomeno importante della caulifloria. Palermo, 1° marzo 1926. DI) UOC TtTT..cc0€0cq0t00q000q000€ qc. ..q€00(.0000c00c000.c (ci i tt È I | | - INCIDENZA DEU DGPREZCAMENTO G RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA = — —orn CAPO I. Incidenza del deprezzamento della lira = carta. — Provvedimenti. È 1 $ 1.— Scopo Dr QUESTO SCRITTO. — OCCASIONE: IL RITORNO ALLA LIBERA LOCAZIONE DELLE CASE. Mi propongo di trattare delle classi sociali sulle quali incide la variabile depressione del valore della lira italiana; dei provvedimenti di giustizia da parte dello Stato, nei casi in cui son possibili; dell’azione intesa “a dare stabilità a quel valore, e a ricondurre la lira - carta alla pari con la lira - oro. x È Occasione di trattare quest’argomento è stato il mutamento del regime della locazione degli alloggi, e da tal mutamento prendo le mosse. È : ll Consiglio dei Ministri, nella tornata del 2 gennaio di quest’ anno, deliberò di non rinnovare, alla scadenza, le disposizioni legislative con le 3 quali, per mezzo delle commissioni arbitrali, lo Stato regolava il mercato | dell’ affitto delle case d’abitazione, ossia decise il ritorno alla libertà dei patti (1). Letizia dei proprietarî d’alloggi; propositi di molti fra essi di rifarsi delle (1) Proclamò l'Associazione dei proprietarî di case di Palermo che questo ritorno «ri- «conduce il corrispettivo di tutte le locazioni al giusto prezzo, per cui a tutti sarà regola «la legge della domanda e dell'offerta ». 164 PIETRO MERENDA patite scarsità di proventi; propositi d’alcuni di trarre vendetta degl’inguilini che loro avevan dato fastidio ricorrendo alla commissione arbitrale. Se non che le Associazioni di questa classe di cittadini han consigliato prudenza e moderazione, e han messo fuori questa parola d’ordine: Nessuno chieda una pigione maggiore di cinque volte quella che si pagava nel 1914; in ogni caso, per l’anno locativo 1926-27, l’affitto non superi il 50°/, della somma pagata dall’ inquilino Vanno 1925-26 (1). Alle quali pretese, come prudenti e moderate, s’afferma che il Governo abbia fatto buon viso. Ed in vero esse non paiono eccessive, qualora si pensi che il numero indice dei prezzi generali all’ ingresso, nell’anno 1925, oscillò intorno al 660, dato come 100 quello del 1913, sicchè il potere di acquisto della lira carta, posto come 100 centesimi quello anteriore alla guerra mondiale, è appena di L. 0,15 (2): onde, quando si dice che i prezzi si son moltiplicati per 5, e che il potere d’ acquisto della lira è di 20 cen- tesimi, ciò s’afferma unicamente per comodità di linguaggio e facilità di calcolo. Or quest’ alzamento di prezzi, e questo andar giù del valore della lira a corso forzoso (3) è comune anche ai proprietarî delle case, i quali, (1) Altre raccomandazioni sono state fatte : così il Consiglio direttivo dell’ Associazione dei proprietarî di case di Torino invitò ad avere speciali riguardi pei vecchi pensionati, e adevitare il più possibile gli sfratti. La Federazione Nazionale fra le Associazioni di pro- prietarî di case, sedente a Roma, s’è rivolta anche agl’inquilini, dicendo loro: «date prova «di ragionevole arrendevolezza, accettando di pagare il giusto prezzo anche per la casa, «come già fate per tutti gli altri generi di prima necessità ». (2) Media 646,2. Vedi: Camera di Commercio di Milano, Ufficio di Statistica. Numeri indici dei prezzi del mercato all’ ingrosso, dul maggio 1921 al gennaio I926. (Estratto dal Listino dei prezzi, n. 6, anno 6). (3) Nel biglietto di Stato da L. 10, creato con Decreto del 5 febbraio 1888, c’è scritto : a corso legale; convertibile, al portatore e a vista, in moneta metallica; in quello da L. 5, creato con R. Decreto 7 ottobre 1904, leggesi: a corso legale; e così nell’ altro di L. 25, creato con R. Decreto L., 23 aprile 1923. Nei biglietti della Banca d’Italia, del Banco di Napoli, del Banco di Sicilia, leggesi: Pagabili a vista al portatore. Ma le deciture non contano nulla. Praticamente, tutti i biglietti sono inconvertibili. corrono come moneta, sono a corso forzoso illimitato. INCIDENZA DEI, DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 165 non ricevendo tante lire deprezzate quante ne occorrono a costituire la lira d’una volta, ch'era quasi pari all’oro, sono stati colpiti da gravi angustie, mentre prima potevano adattare a sè la frase: Beati possidentes! (1). Pertanto la pa- rola d’ordine delle Asscciazioni dei proprietarî non è nè imprudente nè esa- gerata, in rapporto al costo della vita. Resta a vedere se gl’inquilini hanno anch'essi moltiplicato per 5 i redditi loro, e, in ogni caso, se questi, nel 1925-26, sono aumentati del 50 °/, (2). $ 2. — L'AUMENTO CONSIGLIATO ‘AT, PROPRIETARI DI CASE CORRISPONDERE AD UN AUMENTO DI REDDITO DEGL’'INQUILINI ? Come i pesi si dirigono al centro della Terra, così i redditi tendono a pro- i S , p porzionarsi ai prezzi, o, se meglio piace, al valore della moneta, sia questa costituita di metalli preziosi ovvero di pezzi di carta (3); ma fanno eccezione i redditi, fissi o pressochè tali, di talune classi della società, le quali non possono scaricare sopra le spalle degli altri l'aumento dei prezzi, mercè un accrescimento proporzionale della espressione monetaria del valore dei pro- dotti e dei servizi: impiegati, pensionarii, portatori di rendita pubblica, creditori per mutui, godenti vitalizio ovvero canoni in denaro, esercenti certi mestieri soggetti a tariffe d’imperio della pubblica autorità, o cert’altri dove si presta servigio che il pubblico può rendersi da sè. O (1) E tutto ciò, in raffronto coi prezzi all’ingrosso; ma, se controntiamo il valore della lira in rapporto coi prezzi al minuto, e se consideriamo la differenza in più di questi su quelli del 20°/,, allora l’indice sale al 793, ed il valore della lira scende a circa 13 centesimi. (2) Coloro che hanno avuto questa fortuna, e che non hanno proporzionato in tale misura gli aumenti di pigione, sicchè , sonsi, a dir così, locupletati a danno dei locanti migliorando il proprio tenor di vita sino a rasentare il lusso; debbono aver la pazienza di ridurre le spese voluttuarie. (3) Certamente i salari sono aumentati anch'essi, non di rado sino a bilanciare il rin- caro ; tuttavia bisogna guardarsi dalle esagerazioni di quanti vanno parlando di aumenti fantastici dei salarî. Ciò dimostra il MADTA, nel suo studio : L'Aumento dei salari dal 1914 al 1921. Nel Giornale degli Economisti, novembre 1921. PIETRO MEREMDA Giova analizzare l’ esquilibrio fra redditi e spese che tormenta queste classi di cittadini, pigliando a termine di paragone, certo più al di qua che al di là, il 600 come spesa attuale: in altri termini costa adesso L. 600 ciò che prima della guerra costava 100; il che pressa poco è lo stesso che dire: la lira carta del 1913 adesso vale 15 centesimi (1). $ 3. — REDDITO DEGL'IMPIEGATI DELLO STATO. Il reddito degl’impiegati è cresciuto in proporzione ? Purtroppo no! Inutile sarebbe e fastidioso enumerare tutti i provvedimenti emessi a favore degl’impiegati dello Stato, da quando si posarono le armi ad oggi. Ve- niamo alla conclusione, la quale è questa : confrontando le tabelle organiche annesse alla legge 30 giugno 1908, N. 304, sullo stato economico degl’ impie- gati civili dello Stato, con Vl Ordinamento gerarchico delle amministrazioni dello Stato, approvato con R. Decreto 11 novembre 1923, N. 2395, e com- presa l’ indennità di caro-viveri, si può affermare, grosso modo, che se il reddito degl’impiegati anteriore alla guerra si considera come 100, esso at- tualmente ascende a 400; dacchè la lira-carta vale 15 centesimi, l’impiegato nominalmente riceve 4 volte una lira, realmente 4 volte 15 centesimi. cioè 60 centesimi. Egli, adunque, riceve per ogni lira promessagli col suo con- tratto di lavoro, 40 centesimi di meno: in altri termini, può acquistare tre quinti dei beni permutaBili cui aveva diritto, 0, se piace meglio, deve ridurre il suo consumo dei due quinti. — Ora questo non è giusto : lo Stato dovrebbe pagare a coloro che lo servono tante lire al corso attuale quante ne occor- rono ad integrare la lira del tempo anteriore alla guerra. (1) Certamente il 600 attuale, in rapporto al 100 di prima della guerra, sta più al di qua che al di là, non solo perchè il numero indice dei prezzi all’ingrosso è 660, ma eziandio per la ragione che la massa del popolo. compra al minuto, sicchè, come s'è detto , forse il vero numero indice non può essere minore del 792, onde il valore reale della lira-carta è di 13 centesimi. INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTPA 167 $ 4. — PENSIONATI DELLO STATO. Pej pensionati dello Stato bisogna distinguere tra quelli che furon col- locati a riposo avanti dell’ottobre 1919, e gli altri giubbilati da questa data in poi. Questi secondi godono d’una pensione meno scarsa dei primi, perchè, mentre costoro furon giubilati secondo le norme del testo unico 21 feb- braio 1895, N. 70, i collocati in quiescenza dopo, hanno profittatto delle larghezze pel tiattamento di pensione disposte dal R. D. L. 25 ottobre 1919, N. 1720 (in appresso tradotte, con modificazioni, nella legge 21 agosto 1921, N. 1144) per quanto ristrette poi dal R. D. 21 novembre 1923, N. 2480. Oltre a questo la pensione dei secondi è rispondente all’ anno in cui furono col- locati a riposo, ossia, siccome la pensione ha per base la media dello sti- pendio goduto nell’ ultimo triennio di servizio, avviene il contrario della massima Evangelica : [ primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi : in vero s'è formata una scala, dato lo stesso grado ed i medesimi anni di servizio, per la quale le pensioni sono andate crescendo, per le nuove più | alte tabelle, col crescere degli stipendi che si prendono come elemento della media, sicchè gli ultimi collocati a riposo godono, a dir così, la pensione: massima, quella che, compresi i caro-viveri, risulta moltiplicando per 4 il reddito nominale che avrebber goduto’ se fosse stata presa la media sulle tabelle degli stipendii del 1908. I pensionati negli anni 1924, 1923 e così via indietro fino all’ ottobre 1919, godono d’ una pensione decrescente fino a questa data; quindi, mentre i più recenti son privati di due quinti dei beni permutabili che loro furono promessi, gli altri sen vedono rapire successiva- mente di più. Infelice maggiormente è lo stato dei pensionati*anteriormente all’ ottobre 1919, i caro-viveri sono uguali per tutti, sicchè i godenti pensioni minime se ne stanno relativamente bene, mentre stanno malissimo quei che percepiscono pensioni medie ed alte. Egli è vero che, con provvedimenti le- gislativi del 1923 e del 1925, le pensioni anteriori all’ ottobre 1919 sono state aumentate; ma l aumento è stato insufficiente : e poi, nel 1925, si conferì anche a parte dei pensionati posteriormente all’ottobre 1919, sebbene con una EDaY So WERE ANZIO MTA 168 PIETRO MERENDA" scala decrescente: da ciò nuove sperequazioni tra gli assegni di quei che serviron lo Stato con lo stesso grado e coi medesimi anni di servizio. Situa- zione incresciosa, e per molti d’estrema miseria, per quanto dignitosamente sopportata; e si badi che in tale straziante disagio si trovano Consiglieri di Cassazione e di Stato, Generali anche d’armata, Ammiragli, Prefetti, Diret- tori generali, Professori d’ Università: tutti che han concorso a fare |’ Italia bene ordinata, rispettata e temuta, gareggiante scientificamente con le altre Nazioni. Che se, col pareggiamento auspicato, si portassero tutte le pensioni ad unico livello, pareggiandole tutte alle più recenti, dato il medesimo grado e gli stessi anni di servizio, cesserebbero, è vero, gl’inconvenienti fin qui enume- rati, ma ne resterebbe uno gravissimo: mentre ai pensionati fu promesso, quand’ eran in servizio, il godimento di determinati beni nella vecchiaia, adesso questi beni son ridotti dei due quinti: per ogni 100 lire del tempo anteriore alla guerra, ci riceveranno lire 400 svalutate, e non 600. $ 5. — DEBITORI E CREDITORI. I debitori scialano: ricevettero un prestito in lire buone, e possono saldare il debito loro in moneta cattiva: il che significa che il debitore, il quale, per ipotesi, dalla sua attività ricava quanto in lire carta corrisponde all'entrata reale d’una volta, paga in moneta svalutata, dando per ogni lira 15 centesimi ! Questo, che si verifica per la restituzione del capitale, s’ intende detto eziandio pel pagamento degl’interessi. Così il creditore, s'era ricco, diventa povero. $ 6.— PORTATORI DI RENDITA SULLO STATO. Un tempo chi aveva un reddito di L. 6000 ricavate da cartelle di ren- dita sul debito pubblico, era un signore; adesso è un pezzente, poichè tale reputiamo chi ha un’entrata reale di L. 1000, e a L. 1000 del 1913 equival- gono le L. 6000 d’oggi. Il moralista qui interviene consigliando la parsimo- INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 169 nia; ed a questa i più s’appigliano, riducendo le spese. Ma, ahimè! quale tortura! Licenziare la servitù, o servirsi da sè, quando manca l’abitudine e gli anni nol consentono; vendere a baratto la mobilia, e rifugiarsi in una casetta; non potere rifare a nuovo gli abiti logori, e, non volendo con questi comparire in pubblico, restare tappati in casa; rovinarsi la salute con cibi grossolani, contro i quali l’organismo, avvezzo alle delicatezze, si ribella : ognuno può imaginare quali sofferenze fisiche e quali patemi d’animo! In astratto si dovrebbe pagare tanto in moneta svalutata da corrispon- dere al valore attuale di L. 6000; ma è ciò possibile, ed in concreto giusto sempre ? $ 7.— TITOLARI DI RENDITA VITALIZIA. Lo stesso tormento, e nuovi tormentati. Secondo |’ art. 1778 C. C., si può stipulare una rendita, ossia annua prestazione in denaro o derrate, me- diante cessione d’ un immobile o pagamento d’un capitale, che il cedente si obbliga a non più ripetere. Questa rendita si può stipulare perpetua o vitalizia. Quando colui al quale fu ceduto l'immobile od il capitale non è una compagnia d’assicurazione, se la rendita è in derrate, chi s'è costituito il vitalizio si salva; se in denaro, è rovinato, perchè riceve la sesta parte di ciò che gli competeva: credette di assicurarsi l’agiatezza od un minimo red- dito indispensabile per tutta la vita, e nei vecchi giorni patisce l’indigenza, ed è diventato un pitocco. Nè diverso è il caso di chi ha stipulato per sè una pensione vitalizia od una somma a data fissa con una compagnia d’ assicurazione : ciò è in- tuitivo. $ 8. — CANONI IN DENARO. Simile iattura patiscon coloro che godono d’un reddito derivante da canone in moneta, sopra terreni dati in enfiteusi. L’utilista, se il canone gravava sopra terreno agrario, vende i suoi prodotti sei volte di più, mentre paga al direttario l’antica prestazione; vale a dire gli dà un sesto di ciò che al vero padrone d’una volta serve a campar la vita. Anche i proprietari di 99 ni ERA AMPIA AA 170 PIETRO MERENDA case, che edificarono sopra terreno preso in enfiteusi, si trovano nella stessa posizione comoda, adesso ch’ è cessato il regime vipcolista degli affitti. La giustizia vela la sua faccia a tanta iniquità! Passiamo alla reluizione. La legge 11 giugno 1925, n. 998, converte in legge il R. D. L., 15 luglio 1923, n. 1717, per la riforma delle vigenti dispo- sizioni sulla affrancazione dei canoni, censi ed altre prestazioni perpetue. ll prezzo d’affrancazione si determina capitalizando, sulla base dell’interesse legale, la somma dovuta per la prestazione in denaro, ovvero quella cor- rispondente al valore delle derrate, se in queste la prestazione consista. Ora i possidenti di canoni in derrate si salvano: se la prestazione consiste in quantità fissa di derrate, la somma corrispondente, per la formazione del capitale, si determina sulla media del valore delle prestazioni corrisposte nell’ultimo decennio. Ma i possessori di canoni in denaro sono addirittura ammiseriti. poichè la determinazione del corrispondente capitale ha luogo in base alla quantità numerica della somma stessa nella moneta legale cor- rente al momento dell’ affrancazione , qualunque sia la specie della moneta prevista mel titolo 4) o corrente al tempo della costituzione di questo. Per tanto si acquista la piena proprietà, dando un sesto di ciò che economira- mente e moralmente è dovuto. Vero si è, che, se l’obbligo delle prestazioni sia sorto anteriormente al 10 gennaro 1919, l’affrancante, oltre il prezzo de- terminato come sopra, deve pagare un supplemento pari alla quinta parte del prezzo medesimo; ma aumentare del 20 °/,, quando si dovrebbe del 600 °%.,, non giova a nulla. Qui è uopo aggiungere che, se la prestazione non sia affrancata, a de- correre dal 21 agosto 1923 il canone è aumentato del 25 °/. Troppo timida attuazione del riconoscimento che il legislatore ha fatto d’ un principio giusto ! $ 9. — MESTIERI SOGGETTI A TARIFFA D’IMPERO. V’hanno certi mestieri soggetti a tariffa d’ impero, stabilita dalla pub blica autorità ; ad esempio: cocchieri da nolo, facchini di ferrovia e di do- (1) Vale a dire, che, se fu previsto oro, si può dare carta svalutata ! INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO F RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CAKTA 171 gana, battellieri di porto. Mentre gli operai liberi, una volta con gli scioperi, ora con l’ agitazione legale e con. la tutela dello Stato, riescono per lo più a proporzionare la rimunerazione col caro costo della vita, e solo i conta- dini, pei quali, come suol dirsi, i salarî sono affetti d’una tal quale vischio- sità restano indietro; i mestieri soggetti a tariffa non di rado soggiacciono a rimunerazioni inferiori a quelle che otterrebbero se una necessità d’ordine pubblico non tarpasse le ali alla libertà loro. Spesso ricorrono ad artifizi per farsi pagare più della tariffa: i cocchieri da nolo, per esempio, se il viaggio è lontano, dicono d’ essere già impegnati, e, se non venite a patti, potete andare a piedi; ma la caratteristica della classe è quella. $ 10.