GIORNALE SCIENZE NATURALI ED ECONOMICHE MET” 4 ODICE RIAATTRAM 24) dA È è J cer % Ù ) n e: dr ; : 4 toi ti u ì ri ; / } - dI Ù Di EAU) N ici - * } s A Ni ld n î a » 5 A n i 7 / ( V. . Ì vi Ne ‘ Ù 9 3 LUI D I i * x "2 Ò 3 Pi 4 Pa \ LI mA Ù Si DAT \ wee W P, ì ) pai ù at! f £° A sete (MAI, anti pa x %, Î . Ii > - tt > ui Ù * . a: . pi = PALA Rd li GIORNALE SGIENZE NATURALI ED ECONOMICHE PUBBLICATO PER CURA DEL CONSIGLIO DI PERFEZIONAMENTO ANNESSO AL REGIO ISTITUTO TECNICO DI PALERMO Parte HN.— Scienze cconomiche. VOLUME VII. — ANNO VII. ? PALERMO SSOUENTO TIPOGRAFICO LAO ecorato con diverse medaglie Ò put 1 3 OA It} ( OnIDIgA0O MICI A LI , daga) cat, < | OMitniAt 10. doi tov vee dat TTI Ago fr SEN apanai da iv OTINONT HHIKIO" ' 4 iaia x = , + x - ' MU ; PIE da OlnfitAt o Ù DA OONAADDANN VARIAVA 0] OUGADIOE ana ny ola FAME : | Di ‘ Dia at, data N | : 01 , RENE ù uLUsr di a CETBI i } Ù È . dl x r] . ) -. J i Lc) fo è Ù 4 t 1 dr. s \ i Di” Ce v Ù hi - "i (È Lo È, ar Ù ss 1 Ò ang Me # BR d > si } VE î 21 # ta i ) i Î Ì SIG / Ù 4 = 1 I a LI i INDICE GENERALE DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO VOLUME VII, PARTE II, STORIA DELLA ENFITEUSI DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SIciLIA, per Simone Corleo. ... PAG. 9 PROMO III NATA N ei » ivi Capo I.— Stato dei terreni ecclesiastici in Sicilia pria della legge 10 agosto 1862. ....... >» II 8 1 Quantità dei fondi rustici delle Chiese nella Sicilia +... ......0000 000% to 00. Vi $ 2 Stato di coltura dei fondi ecclesiastici pria dell’enfiteusi.............0000- +» 13 $ 3 Natura e ragioni dell’antica enfiteusi . ..........-. 0000000000 » 16 $ 4 Concessioni enfiteutiche che la Chiesa faceva pria della legge sull’enfiteusi forzosa. » 19 $ 5 Impedimenti che incontrarono le concessioni enfiteutiche della Chiesa ......... » 22 $ 6 Prime tendenze alla forzosa enfiteusi dei fondi ecclesiastici... .....0..0.000% » 27 $ 7 La forzosa enfiteusi ordinata sotto la Dittatura. .........0..100 100000000 » 30 DOCUMENTIODELI CAPRONI II » 39 (A) Regia prammatica del 341 agosto 1774 intorno alla enfiteusi dei beni ecclesiastici.. » ivi (B) Real rescritto del 20 ottobre 1819 sull’alienazione dei beni ecclesiastici ......... » 36 (C) Real decreto del 1° dicembre 1833 sul medesimo oggetto. .............000. » ivi (D) Real decreto del 19 dicembre 1838 sulla censuazione dei beni ecclesiastici di regio PALL'ONALOREA RE VII INI AIOP » 38 (E) Estratto della Seduta del Consiglio civico. dî Salemi del 1° agosto 1860 ......... » (F) Ufficio del Commissario del Governo, 20 agosto 1860 ............0..00000% » 13 (G) Decreto Prodittatoriale per la censuazione dei beni ecclesiastici, 18 ottobre 1860... » 44 (H) Regolamento per la censuazione dei beni ecclesiastici, 3 novembre 1860. ....... » 146 Capo II. — Nascita della legge 10 agosto 1862 e del suo regolamento — Formazione delle Com- missioni e della Soprintendenza . ......... odo Do d voodoo d0vd6o » 52 $ 8 Presentazione al Parlamento del progetto di legge della enfiteusi..........0.. >» ivi 8 9 Il progetto di legge dell’enfiteusi è preso in considerazione dalla Camera ....... » 54 6 $ 10 Vicende dello schema di legge dell’enfiteusi nella discussione presso gli Ufficii della GAMera ASD PU I e NOI Pac. $ 44 Incidente intorno all’enfiteusi nel Ministero di Grazia e Giustizia. ........... » $ 12 Discussione generale nella Camera dei Deputati... ...........000 ...00. D) SEAZPDISCUSSIONE NA CORAL CO EER N O » SEIZADISCUSSIONO RO E lAGESTOMNESCIUO REZZA Jibtura.do » $ 15 Pubblicazione della legge 10 agosto 1862 — Formazione e pubblicazione del regola- MELONI SI SERI TI IA IAA NNO RE > $ 16 Formazione delle Commissioni ed origine della Sopraintendenza............ RD DOGUMENTIGDELMC'AROISE CONDOR, O I » (I) Progetto di legge e regolamento per l’enfiteusi dei beni ecclesiastici, presentato dal De- puisio Coro mal 25 ATO Ole a 0/60 dig ads » (K) Legge 10 agosto 1862 sull’enfiteusi dei beni ecclesiastici. .................. » (L) Regolamento per l'esecuzione della legge sull’enfiteusi, 26 marzo 1863, con tavole. . » (M) Ministeriale che destina il Deputato Corleo a Soprintendente delle Commissioni enfi- teutiche in Sicilia, 13 luglio 1863 .-.......... Sla farete a TLT » Capo III — Applicazione della legge 10 agosto 1862, e sviluppo delle massime direttive . ... » $ 17 Prime difficoltà che s’incontrarono nell’applicazione della legge di enfiteusi — Pretese AIFESCIUSIONENPEIRA UNO LR RO O A A Sn » $ 48 Istruzioni della Soprintendenza generale approvate dal Ministero. ............ » $ 49 Disposizioni intorno alla esazione delle multe ed intorno alle spese di ufficio delle COMMISSIONI e SOprintendenZa}:tatt]ala eat Steen » $ 20 [obbedienza alla dichiarazione — Multe proposte, deliberate, esatte. ......... D) $ 24 Quadri dei beni censuabili — Inconvenienti gravi per la mancanza o per gli errori deisnecessariz ee Menti a ie EL ROLO IO AO RR » $ 22 Rendita confusa di fondi diversi per affitti complessivi — Affitti ignorati... .... » 8 23 Fondi ecclesiastici in condominio con privati o con Opere pie. .... ........ » $ 24 Reclami dei Titolari — Ricorsi ai Tribunali e freno postovi dal Ministero. ...... » $ 25 Oggetti principali dei reclami dei terzi e loro gravami alle Corti di appello. +... » $ 26 Quotizzazione dei latifondi — Spese e difficoltà incontrate per difetto di mezzi — Ri- DEMI AMONIEE RI E ita afltaia OIO TLI SNO D) SA GIFANZIA ACNE SMI TMORI O O MAIO EI I OSSEI ee » $ 28 Validamento degli affitti in corso e patto della immissione in possesso . . ...... » $ 29 Quaderni — Bandi — Incanti pubblici — Termini di additamento ... ......... » $ 30 Censuazione nello interesse del Demanio — Passaggio della stessa sotto il Ministero A CMESEIMINZO ZIA N VINCI INS NERE RITA I » $ 341 Pericoli di abrogazione della legge dell’ enfiteusi nella Camera dei Deputati, e con- ÎeLMENCHERESSAVANA MERLETTO CAO CS NEO Coe » 8 32 Trattative private — Diminuzione di canone in casi speciali — Fondi non potuti con- CCACESIMIEVECUNA LISA N » $ 33 Conversione in annua rendita delle prestazioni dovute in natura — Colonie per- MENO do dale diodo a dino pod o doo 0 » DOCUMENTI DER CARO MI RR OO OOO CI (OS IST » 56 59 62 63 66 69 73 77 ivi 84 90 102 103 ivi 105 109 141 116 119 124 125 129 433. 137 139 IA 448 153 158 160 165 7 (N) Istruzioni sulle operazioni per l’enfiteusi emanate dalla Soprintendenza Generale a 24 GI CEMDLERA SCI RETE IRON NN Pic. 165 (O) Ministeriale sull’ enfiteusi della quota di condominio spettante ai Corpi ecclesiastici, ATEOLODIENA SOI e na e ee STO oli MSA RENI 2. » 201 (P) Ministeriale sui reclami dei Titolari, 7 aprile 1864... ....... ............ » 203 (Q) Ministeriale pei ricorsi dei Titolari contro le deliberazioni delle Commissioni, 12 set- TEMPLARI IAT IT IAN » 204 (R) Ministeriale che vieta citarsi le Commissioni avanti ai Tribunali, 14 ottobre 1865. . » 205 (S) Ministeriale sul contradittore nei gravami dei terzi presso le Corti di Appello, 14 gen- DALOLA SODI AI NINNI » 207 (T) Ministeriale sulle forme delle subaste enfiteutiche sotto il nuovo (odice italiano, 8 mag- BIOLASOO SA ra RR NNT RIN III » 208 (U) Ministeriale intorno alla vendita dei fondi non potuti concedersi ad enfiteusi, 4 set- TEIMDIERA BCE ite TORRI OI NOIR iO » 214 (V) Real decreto sulla conversione delle prestazioni dovute in derrate, 19 maggio 1864 » ivi (X) Decreto prodittatoriale sulla conversione delle prestazioni dovute in derrate, 4 otto— DICA CORRO E d'AONio algrate ion avo do loa diva » 215 DE) x \ i Ji ui t à PUFS ; RISI 1 È VW LI Lù Dart KA ie \ È ul Li y CI > Di } A, 1 Ù MALI DENTRO EA nn UTEMIGACU MIN nd Reina RR | [UT Ilio Wwian atDita Lo (Mn) i QUERDALI | ROIO EIA INSZOO 243) LUO PAIA BORE otinanit pi i i L ORARIA PA it 108) | Cgota DALIOGBICGINI DIVI VITATI(UHCOMDVO PAGICOTIFO MA IANTIT Luana ARLULIE CERO nt Io), DPILA, Mist IERI IR IR IAN RITA La ah I UNE LOCI CO NAGOZIAA MIO LI I vi (or) Wi las ORE ALA; n dr ati Voi e alaytatardi ti (IE LA sh “Lala Co AUSTIN TINO MU 1 RLIIDIN nt abeti polo eMonitoh Fatal Kit, DIDISIIENOTA (0) ; Colli | IO, Mei 1a Lr SEA plagio aa o ET 18) 3 CIARA SOLE MMORIANERIRT RIS ITER A ilidter 2) AMM ÎA Varg ora go E aula bi CICIETUISITIR,O tipe PUN LIA et di PIATTI utt Li Lu) oo ni MARI "ti sett (gii Ipie a iii i (9h, [OT KCA TOO sliiyoa Lib (LOST n i Voga Lo ERRE RIS R i RG) yi: CA DI STIRISIMITIO Ku ti adifa IMOVALISTT i duOR via), 115) Dirt si ‘Riga È, slide INITOCINRRTINTIT RISTEMIATIANAI I Ro SENZA BECRURIA cr) ENI dA RENDI f ì Pani JN LITTA md Ano Li gue Mitalasioh DAN nau bg n libare ale ZIA: LION EA A ROME EUR IE DI TELIT SUI IRAN i LE 4 204 CONE Una Mr etiah INMUITIVAITÀ Lchkarir Sun ODI PvOSITUS AIDA IOCUTCiri "tit n); va oa SUOR ROIO DEak. Seoh, Iron] di LL OITELONIO NOTAI LI blansagi (A e: LANA PRESO iii SECRET ui sad Uro, î ki Ria RIO POMUDIT A a (N 1Oî il, IONI Ma iL; Mn Ù 4 i o È UE ii pi ETRE Mano f LIGA IL], st be sno All vicario pa Pi mi _ i) È EC \ Ù , | ins. i n A Q' MILILO NS Ti PRUA NA a vi STORIA DELLA ENFITRUSI DEI TERRENI BOCLESTASTICI DI SICILIA PER SIMONE CORLEO. PROEMIO La concessione ad enfiteusi redimibile dei beni rurali delle Chiese di Sicilia la- scerà lunga traccia di sé, per gl’interessi economici politici e religiosi che vi si collegano. Molti quindi cercheranno quali e quanti furono questi beni, quali i prin- cipii direttivi di tale concessione, quali i patti e le condizioni che si stabilirono, quale la giurisprudenza che accompagnò l’applicazione di questa legge, e finalmente quali i risultati che se ne ottennero. E poichè un’enfiteusi redimibile accenna di sua natura ad un termine futuro del contratto medesimo, alla trasformazione dell’enfiteuta in definitivo proprietario, così è chiaro che la prima operazione del concedere, compiuta omai in un periodo di sette anni (1863-1870), si connette con un’altra più lunga ed assai più lenta ope- razione, cioè coll’affrancamento, che coronerà ed assoderà il frutto di tuttii lavori, di tutti i risparmii e del maggior reddito dei fondi medesimi. Pertanto non sarà senza profitto il trovare raccolti in unico volume i precipui ele- menti storici di questo interessante lavoro. E per procedere con ordine, sicchè la parte cronologica corra d’accordo coll’andamento logico delle cose, la materia sarà divisa in cinque distinti Capi, ai quali terranno dietro tutti i documenti a corredo. Nel primo si esporrà lo stato dei terreni ecclesiastici in Sicilia pria della legge 10 agosto 1862; nel secondo la nascita di questa legge e del suo regolamento, la formazione delle Commissioni e della Soprintendenza; nel terzo l'applicazione della legge e lo sviluppo delle massime direttive ; nel quarto è rapporti giuridici della legge d’ Enfiteusi colle altre leggi, e le questioni cui essa ha dato luogo; nel quinto è risultamenti dell’Enfiteusi. Chi considera questa operazione come transitoria, sarà forse tentato a giudicarla Giornale di Scienze Nat. ed Econ., Vol. VII, Parte 1I. 2 10 STORIA DELLA ENFITEUSI non degna di storia, nè di seria attenzione. Ma chi sa che le cose umane s’incate- nano coi legami di causa e di effetto, che il transitorio è indispensabile per pas- sare innanzi, e ch’ egli prepara e spiana la via al progresso, non potrà guardare con indifferenza l’enfiteusi dei beni della Chiesa, nè potrà stimare eccessive le cure che sono state sparse per la buona riuscita e per la diffusione delle conoscenze pra- tiche di siffatta operazione. Per questo, lo scrittore delle presenti pagine non ha sdegnato dedicare una buona parte della sua vita a promuovere ed applicare l'en- fiteusi, ed a tesserne ora brevemente la storia, DEI TERRENI ECCLESIASTICI Dl SICILIA 11 CAPO I. STATO DEI TERRENI ECCLESIASTICI IN SICILIA PRIA DELLA LEGGE 10 AGOSTO 1862. $ 1 Quantità dei fondi rustici delle Chiese nella Sicilia, Uno de’ pregiudizii ch’è stato da lunga mano alimentato e carezzato in Sicilia, e sparso quindi da’ siciliani in tutta Italia e fuori, si è quello che i fondi della Chiesa costituiscano la gran parte della proprietà terriera dell’isola. Donde poi è derivato un altro pregiudizio più nocevole, cioè il credere che i beni ecclesiastici di Sicilia sieno una miniera inesauribile, tale da poterne cavare a migliaia i milioni, Nacquero questi pregiudizii dalla credenza che alla Chiesa fosse stato concesso dal conte Ruggieri un terzo dei heni fondi siciliani. Il Gregorio (1) risali all’origine di tale opinione e mostrò falsa la cronaca: Historia liberationis Messanae per Comi- tem Rogerium, dalla quale fu divulgato il concetto della tripartizione di tutti i beni di Sicilia tra clero, baroni, e regio demanio; e con più sane ragioni ebbe egli a so- stenere che i fondi, i quali possedevansi dai naturali dell’isola all’epoca della con- quista normanna, dovettero loro restare come allodiali o durgensatici, poichè i Nor- manni vantaronsi di aver liberato i siciliani dal giogo saracino, e così non sarebbe stato, se li avessero spogliato dei loro beni. Ma quello che dimostra evidentemente falsa la pretesa tripartizione, si è il fatto che alle Chiese di Sicilia non tutti i beni furono direttamente donati dal conquista» tore Ruggieri. Infatti altri vescovadi furono fondati e dotati dai sovrani posteriori, come quello di Cefalù da re Ruggieri, quello di Monreale da Guglielmo II, e gli stessi vescovadi e monisteri ch’ erano stati fondati dal Conte vennero mano mano acqui- stando molti altri beni, per concessione diretta degli altri sovrani, o anche dei ba- roni, e più targi per donazione di privati. Forse, come nota lo stesso Gregorio, quella opinione potè accreditarsi perchè fu visto il Parlamento siciliano diviso in tre bracci: il militare o baronale, il dema- niale o comunale, e l’ecclesiastico. Ma veramente questa divisione non appartenne al Parlamento di Sicilia sin dall'epoca normanna, e fu Federigo II che v'introdusse l'elemento comunale. Nè si potrebbe determinare con certezza se gli stessi tre bracci funzionassero separatamente ‘in sin d’allora, o se prelati e nobili sedessero insieme. I tre bracci appariscono distinti e separati manifestamente sotto l’aragonese Alfonso; (1) Considerazioni sopra la Storia di Sicilia, Lib. I, cap. II, $ 7. 12 STORIA DELLA ENFITEUSI ed è allora che si veggono i vescovi sedere in Parlamento, non pel solo dritto dei feudi da loro posseduti, ma per la stessa dignità ecclesiastica: infatti, nella man- canza del vescovo, veniva invitato al Parlamento il suo vicario generale. Non è dunque vero che sin dall’ epoca del conte Ruggieri i beni delle Chiese si estendessero ad un terzo dell’isola, nè vi si estesero mai ne’ tempi posteriori. Non furono nemmeno un quarto, come taluno predicava sino al 1862. E, se si ridu- cono le cose al vero loro essere, si trova soltanto che in Sicilia ha esistito nel pa- trimonio ecclesiastico una grande disproporzione, cioè una eccessiva ricchezza di alcuni vescovadi ed abbazie, di pochi conventi e monisteri; mentre taluni altri ve- scovi e la gran quantità di conventi e monisteri avevano un reddito mezzano, tal- volta anche ristretto; i parrochi e i loro coadiutori vivono quasi in generale sten- tatamente per mezzo di sussidii comunali, di decime, o assegni episcopali; la gran massa del clero vive dei minuti lasciti di culto e delle oblazioni, moltissimi de’ patri- monii provvenienti dalla loro famiglia, In verità, un esatto censimento dei beni ecclesiastici non si era mai potuto fare; ed anche quando si venne alla catastazione di tutte le terre dell’isola, non si potè conoscere quanti fossero realmente i fondi delle Chiese, poichè molti fondi di Opere pie e di beneficenza venivano confusi con quelli degli Enti morali ecclesiastici che li amministravano. Ciò nondimeno, cominciò a comparire sin d’allora che tutta la massa dei beni deile Chiese e delle Opere pie non raggiungeva la proporzione di un terzo, nè anche di un quarto, in confronto ai beni dei privati e del demanio. Applicatasi la legge dell’enfiteusi, si è giunto a riconoscere la vera quantità dei terreni ecclesiastici, sceverandola da quella delle Opere pie e di tutte le fondazioni laicali. Ed anche per questo, essa ha potuto meritare il nome di legge di censua- zione. Dalle dichiarazioni che le Commissioni circondariali avevano ricevuto sino a tutto febbraro 1864, il terreno delle Chiese risultava in ettare 221075 circa. E siccome dopo quell’epoca pochi altri fondi sono stati dichiarati dai Titolari e dai Municipii, o sono stati ritrovati per mezzo di altri elementi dalle Commissioni, così l’ intiera somma di detti fondi non ha sorpassato l’ettare 230000. Or la superficie geografica della Sicilia e delle sue isole, giusta i calcoli del conte Serristori sulla carta idrografica del Mediterraneo pubblicata da Smith, ascende ad ettare 2618259. La superficie censuata nel catasto, cioè produttiva, ascende ad et- tare 2399360, e l’improduttivo od almeno incensito ammonta a 218899. È chiaro a- dunque che le 230000 ettare del terreno ecclesiastico, che si venne a riconoscere dalle Commissioni di enfiteusi, non eguagliano pure il decimo di tutto il terreno pro- duttivo della Sicilia. Nè le suddette ettare 230000 costituiscono tutto quello che si concedette ad enfiteusi; poichè il veramente concesso non sorpassa l’ettare 190000, e le altre 40000 furono escluse dall’enfiteusi come boschive, o contenenti miniere, 0 in tre quarte parti almeno coperte di alberi e di vigne. Egli è vero che quasi tutti i vescovi e taluni conventi ed abazie avevano conce- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 13 duto ad enfiteusi qualche loro latifondo, e che perciò nella recente censuazione que- sti fondi già concessi non furono computati; ma è da riflettere che, mentre taluni fondi si davano in enfiteusi, altri ne venivano ad acquistare le singole chiese per mezzo di nuove donazioni dei privati, e talune di quelle concessioni enfiteutiche epi- scopali erano a beneficio di altre chiese minori, di conventi e monisteri. In questo secolo segnatamente le Chiese di Sicilia, e sopra tutto le Corporazioni religiose, ac- quistarono molti territorii per l'assegnazione forzosa giusta la legge del 10 febbraro 1824, mediante la quale liberaronsi le case baronali di tante gravezze di annue pre- stazioni ed arretri, per capitali fruttiferi che da quelli Enti morali avevano rice- vuto. Le concessioni veramente più estese erano state quelle delle Mense arcivescovili di Monreale e di Messina. Dei 72 feudi della Mensa di Monreale, all’epoca della vi- sita di Monsignor De Ciocchis (1742), se ne trovavano già alienati 16 sotto forme di enfiteusi, o di massaria con obbligo di decime, o con un canone senza titolo parti- colare; ed allora intendevansi impugnare dalla Mensa istessa come irregolari. Di tutti gli altri feudi, che nel 1742 possedevansi dall’arcivescovo, non glie ne,restava nel 1863 che un solo, Scalilla e Giardinazzo, poichè gli altri erano stati tutti concessi o usurpati. La Mensa di Messina, de’ suoi 17 feudi in Regalbuto, 3 in Alcara, del suo Casale di Larderia, del Casale dì Ferlito in Calabria, Casale del Vescovo in Mon- talbano, e dei moltissimi fondi nella Piana di Milazzo; Castroreale e Pozzo di Gotto, e dell’ estesissimo feudo Brolo, non possedeva più nel 1863, che solamente il detto Brolo, e le due Gazzane in Regalbuto. Tutt'altro era stato censito, o concesso a mas- seria con prestazione di decime. Altri veseovi ed abati avean concesso una buona parte dei loro terreni, o l’avevan lasciato prendere dai loro stessi diocesani sotto la forma feudale; come l’abate di Lipari dai naturali della stessa isola e da quelli di Patti e di Librizzi, ed il vescovo di Cefalù dai naturali di quel comune. Tali con- cessioni, pe’ beneficii che poi vennero fatti nei fondi, trasmutaronsi in veri allodii coll’obbligo delle prestazioni in derrate o in denaro. Ma siccome questi terreni erano già passati nelle mani degli agricoltori, e le Chiese non ne possedevano che l’eminente o il diretto dominio, così essi non interessano al punto di vista della quantità del terreno ecclesiastico innanzi alla legge del 1862. La massa dei terreni, che veramente era in potere delle Chiese pria della sudetta legge, ascendeva a quella cifra di ettare 230000 circa, cioè a meno di un decimo di tutto il terreno coltivabile della Sicilia, $ 2 Stato di coltura dei fondi ecclesiastici pria dell’ Enfiteusi. Al miglioramento della coltura dei fondi, oltre alle cause generalmente conosciute: capitali, arte agraria, mezzi di commercio, libertà, concorre un’altra causa morale, cioè la famiglia. L'agricoltura si migliora per uno sforzo di lavoro manuale e men- tale; e questo sforzo suppone nell’individuo una decisa e fervida volontà al lavoro, 14 | STORIA DELLA ENFITEUSI in altri termini, il lavoro per causa d’affetto. Chi non ama gl’individui, ai quali deb- bono restare i prodotti del suo lavoro, non ha interesse all’aumento de’ suoi sforzi ed al perfezionamento delle sue produzioni, Perciò la famiglia è una delle cause prin- cipali dell'incremento della proprietà, e particolarmente della proprietà agricola, la quale ha bisogno di maggior costanza, di solerzia e sforzi maggiori, ed ha hisogno d’illimitata fede nell’avvenire, poichè i miglioramenti campestri sorgono a condizione di dover seppellire nella terra egregi capitali e molte fatiche, col solo intuito di a- verne la fruttificazione in un futuro talvolta assai lontano, e di cui non possono go- dere che i posteri. Chi ha grande affetto alla famiglia, perizia agraria, capitali suf- ficienti e libertà, trovasi nelle più adequate condizioni per isviluppare i prodotti della terra; ed appunto da questi uomini veggonsi imprendere i profondi dissodamenti, le grandi piantagioni, i canali d’irrigazione, le bonifiche, lo imboscamento dei monti, la fabbrica degli opificii, le arterie stradali e tutti quegli altri mezzi d’immegliamento che fanno rendere dalla terra un prodotto centuplicato. Senza affetto alla propria famiglia, non è possibile svegliarsi nella maggior parte degli uomini questo interesse a migliorare, ch'è la base della prosperità agraria Or questo appunto è mancato ai Titolari ecclesiastici, il poter migliorare i fondi della Chiesa per affetto e per interesse familiare. I beni fondi della Chiesa passano da un Titolare all’altro, senza che vi sia tra loro legame di famiglia o di affezione, e per fin la menoma conoscenza personale. Chi sarà il successore di un vescovo, di un di- gnitario, o di un parroco? Spetta forse ad essi scegliere per propria conoscenza e per propria affezione il loro successore? — Quindi in loro non sorge l'interesse di famiglia per immegliare i fondi della Chiesa, né sentono essi la premura di fissarvi i loro ca- pitali per una fruttificazione futura, poichè ne godrebbe un individuo, al quale non li lega alcuna affettuosa relazione, un individuo che per essi rappresenta un’ incognita. Anzi gl’interessi della propria loro famiglia conducono allo scopo opposto, cioè a cavare in presente dai fondi della Chiesa il più che sia possibile, ed a spendervi il . men che si possa per il loro futuro miglioramento. Difatti è osservabile che i fondi posseduti in proprio dagli ecclesiastici son quasi sempre con molta cura coltivati, a differenza dei beni della Chiesa ch’essi amministrano, dai quali è loro interesse smun- gere quanto si può per applicarlo ai fondi propri, a quelli che essi un giorno lasce- ranno alle persone da loro amate. È la conseguenza del principio fermato innanzi: l’affetto alla propria famiglia è la base del miglioramento dell’agricoltura. I frati si trovavano per questo riguardo in una condizione alquanto migliore. La famiglia monastica era pure una famiglia, benché artificiale e non creata dalla na- tura, e vi concorreva spesso a formarla la libera elezione’ dei capi; il che dava luogo ad un vero sviluppo di affetti, talvolta anche più tenaci e più operosi, che non fossero gli affetti della famiglia naturale. In quei conventi, dove il capo poteva a suo bell’agio scegliere i giovanotti, educarli a suo talento, e comporsene la sua schiera, dalla quale dovevano un giorno sorgere i suoi successori, eravi una tal -quale partecipazione della stessa potenza dell’affetto di famiglia, e la conseguenza DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 15 si mostrava immediatamente nella coltura dei terreni. Difatti è notevole che i fondi ben coltivati appartenevano a preferenza ai frati, anzichè ai vescovi, ai dignitari ed ai parrochi. Per questi, un piccolo podere con un casino per prendervi aria e vil- leggiare (se pure a tale oggetto non destinassero un fondo proprio) era tutto il pos- sibile dei miglioramenti nei beni della loro Chiesa, — La censuazione dei beni eccle- siastici ha messo in rilievo questo interessante fatto, poichè tra i fondi ch’esclude- vansi dall’enfiteusi come beneficati in più di tre quarte parti, non vi figura quasi mai un fondo vescovile, o di un altro prelato capitolare. Il loro maggior numero ap- partiene ai conventi. I piccoli beneficii e le piccole cappellanie, come i piccoli parrocati, ponevano il Titolare nella quasi medesima favorevole condizione per l’agricoltura. Colui che non aveva posseduto altro, che il piccolo fondo della Chiesa, avvezzavasi a guardarlo come proprio, e piantava colà la sua famiglia, perlocchè ne curava con ogni atten- zione la coltura. Infatti la censuazione ha pur rilevato che ne’ circondarii di Cefalù, di Mistretta, di Patti, di Castroreale e di Messina, ove abbondano a preferenza que- sti piccoli beneficii, son moltissimi i fondi esclusi dall’enfiteusi come migliorati, tutti piccoli ed appartenenti appunto a questi Titolari di piccoli beneficii, — Essi però erano interessati a fare in modo che i fondi da loro beneficati rimanessero alle loro fami- glie. Difatti è pur degno d’attenzione che nei sopradetti circondarii la maggior parte di quei piccoli fondi migliorati trovasi alienata per concessioni enfiteutiche, per ven- dite, o permute irregolari, in antecedenza alla legge dell’enfiteusi, e quasi tutte a vantaggio della parentela dei Titolari stessi, Questi fatti, che un occhio osservatore non guarda con indifferenza, ribadiscono pur sempre il gran principio che l’affetto della famiglia è il vero fomite delle migliorie dell’agricoltura. Sebbene però i frati avessero una famiglia artificiale, siccome abbiamo osservato, pure la forma elettiva con cui si sceglievano i membri e con cui si perveniva al po- tere, non poteva dare nella generalità quei buoni risultati agricoli, che dà quasi ge- neralmente la famiglia naturale. Erano pochi coloro che giungevano a tanta saldezza di potere, da esser sicuri della scelta della loro famiglia e della educazione dei loro successori. Nei conventi, ove sorgeva uno di tali dominanti, vedevasi per l’appunto questo effetto ch’è dovuto al tipo della famiglia, cioè la buona coltivazione dei fondi, Negli altri, ove i partiti, e perciò il caso, regolavano la unione dei membri rendendo instabile la loro coesione, avveniva il male già accennato, cioè la niuna cura della coltivazione. I monisteri femminili seguivano in ciò la sorte dei loro governanti, cioè dei ve- scovi e de’ dignitarii ecclesiastici, i quali, non avendo interesse a migliorare i fondi dei loro beneficii, molto meno ne avevano a coltivare i fondi dei monisteri da loro amministrati, Un'altra causa di mancanza d’interesse al miglioramento dell’agricoltura è il pos- sesso di molti latifondi. Allorchè un individuo possiede tanto, che aftittando i suoi 16 STORIA DELLA ENFITRUSI terreni anche per il basso uso di pascoli spontanei, o di una triennale seminagione, può mettere in sicuro la rendita necessaria per lo splendore della sua casa, non ha più alcuno stimolo a procurare l’immegliamento di quei fondi medesimi; molto più se dovesse a tale oggetto assoggettirsi a spese, a rischi, a cure e sorveglianze mag- giori, Questo gran male, che era venuto all’agricoltura dal fidecommesso feudale, an- che dopo l’abolizion di questo, rimase alla Sicilia per la conservazione dei fidecom- messi episcopali, abbaziali e simili. Molti latifondi furono attribuiti ad un vescovo o ad un convento solo, e l’affitto di quelli produceva tanta ricchezza al Titolare, da non far- gli punto sentire il bisogno d’immegliare i suoi fondi. Cosiechè le terre più inculte si sono per l’appunto trovate presso i vescovadi ed i conventi più ricchi, Dopo l’esposizione di questi principii, è facile comprendere qual doveva essere in generale lo stato di coltivazione dei fondi ecclesiastici pria della legge del 10 ago- sto 1862. L'applicazione di questa legge ha fatto escludere dalla enfiteusi circa 40000 ettare di terreno sopra una quantità di ettare 230000 circa, poichè il censuato in forza di detta legge non sorpassa, come abbiam detto, le 190000. — Queste 40000 et- tare di terra escluse dall’enfiteusi non son tutte beneficate, nè in massima parte, ma ve ne sono escluse perchè boschive o con miniere, giusta l’articolo 2° della legge. Sic- chè il beneficato escluso dalla censuazione può calcolarsi a non più che 20000 et- tare, cioè ad una undicesima parte di tutto il terreno ecclesiastico. Gli altri 194, re- clamano pur tuttavia l’opera dell’uomo e l’applicazione dei capitali per essere conve- nientemente migliorati, $ 3 Natura e ragioni dell’antica enfiteusi. Chi guarda il contratto di enfiteusi nelle forme estrinseche ch’esso aveva pria ‘della legge 10 agosto 1862, non vi scorge che un contratto essenzialmente feudale. Trovandosi la proprietà terriera in mano ai signori per effetto delle conquiste, per concessione dei principi, e per lo spirito dei tempi che tendeva ad accentrare nelle mani di pochi il dominio materiale delle terre, appunto perchè non altre ricchezze si conoscevano che i possedimenti territoriali; e dall’altra parte mai non potendo i pochi coltivar bene, nè far ben coltivare gli estesi loro fondi; le ineluttabili ne- cessità del prosperamento pubblico esigevano che le terre, o di un modo o di un altro, scappassero dal dominio immediato dei signori, e passassero quasi per effetto di transazione sotto il semidominio dei coltivatori, perchè la terra va da per sè & colui che la coltiva e la fa fruttificare. Adopero a bella posta la parola semidominio, perchè era impossibile sotto la esi- stenza delle condizioni feudali il pretendere che i baroni si spogliassero del loro do- minio sulle terre e cedessero così il titolo, non solo di tutte le loro ricchezze, ma anche della loro potenza politica. Come dall’altro canto la imperiosa necessità della coltivazione esigeva ch’ essi affidassero a mani rustiche la cura di quelle terre, che altrimenti non si sarebbero mai potute coltivare. (di DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 17 Per non dividere con altri il pieno loro dominio sui terreni feudali, i più caparbi sisnori contentavansi di lasciarli inculti, e soltanto destinati al pascolo spontaneo dei loro stessi cavalli e delle loro greggie, con quanto detrimento della prosperità pub- blica ciascun lo comprende! Sarebbe facile il pensare che in quell’epoca i padroni dei fendi avrebbero potuto preferire il sistema degli aftitti, perché in tal modo non avrebbero diviso con altri la loro proprietà, ma ne avrebbero soltanto ceduto il temporaneo godimento, e ne avreb- bero ricavato nel tempo stesso un grande utile, per la coltivazione che il fittajuolo avrebbe fatta. Ma in realtà il sistema degli affitti nacque molto più tardi colle mas- serie, ed in quella prima epoca non aveva alcuna ragione di essere. La dissodazione di terreni da lungo tempo saldi ed inculti non può mai convenire al coltivatore in un periodo più o men breve di semplice affittamento; e s’egli per lo meno non con- siegue la proprietà de’ suoi stessi beneficii, non può trovare un tornaconto nel de- dicarvi tutte le fatighe che vi abbisognano. Fu perciò che surse dalla riunione dei due interessi il contratto di enfiteusi:. le terre baronali furon concesse in perpetuo ad oggetto di beneficarle, in enfifeusi come significa la stessa parola: il dominio delle migliorie, o come fu detto, il dominio utile, fu ceduto all’enfiteuta, rimanendo sempre al barone il dominio diretto della terra, rap- presentato annualmente da un canone; e perciò fu veramente ceduto un semidominio. Oltre a questa potente ragione della necessità di assodare una lunga coltura, un’al- tra non men potente ragione vi si aggiuuse che fece preferire dai baroni il contratto d’enfiteusi. La grandezza del signore cresceva a misura che i suoi dritti, invece di esercitarsi sulla sola terra inanimata, si esercitassero sopra gli nomini di lui sudditi; e tanto era maggiore la riverenza ed il peso politico che otteneva un barone, quanto maggiore era il numero dei soggetti, ai quali egli dettava leggi ed amministrava la viustizia, e dai quali al bisogno poteva trarre un maggior numero di tasse e di armati. Perlocchè divenne ardente nei signori il desiderio di popolare con tal gente i loro territorii, di fissarla stabilmente nei medesimi e di assoggettirsela. — Epperò il con- tratto d’enfiteusi, molto meglio che quello dell’affitto precario, corrispondeva a que- sto scopo, perchè egli legava il coltivatore alla terra per mezzo delle sue stesse fa- tighe, per mezzo de’ benefici che gli costavan tanto e -ch’eran divenuti suoi. Due cose però dovevansi per necessità incontrare in questo sistema. In primo luogo è ben chiaro che il miglioramento della terra non può operarsi da una mano sola in larga scala e sopra vasta estensione; e perciò l’enfiteusi abbraccia di sua natura piccoli lotti, nè può elargarsi ad estesi fondi. Sicchè i terreni dati ad enfiteusi son quelli più vicini all’abitato e più frazionati, o dove il signore ha l’ interesse di far sorgere un centro di sudditi suoi, I possedimenti baronali più Jontani o rimangono addetti al pascolo spontaneo, 0 molto più tardi, quando comincia a sorgere la ric- chezza dei borghesi, vengon loro affidati in aftittamento di maggiore o minor durata, onde essi enrino di farli coltivare da’ più minuti bracciali, pagandone un’annua ga- bella al signore, sistema inteso in Sicilia col nome di masseria. Giornale di Scienze Nat. ed Econ. Vol. VII. Parte 1I. 3 18 STORIA DELLA ENFITEUSI In secondo luogo il contratto di enfiteusi, appunto perchè importava perpetuità e cessione di un semidominio, non sarebbe stato compatibile coll’alto dominio del ba- rone, se non fosse stato rivestito di tali clausole e privilegi a favore di costui, da poter’egli tenere come veri suoi sudditi gli enfitenti. Perciò doveva assolutamente es- sere eliminata la redimibilità del canone, mezzo con cui l’enfitenta avrebbe potuto li- berarsi dalla soggezione del domino, e questi avrebbe perduto i suoi possedimenti ter- rieri, base della sua potenza. Doveva del pari esser proibito all’enfiteuta lo alienare a favor di chicchessia il suo dominio utile, poichè così avrebbe potuto dare al barone dei sudditi indocili, riottosi al pagamento del canone e dei tributi: perciò era con- dizione indispensabile il /audo del signore in qualsiasi alienazione, restando soltanto libero all’enfitenta il disporre a suo piacimento dell’utile dominio nel seno della sua famiglia, ma se disponesse in favor di altri, bisognerebbe il consenso del domino. Que- sto stesso consenso divenne quindi oggetto di un tributo, che fu appunto detto laudemio, E finalmente era necessario stabilire la pena delia devoluzione, del ritorno del fondo al concedente, nei due casi che il concessionario o deteriorasse il fondo e non lo mi- gliorasse secondo la sua promessa e secondo lo scopo stesso del contratto, o lasciasse di pagare il canone per un elasso di anni; poichè se in tali casi il fondo non si fosse tolto all’enfiteuta, egli ne sarebbe rimasto padrone assoluto e lo avrebbe tenuto a pia- cer suo, nè avrebbe più sentita su di sè la continua soggezione del vero domino. Quindi le tre condizioni principali dell’antica enfiteusi: l’ irredimibilità, il laudo, la devoluzione. Con queste tre clausole, i signori trovaronsi abbastanza superiori e si- curi del loro interesse nel contratto di enfiteusi; e così ebbero un mezzo facile di ac- crescere i loro sudditi, di attaccarli volentierosi alle loro terre e di tenerli pur sem- pre in soggezione Mentre dall’altra parte, il villano si ebbe diffinitivamente la proprietà del frutto delle sue fatiche, e si ebbe nel tempo stesso la terra su cui si fissavano i suoi lavori, pa- gandone soltanto un canone (ch'era quasi sempre ben mite) al padrone, il quale in altra guisa non l'avrebbe concessa giammai. Chi dunque non vede nel contratto di enfitensi un vero mezzo di transizione? un mezzo di progresso economico, per fare che le terre passassero finalmente dalle mani d’inerti signori a quelle che potevano con effetto coltivarle? un mezzo di distribu- zione, per secondare ìl principio fecondo della distribuzione del lavoro e per sottrarre senza scosse dal dominio di pochi privilegiati quello che essenzialmente doveva es- ser diviso tra molti all’oggetto di potere ben fruttificare? Tutte le leggi eversive della proprietà che costrisgono a dividere ad altri i pro- prii terreni, ad alienarli in qualunque guisa, offendono talmente gl’interessi costituiti, che una reazione de’ proprietarii ne è quasi sempre la conseguenza, come ben lo di- mostrarono tutti i tentativi per attuare le leggi agrarie. All'incontro, il contratto di enfiteusi, riunendo e salvando gl’interessi diversi, giunge, benchè lentamente, ma pa- cificamente allo scopo. Egli perciò ha nu importanza suprema nella storia economica di un paese, segnando il mezzo di transizione dal fendalismo alla libera proprietà DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 19 della terra. Ed è ben facile il comprendere che questo contratto, sino a tanto che vi sien latifondi nelle mani di pochi, è sempre necessario. Le migliorate condizioni dei tempi potranno rendere non più abbisognevoli tutte e tre quelle condizioni feu- dali, siccome esamineremo in appresso; ma abolire del tutto questo mezzo con cui la proprietà terriera, dal dominio dei pochi presso cui è concentrata, passa senza di- sturbi e senza bisogno di un prezzo a coloro che possono ben coltivarla, abolire que- sto gran mezzo sarebbe un errore. $ 4 Concessioni enfiteutiche che la Chiesa faceva pria della Legge sull’ enfiteusi forzosa. I vescovi e gli abati trovavansi presso -a poco nelle stesse condizioni dei baroni; e tanto per esercitare dritti feudali ed accrescere la loro potenza, quanto per as- sodare la coltivazione ed il reddito dei loro latifondi, preferirono l’enfiteusi. Abbiamo accennato ($ 1) le diverse concessioni ch’erano state fatte dai vescovi negli antichi tempi: però molte di quelle concessioni erano pure a vantaggio di altre chiese mi- nori, di conventi e di mopisteri, Così il convento di s. Martino delle Scale, il colle- gio Gesuitico ed il monistero della Concezione di Palermo, il convento di s. Benedetto di Monreale ed il collegio Gesuitico di Trapani, ebbero mediante un canone parec- chi feudi in enfiteusi, ovvero senza un titolo particolare, dalla Mensa Arcivescovile di Monreale (1). Né soltanto per concessione enfiteutica volontaria i fondi delle Chiese di Sicilia passavano in potere di laici, o dalle Chiese maggiori in potere delle Chiese minori, Era frequentissima la usurpazione di molti pezzi di terreni ecclesiastici, ed anche d’intieri feudi, per parte di signori, di conventi, o di altri privati. Chi volesse scor- rere nella Visita, che faceva il regio delegato Monsignor De Ciocchis alle Chiese di Sicilia negli anni 1741-43, le varie pretensioni che affacciavano allora i vescovadi e le abbazie per la ricuperazione e per la incorporazione al loro patrimonio di feudi ed appezzamenti di terre, vedrebbe che la maggior parte di quelli fondi era stata usurpata. E principalmente era la Mensa di Catania che lagnavasi di moltissime mi- nute usurpazioni, come la Mensa di Monreale si doleva di usurpazioni d’interi feudi per parte di baroni e di monisteri. Contro la Chiesa questi usurpamenti erano più facili, ed è assai semplice trovarne la ragione, perchè non vi erano interessi di famiglia e di successione che guarda- vano con diligenza la proprietà ecclesiastica; e quando essa era molto estesa, era ben difficile tenerne l’esatta custodia. Anzi molte di quelle occupazioni, che dopo la- mentavansi, erano state tollerate, permesse ed anche talvolta incoraggiate, a favore dei parenti e degli aderenti di quelli stessi che li amministravano. Guardando la cosa, non dal lato giuridico, nè dal lato morale, ma dal solo lato (1) De Ciocchis, Sacra visitatio Ecclesiae Monregalensis, vol. 1, tit. 3. 20 STORIA DELLA ENFITEUSI economico, si scorge che con quelle stesse usurpazioni ottenevasi lo scopo di far pas- sare le terre alle mani di chi potesse meglio coltivarle; e chi osserva bene, deve con- vincersi che la necessità di questa suprema legge economica era pure il movente di quelle illegittime appropriazioni. A parte degli usurpamenti, le volontarie concessioni delle Chiese a titolo di en- fiteusi, o a titolo di masseria con obbligo di pagare la decima, erano frequenti, Le ‘concessioni più minute avevan luogo più specialmente nei dintorni della residenza del vescovo o dell’abate, ovvero nei dintorni del castello e della terra principale, da cui esso traeva titolo baronale, o dove esercitava giurisdizione di tale specie. Le liste degl’innumerevoli censi enfiteutici riportate nelle sacre Visite dell’Arnedo, Del Pozzo, Gordio, De Ciocchis, mostrano chiaramente che la maggior parte dei terreni circostanti alle città di Palermo, Messina, Catania, Girgenti, Siracusa, Mazzara, Ce- falù e Patti (tutte residenze di antichi vescovadi) rendeva un censo ai rispettivi ve- scovi a titolo di enfiteusi. E son pure in simile condizione i terreni propinqui alle più antiche abbazie, prima che esse fossero state date in commenda, come quelle di Librizzi, di Lipari e di s. Michelangelo di Troina. Da che vennero meno i conventi e le numerose abbazie degli ordini Cisterciensi e Basiliani, e le abbazie stesse furono affidate in commenda, si videro piuttosto usur- pazioni per poca cura dei commendatarii, anzichè vere concessioni enfiteutiche. Que- sto fatto, unito all’altro che la maggior parte delle concessioni enfiteutiche minute si trova nei dintorni della residenza del vescovo e dell’abate, o nel luogo ove essi esercitavano giurisdizione baronale, mostra ben chiaramente qual'era il vero inte- resse ed il movente principale di tali enfiteusi: trovarsi in mezzo a gente devota e soggetta. Da ciò si scorge quale importanza aveva il dritto del laudo e della devoluzione, mercè di cui si poteva mantenere il prestigio signorile del vescovo, e si potevano escludere dalle sue terre tutti coloro che gli fossero avversi, o che non volessero pa- gargli il canone, Nei luoghi, ove il Titolare non risiedeva, o non ispiegava potenza baronale, ov- vero nel caso che l’abbazia fosse passata alle mani di un commendatario residente per lo più in una grande città lontana, gl’interessi dell’agricoltura venivano negletti, la enfiteusi dei terreni non protetta; ed in tal caso le usurpazioni più facili, spe- cialmente quelle in favore dei procuratori locali, dei parenti o degli amici di chi amministrava. Le concessioni antiche per parte della Chiesa, come per parte dei signori, si fa- cevano per canoni assai moderati, e quelli della Chiesa, in confronto, più moderati ancora. Egli è vero che in quei tempi il valore della moneta era assai superiore a quello che attualmente ha; e perciò, guardati ora i canoni antichi, sembrano molto più miti degli attuali: ma i canoni dei fondi della Chiesa sono in paragone talmente bassi, da non potersene ritenere sufficiente causa l'antico maggior valore della mo- neta. — Per fondi di ettara una circa di terra, o poco meno, si veggon canoni di DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 21 grana 5 siciliani (centesimi 10) ed anche di grana 3 (centesimi 6). Intieri fendi, di parecchie centinaia di ettare, son concessi a baroni, ovvero a chiese e conventi minori, per canoni che variano dalle onze due alle onze 50 siciliane (dalle lire 25, 50 alle lire 637, 50). Chi volesse verificare questa estrema mitezza di canoni, potrebbe osservare nelle regie sacre Visite sopra accennate le liste dei reddenti alle Mense vescovili cd alle principali abbazie. Questa mitezza era spesso la conseguenza di due diverse cause, o dello stato d’in- coltezza in cui giacevano i territorii ecclesiastici, talmente che, abbisognando una enorme fatica ed ingenti spese per dissodarli, si dovevano concedere per vilissimo canone, il quale piuttosto rappresentava una riconoscenza di dominio, anzichè una vera utilità del domino; ovvero del favoritismo di cui spesso erano vittima i beni amministrati dai Prelati, poichè i toro precuratori, parenti, amici, aderenti, ed an- che i baroni, la cui potenza in quel tempo era formidabile, acquistavano per sè e per le loro famiglie eccellenti estensioni di terreno ecclesiastico per un canone molto inferiore al giusto. Basta leggere le pretensioni di rivendica o di risoluzione di en- fiteusi che son riportate nella regia Visita del detto De Ciocchis per ogni Mensa, 0 per ogni Abbazia, a potersi convincere che era molto generale il sistema di ottenere per bassissimi canoni i terreni ecclesiastici. L’abate della sacra Casa della Magione in Palermo, dopo più di due secoli, do- levasi della concessione dell’intiero feudo Resalaimo, che aveva fatto a sè stesso ed a’ suoi eredi nel 1523 un certo Benedetto Ramo, procuratore di un abate di quel tempo. Altre simili lagnanze faceva l'abbazia di S. Maria di Nuovaluce per conces- sioni lesive del fondo di Nuovaluce e Nuovalucello, del tenimento del Giardinello e di altri molti pezzi di terra, che per tenui canoni erano stati censuati a favore del conduttore del feudo, di un convento di Agostiniani, di parecchi privati, ed an- che di un abate. La Mensa Vescovile di Catania si doleva del piccolo censo che pa- gava il principe di Biscari sul feudo delle Cripte e ne pretendeva almeno le decime, come pur le pretendeva per parecchi altri tenimenti che allor si possedevano per un tenue censo da baroni ed altri privati, non che dal monistero di Sant’ Agata e dal collegio Gesuitico. La Mensa di Cefalù lamentava |’ enfiteusi del feudo Bonfornello fatta dal vescovo Pontecorona ad Ornao Santacolomba per sole 25 salme di frumento in ogni anno (ettolitri 68, 77, 02); come pure lamentava la lesiva permutazione con- chiusa da un altro vescovo nel 1385 col conte Ventimiglia tra il gran feudo di £toc- cella proprio della Mensa ed il feudo A/ber2. L'Arcivescovado di Messina pretendeva ricuperare il feudo Ferlito mal concesso da un’arcivescovo Del Legno al duca di Ter- ranova, ed il feudo Casale del Vescovo concesso al duca di Montalbano; come pure molte altre terre e fondi che a diversi privati erano stati dati in enfiteusi con le- sione della Chiesa nella piana di Milazzo, e ne’ territori di Castroreale e Pozzodi- gotto. Molti feudi della Mensa Arcivescovile di Monreale erano alienati senza saper- sene il titolo. E finalmente lo Arcivescovo di Palermo aveva fatto istanza al Governo per essere reintegrato nei molti fondi ch’erano stati conceduti senza le necessarie 22 STORIA DELLA ENFITEUSI solennità; ma un rescritto luogotenenziale del 15 ottobre 1752 gli impose un per- petuo silenzio per tutte le antiche concessioni anteriori all'anno 1650; per le altre posteriori e sino al 1700 ordinò esaminarsi se fossero state legali, o pur no; disse nulle le concessioni dal 1700 in poi e doversi quindi reintegrare la Mensa colla di- retta incorporazione dei fondi concessi, meno però quelle fatte ai principi di Campo- franco e di Lampedusa ed al duca di Casalmeno, per le quali pendeva allora un esame. Tutto ciò mostra come già da gran tempo i fondi della Chiesa venivano in Sici- lia alienati per bassi canoni e con vero danno della stessa. Or però vedremo come tali enfiteusi sieno in seguito divenute assai più difficili e più rare. $ 5 Impedimenti che incontrarono le concessioni enfiteutiche della Chiesa. Questa stessa facilità, con cui si alienavano sotto forma di enfiteusi e per canoni assai vili i beni ecclesiastici, doveva generare il bisogno di porvi un freno. E ve- ramente in Sicilia non fu primo il Dritto Canonico a proibire cotali enfiteusi senza il consenso pontificio; ma invece furono i sovrani, che come regii patroni e come legati apostolici assoggettirono al loro assenso le concessioni enfiteutiche della Chiesa. Difatti fu per questo che la decretale Ambitiosae emessa da Paolo Il nel 1468 non potè ottenere l’ezequatur in Sicilia: essa fu considerata come lesiva dei dritti di regalia, essendo pur sempre appartenuto al Governo prestare l’assentimento alle alienazioni dei beni della Chiesa. Sono notevoli in proposito le consuetudini che in Sicilia sì erano introdotte. Era lo arcivescovo di Palermo che approvava la enfiteusi dei beni ecclesiastici e le locazioni oltre al triennio, non solo della sua diocesi, ma anche delle altre (1). Chiamato dalla Sacra Congregazione nell’anno 1733 l'arcivescovo Matteo Basile a render conto di questa consuetudine, egli la dimostrava antica, e ne adduceva per ragione lo escludersi in tal modo la ingerenza del tribunale laico da siffatte materie, nelle quali altronde non si sarebbe potuto ricorrere al consenso pontificio per la proibizione del Governo (2). Anche il vescovo di Catania soleva ap- provare per la stessa ragione le concessioni eufiteutiche dei beni ecclesiastici della sua diocesi, Ma per decisioni sinodali, nelle diocesi di Messina, Monreale, Siracusa e Mazzara, l’assenso pontificio era chiesto sotto pena di nullità; e perciò quei vescovi si volgevano secretamente alla Sede romana per domandarle il suo beneplacito. Il regio ed apostolico Visitatore De Ciocchis aveva procurato in bel modo di metter ter- mine alla vertenza, determinando che fossero insieme necessarii il regio ed il ponti- ficio consenso; ma Carlo HI non approvò questo decreto, anzi stabili esser necessa- (1) Muta, Consuet. panorm. anno 1609. (2) Dichiara, Adnotationes ad rem canonicam e siculo jure, XLII. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 23 rio il solo placito del re nell’ enfiteusi dei beni del real patronato. Con due dispo- sizioni del 1778 e del 1785 Ferdinando III dichiarò di sua esclusiva competenza l’ap- provazione dell’enfiteusi ecclesiastiche, e la proibi ai vescovi; e nel 1810, per cal- mare alquanto i vescovi, ammise il loro intervento insieme con quelio di un magistrato laico per approvarle; che se i vescovi credessero di dovere implorare l’assenso del pa- pa, dovrebbero prima dirlo al re, onde egli decidesse se fosse luogo a domandarlo. Final- mente con real rescritto del 20 ottobre 1819 fu in massima dichiarato necessario il consenso del vescovo e del tribunale nelle alienazioni dei beni ecclesiastici, e per quelli dei conventi con altro rescritto del 15 settembre 1821 il consenso del Giu- dice della Monarchia ed apostolica Legazia, in ultimo poi l’approvazione del re. Però non si deve lasciar di osservare che le proibizioni di concedere in enfiteusi senza il reale placito, in quei tempi, riguardavano i benefizii maggiori e minori di regio patronato, e quei conventi e monisteri che dalla Corona erano stati dotati. Per tutti gli altri non erano stabilite forme speciali, nè era necessario il regio assenso per convenire aiti di enfiteusi, o locazioni ad longum tempus, le quali furono poi equiparate a vere enfiteusi, Cotali restrizioni per parte della Curia pontificia e per parte del Governo, benchè mirassero ad uno scopo legittimo, cioè ad impedire l’ arbitrio degli amministratori ecclesiastici ed il danno della Chiesa, pure dal lato economico generavano lo infau- sto effetto di render vieppiù difficile il passaggio di tutti quei latifondi, dalla mano- morta che non poteva ben coltivarli, alle mani vive dei privati cui soltanto spetta il ben produrre ed il commerciare. Imperocché, le difticoltà di far pervenire le do- mande di concessioni enfitentiche sino al centro del Governo civile o dello ecclesia- stico, e tutto il sistema d’informazioni che diveniva indispensabile per poter otte- nere il consentimento dell’una o dell’altra autorità, erano altrettanti ostacoli alla co- stituzione di legittime enfiteusi; ed erano ostacoli insormontabili specialmente per la concessione dei piccoli fondi a beneficio dei minuti agricoltori, non valendo quei fondi stessi la spesa che sarebbe stata necessaria pel conseguimento del richiesto permesso. Perlocchè, non ostante cotali proibizioni e minaccie di nullità agli atti, e di scomu- niche per parte del Pontefice, veggonsi in quei periodi molte enfiteusi stipulate sot- tomano, e spesso poi il Governo medesimo era obbligato a sanarle, o ad imporre il silenzio ai Titolari successori che mostravan la volontà di rivendicare i fondi, per la impossibilità di spiantare lunghi possessi e di far retrocedere, dopo tanti bene- fizii, le terre agli antichi padroni ecclesiastici. Era questa una tacita lotta tra le necessità economiche, le quali sotto 1’ aspetto degl’ interessi privati producevano il bisogno di far passare le terre alle mani che potevano ben coltivarle, e tra le necessità giuridiche le quali nou potevano ammet- tere nel solo amministratore dei beni della Chiesa 1’ ampio dritto di proprietà per alienarli a suo talento. Pur nondimeno, quelle occulte concessioni non potevano riuscire proficue alla ge- neralità dei coltivatori, erano sempre poche in relazione al bisogno, e sopra tutto 24 STORIA DELLA ENFITEUSI abbracciavano vasti tenimenti, i quali per lo più si concedevano ad alti signori, a chiese cd altri enti privilegiati, che non potevano farne prosperare la coltura, Fu questo un primo impedimento all’enfiteusi dei beni ecclesiastici : la necessità di centralizzare nelle mani del Governo la tuizione dei dritti della Chiesa nelle alie- nazioni che facevano i suoi amministratori, Un altro impedimento più tardi venne fuori da un lato donde meno si sarebbe at- teso, cioè dall’applicazione incompleta de’ principii liberali, dalle leggi proibitive del- l’amortizzazione. È ben noto come il Governo napoletano, sotto la inftuenza de’ prin- cipii venuti dalla scuola di Pisa per mezzo del Tanucci, cui Carlo III aveva affidato la direzione del suo figlinolo Ferdinando, molte leggi aveva fatte dal 1769 in poi per vietare alla Chiesa i nuovi acquisti, e per rendere allodiali i beni che la Chiesa stessa aveva fin’allora concesso ai privati. Colla regia Prammatica del 31 agosto 1771 (Documento A) si stabili espressamente che i beni concessi in enfiteusi dai Luoghi Pii dovessero considerarsi come allodiali del concessionario in ogni genere di com- mercio, sotto îl peso dell’antico canone; che questo canone non si potesse mai au- mentare; che l’enfiteuta potesse liberamente alienare i fondi, anche quando fossero stati concessi durante una sola esistenza, o durante una linea; che tali fondi si po- tessero devolvere per mancato pagamento di tre anni, o per abuso e per notevoli deterioramenti i quali ne alterassero la natura; in questo stesso caso ordivavasi do- versi i fondi riconcedere pel medesimo canone ad altro individuo laico e giammai ecclesiastico, il quale dovrebbe pagare al precedente enfiteuta, o al conduttore, tutte le migliorie che vi avessero fatto; finalmente le locazioni ad longum tempus (cioè quelle che sorpassano i nove anni, o che si rinnovano da sè stesse in forza del pri- mitivo patto) dovessero riguardarsi come vere enfitensi, e dovessero perciò produrre gli effetti sopra cennati. E con altra Prammatica del 7 marzo 1772 aggiungevasi che il laudemio, cioè il dritto per il laudo, avrebbe dovuto pagarsi alle Chiese, soltanto nel caso che si fosse espressamente convenuto, o che fosse solito pagarsi. Con queste leggi, che evidentemente miravano a migliorare la condizione degli agricoltori e a diminuire i dritti signorili della Chiesa nei contratti d’ enfiteusi, si venne per indiretto ad ottenere (ciò che pur non sì sarebbe creduto) un effetto quasi intieramente opposto, cioè uno impedimento a tutte le altre nuove enfiteusi, essen- do vennto meno l’interesse degli ecclesiastici a concedere per la diminuzione dei loro dritti, e non essendosi dato ai medesimi il contemporaneo obbligo di concedere tutti i loro beni, o almeno non avendo mai mandate ad effetto tutte le anteriori regie di- sposizioni che obbligavano la Chiesa ad alienare in favore di laici tutti i suoi beni (1). (1) Federico Il, seguendo i vestigii dell’imperator Federico , nel capitolo XXIII aveva sancito doversi vendere dai prelati delle chiese, infra lo spazio di un anno, un mese, una settimana ed un giorno, tutti i fondi urbani o rustici che loro perverrebbero per qualun- que titolo di alienazione o di ultima volontà, cioè i beni demaniali ad uomini del dema- nio, i feudali ai vassalli. E nel 1651 si ordinò che 1 beni feudali e misti imperi si doves- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 25 Ed in vero, al momento.in cui quelle Prammatiche venivan fuori, i fondi della Chiesa siciliana erano nella minor parte concessi ad enfiteusi, e tuttavia il maggior numero era in potere dei Titolari; sicchè il beneficio delle sudette Prammatiche non poteva che a quei soli pochi applicarsi. Intanto la Chiesa, dopo aver veduto menomare i suoi più preziosi dritti signorili nell’enfiteusi, e scorgendosi divenuta da meno degli altri baroni, poteva più avere uno stimolo a fare delle nuove concessioni, e a dare con quel mezzo ai coloni tutta la gran massa di terreni che essa ancora riteneva? Da quel tempo infatti mon si veggono più concessioni enfiteutiche per parte dei più cospicui dignitarii della Chiesa, e soltanto qualche frate, o qualche piccolo he- neficiato, pattuiva contratti di enfiteusi, o locazioni a lungo tempo in quella guisa, per lo più a favore dei loro parenti o dei loro amici. Essendosi dovute esaminare dalla Soprintendenza delle Commissioni, per l’applicazione della legge 10 agosto 1862, parecchi atti enfiteutici e locazioni a lungo tempo posteriori alle Prammatiche del- l’anno 1771, si è costantemente rilevato che quegli atti erano esclusivamente sti- pulati da priori ed abati a favore dei loro aderenti. Se n’è trovato un buon nu- mero ne’ circondarii di Messina, di Castroreale, di Patti e di Modica. Ecco dunque nato dalla incompleta applicazione di leggi liberali un altro impe- dimento alla concessione enfitentica dei numerosi beni che tuttavia restavano presso i beneficiati maggiori. Essi con quelle leggi erano disinteressati a concedere quindi innanzi, perchè i fondi sarebbero usciti per sempre dalle loro mani, colla impossi- bilità di più aumentarne il canone; e sopra tutto non più avrebbero avuto quell’alta potestà signorile d’impartire il loro consenso nelle alienazioni dell’utile dominio, sic- chè avrebbero dovuto vedere presto o tardi nei propri terreni individui loro esosi, forse inobbedienti alle leggi della Chiesa, e chi sa pure, scomunicati. Iutiepidirono perciò i vescovi nel concedere ad enfiteusi, nè più si videro quelle grandi e bene- fiche concessioni ch’erano state fatte nel secolo XVII dai due venerandi Prelati di Catania, De Maximis e Bonadies, i quali diedero così a coltivare nella costa orien- tale dell’Etna più che 2000 salme di terra (ettare 3500 circa), nè l’estese enfiteusi degli arcivescovi di Monreale da cui ebbero origine i più belli giardini delle pendici di Monreale e della vallata di Palermo, nè più le ampie concessioni dei commenda- tarii dell’abazia di Mascali che diedero principio a tutti quei fruttuosi vigneti della contrada orientale di Sicilia, Anzi è notevole che, mentre da un lato venivasi a riforme in senso liberale, lo Stato faceva impugnare le concessioni stesse fatte da quegl’illustri vescovi di Cata- nia, allegando (cosa mirabile in bocca dello Stato) che i vescovi erano dai Canoni proibiti di concedere; e fu la giustizia dei Tribunali, che considerando non aver lo Stato accordato l’exequatur a quelli Canoni, respinse le inopportune pretese del Fi- sco e confermò le concessioni, sero alienare dalle chiese in favore di laici capaci di dominio, sotto pena di farli passare al Fisco ove i vescovi ricusassero di obbedire. Giornale di Scienze Nat. ed Econ., Vol. VII, Parte II. 4 26 STORIA DELLA ENFITEUSI Sicchè, mentre alla Chiesa non si dava l’obbligo di concedere forzosamente, le si toglieva ogni buona inclinazione alle nuove concessioni, togliendole i privilegi più van- taggiosi dell’enfiteusi, e combattendo anche le concessioni già fatte, Vennero finalmente a colmar la misura il real rescritto del 20 ottobre 1819 ed il real decreto del 1° dicembre 1833 sulle forme necessarie all’alienazione dei beni ecclesiastici (Documenti B e C). Con quest’ultimo decreto si volle stabilire il procedi- mento che dovea seguire qualsiasi ente ecclesiastico nell’alienazione de’ suoi fondi, sia per vendita, sia per enfiteusi, permuta od altro. Le solennità furono prescritte con tanta ampiezza e con tale lungaggine, da parere apposta fatte per istancare chic- chessia, per non far più succedere nessuna alienazione e far rimanere alla Chiesa i moltissimi fondi che essa ancora deteneva, col detrimento della pubblica economia. Pria di tutto, fattasi la domanda per concessione di un fondo ecclesiastico, dove- vasi chiedere il consenso del Titolare; se questi era un beneficiato minore o un mo- nastero, dovevasi pure ottenere l’assenso del vescovo; se fosse stato un convento, bi- sognava l’annuenza del superiore dell’Ordine, almeno del Provinciale (il quale alla sua volta ne chiedeva sempre il permesso dal Generale in Roma, e questi dalla Santa Sede), e quindi abbisognava l’avviso del Giudice del Tribunale della regia Monarchia. Dopo tutto ciò, era necessario il parere del regio Procuratore presso il Tribunale ci- vile. E quando tutto fosse stato favorevole, il Tribunale medesimo ne doveva ordi- nare l’incanto sulla base del canone o del prezzo ch’era stato offerto. Pubblicavansi gli avvisi sui giornali d’ Intendenza (giornali di ciascuna provincia), ed era quindi lecito a chiunque lo aumentarvi. Questo incanto primo era soltanto preparatorio, e poi ne bisognava un altro definitivo, che si annunziava del pari su i giornali; ed anche questo non cera definitivo veramente, perocchè dovevano riaprirsi, vi fossero 0 non vi fossero offerenti, altri due incanti pubblici per anmentarvi prima il decimo e poi il sesto. E tutte queste formalità di aste, con termini e scadenze precise, sotto pena di nullità. Finalmente, dopo tutte le solennità, dovevasi chiedere l’approvazione sovrana sul risultato dell’ultima licitazione. — Quante persone si dovevano mettere in movimento, quante spese abbisognavano, per la più sparuta enfiteusi! Soltauto per quei fondi piccolissimi, il cui valore non sarebbe bastato per pagare le spese delle licitazioni, riserbavasi il Governo potervi dispensare. Ma tutte le for- malità anteriori all’incanto erano pur sempre indispensabili. E quanto pur non bi- sognava per ottenere in quei tali ristretti casi la sudetta dispensa! Si aveva ri- guardo alle spese d’asta, ma non si mettevano a calcolo tutte le altre spese di viaggi, di lontane corrispondenze e di avvocati! Chi avrebbe voluto mai iniziare un proce- dimento per enfiteusi di beni ecclesiastici sotto l’impero di tali prescrizioni? Perciò da quel tempo divennero rarissime le concessioni enfiteutiche in questa forma. Pur non si lasciava di stipularne qualcuna sottomano, secondo il passato: erano delle piccole concessioni che non potevano dare all’occhio, e quasi sempre in favore de’ più stretti parenti ed amici del Titolare. Si proibi financo ai notari con Ministe- riale di stipulare tali atti, si sanci non esser necessaria sentenza di giudice per di- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 27 chiarar nulle siffatte concessioni, essendo esse invalide dpso jure, siccome fu detto al Vescovo di Aquila con Rescritto del 1838; pur nondimeno, in questi ultimi tempi in cui si è applicata la legge del 10 agosto 1862, si sono scoperti molti fondicelli che erano stati alienati senza le prescritte solennità e con atti clandestini di enfiteusi, che i notai, non ostante il divieto, si permettevano di eseguire, Ciò avveniva in una certa larga scala ne’ circondarii di Cefalù, di Patti e di Castroreale, ove era più im- pellente il bisogno delle piccole enfiteusi per la montuosità dei Imoghi e perla ne- cessità di beneficarli. i Intanto, queste minute infrazioni alla legge, se mostravano il bisogno economico che spingeva a commetterle, e perciò la incoerenza della legge istessa, non giunge- vano a far concedere in enfiteusi tutta quella massa di fondi che era pur necessario sottrarre alla manomorta. Chi guarda tutta questa serie di avvenimenti, è costretto a concludere che le leggi canoniche e civili, e tra queste ultime anche quelle dettate da spirito liberale, non fecero che render sempre meno possibile il passaggio delle terre dalle mani della Chiesa alla libera industria dei privati. $ 6 Prime tendenze alla forzosa enfiteusi dei fondi ecclesiastici. Egli è evidente, per quanto abbiamo sin qui considerato, che presto o tardi do- veva nascer l’idea di rendere obbligatoria l’enfiteusi, cioè la migliorazione dei beni ecclesiastici, di circondarla insieme di tutte quelle garanzie che sarebbero necessa- rie per non far dilapidare il patrimonio della Chiesa e per collocare ancora gli agri- coltori nelle condizioni più favorevoli allo sviluppamento della loro industria. Lo ab- biam veduto, le leggi che cercarono d’infrenare l’arbitrio delle concessioni negli am- ministratori del patrimonio ecclesiastico, e quelle che vollero diminuire i privilegi si- gnorili nell’enfiteusi della Chiesa per render meglio commerciabili i fondi come ve- ramente allodiali, non produssero in ultimo che una conseguenza opposta alle neces- sità economiche del paese, menomarono la voglia di concedere e ne restrinsero la possibilità. Il peggio si fu che dopo il 1824, per effetto di quella legge da noi sopra men- zionata ($ 1) sull’assegnazione forzosa all’oggetto di liberare le case signorili dai gravi oneri delle annue prestazioni, molti latifondi ch’erano di proprietà baronale, e che per le leggi eversive del fidecommesso erano già divenuti commerciabili, passarono nel dominio delle Chiese, essendo stati loro assegnati dai magistrati in compenso dei capitali che i baroni avevano preso dalle casse esuberanti delle stesse Chiese, ed in compenso degli arretri ch’essi dovevano per l’annua loro fruttificazione. Perlocchè quei latifondi dalla incommerciabilità feudale, da cui recentemente erano usciti, ricad- dero nella incommerciabilità ecclesiastica, che è stata sempre la più dura e la più tenace. Il bisogno adunque di ordinare, per ragion di pubblica utilità, l’enfiteusi dei ter- 25 STORIA DELLA ENFITEUSI reni ecclesiastici divenne assai più vivo e più urgente. Nè si potrebbe abbastanza stigmatizzare la poca opportunità del decreto 1° dicembre 1833, il quale, mentre rientravano tutti ad un tratto nel patrimonio della Chiesa cotanti latifondi, veniva a restringere con interminabili e dispendiose procedure la possibilità di far passare nel dominio dei buoni agricoltori, tutti quei fondi non solo, ma anche la gran massa dei fondi antichi, di cui ancora non si era resa commerciabile che una assai pic- cola parte. Si racconta infatti che Ferdinando II, poco dopo quel decreto, vide egli stesso coi suoi occhi il bisogno di ordinare la immediata censuazione forzosa dei latifondi ec- clesiastici di Sicilia. Avendo fatto un viaggio nel 1838 per le provincie occidentali dell’isola, lo dice egli stesso, restò colpito delle interminabili lande coperte di soli cefaglioni e di lentisco, insieme alle quali vedevasi la più profonda miseria e l’abbru- timento di vagabondi pastori, d’ignavi contadini e legnaiuoli. Quelle lande erano i feudi delle Mense vescovili di Girgenti e di Mazzara. Allora egli fece in cuor suo il proposito di comandare la censuazione, per lo meno dei fondi di regio patronato; e mantenne il proposito appena giunto in Palermo, avendo emesso il real decreto del 19 dicembre 1838 (Documento D), Però, quel decreto non avrebbe abbracciato che una sola parte dell’ antico patri- monio della Chiesa, cioè quello che provveniva da concessione regia, o che era ri- caduto nel regio patronato per effetto della soppressione di antichi monasteri ed ab- bazie, e pei dritti di ryegalza vigenti in Sicilia. La gran parte dei fondi pertinenti a conventi e monasteri tuttavia in piedi, e quelli pur numerosi de’ beneficii non sog- getti al regio patronato, non erano colpiti dallo imperio di tal decreto; e tra i fondi di tal natura erano appunto quelli che le chiese, i conventi e monasteri, avevano acqui- stato per l’ assegnazione in virtù della ripetuta legge del 1324. Il sudetto decreto stabiliva una Commissione in ogni provincia per eseguire le opera- zioni della censuazione e per invigilarne in seguito l’adempimento dei patti; ma la Commissione era composta di uomini quasi tutti gravati d’immensi altri affari. Vo- leva la divisione in quote non maggiori di 4 salme (ettare 7 in circa), permettendo le quote maggiori se il terreno non fosse tutto fertile, o fosse molto distante dal co- mune. Ordinava doversi fissare il canone mediante apprezzi, tanto in denaro, che in prodotti. La licitazione sopra tali basi doveva aver luogo innanzi la Commissione, ma ciascuno non poteva concorrere che per una sola quota, e mai in nome altrui. Non sarebbero stati ammessi a licitare, se non che gl’individui della stessa provincia ove erano i fondi, ed in caso non fossero stati bastanti, si sarebbero chiamati quelli di altre provincie; non sarebbero stati ammessi che i coltivatori esperti e commende- voli per morale, e tra questi a preferenza i capi di famiglia. Doveva esservi in somma un giudizio della Commissione sulle qualità di coloro che potevano essere ammessi ad offerire. Tutte le operazioni avrebbero dovuto esser cominciate improrogabilmente a 1° fobbraio 1839. Noi esamineremo più tardi i principii fondamentali che campeggiano in quel de- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 29 creto. Per ora giova osservare che in onta a tante premurose espressioni, ed in onta agl’improrogabili strettissimi termini assegnati, esso rimase lettera morta, nè fa fatta la menoma cosa che almen da lontano accennasse a volergli dare esecuzione; sic- chè il desiderio degli agricoltori siciliani, eccitato da quel decreto, rimase frustrato. Taluni in un tale decreto, gittato là come un’offa senza realtà, vollero vedere un subdolo artifizio, destinato ad ingannare le popolazioni dopo il viaggio del re. In fatto però la vera causa della inesecuzione era nella bigotteria e mal ferma volontà del Sovrano, che, trovata resistenza da parte della Corte papale, cui i vescovi deferi- rono sottomano le loro lagnanze, non seppe mantenere alcuna forza al suo decreto: non l’aboli, non ne ebbe il coraggio, ma lo lasciò tra gli archivii di Stato, carta inef- ficace e monumento di regia velleità. Or perchè mai i vescovi di Sicilia non dovettero accogliere con piacere quel de- creto? e poichè essi facevano parte della Commissione, perchè non se ne resero caldi esecutori? Essi avrebbero potuto accrescere la loro rendita concedendo in lotti di- screti quei latifondi, e nel tempo stesso si sarebbero resi benemeriti delle popola- zioni agricole, alla cui miseria solevano soltanto occorrere coll’obolo dell’elemosina. Ma queste ragioni di pubblico bene e di proprio interesse non prevalsero nel loro animo. L’enfiteusi non aveva più le antiche apparenze baronali; essa poi avrebbe dismembrato i fondi, e lasciandoli al libero commercio, li avrebbe assai frazionati: perciò avrebbe resa più incomoda, forse anche più temibile al vescovo, la esazione di tanti minuti canoni. Si cominciò pure a mettere in mezzo il pretesto che colla prescrizione decennale del compratore, di cui non si sarebbe potuta provare la mala fede, avrebbero po- tuto liberarsi i fondi dal peso del canone, vendendoli senza tal peso e pagandone in- tanto il canone per le mani dello stesso enfiteuta, per non adombrare il domino sino a che si compisse il decennio. Questa malizia, veramente possibile nella sfera delle prescrizioni del codice, sarebbe stata facilmente evitabile, se il domino avesse lo- calmente curato la cosa sua, se avesse cioè veramente veduto nel periodo non breve del decennio chi possedeva il suo fondo, chi ne soddisfaceva in realtà i tributi ed il canone, essendo impossibile durare per tanto tempo una di quelle finzioni, sicchè l'interessato non se ne accorgesse e non vi trovasse il rimedio. Ma il pretesto era il- ludente, e giovava pure metterlo in campo. Io ebbi ad entrare in una discussione su tale argomento nel 1850 presso uno di di cotesti Monsignori (1). Sin dal 1845 io aveva avuto l’ardire di scrivere a re Fer- dinando una memoria per incitarlo a far eseguire la ordinata censuazione dei beni ecclesiastici, baldanza giovanile che mi fruttò allora una piccola persecuzione di po- lizia. Caduto quindi in taglio quello argomento nella conversazione del Monsignore, non lasciai di patrocinarne la necessità ed il vantaggio da tutti i lati, anche da quello dell’interesse di lui; ma, ad ogni speranza ch’io poteva concepire per l’ ela- (1) Antonio Salomone, allora vescovo di Mazzara. 30 STORIA DELLA ENFITEUSI stiche risposte del Prelato, successe la completa delusione, quando mi avvidi che egli arrendevasi molto volentieri ai consigli de’ suoi cortigiani, cui non pareva con- veniente che il vescovo, già sicuro delle sue esazioni dalle poche mani di ricchi fit- inarii, dovesse con l’enfiteusi acquistarsi uno sterminato numero di piccoli debitori, che tutti sarebbero divenuti suoi nemici, — Erano queste le ragioni che prevalevano nell’animo dei prelati siciliani per distornarli dal compiere un bene pubblico sì gran- de, e dall’ubbidire ad un decreto esplicito del re. Pure questo decreto, ch’era in sé stesso la espressione di un bisogno economico del paese, quantunque ineseguito, accese vie maggiormente il desiderio de? siciliani, spe- cialmente nelle provincie di Girgenti, di Trapani e di Catania, ove per l’ampiezza . de’ territorii ecclesiastici e per l’accresciuta speculazione agraria se ne sentiva vie più la necessità. $ 7 La forzosa enfiteusi ordinata sotto la Dittatura. Il 1° agosto 1860 io sedeva presidente del Consiglio Civico di Salemi, mia pa- tria, ed allora proposi al Consiglio di pregare il Prodittatore ad ordinare in favore del mio comune la forzosa enfiteusi dei latifondi ecclesiastici esistenti in quel ter- ritorio, acciocché il comune istesso, unico debitore in faccia a’ Titolari ecclesiastici (per togliere loro il pretesto del frazionamento dei canoni) ne avesse poi fatta la ri- concessione enfitentica a quel migliaio circa di famiglie rustiche, le quali manca- vano affatto di terreni coltivabili. Questa proposta fu motivata sullo stato d’incoltezza e sul numero di quei latifondi, sulla necessità di creare piccoli proprietarii locali, e finalmente sui servigi speciali che Salemi aveva reso ‘alla rivoluzione avendo esso pria d’ogni altri conferito la dittatura al Generale Garibaldi, avendolo equipaggiato e provveduto di tutto per il combattimento di Calatafimi e sino al suo ingresso in Pa- lermo (1). La proposta fu accettata dal Consiglio e caldamente da me raccomandata al Commissario della Dittatura, il quale la propagò negli altri comuni chiedendo pure il loro appoggio, e quindi la rassegnò al Prodittatore (Documenti E, F). Il comune di Girgenti faceva in settembre 1860 una egual domanda, e per mezzo del suo Go- vernatore la faceva pur raccomandare quasi nel momento stesso, in cui stava per ordinarsi il plebiscito siciliano. Uscì quindi il decreto prodittatoriale del 18 ottobre 1860 (Documento G) come con- tinuazione al real decreto 19 dicembre 1838 e come complemento ed estensione di (1) Il Generale Garibaldi potè soltanto porre il piede sulla spiaggia di Marsala senza però averne alcun soccorso, pel timore dei legni borbonici che invadeva quella popolazione. Fu in Salemi, città interna, a distanza di 30 chilometri circa da Marsala, ove potè trovare cibo, mezzi, affettuose cure e soccorsi di ogni genere, sicchè egli ne fece il quartier generale della rivoluzione, sino a che non entrò in Palermo. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 31 quella interessante misura a tutto il patrimonio delle Chiese di Sicilia. Ed a quel decreto segui pure un regolamento, dopo già votato il plebiscito (Documento H). Giova analizzare le basi principali di quelle prodittatoriali disposizioni. Nella generalità le idee dominanti son le stesse del decreto del 1838. Le modi- ficazioni più sostanziali sono state le seguenti: 1° estensione della enfiteusi forzosa a tutto il patrimonio ecclesiastico, sia di patronato regio o privato, sia del clero regolare; 2° un altro criterio speciale per istabilirne la rendita, cioè quale dei tre risultasse maggiore: imponibile fondiario, affitto ultimo ed affitto corrente; 3° nuovo modo di conceder le terre, cioè quelle di una a due salme col sorteggio tra coloro che ne faranno domanda, quelle di maggiore estensione colla subasta, per poter pre- ferire l’offerta maggiore, ed in caso di parità preferire l’offerta più antica: dopo 20 giorni si celebrerà un’asta diffinitiva sulla base della offerta accettata; 4° quando i verbali di aggiudicazione diffinitiva saranno dal Governo approvati, allora diverranno cosa finita ed avranno tutti i privilegi del titolo autentico ed esecutivo. La estensione della forzata enfiteusi ai beni ecclesiastici di qualunque natura era un vero progresso, poichè sanzionava il principio generale che la manomorta non deve possedere beni fondiarii, i quali appunto per la incommerciabilità, di cui essa li colpisce, si rendono poco o nulla fruttiferi, stazionarii, nocevoli alla pubblica e pri- vata economia. Però appunto perchè l’enfiteusi doveva estendersi a tutto il vasto pa= trimonio ecclesiastico, non era più possibile affidarne l’incarico ad una sola Commis- sione per ogni capoluogo di provincia, siccome aveva fatto il decreto del 1838. E tanto più che i componenti ciascuna Commissione, secondo l’articolo 1° del Regola- mento, avrebbero dovuto essere individui gravati di molti altri affari del proprio ‘ufficio, cioè il Governatore della provincia (Prefetto) da presidente, il Procuratore regio presso il Tribunale, il Direttore dei rami riuniti (dazii indiretti e demanio), il Vicario diocesano , ed il più anziano de’ Consiglieri di Governo (Prefettura). Con tali persone sarebbe stato ben difficile ottenere un movimento spedito nella censua- zione di tutti quei beni, tra i quali erano pure da quel decreto compresi gli ur- bani ed i pii laicali. Le alienazioni dei beni di manomorta avevano avuto in Sici- lia la disgrazia di non potersi compiere celermente ed in larga scala, le poche volte in cui vennero ordinate dal Governo, appunto per questo difetto che se ne affidava la esecuzione ad una Commissione centrale, come nelle vendite dei fondi dei sop- pressi conventi ed abbazie sulla fine del secolo XVIII e su’ principii di questo se- colo, ovvero a sole Commissioni provinciali, come nella vendita dei beni de’ Luoghi pii laicali per il decreto del 16 febbraro 1852; e sempre sceglievansi uomini emi- nenti in autorità, carichi di molti proprii ufficii, per eseguire queste alienazioni: sic- chè le Commissioni si univano assai di rado, nè progredivano gli affari con quella solerzia , con cui li avrebbero condotto uomini forse meno autorevoli, ma dedicati di proposito a questo scopo. Onde le vendite di quei beni, benchè essi non fossero così numerosi quanto quelli di tutte le Chiese, non sì finirono mai completamente dopo tanto tempo. Doveva questa essere una lezione utile per imparare che la cen- 32 STORIA DELLA ENFITEUSI suazione dei beni ecclesiastici avrebbe dovuto affidarsi ad un maggior numero di Commissioni, composte bensi di un sufficiente numero di persone scelte, che con piena garenzia si sarebbero potute dedicare al compimento immediato di questo interes- sante scopo. Il modo di fissar la rendita avrebbe fatto piantare come base dell’enfiteusi la mag- giore tra le rendite recentemente ricavate, cioè la catastale, quella dell'affitto ulti- mo, e quella dell’aflitto corrente. Egli è vero che con questo sistema si sarebbe evi- tato il metodo tanto arbitrario e pieno di frodi, qual'è quello degli apprezzi, ch’era stato ammesso dal decreto del 1838; poichè in tal guisa si sarebbe cavata la rendita da elementi inalterabili ed assicurati in antecedenza all’ applicazione della enfiteusi. Pur nondimeno, escludendo comunque la media tra i diversi affitti e fer= mando la maggiore tra le rendite dell’attualità, si ha l'inconveniente di non met- tere a calcolo le variazioni che i prodotti della terra danno, per le speciali vicende cui sono soggette l’agricoltura ed il commercio. Pretendere a forza la maggior rendita attuale è spesso causa di deserzioni dell’incanto, perchè il buon calcolatore osserva che il fitto esagerato di un anno non può costantemente sostenersi, E perciò è più saggio lasciare alla libertà dei concorrenti il ragionevole aumento sopra una base media, anzichè fissar dapprima la rendita maggiore. Ma forse questo sistema fu scelto per porre un termine fisso a quelle concessioni, che si dovevano fare senza gara d’ asta e soltanto col sorteggio per le quote non maggiori di due salme, all’oggetto di non concedere in tal modo i fondi per un ca- none inferiore al reddito che se n’ era ricavato sino al presente. Le maggiori quote non dovevano eccedere le salme 6 (ettare 10, 47, 76) e giu- sta l’ articolo 20 del Regolamento ogni attendente non avrebbe potuto prendere a censo, che una sola quota. Quest'ultima era una disposizione conforme a quella dell’ar- ticolo 10 del ripetuto decreto del 1838. E come quel decreto, fissando la ordinaria misura delle quote in 4 salme, permetteva pure di eccederla quanto si volesse, qua- lora si trattasse di terreno non fertile, o di terreno seminabile misto a rampante, o distante assai dal comune (articolo 7), così la Prodittatura, intendendo a fare uno sminuzzamento massimo dei latifondi ecclesiastici, ammetteva pure di potersi fare delle quote maggiori in quelle eccezionali circostanze. Ma chi avrebbe potuto impedire che si riunissero in una sola mano molte quote, anche dopo compiuta la censuazione, per mezzo della vendita, della permuta, della donazione e di altri simili atti? Le proibizioni di vendere o di donare queste quote, in perpetuo sarebbero state impossibili, perchè contrarie alla commerciabilità dei beni che si volevano appunto disammortizzare; ed a tempo determinato sarebbero state facilmente eluse per mezzo dei contratti di vendita, convenuti ora per avere effetto dopo il periodo della proibizione, aggiungendovi per tutto questo periodo una locazione a favore del compratore stesso colla maschera di un fitto anticipato. L’ esperienza aveva già dimostrato che siffatte proibizioni di alienare per un decennio nei censi- menti di terre comunali, ordinati dal caduto Governo borbonico, erano state defrau- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 39 date con tali arti. Era dunque impossibile ottenere in fatto ciò che prescriveva il detto articolo 20 del Regolamento, che ogni attendente non avesse che una sola quota. Era ancora un modo incerto ed a nessuno vantaggioso quello-che si voleva adot- tare per censuare le quote, cioè le piccole sino a 2 salme col sorteggio, e le altre coll’asta pubblica, nella quale dovevano esser preferiti i buoni capi di famiglia. Ed in vero, quante sarebbero state le quote che avrebbero dovuto lasciarsi piccole, sino alle 2 salme, e quante quelle di salme sei? Il tutto sarebbe rimasto nello arbitrio dei periti, arbitrio ben pericoloso quando da esso avrebbe dovuto nascere o la conces- sione a sorteggio, cioè per canone fisso e senza gara, ovvero la concessione all’asta colla necessità di subire una concorrenza. Le Commissioni, composte di uomini non conoscenti i luoghi, non avrebbero potuto-imporre freno allo arbitrio dei periti; e molto meno lo avrebbero potuto loro imporre i Titolari ecclesiastici, i quali, 0 mal- volentierosi, non si sarebbero apprestati alle operazioni di enfiteusi; o aventi inte- resse ad accrescer la rendita, avrebbero voluto che tutte le quote fossero state tali da mettersi all’asta, per destare la concorrenza; o finalmente inclinati a favorire qual- cheduno che per mezzo del sorteggio avrebbe potuto ottenere i loro fondi per ca- none mite e senza incanto, avrebbero preferito che tutte le quote si facessero pic- cole per poterle sorteggiare. La legge ed il regolamento della Prodittatura lasciarono tutte queste operazioni nella incertezza. Ma vi ha dippiù. Qual bene può fare la cieca sorte nel dividere il terreno agli agricoltori? qualunque terreno è forse adatto a qualsiasi coltivatore? chi può soste- nere questo paradosso? Se la sorte avesse balestrato l’ortolano sulla pendice di una montagna, il viticultore nel terrenò irriguo della pianura, il coltivatore dei cereali nelle boscaglie, e via via, come sarebbe stato possibile trarne un benefizio per l’a- gricoltura e pei singoli contadini? Si dirà: il cambio tra loro sarebbe stato ben possibile, e tutto sarebbesi appianato col comune contentamento. Ciò però proverebbe che ciascuno avrebbe dovuto esser libero di alienare la sua quota, e perciò impos- sibile mantenere il principio che abbia ciascuno una quota sola. Ma inoltre tutte queste transazioni sarebbero state facili ed anche prontamente possibili ? e le condi- zioni del cambio sarebbero state sempre pari, per eseguirlo con giustizia ? quanto danno intanto non ne avrebbero ricevuto la pastorizia e l'agricoltura per questo ge- nerale dissesto prodotto dal capriccio della fortuna? Né quegli stessi individui che avrebbero dalla sorte ottenuto una quota, sarebbero stati molto favoriti, perchè essi avrebbero dovuto pagare un canone fissato sulla base del maggiore attuale reddito, il quale non si sa se sarebbesi potuto sempre soste- nere. L'idea più giusta delle medie dal decreto della Prodittatura era stata esclusa. Che dir poi dell’attestato di moralità che sarebbe stato necessario per ammettere alla censuazione, sia nel sorteggio, sia nell’asta, i buoni capi di famiglia? quali con- seguenze odiose non avrebbe partorito questa discriminazione? E non è quasi sem- Giornale di Scienze Nat. ed Econ. Vol. VII. Parte II. È) 34 STORIA DELLA ENFITEUSI pre facile ottenere un attestato da questa o da quell’altra autorità? — Se si fosse yo- luta dare la esclusione a coloro che avessero riportata una condanna, si sarebbe fatto il torto di escludere dal benefizio dell’enfiteusi tutti gli emendati, i quali ve- ramente non sarebbero indegni di divenire buoni agricoltori. Ed in generale, qual largo campo non si sarebbe aperto all’ arbitrio per includere o per escludere sotto pretesto di moralità? Per ultimo è pur notevole che lo scopo di favorire il più minuto popolo, che la Prodittatura prefiggevasi, non sì sarebbe affatto conseguito. I poveri sono stati spesso lo zimbello di quei ricchi speculatori che sotto l’appannaggio della democrazia sanno far bene i loro interessi. Se le quote avessero fatto gola ad uno di questi specu- lanti per la mitezza del canone, non avrebbero essi lasciato di mandare al sorteggio un buon numero di loro prestanomi, tutti buoni padri di famiglia, ma gente inetta e povera, cui non si sarebbe potuta dare l’esclusione per taccia d’immoralità; e dopo il sorteggio, avrebbero facilmente concentrato nella loro mano con piccole mancie quasi tutte quelle quote per mezzo delle apparenti vendite, le quali, come abbiam dimo- strato, non si sarebbero potute mai proibire. Finalmente la Prodittatura faceva dipendere le singole censuazioni dall’approva- zione del Governo, cosa che non aveva fatto il regio decreto del 1838. Questa for- malità centralizzatrice praticamente non poteva costituire una efficace garanzia per il mantenimento delle regole sostanziali, ma avrebbe posto una delle solite interca- pedini per far molto costare l’operazione del censimento e per ritardarla. Non era degna certamente di un Governo liberale. Erano questi i principali difetti del decreto per la censuazione dei beni ecclesia- stici emesso dal Prodittatore; e perciò rendevasi necessario modificarlo; facendo sor- gere um’ altra apposita legge che ne riformasse in meglio le parti più sostanziali. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 35 DOCUMENTI DEL CAPO PRIMO (A) « Ferdinandus etc. « Spect. et Magn. Reg. Fid. dil. salutem. « Dopo del R. Dispaccio de’ 19 gennaio dato pella via della prima Real Segrete- ria di Stato, Casa Reale ed Affari Stranieri, partecipato da Noi con biglietto de’ due febbraio seguente, relativo alle sovrane risoluzioni riguardanti li nuovi acquisti che son vietati alli Luoghi pii ecclesiastici, ed altro de’ 15 giugno partecipato a 3 ago- sto 1771 per essere anco compresi negli anzidetti Luoghi pii ecclesiastici li Semina- rii; pella stessa via giunge ora altro R. Dispaccio dei 10 del p. p. agosto, per cui la M. S. per togliere nell’avvenire quei dubbii che insorger potessero nell’esecuzione del- l’anzidetta real determinazione, dispose perciò li seguenti capitoli: « 1. Sul dubbio se dopo le sudette reali dichiarazioni possa nell’ enfiteusi darsi luogo alla devoluzione a favore de’ sudetti Luoghi pii; e se quando si dia luogo alle devoluzioni, possano i detti Luoghi pii acquistare le migliorazioni, o accrescere il ca- none; e se nelle locazioni a lungo tempo possano mai espellere il conduttore o ac- crescere l’affitto; è venuto il Re coerentemente alle leggi del Regno ed agli ordini reali in dichiarare (sull’esempio anche di altri Stati cattolici e dello stesso Stato Pon- tificio) e per modo di dichiarazione spiegare, onde si comprenda anche il passato, che i beni conceduti dai sudetti Luoghi pii si considerino come allodiali del conces- sionario in ogni genere di commercio, sotto il solo peso dell’antico canone; che l’an- tico canone non si possa aumentare; che, finite o non finite le linee, possano i beni sudetti alienarsi dall’enfiteuta, e finite le linee passi il dominio utile ai di lui eredi anche estranei di esso; che l’enfiteusi sudette non si possano caducare, se non per canone non pagato per tre anni, o per abuso e deteriorazione tale del fondo che ne alteri notabilmente la natura; che i miglioramenti si devano all’enfiteuta o con- duttore da quel nuovo concessionario laico a cui si deva concedere il caducato; e che finalmente le locazioni ad longum tempus si considerino come enfiteusi e si os- servi in esse lo stesso che si è detto nell’enfiteusi: lasciando la M. S. le altre qui- 30 STORIA DELLA ENFITEUSI stioni che possano avvenire alla decisione dei giudici, i quali dovranno con lo spi- rito di questa sovrana disposizione e dichiarazione regolare le loro sentenze. « Do C CI L) o . LI CU] CU] o CU LI CL) U Ù) . C] C) CU] C) CL) C] . DL) 0 C) . « Palermo, a di 31 agosto 1771. — Il marchese Fogliani, « Pragnam, Tom. IV. Panormi, 1773. Tit. IV De vetita Bonorum Amortizzatione, lib. I, De rebus sacris. » (B) « Napoli, 20 ottobre 1819. s Nel Consiglio del di 12 del corrente ottobre ho fatto presente al Re ia domanda di codesto Ministero di Stato per la norma da tenersi dopo la installazione dei nuovi tribunali nelle alienazioni dei beni liberi e patrimoniali delle chiese, monasteri e luoghi pii ecclesiastici di codesta parte de’ reali dominii, e S. M. si è degnata or- dinare che nei casi di vendita, censuazione, permuta, ed alienazione di qualunque natura de’ diversi beni ecclesiastici e religiosi, sì osservi lo stesso metodo che si sta osservando in questa parte de’ reali dominii; cioè, che alle alienazioni delle quali si tratta devono precedere, la risoluzione de’ titolari delle chiese e corporazioni ec- clesiastiche e religiose prese capitolarmente, il parere dell’Ordinario diocesano, l’omo- logazione del tribunale civile della provincia, e l’approvazione della M. $. inteso il supremo Consiglio di Cancelleria (1). « Nel real nome lo partecipo ecc. — Marchese Tommasi. » (C) « Ferdinando II ecc. « Vedute le sovrani risoluzioni de’ 29 di marzo 1820 e de 17 aprile 1826 riguar- danti il metodo da doversi tenere nelle alienazioni dei beni immobili, nelle tran- sazioni e nel reimpiego dei capitali appartenenti alle Mense vescovili, alle Badie, ed a qualunque beneficio, del pari che alle corporazioni religiose; « Volendo che disposizioni dirette a ben tutelare il patrimonio della chiesa e dei poveri abbiano tutta quella estensione che si conviene, e che abbiano ancora ese- cuzione nei nostri reali dominii al di là del Faro; « Sulla proposizione dei Ministri Segretarii di Stato delle Finanze incaricato in- terinalmente del portafoglio degli affari ecclesiastici, di grazia e giustizia, e degli af- fari di Sicilia presso la nostra real persona; « Udito il nostro Consiglio ordinario di Stato; « Abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue: (1) Essendo stato abolito il supremo Consiglio di Cancelleria, ed a lui surrogata la Con- sulta generale del regno con legge del 14 giugno 1824, venne essa incaricata di discutere e dare il suo avviso sull’approvazione di tali contratti. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA dd « Art. 1. Non saranno valide senza la nostra sovrana approvazione le permute, le censuazioni, e qualunque altra alienazione di beni immobili appartenenti a corpo- razioni ecclesiastiche, a mense vescovili, a badie ed a beneficii. Lo stesso dee aver luogo per le transazioni delle detto chiese e dei luoghi pii succennati, @ Art. 2, Prima di rassegnarsi l’affare alla nostra sovrana approvazione, dovrà for- marsi il progetto del contratto dal corpo ecclesiastico radunato nelle legittime forme, o trattandosi di beneficii soggetti a patronato dovrà precedere l’assenso del patrono, ed al progetto stesso dovrà, previo l’avviso dell’Ordinario diocesano, impartirsi l’omo- logazione del Tribunale civile della provincia ove sono siti i beni, e darsi il parere della Consulta de’ reali dominii. « Art. 3. Presso i Tribunali civili, prima d’impartirsi la omologazione al progetto, dovranno eseguirsi le subaste colle formalità prescritte dalle leggi di procedura nei giudizii civili per la vendita de’ beni immobili dei minori, e salvi gli additamenti di decima e di sesta, che dovranno esser preceduti da nuovi manifesti, coll’ inter- vallo di cinque giorni prima di celebrarsi la subasta in grado di detti additamenti, Nelle subaste dovrà sempre apporsi la espressa riserva di non produrre verun ef- fetto, se non quando vi accederà la nostra approvazione, e qualora a Noi piacerà di accordarla. Dalla formalità delle subaste saranno esenti le transazioni e le per- mute. e Art. 4. Ci riserbiamo in qualche caso di urgenza o di evidente utilità dispen- sare nell’alienazione dei beni ecclesiastici alle formalità delle subaste, in vista del parere favorevole dato all’unanimità dalla Consulta de’ reali dominii ed inteso il no- stro Consiglio ordinario di Stato. « Art. 5. Le stesse disposizioni, eccetto quella che riguarda le formalità delle su- baste, dovranno eseguirsi nel reimpiego dei capitali che si restituiscono dai debi- tori delle dette chiese e corporazioni religiose, quando eccedono la somma di du- cati mille. Per quelli capitali che sono al di sotto di questa somma, dopo la deli- berazione del corpo ecclesiastico presa nelle legittime forme e l’approvazione dell’Or- dinario, dovrà dimandarsi la nostra sovrana autorizzazione, che ci riserbiamo di ac- cordare dietro il parere della Consulta de’ nostri reali dominii al di qua del Faro, I debitori però nel pagamento dei capitali di qualunque somma dovranno apporre la condizione del reimpiego, sotto pena del doppio pagamento a favore del corpo morale. « Art. 6. Ne’ nostri reali dominii al di là del Faro resta nel suo pieno vigore il sovrano rescritto del 5 settembre 1821, con cui fu risoluto che pe’ beni dei rego- lari, invece di sentirsi il parere dell’Ordinario, dee sentirsi quello del Giudice della regia Monarchia. « Art. 7. Pe beni ecclesiastici di nostro regio patronato ne’ suddetti dominii al di là del Faro debbono rimanere in vigore i sovrani stabilimenti e le osservanze che si sono sinora mantenute secondo i principii e nell’interesse della suprema regalia e del patronato. 38 STORIA DELLA ENFITEUSI « Art. 8. Per le disposizioni contenute nel presente decreto non s'intendono punto derogate le facoltà da Noi deferite al Conte di Siracusa nostro Luogotenente gene- rale in Sicilia per l’ approvazione delle censuazioni, permute, transazioni ed altri contratti delle corporazioni o dei titolari ecclesiastici dopo adempite le formalità pre- scritte dai regolamenti. i « Art. 9, I nostri Ministri Segretari di Stato delle Finanze incaricato interinal- mente del portafoglio degli affari ecclesiastici, di grazia e giustizia, il nostro Mini- stro Segretario di Stato per gli affari di Sicilia presso la nostra real persona, ed il nostro Consigliere di Stato Ministro Segretario di Stato presso il Conte di Siracusa nostro Luogotenente generale nei reali dominii oltre il Faro, sono incaricati della esecuzione del presente decreto. « Napoli, il di 1° dicembre 1833, i « Firmato: FERDINANDO. » (Seguono le firme dei Ministri) (D) « Palermo, 19 dicembre 1838. « Ferdinando II, ecc. « Intesi sempre al bene dei popoli, de’ quali la divina Provvidenza ci ha affi- dato il governo, abbiamo con amarezza del nostro real animo scorto, nel giro fatto per le provincie della Sicilia, vasti campi abbandonati, e l’agricoltura in molti al- tri ben estesi negletta. « Volendo quindi incoraggiare e promuovere la coltura di siffatte terre, perché possano numerose popolazioni utilmente impiegare le loro braccia e la loro industria, e però migliorare la propria esistenza e l’esistenza delle famiglie, estendersi la pro- prietà, la morale, la floridezza, progredire la pubblica civiltà; « Veduta la real determinazione del nostro augusto Avo di gloriosa rimembranza, communicata al Vicerè di Sicilia a’ 3 di novembre 1792, colla quale fu risoluto con- cedersi generalmente ad enfiteusi i beni-fondi appartenenti a’ prelati titolari di re- gio patronato: sapiente determinazione che le vicende dei tempi impedirono met- tersi ad effetto; È « Vedute le particolari disposizioni da Noi emesse su questo rilevante obbietto nei due scorsi anni 1836 e 1837, la cui esecuzione è andata a rilento; « E volendo che siffatte disposizioni non solo vengano adempiute colla massima pre- stezza, ma che siano anche estese e rendute generali a tutta la Sicilia, perchè sia assicurata e migliorata alla Chiesa la rendita dei fondi, che essendo in mano di usu- fruttuarii sono rimasti finora abbandonati o trascurati; « Sulla proposizione del nostro Ministro Segretario di Stato degli affari ecclesiastici presso di Noi in Sicilia; « Udito il nostro Consiglio ordinario di Stato; DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 39 « Abbiamo risoluto di decretare e decretiamo quanto segue: « Art. 1. Tutti i fondi di regio patronato esistenti in questa parte de’ nostri reali dominii, appartenenti a prelati, abbati, beneficiati ed altri titolari, sia che si tro- vino attualmente in sede piena, sia in sede vacante, saranno dati a censo. « Art. 2. Sono eccettuati dalla disposizione contenuta nel precedente articolo quei fondi che si trovassero attualmente ben coltivati, che contenessero miniere di zolfo, o dove chiari e conosciuti indizii mostrassero poterne contenere, del pari che i fondi coverti di boschi o di selve cedue, « Art. 3. È all’uopo stabilita in ciascuna provincia una special Commessione com- posta dall’Intendente che ne sarà presidente, dal Vescovo della diocesi dove trovasi il fondo, dal Procuratore del Re presso il Tribunale civile, e dal Direttore de’ rami e dritti diversi, la quale è incaricata delle operazioni di censuazione osservando le norme qui appresso additate. e Art. 4. Quando il Vescovo, o perchè non risegga nel capoluogo della provincia, o per altra causa, non possa intervenire nelle operazioni della Commissione, potrà delegare a rappresentarlo altro ecclesiastico costituito in dignità sotto la sua di- pendenza, e Art. 5. La Commissione riunirà gli elementi esatti dei fondi da censirsi nella ri- spettiva provincia, ne favà levare le piante (ove queste non si abbiano dalla Dire- zione generale dei rami e dritti diversi cui si chiederanno) ed eseguire gli apprez- zi; e quindi dopo avere inteso gl’interessati, fisserà i canoni corrispondenti, sia in prodotti, sia in denaro. « Art. 6. Saranno dalla Commissione ripartiti i fondi in tante quote, ciascuna della estensione non maggiore di 4 salme di misura legale. e Art. 7. Potranno le quote essere di maggiore estensione sol quando sia terreno non tutto fertile, ma parte invoriero e parte rampante, o che fosse molto distante dal comune. « Art. 8. Fatta la ripartizione, si pubblicheranno i manifesti per le licitazioni so= pra i canoni fissati a norma dell’articolo 5. « Art. 9, Gli attendenti potranno essere ammessi alla licitazione, dopo che la Com- missione si sarà accertata che sieno buoni ed esperti coltivatori e di commendevole morale. Saranno tra essi preferiti i capi di famiglia. « Art. 10. Le offerte sotto nome altrui saranno rigettate. Ogni attendente non po- trà prendere a censo che una sola quota. « Art. 11. Quando non vi fossero bastanti attendenti del comune, del distretto e della provincia, dove trovansi i fondi, in tal caso la Commissione ammetterà ben anche quelli di altre provincie, dandone avviso, se occorra, alle Commissioni delle provincie medesime, onde ne sia divulgata la notizia. e Art, 12, Le licitazioni avranno luogo innanzi alla Commissione, adempiendosi a termine abbreviato a quanto è prescritto nelle leggi del regno. « Art. 13. La Commissione in qualità di procuratrice del regio patronato inter- 40 STORIA DELLA ENFITEUSI verrà ne’ contratti di censuazione, ne’ quali saranno trascritti tutti i patti dell’en- fiteusi a termini delle leggi civili, e farà specificare nei contratti medesimi che la quota censita dovrà nel corso di 3 anni esser coverta di casa rurale pel colono, e migliorata sia col ridurre a coltura i terreni inculti, sia col piantarvi o accrescervi alberi ove mancassero o vi fossero scarsi, sia finalmente col rendere sempre più fer- tili le terre che si trovassero in buono stato : con espressa condizione che l’inadem- pimento di questo patto produrrà l’annullamento del contratto, e la facoltà di cen- sire ad altri la quota non migliorata. « Art. 14, Rimarrà intatta la rendita ai prelati, abati, beneficiati ed altri tito- lari di regio patronato, che si trovino in possesso dei fondi, del pari che il van- taggio che risultasse dalla censuazione, salvo a tenersi ragione dell'aumento di ren- dita nella nuova collazione, « Art. 15. Coloro che mancassero alla corrisponsione dei canoni, vi saranno oh- bligati dai ricevitori dei rami e dritti diversi come lo sono i debitori morosi del- l’amministrazione civile, giusta gli articoli 242 e 243 della legge de’ 12 dicem- bre 1816. c Art. 16. La Commissione curerà che le dette quote vengano rivistate ogni anno dagli agenti della Direzione generale de’ rami e dritti diversi, per chiarirsi l’adem- pimento delle obbligazioni contratte, di che è parola nell’articolo 13. E quando dopo 3 anni non si trovasse conseguito alcun miglioramento, S'intenderà disciolto il censo giusta le disposizioni del menzionato articolo 13. e Art. 17. Le Commissioni rimetteranno copia di tutti gli atti che stipuleranno alla Direzione generale dei rami e dritti diversi, e provocheranno e riceveranno nostre disposizioni se occorrerà emetterne, per mezzo del nostro Luogotenente ge- nerale, il quale nell’inviarci speditamente i rapporti delle Commissioni, dirigendoli al Ministro Segretario di Stato degli affari ecclesiastici, aggiungerà il suo parere a quello del Direttor generale dei rami e dritti diversi, del pari che tutte le osserva- zioni che avesse a farvi. « Art, 18. Gl’Intendenti, primi componenti delle Commissioni, ci proporranno non dopo il 15 del prossimo gennajo, per mezzo del Ministro Segretario di Stato degli affari ecclesiastici, tutti i dubbii e le difficoltà che sorger potessero, ovvero ci da- ranno avviso dell'avviamento dei lavori, i quali debbono improrogabilmente comin- ciare il di 1° del venturo febbrajo. « Art. 19, I nostri Ministri Segretarii di Stato degli affari ecclesiastici, di grazia e giustizia, delle Finanze, e degli affari interni, ed il nostro Luogotenente generale in Sicilia, sono incaricati, ciascuno per la parte che lo riguarda, della esecuzione del presente decreto. e Firmato: FERDINANDO. » (Seguono le firme dei Ministri) DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 41 (E) Estratto del 13° Articolo del Verbale della seduta del Consiglio Civico di Salemi del 1° agosto 1860. « Finalmente sulla proposta del Presidente questo Consiglio Civico (1) ha rivolto le sue più serie considerazioni sull’ attuale stato di divisione della proprietà rusticana di Salemi rispetto al numero delle famiglie residenti in questo stesso territorio, « Ed ha osservato che la popolazione di Salemi, sulla base di 14000 anime, com- pone un numero di 2800 famiglie in circa, computando ogni famiglia alla ragione ordinaria ed approssimativa di 5 individui per famiglia; che intanto un migliajo in- circa di tali famiglie manca assolutamente di qualunque più piccola proprietà ru- sticana, o ne posseggono alcuni tale piccola porzione che può reputarsi come un nulla. e Infatti il territorio attuale di Salemi (oltre di quello che gli fu ingiustamente tolto dal comune ‘di S. Ninfa per un orrettizio rescritto durante la invasione borbo- nica) ascende a 9164 salme della misura legale (2) che corrispondono a 4778 salme dell’abolita corda di Monte S. Giuliano. + + + + + + + +. + +. Salme 4778 « Di tal quantità sono latifondi in 32 exfeudi. +. + è +. e + + » 3633 « Gli allodii censiti sOnO è +00 00000000 0000 +0 0 0 0a + Salme 1145 e Di quelli stessi latifondi un solo exfeudo di salme 53, Torrettella, appartiene al barone Villaragut residente in questa, ed altre salme 23 in circa appartengono a questa Madrice Chiesa. Tutto il dippiù di detti latifondi si appartiene a Corpi mo- rali ed altri particolari residenti altrove. « Di quelle salme 1145 di allodii censiti, valutando all’approssimativa ragione di salma una per ogni famiglia, non risulta altro che un egual numero di famiglie Sa- lemitane provvedute di terreno censito, le altre più di mille famiglie restano evi- dentemente senza un palmo di terra propria, mercenarii perpetui della coltivazione degli altrui fondi. « Questo sistema di cose qual danno apporti alla popolazione di Salemi non è da dirsi: Ja ricchezza mal distribuita, molte famiglie indigenti, perciò non attaccate al- l'ordine ed alla ‘conservazione della proprietà, compromessa quindi la interna sicurezza, diffidenza tacita ed intestina tra proprietarii pochi e proletari molti, mancanza in generale di civiltà, ignoranza e tendenza al furto. « Dall’altro canto, le coltivazioni di tanti latifondi, abbenchè vengano esercitate in maggior parte da individui Salemitani, pure, pel necessario sistema delle gabella- zioni di 4 o 5 anni, non possono mai riuscire quali si converrebbero ai rispettivi terreni, nè rendono mai tutto quel prodotto che se ne potrebbe ricavare, poichè man- i (1) Prof. Simone Corleo. (2) Ettare 26002, 72, 04. Giornale di Scienze Nat. ed Econ., Vol. VII, Parte lI. 6 42 STORIA DELLA ENFITEUSI cano nel sistema delle sudette gabellazioni le macchine, le piantagioni permanenti, le lunghe rotazioni agrarie, i canali d’irrigazione, e quanto altro può influire alla buona coltura, che ha bisogno di un tempo lungo e della vigilanza diretta del proprieta- rio per la esecuzione. Laonde l’agricoltura riesce essenzialmente difettosa, e la po- polazione sperimenta la mancanza di un più largo prodotto, che refluirebbe tutto in suo beneficio, pagatasi la tangente dovuta al proprietario della terra, « Da tutte queste considerazioni emerge chiaramente la necessità pubblica di di- vidersi in piccole frazioni alle tante famiglie non possidenti una certa quantità di quei latifondi per mezzo di una enfiteusi ordinata dallo Stato, enfiteusi che assicura al proprietario la rendita giusta e permanente del suo fondo, e crea nel tempo stesso un altro gran numero di piccoli proprietarii del dominio utile, i quali restano tutti interessati a beneficare la terra ed immegliarne con opere più durevoli la coltiva- zione. i « E poichè i latifondi di proprietà particolare soggiacciono da sè stessi alla divi- sione di famiglia ‘che lentamente vien operata dalla lesge, restano i soli latifondi di natura ecclesiastica che da sè stessi non si dividerebbero mai, e formano la cifra complessiva di salme 1100 in circa di misura legale (1) nella su descritta quantità di latifondi non censiti del territorio di Salemi. Perlocchè è giusto non solo, ma è di ordine e di necessità pubblica che il Governo comandi la enfiteusi forzosa di tutti i latifondi non censiti appartenenti a corpi ecclesiastici di qualunque natura, da farsi a vantaggio dei naturali di Salemi che ne hanno il bisogno. « Difatti è osservabile che in varii tempi il Governo ha dovuto ordinare la enfi- teusi forzosa dei fondi ecclesiastici rusticani a vantaggio dei naturali di qualche comune, ed in esempio vicino giova rammentare che al 1838 Ferdinando II ordi- nava spontaneamente la enfiteusi degli exfeudi pertinenti alla Mensa vescovile di Mazzara a vantaggio di quei comunisti. « Però tali concessioni enfitentiche ordinate dallo Stato a beneficio delle famiglie povere d’ un comune non sogliono mai effettuarsi prontamente e con facilità, pei molti ritardi che vi frappongono o i proprietarii malvolenti, o la notevole diflicoltà di una estesa e minuta divisione. Oltrechè una delle solite ragioni che produce mal- volere contro l’enfiteusi ne” proprietarii dei latifondi si è appunto la interminabile divisione delle piccole partite enfiteutiche, che cagiona loro molto fastidio e difficoltà nella esazione del canone. « Laonde, ad ottenere prontamente la censuazione forzosa dei latifondi ecclesia- stici di questo territorio, è cosa utile che la censnazione venga direttamente fatta dai rappresentanti delle Opere ecclesiastiche al Comune di Salemi, il quale poi cu- rerà di farne la ricensuazione a tutte le famiglie povere e mancanti di proprietà prediale. In tal modo i Corpi ecclesiastici riconosceranno in perpetuo unico debitore, il Comune, il quale esigerà da tutti i piccoli reddenti, e pagherà ogni anno in unica (1) Ettare 1920, 88,49. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 43 soluzione il canone complessivo di tutti i latifondi a tutti i rispettivi Corpi ecele- siastici. Il comune così assicurerà a’ suoi naturali una più larga divisione di ter- reno, che vantaggia immensamente |’ agricoltura, ed insieme assicurerà a’ proprie- tarii ecclesiastici il rispettivo loro canone. « Che d'altronde per avere una base equa nella censuazione forzosa a vantaggio del comune si può prendere a norma fissa il coacervo risultante dalle gabelle del- l’ultimo ventennio di tutti i latifondi ecclesiastici esistenti in questo territorio, onde stabilire per canone perpetuo la media che ne risulterà rispettivamente, « Per tutti questi riguardi, il Consiglio, adottando la proposta ed i motivi dal Pre- sidente esposti, ad unanimità ha deliberato di pregare il Governo affinchè, in vista degli urgenti bisogni della popolazione di Salemi, ed in grazia ancora degl’ insigni servigi resi da essa al primo arrivo del generale Garibaldi per la nostra magnanima rivoluzione, si degni ordinare: e Che tutti i latifondi di natura ecclesiastica non censuati, dalle salme 10 della misura legale in sopra, esistenti entro l’ambito del territorio di Salemi, siano con- cessi ad enfiteusi perpetua dai rispettivi domini ecclesiastici di qualunque specie a vantaggio del comune di Salemi per un canone annuo definito che risulterà dalla media delle gabellazioni di un ventennio dei latifondi medesimi coacervata insieme, e ciò all’oggetto che il sudetto comune possa riconcederli in piccole tenute alle fa- miglie più povere del comune stesso. « Per estratto conforme rilasciato a richiesta del Sopraintendente generale per l’enfiteusi dei beni ecclesiastici, oggi in Salemi, 29 febbraro 1864. « Il Segretario comunale — Firmato: L. Baviera, e Visto — Il Sindaco ff. — Firmato G. Favara: » (F) « Ufficio del Commissario del Governo per la provincia di Trapani. — N. 317. « Castellamare, 20 agosto 1860. « Al signor Presidente del Consiglio civico di Salemi. « Signore — Ho ricevuto la deliberazione del Consiglio civico di Salemi emessa il 1° agosto corrente per la censuazione dei latifondi ecclesiastici a vantaggio del co- mune, e che sono in cotesto territorio. Trovandola ammirevole per tutti i versi, ed essendo da sperarsi grandi risultati per la prosperità di cotesto comune nell’attua= zione dell’emesso voto, io vado a presentarla al Governo, fiducioso che la prenderà in quella considerazione che merita, potendo farne oggetto di una legge applicabile a tutti i latifondi ecclesiastici della Sicilia. « Il Commissario del Governo per la provincia di Trapani e Firmato: Virroriano LENTINI 44 STORIA DELLA ENFITEUSI « Per copia conforme rilasciata a richiesta del Sopraintendente Generale per la censuazione dei beni ecclesiastici, oggî în Salemi li 29 febbraio 1864. « Il Segretario comunale — Firmato: L. Baviera. e Visto — Il Sindaco ff. — Firmato e G. Favara. » (G) « In nome di S. M. Vittorio Emanuele Re d’Italia. « Il Prodittatore «In virtù dell’autorità a lui delegata; e Veduto il decreto del 19 dicembre 1838, col quale fu ordinata la censuazione di una parte dei fondi di regio patronato; « Volendo completare questa importantissima misura di pubblico interesse, esten- dendola ni beni di tutte le corporazioni ecclesiastiche di patronato regio, o laicali, o appartenenti al patrimonio regolare; misura che mentre giova allo incremento della ricchezza nazionale, riesce in pari tempo di non poca utilità ai corpi morali anzi- detti, sottraendo i loro beni al pericolo d’incerti eventi, e delle deteriorazioni cui vanno d’ordinario soggetti; « Sulla proposizione de’ Segretarii di Stato delle Finanze, del Culto e della giu- stizia; « Udito il Consiglio de’ Segretarii di Stato; « Decreta e promulga: « Art. 1. Tutti i fondi rurali ed urbani di patronato regio, o laicali, o di perti- nenza del patrimonio regolare, e sotto qualunque titolo posseduti da abati, prelati, beneficiali, prebendari, non che da conventi, monasteri, chiese, ed in generale da qual- siasi corporazione o luogo ecclesiastico, saranno dati a censuazione nei modi che saranno appresso indicati. « Art. 2, Sono eccettuate dalla disposizione contenuta nel precedente articolo le case coi giardini attinenti, destinate ad uso ordinario di conventi o monasteri, e di altre simili corporazioni, non che i fondi rurali.che contenessero miniere di zolfo, e salve le concessioni speciali dove ci sieno chiari indizi di simili miniere. « Art. 3, Sarà all’ uopo istituita in ciascuna provincia una speciale Commessione, la quale sarà incaricata delle operazioni di censuazione di cui si tratta, e colle forme che con apposito regolamento saranno additate. « Art. 4. L’annuo censo da stabilirsi per base sarà la rendita risultante da que- sti tre dati, cioè: l’imponibile fondiario, l’ultimo affitto e il cérrente, dovendo sem- pre preferire il dato che risultasse maggiore. « In difetto di un solo dei sopradetti tre dati, potrà la rendita stabilirsi a giudi- zio di periti: se non che, non potrà mai adottarsi un valore minore dei risultati so- pradetti. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 45 « Oltre le ritenzioni di legge sarà fatta pei fondi urbani una deduzione del sei per cento. « Art. 5. I fondi saranno ripartiti in quote, ciascuna della estensione non mag- giore di sei, nè minore di una salma di misura legale. « Art. 6. Potranno stabilirsi delle quote di maggiore estensione, quando il terreno non sia tutto fertile, ma in parte lavorativo ed in parte erto, o sia molto distante dai comuni, o quando ciò sia comandato da altre circostanze che abbisognerà ri- spettare pel maggior comodo dei censualisti. « Art. 7. Fatta la ripartizione in quote, si procederà alla concessione in doppio modo, per quelle di una a due salme si farà a sorteggio tra coloro che facessero dimanda di attendervi, e per le quote di maggiore estensione sino al limite stabi- lito all’articolo 5° si darà Iuogo alle subaste prendendo per norma i canoni fissati giusta l’art. 4° sopradetto. « Art, 8. Le licitazioni avranno luogo innanzi alla Commessione della provincia a- dempiendosi a termine abbreviato quanto è prescritto nelle leggi vigenti. e Art. 9. La Commessione interverrà nei contratti di censuazione, nei quali sa- ranno trascritti tutti ì patti dell’enfiteusi ai termini delle leggi civili, e vi sarà spe- cificato che la quota censita dovrà nel corso di tre anni esser coverta di casa ru- rale pel colono, e migliorata sia col ridurne a coltura i terreni incolti, sia con ac- crescervi gli alberi ove fossero scarsi, sia col rendere più fertili le terre che si tro- . vassero in buono stato. « Art, 10. L’inadempimento del precedente patto produrrà l’annullamento del con- tratto, meno pe’ censuarii che pria dei tre anni avranno affrancato il loro canone, come sarà detto all’art. 12° « Art. 11. Rimarrà in vantaggio dei prelati, abati, beneficiali e di tutti gli altri titolari, non che dei conventi, monasteri e di tutt’altre corporazioni ecclesiastiche che trovinsi in possesso dei fondi che saranno dati a censo, la rendita coll'aumento che potrà risultare dalla censuazione. « Art. 12, I canoni saranno affrancabili nei modi ed ai termini del decreto 4 ot- tobre di quest'anno. « Ordina che la presente Legge, munita del sigillo dello Stato, sia inserita nella Raccolta degli Atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare. « Palermo, 18 ottobre 1860. o Jl Prodittatore — Firmato: Morpini. » (Seguono le firme dei Segretari di Stato). 46 STORIA DELLA ENFITEUSI (H) « Regolamento in esecuzione dello art. 3° della Legge dei 18 ottobre 1860 per la censuazione di tutti i beni immobili di patronato regio, o laicale, o di per- tinenza del patrimonio regolare. « Art, 1. Sarà istituita in ciascuna provincia una Commessione speciale, composta dal Governatore che ne sarà presidente, dal regio Procuratore del Tribunale civile, dal Direttore dei rami riuniti, dal Vicario diocesano, e da un Consigliere di Governo il più anziano in ordine di nomina. « Uno dei capi di ufficio di Governo, a scelta del Governatore, funzionerà da can- celliere, dal quale saranno redatti i verbali di censuazione. « La Commessione sarà legalmente costituita con l’intervento di tre de’ suoi com- ponenti. « Il luogo dove esistono i beni regolerà la competenza della Commessione. « L'amministratore del corpo morale, cui appartengono i beni, che saranno espo- sti alla censuazione, potrà, se vuole, intervenire anche per via di procuratore legal- mente nominato, nelle sedute della Commessione per dare quelle notizie e quegli schiarimenti che giudicherà utili nell’interesse del corpo da lui rappresentato. « La Commessione pronunzierà inappellabilmente sulle controversie che potranno insorgere. Le sue deliberazioni saranno prese a maggioranza di voti. c« Art. 2. La Commessione riunirà tutti gli elementi necessarii per la conoscenza dei fondi da censirsì nella provincia; ed a tal’ uopo oltre di richiamare quelli esi- stenti presso gli archivii della cessata Intendenza, non che presso gli ufficii della Direzione dei rami riuniti, e tutti gli altri che appartenevano alla Commessione già istituita col decreto del 19 dicembre 1838 per la censuazione dei fondi di regio pa- tronato, richiederà sia dalla Direzione generale dei rami e dritti diversi, sia dal Con- siglio di Ospizii, sia anche dalla Commessione consultiva di giustizia, tutti gli altri elementi riguardanti i beni laicali, non che quelli che sono di proprietà ecclesia- stica o del patrimonio regolare. e Art. 3. Per il completamento e l’esatto confronto di tutti gli elementi necessarii, il Direttore dei rami riuniti della provincia ricaverà dai catasti e dai corrispon- denti ruoli uno stato di tutti i beni rurali ed urbani contemplati nel decreto del 18 ottobre 1860. « Inoltre tutti gli arcivescovi, i vescovi, i priori, gli abati, i prebendari ed in ge- nerale tutti i titolari dei benefici ecclesiastici, le deputazioni delle maramme, gli amministratori delle chiese parrocchiali ed altri quali si fossero, e finalmente i su- periori di tutti i singoli conventi e monasteri, nessuno eccettuato, dovranno nel ter- mine di un mese dal di della pubblicazione del presente regolamento far pervenire al Governatore della provincia dove esistono i beni, e per mezzo del Sindaco del comune dove sono essi titolari ed amministratori domiciliati, uno stato di tutti i fondi rurali ed urbani da loro amministrati o usufruttuati. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 47 « Art. 4. Gli stati da presentarsi in forza del precedente articolo dovranno con- tenere: 1° Il numero d’ordines 2° La designazione del corpo o dell’ente morale, che è il proprietario di ciascuno dei beni esposti alla censuazione e l’ indicazione del domicilio; 3° La indicazione sommaria dei beni, cioè il nome del fondo e; se sia ru- stico, la estensione, la specie di coltura, il territorio del comune ove esiste, la con- trada, e due almeno dei confini, se sono conosciuti; se sia urbano, il sito, cioè se in città o in campagna, il comune o la contrada, ed i confinanti se sì conoscano ; 4° La rendita imponibile detratta dal ruolo della contribuzione fondiaria, con |’ in- dicazione della corrispondente tassa e dell’articolo del catasto; 5° Gli estagli con- venuti nell’ultimo e nell’attuale affitto, e la durata di quello in corso; 6° I pesi che gravitano su ciascuno immobile; 7° Le servitù e i dritti prediali dei fondi. c Art. 5. Insieme cogli stati dovranno trasmettersi i seguenti documenti in forma autentica, cioè gli atti dell’ultimo e del corrente affitto, i titoli costitutivi dei pesi ‘e tutti gli altri documenti, che potranno reputarsi necessari per la giustificazione degli stati suddetti. e Art. 6. Oltre ai suindicati documenti, potranno essere dai corpi proprietarii pre- sentate le piante dei rispettivi fondi, accompagnate da un progetto di divisione in quote nelle proporzioni degli articoli 5° e 6° del decreto del 18 ottobre scorso, e se- condo sarà creduto meglio convenire agl’interessi del corpo, cui i fondi apparten- gonsì, — « Ad ogni quota sarà assegnata la parte corrispondente del canone e dei pesi, nel modo che sarà meglio precisato negli articoli seguenti. Dovrà bensi badarsi a lasciare indivise le acque ed altro, ove abbisogni, ed a formare i lotti in modo, che per quanto è possibile, ognuno di essi non comprenda più colture, e che sia scevro di servitù verso dell’altro. x «Art. 7. Se nel periodo di un mese assegnato ai corpi morali ecclesiastici non fosse eseguita la presentazione degli stati, o fossero questi incompleti, 0 vi man- cassero i documenti prescritti coll’art. 5°, in.tal caso la Commessione procederà alla censuazione del fondo, per il quale esiste l’omissione, e che da altri elementi potrà riconoscere appartenersi al corpo inadempiente; e stabilirà il canone in favore del pubblico Demanio, il quale ne avrà la percezione, sino a quando non sarà dal corpo proprietario adempito all'obbligo della presentazione del corrispondente stato docu» mentato. c« Art. 8. I corpi morali ecclesiastici, che presenteranno fuori il termine assegnato lo stato in regola, di cui si tratta, andranno soggetti alla perdita del canone per le annualità scadute e per quella in corso. c Art. 9. Riuniti tutti gli elementi, la Commessione, la quale rimane facoltata a poter richiamare da qualunque autorità della provincia le notizie che giudicherà ne- cessarie per meglio assicurare l’effettivo valore dei fondi, fisserà l’annuo canone di ciascuno intiero fondo sulla base dell’art. 4° del decreto del 18 ottobre 1860. «E deducendo dalla somma che sarà per risultare il 10 per 100 per la ritenuta 45 STORIA DELLA ENFITEUSI fondiaria, e le cifre dei pesi annuali enfiteutici e delle altre prestazioni sul fondo gravitanti, e che rimarranno in:accollo ai censualisti novelli, come sarà detto in ap- presso, stabilirà il netto canone da corrispondersi al corpo proprietario del fondo. « Art, 10. Per tutti gli altri dritti dei terzi, sieno per loro natura certi, o inde- terminati, o eventuali, o ipotecarii, o di qualunque altra specie, potranno costoro presentare i loro reclami innanti la Commessione nel tempo e nei modi che saranno più sotto specificati. « Art, 11. Eseguito quanto si è detto all’articolo 9°, la Commessione per quei fondi pei quali mancassero le piante ed i progetti della ripartizione in quote, non che per quelli pei quali concepisse dei dubbi sulia esattezza delle piante e dei progetti già esistenti, o che sono stati presentati dai corpi proprietarii, come si è detto al- l’art. 6° del presente regolamento, ne farà eseguire la formazione da periti dalla stessa nominati, e Art. 12. I periti, seguendo le prescrizioni contenute negli articoli 5° e 6° del precitato decreto del 18 ottobre, procureranno, per quanto è possibile, che le quote, specialmente le interne, siano rappresentate da figure regolari, e che corrispondano alle colonie ed all’estensioni subaffittate dei latifondi. « Ad ogni quota sarà da loro assegnata la corrispondente porzione di canone e di pesi in modo, che le porzioni riunite corrispondano alla cifra totale dei pesi, ed a quella del canone già fissato per l’intero fondo ai termini dell’art. 9°. « Art, 13. Meno i canoni di proprietà e la tassa fondiaria, tutte le altre presta- zioni annuali potranno, ove vi concorra l’annuenza di coloro, cui sono le dette pre- stazioni dovute, limitarsi a carico di una o più quote a scelta dei creditori mede- simi. : Costoro in tal caso ne dovranho rilasciare la corrispondente dichiarazione con atto autentico nella cancelleria della Commessione , dopo che saranno stati pubbli- cati gli stati di ripartizione in quote dei fondi, e non meno di otto giorni prima del giorno che la Commessione, siccome sarà detto in seguito, dovrà stabilire per l’accettazione delle offerte. « Art. 14. Nella formazione dei nuovi progetti di ripartizione da farsi dai periti giusta gli art. 11° e 12°, saranno dagli stessi osservate le prescrizioni, delle quali si è fatta parola nell’art. 6° del presente regolamento. « Art. 15. Gli edificii consistenti in più piani o più partimenti, potranno esporsi alla censuazione per piani e per partimenti, se ne tornerà più vantaggio al corpo proprietario. « Art. 16. Le cifre parziali di canone, che saranvo stabilite per quota, o piano, o partimento, saranno libere da qualunque solidarietà. « Art. 17. Fissato nei modi sopra descritti il canone per ciascuna quota, o per ciascuno edificio, o parte di esso, la Commessione passerà alla pubblicazione dei cor- rispondenti stati, la quale sarà fatta a misura che saranno terminati i lavori per uno o più fondi, senza che fosse mestieri attendere il compimento dei travagli per tutti i beni appartenenti a ciascun corpo. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 49 «La pubblicazione sarà fatta per mezzo del Giornale Officiale e per via di af- fissione nel capoluogo di provincia ove risiede la Commessione, nel comune nel di cui territorio è situato il fondo che si censisce, ed in quegli altri della provincia che la Commessione potrà destinare. « Questa pubblicazione dovrà contenere le indicazioni designate allo art. 4° con la specificazione inoltre chiara e precisa, pei fondi rurali, di ciascuna quota, della sua estensione, delle comodità agrarie, e della cifra riunita di canoni e pesi, e pei fondi urbani, di tutte quelle indicazioni che potranno reputarsi necessarie. e Sarà infine espressato il di che la Commessione, tenuto presente il periodo di otto giorni di cui parlasi allo art. 13°, avrà assegnato per procedersi all’accettazione delle offerte. « Art, 18. Gli attendenti presenteranno la-toro offerta nella Cancelleria della Commes- sione o personalmente, o per via di speciale procuratore nominato con atto autentico, e saranno firmate dall’uno o dall’altro alla presenza del funzionante da cancelliere, « Le offerte dovranno essere pienamente conformi alle disposizioni del decreto del 18 ottobre scorso, non che a quelle del presente regolamento, ed agli stati che sa- ranno pubblicati dalla Commessione. « Quelle fatte con altre condizioni, o per un canone minore di quello assegnato, saranno riguardate come non presentate. « Art. 19. Nella Cancelleria sudetta sarà tenuto un registro per annotarvisi al mo- mento della presentazione, in ordine di data, tutte le offerte e con un numero pro- gressivo, « Il funzionante da Cancelliere rilascerà a ciascuno offerente una ricevuta della offerta presentata, con l’indicazione del giorno e del numero progressivo della stessa. « Art. 20. Ogni attendente non potrà prendere a censo che una sola quota. « Le offerte sotto nome altrui, o per la persona da nominare, saranno rigettate. s La Commessione in caso di concorrenza preferirà i buoni ed esperti coltivatori e di commendevole morale, e tra essi i capi di famiglia. « Art. 21, Per la concessione delle quote sino a due salme si procederà dalla Com- messione, nel giorno fissato per l’accettazione delle offerte, al sorteggio pubblico fra coloro che han presentato offerta per la quota medesima, e ne redigerà in doppio originale il corrispondente verbale per farne l’uso che sarà detto all’art. 24. « Art, 22. Per le quote maggiori di due salme sarà dalla Commessione accettata nel giorno sudetto quella che reputerà più vantaggiosa, calcolate tutte le condizioni della offerta. i «In caso di parità di condizioni sarà preferita la più antica in ordine di data e pel numero progressivo risultante dalla presentazione. « Art. 23. Le offerte accettate saranno immantinenti pubblicate a cura della Com- messione, annunziandosi in pari tempo il giorno stabilito per l’ aggiudicazione dif- finitiva, la quale non potrà aver luogo prima dei venti giorni dal di della pubbli- cazione delle offerte accettate. Giornale di Scienze Nat. ed Econ. Vol. VII. Parte II. DI LI 50 STORIA DELLA ENFITEUSI « Gl’incanti saranno sempre eseguiti innanzi la Commessione ed in pubblica seduta. « Art. 24, Compiuta l’aggiudicazione diffinitiva, ne sarà redatto in doppio origi- nale il corrispondente verbale, nel quale dovranno sempre intervenire gli aggiudi- catarii o i loro speciali procuratori. « Il Governatore ne spedirà uno degli originali, di unita a quello per le quote sor- teggiate, al Governo in Palermo; quali verbali approvati avranno forza di cosa giu- dicata, e tutti i privilegi di titolo autentico ed esecutivo. « Ricevuta l’approvazione del Governo, la Commessione procederà alla compilazione di altri due originali dei verbali di censuazione, colla trascrizione in piedi dell’ap- provazione governativa. Questi due originali saranno consegnati contro ricevuta, uno al rappresentante il Corpo morale, il di cui fondo è stato censito, e l’altro all’aggiu- dicatario o al suo speciale procuratore. Art. 25. Il censualista entrerà in possesso del fondo al 1° del mese di settembre immediato, dovendone rispettare gli affitti in corso e legalmente convenuti prima del decreto del 18 ottobre scorso. « Art. 26. I reclami, dei quali è parola nell’ art. 10° del presente, saranno fatte con petizione firmata dal reclamante o da suo procuratore speciale per atto auten- tico, alla quale saranno alligati i documenti che servono di appoggio al reclamo. Tanto della petizione, quanto dei documenti, sarà fatta legale notificazione al rap- presentante il corpo, su i di cui beni versa il reclamo, con citazione a comparire infra otto giorni, oltre l’aumento della distanza, avanti.la Commessione. « Fra i sei giorni consecutivi alla notificazione sudetta, oltre l'aumento della di- stanza, dovrà la petizione coi documenti annessi essere depositata nella Cancelleria della Commessione. « L'esecuzione di questo deposito sospenderà di pieno dritto ogni operazione dif- finitiva per la censuazione, e ciò fino alla decisione della Commessione. «Se nel giorno in cui ricade la discussione del reclamo, il reclamante non si pre- senta all'udienza nè personalmente, nè per mezzo di procuratore speciale, la Com» messione procederà agli atti ulteriori, senza tener conto del reclamo. e Nel caso in cui sarà giustificato legalmente un grave ed impreveduto motivo di contumacia, potrà la Commessione accordare un breve ed improrogabile differimento. « In tutti i casi in cui vi sarà luogo a comparse innanzi la Commessione, queste avranno luogo o personalmente, o per mezzo di procuratore speciale per atto auten- tico, e lo affare sarà sempre trattato in pubblica udienza ed intese in contraditto- rio le parti. « Art. 27, Se trattasi nel reclamo di dritti certi, liquidi, o in qualunque modo prontamente valutabili, saranno dalla Commessione, intese le parti, convertiti in an- nua rendita ragguagliata al 5 per 100 in favore del reclamante, la quale sarà pa= gata come tutti gli altri pesi.da’ censuarii del fondo, facendo detrazione dalla cifra del canone netto che sarebbe dovuto al Corpo proprietario del fondo medesimo. « Se trattasi d’ipoteche o di privilegi speciali nascenti da dritti non liquidabili pron- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 51 tamente, o indeterminati, o eventuali, o in qualunque modo litigiosi, la Commessione, ove non riuscirà a comporre le parti, le rimetterà alla decisione dei magistrati com- petenti, sino alla quale rimarrà sospesa la censuazione del fondo, al quale riguar- derà la contestazione. « Art. 28. Dal momento in cui i verbali di censuazione redatti dalla Co mmessione saranno approvati dal Governo, si radieranno tutte le iscrizioni ipotecarie sui beni che ne hanno formato il subbietto, meno quelle che riguardano i pesi, che ricono- sciuti rimangono a gravitare sui fondi censiti. « Nondimeno, pei dritti non reclamati in tempo utile potranno i terzi nel termine di cinque anni dalla pubblicazione del presente regolamento farne esperimento con- tro il corpo debitore innanti i magistrati competenti. « Art. 29. Le Commessioni nel termine di un mese da oggi proporranno al Go- verno tutti i dubbi e le difficoltà, che sorgere potessero per la esecuzione del pre- sente regolamento. « Palermo, 3 novembre 1860. « L’approvo — Il Prodittatore: Firmato Morpini » (Seguono le firme de’ Segretarii di Stato) 52 STORIA DELLA ENFITEUSI CAPO II. NASCITA DELLA LEGGE 10 AGOSTO 1862 E DEL SUO REGOLAMENTO — FORMAZIONE DELLE COMMISSIONI E DELLA SOPRAINTENDENZA, $ 8 Presentazione al Parlamento del progetto di legge dell’enfiteusi. Per rimediare ai sostanziali sopra cennati difetti che sì trovavano nel decreto con cui la Prodittatura aveva ordinata la forzosa enfiteusi dei beni ecclesiastici, e per affrettarne nel tempo stesso la esecuzione, appena si aperse il primo Parlamento Ita- liano e fu confermata la. mia elezione a Deputato (1), feci subito il proposito di pre- sentare uno schema di legge su questo argomento, e lo presentai infatti il giorno 25 marzo 1861. Fu il primo progetto che si sottoponesse a quel Parlamento per ini- ziativa di Deputato. A me parve allora che non solo la legge, ma anche la parte regolamentare per la esecuzione, dovesse dal Parlamento esser votata. Perciò scrissi un breve progetto di legge in 7 articoli ed un regolamento in articoli 30. Come allegato vi aggiunsi il decreto prodittatoriale del 18 ottobre 1360 (Documento I). I concetti principali che campeggiavano in quel progetto di legge ed in quel re- golamento erano i seguenti: 1° concessione ad enfiteusi redimibile di tutti i fondi rustici ed urbani pertinenti a qualsiasi ente ecclesiastico ed al Demanio dello Stato; 2° i detti fondi doversi dividere in lotti, il cui valore non dovrebbe esser maggiore di Lire 8000, nè minore di Lire 3000, ed in caso vi fossero dei fondi che non si potessero dividere senza depreziarli, dovrebbonsi lasciare intieri, colla rifazione in denaro del valore al di sopra delle Lire 8000 in vantaggio dei lotti più piccoli; 3° il canone doversi stabilire sulla media dell’ultimo ventennio degli affitti depurati dai pesi; 4° doversi concedere tutti i lotti col pubblico incanto, però chi offerisse un canone superiore alla metà del canone fissato, dovrebbe garentire il dippiù con una rendita sul Gran Libro, e chi ottenesse in enfiteusi due lotti nello stesso comune, non potrebbe più offerire in quel comune; 5° escludersi dall’ enfiteusi i giardini e le case inservienti al proprio uso degli enti ecclesiastici, i boschi cedui, i terreni con miniere o con evidenti indizi di miniere, finalmente i fondi coperti nella loro maggior parte di vigne o di alberi; 6° le operazioni per tali enfiteusi affidarsi ai comuni rispettivi di accordo cogli stessi enti ecclesiastici o col Demanio, tanto per (1) Del collegio di Calatafimi. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 53 fissare il canone di base, quanto per dividerli in lotti e per farne poi l’incanto : ma se non vi fosse tra loro la concordia, il Tribunale sulle istanze del comune, senza formalità di giudizio ed in camera di consiglio, stabilirebbe quei punti sui quali vi sarebbe controversia; 7° in grazia di tali operazioni, e per tutte le cure che i co- muni dovrebbero prendere per eseguire questa enfiteusi, sarebbero essi autorizzati ad aggiungere in lor favore una rendita fondiaria redimibile non superiore di un decimo del canone che risulterebbe dall’asta: ma non potrebbero godere di questo favore quei comuni che avrebbero nel loro bilancio almeno due terzi della loro ren- dita in benifondi, o in canoni enfiteutici, o in rendite fondiarie; 8° sarebbero proi- biti tra i patti domenicali la pena del ritorno del fondo all’ ente morale per man- cato pagamento, il laudemio ed il dritto di preferenza in ogni caso di passaggio, non che la subenfiteusi; 9° tanto i canoni, quanto la rendita fondiaria in favore del comune, dovrebbero essere affrancabili mediante eguale rendita sul Gran Libro inte- stata a favore degli enti ecclesiastici o del comune. Feci precedere una relazione al progetto, nella quale mi sforzai dimostrare per sommi capi la necessità di dividere in Sicilia i latifondi ecclesiastici e demaniali all'oggetto di migliorarne la coltura colla creazione di tanti piccoli e mezzani pro- prietarii, e feci vedere quanti mali recano in Sicilia le coltivazioni da locatarii a brevi periodi, quali eran quelle che potevano convenire i titolari ecclesiastici come semplici usufruttuarii. Ebbi pure a sostenere una rilevante tesi per combattere il pregiudizio molto dif- fuso nell’Italia settentrionale, cioè che la enfiteusi in generale dovrebbe affatto shan- dirsi come un contratto feudale, anzichè ordinarsene delle nuove. Dovetti pertanto dimostrare che il contratto d’enfiteusi è contratto di miglioramento della terra, e perciò utile sempre, necessario poi come mezzo di transizione per far passare i fondi dalle poche mani in cui sono concentrati alle industriose mani dei coltivatori, Se nel Codice delle Due Sicilie portava esso ancora l’impronta della sua antica ori- gine feudale, non ci voleva altro che spogliarlo di tutti quei privilegi a favore del domino diretto (che altronde non erano essenziali alla natura della enfiteusi) come il laudemio, il dritto di preferenza nei passaggi, e la facoltà di succoncedere ad altri, cioè di crearsi direttario lo stesso utilista : così pure potevasi ordinare l’ affranca- bilità del canone. Anzi mi fu facile dimostrare che giusta gli articoli 1682, 1683 e 1701 del sudetto Codice non si riputavano necessarii al contratto di enfiteusi tutti quei patti feudali, tanto che era in facoltà delle parti non convenirli, o anche con- venire il contrario, e soltanto nel caso che mancasse qualsiasi convenzione, la legge suppliva con quei patti derivati dai tempi feudali, in cui aveva avato origine il contratto. Finalmente appoggiai su due ragioni la facoltà ch'io credeva doversi dare ai co- muni per sovraimporre, ai canoni che risulterebbero dall’asta, una rendita fondiaria non maggiore del decimo in loro favore, cioè : 1° sullo stato di bisogno in cui tali comuni si trovano, 2° sull’aiuto che essi avrebbero dovuto dare e sulle cure che avreb- 54 STORIA DELLA ENFITEUSI bero dovuto sostenere per compiere tutta l’operazione dell’enfiteusi in vantaggio dei titolari ecclesiastici. Io cominciava così a mettere avanti il principio, poi riconosciuto dalla Legge 7 luglio 1866, che tocca ai comuni un vantaggio sui beni delle loro chiese, Questo schema di legge venne alla Camera appunto nel momento in cui si co- mivciava a trattare per la prima volta la quistione di Roma capitale. Anche per questa parte fuvvi uua certa preoccupazione in contrario presso quei Deputati che credevano tal legge come un principio di lotta contro la Chiesa, che avrebbe vie più allontanata la possibilità della conciliazione, o almeno l’uso dei mezzi morali, coi quali il Conte di Cavour diceva doversi sciogliere quella questione, $ 9 Il progetto di legge dell’enfiteusi è preso in considerazione dalla Camera, Il giorno 15 aprile 1861 fu destinato per lo svolgimento della sudetta mia pro- posta. Poco esperto delle pratiche parlamentari, io non aveva fatto nessuna preven- zione particolare a’ varii gruppi di Deputati più influenti, nè anche avevo chiesto dal Ministero se egli credesse di aderirvi, almeno in massima generale. Venni adun- que alla Camera colla sola fiducia delle mie buone ragioni, e presso a poco esposi tutti quelli argomenti che ho maneggiato ora in questo mio lavoro in prova della necessità di ordinare la forzosa enfiteusi dei beni ecclesiastici della Sicilia, tanto per modificare e per compiere i precedenti decreti di Ferdinando II e della Prodittatura, quanto per portare una volta ad effetto questa desiderata censuazione. « A’ miei concittadini vorrei mandare non solo conforto di parole » così dovetti esordire il mio discorso, « ma di leggi positive, che valessero a lasciare colà pro- « fonde vestigia di bene ed a migliorarne le pur troppo immiserite condizioni eco- « nomiche, senza offendere verun principio di giustizia. Bisogna che io lo dica, la « speranza che la Sicilia sì abbia prontamente le sue strade ferrate, il migliora- « mento de’ suoi porti, per quanta pur si voglia alacrità nel Governo, è una spe- « ranza alquanto ancora lontana. Diamo almeno immediatamente quello che si po- « trebbe ai molti coltivatori, i quali desiderano ardentemente un tratto di terra per « potervi spargere i loro sudori, per poterlo migliorare. » Per togliere però due principali apprensioni, che io aveva veduto suscitarsi nei varii Deputati allorquando la mia proposta fece il giro degli Uffici della Camera, cioè che in questa guisa non si volesse far risorgere il vecchio contratto di enfiten- si, degno piuttosto di abolizione, e che così per altra parte non si attentasse a quella proprietà che dava i mezzi di decorosa sussistenza alla Chiesa siciliana, dovetti in- trattenermi alquanto più a lungo su questi due argomenti dimostrando che tali ap- prensioni non avevano fondamento. Alle ragioni già accennate sulla necessità di conservare come mezzo di transizione il contratto di enfiteusi, pure spogliandolo delle sue clausole feudali, dovetti anche aggiungere un confronto di questo così riformato contratto col sistema della ven- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 55 dita, a cui taluno avrebbe voluto dar la preferenza. E sopra tutto feci notare che colla vendita pochi ricchi capitalisti, e con poca concorrenza, avrebbero nelle loro mani concentrato tutti i latifondi ecclesiastici, i quali perciò da una amministrazione alquanto meno avara sarebbero passati all’altra più avara degli speculatori, Dall'altro canto ebbi a sostenere la giusta idea di lasciare alla Chiesa la proprietà del suo reddito, il quale però non avrebbe mai più dovuto consistere in benifondi, ma in un canone annuale sopra i fondi stessi, convertibile in rendita sul Gran Libro. Mi fu facile accennare i gravi inconvenienti del clero salariato dallo Stato, avente sul bilancio pubblico la rendita necessaria al suo mantenimento. « Il clero salariato » io diceva, « non è il clero libero, è il clero avvilito , il clero che necessariamente « deve esser tratto ad intrigarsi nella politica, mentre giustamente voi dovete fare «che non vi s'intrighi. Onde io dico che, se voi volete escludere l’idea del clero e salariato, se volete, come è giusto, che la Chiesa sia libera entro un libero Stato, « dovete conservare alla Chiesa la proprietà de’ suoi beni. » Dovetti pur difendere la mia proposta intorno alla censuazione dei beni del De- manio, dimostrando che già la vendita di tali beni era stata ordinata da France- sco II pria di finire il breve suo regno, e che era anche nell’interesse dello Stato preferire alla prescritta vendita la censuazione che avrebbe recati tutti i vantaggi su indicati. Finalmente esposi il sistema da me vagheggiato di affidare ai comuni le opera- zioni di enfiteusi in accordo coi titolari stessi e col Demanio, e nei singoli casi di discordia colla deliberazione sommaria del Tribunale. In grazia di ciò i comuni avreb- bero potuto sovraimporre la rendita fondiaria di un decimo per provvedere ai loro bisogni. Il Ministro di grazia giustizia e culti (Giovan Battista Cassinis), dichiarando da una parte non opporsi alla presa in considerazione di tal progetto di legge, faceva dall’altra osservare che egli insieme con una Commissione stava occupandosi di esten- dere a tutto il regno d’Italia la legge piemontese del 13 luglio 1857 per 1’ aboli- zione completa di tutti i contratti di enfiteusi, sia col dualismo stabilito in quella legge che accorda un tempo all’utilista per redimersi, e scorso questo infruttuosa»= mente, un altro tempo al direttario per ripigliare il fondo pagando a quello le mi- gliorie; sia col cambiare il canone di proprietà in una rendita fondiaria garantita sul fondo istesso. Pertanto egli mostrava esser più opportuno discutere sul progetto della enfiteusi dei beni ecclesiastici di Sicilia, dopo che si sarebbe già deliberato se questo contratto dovrebbesi o pur no mantenere. Il deputato professor Musmeci con maggior nettezza e con copia di argomenti, opponendosi alla presa in considerazione, si fece a sostenere che, invece di dare in enfiteusi i beni ecclesiastici di Sicilia, dovrebbero piuttosto vendersi ed il prezzo convertirsi in rendita sul Gran Libro. Accennò alla necessità di abolire il contratto di enfiteusi tanto generalizzato in Sicilia e fonte d’infiniti litigi. Disse esistere nel- l’ Isola molti capitali, i quali niente cercherebbero di meglio che impiegarsi nella 56 STORIA DELLA ENFITEUSI compra di tali fondi. Sostenne che la vendita, già in gran parte eseguita, dei beni delle Opere pie per il decreto del 16 febbraro 1852 aveva apportato gran bene- fizio alla Sicilia con dividerli in molti lotti. Finalmente impugnò la mia proposta di lasciar libera ai comuni la facoltà d’imporvi nua rendita fondiaria in loro beneficio, dicendo che in tal modo i comuni verrebbero ad acquistare una proprietà sui beni- fondi della Chiesa e dello Stato, In risposta io mi limitai soltanto a fare avvertire al Ministro che, qualunque pur fosse l’esito delle deliberazioni che si prenderebbero per abolire in tutta Italia l’en- fiteusi, esso non sarebbe in opposizione colle nuove enfiteusi che da me si chiede- vano; perocchè la futura legge, che verrebbe a trasformare ed a sopprimere questo contratto, si sarebbe pure a coteste nuove enfiteusi applicata: anzi sarebbe stato giusto compir prima questa disammortizzazione dei beni delle Chiese siciliane mercè la censuazione, per poter poi trattare tutte l’ enfiteusi con unica misura generale. Non lasciai pur di manifestare la mia idea che l’abolizione dell’enfiteusi non si sa- rebbe potuta fare in tutta Italia né col sudetto dualismo della legge del 1857, né colla conversione dei canoni in rendita fondiaria, ma che si sarebbe dovuta lasciare al tempo la estinzione di questo contratto transitorio accordando soltanto agli en- fiteuti la libera facoltà di redimersi: il che concordava esattamente col progetto mio di enfiteusi redimibile. Non volli entrare nelle minute apprezziazioni del professor Musmeci trattandosi della sola presa in considerazione del progetto, e mi riserbai a dimostrare nella discussione del progetto istesso e dei singoli articoli la erroneità di molte sue asserzioni. La Camera, fatta prova e controprova, lo prese alfine in considerazione. $ 10 Vicende dello schema di legge dell'enfiteusi nella discussione presso gli Ufficiù della Camera dei Deputati. Distribuito lo schema di legge ai 9 Ufficii della Camera, col numero 33 dei pro- getti sin’ allora presentati (era il primo tra i progetti d’iniziativa parlamentare che veniva in esame), la maggior parte degli Ufficii riconobbe in massima generale la necessità di accordare alla Sicilia questa speciale legge d’enfiteusi, e tutti diedero mandato ai rispettivi Commissarii di approvarla, venendo però ad accordi per mo- dificarne la redazione, per escluderne alcuni concetti, e per ineludervi quello che io, veramente con poca espertezza, aveva posto in un separato regolamento (Docu- mento I). L'Ufficio IV, di cui era io membro, mi diè l’onore di rappresentarlo come suo Commissario. La Commissione risultò composta dei seguenti Deputati, in corrispondenza ai 9 Uf- ficii, cioè: Ondes-Reggio, Majorana Benedetto, Mosca, Corleo, Marchese, Ugdulena, Raeli, Mordini, l'urrisi-Uolonna. Eran tutti siciliani, meno il Mosca ed il Mordini; ma quest’ ultimo era deputato di Palermo, ed aveva firmato il decreto della Proditta- tura insieme coll’Ugdulena suo ministro (Documento G). DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 57 I progetti d’iniziativa parlamentare han per lo più la sventura di camminare per il proprio loro peso, e talvolta di dover superare la resistenza delle forze d’iner- zia delle Camere, che tanto più si sviluppano, quanto una legge si mostra di ca- rattere speciale pei bisogni di alcune provincie ed il Ministero non ne prende in- teresse. Per formarsi soltanto questa Commissione dovettero passare più di 10 mesi dalla presentazione e presa in considerazione del progetto. Giusta gli usi della Camera, il Commissario dell’ Ufficio I, 0ndes-Reggio, divenne presidente della Commissione, e segretario quelle del II, Majorana. Però le note opi- nioni del presidente Ondes-Reggio fecero sorgere inciampi e continui differimenti alla riunione de’ Commissarii, sicchè si processe alla discussione ed alla redazione degli articoli con poca voglia e gran lentezza ; onde io dovetti reclamare al Presidente della Camera, in febbraio 1862 a voce, e per iscritto in luglio dello stesso anno, per sollecitare la formazione e presentazione del definitivo progetto e per affrettarne la pubblica discussione. Non mancò pertanto il deputato Ondes di far opera per pro- crastinare ad un’altra sessione lo esame di questo schema di legge, sotto pretesto che la materia era molto grave, racchiudeva quistioni economiche ben serie, e per- ciò bisognava molto maturarle. Era un modo indiretto per farlo cadere dal ruolo dei progetti che si dovevano discutere; perocchè, chiusa la sessione, sarebbe stato © necessario che io lo riproponessi alla Camera, ch’ essa Io prendesse altra volta in considerazione, e che vi passasse un altro anno, come quello che già vi era pas- sato, per farne l’ esame negli Uficii e nella nuova Commissione. Ma non trovatomi io presente nella seduta, il deputato Mordini fu sollecito a ribattere le idee dell’ono- revole Ondes ed a mostrare il grave interesse che aveva questa legge per la Sici- lia, sicchè la Camera ne stabili la immediata trattazione. Nel seno dell’anzidetta Commissione il mio schema di legge aveva dovuto subire ta- lune modificazioni. Primieramente il Ministro delle Finanze mostrossi contrario alla ces- sione in enfitensi dei beni demaniali di Sicilia, tanto più ch'egli aveva proposto al Parlamento un progetto per la vendita dei beni demaniali di tutta Italia. Egli inoltre si oppose all’enfiteusi dei fondi urbani ecclesiastici, per la ragione che in essi non vi sarebbe oggetto di positivi miglioramenti. Epperò, essendo assai incerto e malsi- curo l’ appoggio della Camera per tutti i motivi sovra cennati, dovetti accettare la esclusione dei fondi demaniali e degli urbani ecclesiastici, per non incontrare una opposizione su tutto il progetto da parte del Ministero, che sarebbe stata letale in quello stato d’incertezza, Inoltre la Commissione fu negativa sul concetto di affidare ai comuni di accordo coi titolari le operazioni della enfiteusi, e per conseguenza non volle pure ammet- tere la facoltà di sovraimporre in favore dei comuni stessi una rendita fondiaria eguale ad un decimo del canone, nel caso che il loro bilancio non contenesse per lo meno «due terzi di reddito nascente da proprietà fondiaria. Escluso dunque quest’ altro concetto, si venne tosto all’idea di affidare le dette operazioni a Commissioni speciali. Dovetti allora oppormi all’antico sistema delle Com- Giornale di Scienze Nat. ed Econ., Vol. VII, Parle II. $ 58 STORIA DELLA ENFITEUSI missioni provinciali, ed invece proposi un più largo numero di Commissioni, cioé una per ogni capo-circondario, composte bensi di uomini che da una parte aver po- tessero tutte le necessarie garanzie, e dall’altra non fossero così occupati di proprii affari da non poter con alacrità attendere al compimento della interessante opera- zione, siccome erano state nel passato le Commissioni provinciali ($ 6 e 7). Queste nuove Commissioni riuscirono composte così: il Prefetto o Sotto-Prefetto presidente con facoltà al Prefetto di delegare in sua vece un Consigliere di Prefettura, un Giudice delegato dal Presidente la Corte di appello, il Ricevitore demaniale del capo-luogo del circondario, un delegato dell’Ordinario diocesano, e tre Notabili nominati dalla Deputazione provinciale. Una seria discussione fu impegnata nella Commissione sull’ argomento se la con- cessione ad enfiteusi dovrebbe generalmente farsi per mezzo d’incanti, o con sorteggio, ovvero con sistema misto nel modo ch'era stato già stabilito dalla Prodittatura ($ 7). Il Prodittatore stesso deputato Mordini, membro della Commissione, sostenendo il fatto proprio e le idee ch’erano prevalse nella formazione del suo decreto, si spiegò per il sistema misto. Il deputato Ondes propugnò per una speciosa ragione il sor- teggio di tutti i fondi, o almeno il sudetto sistema misto : egli diceva che i beni della Chiesa sono dei poveri in tutto ciò ch’è superfluo al mantenimento dei ministri ed al decoro della medesima. Fissato adunque un canone pei bisogni ecclesiastici, non è necessario attingere per mezzo della gara il massimo reddito, ma è meglio lasciarlo in beneficio dei poveri, a titolo di superfluo in generale. Laonde per lui non rima» neva che la divisione dei lotti col sorteggio. Io fui caldo oppositore d’ogni sistema di sorteggio, per quelle stesse ragioni che innanzi ho esposto nel criticare il decreto della Prodittatura ($ 7). Non era poi un argomento molto serio quello che maneggiava il deputato Ondes per poter convin- cere i Commissarii, nè meritava una lunga confutazione. Non sarebbe stato questo il mezzo di far pervenire ai poveri quel superfluo de’ benefizii ecclesiastici che ai titolari incombe per legge canonica distribuire sotto titolo di elemosina. Nè la li- mosina ufficiale in un governo libero è intelligibile. — In fatto poi era stato già dimo- strato abbastanza che i poveri non avrebbero potuto godere di questo vantaggio, e che di un modo o di un altro essi sarebbero stati i prestanomi dei ricchi. E final- mente la stessa agricoltura non vuole che la terra stia nelle mani dello estremo povero, ma esige discreti capitali per poter essere migliorata. Pertanto la maggioranza della Commissione accettò il sistema generale degl’incanti. Un'altra modificazione venne anche introdotta dalla Commissione, cioè lo escludere dalla enfiteusi i fondi appartenenti a qualsiasi ente ecclesiastico di patronato lai- cale, e ciò in omaggio al principio propugnato da taluni suoi membri che la pro- prietà di tali beni esista nel patrono laico. La maggior parte delle disposizioni tendenti ad ottenere dagli stessi titolari ec- clesiastici, dai notari, dai sindaci, sotto minaccia di rispettive pene, tutti gli ele- menti necessarii alla formazione dei quadri dei beni censuabili, non che tutte le al- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 59 tre disposizioni relative alla formazione dei lotti, alia definizione della rendita ed alla detrazione dei pesi, disposizioni ch’ io aveva incluso nel separato regolamento, furono tutte dalla Commissione introdotte nella legge. Vi s'introdussero pure, prendendoli dal decreto e dal regolamento -della Proditta- tura, alcuni articoli riguardanti i dritti dei terzi sopra i beni censuabili, non che alcuni altri sulla conservazione degli affitti pendenti. Si diede alla Commissione en- fiteutica la rilevante facoltà di convertire iu rendita fissa, da gravarsi sugli stessi fondi, tutti i dritti prontamente liquidabili: per gli altri in qualunque maniera litigiosi, si lasciò ai terzì il dritto di ricorrere ai magistrati competenti, dovendo intanto re- star sospese le operazioni di enfiteusi. Dal deliberato della sudetta Commissione si volle dar facoltà ai terzi di appellare al Consiglio di Prefettura. Finalmente, in una delle sedute in cui non potei trovarmi presente, prevalse l’idea, alla quale fermamente avrei resistito, cioè di far eseguire gl’incanti presso i Tri- bunali, adottando quasi negli stessi termini le disposizioni del decreto 1° dicem- bre 1833 (Documento €) — Pria di tutto, non vi era alcuna ragione di niegare la fi- ducia per questa ultima parte di operazioni alle Commissioni enfitentiche, composte dagli uomini rispettabili sopra indicati. Più, i Tribunali son continuamente gravati della gran quantità de’ giudizi ordinarii e di molte formalità relative agl’interessi dei minori, delle donne maritate, ecc. Gl’incanti di molte migliaia di lotti enfiteu- tici, con tutto il treno della precedente pubblicazione dei bandi e dei susseguenti reincanti per l'aumento di decimo e di sesto, e col rilascio finale di tutte le spedi- zioni esecutive, non erano una piccola mole di lavoro che si sovraimponeva ai Tri- bunali ed alle loro Cancellerie. Quindi le operazioni della enfiteusi dovevano essere per necessità ritardate e condotte con stento. E finalmente i Tribunali avevano per legge comune la facoltà di delegare le subaste per la vendita degl’immobili dei mi- nori ai notari locali ed ai cancellieri di pretura. L’uso di questa facoltà, che dive- niva indispensabile pei Tribunali più gravati di affari, riduceva a minime propor- zioni la garanzia che s'intendeva conseguire coll’affidare all’ordine giudiziario gl’ in- canti enfiteutici; mentre sarebbe stata una garanzia molto maggiore la presenza della Commissione composta di quei tali uomini nella subastazione, anzichè la sola pre- senza di un notaio di piccolo comune, o di un cancelliere di pretura. — Pure il pro- getto della Commissione riportò questo grave difetto, che poi passò nella legge, e che fu quindi causa di molti mali nella esecuzione dell’ enfiteusi, siccome appresso ve- dremo, i Relatore della Commissione fu eletto l’onorevole Ugdulena. $ 11 Incidente intorno all’enfiteusi nel Ministero di grazia e giustizia. Pria di parlare della discussione che ebbe luogo alla Camera dei Deputati sul cen- nato progetto formulato dalla Commissione, stimo bene informare i miei lettori di un notevole incidente che preparavasi nel Ministero di grazia e giustizia contro la legge da me proposta. 60 STORIA DELLA ENFITEUSI Ho già narrato ($ 9) che il ministro Cassinis aveva annunziato alla Camera starsi discutendo da una speciale Commissione un progetto per estendere a tutta Italia la legge piemontese del 13 luglio 1857, con cui abolivasi forzosamente qualunque en- fiteusi costringendo gli utilisti ad affrancarsi infra un determinato tempo, ovvero i domini diretti a ripigliare i fondi e pagare le migliorie, Il Ministro presiedeva egli stesso la Commissione. Epperò, dopo la presa in considerazione del mio schema di legge, egli m’invitava a far parte di quella Commissione, Accettai volentieri, e non certamente coll’ animo di arrivare allo scopo al quale voleva giungere il Ministro, cioè di distruggere immediatamente ogni enfiteusi, per- chè con ciò avrei condannato in anticipazione la legge ch’io sosteneva; ma invece col disegno di far prevalere in seno della Commissione stessa la idea dell’ atfrancabilità dei canoni enfiteutici, alla quale avevo accennato nella seduta del 15 aprile 1861. Trovai nella Commissione Senatori e Deputati di tutte le varie parti d’Italia. Per la Sicilia vi era stato chiamato l’onorevole avvocato Di Marco allora deputato, che essendosi dovuto allontanare da Torino, avea promesso al Ministro di mandargli in iseritto il suo parere su questo argomento. Come pure vi fu chiamato il sudetto ono- revole Musmeci, il quale, benchè nella tornata del 15 aprile si fosse palesato con- trario al contratto di enfiteusi in genere, pure in seno a cotesta Commissione non potè fare a meno di riconoscere l’ impossibilità di applicare alla Sicilia la cennata legge di forzosa affrancazione. Le sedute, alle quali noi intervenimmo, furono parecchie nei mesi di maggio e giugno 1861. Il Ministro nelle sedute precedenti aveva già ottenuto l’ adesione alle sue idee dai Senatori e Deputati delle varie provincie che componevano la Commis- sione, meno soltanto del Senatore Farina piemontese, il quale era decisamente av- verso alla su indicata affrancazione forzosa, e rinfacciava al Ministro i dannosi ef- fetti che essa aveva prodotto nel circondario di Voghera, ove il contratto enfiteu- tico era più esteso che in ogni altra parte de’ dominii subalpini, Io tenni il sistema di mostrare in tesi generale che il contratto d’enfiteusi non è essenzialmente feudale e non è degno di abolizione: esso è contratto di m27glzoramento agrario, come dice la stessa parola enfiteusì, ed in tutti i tempi vi saran persone che, essendo proprietarie di terreni, non saranno in grado di beneficarli, onde avran bisogno di concederli ad altri per poterli migliorare. Il contratto di locazione, quan- tunque di lunga durata, non riesce sempre a questo scopo, poichè non è nell’ inte- resse di un locatario che faccia nel fondo de’ beneficii ch’ egli sa di non dover go- dere: onde nelle locazioni a lungo tempo si fan sempre quei tali miglioramenti, che il locatario è certo di dovere sfruttare egli stesso e la sua famiglia. Il contratto più sem- plice e più vantaggioso all’agricoltura è lo enfiteutico, il quale in sostanza rappresenta una vera alienazione del terreno in pro di chi può ben coltivarlo, contro la riserva di un solo annuo canone di cui il domino si contenta. Se il contratto d’enfiteusi nacque nell’epoca feudale (perchè era quella l’epoca del maggior concentramento delle proprietà territoriali e della impossibilità di coltivarle DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 61 il signore) fu ben naturale che questo contratto portasse le vestigia del feudo, cioè il consenso del signore nei passaggi, il pagamento di un tributo per questo consenso, la irredimibilità del canone, ed il ritorno del fondo una con tutti i beneficii nel caso di mancato pagamento, di danneggi, o di alienazione non consentita ($ 3). Laonde il vero progresso legislativo non è nello abolire questo utile contratto, ma invece nello spogliarlo di tutti quei ristrettivi patti feudali, e sopra tutto nel lasciare all’enfitenta la libertà di redimere il canone, mercè la quale operazione la enfiteusi si trasforma in alienazione assoluta con condizioni vantaggiose al coltivatore — al quale debbono principalmente esser rivolte le mire di chi vuol favorire lo sviluppo economico del paese. Dall’altro canto impugnai nella concreta esecuzione la possibilità di affrancare for- zosamente tutte le enfiteusi esistenti nella Sicilia colle norme segnate dalla sudetta legge del 1857. In Sicilia, io diceva, per poco non 'è data la stessa aria in enfiteusi: dove è coltura, ivi è enfiteusi, poichè i baroni non coltivarono mai a proprie spese. Ove dunque si troverebbero i capitali per redimere infra un decennio tatti i canoni esistenti, o pure per pagarne tutte le migliorie, come quella legge prescrive ? Essa quindi porterebbe una rivoluzione economica nel paese, sconcerterebbe le pacifiche re- lazioni tra i domini e gli utilisti, e farebbe alzare smisuratamente l’usura per l’im- pellente bisogno di trovar tanti capitali. Intanto il deputato Di Marco mandava al ministro Cassinis il promesso suo avviso, ed anch’ egli concordava nell’idea di non potersi applicare alla Sicilia la legge dell’af- francazione forzosa, ma piuttosto doversi lasciar libero il redimersi agli enfiteuti. Stretto così il Ministro dall’unanime avviso contrario dei Deputati siciliani, credette ripie- gare dallo estendere alla Sicilia la detta legge, e quindi annunziò alla Commissione che avrebbe proposto di applicarla a tutte le altre provincie d’Italia, i cui rappre- sentanti già vi avevano acconsentito. Allora i Deputati napoletani e delle provincie expontificie, principalmente Mirabella e Borgatti, si opposero alle vedute espresse dal Ministro, facendogli rilevare che le ragioni, le quali militavano per la Sicilia, eran pure identiche per le loro provincie e forse per tutte le altre parti d’Italia; e che se essi avevano in massima generale aderito ad estendere questa legge, lo avevan fatto per amore ‘di concordia e di uni- - ficazione legislativa. Or dunque che per le provincie siciliane riconoscevasi la inap- plicabilità dell’affrancazione forzosa e la necessità di un diverso temperamento, cioé dell’affrancabilità volontaria, non vi era più ragione di non adottare lo stesso tempe- ramento per tutte le altre provincie. Prevalse adunque questo concetto in seno della Commissione ed il Ministro non potè arrivare al suo scopo. Ben vero questi lavori furono assai utili, perché servirono dopo, siccome vedremo a suo tempo, per far entrare nel nuovo Codice italiano il contratto enfiteutico spogliato de’ suoi caratteri e patti feudali, e per far prevalere in riguardo alle antiche enfi- teusi il giusto concetto della volontaria affrancabilità, che poi fu sancito nell’ arti- colo 30° delle Disposizioni transitorie per l'applicazione del sudetto Codice. 