— MesTIERI NEI QUALI CHI RENDE IL SERVIZIO PUÒ ESSERE SOSTITUITO DAL PUBBLICO. V’hanno poi mestieri che prestano servizio che il pubblico può rendersi da sè, qualora le pretese siano eccessive. Quante signore, per esempio, sti- ran esse i colletti, senza più mandarli alla stiratrice! Da ciò, se non si vuol soffrire la perdita dei clienti, necessità di limitar le- pretese, e di contentarsi d’entrate inferiori all’indice dei prezzi. Per questa categoria di persone la pubblica autorità non occorre che pigli provvedimento alcuno : le parti se la sbrighino tra loro. $ 11. — RAGION D'ESSERE DELL’ INTERVENTO DELLO STATO A FAVORE DI QUESTE CLASSI SOCIALI à REDDITO FISSO 0 PRESSOCHÈ TALE. Forse l’enumerazione non è completa; ma essa basta a dare l’ idea del disequilibrio tra entrate e spese di cui soffre gran parte della popolazione, a reddito fisso o pressochè tale. Tutte le persone che costituiscono questa massa di sofferenti hanno moltiplicato per 5 i redditi loro, od, in ogni caso, questi redditi, nel 1925-26, sono aumentati del 50°/? Ahimè! alla domanda si deve rispondere negativamente ; ed allora il rincaro delle pigioni, anche nei limiti non eccessivi consigliati dalle Associazioni dei proprietarî di case, 172. PIETRO MERENDA e ai quali s’afferma che il Governo abbia fatto buon viso, riuscirà, per tutte quelle classi di cittadini, ancora incomportabile; e poichè si deve sopportare, sarà causa di dolori al cui pensiero la mente s’offusca ed il cuore s’opprime. È ammissibile che lo Stato assista indifferente a tanto strazio? No: 1°) perchè esso di questa situazione economica è creatore; 2°) perchè, in parecchi casi, è parte contraente; 3°) perchè in genere l’ intervento rien- trerebbe nella funzione normale dell’ organizzazione giuridica della società, se è vero, come s’ esprime il Romagnosi, che Lo Stato è una grande tutela ed una grande educazione. E in quanto alla prima ragione, occorre che il lettore ammetta fin da ora quel che sarà dimostrato più tardi, cioè che fra le molteplici cause del caro costo della vita sia precipua l’ eccessiva emissione di carta moneta. Questa sarà giustificabile con la necessità, durante la guerra, di ricorrervi per salvare la Patria dalla sconfitta; sarà giustificata dalla necessità, dopo la pace, di fronteggiare le enormi spese che furono conseguenza della guerra; ma lo Stato non può dire che l’ eccessiva emissione non è opera sua, sicchè esso degli alti prezzi e delle funeste conseguenze loro non può rispondere. Del resto, questa, per quanto non vera, non sarebbe ragione persuadente dell’astenersi dall’intervenire : certo le inondazioni, il terremoto, le epidemie non sono opera dello Stato; eppure esso interviene, se non al- tro per lenire i danni che han sofferti le popolazioni. Che in parecchi casì sia parte contraente, non è dubbio: lo è nel rap- porto d’impiego, lo è di fronte ai portatori di rendita sul debito pubblico. Così a occhio e croce, non rientra poi neila tutela del diritto lo inter- vento dello Stato quando una classe di cittadini si locupleta ingiustamente a danno di un’altra ® E finalmente, sostenendo il diritto, adempiendo alle obbligazioni con- iratte, lo Stato educa i cittadini a dare a ciascuno il suo, in che consiste la giustizia. E qui occorre che pure si ammettano provvisoriamente come dimostrate due proposizioni, delle quali si darà la pruova in appresso : 1°) la causa princi- pale dell’alto costo della vita essendo la carta moneta, per arrestare la corsa INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 173 al rialzo, sha da fermare l’emissione, e poi, a far tornare il costo della vita quale era nel 19153, è necessario ridurre alle proporzioni di allora la carta moneta circolante; 2°) questa riduzione non può essere immediata, ma è gio- coforza che sia graduale. Qui si può dire in contrario che non occorre darsi pensiero di tutto questo, perchè lo Stato ha provveduto a scongiurare la crisi edilizia, inter- venendo con i Decreti Luogotenenziali 23 marzo 1919, n. 455 e 19 giugno 1919, n. 1040, e coi RR. DD. LL. 30 novembre 1919, n. 2318; 8 gennaio 1920, n. 16; 18 agosto 1920, n. 15338; 18 agosto 1920, n. 1540; 5 ottobre 1920, n. 1559; 3 novembre 1921, n. 1667, recanti provvisioni per l’industria edilizia e la costruzione di case economiche e popolari (1); che ha aiutato la co- struzione d’apposite case per gl’impiegati (2); che, ad integrar quei provve- dimenti, nello stesso Consiglio dei Ministri del 2 gennaio , in cui si deter- minò il ritorno alla libera contrattazione, vennero stanziati 100 milioni per costruzioni edilizie di carattere immediato, che i Comuni potranno promuo- vere. Opportuno e lodevole ciò che s’ è fatto in questo senso, è facile ri- spondere; ma necessariamente di carattere limitato, talora a scadenza non breve; dunque non capace d’ eliminare lo squilibrio fra entrate e spese di gran parte della popolazione. $ 12. — CONVIENE EGLI DI PROPUGNARE IL PROVVEDIMENTO DI CARATTERE GENE- RALE DI VARIARE TUTTI I PAGAMENTI IN BASE AL NUMERO INDICE DEI PREZZI? RISPOSTA NEGATIVA. Premesso tutto questo, è il caso d’ esaminare se e quali provvedimenti dovrebbe emanar lo Stato a favore delle classi di cittadini a reddito fisso ‘0 pressochè tale, la cui condizione economica e le cui sofferenze nelle pagine anteriori vennero messe in luce. (1) Convertiti nella legge 7 febbraio 1926, n. 253. (2) I pensionati sono rimasti da sezzo. 174 PIETRO MERENDA Ma a questo punto si può fare un’obbiezione ed è la seguente: Non sa- rebbe più opportuno caldeggiare un provvedimento di carattere generale, e che imponga il variar dei redditi tutti, in base ai numeri indici dei prezzi? Il Prof. De Johannis, direttore de L’Economista, nel 1922, promosse una specie d'inchiesta sulla svalutazione della lira, invitando i più autorevoli professori di Economia e Finanza, ed i cultori delle discipline finanziarie, a trattare l’ argomento; ed infatti parecchi di quelli risposero con apposite importanti trattazioni, che vennero lulte pubblicate ne l’Economista, dal 5 novembre 1922 al 14 gennaio 1923 (1); e finalmente il Prof. Corrado Gini, nel numero della medesima rivista pubblicato il 4 febbraio 1923, diede una Risposta critica riassuntiva di tutta l'inchiesta. In essa è notevole questo brano : « Allo scopo, diverso, di stabilizzare i prezzi in. oro, sono dirette, ‘com’ è noto, varie proposte degli economisti. Ha suscitato molto rumore, negli ultimi anni prima della guerra, quella ripresentata dal Fischer, di mu- tar il contenuto in oro dell’ unità monetaria. Più pratica sembra la vecchia proposta, scaturita dopo le guerre napoleoniche, di far variare l'ammontare mominale dei debiti, dei crediti, degli stipendi, in base ai numeri indici dei prezzi. Certo nessun periodo come il dopoguerra attuale sarebbe stato adatto a realizzare tale idea. E conviene d’ altra parte riconoscere che, se essa si ‘attuasse in forma generale e obbligatoria, la proposta riforma monetaria (1) Risposero i professori Graziani, Loria, Vergilii, Griziotti, Sensini, Gobbi, Bachi, Savorgnan, Arias, Cogliolo, Prato, Camillo Supino, Insolera, De Pietri -Tonelli, Garino ‘Canina, Terni, Bianchini, Masè-Dari, Toesca di Castellazzo, Bolaffio, Curato, Borgatta, Fanno. Bene scrisse il Prof. De Johannis del concorso prestato da questi insigni studiosi : «La trattazione dell’arido complesso argomento è riuscita del massimo interesse, sia per i diversi lati dal quale è stata considerata, sia per le svariate acute osservazioni cui ha dato origine». Ed egli si riprometteva di pubblicare tutte le risposte in un volumetto, dove il pubblico avrebbe trovato assai d’apprendere. Se non che ed il volumetto non comparve, e, per ragioni che s’ignorano, da un pezzo l’ Economista, ch’ era vissuto più di mezzo se- colo, non si pubblica più. INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 175 diverrebbe, se non superflua, certo meno utile. Ma al suo avverarsi, in tale forma, i tempi non sembrano ancora maturi. Di essa però si hanno larghe applicazioni nella pratica contrattuale : nella revisione dei salari e degli sti- pendi, infatti, e nelle stipulazioni dei contratti tutti guardano ormai ai nu- merì indici, come ad una sicura norma direttiva. Sono là i frutti di idee seminate un secolo fa, e riapparse poi a varie riprese. Pur nel mondo delle idee, nulla va completamente perduto ». Dato il presente eccessivo volume di carta-moneta circolante, causa prin- cipale degli alti prezzi, un provvedimento legislativo così generale come quello sostenuto dal Gini, sarebbe logico e giusto; ma non si ha notizia che Stato veruno l’abbia fatto suo; fra gli scrittori nostri non ha trovato soste- nitori; non è probabile che si attui in Italia, principalmente perchè l’opinione pubblica non vi è preparata: d'altronde non pare che il Governo v' abbia tendenza. In altri termini, la proposizione del Gein che è tempi non sem- brano maturi, si potrebbe mutare in quest'altra: è tempi non sono maturi. Pertanto è opera più positiva trattare dei provvedimenti specifici, esa- minando se e quali potrebbero emettersi a favore delle classi sociali a red- dito fisso ovvero quasi tale. $ 13. — PROVVEDIMENTI A FAVORE DEGL'IMPIEGATI GOVERNATIVI. Cominciamo degl’ impiegati governativi. AI atto della loro ammissione ebbe luogo un contratto di lavoro tra il cittadino che assunse il servizio., e lo Stato che lo ammise a prestarlo. Si modifichi quanto si vuole la teoria contrattuale, sul riflesso che uno dei contraenti è il potere sovrano, che ha diritto di fare e disfare le leggi; ciò non toglie che lo Stato s’impegnò a determinate condizioni, e così il cittadino. Quali furono queste determinate condizioni da parte del primo? Pel tempo in cui l’impiegato gode di tutte le sue forze fisiche ed intellettuali, una carriera, cioè uno stipendio, progre- diente secondo gli avanzamenti di grado ; sicchè, lo stipendio, se ha carat- tere alimentare, V ha in senso largo, come quando noi preghiamo Dio di darci il nostro pane quotidiano ; ed è variabile col tempo, ma sempre in 176 PIETRO MERENDA ascesa. Certo lo stipendio fu valutato in lire e centesimi, dacchè la moneta è quel prodotto che si adopera come misura comune dei valori, mezzo gene- rale di scambio e di pagamento (1). Ma, assegnando quello stipendio , s° in- tendeva forse dar la misura, senza riferimento ai valori, cioè al rapporto di permutabilità tra servizio e compenso? Ohibò ! s'intendeva proporzionare al merito il godimento di beni determinati, che costituiscono il tenor di vita; l’espressione monetaria era la misura del valore che aveva il merito, cioè di ciò che si reputava valessero, e nell’inizio e nel progresso degli anni, le funzioni esercitate, il servizio prestato. Su tutto questo pare ozioso spendere altre parole. Or se quella quantità di beni permutabili promessi all’ impie- gato, quel dato tenor di vita, non si esprime più con quella misura origi- naria se non in guisa nominale, mentre la reale ha una espressione nume- rica assai inferiore, non è di diritto che la misura nominale, sia numerica- mente elevata sino a corrispondere alla misura reale che fu contrattata 2 E per parlare più chiaramente, se le 100 lire del 1913 corrispondono a L. 600 di oggi, perchè la lira carta del 1926 vale non più 100 centesimi, ma 15 centesimi, c'è il dovere di dare L. 600 nominali, e non L. 100; se no, voi date appena un sesto dei beni che prometteste, del tenor di vita in virtù del quale il ciltadino preferì l’impiego pubblico a qualsiasi altra professione. Posto tutto questo, lo Stato ha il dovere di proporzionare gli stipendii degl’ impiegati suoi al costo della vita, ossia di moltiplicare per 6, e non per 4, gli stipendii anteriori alla guerra, adesso che specialmente è diven- tato più difficile tirare innanzi l’esistenza, dato l'aumento delle pigioni delle case d’abitazione. Il principio, implicitamente od esplicitamente, si può dire ammesso dap- pertutto durante e dopo la guerra mondiale: l’ applicazione è stata dove piena, dove parziale. (1) Non occorre occuparsi delle funzioni accessorie della moneta : denominatore comune dei valori; strumento di conservazione e di trasmissione delle ricchezze nel fempo e nello Ì spazio. INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 177 Tacendo dell’ Inghilterra, che, tornata alla circolazione a base aurea, non ha più bisogno di quel principio, e della Francia e dell’ Ungheria, paesi nei quali la parziale attuazione ha suscitato agitazioni scandalose, giova qualche cenno sulla Germania e sull’Italia. In Germania, durante la guerra, a mano a mano che i prezzi salivano, fu necessario aggiungere agli stipendi dei caro-viveri, che vennero elevati in ragione del rincaro. Nel 1920, tanto nel Reich che negli Stati, gli stipendii furon regolati da nuove più alte tabelle, e si aggiunse un soprassoldo, con- sistente in una percentuale dello stipendio, soprassoldo che andò crescendo col vertiginoso deprezzamento del marco (1). Come fa notare il Bresciani Turroni, dall’estate del 1923, oltre che per i salari e per gli onorari, si dif- fuse anche per gli stipendi il sistema del moltiplicatore, cioè del numero indice del costo della vita pubblicato dall’ Ufficio di Statistica del Reich, e atteso ogni volta con grande impazienza (2). Il soprassoldo fu rivalutato sin due, tre, quattro volte al mese; in fine ad intervalli anche più brevi. Ma a certo punto sì fece basta, e per tutti: si emise una nuova carta-moneta, anche essa senza copertura metallica corrispondente, ma ch’ ebbe fortuna. Scrive il Bresciani Turroni: « L’ urgente bisogno di una moneta a valore stabile assicura il successo alla riforma monetaria del novembre 1923. Nei (1) Questo crescendo fu lento dapprima. Di che si comprende la ragione dal seguente brano di BRESCIANI TuRRONI : «I salari reali potevano essere mantenuti a un livello molto più basso di quello stabilitosi in altri paesi. E ciò grazie: a) alla politica del pane a buon mercato : gli agricoltori erano obbligati a cedere una parte del loro raccolto di cereali (2, 5 milioni di tonnellate nel 1921-29) ai prezzi d’ imperio ,.che erano naturalmente al di sotto di quelli di mercato. Inoltre lo Stato vendeva con grave perdita i cereali che la « Reichsgetraidestalle » importava dall’ estero; d) alla politica degli affitti, che per lungo tempo permise alle classi operaie di pagare delle pigioni poco superiori a quelle del 1914 ». Vedi IZ deprezzamento del marco e il commercio estero della Germania, nel Giornale degli Economisti, settembre 1924, pag. 479, (2) Studi sul depreziamento del marco tedesco. V. Giornale degli Economisti, aprile 19924, pag. 220. 