62 STORIA DELLA ENFITEUSI In tal modo, non solo si ottenne questo più largo beneficio, ma fu anche meglio assicurata la base al progetto di lege dell’enfiteusi dei heni ecclesiastici. $ 12 Discussione generale nella Camera dei Deputati, Venne finalmente il giorno per la discussione del progetto formulato dalla Com- missione: fu il giorno 23 luglio 1862, cioè 16 mesi dopo ch’ era stato da me pre- sentato alla Camera. Il deputato Ugdulena aveva dato la sua relazione nella tornata del 2 luglio istesso. Aveva egli fatto rilevare le necessità economiche, riconosciute da Ferdinando III sin dal 1792, da Ferdinando II nel 1838 e dalla Prodittatura nel 1860, per le quali era indispensabile di accordare alla Sicilia questa legge di enfiteusi dei beni ecclesia- stici; confermava la impossibilità di venderli per la mancanza dei corrispondenti ca- pitali e per il depreziamento che ne sarebbe stata la conseguenza: faceva per altro rilevare che l’enfiteusi redimibile produrrebbe un effetto analogo a quello della ven- dita in quanto alla disammortizzazione di quei beni, senza però averne gl’inconve- nienti. Esprimeva in fine le idee che prevalsero nella Commissione su’ varii punti in- dicati sopra ($ 10) e ne accennava le principali ragioni, Insuperabili impedimenti di famiglia tolsero a me la possibilità di trovarmi in quella discussione: manifestai per altro alla Camera di accettare le idee fondamentali del progetto: della Commissione. L'incidente più notevole ch’ ebbe luogo nella discussione generale fu quello solle- vato dal deputato Panattoni, il quale intendeva risuscitare le obbiezioni messe in- nanzi dal ministro Cassinis nella discussione del 15 aprile 1861 ($ 9). Egli muoveva una quistione pregiudiziale, per la ragione che già una legge generale intendevasi presentare intorno all'esistenza o meno del contratto di enfiteusi e intorno ai modi di farlo cessare; laonde ne tirava la conseguenza che questa grave questione ancora irresoluta sarebbe stata di pregiudizio alla proposta Corleo. Î A lui rispose in primo luogo il relatore Ugdulena, e quindi il Rattazzi presidente dei ministri. Presso a poco le risposte furono in quello stesso aspetto, nel quale io le aveva date al ministro Cassinis. Si fece inoltre rilevare la specialità della legge, che riguardava bisogni peculiari della Sicilia; ed il Presidente dei ministri non lasciò di osservare con molta opportunità che se si fosse accolta la questione pregiudiziale, sempre sarebbe rimasto in vigore il decreto 18 ottobre 1860 emanato dalla Prodit- tatura: era dunque necessità guardar la quistione da quest’altro lato, cioé se il de- creto della Prodittatura si’ dovrebbe modificare colla proposta Corleo, oppure lo si dovrebbe eseguire quale era. Pertanto il deputato Panattoni ritirò la sua quistione preg indiziale. i Ma a questo punto la discussione prese un aspetto più grave: il deputato Ondes- Reggio, membro e presidente della Commissione che aveva formulato il progetto, sor- geva egli stesso per oppugnarlo indirettamente, il che spiegava tutta la sua prece- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 63 dente tattica nello averne sempre procrastinato lo esame nel seno della Commissione, sperando di farlo finalmente naufragare ($ 10). Egli cominciò collo scusarsi di far parte di quella Commissione, sostenendo che con ciò non intendeva contradire i pro- prii principii, e che quantunque una tal legge attentasse alla proprietà della ©hiesa, pure egli vi aveva consentito e collaborato per evitare che mali maggiori sì com- mettessero alla proprietà dei beni religiosi, atteso il tristo andamento dei tempi. Contro lui si levarono i deputati siciliani La Porta e Crispi. Ma in vero la quistione non fu sollevata sino all’aitezza de’ suoi principii, poichè se ne volle fare una sem- plice quistione di fatto, sostenendosi dai medesimi e negandosi dall’Ondes che i beni furono donati soltanto in usufrutto alle Chiese di Sicilia nei tempi d’ignoranza, ma che la proprietà è pur sempre rimasta allo Stato, il quale ora ne può disporre al- trimeuti. Il deputato Ondes invocava il principio di proprietà, come in generale lo invocano tutti i clericali che non vogliono subordinare all’interesse pubblico là forma della proprietà della Chiesa, sotto il pretesto che essa deve esser libera della pro- prietà sua come qualunque altro, e perciò non deve soggiacere a veruna legge spe- ciale e restrittiva. Essi non si accorgono, o non vogliono accorgersi, che la proprietà territoriale è essenzialmente privata, perchè soltanto i privati possono ben coltivare la terra, e non è lecito a chicchessia stornare dal suo naturale indirizzo l’ agricol- tura concedendo la terra ad enti morali che non potranno ben corrispondervi, con danno evidente della pubblica economia. È questa la vera ragione, per cui lo Stato ha dritto d’immutare la proprietà terriera degli enti morali qualunque pur sieno, e di cambiarla in una rendita di altra natura in proporzione ai bisogni ed allo scopo degli enti morali medesimi. Per altro è pur lo Stato che decide sull’esistenza, sullo scopo e sui bisogni di qualsiasi ente morale, apprestando o mantenendo loro i mezzi corrispondenti. Osservò intanto l’onorevole Valerio che quella sarebbe stata una inutile discussione accademica; per altro il deputato Ondes non ne faceva una formale proposta, ma una mera dichiarazione di suoi principii. Così la discussione generale fu chiusa e si venne allo esame degli articoli. n $ 13 Discussione degli articoli. Surse dapprima una poco importante quistione sull’uso della parola enfiteusi, alla quale il deputato Sanguinetti avrebbe voluto sostituire quella di censo. Il ministro della giustizia, Conforti, fe’ rilevare che qui non si trattava più dell’antica enfiteusi baronale col suo laudemio. Invece il Presidente dei ministri non avrebbe voluto né la parola enfiteusi, nè l’altra di censo, ma piuttosto rendita perpetua redimibile. Però i deputati napoletani Pica, Giacchi e Mancini, vennero a chiarire il concetto di questo genere di enfiteusi, dimostrando alla Camera che tale enfiteusi redimibile e senza quei patti feudali era già ammessa nelle Due Sicilie dal Codice del 1819, sic- come altronde io l’aveva fatto rilevare nella relazione che posi innanzi al mio pro- getto. 64 STORIA DELLA ENFITEUSI Intanto l'onorevole Mancini, vista la portata della legge che si discuteva, prese quella occasione per proporre alla Camera in linea di emendamento che, invece di appli- carsi alle sole provincie siciliane, essa si estendesse a tutto il regno d’Italia. A que- sta proposta si oppose il Governo per mezzo dei ministri Pepoli e Conforti, come pur si opposero i deputati Ondes-Reggio, Allievi e Cavallini, ponendo sopra di essa la qui- stione pregiudiziale; la quale dalla Camera fu accettata, e perciò la estensione della legge a tutta l’Italia non venne ammessa, Non devo lasciar di ricordare in questa occasione ciò che dicevami sei anni dopo (in dicembre 1868) il ministro delle Finanze conte Cambray-Digny: Quanto sarebbe stato meglio che avessimo esteso la legge della enfiteusi a tutti i beni ecclesiastici d’Italia! A quest'ora il patrimonio ecclesiastico si sarebbe ben liquidato, ed avremmo fatto con convenienza le nostre operazioni sì per la Chiesa che per lo Stato! Un'altra quistione fu quindi sollevata dal deputato Sanguinetti per modificare la riserva che l’onorevole Ondes aveva fatto entrare nel progetto della Commissione, cioé quella di escludere dall’ enfiteusi i beni ecclesiastici di patronato laicale. 0s- servava il Sanguinetti che escluderne i beni delle cappellanie laicali era ragione- vole, perchè questi son beni veramente privati, addetti a celebrazione di messe, ma non passati nel dominio della Chiesa. Al contrario, i beni, su cui si conserva sol- tanto un patronato laicale, son già divenuti proprii della Chiesa e perciò debbono comprendersi nella disposizione generale di doverli concedere. Unironsi ad appog- giare questa ragionevole idea i deputati Panattoni e Pica; e quantunque Ondes avesse pur sostenuto essere privati i beni di patronato laicale, la Camera fece ra- gione alle osservazioni contrarie, ed accolse l'emendamento Sanguinetti, Laonde nel- l’articolo 1°, invece di dire: « eccetto quelli di patronato laicale » si disse: « eccetto quelli che provvengono da cappellanie laicali. » i Il deputato Ondes-Reggio si alzò quindi a far 1’ altra quistione, cioè se i lotti si dovrebbero tutti censuare all’asta pubblica, o col sorteggio. Egli mostrò preoccuparsi della sorte dei lavoratori che non hanno capitali: su di essi, egli diceva, prevarreb- bero in un incanto pubblico i capitalisti. Quindi proponeva togliersi dall’articolo 1° le parole previo incanto. Contro di lui favellarono gli onorevoli Ugdulena relatore, Pica e De Cesare. Il relatore espose quali fossero stati gl’intendimenti della maggioranza della Commissione, dimostrò non essere utile all’agricoltura che divengano proprietarii di terreni coloro che mancano di capitali per ben coltivarli, che anzi per essi la mag- giore utilità è quella che in ragione dell’accrescimento delle colture venga meglio richiesta la loro opera e sia più largamente pagata. Pica confermò questa idea colle osservazioni di fatto, cioè cogl’infelici risultati di altre concessioni a sorteggio di beni dei comuni delle provincie meridionali. Ma allora il deputato Ondes capovolgeva to- sto il suo elastico argomento, sostenendo al contrario che nell’incanto si sarebbero presentati a preferenza i nullatenenti all’ oggetto di far guadagno nella rivendita ; e così egli stesso si dava la zappa ne’ piedi dimostrando che coloro, cui mancano i capitali, non son buoni alla coltivazione e cercherebbero di aver terreno soltanto DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 65 per farne oggetto di lucro col cederlo ad altri più ricchi: epperò la gola di far tale lucro si sarebbe vieppiù accresciuta nel. sistema del sorteggio, perchè avuto un lotto per basso canone fisso, lo si potrebbe poi rivendere a più caro prezzo. Finalmente De Cesare metteva in maggior luce le vere idee del barone Ondes, il quale presso a poco avrebbe voluto rinnovare il sistema feudale, attaccando il proletario alla Chiesa ed al signore come negli antichi tempi. « Dal nulla si è ricavato mai nulla? » diceva De Cesare « il sistema Ondes-Reggio è diametralmente opposto ad ogni sana massima di eco- « nomia concernente il possesso delle terre ed il miglioramento agrario. » Fu quindi respinta la proposta Ondes e fu approvato il concetto della Commissione. Ammesso il primo articolo , cioè il concetto fondamentale, passarono tutti di se- guito senza opposizione nè discussione gli articoli sino al 17°, concernenti le dichia- razioni, la fissazione della rendita netta, 1a intima e pubblicazione dei quadri. Un altro esame fu quindi impegnato sull'articolo 18°. Il signor Ondes impugnò il sistema adottato dalla Commissione, cioè che in tutta questa operazione altro non vi si debba vedere che un affare puramente amministrativo: egli perciò voleva che i terzi, nel caso si sentissero gravati dalle deliberazioni della Commissione circa le loro pre- tese sui fondi censuabili, non dovrebbero portarne reclamo al Consiglio di Prefettura, come era disposto nel cennato articolo, ma invece ai Tribunali ordinarii. Veramente la Commissione, avendo già adottato il principio di far eseguire presso i Tribunali le subastazioni colle forme della procedura per la vendita degl’immobili dei minori giusta il decreto del 1833, siccome ho fatto sopra notare ($ 10), non po- teva più incontrare difficoltà ad ammettere il medesimo dualismo tra Commissione enfiteutica e Tribunale nel risolvere i reclami dei terzi. Si fece adunque un po’ di questione sull’ emendamento Ondes soltanto per determinare se il gravame si do- vrebbe recare al Tribunale, ovvero alla Corte di appello. Oltre al detto deputato On- des ed al relatore Ugdulena, presero parte a questa diseussione gli onorevoli Crispi, Paternostro, Pironti e Chiaves. Si venne pertanto alla determinazione di ammettere come decisione di prima istanza quella della Commissione di enfiteusi, col gravame in seconda istanza presso la Corte di appello. Prevalse così la proposta Pironti. Il deputato La Porta sull’articolo 19° voleva proporre un emendamento, voleva cioè restringere il limite massimo dei lotti a 50 ettare invece di 100, ed' il limite me- dio ad ettare 5 invece di 10. Ma, combattuto dal relatore e da Ondes, l'emendamento non fu accettato, e fu approvato l’articolo della Commissione. Nessuna difficoltà fu sollevata contro gli articoli 20°, 21° e 22°. Soltanto s’ impe- gnò nuova discussione sull’articolo 23°, nella quale presero la parola i deputati Pa- nattoni, Mancini, Salaris e Regnoli, oltre al relatore. I punti in controversia furono due, cioè: se si dovrebbe accordare la prelazione al domino diretto nei casi di alie- nazione del dominio utile, e se il canone dovrebbe essere indivisibile in tutti i casi di divisione del fondo, siccome la Commissione aveva creduto di ammettere in op- posizione alla mia primitiva proposta. Ma il deputato Mancini con vigorosa argomen- tazione dimostrò non potersi riconoscere nei titolari ecclesiastici il dritto di prela- Giornale di Scienze Nat. ed Econ. Vol. VII. Parte II. 9 66 STORIA DELLA ENFITEUSÌ zione e costrinse la Commissione ad accettare l’idea opposta; anzi le fece accettare la massima che il titolare debba riconcedere il fondo con quelle stesse norme nel caso di devoluzione. Come pure i deputati Panattoni, Salaris e Regnoli, fecero prevalere la più saggia idea che il canone debba dividersi nella stessa misura che si divide il fondo. Il deputato Salaris previde il caso della deserzione degl’incanti ed indusse la Ca- mera a porre un altro articolo, con cui si dà facoltà alla Commissione di concedere in enfiteusi colla trattativa privata quei fondi che in tre esperimenti all’asta pub- blica non avrebbero potuto ottenere offerte. Questo articolo fu collocato al numero 30, essendo stati in antecedenza approvati e con leggieri incidenti gli articoli dal 24° al 29° (Come del pari furono in seguito approvati senza quistione gli articoli dal 31° al 34°, i ; Surse una nuova discussione sull’articolo 35° in quanto al modo di affrancare i ca- noni, poichè si fe’ presente che una legge era già stata votata dal Senato e stava discutendosi presso la Commissione della Camera per dare una norma generale a tutte le affraucazioni di canoni, censi e livelli; perciò il modo di affrancare i nuovi canoni avrebbe dovuto subordinarsi a quella norma generale. Parlarono il Presidente dei mi- nistri, Mancini, Ondes, Sineo ed il relatore, e si venne quindi alla conclusione di dar facoltà agli enfiteuti di redimersi dei canoni con eguale rendita sul Gran Libro, anche in una 0 più rate a lor piacimento, finchè non sia altrimenti provveduto con legge generale, Fu combattuto giustamente e ritirato l’articolo 36° della Commissione, che dispo- neva doversi tosto eseguire questa legge con regolamento approvato da reale de- creto, poichè ciò sarebbe stato comune a qualsiasi legge e non occorreva una speciale statuizione. Quindi l’articolo 37°, che abrogava ogni disposizione contraria, passò al luogo del 36°. — Non potè ottenere il deputato Salaris un altro articolo ch'egli vo- leva mettervi in mezzo per impegnare il Governo a presentare un nuovo progetto, con cui avrebbero dovuto a parer suo concedersi, anche con forme diverse, tutti quei fondi che sarebbero stati esclusi da questa enfiteusi perchè coperti di alberi, di vigne 0 ‘di boschi, o perchè contenenti miniere. La intiera legge in 36 articoli fu approvata dalla Camera con una maggioranza di quasi due terzi dei votanti. Essa è riportata tra i documenti alla lettera K. $ 14 Discussione della legge în Senato. Passato il progetto al Senato e fattosene con rapidità l’esame ne’ suoi 5 Ufficii, i Commissarii ebbero mandato di approvarlo e relatore ne fu l’ onorevole professore Michele Amari, i Egli espose in una breve relazione le due precipue ragioni, per le quali credeva doversi approvare: 1° perchè una gran quantità di beni, cioè i demaniali, andavano a mettersi in vendita, quindi non era giusto gettare anche sul mercato i beni ec- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 67 clesiastici di Sicilia, ma piuttosto conveniva concederli in enfiteusi eome un mezzo di passaggio alla loro completa alienazione, 2° perchè con questo progetto si corregeva il precedente decreto della Prodittatura che aveva parecchi difetti, N giorno 6 agosto 1862 venne destinato all’esame della legge, e la discussione ge- nerale fu ben lunga: vi presero parte per oppugnarla i senatori Siotto-Pintor, Linati e conte Amari, per difenderla il relatore professore Amari, il ministro di grazia e giustizia Conforti, e De Monte. Le obbiezioni del senatore Siotto-Pintor miravano sopra tutto a non ammettere nuovi contratti di enfiteusi come di lor natura feudali e del medio evo : egli per questo ri- guardo appoggiavasi alla legge che di recente aveva votato il Senato sull’affranca- bilità dei canoni enfiteutici, censi e livelli: vogliamo, egli diceva, far nascere delle nuove enfiteusi, quando abbiamo statuito l’affrancabilità di quelle preesistenti per di- struggerle ? Perlocchè la tesi di lui era quella di doversi vendere i beni ecclesiastici di Sicilia, come tutti gli altri d’Italia. Anzi cercava di trarre dal sno canto il Mi- nistero dicendo che questa legge non era ne’ suoi pensieri, e che il Ministero l’a- veva subita per la pressione dei Deputati siciliani, Il senatore Linati fondavasi in parte sull’ argomento del non doversi più ammet- tere nuove enfiteusi; ma dall’altro canto combatteva la legge come nociva agli enti ecclesiastici, perocchè credeva che gli agricoltori non avrebbero voluto concorrere a questa operazione senza trovarvi un loro aperto profitto, il quale sarebbe caduto in danno dei corpi morali. Finalmente il senatore conte Amari sforzavasi a dimostrarne la inopportunità ad- ducendo esempii di altre precedenti censuazioni di beni ecclesiastici della Sicilia, le quali a creder suo non avevano fatto buona pruova: egli diceva che i beni gesui- tici nella prima espulsione della Compagnia fossero stati già censuati (era un errore) e che quei beni si fossero quindi concentrati in poche mani, o fossero stati abbando- nati. Soggiungeva ancora che frazionati i latifondi delle Chiese di Sicilia, (dei quali taluni giungono pure ad ettare 2600) in esigui lotti di ettare 10 in media, non avrebbero mai potuto ben coltivarli i piccoli agricoltori, i quali avrebbero dovuto recarsi a gran distanza dall’abitato, colf perdita di tempo, con dispendio e per tenue interesse, Ma il relatore ribatteva gli argomenti dei tre anzidetti Senatori. Osservava in primo luogo al senatore Siotto-Pintor la inopportunità di porre in vendita i fondi ecclesia- Stici di Sicilia nell’atto stesso che si dovevano vendere i demaniali; ed a tal uopo istituiva dei calcoli sugli elementi catastali del 1858 per rilevare la grande esten- sione di quei fondi. Al senatore Linati rispondeva con mostrare l’ eccezionali circo- stanze della Sicilia e perciò la necessità di darle una legge speciales egli soggiun- geva che questa legge non colpirebbe il clero liberale di Sicilia, come il sudetto Se- natore aveva mostrato di temere, ma invece colpirebbe i vescovi e gli alti dignita- rii, i quali possedevano la maggior parte dei beni, ma non dimostravansi favore- voli all’ unità italiana. Al conte Amari fece scorgere l’ errore della concessione enfi- 68 STORIA DELLA ENFITEUSI teutica dei beni gesuitici ch’ egli sosteneva, e sopra tutto gli fe’ rilevare quali sa- rebbero state le conseguenze della indefinita sospensione del disammortamento dei fondi ecclesiastici siciliani giusta le idee dell’onorevole Conte. « Gli stessi teologi » diceva il relatore, « non posson niegare che la Provvidenza vuol pure essere aiutata dall’uomo. « La legge della censuazione è utile e giusta perchè prepara e stabilisce un termine « di mezzo, uno stadio da percorrere tra le condizioni attuali e quelle della maggior « divisione e della maggior libertà della proprietà territoriale. » Il ministro Conforti dovette in primo luogo scagionarsi dell’accusa mossagli che non avrebbe avuto nel suo pensiero l’accettazione di questa legge. Disse che veramente essa era d’iniziativa parlamentare, del signor Corleo; che fu proposta sotto altro Ministero e che il Ministero attuale l’accettava, perchè tutti i Deputati siciliani la ri- putavano grandemente utile alle condizioni peculiari dell’Isola, ed essi dovevano più di ogni altro esser competenti a conoscere il bene o il male che tal legge avrebbe recato ai loro luoghi. Ammetteva ben vero all’onorevole Siotto-Pintor che vi sarebbe una contradizione ad ordinare novelle enfiteusi, mentre si era disposta l’affrancabi- lità delle preesistenti; ma credeva che la contradizione veniva a dileguarsi in riguardo alle speciali circostanze della Sicilia. Finalmente egli pur riconosceva in questa legge un progresso, cioè nel senso che essa veniva a corregere i difetti del decreto della Prodittatura, il quale, se questa non fosse stata approvata, sarebbe sempre rima- sto in vigore con tutti i suoi difeiti. E poichè il senatore Lauzi gli oppose che se il decreto della Prodittatura sembrasse vizioso, lo si potrebbe con un’altra legge soppri- mere, dovette egli replicargli che questo non era il suo argomento unico, ma che tra gli altri argomenti a favore della legge in discussione vi era pur cotesto di dover con essa corregere il decreto prodittatoriale. Ma invero fu il senatore De Monte che si elevò all’altezza de’ principii. Egli negò recisamente, e con ragione, che una contradizione vi fosse tra queste nuove enfi- teusi e la ordinata affrancabilità delle preesistenti; perocchè queste sarebbero state redimibili non meno che quelle, e sempre scevre degli odiosi patti feudali. Attesa la necessità di far coltivare tutti cotesti latifondi e la impossibilità di porli in vendita senza depreziarli, la enfiteusi diveniva utile si agli agricoltori, che ai corpi ecclesia- stici: con che egli rispondeva pure alla obbiezione Linati, Ed in vero, soggiungeva De Monte, con questa legge non si mira ad altro che a quel giusto scopo che pre- figgevansi il dritto romano e le posteriori legislazioni nell'’ammettere il contratto di enfiteusi, cioè all’immegliamento delle terre che ne fossero capaci: infatti i fondi co- perti di alberi o di vigne ne sono espressamente esclusi. Pertanto egli concludeva così: e non essendovi contradizione tra la legge testè votata dal Senato (dell’affran- « cabilità dei canoni) e quella che ora si propone; non essendovi alcun danno delle « corporazioni ecclesiastiche; conseguendosi anzi lo scopo della pubblica e privata uti- « lità, concludo che la legge debba essere accolta dalla saviezza del Senato. » Chiusa Ia discussione generale, si venne allo esame degli articoli. Nel quale pria di tutto il senatore Siotto-Pintor volle fare qualche osservazione sul modo con cui DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 69 sarebbe costituita la Commissione: egli credeva che il Presidente la Corte di appello avrebbe potuto delegare qualche Presidente di classe, o qualche membro della Corte, ed in tal caso non sarebbe stato bene che la presidenza della Commissione apparte- nesse ad un Sotto-Prefetto o ad un Consigliere di Prefettura. — Ma a questa prima ob- biezione rispondevano il senatore Pinelli ed il ministro Conforti osservando che l’ipote- tico inconveniente previsto dall’onorevole Siotto-Pintor sarebbe stato facilmente evitato dalla prudenza del Presidente la Corte di appello, che nell’usare della sua facoltà non avrebbe mai delegato ad un magistrato di ordine superiore al Sotto-Prefetto o al Con- sigliere di Prefettura. Pure il senatore Siotto-Pintor volle insistere e presentò un emen- damento per restringere la delegazione ad un giudice di circondario, o in generale ad un giudice inferiore a consigliere di appello; ma questo emendamento fu poi dal me- desimo ritirato. h Altre osservazioni volle pure esporre il sudetto Senatore sopra alcuni vocaboli e so- pra certe espressioni della legge. Egli proponeva che non si dicesse: Esse Commis- sioni funzioneranno, come ancora che si togliesse la frase a firma del Presidente, perchè non sono voci, nè frasi italiane; credeva pure che la parola coacervo non fosse italiana, ma piuttosto arabica, gota, o visigota. Queste quistioni di purità di lingua, per le quali si sarebbe dovuto rifare il linguaggio della legge e perciò si sarebbe essa dovuta rimandare alla Camera dei Deputati, furono tosto smaltite dal Senato, il quale nè anche appoggiò uno di cotesti emendamenti linguistici, su cui l’o- norevole Siotto-Pintor credette insistere. E poi il professore Amari gli dovette assi- curare che la parola coacervo non è niente affatto arabica, ma che viene dal latino e che in Sicilia è bene intesa; come non potè fare a meno di dirgli celiando che con questo sistema sarebbe stato necessario tenere sul tavolo del Senato un dizionario della Crusca. Cosi nessun’ altra difficoltà fu sollevata contro i varii articoli, i quali furono tutti di seguito approvati. Però, quando si venne alla votazione segreta, si ebbe un risul- tamento ben rimarchevole: il Senato approvò la legge con una maggioranza di soli 3 voti: furono 35 favorevoli e 32 contrarii in 67 votanti. Per poco non fu reietta. $ 15 Pubblicazione della Legge 10 agosto 1862 — Formazione e pubblicazione del Regolamento. La Sicilia era in quei giorni assai agitata per il movimento che avea destato il ge- nerale Garibaldi all’oggetto di condurre di là una spedizione di volontarii a Roma, quella che alla fine dello stesso mese di agosto 1862 andò a terminare coi dolorosi fatti di Aspromonte. Fu appunto in quel tempo che il Governo affrettossi a sottoporre alla firma del Re questa legge speciale per la Sicilia, già di recente approvata dal Senato, e fu essa infatti firmata il giorno 10 agosto 1862. Però se ne fece la pubblicazione sulla Gaz- zetta Ufficiale del regno il giorno 15 dello stesso mese col numero 743 della £ac- colta delle leggi e decretì (Documento K). 70 STORIA DELLA ENFITEUSI Ma la preoccupazione per la infelice riuscita della spedizione di Garibaldi era tanta in quei momenti nella Sicilia, che essa quasi non si accorse di aver finalmente ot- tenuto questa desiderata legge. Poco dopo essendo caduto il Ministero Rattazzi senza ancora averne fatto il correlativo regolamento, fu anche questa una novella causa di ritardo nella sua attuazione; poichè il Ministero nuovo sotto la presidenza di Min- ghetti, e col deputato Pisanelli a ministro di grazia e giustizia, trovava una lacuna a dover compiere per le disposizioni regolamentari di una legge che esso non aveva studiata nè difesa innanzi le Camere. Ritornai quindi in Parlamento e feci conoscere all’onorevole Pisanelli che io, per trarre a buon termine la bramata esecuzione di questa legge, mi ero già permesso d’inviare al cessato presidente del Consiglio Rattazzi uno schema di regolamento, all'oggetto di farlo studiare e cavarne infine il regolamento definitivo. Non essendosi potuto più ritrovare quello schema, ne formai un altro, il quale dal ministro fu fatto esaminare secondo le consuete norme; e con aleune poche modificazioni divenne il re- golamento firmato dallo stesso Pisanelli ed approvato con decreto reale del 26 mar- zo 1863, che porta il numero 1203 della Raccolta delle leggi e decreti (Documento L). Ecco in breve le parti principali del detto regolamento. Pria di tutto esso prov- vide alla costituzione delle Commissioni. A tale oggetto fu data ai Prefetti l’inizia- tiva d’invitare gli Ordinarii diocesani, i Presidenti le Corti di appello, e le Deputa- zioni provinciali, a nominare fra dieci giorni dallo invito i rispettivi loro delegati giusta la legge, e ad avvisarne tosto i Prefetti e Sotto-Prefetti presidenti delle sin- gole Commissioni. Se i Vescovi non volessero nominare il loro delegato, la Commis- sione s’intenderebbe sempre costituita colla elezione di tutti gli altri membri, — Si pensò pure alla supplenza del Prefetto facultandolo a delegare giusta la legge un Consigliere di Prefettura, come anche alla supplenza del Ricevitore demaniale del cir- condario, che in caso d’impedimento o di assenza.avrebbe dovuto esser sostituito da un funzionario dell’ordine finanziero scelto dal Direttore del ramo. La. presidenza, in mancanza del Prefetto o del suo sostituito, ed in mancanza del Sotto-Prefetto, fu affidata al Giudice delegato dal Presidente della Corte di appello, ed in difetto di costui al Ricevitore demaniale o a chi ne faccia le veci. Le nuove nomine, in caso di mancanza di membri, apparterrebbero a quegli stessi che hanno il dritto di nominare, Il Presidente destinerà il luogo e i giorni delle sedute ed annunzierà sul Gior- nale Officiale i nomi di tutti i componenti. Quattro impiegati furono addetti al servizio della Commissione: un segretario, un vicesegretario e due applicati. Or, per dare esecuzione alla legge, la più interessante cosa era la raccolta di tutti gli elementi necessari per conoscere i fondi ecclesiastici, il loro stato ed i loro pesi, all'oggetto di poterli censuare. Trattavasi però di censuazione forzosa, ed era stato già previsto che i titolari non vi si sarebbero volentieri rassegnati; perlocchè dalla legge si erano minacciate le multe. Ma appunto per questo era rilevante ordire in DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 71 tal guisa le fila che niuno dei titolari ecclesiastici avesse potuto sfaggire dall’occhio della Commissione e che nel tempo stesso non avessero potuto nascondersi i loro fon= di. — Per giungere a questo doppio scopo, ecco come s’intrecciarono le disposizioni nel regolamento. Il Presidente della Commissione domanda dalle Giunte municipali del circondario un notamento esatto di tutti i corpi morali ecclesiastici ed istituzioni di culto esi- stenti nel proprio comune, col nome e cognome di chi li rappresenta. Questo nota= mento deve esser fornito fra 30 giorni. Con tale prima guida il Presidente invia a ciascun rappresentante, per mezzo del sindaco del comune, un modello di dichiarazione a stampa, che per essere uniforme è stato aggiunto al Regolamento colla tabella A (Documento L). Nel tempo stesso in- via a’ notari di ciascun comune, per mezzo pure del sindaco, i modelli a stampa ag- giunti ancora al regolamento colle tabelle B e C, affinchè essi vi segnino tutti gli atti di traslazione fondiaria dell’ ultimo trentennio a favore degli enti ecclesiastici, e tutti gli affitti del sessennio 1855-1860 che debbono servire per prenderne la me- dia secondo le norme stabilite dalla legge, ovvero per farvi la dichiarazione nega- tiva se presso loro, o nelle minute di altri notai da loro conservate, non si trovas- sero di tali atti. Chiede finalmente dai percettori ed esattori i ruoli catastali dei beni rurali di tutti gli enti ecclesiastici del comune. Un quadro di tutti i sudetti beni vien pure chiesto dalla Giunta municipale. Così da tutti i lati è indagata la proprietà rurale ecclesiastica, e se i titolari son manchevoli alla dichiarazione, o non la fanno completa, la Commissione ha tutti gli altri riscontri della Giunta, dei notari e del catasto, per riconoscerne le mancanze o le lacune. Son quindi disposte le misure disciplinari contro i notai e percettori, i quali man- cassero al loro dovere nel termine prescritto; e per l’applicazione di tali misure ai notari son tutte delineate le procedure che debbonsi seguire presso i Tribunali. Ai sindaci ed alle Giunte municipali, in caso di trasgressione del loro dovere, è minac- ciato lo invio de’ commissarii giusta la legge comunale. Le dichiarazioni dei titolari ecclesiastici si ricevono e si esaminano dal Presidente la Commissione che ne rilascia loro documento, e se manca qualche parte, li invita a compirla. Poscia la Commissione, col confronto di tutti gli altri elementi, giudica sulla loro veridicità — Tutti quelli che fra i due mesi non han dichiarato, e quelli che han fatto dichiarazioni monche o non veritiere, son proposti come multabili, e la Re- gia Procura li fa ivtimare per esser condannati alla multa dal Tribunale, la quale, dopo udite le loro difese, se vi ha luogo, viene inappellabilmente inflitta. — Notifi- cate le sentenze di multe, queste vengono riscosse dai Ricevitori locali e formano introito della cassa di ciascuna Commissione: con esse poi si compensano le loro spese d’insediamento e d’ufficio. Raccolti tutti quelli elementi, la Commissione riconosce i fondi di ciascun ente ec- clesiastico, la loro natura, coltura, estensione, confini, pesi, ipoteche, servitù, giudi- 72 STORIA DELLA ENFITEUSI zii pendenti, fabbriche, acque, casamenti, affitti del sopradetto sessennio, affitto in corso, e catasto. Forma così un quadro per ciascun fondo con tutte queste nozioni, ne ritrae la rendita media dal detto sessennio e dal catasto giusta l’articolo 10° della legge, e poi ne deduce i pesi giusta il 12°, Quel che resta è la rendita netta. Si è pure previsto il caso che gli affitti del cennato sessennio fossero stati con- venuti in.derrate, e si è stabilito allora di chiederne il prezzo del tempo dal sin- daco locale, ed in mancanza da tre sindaci più vicini per prenderne la media, In piedi allo stesso regolamento si è aggiunto un esempio del modo di calcolare la media su i menzionati affitti e sull’imponibile catastale. Ove poi in quel sessennio non vi fossero stati affitti, o non si conoscessero, la rendita verrebbe stabilita sul solo imponibile catastale. Questo quadro per mezzo di usciere mandamentale s’intima al titolare, onde egli fra un mese possa reclamare alla Commissione, se il creda. La Commissione deciderà su i reclami. Indi essa pubblica sul Giornale Officiale quel quadro istesso e lo fa affiggere dai sindaci alla porta della casa municipale del comune ove è sito il fondo ed ove ri- siede il titolare ecclesiastico, non che alla porta della medesima Commissione. Da quella pubblicazione i terzi, che credono aver ragioni a reclamare, han 20 giorni di tempo per presentare il loro ricorso, intimandolo al Presidente insieme coi documenti per mezzo di usciere. La Commissione vi decide e notifica ad essi la sua delibera- zione, contro la quale possono pur gravarsi alla Corte di appello colle procedure del rito sommario. Per tutto questo tempo le operazioni della enfiteusi rimangono so- spese. Se però i terzi infra 20 giorni non avessero reclamato, resterebbero bensi illesi i loro dritti, ma non si potrebbero più opporre al compimento della censuazione. Finalmente, per non lasciare accadere che si espongano all’enfiteusi fondi pertinenti ad Opere pie laicali e di beneficenza, si è ordinato che il quadro sia pur communi- cato alla Deputazione provinciale, al Consiglio di Prefettura ed al Regio Procuratore del Tribunale, onde essi facciano alla Commissione, se ne abbiano, le loro osservazioni in contrario. Così resi definitivi i quadri, la Commissione osserva se i fondi sieno di tale esten- sione da doversi dividere in quote giusta l’articolo 19° della legge. In tal caso in- vita i titolari a dare una nota di periti che essi crederebbero conoscitori del fondo e adatti a quotizzarlo. Ella quindi sceglie da uno a tre periti. I periti misurano e fanno un piano di divisione, per sottoporlo al giudizio della Commissione, che lo approva o lo modifica. Vanno poi a stabilirvi i segni divisorii permanenti e dan relazione di tutte le quote. Sulle basi del quadro, e della relazione dei periti quando vi sieno quote, la Com- missione redige il quaderno delle condizioni per servire all’incanto pubblico. Manda questo quaderno al Regio Procuratore del Tribunale, e ne avverte in pari tempo il titolare, onde egli assista all'asta, se lo voglia. Il Regio Procuratore fa destinare il giorno dello incanto e ne fa pubblicare i bandi sul Giornale Officiale e negli stessi DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 73 luoghi ove si era aflisso il quadro, più ancora alla porta del Tribunale. L’asta si ce - lebra colle forme prescritte per la vendita degl’immobili dei minori, Se gl'incanti rimangono deserti per tre volte, il Regio Procuratore ritira il qua- derno e lo rimanda alla Commissione per procedere alla trattativa privata secondo lo articolo 30° della legge. Se la enfiteusi per qualunque caso si scioglierà, il fondo sarà riconcesso colle stesse norme, sull’avviso del Regio Procuratore e per cura del Prefetto, Le spese per gl’incanti saran liquidati dal cancelliere del Tribunale ed omologate dal Presidente: gli enfiteuti dovran pagarle pria di riceverne la spedizione esecu- tiva. Le spese di divisione in quote saran liquidate dalla Commissione ed omologate dallo stesso Presidente il Tribunale: queste dovranno esser pagate dai titolari senza bisogno di giudizio, Si ordinò finalmente alle Commissioni un circostanziato rapporto mensile di tutte le loro operazioni al’Autorità da cui dipendono, e con facoltà a ciascun membro di fare le sue speciali osservazioni e proposte.— Come pur si provvide alla scelta degl’impiegati, che a preferenza avrebbe dovuto cadere su quelli rimasti in disponibilità, i quali a- vrebbero goduto dell’intero loro antico stipendio; e se si fossero ben comportati, sareb- bero stati raccomandati dalla Commissione alle considerazioni del Ministero. — Per le spese d’insediamento e di ufficio provvederebbe immediatamente la real Finanza per mezzo dei Ricevitori lucali, salvo a compensarsene sul fondo delle multe di tutte le Commissioni, o in mancanza su altro fondo che sarebbe stato di accordo stabilito dai Mivisteri dell’Interno, delle Finanze, di Grazia Giustizia e Culti, $ 16 Formazione delle Commissioni ed origine della Sopraintendenza. Reso pubblico sulla Gazzetta Ufficiale il soprascritto regolamento, tutti i Prefetti furono solleciti a mandar l’invito agli Ordinarii diocesani, ai Presidenti le Corti di appello ed alle Deputazioni provinciali, cui spettava far le delegazioni e le nomine. Così le Commissioni furon tosto quasi tutte costituite per ciascun circondario. Non tutti però i sudetti Ordinarii nominarono il loro delegato. Quelli che delegarono furono i seguenti: l'Arcivescovo di Monreale nella Commissione di Corleone, il Vescovo di Cefalù in quella di Cefalù, il Vicario Capitolare di Girgenti in quelle di Girgenti, Sciacca e Bivona, il Vicario Capitolare di Patti in quelle di Patti e di Mistretta, ed il Vicario dello Archimandritato di Messina in quelle di Messina e di Patti. Nella maggior parte furono anche provvedute le Commissioni dei quattro loro im- piegati secondo l’organico stabilito nel regolamento. Essi furono presi dal ramo de- gl’impiegati in disponibilità o in aspettativa, e furono nominati con decreti ministe- riali sulle proposte dei Prefetti e dei Sotto Prefetti. Svolgevansi intanto con lentezza le operazioni preliminari, con cui i Presidenti delle Commissioni cominciavano a chiedere dalle Giunte municipali, dai notari e dai per- cettori, tutte le notizie che erano necessarie per formare il notamento generale dei Giornale di Scienze Nut. ed Econ., Vol. VII, Parle II. 10 74 STORIA DELLA ENFITEUSI titolari ecclesiastici residenti in ciascun comuue, e l'altro dei fondi rustici che ap- partenevano ai titolari ivi residenti o a quelli residenti altrove. Come era naturale, incominciavano a sorgere delle difticoltà o per dubbii di mas- sima nella esecuzione della legge e del regolamento, o per ostacoli che vi frappo- nevano tanto coloro che dovevano somministrare tali notizie, quanto i titolari stessi ai quali già si andavano dirigendo gl’ inviti per porgere le loro dichiarazioni giusta il modello. Vuolsi però non lasciar di avvertire che taluni pochi enti ecclesiastici, anche prima che fosse stato pubblicato il regolamento col sudetto modello, e prima perciò che ne avessero ricevuto l’invito, avevano presentato ai Presidenti delle Com- missioni le loro dichiarazioni, spesso non così esatte, nè in quelle forme che ven- nero poscia determinate dal regolamento. Onde, tra i dubbi e gli ostacoli insorti, tra la lentezza del costituirsi le Commis- sioni e le loro segreterie, e tra le non uniformi dichiarazioni che si andavano rac- cogliendo, le preliminari operazioni dell’enfiteusi non procedevano con quella gene- rale uniformità ed alacrità che era nel desiderio di tutto il paese. — Inoltre, sin dal principio si manifestò il bisogno di un concentramento dei dati statistici di tutte le Commissioni, non solo all'oggetto di poter conoscere in complesso e coi singoli con- fronti la quantità ed il valore del patrimonio rurale ecclesiastico, ma anche per po- ter dare unica direzione a tutto il movimento delle Commissioni colla guida e col pa- ragoue dei loro rispettivi risultati. Non potei dunque fare a meno di lamentare presso il Ministro di grazia giustizia e culti, incaricato dell’esecuzione della legge, questa stessa lentezza, difformità nei pro- cedimenti e mancanza di direzione. E di riscontro l’onorevole Pisanelli facevami os- servare essere impossibile che il Ministero da Torino efficacemente sorvegliasse ed at- tivamente dirigesse questa operazione tutta speciale per la Sicilia: egli quindi mo- stravasi propenso ad affidare a me una particolare delegazione per tale sorveglianza e direzione. — Ed io mi offersi pronto ad accettarla, a condizione però che non mi si désse alcun salario, nè alcuna indennità, come nè anche il carattere d’impiegato. Previdi che non sarei stato abbastanza libero nell’esercizio di quella delegazione, se fossi stato salariato, o colla subordinazione d’impiegato. Mi persuasi che maggior de- coro ne sarebbe venuto alla posizione mia, e maggior servizio avrei reso al paese, se avessi anticipatamente rinunziato ad ogni compenso. Avrei in certo modo conti- nuato sino alle ultime conseguenze il mandato gratuito di deputato, per il quale mi ero reso promotore di quella legge. î Il ministro Pisanelli accettò volentieri la mia proposta facendomene i più vivi rin- graziamenti, e mi affidò con mivisteriale del 13 luglio 1863 la Sopraintendenza gene- rale delle Commissioni enfiteutiche in Sicilia (Documento M). Questa stessa Soprain- tendenza fu dipoi riconosciuta nel regolamento approvato con decreto reale del 21 lu- glio 1866 articolo 64, allorchè essa passò sotto il Ministero delle Finanze. Io era in Salemi, quando mi pervenne questo incarico dal ministro Pisanelli, e di là senza perder tempo apersi la corrispondenza con tutti i Presidenti le Commissioni, DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 75 co’ regii Procuratori dei Tribunali e cogli Ordinarii diocesani, Ed in primo luogo chiesi conto della composizione di ciascuna Commissione e delle loro segreterie, non che delle notizie che fossero state raccolte sino a quel momento per conoscere gli enti eccle- siastici di ogni comune, e dei procedimenti che fossero stati intrapresi per condurli alle rispettive dichiarazioni. La istituzione della Sopraintendenza, debbo notarlo, fu accolta con piacere da tutte le Commissioni, e tosto cominciarono esse a fornire le notizie richieste. Mi si era data facoltà di scegliere tra i disponibili i miei impiegati. Ma per quei 3 mesi circa, nei quali mantenni in Salemi l’ufficio della Sopraintendenza, ebbi a va- lermi di due soli impiegati disponibili del soppresso Macino che ivi potei trovare, e del disinteressato aiuto di parecchi amici che si offersero volontarii alla bisogna, Trasferii intanto il mio domicilio in Palermo, nella cui Università mi veniva con- ferita per concorso la cattedra di Aosofia Morale; e scelti i miei definitivi impie- gati tra i disponibili, cioè un segretario, un vicesegretario, cinque applicati, due u- scieri ed un serviente, diedi movimento alle operazioni. Due cose mi sembrarono necessarie sin dal principio : 1° abituare ad un mensile red- diconto statistico le Commissioni, all’osgetto di conoscere mano mano i titolari eccle- siastici ed i fondi di cui esse acquistavano notizia, il successivo progresso delle loro operazioni in conformità alla legge ed al regolamento, la natura finalmente ed il nu- mero dei principali loro carteggi colle altre autorità ed il modo con cni ne fossero corrisposte; 2° raccomandare ai Vescovi ed al Giudice della regia Monarchia ed apo- stolica Legazia di non far mancare i rispettivi loro subordinati del clero secolare e regolare alla dichiarazione prescritta dall’articolo 5° della legge, e ciò non solamente affinchè essi sfuggissero le multe minacciate dalla stessa legge, ma anche perché i loro fondi non fossero per difetto di necessarie cognizioni mal censuati. Per ottenere il primo scopo, mandai un modello di rapporto statistico a tutti i Presidenti le Commissioni e l’invitai a riempirlo mensilmente, fondandomi sul dritto che già me ne dava l’articolo 48° del regolamento. Le categorie del modello erano le seguenti: 1° anno e mese; 2° movimento nel personale della Commissione e della segreteria; 3° titolari ecclesiastici del circondario — che han fatto le dichiarazioni — che debbon fare — o omisero le dichiarazioni; 4° notari del circondario — che han presentato gli elenchi e certificati — che debbon presentarli — o mancarono; 5° Giun- te municipali — che han dato le note dei titolari ed i ragguagli — che non li han dato; 6° altre autorità dalle quali si son chieste le notizie e risultati; 7° multe — proposte, col nome e cognome — deliberate dal Tribunale, col nome e cognome — ri- scosse, col nome e cognome; 8° pratiche della Commissione in relazione agli articoli 10, 11, 12, 13, 14,15, 16, 17 e 18 della legge (raccolta di elementi, formazione e pub- blicazione dei Quadri) — esaurite — in corso; 9° pratiche della Commissione in re- lazione agli articoli 19, 20, 21, 22, 23, 24 e 25 della legge (quotizzazione dei fondi, compilazione ed invio dei quaderni al tribunale) — esaurite — in corso; 10° pratiche per le subaste — esaurite — in corso; 11° osservazioni. 76 STORIA DELLA ENFITEUSI Quando le operazioni furono alquanto più innanzi, ridussi l'obbligo del rapporto sta- tistico ad ogni trimestre, tolsi le categorie relative alle notizie dei notari e delle Giunte municipali, ed allargai le categorie 8% e 9% per conoscere con maggiori det- tagli i reclami dei titolari e dei terzi, le deliberazioni che vi avessero fatto le Com- missioni, se vi fossero stati gravami di terzi alla Corte di appello ed in qual modo fossero stati esitati, di quali fondi si fosse ordinata la quotizzazione e se fosse stata eseguita. Ai Vescovi ed al sudetto Giudice della Monarchia diressi sin dall'agosto 1863 una ben chiara circolare, e la resi di pubblica ragione sul Giornale Officiale di Sicilia, per far conoscere ad essi ed al paese la responsabilità che peserebbe sui titolari ec- clesiastici, se le operazioni della enfiteusi per mancanza della cooperazione loro pre- scritta dalla legge riuscissero imperfette ed anche loro dannose. E bisogna pur dire che la maggior parte degli ecclesiastici si rese ubbidiente. Il 12 aprile 1864 io diedi a conoscere al pubblico sullo stesso Giornale Officiale i risultamenti delle loro dichiarazioni. Già poco più di 54 dei sudetti titolari avevano regolarmente dichiarato, soltanto poco più di ' era stato proposto come multabile per inobbedienza, e poco meno di %4 aveva ancora pendenti i termini per dichiarare. Di questi ultimi fecero poi la dichiarazione una metà in circa, e gli altri furono re- frattarii. Di guisa che scli 5/4, si resero contumaci, gli altri 24, ubbidirono e diedero i prescritti Inmi. Si distinsero nella obbedienza alla legge le Case religiose maschili ed i Parrocati. Per più di metà i Monisteri di donne dichiararono, dei Vescovi sol- tanto una metà. Sollecitai presso il Ministero le nomine ancora non venute degl’impiegati di talu- ne Commissioni e feci le proposte di quelli per cui non fossero state ancora fatte. Come pur sollecitai le nomine dei membri ancora mancanti in alcune Commissioni, Onde esse furono presto al completo del loro personale. Così Ie operazioni dell’enfiteusi cominciavano ad avviarsi con quei lumi che in gran parte i titolari, le Giunte municipali, i notari ed il catasto, avevano fornito. Ma, come era naturale il prevederlo, già cominciavano a venire alla Sopraintendenza molte do- mande e molti dubbii o per casi particolari, o per applicazioni di massima; e quando pur le domande si dirigevano al Ministero, questo non lasciava mai di rimandarle e di chiederne l’avviso alla Sopraintendenza. — Vedremo nel capitolo seguente come siasi quindi sviluppata una serie di massime direttive per l’applicazione della legge. DEI TERRENI RCCLESIASTICI DI SICILIA 77 DOCUMENTI DEL CAPO SECONDO (1) N. 33. Progetto di legge e Regolamento presentato dal deputato Corleo nella tornata del 25 marzo 1861 — preso in considerazione nella tornata del 15 aprile 1861. « Art. 1. Fra il termine di un anno dalla pubblicazione della presente legge tutti i beni-fondi rurali o urbani, che si posseggono a titolo di proprietà dalle chiese o dal demanio pubblico in Sicilia, dovranno da essi concedersi ad enfiteusi perpetua redimibile in lotti distinti e previo incanto. « Rimane però proibito di stipulare in detta enfiteusi la pena della caducità per mancato pagamento, il diritto di laudemio e di preferenza in ogni caso di passag- gio. Come anche rimane proibito di poter succoncedere i detti beni. « Art. 2. Per beni-fondi delle chiese dovranno intendersi in generale quelli di qua- lunque chiesa cattedrale, parrocchiale, o altra; di qualunque vescovado, abbazia, priorato, o altra dignità e beneficio, con giurisdizione, con cura d’anime, o senza; di qualunque convento, monistero, collegio di Maria, o altra casa religiosa di qual- sivoglia denominazione; di qualunque capitolo, collegiata, prebenda, coro ecclesia- stico, o distribuzione corale; di qualunque cappellania, semplice istituzione di messe, spese di culto, o altra qualsiasi amministrazione ecclesiastica. « Art. 3. Sotto il nome di beni-fondi del pubblico demanio dovranno intendersi tutti quelli che per qualunque titolo appartengano allo Stato, anche se provengano da commende o da aboliti conventini, restandone soltanto esclusi tutti i beni ap- partenenti alla casa reale. « Art. 4. Solamente non sarauno concesse ad enfiteusi quelle case e giardini an- nessi alle medesime, che soglion servire per proprio istituto all’abitazione delle sud- dette persone ecclesiastiche, al disimpegno delle loro funzioni, o a luoghi di conta- bilità e di amministrazione sì delle chiese, che dei varii rami demaniali. « Come pure non saran concessi ad enfiteusi, appartengano alle chiese o al dema- nio, tutti i boschi cedui, tutti i fondi in cui esistano miniere aperte 0 indizi evi- denti di miniere, e quelli che in tutto o nella loro maggior parte sieno piantati a vigneto o ad albereto di qualunque natura. « Art. 5. Tutte le operazioni dell’enfiteusi, e principalmente la fissazione preven- tiva del canone, la formazione dei lotti ed il loro incanto, saran fatte per mezzo del rispettivo comune ove sono siti i beni, se avran luogo bonariamente, e per mezzo del Tribunale, sulla istanza del comune, se vi sarà controversia ; il tutto giusta le norme che verranno stabilite da apposito regolamento che sarà annesso alla presente legge. 78 STORIA DELLA ENFITRUSI « Art. 6. Quei comuni, che non hanno nel loro bilancio almeno due terzi della loro rendita in beni-fondi, in canoni enfiteutici, o in rendite fondiarie, son autoriz- zati ad aggiungere in tali enfiteusi l'obbligo di una rendita fondiaria redimibile in loro favore sopra ogni lotto, purchè però la detta rendita non ecceda la decima parte del canone che si fisserà sopra ciascun lotto in favor delle chiese o del demanio. « In proporzione che avrà luogo nell’incanto d’ogni lotto l’accrescimento di detto canone, si dovrà parimenti accrescere la rendita fondiaria al comune, seguendo sem- pre la proporzionale ragionata ch’egli si è stabilito dentro il limite soprascritto. « Art. 7. Ogni altra legge in opposizione alla presente ed all’annesso regolamento è abolita. « Regolamento per la enfiteusi redimibile dei beni-fondi ecclesiastici e demaniali di Sicilia, e per la costituzione facoltativa di una rendita in favore dei co- muni. « Art, 1. Fra due mesi dalla pubblicazione della soprascritta legge, i rappresen- tanti ordinari delle chiese ed opere ecclesiastiche, di cui si parla nell’art, 2° della stessa, e de’ varii rami demaniali di cui si parla nell’art. 3°, dovranno presentare alle Giunte municipali di ciascun comune, nel cui territorio sono siti i loro beni- fondi, una dichiarazione da loro firmata, contenente: ; « 1° Un esatto quadro di tutti i loro beni-fondi rurali o urbani, colla descri- zione dei confini, il numero dei piani o delle stanze, se fossero beni urbani; la esten- sione, il numero degli alberi, dei casamenti, delle fattorie, delle sorgenti d’acqua, o altro che possa esistervi, e la natura dei rispettivi terreni, se fossero beni rustici; « 2° L'indicazione del titolo originario del loro possesso; « 3° Un sommario degli affitti dell’ultimo ventennio, colla designazione dei ri- spettivi atti o di qualunque altra prova correlativa; « 4° Il corrispondente numero del catasto, e rispettiva rendita imponibile che ne risulta; « 5° Finalmente 1’ espressa significazione di esser pronti a stipulare l’ enfiteusi prescritta dalla sopradetta legge, per quel canone che dovrà esser fissato giusta le norme di questo regolamento e coi patti in esso indicati. Le Giunte municipali rilasceranno loro la ricevuta della già fatta dichiarazione. « Art. 2. I superiori ecclesiastici o dello Stato, cui appartiene la sorveglianza su- gli anzidetti rappresentanti ordinari delle chiese o del pubblico demanio, cureranno che da essi sien fatte con esattezza ed onestà tutte le operazioni che loro impone questo regolamento. * Art. 3. Scorsi i suddetti due mesi, e non adempito a quanto prescrive l’ arti= colo 1° di questo regolamento, non si ammetterà nessuna scusa a vantaggio dei rap- presentanti delle suddette chiese e del demanio, nè anche quella di mancata auto- rizzazione, laddove ne abbisognassero; ed in tal caso saranno sottoposti ad una multa DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 79 non minore di lire 200, nè maggiore di 400, per ogni mancata dichiarazione, a van- tasgio del comune nel cui territorio sono siti i detti loro beni. « Tal multa sarà pronunziata con rito sommario e con sentenza inappellabile dal Tribunale a cui appartiene il comune, sulla semplice di lui istanza. Potrà però il Tribunale condannare nel nome proprio alla detta multa, o in tutto o in parte, gli stessi rappresentanti che saranno stati morosi a fare la soprascritta dichiarazione. « Sarà tenuta come mancante la dichiarazione, qualora nella dichiarazione presen- tata sia taciuto un terzo almeno dei beni-fondi che la chiesa o il demanio possiede nel territorio di quel comune, « Art. 4. Le Giunte municipali di Sicilia, dopo scorsi i suddetti due mesi, avranno il tempo dell’altro mese susseguente all’oggetto di formare un quadro di tutti i fondi di natura ecclesiastica o demaniale pei quali non sia stata fatta la dichiarazione, o di regolarizzare e completare quelle dichiarazioni che sieno state fatte con man- canze, aggiungendovi tutte le notizie che potranno approssimativamente raccogliere su tutto ciò che è prescritto dall’articolo 1° di questo regolamento. « Un tal quadro, come anche ogni altro complemento di dichiarazione imperfetta, sarà notificato sulla loro istanza ai rispettivi rappresentanti ecclesiastici o dema- niali per mezzo degli uscieri di mandamento, insieme alla dimanda per la multa nel caso di mancata dichiarazione. « Art. 5. L’annuo canone, che si dovrà preventivamente stabilire come base del- l’incanto a favore delle chiese o del demanio, sui beni ch’essi devono concedere ad enfiteusi in adempimento della soprascritta legge, sarà appunto eguale alla media . che risulterà tra l’imponibile catastale da una parte e 1’ affitto medio degli ultimi vent'anni dall’altra parte. Però, prima di fissare il canone, dovranno dalla detta media dedursi tutti i pesi dovuti sui fondi stessi, sieno altri canoni enfiteutici, sieno legati, sieno rendite fondiarie, non che la tassa prediale dovuta allo Stato; come anche se ne dovrà dedurre sulle case di città o di campagna una sesta del loro im- ponibile fondiario per la manutenzione delle fabbriche: i quali pesi tutti resteranno in perpetuo a carico dell’enfiteuta. « Art. 6. In caso che gli affitti degli ultimi vent’anni fossero stati stabiliti in ge- neri o in derrate, e non in denaro, allora se ne dovrà fare la valutazione in denaro colle mercuriali dell’ epoche rispettive esistenti nei comuni medesimi, o in caso di mancanza nel comune più vicino. «ln caso poi che non vi fossero stati affitti in tutto l’ultimo ventennio, il detto canone sarà preventivamente stabilito sulla sola base dell’ imponibile catastale de- purato dei pesi come nel precedente articolo. « Art. 7. Le Giunte municipali, seguite nei primi due mesi le dichiarazioni pre- scritte dall’art. 1° del presente regolamento senza veruna controversia, si porranno d’accordo coi rappresentanti delle chiese o de’ varii rami demaniali che l’avran fatto, onde fissare preventivamente il canone rispettivo di ciascun fondo sulle norme te- stè indicate; e prima che finisca il terzo mese, dovranno sottoporre siffatte fissazioni 80 STORIA DELLA ENFITEUSÌ di canone all'approvazione del Consiglio comunale. Nel termine del quarto mese cia- scun Consiglio comunale dovrà approvare o far modificare, se occorra, le dette pre- ventive fissazioni di canone. Le quali, così approvate, passeranno alla revisione del Tribunale nella cui giurisdizione sono siti i beni. Questo, nel termine degli altri due mesi susseguenti, dovrà in camera di consiglio approvare o far modificare le dette preventive fissazioni di canone. « Art. 8. Il Tribunale, sulla istanza di ciascuna Giunta municipale, procederà a giudicare sulla enfiteusi forzosa ordinata dalla presente legge, e sulla fissazione pre- ventiva del canone colle norme sopra statuite, di tutti quei beni-fondi ecclesiastici o demaniali di cui sia mancata la dichiarazione prescritta dall’articolo 1° del pre- sente regolamento, o su di cui vi sieno dichiarazioni o fissazioni preventive di ca- none in qualunque modo controverse. « In tal caso le Giunte municipali presenteranno ai Tribunali i quadri da loro no- tificati ai rappresentanti delle chiese o del demanio a termini dell’articolo 4° di questo stesso regolamento, e tutti quegli altri documenti che crederanno influenti allo scopo. Lo stesso dritto avrà la parte contraria. « Art. 9, In tutti i casi contemplati dal precedente articolo, contro le sentenze che emaneranno dai Tribunali, competerà l’appello presso le rispettive Corti, il quale avrà l’ effetto solamente devolutivo e non mai sospensivo. Ma, tanto in Tribunale, che in Corte d’appello, siffatte cause dovranno essere prelevate su tutte le altre e trattate con rito sommario. I comuni godranno della piena franchigia di spese. « Art. 10. Seguita la suddetta fissazione di canone per ciascun fondo, sia per ac- cordo bonario, sia per sentenza di Tribunale, ogni Consiglio comunale, che a sensi dell’articolo 6° della soprascritta legge sarà autorizzato a stabilire una rendita fon- diaria in suo favore, dovrà determinare la ragionata della rendita che vorrà sta- bilirsi in rapporto al canone già fissato, purchè non sorpassi il limite indicato in detto articolo. « La deliberazione comunale sarà sottoposta al semplice esame dell’autorità gover- nativa della provincia per la sola validità della forma; la quale deliberazione, fra venti giorni dal di della spedizione, dovrà essere approvata o rigettata. In caso di silenzio oltre i venti giorni, si avrà per approvata. In caso poi di rigetto, il Con- siglio adempirà subito alle formalità cui aveva mancato, e ne farà menzione nel ver- bale della seduta, la quale, ciò fatto, si terrà per approvata. « Art. 11. Contemporaneamente le Giunte municipali incaricheranno una Commis- sione di tre periti urbani per le case di città, ed un’ altra di tre periti rusticani pei fondi rustici e loro annessi, all’oggetto di fare un piano di lotti di tutti i fondi ecclesiastici e demaniali di cui sia stato fissato il canone, onde concedersi ad en- fiteusi. « Le case saranno divise, il più che si può, in lotti distinti, purchè col dividerle non se ne deprezii positivamente il valore. «I fondi rustici, se sono alberati o in qualunque guisa beneficati, saranno divisi DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 81 in lotti più che si possa distinti, purchè non se ne alteri grandemente la economia agraria. Tutti gli altri fondi rustici saran divisi in lotti approssimativamente uguali, per quanto i Inoghi ne consentano la rispettiva limitazione. « In ogni caso, ciascun lotto, o rustieano o urbano, non potrà esser minore di lire 3000, né maggiore di lire 8000. In caso che vi sia qualche lotto maggiore di lire 8000, e non possa dividersi senza notevole deteriorazione ed impaccio all’agri- coltura, allora i periti stabiliranno una rifazione del dippiù di valore in denaro a vantaggio di uno o più altri lotti fra i più piccoli. Se vi sono case grandi di cam- pagna, potranno dividerle a più lotti, purchè non se ne scemi assai il valore. « Art. 12, I periti, tenendo presente il canone preventivamente fissato a favore della chiesa o del demanio sopra ciascun fondo, e la rendita in favore del comune se ve ne fosse, nel dividere i lotti assegneranno ad ognuno la proporzionale rata del ca- none e della detta rendita, oltre alla rata di tutti gli altri pesi che forse potranno esservi, Essi esprimeranno i confini d’ogni lotto, i segni che avran dovuto apporvi per distinguere l’uno dall’altro, ed il numero progressivo dei lotti di ciascun fondo, colla indicazione della estensione, dei fabbricati, delle stanze, degli alberi, delle acque, e di tutto altro che in ogni lotto vi fosse; finalmente diranno il canone rispettiva- mente assegnato, in modo che nel totale dei lotti di un fondo ne risulti l’intiero ca- none a favore della chiesa o del demanio, e la intiera rendita fondiaria a favor del comune, se vi sia luogo. « Art. 13. Dovranno ancora i periti stabilire le vie, i dritti di attingere acqua o di abbeverare gli animali, per tutti i lotti di ciascun fondo, procurando di evitare, quanto più sia possibile, lo stabilimento delle servitù e cercando di sciogliere quelle che esistessero, salvochè non fossero assolutamente necessarie. « Di ogni fondo rileveranno una pianta con tutte le divisioni di lotti, segni divi- sorii, vie, acque, case e tutt'altro, con esatte misure, e la consegneranno alla segre- teria del comune. e Art. 14. Questa divisione di lotti dovrà esser compita dai periti fra lo spazio di due mesi dall’avuto incarico. E se mai si riconoscerà che tre periti non bastino pei fondi urbani o pure pei rusticani, si potrà eligere dalla Giunta municipale una o più Commissioni, di altri tre periti ognuna, per quei fondi pei quali sarà creduto necessario. « Art. 15. I Consigli comunali, dentro il successivo termine di un altro mese, ri- vedranno i piani di divisione enfiteutica presentati dai periti e li approveranno, 0 ne ordineranno le modificazioni necessarie. Le loro deliberazioni saranno tosto tras- messe all’autorità governativa della provincia, la quale fra venti giorni dal di della trasmissione dovrà esaminarle per la sola validità della forma, ed approvarle ovvero rigettarle. Nel caso di rigetto, i Consigli saran subito riconvocati, e nel verbale della seduta si farà cenno della formalità a cui si era mancato, non che dell’adempimento datovi: ed in tal modo i piani di divisione enfiteutica si avranno per compiti. « Art. 16. L’elenco dei fondi coi rispettivi lotti e con tutte le suddette indicazioni Giornale di Scienze Nat. cd Econ. Vol. VII. Parte II. DU 82 STORIA DELLA ENFITEUSI sarà indi affisso per 15 giorni innanzi la porta della casa del comune e di ciascuna parrocchia dello stesso, non che innanzi la porta della casa dei comuni circonvicini di territorio, acciocchè tutti possano averne conoscenza. Insieme allo stesso sarà av- visato il giorno ed il luogo in cui si comincerà l’incanto dei lotti enfiteutici, doven- dosi a ciò destinare il giorno festivo più immediato dopo i termini dell’affissione, col- l'avvertenza che sarà continuato nei giorni susseguenti sino al suo completo termine. I rappresentanti delle chiese o del demanio saranno invitati con ofticio del sindaco ad assistervi, se lo vogliano. « Art. 17. Nel giorno assegnato, dalle ore 9 antemeridiane sino alle 4 pomeridiane, ciascuna Giunta municipale assistita dal segretario del comune, in presenza del Con- siglio comunale riunito in numero legale, e dei rappresentanti delle chiese e del de- manio qualora vogliano assistervi, procederà a ricevere le offerte verbali per le sud- dette enfiteusi, incominciando dal primo lotto, secondo l’ordine dell’elenco. « Prima però il sindaco spiegherà chiaramente con qual proporzione la rendita fondiaria in favor del comune sia stata stabilita in riguardo al canone ; e pratica- mente dirà che, per ogni lira che si accrescerà al canone, si dovranno accrescere tanti centesimi di rendita annua a favore del comune, giusta la ragionata ch’è stata fissata dal comune medesimo, se ve ne sia stato luogo. « Art. 18. Ogni offerta dee riferirsi alla sola somma del canone in favore del do- mino diretto, sottintendendosi sempre il proporzionale aumento della suddetta ren- dita fondiaria in favore del comune, se ve ne sia stata stabilita; qualunque altra in- dicazione o dicitura si avrà come non apposta. « Di dritto si intenderà in ogni offerta che tutti gli altri pesi attribuiti nell’elenco a ciascun lotto resteranno pure a carico dell’enfiteuta. « Saran tenute come inattendibili tutte le offerte minori del canone, e della ren- dita se vi sia luogo, già fissati per ogni lotto nell’eleuco pubblicato. « Art. 19. Sarà sempre accettata l’ offerta maggiore, e sarà proclamata per tre volte dal banditore, mentre che si estingueranno successivamente tre candele della durata di tre minuti per ognuna. In quel frattempo a chiunque sarà lecito di au- mentare l’offerta, ed in ogni aumento si ricominceran da capo i tre proclami cor- rispondenti colle formalità delle tre candele. Si avrà come finito l’ incanto di cia- scun lotto, quando non vi saranno altri aumenti sino alla estinzione della terza can- dela. « Il segretario noterà i nomi di tutti gli offerenti col rispettivo aumento sino al- l’ultimo, in di cui favore sia stata liberata l’enfiteusi del lotto messo all’incanto. « Art. 20. Chiunque offrirà per un lotto un canone che sorpassi di una metà quello che gli era stato assegnato nell’ elenco, sarà tenuto, insieme al canone e alla ren- dita in favor del comune, offerire la cauzione di una corrispondente rendita sul Gran Libro del debito pubblico, ed a tal uopo dovrà unitamente alla offerta esibire alla Giunta municipale l’estratto dell’iscrizione di una rendita libera in suo nome che possa bastare alla somma richiesta per cauzione. Mancando ciò, l’offerta si avrà come non fatta. DEl TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 83 « Se l’offerta resterà accettata, l'estratto anzidetto rimarrà presso la Giunta muni- cipale sino alla stipulazione del contratto di enfiteusi. Però la rendita in Gran Libro sì terrà già come vincolata per detta cauzione, ancorchè l’offerente possa indi nie- garsi a stipulare il cennato contratto. « Art, 21, Non potrà più essere ammesso ad offerire in un comune colui che già abbia ottenuto all’incanto due lotti enfiteutici nel medesimo comune. « Art. 22. Se in unico giorno non si potrà terminare l’incanto di tutti i lotti en- fiteutici, se ne continueranno le operazioni nei giorni successivi, nelle medesime ore, e colle medesime norme. Il sindaco, pria di chiudere la seduta, ne dovrà avvertire giorno per giorno i presenti. « Art. 23. Tutte le spese dovute ai periti nei piani di divisione enfiteutica e levata di piante sono a carico degli enfiteuti. « Ogni Commissione di tre periti avrà diritto a conseguire la somma di lire 15 per ogni lotto del valore da lire 3000 a lire 6000, e la somma di lire 20 per ogni lotto del valore da lire 6001 sino a lire 3000. « Ogni enfiteuta dovrà depositare fra tre giorni dopo il fatto incanto la somma an- zidetta di spese a favore dei periti presso il tesoriere del comune, che ne rilascerà quietanza. « Ogni Commissione di periti avrà il diritto di ritirare dal detto tesoriere le somme per suo conto depositate, e ne farà divisione in egual parte tra i suoì membri. Avrà pure il diritto di domandare dal sindaco un mandato esecutivo per la riscossione di tali somme contro coloro che non le abbiano depositate fra i tre giorni, il qual mandato sarà eseguito senza formalità dai servienti comunali col pignoramento dei mobili, e ciò anche nel caso che l’enfiteuta rinunzi al suo lotto. « Art. 24, Non ostante la compita enfiteusi dei suddetti fondi ecclesiastici e dema- niali, dovranno rispettarsi gli affitti che si troveranno pria della pubblicazione della presente legge convenuti dalle rispettive amministrazioni colle forme e pel periodo di tempo alle medesime permesso, e che siano già incominciati a decorrere pria di compirsi l’atto di enfiteusi, Tutti gli altri affitti resteranno sciolti ipso jure. « Art. 25. I fittaiuoli però, i cui affitti dovranno essere rispettati ai termini del- l’articolo precedente, non solo non potranno opporsi alle operazioni che dovrà fare la Commissione dei periti per redigerne il piano di divisione enfiteutica, ma saran tenuti di conservare sino alla fine dell’affitto tutti i segni divisorii che la Commis- sione avrà creduto necessario di apporvi. « Art. 26. Si avrà come sospesa l’attuazione dell’enfiteusi durante tutto il periodo dei cennati affitti, e quindi le chiese o il demanio continueranno a percepire dai fit- taimoli i convenuti pagamenti. Però gli enfiteuti avran dritto di vegliare alla con- servazione dello stato dei rispettivi lotti e ad impedirne qualunque deterioramento. « Art. 27. Coloro, cui all’incanto è toccato un lotto in enfiteusi, potranno pigliarne il possesso, allorchè avranno stipulato 1’ atto d’enfiteusi a favore dei rispettivi do- mini diretti ed avran pagato i dritti spettanti alla Commissione dei periti, i dritti 34 STORIA DELLA ENFITEUSI spettanti per l’atto di enfitensi, non che il prezzo della rifazione di lotto ai termini dell’articolo 11° di questo regolamento. « Se però vi fossero affitti da rispettare, allora ne avranno il possesso al termine dell’affitto. « Art. 28. I patti domenicali della enfiteusi a favore dei domini diretti ecclesia- stici o demaniali dovranno essere i seguenti: « 1° L'obbligo di migliorare i fondi, non permetterne la deteriorazione, ed edi- ficare una casa nei lotti di campagna, se non ve ne sia; « 2° L'obbligo di pagare in ogni 31 agosto il canone risultato dall’incanto per ciascun lotto ; « 3° L’accollo di tutti gli altri pesi preesistenti, giusta la divisione fattane nel- l’elenco dei lotti; s 4° L'obbligo di stipulare l’atto recognitorio in tutti i casi di passaggio o di- visione di lotto; « 5° Finalmente, se vi sia l’ebbligo di dar cauzione con rendita sul Gran Libro a sensi dell’articolo 20° di questo regolamento, dovrà stipularsene la vincolazione. «In unico atto si potranno comprendere le enfiteusi di tutti i lotti di uno stesso fondo. « Art. 29, Nel medesimo atto d’enfiteusi si dovrà da ciascun enfiteuta stipulare in favore del comune l’obbligo di pagargli nel di 31 agosto di ogni anno la rendita fon- diaria redimibile, che sia risultata dall’incanto per ciascun lotto a termini degli ar- ticoli precedenti, se ve ne sia stato luogo. « Le spese della iscrizione d’ipoteche e loro rinnovazione, per conservare la detta rendita a favore del comune, saranno pure a carico dell’enfiteuta. « Art. 30 Saranno sempre redimibili sì il canone che la rendita fondiaria, di cui si parla nella soprascritta legge, mediante l’assegnamento di una eguale rendita sul Gran Libro del debito pubblico, che |’ enfiteuta dovrà fare in unico atto tanto alla chiesa od al demanio cui è dovuto il canone, quanto al comune cui è dovuta la ren- dita fondiaria. Tutte le spese a tal uopo necessarie saranno a carico dello stesso en- fiteuta. > (Siegue l'allegato). (K) «N. 743. — Vittorio Emanuele II per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia. « Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato, « Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: « Art. 1. Tutti i beni rurali ecclesiastici esistenti nelle Provincie Siciliane, tanto che sieno di patronato regio od appartengano al patrimonio regolare, a prelati, be- neficiali, prebendarii, conventi, monisteri, chiese ed altre corporazioni e luoghi ec- clesiastici sotto qualunque titolo, eccetto quelli che appartengono a cappellanie lai- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 85 cali, saranno dati ad enfiteusi perpetua redimibile in quote distinte e previo in- canto. < Art. 2, Sono eccettuati dalle disposizioni contenute nel precedente articolo le case, con gli orti attenenti, destinate ad uso ordinario di conventi e monisteri, e di al- tre simili corporazioni, i boschi di qualunque genere, i fondi che in tutto o nella massima parte sono piantati a vigneto od albereto di qualunque natura, e quelli ove esistono miniere aperte o indizi evidenti di miniere. « Art. 3. I canoni o le rendite rispettive provenienti dalle enfiteusi rimarranno agli individui, o alle corporazioni cui appartengono i fondi suddetti, salve le azioni di dominio, usttrutto, servitù, ipoteche, privilegi, e tutte le altre azioni reali in fa- vore degli aventi diritto. « Art. 4. Per l’esecuzione delle operazioni di cotale enfiteusi, meno le subaste, sarà istituita in ciascun capoluogo di circondario una speciale Commissione, composta del Sottoprefetto, che ne sarà il presidente, da un ecclesiastico delegato dall’ Ordinario della diocesi, da un magistrato destinato dal presidente della Corte di appello, dal ricevitore circondariale dei rami e diritti diversi, da tre notabili da nominarsi dalle Deputazioni provinciali, « Ne capo-luoghi di provincia le Commissioni saranno presiedute dai Prefetti, ov- vero da un Consigliere di Prefettura da Iui delegato. « Esse Commissioni funzioneranno coll’intervento di quattro membri almeno, ed in caso di parità, sarà preponderante il voto del Presidente. « Saranno assistite da un segretario e da quel numero d’impiegati. che verrà fis- sato per regolamento, e redigeranno il verbale delle loro sedute a firma del presi- dente e del segretario. « Art. 5. Fra due mesi dalla pubblicazione di questa legge i rappresentanti ordi- nari dei Corpi morali ed individui notati nell’ articolo 1° dovranno presentare alle Commissioni circondariali una dichiarazione da loro firmata dei beni-fondi che pos- seggono in ciascun territorio del circondario, la quale deve contenere: a) « Un esatto quadro di tutti i beni rurali da loro posseduti con tutte le indi- cazioni necessarie, e specialmente colla descrizione dei confini, della estensione, del numero degli alberi ed arbusti, delle fabbriche rurali, fattorie, cascine, case che vi si ritrovano, non che delle sorgive di acqua potabile o minerale, e delle acque d’ir- rigazione il di cui uso spetta o potrebbe spettare ; 6) « L'indicazione del titolo originario del loro possesso, le servitù attive e pas- sive d’ogni podere, i dritti contestati o pretesi, i giudizii pendenti e lo stadio nel quale si ritrovano, ed i privilegi e le ipoteche che i terzi conservano in ciascun po- dere. c) « Un sommario degli affitti dal 1854 in poi, colla designazione dei rispettivi atti e di qualunque altra pruova correlativa ; d) «Il corrispondente certificato di catasto fondiario, portante la rendita imponi- bile di ciascun podere e la indicazione della tassa dovuta; 86 STORIA DELLA ENFITEUSI e) « Finalmente l’ espressa dichiarazione di essere pronti a stipulare l’ enfitensi ordinata da questa legge. «I Presidenti delle Commissioni rilasceranno ricevuta di questa dichiarazione. « Art. 6. Scorsi due mesi senza adempiere a quanto prescrive l’articolo precedente, non sarà ammessa alcuna eccezione pei rappresentanti dei detti Corpi morali ed in- dividui notati, neanco quella di mancata pretesa autorizzazione; e saranno sottopo- sti ad una multa non minore di L. 200, nè maggiore di L. 400, per la mancata di- chiarazione. «La multa sarà pronunciata con rito sommario e con sentenza inappellabile dal Tribunale di circondario, nella cui giurisdizione sono siti i beni, sulla deliberazione della Commissione circondariale attestante il fatto, trasmessa dal Presidente al re- gio Procuratore presso il Tribunale stesso. « Le multe formeranno un fondo speciale d’ogni Commissione da spendersi con de- liberazione della stessa. e Art. 7. I notari sono, in vigore di questa legge, tra un mese dalla sua pubbli- cazione, obbligati rimettere ai sindaci dei Comuni di loro residenza un ragionato elenco da loro firmato, ovvero un certificato di non esistenza di tutti gli atti tras- lativi di proprietà in favore dei Corpi morali descritti, che trovansi stipulati nelle loro minute o in quelle da loro conservate, nel periodo posteriore al 1830, ed inoltre un elenco di tutti gli atti di affitto, sia in genere, sia in danaro, o atti di colonia parziaria che trovansi nelle dette minute stipulati dal 1850 in poi. « Gli atti saranno indicati per ordine cronologico: vi saranno scritti i nomi de- gli stipulanti, la circoscrizione, la estensione se vi è espressa, la durata dell’ af- fitto ed il prezzo convenuto tanto in generi che in denaro, e gli anticipi se ve ne siano. « Queste note e certificati dai sindaci trasmessi al presidente della Commissione del circondario saranno spediti ai presidenti di quelle Commissioni ove sono siti i beni. « Art, 8. I sindaci sono obbligati rilasciare ricevuta ai notari delle note o dei cer- tificati negativi, indicando il giorno della presentazione. E trascorso il termine, la Giunta municipale proporrà alla Commissione la sospensione dall’ufficio di quel no- taro che non avrà adempito al disposto di questa legge. « La sospensione sarà pronunciata con rito sommario e con sentenza inappellabile dal Tribunale di circondario sulla deliberazione della Commissione trasmessa a cura del Presidente al regio Procuratore; ma la sentenza sarà dallo stesto magistrato re- vocata, quando il notaio potrà far constare l’adempimento compiuto da sua parte al disposto della legge. « Art, 9, Nello stesso periodo di tempo indicato dall’articolo 59, la Giunta muni- cipale di ciascun comune raccoglierà i dati indicati dal citato articolo sui beni-fondi descritti, che esistano nel territorio del proprio comune, e formandone un quadro, lo rimetterà alla Commissione circondariale insieme ai certificati dei notari. « Art, 10, Riuniti questi elementi, le Commissioni fisseranno la rendita lorda dei DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 87 beni-fondi da concedere ad enfiteusi, eguale alla media risultante dall’imponibile e dagli affitti degli ultimi sei anni a tutto il 1860. Mancando gli atti di affitto, si pro- cederà sulla base dell’imponibile catastale. « Art. 11. Pei fitti convenuti in genere si farà il coacervo dei prezzi degli ultimi sei anni sugli elementi che le Commissioni circondariali raccoglieranno, nel modo che sarà fissato dal regolamento. « Art. 12, Dal canone lordo di ogni podere si dovranno dedurre tutti i pesi do- vuti come livelli, rendite ed altri simili, non che la tassa prediale dovuta allo Stato nell'epoca della valutazione, per darsene il carico al nuovo enfiteuta, restando a suo utile o danno, qualunque fatura variazione della stessa tassa. « Art. 13. Di tutti i beni da concedersi in enfitensi colle enunciate indicazioni sa- ‘ranno quindi formati dei quadri, che devono essere notificati ai rappresentanti dei corpi morali per mezzo degli uscieri di mandamento , insieme alla domanda della multa in caso di mancata dichiarazione. « Art. 14. Dalla data della notifica dei quadri i rappresentanti dei corpi morali avranno un mese utile, onde far pervenire alle Commissioni circondariali le loro 0s- servazioni sui quadri formati e chiederne la riforma. « Il Presidente rilascerà ricevuta di questo documento. Scorso il termine la Com- missione comproverà per suo verbale la non esistenza dei richiami. « Art, 15. I reclami debbono essere esaminati dalla Commissione, e formeranno il soggetto di apposite deliberazioni registrate nei verbali: e dopo si procederà alla convalidazione dei quadri formati, ovvero alla formazione dei nuovi. «I nuovi quadri, o la deliberazione che conferma i primi, sarà notificata ai ter- mini dell’articolo 12°. Contemporaneamente questi quadri saranno affissi e pubblicati nel modo da disporsi per regolamento. « Art. 16. Dal giorno della pubblicazione ed affissione dei quadri si aprirà un ter- mine utile ai reclami per coloro che avranno alcuna ragione ad esperire sui beni da concedersi in enfiteusi, ed essi dovranno far notificare le loro domande ai Pre- sidenti delle Commissioni circondariali per mezzo degli uscieri di mandamento, depo- sitando lo stesso giorno i corrispondenti documenti presso il segretario. « Art. 17. I diritti certi, liquidi, o in qualunque modo prontamente valutabili, si convertiranno a giudizio delle Commissioni in annua rendita da accollarsi agli en- fiteuti. Pei diritti non liquidabili prontamente, o indeterminati, o eventuali, o in qua- lunque modo litigiosi, si sospenderà l’enfiteusi, finchè non potrà effettuarsi la loro con- versione in rendita a carico dell’enfiteuta. « Sul merito dei diritti litigiosi pronuncieranno i magistrati competenti. « La notifica del reclamo sospenderà di pieno diritto le semplici operazioni fino alla decisione amministrativa delle Commissioni, o fino a quella delle autorità competenti se trattisi di diritti litigiosi, i « Art. 18. Contro le deliberazioni della Commissione circondariale è ammesso re- elamo innanzi alla Corte di appello, la quale giudicherà secondo le forme del giu- dizio sommario. 88 STORIA DELLA ENFITRUSI « Art. 19. I fondi da concedere saranno ripartiti in quote, ciascuna dell’estensione media di ettare 10 (pari a salme 5, bis. 2, tum. 34 in misura siciliana), ma potranno stabilirsi delle quote di maggior estensione, secondo che ciò sia consigliato dalle cir- costanze dell’agricoltura e pastorizia, purchè non si ecceda il limite massimo di et- tare 100, pari a salme 57. « Art. 20. Determinato il sistema della divisione, le Commissioni circondariali da- ranno mandato ai periti, da loro scelti, della materiale divisione dei poderi in quo- te, assegnando a ciascuna la rata proporzionale del canone, oltre alla rata dei pesi e della tassa prediale dovuta allo Stato che ciascun nuovo enfiteuta deve accollarsi. « Ei periti descriveranno i confini d’ogni quota, i segni divisorii col numero pro- gressivo, e coll’indicazione della superficie, delle fabbriche rurali, degli alberi, delle acque sorgive, o di quelle il di cui uso spetta o potrebbe spettare a ciascun enfi- teuta, fissando il sistema di distribuzione. « Art. 21. Dovranno pure stabilire le vie, i diritti di attingere acqua o di abbe- verare gli animali, per tutte le quote di ciascun fondo, procurando evitare quanto più sia possibile le reciproche servitù fra gli enfiteuti, « Art. 22, Le Commissioni circondariali, esaminati i piani di divisione presentati dai periti, li approveranno o vi faranno le opportune modificazioni, « Queste deliberazioni non vanno soggette ad esame. e Art. 23. Sulle basi della divisione e valutazione, approvate come all’articolo pre- cedente , le Commissioni procederanno alla redazione del quaderno di condizioni a termini di legge e conforme il titolo IX del codice civile vigente nelle Provincie Sici- liane, salve le seguenti modificazioni: a) « Non sarà pattuito, nè avrà effetto qualunque diritto di prelazione in favore del domino diretto; e parimente non sarà pattuito, nè dovuto alcun laudemio in caso di vendita o di altra alienazione; b) «In ogni caso di devoluzione del dominio utile al padrone diretto per deterio- razione, per non pagamento di canoni, o per qualunque altra causa, sarà obbligato- rio pel direttario ecclesiastico concedere nuovamente il fondo ad enfiteusi fra tre mesi, nelle stesse forme stabilite della presente legge; c) « Sarà espressamente stipulata la proibizione della subenfiteusi, la quale in tutti i casi sarà riputata nulla e come non fatta, ricevendo il subcanone la natura di una semplice rendita; d) « In ogni caso di divisione il canone seguirà la divisione del fondo enfiteutico. « Art,,24. Formato in questo modo il quaderno delle condizioni per ogni singola quota, sarà questo rimesso coll’articolo della perizia che lo riguarda, al Procuratore regio del Tribunale di circondario del luogo ove sono siti i beni. « Art. 25. Nel rimettere il quaderno delle condizioni al Tribunale, il Presidente della Commissione ne darà legale conoscenza al rappresentante del corpo morale pro- prietario: dopo di che la sua assenza nella subasta non sospenderà il compimento dell’enfiteusi, DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 89 « Art. 26. Sulle istanze del regio Procuratore saranno quindi aperte le subaste colle formalità prescritte dalle leggi di procedura nei giudizi civili per la vendita dei beni immobili dei minori, e salvi gli additamenti di decimo e di sesto, che dovranno es- sere preceduti da nuovi manifesti coll’intervallo di cinque giorni pria di celebrarsi la subasta in grado dei detti additamenti, « Art. 27, Entro i tre giorni posteriori all’aggiudicazione si potranno sperimentare i diritti di prelazione delle persone a cui competono per legge. s Vi saranno gli additamenti di decimo e di sesto anche contro il preferito. < Art. 28. Il verbale d’ultima aggiudicazione costituisce il titolo della partej esso avrà virtù esecutiva. « Art. 29, Le spese delle subaste saranno a carico degli enfiteuti: le spese delle perizie per la divisione dci fondi in quote e ripartizioni a carico dei corpi morali. «I periti ripeteranno queste somme sulla liquidazione fatta dalle Commissioni cir- condariali omologata da ordinanza del Presidente del Tribunale di circondario, « Art. 30. Ove avvenga il caso che il pubblico incanto si dichiari deserto per tre volte sullo stesso fondo, la Commissione potrà procedere alla concessione in enfiteusi di esso fondo a privata trattativa, senza nulla immutare di quanto è disposto agli articoli 20°, 21° e 22° della presente legge. « Art, 31. Gli enfiteuti non potranno immettersi nel materiale possesso per effetto dell’ aggiudicazione, quando vi siano dei contratti di affitto incominciati a decorrere, purchè convenuti secondo le forme e per il periodo di tempo stabilito dalle leggi. « Gli affitti stipulati dopo la pubblicazione in Sicilia del decreto 18 ottobre 1860, e non ancora cominciati a decorrere quando sarà fatta l’enfiteusi, resteranno sciolti ipso jure colla fine dell’anno agrario in corso al tempo dell’aggiudicazione, restando a vantaggio dei fittuari i frutti attribuiti a quell’anno per patto, o in mancanza per consuetudine. « Art. 32. I fittaiuoli però, i di cui affitti dovranno essere rispettati a termini del- l’ articolo precedente, non solo non potranno opporsi alle operazioni che dovranno fare la Commissione e i periti per redigere il piano di divisione enfiteutica, ma sa- ranno tenuti di conservare sino alla fine dell’affitto tutti i segni divisori che la Com- missione avrà creduto necessario di apporvi. « Art. 33. I diritti reali ed ipotecarii acquistati dai terzi restano salvi, malgrado l’allivellazione del fondo. « I creditori, e gli altri ai quali spettano tali diritti, eserciteranno però le loro ragioni preferibilmente sul fondo del canone. « Art, 34. Ritenendosi come sospesa l’enfiteusi durante il periodo degli affitti va- lidati dalle Commissioni, i corpi morali continueranno a percepire i convenuti fitti ed a pagare tutti gli oneri corrispondenti, « Durante questo tempo e salva la fatta limitazione, i nuovi enfiteuti eserciteranno tutti gli altri diritti ed obblichi annessi per legge e per patto al dominio utile. « Art. 35. I canoni risultanti da queste enfiteusi, finchè non sia altrimenti prov- Giornale di Scienze Nat. ed Econ., Vol. VII, Parte II. 12 920 STORIA DELLA ENFITEUSI veduto con legge generale, saranno redimibili in una o più rate, a piacimento de- gli enfiteuti, immobilizzandosi a nome del corpo morale una rendita inscritta sul Gran Libro del debito pubblico italiano, uguale al canone netto. « Art. 36. Ogni altra legge in opposizione di questa è abrogata. « Ordiniamo che la presente, munita del sigillo dello Stato, sia inserta nella rac- colta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. « Dato a Torino, addi 10 agosto 1862. « Virrorio EMANUELE. « Raffaele Conforti. » (L) « N. 1203. — Vittorio Emanuele Il per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia. « Vista la legge per la concessione ad enfiteusi perpetua redimibile dei beni-fondi ecclesiastici in Sicilia in data del 10 agosto 1862, n. 743; « Sulla proposta del nostro Guardasigilli, Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti, di concerto coi Ministri dell’Interno e delle Finanze; « Abbiamo ordinato ed ordiniamo quanto segue: Articolo Unico. « È approvato l’unito Regolamento in esecuzione della legge succitata, visto d’or- dine Nostro dal Guardasigilli, Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti, « Ordiniamo che il presente Decreto, munito del sigillo dello Stato , sia inserto nella raccolta ufficiale delle Leggi e «dei Decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. « Dato a Torino addi 26 marzo 1863. « Virtorio EMANUELE, « G. Pisanelli. » « Registrato alla Corte dei conti addi 10 aprile 1863. « Reg. 23, Atti del Governo, a c. 36. — Salvaja. « (Luogo del Sigillo) — V. il Guardasigilli: G. Pisanelli. « Regolamento in esecuzione della legge 10 agosto 1862 sull’enfiteusi rédimibile dei beni ecclesiastici in Sicilia. « Art. 1. Gli Ordinarii diocesani, i Presidenti delle Corti d’appello e le Deputazioni provinciali delle provincie siciliane, fra dieci giorni dall’invito che ne avranno dai Prefetti, nomineranno gl’ individui che in virtù dell’ art. 4° della legge del 10 ago- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 91 sto 1862 è loro attribuito di nominare per comporre la Commissione incaricata in ciascun circondario delle operazioni per l’enfiteusi redimibile dei beni ecclesiastici nelle provincie suddette. « Le nomine, che trovinsi già fatte dopo la pubblicazione della legge, sono man- tenute. « Art. 2, Gli Ordinarii diocesani, i Presidenti delle Corti di appello, le Deputazioni provinciali, appena fatta la nomina di cui è parola nel precedente articolo, ne av- vertiranno le persone rispettivamente nominate ed anche il Prefetto della provincia ed il Sotto-Prefetto del circondario nella qualità di presidente della Commissione. « Art. 3. Ove gli Ordinarii diocesani non abbiano entro il detto termine di 10 giorni fatto uso della facoltà attribuita loro dalla legge di delegare un ecclesiastico per far parte delle Commissioni, la mancanza del componente ecclesiastico non im- pedirà la Commissione dall’esercizio delle sue funzioni, purchè sia costituita nel nu- mero prescritto nell’art. 4° della legge. « Art, 4, Il Prefetto, che deve presiedere alla Commissione che si raduna nel ca- poluogo della provincia, potrà o entro il termine sopraindicato dei dieci giorni, od anche nel corso delle sessioni ove il bisogno lo richiegga, delegare un Consigliere di Prefettura a rappresentarlo. « Art. 5. Il Ricevitore circondariale dei rami e diritti diversi (Ricevitore dema- niale) che pel sovracitato art. 4° della Iegge è chiamato a far parte della Commis- sione, in caso d’impedimento o di assenza verrà supplito da un funzionario del ramo finanziero da nominarsi dal Direttore generale dei rami e diritti diversi. « Art. 6. In mancanza del Prefetto o del suo sostituito, ed in mancanza del Sotto- Prefetto, le funzioni di Presidente della Commissione saranno esercitate dal Giudice delegato dal Presidente della Corte d’appello, ed in mancanza di costui dal Ricevi- tore demaniale o da colui che ne terrà le veci. « Art. 7. Se qualche membro non farà più parte, per qualunque causa, della Com- missione, sarà supplito con nuova nomina da colui o da coloro a cui la legge avea dato il diritto di nominarlo. <« Art. 8. Ogni Commissione sarà assistita da quattro impiegati, cioè: da un Segretario, da un Vice-Segretario, da due Applicati. « Art. 9. Il Presidente destinerà il luogo edi giorni in cui la Commissione debba adunarsi. « Art. 10, Compiuta che sarà la nomina dei componenti la Commissione e la isti- tuzione della stessa, il Presidente farà pubblicare in uno dei giornali della provin- cia e nel giornale officiale di Sicilia i nomi dei componenti la Commissione, indi- cando il giorno ed il luogo in cui cominceranno le ordinarie sedute. « Art. 11, Il Presidente della Commissione chiederà alle Giunte municipali del suo circondario un esatto notamento di tutti i corpi morali ecclesiastici, e di tutte le 92 STORIA DELLA ENFITEUSI fondazioni o istituzioni, di cui è parola nell’ art. 1° della legge, esistenti in ciascun comune, con l’indicazione del nome e cognome del superiore o titolare o rappresen- tante del benefizio, prebenda, abbazia, prelatura, convento, monistero o altro qual- siasi ente morale contemplato dalla legge. « Questo notamento sarà sollecitamente trasmesso dalle Giunte municipali entro il termine di 30 giorni, « Art, 12. Ricevute le indicazioni sopra mentovate, il Presidente invierà a cia- scun superiore di corporazione ecclesiastica ed a ciascun titolare di benefizio o al- tro, per mezzo del Sindaco del comune ove abbiano essi domicilio, un modello di dichiarazione secondo l’annessa tabella A, « Manderà altresì a ciascun notaio dei comuni nel suo circondario, anche per mezzo del rispettivo Sindaco, i modelli giusta le annesse tabelle B e C per la formazione dell'elenco e del certificato negativo di cui è cenno nell’art. 7° della legge. « Siffatte tabelle saranno fatte poi tenere per lo stesso mezzo del Sindaco alla Commissione dai notai, dopo adempiuto a quanto da loro si deve, e Chiedera altresì il Presidente ad ogni percettore regio o esattore comunale lo estratto dei ruoli fondiarii circa la possidenza dei corpi morali i cui fondi devono darsi in enfiteusi, « Àrt. 13. Le dichiarazioni che perverranno dai rappresentanti ecclesiastici, di cui è parola nello articolo precedente, saranno annotate in un registro che a cura del segretario sì terrà presso ciascuna Commissione, e si rilascerà ai dichiaranti rice- vuta a firma del Presidente e del segretario. « Ove si vegga che la dichiarazione manchi di qualcuna delle indicazioni che essa deve contenere a termini dell’art. 5° della legge ed a norma della tabella A, il Pre- sidente ne farà avvertito il dichiarante e lo inviterà a riformarla. Se questi a ciò si rifiuti, si esprimerà sul registro e nella ricevuta la indicazione mancante ed il rifiuto del dichiarante all’invito fattogli dal Presidente, e si riserberà a far decidere dalla Commissione , se la dichiarazione debba ritenersi come difettosa e se vi sia luogo all’applicazione della multa. « Art. 14, Scorso un mese dalla pubblicazione del presente regolamento, il Presi- dente della Commessione richiederà dai Sindaci che non li abbiano inviati gli estratti dei ruoli catastali, e gli elenchi ed i certificati negativi che avrebbero dovuto ri- cevere dai notai, e domanderà alle Giunte municipali la proposta per la sospensione dall’ufficio contro quei notai che abbiano mancato alla consegna suddetta, giusta ciò che è disposto dall’art. $° della legge. : « I Sindaci faranno altresì conoscere se i percettori regii o esattori comunali ab- biano corrisposto alle richieste loro fatte, secondo ciò che è accennato nell’art. 12° di questo regolamento. « Art. 15. Si farà esso Presidente trasmettere nel tempo stesso dalle Giunte mu- nicipali tutti i ragguagli che avran potuto queste raccogliere sui beni rurali di per- tinenza ecclesiastica esistenti nel rispettivo comune, con la formazione di apposito quadro, a termini dell’art. 9° della legge. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA ; 93 « Art. 16, La Commissione, sulla relazione che le sarà fatta dal Sindaco, e di cui è parola nel superiore art. 14°, provocherà contro i percettori regii o esattori co- munali, che avranuo mancato alla trasmissione dei sopra mentovati estratti, le mi- sure disciplinari giusta le leggi ed i regolamenti in vigore. « Quanto ai notai, Ia Commissione, ricevute dalle Giunte municipali le proposte per la sospensione dall’ ufficio, di cni è cenno nel predetto art. 14° di questo regola- mento, pronunzierà deliberazione con cui attesterà il fatto di avere il notaio man- eato in tutto o in parte a quanto è dalla legge ordinato, e cotal deliberazione sarà trasmessa dal Presidente della Commissione al Procuratore del Re presso il compe- tente Tribunale circondariale. « Parimente nel caso in cui il Sindaco e la Giunta municipale manchino ai do- veri d’ufficio imposti loro dagli articoli 7° S° e 9° della legge e del presente rego- lamento, potrà il Prefetto o il Sotto-Prefetto esercitare le facoltà che gli sono date dal capoverso dell’art. 138 della legge comunale del 23 aprile 1859. « Art. 17, Il Procuratore del Re farà intimare il notaio per mezzo di un usciere giudiziario a comparire innanzi il Tribunale a giorno ed ora fissa, accordandogli un giorno per ogni quindici miglia di distanza. «Il Tribunale, letta la deliberazione della Commissione ed intese le conclusioni del Procuratore del Re e la difesa del convenuto, se sarà presente, pronunzierà sen- tenza inappellabile, con cui sospenderà, se vi sia luogo, dall’ ufficio il convenuto giusta l’art. 8° della legge, e per quel tempo che è dalle leggi stabilito. « La sentenza conterrà sempre la condanna del sospeso a tutte le spese del giu- dizio. « La sentenza sarà intimata al notaio dal Procuratore del Re per mezzo dell’usciere giudiziario, e dallo stesso Procuratore del Re se ne renderà consapevole la Camera notarile. Fssa sarà resa esecutiva nei modi proprii del rito sommario. « Art. 18. Ove il Notaio domandasse, giusta l’art. 8° della legge, la revoca della sentenza di sospensione, il giudizio sarà a cura del Pubblico Ministero portato ce- lermente a termine sino alla cosa giudicata, e dal medesimo sollecitata la esecuzione nei modi legali prescritti nei casi di sospensione dagli uffici. « Il Procuratore del Re avviserà del risultato del giudizio la Camera notarile ed il Ministro di grazia e giustizia e dei culti, e farà inserire in un giornale della pro- vincia, e in mancanza nel giornale ufficiale di Sicilia, un cenno di detta sentenza, s La sospensione comincerà a decorrere dal giorno appresso della intimazione. « Art. 19, Nel caso sopraindicato la Commissione destinerà un altro Notaio che sulle minute notarili esegua le ricerche e formi gli elenchi o certificati prescritti a spese del renitente, ed adoprerà i mezzi coattivi dalla legge permessi nel caso di ‘negata esibizione delle minute. « Lo stesso farà per gli ufficiali di altri rami, colla intelligenza e per mezzo di altri ufficiali dal loro superiore autorizzati. « Art. 20. Pei Notai che abbiano rilasciato un elenco o un certificato negativo falso, 94 STORIA DELLA ENFITEUSI si darà luogo a procedimento penale sulla istanza della Commissione, la quale per mezzo del suo Presidente agirà come di dritto, « Art: 21. Oltre i dati che saranno apprestati dalle dichiarazioni dei titolari ec- clesiastici, dalle Giunte municipali e dai Notai, la Commissione avrà dritto di chie- dere, ove ne riconosca il bisogno per accertare la consistenza della proprietà fon- diaria, le occorrenti notizie a tutti gli Uffizii da cui stimerà poter attingere esatta contezza dei beni che dovranno censirsi. « Art. 22. Raccolte nei termini sopra stabiliti tutte le opportune notizie, la Com- missione prenderà in esame Ile dichiarazioni date dai rappresentanti gli enti mo- rali ecclesiastici, e le confronterà con tutti quegli altri elementi che saranno stati apprestati dai Notai, dalle Giunte municipali e dagli altri Ufficii a cui siasi la Com- missione rivolta, e rileverà se le fatte dichiarazioni corrispondano alla consistenza della proprietà ecclesiastica, e se siano strettamente conformi al tenore della legge. « Mancando la dichiarazione o trovata questa non veridica o non conforme al pre- scritto dalla legge, la Commissione emetterà la sua deliberazione. « Art. 23. La deliberazione suddetta sarà trasmessa dal Presidente della Commis- sione al Procuratore del Re presso il competente Tribunale circondariale, il quale farà intimare per mezzo d’un usciere giudiziario l’individuo denunziato dalla Com- missione a comparire davanti il Tribunale a giorno ed ora fissa, accordandogli un giorno per ogni quindici miglia di distanza. « Il Tribunale, letta la deliberazione della Commissione, ed intese le conclusioni del Pabblico Ministero e la difesa della parte se è presente, pronunzierà LISpDelio bilmente la sua sentenza, applicando la multa se vi sia luogo. « La sentenza conterrà pure la condanna del multato alle spese del giudizio, « Art, 24, La sudetta sentenza sarà intimata a cura del Presidente della Commis- sione per mezzo di un usciere giudiziario e diverrà esecutiva nei modi e tempi vo- luti dalla legge. « Art. 25. Tutti gli atti e le sentenze per tale oggetto, come altresi per le so- spensioni dei Notai di cui è cenno nei precedenti articoli, saranno distesi in carta non bollata. I sentenza definitiva però, in caso che contenga condanna, dovrà es- sere vistata per bollo e registrata. « Pei diritti da esigersi si osserverà il disposto dall’ art. 25° n. 19 e dagli arti- coli 28° e 29° della legge sul bollo. « Art. 26. Le multe che si esigeranno saranno versate nella cassa del ricevitore del registro; sovra la cassa del ricevitore sarà aperto un credito alla Commissione proporzionato al fondo speciale di cui è cenno nell’art. 6° della legge. « Art. 27. Raccolti tutti gli elementi che varranno a far conoscere l’effettiva con- sistenza della proprietà ecclesiastica, e formatisi gli occorrenti quadri, la Commis- sione determinerà quali fondi giusta l’art. 2° della legge debbano eccettuarsi dalla enfitensi, ordinando all'uopo delle perizie ove gli elementi raccolti non saranno giu- dicati bastevoli a formarsi un esatto giudizio. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 95 « Art. 28. Le perizie saranno anche senza istanza delle parti, ma a giudizio della Commissione, ordinate principalmente per quei terreni in cui esistono miniere già aperte o la cui esistenza sia accertata, benchè non siano in attività od aperte. s Le perizie saranno ugualmente ordinate per quelle terre in cui la esistenza delle miniere non sia accertata, ma che ne offrano sufficienti indizi. s Art, 29, Stabiliti i fondi che dovranno darsi in enfiteusi, la Commissione divi- derà gli stessi in tre classi per potere più comodamente assegnare il canone an- nuale di ciascuno: a) Fondi di cui siansi convenuti gli affitti in danaro; b) Fondi i cui affitti siansi convenuti in generi; e) Fondi di cui non vi siano o non si conoscano i fitti pel sessennio stabilito dalla legge, dal 1° gennaro 1855 a tutto il 1860. « Art. 30. Pe’ primi farà un coacervo degli affitti durante l’indicato sessennio e ne prenderà la media; questa sarà confrontata con l’imponibile catastale, e si prenderà la media fra essi che resterà definitivamente per rendita lorda. « Art. 31. Pei fondi il cui affitto si sia corrisposto in generi, la Commissione do- manderà al Sindaco del comune, in cui dovrà farsi il pagamento, lo estratto del prezzo stabilito dal Consiglio comunale sulle dichiarazioni dei sensali per ciascun genere nel- l'epoca del suo raccolto per l’indicato sessennio dal 1855 alla fine del 1860. «Se nel comune non si trovino registrate tali dichiarazioni, esse saranno richie- ste a tre Sindaci di comuni più vicini, ed in caso di differenza tra le tre dichiara- zioni sarà ritenuta la media risultante dal coacervo delle tre. « Col prezzo dei generi così ricavato, la Commissione liquiderà il fitto d’ogni anno, e farà il coacervo dei fitti dei detti sei anni, provvedendo nel resto delle operazioni come nel precedente articolo. « Art. 32. Dalla rendita lorda di ogni fondo la Commissione dedurrà tutti i pesi dovuti, i quali resteranno a carico del nuovo enfiteuta a sensi dell’articolo 12° della legge; dopo di che formerà i rispettivi quadri con la indicazione di ciascun fondo, della rendita lorda calcolata sul coacervo dei fitti e sul confronto catastale come nei precedenti articoli, dei pesi che si deducono per restare accollati all’enfiteuta, e fi- nalmente del resultato della rendita netta. « I detti quadri saranno notificati ai titolari ecclesiastici insieme al notamento dei fondi che restano esclusi dalla enfiteusi; e quindi saran discussi i reclami, e saran di nuovo notificati i quadri riesaminati nelle forme stabilite dagli articoli 13°, 14° e 15° della legge. « Art. 33. I detti quadri saranno altresi comunicati per l’ esame al regio Procu- ratore del Tribunale del circondario, al Consiglio di Prefettura e alla Deputazione pro- vinciale, affinchè non avvenga che fondazioni laicali, escluse dalla legge, si confon- dano con le ecclesiastiche. « Art. 34. I quadri definitivamente approvati saranno pubblicati nel giornale uffi- ciale di Sicilia a cura del Presidente di ciascuna Commissione. Saranno pure affissi 96 STORIA DELLA ENFITEUSI innanzi alla porta del luogo ove la Commissione tiene le sue sedute, alla porta della casa municipale del comune ove sono siti i beni, ed alla porta della casa del Mu- nicipio del comune ove abita il superiore o il rappresentante del Corpo ecclesiastico proprietario. Queste affissioni saranno eseguite da serventi comunali a cura del ri- spettivo Sindaco, che ne invierà il corrispondente certificato al Presidente della Com- missione, « Art. 35. I reclami dei terzi, di cui si parla nell’articolo 16° della legge, dovranno essere presentati al Presidente della Commissione fra il termine di 20 giorni dalla data dell’affissione dei quadri, di cui è cenno nel precedente articolo; scorso il quale termine non saranno più ammessibili, salvo il diritto ai terzi di provvedersi innanzi ai magistrati competenti per lo esperimento delle loro ragioni, senza che ne venga interrotta l’esecuzione delle operazioni circa l’enfiteusi, « Dalle deliberazioni della Commissione intorno a siffatti reclami si ha il diritto del gravame alla Corte d'Appello giusta l’articolo 18° della legge. « Il Pubblico Ministero presso la Corte d’appello affretterà il giudizio, e terrà av- visata la Commissione del progresso e del termine dello stesso. « Art. 36. Le Commissioni regoleranno i loro atti prendendo per norma i giudi- dicati, dei quali avranno avuto comunicazione dagl’ interessati o dal Pubblico Mini- stero, . « Art. 37. Per determinare il sistema delle divisioni dei terreni in quote di cui è parola nell’articolo 19° della legge, ogni Commissione chiamerà tre periti che co- noscano esattamente la figura e la natura dei fondi che debbonsi dividere. =|NfFo|s aes goz |a 8 8 | #/6S È | |k° |||] = Sa (SAI < È È ©o|20|S|Ns Ss (elet © i fondi S/slala|o|k| © =) aL 5/03 S ° (d) A DA E I — = E ee il | | « Rilasciato da me sottoscritto Notaro oggi in (e) (Î) (a) Nome e cognome del Notaro. (6) Luogo di sua residenza. (c) Nome del circondario. (d) Se alberato in tutto o in parte, se seminatorio , ortalizio , destinato a pascolo, vi- gneto, sommacco od altro. (e) Luogo e data del rilascio. (f) Firma del Notaio e segno del tabellionato. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 101 Tav. 0. Modello di certificato negativo notarile. « Io qui sottoscritto (a) Notaro residente in (0) mandamento del circondario di (c) dichiaro, che avendo perquisito tutti gli atti e repertori, tanto miei che di altri notari da me tenuti in conservazione dal 1° gennaio 1831 a tutto il 1860, non ho trovato nessun atto traslativo di proprietà rurale, e dal 1° gennaio 1851 a tutto il 1860 nessun atto di affitto o di colonia parziaria stipulato a favore di alcun Corpo morale o altro individuo ecclesiastico indicato nella legge del 10 agosto 1862. « In fede di che ho rilasciato questo certificato negativo da me sottoscritto oggi in (d) (e) (a) Nome e cognome del Notaro. (5) Nome del luogo di residenza. (c) Nome del circondario. (4) Luogo e data del certificato. (e) Firma del Notaro e segno del tabellionato. « ESEMPIO DI CALCOLO per determinare per mezzo degli affitti la rendita lorda dei fondi da concedersi în enfiteusi redimibile. « Affitti del fondo dal 1° gennaio 1855 a tutto il 1857, lire 3,000 annuali per TRES RE AA] IT 900000 « Affitti dal 1° gennaio 1858 a tutto il 1860, lire 3,860 annuali, per UG fumi Rion 6 rolf ee ooo o NoN I RI IE 00 Totale Li 20,580 » « Diviso a sei anni il detto coacervo di lire 20,580 risulta la media di ogni anno Ù Ù C) ® C) C) C) 0) Ù Ù Ù O Ù) Ù ò OÙ C) CO 0 Li 3,430 » « Imponibile risultante dal certificato catastale. + +. +... L 2,912 Totale L 6,342 >» « Media delle due cifre che rimane per rendita lorda del fondo . I. 3,171 » 102 STORIA DELLA ENFITEUSI (M) «Regno d’Italia — Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti — 32 Divisione — N. 57394, « Oggetto — Destinazione del Deputato signor Simone Corleo a Soprintendente delle Commissioni enfiteutiche in Sicilia. e Torino, addi 13 luglio 1863. « Fatto tesoro il sottoscritto della cortese esibizione di S, S. Illma, oggetto della gra- dita lettera data a Salemi il 28 giugno scorso; e persuaso che a niun altro meglio che a Lei, promotore della legge sulla censuazione dei beni ecclesiastici in Sicilia, avrebbe potuto affidarsi la missione, alla quale S. S. per onore alla legge e per l’in- cremento dell’utile pubblico si è offerta, all'oggetto di spingere ed armonizzare le varie operazioni delle molteplici Commissioni enfiteutiche, non ha chi scrive indugiato a de- stinarla, siccome la destina a Soprintendente Generale delle cennate Commissioni in- sulari. « Nel porgerle di conseguenza lo scrivente le più veraci manifestazioni di ringra- ziamento per la personale proposta, cui di buon animo ha egli condisceso, si fa un dovere avvertirla di avere oggi stesso partecipato a tutti i Prefetti delle provincie siciliane la di Lei destinazione, perchè Eglino ed i Sotto Prefetti dei rispettivi cir- condarii, quali Presidenti delle singole Commissioni, nel riconoscerla nella qualità or conferitale, si prestassero a somministrarle tutte quelle notizie che sarà loro per ri- chiedere, e tenessero riguardo di quelle modifiche che in armonia alla legge e per l’utile del servizio potrebbero dalla S. V. venir loro suggerite. « Rimane pertanto S. S. Illma facultata di scegliere, ove lo giudichi opportuno, fra gl’impiegati in disponibilità quella persona o più ancora che stimerà necessa- rie ad assisterla da Segretarii, compiacendosi solo darne notizia a questo Ministero per l’ulteriore di ragione. « Il Ministro — Firmato: G. PisanELLI» « AS. S. IUma, signor Simone Corleo, Deputato al Parlamento, Soprintendente delle Commissioni enfiteutiche in Sicilia. » DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 103 CAPO II. APPLICAZIONE DELLA LEGGE 10 AGOSTO 1862 E SVILUPPO DELLE MASSIME DIRETTIVE. $ 17 Prime difficoltà che s'incontrarono nell’applicazione della legge di enfiteusi. — Pretese di esclusione per taluni fondi. Egli è vero che la maggior parte degli enti morali ecclesiastici ubbidirono alla legge porgendo alle Commissioni le rispettive dichiarazioni coi prescritti lumi, ma molti di loro cercavano colle dichiarazioni stesse e con altri posteriori reclami sot- trarre dalla forzosa enfiteusi i loro beni pescando nella legge medesima qualche ar- gomento per farneli escludere. Pochi furono i titolari ecclesiastici che in sul prin- cipio riconobbero la importanza della legge e sopra tutto l’interesse di loro stessi a farla tosto eseguire. Molti poi si pentirono, ma tardi ed inutilmente, di averne ostacolata la pronta esecuzione; poichè tardi ravvisarono che essa faceva crescere in media la loro rendita netta quasi al doppio; e peggio fu per loro il vedere che di tali aumenti fruirono soltanto quei titolari, i cui fondi erano stati censuati pria della legge della conversione in beneficio del Demanio, mentre tutti gli altri fondi, che pei loro ostacoli e cavilli non si erano ancora censuati quando si attuò la su- detta legge (23 luglio 1866), furon tutti concessi ad enfiteusi nello interesse del De- manio, meno quelli soltanto de’ benefizii parrocchiali, e perciò se l’ebbe il Demanio questo aumento di rendita, invece di averlo i detti titolari. Alcuni poi, non trovando nella legge verun pretesto per opporsi alla enfiteusi dei fondi che essi dichiaravano alle Commissioni, dicevano per lo meno non essere in loro facoltà consentire alla ordinata enfiteusi, od anche opponevano il divieto delle leggi canoniche. Le ragioni, per le quali si cercava far escludere dalla cersuazione un buon nu- mero di fondi, eran principalmente desunte dallo articolo 2° della legge, il quale aveva prescritto talune esclusioni col doppio scopo: 1° di non privare le Corporazioni religiose dei piccoli giardini annessi alle loro case ed addetti al loro uso ordinario, 2° di non porre nelle mani di enfiteuti i fondi al più alto grado beneficati, ovvero contenenti boschi e grandi valori di miniere, che avrebbero potuto esser tosto sfrut- tati ed anche distrutti, Si cercava in primo luogo far comparire come orti e giardini inservienti all’uso ordinario dei conventi tutti quei fondi ch’essi tenevano in propria economia, quan- tunque non attaccati ai conventi stessi. — Ma questo era un ripiego che poteva es- 104 STORIA DELLA ENFITEUSI ser tosto scoverto per mezzo della ispezione locale, nè vi era alcuna quistione di dritto a risolvere. Era molto esplicito il senso delle parole adoperate nell’articolo 2°: destinati ad uso ordinario dì conventi e monisteri; trattavasi soltanto di quegli orti, giardini e selve, attaccati alle case religiose, che servivano ai frati ed alle mona- che per il loro passeggio ordinario e per ricavarne l’erbe ortalizie e le frutta della loro tavola. Così queste difficoltà venivan tosto eliminate dalle Commissioni, che se- condo la ordinaria destinazione di fatto dei fondi stessi l’includevano nella censua- zione, 0 li escludevano, Una assai più larga apertura, credevasi trovare nella ordinata esclusione dei fondi coperti in tutto o nella massima parte di alberi o di vigneti. Parecchi fondi eccle- siastici presentavano delle piantagioni diverse; ed alcune Corporazioni religiose, nello intento di escludere dalla enfiteusi i fondi di loro particolare affezione, allorchè vi- dero approvata la legge della sudetta enfiteusi, atfrettaronsi a farvi delle rapide col- ture ed a piantarvi piccoli arboscelli di ulivo, di mandorlo, e magliuoli di vite. Sorgeva quindi il primo dubbio: quanta parte del fondo deve essere coperta di alberi o di vigne, per poterlo ritenere beneficato in massima parte e per escluderlo dalla cen- suazione? — Inoltre i titolari ecclesiastici, allorchè conoscevano essere impossibile sostenere che la maggior parte del fondo fosse migliorata, ricorrevano al sotterfu- gio di farlo comparire come due fondi distinti, il beneficato ed il non, ad oggetto di abbandonare alla forzosa enfiteusi il meno possibile e ritenere almanco tutto il beneficato. Venuti questi primi dubbii alla Sopraintendenza generale, fu essa sollecita a farne relazione al Ministero ed a proporre i modi di risolverli; i quali furono adottati colla ministeriale di massima del 13 novembre 1863 (Documento N, $ 9, num. 2). Fu sta- bilito che si dovrebbe riguardare come unico fondo quello che era tenuto in unico af- fitto o in unica economia, e si dovrebbero ritenere come distinti quei fondi che, quan- tunque limitrofi, fossero stati separatamente affittati o tenuti in separate economie. Se poi il fondo, in tal guisa determinato, fosse coperto di alberi o di vigne in se- sto regolare per tre quarte parti almeno della sua totale estensione, allora soltanto avrebbesi dovuto eccettuare dalla legge della enfiteusi come beneficato nella mas- sima parte. Dopo queste ministeriali dichiarazioni, fu facile alla Sopraintendenza dare delle norme concrete e tassative, tanto per non far riguardare come alberi e viti i pic- coli nuovi piantoni ed i recenti magliuoli che erano stati in fretta collocati nei fondi dal 1862 in poi col chiaro disegno di farli esimere dalla enfiteusi, quanto per fare accertare per mezzo di periti di fiducia se fosse regolare il sesto di alcuni alberi antichi sparsi qua e là in alcuni fondi ecclesiastici, all’oggetto di determinare se veramente le tre quarte parti della loro estensione fossero con regolarità coperte. — Così fu tolto di mezzo questo primo appicco e fu fatta giustizia, con escludere dall’enfitensi quei fondi che fossero veramente migliorati nella massima parte a mente della legge. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 105 Un altro mezzo di esclusione volevasi ottenere, specialmente nelle provincie di Gir- genti, Caltanissetta e Catania, col dimostrare in certi latifondi la esistenza di mi- niere di zolfo o di altro minerale, o indizii evidenti di miniere. Intieri exfeudi si sarebbero voluti sottrarre dalla censuazione, perchè in un punto o in un altre eranvi tali miniere o gl’indizii — Anche quest'altro dubbio dal Ministero di Grazia Giusti- zia e Culti, di accordo con quello di Agricoltura Industria e Commercio, venne ri- soluto con ministeriale di massima del 10 agosto 1863 (Documento N, $ 9, num. 3). Fu ordinato che si distaccasse per mezzo di perizia e si escludesse dalla concessione enfitentica tutto il tratto di terreno, nel quale sì riconoscesse estendersi la miniera aperta o l’indizio, e si censuasse tutto il rimanente del fondo, Disposizioni consimili ebbe a dare la Sopraintendenza nell’altro consimile dubbio, cioè se vi fosse un fondo nel quale esistesse soltanto una porzione boschiva; in tal caso dovrebbesi distaccare con perizia la sola parte boschiva colle relative vie, al- l’oggetto di escluderla giusta l’articolo 2° della legge e sottoporre all’enfiteusi tutto il resto. Finalmente, sulla difficoltà per la negazione del conseuso di alcuni titolari, e sul dubbio se essi dovrebbero essere proposti come multabili, sapientemente fu risposto dal sudetto Ministero dei Culti con nota del 14 ottobre 1863, in conformità alle os- servazioni della Sopraintendenza, che 1’ assenso loro non è necessario secondo il Dritto pubblico siciliano; e perciò basta che essi somministrino colle dichiarazioni le notizie prescritte dalla legge, e non sono passibili di multa, quando anche non consentano, ovvero oppongano il divieto dei canoni, cioè della bolla Ambitiosae, la quale in Sicilia non ebbe mai esecutoria, perchè vi ostavano i dritti supremi di re- galia (Documento N, $ 7, num. 1). $ 18 Istruzioni della Sopraintendenza generale approvate dal Ministero. Passati alquanti mesi di prova e raccolte da tutte le Commissioni le principali no- tizie, la Sopraintendenza fu in grado di emettere Istruzioni circolari, all'oggetto di armonizzare le varie operazioni e di dare unico concetto alla seguela degli atti del- l’enfiteusi, affinchè le Commissioni partecipassero egualmente di quell’unico concetto e si regolassero in modo uniforme. Queste Istruzioni, divise in sedici paragrafi, fu- rono sottoposte al Ministero, dal quale vennero approvate con nota del 15 dicem- bre 1863; e quindi messe a stampa, furono diramate ai Presidenti delle Commis- sioni colla data del 24 dicembre 1863 (Documento N). Non occorre ripetere per filo e per segno le idee contenute in quelle Istruzioni, che si posson leggere nel su accennato Documento. Mi contenterò soltanto di esporre il loro disegno generale, onde ciascuno possa comprendere la influenza che ebbero ad esercitare sui lavori della enfiteusi. Lo scopo delle sudette Istruzioni, innanzi tutto, era quello di mettere in correla- Giornale di Scienze Nat. ed Econ., Vol. VII, Parte II. 14 106 STORIA DELLA ENFITEUSI zione gli articoli della legge e gli articoli del regolamento, ed applicare gli uni e gli altri ai casi determinati, per procurare una pratica comune ed uniforme. In secondo Iuogo era scopo delle medesime Istruzioni descrivere tutto il succes- sivo processo delle operazioni, all’oggetto di concatenare una operazione coll’ altra e di far chiaramente comprendere, non solo alle Commissioni, ma anche alle loro Segreterie che avrebbero dovuto preparare e coordinare i lavori, qual si fosse l’in- granaggio e la connessione tra i lavori medesimi, In terzo luogo le sudette Istruzioni avevano in mira di fornire alle Commissioni, ed a tutti colorò che dovevano mettersi in relazione con esse, una idea netta delle facoltà diverse che la legge ed il regolamento avevano alle Commissioni medesime attribuito. Favellatosi prima del modo di comporre le Commissioni e le Segreterie, e dell’an- ticipazione delle spese per l’insediamento e scrittoio delle medesime, giusta le pre- scrizioni della legge e del regolamento che si sono esposte nel Capo precedente, si venne a trattare dei lavori preliminari ineumbenti alla presidenza, ad oggetto di at- tingere tutte le notizie necessarie alla esatta conoscenza dei titolari ecclesiastici di ciascun comune, del loro patrimonio, estensione, confini, provvenienza, pesi, giudizii pendenti, affitti del sessennio 1855-60 e catasto fondiario, — ed in corrispondenza, dei doveri delle Giunte municipali, dei notari, dei percettori e dei titolari, a porgere in appositi moduli quelle stesse notizie. Fu interessante dare un’idea di tutti i veri titolari ecclesiastici, ai quali era ap- plicabile la legge del 10 agosto 1862, affinchè nessuno di loro fosse sfuggito dal no- tamento che se ne doveva compilare, ed affinchè non si fossero confuse colle opere di culto le altre opere di pura beneficevza laicale e le cappellanie di messe mera- mente laicali, i cui beni erano stati già esclusi dalla enfiteusi ($ 13). « Sono tito- «lari ecclesiastici, dicevasi nelle Istruzioni, tutti quelli che rappresentano o defini- « tivamente o provvisoriamente qualunque benefizio ecclesiastico, cioè: Vescovadi, Ab- « bazie, Prelature, Priorati, Dignità di capitoli e di collegiate, Canonicati, Masse co- « muni di distribuzioni corali, Parrocati e Benefizii semplici, non che qualunque Ret- « toria di chiesa, qualunque Cappellania non laicale, qualunque Opera di culto di- « vino, qualunque Congregazione ecclesiastica, qualunque Seminario diocesano, qua- « lunque Convento, Monistero, Collegio di Maria, o altra Casa religiosa. Si deve sol- « tanto notare che sono ecclesiastici e soggetti alla giurisdizione degli Ordinarii i « Collegi di Maria, le cui regole sono state approvate e riconosciute dalla Chiesa se- « condo le norme del Cardinal Corradini. Tutti gli altri Collegi di Maria, le cui re- « gole dalla Chiesa non sono state riconosciute ed approvate, sono laicali. Così è san- « cito nella risoluzione Luogotenenziale 15 agosto 1831, negli articoli 1° e 4° del re- « golamento Luogotenenziale 21 luglio 1834 e nell’altra risoluzione della stessa Luo- « gotenenza 14 luglio 1852.» Questa precisa indicazione dei singoli enti ecclesiastici era ben rilevante in un momento in cui cercavasi pure di sfuggire alla legge di en- fiteusi facendo quistione sulla natura ecclesiastica o laicale dell’ente. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 107 Raccomandavasi poi di non venire all'esame astratto della ecclesiasticità di dritto, la quale per taluni enti era stata in Sicilin oggetto d’interminabili e sofistiche con- troversie; ma dover riguardare soltanto la ecclesiasticità di fatto, cioè il possesso pubblico del carattere ecclesiastico in faccia alle antorità politiche, civili, giudizia- rie, municipali ed ecclesiastiche. Per distinguere in fatto un ente laicale dall’eccle- siastico, si diede pure una norma sicura: giusta il decreto del 1° febbraro 1816 ed Istruzioni del 20 maggio 1820, tutte le opere pie laicali dovevano esser soggette ai rispettivi Consigli d’Ospizii provinciali; quindi la Commissione può tosto sapere dalla Deputazione provinciale, succeduta al Consiglio d’Ospizii, se l’ente morale, della cui laicità si dubita, sia stato veramente tale, cioè se sia stato sotto la tutela o vigi- lanza del Consiglio di Ospizii e della suddetta Deputazione. Ciò per altro era con- forme al prescritto dell’articolo 33° del recolamento dell’enfitensi. Dopo di ciò, si diede una idea dei due diversi ordini di determinazioni che una Commissione dovrebbe emettere, cioè quelle tendenti ad istruire le pratiche, deter- minazioni interne e pur sempre revocabili secondo il bisogno — ed altre aventi il ca- rattere di vere deliberazioni nello interesse dei titolari ecclesiastici, o dei terzi re- clamanti, o dei notai contro cui dovrebbero provocarsi le pene per l'inadempimento della legge, deliberazioni che sarebbero state impugnabili soltanto nei modi dalla legge stessa prescritti. Le operazioni della Commissione furono divise in cinque periodi, cioè: 1. Il confronto di tutti gli elementi clre la lesse prescrive doversi esaminare per conoscere tutti i fondi, e specialmente quelli non dichiarati o mal dichiarati, e pro- porre quindi come multabili gl’inobbedienti.— In relazione a questa prima categoria di operazioni fu sviluppata la non necessità del consenso del titolare all’enfitensi, come è stata accennata nel $ precedente. Si fece anche notare che la multa deve esser do- mandata in somma maggiore o minore, secondo che il titolare sia costituito in mag- giore o minor dignità, abbia mancato a dichiarare pochi o molti fondi o soltanto alcuni accessorii, o se abbia persistito a niegare le notizie quando ne sia stato av- vertito dal Presidente. Come ancora si raccomandò di non proporre come multabili quei titolari, i quali, avendo mancato a far la dichiarazione, non avessero realmente dei fondi nel circondario della Commissione. 2. Dichiarare soggetti all’enfiteusi i fondi rurali ecclesiastici, ovvero escluderli. — Quanto a ciò si fecero le opportune avvertenze, col ricordo delle ministeriali disposi- zioni, intorno agli orti e case destinati ad uso ordinario dei conventi e monisteri, intorno ai fondi in tutto o nella massima parte piantati di alberi o di vigne, intorno ai fondi ove esistano miniere o indizi, ovvero boschi, giusta quanto si è narrato nel detto $ precedente. — Si fece anche conoscere la risoluzione emessa dal Ministero con nota del 20 novembre 1863 intorno ai fondi ecclesiastici che si trovassero sotto giudizio di espropriazione, i quali, sino a tanto che non fossero realmente espropria- ti, son sempre ecclesiastici e perciò censuabili, salvo a compirsi la espropria sul ca- none che se ne ricaverebbe. — Si dimostrò pure la censuabilità dei fondi che le chiese 108 STORIA DELLA ENFITEUSI posseggono in condominio con altri, sino a che gli altri condomini non vi si oppon- gano iniziando un giudizio per la divisione del condominio, 3. Determinare la rendita netta dei fondi assoggettiti all’enfiteusi e riconoscerne i pesi. — Si raccomandò intorno a questa operazione, oltre a tutto quello che è sta- bilito nella legge e nel regolamento, che non si desse fede alle semplici dichiarazioni dei titolari, ma si domandassero i titoli, specialmente per la determinazione dei pesi, servitù ed ipoteche; ed in difetto della loro dichiarazione se ne chiedessero le no- tizie dalla Giunta o da altri notabili individui del comune. — Sviluppato quindi il . sistema tracciato dalla detta legge e dal regolamento per la intima e per la pub- blicazione dei quadri, pei reclami dei terzi, per la loro decisione, e pei gravami se essi ne facessero alla Corte di appello, si diede una netta idea delle preziose fa- coltà che hanno le Commissioni per liquidare, e convertire occorrendo in denaro, tutti i dritti reclamati dai terzi, purchè prontamente liquidabili, come quelli che prov- vengono da un’epoca feudale, in cui si stabilivano con molta facilità dritti promi- scui di semina alternativa, di compascolo, di legnare ed altri simili. Meno le ser- vitù strettamente necessarie, come quelle di abbeverare, di passare per un dato fondo, che non possono in altra guisa surrogarsi, tutte le altre servitù e dritti promiscui, che inceppano e depreziano il libero esercizio della proprietà, debbono a giudizio della Commissione convertirsi in annua equivalente rendita. — Però la Commissione deve astenersi dal portar giudizio sui dritti 2determinati, eventuali, litigiosi, 0 non pron- tamente liquidabili: su di essi decidono i magistrati competenti. Di questi dritti si diede una chiara spiegazione. — Se però i terzi fra 20 giorni dalla pubblicazione del quadro non reclamassero alla Commissione, allora l’ enfitensi si dovrebbe com- piere, restando loro il dritto per l'esperimento delle loro ragioni presso i detti ma- gistrati, e salvo a realizzare i loro dritti sul fondo del canone preferibilmente, co- me è detto nell’articolo 33° della legge e nel 35° del regolamento. 4. Dividere in quote i terreni censnabili. — A tal’uopo si raccomandò la scelta dei buoni periti sulle note che ne daranno i titolari e le Giunte. Si raccomandò altresi di evitare le servitù tra le quote e di assegnare alle stesse i confini naturali, per quanto fosse possibile. ; 5. Comporre il quaderno delle condizioni per la enfiteusi e farne eseguire la su- basta presso i Tribunali. — Una delle cose più rilevanti nella compilazione del qua- derno è il patto della immissione in possesso dell’enfiteuta, che devesi regolare in coerenza alla durata degli affitti pendenti, e questi debbono prima esser validati dalla Commissione a sensi dell’articolo 34° della legge. E siccome uno dei mezzi per ostacolare il compimento della enfiteusi, ovvero per dar lungo guadagno a qualche favorito fittajuolo, era quello di far comparire aftitti di lunghissimo periodo (ne com- parvero infatti sino a 36 anni), così nelle sudette Istruzioni si fece espressa racco- mandazione di non validare gli affitti che fossero stati convenuti per un tempo mag- giore di anni quattro se i terreni son coltivabili, e di anni tre se addetti a pascolo. Si ricordarono in proposito i decreti del 1° dicembre 1833, 31 agosto 1842 e 20 gen- naro 1345. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 109 Finalmente colle sudette Istruzioni si fece espresso invito a tutte le Commissioni di porgere alla Sopraintendenza il rapporto mensile delle loro operazioni. $ 19 Disposizioni intorno alla esazione delle multe ed intorno alle spese di ufficio delle Commissioni e Sopraintendenza. La esazione delle multe divenne un oggetto interessante nel servizio della enfi- teusi dei beni ecclesiastici. Egli è vero che %o dei titolari ubbidirono alla dichia- razione prescritta dalla legge ($ 16), ma quelli stessi * che furono disubbidienti fornirono un buon contingente di multe, sì perchè essi erano dei più cospicui in di- gnità, ovvero avevano dei latifondi di gran valore, perlocchè furono multati col mas- simo della pena di L. 400; si perchè taluni di loro possedevano terreni in molti cir- condarii di Sicilia, e qualcuno quasi in tutti, perlocchè riportarono una multa per ciascuna Commissione circondariale. Ora il servizio della enfiteusi in origine ebbe assegnato dalla legge questo speciale fondo delle multe (art. 6°); e soltanto nell’art. 50° del regolamento era stato previ- sto che se il fondo delle multe non bastasse alle spese d’insediamento e di ufficio delle singole Commissioni, avrebbero dovuto provvedere di accordo per supplirvi i Ministri dell’Interno, delle Finanze, di Grazia Giustizia e Culti. Intanto la real Finanza aveva dovuto incominciare un’anticipazione di spese a cia- scuna Commissione ed alla Sopraintendenza, prima pure che si esigessero le multe; dappoichè le spese d’impianto e di scrittoio eran necessarie sin dalla prima aper- tura di questi ufficii, Inoltre abbisognò per talune Commissioni il fitto del locale e l’acquisto delle ine- renti mobilie: poichè la maggior parte delle Sotto-Prefetture, per ristrettezza di spa- zio del rispettivo uflicio, non poterono accogliervi la Commissione di enfitensi e la sua segreteria, nè anche in quel primo impianto poterono ottenere alquante stanze in qualsiasi convento, e quindi si dovette ricorrere agli aftitti e comprar si dovet- tero i mobili occorrenti. Quanto agli stipendii degl’ impiegati provvedeva direttamente la real Finanza in conformità della legge e del regolamento ($ 15). Diveniva pertanto assai rilevante l’ordinamento della esazione di tutte quelle multe, poichè si scorgeva che la loro cifra avrebbe coperto qualunque spesa d’insediamento, di scrittoio, di fitto e di mobili, sicché lo Erario sarebbe stato completamente rim- borsato di tutte le anzidette sue anticipazioni, nè sarebbe stato necessario provve- dere ad un supplimento con quel tale fondo, al quale alludeva il citato articolo 50° del regolamento. Ed infatti il servizio dell’ enfiteusi non diede il minimo peso alla finanza dello Stato, perché le multe copersero effettivamente tutte queste spese. Anzi talune Commissioni, che ebbero un proprio fondo di multe alquanto più largo, die- dero rimunerazioni ai loro più diligenti impiegati, in compenso di servigi straordi- narii che non erano abbastanza retribuiti dai loro scarsi salarii — E qui per inci- 110 STORIA DELLA PNFITEOSI dente sia detto che tutti gli stipendii, che lo Stato pagò agl’impiegati, furono pure largamente risarciti dagl’introiti del registro e di carta bollata delle singole aggiu- dicazioni enfiteutiche, siccome vedremo nel Capo V, allorchè parleremo dei risulta- menti della enfiteusi, Si riconobbe adunque la necessità di concentrare in unica cassa tutte quelle multe, acciocchè non fosse in libertà delle singole Commissioni impiegarle, senza prima aver rimborsato la real Finanza di tutte le sue anticipazioni. Difatti il ripetuto articolo 50° del regolamento considera come unico il fondo delle multe in faccia alla Finanza, all'oggetto che essa ottenga il detto rimborso; e perciò non ‘era possibile lasciar le multe presso i singoli Ricevitori che le esigevano, poichè così ogni Commissione le avrebbe potuto spendere a suo talento, e specialmente a prò degl’impiegati e degli inservienti che non avrebbero mai cessato di chiedere gratificazioni. — Di ciò per altro un qualche esempio si era già veduto presso qualcuna delle Commissioni, anzi qualche Presidente si era fatto lecito di esigere egli stesso le multe, senza farle ver- sare presso il Ricevitore, come prescrive l’articolo 26° del regolamento, e ne aveva largito laute gratificazioni a’ suoi impiegati. Finalmente era pur da mettere a calcolo che parecchie Commissioni non avevano proprio fondo di multe, perchè tutti gli enti morali del loro circondario erano stati obbedienti; epperò la real Finanza non avrebbe trovato come compensarsi delle somme che aveva alle dette Commissioni anticipato per le spese sovra indicate, se non si fosse fatto unico fondo comune di tutte le multe, sul quale si sarebbero rimborsate le spese in generale di tutti gli ufficii delle Commissioni e «della Sopraintendenza. Soddisfatte queste anticipazioni, quel che sarebbe rimasto del fondo speciale di cia- scuna Commissione, sarebbe stato a sua disposizione. Postisi quindi d’ accordo il Ministro di Grazia e Giustizia e Culti e quello delle Finanze, uscirono dalla Direzione generale del Demanio le Istruzioni circolari del 16 gennaro 1865, colle quali stabilita preliminarmente qual fosse la posizione del fondo delle multe giusta il sudetto articolo 6° della legge ed i citati articoli 26° e 50° del regolamento, fu dichiarato in massima che lo Stato s'intende estraneo tanto agli utili quanto agli oneri di questo ramo di servizio, e se ne affidò la direzione alla Sopraintendenza generale della enfiteusi. Pertanto fu ordinato che i Cancellieri dei Tribunali, per ogni multa che venisse inflitta, dovrebbero spedirne i correlativi campioni, non altrimenti che si pratica per le multe giudiziarie, alle rispettive Di- rezioni Damaniali, le quali alla loro volta ne darebbero il carico ai Ricevitori dei luoghi ove riseggono i titolari ecclesiastici multati. La esazione sarebbe fatta dai sudetti Ricevitori, i quali verserebbero le somme nell’entrate dello Stato, e contem- poraneamente spedirebbero alle stesse loro Direzioni il corrispondente inventario dello esatto giusta un apposito modello. Ed alla lor volta le Direzioni manderebbero cotale inventario alla Direzione Demaniale di Palermo, la quale per mezzo di un suo Ricevitore farebbe versare le corrispondenti somme nella Cassa centrale delle multe. Questa Cassa sarebbe tenuta dal Ricevitore degli atti giudiziarii di Palermo, il quale DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 111 di trimestre in trimestre darebbe conto alla sudetta Sopraintendenza delle somme presso lui concentrate. Dall’ altro canto le singole Commissioni in novembre di ogni anno manderebbero alla stessa Sopraintentendenza una nota preventiva in doppio delle spese che cre- derebbero bisognevoli pel loro ufficio, Essa approverebbe tal nota dentro i limiti del necessario, e dentro questi limiti i Ricevitori locali anticiperebbero alle singole Com- missioni le corrispondenti somme. Quindi i Ricevitori ne chiederebbero il rimborso dalla medesima Sopraintendenza pel tramite delle loro rispettive Direzioni, e que- sta lo accorderebbe, con apposite ordinanze, sul fondo delle multe presso il detto Cas- siere centrale. — Il Cassiere di trimestre in trimestre darebbe conto al Soprainten- dente dei rimborsi eseguiti. In pro dei singoli Ricevitori e del sudetto Cassiere centrale furono stabiliti degli aggi, tanto per le esazioni delle multe, quanto per le anticipazioni alle Commissioni e pei rimborsi. Così questo servizio rimase regolarmente organizzato e si assicurarono le spese necessarie alle Commissione ed alla Sopraintendenza. $ 20 Inobbedienza alla dichiarazione — Multe proposte, deliberate, esatte. Si è già detto ($ 16) che non più di * furono i titolari disubbidienti alla di- chiarazione prescritta dalla legge di enfiteusi. Tra 1436 titolari, dei quali si son concessi i fondi sino a tutto l’anno 1871, furono proposti multabili come inobbedienti num. 566, di cui però 70 furono additati in circondarii diversi, e taluni sino ad es- sere proposti per 9 multe da altrettante Commissioni circondariali, come i Monisteri di santa Caterina e di santa Chiara di Palermo che avevano fondi in altrettanti di- versi luoghi: sicchè le multe proposte nello insieme sommarono a 668. Pure, non tutti quei 566 proposti come multabili eran veramente tali, nè avevan tutti disub- bidito alla legge; ma talvolta le Commissioni avevan ritenuto obbligati alla dichia- razione, o al consenso esplicito all’enfiteusi, coloro che non ne avevano 1’ obbligo, e perciò domandarono la pena a loro carico; ma la domanda in tali casi giustamente dovette essere respinta, come osserveremo. E quindi i veri disubbidienti non sor- passarono il numero di 430, cioè i % di tutti i titolari obbligati veramente a di- chiarare. ‘Or giova notare in primo luogo a quali categorie appartennero a preferenza gli ubbidienti, ed a quali altre i refrattari. Sul Giornale Officiale di Sicilia, sin dal 12 aprile 1864 io aveva esposto in un quadro queste diverse categorie. Eccole: 112 STORIA DELLA ENFITEUSI Avevano presentato la dichiarazione Avevano Erano ancora in pen- a tutto febbraro 1864 mancato denza di termini Vescovi ed esercenti potestà ordinaria . . +. 3% DE, DÒ È : Dr an Conventi e case religiose maschili . + +. + '%o A, VE, Monisteri, Collegi di Maria e Reclusorii . . ». 7% Ha Us Parrocati ed Arcipreture curate +. +. +. 1%, ZA Tha Benefici nie ORE io 2/10 Chiese, Cappelle, Confratrie, Opere e legati di culto 34, DA 1% Colle dichiarazioni che sopravvennero dopo il detto giorno 12 febbraro 1864 per tutti quelli che allora erano in pendenza di termini, e per gli altri pochi i quali dopo quell’epoca furono scoperti ed intimati a dichiarare, le soprascritte proporzioni tra gli obbedienti e gl’inobbedienti non si alterarono nelle accennate categorie. La maggiore obbedienza si è dunque trovata nella categoria Parrocati ed Arci- preture curate, quindi nell’ altra Conventi e Case religiose maschili. La maggiore inobbedienza nelle due categorie Vescovi ed esercenti potestà ordinaria — Moni- steri, Collegi di Maria e Reclusorii. Pur nondimeno è da notare che anche in que- ste due classi soltanto un terzo fu refrattario, e gli altri due terzi diedero le di- chiarazioni. I monisteri di donne, essendo regolati dai Vescovi, diedero gli stessi rapporti di inobbedienza dei loro Vescovi dirigenti. Fu principalmente l'Arcivescovo di Palermo che rese contumaci alla dichiarazione tutti i ricchi monisteri della sua residenza e delle altre città della sua diocesi. Talvolta le deputazioni di quei monisteri e le ab- badesse avevano già deciso di dichiarare, e perfino riempirono i moduli, non solo per evitare le multe nei diversi circondarii ove avevano i beni, quanto anche più per non lasciarli censuare senza i necessarii lumi e con evidente loro danno; ma l'Arcivescovo (1) impedi la consegna di tali dichiarazioni. Narravami un rispettabile canonico della Cattedrale, deputato al monistero di santa Chiara di Palermo (2), che una sera la dichiarazione dei beni di quel monistero era stata già votata e scritta coll’approvazione dello stesso Arcivescovo. All’indomani giunse il contrordine di lui per non presentarla! Così quel debole vecchio era menato. — L’abbadessa del moni- stero di S. Giuliano di Palermo giunse per fino a mandare al Prelato la sua dichia- razione firmata, rassegnandosi a lui per doverla presentare o pur no; ma soggiun- geva che in caso negativo avrebbe desiderato essere indennizzata dei danni e delle multe. La dichiarazione però non fu lasciata arrivare alla Commissione, e ne segui- rono infatti dei gravi danni nella enfiteusi di un latifondo che quel monistero posse- deva in condominio con privati ed altri enti morali, oggetto poi di serii litigi, come appresso diremo. (1) Giovan Battista Naselli. (2) Salvatore Mancino, gia professore di Filosofia nella R. Università di Palermo. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 113 Ma quel ch’è più strano, l'Arcivescovo stesso di Palermo, che non volle dichiarare e che impedì i suoi dipendenti di dichiarare nel 1864, spiegò dal 1868 in poi una grande efficacia per fare aumentare le cifre dei canoni e sostenne anche una grossa causa (benchè con esito finalmente infelice come pur vedremo) per rivendicare alla sua Mensa tutti gli aumenti di canone che l’asta aveva prodotto nella enfiteusi dei suoi latifondi. Le ispirazioni che l’ Arcivescovo riceveva quanto all’ enfiteusi erano. mutevoli! ì ‘Ad onor del vero bisogna soggiungere che facilitò assai le dichiarazioni dei tito- lari ecclesiastici quella norma che la Sopraintendenza ottenne dal Ministero dei culti colla nota del 14 ottobre 1863, cioè non esser necessario il loro esplicito consenso all’enfiteusi secondo il dritto pubblico siciliano, e quindi non esser passibili di multa coloro, che anco non consentendo alla censuazione dissero alla Commissione tutte le notizie dalla legge prescritte ($ 17). Difatti un gran numero di dichiarazioni, special- mente delle superiore dei monisteri, furono accompagnate dalla espressa protesta che esse non assentivano all’enfiteusi per la proibizione avutane dai sacri canoni, o per- chè in loro come amministratrici non risiedeva la facoltà di alienare. Altri titolari consentivano sotto condizione che si adempissero insieme le prescrizioni delle leggi civili e canoniche, cioè sotto la condizione che vi accedesse pure il beneplacito pon- tificio, intendendo così fare omaggio alla decretale Ambitiosae di Paolo II, che in Sicilia non aveva avuto mai vigore di legge ecclesiastica ($$ 5, 17). Eppure, con tutte queste facilitazioni e larghezze e con tali misure di equità, vi furono 3%, degli ecclesiastici che negarono qualunque dichiarazione amando meglio suscitare scandali ed imbarazzi. Ma in vero gl’imbarazzi caddero in loro danno nello eseguirsi la censuazione, siccome apparirà chiaro da quello che saremo per narrare in seguito. Se però quella misura di equità non si fosse adottata in linea di massima, le multe sarebbero state assai maggiori; e già parecchie Commissioni avevano propo- sto la multa ed altre inclinavano a proporla contro coloro che negavano l’ assenti- mento, del quale nel modello a stampa era stata data la formula. Onde, dopo la detta statuizione di massima, il numero dei multabili divenne più ristretto. Inoltre talune Commissioni prendevano il sistema di presentare al Tribunale co- me degni di multa anche quei titolari che, non avendo fondi rustici nel circonda- rio, avevano risposto col silenzio allo invito ch’ era stato loro spedito per dichia- rare. Ma anche questo era un errore che la Sopraintendenza dovette correggere; poi- chè la legge non aveva dato il dovere di dichiarare agli ecclesiastici che non pos- sedevano fondi rurali, e se essi, invece di rispondere all’invito colla dichiarazione negativa, preferivano di tacere, potevano essere tutto al più accusati di poca cor- tesia, ma non di disubbidienza alla legge e di punibilità. Fu questa una delle ragioni, per cui, tra le 668 multe, proposte come sopra dalle Commissioni, i Tribunali non ne menarono buone nemmeno una metà, cioè soltanto 299. Così i Tribunali rimediarono alla eccessiva durezza di tali Commissioni, Giornale di Scienze Nat. ed Econ., Vol. VII, Parte Il. 15 114 STORIA DELLA ENFITEUSI Ma bisogna anche soggiungere per la verità che una gran parte di quelle 668 pro- poste di multa, per incuria delle regie Procure (le quali per legge ne avevano l’ob- bligo), non fu portata alla deliberazione dei Tribunali; e quando pur furono ema- nate sentenze interlocutorie che ammettevano a provare talune circostanze per ac- certarsi la culpabilità della mancata dichiarazione, le cause per lo più non venivano dai Procuratori regii riprodotte, non ostante le iterate avvertenze; come altresi parec» chie sentenze di multa, emesse in contumacia dei titolari, si lasciarono perimere per non averle loro notificato nel termine di legge. Perciò le multe deliberate si ridus- sero a 299 e non giunsero a 430, cioè ai %o, quanti erano presso a poco i veri multabili, come sopra abbiam detto. — Ciò si narra, non per attribuire a quei tali funzionarii una volontaria mancanza, o un disprezzo della legge che infliggeva le multe, ma per cominciare sin d’ora a dimostrare (ciò che anco meglio sarà pro- vato dalla esposizione dei risultamenti) che la magistratura ordinaria, gravata di nu- merosi suoi affari, con difficoltà poteva attendere alle operazioni della enfiteusi, e fu un errore lo averla immischiata in qualche parte di tali operazioni, sicchè la las- sezza ed i ritardi dovettero principalmente deplorarsi per la ingerenza del potere giudiziario. — Però si deve anche riflettere che, trattandosi di pene ad infliggere, non si seppe trovare miglior garenzia dello affidarne ai magistrati l’applicazione; quan- tunque essi per l’art. 6° della legge dovevano far base sulla deliberazione della Com- missione attestante il fatto della non prodotta dichiarazione. Con tutto ciò, fuvvi pure alcun Tribunale che volle elevarsi al di sopra della legge e non ostante il verbale della mancata dichiarazione, per frivoli pretesti di malat- tia, si fe’ lecito di assolvere la multa, Io dovetti quindi avvertire la regia Procura che ciò non era in facoltà del Tribunale — a lui la legge non dava facoltà di as- solvere, cioè di far grazie — che se l'esempio si fosse rinnovato, avrei dovuto rife- rirne al Governo per gli opportuni provvedimenti. Come ben si comprende, un’asso- luzione di quel genere in novembre 1863, quando la legge cominciava a mettersi in esercizio, era un affare vitale: i titolari, affrancatisi dalla minaccia della multa colla facile assoluzione, avrebbero negato di apprestare i lumi che sol da loro po- tevansi ottenere, Pure il mio avvertimento destò tanta ira, che se ne volle fare oggetto di una de- liberazione interna a mio carico sotto colore di lesa indipendenza del Tribunale; e non solo la si rassegnò al Ministero, ma la si volle pubblicare, insciente il Ministero, in un’autorevole giornale di Torino (1). Il che mi fece dare le mie dimissioni e mi avrebbe fatto veramente lasciare sin dal principio l’opera intrapresa, se il Ministro stesso personalmente non mi avesse per lettera assicurato delle disposizioni date con- tro l’autore di quella pubblicazione e non mi avesse distolto con nobili ragioni dalla rinunzia. « lo confido, egli scrivevami il 23 aprile 1864, che il giusto risentimento che ha potuto destarsi nell’animo suo dalla detta pubblicazione non possa spingerla (1) Za Legge. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA ì 115 a persistere nella risoluzione di abbandonare il suo posto e privare il suo paese del beneficio della sua opera. Il vincere i privati risentimenti per nobili fini non è di tutti, ma io spero che mi sarà dato di poterla stimare anche per questo merito. L’opera ch’Ella ha impreso sarà di un grande beneficio per la Sicilia e per l’Italia; attenda adunque a compierla, e la consolazione che ne avrà, sarà largo compenso di tutte le amarezze che avrà potuto incontrare. » Non ho più dimenticato queste ultime parole, e le ho avuto presenti a mio conforto nelle non poche amarezze che questo delicato ufficio ha dovuto quindi innanzi fruttarmi. In ogni modo la mia fermezza produsse buono effetto ed un caso simile non si vide più rinnovato. Non si voleva durezza nello infligger le multe, come già si è dimo- strato per tutte le massime benigne che si erano fatte stabilire; ma non si voleva nemmeno la lassezza di lasciarle inapplicate-o assolte, con privare così la enfiteusi della cooperazione che il titolare, nell’ interesse pubblico ed in quello ancora della sua chiesa, doveva darvi, Così pure si fe’ giusta resistenza alla massima che qualcuno dei titolari disubbi- dienti voleva a sno schermo far prevalere, cioè di non esser tenuto alla dichiara- zione, perchè i fondi da lui posseduti eran quelli che la legge aveva escluso dalla enfiteusi. Il giudice della esclusione non dev'essere il titolare stesso che si permette quindi non dichiarare ed occultare, ma è la Commissione creata ad hoc dalla legge, come sorge dagli articoli 2° e 4° della legge medesima e chiaramente è stabilito dall’art. 27° del Regolamento. Le 299 multe che furono, come si è detto, deliberate, diedero una somma di lire 70,000 circa; poichè per ordinari» i Tribunali dovettero attenersi alla pena mi- nima di lire 200, e non molte furono quelle di lire 300, o di 400. Con tal somma si pagarono tutte le spese di ufficio delle 24 Commissioni e della Sopraintendenza che la R. Finanza aveva anticipato in più di otto anni, non che alcuni fitti di lo- cali e spese giudiziarie per alcune rare succumbenze; come pur si diedero delle sra- tificazioni ai diligenti impiegati dalle Commissioni che avevano un maggior fondo pro- prio di multe. Sicché lo Stato non sofferse alcun detrimento per tutte le sudette spese, e soltanto pagò i rispettivi salarii, Quando si attuarono le due leggi di soppressione delle corporazioni religiose e di molti altri enti ecclesiastici (1866 e 1867), un buon numero di multe che erano state loro inflitte, sino alla cospicua cifra di lire 26,000 circa, non era stata an- cora riscossa dai Ricevitori. Ma il Ministero delle Finanze, riconoscendo la necessità che fosse concentrata nella cassa delle multe quella somma, senza di cui le dette spese di ufficii non si sarebbero potute mai rimborsare, ordinava con nota del 22 agosto 1868 che le Direzioni demaniali facessero procedere dai locali Ricevitori allo annullamento delle correlative multe nello interesse dei singoli enti soppressi, po- nendole a carico dell’Amministrazione del fondo del Culto come loro debiti plateali. E così fu assicurato il servizio della enfiteusi colla riscossione di quest’altra somma, a complemento dello intiero. i 116 STORIA DELLA ENFITEUSI $ 21 Quadri dei beni censuabili — Inconvenienti gravi per la mancanza o per gli errori de’ necessarii elementi. L'operazione fondamentale e la più interessante delle Commissioni era quella della formazione dei quadri dei beni censuabili. Dovevano poi questi quadri servir di base ai contratti d’ enfiteusi; e pei latifondi dovevano prima servire di fondamento alla loro quotizzazione, poscia alla compilazione del quaderno dei patti di ciascun lotto, sul quale dovevasi convenire l’enfiteusi.—I detti quadri dovevano risultare dallo spo- glio di tutti gli elementi che si sarebbero raccolti presso le Commissioni, e che for- nir dovevano i titolari ecclesiastici, le Giunte municipali, i percettori ed esattori, i notai e qualunque altra autorità che dalle Commissioni stesse avrebbe potuto es- sere richiesta, in coerenza alle disposizioni degli articoli dal num. 5 al 13 della legge e dal num. 11 al 21 del regolamento, Però, prima di esaminare qual fosse stato l’andamento di questa operazione, è giusto farsi il concetto delle difficoltà naturali e volontarie che contro di essa sor- gevano. Trattavasi di penetrare nelle case degli enti ecclesiastici, i quali non erano ancora soppressi; e perciò le loro scritture, titoli e registri, non erano ancor venuti nelle mani del Demanio dello Stato. Dovevansi quindi ottener da loro i lumi con tutti i mezzi possibili, coll’autorità della legge, colla dimostrazione del loro utile, colla infuenza dei buoni consigli, colla minaccia delle pene e colla moderazione nello usarne. I titolari, nella generalità, non erano propensi alla enfiteusi: già lo abbiamo notato ($ 5), dacchè la enfiteusi aveva perduto il suo primitivo carattere baronale, la Chiesa non aveva più l'interesse a fare di tali concessioni. Dippiù nel 1863, quando veniva ad attuarsi la legge della censuazione, l’antagonismo tra il Governo italiano e la Sede pontificia era molto avanzato, e perciò gli ecclesiastici credevano di fa- vorire la causa del Papa ostacolando dalla loro parte l’enfiteusi. Sorgevano ancora i soliti timori ($ 6) di dover perseguitare molti minuti enfiteuti per riscuotere i ca- noni e sembrava preferibile il sistema dei grandi affitti.— Tutto ciò produceva mal- volere nei titolari ecclesiastici; e quindi gli elementi, che essi soli potevano ben for- nire alle Commissioni, con grande difficoltà avrebbero potuto ricavarsi. Le influenze clericali giungevan pure qualche volta sino alle Autorità municipali ed ai notai, e perciò quei tali a malincuore prestavansi a dare la parte di elementi che era in lor potere. Oltrechè la infingardaggine concorreva pure a reuder difficile e lenta la compilazione dei quadri ed elenchi da loro rispettivamente dovuti; e la conseguenza ultima era pur sempre la inesattezza delle notizie. Altre difficoltà erano nella stessa natura delle cose e non dipendevano da malta- lento o da inerzia. Molti titolari non conoscevano con esattezza la misura dei loro fondi, ma tradizionalmente sapevano una determinata estensione che non avevano verificato giammai: perciò rivelarono quello che sapevano. Nel catasto le estensioni spesso non erano indicate secondo la realtà, perchè i fondi non erano stati vera- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 117 mente misurati all’epoca della catastazione; ma la quantità dell’intiero e dei singoli appezzamenti colle diverse loro culture era stata presa dagli atti di affitto, i quali per lo più cousecravano certe indicazioni tradizionali che non erano le vere, e tal- volta, in mancanza di affitti, era stata stabilita con un colpo d’occhio approssimativo dell’agrimensore. Anche in quanto ai confini, in quanto alla esistenza e numero di alberi e di viti, ed in quanto alle servitù, i titolari non sempre avevano l’esatte conoscenze; perocchè col tenere lunghi anni in affitto i loro fondi e non visitandoli mai o di rado, non erano al corrente di tutte le mutazioni che succedevano nei medesimi, non sapevano i nomi degli attuali confinatarii, e spesso eran tenuti di proposito nella ignoranza delle usurpazioni che si commettevano ai confini, o delle servitù che i loro stessi fittaiuoli vi lasciavano introdurre con segni anche apparenti e manufatti. Come an- cora non si faceva lor conoscere il numero e qualità degli alberi e viti che talvolta da sè e più spesso per opera umana perivano, Laonde le loro dichiarazioni riesci- vano difettose o incomplete. Né potevasi sperare che venissero corrette per mezzo degli estratti catastali o de- gli atti di affitto, ove tutte queste mutazioni e particolarità non erano pur sempre indicate con diligenza, ovvero non era obbligo indicarle. Finalmente era pur necessaria nelle dichiarazioni la rivelazione dei pesi di cia- scun fondo, avvegnaché questi non potevano ordinariamente esser noti alle Giunte comunali, nè potevano sorgere dai cennati atti di affitto nè dal catasto; e soltanto gli stessi titolari, che annualmente li soddisfacevano e li sopportavano, potevano sa- perne la quantità, la natura, ed a chi fossero dovuti. Come del pari essi soli poteano ben conoscere a quali giudizii sottostessero i loro fondi e per quali cagioni. — Or furono ben pochi i titolari che rivelarono con esattezza tutti i pesi dei loro fondi, canoni, livelli, servitù, ipoteche e simili, non che le cause giudiziarie sn di essi pendenti, quantunque il modulo A chiaramente ve l’invitasse. Per tutti quegli altri fondi, pei quali non fu presentata dichiarazione e la Com- missione dovette venirne a conoscenza per mezzo delle Giunte, dei notai o del ca- tasto, si rese ben difficile o quasi impossibile avere esatta notizia di tutte queste particolarità. Nulladimeno, pei latifondi che dovevansi dividere in quote, essendo stata neces- sità ordinare le perizie, fu possibile rimediare in qualche modo a questi mali; poi- chè almeno la estensione, i confini, la natura e numero delle piante, e talvolta an- che le usurpazioni, furono dai periti rilevate nella vera loro consistenza. Ma per tutti i fondi piccoli non si potevano ordinare singole perizie: non solo la spesa sarebbe stata enorme, ma anche il tempo per il compimento degli atti della censuazione si sarebbe indefinitamente protratto. La Sopraintendenza aveva raccomandato che nei casi di mancanza di dichiara- zione si prendessero informazioni dalle persone notabili del luogo (sarebbe stato l’u- nico rimedio possibile), ma ciò non sempre si eseguiva, nè sempre le informazioni 118 STORIA DELLA ENFITEUSI venivano esatte, nè era facile ai notabili del luogo sapere tante particolarità dei fondi altrui, Era pur troppo una enfiteusi forzosa, bisogna persuadersene, e perciò tutti questi inconvenienti erano inevitabili. Ma essi dovettero spiegare la sinistra loro influenza sui quadri dei beni censua- bili che le Commissioni redigevano. Perciò i quadri spesso riuscirono inesatti o per eccesso, oppure per difetto dei correlativi elementi. — Vi fu inesattezza per ec- cesso, allorquando la quantità del terreno fu rivelata in più dagli stessi titolari, ov- vero fu data in più dal catasto o dagli atti di affitto, in base a tradizionali notizie che non confrontavano colla vera misura. Come pure fuvvi talvolta eccesso nel nu- mero degli alberi e delle vigne, perchè furono dichiarati quelli ch’esistevano un tem- po, senza tener conto di quelli che erano mano mano scomparsi, Tali inesattezze per eccesso nella dichiarazione della misura e delle piante, passando poscia dai quadri nei quaderni dell’enfiteusi, dovevano cagionare inconvenienti gravi, se pur non si avesse avuto l’accorgimento di evitarli; poichè davano dritto agli enfiteuti di chiedere in- dennizzamenti della non trovata estensione e dei mancati miglioramenti. Fuvvi inesattezza per difetto, quando viceversa l’estensione dichiarata era minore della vera, e così ancora il numero delle piante, o quando non furono rivelati i giu- sti confini attuali; le servitù esistenti, i pendenti giudizi e tutti i pesi afticienti il fondo. L’enfiteuta ricevendo un più di terreno, o una quantità maggiore di. bene- fici, non aveva ragion di parlare; quindi il dippiù andava perduto, nemmeno ve- niva a produrre eccitamento nella gara dell'asta, essendo preventivamente ignorato dalla generalità degli offerenti. All'incontro, la mancanza di dichiarazione dei con- fini, servitù, giudizii o pesi, dava ragion di molestia agli enfiteuti nel loro scopri- mento, e perciò i reclami di garanzia ce d’indennizzamento contro il domino. Anche il catasto, colle sue inesattezze nei registri, o negli estratti che se ne spe- divano alle Commissioni, concorreva a non far determinare bene nei quadri la me- dia, da cui dovevasi cavare la rendita netta, non che la relativa tassa fondiaria, Né i notai furon sempre diligenti nel dare i sunti degli atti di affitto e dei tra- sferimenti di proprietà in favore degli enti ecclesiastici. Alcuni esibirono spogli in- completi, e tacquero molti aflitti. Si scoperse tra gli altri che tutti gli affitti degli estesi fondi della Mensa Arcivescovile di Palermo furono dalle diverse Commissioni ignorati; ed alcune di esse, prima di tale scoperta, avevan dovuto piantare la ren- dita di parecchi latifondi sulla sola base dell’ imponibile catastale, il quale, come- chè antico, non segnava tutti gli aumenti che aveva avuto il loro reddito nel ses- sennio 1850-1860. E finalmente gli errori, che prendevano pure nelle calcolazioni i segretarii o i ‘membri delle Commissioni incaricati della determinazione della rendita e della de- trazione dei pesi, venivano anch'essi ad accrescere la mole degl’inconvenieti nel com- pilamento dei quadri. È necessario aver presente tutto questo complesso di concause d’inesattezza e di DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 119 errore, in parte naturali ed inevitabili, in parte nate dal maltalento, ed in parte da incuria e da negligenza, per farsi una idea delle difficoltà che questa fondamen- tale operazione incontrava. E dopo tutto ciò, rimane Iucida la conclusione che ciò che si è fatto di bene e quel che si è potuto esattamente stabilire in mezzo a que- sto spinaio, è dovuto al buon volere, alla intelligenza ed allo zelo dei pochi che si dedicavano all’improbo lavoro di purificare da tante inesattezze le notizie ricevute, per formarne dei buoni quadri, îs 22 Rendita confusa di fondi diversi per affitti complessivi — Affitti ignorati. Altre ditficoltà erano pur venute ad imbarazzare la formazione dei quadri in ta- luni casi speciali. Spesso i titolari ecclesiastici, possessori di parecchi fondi, li affittavano in com- plesso con unico atto ed in una sola somma, nella quale non distinguevasi il red- dito di ciascuno. Coincidendo affitti di tal genere nel sessennio 1855-1860, come fare per prender la media di ciascun fondo nel modo dalla legge prescritto? Qualcuna delle Commissioni aveva preso la via più breve : ritenere come ignorato l’affitto particolare di ciascuno e fondare la rendita da portarsi all’asta sul solo impo- nibile catastale, dedotti i pesi. Però tal sistema, non solo non era giusto in sè pe- rocchè in realtà l’affitto non era ignorato, ma produceva una seria diminuzione di rendita. La catastazione in Sicilia era stata eseguita nel periodo 1840-1847 sulla base degli affitti anteriori, cioè dell’epoca in cui le terre davano un reddito molto basso. Invece le affittanze erano salite ad un grado assai elevato nel periodo che precesse il 1860. Onde lo scopo che la legge aveva avuto nell’ordinare la media tra imponibile catastale ed affitti del sessenvio 1855-1860 era stato appunto quello di far entrare nella formazione di detta media i due termini estremi, il minimo ed il massimo, all’oggetto di risultarne una media vera. E per conseguenza lo appoggiare tutta la rendita sul solo catasto dava quasi costantemente una rendita minore, Il che poi, nello aprirsi l’asta, produceva un gran danno; perché i fondi di canone più basso del giusto fanno la maggior gola, e per quelli le coalizioni sono più facili es- sendovi un grosso guadagno a conseguire in vista di un modico canone, e quindi vi ha convenienza a dividere cogli altri attendenti una parte dell’utile e così allon= tanarli dall’incanto. .In generale, il danno che nasceva dagl’ignorati affitti del detto sessennio era que- sto: abbassamento del canone fondato sulla sola base dello imponibile catastale, im- possibilità di conseguire la vera media tra il termine minimo ed il massimo; per conseguenza poi la prospettiva del maggior guadagno incitava alle coalizioni; ed in ultimo dalla subasta non ottenevasi che la minima rendita, con danno evidente del domino diretto e con illecita utilità di pochi monopolisti enfiteuti. : Si sarebbe potuto prescegliere il sistema degli estimi, almeno in questi casi di affitti del sessennio inesistenti o ignorati, ovvero di rendita confusa per affitti com. 120 STORIA DELLA ENFITEUSI plessivi di fondi diversi, Ma gli estimi furono diflinitivamente scartati dalla censua- zione dei beni ecclesiastici per due ragioni: 1° perchè essi avrebbero cagionato enormi spese; 2° perchè la moralità di tutta la gran massa dei periti, che si sarebbe do- vuta mettere in movimento nei luoghi diversi dell’isola, da nessuno mai avrebbe po- tuto esser garantita. Le perizie, fatte di proposito per servire di punto fermo agli incanti, avrebbero facilmente favorito gl’ interessi di coloro che avevano desiderio di ottenere il fondo in enfiteusi. E quando, all'opposto, fossero riuscite assai alte al disopra del vero, non avrebbero pur giovato agl’interessi del domino diretto; peroc- chè l’eccesso del canone di base tarpa il volo alla gara, allontana gli oblatori e fa succedere la deserzione degl’incanti: onde poi la necessità di venire alla trattativa privata ed ai ribassi. L’uno e l’altro di questi due inconvenienti delle perizie sonosi veduti alla prova nella vendita dei beni ecclesiastici, per la quale il prezzo, lungi di esser fissato sulla base degli affitti, fu determinato dall’ arbitrio dei periti: la gara in media non è stata pur la quarta parte di quella che si ebbe coll’enfiteusi. Gli affitti conclusi in tempi anteriori ed innocenti rappresentano la sincera tran- sazione tra i due interessi opposti del proprietario e del fittavolo: perciò nella ge- neralità eguagliano con maggiore esattezza il vero reddito del fondo, depurato dalle spese di coltura e del loro legittimo interesse. Lo stesso catasto, qnantunque preso da affitti di epoca lontana e più bassa, ha sempre il pregio di escludere gli arbi- trii ed il favoritismo peritale, che non si sarebbero mai potuti infrenare trattandosi di una operazione in grande, forzosa per parte dei titolari ecclesiastici e quindi da loro non sorvegliata, e gratuita per parte dei membri delle Commissioni, i quali, gra- vati altronde dei loro ordinarii affari, erano nell’impossibilità di recarsi sui luoghi per vigilare le osservazioni ed i calcoli dei singoli periti. Tutte queste previsioni e ragioni fecero del tutto escludere la fissazione della ren- dita enfiteutica per mezzo dei periti, fecero preferire la media tra catasto (termine minimo) cd affitti del sessennio 1855-1860 (termine massimo), ed in mancanza di tali affitti, il solo imponibile catastale. Se da ciò fosse pur venuta una rendita mi- nore del giusto, la gara dell’asta avrebbe colmata la differenza. Intanto fuvvi qualche segretario di Commissione, incaricato dello spoglio delle di- chiarazioni dei titolari e degli elenchi notarili, che preferì far comparire come igno- rali gli affitti di quel sessennio, benché fossero stati chiaramente indicati nelle stesse dichiarazioni e negli elenchi, fondando così la rendita sul solo imponibile catastale e rendendola molto più tenue. Pertanto la Commissione rimase ingannata, ed i qua- dri diedero canoni minori. — Questo danno non potè essere scoperto sin dal prin- cipio, ma si giunse a tempo per impedire che si moltiplicasse su larga scala essendo stato rimosso chi aveva così abusato; nè valsero le scuse che talvolta gli affitti di parecchi fondi fossero confusi in un solo, che talvolta non abbracciassero l’ intiero sessennio, e che perciò si fosse creduto giusto di non tenerne conto. Ed invero, la Sopraintendenza aveva già fatto avvertire a tutte le Commissioni che, se non esistessero 0 non sì conoscessero i fitti di tutto il sudetto sessennio, ma di DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 121 un certo numero di anni, conveniva pur sempre di quelli far calcolo, e supplire per gli anni mancanti coll'imponibile catastale ripetuto per tante volte quanti erano gli anni stessi, all'oggetto di cavarne la media sessennale, e poi la nuova media tra questa e l’imponibile. Così la rendita partecipava pur sempre degli aumenti ultimi dei fitti, se non dell’intiero sessennio, almeno degli anni conosciuti, ; Quanto poi al caso speciale di cui si cominciò a discorrere sul principio di que- sto $, vale a dire della confusione della rendita di diversi fondi in unico affitto complessivo, il R. Ministero di Grazia Giustizia e Culti aveva approvato la massima che la Sopraintendenza avea comunicato a tutte le Commissioni, cioè che in tal caso, per trovare la rendita propria di ciascun fondo, altro non bisogna che dividere il fitto totale a’ predii singoli col rapporto con cui stanno fra loro i rispettivi impo- nibili catastali. E veramente, se la stessa legge dell’ enfiteusi aveva stabilito Vim- ponibile come uno dei due termini per cavarne la rendita media, niente meglio che servirsi di questo stesso termine per trovare la proporzione del reddito di ciascun fondo nell’affitto complessivo. $ 23 Fondi ecclesiastici in condominio con privati o con Opere pie. Occorreva talvolta un altro particolare caso che imbarazzava le Commissioni nella formazione dei quadri: era il caso non infrequente del condominio che avevano in qualche latifondo gli enti ecclesiastici insieme con proprietarii privati o con Opere pie. Questo condominio per lo più aveva origine dalle assegnazioni forzose che fe- cero le case baronali per liberarsi dei loro debiti in conformità alla legge 10 feb- braro 1824 ($$ 1, 6). I magistrati che furon deputati ad eseguire tali assegnamenti non preferiron sempre il sistema più saggio di evitare le pur troppo dannose co- munioni di proprietà; ma fissi gli occhi all’unico scopo di liberare i baroni dei loro pesi, non curarono di assegnare a ciascuno dei creditori la rata materiale di ter- reno che gli sarebbe spettata in ragione del suo credito; invece .si contentarono di una perizia generale sull’intiero valore del fondo, ed attribuendone mentalmente la propria rata a ciascuno, ereatono parecchi condomini di un solo latifondo e diedero al maggiore interessato il dritto di amministrarlo , col dovere di darne ad ognuno la sua parte. Così gli enti ecclesiastici, le Opere pie, i privati, furon collocati in- sieme in condominio, e per lo più l’amministrazione fu affidata ai detti enti eccle- siastici; perchè i crediti dei medesimi, specialmente dei conventi e monisteri che avevan mutuato denari a frutto alle case baronali, o esigevan da esse altre presta- zioni, eran quasi sempre i maggiori. Tali condominii da quell’ epoca sino all’ attuazione della legge 10 agosto 1862, quanto a dire per quasi 40 anni, non erano stati più disciolti; avvegnaché le leggi che allora vigevano, e quelle eziandio che ora imperano, ne rendon molto difficile la divisione, sì perchè con enti morali, e con minori che spesso vi possono avere interesse, la divisione dev’esser sempre giudiziale; si perchè i giudizi di tal natura Giornale di Scienze Nat. ed Econ. Vol. VII. Parte II. 16 122 STORIA DELLA ENFITEUSI sono da sè lunghi, dispendiosi, e se vi ha mala volontà anche da parte del minimo interessato, non vi è possibilità di condurli a termine. — Si preferi adunque da quasi tutti gli enti morali e dai privati, che avevano ricevuto di tali fondi in condominio per assegnazione forzosa, rimanere nello stato di comunione sotto l’amministrazione del maggiore interessato. Ciò veniva pure a nuocere alla pubblica economia, perocchè con questo sistema rimanevano compartecipi dell’ammortizzazione e di tutte le conseguenze della poco fruttifera amministrazione di manomorta anche le stesse rate di condominio che a privati appartenevano. Onde essi, per non subire le lungaggini e i dispendii di un giudizio di divisione, eran costretti a lasciar vincolati sotto l’amministrazione di un ente morale la parte dei loro beni ed a non poter godere dei vantaggi che vengono dalla libera circolazione e libera coltura della proprietà terriera. Essendo adunque arrivato il momento di attuare l’enfiteusi dei beni ecclesiastici, quei titolari o anche quei privati che avevano l’intenzione d’ impedirla, niente tro- vavano di meglio pel loro scopo che l’opporre alla Commissione lo stato d”indivi- sione in cui erano i fondi, il condominio che vi avevano o i privati stessi, o altri enti morali di natura laicale non soggetti alla legge della censuazione. — La Soprain- tendenza nelle anzidette sue Istruzioni (Documento N) erasi occupata di questa pos- sibile difficoltà; ma essa allora non conosceva nè il numero reale di tali latifondi in condominio, nè la lorò importanza. Onde limitossi a consigliare alle Commissioni di dichiarare censuabili cotali fondi nella loro integrità, con animo di attribuire a ciascuno dei condomini la rata del canone che in proporzione gli sarebbe toccata, salvo ai medesimi reclamare presso la Comissione stessa per impedire la enfiteusi introducendo intanto il giudizio di divisione avanti il Tribunale. Ma coloro che avevano realmente la inteuzione di ostacolare l’enfiteusi non tarda- rono a rendersi opponenti contro di essa ed a slanciare una citazione per iniziare il giudizio di divisione sieché le Commissioni si videro tosto legate le mani. Nè valse che avessero assegnato a quei condomini un termine per condurre a compimento la iniziata divisione; poichè ben sapevasi che, scorso pure il termine, esse non potreb- bero realizzare la minaccia di concedere in enfiteusi l’intiero predio, mentre già si conosceva la contraria volontà dei detti condomini alla concessione della loro parte. Inoltre sì vide allora che in questa condizione erano ben molti latifondi, quasi in tutti i circondarii dell’ isola. Ven’erano tali che pur si avvicinavano ad un mi- gliajo di ettare e che costituivano la speranza di tanti buopi agricoltori; perocché in quello stato di amministrazione di condominio i terreni erano per lo più affittati a pascolo spontaneo ed in qualche parte alla semplice ruota della seminagione trien- nale delle granaglie, con tanto detrimento della pubblica utilità, Dovetti quindi occuparmi in serio della soluzione di questo problema, tanto che legalmente si potesse tagliar la radice a tutte queste obbiezioni e tosto si disammor- tizzasse la parte indivisa degli enti ecclesiastici. Ebbi dunque a considerare che col contratto di enfiteusi si concede all’ utilista un dritto reale sul fondo e che anche DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 123 la rata di condominio indiviso è un dritto reale che si può concedere in enfitensi: pertanto non è indispensabile consegnare all’ utilista la quota materiale, ma basta dargli la rata mentale del condominio in quella stessa proporzione in cui spetta a- gli enti ecclesiastici, sicchè esso si surroghi esattamente in loro luogo ed abbia quindi la loro rappresentanza e gli stessi loro dritti nel giudizio di divisione già incoato o da doversi incominciare. — Così ottiensi un primo vantaggio sociale, si disammor- tizza la rata mentale spettante alla Chiesa: perciò la divisione potrà farsi d’accordo tra i condomini tutti privati (salvo che in mezzo non vi sieno altri enti morali laicali) e forse senza più il bisogno della divisione giudiziaria. Nel tempo stesso gli altri condomini non possono dolersi di alcun loro pregiudizio: essi rimangono nella me- desima condizione in cui si. son trovati di fronte alla Chiesa, se voglion perseverare nello stato d’indivisione; e se ivorrassi venire allo scioglimento del condominio da qualunque delle parti, si ha pure la sudetta più vantaggiosa condizione di poterla compiere di accordo senza lo strepito della lite, Soltanto era necessario determinare una cosa con esattezza, la rata mentale del condominio che dovevasi concedere in enfiteusi nella sua relazione coll’intiero, quindi fissarne con eguale esattezza il reddito colle norme stabilite dalla legge 10 agosto 1862 e dedurne la proporzionale rata dei pesi, per aver così la rendita netta che doveva servire di base all’asta. Siccome però quasi tutti quei condominii avevano origine; come si è osservato, da assegnazioni forzose, così era ben facile trovare il valore che si attribui allora all’intiero fondo e quindi la rata che se ne diede a ciascuno dei condomini indivisi. Onde quelle proporzioni astratte restavano pur sempre ferme, qualunque si fosse l'aumento di valore che pel beneficio del tempo o per altra qual- siasi ragione il fondo avrebbe potuto in seguito ottenere. Rimaneva pertanto ad in- dicare l’intiero fondo in misura effettiva, e presala come unità indivisa, determinare quante frazioni in valore astratto sarebbero appartenute ali’ente ecclesiastico relativa- mente alle frazioni degli altri condomini. Rimaneva del pari a stabilire cogli affitti del sessennio 1855-1860 e coll’imponibile catastale la media del reddito dell’intiero fondo, e colle medesime proporzioni attribuire all'ente ecclesiastico la rata di red- dito che gli sarebbe spettata e diffalcarne la rata dei pesi ch'egli avrebbe dovuto pagare. Quel che sarebbe restato di netto sarebbe stato il canone che servir doveva per base dell’enfiteusi della sua rata mentale di condominio. Inoltre era necessario osservare che l’art. 19° della legge 10 asosto 1862 aveva assegnato alle quote enfiteutiche un limite massimo di ettare 100, e ciò anche nei soli casi in cui speciali circostanze consigliassero di toccare questo alto limite, Or sebbene non si trattasse per anco di concedere in enfiteusi la rata materiale spet- tante al titolare ecclesiastico, ma soltanto la rata mentale, e questa poi all’ atto della divisione avrebbe potuto esser maggiore o minore in estensione secondo il mag- giore o minor valore dei singoli appezzamenti, pure era facile riconoscere a priori nella gran parte dei casi che la detta rata meutale, a suo tempo, avrebbe data colla divisione del condominio una rata materiale molto superiore alle 100 ettare. 