178 i PIETRO MERENDA vuoti canali della circolazione (o in sostituzione delle divise straniere) si insinua la nuova « Rentenmark », che, emessa in quantità limitata, è ac- cettata al suo valore nominale ...l1 marco equivalente a 1000 miliardi di marchi carta!» (1). E dacchè il buon successo non mancò, il soprassoldo equi- parante le entrate degl’impiegati al costo della vita venne abolito (2). Passando all’ Italia, va ricordato che nelle opere pubbliche è stato ne- ‘cessario ammettere la revisione dei prezzi contrattuali d’appalto. Si potrebbe poi far cenno di parecchi contratti collettivi di lavoro, nei quali è stipulato che i salarii saranno regolati prendendo come moltiplicatore il numero in- dice del costo della vita (3). C'è poi il fatto che vale quanto la detta clausola apposta in parecchi contratti di lavoro, ed è questo : i salari non sono più quelli del tempo anteriore alla guerra, ma sono andati proporzionandosi all’ aumento del costo della vita. Chi non ricorda gli scioperi, del 1920 e 1921 ? Essi, quan- tunque non tutti d’indole economica, perchè i Socialisti, peseavano nel tor- bido, e per quanto spesso riprovevoli pel modo, che non si doveva tollerare, ebbero per effetto l’alzamento delle mercedì. Passiamo al rapporto di pubblico impiego, nel quale il principio è stato più volte riconosciuto. Fu scritto altrove: « Nel 1876, dato un sensibile aumento dei prezzi, (1) Studio sul deprezzamento del marco. Nel luogo già citato, pag. 247. (2) I Municipii seguirono l’esempio dello Stato ; tuttavia il soprassoldo, commisurato come s'è detto nel testo, si paga ancora in alcune città, dove la vita, per ragioni speciali, è particolarmente cara. (3) Circolare del Ministro dell’Interno, Div. 2, N. 15.700.15-49415, 23 ottobre 1925. Aî Prefetti. Si comunica la seguente nota del Ministero per |’ Economia Nazionale: « Varii Municipi sogliono mensilmente calcolare gli indici del costo della vita delle classi operaie. Dato il sistema vigente di contrattazione delle mercedì , servono detti indici di base per la determinazione delle variazioni delle indennità di caro-viveri che gli intraprenditori debbon corrispondere ai propri dipendenti. Si raccomanda che, nella compilazione di tali indici, si tenga conto dei prezzi degli spacci dei generi di consumo che gli industriali fanno negli spacci istituiti, a scopo di calmiere del mercato libero, a favore delle proprie maestranze ». INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA:CARTA 179 che si reputava stabile, il Governo prevenne : una legge del 7 luglio, N. 3212, prescrisse la riforma dei ruoli, onde pareggîare e migliorare gli stipendii: ciò che fu eseguito con decreti del 51 dicembre 1876, i quali eziandio sta- bilirono l'aumento sessennale del 10°/,. Nel 1908 si presentarono circostanze simili alle presenti, ma diversissime nelle proporzioni; fuvvi un notevole accrescimento di prezzi, forse dovuto al deprezzamento dell’ oro per ’ au- mento della produzione del Transwal, dopo la guerra Boèra (I), e gl’Italiani divennero, per così dire, una nazione d’agitati, senza però il veleno sovver- sivo. Le provvisioni dello Stato furon tardive, e si ebbero accenni deplo- revoli d’ indisciplina negli impiegati: il servizio pubblico parzialmente ne soffrì; ma, con leggi opportune, si largirono miglioramenti, che, uniti ad una certa fermezza dei governanti, fece tornare le cose allo stato normale. Però, dopo la recente guerra, da un lato lo sfrenamento non ha avuto limiti, dall’ altro, in vece di provvedere radicalmente con misure di carattere ge- nerale, s'è gettata l’offa a chi gridava di più, a chi minacciava di più e con maggiore petulanza; e peggio, s'è ceduto di fronte all’ostruzionismo e all’ab- bandono del servizio , lasciando inapplicate le leggi patrie. Ferrovieri, im- piegati postali, telegrafici, telefonici, e persino gli educatori del popolo, han potuto imporre la volontà loro allo Stato» (2). Dei provvedimenti coi quali lo Stato concesse caro-viveri ed aumenti di stipendio, nel $ 3 non s'è data enumerazione particolareggiata, per motivo che farla sarebbe riuscito inutile e fastidioso, importando la conclu- sione di tutto questo lavorìo, la quale s'è calcolata nel seguente modo semplice: le entrate degl’impiegati sono cresciute del 400 °/,. Ebbene, l’avere gradatamente raggiunto siffatto aumento, è, o non è, riconoscimento del principio? Niuno dirà che non è; ma salta agli occhi di qualsiasi mediocre (1) La guerra di Caino. (2) MERENDA, Della continuità dei pubblici servizii, lettura fatta il 26 giugno 1920, nella Società di Scienze Naturali ed Economiche di Palermo. Estratto dal Giornale della stessa (vol. XXXIII, 1921-22-28), Palermo, « Boccone del Povero », 1923, pag. 28. 180 PIETRO MERENDA intelligenza che, nell’applicazione, non si è stati conseguenti, e che giustizia vuole si faccia un ultimo passo innanzi, stabilendo il numero indice dei prezzi come moltiplicatore. É preferibile questo numero indice a quello del corso dei cambii coi paesi a circolazione metallica e all’ altro dell’ oro in rapporto alla carta. Rappresentando con curve questi tre dati, si vede ch’essi hanno simile andamento, così in salita come in discesa; ma le tre curve non combaciano , quella rappresentante i prezzi, è più elevata, e s’ avvicina di più al costo reale della vita, il quale importa direttamente all’impiegato. Non è consigliabile, nè sarebbe lodevole, che gl’ impiegati dello Stato s’agitino, e molto meno illegalmente, per conseguire siffatta mèta; del resto l’attuale Governo nol tollererebbe. É in vece d’ augurarsi che |’ attuazione piena del principio diventi patrimonio della pubblica opinione, e che la sua necessità penetri nella coscienza dei rettori della cosa pubblica, sicchè lo Stato renda finalmente questa giustizia. In quanto al metodo, discuterne non è di questo luogo; del resto la compilazione delle tabelle organiche annesse al R. D. 11 novembre 1923, N. 2395, sopra l’ Ordinamento gerarchico delle amministrazioni dello Stato, dimostra che il Governo dispone di tecnici i quali han capacità di superare in questa materia quanto può esservi di più difficile. Gioverà tener presente che si potrebbe mettere in atto una specie di scala mobile, che permetta di elevare la retribuzione o di ridurla, a misura che i prezzi salgono o scen- dono ; e poichè il bilancio si compila ogni anno, è preferibile che il molti- plicatore resti fisso per l’intero anno finanziario, basandosi sul numero in- dice dei prezzi dell’anno solare precedente (1). Oltre della giustizia, valga l interesse dello Stato. C'è un doppio feno- (1) Così verrebbe eliminato il timore del Borgatta, il quale scrisse : « Maggior moneta significa, a brevissima distanza, maggiori spese, e diminuire relativo delle entrate. Lo Stato spinge le vaste masse dei suoi dipendenti a far accrescere le rimunerazioni, che solo difficilmente e lentamente potranno ridursi». Articolo La pressione fiscale ed il problema del pareggio. Nel Giornale degli economisti, novembre 1922. INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 181 meno, ch'è rivelatore d’un identico stato di malessere: parecchi dei migliori impiegati abbandonano la carriera, perchè trovano nell’impiego privato ri- munerazioni migliori; la gioventù del nord rifugge dagl’impieghi dello Stato, e,.se non fosse pei meridionali, i servizi pubblici non potrebbero andare. Non è il caso di provvedere mettendo gli stipendii nella stessa linea del costo della vita ? $ 14. -- PROVVEDIMENTO A FAVORE DRI PENSIONATI GOVERNATIVI. | Ed ora ai pensionarii dello Stato. L’identica ragione giuridico-economica assegnata a favore degl’impiegati in attività di servizio, vale per quelli posti in quiescenza. Il contratto di lavoro che le parti vollero nel momento che l'impiegato entrò in servizio, non solo conteneva la promessa d’uno stipendio che assicurasse determinati beni progredienti, ma anche una pensione pre- fissa pei dì nei quali più lavorar non si potesse. In altri termini, la retri- buzione convenuta si divideva in due parti: una da pagarsi nei verd’ anni, l’altra da conferirsi nella vecchiaia, e, in caso di morte, con talune Jimita- zioni, alla vedova ed ai figli. Dato anche che si pareggino le pensioni ed i caro-viveri, mettendo ciò di cui godono i pensionati posti a riposo prima del 1919, e posteriormente a quest'anno, nello stesso livello di.ciò che per- cepiscono i pensionati più recenti, a parità di grado e d’anni di servizio, avremmo sempre uno stato economico simile a quello degl’impiegati in at- tività di servizio, cioè all’incirca quadruplicata la rimunerazione, mentre il costo della vita s'è , per lo meno, moltiplicato per 6 (sempre considerando i prezzi all’ ingrosso, e non, come si dovrebbe, quelli al minuto). Giustizia vuole che lo Stato pigli pei pensionati un provvedimento analogo a quello che dovrebbe attuare per gl’ impiegati: regolar le entrate dei suoi vecchi servitori con una scala mobile, prendendo a moltiplicatore l indice medio annuale dei prezzi. C'è poi pei pensionati una ragione accessoria speciale: la pensione, ol- tre di contenere la promessa retribuzione dello Stato pei vecchi giorni, com- prende il prodotto accumulato dalle ritenute sugli stipendii, un tempo 2 ‘/5°/5; 182 PIEYVRO MERENDA poi graduale dall’1 al 6%; adesso indistintamente elevata al 6°/,. Questo prodotto fu pagato in moneta buona, alla pari con loro. Che giustizia c'è a restituirlo in moneta che vale per lo meno un sesto? Argomento contro. Si può concentrare in questo sillogismo : Il rapporto d'impiego concerne gl'impiegati in attività di servizio; ma i pensionarii non sono in attività di servizio ‘ dunque non sono impiegati: dunque il rapporto d'impiego non li riguarda. LAGÒ Conseguenza : la pensione rappresenta un diritto patrimoniale da parte del giubbilato ; costituisce un debito vitalizio da parte dello Stato, una ra- gion di credito da parte del pensionato : tra Stato e pensionario c’è il rap- porto che passa tra debitore e creditore. Il sillogismo è fondato sopra la proposizione generale: Il rapporto di impiego concerne gl’impiegati in servizio. È vera questa proposizione ? Giova ritornare sopra nozioni già espresse. Il cittadìno presta l’opera sua esclusiva allo Stato, che ha bisogno di lui per esercitare la sua attività: lo Stato as- sicura ad esso i mezzi d’ un’ esistenza modesta, ma certa e decorosa , cioè una carriera, ossia uno stipendio progrediente, mentre l’impiegato è valido, ed una pensione pel dì in cui non può lavorare più, e una pensionetta alla vedova ed agli orfani: per l’ impiegato è un contratto di facio ut des, per lo Stato di do ut facias, con questo però che tal contratto speciale, pur rientrando fra i contratti che diconsi innominati, perchè non hanno un nomen ‘iuris, rientra nel diritto pubblico, ed è sui generis. Per esso lo Stato, in compenso del servizio attivo, assicura all’ impiegato i detti mezzi d'’ esi- stenza, per lui e la famiglia, e pel presente e per l'avvenire. Su questo ter- reno s'incontrano le due volontà, e in tutto l’ insieme consiste il rapporto d'impiego. L’impiegato è sempre impiegato, anche posto in quiescenza : fu in attività di servizio, adesso è pensionato. Diritto patrimoniale! Ma forse lo stipendio, mentre s'è in attività di servizio, non è anch’ esso un diritto patrimoniale? Debito vitalizio! Certa- mente, se per vitalizio s'intende la vita che si trascorre dal collocamento a riposo alla morte; ma forse il pagamento dello stipendio non rappresenta anch’ esso un debito dello Stato? Rapporto di credito da parte del pensio- nato! Oh! che lo stipendio da parte di chi serve non è un credito ? INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 183. Artificiale, adungne, spezzare in due l’unico contratto di lavoro, ed alla sola attività ridurre il rapporto d’impiego. Sostenere questa tési è un errore : i maligni il direbbero arzigogolo curialesco. D'altronde questa tési assurda è già sorpassata. Non è più un domma l’immobilità della pensione. Austria, Francia, Inghilterra, dato il rincaro della vita, sono andati al concetto dell’ aumento della pensione. La Germania, presso la quale valeva la massima che, stabilita una volta la pensione, l’impiegato fosse tacitato per sempre, di fronte allo svilimento del marco-carta progressivo sin quasi a zero, non potendo ammettere che i vecchi servitori dello Stato dovessero vivere d’aria, concesse dei caro-viveri. Le pensioni recenti aumentarono automaticamente, per virtù delle nuove tabelle di sti- pendio, di fronte alle antiche; ebbene si procedette al pareggiamento , in modo che, dato lo stesso grado e gli stessi anni di servizio, non ci fosse una pensione differente. Anche pei pensionati il soprassoldo di carestia (caro-viveri) fu regolato in base all’ indice del costo della vita, periodica- mente accertato dall’Ufficio di Statistica del Reich: si arrivò pure pei pen- sionati a regolare il pagamento del soprassoldo sin quattro volte al mese. Dopo il 1° dicembre 1923, il pagamento degli stipendi venne fissato nella valuta nuova, cessarono i pagamenti accessorii, ma le pensioni dirette e di riversibilità, così pareggiate com’erano, non subirono mutazione. E in Italia ? Con R. D. L. 21 novembre 1923, N. 2477, furono aumentate le pensioni vecchie una prima volta, e poi furono aumentate una seconda con R. D. L. 31 marzo 1925, N. 486; adesso sì dà per sicuro il pareggia- mento tra pensioni anteriori e posteriori al 1° ottobre 1919. Prima del 1923, s'eran dati dei caroviveri, senza nessun rapporto coll’entità della pensione : beneficio certamente, ma a preferenza per le pensioni minime. L’ aumento delle pensioni, che avvicina alla soluzione diffinitiva, si deve al Governo fascista : i pensionarii sarebbero degl’ingrati se nol riconoscessero. Or tutti questi provvedimenti escludono |’ intangibilità della pensione, e quelli che questa aumentano, modificando retroattivamente il testo unico del 1895 sulle pensioni, sono, nè più nè meno, applicazione imperfetta del principio qui propugnato, ed avviano alla sua applicazione perfetta ch'è questa: il giub- 184 PIETRO MERENDA bilato deve ricevere tanta carta deprezzata, quanta ne occorre perch’ egli, secondo il grado che occupava nella gerarchia, possa far fronte al rincaro della vita: siamo sempre all’indice dei prezzi preso come moltiplicatore. Adottando il propugnato provvedimento a favore degl’ impiegati e dei pensionati, lo Stato, non solo fa buon viso alla sostanza del contratto, ma ‘eziandio fa opera educativa, esso, ch’ è anche una grande educazione, am- maestra col suo esempio le popolazioni che non è lecito appigliarsi alla lettera della legge per locupletarsi ai danni altrui. $ 15. — PROVVEDIMENTO A FAVORE DEI CREDITORI. Questa prassi per la quale il debitore si può liberare del suo debito pagando 15 centesimi per ogni lira ricevuta, è durata fin troppo. Quanti e quanti si sono affrettati a liberarsi, pagando in moneta svalutata! È tempo che s' imponga per l’ avvenire che i debiti sieno tacitati, adottando. come moltiplicatore il numero indice dei prezzi all’ingrosso. Pochi restituiranno a questa condizione: ma la legge sarà altamente