124 STORIA DELLA ENFITEUSI Se per esempio si trattasse di un latifondo che nell’intiero toccava le 1000 ettare, e se al condomino ecclesiastico ne appartenesse presso a poco una metà o anche più, era chiaro che nella futura divisione, qualunque pur fosse stato îl maggior valore di qualche appezzamento, sempre la rata censuabile di lui avrebbe dovuto sorpas- sare di assai il limite delle 100 ettare. In tal caso sarebbe stato necessario suddividere la rata mentale del condominio dell’ente ecclesiastico in tante altre rate mentali, di cui ognuna all’epoca della ma- teriale divisione non avrebbe potuto sorpassare quel limite. Nel caso su indicato di un latifondo di 1000 ettare, di cui una metà appartenesse alla Chiesa, sarebbe stato giusto formare cinque rate mentali di tal metà, ciascheduna presso a poco di un de- cimo dell’intiero in valore astratto; e quindi rendita netta e pesi si sarebbero attribuiti ad ognuno in proporzione. Ogni enfiteuta avrebbe ottenuto un decimo mentale del condominio indiviso con tutti i dritti e pesi corrispondenti. —E così i lotti mentali avrebbero dovuto sempre stabilirsi in relazione alla rata spettante all’ente eccle- siastico, talehè ognun di essi al tempo della materiale divisione non potrebbe mai superare il limite stabilito. Tutto ciò fu esposto dalla Sopraintendenza al Ministero di Grazia Giustizia e Culti; il quale con nota del 17 ottobre 1865 dichiarò di aver preso in serio esame l’e- spediente proposto e di averlo ravvisato ingegnoso non solo, ma pure legale, co- munque nella sua attuazione sembrasse soggetto ad ostacoli. Perlocchè in quel giorno stesso spediva lettera circolare ai primi Presidenti delle Corti di appello dell’isola per dar essi le norme in proposito ai Presidenti dei Tribunali. Nel tempo stesso in- caricava la Sopraintendenza di emettere le convenienti istruzioni alle Commissioni circondariali per lo esatto adempimento (Documento 0). Tali istruzioni furono emanate con nota circolare del 7 novembre di quello stesso anno. Fu ordinato che le Commissioni rivenissero sui loro deliberati, coi quali ave- vano dovuto sospendere l’ enfiteusi di quei latifondi per la opposta litipendenza della divisione giudiziale, e che invece deliberassero nelle su accennate forme la censua- zione della rata o rate mentali del condominio indiviso pertinente al titolare eccle- siastico, disinteressando così gli altri condomini e sfuggendo il giudizio pendente di divisione; poichè in tal modo gli enfiteuti si sarebbero esattamente surrogati in Inogo della Chiesa e perciò sarebbero rimaste non mutate nè menomamente pregiudicate le posizioni del giudizio. Divenne possibile in questa guisa sormontare la grave difficoltà e far censuare ben molti latifondi nella rata che vi possedeva la Chiesa. Qualche Commissione si mostrò restia a seguire questo sistema, e taluna giunse ad una ostinatezza, che il Miuistero dovette+*avocare alla Sopraintendenza la forma- zione del quadro e del quaderno per una enfiteusi di siffatta rata mentale di con- dominio. In generale però la Sopraintendenza vigilò più specialmente la formazione dei quadri e la costituzione dei lotti mentali di tal natura. Nè avvenne affatto quel che taluni avevano mostrato temere, cioè che la concor- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 1259 renza avrebbe dovuto venir meno per l’enfiteusi di rate mentali di condominio, non potendo così l’enfiteuta arrivare immediatamente al materiale possesso del terreno e dovendo subire un litigio per la divisione. Il fatto provò che anche quei lotti mentali di condominio indiviso ebbero una viva gara, e spesso la rendita che si era posta all’incanto fu duplicata ed anche più, come pei lotti mentali dell’ exfendo Brigadeci e di Castelluzzo iu provincia di Caltanissetta , di Olivella in provincia di Siracusa, di Ferla e di Vanera iu provincia di Girgenti, di Muelì in quella di Trapani e di S. Margherita in quella di Palermo. — Anzi, dopo la celebrazione di tali enfiteusi, quella divisione buonaria, che cogli enti ecclesiastici da coudomini non si era potuta eseguire in tanti anni, fu condotta a compimento tra enfiteuti e condo- mini tutti privati, egualmente interessati a sciogliersi e rendersi liberi l’un l’altro. $ 24 Reclami dei titolari — Ricorsi ai Tribunali e freno postovi dal Ministero. Il periodo dei reclami dei titolari ecclesiastici alle Commissioni coincise princi- palmente negli anni 1864 e 1865, epoca in cui la maggior parte di essi non era stata ancora soppressa, né temeva veramente di esserlo; anzi credeva che si fosse più presto sfasciata l’Italia, e perciò riduceva tutto ad interesse di prender tempo, cioè ad ostacolare l’enfiteusi tanto che l’unità nazionale si fosse rotta e con essa la legge del 10 agosto 1862 e tutte le altre del regno d’Italia. È necessario avvertir ciò, perchè se si guarda la gran maggioranza dei reclami sporti dai titolari alle Commissioni, son pochi i ben fondati, pochissimi quelli che avevano il giusto scopo di far correggere l’erronee indicazioni dei quadri o i falsi calcoli coi quali talvolta era stata stabilita la rendita ($ 21). Per lo più i reclami tendevano a fare esimere dalla censuazione i terreni senza una fondata ragione e spesso con ragioni non vere ed artefatte. Abbiamo notato sopra ($ 17) quali diffi- coltà facevano sorgere i varii rappresentanti ccclesiastici per impedire la eufiteusi dei loro predii. Taluni in fretta e furia vi piantarono lo stesso anno 1862 buona quantità di magliuoli di viti e polloni di piante diverse, all’oggetto di farli comparire coperti di vigne e di alberi nella massima parte e porli così dal lato della eccezione. Altri sì valsero del numero delle piante già esistenti sostenendo che esse erano tante, da dover fare ritenere il fondo come beneficato nella maggior parte. Altri cerca- vano di far escludere i fondi da loro tenuti in economia dicendo essere addetti al- l’uso ordinario del convento o del monistero. Altri finalmente, per il pretesto della esistenza d’indizii di zolfo e di salgemma, ovvero per la reale esistenza di qualche mi- niera o di qualche tratto boschivo in un punto del loro latifondo, pretendevano ec- cettuarlo per intiero dall’enfiteusi. Quasi tutti questi reclami, siccome è naturale comprendere, furono rigettati dalle Commissioni; e soltanto un piccol numero ottenne lo scopo della esclusione totale del fondo, ovvero della parte in cui fu accertato esistere il bosco, la miniera, o l’ e- vidente indizio della miniera, secondo le norme diverse che erano state segnate dal Ministero e dalla Sopraintendenza ($$ 17, 18). 126 STORIA DELLA ENFITEUSI Pur nondimeno, per venire a capo della verità e per fare giustizia di tutti co- testi reclami, fu quasi sempre necessario ordinare perizie ed ispezioni locali. Il che non solo faceva scorrere il tempo, ma produceva pure un altro genere d’imbarazzi, Le spese delle perizie per tale oggetto erano state poste dal regolamento (art. 27) a carico degli enti ecclesiastici, siccome era ben giusto; ma essi dapprima niega- vano di anticiparle, e dopo fatta la perizia, ravvisando per lo più. non essere riu- scita favorevole ai loro obliqui disegni, rifiutavansi recisamente a pagarle. Le Com- missioni liquidavano benvero i dritti dovuti in tal caso ai periti, ed i Presidenti dei Tribunali li omologavano con loro ordinanze esecutive; ma al momento della esecu- zione non mancavano i legulei per incoraggiare i titolari a resistere ed a fare in qualunque modo opposizioni, all'oggetto di trascinare in giudizio i periti, farli dispen- diare e stancarli. Questa manovra indisponeva i buoni periti ad accettare incarichi ulteriori, e così ottenevasi il fine prefisso di ostacolare per quanto fosse possibile la enfiteusi, Finalmente però colla perseveranza e con qualche severo esempio di esecuzione per il pagamento delle spese di perizia in virtù dell’ordinanza, si giunse a disani- mare i più riottosi dal sesuire questo tortuoso sistema, ed intanto gl’infondati re- clami vennero rigettati. Raramente le Commissioni non accolsero i ricorsi sia per la esclusione dei fondi dall’enfiteusi, sia per la correzione della rendita, dei pesi, della estensione, della indicazione dei coufini ed altri simili, quando si presentarono con sufficiente giu- stificazione. E se pure qualche Commissione deliberò il rigetto di ricorsi giustificati perchè erano statì prodotti fuori termine, cioè dopo il mese utile assegnato dalla legge, la Sopraintendenza, a cui quasi sempre venivano portati i lagni, si adoperò a persuadere le Commissioni a fare esse le correzioni o le esclusioni ex officio senza tener conto del tardivo reclamo, in conformità al vero che sorgeva dagli atti e do- cumenti posteriormente acquistati. Piuttosto devesi deplorare che i reclami ben fondati per ottenere le correzioni furono assai pochi in confronto alla gran quantità degli errori che si erano intro- dotti nei quadri o per omissioni, o per assoluta mancanza di dichiarazione dei ti- tolari ecclesiastici, o per indicazione imperfetta dei notai e del catasto, o per fal- laci notizie venute anche innocentemente dagli stessi titolari e dalle Giunte comu- nali. La legge era stata longanime e preveggente: aveva dato tempo ai titolari che avessero mancato a dichiarare, che avessero omesso o anche sbagliato, a poter cor- reggere il malfatto ed a far rettificare i quadri per mezzo dei loro reclami, Se essi tutti si fossero serviti di questa preziosa facoltà, e se i loro reclami fossero stati rivolti a questo scopo, la maggior parte degli errori e delle diminuzioni di ren- dita, che poi dovettero rimpiangersi, sarebbe stata facilmente evitata. — Ecco un grave esempio. L’Arcivescovo di Palermo, non solo non fece la prescritta dichiara- zione, ma nov mosse pur reclamo contro i quadri dei vasti suoi fondi che le Com- missioni diverse gli avevano intimato. Or siccome il notajo, presso cui conservavansi DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 127 gli atti di aflitto della Mensa, mancò a darne l’elenco, così la Commissione di Gir- genti non potè piantare la rendita sulla media del sessennio legale e dell’imponi- bile per l’exfeudo Maintinî o Risicchité sito nel suo circondario, ma dovette con- tentarsi del solo imponibile che era assai disotto agli affitti conclusi nel periodo 1855-1860. Alla notifica di un tal quadro, nessun reclamo dell'Arcivescovo: perciò la rendita divenne definitiva e formò base dell’asta. Il notevole guadagno, che ve- niva agli enfiteuti dal prendere il fondo per quel vile canone, fece tacere qualun- que concorrenza, ed intiero l’exfeudo fu così aggiudicato. Se ‘lo interessato non di- chiarò sul principio, se la Commissione non ebbe innanzi i necessarii elementi, se alla notifica del quadro l'interessato tacque ancora, nessuno più era in grado di sco- prire pria dello incanto quella lacuna. A fatti compiuti, la Sopraintendenza, avendo richiamato gli elenchi delle censuazioni definitive, ebbe ad accorgersi della enorme disproporzione tra l’estensione del predio ed il canone: ma era troppo tardi; e fu allora che venne in chiaro la mancanza di notizia di tutti gli atti di affitto della Mensa arcivescovile ($ 21). Continuando pur tuttavia sulle conseguenze della mancanza di reclamo dell’Arci- vescovo di Palermo, eccone un’altra non meno grave. La Commissione enfiteutica di Piazza, nel dover fissare la rendita e nel dover dedurre il peso della tassa fondiaria dovuta allo Stato pei quattro exfeudi di detta Mensa Granci, Sciortabino, Sciorta- binello e Nicola, dovette far capo dallo estratto catastale fornitole dal municipio di Castrogiovanni, nel cui territorio sono siti quei fondi, Ma nello estratto il co- pista aveva omesso una sola parola, cioè la parola Sciortadino, al numero donde in- cominciava la catastazione consecutiva de’ varii pezzi di quel latifondo: perciò tutta la rendita imponibile di esso rimaneva come un seguito della rendita dei diversi numeri del fondo precedente, cioè di Granci, ed in conclusione compariva Granci con un reddito assai maggiore del proprio, perocchè vi era compreso tutto quello di Sciortabino, e rimaneva senza suo reddito imponibile quest'ultimo, — Inoltre Scior- tabinello consisteva di due soli numeri, in uno la parola Sciortabinello e nell'altro la parola detto. Al numero seguente veniva la parola Nicola, privcipio degli altri numeri catastali di quell’altro latifondo. La Commissione legge così: Sciortabinello detto Nicola, perciò forma unica rendita di ambidue. — Va sui Inoghi il perito e ri- leva che Sciortabino non è Sciortabinello , e Vuno e l’altro non sono Nicola; ma intanto, non sapendo rimentare all’ origine dell’ errore, divide il reddito divenuto unico e l’unica tassa di Sciortabinello-Nicola ai tre distinti exfeudi, Fd in ultimo, Granci rimane con una rendita molto maggiore e con un peso di tassa fondiaria maggiore di quello che gli compete, Sciortabino Sciortabinello e Nicola rimangono tutti e tre con un reddito ed un tributo fondiario l’uno e l’altro diminuito di quello di Sciortabino già passato a Granci. Nessun reclamo per parte dello Arcivescovo alla notifica di tali quadri, Si va all'asta e tutti quattro i fondi trovano una buona concorrenza che aumenta di troppo il canone di Granci e porta al giusto livello il canone degli altri tre. Ma quando è il momento di pagar la tassa fondiaria, si 128 STURIA DELLA ENFITEUSI scopre tutto questo cumulo di errori nato dalla omissione di una sola parola; pe- rocchè Granci trova una tassa fondiaria minore di quella che gli fu imposta nel contratto di enfiteusi, e gli altri tre.la trovano rispettivamente maggiore, in ragione del vero loro inponibile. E da ciò finalmente cause contro il Demanio (in cui favore fu operata la conversione enfiteutica) per indennizzamento della maggior tassa che i detti tre fondi debbon pagare. — Se l’Arcivescovo avesse reclamato su tutti cotesti errori di reddito e di peso, la Commissione ed il perito sarebbero stati illuminati e tosto si sarebbe scoperta la loro fonte in una omissione dell’estratto catastale. Bastano questi esempi per dimostrare di quanta importanza sarebbe stato il re- clamo dei titolari, se avesse avuto il giusto scopo di correggere gli errori e di dare le vere indicazioni. Laonde è necessario avvertire che il maggior numero dei litigi, da cui sono stati assordati i Tribunali dopo la celebrazione della enfiteusi, ha avuto origine da errori o da mancanza d’indicazione di confini, di alberi, di servitù, d’ipo- teche e simili, che sarebbero stati bene evitati, se i titolari avessero a tempo de- bito dichiarato, o almeno reclamato contro gli erronei ed imperfetti quadri, Essi invece reclamarono e con molta insistenza, ma solo, come abbiamo già notato, per fav’ escludere dalla censuazione i fondi che per legge non dovevano essere e- sclusi, ovvero per recarle ostacolo e differirla sino a che l’Italia non fosse più in grado di compierla. Oltre le sudette ragioni che mettevano innanzi per ottenere la esclusione, sape- vano anche cercarne altre più speciali a taluni fondi. Facevano nascere giudizii di espropriazione sui loro predii, mettendosi d’accordo con vecchi loro creditori per paralizzare la enfiteusi, come vedremo nel seguente Capo. Se in taluni terreni eran piantati sommacchi, volevano farli figurare come piante tali che avrebbero dovuto esimerli dalla censuazione; perlocchè fu necessaria una risoluzione di massima del Ministero in conformità allo avviso dello Istituto d’ incoraggiamento di agricoltura arti e mestieri in Sicilia e della Sopraintendenza generale dell’enfiteusi, colla quale risoluzione in data del 25 marzo 1864 fu dichiarato che i sommacchi non escludono dalla censuazione perchè sono arbusti, e la legge tra tutti gli arbusti diede il pri- vilegio di escludere soltanto alla vigna come pianta di lunsa durata e di maggiore spesa. Egualmente fu necessaria altra ministeriale dichiarazione di massima del 25 marzo 1865 per stabilire quali fossero i molini urbani che non dovevano concedersi a censo come facienti parte della città, e quali i molini rusticani veramente cen- sunbili, che pure i titolari pretendevano escludere con farli comparire urbani. Quando poi videro rigettati i loro ingiusti reclami da tutte le Commissioni, le quali veramente sostennero con fermezza la dignità della legge, i più riottosi ri- corsero ad altro partito che lor veniva suggerito dai mestieranti di avvocatura cui piace preferire il loro guadagno ed il fugace nome al trionfo della legge e del bene pubblico. Il partito fu quello di ricorrere ai Tribunali citando a comparire innanzi a loro le Commissioni per sentir dichiarare non soggetti i fondi alla enfiteusi. La legge aveva dato ben chiaramente alle sole Commissioni l’ incarico delle ope- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 129 razioni tutte dell’enfiteusi dei fondi ecclesiastici (art. 4°), tra le quali quella di di- chiararveli soggetti o di escluderli (art. 27 e 29 del regolamento). Ai Tribunali or- dinarii fu soltanto attribuita l’esecuzione delle subaste. Sarebbe stato quindi un gra- ve abuso e tutto il cammino della censuazione sarebbe stato inceppato, se fosse stato possibile condurre avanti i magistrati ordinari ed involgere nelle lunghe more dei giudizii e nella incertezza dei loro esiti la quistione della censuabilità dei fondi ec- clesiastici. Io dovetti essere energico in questo argomento: da una parte proibii alle Commissioni di corrispondere a siffatte impertinenti citazioni e di comparire in giu- dizio: le Commissioni enfiteutiche nou sono enti morali, non hanno rappresentanza giuridica, anzi la legge attribuisce loro la decisione in prima istanza su i reclami dei terzi; non possono quindi esser citati innanzi i tribunali. Dall’ altra parte rap- presentai al Ministero di Grazia e Giustizia come tale abuso andasse mettendo radici e qual ne era lo scopo: onde due Ministeriali disposizioni furono emesse in linea di principii il 7 aprile e 12 settembre 1864 ed altra in data del 14 ottobre 1865: colle prime fu dichiarato non competere ai titolari ecclesiastici reclamo presso i tri- bunali, ma soltanto presso le Commissioni, ed ove mai si credessero lesi, poter’ essi ricorrere al Potere esecutivo che ha la generale vigilanza su tutti i corpi costituiti dello Stato: coll’altra fu proibito formalmente agli uscieri giudiziarii di citare le Com- missioni a comparire innanzi i Tribunali e le Corti (Documenti P, Q, R). Intanto la Corte di appello di Messina con sentenza del 16 settembre 1864 con- fermò questo stesso principio che i titolari non han dritto di appellare ai magistrati ordinari dalle deliberazioni delle Commissioni. Così fu precluso l’adito alle cavillazioni curiali e fu spianata la via al compimento dell’enfiteusi. $ 25 Oggetti principali dei reclami dei terzi e loro gravami alle Corti di appello. I terzi in picciol numero favorirono i disegni dei titolari ecclesiastici sporgendo reclami all'oggetto d’impedire la censuazione. Quei pochi che si apprestarono a tale scopo misero avanti o la litipendenza del giudizio di divisione, come già si è nar- rato ($ 23), ovvero un’altro genere di litipendenza, cioè la espropriazione del fondo ecclesiastico per loro antichi crediti, La più famosa di queste espropriazioni fu quella introdotta da Gaetano Filangieri, figlio del principe di Satriano e nipote di quel gran Gaetano Filangieri che scrisse la Scienza della legislazione. Egli, in virtù di un suo grosso credito giudiziario che avrebbe potuto benissimo realizzare molti anni avanti sugl’ immensi beni del Moni- stero Benedettino di S, Nicolò dell’arena di Catania, ed a preferenza avrebbe po- tuto realizzarlo dopo il 1854, dopochè il suo genitore cessò di occupare la Luo- gotenenza generale di Sicilia, preferi introdurre il giudizio di espropria al 1863 (quando già veniva ad attuarsi la legge della enfiteusi) sopra 42 latifondi del Moni- Giornale di Scienze Nat. ed Econ., Vol. VII, Parte IL. 17 130 STORIA DELLA ENFITRUSI stero che valevano assai più del suo credito, e che se fossero stati censuati all’ asta pubblica in discreti lotti, come desideravano quelle popolazioni, avrebbero dato un si alto contingente di canoni (soggetti pur sempre alla espropria) da restarne per dieci volte coperto il credito del Filangieri. L’ esito finale di questo giudizio fu contra- rio alla utilità pubblica ed alla legge dell’enfiteusi, come osserveremo nel seguente Capo. Tranne adunque cotesti pochi casi di connivenza tra i terzi ed i titolari eccle- siastici, tutti gli altri reclami, che furono esibiti alle Commissioni sulle istanze dei terzi, ebbero l’oggetto utile di far rilevare e mettere nei quadri i pesi diversi af- ficienti i fondi censuabili, come canoni, servitù, ipoteche, dritti di condominio, di compascolo , di semina a turno ed altri simili, che i titolari non avevano rivelato, o avevano male indicato. Epperò le Commissioni, trovando giustificati cotali reclami, li accolsero quasi nella maggior parte. Fu in questa propizia congiuntura che le Commissioni spiegarono la preziosa fa- coltà che aveva loro accordato l’art. 17° della legge ($ 18), cioè quella di sciogliere tutti cotesti avanzi di dritti promiscui di compascolo, di semina a turno, di decime e duodecime in natura ed altrettali dipendenze delle concessioni baronali, con con- vertirli in rendita annua che veniva accollata agli enfiteuti come peso di ciascun lotto, detraendola dal canone dovuto all’ente ecclesiastico. Benché il real Decreto del di 11 dicembre 1841 avesse ordinato lo scioglimento di qualsiasi promiscuità con asse- gnare terra effettiva in libera proprietà a ciascuno degli aventi dritto, pur non tutte coteste promiscuità erano state veramente sciolte. La Chiesa tollerava ancora sopra i fondi, che aveva ottenuto da privati, i dritti che vi esercitavano le case baronali, da cui un tempo i privati li avevano ricevuto. Nella provincia di Catania vi erano molti di questi fondi ecclesiastici soggetti al compascolo che vi esercitava la casa principesca di Paternò ed i suoi aventi dritto. Viceversa eranvi altri latifondi, che direttamente la Chiesa aveva acquistato da regie concessioni o da baroni, sui quali essa aveva permesso o pur lasciava che i comunisti o i singoli dei fondi limitrofi, per lo più suoi dipendenti, esercitassero il compascolo, la semina a turno, la rac- colta delle frasche e simili altri usi; e siccome quei tali o non si erano ancora av- valuti del sudetto Decreto del 1841, o per la difficoltà di provare il dritto e pel giudizio che dovevano sostenere non erano ancor giunti a conseguire lo scioglimento della promiscuità e la cessazione del loro uso col compenso di una porzion di terra in loro favore, così fu possibile terminare pacificamente parecchie di queste vertenze presso le Commissioni con convertire in rendita annuale il valore dei dritti ed usi che si scioglievano. Se vi è cosa a deplorare riguardo ai reclami dei terzi, quella è soltanto ch’essi nou furono nel numero che avrebbero dovuto essere. Si è già notato ($$ 20, 21, 23) che le dichiarazioni dei titolari ecclesiastici ed i loro reclami o mancarono affatto, o non furono abbastanza esatti e completi in ciò che si riferiva ai dritti dei terzi sui loro fondi, La legge ed il regolamento avevano ben preveduto che le cose a- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 131 vrebbero dovuto andar così, e perciò avevano espressamente ordinato che i quadri, dopo essere divenuti definitivi pei titolari, fossero pubblicati sul Giornale Ufficiale, ed accordarono a tutti gli aventi dritto un termine di 20 giorni per reclamare presso le Commissioni; come anche nel caso che essi si credessero lesi dai deliberati delle Commissioni, diedero Joro l’adito al gravame presso le Corti d’appello. Però la en- fiteusi forzosa era di ordine pubblico, e non si poteva procrastinare indefinita- mente a comodo dei terzi che non avrebbero mai pensato a reclamare. La legge volle stimolare il loro interesse e volle al medesimo affidarsi per il pronto risveglio di tutti i loro dritti, che dalle dichiarazioni degli enti ecclesiastici erano stati ob- bliati. Ma se i terzi pure non reclamassero dentro il prescritto termine, l’art, 35° del regolamento stabili chiaramente che la enfiteusi avrebbe dovuto sempre compiersi. Ciò era conforme allo spirito ed alla testuale-disposizione degli articoli 3° e 33° della legge, i quali, non ostante l’allivellazione del fondo, facevano salve agli aventi dritto le azioni di dominio, usufrutto, servitù, ipoteche, privilegi e tutte le altre azioni reali; ma questi dritti e ragioni avrebbero dovuto esercitarsi preferibilmente sul fondo del canone. Era dunque giusta la imposizione dei termini ai reclami dei terzi; e perciò era desiderabile che essi, prendendo interesse alle disposizioni della legge, reclamassero qualsiasi loro dritto in tempo utile e che all’epoca della pubblicazione dei quadri non si addormentassero, come molti sciaguratamente fecero, per insor- ger poi nel momento della celebrazione della subasta e per impedirla cogl’inopportuni procedimenti giudiziari, o anche peggio dopo l’ asta celebrata per farla annullare, traendo così una grande catena di danni interessi e spese fra essi i titolari e gli enfiteuti. Rileveremo nel segnente Capo che i Tribunali e le Corti non si erano grandemente penetrati dello spirito delle sudette legislative e regolamentari disposizioni, e perciò diedero esagerata importanza ai dritti dei terzi in danno della enfiteusi quando anche costoro non avessero al dovuto tempo reclamato, anzichè prendere la via chiaramente tracciata dalla lesge di realizzare tutti cotesti dritti sul fondo del canone a pre- ferenza. Tra i reclami dei terzi son degni di nota taluni per la loro specialità. L’ attua- zione dell’enfiteusi fece venire i gruppi al pettine: le irregolari antiche concessioni, che i titolari ecclesiastici si erano permessi di fare a beneficio dei loro amici e con- giunti senza alcuna delle sostanziali formalità prescritte dalle leggi del Regno e par- ticolarmente dal real Decreto del 1° dicembre 1833 ($ 5), vennero tutte in chiaro con questa occasione. I possessori illegittimi ricorsero alle Commissioni ed anche alle Corti di appello sostenendo di un modo o di un altro la regolarità dei loro titoli, o almeno la prescrizione ottenuta col loro possesso. A siffatte pretese si fece ener- gica resistenza dalle Commissioni e dalle Corti. Ma dopo che furono emanate le leggi di soppressione delle corporazioni religiose e degli altri enti ecclesiastici, essendo più impossibile lo scandalo di veder rinnovate da parte dei titolari tali concessioni il- legittime e per lo più fraudolente, la Sopraintendenza propose al Governo, e que- 132 STORIA DELLA ENFITEUSI sti accettò, previo il favorevole parere del Consiglio di Stato, un’equo temperamento per lasciare i fondi ai possessori e regolarizzare il loro titolo mercè un’ aumento di canone in linea di transazione. Di ciò ci occuperemo nel Capo V tra i risultamenti della enfiteusi. Un’ altra grave quistione dovette pure esser risoluta dal Ministero in quanto al lesittimo contradittore che dai terzi avrebbe dovuto esser citato avanti la Corte di appello nello sporgimento dei loro gravami, Scontenti i terzi del deliberato delle Com- missioni, specialmente quando avevano reclamato senza fondamento in legge, come ne’ varii casi su indicati, quasi per vendetta, si permettevano di citare le stesse Commissioni in persona del loro Presidente a comparire presso la Corte d’ appello. Se non si fosse occorso in tempo a reprimere questo mal vezzo, come si dovette già reprimer l’altro di veder citare dagli stessi titolari i Presidenti le Commissioni per sostenere i loro deliberati innanzi le Corti ($ prec.), la giurisprudenza a tal riguardo forse sarebbe stata assai varia. Difatti la Corte di Palermo aveva già emessa una sentenza, colla quale ammetteva che il titolare ecclesiastico menasse in giudizio il Presidente della Commissione, nella causa tra il Monistero dell'Assunta di Palermo ed il Presidente della Commissione enfiteutica di Caltanissetta (Documento R). Ed il Pre- sidente della sudetta Corte sosteneva francamente presso il Ministero di Grazia e Giustizia che la Commissione in persona del suo Presidente doveva rispondere al gravame dei terzi in faccia alla Corte. — Ma la Sopraintendenza fece rilevare lo sconcio che ne sarebbe venuto: un corpo deliberante non avrebbe più la sua liber- tà, se potesse essere astretto a difendere le sue decisioni avanti un magistrato su periore ed a riceverne forse la condanna alle spese danni ed interessi; nè si era mai veduto che il magistrato di prima istanza potesse personalmente esser tradotto, qualunque pur fosse il grado suo, innanzi il magistrato di appello. — Il ministro Vacca con disposizione di massima del 14 genuaro 1865 (Documento S) fece ragio- ne alle osservazioni della Sopraintendenza e con molta saggezza stabili che il le- gittimo contradittore in Corte d’appello contro il gravame del terzo debba essere il medesimo titolare ecclesiastico. Così questa parte di procedura raddrizzossi, le Com- missioni più non furono citate e la giurisprudenza delle Corti divenne uniforme. Per ultimo è anche necessario far sapere che la pubblicazione dei quadri nello interesse dei terzi si fece a tutto il 1863 sul Giornale Officiale di Sicilia. Ma dopo tal’ epoca, siccome la ufficialità per gli atti giudiziarii era stata data a giornali speciali per ogni distretto di Corte d’appello, così il ministro Pisanelli dispose che i quadri bei beni censuabili per la provincia di Messina e distretto di quella Corte si pubblicassero sulla Gazzetta di Messina; quelli della provincia di Catania e di- stretto della sua Corte presso il Giornale della provincia di Catania, poi detto Il Monitore; e tutti gli altri delle provincie di Palermo, Trapani, Girgenti, Caltanis- setta e Siracusa, dipendenti dalla Corte di Palermo, sull’anzidetto Giornale di Si- cilia nella stessa città di Paiermo. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 133 $ 26 Quotizzazione dei latifondi — Spese e difficoltà incontrate per difetto di mezzi — Rimedio datovi. Uno dei fini più benefici della legge 10 agosto 1862 era quello di distribuire a mezzani agricoltori la proprietà terriera, di guisa che coi loro mediocri capitali e colla loro stessa immediata industria e vigilanza potessero migliorarne e renderne stabile la produttività. Certamente l’ agricoltura in grande ha i suoi speciali be- neficii e vi sono i casì in cui essa é preferibile alla piccola agricoltura; ma tra la grande e la piccola vi ha la mezzana agricoltura, che riunisce quasi sempre i van- taggi dell'una e dell’altra e ne scansa molti-difetti. In Sicilia erano i due estremi: latifondi ecclesiastici e baronali spesso superiori alle 1000 ettare, destinati allo affitto triennale o al più quadriennale, ed i piccoli ritagli di terreno, le così dette chiuse oppure vignali, che si suddividevano sempre più colla morte dei piccoli proprietarii, i quali amavano pur sempre lasciare a tutti i loro figlinoli una qualunque striscia della loro proprietà, coperta di qualche ventina di alberi o di qualche centinaio di viti. Riusciva pertanto imperfetta l’una e l’altra coltivazione, quella perchè troppo grande, lontana dall’abitato, impari ai piccoli ca- pitali ed ai non grandi mezzi di coloro che potevano contrarre cotali affitti; l’altra perchè troppo piccola ed incapace a fissare l’agricoltore con serie speranze di suo miglioramento. Gli scrittori di agricoltura, quando parlano dei pregi della coltiva- ziove in grande e delle speciali utilità che in certi luoghi se ne ritraggono, non al- ludono alle sterminate lande che tra noi davano in affitto le Mense vescovili a solo og- getto di pascolo spontaneo e per esercitarvi soltanto in qualche punto la ruota trien- nale dei cereali. Dove l’agricoltura è fiorente, non si ha cognizione di si vaste pos- sessioni, come nè anche del loro opposto, cioè dei minutissimi frazionamenti, i quali si veggono pur fra noi e sono per l’appunto la conseguenza del troppo accentramento della proprietà; perocchè quando essa è il privilegio delle poche manimorte o delle poche case signorili, quel poco che è lasciato possedere ai liberi coltivatori, si di- vide, si suddivide e si frastaglia, per l’amore ch’essi tutti hanno ad un tal genere di proprietà agraria. Si fu perciò che l'art. 19° della legge dell’ enfiteusi prescrisse doversi prendere le 10 ettare come misura media dei lotti censuabili, e soltanto quando concorres- sero circostanze speciali, potersi pure elargare il lotto sino a 100 ettare come @ limite estremo. Evidentemente volevasi favorire lo sviluppo degli agricoltori medii, pur lasciando a coloro che hanno capitali e mezzi acconci di poter prendere in en- fiteusi i lotti più grandi, ed anche di riunire parecchi lotti per comporre una più estesa possessione. Scendeva come conseguenza da cotesti normali principii che i latifondi superiori alle 100 ettare (e ve n’erano ben molti) dovessero dividersi per mezzo di periti in 134 STORIA DELLA ENFITEUSI distinte quote, in ognuna delle quali era pur necessario riunire, per quanto fosse possibile, tutte le condizioni favorevoli a costituire una distinta proprietà, come via propria, dritti di attingere acqua e di dissetare gli animali, casa separata o parte del casamento grande del fondo, e tutto ciò evitando nel miglior modo le reciproche servitù e segnando i naturali confini tra un lotto e l’ altro. Così ancora i fondi in- feriori alle 100 ettare dovevavsi pur dividere, per giungere alla media approssima- tiva dell’ettare 10. Aveva inoltre osservato la Sopraintendenza che i terreni ecelesiastici più vicini al- l'abitato, ovvero ad altri fondi già censuati, facevano la maggior gola ai ricchi spe- culatori; perocchè erano quelli i terreni che si sarebbero potuti tosto rivendere con profitto ai minuti agricoltori suddividendoli in discrete porzioni e adattandoli alla loro capacità. Era quindi loro interesse spiegare efficacia sui periti, e potendo an- che su qualche membro della Commissione loro più favorevole, all’ oggetto di otte- nere che quei tali latifondi venissero divisi in grandi quote, tanto che all’asta pub- blica i piccoli coltivatori non potessero ottenerli, e così cadute quelle quote nelle loro mani, potessero farne essi la rivendita con trarne il loro profitto. Questa osser- vazione fece concepire il giusto disegno di favorire in siffatti casi la minuta agri- coltura. E siccome il detto art. 19° aveva indicato le 10 ettare come misura me- dia, e molti fondi distanti dall’abitato dovevansi per necessità lasciare in una mi- sura assai maggiore, — ve n° erano di 20, 30, 50 e perfino 100 ettare, — così per ragion di compenso si dovevano creare dei lotti assai inferiori alle 10 ettare: e se motivo vi era di stabilire cotali piccoli lotti, esso militava a preferenza pei terreni prossimi all’abitato o ad altri fondi già censuati e popolati d’inquilini, che presen- tavano le condizioni più favorevoli alla piccola coltura. Proposi dunque al Ministero di stabilire come massima a tutte le Commissioni che i latifondi ecclesiastici, i quali fossero in tali condizioni, si dovrebbero dividere in piccole quote, la maggiore non più di 5 ettare; e se mai le Commissioni avessero già approvato una divisione in lotti maggiori, si dovrebbero da loro rinviare sul luogo i periti per fare la suddivisione di ciascuno in tanti lotti minori. Questa ultima parte era necessaria, perché: la mia osservazione era frutto di esperienza: già gli speculatori, di cui ho parlato, avevano fatto approvare parecchie divisioni in grandi lotti di quei tali terreni da loro am- biti, Conveniva quindi non lasciar correre le divisioni in tal modo fatte e ritornarvi sopra per correggerle. — Con Ministeriale del 14 settembre 1865 fu adottata questa massima e tosto io la inculcai a tutte le Commissioni raccomaudandone la stretta os- servanza. Non mancò qualcuna di esse a mostrarsene scontenta e mettere innanzi difficoltà, per non porre nuovamente la mano sulle quotizzazioni già fatte. Ma io fui fermo ed il Ministero, a cui pur si ricorse, fu più fermo di me; sicché i riquotizzamenti do- vettero buongrado o malgrado essere eseguiti. Gl’interessati giunsero alla piccolezza di farmi aprire una guerricciuola da taluni giornali dell’isola e del continente, o ad osteggiare la mia candidatura nell’elezioni al Parlamento. Ma tali guerricciuole non DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 135 potevano mai abbattere in me il sentimento del dovere, nè il desiderio di giovare alla pubblica prosperità. Il regolamento nell’art. 37° aveva tracciato le norme con cui le Commissioni do- vevano scegliere i periti per le quotizzazioni: una lista di periti che conoscessero la topografia dei fondi doveva esser chiesta tanto ai titolari ecclesiastici, quanto alle Giunte locali: la Commissione avrebbe scelto tra i nomi da loro dati. Ma i ti- tolari raramente adempirono questo dovere, che sarebbe stato di pieno loro vantag- gio, poichè avrebbero allora risparmiato nella determinazione dei dritti con periti da essoloro proposti. Laonde le Commissioni spesso si attennero agl’ individui indicati dalle Giunte, e più spesso dovettero esse direttamente nominare, poiché i periti dei luoghi, o per influenze clericali, 0 per timore di non essere pagati, niegavansi ad accettare l’incarico: pertanto era necessario chiamare agrimensori o ingegnieri da altri luoghi, I periti, dopo aver visitato e misurato i fondi, presentavano alla Commissione un piano di divisione insieme colla pianta, talvolta soltanto topografica e più spesso planimetrica, La Commissione approvava o correggeva il piano, e così essi andavano ad impiantarvi i segni divisorii. Dell’ abilità e della moralità dei periti in generale non sì può fare grand’elogio, anzi sono stati non molti i periti veramente capaci ed onesti. Parecchi scrissero perizie e levarono piante, che negli archivii delle Commissioni restano a monumento perenne della loro ignoranza nell’arte dello scrivere, del conteggiare e del disegnare. La Sopraintendenza ebbe a trovare più di una volta dei lotti che non avevano ot- tenuto oblatori nè all’asta pubblica, nè alla trattativa privata, e la ragione che si venne poi a scoprire era appunto quella che il perito sbagliando i calcoli aveva por- tato al ventuplo il cauone, scrivendo per esempio come rendita annuale la cifra che esso attribuiva come prezzo al casamento, ovvero mal dividendo il canone netto del- l’intiero latifondo ai singoli lotti e caricandone la maggior parte ad un lotto solo. Alcuni periti diedero soltanto uno sguardo al fondo, o al più ne misurarono il pe- rimetro, e poi segnarono al loro tavolino tutta la materiale divisione, sicchè gli ac- cidenti del fondo non furono posti a calcolo e sì videro talvolta vie disegnate in punti ove esistevano ripidi ed inaccessibili burroni, o quadrature di linee di confini ove af- fatto non potevano cadere. Molti poi non si recarono affatto sui luoghi a piautarvi i segni divisorii, pure redassero il verbale dell'impianto e si fecero tassare le cor- rispondenti indennità dalle Commissioni. Al tempo della immissione in possesso de- gli enfiteuti svilupparonsi tutti questi difetti che generavano confusione nel rico- noscimento delle quote, spesso per mancanza nella misura assegnata: onde pullulò un iufinito numero di litigii. Altri finalmente lussureggiarono di preliminari scien- tifici e di enormi planimetrie per darsi dritto a più laute indennità. Ricordo un pe- rito che, dopo essere stato pagato per la presentazione di un piano di divisione di un fondo, eseguì la relazione dei 19 lotti ia cui lo aveva diviso, ciascuno non mag- giore di ettare 20, con una pianta planimetrica di si grande scala che non si po- 136 STORIA DELLA ENPITEUSI teva spiegarla senza riempire tutta una stanza, e pretendeva per questo lavoro un compenso di più che 4000 lire, Sarebbe stato necessario vendere il fondo a benefi- cio di lui, o almeno delegargli, per pagarlo, parecchie annualità del canone che dal- l’asta si sarebbe conseguito. Questi inconvenienti non potevano sempre essere schivati dalle Commissioni, le quali non erano in grado di recarsi su i luoghi per le verifiche. Ed io feci quant’era in me per infrenare l’avidità di taluni periti (attirandomi anche le loro maledizioni) quando le Commissioni chiedevano il mio parere pria di liquidare i loro dritti e mi mandavano le loro piante e perizie. Si sarebbero in gran parte evitati tutti questi mali, se i titolari ecclesiastici che erano i veri interessati, o dopo la soppressione gli agenti demaniali, si fossero se- riamente incaricati di controllare le operazioni dei periti, e poi si fossero pacifica- mente messi di accordo con loro nella tassazione delle indennità. Ma al contrario, gli agenti del Demanio non se ne curarono mai, ed i titolari ecclesiastici, come pure alcune rispettabili Amministrazioni che possedevano latifondi di provvenienza eccle- siastica, non solo non controllarono mni ciò che i periti avessero fatto, ma al mo- mento della liquidazione delle indennità, e sopratutto quando il Presidente del Tri- bunale doveva omolovarle, o all’atto della esecuzione per riscuoterle, saltavano fuori con opposizioni di ogui specie, e così trascinavano in giudizio ì periti per istancarli e per iscoraggiarli ad accettare altri simili mandati in avvenire, Nasceva da ciò un serio imbarazzo al proseguimento delle operazioni enfitentiche. Se i periti talvolta esageravano i Joro lavori e chiedevano compensi non meritati, le Commissioni, i Presidenti dei Tribunali, Ia Sopraintendenza, facevano a gara per esaminare scrupolosamente le specifiche, pria che lor si consegnasse la ordinanza esecutiva. Impugnarla posteriormente con giudizii e proîrarne l’esazione a tempo in- definito era un male assai grave, perocchè nessuno più dei periti voleva sobbarcarsi a tali condizioni; molto più che essi dovevano incontrare delle spese per recarsi sui luoghi e dimorarvi, per far costruire ed apporre i pilastri divisorii. Questo male si aggravava ancor più perchè, quantunque l’art. 47° del regolamento attribuisse virtù esecutiva senza formalità di giudizio alla ordinanza di omologazione resa dal Pre- sidente del Tribunale, pure i Tribunali e le Corti avevano sviluppato una giurispru- denza assai dubbia sulla materia e spesso avevano ordinato delle perizie per veri- ficare i lavori dei periti. — Pertanto, essendo arrivato il tempo di compiere in larga scala le quotizzazioni dei maggiori fondi, tutti i periti pria di accettare l’ incarico reclamavano un’ anticipazione, per potere occorrere alle sudette spese e forse an- cora coll’intenzione di porsi così al sicuro dalle quistioni di pagamento. Esposta al Ministero questa rilevantissima circostanza , che avrebbe potuto com- promettere il compimento della censuazione, ebbi da esso un potente aiuto. Il Mini- stero di Grazia Giustizia e Culti aveva fatto sul suo bilancio un risparmio di lire 30,000. In agosto 1865 egli lo pose a mia disposizione, incaricandomi di dare ai periti, sulla dimanda delle rispettive Commissioni, un’anticipazione proporzionata alle spese che DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 137 avrebbero dovuto sostenere, previa promessa scritta di restituirla alla Soprainten- denza per mezzo delle stesse Commissioni, allorchè sarebbero stati soddisfatti dei loro averi giusta la legge. Così il fondo delle lire 30,000 si sarebbe continuamente ricostituito e sarebbe stato sempre pronto per le nuove abbisognevoli anticipazioni. In questa guisa la grave difficoltà fu superata. Nel 1866 furono distribuite ai di- versi periti quasi tutte le 30 mila lire; e le quotizzazioni, come pur le apposizioni dei pilastri, furono spinte con grande alacrità. Le somme furono poi tutte puntual- mente restituite, anche perchè in quel mentre i più riottosi corpi ecclesiastici re- starono soppressi e fu quindi il Demanio che dovette pagare i periti. Così il fondo intiero si ricostitui presso la Sopraindenza e ritornò al Ministero delle Finanze, al quale come risparmio era ricaduto. $ 27 Garanzia delle migliorie. Non si era preveduto con disposizione speciale né dalla legge, né dal regolamen- to, il modo con cui gli enfiteuti dovrebbero garantire le migliorie esistenti nei di- versi lotti, acciocchè non possa avvenire il caso che essi, dopo averle sfruttato, o anche distrutto per loro particolare vantaggio, finiscano coll’abbandonare il fondo, ed il domino diretto non abbia come rivalersi del danno sofferto. Ma non tardò guari, nello sviluppo delle operazioni delle Commissioni, a farsi sentire il bisogno di una norma comune per regolare questa interessante materia. Nei latifondi vi erano raramente delle migliorie degne di esser conservate e ga- rantite. Pur nondimeno vi esisteva talvolta in qualche punto una discreta estensione di vigneto che serviva per fornire localmente il vino ai coltivatori; vi era qualche giardino di agrumi o di altre frutta nel luogo irriguo o più vicino al casamento, vi erano ben’anco piantagioni di pioppi e di altri simili alberi lungo i canali d’ac- qua. Talvolta non erano piantagioni fatte dall’ uomo, ma erano polloni spontanei di quercie di varia specie ed anche di alberi da frutto, che sparsi qua e là non costituivano un vero bosco, e perciò il terreno non era stato escluso. dalla cen- suazione. — Ma nei piccoli fondi vi era quasi sempre una certa quantità di bene- ficii, come sommaccheti, fichidindia (opuntia), canneti, vigneti, alberi diversi che pur non coprivano tanta parte del terreno, da poterlo fare eccettuare dall’enfiteusi, Vi erano spesso delle vasche d’acqua, cisterne, incanalamenti artificiali, mura in- torno o siepi, casamenti con comodi diversi, i quali avrebbero potuto essere dete- riorati o per l'abbandono dipendente da mancanza di mezzi, o per maltalento, o per l'oggetto di fare altre momentanee speculazioni, In varii Inoghi di Sicilia, e specialmente ne’ circondarii di Cefalù in provincia di Palermo, di Patti in provincia di Messina, di Acireale in provincia di Catania, e di Piazza Armerina in provincia di Caltanissetta, si sogliono coltivare con gran successo i nocciuoli (avellanum), il cui frutto costituisce uno dei capi principali di commercio di quelle popolazioni. Or questa pianta si coltiva in due modi ben diversi, o piantan- Giornale di Scienze Nat. ed Econ. Vol. VII. Parte II. 18 138 STORIA DELLA ENFITEUSI dola a certe distanze e dopo la coltura dei primi anni lasciandola imboschire in al- beri bene sviluppati; ovvero, ove il terreno sia più fresco ed il sottosuolo più u- mido, distribuendola in tanti gruppi, volgarmente detti macchie 0 troffe, e reciden- dola pur sempre in basso per tenerla nana col continuo getto di virgulti, i quali si lasciano giungere ad una sola abbondante fruttificazione, poi van mano mano recisi e si surrogano con virgulti novelli. Il primo genere di coltura è preferito nei luo- ghi montagnosi di Cefalù e di Patti, il secondo nelle fertili pianure di Acireale e di Piazza. — Pei noccioleti sviluppati in alto fusto non vi poteva esser dubbio: come coperti di alberi in massima parte, i relativi terreni venivano esclusi dall’enfiteusi, Ma pei noccioleti nani, che eccitavano la gola degli agricoltori di quei luoghi, sor- geva la quistione se essi dovrebbero riputarsi alberi, ovvero arbusti. Nel caso che si fossero ritenuti come arbusti, siccome la sola vigna tra tutte le piante di tal ge- nere aveva per legge il privilegio di escludere, così i fondi coperti di noccioleti nani avrebbero dovuto esser censuati. — Non ostante le opposizioni fatte presso il Ministero delle Finanze dalla Direzione demaniale di Catania e dalla Commissione pro- vinciale di sorveglianza destinata alla vendita dei beni ecclesiastici, che intendevano sottrarre dalla censuazione quei tali fondi e venderli, il sudetto Ministero con nota del 5 gennaro 1868, uniformemente alla proposta della Sopraintendenza, ritenne che i noccioleti nani son veramente arbusti e perciò non eccettuano dalla enfiteusi, Occorreva adunque per tutti cotesti fondi coperti d’interessanti migliorie stabilire un solido sistema di garanzia. In generale fu data una regola a tutte le Commissioni con nota ministeriale del 16 luglio 1864. Fu considerato che le Commissioni hanno piene facoltà nello stabi- lire il quaderno e debbono condursi come buoni padri di famiglia nel determinar- ne i patti. Perlocchè, quando esse conoscono esistere nei fondi delle migliorie, deb- bono scrivere un’esplicito patto per il quale gli enfiteuti vengano obbligati a garan- tirle in uno dei quattro modi seguenti, cioè: o pagando in contanti l’importare delle medesime, o porgendo cautela sia con rendita sul Gran Libro del debito pubblico, sia con ipoteca sopra stabili, o finalmente eseguendo sul fondo in un termine ri- strettissimo tanti beneficii, che sieno almeno uguali al valore di quelli esistenti, Questa norma tanto rilevante fu generalmente segnita dalle Commissioni, meno quella di Patti, la quale (si venne a scoprire molto tardi ed a fatti compiuti) non pose mai questa clausola nei quaderni dei ben molti fondicelli di quel circondario, ove esistevano più o meno delle migliorie. Non si sa comprendere il perchè questa sola Commissione non abbia seguito il sistema che le fu raccomandato come a tutte le altre: essa non seppe addurre veruna ragione della omissione di questo patto, allorchè si venne in chiaro di tale costante mancamento. Però non sempre le Commissioni conobbero l’esistenza delle migliorie, o perchè i titolari e le Giunte non le rivelarono, ed il catasto non ne aveva tenuto conto av- vegnachè erano di un’epoca più recente, o perchè i periti non ne fecero relazione. In questi casi, che poi non furon molti, le migliorie rimasero non garantite. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 139 Nulladimeno anche in questi pochi casi, e nelle censuazioni del circondario di Patti nelle quali l’ obbligo della garanzia fu sempre omesso, quando si ebbe cognizione dei danneggiamenti che gli enfiteuti permettevansi di fare, si diè consiglio dalla Sopraintendenza tanto. al Demanio, quanto ai titolari interessati, di rivolgersi tosto al magistrato e domandare la immediata devoluzione del fondo colla condanna a tutti i danni ed interessi, in forza del patto comune di dover migliorare e non per- mettere alcun deterioramento sotto pena della devoluzione. $ 28 Validamento degli affitti in corso e patto della immissione in possesso. Alle Commissioni era stata attribuita dalla legge la facoltà di validare gli affitti in corso (art. 34°), per poter regolare in corrispondenza il patto della immissione in possesso dell’enfiteuta (art. 43° del regolamento). Questa facoltà nella sua applicazione diede molto da fare alle Commissioni, e non sempre l’applicazione fu esatta nè uniforme: dal che ebbe origine un gran numero di litigi diversi, i quali pure non furono giudicati dai Tribunali e dalle Corti con giurisprudenza costante, siccome nel seguente Capo osserveremo. L’art. 31° della legge aveva stabilito in massima generale che « Gli enfiteuti non potranno immettersi nel possesso per effetto dell’aggiudicazione, quando vi sieno dei contratti di affitto incominciati a decorrere, purchè convenuti secondo le forme € per il periodo di tempo stabilito dalle leggi. » Questa prima parte dello articolo gui- dava necessariamente a parecchie ricerche: 1° Vi è un affitto convenuto con contratto e cominciato a decorrere pria che si celebri l’enfiteusi? 2° Sono secondo le leggi vi- genti la forma del contratto ed il periodo dello affitto? La prima ricerca riducevasi a sapere in fatto se gli atti vi fossero, ed a calco- lare se, pria che l’enfiteusi sarà celebrata, essi potranno trovarsi in corso di esecu- zione. Ora i titolari ecclesiastici raramente dichiararono gli affitti da loro conve- nuti per l’epoche posteriori al 1860. I notai non erano obbligati a dar l’elenco, se non che per le affittanze del sessennio 1855-1860. Molto meno le Giunte comunali potevano sapere con esattezza cotesti aftitti posteriori alla detta epoca. Sarebbe stato dovere ed interesse dei medesimi fittaiuoli rivolgersi alle Commissioni come terzi a- venti dritto sui fondi (e veramente l'affitto dà dritto di godimento per un tempo determinato) all’oggetto di far riconoscere dalle medesime la validità dei loro con- tratti; e quindi ne sarebbe venuta come conseguenza la immissione in possesso degli enfiteuti dopo il periodo in quei contratti convenuto, Avrebbero essi avuto i 20 giorni di tempo dopo la pubblicazione dei quadri per chiedere dalle Commissioni il ricono- scimento dei loro dritto, giusta l’art. 35° del regolamento. Coerentemente a ciò, il Ministro di Grazia e Giustizia con nota del 7 dicembre 1864, sopra un caso avvenuto presso la Commissione di Catania, dichiarò che i fittavoli dei fondi ecclesiastici han dritto come terzi a reclamare innanzi le Commissioni enfiteu- tiche per la validazione del loro contratto, ed han dritto a gravarsi dai loro deli- berati presso la Corte di appello giusta l’art. 18° della legge. 140 STORIA DELLA ENFITEUSI Ma furono ben pochi i fittavoli che seguirono questo sistema; poiché essendo si- curi che i loro dritti non venivano mortificati per la mancanza di tal reclamo (la legge infatti agli articoli 3° e 83° aveva salvato qualunque dritto dei terzi non o- stante l’allivellazione del fondo) preferivano di star silenziosi, ed aspettavano il mo- mento che l’enfiteuta venisse a mettersi in possesso per niegarglielo e batterlo in breccia col mezzo dei Tribunali. — Bisogna confessare che qui la legge lasciò una lacuna: si dovevano imporre delle pene ai fittaiuoli che a tempo debito non aves- sero fatto conoscere alle Commissioni i loro contratti; e se la pena fosse stata quella di perdere in tal caso il godimento del fondo dal momento della stipulazione del- l’enfiteusi, nessuno di loro certamente avrebbe mancato a reclamare. Si raccomandò dalla Sopraintendenza alle Commissioni di chiedere per ogni fondo al titolare ecclesiastico ed ai sindaci locali chi fosse 1’ attuale fittavolo, e di av- vertirlo ancora ad esibire il suo contratto per essere validato. Ma le cure che si diedero per tale oggetto le Commissioni, non furono sempre coronate di successo: molti affitti restarono ignorati. Una formula generica nei quaderni avrebbe potuto in tali casi risparmiare molti litigi. Vi si sarebbe potuto scrivere il patto che l’immissione in possesso dell’ en- fiteuta avrebbe avuto luogo alla tale epoca determinata, cioè al principio dell’im- mediato anno agrario che incomincerebbe dopo la stipulazione dell’enfiteusi, salvochè non esistesse a quell'epoca un affitto in corso, dipendente da contratto stabilito colle forme e per il periodo voluto dalle leggi. È vero che con questa formula generica gli enfiteuti non sarebbero stati sicuri della giornata in cui dovevano entrare in possesso; ma essi come interessati, assai meglio della Commissione, sarebbero stati in grado di sviluppare se esistesse l’ affitto e se fosse stato convenuto colle forme e per il periodo regolare. Si sarebbero così evitate le quistioni che poi ricaddero sui titolari e sul Demanio, non senza danno dei medesimi enfiteuti ; poichè questi ultimi, obbligati a prender possesso in un giorno fisso dal quale cominciava a correre il loro canone, andavano difilato a prenderlo: ma poi, sulla resistenza dei fittainoli che non intendevano punto cederlo, venivano condannati dai Tribunali a tutti i danni spese ed interessi, e quindi la chiamata in garanzia del domino diretto che ne sof- friva in ultimo tutte le dannose conseguenze. — Però le Commissioni, nei casi di tale specie, non ebbero sempre l’accorgimento di usare quella formula generica più si- cura. Negli affitti conosciuti dalle Commissioni (ammesso che il loro periodo fosse stato legale) conveniva calcolare se il loro termine sarebbe accaduto pria di cominciare l’enfiteusi, ovvero dopo. Dalla compilazione del quaderno, nel quale si doveva stabi- lire l'immissione in possesso, sino al compimento effettivo dell’enfiteusi, ci correva ben del tempo; e talvolta per incuria delle cancellerie dei Tribunali e dei notai delegati, o per quistioni che sorgevano nel corso dell’incanto e degli additamenti, la censuazione definitiva protraevasi lungamente; sicchè si vide spesso che i qua- derni compilati in un dato anno servivano agl’incanti sino a. due anni dopo. Si sa- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 141 rebbe dunque dovuto prevedere, se gli affitti in corso all’epoca della formazione del quaderno, avrebbero potuto durare sino al tempo in cui l'aggiudicazione si sarebbe compiuta. 0 per lo meno sarebbe stato necessario sin d’allora usare la stessa for- mula generica di sopra accennata, cioè stabilire il possesso all’epoca della scadenza del corrente affitto, salvochè non fosse necessario rispettare un affitto nuovo comin- ciato regolarmente a decorrere pria di stipularsi 1’ enfiteusi. — Ma quasi mai le Commissioni ebbero questa preveggenza, quantunque parecchie di esse ne fossero state dalla Sopraiutendenza avvertite. Onde avvenne non raramente che il termine stabilito per prender possesso spirò prima che l’enfiteusi si fosse compiuta: perciò un affitto novello cominciò a decorrere (non potendo i fondi rimanere inaffittati), e quindi la censuazione andava a stipnlarsi col patto della immissione in possesso a tempo già passato, sicchè le quistioni sorgevano subito da tutte le parti: dall’en- fiteuta che aveva dritto ad un possesso anteriore e non poteva intanto averlo per lo affitto nuovo già cominciato a correre, dal fittaiuolo che si opponeva giustamente a rilasciarlo, e finalmente dal titolare, o dal Demanio come suo rappresentante, che non aveva da una parte il dritto di espellere il nuovo fittainolo, e dall’altra pre- tendeva il canone dall’epoca stabilita. La chiusura di tutto questo dramma era per ordinario la condanna ai danni interessi e spese che ricadeva sul titolare o sul De- manio, per non essere stato stabilito il possesso a tempo debito. Or se l’incaricato della subasta si fosse avveduto del patto del possesso la cui e- poca era già trapassata, o doveva necessariamente passare pria di compiersi l’ul- timo incanto, avrebbe potuto far evitare tutte queste quistioni rimandando il qua- derno alla Commissione per modificarlo, sia colla formula generale che facesse salvo il nuovo affitto, sia riconoscendo l’affittanza novella e destinando l’immissione in pos- sesso al termine della medesima. Ma questo dall’incaricato dell’asta non fu fatto mai. Tutto ciò non sarebbe certamente avvenuto, se invece di farsi gl’incanti presso i Tribunali ed i loro delegati che poco badavano ai patti scritti nel quaderno, si fos- sero celebrati presso la Commissione stessa, la quale non poteva non avvedersi di essere trascorsa l’epoca da essa stabilita pel possesso; come anche se i titolari ed il Demanio avessero curato di assistere all’asta, perocchè essi conoscendo il novello loro affitto, avrebbero fatto pria modificare il quaderno e stabilire il possesso al giu- sto tempo. A tutto questo devesi pure aggiungere la malizia di parecchi fittavoli novelli, i quali misurando il tempo e ravvisando che, se l’asta si fosse presto compiuta, non avrebbero potuto mettersi nel godimento del loro affitto e perciò questo sarebbe rimasto sciolto, con perdere essi i vistosi guadagni che per lo più con tali contratti sì erano proccurati, facevano ogni opera presso le Cancellerie dei Tribunali e presso i delegati, o presso tutti coloro che dovevano metter mano negli atti della censua- zione, per farli protrarre quanto più si potesse; facevano nascere degl’incidenti giu- diziarii, specialmente nei gradi di additamento; e così di un modo o di un altro ot- tenevano il loro scopo, che era quello di far prima entrare in corso il loro affitto e compiersi poscia la censuazione. Onde poi tutti i litigi di cui abbiam parlato. > 142 STORIA DELLA ENFITEUSI Un'altro ordine di quistioni affacciavasi innanzi alla Commissione circa il periodo di tempo convenuto nei contratti di affitto e circa le loro forme. Un decreto reale del 1° dicembre 1833 aveva stabilito che i vescovi, abati e beneficiali, non potessero locare i loro fondi per più di 3 anni se per uso di seminerio, e più di 4 se per uso di pascolo: per un tempo maggiore sarebbe stata necessaria l'approvazione mi- nisteriale, salve le consuetudini locali per le provincie al di là del faro (Sicilia). Non vi era dunque dubbio che per cotesti titolari ecclesiastici le locazioni convenute per un periodo maggiore non avrebbero potuto riputarsi valide. Più tardi, cioè con un altro Decreto del 20 gennaro 1845, quella stessa disposizione fu estesa a tutte le Chiese in generale. Ma era osservabile che in quel Decreto non si dava incarico alla Luogotenenza di Sicilia per l’esecuzione. Aggiungevasi da ta- luni ehe quel Decreto in Sicilia non fu pubblicato. Quindi sorgeva dubbio se per tutti gli altri titolari ecclesiastici, e specialmente pei conventi e monisteri, si potesse pure ammettere cotesta proibizione di affittare ultre i 3 anni per la semina e dei 4 anni per il pascolo. Inoltre il sudetto Decreto del 1833 stabiliva che non si potesse procedere all'af- fitto novello, se non dentro l’ultimo anno della gabellazione corrente, e sempre me- diante avvisi ed incanti pubblici. Si potevano dunque applicare coteste medesime regole a tutti gli altri titolari ecclesiastici di Sicilia, se il Decreto del 1845 non ebbe quivi alcun vigore? Dall'altro canto però i conventi ed i monisteri avevano nelle rispettive loro Co- stituzioni l'obbligo di affittare per non più di 3 anni e colle forme del pubblico in- canto. Quest’ obbligo era conforme alle disposizioni canoniche, le quali erano state in cotesta parte rispettate dal Governo del tempo. Infatti il Monistero di S. Michele di Mazzara otteneva nel 7 gennaro 1643 un rescritto pontificio per poter locare una volta sola cinque suoi exfenudi a 9 anni, e tal rescritto veniva esecutoriato in Re- gno il 23 aprile. Nè il rescritto pontificio si sarebbe chiesto, nè il Governo di Sicilia avrebbe aecordato l’esecutoria, se la proibizione delle leggi canoniche non avesse esi- stito e se il Governo non l’avesse già riconosciuta. In ogni caso, vi era la disposizione del Codice civile che proibiva a qualunque usufruttuario locare i fondi per più di 9 anni (articoli 520 e 1400 del Codice delle due Sicilie). Onde al di là di tal periodo nessuno affitto avrebbe potuto. essere ri- spettato, non essendo che meri usufruttuarii i titolari ecclesiastici, Vedremo nell’altro Capo qual fosse stata su di ciò l’opinione dei Tribunali e delle Corti. — La Sopraintendenza nelle sue Istruzioni (Documento N, $ 14) aveva consi- gliato alle Commissioni di non validare gli affitti al di là dei 3 o dei 4 anni per qualunque titolare ecclesiastico in generale, secondo le prescrizioni dei reali Decreti 1° dicembre 1833, 31 agosto 1842, 20 gennaro 1845 e delle leggi canoniche. Le Commissioni si attennero per lo più a questo consiglio, Ma è notevole che quella di Catania, prescindendo di tutte le sudette disposizioni civili e canoniche e saltando anche la proibizione fatta agli usufruttuarii di affittare oltre ai 9 anni, giunse pure DEI TERRENI RCCLESIASTICI DI SICILIA 143 a dichiarare validi taluni affitti per anni 36. Più che locazioni, erano coteste vere enfiteusi temporanee: vi era infatti il patto fondamentale di dover migliorare, con dritto di esicere alla fine il prezzo de’ benefizii. E giustamente le locazioni ad lon- gum tempus furono riconosciute quali enfiteusi temporanee, soggette pure alle norme del R. Decreto 1° dicembre 1833, come dichiarava il Ministro di Grazia Giustizia e Culti al Presidente la Corte di appello di Palermo con nota del 31 luglio 1864. Quando però i Tribunali e le Corti incominciarono a presentare una giurisprudenza difforme su cotesti argomenti, le Commissioni rimasero maggiormente perplesse, e validarono in modi diversi gli affitti di cui poscia ebbero cognizione; se, per esempio, eran convenuti per 3 anni fermi e 3 anni di rispetto, cioè a volontà del fittaiuolo, dichiaravano validi i primi soli 3 anni e non gli altri 35 se erano pattuiti per più di 9 anni, li riducevano a 9, o pure a 4. Da-ciò poi una infinità di litigii che per molto tempo tennero desta l’attenzione di tutti i Tribunali e di tutte le Corti del- l’isola. Bisogna convenire che la legge del 10 agosto 1862 ed il suo regolamento avreb- bero dovuto essere più chiari ed espliciti su cotesto argomento: si sarebbero evi- tate moltissime cause e dispendii, ed i fittaiuoli avrebbero meno speculato sopra questa lacuna della legge. Inoltre il detto articolo 31° aveva voluto di proposito riguardare gli affitti stipu- lati dopo il 18 ottobre 1860 (epoca in cui era stato emesso il Decreto prodittato- riale della censuazione forzosa) e per quelli aveva determinato che se non ancora fossero incominciati a decorrere quando si celebrasse 1’ enfiteusi, resterebbero riso- luti ipso jure colla fine dell’anno agrario 2 corso. Or sembrò a tutti una evidente contradizione che, mentre l’affitto non avrebbe dovuto cominciare a decorrere, pur l’anno agrario si trovasse in corso. Questa espressione fu introdotta nella legge dalla Commissione della Camera dei Deputati. Però quel non ancora sembra essere stato fuori luogo, poiché togliendolo il senso sarebbe questo: gli affitti stipulati dopo il 18 ottobre 1860 e cominciati a decorrere pria che sì fosse celebrata l’enfiteusi, re- steranno sciolti ipso jure colla fine dell’ anno agrario în corso, restando a van- taggio del fittaiuolo è frutti di quell'anno che per legge o per consuetudine gli po- trebbero spettare. Ma essendo in quel modo passata dalle due Camere la locuzione, altro non rimaneva che cercare qual potrebbe essere il significato che le si dovrebbe attribuire, senza farla cadere nella sopra citata contradizione. Epperò il R. Ministero di Grazia Giu- stizia e Culti con foglio del 31 gennaro 1865, interpretando meglio una prece- dente sua nota, dichiarava essere stato intendimento della legge della censuazione mantenere generalmente gli affitti posteriori al Decreto 18 ottobre 1860 e doversi sciogliere quelli soltanto che non avessero cominciato a decorrere pria dell’aggiudi- cazione. Pur soggiungeva che tenendo presente il turno agrario che in Sicilia si suole osservare nelle locazioni, e pel quale, sebbene il fittaiuolo s’impossessi regolarmente del fondo a settembre, pure entra talvolta nel possesso di una terza parte sin da 144 STORIA DELLA ENFITEUSI dicembre dell’anno precedente per fare in questa parte di fondo le così dette mag- gesì, si comprenderà facilmente che il secondo comma dell’art. 31 volle prevedere appunto un tal caso; cioè, mentre in generale tutti gli affitti posteriori al 18 ot- tobre 1860 e non cominciati a decorrere quando si celebra l’enfiteusi debbono scio- gliersi ipso jure, pur nondimeno se il nuovo fittaiuolo, prima di entrare nel corso regolare della sua affittanza, avesse preso possesso della sudetta terza parte, chia- mata terzeria, e l'avesse co” suoi capitali e colle sue fatiche preparata, allora egli e non altri raccoglierà il frutto di questa terzeria, quantunque il suo affitto cessi ipso jure colla stipulazione della enfiteusi. Egli allora godrà dei soli frutti per legge o per consuetudine attribuiti all'anno agrario della terzeria, che realmente è in corso, quantunque l’affitto regolare non sia peranco incominciato a decorrere. Questa ingegnosa spiegazione salvò dall’apparente contradizione il sudetto art. 31 e fece insieme rispettare la terzeria nella sola parte che le corrispondeva. $ 29 Quaderni — Bandi — Incanti pubblici — Termini di additamento. Il contratto d’enfiteusi doveva esser convenuto sulla base del quaderno. Perciò il quaderno doveva contenere due cose: la esatta descrizione del fondo o del lotto, ed i patti che regolerebbero l’enfiteusi. Se il fondo non fosse diviso in lotti, la descrizione dovrebbe intieramente corri- spondere al quadro intimato al titolare, già pubblicato dalla Commissione e dive- nuto diffinitivo dopo l’esaurimento dei reclami dei terzi. Pertinenza del fondo, con- trada, estensione, confini, casamenti, macchine, numero di alberi o di viti, acque, vasche, cisterne, mura, altri beneficii, canone netto, tassa fondiaria, altri pesi, ser- vitù, ipoteche, giudizii pendenti, dovevano tutti indicarsi nello stesso modo con cui nei quadri diftinitivi erano stati indicati. — Se però il fondo fosse stato diviso in quote, allora i confini, l’ estensione, la rata del canone netto, della tassa fon- diaria, dei pesi, il numero degli alberi, delle case, delle acque e di tutti gli altri beneficii, si dovevano indicare secondo la speciale particella della perizia che a cia- scuna quota si riferiva. Perciò talvolta le Commissioni, oltre alla sommaria descri- zione del lotto, aggiungevano la correlativa parte della perizia per ognuno: così gli oblatori avrebbero potuto conoscere con sufficiente chiarezza lo stato materiale di ciascun lotto. I patti dell’enfiteusi erano stati in massima generale stabiliti dall’ art. 23° della legge, cioè per regola i patti dovevano esser quelli del titolo IX del Codice civile allora vigente nelle provincie siciliane, ma colle seguenti modificazioni: 1° non più dovuta la prelazione nè il laudemio al domino diretto; 2° l’obbligo di riconcedere il fondo colle stesse norme, se mai fosse a lui ritornato; 3° proibita la subenfiteusi; 4° doversi il canone dividere colla divisione del fondo. — Tutte le Commissioni adot- tarono questi patti colle parole testuali dell’art. 23° nella compilazione dei loro qua- derni. DRI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 145 Però esse, come buoni padri di famiglia, erano libere di aggiungere tutti quegli altri patti e condizioni che riputassero necessarii per assicurare il canone, l’esistenza dei benefici ed il progressivo miglioramento del fondo. Stabilirono infatti 1’ obbligo di garantire le migliorie nei diversi modi che si sono indicati nel $ 27. Imposero il dovere di beneficare e spesso determinarono quali precise migliorie 1’ enfiteuta avrebbe dovuto eseguire, come per esempio la fabbrica della casa rurale, il disso- damento o lo spietramento di alcuni terreni adatti a coltura; o in generale fissa- rono la somma de’ beneficii a doversi fare e ne assegnarono il tempo. Determina- rono l’epoca della immissione in possesso, giusta quanto si è narrato nel precedente $. Espressero i varii patti che eran sanciti nel sudetto titolo IX del Codice civile delle Due Sicilie. Dopo la pubblicazione del nuovo Codice italiano , si attennero a quelli che esso adottò nel titolo della Enfiteusi, come più conformi alla legge 10 agosto 1862, anzi come realmente nati da quella legge e come conseguenze delle discussioni che si tennero nel Ministero di Grazia e Giustizia sul progetto ch’io aveva presentato alla Camera dei Deputati ($ 11). Infatti le proibizioni della prelazione, del laude- mio e della subenfiteusi, entrarono nel Codice italiano nel modo stesso che erano state ‘introdotte nella legge del 1862. Come ancora il punto capitale della redimi- bilità dei canoni a volontà degli enfiteuti, in opposizione all’ antica legge piemon- tese del 13 luglio 1857 sulla redimibilità forzosa, fu adottato siccome principio fondamentale nella detta legge del 10 agosto 1862, e poi ricomparve tal quale nel Codice italiano per le novelle enfiteusi, e nello art. 30 delle Disposizioni transito- rie per tutti i canoni antichi. La giusta idea d’introdurre nel nuovo Codice il con- tratto d’enfiteusi trasformato, ed il miglioramento di cotesto contratto con spogliarlo degli antichi e non essenziali suoi caratteri baronali, vennero appunto a rassodarsi dopo il sanzionamento della forma novella di enfiteusi che si stabiliva colla legge della censuazione dei beni ecclesiastici di Sicilia. Tra i patti menzionati dal Codice civile, le Commissioni scelsero per lo più i se- guenti: 1° il canone sarà pagato, non ostante qualunque diminuzione di fruttifica- zione per effetto di casì fortuiti previsti ed imprevisti; 2° se una considerevole parte del fondo perirà per qualunque siasi causa, il canone dovrà pagarsi laddove la parte rimasta sia bastevole a sostenerlo, ed ove non basti l’ enfiteuta avrà dritto alla proporzionale riduzione del canone, ovvero a dimettersi del fondo; 3° il tesoro tro- vato nel fondo enfiteutico apparterrà allo enfiteuta. Da principio le Commissioni, nello indicare la estensione del fondo o del lotto, op- pure nello additare la tassa dovuta allo Stato in correlazione all’ imponibile cata- stale, non avevano l’accorgimento di aggiungere una clausola colla quale avrebbe do- vuto assicurarsi il canone, quantunque la misura del terreno potesse per avventura non corrispondere a quella indicata, o la tassa anzidetta potesse esser maggiore di quella prevista per effetto di qualsiasi errore nella calcolazione ovvero nella indi- cazione dell’imponibile. Però molte cause si videro sorgere dopo le prime censua- zioni, perchè le misure reali non corrispondevano a quelle indicate nei quaderni, Giornale di Scienze Nat. ed Econ., Vol. VII, Parte II, 19 146 STORIA DELLA ENFITEUSI e già ne abbiam riconosciuto le ragioni ($$ 21, 26), i titolari e lo stesso catasto avevano indicato misure non vere, soltanto tradizionali, e spesso i periti o non mi- surarono veramente i lotti”, o sbagliarono nella misurazione e nei calcoli; quindi, trovata mancanza di terreno al di là di un vigesimo, gli enfiteuti pretesero la corri- spondente riduzione del canone giusta l'art. 1465 del Codice delle due Sicilie e 1475 del Codice civile italiano. Fu d’uopo adunque avvertire tutte le Commissioni a met- tere nei quaderni la sopracennata clausola che assicurasse il canone, qualunque pur fosse in realtà l’estensione. Chi poteva veramente rispondere delle inesattezze dei titolari, del catasto e dei periti? Il canone non era stato stabilito in base di estimo e per un tanto ad ettara, ma invece per mezzo delle medie tra l’affitto ses- sennale 1855-1860 e l’imponibile catastale; onde, qualunque pur fosse stata l’esten- sione, la risultante su cui si fondava il canone era pur sempre la stessa. E per quel che riguarda la tassa fondiaria; gli errori nel calcolarla, ovvero nello indicarne il relativo imponibile catastale, non potevano mai alterare il reddito del fondo, e spettava agli offerenti all’asta informarsi bene dell’imponibile, che era altronde no- tato sui pubblici registri del catasto. Pur bisogna dire che la raccomandazione di usare queste clausole non riuscì in generale efficace, poichè molte Commissioni avevano già spedito senza alcuna clau- sola i loro quaderni, e poche misero in pratica siffatto consiglio. Vedremo perciò nell’altro Capo quali furono le liti che intorno a tali argomenti si svilupparono. I quaderni si mandavano dalle Commissioni alla R. Procura del Tribunale, la quale faceva la sua requisitoria per destinarsi la giornata e l’incaricato all’ asta; e nel tempo stesso le Commissioni avvisavano il titolare ecclesiastico ovvero il Demanio acciocchè, se il volessero, assistessero all’asta. Ciò era prescritto dagli articoli 24 e 25 della legge; e sarebbe stato un gran bene se l’avessero fatto, perchè spettava a loro come interessati invigilare sulle coalizioni degli offerenti e sui monopolii. Ma essi nol fecero mai, e quando i Direttori delle amministrazioni demaniali si dolsero presso il Ministero dei dannosi effetti de’ monopolii, ebbi allora a far rilevare che avrebbero dovuto dolersi della loro stessa inerzia, perocchè non avevano invigilato le subaste, come la legge avrebbe voluto. 