moralizzatrice, arrestando quell’usanza immorale. Pari prescrizione dovrebbe effettuarsi pel pagamento degli interessi, e ciò gioverebbe grandemente ai creditori. Lo Stato in questo caso eserciterebbe la sua missione tutelatrice del diritto, impedendo che i mutuatarii s’ arricchiscano indebitamente. La legge riuscirebbe amarissima a quei che, ricevuto il danaro altrui, soddisfano in misura irrisoria, e si locupletano; si griderebbe che così vengono dannaggiate le industrie nazio- nali, rendendo il credito così oneroso da riuscire inaccessibile. Questa asserzione non merita accoglimento; se non che la prescrizione non dovrebbe ‘colpire coloro che han contratto il debito durante l'eccessivo dilagare della carta-moneta , essendo legittimo che quei che han ricevuto un prestito in moneta svalutata, paghino con questa moneta; in tal caso manca il danno del creditore, ed il debitore non s°’ arricchisce per congiuntura. Dovrebbe riferirsi ai contratti stipulati anteriormente all’inflazione monetaria, essendosi «allora ricevuto biglietti alla pari con l'oro. INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 185 ‘$ 16. — SI ESCLUDE CHE LO STATO POSSA PROVVEDERE AL PAGAMENTO DELLA RENDITA PUBBLICA, STABILENDO COME MOLTIPLICATORE L’INDICE DEI PREZZI. Astrattamente parlando, lo Stato avrebbe l'obbligo d’adottare la stessa ‘misura, indicata nei $$ 13, 14 e 15, anche di fronte ai proprietari di cartelle ‘del debito pubblico; però limitatamente alle semestralità, dacchè a suo tempo non fu promossa la restituzione del capitale, ma soltanto il pagamento della rendita, e perciò appunto questo debito si chiama debito pubblico consoli- .dato. Tuttavia le ragioni che militano a favore degl’impiegati e dei pen- sionati qui non esistono : la moneta nel debito pubblico non esprime pro- ‘messa di beni determinati in retribuzione di differente valore dei servizi. C'è però l'argomento pei portatori che acquistarono le cartelle prima della guerra, d’ aver dato un capitale alla pari con l’oro, e d’ avere contratto un interesse che legittimamente s’aspettava venisse pure pagato con carta anche essa alla pari. Argomento ch’è vero fino a certo punto: esso è ineluttabile per la rendita nominativa, che non ha trapassi; per quella al portatore, come distinguere chi acquistò prima della guerra da chi acquistò durante essa, o .dopo? E s'è così, non c'è mezzo nemmeno di accertare colui che acquistò pagando in buona carta, e pel quale ha valore l’addotto argomento. Lo Stato poi non si locupleta in atto, ma spende per soddisfare i bisogni pubblici : in ciò vha una distinzione profonda fra esso ed i privati debitori. C'è poi una ragione pregiudiziale che non permette nemmeno di mettere in discussione l’ aumento della rendita in conformità dell’ indice dei prezzi, «ed è il peso incomportabile, che ne verrebbe all’erario. Secondo i dati dello Annario statistico italiano, 2* serie, vol. VIII, anni 1919-1921, con indici eco- nomici fino al 1924 (1) il debito pubblico interno, fra perpetuo e redimibile, nel 1923 - 24, ascendeva a L. 82.235 milioni, e la rendita corrispondente im- portava a ;L. 3968 milioni (pag. 515). Il Mortara porta il debito ad 83 mi- liardi e 500 milioni, e ritiene che gl’interessi s’assesteranno sui 4,4 miliardi. (1) E compilato con la solita diligenza; ma gl’ indici economiei fino al 1924 compen- sano solo in parte la mancanza di notizie recenti. Di che non si può far carico alle per- 0) 4 186 PIETRO MERENDA Pure stando ai 3968 milioni dell’Annuario, questo carico annuale, moltipli-- cato per 6, darebbe milioni 23.808, mentre le entrate dello Stato superano. appena i 20 miliardi. Or, s'è possibile compensare con economie la maggiore spesa necessaria affin di rendere giustizia ad impiegati e pensionarii, spen- dere 23 miliardi quando se ne hanno 20 non si può; e, dato anche il pareggio fra le due somme, beneficando i portatori, lo Stato cesserebbe dir esistere: ad impossibile nemo tenetur. È una sventura. E chi lo nega? So- miglia a tanti eventi tristissimi che tormentano una parte del genere umano, e contro i quali non vi sono rimedii: un terremoto, un ciclone, un nubi- fragio. $ 17.— PERCHÈ NON SI PUÒ PROVVEDERE A FAVORE DEI TITOLARI DI RENDITA PERPETUA O VITALIZIA. Chi ha stipulato una rendita perpetua o vitalizia in denaro può dire che l’obbligato si locupleta a danno di lui? Se la vita umana fosse perpe- tua, o se l’obbligato vivesse tanto quanto colui che si costituì il vitalizio, senza dubbio saremmo nel caso dell’indebito ‘arricchimento, che si deve re- primere; ma pur troppo la vita umana è breve, e, nel maggior numero dei casi, sarà l’erede che sopportar deve il peso di pagare la rendita perpelua o vitalizia per un capitale che non ha goduto, e che forse più non esiste. Lo avente diritto alla prestazione subisce il danno, ma, in considerazione di esso, non si può emanare un provvedimento generale, che colpirebbe chi non c’entra. E se fu stipulato con una compagnia d’assicurazione il pagamento d’una pensione o d’una somma determinata? Anche qui c'è la sventura, ma difetta o non è chiaro l’ arricchimento indebito. Certo una parte dei premi fu pa- sone, ma all’ordinamento ed ai mezzi. Quanto son lontani i tempi in cui era tenuta in pregio la Direzione Generale, cui stava a capo Luigi Bodio, e come li rimpiangiamo! L'I- talia che. in fatto di statistica ufficiale era in prima riga, occupa adesso uno degli ultimi posti. Per sli studiosi procurarsi dati sicuri è una fatica d’ Ercole, quando pure riesca. ‘INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 187 ‘sata in moneta buona, una parte in moneta svalutata ; or difficile sarebbe ‘calcolare dove la compagnia ha goduto indebitamente e dove no, dato che «cominci ora l’ assegno della pensione o scada la somma determinata. Ma, ‘concesso che sia facile, per tutti i contratti stipulati durante il regno della carta deprezzata , che avverrà il giorno in cui la moneta cesserà d’ essere un sesto del valore anteriore alla guerra: giorno che alla virtù degl’Italiani ‘certamente deve rilucere? La compagnia dovrà pagare in moneta buona, mentre parte almeno dei premî furon pagati in biglietti che nominalmente ‘valevano una lira, realmente 15 centesimi. Par chiaro che per essa il godi- «mento si compenserà press’a poco con la perdita; onde sarebbe ingiusto un provvedimento legislativo che emanasse la prescrizione doversi pensioni e ‘somme determinate pagare prendendo a moltiplicatore il numero indice dei prezzi. 18.— PROVVEDIMENTO A FAVORE DEI CREDITORI DI CANONI IN DENARO. Diverso è il caso di chi deve canone in denaro. Qui non c'è dubbio: ‘l’utilista si locupleta a danno del direttario : egli sarebbe giustamente col- pito. Vuol dire che venderà l’ automobile, e tornerà a far la vita modesta ‘d'una volta. È duro, ma non è una sventura che gli capita, è una fortuna immeritata che cessa d’essergli propizia. | Si dovrebbe, senz’ esitare, stabilire che il canone va pagato prendendo . come moltiplicatore il numero indice medio dei prezzi dell’anno precedente. Il canone, così costituito , sarà la base della capitalizzazione, per determi- ‘nare il prezzo dell’affrancamento. Si griderà che così vuolsi la rovina degli agricoltori. Non è il caso di . dare ascolto a queste lamentele. Agevolare la diffusione della piccola pro- prietà, sta bene; ma non sino al punto di spogliare il direttario od i suoi eredi. E poichè si tocca questo punto è bene si sappia che non è raro sentir dire dai proprietari che L’enfiteutesi è un contratto stupido: e dai di- rettarî: / nostri padri commisero l'errore di concedere i terreni ad enfiteusi : .ci lasciarono così alle prese con la miseria. A forza di favorire l’ utilista, si 188 PIETRO MERENDA _ finisce con l’ arrestare un movimento benefico: enfiteusi non se ne fanno: più, prosperando ingiustamente chi non ne ha bisogno, e impedendo | e- mancipazione del contadino vero e proprio! 19.— REVISIONE DELLE TARIFFE CHE GOVERNANO | SERVIZI SOGGETTI A PREZZI D'IMPERIO. Nessun dubbio sorge nella mente sulla giustizia che siano riviste le ta- riffe d’imperio, stabilite, per certi mestieri, dalla pubblica autorità. Ragioni. d’ordine pubblico impongono che il commerciante e il viaggiatore sappiano in modo determinato quanto debbono pagare al facchino od al cocchiere per un dato servizio, senza esser costretti a litigare sul prezzo, od a sot- tostare a condizioni soperchiatrici: la tariffa dunque sta bene, e questa di- minuzione di libertà in chi presta il servizio è incensurabile. Ma non è giusto che continuino ad essere in vigore, lievemente accresciute, le tariffe anteriori alla guerra, senz’essere commisurate al rincaro. Quindi lo Stato ha. il dovere d’imporre la revisione periodica, in modo che il compenso sia adeguato, e permetta al lavoratore, non il lusso e lo seialo, ma di vivere modestamente come prima; ed il periodo potrebbe essere semestrale od an- nuale, basandosi sul numero indice medio del semestre o dell’anno prece- dente. E tanto più questo è giusto in quanto, non solo è cresciuto enor- memente il costo della vita d’ una famiglia operaia, ma, pei cocchieri, il prezzo d’acquisto d’un cavallo è spesso più elevato dell’800 o del 1000 per 100 di quel che fosse nel 1914, e, press’ apoco, si dica lo stesso dello im- porto delle derrate, che servono per l’alimentazione dell’ animale. Del resto la polizia non permetterebbe uno sciopero ; e questa è una ragione di più perchè, a gente che deve sottostare all’îimperio, s'imponga ciò ch'è ragione- vole. Così verranno contemperati gl’ interessi dei commercianti e dei viag- giatori con quelli dei lavoratori. | INCIDENZA DEI, DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 159 CAPO 1I. Rivalutazione della lira=carta $.20. — FERMATA DEL RIBASSO DEL VALORE DELLA LIRA E DELLA SALITA DEI PREZZI. — RIALZO DI QUEL VALORE E DISCESA DEI PREZZI. Ma questi provvedimenti hanno efficacia limitata al presente, togliendo, fin dov'è possibile, dalle angustie e dalla miseria le classi di cittadini che non possono aumentare il reddito loro, e tener testa al rincaro. Per l’avve- nire occorre: 1° dare stabilità «l valore della lira italiana ; il che significa fermata delle oscillazioni che vanno in su in quanto ai prezzi, e quindi delle oscillazioni che vanno in giù circa il valore della lira, perchè è intuitivo che quando i prezzi generali salgono, per esempio, a 10 volte quelli di prima, chi ha una lira gli è come se avesse 10 centesimi; 2° riportare il valore della lira a quel che era nel 1913, il che significa, press’ a poco, pareggio della lira oro con la lira-carta, ribasso dei prezzi generali sino al livello ch’essi avevano alla vigilia dello scoppio di quel cataclisma travolgente che fu la guerra mongdiale. Sviluppare questi due punti è l’oggetto della seconda parte del presente lavoro. A ridare il ritmo d’una volta alla vita economica, bisogna fermarsi nel gradino in cui siamo pervenuti della scala dell’aumento del costo della vita, e scender poi, e scendere fino a raggiungere l’antico livello. Ma intendiamoci: la fermata non importerebbe diminuzione di prezzi; signiicherebbe solo, mi si permetta un’altra similitudine, arresto della corsa ascendente : arresto non totale, ch'è impossibile, ma delle oscillazioni in più ed in meno che tendono a salire. La discesa importa diminuzione di prezzi, la quale può essere istantanea ovvero graduale: sarebbe istantanea se i prezzi, d'un colpo, per un miracolo, riprendessero l'antico livello; graduale se la curva, pur avendo salite e discese, a zig-zag per usare un termine 190 PIETRO MERENDA volgare, avesse un andamento d’insieme all’ingiù, sino ad arrivare a zero, qualora chiamiamo zero il livello dei prezzi ed il valore della lira nel 1914. Il movimento dei prezzi che tendono a salire rappresenterei con l'elica; Ja fermata con la perpendicolare interrotta da orizzontale; la discesa con la para- bola che va digradando. Il commerciante ha simpatia per Velica; il produttore per la orizzontale che spezza; il consumatore desidera la parabola discendente. Il commerciante prese gusto ai guadagni di congiuntura avuti durante la guerra, e vorrebbe che quello stato di cose continuasse, e durasse per tutta Veter- nità; il produttore sta comodo con gli alti prezzi attuali: se la lira, d'un colpo, tornasse a valere una lira, i commercianti lascerebbero accumulare nelle manì dei produttori e degli intermediarii i prodotti ammassati in vista della vendita, astenendosi da nuovi ordini, mentre gl’industriali non riusci - rebbero a diminuire i salari e gli altri oneri specialmente fissi delle aziende loro; gli oneri fiscali e quelli per gli stipendi e per gli interessi, diverreb- bero, per la loro natura nominale stabile, intollerabili (1): onde annullamento dei profitti, perdite, arresto della produzione. E poichè | arresto della pro- duzione sarebbe sinonimo di rincaro, perchè i prezzi s'elevano quando dimi- nuisce l’ offerta restando tal quale la domanda, saremmo in un circolo vi- zioso. Se vi piace la similitudine della scala, gli è chiaro che, scendendola tutta ad una volta, si cade, e si corre rischio di fiaccarsi il collo. Fortuna- tamente la calata d’un colpo dei prezzi non è facile, e soltanto può preve- dersi quella graduale, dopo la fermata; ma perchè questa fermata avvenga, e poi la discesa, onde la parabola non continui a salire, ma s’iîncurvi e tenda verso zero, occorre agire sulle cause cha han generato l’ aumento, in modo da diminuirne l’efficacia, sino ad eliminarle del tutto. (1) DeL VeccHIO, La dinamica dei prezzi decrescenti e il riordinamento della circolazione. Nel Giornale degli Economisti, giugno 1925. INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 191 $ 21. — ACCENNO SINTETICO ALLE CAUSE CHE DETERMINANO IL RIBASSO DEL VA- . LORE DELLA LIRA E LA SALITA DEI PREZZI. — PRIMA CAUSA, E PREVALENTE : L'ECCESSIVA EMISSIONE DI CARTA-MONETA, NELLA QUALE PERÒ L’ITALIA NON HA IL PRIMATO. Fatta la diagnosi, bisogna risalire alla etiologia, e poi passare alla tera- pia, che deve ridar la salute. Ahimè, come son molteplici queste cause! L’eccessiva emissione di carta-moneta, il basso corso dei cambii, le rovine causate dalla guerra, il minore rendimento del lavoro, l’innalzamento del tenor di vita, l’indirizzo ultra protezionista in materia doganale, il peso soverchiante delle imposte... ‘La circolazione dei biglietti di Banca e di Stato, ch'era, nel 1914, poco maggiore di 2 miliardi, il 22 luglio 1925 ascendeva a 21 miliardi (1). Enorme inflazione, (2) per usare un termine oggidì generalmente accettato; ma, a discarico della finanza italiana, è giusto notare chc il ripiego finanziario del corso forzoso immoderato fu proprio di tutti gli Stati che parteciparono alla guerra, e che questo mezzo di far denaro in Germania assunse proporzioni folli, qualora s'ammetta la buona fede, della quale dubitano non pochi : basti dire che la circolazione cartacea, che il 6 gennaio 1923 ascendeva già a 1.336.500.000.000 di marchi, il 30 novembre dello stesso anno raggiunse questa somma incredibile 400.267.640.281.750.000.006. (3). A rappresentare questo numero occorrono 21 cifre; il che m'ha fatto ricordare che bastano 19 cifre a rappresentare tutta la superficie del Sole espressa in mq. : se non che qui si tratta di quantità positive, mentre quelle eran negative. Giò che prima della guerra costava 100, arrivò a costare 145.500; oggi (1) Relazione del Ministro Volpi al Consiglio dei Ministri. (2) Dal latino inflatio, gontiamento, tumore. Sta male a solo : è meglio icone inflazione di carta moneta, sebbene la voce inflazione non s’adoperi a denotare .eccesso di metalli preziosi monetati. (3) UmBeRTO Ricci, Elasticità dei bisogni, della domanda e dell'offerta. Giornale degli Economisti, ottobre 1924. 