1 Tribunali tennero sistemi diversi quanto agl’incanti, taluni delegarono un giu- dice del loro seno, e talvolta ne’ principii della censuazione tutto il Tribunale in corpo vi presiedette: così fecero i Tribunali di Palermo, Patti, Mistretta, Nicosia, Caltagirone, Siracusa, Modica, e Sciacca, i quali quasi mai o raramente delegarono gl’incanti ad altri individui fuori del collegio. Invece i Tribunali di Messina, Catania, Girgenti, Caltanissetta, Trapani, Termini, forse perchè gravati di un numero molto maggiore di subaste sia per la quantità dei piccoli fondi, sia per la moltitudine dei lotti, ne ritennero a sè un certo numero e ne delegarono la maggior parte ai notari, ovvero ai cancellieri delle preture. A far ciò furono autorizzati dall’art. 825 del Codice italiano di procedura civile. Però queste delegazioni produssero molto ri- tardo ed altri gravi mali nel compimento della enfiteusi, come osserveremo nel Capo V. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 147 Pria della promulgazione del sudetto Codice, le R. Procure s’incaricavano di far pubblicare i bandi degl’incanti sul giornale officiale del distretto della Corte di ap- pello già indicato nel $ 25, non che negli altri luoghi stabiliti dallo art. 42° del re- golamento, cioè nella residenza del titolare, nel municipio entro il cui territorio era sito il fondo, alla porta del Tribunale ed a quella della Commissione enfiteutica. Dopo essere entrato iu vigore il novello Codice, gl’incaricati medesimi dell’asta si oc- cupavano di tali pubblicazioni, La Sopraintendenza dovette quasi sempre prestarsi come mezzo di trasmissione per tutte le inserzioni di bandi che si dovevano eseguire sul giornale in Palermo, non meno che già si era prestata per tutte le inserzioni dei quadri che si facevano per ordine delle Commissioni. Le spese per cotali inserzioni di bandi si dovevano pagare dagli enfiteuti ad asta compiuta Fuvvi un periodo in cui dovetti efficacemente oppormi alle pretensioni di molti giornaletti delle singole provincie, che avevano ottenuto la ufficialità per gli atti am- ministrativi locali, e che volevano pubblicare ufficialmente i bandi per l’enfiteusi. In tal guisa si sarebbe assai ristretta la sfera della pubblicità, perocchè essi raramente uscivano dai limiti della loro provincia. Dovetti anzi fare ordinare dal Ministro di Grazia e Giustizia che i due giornali ufficiali pei distretti delle Corti d’ appello di Messina e di Catania mandassero costantemente i loro fogli alla Sopraintendenza, come già li mandava quello di Palermo, affinchè essa avesse potuto vegliare sull’andamento di tutte le censuazioni. Ed io non lasciai di leggere su cotesti fogli i singoli bandi, siccome innanzi aveva letto i singoli quadri pubblicati dalle Commissioni, per tener d’occhio e confrontare tra loro tutte le operazioni. Col sistema del Codice delle Due Sicilie la prima asta enfiteutica, a somiglianza di quella della espropriazione e della vendita degl’ immobili dei minori, era sol- tanto preparatoria, e perciò dopo di essa doveva sempre aver luogo un’altra asta che dicevasi diffinitiva. Dopo quest’ altra, aprivausi i termini di additamento, cioè nei primi 10 giorni per coloro che volessero sopraofferire il decimo (giacchè la legge dell’enfiteusi ammetteva pure il decimo), e se in tal grado non vi fossero state of- ferte, negli altri 10 giorni per coloro che sopraofferissero il sesto. Se vi fosse stata offerta del decimo, dovevasi prima esaurire il correlativo incanto, e negli altri 10 giorni consecutivi vi era luogo all'aumento del sesto. Però la R. Procura del Tribunale di Sciacca aveva creduto che, quand’ anco non vi fosse alcuno che offerisse in tali gradi, sempre le subaste in decimo e sesto a- vrebbero dovuto intimarsi; e le intimò infatti, molto tempo dopo che l’asta diffini- tiva era stata compiuta. Il che diede origine a parecchie cause, nelle quali il Tri- bunale stesso di Sciacca e poi la Corte di appello di Palermo rilevarono l’errore del procedimento; e quindi esso non fu più ripetuto. Venuto nel 1866 il novello Codice di procedura, si omise la preparatoria, peroc- chè esso stabili una sola subasta. Però, quanto ai termini per gli additamenti di de- cimo e di sesto, era dubbio se si dovevano tutti restringere dentro i soli 15 giorni fissati dall’art. 680, o si dovevano stabilire giorni 15 per l'aumento del decimo e 148 STORIA DELLA ENFITEUSI poi altrettanti per quello del sesto. La locuzione del sudetto art. 680 — nei quindici giorni successivi a quello della vendita è ammesso l aumento non minore del se- sto... In caso di più aumenti l'offerta maggiore è preferita — prestavasi veramente a far ritenere che i due aumenti sanciti dall’art. 26° della legge dell’enfiteusi dovreb- bero farsi dentro i 15 giorni successivi alla subasta. Se vi fosse stato aumento di solo decimo o di solo sesto fra i 15 giorni, sull’una o sull’altra base si sarebbero chia- mati gli offerenti ed il pubblico a licitare di nuovo; se però vi fossero stati insieme aumento di decimo ed aumento di sesto, sarebbe stato preferito quest’ultimo come maggiore. Così le aste ed i termini di additamento si sarebbero abbreviati con grande utilità della cosa pubblica; poichè tutte coteste formalità non servivano veramente a far crescere il canone sino al suo giusto livello, ma piuttosto a far rinfocolare i monopolii col tendere più volte i lacci contro coloro che sinceramente venivano al- l'incanto per ottenere in enfiteusi il terreno, essendo più semplice per costoro il battersi tra essi una prima volta, e poi se vi fosse aumento in uno dei due gradi anche una seconda volta, anzichè battersi quattro volte di seguito come si usava colle norme della Procedura del Regno delle Due Sicilie. Pur nondimeno il Ministro di Grazia e Giustizia, in proposito interpellato, statuì con nota del giorno 8 maggio 1866 (Documento T) che dovrebbero scorrere 15 giorni per l'aumento del decimo, ed esaurito questo primo stadio, altri 15 giorni per quello del sesto. Inoltre, per impedire la esagerata gara, che soleva esser la conseguenza dei fal- liti monopolii, si era preso il sistema di far depositare presso le cancellerie dei Tri- bunali, ove dovevasi celebrar l’asta, una rendita sul Gran Libro equivalente alla ren- dita che si aumentava in uno dei detti due gradi. Fd il Ministro con quella stessa nota prescrisse doversi continuare tale uso, il quale aveva avuto origine dall'art. 56 della Legge sulla espropria delle Due Sicilie, e troverebbe tuttavia ragion di essere nello art. 672 del Codice italiano di procedura civile: l’uno e l’altro dispongono in- fatti che i sopraofferenti depositino a cautela il prezzo da loro aumentato. Queste disposizioni ministeriali furono generalmente mantenute. $ 30 Censuazione nell'interesse del Demanio — Passaggio della stessa sotto il Ministero delle Finanze. La legge del 7 luglio 1866, che soppresse le corporazioni religiose ed ordinò con- vertirsi a beneficio del Demanio dello Stato i fondi di tutti gli altri enti ecclesia- stici conservati, eccettuate le sole parrocchie, venne ad immutare profondamente lo andamento della legge 10 agosto 1862 sulla enfiteusi dei beni rurali ecclesiastici di Sicilia. Era conseguenza logica della soppressione e della conversione in prò del De- manio che la enfiteusi si compisse quindi innanzi nello interesse ed in confronto di lui, ad eccezione di quella soltanto che riguardava i pochi poderi appartenenti alle parrocchie. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 149 Difatti coll’art. 11° della citata lesge del 1866 fn stabilito così: « Salve le ‘ecce- zioni contenute nei seguenti articoli, tutti i beni di qualunque specie appartenenti alle corporazioni soppresse dalla presente legge e dalle precedenti, o ad alcun tito- lare delle medesime, sono devoluti al Demanio dello Stato coll’obbligo d’iscrivere a favore del fondo per il culto, con effetto dal giorno dalla presa di possesso, una ren- dita 5 per 100 eguale alla rendita accertata e sottoposta al pagamento della tassa di manomorta, fatta deduzione del 5 per 100 per ispese di amministrazione. « I beni immobili di qualsiasi altro ente morale ecclesiastico, eccettuati quelli ap- partenenti ai benefizii parrocchiali e alle chiese ricettizie, saranno pure couvertiti per opera dello Stato, mediante inserizione in favore degli enti morali, cui i beni ap- partengono, di una rendita 5 per 100, eguale alla rendita accertata e sottoposta come sopra al pagamento della tassa di manomorta. « Se vi sieno beni, le cui rendite non sieno state denunziate e sieno sfuggite alla revisione degli agenti finanziarii nell’applicazione della tassa di manomorta, ne sarà determinata la rendita con le norme stabilite dalla legge del 21 aprile 1862 quanto ai beni degli enti non soppressi, e mediaute stima quanto ai beni delle corporazioni soppresse. « Gli oneri inerenti ai beni, che nou importino condominio, s’intenderanno trasfe- riti coi diritti e privilegi loro competenti sulla rendita come sopra inscritta. « Con legge speciale sarà provveduto al modo di alienazione dei beni trasferiti allo Stato per effetto della presente legge. » Ed in conformità a’ principi consecrati nel su riferito art. 11°, venne statuito nello art. 34° della legge stessa: « Le disposizioni della legge 10 agosto 1862 n. 743 continueranno ad essere eseguite nelle provincie siciliane. Le relative operazioni di censuazione saranno proseguite nell’interesse ed in confronto del Demanio, » Onde era chiaro che, dal giorno dell’attuazione della legge del 1866, le Commis- sioni non dovevano più intimare i moduli, i quadri e tutti gli altri loro atti, agli enti ecclesiastici, ma ai rappresentanti del Demanio, tranne soltanto i parrochi pei beni delle loro parrocchie. Perciò nel regolamento emesso per la esecuzione dell’anzidetta legge, e che porta la data del 21 luglio 1866, n. 3070, fu appositamente aggiunto il seguente « Capo VII — Della esecuzione della legge 10 agosto 1862, n. 743, nelle provincie siciliane. « Art. 64. Per cura della Soprintendenza generale delle Commissioni per l’enfiteusi dei beni rurali in Sicilia e a spese del Demanio deve essere compilato un elenco, diviso per provincie, dei beni soggetti ad enfiteusi a tenore dell’art. 1° della legge 10 agosto 1362, per i quali, al momento della pubblicazione della legge di soppres- sione, non intervenne ancora atto di aggiudicazione definitiva. « Art. 65. Le operazioni di censuazione dei beni compresi nello elenco sono pro- seguite a norma della legge relativa. « Però per le operazioni di censuazione di tutti i beni diversi da quelli designati al successivo art. 67 il Direttore demaniale ha facoltà : 150 STORIA DELLA ENFITEUSI « 1° Di delegare un suo rappresentante che surroghi nelle Commissioni circonda- riali l’ecelesiastico delegato dall’Ordinario della diocesi; e 2° Di presentare, nei modi e termini prescritti dall’art. 14 della legge 10 ago- sto 1862, le proprie osservazioni contro i quadri dei beni da censirsi; « 3° Di ricevere la intimazione e di prendere conoscenza degli atti emanati a se- conda degli articoli 13 e 25 dell’ anzidetta legge e di consegnare il notamento dei periti, di cui è parola nell’art. 37 del regolamento 26 marzo 1863 n. 1203. « Art. 66. Avvenendo, dopo la pubblicazione della legge, l'aggiudicazione di con-, cessioni enfiteutiche di beni immobili appartenenti a corpi morali ecclesiastici non soppressi, il canone annuo sarà dall’enfiteuta dovuto e pagato direttamente al De- manio. Quest'ultimo poi inseriverà a nome del beneficio o corpo morale, cui apparte- nevano i beni, una rendita sul debito pubblico dello Stato corrispondente al reddito accertato e sottoposto a pagamento della tassa di manomorta, osservando per tale ipserizione le norme segnate agli articoli 58, 60, 61 e 62 del regolamento. « Art, 67. Dalle disposizioni degli articoli precedenti rimangono esclusi i beni ru- rali dei beneficii parrocchiali e di patronato privato laicale o misto e delle cappel- lanie laicali, i quali continuano ad essere censiti a norma della legge 10 agosto 1862 nell'interesse e in confronto degl’investiti o degli amministratori dell’ente morale. » Il tempo, in cui vennero fuori la legge ed il regolamento sopra trascritti, fu ap- punto quello in cui gli atti preliminari “delle Commissioni, cioè raccolta degli ele- menti, compilazione e pubblicazione dei quadri, definizione dei reclami dei titolari e dei terzi, erano già nella maggior parte compiuti; e perciò una minor quantità ne restava tuttavia a compiersi in confronto agli agenti demaniali. Ciò fa una buona fortuna; perocchè se la mole maggiore dei cennati atti avesse dovuto sorgere colla cooperazione delle dichiarazioni e dei reclami degli agenti del Demanio (uomini nuovi che allora allora venivano a prender possesso di tutta quella gran massa di beni da loro affatto sconosciuta, e che erano altronde gravati d’innumerevoli altri inca- richi, siccome era ben naturale in una si grandiosa trasformazione della proprietà ecclesiastica) sarebbe stato quasi impossibile aver da loro le notizie necessarie, ed i quadri si sarebbero dovuti abborracciare con lacune, imperfezioni ed errori cento volte peggiori di quelli che si ebbero per la renitenza parziale, la incuria, o le omis- sioni dei titolari ecclesiastici. Invece, a quell’epoca le subastazioni enfiteutiche salivano ancora verso il loro a- pogeo; dappoiché negli anni 1864 e 1865 si eran compiute le aggiudicazioni in quei soli circondarii le cui Commissioni erano state sollecite a preferenza, come quelle di Sciacca, di Catania, di Nicosia; ma le censuazioni in più larga scala di tutti i circondarii si operarono nei tre anni 1866, 1867 e 1863, decrebbero poi nei tre anni seguenti, Laonde i titolari ecclesiastici, conservati dalla legge di soppressione ed assogget- titi alla conversione dei loro beni in favor del Demanio, ebbero assai a pentirsi di avere ostacolato e ritardato :nei primi 3 anni la censuazione dei loro fondi; peroc- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 151 chè dal giorno 23 luglio 1866, in cui andò in vigore la sudetta legge, tutti gli au- menti, che l'asta enfiteutica produsse al reddito dei loro fondi, appartennero allo Stato, ed essi non ne conseguirono altro che la rendita netta già sottoposta a tassa di manomorta ($ 17). Il primo esame, che per effetto della citata legge di soppressione e di conversione si dovette fare, fu quello di sapere se le censuazioni, per le quali le aste prepara- torie erano state celebrate prima del detto giorno in cui la legge andò in vigore, dovrebbero rimanere a beneficio dei detti enti conservati, insieme con tutti gli au- menti di canone che gl’incauti ulteriori in grado di additamento vi avrebbero ap- portato. Dimostrai dunque al Ministero che l’alienazione dell’utile dominio riguardo al titolare ecclesiastico vien compiuta sin dalla prima subasta e che i posteriori au- menti significano soltanto una quistione di spostamento tra un enfiteuta ed un altro; tanto vero che se le offerte additative fossero dichiarate nulle dai magistrati, il primo aggiudicatario resterebbe nell’ utile dominio. Da ciò la conseguenza che le censua- zioni, cominciate per mezzo di subaste anteriori al 23 luglio 1866, debbano attri- buirsi con tutti i loro consecutivi aumenti agli enti conservati. Il canone di tutte le altre, che dovrebbero iniziarsi da quel giorno in poi, si dovrebbe intestare a be- neficio del Demanio, meno soltanto quello dei beni parrocchiali che dalla conversione furono esclusi. (Queste norme, riconosciute giuste dal Ministero, furono approvate. La Sopraintendenza sin dall’anno 1865 aveva preso l’ abito di compilare e sotto- porre al Ministero l’elenco di tutte le aggiudicazioni enfiteutiche, che avevano luogo presso i Tribunali e loro delegati, additando i singoli fondi, i loro lotti di uno in uno, i titolari ecclesiastici cui appartenevano, i comuni ove erano siti, la estensione, il canone che servi di base all’asta, il canone ricavato dall’ asta ultima, i pesi, il nome dell’aggiudicatario, la data dell’ aggiudicazione e presso chi fosse stata cele- brata. Questi elenchi, dei quali meglio si parlerà nell’ultimo Capo, riuscirono gra- ditissimi al Ministero. Epperò, dovendosi dividere in due categorie le censuazioni, cioè quelle cominciate pria del 23 luglio 1866 e le altre dopo di tal’epoca, le prime per attribuirne il canone agli stessi enti conservati ovvero all’ Amministrazione del fondo del Culto per gli enti soppressi, e le seconde per attribuirle al Demanio, meno soltanto quelle dei beni parrocchiali, così la Sopraintendenza compilò un elenco ge- nerale con cui abbracciò tutte le aggiudicazioni enfiteutiche iniziate in anteriorità al 23 luglio 1866, e di questo elenco fornì copie al Ministero, alla detta Ammini- strazione del Culto ed alle singole Direzioni demaniali delle provincie siciliane per la rispettiva loro parte. Era conseguenza di cotesti nuovi principii che, siccome il Demanio veniva a rac- cogliere gli utili della censuazione dei fondi che si convertivano da quel giorno in- nanzi a suo vantaggio, così egli doveva pure pagarne tutte le spese, e particolar- mente quelle delle perizie per le quotizzazioni dei latifondi e per l’apposizione dei segni divisorii. Tali non piccole spese erano state già nella maggior parte sostenute dagli stessi titolari ecclesiastici conservati: essi quindi chiesero di esserne rimbor- 152 STORIA DELLA ENFITEUSI sati dal Demanio, ed il Ministero ben volentieri rese loro quest’atto di giustizia sulle analoghe proposte della Sopraintendenza. La innovazione che aveva luogo nel seguito delle operazioni della enfiteusi doveva produrre un cangiamento nella direzione ministeriale di questo ramo. Il Ministro di Grazia Giustizia e Culti, che si era siu’allora incaricato della esecuzione della legge, riconoscendo che, tranne il piccolo interesse dei parrochi, il Culto non aveva al- cun’altro interesse nelle censuazioni ulteriori, cesse di buon grado la direzione di questo servizio al Ministero delle Finanze. Quindi tutto il correlativo archivio fu con- segnato alla Direzione Generale del Demanio e Tasse. Questo passaggio avveniva in settembre 1866. i Il Ministero delle Finanze confermò la Sopraintendenza con tutti gli annessi po- teri in persona mia, mostrandomi segni di deferenza non minori di quelli che già mi aveva dato in tre anni il Ministero di Grazia Giustizia e Culti. Però da quel mo- mento il compito mio divenne assai più grave e più laborioso. Sino a tanto che l’in- teresse era dei singoli titolari ecclesiastici, i quali avevano altronde i loro consul- tori e difensori, spettava a me guidare la parte generale delle massime e la coor- dinazione de’ servizii, prender conto dello andamento delle operazioni di ciascuna Commissione, delle subaste presso i Tribunali e loro delegati, compilarne le stati- stiche, e uditi i reclami degli stessi titolari e dei terzi, darvi il corrispondente in- dirizzo. Ma poiché lo interesse divenne quasi tutto del Demanio, e non era spera- bile che gli agenti demaniali in quel grave momento delle prese di possesso (privi come erano di qualunque cognizione e senza loro interesse personale) potessero spie- gare tutto quello zelo ed efficacia, che sino a quel punto avevano esercitato più o meno i titolari interessati, cadde sopra di me questo grave peso di curare l’ inte- resse del Demanio nei singoli casi e di porre in chiaro, per quanto fosse possibile, tutti gli ordimenti precedentemente fatti sia in frode dell’ente morale, come le anti- che irregolari concessioni enfiteutiche, gli affitti ad longum tempus e simili, sia in ‘danno del Demanio che doveva prenderne possesso, come gl’ illegali affitti nuovi, le alienazioni, i pesi diversi di cui si erano di proposito caricati i fondi nel pe- riodo della minacciata soppressione. — Io non posso dire che mi sia riuscito svilup- pare e raddrizzare tutte coteste irregolarità; ma in tutto quello che ho potuto cono- scere, ho fatto il mio dovere. Si fu da quel momento che la Sopraintendenza dovette porsi in continua relazione colle Direzioni demaniali e poi colle Intendenze che le surrogarono. Il Ministero mi aflidò sin d’allora la collaborazione e spesso la piena direzione delle ben molte cause che sorgevano contro il Demanio nelle censuazioni diverse per effetto dei tanti in- convenienti vecchi e muovi di cui abbiam tenuto ragione ($$ 21 e seg.); come anche afiidommi la trattazione e la conclusione di molte ed interessanti transazioni : cause e transazioni di cui in seguito darò qualche idea. Al Ministero delle Finanze la materia della enfiteusi riesciva nuova, non solo per le massime che già si erano tutte stabilite a proposta della Sopraintendenza sotto DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 153 il Ministero di Grazia Giustizia e Culti, ma anche per difetto di conoscenza dei pre- cedenti delle singole pratiche che con quel Ministero erano state intavolate. Per un lungo periodo la Sopraintendenza ebbe a soffrire un ristagnamento nelle sue corri- spondenze, e gli affari che avevano bisogno della sanzione ministeriale cominciavano a paralizzarsi. — Fra allora Scialoja ministro delle Finanze, Borgatti ministro della Giustizia e Culti, Ricasoli presidente dei Ministri, ed era pur nel Consiglio il com- pianto mio amico Cordova ministro dell’ Agricoltura. Mi diressi a loro con energia dimostrando la impossibilità che le cose andassero a quel modo e l’arresto che già ne veniva al cammino della enfiteusi, alla quale era da annettersi una grande im- portanza, come già lo provavano gli elenchi delle censuazioni compiute. Dissi chia- ramente che in tal guisa non avrei voluto più sopportare la responsabilità che avevo assunto innanzi al paese, ed avrei preferito ritirarmi. Questa mia dimostrazione pro- dusse nel Consiglio dei Ministri il suo buono effetto; ebbi da loro la promessa che si sarebbe dato un migliore avviamento alla trattazione della materia; e già l’ono- revole Scialoja dispose che nella Direzione generale del Demanio questo ramo di ser- vizio si aggregasse a quella Divisione che potesse meglio guidarlo, —fu scelta la Divisione 6° — che uno de’ più intelligenti uffiziali, pratico delle cose siciliane, fosse in quella Divisione dedicato all’ esclusivo maneggio di cotesti affari. Vi fu desti- nato il signor Francesco Paolo Badami da Palermo (ora Capo di sezione) che io con piacere ricordo, perchè seppe egli rimettere in breve sulla buona strada le prati- che arretrate; e di allora le risolnzioni del Ministero delle Finanze non lasciarono più nulla a desiderare, in confronto a quelle che si ottenevano precedentemente dal Ministero di Grazia Giustizia e Culti. $ 31 Pericoli dì abrogazione della legge della enfiteusi nella Camera dei Deputati, e conferme che essa finalmente ebbe. Un serio pericolo minacciò la legge della enfiteusi dei terreni ecclesiastici di Si- cilia in occasione che la Camera dei Deputati dovette occuparsi del progetto di legge presentato nel 1867 dal Ministero per la liquidazione dell’asse ecclesiastico. La Com- missione nominata dagli Ufficii in quella circostanza rifece di pianta il progetto; ed il deputato Ferraris nel $ 9 della sua relazione, esibita alla Camera il 27 giugno di quell’anno, diceva che la Commissione, a proposta dell'onorevole Accolla (siciliano) Commissario del III Ufficio, aveva opinato dover fare cessare le norme speciali della legge 10 agosto 1862 per unificarle con quelle generali della vendita dei beni già ecclesiastici. La correlativa disposizione era scritta nell’art. 16° del nuovo progetto così concepito : « Art. 16. I beni ecclesiastici nelle provincie siciliane, tuttavia non censiti, saranno venduti a norma della disposizione della presente legge, rimanendo a tal’uopo abro- gata quella del 10 agosto 1862. « Per quelli già censiti i censuarii potranno affrancare i canoni nel modo stabilito Giornale di Scienze Nat. ed Econ. Vol. VII. Parte II. 20 154 STORIA DELLA ENFITEUSI nella detta legge del 1862, ovvero pagandone il capitale per un decimo dopo un anno dalla pubblicazione della presente legge, per un altro decimo cogl’interessi corrispet- tivi al 6 per 100 dopo due anni, e per altri otto decimi nei successivi sedici anni in quote eguali e con gl’interessi scalari al 6 per 100. >» Mi riserbo a dir le mie idee su questa proposta, dopo che esporrò i principali ar- gomenti che furono svolti nella discussione avanti la Camera nella tornata del 25 luglio 1867. Il deputato Nisco aveva creduto di aggiungere un emendamento al sudetto art. 16, nel senso che i beni demaniali, i quali non si erano potuti vendere colle norme della legge del 21 agosto 1862, dovrebbero censuarsi con quelle dell’ altra legge del 10 dello stesso mese. Egli adunque, mentre la Commissione intendeva abrogare quest’ul- tima legge in Sicilia, riconosceva esser conveniente estenderla a tutta l’Italia pei 180 milioni di beni demaniali che diceva non essersi potuti alienare sin’allora colla ven- dita. Un altro diverso emendamento fu concertato fra i deputati La Porta, Tenani, Sella, Gravina, Botta e Calvino, col quale fu detto recisamente: « Resta mantenuta nelle provincie di Sicilia, e pei beni ai quali si riferisce, la legge 10 agosto 1862, nu- mero 743. » Questa proposta distruggeva completamente quella della Commissione. L'emendamento dell’onorevole Nisco, combattuto dal deputato Lualdi, non fu ap- provato. S'impegnò adunque la contesa sull’altro emendamento. Si deve però innanzi tutto notare che, tra quelli 6 anzidetti deputati, 4 erano siciliani; e gli altri 2, cioè Te- nani e Sella, non appartenevano alle provincie meridionali. Essi però avevano fatto parte della Commissione parlamentare d’ inchiesta che in maggio 1867 era venuta in Sicilia sotto la presidenza dell’onorevole Pisanelli, all'oggetto di studiare le con- dizioni della città e provincia di Palermo dopo i dolorosi avvenimenti del settem- bre 1866. La detta Commissione aveva presentato alla Camera la sua Relazione per mezzo del deputato Giovanni Fabrizi nella tornata del 2 luglio 1867, ed aveva fatto no- tare (adducendo le cifre che la Sopraintendenza le aveva fornito su i risultamenti dell’enfiteusi sino a quel tempo) che a migliorare sempre più lo stato economico delle provincie siciliane sicuramente varranno la provvida legge del 10 agosto 1862 sulla concessione ad enfiteusi dei beni ecclesiastici, di cui cominciano a sentirsi i benefici effetti, non che l’altra legge del 1866 sulla soppressione dei corpi reli- giosi e la conversione dell’asse ecclesiastico. La medesima Commissione non aveva mancato di rilevare i lamenti che da ta- luno aveva udito in Sicilia perchè non fosse stata sufficiente la suddivisione dei lotti e perchè troppi ne fossero rimasti in mano dei grossi proprietarii, alcuni dei quali usarono a questo fine mezzi diversi che riuscivano contrarii allo scopo della legge. Ma essa pure osservava che una metà dei 6882 lotti censuati sino al 1866 erano di ettare 10 incirca, piccioli lotti, di cui la maggior parte dovette cadere in mano di minuti proprietarii. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 155 Quindi il. veder sorgere nella Camera il Tenani ed il Sella, membri di quella Com- missione, ambidue competenti e non sospetti, e più il Sella che nou poteva essere accusato di poco amore all'incremento delle finanze nazionali , fece tra i Deputati una assai favorevole impressione a vantaggio della legge dell’ enfiteusi. Perciò la parte principale in detta discussione fu lasciata da’ siciliani a quei due Deputati. Intanto il relatore Ferraris non fu men tenace nel combattere i loro argomenti. Il deputato Tenani rilevò dapprima il vizio degl’ italiani che non fan giungere a mezzo novembre ciò che in ottobre si fila, cioè l’imprudenza di distruggere una legge che era nel felice corso della sua esecuzione. Mostrò che l’idea di unificare, la quale prevalse nella Commissione, non doveva impedire il compimento di una legge che aveva avuto ragione e scopo tutto speciale. Si faceva poi a provare colle cifre alla mano che la censuazione era già compiuta per un poco meno della metà: delle 180,000 ettare dei beni censuabili sen’erano concesse sino a tutto il precedente anno 33,500 circa; altre 54,000 erano in corso di censimento nello stesso anno 1867, ed il ri- manente doveva appresso censuarsi. Finanziariamente poi, egli diceva, gli effetti furono secondo noi prodigiosi; e mostrò che la rendita di base all’asta era dupli- cata. Il deputato La Porta fece notare che i Ministri. precedenti, i quali avevano presentato i progetti di soppressione e d’ incameramento dei beni ecclesiastici, a- vevan sempre scritto un articolo speciale per conservare alla Sicilia la legge della enfiteusi. Per altro, i canoni avrebbero potuto essere assegnati all’ Amministrazione del fondo del Culto per gli oneri ch’ essa doveva adempire. Finalmente la stessa Finanza dello Stato ricavava dall’enfiteusi assai più di quello che colla vendita a- vrebbe potuto conseguire. L’onorevole Rattazzi, allora presidente dei Ministri, disse che non avrebbe fatta opposizione a questo emendamento, se si fosse soltanto trattato di conservare, qua- l’era, la legge dell’enfiteusi per la Sicilia; quantunque, egli soggiungeva, dovrebbe essere uno il sistema in tutte le parti dello Stato. Il relatore Ferraris in primo luogo avvertiva che era stato un deputato siciliano, competente a conoscere lo stato dei bisogni dell’isola, il quale aveva proposto in Commissione l’abolizione della legge dell’enfiteusi. Soggiungeva ch’ erano già scorsi 5 anni da che questa legge era in vigore, e perciò chi ne avea voluto profit- tare, già ne aveva avuto abbastanza il tempo. Ma, per dare un colpo più forte, egli manifestava che due considerazioni principali avevano mosso la Commissione a proporre che fosse abrogata la legge del 10 agosto 1862, cioè la necessità di uni- ficare le leggi e di non far sussistere ancora dei privilegi in favore di talune pro- vincie, e più di tutto lo interesse di non togliere ai bisogni dello Stato la grande parte del patrimonio ecclesiastico siciliano che ancor rimaneva, sottraendola dalla vendita. Prese allora la parola il deputato Sella, il quale rilevaudo la impressione che ave- vano fatto nella Camera le osservazioni finanziarie del relatore, imprendeva in primo 156 STORIA DELLA ENFITEUSI luogo a dimostrare che una buona massa di fondi ecclesiastici siciliani, per effetto dell’art. 2° della stessa legge del 10 agosto 1862, rimaneva esclusa dall’enfiteusi e perciò soggetta alla vendita : erano tutti i fondi coperti di alberi o di vigne, gli aranceti ed oliveti di maggior valore, non che i boschi e tutte le miniere. Provava quindi che i 5 anni non erano stati bastevoli per condurre a compimento l’enfiteusi ed indicava le diverse ragioni dell’indugio. Infine spiegava anch’ esso la considera- zione più potente osservando che non sarebbe stato atto politico né prudente to- gliere adesso alla Sicilia ciò che poco prima le era stato conceduto. Come membro della Commissione d’inchiesta, sviluppava le varie cause del malcontento che ave- vano dato origine ai tumulti di Palermo, mostrava come in Sicilia tutto s'interpre- tasse in odio al Governo, e che dopo quei fatti e dopo la recente applicazione della legge che aveva imposto un dazio sulla coltivazione del tabacco, non sarebbe stata sana politica, nè atto di buona finanza, venire intempestivamente a sopprimere, e nel bel meglio della sua esecuzione, la legge dell’enfiteusi, Volle pure prender la parola il deputato Sineo esponendo che anche la Sardegna trovavasi in condizioni simili a quelle di Sicilia, e che con la legge in discussione la enfiteusi non veniva proibita; perocchè in massima si era ordinata non la ven- dita, ma l’alienazione dei beni già ecclesiastici, e l’alienazione si sarebbe potuta eseguire dalla Commissione provinciale di sorveglianza mediante l’enfiteusi, Per altro, i canoni enfiteutici erano pur dei valori commerciali che lo Stato avrebbe potuto vendere a suo favore. Il relatore aveva compreso l’efficacia dell’argomentazione del deputato Sella e l’ef- fetto che già la Camera ne sentiva, onde egli venne ad attaccarlo con vivacità, so- pra tutto nella parte della politica. Uriticò la popolarità che si vorrebbe acquistare concedendo privilegi a certe provincie con discapito delle finanze nazionali. Che quella legge fosse stata bene accolta da’ siciliani, non è un buono argomento, perchè è na- turale che i favori si accolgano con piacere. La quistione vera è quella di far’ en- trare nelle casse dello Stato, conservando l’enfiteusi, quei 100 milioni che darebbero i beni ecclesiastici di Sicilia se fossero venduti. Su di ciò l'onorevole Sella non si è spiegato, Per altro, la vendita colla dilazione dei 18 anni ha quasi tutti i van- taggi della enfiteusi redimibile ; ma ha dippiù il beneficio di far’entrare immedia- tamente nelle pubbliche casse il decimo del prezzo, e di anno in anno il rimanente colla fruttificazione scalare al 6 per 100, su di che la Finanza potrebbe conchiudere una buona operazione bancaria. Chiusa Ja discussione, fu messo ai voti l'emendamento sopra indicato che conser- vava in Sicilia la legge del 10 agosto 1862, e dopo prova e controprova fu accolto. Divenne esso l’art. 16° della legge che porta la data del 15 agosto 1867 n. 3848. Il combattimento fu vivo, ma il trionfo fu veramente segnalato per la legge del- l’enfiteusi, poichè è raro che una legge dopo 5 anni venga di nuovo giudicata dal Parlamento; e come è chiaro, essa fu ben giudicata da’ suoi effetti. Non debbo però lasciar di osservare per parte mia che gli argomenti messi in- DEI TERREN !FECCLESIASTICI DI SICILIA 157 nanzi per l'abrogazione di detta legge erano in sé stessi di poco valore. Il deputato Accolla, che ne aveva fatto la proposta alla Commissione, non era competente a de- cidere se già la legge fosse stata a sufficienza applicata: egli provveniva da Sira- cusa e conosceva ciò che si era fatto ivi, ed al più nel limitrofo circondario di Ca- tania. Egli non poteva in serio asserire che ne’ circondarii pur non lontani di Noto, Modica ed Acireale, la censuazione si fosse realmente eseguita; senza dire che negli altri punti di Sicilia, come Piazza, Terranova, Cefalù, Messina, a quell’epoca si erano fatte pochissime subaste; e pei tre circondarii della provincia di Trapani, come pei due circondarii di Girgenti e di Bivona, e per quelli di Termini e di Palermo, gl’in- canti erano appunto allora nel maggior vigore. Qual giustizia vi sarebbe stata a sop- primere tutt'insieme una operazione che tanto era costata, ed a lasciare compiuta l’enfiteusi in alcuni soli luoghi, a mezzo in altri, ed in altri non eseguita affatto? Considerare la legge dell’enfiteusi siccome un privilegio, era un errore. Essa avrebbe potuto essere applicata a tutta l’Italia senza ricorrere alla vendita, la quale non ha poi dato i frutti sperati. L’enfiteusi avrebbe fatto più prontamente liquidare il pa- trimonio ecclesiastico in canoni certi e determinati, garantiti dai fondi medesimi e dalle migliorie che tosto vi fa ciascuno utilista. E cotesti canoni, equivalenti in fondo a rendita sul Gran Libro perchè con rendita avrebbero dovuto affrancarsi, sarebbero Stati oggetto di buona operazione bancaria in favore dello Stato. Infatti il Ministro delle Finanze Cambray-Digny ebbe a confessarmelo in dicembre 1868 che assai me- glio sarebbe stato, se si fosse fatta subito coll’enfiteusi la liquidazione di tutti i beni ecclesiastici d’Italia. La legge della vendita che altro fece entrare nelle casse dello Stato, se non che il decimo del prezzo? Il resto va entrando nella sparuta proporzione di un diciot- tesimo per anno, tanto che non è da farne un serio conto. Intanto la vendita, per questo stesso che ha bisogno di un decimo del prezzo oltre le tasse di registro (somme tutte che il compratore deve levare da quelle che potrebbe destinare alla coltiva- zione del fondo), non ha avuto il concorso che ha trovato l’enfiteusi, Questa ha rad- doppiato la rendita che serviva di base all’asta, come le statistiche han dimostrato; e la vendita nemmeno ha prodotto un terzo di aumento in tutta la sua generalità, siccome pur le statistiche son venute a mostrarlo. Per ottenere un decimo imme- diatamente, perdere due terzi di prezzo e tutte le correlative tasse di registro, non è una buona operazione di finanza. Il paese ha dritto al suo miglioramento e la concessione in enfiteusi dei beni ec- clesiastici ha corrisposto meglio a questo scopo, perchè ha favorito i mezzani e pic- coli agricoltori, non. chiedendo da loro che le sole tasse di registro immediatamente ed un capitale per poter coltivare: onde essi, nella speranza dei futuri migliora- menti, han fatto aumento?al canone, e così restano legati dalla necessità di miglio- rare producendo un bene a sè stessi, al domino diretto ed all’agricoltura. Tutte queste considerazioni doveva aver presenti la Commissione, quando voleva abrogata la legge dell’enfiteusi in Sicilia; e se non credeva adottare questa forma 158 STORIA DELLA ENFITEUSI di alienazione per tutta Italia, non vi era ragione di toglierla alla Sicilia, alla quale per giustizia e non per favore era stata concessa, e ciò nel bel mezzo del suo svi- luppo, quando già tante spese erano state fatte per formare i quadri, per quotiz- zare, per aprire gl’incanti. Dire che 5 anni erano stati troppi per applicare la legge, era un volersi burlare della verità, un voler chiudere gli occhi su tutte le opera- zioni che si dovevano premettere, su tutte le difficoltà che si eran dovute incon- trare per fare approvare il regolamento, per impiantare Je Commissioni e la Soprain- tendenza, per andare a togliere dalla casa altrui le notizie necessarie, per far giu- stizia su i reclami, per far le quote, per occorrere alle spese abbisognevoli, per fare aprire e condurre a termine gl’incanti presso 14 Tribunali e più di 500 dele- gati. Voler poi frustrare la Sicilia delle sue migliori speranze nell’apogeo medesimo della loro realizzazione, sarebbe stato un atto veramente ingiusto ed impolitico, come ben lo stigmatizzava il deputato Sella. La legge della enfiteusi, dopo aver vinta quella grave pruova nella Camera, non ebbe più verun’altra minaccia. Anzi essa fu nuovamente confermata coll’art, 9° della lesge 11 agosto 1870, alligato P, così concepito: « Resta mantenuta per le provincie di Sicilia la legge 10 agosto 1862, n. 743, » La detta legge fu dunque per tre volte confermata, colla legge del 7 luglio 1866, con quella del 15 agosto 1867, e colla su indicata del di 11 agosto 1870. $ 32 Trattative private — Diminuzione di canone in casì speciali — Fondi non potuti concedersi in veruna guisa. L’art. 30 della legge aveva previsto il caso della triplice deserzione degl’intanti ed aveva ordinato che in tal caso fossero restituiti i quaderni alla Commissione per mezzo del R. Procuratore del Tribunale, affinchè essa colla privata trattativa, e senza punto immutare i quaderni stessi, proccurasse di concedere in enfiteusi i fondi in tal condizione. Siccome apparirà dai risultamenti che esporremo nell’ultimo Capo, i terreni che non trovarono offerenti nelle aste pubbliche furono ben pochi, in con- fronto ai moltissimi che furono regolarmente censuati cogl’incanti. Per lo più la de- serzione ebbe luogo pei fondi piccolissimi, o pure per qualche quota che per ra- gioni affatto speciali comparve gravata di un canone assai superiore al suo reddito attuale. Inoltre in alcuni luoghi concorse pure alla deserzione delle aste enfiteutiche l’in- flusso clericale che faceva scoraggiare i piccoli ed ignoranti agricoltori col timore delle pene ecclesiastiche. A preferenza nel circondario di Patti ed in quello di Noto accaddero Ie deserzioni di molti piccoli fondi. Venivano quindi alle rispettive Commissioni i quaderni e dovevasi procedere alla privata trattativa. La Sopraintendenza con nota circolare del 3 gennaro 1866 aveva disposto che i Presidenti delle Commissioni dovrebbero fare annunziare dai sindaci DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 159 locali per mezzo di avvisi amministrativi in tutti i comuni del circondario 1’ aper- tura della trattativa, indicando il fondo, l’ estensione, il canone ed i pesi, e desi- gnando la giornata in cui la trattativa doveva aver luogo. Nel giorno stabilito il maggiore offerente sarebbe preferito, ed in favor di lui la Commissione stipulerebbe il contratto d’enfiteusi per mezzo di pubblico notaio. Se offerenti non si presentassero, si dovrebbero ripetere gli stessi avvisi un’altra volta colla indicazione di un nuovo giorno; ed anche per una terza volta, se la seconda trattativa riuscisse pure senza oblatori. Questo sistema toglieva ogni rea speranza a coloro che avrebbero potuto far non comparire all’asta pubblica gli offerenti, colla intenzione di prendersi il fondo in en- fiteusi senza concorso di altri nella privata trattativa. Inoltre era un freno salutare quello stabilito dal sudetto art. 30°, che il quaderno in tal caso non si potrebbe im- mutare: estensione, confini, canone netto, pesi, vie, servitù ed altro, dovevano ri- manere come erano stati disposti, giusta gli articoli 20, 21 e 22 della legge. Il fatto mostrò che anche le trattative private recarono un aumento al canone che serviva loro di base. La maggior parte di tali fondi fn così censuata, ed in confronto furono pochissimi quelli che non si poterono affatto concedere. Per agevolare la concorrenza alle trattative private, si dovette far determinare dal Ministero che tutte le spese, fatte per la pubblicazione ed affissione dei bandi e pei verbali delle subaste pubbliche rimaste deserte, non dovrebbero ricadere sopra coloro che verrebbero a stipulare |’ enfiteusi colla trattativa privata. Se tali spese sì fossero pur dovute pagare, sarebbero state di grave ostacolo al compimento della trattativa, perchè in tre incanti pubblici consecutivi le spese andavano più crescendo. Quindi con Ministeriale del 5 dicembre 1864 fu stabilito non doversi adoperare carta bollata nei verbali negativi d’incanto, non toccare dritti in tal caso agli uscieri per l’ affissione dei bandi; e coi Giornali Ufficiali si convenne non esser dovuta somma alcuna per la loro inserzione. Quantunque il maggior numero delle trattative avesse avuto il suo buono effetto, pure rimasero non ricercati quei fondicelli che non avrebbero potuto valere per una speculazione agraria, e quei lotti che non avrebbero potuto sopportare il canone loro assegnato. Per cotesti lotti si presentarono taluni che offerivano un canone minore. Dopo l’esaurimento di tre aste pubbliche e di tre private trattative, era giusto in- dagare il perchè tali terreni non trovassero oblatori al livello stabilito e si offerisse invece un canone minore. Spesso dalle indagini risultava che qualcuno degli elementi, su cui la rendita netta era stata fondata, come l’imponibile catastale, o pure la media degli affitti dal 1855 al 1860, era stato a quel tempo assai elevato per l’esistenza di determinate miglio- rie nel fondo, per esempio di una vigna o di un giardino nella pienezza del suo sviluppo, ed ora quelle migliorie erano molto deteriorate per la vecchiaia, per la crittogama, o per l’abbandono: onde il canone del quadro era riuscito più alto di quello che adesso converrebbe. Talvolta pure la disproporzione del canone dipen- 160 STORIA DELLA ENFITEUSI deva da erronea distribuzione che il perito aveva fatto della rendita netta di un latifondo ai singoli lotti, caricandone qualcuno più di quello che meritasse in re- lazione alla sua topografia ed all’indole della coltura che potrebbe appartenergli. — Quando alcuna di queste cause si chiariva con prove indubitabili, la Sopraintendenza prendeva il sistema di fare accettare dalla Commissione l’ offerta che tra tutte si presentasse maggiore, e purchè in ogni caso non fosse minore di due terzi del ca- none assegnato nel quaderiio, ma sotto espressa condizione che l’enfiteusi così con- chiusa sarebbe valida, qualora fosse approvata dal Ministero. Spediva quindi al Mi- nistero il contratto, spiegava le peculiari ragioni del ribasso e ne promuoveva l’ap- provazione. Con tal sistema si stipularono alcune enfiteusi e si ebbero insieme suffi- cienti garanzie. Non ostante quest’ultimo temperamento, restavano pur tuttavia i piccoli fondi ed i lotti d’ infima qualità, che affatto non erano chiesti. Proposi quindi al Ministero uno dei due partiti: o cercare di concederli in gruppi con un positivo ribasso di canone, rimanendo a cura degli speculatori farne poi le concessioni minute con pro- porzionato discalo, ovvero far dichiarare dalla Commissione che non sia più appli- cabile a quei fondi la legge dell’enfiteusi, indi a che pei beni passati al Demanio si sarebbe fatta la vendita in base all’altra legge del 15 agosto 1867, cioè sul prezzo della perizia, colla quale naturalmente a questi fondi sarebbe stato assegnato il va- lor minimo che loro realmente competeva, — Fra i due partiti, con Ministeriale del 4 settembre 1869 fu accettato quest’ultimo (Documento U). Furono quindi invitate tutte le Commissioni per la dichiarazione della inapplica- bilità della legge 10 agosto 1862 ai fondi che si trovavano in coteste condizioni; e fu principalmente ne’ circondarii di Patti e di Noto ove se ne vide il maggior nu- mero. Le Intendenze finanziarie, alle quali si mandavano i correlativi deliberati, fu- rono pregate di procedere alla vendita, $ 33 Conversione în annua rendita delle prestazioni dovute in natura — Colonie perpetue. Con real decreto del 19 maggio 1864 (Documento V) il ministro Pisanelli volle dare alle Commissioni enfiteutiche di Sicilia un altro incarico, cioè quello di ese- guire il decreto emanato dal Prodittatore Mordini il 4 ottobre 1860 (Documento X) per la conversione in annua rendita delle prestazioni variabili ed invariabili dovute in natura sopra i fondi ecclesiastici. Abolite col sudetto decreto prodittatoriale le decime personali, rimanevano conservati tutti i censi, canoni, ottene, decime, duo- decime, vigesime ed altre prestazioni fisse o variabili, in cereali, caci, olio, mosto e simili, che rappresentavano il canone dovuto sul fondo al domino diretto. Ed af-. finchè si fissassero in annua rendita tutte coteste prestazioni, sì per poterle pron- tamente affrancare, si per liberare la coltivazione delle terre dallo impaccio che dava la loro esazione in natura, ne fu ordinata la conversione. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 161 Il sudetto Ministro dovette aver presente la facoltà che lo art. 17° della legge 10 agosto 1862 aveva dato alle Commissioni enfiteutiche, cioè di poter convertire in annua rendita qualunque dritto prontamente valutabile. E siccome l’ unica Giunta istituita col citato Decreto prodittatoriale non era in grado di compiere la vasta operazione del convertimento di tutte coteste prestazioni, ch’erano moltissime, anzi in tre anni e mezzo non ancora vi aveva posto mano, così il ministro Pisanelli, con- tando sulla buona riuscita delle operazioni affidate per ogni circondario alle sudette Commissioni, determinò alle medesime dar l’incarico di compiere siffatta conversione. Il Ministro si diresse alle Prefetture per dare alle singole Commissioni le istru- zioni occorrenti. La Sopraintendenza ebbe soltanto l’incarico dell’ alta vigilanza di questa operazione. — Le istruzioni riguardavano principalmente due cose: la compe- tenza delle Commissioni, e le spese necessarie per la formazione dei relativi ver- bali, di cui se ne dovevano fare cinque esemplari, uno per la segreteria della Com- missione, uno per il titolare, uno per il debitore, uno per il Governo, e l’altro per l’amministrazione del Demanio, Quanto alla competenza, facevasi notare che le Commissioni possono procedere alla conversione, semprechè non sia litigio sull’essere dovuta o meno la prestazione e sulla sua quantità, o sul criterio che regola la quantità. Essendovi uno di tali li- tigii, la Commissione rimette le parti ai Tribunali ordinarii, È lo stesso principio che fu sancito nel sudetto art. 17° della legge dell’enfiteusi. La Commissione giudica sol- tanto sull’equivalente della prestazione variabile o invariabile per convertirla in de- naro, prendendo a base le assise dei prezzi delle singole derrate e la quantità della prestazione nell’ultimo decennio, come venne prescritto dallo art. 3° del regolamento 18 ottobre 1860 in esecuzione del sudetto decreto prodittatoriale (Documento Y). Quanto alle spese, la Commissione le valuterà anticipatamente e le porrà a ca- rico in metà del titolare, ed in metà del debitore. - Le Commissioni, sulle istanze o dei titolari o dei debitori, emanavano gli editti giusta il citato regolamento; e se gli enti morali non offrivano i loro titoli nel tri- mestre assegnato, deliberavano di sospendersi il pagamento delle prestazioni giusta l’art. 4° del regolamento stesso. La sudetta conversione diede molto da fare a talune Commissioni, perchè in al- cuni circondarii, come in quelli di Messina, di Castroreale, di Modica e di Cefalù, vi erano numerose prestazioni di tal natura. Spesso ancora mancavano gli elementi del decennio prescritto, per poter fissare la quantità ed il prezzo della derrata che do- vevasi convertire in denaro: perlocchè era necessario ricorrere alle perizie. Ne’ circondarii delle tre provincie occidentali, Trapani, Girgenti e Caltanissetta, vi erano le decime sui cereali e sui frutti di mandra, delle quali i rispettivi titolari, cioé i vescovadi di Mazzara e di Girgenti, parecchi canonicati di entrambe quelle cattedrali e molti parrochi ed arcipreti, domandavano dalle Commissioni la conver- sione, appoggiandosi ai ruoli esecutivi annuali in virtù dei quali solevano esigere tali decime dai singoli coltivatori dei terreni, o da quelli che vi facevano pascere Giornale di Scienze Nat. ed Econ., Vol. VII, Parte II. 21 162 STORIA DELLA ENFITEUSI la loro greggia, in base ad un estimo che se ne faceva ogni anno dai periti. Richie- sta in proposito la Sopraintendenza del suo avviso, ebbe a far rilevare alle rispet- tive Commissioni che in tal caso, oltre al litigio che già movevano coloro a di cui carico si volevano far convertire tali decime (i proprietarii dei fondi), mancava pure nei ruoli il debitore fisso, né vi era costantemente il fondo stesso soggetto a deci- ma; perocchè i ruoli indicavano i coloni variabili di anno in anno, ora erano que- sti ed ora gli altri, secondo il sistema durgensatico siciliano di coltivare a cereali quei latifondi; e quando il terreno non si coltivava più a cereali, ma era tempora- neamente lasciato incolto per preparare il maggese, o pure se ne cambiava del tutto la coltura piantandovi alberi o vigne, la decima non più era dovata, nè se ne com- pilava il ruolo. Epperò, i ruoli variabili sui quali comparivano soltanto gli eventuali coltivatori di cereali, ed ora un fondo ora un altro, non potevano servire di titolo contro i proprietari dei fondi stessi, di cui i singoli coltivatori non avevano alcuna rappresentanza. Forti di cotesti principii, le singole Commissioni di quei circondarii dichiararono in tutti i sudetti casi non trovar luogo a deliberare sulla chiesta conversione. Del che fecero risentimento i titolari ed i rappresentanti locali dello Economato pe’ beneficii vacanti; e le loro lagnanze giunsero perfino al Ministero di Grazia Giustizia e Culti, il quale volle pur chiedermi le ragioni per cui avevo dato un tale avviso alle Com- missioni. Ma le sudette ragioni erano talmente chiare e la competenza delle Com- missioni così recisamente circoscritta dal decreto prodittatoriale, dal regolamento e dal decreto reale del 1864, che nessuna cavillazione degl’interessati avrebbe potuto distruggere i principii sviluppati nel mio avviso. Era per questo che io non riputava affatto necessaria la presentazione che fece alla Camera il deputato La Porta di un apposito disegno di legge per dichiarare abo- lite le decime di tal fatta. Il titolo esecutivo dei ruoli, su cui esse si fondavano per isfuggire alla prescrizione trentennale e per mostrarsi in corso di percezione, non aveva per sè stesso alcuna efficacia contro i coltivatori annualmente variabili, i quali perciò non potevano rimanere perpetuamente soggetti al pagamento della de- cima convertita in annua rendita; e molto meno poteva averne contro i proprie- tarii dei fondi, i quali non avevan dato ai sudetti annuali coltivatori il mandato di pagare per loro. Essendo incompetenti le Commissioni a decidere su questo capitale punto di controversia, non si sarebbe nemmeno potuto temere che i magistrati or- dinarii assoggettirebbero in virtù di titolo sì difettoso al pagamento di decima con- vertita in annua rendita né i singoli eventuali coltivatori, nè i proprietarii. Cotali de- cime erano quasi tutte sagramentali, cioè compenso dell’amministrazione dei sagra- menti che si pagava ai curati o ai vescovi; quantunque gl’interessati si fossero tal- volta sforzati a dimostrare che erano decime regie, provvenienti da speciale imposi- zione del conte Ruggieri. E tali pur fossero state, sempre si dovevano riguardare come tasse in beneficio della cura d’anime, ed il moderno regime non permetterebbe più l’esistenza di alcuna tassa in favore di chicchessia senza la votazione esplicita DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 163 del Parlamento. Sempre è certo però che non erano decime prediali, poichè se tali fossero state, si sarebbero pagate in ogni tempo, qualunque pur fosse stata la col- tivazione a cui si fosse destinato il fondo; e le avrebbero pagato i proprietarii, ov- vero i coloni per loro mandato. La conversione di cui abbiam tenuto parola fece un gran beneficio ai coloni per- petui, dei quali vi era buon numero nella provincia di Messina. L’exfeudo Pace dei Benedettini della Maddalena di Messina, l’exfeudo Gala dei Basiliani di Barcellona, l’exfeudo Campo Caggegi dei Cisterciensi di Messina ed altri latifondi, erano nella maggior parte della loro estensione coltivati e beneficati da piccoli coloni, i quali o col titolo scritto, o anche oralmente, avevano ricevuto da antico tempo i singoli appezzamenti dai rappresentanti del monistero, e di padre in figlio se li erano tra- smessi, o ne avevano fatto pubbliche alienazioni in favore di altri. Il monistero rac-= coglieva da loro in ogni anno la metà del prodotto se era di cereali, di mosto, 0 di fronda di gelso, ed ordinariamente il terzo se era di olio, raccoglieva delle galline della seta, delle frutta; imperocchè tutte le piantagioni e colture erano state fatte dai coloni, e soltanto nel caso dei cereali il monistero dava loro le sementi. Con questo mezzo si beneficarono senza alcuna spesa dei titolari molti latifondi di quella provincia. Il raccolto di tali produzioni si faceva direttamente dai frati, ovvero essi lo davano in arrendamento, o come dicevasi in gabella. Tutti cotesti coloni domandarono la conversione in annua rendita delle rispettive prestazioni, per esser quindi liberati dalle continue guardie nell’epoche dei raccolti, e per acquistare insieme l’ indipendenza nelle loro coltivazioni. Non mancarono di quelli cui facevano desiderio cotesti fondi beneficati; avrebbero essi voluto indurre il Demanio a non riconoscere la validità, o almen la perpetuità di siffatte colonie, sia per mancanza di titolo originario scritto, sia per difetto di poteri nei frati che le avevano consentito. Affacciaronsi ben’anche degli speculatori che avrebbero voluto profittare dei timori di quei poveri coloni, per estorcer loro una qualche porzione dei loro fondi colla promessa di garantirli e far loro approvare quelle colonie. Ma il Governo diè termine a siffatte maligne pretese e fece giustizia ai coloni sulla sola dimostrazione dei loro dritti fatta dalla Sopraintendenza. L’ antichissimo loro possesso era dimostrato, non solo dalle attestazioni municipali, ma anche da’ varii loro atti e pagamenti durante il lungo periodo. I conventi non avevano avuto proi- bizione di concedere a colonia perpetua o di locare ad longum tempus, anzi erano state queste riconosciute come vere enfiteusi dalla Prammatica del 31 agosto 1771 (Documento A), e soltanto dopo il real decreto del 1° dicembre 1833 le loro enfiteusi furono assoggettite a forme speciali sotto pena di nullità (Documento 0). Onde tutte quelle colonie anteriori al sudetto real decreto dovevano riguardarsi come enfiteusi, e la conversione delle variabili derrate in annua rendita era ben dovuta. Pertanto le Commissioni furon chiamate ad eseguirla, con contento generale di tutti i coloni. Soltanto una variazione venne fatta all’art. 5° del regolamento della Prodittatura dalla legge 28 luglio 1867, colla quale, in occasione di estendere alle provincie di 164 STORIA DELLA ENFITEUSI Venezia e di Mantova la legge di affrancazione del 24 gennaro 1864, fu prescritto che le conversioni dovrebbero farsi in tutto il regno sulla media del ventennio an- teriore, cioè dal 1848 al 1867; e perciò le Commissioni d’allora in poi dovettero ri- cercare il ventennio, invece del decennio, dei prezzi e della quantità delle derrate. Questa interessante operazione fu anche dalle Commissioni condotta lodevolmente a compimento, con evidente vantaggio degli agricoltori che acquistarono maggior li- bertà, e dei titolari che sfuggirono agli eventi delle variabili produzioni ed alle dif- ficoltà di guardarle. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 165 DOCUMENTI DEL CAPO TERZO (N). « Sopraintendenza Generale delle Commissioni per l’enfiteusi dei beni rurali ecclesiastici di Sicilia, « Palermo, 24 dicembre 1863. — Num.-348. « Oggetto — Istruzioni suile operazioni prescritte dalla legge 10 agosto 1862 e dal regolamento 26 marzo 1863 per l’enfiteusi deì beni rurali ecclesiastici di Sicilia. « Ai signori Prefetti e Sotto Prefetti Presidenti delle Commissioni circondariali per l’en- fiteusi dei beni rurali ecclesiastici, ed ai signori Procuratori Regii presso i Tribunali cir- codariali di Sicilia. « Questa Sopraintendenza ha dovuto far trascorrere un certo elasso di tempo per potere aver presente un numero bastevole di casi pratici e di domande, sul quale ha creduto omai poter redigere un piano d’ istruzioni generali atte a facilitare e rendere uniformi le operazioni delle 24 Commissioni circondariali incaricate della enfiteusi dei beni rurali ecclesiastici di Sicilia, ed a metterle in armonia con quelle delle Autorità giudiziarie che dalla legge son chiamate a cooperarvi. Perciò lo scri- vente, prendendo a base la legge 10 agosto 1862, della quale ebbe egli l’onore di esser autore nel Parlamento, il regolamento 26 marzo 1863, nel quale per volontà del R. Ministero ebbe pure una cooperazione, e finalmente le varie risoluzioni Mini- steriali, e le speciali disposizioni date fin oggi da questa Sopraintendenza, verrà mano mano a riguardare tutto il corso delle operazioni enfiteutiche, per dilucidarle, coordinarle fra loro e risolverne i principali dubbii. E poichè le Commissioni non han tutte egualmente progredito nelle loro incombenze, essendovene talune bene in- nanzi, ed altre che sventuratamente, per circostanze del tutto ad esse non impu- tabili, non hanno ancora incominciato le stesse operazioni preliminari, perciò chi scrive stima giusto far principio sin dalle prime operazioni, e così andar di grado in grado risalendo sino alle operazioni ultime, affinchè ciascuna Commissione e ciascuna Autorità giudiziaria possa ritrovarvi tutti quelli schiarimenti che allo stato suo sono necessarii, « $ 1 Composizione delle Commissioni. — L'art. 4° della sopradetta legge e gli articoli 1° a 7° del succennato regolamento provvedono con sufficiente chiarezza alla composizione delle Commissioni. Egpoichè la composizione primaria di tutte le 24 Commissioni è già compiuta, quindi non occorre a questa Sopraintendenza di dare 166 STORIA DELLA ENFITEUSI ulteriori chiarimenti. Solamente è necessario rischiarare alcuni punti sopra l’even- tualità diverse di assenza, di traslocazione o di rinunzia de’ varii componenti. « 1, E prima, si fece dubbio intorno al caso che taluni Ordinarii diocesani si son negati a delegare l’ecclesiastico che lor concede la legge di nominare come membro della Commissione. Epperò l’ art. 3° del regolamento ben provvide che la Commis- sione si deve intendere legalmente composta, quando anche gli Ordinarii fra i dieci giorni dall’invito avuto dai rispettivi Prefetti non abbiano curato di delegare. Con ciò intanto non si esclude che eglino possano, quando che sia, nominare il loro de- legato, il quale entrerà a far parte della Commissione, in qualsiasi stadio di ope- razioni essa sia pure arrivata. è 2, È nato anche dubbio, se mai in assenza di un Sotto Prefetto il Reggente che lo rimpiazza possa entrare nella Commissione e presiederla — Ma è ben facile os- servare che il Reggente rappresenta in tutte le sue funzioni il Sotto Prefetto, e perciò lo rappresenta nella presidenza della Commissione. Il che non sarebbe, qualora un qualunque funzionario venisse a surrogare provvisoriamente il Sotto Prefetto senza la qualità di Reggente la Sotto Prefettura: allora sarebbe luogo ad applicare l’art, 6° del regolamento, cioè, che in mancanza del Sotto Prefetto le funzioni di Presidente saranno esercitate dal Giudice delegato. «3. Si è pur quistionato, se, essendo impedito il Ricevitore Demaniale, possa esser supplito da un impiegato burocratico del ramo finanziario che per grado sia assi- milato ad un funzionario della finanza. — Epperò l’assimilazione del grado non co- stituendo un vero esercizio di funzioni, ed essendo necessario che nella Commissione, a cui si attribuiscono poteri giurisdizionali e facoltà di decidere in prima istanza entrino persone eserceuti autorità, e non impiegati di segreteria, quantunque per avventura assimilati in grado a’ funzionarii; tanto più che il Ricevitore Demaniale 6 chiamato a presiedere la Commissione in mancanza del Giudice delegato; quindi non si può ammettere che un impiegato di segreteria, assimilato ad un funzionario di finanza, venga a rimpiazzare il detto Ricevitore. «4, L’art. 7° del regolamento prevede il caso che per qualunque causa uno dei membri non faccia più parte della Commissione, ed in tal caso attribuisce la fa- coltà di supplirlo con nuova nomina a ehi aveva l'originario dritto di nominarlo. — Or nei casi ordinarii di delegazione, cioè di un Consigliere di Prefettura delegato dal Prefetto, di un Giudice delegato dal Presidente della Corte d’appello, e di un ecclesiastico delegato dall’Ordinario, è necessario che le sudette Autorità deleganti stieno pur sempre attente e sollecite a nominare il rimpiazzo, appena abbiano la notizia del cessamento delle funzioni del loro delegato per qualunque siasi causa, aftinchè il servizio delle Commissioni -non ne resti menomamente ritardato. In ogni evento il Presidente della Commissione dovrà tosto provvocare il rimpiazzo, quando non vi abbia immediatamente provveduto l’Autorità delegante. « 5. È pur da avvertire alle Deputazioni provinciali che nella scelta dei Notabili che debbono far parte delle Commissioni, e specialmente in tutti i casì di rimpiaz- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 167 zamento , abbiano a nominare individui capaci, volenterosi, e taii che possano rise- dere nel capoluogo, ove la Commissione terrà le sue ordinarie sedute. Certamente la legge non ha inteso mai chiamare a questo importante servigio i notabili per sola ricchezza (i quali per lo più hanno opposti interessi), ma i notabili per pa- triottismo, per sapere, per stima pubblica, e più di tutto per zelo di eseguire la stessa legge. Non si debbono poi «obbligare individui che non possono risiedere nel capoluogo a fare dei continui viaggi; poichè, oltre il loro incomodo che sarebbe ben grave, non se ne potrebbe mai avere il servizio permanente ed attivo. Per questa ragione la Sopraintendenza Generale richiederà, unitamente al rapporto mensile delle operazioni della Commissione, un foglio d’intervento di tutti i membri della stessa, riserbandosi ad invitare i men diligenti a rinunziare la loro carica, qualora non possano sostenerla esattamente, con detrimento del pubblico servizio, o a farli di- chiarare dimissionarii volontarii, «$ 2 Composizione e servizio delle segreterie. — La pianta organica delle segre- terie delle Commissioni è fissata dall’art. 8° del regolamento: un Segretario, un Vice Segretario e due Applicati. Essi debbono a preferenza essere scelti tra gl’impiegati in disponibilità, ed avranno durante il servizio l’intero loro stipendio, anche quando ne avessero avuto parte. Saranno pagati sul certificato di servizio del Presidente della Commissione; ed al termine del medesimo servizio, sopra deliberazione della Commissione , saran provvocati i superiori riguardi a favor di coloro che abbiano dato prove di onoratezza, assiduità ed intelligenza (art. 49° del suddetto regola- mento). « Da ciò segue: « 1. Che gl’impiegati chiamati a servire nelle segreterie delle Commissioni sono in servizio effettivo di attività, come gl’impiegati di tutte le altre Commissioni tem- poranee che godono dello intero stipendio (art. 17° della legge 11 ottobre 1863). « 2, Che non potranno affatto ricevere il pagamento sopra il semplice certificato di esistenza, come tutti gli altri individui tenuti in disponibilità, ma è necessario il certificato di servizio. Perciò i Presidenti delle Commissioni, avuta la nomina dei loro impiegati, sono in obbligo di avvertire le rispettive appoderazioni, da cui essi - sono stati finora pagati, affinchè indispensabilmente e sotto la lore responsabilità esigano il certificato del servizio per ispedire ai medesimi i mandati di pagamento. « 3. Che niuno degl’impiegati potrà rimanere lontano dal servizio senza un re- golare congedo entro i limiti stabiliti dalla sopracitata legge 11 ottobre 1863, sotto pena di esser dichiarati dimissionarii nel caso contrario. « 4, Che quando un impiegato si trovasse a prestar servizio da provvisorio o da volontario in altra amministrazione dello Stato, e fosse quindi per decreto ministe- riale chiamato a servire nella segreteria di una Commissione, deve intendersi ce- duto il suo servizio provvisorio o volontario, poichè entra nell’attività del servizio presso la Commissione colla qualità che gli viene assegnata. « 5. Finalmente si raccomanda ai Presidenti delle Commissioni di spedire alla So- 165 STORIA DELLA ENFITEUSI praintendenza un rapporto mensile sul servizio effettivo degl’impiegati, salvo ad av- visarne immediatamente, se occorresse, le gravi mancanze. «:$ 3 Delle spese d’insediamento per le Commissioni e per la loro segreteria. — Gli articoli 6° della legge e 50° del regolamento prescrivono che ogni Commissione abbia un suo fondo speciale, composto delle multe che si esigono dai titolari eccle- siastici disubbidienti alla dichiarazione voluta dalla stessa legge. Su questo fondo, che dovrà conservarsi presso i Ricevitori demaniali, lo Stato anticipa a ciascuna Commissione ed a questa stessa Sopraintendenza le spese necessarie pel loro rispet- tivo insediamento. — Intanto è importante raccomandare a tutte le Commissioni, e principalmente ai loro Presidenti, che curino il maggior risparmio in tutte le spese di questo genere. s 1, E primieramente è giusto cercare un luogo per la segreteria e per le sedute ordinarie della Commissione, che non rechi allo Stato veruna spesa, o che gli re- chi la minore possibile. Facilmente in molti capiluogo si può trovare la capacità necessaria dentro lo stesso palazzo della Prefettura o della Sotto Prefettura, ovvero in qualche altro luogo comunale o monastico, che si può economicamente ottenere. In ogni caso che sia necessario venire ad un affitto, è d’uopo renderne per lo Stato men gravose che si può le condizioni ed i riattamenti del luogo. « 2, La franchigia postale e telegrafica è già concessa a tutti i Prefetti e Sotto Prefetti, come anche a questa Sopraintendenza Generale: perciò non occorre da que- sto lato veruna spesa « 3, Tutte le spese di mobilia e di locazione di casa, laddove sieno necessarie, e tutte quelle di ufficio, van comprese nell’insediamento; e perciò i Presidenti le col- locheranno in questa categoria, e le domanderauno in anticipazione sul fondo sud- detto delle multe dal Ricevitore del Demanio, a termini del detto art. 50° del re- golamento. e 4, Occorrendo per lo più che nei comuni grandi la Commissione sia allocata nel palazzo della Prefettura, e negli altri capiluogo più piccoli essendo sempre breve la distanza dalla Sotto Prefettura al luogo in cui siede la Commissione, non si può permettere, salvo un bisogno strettissimo, che si facciano spese per inservienti o per uscieri; mentre si può facilmente destinare a tali ufficii uno di quelli che sono addetti alla Prefettura o Sotto Prefettura. « 5. Per le spese di trasferta dei Notabili, che non riseggono nel capoluogo, di già il signor Ministro dello Interno ha raccomandato che si collochi nei bilanci pro- vinciali un’ apposita somma: ma é sperabile che tali spese non si rendano assai gravi, quando le Deputazioni provinciali avranno l'avvertenza, di cui fecesi menzione nel num. 5 del $ 1, cioè, di scegliere individui notabili per patriottismo, e tali che possano risiedere senza difficoltà nel capoluogo. «$ 4 Lavori preliminari della Presidenza. — Doveri delle Giunte municipali, dei Notari, dei Percettori, e dei titolari ecclesiastici. — Ciascun Presidente ha l’ob- bligo di preparare la materia, su cui debbono cadere i lavori e le deliberazioni della DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 169 sua Commissione. Gli articoli 7° a 9° della legge, e più particolarmente gli artico- li 10° a 15° del regolamento, determinano ciò che la Presidenza deve fare come lavori preliminari. Tali lavori sono: « 1° Convocare la Commissione e fare stabilire le giornate ordinarie delle sedute. « 2° Far pubblicare in un giornale della provincia e nel giornale ch'è officiale per la Sicilia i nomi dei componenti la Commissione, coll’indicazione del giorno e del luogo in cui cominceranno le ordinarie sedute. « 3° Domandare dalle Giunte municipali 1° esatto notamento di tutti i corpi mo- rali ecclesiastici esistenti in ciascun comune, e di tutti quei titolari ecclesiastici che son descritti nell’art. 1° della legge, colla indicazione del nome e cognome del rappresentante. Tal notamento dovrà esigersi fra lo spazio di giorni 30 dal di della domanda. « E poiché su questo punto la Sopraintendenza generale ha dovuto osservare i maggiori difetti, che poi son cagioni d’ inesattezze nei lavori delle Commissioni e nelle sentenze di multa contro i renitenti alla dichiarazione, perciò il sottoscritto stima suo debito avvertire ai Presidenti delle Commissioni le seguenti principali norme, affinchè vogliano efficacemente inculcarle alle rispettive Giunte: « a) Sono titolari ecclesiastici tutti quelli che rappresentano o definitivamente 0 provvisoriamente qualunque benefizio ecclesiastico, cioè vescovadi, abbazie, prelature, priorati, dignità di Capitoli e di Collegiate, canonicati, masse comuni di distribu- zioni corali, parrocati, e beneficii semplici, non che qualunque rettoria di chiesa, qualunque cappellania non laicale, qualunque opera di culto divino, qualunque con- gregazione ecclesiastica, qualunque seminario diocesano, qualunque convento, moni- stero, collegio di Maria, o altra casa religiosa. « Si deve solo notare che sono ecclesiastici e soggetti alla giurisdizione degli 0r- dinarii i collegi di Maria, le cui regole sono state approvate e riconosciute dalla chiesa secondo le norme del cardinal Corradini. « Tutti gli altri collegi di Maria, le cui regole dalla chiesa non sono state rico- nosciute ed approvate, sono laicali. Così è sancito nella risoluzione lmogotenenziale 15 agosto 1831, negli articoli 1° e 4° del regolamento luogotenenziale 21 luglio 1834, e nell’altra risoluzione della stessa luogotenenza 14 luglio 1852. « b) I capitoli e le collegiate non sono rappresentati in massa, fuorchè nella sola distribuzione corale: in tutt'altro ogni canonico rappresenta il suo singolo be- neficio ed ha una prebenda a sè: perciò ciascuno deve essere annotato, affinchè sia invitato alla dichiarazione. Così non è dei conventi, monisteri, o altre case religiose, nelle quali il superiore rappresenta per ordinario l’intiera comunità. ec) Tutti i titolari ecclesiastici che esistono in un comune, abbiano o non ab- biano beni fondi, sieno o non sieno i Joro beni soggetti all’enfiteusi, debbono esser dati in notamento dalle Giunte; poichè esse non sempre sono in grado di sapere, se i detti titolari, non avendo beni nell’ambito del comune, ne abbiano altrove; nè spetta ad esse giudicare, se i beni che quelli hanno debbono escludersi o no. dall’ enfi- Giornale di Scienze Nat. ed Econ. Vol. VII. Parte II. 22 170 STORIA DELLA ENFITEUSI teusi. Il deliberare su di ciò spetta unicamente alle Commissioni (art. 27° del regola- mento). « d) Oltre alla nota dei titolari ecclesiastici ch’esistono nel comune, deve ogni Giunta fornire alla Presidenza della Commissione un’altra nota di tutti quei titolari, che risiedendo in altro comune ban pure i loro beni rurali nel territorio soggetto alla giurisdizione della stessa Giunta. Possono le Giunte attinger le notizie di tali tito- lari dai ruoli catastali, e specialmente dagli stati di sezione. Esse cercheranno d’in- dicare, se lo potranno, i nomi e cognomi di quei titolari, ed in ogni caso dovrau dire il luogo della rispettiva loro residenza. « e) Sopra tutto è importante non confondere tra i titolari ecclesiastici le opere di pubblica beneficenza, o le cappellanie laicali ed i collegi di Maria egualmente lai- cali. Imperocchè è occorso che intimati i loro rappresentanti a dichiarare, e non avendo risposto all’intima, sieno stati proposti ai Tribunali per l'applicazione della multa; ma i Tribunali, venuti in chiaro della loro natura laicale, han dovuto esimerli, con perdita di tempo della giustizia, perdita di fatiche delle Commissioni, e perdita di spese del pubblico erario.— Le Giunte hanno un mezzo facilissimo per sapere quali sieno le opere di beneficenza pubblica, gli stabilimenti pii, le cappellanie laicali. Per le precedenti leggi tutte queste istituzioni pie erano soggette ai Consigli d’Ospizii o direttamente, o per mezzo delle Commissioni di pubblica beneficenza. Ed oggi per la legge 3 agosto 1862 son soggette alle Deputazioni provinciali o direttamente, 0 per mezzo delle Congregazioni di carità, Si faccia dunque un confronto dei titolari ec- clesiastici colle istituzioni che soggiacciono alle Deputazioni provinciali, per esclu- dere queste ultime e non darle inutilmente in nota alle Commissioni, «4, Dopo di ciò, ciascun Presidente dovrà mandare per mezzo dei Sindaci ai ri- spettivi titolari i moduli di lettera A, disponendo che siano intimati ai medesimi, e che gli sia trasmessa notizia della precisa’ giornata in cui siano state rilasciate le intime, «5. Dovrà contemporaneamente ciascun Presidente inviare ai Sindaci del suo cir- condario un certo numero di moduli delle lettere B e 6, affinché i Sindaci l’intimino ai notari dei loro comuni, onde nel termine di un mese dalla fatta intima corrispon- dano alla consegna del rispettivo elenco, o del certificato negativo, giusta lo art. 7° della legge e 12° del regolamento. « 6, Ghiederà altresi dai Percettori o esattori comunali, per lo stesso mezzo dei Sindaci rispettivi, gli estratti dei ruoli catastali di tutte le possidenze rusticane ec- clesiastiche site in ciascun comune. E qualora dai ruoli dei Percettori non risultino sufficienti lumi per poter conoscere i veri possessori ecclesiastici, i nomi delle con- trade, la estensione, la coltivazione ed i confini delle loro possidenze, dovrà richie- dere da’ Municipii gli estratti catastali degli stati di sezione. Che se tali stati per qualsiasi causa non esisteranno presso i Municipii, dovrà, anche richiederli dalle ri- spettive Direzioni demaniali, essendogli fatta facoltà a domandare i lumi da qual-- siasi Autorità in forza dell’art. 21° del regolamenta. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 171 «7. Dovrà anche il Presidente domandare dalle Giunte municipali un quadro di tutte le possidenze rusticane ecclesiastiche esistenti dentro l'ambito del loro comune, il quale quadro non occorre dire esser ben diverso del notamento dei titolari ec- clesiastici residenti o non nel comune, di cui è parola nel num. 3 di questo stesso $, Il quadro sudetto deve contenere, per quanto è più possibile, tutte le notizie circa ad estensione, coltivazione, natura di terreno, acque, alberi, fabbriche, macchine, fat- torie, miniere o loro indizii evidenti, ed affitti di tutti i fondi rustici pertinenti ai titolari ecclesiastici, risesgano o no nel comune. « Per compilare tal quadro potranno servirsi delle stesse categorie del suddetto modulo lettera A, aggiungendo in fine un’altra categoria per le osservazioni che po- tranno occorrere sopra ciascun fondo. « Quando le Giunte saranno restie ad obbedire nei termini loro assegnati a tutto ciò che alle medesime vien richiesto dalla legge, il Presidente della Commissione ° funzionando da Prefetto o da Sotto Prefetto, spedirà un commissario a loro carico giusta le facoltà che gli son date dal capoverso dell’art. 138° della legge comunale, per come è stabilito nell’articolo 16° del regolamento. « 8, Il Presidente dovrà riceversi, e dovrà far registrare in apposito libro, le dichiarazioni dei titolari ecclesiastici, mano mano che gli perverranno o diretta- mente o per mezzo dei Sindaci, e dovrà rilasciare a ciascun dichiarante la ricevuta a firma propria e del Segretario. « Dovrà ancora avvertire, o direttamente o per mezzo dei Sindaci, i rispettivi di- chiaranti di tutte le mancanze che si trovino nelle loro dichiarazioni, e dovrà in- vitare i medesimi a riformarle. Qualora essi negherannosi alle riforme, farà men- zione sul registro proprio e sulla ricevuta della mancante indicazione e del rifiuto, con riserba di farvi decidere dalla Commissione ai sensi dell’ art. 13° del regola- mento. È « Si debbono ritenere come dichiarazioni incomplete, e perciò debbono essere rifor- mate, tutte quelle che non indicano i confini del fondo, il comune o la contrada ove è sito, ovvero l’estensione, il numero preciso degli alberi o delle viti, delle case, delle macchine, o delle acque se ve ne siano, o che non indichino abbastanza se nel sessennio dal 1° gennaro 1855 a tutto il 1860 siano stati coltivati in affitto 0 in economia, « 9. Infine il Presidente, per compiere i suoi lavori preliminari, dovrà invitare le Giunte a rimettergli le proposte per la sospensione dei notari, qualora essi abbian mancato ai loro doveri entro il termine prescritto dalla legge. «$ 5 Idea generica delle facoltà istruttorie e delle facoltà deliberative appar- tenenti a ciascuna Commissione. — Per avere un’idea netta delle facoltà che com- petono a ciascuna Commissione entro l’ambito del suo circondario, e delle relazioni che può avere con altre Commissioni, ovvero con altre autorità, è giusto distinguere tutte le operazioni della Commissione in due classi: talune sono operazioni dstrut- torie che servono ad istruire la materia, ed altre sono deliberative che servono a decidere sulla materia convenientemente preparata. 