192 PIETRO MERENDA ‘FOTO DIP Pi; « ® CA Volla » v : PP] Mi la nuova moneta di carta, emessa in quaritità limitata, cioè Ja Rentenmark, è accettata al suo valore nominale di 1 marco equivalente a 1000 miliardi dei detronizzanti marchi carta! (1). Bastano queste cifre a causare quel giudizio dall’ accusa di severità eccessiva. Come mai un paese illuminato quanto la Germania non s’ avvide a tempo del baratro che s° apriva? Non avevano forse tutti gli economisti, a cominciare dal Mac Culloch, fatto propria la sentenza dello Storch : «Il valore d’una carta moneta, fornita di corso legale, è sempre proporzionato, a parità di condizioni, colla quantità che se ne mette in giro?» (2). E non è evidente la ragione che se n'adduce ? Essere la moneta metallo. prezioso, e quindi merce pesata, saggiata, coniata, e perciò da avere, fermo il valore delle altre merci, valore proporzionale alla sua quantità; essere la carla-moneta un surtogato della moneta, e quindi rappresentarla, e per ciò, e seguir la legge che governa il valore della moneta, ed imperare in essa più dispoticamente la legge medesima a mano a mano che cresce l’emissione; onde la carta diventa un titolo di debito dello Stato tanto meno valevole quanto più questo titolo si moltiplica fino a non rap- (1) Quantità dei biglietti della Reichsbank in circolazione: DATA MILIARDI DI MARCHI 31 dicembre 1922 . ; , ; È 2 - ; - 1.280 30 giugno 1923. ) : ; 6 3 : - È - 17.291 29 settem. 19923. 5 È - - B ‘ È 3 ; 98.228.815 31 ottobre 1923. : : ? - : ” o ; .. 2.496.822.909 30 novembre 1993 (00 Rane e A partire dal dicembre 1923, dopo la stabilizzazione del marco-carta alrapporto 1 marco, oro per mille miliardi di marchi carta, i prezzi interni di nuovo diminuirono. BRESCIANI ToRRONI, Il deprezzamento del marco e il commercio estero della Germania. P. 458 e 459 del Giornale degli economisti, settrembre 1924. Y (2) Mac CuLLocHA, Moneta, articolo estratto dalle sue note a Smith, Biblioteca dell’ Eco- nomista, 2% serie, vol. 6°, pag. 399. INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 193 presentare altro che carta stampata (1). E gli esempi non bastavano ad e- rudire? Tralasciando i più recenti, bastava ricordarsi di quello degli asse- (1) Morto, il 29 ottobre 1924, l’Illustre ecoromista Maffeo Pantaleoni, Alberto Benoduce e Giorgio Mortara, che con lui erano stati direttori proprietari del Giornale degli econo- _ misti e rivista di statistica, promisero di consacrargli ampia commemorazione, nella rivista «che può dirsi di lui; e mantennero la promessa nei numeri di marzo ed aprile 1925, nei quali la commemorazione venne fuori con una serie di scritti sull’opera scientifica del de- funto, serie alla quale concorsero economisti italiani che il lutto affratellò. Il BRESCIANI ‘TURRONI concorse a questa glorificazione, con un lavoro dal titolo: Le variazioni della rapidità della circolazione “li una moneta deprezzata. nel quale, preso il fenomeno che i prezzi espressi in una moneta che si svaluta rapidamente aumentano più che proporzio- matamente alla quantità della moneta, riferisce il sofisma dell’Helfferich e dei suoi seguaci, i quali, avendo constatato che in Germania i prezzi espressi in carta aumentavano molte più rapidamente delle emissioni di marchi, onde il valore integrale della moneta in circo- lazione diminuiva, concludevano che in Germania non si era avuta inflazione, ma che al ‘contrario era stata emessa troppo poca moneta! Il Bresciani del fenomeno dà la spiega- zione che si trova nell’enunciato della feoria quantitativa della moneta, fatta dal Penta- leoni in tre lucide paginette dei Principii d'economia pura (Barbera, 1889, p. 271-273) dove dimostra la dipendenza del valore unitario della moneta dalla sua quantità: dottrina che, «lice lo stesso Pantaleoni, essere assai antica, trovandosi essa in Hume, e già in Loke, non .che presso varii dei nostri antichi economisti; ma ch’è una delle più splendide contribuzini fatte alla scienza da Davide Ricardo. i Dopo di che, il Brescrani riflette: « Quanti errori teorici, che in Germania ebbero anche «delle gravi eonseguenze pratiche. diffondendo la convinzione che l’Istituto centrale non aveva ecceduto nella emissioni, sarebbero stati evitati, se si fossero tenuti presenti quei ‘semplici principii che il nostro grande economista ha esposto in modo così luminoso! ». E bene sta. Ma come si spiega ch’ebbe tanta voga il sofisma di Helfferich e dei suoi ‘seguaci, senza che gli altri economisti protestassero, illuminando la pubblica opinione, ‘anche a costo di venire accusati di scarso amor di patria? È vero poi che dal sofisma ven- nero gravi conseguenze pratiche, ma per certe classi sociali della Germania; di moltissimi poi del resto d'Europa, che acquistaron marchi deprezzati credendo che il valore loro si sarebbe rialzato, mentre poi in vece questo valore si annullò, si può dire che i vincitori si mutarono in vinti. 194 PIETRO MERENDA gnati del 1790, nella prima Repubblica Francese, quando in pochi anni l'emissione raggiuse i 45 miliardi, ed una libbra di burre arrivò a com- prarsi 30 franchi, 500 un paio di stivali, 500 un paio di calze di seta bianca, 200 una libbra di caffè, un pacchetto di candele 625 franchi, e da ultimo il valore della carta-moneta discese a zero, sicchè vi furon capricciosi che d’assegnati tappezzarono le stanze! $ 22. — Basta CON LE NUOVE EMISSIONI : Resistere! Resistere! ResistERE! Ma se la finanza italiana può essere giustificata, fino a certo segno, da una necessità comune e dalla relativa moderazione, ciò non toglie che non sì debba chiudere assolutamente l’éra delle emissioni: prolungarla sarebbe delitto. Non dico che bisogna spezzare i torchi, come da ultimo si fece in Francia, ma deesi mettere la museruola alla bestia affamata che. si chiama speculazione. Il Conte Volpi, nella esposizione fatta al Consiglio dei Ministri il 22 lu- glio 1925, in cui disse che l’emissione ascendeva a 21 miliardi e 112 milioni. soggiunse ch’essa, in confronto col mese di maggio, aumentò di 1 miliardo e 262 milioni, per conto del commercio, comprendendo le coperture di fine semestre, e è consueti aumenti stagionali. lo temo che i bisegni del commercio asserti dalle Banche sieno un’etichetta elegante sur un recipiente che con- tiene merce avariata; temo che le Banche d’emissione riscontino alle Ban- che ordinarìe, più che buona carta rappresentante sane operazioni commer- ciali realizzate, cambiali di comodo che si rinnovino (cui potrebbe in parte adattarsi la denominazione di tirî in aria del Courcelle Seneuil) e che rap- presentano aiuti ad industrie poco solide, e per loro natura e per deficienza di capitale proprio fisso e circolante. Non so persuadermi del come non basti . tanto medio circolante anche ai bisogni del commercio, sia pure di fine se- mestre e stagionale (1). Mi conferma in questo timore un assennato articolo (1) In genere ha ragione il DeL VeccRIO quando scrive: « A seconda che sia più o meno INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 195 I] del Prof. Porri, del R. Istituto di Scienze Economiche di Torino, intitolato Impressioni di equilibrio instabile nel movimento delle società per azioni ita- liane, comparso nel Giornale degli Economisti, del dicembre ultimo; dove, dopo lamentato che « Non sappiamo quasi nulla della vita delle nostre imprese individuali e collettive», se non che «di tratto in tratto lalto silenzio si rompe con la notizia di fallimenti o di fiorire lussureggiante, di volate in borsa o di tracolli precipitosi », dimostra ch’è andato crescendo, dal 22 al : 16 per 100 all’anno, il numero delle società che, dal 1913 al 1924, introdus- sero modificazioni profonde nella propria compagine, con esito per un quarto sfavorevole : il che può significare che parecchie industrie menano vita che ‘abbisogna d’inalazione d’ossigeno. Guardiamoci però dalle esagerazioni, che possono accrescere l’attuale de- pressione del corso delle azioni delle società industriali. La parte maggiore delle industrie, per quel che ci è dato sapere, vive di vita normale, e, non foss’ altro, starebbe a provarlo la diminuzione progressiva fra noi di quel fenomeno pauroso ch’è la disoccupazione, mentre imperversa in altri paesi, per esempio l’Inghilterra. grande la forza politica dei diversi ceti nei diversi luoghi e nei diversi tempi, a seconda ‘che siano maggiori o minori i rischi ed il profitto derivanti da certi assalti o da certe re- sistenze, sì spiegano, da un punto di vista storico e sociale quelle grandi variazioni det regime monetario, che l’economista deve limitarsi a studiare in modo teenico ed astratto quali rapporti di quantità di merci e di strumenti circolanti. condizioni del'a circolazione, ‘sconti e cambi». La dinamia dei prezzi e il riordinamento della circolazione. Nel Gior- nale degli economisti, giugno 1995. Osserva il Borgetta: «Siamo usciti dalla guerra con meno di 14 miliardi di circola- zione, e siano giunti, nel 1920, oltre i 21 miliardi. 1 governi non hanno avvertito il danno che, a breve scadenza, questo mezzo apparentemente comodo di aver delle somme dispo- nibili, avrebbe recato alla Fiamma statale.., I politicanti che obbligavano lo Stato agli aumenti di circolazione non pensavano ch’essi significavano fatale aumento, o, almeno, minor ridursi dei deficit futuri ». La pressione fiscale e il problema del pareggio. Vedi Giornale degli economisti, novem- bre 1922. «LO 196 . PIEPRO MEREMDA Comecchessia occorre incoraggiare il ministro delle finanze e far proprio un motto che, lanciato di fronte al nemico prevalente, rimarrà celebre nella nostra istoria: esistere! Resistere! Resistere! Bisogna dir Basta! assolutamente con le nuove emissioni (1), così di Stato come delle Banche. E tanto più ciò è necessario, in quanto, in occa- sione dell’accordo con l'Inghilterra pel pagamento del nostro debito di guerra, abbiamo saputo che i 22 milioni e 200 mila lire sterline in oro, pari a 555 milioni di lire oro, depositati a garenzia del debito presso la Banca d'Inghilterra dall'Italia, appartengono alla Banca d’Italia (2), sicchè questa emette, si direbbe, pressocchè senza copertura. E la fermata allora sarà diffinitiva. Ma questa fermata non produce diminuzione di prezzi, per quanto ci faccia tirare un sospiro di soddisfazione. Però ci arresteremo qui? No: bisogna andare verso la circolazione normale, per ottenere la discesa graduale dei prezzi generali. 35. — RITORNO ALLA CIRCOLAZIONE MONETARIA NORMALE. UR - Le Come andare verso la circolazione normale ? C'è chi propose il ritorno ai pagamenti in oro, scambiando in oro la carta deprezzata, computandola al suo valore attuale : in altri termini secondo il cambio ufficiale che s’adopera per la Dogana. Vade retro, Satana ! Sarebbe (1) Le pressioni, a nome dell’economia nazionale, sono incessanti. Ecco, p. e., quanto telegrafano da Roma, i6 febbraio 1926, al Giornale di Sicilia, 16-17: « Alla seduta odierna della Borsa, si è riscontrato un maggior senso di ponderazione, che lascia bene sperare in un prossimo assestamento dei mercati. D'altra parte, secondo quanto sì osserva nei nostri circoli finanziari, si avvicina l’epoca delle assemblee, nelle quali riuscirà confermata la saldezza del bilancio delle principali industrie, ed un periodo d’ assestamento dovrà ne- cessariamente seguire col rialzo del corso dei titoli, specie se il governo pensa di aumen- tare la circolazione complessiva, che potrà agevolare la situazione commerciale, Za quale ha dovuto subire in questi ultimi tempi una notevole compressione. (2) Almeno così leggemmo su per i giornali. INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO B RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA cun concordato fallimentare; mentre la finanza italiana ha sempre fatto pro- prio il. ‘principio che Quintino Sella, con ardita metafora, enunciò così : Dr Italia si ridurrà in camicia, ma farà fronte agl’impegni suoi ». D’altronte abbiamo. noi quest'oro libero nelle Casse dello Stato e delle Banche? E fi- $ 3 nalmente operazione siffatta conferirebbe al ribasso dei prezzi generali ? Alti vorrebbe tornare addirittura alla circolazione aurea, cambiando la carta alla pari, esempio |’ Inghilterra al cessare dei pagamenti bancarii (Atto del 1319), mercè un’ operazione finanziaria, consiste in un prestito in À ‘oro, simile a quello cui ricorse il Ministro Magliani (legge 7 aprile 1881) | quando si fece il tentativo d’abolire il corso forzoso (1). A me pare di grande valore il metodo che preferisce il Supino, e che espone con evidenza in una paginetta. Di lui fo mie le opinioni, che son queste : « Col prestito si trasforma un debito fluttuante senza interessi in un debito consolidato con interessi, si aggrava il bilancio del pagamento di questi e non si è sicuri che l’abolizione riesca, specialmente quand’è fatta, come succede spesso, allorchè le finanze non sono bene assestate. Se il pre- stito è contratto all’estero, le importazioni metalliche fanno scomparire l’aggio, deprimendo il valore dell’ oro invece che elevando il valore della carta, per cui è facile che i metalli preziosi importati ritornino via, an- dando a riempire i vuoti formatisi nella circolazione dei paesi mutuanti. Se il prestito è contratto all’interno, il suo ammontare deve esser tale da togliere la circolazione cartacea esuberante e da costituire una cospicua riserva metallica, onde, producendo una forte rarefazione del medio circo- lante, è causa di gravi perturbamenti economici e di crisi monetarie. «Nessuno di questi inconvenienti si ha, abolendo il corso forzoso col (1) Non va dimenticalo che i 555 milioni di lire in oro della Banca d’Italia, l’Inghil- terra ce li restituirà a poco poco, di semestre in semestre, secondo che andremo pagando, (Art. 7 dell’ accordo concluso il 27 gennaio 1925, approvato con legge 14 febbraio 1926, n. 180), sicchè si potrebbe contare unicamente sul prestito ad interesse e sulle riserve auree dei Banchi di Napoli e di Sicilia. 4 pe <î] ($ i di Ss , Di È : ì 198 PIETRO MERENDA graduale riscatto della carta moneta. L’esuberanze delle entrate rispetto alle spese pubbliche lascia nelle casse dell’erario una certa quantità di biglietti, che non sarà riemessa, e che può essere distrutta senza gravare di nuovi oneri il bilancio e senza ristringere troppo rapidamente la circolazione, mentre, a misura che la quantità di carta diminuisce, l’oro affluisce dall’e- stero, in modo abbastanza lento da evitare serii disturbi nella circolazione, ma in modo sufficiente da fare accumulare le riserve necessarie per la ri- presa dei pagamenti metallici » (1). - Si è osservato giustamente che questo programma richiede saggia eco- nomia del pubblico denaro, e che sarebbe antitetica la larghezza nello spen- dere; ma qui occorre una distinzione. Eccessive spese di lavori pubblici, per quanto utili, sono da sfuggirsi, qualora prorogabili a miglior tempo; il ten- dere all’equilibrio nei beneficii economici tra il nord e il sud d’ Italia (2), ristorando questo, sin qui troppo tenuto da sezzo, è più che lodevole: pa- gare i debiti, compresi quelli di giustizia verso chi serve od ha servito lo Stato, non si può differire; provvedere alla difesa è assolutamente necessa- rio: economisti o no, si deve dare ragione al Presidente del Consiglio quando disse: « Noi vogliamo la pace. Sono stato a Locarno, e ci ritornerei: ma, (1) Principii di Economia Politica. 3* edizione, Napoli, Pierro, 1908, pag. 320. (2) Ma, per l’avvenire, deve mancare sempre una norma regolatrice ? Fu scritto altrove: « Dunque voi volete che s’istituisca l'ordinamento amministrativo regionale ? Io desidero qualche cosa di più modesto, ed è che l’ordinamento nostro sia ri- veduto, e, se ce n’è un altro che venga ritenuto migliore, si attui coraggiosamente per il bene d’Italia. Io desidero che cessi una volta questo chiacchericcio doloroso tra nord e ‘sud, per ricercare ‘chi più dà e più riceve; mi mortifica questo implorare, e questo stentato ‘concedere, come se chiedessimo elemosina: mi contenterei perfino che, ristabilito un certo equilibrio, per l’avvenire, tolte le spese generali, si spendesse in ogni regione in rap- porto della popolazione, e persino di ciò ch’essa contribuisce ». MERENDA, In memoria di Francesco Maggiore Perni, orazione letta nella R. Accademia «di Scienze, Lettere e Belle Arti, il 24 maggio 1908. Affi dell’Accademia. Serie 3%, vol. IX. Palermo, Barravecchia, 1911. ALLA CIRGOLA- zione NORMALE MINACCIATI DAL DABITO FLUTTUANTE. COME STORNARE QUE- Sri sto PRRICOLO, ‘Secondo il nina alla fine del 1924 avevamo 11,5 miliardi di buoni del Tesoro poliennali e 22,2 di buoni ordinarii (2) : totale 33 miliardi e 700 # milioni di lire. Le scadenze rappresentano un grave pericolo per la finanza i italiana, per quanto minore di quello che minaccia la finanza francese. Il Tesoro può non avere mezzi sufficienti per far fronte al rimborso, se que- sto vien domandato per somme superiori al collocamento di nuove emissio- ni. Esaurito il fondo di cassa, fra le strette della necessità, i propositi di far basta con l’ emissione di carta moneta, e di procedere al graduale risana- mento del medio circolante, possono svanire, essendo il rimedio a portata di mane: gemeranno i torchi, buttando sul mercato altre somme in pezzi di carta. Ad evitar questo pericolo conviene mutare, sin dov'è possibile, il de- bito fluttuante in debito consolidato. Scrisse il Graziani (3): « La consolidazione del debito fluttuante che (1) Discorso alla Camera, detto il 29 gennaio 1926, sul nuovo ordinamento dell’esercito. (2) Prospettive economiche, pag. 30%. L’enorme emissione di buoni ordinari è un devia- mento dai sani procedimenti di amministrazione finanziaria, servendo i buoni normal- mente, non già ad aumento del debito pubblico, ma per fare fronte a spese improrogabili durante |’ esercizio, in attesa delle riscossioni, che , entro l’ anno, ristabiliscono |’ equili- brio rotto. 2 (3) Risposte all’inchiesta de |’ Economista, accennata a pag. 174, relative alla svaluta- zione della lira. Vedi la detta rivista, 5-12 19 novembre 1922. CENE, 200 PIETRO MERENDA non può essere estinto alla scadenza, è provvedimento elementare di cor retta politica finanziaria ». Resta a vedere come vi si può procedere. Scon- sigliabile .la conversione obbligatoria: deluderebbe, con non lievi danni eco- nomici, aspettative legittime di riscossione d’interessi e di disponibilità del capitale impiegato, e farebbe lo Stato mancatore agl’impegni, con nocumento del suo credito. Sarebbe piuttosto savio proporre ai portatori di buoni que- sto dilemma: riscuotere in contanti il capitale, ovvero contentarsi di cartelle del debito consolidato. Ma, per avere queste cartelle e per mettere nelle casse del Tesoro il denaro liquido occorrente a pagare il valore dei buoni a chi non accetta Ja conversione, occorre creare con nuovo titoto di debito pub- blico, che, col tornaconto, stimoli i risparmiatori all’ acquisto, ed i portatori di buoni alla conversione. Questo nuovo titolo dovrebbe offrire vantaggi maggiori di quelli presentati dalle obbligazioni del prestito nazionale 5 %/,, emesso con R. D. 22 dicembre 1915, N. 1800, al prezzo d’emissione di L. 97,10, ‘e che non era soggetto a conversione nè a riscatto fino al 1° gennaio 1926. Il tornaconto sarebbe rafforzato dal sentimento patriottico di concorrere al risanamento della valuta, rialzando le sorti economiche della Patria. A $ 25. — RIORDINAMENTO DELLE BANCHE D’EMISSIONE Volando sulle ali della speranza, è lecito augurarsi che nessun evento contrario sopravvenga a disturbare il processo di risanamento della valuta, siechè alla fermata delle emissioni succeda la graduale deflazione, e si giunga alle stesse condizioni in cui s'era prima della guerra moudiale (1): supposto che la carta siu allora pressochè alla pari con la moneta-aurea, giova ima- ginare che si faccia un passo innanzi, abolendo il corso forzoso: onde quel (1) A dir la verità, a certo punto fu perduta di vista l'abolizione del corso forzoso dei biglietti di Banca; e certamente lo stato economico dell’Italia e l’avanzo del bilancio per- mettevano d’ intendervi nei tempi che precessero l’ultimatum alla Turchia, del 28 settem- bre 1911, e la conseguente guerra Italo-Turca. INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 201 che non si fece nei cinquant’anni che precessero il 1915, si faccia in brev’ora dopo raggiunta la sospirata parità. In quel tempo s’imporrà il problema del riordinamento delle Banche d’emissione, problema che conviene studiare teo - ricamente sin da questo momento : studio siffatto sarà qui tentato somma- riamente, per quel che valga. Come siamo pervenuti all'ordinamento attuale ? Pel 1866, il ministro delle finanze Antonio Scialoia aveva preveduto una deficienza di 260 milioni; questo fatto, e Ja preparaziòne della guerra contro l’Austria, costrinsero il Governo a contrarre un imprestito di 278 milioni, di biglietti al portatore, con la Banca Nazionale nel Regno d’Italia, e poi a trovar necessario decretare il corso forzoso delîa carta fiduciaria, non essendo più possibile al massimo Istituto bancario di convertire, a richiesta, i biglietti in moneta metallica, date le imminenti ostilità ed il panico che regnava nel paese : dubitandosi della reale saldezza della Banca, il pubblico era spinto a restituire a questa la carta, per avere in cambio moneta sonante (1). Dopo la pace, l'abolizione del corso forzoso fu oggetto di lunghi studii € di grave dibattito. La Sinistra, il 6 maggio 1870 (Lanza, presidente del Consiglio, Sella mi- mistro delle Finanze, Castagnola ministro d’Agricoltura), presentò una pro- (1) I) 29 aprile il Governo (Ministero La Marmora) otteneva dalla Gamera i pieni poteri; il 1° maggio, decretava il corso forzoso dei biglietti di Banca; il 20 giugno fu lanciato dal magnanimo Re Vittorio Emanuele il manifesto agl’ Italiani, che livehiamava alla guerra santa contro l’Austria, ed i fatti d’armi cominciarono. Nel Congresso delle Camere di commercio, tenuto a Firenze l’ anno dopo, lo Scialoia diceva: « Nessuna ora della mia vita fu mai tanto angosciosa per me, quanto quella in cui, dopo aver formulato il Decreto che ordinava il corso forzato, dovetti sottoporlo alla firma «del Re, e renderlo esecutivo con la mia». Senato del Regno, N. 87-A, Relazione dell’ uffi- cio centrale sul progetto di legge presentato dal Ministro delle Finanze, reggente il Ministero del Tesoro, di concerto col Ministro d’Agricoltura, Industria e Commercio, nella tornata del 28 febbraio 1881. Provvedimenti per l'abolizione del corso forzoso. Pag. 1. 44 "i pae Ped I DRITTE TE © ANT n «re | ar een + FT FTUSTYA 0 TE SETE. 202 PIETRO MERENDA posta di legge, che fa presa in considerazione dalla Camera, e che portava le firme di Crispi, Rattazzi, Farini, Maiorana Calatabiano, Nicola Fabrizi, Miceli ed altri 77 deputati; proposta con la quale, dopo disposizioni che si adattavano ai rapporti esistenti fra Stato e Banche, ed alle peggiorate con- dizioni finanziarie, si stabiliva la graduale abolizione del corso forzoso, la libertà e la pluralità delle Banche d’emissione, il cambio a vista in moneta dei biglietti al portatore (1). La Destra (Minghetti presidente del Consiglio e ministro delle finanze: Finali ministro di Agricoltura) elaborò proposte, che divennero la legge 80 aprile 1874, N. 1920 (2? serie). Questa riunì in consorzio la Banca Nazio- uale, la Banca Nazionale Toscana, la Banca Toscana di credito per le indu- strie ed il Commercio d'’ Italia, la Banca Romana, il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia. Il consorzio doveva emettere sino a 1000 milioni di biglietti consorziali inconvertibili, e, a mano a mano, fornirli allo Stato; coi quali esso doveva pagare alla Banca Nazionale gli 860 milioni dei quali questa ormai era creditrice. Ciascun Istituto poteva emettere biglietti proprii, ma per somma non maggiore nè al triplo del patrimonio o capitale, nè al triplo del numerario esistente in cassa di moneta o biglietti consorziali. I biglietti proprii erano a corso legale soltanto per due anni, allo spirar del quali do- vevano aver corso fiduciario. j Con questa legge si volle provvedere a uno stato transitorio, pel quale il corso forzoso si regolasse e recasse minori danni al paese, Quando, il 18 marzo 1876, la Sinistra andò al potere, il bilancio aveva raggiunto il pareggio. La circolazione monetaria fu di nuovo oggetto di di- scussioni e progetti. Anche Francesco Ferrara presentò un progetto pro- (1) Considerazioni e documenti presentati alla Camera dei Deputati, il 2 maggio 1879, dal Ministro di Agricoltura, Industriu e Commercio (Maiorana Calatabiano) in appoggio al pro- getto di legge sul riordinamento degli istituti d'emissione (Ministri: Maiorana e Magliani) a proposito dei reclami di alcuni fra gli istituti medesimi, p. 152. Roma, eredi Botta , 1879. = INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 203 prio (1): Tanto nomini nullum par elogium (2). Ma nessuna di queste proposte ebbe fortuna; passò invece finalmente la legge 7 aprile 1881, N. 253 (3° serie) (Ministero Cairoli, ministro delle finanze Magliani, ministro d’ Agricoltura, Industria e Commercio, Miceli) per la quale s’aboliva il corso forzoso, ma alla libertà e pluralità delle Banche non si procedeva, e la facoltà dell’emis- sione rimase ai suddetti sei Istituti privilegiati (3). | Dopo d’ allora, tolto un breve intervallo (1883-1886) in cui si tornò, in imodo claudicante, alla conversione in oro, il corso forzato ci è rimasto a “guisa d’una catena al piede ben saldata (4). Ognuno sa la distinzione tra (1) Di questo progetto, illustrato da una esposizione di 100 pagine, dà notizia TuLLio I ; i MARTELLO, a pag. 72 del suo opuscolo: La quistione dei banchi in Italia. Firenze, tip. del Giornale d’Italia, 1877. il 2 Il FERRARA, ammesso che non si poteva indebolire l’aggio se non scemando la quantità | ; della carta, trovava necessario ricorrere ad un prestito, ma non sulla larghissima base che 4 | -S sarebbe occorsa a coprire l’influzione, perocchè, in un paese avvezzo da lunga pezza all’uso È i della carta, introdotta la convertibilità, una parte dei biglietti è portata al cambio in mo- stito, tanta carta a corso forzoso quanta occorresse perché restasse il solo fondo morto, questo proponeva si ripartisse fra tutti i Banchi, in ragione del capitale costitutivo loro, ma senza corso legale; al di sopra delle propria quota di biglietti del fondo morto, tutti i Banchi dovere esser liberi d’emettere biglietti proprii, ma tanto quelli che questi al por- tatore ed a vista. L’ingerenza dello Stato, limitata ad imporre agl’Istituti la massima pub- blicità e ad esercitare su di essi efficace vigilanza. (2) È il primo verso dell’epigrafe che si legge in Santa Croce, sul monumento eretto a Niccolò Machiavelli, nel 1787. | meta, una parte rimane in-:giro, e costituisce un fondo morto. Estinta, mediante 1’ impre- I | (3) La legge 7 aprile 1881 però faceva obbligo al Governo di presentare « entro il 1882, i <«un disegno di legge inteso a stabilire le norme colle quali potrà essere consentita e rego- i h 3 «lata la emissione dei titoli bancari a vista pagabili al portatore». Il progetto fu presen- d tato alla Camera il 26 novembre 1883 (Magliani, ministro delle Finanze, interim del Tesoro; } È Berti, ministro d’ Agricoltura; Ministero De Pretis). Di esso scrive il StpINO, (Storia della È circolazione bancaria in Italia, dal 1860 al 1894. Torino, Bocca, 1895, pag. 76) : « Questo pro- { getto non era che uno dei soliti mezzi termini per contentar tutti, di cui ci offre tanti «esempi la nostra legislazione bancaria». Non ebbe l’onore della discussione. (4) Ma, d’altro canto l’Italia, dal 1859 ad oggi, ha raggiunto la sua Unità, e fatto in tutti i campi quello che gli altri popoli più progrediti han compiuto soltanto dopo secoli. 204 PIETRO MERENDA corso legale e corso forzoso: il primo consiste nell’ obbligo d’ accettare in pagamento il biglietto come moneta, restando sempre la convertibilità; il se- condo mantiene quell’obbligo, ed esenta l’ente che emette dalla conversione. Or noi di nome non abbiamo biglietti a corso forzoso, ma biglietti a corso legale. Questi, se di Stato, dovrebbero, a vista, essere cambiati in moneta metallica dalla tesorerie provinciali; se di Banca, dell’Istituto emittente : ma in fatto, checchè porti stampato il biglietto, la conversione non avviene; onde il corso legale è un eufemismo, perchè in realtà abbiamo il corso forzato (1). R il corso legale dei biglietti di Stato è rimasto lì da quando furon istituiti; quello dei biglietti di Banca è stato prorogato d’anvo in anno: e finalmente, con R. D. L. del 2 gennaio 1923, N. 5, fu differito sino al 3I dicembre 1925, e poi, con altro R. D. L. 27 settempre 1923, N. 2158, vennero prorogati, fino al 31 dicembre 1930, e la facoltà d’ emettere biglietti di Banca, pagabili al portatore ed a vista (!!!) ed il corso legale dei biglietti medesimi. Allo stato presente, la facoltà dell’ emissione è privilegio della Banca d’ Italia, del Banco di Napoli, del Banco di Sicilia (2). Ragioni contingenti, dunque, storiche se vogliamo, han condotto al privilegio delle tre Banche : nessuna veduta scientifica e logica; onde il terreno è sgombro, e si può di- scutere il problema ex-novo. [Il pubblico ormai non si rende più ragione di ciò che sia realmente la moneta: da sessant’anni, salvo la breve interruzione, regnò su di noi la carta moneta, e solo i vecchissimi ricordano d’ aver comprato e venduto con va- luta d’oro e d’argento. Or la prima cosa che bisogna togliersi dalla mente (1) Vedi pag. 164, nota (3). (2) Dopo il disastro della Banca Romana (1892) le due Banche Toscane si fusero con la Nazionale, formando unico istituto, che liquidò la Romana; così rimasero come Banche d’emissione: la Banca Nazionale, il Banco di Napoli. il Banco di Sicilia. Vedi la Legge 10 agosto 1893, N. 449, nel riordinamento degli Istituti di emissione (Ministero Giolitti: mi- nistro delle Finanze, Grimaldi; dell’ Agricoltura, Industria e Commercio, La Cava). Consulta la Relazione sulla ispezione straordinaria agli Istituti d'emissione, ordinata col R. D. 30 di- cembre 1892, che fa onore al relatore GasPARE FINALI. sot nt cet n) ‘ INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 205 è che i biglietti siano moneta : essi, di Banca o di Stato, per sè non hanno punto valore: rappresentano un debito dello Stato verso i portatori, da pa- garsi, quandocchessia, cambiando la carta in moneta costituita da metallo no- bile. Supposto che avvenga prodigiosamente il pagamento di cotesto debito, e che il biglietto torni al corso libero, quale mai è di questo biglietto la È funzione ? Prima di rispondere, bisogna supporre, che non vi siano più biglietti Fi di Stato, o che, esistendo, fossero sempre cambiabili in moneta metallica, al portatore ed a vista : rimane, adunque il solo biglietto di Banca. Missione delle Banche commerciali è quella d’ esercitare il credito, giovandosi del proprio capitale e dei depositi disponibili dei clienti. L'operazione principale di sif- fatte Banche è lo sconto delle cambiali ; per esso l’istituto acquista la cam- biale prima della scadenza, pel suo valore nominale, trattenendo un tanto per 100, che chiamasi pure sconto, rimunerazione pel servizio reso al por- tatore, che così, senz’attendere lo spirare del termine, rientra in possesso del E i suo avere, e può negoziarlo. Giunta la scadenza, la Banca si fa pagare dal trattario. Può acquistare, pagando in moneta; può acquistare, dando, in cam- bio della cambiale a termine, un’altra cambiale, emessa da lei medesima so- pra se stessa, titolo di credito sempre scaduto e sempre da scadere, che co- lui il quale ha scontato la cambiale a scadenza è obbligato ad accettare all’atto dell’ operazione, e può portar seco, se gli giova ed ha fiducia nella Banca; se no, può, lì per lì, convertire in moneta, passando dallo sportello dov’ha scontato, allo sportello nel quale i biglietti son convertiti, al porta- tore e a vista, in valuta metallica: questo titolo di credito è appunto il bi- glietto di Banca o biglietto fiduciario. Colui che sconta la cambiale e porta seco i biglietti, può darli ad altri in pagamento, se questi li accetta alla sua di t| ì È i. Lia È Ì È 1° | | 11. | ì i j P] 4 : volta, perchè ciò gli giova, ed ha fiducia anch’esso nella Banca; può darli ancora in pagamento; e così il biglietto passa di mano in mano, tal quale come avviene d’una privata cambiale ordinaria, portante buone firme; ma con questa differenza che, mentre il possessore d’ una cambiale ordinaria deve aspettare la scadenza per ricevere moneta dal trattario, il portatore del bi- glietto di Banca può, ad ogni momento, recarsi all’istituto emittente, e con- vertire senz’altro il biglietto in denaro. - CI TT SN PT TE AT Se } È her. È È n "i né. Po pei ì Tali SA Ma PA 18 tv" ae na Ca pech ar ne” LA pt iO, He da ata Ù [E RIA TE a Mep, Ù La ( a: si I Ko a a 4 sl ‘206 PIETRO MERENDA Inutile favellare dei vantaggi che apporta l'emissione così al commercio come alla Banca; della meccanica per la quale questa può esser sempre pre- sta alla conversione ; dei sistemi che si praticano per assicurare tal con- versione: qui c'è una cosa soltanto da considerare essenzialmente, ed è que- sta: data la natura del biglietto di Banca, non può legittimamente impedirsi a qualsiasi Banca commerciale, che offra le opportune guarentigie, d’emet- tere delle cambiali pagabili sopra se stessa, cioè dei biglietti al portatore e a vista: il monopolio: d’una o più Banche è un assurdo economico, una vio- lazione della giustizia. Sì, della giustizia! « La gran legge di natura nel mondo «industriale è il libero scambio. In tutta la scienza non v ba nulla di così «certo quanto il fatto che i privilegi esclusivi sono in commercio grandi vio- «lazioni del diritto naturale. I monopolii in commercio sono delitti morali » (1). $ 26. — PRESENTIMENTO E SPERANZA DEL RITORNO ALLA CIRCOLAZIONE NORMALE. Non sappiamo quali siano le intenzioni del Governo. Certo un piano si va maturando, e bisogna attendere fiduciosi. L'onorevole De Stefani, quan- d’era Ministro, annunziando l’avanzo conseguito nel bilancio, disse ch’ esso doveva esser sacro, che doveva costituire una massa di manovra. Il Conte Volpi ha contratto con la Ditta Morgan un prestito di 100 milioni di dollari, cioè di 500 milioni di lire oro (2). Tutto ciò ci dice che un piano è in ela- borazione, e che l’alba del risanamento della circolazione spunterà nell’oriz- zonte : il quale risanamento, che d’altronde non può essere improvviso, por- terà al rialzo del valore dell’intermediario degli scambi, e quindi, in senso opposto, al ribasso del valore delle merci di fronte alla moneta corrente. Il Ministro Volpi ha mostrato grande abilità neì negoziati con gli Stati (1) Ewrico DunninG MacLEOD, I principi della Filosofia Economica. Nella Biblioteca . del’Economista, 3% serie, vol. III, pag. 1090. (2) R.R. D.D. 18 novembre 1925, N. 1964 e 19 novembre 1925, N. 1977, convertiti nella legge 10 dicembre 1925, N. 2252. el dA et din sì i desert INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 207 Uniti e con la Gran Bretagna per la sistemazione dei nostri debiti di guerra; ha trovato il bilancio in avanzo, ed è deciso a non tornare indietro : saprà trovare la via giusta. i $ 27. — SECONDA CAUSA DEL RINCARO : IL CAMBIO SFAVOREVOLE ALL'ITALIA. Enumerai il cambio sfavorevole all'Italia come una delle cause dell’alto costo della vita. È noto che con ciascuna nazione estera scambiamo le merci ‘8 : - reciprocamente prodotte. La valutazione si fa in moneta, tenendo conto del i metallo fino, che c'è nell’ unità monetaria di ciascuno dei due paesi scam- bianti. Ma nel caso nostro, se la nazione con la quale commerciamo ha la Li | valuta aurea, mentre noi abbiamo la valuta cartacea deprezzata, la parità De del cambio è impossibile, ed esso è a noi necessariamente sfavorevole. Così, i per esempio, noi valutiamo la merce degli Stati Uniti in dollari, il commer- ciante degli Stati Uniti valuta la nostra in lire italiane; però, mentre noi sap- E piamo che il dollaro vale 5 lire italiane in oro, quale è il valore della lira italiana in carta? Dato che la lira carta valga L. 0,20, l’Americano computa mM il valore della merce sua moltiplicando per 5 i 20 centesimi della lira carta, e pretende giustamente 25 lire italiane, che, com’è naturale, costituiscono il 5 corso del cambio con New York, sfavorevole all’Italia, perchè a noi la merce | americana, anzichè costarci L. 5, ci costa L. 25. Onde la merce americana ci consta cinque volte di più che non ci costasse nel tempo normale. Ciò ù È va detto a cagion d’ esempio, perchè eziandio 5 volte di più ci costa la È. merce che ci arriva da tutti i paesi che hanno una circolazione monetaria ti metallica. E questa evidentemente una causa di rincaro gravissimo delle | merci che consumiamo; non solo perchè esse ci costano 5 volte di più che $ nel 1914, ma perchè il prezzo della merce estera si riflette sul prezzo della 49° merce similare prodotta all’interno, la quale, non bastando al consumo, sì | mette, in quanto al prezzo, a livello della merce estera, e ci costa anch’essa 5 volte di più. Nonimporta nulla se i pagamenti nostri si fanno acquistando divisa estera : 208 PIETRO MERENDA | : " le cambiali pagabili fuori d’Italia debbono necessariamente costare in ragione ;0 0 ci del deprezzamento della lira-carta. i Deprezzate maggiormente il valore della lira carta; il cambio sarà sempre pis più sfavorevole all’Italia (1). Ma fate viceversa sì che il deprezzamento s’ar- ti resti, s’ arresterà |’ altezza del cambio preteso dall’ estero. Rivalutate la lira È italiana, sino a fare i pagamenti in oro, o a rendere la carta alla pari coll’oro, anche il cambio sarà alla pari: gli Stati Uniti valuteranno la loro merce, non % più L. 25 a dollaro, ma L. 5. Dunque, risanata la nostra circolazione, cesserà automaticamente il cambio sfavorevole all’Italia (2). Qui pertanto sta la me- 0 dicia che ridà la salute all’ammalato, debellando la causa dell’ infermità : non è da porsi eccessiva fede in altri provvedimenti, quali: le norme troppo PR vincolatrici delle Borse dei valori, il mantenimento artificiale di valute ad 2 do un cambio determinato, gl’impacci al libero mercato delle divise ed alle im- portazioni dell’estero : palliativi, o cura dei sintomi, od esperimenti costosi (D per l’erario, quando non riescono a creare mali peggiori di quelli che si vo- fi: : A : - x td gliono combattere. Vero è bene che nel corso dei cambi e’ è un elemento Ù È: (1) «Il prezzo d’ equilibrio del cambio di un paese a corso forzoso, sopra un paese a È ‘circolazione normale, dipende, non soltanto dalle condizioni monetarie del primo, ma da queste e da quelle del secondo ; dipende cioè dallo stato relativo deila circolazione d’ en- trambi. E poichè trattasi per uno dei due paesi di circolazione cartacea, con ogni proba- bilità inflazionata, così può dirsi che il prezzo d’equilibrio dipende dal grado d’inflazione della circolazione del paese a corso forzoso, rispetto alla circolazione metallica dell’altro ». Marco Fanno, Inflazione monetaria e corso dei cambi. V. p. 353 del Giornale degli eco- nomisti, agosto 1992. (2) «Il ristabilimento della convertibilità in oro della carta moneta ha, sulla stabilità i dei cambi, non solo gli effetti diretti di togliere importanza ai fattori morali e politici e | alle previsioni dei commercianti di divise come determinanti delle variazioni dei cambi, e È di rimettere nella loro piena efficienza i meccanismi compensatori, ma anche un effetto in- î diretto — forse non meno importante —in quanto, rendendo chiaro ad ognuno quale è il | È livello normale del cambio, e riducendo la durata delle oscillazioni, permette alla specu- | lazione di riassumere la sua funzione stàbilizzatrice ». È GiINI, Risposta critica riassuntiva. Ne L’Economista, 4 febbraio 1923. di righe, i id dn INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 209 psicologico. Un paese in preda al disordine, che ha il bilancio in deficienza, «che non paga i suoi debiti, vede deprezzare all’estero la sua moneta (1). Or questa causa psicologica fortunatamente è in gran parte eliminata, e bisogna ‘augurarsi che sparisca del tutto (2). Economisti improvvisati, su pei giornali, spacciano che la causa del cambio sfavorevole all’Italia risieda nell’essere la bilancia commerciale a noi sfavo- revole, cioè nel non pareggiarsi, per lo meno, il valore delle merci che espor- tiamo al valore delle merci che importiamo. Se sapessero ! Prima della guerra tutti gli Stati d’ Europa importavano dall’ estero merci nel complesso d’un valore superiore a quello della merce esportata: faceva eccezione un paese «d’economia arretrata: la Russia. Nè può essere diversamente: quandg noi ‘spediamo merce nostra, le assegniamo i prezzi nostri, e quando ci arriva la merce estera, essa sopporta, oltre il prezzo del luogo d’origine, il guadagno dell’intermediario, il costo del trasporto, il dazio doganale. Ma non si con- ‘tenterebbero del pareggio tra importazioni ed esportazioni, e vorrebbero che (1) Tutto ciò che perturba la pubblica tranquillità, o fa dubitare della saldezza po- litica o finanziaria dello Stato, o minaccia la proprietà e l’ ordinamento sociale, si riper- «cuote sinistramente sul cambio. Vedi MERENDA, Relazione del corso dei cambii con gli av- venimenti politici ed economici. Nel Bollettino della Società di scienze naturali ed economiche di Palermo, nuova serie, anni 1919-20-21, pag. 131. Scrive anche il Gini: «Tutti gli avvenimenti, reali o previsti, atti a rendere il capi- tale più sicuro, o quanto meno più fiducioso in un paese che negli altri, tendono natural- mente a migliorare il cambio di quel paese ». Luogo citato. (2) È a dubitare che conferisca sempre al miglioramento del corso dei cambi la verbo- sità di certi gazzettieri imprudenti, che sbraitano d’Impero romano, d’Impero coloniale, di Mediterraneo mare nostrum; certo è però che non valutano abbastanza la possibilità ed il pro ed il contro di ciò che proclamano. Dato poi che tutto fosse indiscutibile dal lato della possibilità, deli’ utilità, della giustizia, politicamente giova destar sospetti, creando imba- razzi a chi regge la. pubblica cosa, e che, caso mai, dev'essere lungimirante e deve osare a tempo? Dovrebbero ricordare che Gambetta, interrogato del perchè in un discorso eletto- rale non aveva parlato della rivincita, rispose: « Alla rivincita bisogna pensarci sempre, «ma non parlarne mai». 27 pveTee. Vee b tia ao I rd edi Mt io eni ang I fa 2) ar dg Ri 210 i PIETRO MERENDA le seconde superassero le prime, onde resti una differenza che l'estero deve saldare in moneta, accrescendo così la nostra ricchezza. Errore grossolano, perchè, dato che si possa giurare sull’esattezza delle statistiche doganali, oltre. la visibile bilancia tra il valore delle importazioni e delle esportazioni, nella. bilancia dei pagamenti, ch’è la vera, è compresa una parte che non si vede, costi- tuita dalle rimesse degli emigranti, dai noli del nostro naviglio, dalle somme. che i forestieri spendono tra noi, e così via discorrendo: roba tutta che non è appariscente, ch’è difficile valutare, ma ch'è reale, essendo impossibile nel commercio internazionale che il dare e l’avere non si pareggino, per quanto in modo oscillante. Ahimè! la teoria del Mercantilismo, che delirava dietro alla bilancia del commercio, non l'abbiamo saputo debellare abbastanza. Con- seguenza : si grida ai quattro venti: Producete di più! e sta benissimo; se non che s’aggiunge ancora: Emancipiamoci dall'estero! Programma eccellente, se limitato alle nostre materie prime, che mandiamo fuori, e d’onde ci ritor- nano manufatturate. Pessimo, se vogliamo produrre in Italia ciò che non ri- sponde alle nostre condizioni naturali, ma è conforme alle condizioni natu- rali altrui. La Provvidenza ha voluto che le nazioni, anche dal lato econo- mico, costituissero unica grande famiglia, avendo l’una bisogno dell’altra, e la natura ha distribuito per questo disugualmente i suoi doni: quando si vuole produrre ciò cui non si presta il clima ed il suolo, si cambia l’utilità gratuita in utilità onerosa, ossia sì compra caro quello che potrebbe aversi a buon mercato. Ciò in quanto al programma; ma il fine che per esso si vorrebbe raggiungere, ottenere cioè che le esportazioni pareggiassero o su- perassero le importazioni, sicchè si abbia il pari od il vantaggio del cambio, è un vero delirio. $ 28. — TERZA CAUSA : LE DEVASTAZIONI DEL NEMICO, IL MINORE RENDIMENTO DEL LAVORO, L'’ALZAMENTO DEL TENOR DI VITA. La guerra devastò le fiorenti contrade del Veneto. Da ciò distruzione di capitali, diminuzione di prodotti, rincaro. Ma questa è una causa che va scomparendo. INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 21 Il lavoro dà minore rendimento di prima, come affermano i dirigenti -delle intraprese industriali ed agricole. S°' è lavorato, dopo posate le armi, meno e svogliatamente; onde accrescimento delle spese di produzione, rin- «caro. Fortunatamente c'è una ripresa. L’innalzamento dei salari mediante gli scioperi, l'esempio del lusso de- «gli arricchiti durante la guerra, han prodotto una elevazione dal tenor di vita, smessa da molti la vecchia abitudine di parsimonia. Così aumento di richiesta dei prodotti, conseguente rincaro. È una causa morale che non pare accenni a diminuire d’intensità. $ 29. — QUARTA CAUSA DEL RINCARO : L’ INDIRIZZO ULTRAPROTEZIONISTA IN MA- TERIA DOGANALE. Come se non bastassero tutte queste cause di rincaro, c'è anche l’altra : l’indirizzo ultra-protezionista in materia doganale (1). La dogana non ha sol- tanto intenti fiscali, ma eziandio eleva smisuratamente il dazio d’ entrata, onde dar modo all’industria nazionale di sostenere e vincere la concorrenza estera. È un vero tributo che i consumatori pagano all'industria e all’ agri- coltura, dal quale non riusciremo a liberarci senza che sia ripresa la propa- ganda a favore della libertà commerciale, perchè in questa materia siamo andati sempre più indietro dai tempi di Cavour e dei suoi successori, ed è ‘sopra l’opinione pubblica che dobbiamo agire. Si può rispondere che tale indirizzo ultra-protezionistico non è adottato dall’Italia soltanto, ma da quasi tutti i paesi del mondo, posteriormente alla guerra. Ciò è vero, ed il trattato di Versailles non operò saggiamente nel non prevedere questa comune iattura, ed ovviarvi (2); però sembra che noi Ita- (1) La Tariffa generale dei dazi doganali, approvata con R. D. L. 9 giugno 1921, N. 806, ha avuto in seguito degli inasprimenti. (2) Nel 1915, L’ Economista, che allora si pubblicava a Firenze sotto la direzione del De Johannis e di R. A. Murray, iniziava una inchiesta fra i professori di Economia e f'i- ;‘nanza delle R. Università, intorno al seguente problema: Dopo la guerra europea converrà Ri x res ori TRA VT A : = le dii ssd fa ileiliceaio .-_ 912 PIETRO MEREMDA - liani in questa materia vogliamo riportare la palma, perchè avvisiamo eman- ciparci così dallo straniero, migliorare a favor nostro il cambio, arriechirei. Errori manifesti, che non tengono conto del fatto che quanto più diminuisce la concorrenza estera, tanto più s’elevano i prezzi, e tanto più cresce la mi- seria del maggior numero. D'altronde bene avvisava il Messedaglia quando diceva sè in questa materia essere impenitente liberista: noi, con il libero. cambio, guadagniamo il buon mercato; se l'estero protezionista vuole il rin- caro, suo danno! $ 30. QUINTA CAUSA DEL RINCARO: LA ESORBITANTE PRESSIONE DEI TRIBUTI. Esorbitante è il peso dei tributi. E chi può negare che questo regime fiscale conferisca all’ elevazione dei prezzi? Però desidero non essere frain- o prevarrà una tendenza verso regimi doganali poco dissimili da quelli precedentemente in vigore, più protezionisti, meno protezionisti, o decisamente libero-sambisti? Le risposte, a mano a mano che giungevano, eran pubblicate nel periodico, e poi, a cura del De Johannis, furon raccolte in un volumetto, che venne distribuito agli autori: Murray ne serisse la prefazione. Chi legge questa memoria sostenne da parte sua esser conveniente che preva- lesse una tendenza verso regimi doganali meno protezionisti; e fece voti che il Congresso. Europeo futuro, se pur non volesse navigare a piene vele verso il libero scambio, rego- lasse la materia, p. e., nel senso che le tariffe doganali sì potessero diminuire, non aumen- tare. E poichè qualche scrittore aveva affermato necessario il protezionismo, avendo la guerra dimostrato che il blocco e le proibizioni d’ esportazione possono tagliare il belli- gerante fuori dal mondo, sicchè è necessario che ognì nazione nella pace s’ avvezzi a far senza dell’estero, onde potere nella guerra bastare a sè; egli oppose che, attuato un prin- cipio di questo genere, s’eleverebbero tra Stato e Stato le muraglie della China, rendendo la vita delle popolazioni così penosa come non è stata mai: assurdo poi il principio, non essendo sufficiente a parecchie nazioni la propria produzione di certe derrate essenziali, onde la necessità d’integrarle con l’importazione estera, e mancando noi di talune materie prime o sussidiarie, di cui lo straniero sovrabbonda. Il Congresso Europeo, seguendo i retti principii di diritto internazionale, avrebbe dovuto proscrivere la guerra condotta contro chi non combatte, sostituendo alla reciprocità, sin qui ammessa, il patto internazionale, e la sanzione dell’ostracismo pel paese che vi mancusse. INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 213 teso. Un paese che ha il proprio bilancio in deficienza, s'avvia verso il pre- cipizio; onde i Ministri delle finanze che arrestano sulla china la nazione, paiono crudeli, ma son dei veri salvatori, e il nome loro passa benedetto alla storia, e alla storia son passati o passeranno i nomi dei Sella, dei Son- nino, dei De Stefani, i quali, ciascuno nel tempo loro, han ridato l’equilibrio al bilancio dello Stato. To eredo che, anche stavolta, all’epoca delle torture fiscali succederà un’éra di prosperamento, per quanto non possa essere im- mediata; non saprei fare voti affinchè le imposte si alleggerissero : |’ avanzo svanirebbe, ovvero, ridotto ai minimi termini, non potrebbe essere piò stru- mento efficace alla deflazione; auguro che si proceda piuttosto ad una revi- sione, temperando certe molestie e certe aliquote eccessive che soffocano e ‘spingono all’evasione, e non colpendo più volte, sotto diverse forme, lo stesso reddito: programma minimo, che si può svolgere fin da ora, ma sul quale non posso diffondermi: non est hic locus. $ 31. — RIASSUNTO E CONCLUSIONE Dato il ritorno alla libertà in fatto di locazione di case, un grave au- mento è prevedibile, per quanto si consigli ai proprietari di non richiedere prezzo maggiore di cinque volte quello del 1914. Però le classi viventi di reddito fisso, o non han visto crescere punto i loro proventi, ovvero l'aumento é stato inferiore al rincaro dei beni ($$ 2 a 10). Da ciò tre ragioni onde lo Stato intervenga: 1° perchè esso di questa situazione economica è creatore; 2° perchè, in parecchi casi, è parte contraente; 3° perchè in genere l'intervento rientrerebbe nelle funzioni normali dell’organizzazione giuridica della società ($ 11). Conviene però propugnare il provvedimento di carattere generale di far variare legislativamente tutti i pagamenti, in base al numero indice dei prezzi? Nessuno Stato l’ha messo in atto; gli serittori nostri non l'han sostenuto ; l'opinione pubblica non v’è preparata; il Governo non vi tende ($ 12). Pratico quindi trattare di provvedimenti specifici, che potrebbero emettersia favore delle classi sociali a reddito fisso. E cominciando dagl’impie- gati governativi, è indubitato che, all’atto della nomina loro, venne promesso È ho 7 19 ti DIL PIETRO MERENDA uno stato economico espresso in moneta corrente, ma che corrispondeva al godimento d’un tenor di vita, che ora, dati gli alti prezzi causati prineipal- mente dallo svilimento della carla moneta, non possono più godere. Giustizia vuole che si dieno tante lire deprezzate, quante ne occorrono per formare un valore uguale alla lira del 1914. Questo principio s' è adottato, ma par- zialmente, anche in Italia, per gl’impiegati in attività di servizio: occorre sia applicato del tutto, stabilendo, come moltiplicatore degli stipendii ante riori alla guerra, il numero indice dei prezzi ($ 13). Passando ai pensionati delio Stato, fu combattuto il sofisma che il contratto d’ impiego cessa col finire del servizio attivo, ed invocato, pertanto, un provvedimento analogo a «quello proposto per gl’impiegati in attività, e per ragioni analoghe, anzi più forti ($ 14). I prestiti contratti avanti l’inflazione monetaria, e il relativo in- teresse, dovrebbero esser pagati anch’essi, prendendo a moltiplicatore l’indice dei prezzi, non essendo giusto che i debitori si locupletino ($ 15). Ma lo Stato non può pagare la rendita pubblica stabilendo quel moltiplicatore : è impos- sibile, per quella al portatore, accertare in qual tempo le cartelle furono acqui- state; nè si può fare alle nominative trattamento diverso dall’altre. D'altronde, ‘se si adottasse il moltiplicatore, non basterebbe tutta l’entrata dello Stato a pagare le semestralità ($ 16). Anche negativamente s’ è risposto pei titolari di rendita perpetua o vitalizia. Ordinariamente l’obbligato attuale è 1’ erede di chi contrattò, ed egli deve pagare la rendita per un capitale che non ha goduto lui, e che forse più non esiste. Se si tratta di compagnie d’assicura- zione, è difficile calcolare quale premio esse han ricevuto in moneta buona e quale in moneta svalutata; se poi il contratto fu stipulato durante l’infla- zione, la perdita per l’ assicuratore sarà grave allorchè deve pagare in mo- neta rivalutata. Or manca l’indebito arricchimento : i vantaggi compensano i danni ($ 17). Bensì i canoni in danaro dovrebbero pagarsi adottando il mol- tiplicatore, poichè l’utilista moltiplica per 5 il suo reddito ($ 18). Le taritfe, da ultimo, che governano i servizii soggetti a prezzi d’ imperio, dovrebbero rivedersi, aumentandole in ragione del deprezzamento ($ 19). Questi sono i provvedimenti Invocati pel presente; per l'avvenire occorre alla fermata delle oscillazioni che vanno in su in quanto ai prezzi, succeda INCIDENZA DEL DEPREZZAMENTO E RIVALUTAZIONE DELLA LIRA-CARTA 215 ill ribasso, col ritorno del valore della lira a quel ch'era nel 1914 ($ 20). Accen- nando sinteticamente alle cause che determinano il rincaro, s'è passato allo svolgimento loro, cominciando dalla prima, che consiste nell’eccessiva emis- sione di carta moneta ($ 2Î). Bisogna mettere un punto fermo alle nuove emissioni ($ 22), e poi tornare gradatamente alla circolazione normale, abo- lendo il corso forzoso, col successivo riscatto della carta-moneta, consistente nel distruggerne tanta quanti sono gli avanzi annuali del bilancio ($ 23). Ma questo provvedimento dovrebbe venire insieme alla eliminazione della mi- naccia dell’ assalto alle casse dello Stato da parte dei portatori dei buoni del Tesoro che scadono, consolidando questo debito mercè conversione ($ 24). Rivalutata la carta, occorre che cessi anche il corso legale dei biglietti, e — che questi siano convertibili al portatore ed a vista; onde la libertà e la plu- ralità delle Banche d’emissione ($ 25). Puossi pronosticare che siamo in cam- mino, per quanto scabro, verso tant’eccelsa desiderata cima ideale ($ 26). Seconda causa del rincaro è il corso dei cambii sfavorevole all’Italia : tornerà alla pari col risanamento dalla circolazione ($ 27). Terza causa, le devasta- zioni del nemico (in gran parte sanate) il minore rendimento del lavoro (c’è un miglioramento), l’alzamento del tenor di vita ($ 28). Quarta causa : l’in- dirizzo ultraprotezionista in materia doganale: bisogna tornare al libero cambio ($ 29). Quinta causa, l’eccessiva pressione delie imposte, per ora non eliminabile, il che non esclude una revisione che temperi le asprezze ($ 30). Nella Camera dei Deputati, ai 4 di febbraio, il Conte Volpi segnalava, con giusto orgoglio, che l’Italia ha già provvisto, coi propri mezzi, alla rico- struzione delle terre devastate, ed ai bisogni tanto delle famiglie dei suoi . 500 mila morti sui campi di battaglia, quanto dei suoi mutilati dal piombo. e dal ferro nemico. A questo ricordo, con pari orgoglio, va aggiunto ch’essa ha avuto la virtù d’assestare il suo bilancio, raggiungendo, oltre il pareggio, un avanzo di 400 milioni; ha sistemato i suoi debiti d’ onore con gli Stati Uniti e con l’Inghilterra, attirando sopra di sè l'ammirazione del mondo; è una potenza militare di prim’ordine, che dice alto: Queste son le mie fron- tiere, guai a chi le tocca! Riuscirà a conciliare l’ordine con la libertà; riuscirà 216 di pu classi di cittadini, cui è doveroso e is end raina mano ve correvole nel tempo transitorio che ci separa da un avvenire radioso... Sa ad alta mèta la scienza eleva la Patria: La alla fine di queste serene VE «dagini, ci è lecito lasciar campo al sentimento, ed esclamare : Salve, alma | parens ! % Sedute del 1° Febbraio e 1° Marzo 1926. è NEO eg 1 } TNOLCE CULTO n a Capo I. — Incidenza del deprezzamento della lira-carta. PROVVEDIMENTI. ‘$ 1.— Scopo di questo scritto. Occasione : il ritorno alla libera locazione delle case Pag. $ 2.— L’aumento consigliato ai proprietari di case corrisponde ad un aumento di reddito degl’inquilini? $ 3. — Reddito degl’impiegati dello Stato . $ 4. — Pensionati dello Stato $5.- Debitori e creditori 6. — Portatori di rendita sullo Stato 7.— Titolari di rendita vitalizia 8.- Canoni in denaro 9. — Mestieri soggetti a tariffa d’impero. 10. — Mestieri nei quali chi rende il servizio può essere sostituito dal pubblico 11. — Ragion d’ essere dell’ intervento dello Stato a favore delle classi sociali a reddito fisso o pressochè tale 19. — Conviene egli di propugnare il provvedimento di carattere generale di variare tutti i pagamenti in base al numero indice dei prezzi? Risposta ne- gativa $ 13. — Provvedimento a favore degl’impiegati governativi $ 14. — Provvedimento a favore dei pensionati governativi $ 15.— Provvedimento a favore dei creditori 16.— Si esclude che lo Stato possa provvedere al pagamento della rendita pub- blica, stabilendo come moltiplicatore l’indice dei prezzi . c $ 17. Perchè non sì può provvedere a favore dei titolari di rendita perpetua o vitalizia 3 È 7 È x $ 18. — Provvedimento a favore dei creditori di canoni in denaro $ 19. — Revisione delle tariffe che governano i servizi soggetti a prezzi d’imperio Capo II. — Rivalutazione della lira-carta. , $ 20. — Fermata del ribasso del valore della lira e della salita dei prezzi, rialzo di quel valore e discesa dei prezzi d $ 21. — Accenno sintetico alle cause che determinano il ribasso del v vi È ‘ lira € la salita dei prezzi. — Prima causa : l'eccessiva emissione di c: i i neta, nella quale però l’Italia non. ha il primato 068, E GE i $ 22. — Basta con le nuove emissioni: Resistere! Resistere ! Resistere! SIAE SI Bi. $ 23. — Ritorno alla circolazione monetaria normale... UR a; »r * Pu l ciate dal debito subiva ti Come ia questo pericolo È > - pe; $ | $ 25. — Riordinamento delle Banche d'emissione. 10 SL, NE 5 $ 26. — Presentimento e speranza del ritorno alla circolazione normale . . : 3 ì $ 27. — Seconda causa nel rincaro: il cambio sfavorevole all’Italia . . . è» i è : ‘ $ 28. — Terza causa: le devastazioni del nemico, il minore rendimento Ni la- Fi lgg it voro, l’alzamento del tenor di vita . . —. Sr RI MO I ag Di: pene $ 29. — Quarta causa del rincaro : l’ indirizzo ullraprotezionista in materia do- ai su SADE O EEE A O Rialto E È ; RO $ 30. — Quarta causa del rincaro: la esorbitante pressione dei tributi. > ; > 212 o È 8 31/— Riassunto e conolugione, 1 Mt AS RING REA O SI ITLE SERI oe Le A ant v ’ a 0a acer 4° PERE + ella RESI i Ò . ‘ = a 4 . È ’ ' ul , "ri ” " è Ù , a Faure. pa i) n ' Ù . sad dd ug e +44 . n aa gina ‘ . pe erat E 9 è PPRITRCICICIO als ed . MINE . 4 I] dl ul : gerdn ti Ù DI Wd Ù E sua dti 4 METE RINCATI UL de pa do ’ . r* si ‘ * A 4 . ‘ Ori , ù a iv i t4 det Ù nat È N p È + ‘ » è i n n ’ ear . . x ' . ” n - . "' Ù nre ' pesi . duo sind -* pi sea ari è * da RETTE CALL Reed e IT a da Ù PARLI ai i e e n La . dv Pi » Le ei i A se . sa . pra Ò pepe iso lena E° « . . ; Ù a des . +‘ . DO , ni ‘ CRANE i Ù . ‘ DI du» to oa N s sais ' 4 . . "? . . aulin ni » . . . ’ nr : 4 ‘ +1, . . ' A FASI AA so ” A . vo "i PAL ‘ 00, ' . "ii "' Ù A ' l dad ' « eni i : 4 n ‘ ; i ” d #1 "i RARI, ni hl i Ù MPa rall'ani a] ari vi n da » ì , Ù A ì PI ’ ì ' OLI SONCA nu RO ' UÙ 7 Vu a gita ' Da siti dui ' ' 10, Lol 4 né 5 ‘ i Ù i SMETTI] ‘ vati ni MY i ' DIO i | 0 ai nd LI (1a ‘ ha 0) v CX Y ‘ la ' . i i ' w vor ’ \ da a Ù ‘ I » s i si vi : dio va Pi . PARO ‘ A a ‘ si sa ner mul ' A i . Mar A . ) date E RE ‘ stò NO AE | : è O, PIA DIS ‘ i ' 4 LI pi A PESCI, ' RIO + i ‘ ‘ da ; ’ x Le INC] # n ' LA so P è 04 ? NI ti dA i È va È ‘ j A fi 1 RA EMEIGCII è ‘ : “e. ‘ i ‘ n tr] x COLTO, . Ò 4 due ò E fi'/alhe pd Fa dda è siva . pa , A Ù ig . va» Ù 33 PI) MICI] i É La dp o x Pi ; Ù duale . Ma RESA. f A È ri è 0% è DES ta . ‘ A dai "i vada si ‘ Si ge : he, : : A A . * n ax “’ 7 POCO . , "O vi »» hi id .* gia ' tr] ‘ 7 } ded E AA PEC i ASI Par ‘ se cd ’ e ta ' Quad ’ RE, PIO i Eva i f dal ' ’ i pri ' ' pari ’ ù : i #iù ved ' sla tal A "i " unt] ' MERITO) + dei + " dv {a ; near vi ‘ bi P A i R ser o ' ( i i ? ' pd dia \ Ù \ ' ’ Ù î ner | hi cina baro np y Pato È PE IC ‘ ‘ ‘ \ di i RT, sli ai dr Para VANTI j A i i È A sf È ' Wi di i A digie ()° va ' ' pri DA bRd4 a 1 ? dagli Menta i TT at i ' ' î Ni ' Gila Nite, Mii di DETLITA I i ) di apro Qu i lè n “ i ; i ' da dle "I PUPO API i | ' i MIESTICO ) s’ ta $ ì ’ d) ‘Î. 4 Î DI Ù Ù ORC TRDICALIO da ‘ ‘ suli i \ \ | ' î \ Aa ' plizaeaa vi Ù ? ' A i i i », ‘ i ini \e 4 Na A nr 18 iti \ Po ts i | NIRO ’ ' ’ ‘ - di " da ' A Parat i pale dI gue ii ' IRAN MOO D0 MINI NATE i DST vi se s ; : Vira; Vi ’ | ' n x [ fa PP vd dba Ys1 A . . ’ i) e va 6 all cat 1a af " so : : ' i cdgedi* ; P ‘ A REPEO IO { vidi Db A SO ' a PARI 4 l'A ' . it fagli hasn ut A (I "i ‘ t i CICRI ' NO, ” ' Pi - x i ) \ Gad j na ' DS AGI vi uda pi 4 si “ N) i "i ! Ò ] €114 1 La ' [ LI : " ì- ' ' | w n ali it: 4 ? ì td È I bd i ELI |) quinto i 9 Y ' n Ù I ‘ Dee) (hiaf'#? MIT, COCO Ì Ù i ; A i% | ' IRC) I ' ‘ } ' î i ù ii ' ’ ‘ paeh UTO BL + , » di i TAL i 4 en ia. ri » n ù è, pe Pia Palo € Ù o» 9 TT Male Se) ì È : * ‘ ix * ’ DI i fl N) PI \ v UL) » + | “Y ' ) È ) 9 ’ ELE ' . ; i A i i dti Ù i Ì ) LA i è i vl i Ù PICO VIA, : ’ LH}) IRTDIR n'ò i dh ' [ j TICO i ; fl PAR . a, va i PRCIOO, ' G di } : Ù "O h 4 (6 Ì ta. wa Li Ù ‘ S ' Ù N e DA i ' ‘ er i ' P é ì \ i "i 1 Ù ' i i { : i Ù : i ui di } è Tal ri MISTO sii (MI, . ATA bi; #% ’ ' ' ada ; fi i o beta i » YO ' y î ‘ PACICAT a i i A ' ' è , dutena AL. ' nu dii MO ’ TICA AC NI Ù \ A . rita did i dii 1 i ì tao i, neteutì i La.\® ‘ De) i . Li . ' è ' Da dot 44 i ‘ A t O Ù i xi i x i ì aida , : Bi s» ta 4 ‘ ì (004° i 44 è ; 0 i de 0 Ù $ i x " i nin i pelvi . PI 4 ia | i Ù MISTI è x ( » p #i sid due dt‘ ‘ ‘ ‘ ; : i da ei #% DI ni] i a è sii È dad ife NA RI) È p È i i dn Î i ae LIA i n "i n pia TAC) . A RUDI, RA : Y ; da (441 n) ‘ t ai Ù INCI q(44 ] 034 | ' "% ' ' Ù Su 7 ‘ is, RERTIL a CEI î ICARO] ‘ CU i, ra ‘ CATA er è ana a 4 da 01) SUR A vi N) DI ‘ giro , ' ‘ “ d | ù at ei ea da iv seit, i DICI ù A LA 4 Ò vin net i Ù ' ‘ al RS o" prioni “n fl ri capri i P Ù Ò pe mi) i pad ont ec : Ca OC du'arnì ‘ ‘ u gr A MERI NICICIO LIA, . «» COLLI x Ve CILE) ( i ” sp; Ao SA 00 di : \ 1 P " ‘ ' : o i i s Ù ‘ vede #4 dè è 4 : I ‘ es u bi ‘ cal ‘ . n . ' i ICI 9 } U n° pessoa n co Y N MICI è 21 DA 6 . 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