172 STORIA DELLA ENFITEUSI « Le stesse operazioni deliberative talvolta diventano basi di un’ istruzione ulte- riore per servire alle deliberazioni susseguerti, « Nella parte istruttiva le Commissioni debbono mantenere l’ordine delle operazioni che vien prescritto dalla legge, e debbono nel tempo stesso riunire le pratiche ap- partenenti a tutti i fondi dello stesso genere per abbreviare, il più che sia possi- bile, senza scapito della esattezza, i lavori, Non è lecito perciò mettere innanzi una operazione dalla legge destinata dopo, in quanto ad un medesimo fondo, « Ma in quanto ai fondi di specie diversa è giusto fare una differenza. Quelli, su cui non cade contestazione, e intorno ai quali si han tutti gli elementi da parte de- gli ecclesiastici, delle Giunte e dei notari, possono esser trattati prima di quegli al- tri che offrono dubbii o controversie, o che non sono abbastanza rischiarati per mezzo degli elementi che la legge prescrive. Imperocchè è giusto avvertire che l’aspetta- zione pubblica, per il corso di tanti anni eccitata, vuole al più presto veder gli ef- fetti della benefica legge: al che si può soddisfare seuza pericolo alcuno di offen- dere la giustizia, quando si compiono innanzi agli altri i lavori che riguardano i fondi non contestati e ben forniti delle necessarie dichiarazioni, « Ciò non importa che i lavori sopra tutti gli altri fondi si debbano preterire, o sì debbano assolutamente riserbare al periodo ultimo, in cui siano totalmente com- piute le operazioni della Commissione su i fondi della prima specie. Ma soltanto è giusto distinguere queste due diverse specie di fondi per non imbarazzare le ope- razioni più semplici, che son necessarie in quelli della prima, colle operazioni più complessive e più minuziose che occorrono per quei della seconda specie. Così se- parate le rispettive operazioni, potranno procedere più regolarmente e ragciungere più presto il loro scopo. « Le deliberazioni della Commissione sono di due ordini. Talune, come ora notammo, fan parte dell’istruzione, e queste per lo più non riguardano l’interesse dei titolari esclesiastici, nè dei terzi: perciò sono per propria loro natura inappellabili. Queste sono le deliberazioni, di cui non è necessario fare alcuna notificazione nè privata, nè pubblica. Altre però sono deliberazioni che riguardano l'immediato interesse dei titolari ecclesiastici o de’ terzi, e perciò debbono notificarsi per mezzo di usciere o pubblicarsi nei giornali. « In quanto alle prime la Commissione deve far redigere i suoi verbali di sedute a firma del Presidente e del Segretario, giusta la regola generale stabilita nell’art. 4° della legge. Il Presidente poi, o i membri stessi della Commissione che ne sono spe- cialmente incaricati, danno esecuzione alle deliberazioni di tal fatta. « In quanto alle seconde è d’uopo suddistingnere due specie dl deliberazioni, cioè, quelle che si compiono dalla sola Commissione, e quelle che si formano colla riunione di due deliberazioni, una della stessa Commissione ed un’altra del Tribunale circon- dariale; come anche quelle che riguardano i soli interessi dei corpi morali ecclesia- stici, e quelle che riguardano i terzi. — L’economia di tutta la legge e del regola- mento è così fatta, che le deliberazioni riguardanti gl’interessi dei terzi, che van DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 173 compiute dalla sola Commissione, son sempre appellabili, ed il reclamo si porta in- nanzi alla Corte di appello. Quando però si tratta dell’interesse dei corpi morali ec- clesiastici, o di riunirsi una deliberazione della Commissione con una sentenza del Tribunale, allora son sempre inappellabili. Perciò le deliberazioni della prima spe- cie-ammettono un tempo a reclamare dopo la notificanza, e quelle della seconda specie non l’ammettono. « Infatti le deliberazioni intorno alle multe dei titolari ecclesiastici ed intorno alla sospensione dei notari, le quali si compiono con una deliberazione della Commissione attestante il fatto della mancata dichiarazione o elenco, e colla sentenza del Tribu- nale che applica ai medesimi la multa o la sospensione, non sono più appellabili, Come non sono appellabili tutte le deliberazioni della Commissione sui reclami sporti dai titolari ecclesiastici. Mentre all’incontro le deliberazioni della stessa sui reclami dei terzi son sempre suscettive di appello. « La esecuzione delle deliberazioni e delle sentenze, appellabili o no, che rignar- dano l'interesse dei titolari ecclesiastici o dei terzi, è sempre affidata al Presidente della Commissione, salvo la sola sospensione dei notari che rimane a cura del Pro- curatore del Re e della Camera notarile giusta 1° art. 17° del regolamento. Spetta quindi al Presidente sudetto estrarre le sentenze ed eseguirle con quella agevolezza di spese che vien fatta dall’art. 25° di detto regolamento. « $ 6 Delle pene che la Commissione provvoca contro è Percettori, Esattori co- munali e Notari. — Ricevuta dal Presidente della Commissione la relazione del Sin- daco, il quale attesti che i Percettori regii o gli Esattori comunali sonosi negati a fornire gli estratti dei ruoli catastali, o che hanno mancato a darli nel termine stabilito dalla legge, la Commissione ne prenderà conoscenza e provvocherà con ap- posita deliberazione le misure disciplinari contro i medesimi da’ superiori, da cui essi direttamente dipendono, siccome è stabilito nell'art. 16° del regolamento. « Parimenti, quando la Commissione per mezzo del suo Presidente avrà ricevuto dalle Giunte municipali le proposte per sospensione di notari, dovrà emettere de- liberazione, con cui attesterà il fatto che quei notari han mancato in tutto o in parte al rilascio dell’elenco o del certificato negativo; e tal deliberazione sarà tra- smessa per mezzo del Presidente al Procuratore Regio del Tribunale competente, affinché il Tribunale proceda contro di essi ai sensi degii articoli 17° e 18° del su- detto regolamento: sulla qual procedura lo scrivente non s’intertiene, appartenendo essa intieramente al Tribunale, ed essendo abbastanza delineata nei detti due ar- ticoli del regolamento. « In pari tempo la Commissione dovrà destinare un’altro notaro, che sulle minute notarili del renitente, ed a di lui spese, esegua le ricerche e formi gli elenchi o certificati prescritti, giusta l’art. 19° del citato regolamento. « Ordinerà parimenti che siano fatte le ricerche e sieno rilasciati tutti i certifi- cati, che gli altri ufficiali de’ varii rami non hanno voluto apprestare, essendo in facoltà della Commissione richieder notizie e certificati da qualunque altra Autorità, 174 STORIA DELLA ENFITEUSI per come prescrive l’ art. 21° del regolamento. Però in quest’ ultimo caso dovrà la Commissione dirigersi a’ superiori degli ufficiali che si sono negati alla richiesta, e col loro ordine farà destinare altri ufficiali a dare i lumi ricercati. Si applica in questo caso per analogia la prescrizione del sudetto art. 19% « Finalmente la Commissione dovrà fare istanza per mezzo del suo Presidente con- tro quei notari che abbiano rilasciato un elenco o un certificato negativo falso, af- finchè si apra a loro carico un procedimento penale; ed in tutto il corso del pro- cedimento la Commissione sarà rappresentata dal suo Presidente. « $ 7 Prima operazione della Commissione: il confronto di tutti gli elementi che la legge prescrive di esaminare per rilevare è fondi mal dichiarati o non dichia- rati, e proporre quindi per la multa gl'inobbedienti. — La legge ordina che, riu- niti tutti gli elementi dalla stessa prescritti e raccolte tutte le opportune notizie, la Commissione dovrà confrontare le dichiarazioni fatte dai titolari ecclesiastici coi quadri apprestati dalle Giunte, cogli spogli degli atti notarili e con le notizie che risultano dai catasti, all’oggetto di rilevare se le fatte dichiarazioni siano veridiche (art. 22° del regolamento). Questo esame deve precedere a tutti gli altri, « Però è d’uopo in primo luogo che il Presidente della Commissione invii tutti gli elenchi notarili e tutte le dichiarazioni dei titolari ecclesiastici, ove s° indicano fondi rustici esistenti in altro circondario, ai Presidenti delle altre rispettive Com- missioni circondariali, affinchè quelle nei loro esami possano tener conto anche degli elementi che provvengouo da fuori del proprio circondario; il che per altro è con- forme a quanto dispone l’ultimo alinea dell'art. 7° della legge. « Ciò fatto, ogni Commissione destina un relatore nel suo proprio seno per ese- guire tali confronti ed esami, e per riferirli. ° Intanto circa alla natura delle dichiarazioni dei titolari chiesiastici è d’uopo te- ner presenti le infrascritte norme: « 1, Si è fatto dubbio, se mai sia valida una dichiarazione, nella quale il titolare, rivelando esattamente tutti i suoi fondi rurali per come la legge comauda, non di- chiari esser pronto alla ordinata enfiteusi, ovvero dica esservi pronto sotto l’espressa condizione che debba aggiungersi il beneplacito apostolico. — Questo dubbio è stato sapientemente risoluto dal signor Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti con nota del 14 or decorso ottobre, nnm. 83233, div. 3*, disponendo che sieno ritenute va- lide siffatte dichiarazioni, poichè la legge è sufficientemente obbedita, quando si ap- prestano le cognizioni necessarie all’enfiteusi : il consenso dei corpi morali ecclesia- stici non è necessario, e deve ritenersi nulla e come non apposta la condizione del beneplacito apostolico, attesochè nelle provincie siciliane, per gli antichissimi dritti della suprema regalia e per quelli del regio patronato, di cui si è fatta espressa ri- serba dal cessato Governo nel decreto del 1° dicembre 1833 intorno all’ alienazione dei beni ecclesiastici, non vi è affatto bisogno del beneplacito apostolico in tutti i casi di vendita, di permutazione, di enfiteusi dei beni medesimi, e così in fatto si è sempre eseguito. Tal ragione cresce ancor più, ed il consenso degl’individui rap- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 175 presentanti ecclesiastici non è necessario, quando l’alienazione mercé un canone equi- valente redimibile si ordina per ragioni di utilità pubblica ed a tutti in generale, come nel presente caso. «2. Non è però ammessibile la scusa di quei titolari ccclesiastici, che mer sot- trarsi dall’obbligo della dichiarazione dicono non essere autorizzati dai loro superiori legittimi, ovvero di quegli altri, i quali, essendo sottoposti alla vigilanza o alla tu- tela di speciali Sindaci, Delegati o Commissarii pontificii, regii, ecc. credono non po- ter essere obbligati alla dichiarazione, se non coll’intervento di quelli stessi. Gli ar- ticoli 4° e 5° della legge mettono a carico del rappresentante ordinario del corpo morale l’obbligo di dichiarare, e dicono che esso non può scusarsi per la mancanza di pretesa autorizzazione. Perciò incombe al rappresentante ordinario del corpo mo- rale ottenere il permesso da’ suoi superiori nei due mesi di tempo che la legge gli accorda a dichiarare, ed è pur suo dovere proccurarsi tutti ì Iumi necessarii e l’in- tervento, se gli è bisognevole, del suo Sindaco, Delegato, Commissario, ece. In di- verso caso il corpo morale ch’egli rappresenta non può esimersi dalla multa. « 3. È pur’anche necessario avvertire che a termini dell’art. 7° della legge ogni titolare ecclesiastico deve una dichiarazione distinta per tutti i fondi ch’ egli pos- siede nell’ambito di ciascuna Commissione circondariale. Qualora la dichiarazione di tutti i fondi sia stata da lui fatta complessivamente innanzi al Presidente della Com- missione del circondario ove egli è domiciliato, allora sarà divisa la dichiarazione in tante subalterne, per quanti sono i diversi circondarii in cui sono i beni, ed il Pre- sidente rimetterà a ciascuna di quelle Commissioni circondariali la dichiarazione che riguarda i fondi siti nel suo territorio, siccome è stato detto in principio di questo stesso $. In tal caso il titolare ecclesiastico non può esser proposto come multabile da nessuna di quelle Commissioni; poichè ha adempito alla dichiarazione in modo che possano facilmente le Commissioni circondariali interessate averne la rispettiva conoscenza. : Se però il titolare ecclesiastico non ha dichiarato presso nessuna Commissione, al- lora, avendolo invitato a dichiarare ciascuna delle Commissioni ove sono siti i beni, ed essendosi lui reso disubbidiente in faccia a ciascuna, deve ogni Commissione se- paratamente proporlo al suo Tribunale come multabile; e quindi le multe divengono tante, quante son le dichiarazioni ch'egli doveva, cioè una multa per ogni Commis- sione circondariale. Ciò risulta dallo spirito del sudetto art. 7° ed anche dall’art, 6° della legge, poichè ogni Commissione ha dritto ad una distinta dichiarazione, e nella mancanza ha dritto a ripetere una multa. « Nel caso che le dichiarazioni si trovassero non veridiche, perchè contrarie agli altri elementi raccolti, la Commissione delibererà sulla dichiarazione stessa, ritenen- dola come manchevole. Nel tempo stesso proporrà il titolare ecclesiastico per l’ ap- plicazione della multa, indicando: <« a) se egli sia costituito in maggiore o in minor dignità; « b) se abbia mancato di dichiarare pochi o molti fondi, ovvero se la dichia- razione sia mancante negli altri accessorii che la legge prescrive d’indicare; 176 STORIA DELLA ENFITEUSI « c) se la mancanza sia stata avvertita dal Presidente, se questi gli abbia fatto l'invito a riformarla, e se ciò non ostante, abbia egli persistito nella negativa. « Tutti questi elementi son necessarii al Tribunale per applicare la multa tra il minimo ed il massimo. « Questa deliberazione dovrà esser trasmessa dal Presidente al Regio Procuratore per le operazioni ulteriori appartenenti al Tribunale. « 4, Oltre di questo primo confronto, ve ne ha un secondo. Cioè, preso a base il notamento dei titolari ecclesiastici fornito in principio dalle Giunte, e raffrontatolo colle dichiarazioni ricevute, si debbon rilevare quelli che sono stati refrattarii a di- chiarare. Ciò però non basta per proporli immediatamente per la multa, ma è ne- cessario fare un altro esames e questo raccomanda sopra tutto lo scrivente alla di- ligenza delle Commissioni, affinchè non avvenga il caso, come pur troppo è avvenuto, che individui o corporazioni laicali, ovvero titolari ecclesiastici che non posseggono affatto fondi rurali, sieno proposti per la multa e quindi il Tribunale, chiarita me- glio la loro posizione, debba rigettar la proposta. « Perciò la Commissione deve accertarsi veramente di ciò che sopra fu detto nel $ 4, num. 3, comma e, quanto a dire, che gli annotati come titolari ecclesiastici, i quali non han dichiarato, non sieno soggetti alla Deputazione provinciale o diretta- mente o per mezzo della Congregazione di carità; poichè, se ciò fosse, sarebbero in- clusi nella categoria delle Opere pie laicali, e perciò. non avrebbero obbligazione di dichiarare, né soggiacerebbero alla multa. La Commissione, per esser certa in que- sto interessante articolo, non si deve contentare delle avvertenze che il Presidente ne avrà dovuto fare alle Giunte municipali, come è stato detto nel luogo or citato; ma dovrà dirigersi alla Deputazione provinciale ed alle Congregazioni di carità, tutte volte che dal titolo stesso del corpo morale sorga dubbio che esso sia di natura pia lai- cale, come son per lo più i reclusorii, gli ospedali, i monti di pietà, le semplici mes- se, che per legge eran soggetti agli antichi Consigli d’Ospizii, ed ora per la detta legge 3 agosto 1862 alle Deputazioni provinciali. « Accertata bene nel sopradetto modo la natura del titolare ecclesiastico che non ha dichiarato, deve la Commissione assicurarsi dell’altro elemento necessario pria di pro- porlo per la multa, cioè ch’ egli possegga effettivamente dei fondi rustici di qual- siasi specie, senza di che il Tribunale nol potrebbe multare. A tale oggetto la Com- missione deve esaminare con diligenza i quadri somministrati dalle Giunte, gli elen- chi notarili, e principalmente i succennati estratti degli stati di sezione catastale, per rilevare se essi posseggano dei fondi rustici. E quando da tutti questi elementi non risulti di possederne, deve la Commissione esigere dai Percettori un certificato che quel tale titolare ecclesiastico’ non paghi nessun contributo fondiario rurale nè sotto nome proprio, nè sotto nome altrui. « Se da tutte queste ricerche risulta che il titolare ecclesiastico, il quale non ha dichiarato, non possiede affatto fondi rustici di nessuna specie, allora non può es- ser proposto al Tribunale come multabile, perocchè dalla legge egli non ha ricevuto DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 177 l’obbligo di dichiarare. Se al contrario risulta ch’egli possiede beni-fondi rustici, in- clusi o no nell’enfiteusi ordinata dalla legge, allora deve esser proposto per la multa; poichè è suo obbligo dichiarare quei fondi, e spetta solo alla Commissione decidere se i medesimi debbano escludersi dall’enfiteusi a sensi dell’art. 2° della legge e 27° del regolamento, nè può interloquirvi in verun modo il Tribunale. « Bisogna dunque per regola generale, ogni qualvolta si debba far proposta al Tri- bunale per multa contro a titolari ecclesiastici che mancarono intieramente a di- chiarare, accompagnar la deliberazione con una motivazione e con una indicazione sufficiente di documenti, che mostrino aver convinto la Commissione che quei tali rappresertanti ecclesiastici posseggano beni-fondi rurali soggetti o non all’enfiteusi. Come altresi, nei casi di quei titolari, sui quali potrebbe cader dubbio se entrino nella categoria delle opere pie laicali, è mestieri unire alla deliberazione la men- zione del certificato negativo della Deputazione provinciale, affinchè non possa af- atto mettersi avanti l'eccezione della natura pia laicale del titolare che vuolsi mul tato. — Così facendo la Commissione otterrà sempre la giustizia e le sue proposte per multa non saranno mai rigettate dal Tribunale. « 5° Ogni qualvolta però la Commissione dovrà proporre un titolare ecclesiastico per la multa a causa di totale mancanza di dichiarazione, oltre alle sopradette in- dicazioni, dovrà pure far conoscere le seguenti altre cose al Tribunale, cioè: « a) se il titolare sia costituito in dignità; « b) se ritragga dai beni rustici che omise di dichiarare una vistosa rendita; « c) se siasi adoperato colla sua influenza o colla sua autorità a sviare gli altri dall’esecuzione della dichiarazione voluta dalla legge. « Concorrendo tutti questi elementi, il Tribunale ha luogo ad applicare il massimo della multa, e concorrendone soltanto alcuni, ad applicare una multa sempre mag- giore del minimo. .«$ 8 Dell’ applicazione delle multe, della loro esazione e dell'impiego di tal fondo. — L’art. 23° del regolamento mette chiaramente a cura del Regio Procura» tore presso il Tribunale il promuovere e condurre a termine la condanna alle multe contro i titolari ecclesiastici disubbidieuti alla dichiarazione. « Egli deve per mezzo delle Autorità da lui dipendenti far destinare un usciere giudiziario all’oggetto d’intimare l’individuo denunziato dalla Commissione a compa-= rire avanti il Tribunale a giorno ed ora fissa, accordandogli un giorno per ogni quin- dici miglia di distanza. « Dovrà quindi spingere innanzi la causa, e dopo la lettura della deliberazione della Commissione , intesa la difesa della parte se è presente, dovrà fare le sue conclusioni, anche sull’applicazione della maggiore o minor multa in ragione della concorrenza degli elementi notati nel $ precedente. « Il Tribunale pronunzierà inappellabilmente la sua sentenza, applicando la multa se vi ha luogo, e condannando il multato alle spese del giudizio. e Tutti gli atti e le sentenze che han luogo in giudizii di tal fatta saran distesi Giornale di Scienze Nat. ed Econ., Vol. VII, Parte IT. 23 178 STORIA DELLA ENFITEUSI in carta non bollata. Però la sentenza diffinitiva, in caso che contenga condanna, dovrà esser vistata per bollo e registrata. I dritti saranno esatti dagli agenti finan- ziarii sugli stessi multati colle norme stabilite nell’art. 25°, num. 19, e negli arti- coli 28° e 29° della legge sul bollo, siccome prescrive l’art. 25° del detto regola- mento. « Il Presidente della Commissione avrà cura di far estrarre la sentenza di con- danna e di farla intimare per mezzo di un usciere giudiziario agl’individui multati, — Se la sentenza sia contumaciale, essi avranno i termini che la legge accorda per produrre le opposizioni (art. 250° e seg. del Codice di procedura nei giudizi civili), e le opposizioni, in caso che vengano prodotte, saran discusse e decise in Tribunale col medesimo rito. — Se però la sentenza sia profferita in contradittorio , diverrà esecutiva otto giorni dopo dell’intima. « Spetta quindi al Presidente spingere gli atti coattivi per la esazione delle multe nelle forme di legge, fino a che le somme saran versate nella cassa del Ricevitore del registro (Ricevitore demaniale). e Il fondo delle multe, che rimane presso il suddetto Ricevitore, è destinato in primo luogo, per espressa disposizione dell’art. 50° del regolamento, a rimborsare il pubblico Erario di tutte le spese che ha anticipato per l’ insediamento e spese di ufficio delle. Commissioni e della Sopraintendenza Generale: si è perciò che di tutte le multe versate presso i diversi Ricevitori demaniali dovrà formarsi unico fondo. I Presidenti terranno notamento di tutte le multe che sono state esatte, come pure di tutte le somme che han prese in anticipazione dal Ricevitore del demanio per le dette spese d’insediamento e di ufficio. Parimenti terrà l’uno e l’altro nota- mento il detto Ricevitore demaniale. — Questi notamenti saranno tutti riuniti in- sieme da questa Sopraintendenza Generale, affinchè il R. Governo possa ricavare il conto complessivo di tutte le spese d’insediamento e di ufficio anticipate dallo Stato per le 24 Commmissioni circondariali e per questa Soprainterdenza, e ne possa quindi prelevare il rimborso sull’intiero fondo delle multe ai sensi del sudetto art. 50° del regolamento. . «Quello che resterà dopo tal rimborso sarà impiegato con deliberazioni delle ri- spettive Commissioni per gratificazione agl’impiegati che abbiano meglio servito nelle medesime e nella Sopraintendenza ‘e che si trovino avere ristretti stipendi, o per altri usi di carità. L'impiego delle suddette somme sarà sempre fatto dopo l’auto- rizzazione superiore. «$ 9 Seconda operazione della Commissione: dichiarare soggetti all’enfiteusi è fon= di rustici ecclesiastici, ovvero escluderli. — Nel fare i confronti accennati nel $ 7, le Commissioni rileveranno contemporaneamente la vera consistenza e la coltivazione dei fondi che sono stati dichiarati, come altresi rileveranno tutti quei fondi, la cui di- chiarazione non fu fatta, e terran conto parimenti della loro consistenza e coltura. Questi rilievi, oltreché servono a giudicare della veridicità delle dichiarazioni, o della loro totale mancanza, servon pure a far decidere, sei fondi, di cui si ha cognizione, siano da assoggettarsi all’enfiteusi, ovvero debbano escludersi, DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 179 « Seguendo le norme tracciate nel $ 4, le Commissioni dovranno anzitutto dividere in due categorie i fondi di cui han conoscenza, cioè, quelli su di cui si può pron- tamente giudicare, e quelli intorno ai quali son necessarie delle lunghe perizie o delle indagini per la mancanza di sufficienti Inmi, o per le contestazioni che vi esistono. I fondi della prima categoria potranno più prestamente esser giudicati dalla Com- missione, mentre per gli altri è d’uopo ordinare le perizie, eseguire le indagini, 0 aspettar l’esito di giudizii pendenti. « Su tutti i fondi rustici, che non entrino nell’eccezioni stabilite dall’ art. 2° della legge, la Commissione potrà pronunziare la dichiarazione di esser soggetti all’ enfi- teusi, « Però si deve riflettere che può avvenire il caso, anzi è avvenuto, di trovarsi qual- che fondo posseduto in condominio o da più titolari ecclesiastici insieme, o da uno 0 più di essì con altri proprietarii non ecclesiastici. Nel primo caso la Commissione deve concedere ad enfiteusi l’intiero fondo, e perciò lo dichiarerà tutto soggetto alla censua- zione ed opererà sullo stesso nell’interesse di tutti i condomini ecclesiastici, restando sòlo a dividere le rate del canone che risulterà, in proporzione alla quota del loro rispettivo condominio: perlocché la Commissione deve solo accertarsi della quota che ne spetta a ciascuno. — Nel secondo caso la Commissione procede sempre all’ enfi- teusi del fondo, col proposito di attribuire a ciascuno dei condomini la rata propor- zionale del canone che gli apparterrà. Però gli altri condomini, come terzi interes- sati, han dritto, dopo la pubblicazione del quadro, di acconsentire, se lo vogliano, all’enfiteusi prendendosi la loro rata del canone, ovvero di promuovere la divisione giudiziaria del fondo per opporre alla Commissione, fra i 20 giorni di tempo che loro accorda la legge, la pendenza del litigio. Se quest’ultimo caso succede, la Commis- sione deve sospendere le ulteriori operazioni dell’enfiteusi, aspettando che si effet- tui la divisione giudiziale, senza pur lasciare di affrettarne l’ esito, con rivolgersi per tale oggetto al Pubblico Ministero, siccome è prescritto negli articoli 17° della legge e 35° del regolamento. « Può accadere un altro caso, come già è accaduto, che un fondo rurale ecelesia- stico si trovi sotto un giudizio di espropriazione. Che farà in tal caso la Commis- sione? dovrà eseguirne la enfiteusi, o dovrà aspettare, finchè venga terminato il giu- dizio, per censuare il fondo qualora non venga espropriato? — L’onorevole Ministro di Grazia e Giustizia ha ben risoluto un tal dubbio colla sua nota del 20 or pas- sato novembre, div. 33, num. 938201. Non essendo stato ancora espropriato il fondo, è pur tuttavia ecclesiastico e perciò soggetto alla censuazione ordinata dalla legge 10 agosto 1862; molto più che gli articoli 3° e 33° di detta legge dichiarano che l’enfiteusi non pregiudica menomamente e lascia salvi tutti i dritti reali ed ipote- carii dei terzi, i quali però, secondo l’ultimo alinea del menzionato art. 33°, st eser- citeranno preferibilmente sul fondo del canone. È vero che la legge sull’espropria- zione, tostochè è seguito il pegnoramento dell'immobile, proibisce al debitore di alie- nare il fondo in qualunque guisa o d’ipotecarlo; ma si deve riflettere che la Com- 180 STORIA DELLA ENFITEUSI missione nel procedere all’enfiteusi non ha tratto dal debitore ecclesiastico ch'è sotto espropriazione, ma bensi da una legge eccezionale che ne inculca l’ enfiteusi , an- che malgrado del titolare istesso. Laonde la Commissione, finchè il fondo non è espropriato, deve continuare e compiere le operazioni enfiteutiche. — Pure in pen- denza delle operazioni medesime è giusto che il Presidente della Commissione inter- venga nel giudizio di espropriazione, se non altro, per far limitare l’azione del cre- ditore ipotecario a quella precisa quantità del fondo che è sufficiente a soddisfare il suo credito. Ed è anche giusto che nel quaderno delle condizioni, allorchè si giunga a mettere all’incanto Ie quote enfiteutiche, si dichiari la pendenza del giudizio di espropriazione sulle medesime, affinchè i nuovi enfiteuti ne abbiano la conoscenza per tutti gli effetti che dopo potranno accadere. «I fondi, che si debbono escludere a termini dell'art. 2° della legge, sono preci- samente divisibili in quattro categorie : « 1° Orti e case attenenti a conventi o monisteri, e destinati ad uso ordinario dei medesimi; « 2° Fondi in tutto o nella massima parte piantati ad alberi o a vigne; « 3° I fondi ove esistono miniere aperte o indizii evidenti di miniere; «4° I boschi di qualunque genere. « Tutto ciò che non va compreso in queste quattro categorie, essendo fondo ru- stico appartenente ad un titolare ecclesiastico, non può affatto essere escluso dalla enfiteusi, « Perciò si errerebbe, se si credessero esclusi i casamenti rustici e le macchine in essi esistenti, salvochè non facessero parte di uno dei fondi che sono designati nelle suddette quattro categorie, poichè in tal solo caso quei casamenti e macchine par- tecipano del privilegio della esclusione. « Sarebbe pure un errore l’escludere i molini esistenti fuori l’abitato, e molto più le terre ai medesimi adiacenti: dappoichè i molini fuori l’abitato non sono affatto fondi urbani, ma rustici, e non essendo punto compresi nelle quattro suddette ca- tegorie escluse, non possono giammai eccettuarsi, Tanto più che alla categoria 7° del modulo lettera A i titolari ecclesiastici debbono pure dichiarare le macchine esi- stenti nei loro beni rurali, ed i molini son precisamente macchine: onde la legge, non solamente non li esclude, ma con sufficiente chiarezza li sottopone alla regola comune dell’enfiteusi. « È stato pure un errore di taluni il credere che i beni rurali ecclesiastici di pa- tronato regio, oppure quelli che appartengono a beneficii ecclesiastici di patronato privato e laicale, siano non soggetti all’enfiteusi ordinata da questa legge. L’art. 1° è abbastanza esplicito e chiaro. I beni rusticavi ecclesiastici di patronato regio sono tassativamente inclusi: così anche tutti quelli che appartengono a bheneficii in ge- nerale. Nè monta che il patronato attivo risegga presso laici e privati, poichè la na- tura ecclesiastica del beneficio non si misura da colui che ha il dritto di nominare come patrono, ma da colui che deve esser nominato, e più dall’accettazione che ne DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 181 ha fatto la chiesa per mezzo delle bolle di erezione in titolo : cosicchè, se il bene- ficiato deve necessariamente avere la qualità clericale, il beneficio è per natura sua ecclesiastico, nulla importando che sia un privato ed un laico il patrono che debba presentarlo all’Ordinario, — Tali non sono le cappellanie laicali, di cui fa espressa eccettuazione l’art. 1° della legge; imperciocchè alla cappellania laicale può anche esser’eletto legalmente un laico, restando a cura sua far eseguire i pesi di culto di- vino annessi alla cappella, né bisogna alcuna istituzione dell’Ordinario per metterlo in possesso. Altronde tali cappellanie, per le leggi vigenti in queste provincie, son soggette alle rispettive Deputazioni provinciali, surrogate adesso agli antichi Consi- gli d’Ospizii. — Quindi sarebbe grave errore reputare eccettuati dall’enfiteusi i fondi rurali appartenenti ad un beneficio ecclesiastico per la ragione che il patronato at- tivo del beneficio appartenga a privati ed a laici, «È anche necessario misurare attentamente la estensione delle quattro suddette categorie escluse, affinchè non sia luogo ad errare, ed affinchè sia uniforme il giu- dizio delle Commissioni. « 1, E primieramente può sorgere dubbio, se mai un fondo chiuso di mura, an- nesso ad un convento o monistero fuori l'abitato, ovvero ad una casa ove la cor- porazioue religiosa suole abitualmente villeggiare, debba sempre escludersi dall’en- fiteusi, quand’anche se ne percepisca un fitto e non serva all’uso ordinario della me- desima. « Or la legge su di ciò si esprime con molta chiarezza: bisogna che il fondo sia destinato all'uso ordinario della corporazione religiosa: il che importa, che quando il fondo, tuttochè chiuso ed attenente alla casa religiosa, sia abitualmente destinato all’affitto, alla colonia o ad altri usi, e non mai all’uso ordinario de’ religiosi me- desimi, non può affatto essere escluso dalla enfiteusi. « Quando però il fondo sudetto fosse in tutto o nella massima parte alberato, quan- tunque abitualmente dato in affitto, sarebbe sempre escluso, perchè entrerebbe nella seconda delle anzidette categorie. « 2. In quanto ai fondi totalmente alberati o piantati a vigne, la Commissione ha un mezzo molto facile per accertarsene; poichè per una parte dalle dichiarazioni de- gli ecclesiastici, dagli elenchi notarili, dai quadri delle Giunte, dai ruoli catastali, e da altre notizie economiche che può sul proposito attingere, raccoglie quanto ba- sta per sapere se un fondo sia in tutto alberato o piantato a vigneto; e per l’altra parte, se da tutti questi elementi non può giungere ad una tale certezza, il con- fronto del numero degli alberi o delle viti, per come risulta dai suddetti elementi, ritenuta la natura speciale di ciascuna coltivazione, è bastevole per far giudicare se il fondo sia in tutto coperto dagli alberi o dalla vigna, senza che vi sia biso- gno di ricorrere a speciali perizie. Imperciocchè le perizie, se non siano di stretta necessità, non si debbono mai ordinare, per non gravare i titolari ecclesiastici di spese, particolarmente su quei fondi che la legge esclude dall’enfiteusi. Bisogna a tale og- getto tener presente che l’art. 29° della legge mette a carico dei detti titolari le 182 STORIA DELLA ENFITEUSI spese delle perizie che servono a dividere i fondi in quote ed a ripartirli. Perciò è necessario evitare, per quanto è possibile, il bisogno delle perizie in quei fondi che sono affatto esclusi dall’enfiteusi, salvochè non si tratti di staccare da un fondo mag- giore una porzione che si-deve includere nella enfiteusi, o che viceversa si deve escludere; poichè in tal caso la perizia serve pure a dividere il fondo in quote, e la spesa si deve caricare sul corpo morale ecclesiastico giusta il sudetto art. 29° della legge, e come saremo per dire più sotto al num. 3 di questo $. Con queste avver- tenze di risparmiare il più che sia possibile le perizie e di doverle ordinare alla stretta necessità, vogliono essere intesi i correlativi articoli 27° e 28° del regola- mento, « La legge eccettua pure i fondi nella massima parte alberati o piantati a vigne, Su di ciò si son fatti varii dubbi, i quali si riducono a sapere: 1° se si debba ri- tenere come unico fondo quello ch’ è composto di pezzi diversi limitrofi, addetti a colture diverse e separabili; 2° sino a qual punto debba esser occupato da alberi o da vigne un fondo per dirsi piantato nella massima parte e perciò escluso, — In- torno a siffatti dubbii il signor Ministro di Grazia e Giustizia con sua nota del 13 novembre ultimo, div. 3°, num. 91230 si è piaciuto dichiarare, che si debba rite- nere come unico fondo quello che, quantunque addetto a colture diverse, è stato pure ordinariamente tenuto in una sola amministrazione agraria con unico affitto 0 con unica economia; che all'incontro si debbano ritenere come fondi separati quelli che sono stati ordinariamente mantenuti in separate amministrazioni agrarie con af- fitti o economie distinte; e che in ciascun fondo così considerato debbano per lo meno trovarsi tre quarti della sua estensione piantata ad alberi o a vigne, affinché possa dirsi piantato nella massima parte a sensi dell’art. 2° della legge per essere escluso dall’enfiteusi. Laddove però l’ albereto o il vigneto non giunga sino a tale proporzione rispetto al fondo nel suddetto modo considerato, dovrà il fondo mede- simo concedersi ad enfiteusi nella sua totalità, insieme alla parte alberata ed alla vign® « 3. Non vi. è nessun dubbio che debba essere escluso il fondo occupato per in- tiero da una miniera aperta o da indizii evidenti di miniera. Ma è sorta difficoltà intorno @ quei fondi, i quali nella loro grande estensione son coltivati in qualunque guisa, o son tenuti a pascolo, e che in taluni punti han delle miniere aperte o evi- denti indizii di miniere. E quindi si è detto: l’art. 2° della legge esclude dall’enfi- teusi quel solo tratto di terra, dove esiste la miniera o il suo evidente indizio, ov- vero esclude, per causa della miniera, tutto il resto del fondo? «A questo dubbio rispose ampiamente il R. Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti sull’uniforme parere di quello di Agricoltura, Industria e Commercio, con nota del di 10 agosto ultimo, num. 63217, div. 3% La estensione che occupa la miniera si deve separare mediante apposita perizia da tutto il resto del fondo, dovendo quella eccettuarsi dall’enfiteusi, e questo concedersi. La ragione di ciò è ben chiara : il punto di un fondo dove si apre una miniera, e tutto quel tratto dove essa si estende, ap- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 183 punto perchè vi è l’esercizio della miniera, si distacca dall’amministrazione del re- sto del fondo, e costituisce per questo stesso un fondo a parte, che si affitta o si economizza con una industria separata, qual’è l'industria mineraria. Quindi, benché rimanga l’identità del nome originario dell’intiero fondo, l’amministrazione della mi- niera è ben’altra di quella del fondo destinato a coltura, son diversi i patti, le con- dizioni, l’epoche, le speculazioni, e diverse servitù si stabiliscono reciprocamente tra il fondo coltivabile e la miniera. La legge adunque, nello escludere i fondi ove esi- stono miniere, esclude propriamente il fondo stesso della miniera, il quale altronde è ben determinabile per mezzo della scienza e della pratica speciale che hanno in ciò i periti dell’arte. « Le spese di tali perizie appartengono ai corpi morali ecclesiastici in virtù del sullodato art. 29° della legge; imperocchè la perizia serve di base a determinare la quantità precisa del fondo che si deve ripartire in quote per l’enfiteusi, nè sarebbe possibile la divisione in quote, se prima non si eseguisse il distaccamento della miniera. « 4, Ì boschi di qualunque natura son pure eccettuati dall’enfiteusi. Lo scopo della legge si è di non frazionare i boschi, e di non concederli all’intiera libertà privata che potrebbe distruggerli. Se però un bosco è riunito ad un fondo coltivabile, come spesso accade in Sicilia che una porzione di un exfeudo sia lasciata a bosco, e l’al- tra sia coltivata, allora, per le ragioni medesime che si sono annunciate nel numero precedente, il bosco si deve considerare come un fondo a parte, e perciò devesi di- staccare mediante perizia dal fondo coltivato il quale si concede in enfiteusi, qua- lora non entra in verun’altra delle categorie escluse. Ed anche in questo caso, per identità di ragione, le spese della perizia devono pagarsi dal corpo morale eccle- siastico. « $ 10 Terza operazione: la determinazione della rendita netta dei fondi assog- gettiti all’enfiteusi, ed il riconoscimento dei loro pesi. — Stabiliti i fondi che si deb- bono concedere in enfiteusi, la Commissione procede a determinare la rispettiva ren- dita netta. Per giungere a tale scopo bisogna pria fissare la rendita lorda, poscia riconoscere i pesi; e fattane la deduzione dalla detta rendita lorda, rimane la ren- dita netta, « Gli articoli 10° e 11° della legge, e 29°, 30° e 31° del regolamento, non che Io esempio di calcolo unito al regolamento medesimo, mostrano con chiarezza sufficiente il metodo che si deve tenere, e le basi che son necessarie, per istabilire la rendita lorda di ciascun fondo. I e Fatta la divisione dei fondi in tre classi: « 1° di quelli che ebbero affitti in denaro nel sessennio dal 1° gennaro 1855 a tutto il 1860; « 2° di quelli che ebbero durante tal periodo delle affittanze in generi o in der- rate; « 3° di quelli che in detto periodo non ebbero affitto alcuno; 184 STORIA DELLA ENFITEUSI « la Commissione prende per li primi la media degli affitti del detto sessennio giu- sta l’esempio di calcolo, e per li secondi procede a stabilire il prezzo dei generi o delle derrate con domandare al Sindaco del comune, ove doveva effettuarsi il pa- gamento, le mercuriali dei prezzi di quei generi o derrate all’ epoca del rispettivo pagamento, e ciò all’oggetto di valutare in denaro i cennati fitti, e quindi prenderne la media come nel caso primo. Presa la detta media degli aftitti del sessennio, la confronterà coll’imponibile annuo catastale, e prenderà di nuovo la media fra essi, che resterà definitivamente per rendita lorda del fondo, siccome è chiaramente di- mostrato nel suddetto esempio di calcolo. « L'articolo 31° del regolamento prevede il caso, che presso il Municipio, ove do- veva farsi il pagamento del fitto in generi o in derrate, non esistano le mercuriali dei prezzi di quei generi e derrate all’epoca in cui dovevano pagarsi, e dispone che in tal caso le mercuriali siano richieste a tre Sindaci dei comuni più vicini, ed in caso di differenza fra le tre mercuriali, sia ritenuta la media risultante dal coacervo delle tre. Se ne’ Municipii più vicini non esistano, si passerà agli altri sempre tra i più vicini, sinchè si abbiano i tre elementi per formarne la media, « Pei fondi di cui mancano gli affitti nel suddetto periodo, sia che non se ne sieno fatti realmente, sia che dagli elementi sopra indicati che la Commissione ha rac- colto non risulti di esservene stati, o risultando pure tali affitti, la Commissione non trovi negli elementi medesimi quauto basti per determinare la somma aunua, o la quantità del genere o della derrata dovuta per fitto, essa si atterrà solamente al- l’imponibile catastale, e fisserà quello come rendita lorda senza altre ricerche. « Egli è principalmente perciò che la legge ha dato ai titolari ecclesiastici 1° ob- bligo della dichiarazione, perchè essi conoscono e posseggono a preferenza di ogni altro gli atti de’ proprii affitti, ed è loro interesse esibirli alla Commissione insieme colle loro dichiarazioni, affinchè non perdano il vantaggio che potrebbe risultare alla detta rendita lorda dalla media degli affitti di maggior somma, che possono essere stati convenuti nell’anzidetto periodo sessennale. « La Commissione, allorché non le risulti dagli elenchi notarili e dagli altri elementi la veridicità della somma degli affitti che han dichiarato i titolari ecclesiastici per l’anzidetto periodo, dovrà domandare dai medesimi la esibizione delle copie degli atti di aftitto, affinchè sia provata, almeno con questo mezzo, in difetto degli altri elementi, la veridicità della loro dichiarazione. Quando essi si negheranno ad esibire le suddette, copie infra il termine che la Commissione ha assegnato, si procederà alla fissazione. della rendita lorda sul solo imponibile catastale. « Dopo di ciò, la Commissione procederà a riconoscere tutti i pesi che gravitano sopra ciascun fondo da concedersi in enfiteusi. «In questa operazione possono avvenire difficoltà ben notevoli, specialmente nel caso in cui i titolari ecclesiastici non abbiano dichiarato; imperciocchè è ben raro che dagli elenchi notarili e dai quadri delle Giunte si possano desumere tutti i pesi che esistono nei fondi da concedersi; e perciò è necessario in tal caso avvalersi delle DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 185 facoltà accordate dall’art. 21° del regolamento per chiedere da altre Autorità tutti i lumi che son bisognevoli per accertare la totale consistenza della proprietà eccle- siastica, la quale consistenza non si accerterebbe davvero, se insieme non se ne co- noscessero le ipoteche, i canoni, le servitù e tutti gli altri pesi. « Per conoscere le ipoteche che pesano sui fondi ecclesiastici i quali si debbono censuare, la Commissione per mezzo del suo Presidente domanderà dai Conservatori delle ipoteche i certificati corrispondenti ìn carta libera. Col confronto di tali cer- tificati la Commissione potrà rilevare le vere ipoteche esistenti da un trentennio a questa parte, e così potrà persuadersi della veracità delle medesime quando fossero state dichiarate, come anche potrà conoscere le non dichiarate. « Per quanto alle servitù, ai canoni ed a tutti gli altri pesi, è necessario non fer- marsi alla sola dichiarazione del titolare ecclesiastico, quando vi sia, ma si deve do- mandare dal medesimo la ostensione dei titoli di servitù, canoni e altri pesi, o per lo meno la indicazione della data, de’ notai o altri uffiziali pubblici, presso cui esi- stono i detti titoli, affinchè si possa commettere alle Giunte municipali del comune” ove sono i titoli, la verificazione di quei pesi, della loro cifra e delle loro condi- zioni. « Quando però non si abbiano le dichiarazioni dei corpi morali ecclesiastici, o non si possano avere da essi le indicazioni anzidette, allora la Commissione potrà rivol- gersi al Sindaco, all’intiera Giunta, ovvero ad altra qualunque persona del luogo, per attingere queste indicazioni, e per mezzo della verificazione dei titoli, se sia possibile, cercherà di venire a capo della quantità e natura dei pesi. « Finalmente quando, fatte tutte queste ricerche ed indagini, non sarà possibile riconoscerli, la Commissione farà pubblicare sul giornale ch’è ufficiale per la Sicilia» e sopra uno dei giornali della provincia ove è sito il fondo, un avviso, con cui in- viterà i creditori e gli altri aventi dritti reali sul medesimo a presentare ì loro ti- toli, con espresso avvertimento che se infra il termine dalla Commissione assegnato non li presenteranno, allora tali loro dritti non saranno inclusi nel quaderno delle condizioni che la Commissione formerà per la censuazione del fondo, e perciò avrà luogo ciò ch’ è disposto dall’ art. 33° della legge, cioè che i loro dritti resteranno salvi, malgrado l’allivellazione del detto fondo, ma essi dovranno esercitare le loro ragioni preferibilmente sul fondo del canone, ed in conseguenza di ciò dovranno pri- ma rivolgersi contro i titolari ecclesiastici per esaurire il valore dei loro dritti sul fondo stesso del canone. Un tale avviso dovrebbe in questo caso pubblicarsi insieme col quadro dei beni da concedere, affinchè gli aventi dritti, come terzi, abbiano il termine dei 20 giorni assegnati dall’art. 35 del regolamento per presentare le loro ragioni. « Dalla rendita lorda come sopra fissata si devono dedurre i pesi dovuti e la tassa prediale, per darsene il carico al novello enfiteuta. Così prescrive l’ art. 12° della legge e l’art. 32° del regolamento. La tassa prediale si deve prendere per come è dovuta allo Stato nell'epoca della valutazione dei pesi, lo dice testualmente la legge, Giornale di Scienze Nat. ed Econ. Vol. VII. Pàrte II. 24 186 STORIA DELLA ENFITEUSI rimanendo a carico dell’enfitenta qualunque utile o danno delle future variazioni della tassa medesima. Quindi non possono ineludersi in detta tassa tutte le sovrimposte comunali e provinciali, perchè non son dovute allo Stato, nè se ne possono esclu- dere tutte quelle varie partite, che sotto denominazioni diverse di fondo comune, Fondo speciale, strade, decimo di guerra, dritto di esazione, ecc., formano il con- tingente complessivo che è dovuto allo Stato nell’epoca della valutazione. — Tutti gli altri pesi annualmente dovuti in denaro si detraggono, insieme alla suddetta tassa prediale, dalla rendita lorda, e quel che resta costituisce la rendita netta. s Però occorre che i pesi non sieno dovuti in denaro, ma in derrate o in generi; o pure consistono nell’esercizio di talune servitù, come quella di pascere, di legnare; di abbeverare, di passare e simili. Intorno ai pesi di tal fatta è da tenere la re- gola che, se essi sono certi e prontamente liquidabili, e se le servitù non sono stret- tamente necessarie, dovranno convertirsi in annua rendita a giudizio della Commis- sione, siccome prescrive l’art. 17° della legge. Se però sono pesi incerti, eventuali, non prontamente liquidabili, o litigiosi, o pure Ie servitù sono indispensabili, allora la Commissione dovrà lasciare tali pesi come sono, solchè per farne la deduzione della rendita lorda, dovrà pur farne la valutazione mediante perizia o con qualun- que altro lume che stimerà più bisognevole, all’oggetto di detrarre dalla detta ren- dita lorda un’annua rendita che può essere equivalente ai suddetti pesi. Se i terzi si trovassero lesi o dalla conversione in annua rendita di tutti i pesi certi e liqui- dabili prontamente, o dalla valutazione in rendita di tutti gli altri, che la Commis- sione avrà dovuto operare, hanno essi i 20 giorni di tempo accordati loro dalla legge per reclamare presso la Commissione dopo la pubblicazione e l'affissione dei quadri, ed hanno anche la facoltà di sravarsi presso la Corte di appello dalle deliberazioni che la Commissione emette sui loro reclami, Le norme, che si debbon seguire nella conversione in aniua rendita dei pesi certi o prontamente liquidabili, son quelle Stesse, di cui si parlerà più sotto nel $ 11 intorno alle deliberazioni che si debbono emettere sui dritti che si reclamano dai terzi, « Per ridurre tutti i suddetti pesi ad un valore annuo, all’oggetto di farne poi la detrazione dalla rendita lorda, la Commissione potrà attinger lumi dalle persone pratiche del paese dove le servitù si esercitano, o si pagano i pesi; dovrà doman- dare le mercuriali pei generi e per le derrate al Municipio ove debbono pagarsi; e dovrà finalmente ordinare delle perizie per estimare il valore di quei pesi o servitù che non si possono per altri mezzi apprezzare. Sempre però è giusto che la Com- missione si fornisca di bastanti elementi o per atti pubblici, o per notizie autore- voli, o per perizie, all’oggetto di valutare con esattezza il denaro annuo che si dee detrarre dalla rendita lorda in compenso di tali pesi. « Può intanto occorrere un altro caso, cioè che i pesi dovuti dal titolare eccle- siastico sul suo fondo siano indivisi con altri pesi dovuti da qualche altro condo- mino del fondo medesimo. In tal caso la Commissione, dovendo procedere all’ enfi- tensi del fondo intiero, fino a che non le venga opposta la pendenza di una divi- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 187 sione giudiziale del condominio, o di altra qualunque correlativa lite, siccome sì è notato nel $ 9, detrarrà dalla rendita lorda i pesi per intiero senza farne divisione alcuna, e così costituirà la rendita netta dell’intiero fondo, salvochè i Tribunali, se procederanno a dividere il condominio, divideranno anch'essi la rata rispettiva dei pesi. $ 11 Della notificazione e della pubblicazione dei quadri, dei reclami dei tito- lari ecclesiastici e dei terzi presso le Commissioni, e dei modi di esitarli. — La Commissione, dopo aver dichiarato quali sono i fondi soggetti all’enfiteusi, dopo aver determinato la loro rendita lorda, dopo aver riconosciuto i loro pesi, e dopo aver fatto la detrazione del loro valore dalla suddetta rendita lorda, fissando così il netto della rendita, passerà alla formazione dei quadri giusta l’art. 13° della legge e 32° del regolamento. I quadri debbono contenere la indicazione di ciascun fondo coi con- fini, la contrada ed il comune ove è sito, la rendita lorda calcolata nel modo sopra- scritto, i pesi che debbono restare accollati all’ enfiteuta, colla loro valutazione in denaro se non sieno dovuti in denaro effettivo, e finalmente il risultato della ren- dita netta. « Non è necessario aspettare fino a che si compiano i quadri di tutti i fondi da censuarsi nel circondario o nel comune, per passare alla notificazione; ma è lasciato alla prudenza della Commissione riunire un certo numero di fondi, specialmente quelli che offrono minore difficoltà alla censuazione, e quelli che appartengono ad uno stesso corpo morale, per procedere insieme alle notificazioni ed alle pubblicazioni volute dalla legge. « Per maggiore chiarezza i quadri si debbono disporre in forma categorica, ed è giusto riunire in un sol modulo tutti i fondi da censuare appartenenti allo stesso corpo morale. I quadri così formati saran notificati per mezzo di usciere mandamen- tale ai rispettivi titolari ecclesiastici a cura del Presidente della Commissione, che potrà incaricarne i rispettivi Sindaci. Le spese dovute agli uscieri per le suddette notificazioni, siccome facienti parte delle spese di divisione dei fondi, sono a carico: dei titolari ecclesiastici giusta l’art. 29° della legge. Tali spese saranno anticipate dagli uscieri medesimi, ed avranno essi dritto di ripeterle sulla liquidazione che ne farà la Commissione, dopochè sarà omologata dal Presidente del Tribunale del cir- condario. I detti quadri saran distesi e notificati in carta non bollata, come è stato statuito di accordo tra i Ministri di Grazia e Giustizia e della Finanza a sensi della nota del 20 novembre ultimo, num. 94191, div. 3% « Contemporaneamente i medesimi quadri dovranno esser comunicati dal Presidente della Commissione al R. Procuratore presso il Tribunale, al Consiglio di Prefettura per mezzo del Prefetto che lo presiede, ed alla Deputazione provinciale per mezzo del Prefetto medesimo. Queste Autorità dovranno presentare alla Commissione le loro osservazioni, se ne abbiano a fare, acciocchè non avvenga che fondazioni laicali, escluse dalla legge, siano confuse coll’ecclesiastiche, siccome -avvertesi nell’art. 33° del re- golamento. 188 STORIA DELLA ENFITEUSI « I titolari ecclesiastici avranno un mese utile dal giorno della suddetta notifica» zione per presentare i loro reclami al Presidente della Commissione sui quadri for- mati, e chiederne la riforma. I loro reclami debbono essere motivati ed anche mu- niti di documenti, se i motivi del reclamo li esigono. Non possono essere ammessi nè reclami, nè documenti, che non siano in carta da bollo o col visto per bollo. Il Presidente della detta Commissione dovrà rilasciare ricevuta del reclamo. « Qualora non si sieno sporti reclami infra il suddetto termine, la Commissione comproverà con suo verbale la non esistenza dei reclami. Perciò il Presidente deve per una parte farsi rimettere l'originale atto della seguita notificazione, e per l’al- tra parte deve esser sollecito a riunire la Commissione per comprovare la non esi- stenza dei reclami, tostochè sarà scorso il suddetto termine utile. «I fondi che sono stati esclusi dall’ enfiteusi saran pure notificati ai rappresen- tanti dei rispettivi corpi morali. Però, se i fondi di un corpo morale ecclesiastico saranno în parte inclusi ed in parte esclusi, allora la notificazione si farà in unico atto con quella dei fondi inclusi, come prescrive l’art. 32° del regolamento. Se però si tratta di dover solo notificare i fondi esclusi, allora il Sindaco per ordine del Presidente della Commissione ne farà dare l’avviso in iscritto all’ interessato, me- diante una nota in carta libera a firma sua. « Se vi sono reclami, la Commissione deve esaminarli. A tale oggetto destinerà tra i suoi membri un relatore per ciascun reclamo, e fattasi la relazione, delibererà so- pra ognun di essi. Se occorrerà di riformare i quadri, colla deliberazione stessa ese- guirà la riforma. Se occorrerà di escludere intieramente dall’enfiteusi un fondo che indebitamente vi era stato incluso, lo eseluderà e colla stessa deliberazione annul- lerà il quadro corrispondente. Se infine il reclamo sarà inammessibile o malfondato, lo rigetterà, e confermerà il quadro primitivo. « Se il Procuratore Regio, o il Consiglio di Prefettura, o la Deputazione provin- ciale, faranno delle osservazioni in tutto o in parte contrarie su qualcuno dei qua- dri, e se le osservazioni coincidono col reclamo del titolare interessato, la Commis- sione può prenderli in esame insieme, e vi deciderà con unica deliberazione. Ma se questa coincidenza non avviene, la Commissione deve sempre deliberare sulle con- trarie osservazioni di quelle Autorità, e deve alle medesime comunicare l’esito delle sue deliberazioni, affinchè esse ne abbiano conoscenza, e possano rivolgersi alle Au- torità superiori, laddove persistano nelle stesse osservazioni. « Le osservazioni delle suddette Autorità non sospendono le operazioni dell’ enfi- teusi, come pure non le sospendono i reclami dei corpi morali ecclesiastici. « La deliberazione che annulla un quadro, o lo riforma, o lo conferma, deve es- ser di nuovo notificata al titolare ecclesiastico che aveva reclamato colle stesse norme sopra descritte. « Nel solo caso di annullamento di un quadro le spese della prima e della se- conda notificazione non andranno a carico del rappresentante del corpo morale ec- clesiastico, ma la Commissione delibererà che sieno pagate sul fondo delle multe. Però tal pagamento sarà eseguito dopo la superiore approvazione. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 189 « Nell’atto stesso che si notificano i nuovi quadri o i quadri confermati, dovrà farsi la pubblicazione dei medesimi nel giornale ch’è officiale per la Sicilia a cura del Pre- sidente della Commissione, come pure se ne dovrà fare l’aftissione nei luoghi stabi- liti dall'art. 34° del regolamento, cioè alla porta del luogo ove la Commissione tiene le sue sedute, alla porta della casa municipale del comune ove sono siti i beni, ed alla porta della casa municipale del comune ove abita il rappresentante o il supe- riore del corpo ecclesiastico proprietario, qualora esso abiti in un comune diverso da quello ove risiede la Commissione, o dove sono siti i beni. Per abitazione si deve intendere il domicilio legale. «I serventi comunali a cura del rispettivo Sindaco devono eseguire cotali aftis- sioni, delle quali lo stesso Sindaco ne invierà il certificato al Presidente della Com- missione. Deve però il detto Presidente dar le opportune disposizioni, affinchè la pub- blicazione sul giornale e le anzidette affissioni non avvengano con gran distanza fra di loro, poichè dal giorno ultimo della detta pubblicazione o delle affissioni dovranno correre i 20 giorni utili pei reclami dei terzi, di cui parlano l’art. 16° della legge e 35° del regolamento. « Tali reclami devono essere presentati in carta da bollo al Presidente della Com- missione per mezzo di notificanza di un usciere mandamentale. I documenti in ap- poggio dei reclami debbono contemporaneamente depositarsi ad istanza della parte reclamante presso il segretario della Commissione. Non si ammettono documenti, se non sieno legalmente registrati. « Scorsi i 20 giorni e non avvenuto alcun reclamo di terzi, la Commissione com- proverà ciò con apposito verbale, nel modo stesso che si è detto di sopra per la non esistenza dei reclami dei titolari ecclesiastici. s Qualora vi sieno reclami di terzi, la Commissione destinerà un relatore per cia- scheduno, e udita la relazione in una delle più vicine sedute, delibererà sugli stessi, Se si domandano dritti certi, liquidi o in qualunque modo prontamente valutabili, e se la Commissione determina di doversi fare dritto alla domanda, fisserà i dritti pretesi nel loro etfettivo valore convertendoli in un’ annua rendita, e quindi li ac- collerà al futuro enfiteuta, facendone la detrazione dalla rendita netta che in allora era stata fissata: così la medesima rendita resterà ridotta per l’ accrescimento di un nuovo, peso. « L'art, 17° della legge dà alla Commissione facoltà molto preziose , poiché l’au- torizza a convertire a giudizio suo i dritti certi, liquidi, o prontamente valutabili, in rendita annua da accollarsi all’enfiteuta. È interessante che le Commissioni sap- piano servirsi con giustizia ed intelligenza di queste facoltà. Poichè lo scopo della legge è quello di sciogliere dai vincoli pregiudizievoli alla libertà del commercio i fondi ecclesiastici che si debbono concedere in enfiteusi, senza offendere con ciò la giustizia commutativa. Ciò importa la pronta valutazione dei dritti che si preten- dono, e la conversione in annua rendita a giudizio della Commissione. Molti di quei dritti sono avanzi di un’ epoca feudale, o di una civiltà che metteva ancora duri 190 STURIA DELLA ENFITEUSI ceppi alla libertà del commercio e della coltura. Tali sono nella maggior parte le servitù non strettamente necessarie. — Son necessarie quelle di abbeverare, o di pas- sare per un dato fondo, allorchè non si possono surrogare in altra guisa. — Ma tutte le servitù non strettamente necessarie a favore di persone o di altri fondi domi- nanti vincolano il fondo serviente, ne depreziano positivamente il valore, impedi- scono la sua libera coltura, lo rendono assai meno commerciabile. Si è perciò che la nostra legislazione ha avuto sempre in mira di commutare servitù siffatte in una rendita annua; e nelle nostre provincie sin da’ principii di questo secolo fu conve- nientemente provveduto sul dritto di far convertire le anzidette servitù in un ca- none redimibile. Perciò il suddetto art. 17° dispone che la Commissione converta a giudizio suo in annua rendita da accollarsi all’enfiteuta i dritti di tal natura. « Solamente la legge vuole che la Commissione non s’inoltri a giudicare sui dritti non liquidabili prontamente, o indeterminati o eventuali, o in qualunque modo di- venuti oggetto di un litigio, « 1° Sono non prontamente liquidabili tutti i dritti, la cui liquidazione per con- vertirli in annua rendita non ha elementi pronti a poter esser fatta. Perciò, se esi- stono le mercuriali che determinano i prezzi correnti dei generi o delle derrate, al- lora la liquidazione dei dritti in generi o in derrate può farsi prontamente. Se col- l'attestato uniforme di più periti può liquidarsi il valore di una servitù, o di un al- tro qualunque dritto reale, la Commissione deve servirsi del sudetto attestato uni- forme per farne la pronta liquidazione. — Se al contrario non si abbiano pronte le mercuriali per istabilire i prezzi dei generi o delle derrate, se la servitù o altro dritto reale non possano essere liquidati mediante un estimo concorde di periti, o se la confusione e la discordanza delle perizie faccia vedere che non si possa con pron- tezza liquidarli, allora la Commissione deve astenersi dal decidere e deve rimetter le parti al giudizio dei Tribunali competenti. « 2. Sono dritti indeterminati quelli, la cui natura 0 la cui quantità non sia suf- ficientemente accertata, in modo che possa farsi questione sul loro esercizio e sulla estensione del medesimo. Quando si pretendono dritti di tal sorta, e dai documenti sorge di esser fondata la pretesa, la Commissione deve parimenti astenersi dal giu- dicarvi, ed invece deve rimettere le parti ai Magistrati competenti. « 3, Sono dritti eventuali quelli, i quali non sono fissi, ma si possono esercitare sotto determinate condizioni che dipendono da alcune combinazioni speciali, in modo che non si possa avere una ragione fissa annuale per misurare la quantità del loro esercizio ed il loro effettivo valore. Non appartiene alla Commissione decidere sopra dritti di tal sorta, ma ai Giudici ordinarii, ai quali essa deve rinviare le parti. « 4, Sono detigiosi i dritti, sui quali cade attualmente in qualunque maniera una pendenza giudiziaria davanti a qualsiasi Magistrato. Però è necessario che nel re- clamo che si presenta alta Commissione oppongasi un litigio pendente, non mai un litigio che si potrebbe incoare in avvenire, o pure uno che sia stato precedente- mente deciso con sentenza definitiva, ancorchè non passata in giudicato, salvo so- DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 191 lamente il caso che contro una tale sentenza sia stato interposto l'appello nelle forme e nei termini di legge. Quando si oppone la pendenza di un litigio, la Commissione deve sospendere il suo giudizio, finchè i Magistrati, avanti a cui pende la lite, non l'abbiano deciso. « Nullameno è dovere della Commissione, in tutti questi casi in cui deve rinviare le parti innanzi ai Magistrati ordinarii e in cui deve aspettar l'esito del loro giu- dizio, affrettare il giudizio medesimo con rivolgersi di proposito al R. Procuratore presso il Tribunale, ed al Procuratore Generale presso la Corte di appello; poichè non è difficile che si oppongano dritti litigiosi o incerti all’oggetto di paralizzare le operazioni enfiteutiche della Commissione, lasciando per lungo tempo pender la lite senza curare di esitarla. In tal caso la legge ‘dell’enfiteusi dei fondi ecclesiastici po- trebbe esser elusa per lungo tempo, e perciò è dovere della Commissione di affret- tare tali giudizii facendo le opportune pratiche presso il Pubblico Ministero. « Spetta però alla Commissione osservare innanzi tutto, se i dritti litigiosi, even- tuali, indeterminati, o non liquidabili prontamente, che dai terzi si pretendono, ab- biano sufficiente fondamento; poichè non basta il vedere che tali dritti sieno pre- tesi per dover subito la Commissione dichiararsi incompetente e rimettere il giudi- zio ai Magistrati ordinari: bisogna che ciò che si pretende sia ducumentato e che abbia un fondamento sufficiente, La Commissione non deve entrare nella quantità e nel valore del dritto che si pretende, allorchè egli è di tal natura incerta, nè deve entrare nel merito del litigio, allorchè il litigio esiste; ma quando il dritto di na- tura incerta è cavilloso ed infondato, o quando il litigio non esiste, allora la Com- missione rigetta il reclamo, perchè non vi è materia, sulla quale i Tribunali devono decidere, nè vi è necessità di rinviare le parti alla loro decisione. Come anche la Commissione deve osservare, se mai il litigio pendente, o il dritto di natura o quan- tità incerta, non abbia influenza diretta, nè relazione immediata colle operazioni en- fiteutiche ordinate dalla legge; poichè se la enfiteusi può eseguirsi, senza che re- stino menomamente pregiudicati tali dritti incerti o litigiosi, o pure se colla soprav- venienza del nuovo enfiteuta il litigio dovrà considerarsi come estinto, e tale che re- car non può pregiudizio ai dritti del terzo, allora la Commissione deve dichiarare che non ostano i dritti incerti o litigiosi reclamati, e quindi ordinerà che le ope- razioni dell’enfiteusi abbiano il loro corso. «Se i terzi non avran reclamato dentro i 20 giorni utili che la legge accorda. ai medesimi, i loro dritti reali o ipotecarii non restano perciò estinti, poiché lo art. 33° della legge e l’art. 35° del regolamento dispongono che i loro dritti rimangano salvi malgrado l’allivellazione del fondo. Le conseguenze del non fatto reclamo sono que- ste due: « 1° Che i terzi, non avendo in tempo reclamato, non possono più impedire che si compiano tutte le operazioni dell’enfiteusi; « 2° Che resta ai medesimi aperto l’adito presso i Magistrati ordinarii per l’espe- rimento delle loro ragioni, le quali però dovranno preferibilmente esercitarsi sul fondo del canone: è testuale disposizione del suddetto art. 33° della legge. 192 STORIA DELLA BNFITEUSI « Quando però sono stati fatti i reclami in tempo utile, la loro notifica sospenderà di pieno diritto le semplici operazioni dell’enfiteusi, fino a che la Commissione non avrà deliberato sui reclami medesimi, o fino a che non saranno decisi i dritti liti- giosi, avendo la Commissione dichiarato di attendere la loro decisione, « $ 12 Del gravame innanzi la Corte d'appello contro le deliberazioni della Com- missione — Ai terzi è aperto l’adito al gravame presso la Corte d'appello: ciò ri- sulta dagli articoli 17° e 18° della legge e 35° del regolamento. I titolari ecclesia- stici non hanno questo dritto, sì perchè la Commissione è incaricata dalla legge di rappresentare i loro interessi, si ancora perchè coll’asta pubblica nell’incanto delle quote enfiteutiche innanzi il Tribunale si livellano tutte le possibili minorazioni che in qualunque modo abbiano potuto aver luogo per le deliberazioni rese dalla Commis- sione. I terzi, che non si trovano nelle condizioni medesime, non solo hanno il dritto a reclamare presso la Commissione, siccome l’hanno i titolari ecclesiastici, ma han pur dritto a gravarsi contro le deliberazioni della Commissione sui loro reclami presso la Corte di Appello. « Allorchè una Commissione ha deliberato contrariamente in tutto o in parte so- pra un reclamo di terzi, il Presidente della stessa dovrà fare notificare la delibe- razione ai terzi reclamanti per mezzo di un usciere mandamentale, a cui darà l’in- carico per organo del Sindaco locale. Le spese di tal notificazione saranno antici- pate dall’usciere, come per la notificazione che si fa ai titolari ecclesiastici, rima- nendo ad essi il dritto di esserne pagati dagli stessi reclamanti, qualora si acquie- tino alla deliberazione della Commissione che li condanna alle spese, o pure qualora essi soccomberanno nel gravame che ne abbiano portato entro gl’infrascritti termini di legge davanti alla Corte di appello. In caso che nel gravame non soccomberanno, gli uscieri saranao rimborsati di tali spese sul fondo delle multe, previa delibera- zione della Commissione ed autorizzazione superiore. — Non occorre notificare le de- liberazioni della Commissione che fanno pieno dritto ai reclami dei terzi, perocché in tal caso basta riformare in corrispondenza il quadro dei beni da concedersi. « Però le forme, con cui deve esser prodotto e giudicato il gravame dei terzi, son quelle del giudizio sommario (art. 18° della legge). Ed oltre a ciò il Pubblico Mini- stero ha l’obbligo di affrettarne il giudizio presso la Corte; imporciocchè in pendenza di tal giudizio le operazioni dell’enfiteusi devono rimaner sospese, come ha ben ri- soluto il R, Ministero di Grazia e Giustizia con nota del di $ novembre 1863, div. 38, n. 89197, ed è sempre giusto in conseguenza evitare il caso ben facile che si fac- ciano comparire reclami di terzi all’oggetto solamente di attraversare e procrasti- nare le operazioni dell’enfiteusi, « Stando dunque allo spirito della legge, che vuole il più presto condotti al loro termine i gravami dei terzi contro le deliberazioni della Commissione, e che perciò ordina doversi eseguire le forme de’ giudizii sommarii, ne segue: « 1° Che i termini ad interporre il gravame contro le deliberazioni della Commis- sione sono di giorni 15 da quello, in cui le dette deliberazioni sieno state notificate, giusta l’art. 892° delle leggi di procedura ne’ giudizii civili; DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 193 « 2° Che il gravame dovrà esser giudicato dalla Corte senza procedura e con rito sommario tra le prime udienze, « Affinché il suddetto gravame possa sospendere le operazioni dell’enfiteusi è d’uopo che sia non solamente intimato ai titolari ecclesiastici, contro i quali si pretendono gli speciali dritti, ma che sia notificato al Presidente della Commissione per tenerne il debito conto. In caso diverso la Commissione continuerà le operazioni enfiteutiche. « Finalmente è obbligo del Pubblico Ministero presso la Corte d’Appello di tenere avvisata la Commissione del progresso del giudizio e del termine dello stesso (ar- ticolo 35° del regolamento). Ciò serve affinchè la Commissione regoli i suoi atti pren- dendo per norma i giudicati, dei quali avrà avuto comunicazione (art. 36°). E quindi la Commissione modificherà i quadri in conformità ai giudicati medesimi, se vi sia luogo a modificazione. — Gl’interessati possono anche, se lo vogliano, comunicare alla Commissione in persona del Presidente i giudicati da loro ottenuti nella Corte d’ap- pello. «$ 13 Quarta operazione della Commissione: la divisione dei terreni censuabili in quote. — Compiuti in questo modo i quadri definitivamente, la Commissione passa a dividere ed a formare le quote di ciascun fondo censuabile. Gli articoli 19° a 22° della legge e 37° a 40° del regolamento provvedono intorno a quest'altra opera- zione. « A tale oggetto essa per mezzo del Presidente domanderà dai titolari ecclesia- stici, e dalle Giunte municipali del luogo ove sono siti i beni, un rispettivo nota- mento dei periti che potrebbero esattamente conoscere la figura e la natura dei fondi che debbonsi dividere. Nel domandare questo notamento fisserà il termine, entro cui le debba esser dato. I titolari ecclesiastici riceveranno tal domanda per mezzo del Sindaco del Inogo ove risegsono, il quale certificherà al Presidente della Commis- sione di aver fatto rilasciare ai medesimi l’anzidetta domanda. Qualora nel termine assegnato i detti titolari ecclesiastici non facciano giungere al Presidente della Com- missione il notamento che dai medesimi si richiede, la Commissione procede innanzi, e sceglie i periti sul solo notamento che le deve esser rimesso dalle Giunte. Quando però abbia l’uno e l’altro notamento insieme, farà in ambidue la scelta di tre pe- riti, i quali saranno invitati per mezzo dei Sindaci del luogo ove riseggono ad in- tervenire innanzi la Commissione nel luogo ordinario delle sue sedute a giorno ed ora fissa. « Dovrà pure il Presidente della Commissione fare invitare per mezzo dei rispet- tivi Sindaci i titolari ecclesiastici, onde intervengano, se lo vogliano, essi o loro spe- ciali procuratori, nello stesso giorno ed ora, per dare alla Commissione iuite quelle notizie che crederanno opportune intorno al sistema di divisione. o « La Commissione inviterà i periti a dare tutti i lumi che saranno necessarii per istabilire la divisione delle terre in quote, tenendo presente la quantità del terreno risultante da quegli elementi che servono di base alla formazione dei quadri. I lumi che si debbono richiedere versano principalmente sui seguenti punti : Giornale di Scienze Nat. ed Econ., Vol. VII, Parte Il. 25 194 STORIA DELLA ENFITEUSI « 1, Natura di ciascun pezzo del terreno, e coltivazione di cui più propriamente è suscettibile. «2, Quali potrebbero essere i confini più naturali per formarne un certo numero di quote, avendo sempre riguardo che l’art. 19° della legge stabilisce come esten- sione media di ciascuna quota le 10 ettare, pari a salme 5, bisacce 2, tumoli 34 della misura legale siciliana, e che si possono anche stabilire delle quote maggiori sino a 100 ettare, quando ciò sia consigliato da speciali circostanze di agricoltura o di pastorizia. I confini più naturali sono le cime dei monti o dei colli, l’imo delle valli, i torrenti, o altri confini ch’esistono sul luogo. «3. Dove propriamente sono site le sorgenti d’acqua, e qual corso facciano lungo il fondo, all’oggetto di potere stabilire i dritti di abbeverare e di attinger acqua e le vie, e così evitare, quanto più sia possibile, le reciproche servitù fra gli enfi- teuti, « 4, Nel caso che vi sieno alberi o vigne, in qual modo si possano comodamente dividere in una o in più quote per l’interesse dell’agricoltura o della pastorizia che si dovrà nelle medesime esercitare. « 5. Se vi siano casamenti, come si possano comodamente dividere alle diverse quote, come si debbano designare le vie in corrispondenza, per accordare il benefi- cio della casa al numero maggiore di enfiteuti colle minori servitù possibili fra di loro. « 6. Se vi sieno macchine, fattorie, o stabilimenti, come si possa tutto aggregare in una quota il terreno che bisogna, le acque e le vie che sono necessarie per l’eser- cizio della macchina, della fattoria o dello stabilimento. «7. Come si debbano ripartire i pesi riconosciuti, la tassa prediale ed il canone netto in ragione di ciascun pezzo di terreno, all’oggetto che ogni quota possa avere una rata dei pesi che appartengono all’intiero fondo, in proporzione al suo speciale valore ed alla coltura di cui è suscettibile. e Avuti tutti questi lumi dai periti, o dai titolari ecclesiastici ove intervengano a darli, ed anche con altri mezzi economici che la Commissione potrà scegliere, si dovrà proporre dagli stessi periti il piano della divisione in quote colla indicazione della quantità di ciascuna, dei punti principali che dovranno servire da confini, delle vie, delle servitù reciproche, colla divisione dei casamenti se ve ne sieno, e final- mente colla determinazione della rata dei pesi corrispondenti a ciascuna quota. «Se la Commissione crederà necessaria la formazione di una pianta topografica per procedere più esattamente alla divisione in quote, ne incaricherà i periti, de- stinando loro un ristretto termine per eseguirla e presentarla. « La Commissione può accordare ai periti fino a 30 giorni di tempo per eseguire il piano della materiale divisione, destinando uno, due o tre dei periti medesimi per tale oggetto, secondo la maggiore o minore estensione del terreno giusta l’art. 39° del regolamento. Nei detti 30 giorni deve pure comprendersi il tempo per la for- mazione della detta pianta topografica, Inddove sia creduta necessaria. DEI TERRBNI ECCLESIASTICI DI SICILIA 195 « Finalmente la Commissione , esaminato il proposto piano di divisione con tutti gli accessorii, lo approverà, o pure ordinerà agli stessi, o ad altri periti, di modi- ficarlo secondo le norme che dovrà a proposito essa indicare. Il che fatto, la Com- missione stessa con apposita deliberazione approverà il piano intero di divisione, e quella deliberazione non va soggetta ad esame. « Conformemente all’approvato piano di divisione sarà dato l’incarico dalla Com- missione stessa ad uno o più periti di apporre i segni divisorii. Il che dovrà essere eseguito nel termine più ristretto che la Commissione stimerà di assegnare. « I fittainoli dei fondi, che debbono dividersi, non si possono opporre a che i pe- riti facciano in quelli le loro operazioni per redigere il piano della divisione e per collocarvi i segni divisorii; anzi essi son tenuti di conservare esattamente i segni medesimi sino al termine del loro affitto, come è ordinato nell’art. 32° della legge. « Tutte le spese dovute ai periti per dritti e vacazioni loro spettanti per il tempo impiegato nello apprestare alla Commissione le notizie sul sistema di divisione, per le trasferte, per la materiale esecuzione della divisione stessa, per la pianta topo- grafica se vi sia stato luogo, per la costruzione dei segni divisorii e per la loro ap- posizione (spese queste ultime che i periti stessi dovranno anticipare giusta l’art. 47° del regolamento) saranno tutte pagate dai titolari ecclesiastici sopra un’apposita li- quidazione che ne farà la Commissione ad istanza dei periti, e che dovrà essere omo- logata dal Presidente del Tribunale senza formalità di giudizio. La detta liquidazione così omologata, ove non sia stata economicamente pagata dai detti titolari ecclesia- stici, sarà notificata ai medesimi sull’istanza dei periti per mezzo di un usciere man- damentale, e senz’ altro diverrà esecutiva a loro carico nei tempi e modi stabiliti dalla legge. Tutto ciò è prescritto dall’art. 29° della legge e 47° del regolamento. «$ 14 Quinta operazione della Commissione : comporre il quaderno delle condi- zioni per l’enfiteusi di ciascuna quota, ed inviare tutti è quaderni al Procuratore del Re per la subasta. — Finalmente la Commissione prepara il quaderno delle con- dizioni per la subasta di ciascuna quota. Gli articoli 23° a 25° della legge e 41° a 42° del regolamento dispongono l’occorrente per tale oggetto. « Prima di stendere il quaderno delle condizioni, la Commissione per mezzo del suo Presidente dovrà accertarsi se vi sia un affitto nel fondo che si deve censuare. A tale oggetto farà invitare per mezzo del Sindaco del comune, ove esistono i fondi, i rispettivi fittaiuoli per esibire gli atti dei loro afiitti, Nel caso che essi si neghino, la Commissione si procurerà la conoscenza dell’epoca in cui furono contratti tali af- fitti, del giorno del loro cominciamento e della loro durata, cercando i corrispon- denti Iumi negli elenchi notarili ch’essa possiede, ovvero domandandoli dai Sindaci; i quali in ogni caso dovranno avvertire i fittaiuoli che se non verrà stabilito nel quaderno delle condizioni di doversi rispettare il loro aflitto, siccome prescrive l’ar- ticolo 45° del regolamento, e non sarà regolata in corrispondenza la immissione in possesso del novello enfiteuta, si esporranno a tutti i pericoli di un giudizio, poichè gli affitti validati dalla Commissione son quelli che sospendono l’enfiteusi (art. 34° della legge). 196 STORIA DELLA ENFITEUSI « Dopo che la Commissione avrà ricevuto tutti i lumi bisognevoli per la conoscenza degli affitti dei fondi da censuare, osserverà secondo le disposizioni dell’art. 31° della legge, se gli affitti siano stati stipulati prima della pubblicazione in Sicilia del de- creto 18 ottobre 1860, e se siano stati convenuti nelle forme e per il periodo di tempo stabilito dalle leggi vigenti. « A tal uopo è necessario tener presente che col decreto 1° dicembre 1833, con altro del 31 agosto 1842, ed altro del 20 gennaro 1845, è stato prescritto che gli afiitti dei beni rurali ecclesiastici non possono celebrarsi per un periodo maggiore di anni 4 se i terreni sono coltivabili, e di anni 3 se sono addetti a pascolo; che tali affitti non possono rinnovarsi più di un anno prima di spirare l’affitto corrente, che è nulla la contrattazione di un affitto per un periodo maggiore del sopradetto nello interesse di coloro che succedono al locatore nel godimento dei beni addetti al beneficio. Nel caso però che l’affitto fosse stato convenuto prima dell’anno in cui deve spirare l’affitto in corso, e sia stato cominciato ad eseguirsi, colui che succede al locatore non ha più dritto di farlo dichiarare nullo. Con queste norme la Com- missione vedrà, quali sieno gli affitti validi e per qual durata debbano rispettarsi. Terrà come nulli gli anni di affitto convenuti al di là de’ periodi soprascritti nel- l'interesse degli enfiteuti che succedono ai titolari ecclesiastici locatori. E parimenti terrà come nulli gli affitti convenuti prima dell’anno in cui doveva spirare l’affitto in corso, salvo il caso che si preveda e si abbia come certo di dover cominciare ad essere eseguiti all’epoca in cui si celebrerà l’enfiteusi, Finalmente terrà come nulli tutti gli atti di affitto, in cui non sieno intervenuti i rappresentanti necessarii della corporazione ecclesiastica, o nei quali non sieno state serbate le formalità e le au- torizzazioni volute dalle rispettive loro speciali regole e dagli usi su di ciò invalsi nelle nostre provincie. «In quanto poi agli affitti che siano convenuti dopo la pubblicazione in Sicilia del decreto 18 ottobre 1860 è necessario ritenere, che se essi sieno regolari per le forme e per il periodo di tempo permesso dalla legge, e se sieno già in corso allorchè, dovrà celebrarsi la enfiteusi, allora debbono essere rispettati a’ sensi del sudetto art. 31° della legge. Se però non avranno incominciato a decorrere, quando avrà luogo la subasta ultima dell’enfiteusi, allora dovrauno ritenersi come sciolti 7ps0 jure colla fine dell’affitto ch’è in corso, e perciò la Commissione dovrà ritenerli come non avvenuti, e nel quaderno delle condizioni dovrà solamente dichiarare che sia rispet- tato l’aflitto in corso. « Emerge da tutto ciò che la Commissione dovrà far rispettare tutti gli affitti cor- renti per lo periodo di tempo che dalle anzidette leggi è permesso. Degli affitti, che non si prevederanno poter cominciare a decorrere pria dell’epoca dell’enfiteusi, non do- vrà rispettarne nessuno. Dovrà poi ritenere come nulli e non convenuti tutti gli anni di affitto che sorpassano i suddetti periodi di tempo permessi dalla legge. « Il quaderno delle condizioni dovrà essere redatto per ciascuna quota, e dovrà contenere : i DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 197 « 1° La indicazione del fondo col nome della contrada e del comune ove è sito; « 2° Il titolare ecclesiastico a cui appartiene; « 3° La estensione della quota in ettare e frazioni di ettare; « 4° I confini ed il numero dei segni divisorii; e 5° I casamenti con una loro sommaria descrizione, le acque e le macchine, se ve ne sieno; « 6° Le vie, i dritti di attingere acqua, o di abbeverare; e tutte le altre servitù attive o passive che vi possano essere; « 7° La rata della tassa prediale dovuta allo Stato; « 8° La rata degli altri pesi che gravitano sulla quota, ed a chi sieno dovuti; « 9° La rata del canone netto che servirà di base alla subasta in favore del ti- tolare ecclesiastico; « 10° Se vi è affitto corrente da doversi rispettare, ed in qual giorno avrà luogo la immissione in possesso dell’enfiteuta; e 11° E finalmente i patti della enfiteusi che dovranno essere i seguenti : e a) l’obbligo di migliorare il fondo e di non permetterne la deteriorazione, « b) lobbligo di pagare al titolare ecclesiastico il canone che risulterà dalla su- basta con denaro corrente in regno nel giorno 31 agosto di ogni anno, o in altro giorno giusta l’uso del luogo ove è sito il fondo, e c) la pena della devoluzione del dominio utile a favore del titolare ecclesia- stico per notevoli deteriorazioni del fondo, o per mancato pagamento del canone in un triennio consecutivo, nel qual caso si darà luogo a nuova enfiteusi, « d) che il canone si dividerà seguendo le divisioni del fondo enfiteutico, « e) ch'è proibito concedere il fondo stesso in subenfiteusi, e che se mai si sti- polasse, dovrebbe ritenersi come non fatta, ed il subcanone conserverebbe la natura di una semplice rendita, »f) che riman proibito qualunque dritto di prelazione e di laudemio in favore del domino diretto nel caso di vendita o di altre alienazioni, «g) che la tassa prediale e la rata dei pesi descritti nel quaderno delle con- dizioni rimangono accollate all’enfiteuta, e che non vi è luogo a compenso o a rifazione per qualunque incremento o decremento possa avere in avvenire la detta tassa pre- diale, « h) che la quota enfiteutica sarà aggiudicata al maggiore offerente nella su- basta definitiva, salvi gli additamenti di decimo e di sesto, < i) che l’enfiteuta dovrà pagare tutte le spese occorse per la subasta, prima che riceva dal Presidente del Tribunale il verbale dell’aggiudicazione definitiva che costituirà il di lui titolo esecutivo, « k) finalmente il canone risultante dalla subasta sarà redimibile in una o più rate a piacimento dell’enfiteuta, immobilizzando a nome del corpo morale direttario una rendita iscritta sul Gran Libro del debito pubblico italiano uguale al canone. «I quaderni delle condizioni così formati (e che per maggiore uniformità sarebbe 198 STORIA DELLA ENFITEUSI meglio metterli a stampa) dovranno unirsi in un solo fascicolo per tutte le quote di uno stesso fondo, e così uniti dovranno trasmettersi dal Presidente della Commissione al R. Procuratore presso il Tribunale all'oggetto di procedere alle subaste. « Nel tempo stesso che si farà l’ invio di detti quaderni al R. Procuratore, do- vranno i rispettivi titolari ecclesiastici essere avvisati dal Presidente della Commis- sione, per mezzo dei loro Sindaci, del suddetto eseguito invio del quaderno delle condizioni. Se poi essi non interverranno nella subasta, ciò non impedirà che l’en- fiteusi si compia, siccome è stabilito nello art. 25° della legge. I Sindaci dovranno certificare al suddetto Presidente di essersi rilasciato tale avviso ai titolari eccle- siastici rispettivi, « Si raccomanda pertanto che ì quaderni delle condizioni per le quote di uno stesso fondo siano spediti insieme in unico fascicolo al R. Procuratore, per potersi proce- dere contemporaneamente alla loro subastazione, « Come pure si raccomanda alla prudenza delle Commissioni e de’ Regii Procu- ratori di non far mettere giammai all’asta un piccol numero di quote, e principal- mente nei primi incanti, affinchè non succeda una gara immoderata e dannosa alla stessa agricoltura. Perlocchè è d’uopo aver l’occhio a riunire insieme un certo nu- mero di quaderni relativi a quote di fondi diversi, per poter dividere gli attendenti sopra una più larga estensione d’incanti, « $ 15 Delle subaste, dell'enfiteusi a trattativa privata, e della immissione in pos- sesso degli enfiteuti. — Il R. Procuratore del Tribunale è incaricato dalla legge di far aprire le subaste, e di curare tutte le formalità necessarie sino all’ aggiudica- zione definitiva, come è prescritto dagli articoli 26° c 27° della legge e 42° del re- golamento. Egli perciò farà in primo luogo determinare dal Tribunale il Giudice, in- nanzi a cui dovranno aver Iuogo le subaste, non che il luogo, il giorno e l’ora, « Gli avvisi per la subasta preparatoria e per la definitiva dovranno essere pub- blicati nel Giornale Ufficiale per la Sicilia a cura del Procuratore del Re. Dovranno pure essere affissati per mezzo di usciere giudiziario, che ne dovrà redigere verbale, alla porta del Tribunale, alla porta del luogo ove la Commissione tiene le sue se- dute, alle porte delle case municipali del comune ove son siti i beni da censuare, e del comune ove son domiciliati i titolari ecclesiastici. Tali pubblicazioni ed avvisi precederanno le rispettive subaste di un tempo eguale a quello ch’ è stabilito per la vendita dei beni immobili dei minori. — Del pari dovranno essere pubblicati ed aflissati gli avvisi per gli additamenti di decimo e di sesto dopo 1’ aggiudicazione della subasta definitiva, e dovran precedere di soli 5 giorni i termini pei rispettivi additamenti. La mancanza di oblatori per tali additamenti si farà costare per mezzo di apposito verbale. Tutte le altre formalità son quelle stesse stabilite dalla legge per la detta vendita dei beni immobili dei minori. ì « Nel caso che la subasta preparatoria sia deserta per mancanza di attendenti, si dovranno rinnovare gli avvisi e le pubblicazioni coll’assegnazione di un altro giorno per la nuova subasta; e se questa sarà di nuovo deserta, si rinnoveranno una terza DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 199 volta. Rimanendo deserto l’incanto anche per la terza volta, il Procuratore del Re dovrà darne avviso al Presidente della Commissione, rimandandogli il quaderno delle condizioni delle singole quote che non hanno avuto oblatori, affinchè la Commissione proceda alla stipulazione dell’enfitensi a trattativa privata, per come prescrivono gli articoli 30° della legge e 43° del regolamento. «Il suddetto art. 30° dà facoltà alla Commissione di procedere alla enfiteusi a trattativa privata, solchè non si immuti nulla di quanto è disposto agli articoli 20°, 21° e 22° della legge. Cioé, non si devono immutare il piano della divisione delle quote, la rata proporzionale del canone, dei pesi e della tassa prediale dovuta allo Stato, che deve accollarsi all’enfiteuta di ciascuna quota, le vie, i dritti di attingere acqua e di abbeverare. Perciò nella trattativa privata ogni quota dovrà essere con- servata nella sua integrità, per come fu definitivamente approvata nel piano di di- visione, e dovranno del pari essere rispettate tutte le condizioni stabilite nel qua- derno. « La Commissione collettivamente, o per mezzo dei singoli suoi membri, potrà fare invitare gli oblatori alla trattativa privata, servendosi a tal mopo o degli stessi ti- tolari ecclesiastici interessati, o delle Giunte municipali del luogo ove sono siti i beni, o di altre sue particolari relazioni. Però è sempre giusto che la privata trattativa sia annunziata al pubblico almeno nei comuni del circondario della Commissione per mezzo di affissi che i Sindaci potranno fare eseguire per ordine del Presidente della stessa innanzi alla porta della casa municipale, ed in altri luoghi che eglino stime- ranno opportuni. « La trattativa privata sarà fatta senza formalità, non lasciando però di preferire il maggiore offerente. La Commissione potrà addivenire a qualunque pattuizione, purchè non leda alcuna delle condizioni stabilite nel quaderno. L’atto di enfiteusi sarà celebrato dalla Commissione stessa coll’enfiteuta innanzi un pubblico notaro. « La trattativa privata dovrà ripetersi in tempi successivi, finchè non avrà otte- nuto il suo effetto. Finalmente la Commissione farà a questa Sopraintendenza, per rassegnarsi al Ministero, una relazione di tutte le quote che colla trattativa privata non han potuto concedersi in enfiteusi, affinchè sian prese dal R. Governo le oppor- tune risoluzioni. « Il nuovo enfiteuta dovrà fornirsi del titolo esecutivo, senza di cui non potrà im- mettersi in possesso della sua quota: il qual titolo consiste nella copia in forma esecutiva del verbale di ultima aggiudicazione se l’enfiteusi sia stata celebrata col- l’incanto presso il Tribunale, e nella copia in forma esecutiva dell’ atto enfiteutico se sarà stata celebrata presso un notaro dopo la trattativa privata. Il Presidente del Tribunale consegnerà il suddetto titolo esecutivo all’enfiteuta dopo avere approvato la liquidazione di tutte le spese occorse per la subastazione, comprese quelle delle - pubblicazioni sui giornali , degli affissi e di tutti gli atti uscieriali (la quale liqui- dazione dovrà eseguirsi dal Segretario del Tribunale) e dopo essersi accertato che l’enfiteuta abbia soddisfatto alla Segreteria del Tribunale tutte le suddette spese se- 200 STORIA DELLA ENFITEUSI condo la liquidazione da lui approvata. Le quali spese saranno quindi distribuite a chi son dovute dallo stesso Segretario sotto la vigilanza del Regio Procuratore. — Del pari il notaro consegnerà il titolo esecutivo al nuovo enfiteuta, dopo ch'egli ab- bia pagato tutte le spese di pubblicazioni, aflissi ed atti uscieriali che occorsero per intimare le subaste, non che le spese dell’atto enfiteutico, « Il nuovo enfiteuta in virtù del suddetto suo titolo esecutivo potrà immettersi nel possesso della sua quota di terreno all’epoca fissata nel quaderno delle condizioni, la quale epoca, siccome è stato sopra avvertito, dovrà corrispondere a quel giorno, in cui dovrà cessare, o dovrà tenersi come ipso jure cessato, l’affitto corrente. Egli quindi ha dritto di espellere colla forza giudiziaria e nei modi stabiliti dalla legge chiunque voglia impedirgli la sua immissione in possesso all’epoca stabilita. Ciò im- porta che il di lui titolo avrà virtà esecutiva, siccome è prescritto nell’art. 28° della legge. « $ 16 Del rapporto che ciascuna Commissione dovrà fare mensilmente intorno alle sue operazioni. — L'art. 48° del regolamento dà l’obbligo a ciascun membro della Commissione di tenere mensilmente informata l’Autorità da cui direttamente dipende, di tutto l'andamento delle operazioni di censuazione mediante un circostanziato rap- porto, che da detta Autorità dovrà esser trasmesso al R. Ministero. « Talune Commissioni, presiedute da Sotto Prefetto, han creduto che il detto rap- porto si debba da esse rimettere al Prefetto della Provincia. — 0r non occorre dire che ogni Commissione è indipendente dalle altre, e che il Prefetto Presidente della Commissione circondariale che risiede nel capo provincia non ha maggiori attribu- zioni di quelle, che appartengono ai Sotto Prefetti come Presidenti delle rispettive Commissioni circondariali. — Dappoichè il R. Governo ha stabilito in Sicilian una So- praintendenza Generale su tutte le Commissioni, è chiaro che l’Autorità, da cui di- rettamente dipende ogni Commissione sia adesso questa Sopraintendenza, alla quale debbonsi rimettere i detti rapporti mensili, affinchè essa li trasmetta colle sue osser- vazioni al Ministero, « Però sino al presente, bisogna dirlo, sono state poche le Commissioni che hanno adempito a questo loro dovere; e lo scrivente ha rilevato questo difetto, non solo nelle Commissioni che forse per mancanza d’ impiegati sono state meno attive, ma auche in talune che sono state assai diligenti e sollecite nello spingere innanzi le operazioni dell’enfiteusi, forse non essendo esse ben persuase ancora che il Governo, non solo vuole la pronta esecuzione della legge, ma vuol conoscere ed invigilare tutte le operazioni che dalle Commissioni si eseguano, sì per dirigerle con uniformità fra di loro, si per risolvere i dubbii che potranno occorrere, sì per raccoglierne tutti i dati statistici che son pur troppo preziosi pel pubblico interesse. E per tali oggetti il Governo ha voluto istituire da presso alle Commissioni questa Sopraintendenza Ge- nerale. « Spera dunque il sottoscritto che da questo mese in avanti nessuna più delle Com- missioni mancherà al proprio dovere, e che non si abbia più a lodare la diligenza di Commissioni siugole, ma di tutte le Commissioni. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 201 « Affinchè però il rapporto mensile possa esser condotto colla maggiore esattezza ed uniformità possibile, il sottoscritto ha disposto un modello diviso per categorie, di cui ha spedito una copia, insieme con una nota rischiarativa, a ciascuna Com- missione nel di 14 or decorso novembre num. 174, inculeando che alla fine di ogni mese sieno analogamente riempite le rispettive categorie, e fra i quattro giorni del mese seguente sia spedito il modulo così riempito a questa Sopraintendenza. « E siccome l’art. 48° del regolamento obbliga ciascun membro della Commissione alla compilazione del suddetto rapporto, perciò dovrà esser firmato da tutti i mem- bri della medesima. Se alcuno di essi sarà dissenziente dagli altri, farà un rapporto separato. « Insieme al detto rapporto il Presidente dovrà rimettere a questa Sopraintendenza il foglio d’intervento dei membri della Commissione alle sedute che han dovuto aver luogo nel corso del mese, non che una relazione sul servizio degl’impiegati della Se- greteria, essendo anche interesse del R. Governo conoscere ed apprezzare la diligenza degli uni e l’operosità degli altri, « Il Sopraintendente generale, Deputato al Parlamento « Firmato: Simone (orLEO. » (0). « Regno d’Italia. — Ministero di Grazia Giustizia e Culti. — Direzione generale per gli affari di culto. — 3° Divisione. « Firenze, 17 ottobre 1865. — Num. 18817. « Oggetto — Sull enfiteusi della quota di condominio spettante ai corpi ecclesia- stici su fondi da essi posseduti con proprietarii privati. « Al signor Sopraintendente Generale delle Commissioni enfiteutiche in Palermo. « Colla pregevole nota del 7 luglio ultimo la S. V. Illma rilevando come nel caso che fondi rurali dichiarati da titolari ecclesiastici sien posseduti da’ medesimi in condominio con proprietarii privati, e vogliano costoro come terzi interessati pro- muovere il giudizio di divisione, debbano sospendersi le operazioni enfiteutiche sino allo espletamento del giudizio di riparto, e considerato come, allo scopo di esimere tali fondi dalla censuazione, sia invalsa l’usanza d’iniziare con una citazione un tal giudizio, che più non si spinge, a danno della censuazione della rata di condominio spettante al corpo morale, ha proposto come rimedio di farsi la censuazione all’asta pubblica della cennata rata di condominio indiviso, e di farsene anche mentalmente la divisione in quote, ove il condominio ecclesiastico fosse esteso. « Sull’espediente da Lei suggerito ha versato questo Ministero il più serio esame, e comunque esso nella sua attuazione paja dovere incontrare degli ostacoli, pur tut- tavia non può lo scrivente che ravvisarlo ingegnoso non solo, ma pure legale. Giornale di Scienze Nat. ed Econ. Vol. VII. Parte II. 26 202 STORIA DELLA ENFITEUSI « Sicchè adottandolo in principio, ha oggi stesso il sottoscritto spedita ai Primi Pre- sidenti presso le Corti di appello in Sicilia la Circolare seguente: « Non pochi fondi rurali dichiarati da titolari ecclesiastici sono posseduti da’ me- desimi in condominio con altri proprietarii privati. « Nelle Istruzioni emanate in dicembre 1863 circa l'adempimento della legge 10 agosto 1862 venne inculcato alle Commissioni di procedere sempre in tai casi all’en- fiteusi del fondo col proposito di attribuire a ciascuno de’ condomini la rata pro- porzionale del canone che gli fosse spettata, e ciò allo scopo di non ritardarsi il censimento di tali fondi nel caso possibile dello assenso de’ condomini privati. « Se non che ove questi, come terzi interessati aventi dritto dopo la pubblicazione del corrispondente quadro di promuovere invece la divisione giudiziaria del fondo stesso, ed opporne alla Commissione fra i 20 giorni assegnati dalla legge la pen- denza del giudizio, intendessero a tal partito attenersi, è volontà della legge che debba la Commissione sospendere le ulteriori operazioni enfiteutiche sino all’ esple- tamento della divisione giudiziale. « Però con rincrescimento si è osservato che in simili casi, allo scopo di esimere i fondi dalla censuazione, si slancia una citazione a dividere, la quale si mette ap- pena a ruolo presso il Tribunale del Circondario, e più non si porta avanti; cosicchè non vi essendo più interessato a proseguire e compiere il lungo giudizio di divisione, ed apprestando la legge i mezzi per non far perimere l'istanza di divisione, non vi è modo alcuno come far censuare le rate di tali fondi appartenenti agli enti eccle- siasticl. « Intanto il sottoscritto, a spingere più che si possa le operazioni relative alla sa- lutare legge 10 agosto 1862, ed a rimuovere tutte quelle difficoltà che potessero arre- starne lo svolgimento, dopo maturo esame ha considerato che il condomino di un fon- do, comunque possieda in comune e s'ignori sino alla divisione quale sia la parte del fondo di cui dovrà avere l’esclusivo possesso, non è a contestarsi ch’ei non ne sia pro» prietario, e possa disporne a piacimento in tutti i modi dalla legge consentiti. « Ammesso ch’ei ne è proprietario e possessore, ne segue che può egli alienarla e di conseguenza enfiteuticarla; può in un solo individuo trasferire il condominio, lo può quando il voglia in più persone tramandare o indivisamente o a rate di- stinte, o semplicemente per quota, di cui si menzioni solo la quantità, salvo a de- terminarsi nella divisione, che altrimenti non potrebbe effettuarsi che con l’inter- vento di tutti gli enfiteuti, quale materialmente la terra da attribuirsi a questa quota « Ha inoltre lo scrivente riflettuto che nulla osta a che il condominio, ove sia esteso e debba concedersi a più in enfiteusi, possa mentalmente dividersi, « Solo in questa ipotesi dovrebbe badarsi a non concederlo in massa a più indi- ‘vidui, ma a ciascuno una parte separata e distinta, e a non accennare ad estensione o quota di terra, ma ad una parte determinata della quota di condominio spettante al corpo morale o ente ecclesiastico, come a dire un decimo, un vigesimo della terza DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 203 parte od altra che sia del condominio. proprio di quel dato corpo morale ecclesia- stico. Ciò eviterebbe nel primo caso che nella divisione i cessionarii si abbiano del fondo una parte indivisa che resti tra essi comune, e renda necessaria una seconda divisione. — Nel secondo perchè essendo ignoto quale la quantità di terra che po- trà venire attribuita per sola quota di condominio al corpo morale, non potrebbe cen- sirsi quota di terra, ma quota di condominio. « Per le svolte compendiose considerazioni, il sottoscritto nel proposito di dar ri- medio al lamentato inconveniente viene a dichiarare che ove si trovino de’ fondi posseduti indivisamente in condominio tra corpi morali ecclesiastici ed individui par- ticolari, possa procedersi all’ enfiteusi della sola rata di condominio indiviso spet- tante al corpo morale, sostituendo così l’enfiteuta in quegli stessi dritti di condo- minio che appartengono al corpo ecclesiastico e possa anche, ove il condominio della Chiesa fosse esteso, mentalmente dividersi in più quote, onde più enfiteuti occorrendo ne divengano condomini. « Del che mentre lo scrivente va a dar comunicazione alle Commissioni circonda- riali dell’ isola per curarne lo adempimento, si affretta rendere avvertita la S. V. Illma a che si piaccia restarne intesa, e farne cenno ai Presidenti de’ Tribunali di circondario per servir loro di norma nelle evenienze che potessero sorgere. « Tutto ciò lo scrivente comunica alla S. V. Ilma perché ne abbia conoscenza, e voglia al terapo stesso dirigere le oecorrenti istruzioni alle Commissioni tutte circon- dariali per curarne lo adempimento. « Né in questa occasione crede tacerle chi scrive, com’ei rimanga soddisfatto della intelligenza ed impegno mostrati dalla S. V. Illma nello scopo che la salutare legge 10 agosto 1862 non abbia a trovare inciampi al suo completo svolgimento. « Pel Ministro « Firmato: CastELLI » (P). « Regno d’Italia. — Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti. — 3° Divisione. « Torino, 7 aprile 1864. — Num. 24815. « Oggetto — Per un reclamo contro le Commissioni enfiteutiche di Termini e di Terranova. « Al signor Sopraintendente generale delle Commissioni enfiteutiche in Palermo. « Da monsignor Arcivescovo di Palermo si è fatto presente a questo Ministero il corredo delle ragioni, per le quali egli ed il Capitolo di cotesta Cattedrale deter- minaronsi a tradurre in giudizio le Commissioni enfiteutiche di Termini e Terranova. « Il sottoscritto, avendo tenuto nella debita considerazione quanto dal Prelato si è rilevato, non che quanto erane dalla S. S. Illma fatto conoscere, ha oggi scritto al Procuratore Generale presso cotesta Corte di Appello, manifestando esser suo avviso 204 STORIA DELLA ENFITEUSI non poter le Commissioni esser tradotte in giudizio, epperò invitandolo a dar le op- portune istruzioni a chi di ragione. «La S. S. Illma potrà apprestare al predetto magistrato tutti quegli elementi e notizie che crederà del caso. « D'Ordine del Ministro — Il Direttore superiore « Firmato: A. Mauri » (0). « Regno d’Italia. — Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti. — 3° Divisione. « Torino, 12 settembre 1864, — Num. 23236. « Oggetto — Pes ricorsi contro le deliberazioni delle Commissioni enfiteutiche. « Al signor Sopraintendente generale delle Commissioni enfiteutiche in Palermo. « È stato chiesto a questo Ministero se ai titolari ecclesiastici spettasse dritto a ricorso contro le deliberazioni delle Commissioni circondariali istituite dalla legge 10 agosto 1862 per l’entiteusi dei beni rurali delle chiese, nel caso che esse Commis- sioni avessero soggetti alla concessione enfiteutica fondi che dovrebbero essere esclusi. « Il sottoserttto, tenendo presenti le disposizioni della legge, dichiara, che il dritto a portare reclamo contro le dette deliberazioni alla Corte d’appello è solo conceduto al terzi, e non ai titolari ecclesiastici, giusta gli articoli 16°, 17° e 18° della legge suddetta; e che ai titolari eeclesiastici non altro è consentito, che il portar reclamo alla Commissione medesima per essere esaminate le osservazioni che sui quadri ad essi titolari notificati potrebbero occorrere, e ciò giusta |’ art. 14° e 15° della legge medesima. « Dichiara altresi il sottoscritto non essere vietato espressamente dalla legge il por- tar richiamo al Governo contro l’operato di una Commissione; ma tal richiamo non poter mai sospendere il corso delle operazioni della censuazione, ma poter essere preso dal Governo del Re in quella considerazione che si crederà convenevole alla vigilanza che al Potere esecutivo è riserbata di esercitare su tutti i Corpi costituiti dello Stato, « Si partecipa ciò a S. S. Illma per sua intelligenza e regolamento, avendo curato il sottoscritto che tal determinazione fosse portata a conoscenza di tutte le Com- missioni. « Il Ministro « Firmato : PISsANELLI, » DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 205 (R). « Regno d’Italia. — Ministero di Grazia e Giustizia e de’ Culti, — Direzione Ge- nerale per gli affari di culto — 3° Divisione. « Firenze, 14 ottobre 1865. — Num. 18817. « Oggetto — Sul gravame ad istanza dell’ Abbadessa del monistero dell’ Assunta. « AI signor Sopraintendente generale presso le Commissioni enfiteutiche in Palermo. «I provvedimenti da Lei promossi con la nota 4 agosto scorso num. 1637 nello scopo di arrestare le conseguenze e prevenire la ripetizione del mal fatto di cote- sta Corte d’appello che ammise e giudicò sul gravame interposto dall’Abbadessa di cotesto monistero dell’ Assunta contro una deliberazione della Commissione enfiteu- tica di Caltanissetta traducendo in giudizio il Presidente della medesima, furono da questo Ministero emanati con nota 30 mese stesso diretta al Procuratore generale presso la cennata Corte. «I sensi di quella nota sono i seguenti: « « Con grave sorpresa e rincrescimento è venuto a notizia del sottoscritto come avendo l’Abbadessa di cotesto monistero dell’Assunta giudicato d’interporre appello contro la deliberazione della Commissione enfitentica di Caltanissetta che rigettò un suo reclamo tendente ad escludere dalla censuazione le terre in contrada Deri pro- prie del monistero suddetto, e citato il Presidente della Commissione medesima a comparire nanti cotesta Corte, abbia la Corte stessa in di lui contumacia sulle uni- formi conclusioni della S. S. nella qualità di Pubblico Ministero ammesso lo appello in parola, ritenuto legalmente fatto il reclamo della Badessa e rinviato alla Commis- sione il merito della vertenza. « Sul proposito parrebbe essersi scritto e disposto abbastanza per non essersi do- vuto incorrere in simili abbagli. « Rammenterà la S. S. Illma come per le note del 7 aprile e 12 settembre 1864 sia stato formalmente dichiarato non potere i titolari ecclesiastici chiamare in giu- dizio le Commissioni enfiteutiche nanti le Corti di appello per sentir revocare le loro deliberazioni, essendo vietato d’intimare un corpo giudicante a comparire innanzi ad un altro, ma solo appartenere ai titolari ecclesiastici il dritto di ricorrere ammi- nistrativamente al real Governo contro le deliberazioni anzidette. « Terrà memoria la S. S. come per l’altra nota del 14 gennaro ultimo num. 726 partecipata ai Procuratori generali e primi Presidenti delle Corti d’appello in Sici- lia per farne notificazione a’ Presidenti de’ Tribunali compresi nel circolo della re- lativa Corte, fosse stato specificato spettar solo a’ terzi la ragione del gravame con- tro le deliberazioni delle Commissioni presso la Corte di appellazione, di cui all’art. 35° del regolamento 26 marzo 1863; e come i terzi medesimi non potessero citare le Commissioni perché corpi gindicanti, ma doversi bensi il loro gravame discutere con la contradizione degli stessi titolari ecclesiastici. « E dopo tante reiterate ed esplicite dichiarazioni con maturità di consiglio ema- nate, sorprende, giova ripeterlo, ch’abbia cotesta Corte sulla di Lei requisitoria am- 206 STORIA DELLA ENFITEUSI messo e giudicato sull’appello della Badessa in parola, in contradizione d’ altronde della giurisprudenza delle Corti ch’ avean già riconosciute ed accettate le massime all'uopo prescritte, come infatti la Corte di Messina avea dichiarato inammessibile un gravame di taluni titolari ecclesiastici contro la Commissione di Castroreale, e che cotesta Corte di Cassazione avea pur anco non ha guari riconosciuto nell’inte- resse della Commissione di Catania, dichiarando che le Commissioni enfiteutiche come corpi giudicanti non posson mai essere tradotte in giudizio. « E più sensibile è riuscito il rinerescimento del sottoscritto da che il Vescovo di Cefalù facendo suo pro della decisione di cotesta Corte, determinossi a citare il Pre- sidente della Commissione di Caltanissetta a comparire innanzi cotesta Corte per sen- tir revocare un suo deliberato, esempio che da altri in seguito sarebbe imitato, ove la mano governativa non giungesse a darvi riparo. « Epperò fermo restando in tutte le sue parti il risoluto nelle succennate note del 7 aprile, 12 settembre anno scorso e 14 gennaro ultimo, num. 24815, 73236 e 726, ove il Presidente della Commissione in parola sarà per fare opposizione alla indi- cata decisione di cotesta Corte, non potendo le stesse essere sostenute dalla Com- missione stessa rappresentata da patrocinatore per non competere ciò ad un corpo giudiziario, è pregata la S, S. Ima nella qualità di assumerne il sostegno, come di argomento di ordine pubblico, affinchè la decisione profferita venga revocata per mancanza di parte contradicente, la quale non può esser mai la Commissione o il suo Presidente, e per mancanza di dritto ne’ titolari ecclesiastici a ricorrere innanzi alla Corte contro i deliberati delle Commissioni. «Quanto poi agli uscieri addetti al Tribunale di Caltanissetta Giuseppe e Calogero Marchesa che, in opposizione alle replicate avvertenze state lor fatte per mezzo di quella R. Procura, arbitrò l'uno di rilasciare citazione al Presidente di quella Com- missione ad istanza della Badessa del monistero dell'Assunta, e l’altro di citare il Presidente stesso ad istanza del Vescovo di Cefalù, il sottoscritto ha in giornata di- rette le opportune pratiche presso cotesto primo Presidente per provocare a loro carico le convenevoli misure disciplinari. » « Questo funzionario pertanto ha risposto alla lettera inviatagli; ha assicurato che l'ammissione del gravame in parola ebbe origine da che per rilevanti accidenti non erano state portate a notizia della Corte le determinazioni sull’obbietto da questo Mi- nistero emanate. Promise che da oggi innanti verranno puntualmente eseguite; e quanto agli uscieri fratelli Marchesa, dichiarò che andava a provocare le convenienti misure di rigore a loro carico, tutte Ie volte constasse essere stati prevenuti dal R. Procuratore di Caltanissetta a non rilasciare citazioni a comparire in giudizio ai Presidenti delle Commissioni enfiteutiche. « Ciò lo scrivente si pregia partecipare alla S. V. Hllma in soddisfacimento della citata nota 4 agosto, e di riscontro all’altra del 7 settembre num. 1832. « Pel Ministro « Firmato: CASTELLI. » DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 207 (S). « Regno d’Italia. — Ministero di Grazia e Giustizia e de’ Culti. — 32 Divisione, « Torino, 14 gennaro 1865. — Num. 726. « Oggetto — Se le Commissioni enfiteutiche possano essere citate in giudizio dai terzi che reclamano contro le deliberazioni delle stesse. « Al signor Sopraintendente generale delle Commissioni enfiteutiche in Palermo. « Si è chiesta a questo Ministero la soluzione di un quesito, cioé, se le Commis- sioni istituite ne’ circondarii di Sicilia per la censuazione de’ beni rurali ecclesia- stici giusta la legge del 10 agosto 1562 possano essere citate in giudizio da’ terzi che abbiano interesse a gravarsi delle deliberazioni dalle stesse emanate, secondo il disposto degli articoli 16° e 17° della legge medesima. « Lo scrivente, prese in considerazione le ragioni che per la parte affermativa e per la parte negativa si sono dalle varie autorità arrecate, ha dovuto rilevare le seguenti particolarità : « La legge, mentre da un canto ha negato ai titolari ecclesiastici la facoltà d’im- pugnare le deliberazioni delle Commissioni altrimenti che ricorrendo alle stesse nello scopo di essere riesaminato l’argomento, ha lasciato però ai terzi la facoltà, non solo di rivolgersi alle Commissioni medesime, ma di poter altresi portar reclamo contro le deliberazioni che fossero della competenza delle Commissioni stesse alla Corte di Appello. « Nel demandare la legge alle Commissioni la potestà di convertire in annua ren- dita i dritti certi, liquidi, o in qualunque modo prontamente valutabili, è ben evi- dente aver la legge voluto che le Commissioni circondariali assumessero realmente per tale oggetto le funzioni di giudici, epperò esservi per l’oggetto un giudizio che eseguesi in primo grado dinanzi le Commissioni, ed in secondo grado dinanzi alle Corti di appello. « Ammessa la qualità di giudicato, quantunque in via amministrativa in prima istanza, alle deliberazioni delle Commissioni, non solo non vedesi alcun legale fon- damento perchè possano le Commissioni essere tradotte in giudizio, ma un tal pro- cedimento sarebbe contro le leggi di organamento giudiziario, e contro quelle di pro- cedura, non essendo ormai, come forse in altri tempi lo era, permesso che il giu- dice decidente abbia ad essere, non altrimenti che l’attore, costretto a stare innanzi al giudice di grado superiore, nel modo stesso come non potranno essere tradotti innanzi alle Corti d’ appello quei giudici che avessero deciso sul merito dei dritti litigiosi ad istanza de’ terzi, secondo il caso preveduto nel primo alinea dello stesso articolo 17 della legge. « Accertato questo primo capo, lo scrivente non dissimula la forza di ciò che po- trebbe opporsi, cioè che chiamata in giudizio una Commissione, il giudizio somma- rio che deve aver luogo innanzi la Corte di appello (secondo l’articolo 18), si com- pirebbe senza contradittore, il che sarebbe contro gli articoli 497 e seguenti delle leggi di procedura che in Sicilia sono ancora in vigore. « Si è da taluno proposto che in questo caso s’invitasse il Pubblico Ministero a 208 STORIA DELLA ENFITEUSI far da contradittore in giudizio: ma si è in contrario osservato, che ciò non sa- rebbe secondo la legge, la quale secondo le statuizioni del regolamento del 26 mar- zo 1865 non altra parte intese demandare a quel funzionario in tali giudizii, che di affrettarne il corso (articolo 35 del regolamento); si è osservato altresi non potersi al presente caso estendere il Regio decreto del 27 ottobre 1825 perchè fu per esso al Pubblico Ministero affidata la parte principale ne’ giudizii ehe riguardassero beni di R. patronato, e di tal natura non tutti sono i beni colpiti dalla legge di cen- suazione; per esso sarebbe stato mestieri di una legge, perché quella disposizione eccezionale potesse essere applicata al caso di cui è parola. « Ora Io scrivente ha considerato che la legge del 10 agosto 1862, nell'atto che intese ridonare al libero commercio i beni che agli enti ecclesiastici appartenevano mercè la enfitentica concessione, non intese certamente statuire la spoliazione degli enti stessi, ma conservò a questi tutte le attribuzioni inerenti alla proprietà , se sene eccettui l'utile dominio. Volle infatti la legge che i titolari dichiarassero esser pronti a stipulare l’enfitensi (articolo 5, alinea e), che ad essi si notificassero i quadri (articolo 13), che essi potessero, occorrendo, reclamare contro la formazione de’ quadri stessi (art. 14), che ad essi si desse legale conoscenza de’ quaderni delle condizioni rimessi al Tribunale (art. 25), nè fu vietato ad essi di assistere alle subaste. « Fino a tanto adunque che non avvenga la effettiva separazione de’ due dominii ed il trasferimento del domino utile nell’enfiteuta, i terzi che pretendono dritto sui fondi spettanti alle manimorte, non possono aver per legge altro contradittore, se non il corpo morale ed il titolare ecclesiastico; nel modo stesso che il titolare ec- clesiastico e non altri è il legittimo coutradittore ne’ giudizi che puramente po- tessero aver luogo nel caso previsto dal citato alinea primo dell’anzidetto art. 17, « Perchè adunque possa segzuirsi una norma costante negli occorrenti casi, lo scri- vente manifesta esser suo avviso, non doversi citare in giudizio le Commissioni dai terzi reclamanti, ma piuttosto doversi citare i rappresentanti de’ corpi morali. « Si manifesta ciò a S, S. Illma per sua intelligenza e perchè si piaccia darne notizia a tutte le Commissioni incaricate delle concessioni enfiteutiche dei beni ec- clesiastici, « Il Ministro « Firmato: G. Vacca, » (T). « Regno d’Italia. — Ministero di Grazia e Giustizia e de’ Culti, — Direzione Ge- nerale per gli affari di culto. — 2° Divisione. « Firenze, 8 maggio 1866. — Num. 7382, « Oggetto —Soluzione di quesiti sulla censuazione enfiteutica de’ beni ecclesiastici. « Al signor Sopraintendente generale delle Commissioni enfiteutiche in Palermo. « Oggi stesso è stata comunicata ai Procuratori Generali del Re presso coteste Corti di appello la ministeriale seguente: DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 209 « Indi alla ministeriale del 5 febbraro ultimo, mercè la quale venne da questo Mi- mistero dichiarato che le subaste per la censuazione de’ beni rurali ecclesiastici do- vessero aver luogo con le formalità prescritte dall: legge 10 agosto 1862 combinate con quelle della novella procedura civile circa alla vendita degl’ immobili dei mi- nori, il Sopraintendente generale delle Commissioni, a chiarire taluni dubbii che aves- sero potuto sorgere nell’applicazione del principio stabilito, e ad evitare che un’ in- terpretazione diversa avesse potuto esser cagione di difforme procedimento, avvisò con nota circolare comunicata a’ Procuratori regii e Presidenti di cotesti Tribunali di circondario di elevare sull'argomento delli quesiti, e nel tempo stesso motivando risolverli. e Discordando alcuno de’ cennati Presidenti uella soluzione data dal Soprainten- dente generale a taluno di tali quesiti, ha egli trasmesso a questo Ministero copia dell’anzicennata circolare accompagnata da una sua relazione, contenente i motivi che a contrario pensamento lo avevano indotto, e provocato all'uopo le governative dichiarazioni regolamentari, « Il sottoscritto, dato il giusto apprezzamento alle osservazioni de’ cennati funzio- narii, e messe in confronto ed armonia le statuizioni della legge 10 agosto 1862 e «del regolamento 26 marzo 1863, nonchè quelle del novello codice di procedura ci- vile del regno, dopo maturo esame, avvisa comunicare alla S. V. i dubbi elevati, € le dichiarazioni di questo Ministero perchè voglia tenerne avvertiti i Procuratori regii e Presidenti de’ Tribunali di circondario dipendenti da cotesta Corte di appello per loro norma. «« 1° Quesito — Deve pubblicarsi ed affiggersi unico bando per l’unica asta enfiteutica, che dovrebbe secondo le novelle leggi celebrarsi, ovvero debbono pubblicarsene ed affiggersene più d'uno? « In questo primo quesito il Sopraintendente generale ha ritenuto doversi il bando pubblicare ed affiggere una sola volta, ricavando forse l'unicità dell’inserzione dal penultimo capoverso dell'art. 831° del codice di procedura civile, « Però sul proposito non sono a confondersi due cose fra loro diverse e distinte, la pubblicazione cioè per affissione, e la pubblicazione del bando medesimo per in- serzione nel Giornale Ufficiale. Tanto nel procedimento dell’espropriazione forzata, quanto nell’altro che traccia le forme a seguirsi nella vendita di beni immobili dei minori, il bando è sempre unico (art. 667, 827°, cod. proc.), unica ne é la pubblica- zione in ambedue i procedimenti (art. 668° capoverso, n. 827). Al contrario doppia anche in ambedue i procedimenti è la pubblicazione del bando per inserzione nel giornale (art. 668° capoverso 3% art. 827° capoverso 2°). Dunque questa doppia pub- blicazione per inserzione nel giornale non occorre argomentarla dall’art. 831°, ove d’altroude parlasi della rivendita in dauno dell’aggiudicatario inadempiente, che è -cosa del tutto diversa dalle subastazioni in grado di aumento; essa è testo preciso Giornale di Scienze Nat. ed Econ., Vol. VII, Parte II. 27 210 STORIA DELLA ENFITEUSI dell’art. $27°, articolo che fa parte della sezione del Codice di procedura civile, nella quale è detto delle forme della vendita dei beni immobili de’ minori. « Ed anzi è da notarsi che siffatto bando dovrà ripetersi tutte le volte in cui si presenteranno delle offerte di additamento di decimo e di sesto; conciossiachè l’ar- ticolo 26° della legge 10 agosto 1862 vuole che gli additamenti di decimo e di se- sto siano preceduti da nuovi manifesti, oggi detti bandi, i quali devono ripetersi dove sia luogo a subastazione in grado di aumento. È ciò ben ragionevole, percioc- ché le offerte in grado di anmento producono lo effetto di doversi procedere a nuovi incanti, i quali traggono la necessaria conseguenza di doversi eseguire quanto è pre- scritto nell’art. 681° del codice di proc. civ. tranne il termine di cui è parola nel- l’ultimo capoverso di esso art. 681°, al quale vuolsi sostituire l’altro speciale del- l’art. 26° della legge 10 agosto 1862. « 2° ()uesiro — Quanto è ‘il tempo che deve necessariamente passare dalla pubblicazione ed affissione del bando alla subasta? « Se l’art. 26° della’ lesge 10 agosto 1862 rinvia alle formalità prescritte per la vendita de’ beni immobili de’ minori è necessaria conseguenza doversi adottare il termine di 10 giorni indicato nell’art. 827° della procedura civile, articolo ehe fa parte della sezione in cui è detto della vendita degl’immobili dei minori, e non quello di giorni 30 stabilito nell’art. 668° per l'espropriazione forzata. « Relativamente poi al deposito l’art. 827° rinvia all'art. 669°, e in quest’ultimo è prescritto che le inserzioni vanno giustificate colla presentazione de’ giornali, da consegnarsi infra tre giorni nella cancelleria. «È soluzione dnnque del 2° quesito che la distanza della pubblicazione ed aftis- sione alla celebrazione dell’asta, giusta le spiegazioni date dal Sopraintendente nella ricordata sua circolare, dev'essere quella di 10 giorni, e gli esemplari del giornale, ove si fa la pubblicazione e il processo verbale dell'affissione devono essere deposi- tati entro tre giorni nella cancelleria. «3° Quesito. — Deve l’offerente aver depositato în denaro nella cancelleria a’ termini dell'art. 672° alinea 3° lo importare approssimativo delle spese dell’incanto del- l’enfiteusi e della relativa trascrizione, e devono perciò tali spese stabilirsi nel bando? « Poichè la quistione in quanto: concerne le spese del registro venne risoluta dalla ministeriale del 29 settembre 1864, bisogna quanto al resto considerare l’art. 26° della legge 10 agosto 1362 vuole che per la censuazione de’ beni ecclesiastici se- guansi le formalità prescritte per la vendita dei beni immobili de’ minori, « L’art. 831° del codice di procedura civile stabilisce che per la vendita di tali beni debbono osservarsi le disposizioni de’ varii articoli che pariano dell’espropria- zione forzata ai quali rinvia, e tra questi evvi l’art. 672°, di cui è sanzione dovere DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 211 qualunque offerente aver depositato in denaro nella cancelleria l’importare appros- simativo delle spese dell’incanto, della vendita e relativa trascrizione nella somma stabilita nel bando. « E° non è a ritenersi che l’art. 46° del regolamento 26 marzo 1863 contenga una disposizione contraria a quella del 2° capoverso dell’ art. 672° stante che essi ac- cennano a due cose distinte e diverse. « Quest'ultimo riguarda il deposito dell’importare approssimativo delle spese d’in- canto che debbesi fare in cancelleria da chiunque intenda essere ammesso ad offe- rire, mentre che l’art. 46° del regolamento parla della liquidazione diffinitiva e del- l'integrale pagamento di tali spese. — Il primo accenna il caso, in cui non si è an- cor fatta l’aggiudicazione, il secondo è quello in cui l'aggiudicazione è già fatto com- piuto. L'uno vuole che per essere ammesso ad offerire si depositi l'ammontare appros- simativo delle spese d’incanto, l’altro richiede che eseguita già l’aggiudicazione, si faccia la liquidazione diffinitiva di tali spese, c non si consegni il verbale dell’ag- giudicazione al nuovo enfiteuta, se prima costui non abbia soddisfatto tali spese. e Lo stesso dicasi quanto alle spese di trascrizione. Ed in vero, il ricordato ar- ticolo 672° nel suo secondo capoverso dice: qualunque offerente deve aver deposi- tato l’ importare approssimativo delle spese della vendita e relativa trascrizione nella somma stabilita nel bando. E se è dunque vero che l’esecuzione dell'art. 672° venga imposta dall’art. 26 della legge 10 agosto 1862, conseguenza ne è che l’of- ferente debbe, oltre alle spese approssimative dell’incanto , depositare anche quelle della trascrizione, Nè vale il sostenere che il deposito di tali spese non sia neces- sario, perchè la legge 10 agosto 1862 non l’abbia ordinato come necessario. La ne- cessità della trascrizione non vuòlsi ricercare nella legge speciale sulla censuazione degl’immobili rurali ecclesiastici, ma nella legge generale che riguarda la trasmis- sione della proprietà, cioè nel Codice civile. « La legge 10 agosto non parlò di trascrizione, perchè quando essa fu sancita forse dubitavasi che fosse in Sicilia la trascrizione assolutamente necessaria per dirsi la proprietà trasferita in quanto a’ terzi, ma da che il novello Codice del Re- gno d’Italia, facendo sull’obbietto una felice innovazione al Codice del 1819, stabili la necessità della trascrizione pei trasferimenti della proprietà degl’immobili a qua- lunque siasi titolo, fosse pure gratuito od oneroso (art. 1832°), sanci nell’ art. 13420 che i trasferimenti di proprietà non trascritti non hanno alcun effetto riguardo ai terzi che a qualunque titolo avessero acquistato legalmente conservando dritti sul- l'immobile, o che all’incontro seguita la trascrizione, non può avere effetto contro l'acquirente alcuna trascrizione ed inserzione di dritti acquistati verso il precedente proprietario, quantunque l’acquisto risalga al tempo anteriore al titolo prescritto, la trascrizione della sentenza di aggiudicazione per la quale si attua la concessione en- fiteutica dei fondi rurali ecclesiastici è necessità di legge. « Pertanto questo terzo quesito va risoluto nel senso di dovere qualunque offe- rente accompagnare la sua offerta del deposito nella cancelleria dell’importare appros- 212 STORIA DELLA ENFITEUSI simativo delle spese dell’incanto, della vendita e della relativa trascrizione, in quella somma che sarà sul bando indicata giusta il 2° capoverso del num. 672 della Pro- cedura civile, « 4° Quesito. — Deve l'offerente a termini dell'art. 672° capoverso 3° e 4° aver de- positato in denaro 0 in rendita sul debito pubblico dello Stato al portatore il decimo della rendita ch'egli offerisce, salvo ne sia stato dispensato dal Presidente del Tribunale, o dall'ufficiale delegato per Vasta, secondo Vart. S31°? « L'importanza di un tal quesito, dalla cui soluzione dipende attingersi o no lo scopo che la legge 10 agosto 1862 si prefisse, somministra serio argomento a con- sìderare. « Il deposito di cui è parola nel 3° capoverso dell’art. 672 ha un prosieguo nel- l’art. 677. Quel deposito, poichè è deposito di prezzo, si ritira dal compratore giu- stificando avere integralmente soddisfatto il prezzo del fondo aggiudicatogli, e adem- piendo ie condizioni della vendita. « Nell’enfiteusi non ci ha prezzo. Se nella vendita, pagatosi il prezzo dal compra- tore e fattosi dal venditore la tradizione del fondo, il contratto si termina e nulla rimane a fare; nell’enfiteusi all’incontro, compito il contratto, rimangono perpetua- mente in essere gli obblighi annualmente ricorrenti dell’enfiteuta sino all’infinito. Però sarebbe questa una cauzione che non avrebbe mai termine, perpetua, siccome per- petuo il contratto nel suo svolgimento. « Ma dov’ è questa legge che nell’ enfiteusi di fondi rurali ecclesiastici imponga questa cauzione? E se la legge non evvi, chi mai, tranne il potere legislativo, po- trebbe aggiungerla? D'altronde una legge che siffatto obbligo imponesse all’enfiteuta sarebbe sorgente di danni gravissimi, e tale da frustrare lo scopo cui mirò la legge 10 agosto 1862. « Essa allontanerebbe gli offerenti, non permettendo il loro interesse di sobbarcarsi ad una obbligazione così gravosa che durerebbe perpetuamente; allontanerebbe dalla censuazione i medii e piccoli agricoltori, i quali oltre alla possibilità di fare le spese d’incanto, della vendita, della trascrizione e del registro, possono avere un capi- tale per coltivare e migliorare le terre, e non un secondo per vincolarlo perpetua- mente come cauzione, distrarrebbe una parte non piccola de’ capitali degli agricol- tori, che affluirebbero a migliorare ed accrescere la produzione dei fondi rurali ec- clesiastici tolti alla manimorta, per impiegarsi e vincolarsi nella cauzione; annulle- rebbe i benefizii della subastazione, dando agio a pochi offerenti d’intendersela fra loro, e ad organizzare un monopolio a solo loro profitto. « Per siffatte considerazioni questo Ministero a soluzione dell’esposto quesito av- visa potersi ritenere dispensato il primo offerente dall’ obbligo del succennato de- posito. DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 213 «5° Quesito — Pria che scada il termine di 15 giorni per l'asta in grado di de- cimo, e pria che scada l’altro equalmente per l'asta in grado di sesto, deve es- sere annunziata con un bando la detta scadenza di termine giusta l art. 679°, x il quale nella specie è applicabile? s Per la ministeriale 31 gennaro 1866, num. 141, per la quale vennero espresse talune norme a seguirsi nell’ applicazione del nuovo Codice di procedura alle for- malità delle subaste enfiteutiche, venne dichiarato il principio di doversi adottare la legge comune in ciò che dalla speciale legge 10 agosto 1862 non fossè stato con- tradetto, e viceversa seguire le eccezionali statuizioni di siffatta legge in quanto avesse voluto sabilire norme diverse. e L'art. 26° della legge suddetta esige che un manifesto o bando preceda la su- basta in grado di additamento, ma tace se debbasi annunziare con bando la sca- denza del termine legale. Ma poichè per tutt’altre formalità dalla legge 10 agosto non pretese eccezionalmente rinvia alle statuizioni della legge comune, e questa all'art. 679 impone anche obbligo al Cancelliere del Tribunale, ove l’asgiudicazione sia seguita, di far inserire nel giornale, o ne’ giornali in cui fu pubblicato il bando per l’incanto, il giorno in cui scade il termine per l’aumento, così è chiaro che deb- basi per bando annunziare la scadenza del termine per l’asta in grado di decimo, come in grado di sesto. » (6° Quesito — La subasta enfiteutica dei beni ecclesiastici può delegarsi dal Tribunale ed a chi ? «Le subaste debbono delegarsi o ad un Giudice del Tribunale, o ad un Cancelliere di Pretura, o ad un Notaro. — Siffatta delegazione è testo dell'art. 825°, col quale nella nuova Procedura civile s’inizia la sezione relativa alla vendita de’ beni immo- bili de’ minori, alla quale rinvia l’art. 26° della legge 10 agosto 1862. « 7° Quesito — A chi spetta far eseguire la pubblicazione e l'affissione de’ bandi? « Il bando che deve precedere l'aggiudicazione diffinitiva è prescritto dall’art. 8279, quindi se l’art. 825° dice potersi le subaste delegare, e l’art. 827° vuole il bando si faccia dall’uffiziale incaricato della vendita, e nel procedimento in ispecie dal de- legato per la subasta della censuazione, ragione vuole doversi ritenere che per cura dello stesso ufliziale si pubblichino od affiggano gli altri bandi che succedono le su- bastazioni in grado di additamento. « Si piacerà la S. V. accusare ricevuta della presente nota e dar notizia delle fatte comunicazioni, « Il che ho a grado di comunicare alla S. V. per sua opportuna intelligenza ed uso conveniente. « Pel Ministro « Firmato : CASTELLI. » 214 STORIA DELLA ENFITEUSI (U). « Ministero delle Finanze. — Direzione Generale del Demanio e delle Tasse. — Num. d’ord. gen. 82067, div. 16487. — Risposta alla nota delli 30 luglio 1869, — Num. 2008. « Firenze, 4 settembre 1869, « Oggetto — Vendita de’ fondi non concessi ad enfiteusi. « Alla Sopraintendenza generale delle Commissioni enfiteutiche in Palermo. « Ritiene anche il sottoscritto che fra i due partiti proposti colla nota in mar- gine distinta conviene adottare di preferenza il primo, la vendita cioè dei fondi che non si sono potuti concedere in enfiteusi nè co’ triplici incanti, né colle trattative private. « Cotesta Sopraintendenza generale pertanto è pregata di promuovere una delibe- razione dalle Commissioni enfiteutiche che dichiari non più soggetti alla legge 10 agosto 1862 i fondi di cui sopra, e poscia di rimettere copia della deliberazione stessa alla Direzione demaniale, nel cui compartimento sono posti i fondi, per le opportune disposizioni di vendita secondo le norme tracciate dalla legge 15 agosto 1867. « Il sottoscritto gradirà un cenno di risposta sull’eseguimento della presente. « Per il Direttore Generale « Firmato: SeGRrì. » (V). « IL Num. 1783 della Raccolta Ufficiale delle leggì e de’ decreti del Regno d’Italia contiene il seguente decreto : e Vittorio Emanuele II per Grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia, « Veduto il Decreto del Prodittatore di Sicilia del 4 ottobre 1860, col quale, mentre si abolirono le decime personali, si dichiararono redimibili tutte le prestazioni do- vute agli enti morali ecclesiastici facendosene la conversione in danaro se vanno soddisfatte in derrate. e Veduto il regolameuto 18 ottobre 1860, col quale in esecuzione del decreto Pro- dittatoriale succitato si segnarono le norme per la conversione in denaro delle pre- stazioni avanti accennate; « Considerato che affine di agevolare l’eseguimento del decreto e regolamento sud- detti, è conveniente che la Giunta istituita per dar opera alla conversione delle prestazioni di cui trattasi risegga in ogni Capoluogo di circondario ed è necessario sieno fatte altre modificazioni allo stesso regolamento; s Sulla proposta del Nostro Guardasigilli, Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti, e Abbiamo ordinato ed ordiniamo: « Art. 1. Im Sicilia le ottenne, le decime, le vigesime, i censi, i canoni ed altre prestazioni variabili od invariabili dovute in derrate ad enti morali ecclesiastici, DEI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 215 dovranno essere convertite in annua prestazione redimibile in danaro in forza del Decreto Dittatoriale 4 ottobre 1860, anche quando i debitori non prescelgano di e- seguirne tosto l’affrancamento a norma della legge 24 gennaro 1864, num. 1636, e Il prezzo delle suddette prestazioni, affine di eff'ettuarne la conversione in da- naro, sarà determinato giusta il disposto dai due ultimi alinea dell’art. 6° della legge sovracitata. i c Art. 2. Le attribuzioni affidate dal Decreto Dittatoriale 4 ottobre 1860 ad una special Giunta residente in Palermo, saranno esercitate in ciascun Capoluogo di cir- condario dalle Commissioni ivi istituite dalla legge 10 agosto 1862, num. 743, e Art, 3. Il termine stabilito dall’art. 1° del regolamento 18 ottobre 1860 annesso al Decreto Dittatoriale 4 ottobre stesso anno per la consegna a farsi dagli enti mo- rali creditori, è rinnovato e decorrerà dalla promulgazione del presente regolamento. c Art, 4. Potranno i debitori in qualunque tempo fare la dichiarazione al Pre- fetto e Sotto Prefetto, od alla Commissione circondariale, delle prestazioni da essi do- vute e domandarne la conversione. « Art. 5. La pubblicazione accennata nell’articolo 5° del regolamento avanti indi- cato si farà nel Giornale Ufficiale della Provincia in cui sono situati i beni, ed in difetto nel Giornale Ufficiale che si pubblica in Palermo. « Ordiniamo che il presente Decreto, munito del Sigillo dello Stato, sia inserto nella Raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia, mandando a chiun- que spetti di osservarlo e di farlo osservare. « Dato a Torino addi 19 maggio 1864. « Firmato: Virrorio EMANUELE « Gi Pisamelli. » (X). « Num. 228. Decreto col quale si aboliscono le decime personali, si dichia- rano redimibili tutte le prestazioni dovute agli enti morali ecclesiastici, facen- dosene la conversione în denaro se vanno soddisfatte in derrate. —È seguito dal regolamento. «4 ottobre 1860. «In nome di S. M. Vittorio Emanuele Re d’Italia, « Il Prodittatore in virtù dell’autorità a lui delegata, « Considerando che la Sicilia è un paese eminentemente agricola, e che di con- seguenza uno dei mezzi più efficaci onde avviarla a quell’ alto grado di economica prosperità, di cui Dio e la natura l'han fatta capace, quello si è di svincolarne la proprietà fondiaria; « Considerando che una parte non piccola del suo fertilissimo contado ritrovasi soggetta a svariatissime prestazioni, dovute ai corpi morali ecclesiastici sotto i nomi di ottene, decime, vigesime, censi, canoni e simili, e che prestazioni siffatte lo sono per lo più in generi; 216 STURIA DELLA ENFITEUSI e Volendo preparare l’affrancamento di tali proprietà territoriali, senza recarsi il minimo detrimento alla Chiesa, anzi avvantaggiandola con assicurarle il godimento de’ suoi attuali redditi, e preservarla inoltre dalle spese di amministrazione e da tutte le eventualità, a cui la sobbarcano la sterilità dei ricolti, la malafede dei de- bitori, la negligenza dei suoi preposti e la variabilità dei prezzi delle derrate; « Sulla proposizione de’ Segretarii di Stato della Giustizia, delle Finanze e del Culto; « Udito il Consiglio de’ Segretarii di Stato; e Decreta e promulga: e Art. 1. Le decime personali sono abolite. « Art. 2. Le ottene, le decime, le vigesime, i censi, i canoni, e tutt’altre presta- zioni variabili ed invariabili, che sino al presente si riscuotono dagli enti morali ecclesiastici, sono dichiarate redimibili al 5 per cento. « Art. 3. Quelle tra esse prestazioni che vanno soddisfatte in derrate, prima che ne sesua la reluizione, saranno convertite in danaro. « Art. 4. I debitori che vorranno esercitare il dritto di affrancazione, non potranno altrimenti farlo che impiegando il capitale corrispondente all’anunua prestazione iorda di ritenuta nell’acquisto di rendite di egual valore, inscritte nel Gran Libro del De- bito pubblico della Sicilia, da intestarsi a favore dell’ ente morale ecclesiastico, a cui apparteneva la prestazione reluita; e l'affrancamento si avrà allora per compiuto, quando il debitore ne avrà offerto al rappresentante legittimo dell’ente creditore lo analogo certificato a firma del Direttore generale del Gran Libro; ed in caso di ri- fiuto, dal momento in cui di questo certificato ne sarà stato fatto legale deposito. « Art. 5. È istituita una Giunta per dare opera alla conversione delle prestazioni di cui trattasi. La medesima sarà composta dai signori Francesco Calcagno, Consi- gliere della Corte Suprema di Giustizia con le funzioni di Avvocato Generale, da Pre- sidente; Salvatore De Luca, Giudice di Gran Corte civile, destinato a servire nella stessa Corte suprema; e Nicolò Musmeci, Giudice di Gran Corte criminale, destinato a servire presso la Gran Corte civile di Palermo. « Art. 6. Il modo di procedere, la forma degli atti da compilarsi e la loro effi- cacia legale, saranno determinate da un apposito regolamento. « Ordina che il presente decreto, munito del Sigillo dello Stato, sia inserto nella Raccolta degli Atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. « Palermo, 4 ottobre 1860. « Il Prodittatore « Firmato: Morpini «Il Segretario di Stato della Giustizia: Scrofuno — Il Segretario di Stato della Fi- nanza: D. Peranni — Il Segretario di Stato del Culto: Gr. Ugdulena. DRI TERRENI ECCLESIASTICI DI SICILIA 217 (Y). « Regolamento per la conversione în denaro delle prestazioni dovute în generi ai corpi morali ecclesiastici. « Art. 1° Fra tre mesi dalla pubblicazione del presente regolamento gli Arcive- scovi, i Vescovi, i Priori, gli Abati, e tutti in generale i titolari de’ beneficii ec- clesiastici con cura di anime o senza, in sede piena, il Direttore generale dei Rami e Dritti Diversi per le Prelature ed i beneficii ecclesiastici in sede vacante, le Depu- tazioni delle Maramme, gli Amministratori delle Chiese parrocchiali, ed altre quali sì fossero, e finalmente i Superiori di tutti i singoli conventi e monisteri, nessuno eccettuato, dovranno consegnare all’ Intendente del rispettivo circondario una lista dì tutte le ottene, decime, vigesime, escluse le personali, perchè già abolite, non che censi, canoni, e tutte altre prestazioni dovute annualmente in generi al corpo mo- rale ecclesiastico da ciascuno di essi rappresentato o amministrato, accompagnan- dola, quanto alle prestazioni variabili, con le perizie debitamente approvate, su la cui base furono riscosse dal 1850 al corrente anno 1860, e quanto a tutt’altre pre- stazioni, coi corrispondenti titoli e documenti. « Art. 2° Le liste da presentarsi in forza del precedente articolo dovranno indi- care: e 1, Il numero d’ordine. e 2, Il nome, il cognome, e il domicilio del debitore. « 3. Il nome ed il sito del fondo, sul quale è dovuta la prestazione. e 4, La qualità e la quantità della prestazione medesima. : 5. Tutte quelle osservazioni che saranno stimate opportune. « Art. 5° Ciascuno degl’ Intendenti, tra un mese dal di in cui gli sarà stata pre- sentata la lista, richiamerà dalle Cancellerie de’ Municipii, ove il debitore è tenuto a consegnare la prestazione, i corrispondenti certificati delle assise imposte nel corso dell’ultimo decennio dagli aboliti Decurionati, e riunendo questi documenti alla li- sta, ne farà sollecito invio alla Giunta, che col decreto dei 4 del corrente mese é stata incaricata di dare opera alla conversione. « Art. 4° Se nel trimestre assegnato ai corpi morali ecclesiastici per eseguire la presentazione delle liste, i medesimi omettessero questo lor dovere, o le presentas- sero sfornite dei documenti prescritti, le prestazioni dovute all’inadempiente reste- ranno di pieno dritto sospese, salvo qualche raro caso d’eccezione, in cui la Giunta per validi e ben ponderati motivi avesse a giudicare opportuno di assegnar loro un nuovo e perentorio termine che non potrà mai esser maggiore di due mesi. « Art, 5° La Giunta, a misura che perverranno le liste anzidette, ne ordinerà la pubblicazione per via di un editto da affiggersi per quindici giorni a cura dei Sin- daci rispettivi nei comuni, ove sono domiciliati i debitori, alle porte delle case mu- nicipali, bastando pei debitori, il domicilio dei quali fosse ignoto, che l’editto venga inserito nel Giornale Officiale della Sicilia, Giornale di Scienze Nat. ed Econ. Vol. VII. Parte II. ) 28 218 STORIA DELLA ENFITEUSI « Con l’editto medesimo i debitori, e gli amministratori o rappresentanti legittimi dei corpi morali ecclesiastici, saranno intimati a presentarsi alla Giunta, o perso- nalmente, o per mezzo di procuratori speciali tra due mesi improrogabili, da cor- rere pei corpi morali ecclesiastici e pei debitori il cui domicilio è conosciuto dal decimosesto giorno dalla data dell’affissione, e per gli altri debitori dal quinto giorno dalla data del giornale, salvi i termini stabiliti dalle leggi di procedura civile per coloro che si ritcovassero assenti dalla Sicilia. « Art. 6° Nel termine consecutivo di altri due mesi, la Giunta ritenendo da un lato le prestazioni fisse in conformità dell’annuo ammontare lordo di esse, e quanto alle variabili traendone la media dalle perizie decennali, coacerverà dall’altro le as- sise corrispondenti, e su questi dati sicuri procederà alla conversione, e ne sten- derà verbale, il quale considerato come un atto di pura e semplice conversione, avrà sotto questo solo riguardo la forza di cosa giudicata e tutti i privilegi di titolo au- tentico ed esecutivo. « Art. 7° Se le parti interessate saranno presenti, la Giunta le inviterà a soscri- vere il verbale. In caso di loro assenza, o diniego, basterà che ne faccia menzione. « Art. $° La non comparsa degl’ interessati non sarà mai di ostacolo alla conver- sione, né il corrispondente verbale potrà essere impugnato in linea di opposizione, o altrimenti. Solo resteranno salve alle parti le azioni e l’ eccezioni che potevano loro competere tanto in petitorio, quanto nel possessorio, in ordine alla prestazione prima che fosse stata convertita, da sperimentarle innanuti i magistrati competenti, « Art. 9° La Giunta terrà le sue sedute nel locale della Direzione generale dei Rami e Dritti diversi. Sarà suo Segretario cancelliere il Capo del 1° officio della Di- rezione medesima, e il Direttore generale avrà cura di destinare ad assisterla quel numero degl’impiegati di sua dipendenza che gli verrà richiesto, e le fornirà inol- tre, sul suo fondo mensuale pei gasti, tutti quei generi di scrittoio di cui gli verrà fatta dimanda. « Art. 10° I verbali di conversione saranno stesi in cinque originali, uno dei quali sarà consegnato al Direttore generale dei Rami e Dritti Diversi, un altro al Rappre- sentante del corpo morale interessato, il terzo al debitore della prestazione, il quarto al Governo, e l’ultimo sarà conservato nella Segreteria della Giunta. « Palermo, 18 ottobre 1360, « Approvato: MorpivI « Il Segretario di Stato della Giustizia « Scrofant. » (continua) UN QUESITO SULLA STATISTICA CIVILE PER GAETANO VANNESCHI. (Discorso letto alla Socfetà di Scienze Naturali ed Economiche nella tornata del 29 gennaro 1871). I Presento alla Società, della quale ho l’onore di far parte, un quesito sulla Stati- stica civile, che tuttavia non ha avuto una soluzione comunemente accettata. Egli è quest’esso: « Quale sia veramente la definizione della Statistica civile, per rinvenirne il campo e tracciarne i limiti? » Gli scrittori stranieri ed italiani hanno dato le seguenti. La lista ne è ben lunga; ma io non farò che accennarle, con qualche osservazione, conchiudendo con un mio particolare avviso, che sommetto alla Società, Ecco la lista, nella quale premetto il nome dell’autore. 1. Achenwall. — La Statistica è la cognizione profonda della situazione rispettiva e comparativa di ciascuno Stato. L’ Autore quindi fa derivare la parola Statistica dalla parola Stato, e ne fa una scienza dello Stato. Per situazione rispettiva par che intenda il inovimento e le forze di un singolo Stato in senso assoluto; per situa- zione comparativa il confronto di questo movimento e di queste forze in uno Stato, in sè stesso e ne’ varii periodi della sua esistenza, o col movimento o con le forze di un altro Stato, o di altri in un’epoca determinata. 2. Heuschling. — La parola Statistica trae la sua origine etimologica dal sostan- tivo latino status, preso in doppio senso: d’una parte status situazione ; dall’ altra status scilicet-civilis respublica, stato sociale, stato politico. Per conseguenza la pa- rola Statistica significa, secondo la sua etimologia, situazione dello Stato, e per esten- sione, conoscenza di questa situazione; conoscenza dello stato, come dicono gli Ale- manni Statistisk, Staatshunde, Staatenkunde, da Staat e Kunde, conoscenza, nozione. 220 UN QUESITO È una definizione logica. 3. Schlòezer. — La Statistica ha per fine di far conoscere tutti gli oggetti di cui si compone la potenza di uno Stato, aggiungendo che la Statistica è la storia in ri- poso, e la Storia la statistica in movimento. Dalla prima parte di questa definizione chiaro risulta, che l’Autore seguendo l’idea di Achenwall, riguardo alla situazione assoluta e rispettiva degli Stati, poichè in essa non si parla di suuazione comparativa, volle con modo bizzarro ed ingegnoso fare una distinzione tra la Storia propriamente detta e la Statistica; ma a me sem- bra ch'egli non previde che col suo modo di separarle venne ad assegnar loro gli stessi obbietti, con la sola differenza che alla Storia impresse una funzione dinamica, ed alla Statistica una funzione, direi, statica. Ognun vede l’inesattezza di questo pensiero: dappoichè la storia toglie a descri- vere tutt’ i fatti, che avvengono nel mondo o in una parte di esso, senza distinzione di specie; mentre la Statistica, come scienza dello Stato, preso in doppio senso, occu- pasi, a preferenza, della numerazione e descrizione del complesso degli elementi della società civile, ne° suoi rapporti economico, morale e politico. 4, Sinclair. — La Statistica ha per fine di attestare la somma di felicità di cui goda una popolazione ed i mezzi di aumentarla. Questo Autore parlò di mezzi per ottenere il fine del miglioramento della condi- zione di un popolo, d’una nazione. Fece un passo di più: fece della Statistica, alla quale Achenwall e Schloezer avevano assegnato un ufficio meramente descrittivo ed arido, una scienza operativa. Però, egli aprì un campo indefinito quando pretese che tutta la felicità di una popolazione potesse essere abbracciata dalla Statistica. Al- lora questa dovrebbe arrivare a conoscere gl’interni ed esterni godimenti degl’ in- dividui, per indagare quali cose gli rendano più o meno felici, e poscia addizionare aritmeticamente i singoli dati raccolti, e cavarne la somma del grado di felicità ge- nerale. Singolare ipotesi, anche astrazion fatta dalla speciale natura dei godimenti ma- teriali e morali, che sono, generalmente parlando, relativi e non assoluti. Inoltre, io credo che in questo caso la Statistica riuscirebbe meglio ne’ suoi intenti. quando s'ingegnasse di riconoscere le piaghe che affliggessero l'umanità, piuttosto che i go- dimenti di lei, 5. Schubert. — La Statistica ha per oggetto di presentare la situazione attuale dei popoli civilizzati, sotto il rapporto della loro vita interna ed esterna, e delle loro rispettive relazioni. 6. Playfair. — La Statistica consiste in ricerche sulle materie politiche degli Stati, e la geografia non è che una parte della Statistica. Restringere l’ufiicio della Statistica alle sole materie politiche è lo stesso che e- scluderne gli altri fini, cioè l’economico ed il morale : pensiero che mostra nel suo Autore una preoccupazione ‘alla quale sacrificò la scienza. 7. Balbi. — La geografia politica si contenta de’ risultati generali, mentre la Sta- tistica ne viene alle particolarità, SULLA STATISTICA CIVILE 221 Come ben si vede, l'Autore assegnò lo stesso campo alle due discipline, indicando la prima come una sintesi e la seconda come un’analisi, Duuque per lui la Geografia e la Statistica, in sostanza, non sono che mere de- serizioni, in forma diversa, della cosa stessa. Puossi conceder ciò per l’una, non per l’altra. La Statistica oltre all’ufficio di descrivere, ha quello di conoscere le cause del modo di essere degli uomini e delle cose, o di suggerire i mezzi d’ immoglia- mento delle condizioni degli Stati. È questo il motivo per cui si è detto, che la Sta- tistica è una scienza sui generis, mentre la Geografia è mera arte. 8. Guerry. — La Statistica consiste nella enumerazione metodica di elementi va- riabili, son determinazione delle medie, escludendo la Geografia e le descrizioni, Qui par che spunti il principio matematico, che appresso si vedrà accolto da al- tri scrittori, i quali lo ridussero a sistema, in antitesi allo storico, abbracciato da altri alla lor volta. Questi due principii, io credo, che possano concorrere a vicenda allo scopo della Statistica, senza che l’uno escluda l’altro. 9. Guillard. — La Statistica è la scienza che si compone di tutte le osservazioni suscettibili di essere ridotti in termini medii espressi in numeri, Ecco il principio matematico proclamato ad alta voce e senza restrizioni. 10. Peuchet. — La Statistica, abbandonando il linguaggio dei numeri di difficile in- tellisenza, sì attiene ne’ suoi lavori al discorso descrittivo comune. Qual contraddizione tra il Guillard ed il Peuchet! 11. Dufau. — La Statistica è la scienza che insegna a dedurre, da termini nume- rici analoghi, le leggi della successione dei fatti sociali. Questa definizione, per lo meno, fa aperto il senso logico della scuola matematica, 12. Moreau de Jonnès. — La Statistica è la scienza dei fatti sociali, espressi in termini numerici. 13. Garnier venne nella stessa sentenza. 14, Racioppi. — La Statistica è lo schema metodico di tutte quelle manifestazioni della sociale attività, che essendo capaci di quantità possono esprimersi in numeri» Moreau de Jonnès, Garnier e Racioppi, come si vede, seguono la scuola matema- tica. Il Racioppi, però, ha il vantaggio sopra gli altri due, di determinare, cioè, a suo modo, come si tratti di quantità e non di qualità, mentre quelli non lasciano intravedere questa distinzione. Ma in qual maniera si possono apprezzare le sociali manifestazioni, senza conoscerne la qualità? Poche cose buone potranno avere mag- gior valore di molte cose cattive! 15. Napoleone I. — La Statistica è il budget delle cose. Il grande imperatore volle pur esso dir la sua parola su tale argomento. Per esso Ia Statistica sarebbe un'arte eclettica, in tutta l’estensione del motto. La società civile sarebbe una grande con- tabilità, nella quale dovrebbe fieurare lo stato attivo e passivo di ogni cosa suscet- tibile di risultati analoghi. Bisogna convenire che vi sia dell’ingegno in questo suo modo di vedere. 222 UN QUESITO 16. Legoyt. — La Statistica è l’arsenale delle scienze economiche. Questa definizione non è certamente degna del direttore della Statistica ufficiale francese, d’un uomo infine che ha dritto alla stima comune, per le molte opere pra- tiche pubblicate sulla Francia. Ma, astrazion fatta dell’ uso improprio della parola arsenale, è egli accettabile la esclusione delle scienze morali e politiche, nel senso della Statistica? 17. Lavolée. — La Statistica è l’ausiliaria indispensabile di tutte le scienze; è la luce che rischiara tutti i problemi, L’Autore non isdegnò da un canto di togliere alla Statistica ogni autonomia, e di farne invece l’ancella di tutte le scienze, Siffatto concetto è per altro erroneo, giac- chè se si possano in esso concetto includere le scienze di osservazione, non lo si può per le speculative. 18. Dupin. — Per conoscere la potenza delle nazioni fa d’uopo attingerla dalle loro forze produttive, delle descrizioni delle quali deve incaricarsi la Statistica, Dupin aveva rinvenuto la scienza von ancora ben definita: egli voleva sovvenirla logicamente assegnandovi, è vero, il campo della potenza delle nazioni; ma restrin- gendone nel tempo stesso l’espressione alle sole forze produttive, non accennò che ad una parte della scienza, se però non voglia credersi, come osserva il Romagnosi, che per forze produttive non avesse inteso il complesso degli elementi tutti che com- pongono la civiltà degli Stati. 19. Quetelet. — La Statistica si occupa di uno Stato, per un periodo determinato; non riunisce che gli elementi, i quali appartengono alla vita degli Stati, procura di render comparabili tutti fatti che possano registrarsi, L'opinione del principe vivente della scienza, della quale qui è motto, reca un gran peso nella bilancia della questione. Però, egli, lasciò indefinita la teoria dei fatti, quali costituiscano veramente la vita degli Stati. E qui mi sia permesso di rapportare come nella Comissione centrale della Stati- stica del Belgio siasi discussa siffatta questione. Quivi il signor Malon, a 6 ottobre 1841, depose una proposizione tendente a non racchiudersi nel quadro de’ lavori da eseguirsi per cura del governo, che i fatti suscettibili di essere tradotti in cifre e tutt’altri che non offrano nulla d’ipotetico, escludendo quelli che appartengano più particolarmente alla Statistica descrittiva. Il signor Quetelet emise in proposito l’o- pinione, che convenga di fare entrare nel quadro della Statistica tutti fatti sociali a qualunque ordine che essi appartengano, qualunque sia la forma sotto la quale si presentino. I signori Perrot e Visschers parlarono nello stesso senso. Il signor Dupec- tiaux, relatore, diede spiegazioni sulla maniera con cui una sotto-commissione aveva ravvisato la missione della Statistica: sotto il punto di vista scientifico, essa aveva creduto di dover abbracciare tutt’i fatti sociali, secondo l’idea del signor Quetelet, ma sotto il rapporto amministrativo, il quadro non comprenderebbe che ciò che fosse suscettibile di essere constatato dal governo. Dopo queste spiegazioni, il signor Ma- lou dichiarò di ritirare la sua proposizione. SULLA STATISTICA CIVILE 223 Or qui sorgono due ordini di Statistica, cioè, lo scientifico e amministrativo; sistema per altro riconosciuto, e già ammesso in Belgio; ed in effetto della Statistica scienti- fica è presidente il Quetelet, e della amministrativa è dircttore |’ Heuschling. Que- sto sistema ha la sua ragione d’esistere, rappresentando luna la teoria, e l’altra la pratica. 20. Remer. — La Statistica è la scienza della costituzione di uno Stato. 21. Mannert, — La Statistica è l’esposizione delle forze dello Stato. Di queste due ultime definizioni Ja prima è erronea, la seconda è troppo astratta. 22. Schnabel. — La Statistica 6 l’esposizione scientifica di ciò che esiste, per ser- vire allo scopo del Governo. Qui osservo, che se la Statistica possa servire allo scopo del Governo, certo che può anche essere utile ai privati, là dove specialmente l'iniziativa privata sia pro- clamata come un principio salutare, siccome p. es. in Inghilterra: d’altronde avrebbe limiti relativi ai bisogni del governo. 23. Hassel. — La Statistica è l’esposizione scientifica degli Stati, giusta la loro, con- dizione e l’interna ed esterna attività. Quest’Autore segue la tracce dello Schurbert, come al numero 5 di questa lista. 24. Nardi. — La Statistica è la scienza, che insegna a ricercare e ad esporre si- stematicamente le condizioni presenti dello Stato. Tale definizione è pure alquanto astratta. 25. Cagnazzi, — La Statistica è la perfetta conoscenza dello stato attuale delle cose, che risguardano il benessere della società e dei suoi componenti. Siffatta definizione è più concreta della precedente; ma essa non ci dice in che consista il benessere della società. 26. Gioia. — La Statistica è destinata a descrivere tutti gli oggetti in ragione delle loro qualità. Essa deve descrivere a preferenza gli oggetti relativi alla sussi- stenza degl’individui, cioè, alla produzione, al compartimento ed al consumo delle pubbliche ricchezze. Che a fine di descrivere siffatti oggetti è obbligata a prender nota di tutto ciò che nel mondo fisico e morale influisce in un modo qualunque su- gl’individui medesimi, Non occorrono spiegazioni per ravvisare l’immensità di questo principio rispetto agli oggetti che la Statistica dovrebbe aver cura di descrivere. Taluni scrittori im- pertanto hanno creduto che in questi termini la scienza perda la parte più nobile del suo ufticio, quella appunto di svolgere i fenomeni della vita sociale, per ricer- carne il concetto del suo buono o cattivo stato, ec le ragioni in bene ed in male, che vi abbiano influito sia direttamente sia indirettamente. Ma io non do ln mala voce al rinomato Autore di non avere. cioè, conosciuto questa verità; poichè egli stesso addita la filosofia della Statistica. come la cognizione ragionata delle norme generali per ricercare, dei principii per giudicare, degli usi a cui servono gli ele- menti relativi allo stato delle nazioni. 27. Say. — L'ufficio delle Statistiche è transitorio, anche supponendole eccellenti, 224 UN QUESITO cioè, veraci nel momento in cui furono distese, perchè non sono più tali nel mo- mento in cui vengano consultate; il loro oggetto, segue l’Autore, riguardar deve so- lamente le attualità non durevoli, ossia la menzione delle sole circostanze transito- rie, e sovente alterabili. L’illustre economista non assegnò con chiarezza e precisione il fine per cui le sta- tistiche si facciano, e nelle sue opere non seppe vedere, come fondamento di quelle, che la sola economia politica. Say non fu seguito da alcuno nè in Francia, nè al- trove; anzi quella che taluno chiamò sua senola fu rigettata come falsa, specialmente in Italia, 28. Romagnosi. — La Statistica è la esposizione dei modi di essere, e delle produ- zioni interessanti delle cose e degli uomini presso un dato popolo. Nell’alta mente del filosofo italiano questa fu ravvisata come una disciplina com- plessiva e generale, la quale non appagasi di notizie parziali e disgiunte, e com- prender deve gli elementi costanti ed i variabili, per ricavarsi il concetto dello stato economico, morale e politico di un dato popolo, ovvero il suo modo di sussistere, la sua operosità e cordialità, il suo grado di civile libertà e di sicurezza: tutti fini congeniti, che non potrebbero separarsi senza snaturarli. Tralascio qui di parlare della norma direttrice, per determinare gli oggetti da rintracciarsi per la formazione delle statistiche civili giusta lo stesso Romagnosi, Di ciò trattai a lungo ne’ miei poveri Elementi di Statistica, pubblicati nel 1859, 29. Ferrara. — La Statistica deve limitarsi allo studio degli effetti, che si risen- tono dagl’individui componenti un dato popolo: una buona statistica, egli dice, con- siste nel cercare e formulare i sommi fenomeni, in cui si possa leggere ad evidenza il compendio de’ beni e de’ mali individuali. Il Ferrara par che escluda je cause degli effetti prodotti; ma ciò, secondo me, debbe intendersi quale un modo di operare, perchè dagli effetti possa risalirsi alle cause. 30. De Luca. — La Statistica è l'esposizione in quantità numeriche, ed in quadri o prospetti, dei modi di essere degli uomini e delle cose di un dato paese; è in sostanza la esposizione dello stato fisico, morale, economico e politico di un dato popolo. Risorge in questa definizione il principio matematico, combinato coll’idea di Ro- magnosi; meno per lo stato fisico, per cui l’autore si avvicina al Gioja, piuttosto che al Romagnosi. 31. Maggiore-Perni. — La Statistica appartiene alle sociali discipline, è l’animato e prospettivo linguaggio del progresso sociale, cioè l’esposizione numerica degli stati naturali umani e di rapporto in antitesi fra di loro e nella loro invariabilità e perpe- tuità di essere. Quindi il concetto principale è lo stato in antitesi; la materia: la natura, l’uomo, i loro rapporti. Ad ogni stato in antitesi, per i tre elementi che costituiscono la materia, corrisponde un’esposizione statistica, la quale abbraccia non solamente lo stato, ma i mezzi che concorrono e i risultati statistici, che sono gli effetti da cui SULLA STATISTICA CIVILE 225 risulta lo stato in antitesi, e da cui rilevasi se la natura e l’uomo nei loro rapporti siano nello stato di progresso o di regresso, di popolazione o di spopolazione, di ricchezza o di miseria, di malattia o di sanità, di dottrina o d’ignoranza, di servitù o di libertà, ecc. Questo concetto, viene a confermare l’altro del De Luca, ma si svolge più filosoficamente, e getta gran luce sul vero scopo della Statistica, II, Or fra queste divergenti definizioni io mi sono appigliato a quella del Romagnosi, come a guida di un mio particolare svolgimento; e per venirne a capo dettai al- l’uopo una definizione ne’ termini seguenti, cioé : l’ufficio della Statistica civile es- ser quello d’indicare il grado d’incivilimento in cui si trovi un dato popolo, convi- vente in dato territorio ed in date circostanze. L’incivilimento, secondo ci apprende lo stesso illustre Autore, nella sua classica opera sull’Indole ed è fattori dello incivilimento (riducendo in epitome tutta la sua trattazione) risulta dalla competenza o dall'azione e reazione di due forze ignote: la natura esteriore e lo spirito umano, che producono un risultato indecomponibile, noto, percepito dalla coscienza. Questo risultato costituisce le idee. L’incivilimento si definisce quel modo di essere della vita di uno Stato, mercè del quale va effettuendo le condizioni di una culta e soddisfacente convivenza. Si dice modo di essere della vita di uno Stato, perchè i popoli nascono, crescono e muojono al pari degl’individui. Si dice va effettuando, perchè l’essenza della civiltà consiste nel movimento, per via del quale si progredisce. Si dice le condizioni di una culta e soddisfacente convivenza, perchè il fine del- l’incivilimento è conforme a quello della società. Il fine della società consiste nel reale perfezionamento e nella felice conservazione. Questo fine si attinge dallo incivilimento , per mezzo della culta e soddisfacente convivenza. L’incivilimento costa di tre elementi: dell’elemento morale o popolo, dell'elemento economico o territorio, dell’elemento politico 0 governo. Il primo riguarda le persone, il secondo le cose, il terzo la tutela delle persone e delle cose. L’incivilimento viene: Preparato e stimolato dalla natura; Ingerito ed avvalorato dalla religione; Radicato ed alimentato dall’agricoltura; Secondato e tutelato dal governo; Esteso e perfezionato dalla concorrenza; Consolidato e canonizzato dall’ opinione; Mantenuto e sanzionato dalla natura. Giornale di Seienze Nat. ed Econ. Vol. VII. Parte II. 29 226 UN QUESITO La natura prepara l’incivilimento, facendo gli uomini perfettibili, e lo stimola per mezzo dei bisogni che loro infonde, La religione ingerisce ed avvalora lo incivilimento, con la speranza e coi timori della vita futura; inculcando agli uomini a fare ciò che non avrebbero mai fatto senza questa speranza e questi timori. L’agricoltura radica l’incivilimento, legando gli uomini al suolo, e lo alimenta for- nendo i mezzi di sicura sussistenza. Ella, appagando i bisogni, che riguardano l’utile, sviluppa le tendenze relative al vero, al buono ed al bello. Il governo seconda l’incivilimento lasciando agire gli uomini e sgombrando gli osta- coli, che si oppongono al loro progresso; lo tutela difendendo la società dagl’individui che attentano alla di lei esistenza. La concorrenza estende e perfeziona l’incivilimento, destando l’emulazione prediale, industriale, mercautile, letteraria. L'opinione lo consolida e canonizza, divulgando la necessità e l’utilità della sociale comunanza. Finalmente la natura lo mantiene, perchè se non fosse conforme alla natura, pe- rirebbe. L’incivilimento percorre quattro periodi dei Tesmoferi, dei Maggiorenti, delle città e delle nazioni. Nel primo governavano i sacerdoti, nel secondo i capi di tribù, nel terzo e nel quarto i principi o il popolo, o entrambi, Incontra due scogli la barbarie e la corruzione. Or io conseguentemente pensai che l’incivilimento in ultima analisi consista nella maggior soddisfazione dei legittimi bisogni e delle giuste esigenze dell’ umana spe- cie, e che è questa soddisfazione che la Statistica prende di mira. I bisogni legittimi e costanti dell’umana specie, sono, secondo io ho scritto, ed or rassegno a questa onorevole Società: I. La consociazione; II. La riproduzione; III, La sussistenza; IV. La conservazione; V. Il sapere; VI. Il sentire; VII, L’equa libertà e sicurezza, Il soddisfacimento di questi bisogni della vita umana, io credo, forma appunto il principio direttivo della Statistica; e fissa gli oggetti del suo studio poichè la conso- ciazione non può avverarsi senza il territorio, ed avverata forma la popolazione; la riproduzione fa emergere il movimento della popolazione; la sussistenza risponde allo stato economico; la conservazione allo stato sanitario; il sapere allo stato in- tellettuale ; il sentire allo stato morale; l’ equa libertà e sicurezza, allo stato po- litico: oggetti tutti di alto interesse sociale, connaturali ed omogenei nel punto di SULLA STATISTICA CIVILE 227 vista della Statistica, che senza riguardarli nella intrinseca loro natura, per sapere tutto ciò che in essi esiste, si limita a sceverare quelle parti estrinseche, che hanno una diretta influenza sull’incivilimento de’ popoli, il che sempre si risolve nella mi- glior soddisfazione de’ bisogni legittimi dell’umana specie, e nello appagamento delle giuste esigenze di lei. Or a questi bisogni ed a queste esigenze corrispondono, secondo me, le sette parti della Statistica, le quali sinteticamente enumerate e pur ridotte a sommi capi, sono le seguenti: I. Il territorio e la popolazione in numero; II, La popolazione nelle variazioni del numero; III. Lo stato economico; IV. Lo stato sanitario; V. Lo stato intellettuale; VI. Lo stato morale; VII. Lo stato politico. Gli umani bisogni, essendo invariabili e costanti nella loro rispettiva essenza, pos- sono essere più o meno soddisfatti in modi diversi; ma non mai cambiano di na- tura. Questo più o meno di soddisfazione è ciò che dà la misura del grado d’inci- vilimento di uno Stato, ed è esso appunto che forma il compito della Statistica. Ho detto che gli umani bisogni sono invariabili nella loro rispettiva essenza, va- riabili ne’ modi di soddisfazione. Valga un esempio, fra’ molti «che se ne possano addurre, a chiarire l’argomento, L’uomo sente istintivamente il bisogno di comunicare con altro uomo, Egli soddi- sfa a questo bisogno, che è insito alla consociazione, primieramente. nello stato di semplice natura, con emissioni vocali indeterminate, col gesto, e poscia con parole convenzionali. — Comincia un certo movimento di corrispondenza tra uomini, che non sono gli uni e gli altri presenti; s'inventano i segni meccanici, ovvero i geroglifici o la scrittura, che si tramandano da un punto all’altro d'una provincia, d’ un re- gno, di varî regni, di un punto all’altro del globo. — Osservate che il bisogno è sem- pre quello della comunicazione! — Ma la scrittura col crescere della civiltà trovò un libero ed immenso svolgimento nella stampa. — Il bisogno di comunicare fu più am- - piamente soddisfatto, ma non cangiò natura! — Dall’altro canto avemmo bandiere e fiaccole sulle torri o altri segni convenzionali, per trasmettere il pensiero a certe di- stanze in ogni ora. Poi il telegrafo ad asta visuale; oggi il telegrafo elettrico ter- restre o sotto-marino: forse verrà un giorno in cui questo ultimo sorprendente ri- trovato della fisica sarà ecclissato da altro più stupendo e meno atteso. — Il biso- gno è, e sarà sempre lo stesso; il mezzo di soddisfarlo solamente ha variato e va- rierà indefivitivamente, per appagarlo più agevolmente, più rapidamente, e più di- lettevolmente! Dunque la Statistica ha un punto immutabile di partenza, per camminar pari passo coll’infinito corso dei varii modi di soddisfazione degli umani bisogni, esigenze e ten- 228 UN QUESITO denze, che vogliano chiamarsi; in una parola, per seguire il progresso dell’incivili- mento mondiale. Questa mia teoria fu accettata in Belgio dall’ Heuschling, citata senza giudicarla da’ varì scrittori, fra cui il notissimo prof. Attilio Zuccagni-Orlandini; sollevò qual- che dubbio nella mente dell’egregio prof. Girolamo Boccardo, il quale nel suo Dizio- nario della economia politica e del commercio, così ne scrisse: «I fenomeni relativi alla popolazione sono per sè medesimi di tale e tanta im- portanza, che furonvi statisti i quali limitarono alla indagine di questi fenomeni quasi esclusivamente lo scopo della Statistica. Senza seguire esattamente questo me- todo un valente statistico italiano (son sue parole) il signor Gaetano Vanneschi, nei suoi Elementi di Statistica, prese la popolazione come il punto obbiettivo del suo pregevole lavoro (ripeto le sue parole) facendovi convergere ogni altra ricerca. Laonde per lui la Statistica comprende sette distinte parti, cioè : il territorio e la popo- lazione in numero; la popolazione nelle variazioni del numero; lo stato economico; lo stato sanitario; lo stato intellettuale; lo stato morale ; e lo stato politico. — Noi (egli prosegue) non entreremo in una particolare discussione intorno a questo modo di considerare la Statistica, ed alla accennata sua partizione, Forse il fare della popolazione il centro a cui convergano, come altrettanti raggi, tutte le altre mate- rie della statistica, ha il vantaggio di dare alla scienza una più completa unità di sistema; forse ha l’inconveniente di obbligare a negligere ed a considerare troppo leggermente non pochi argomenti meritevoli di essere studiati a parte ed indipen- dentemente dalle loro relazioni con la popolazione. Ma quel che è certo si è, che nes- sun’altra parte della Statistica ha agli occhi del filosofo una importanza pareggia- bile a quella che alla popolazione appunto si riferisce. » Comunque cortesissime, a mio riguardo, sieno le parole dell’egregio scrittore, pure esse mi consigliano una giustificazione, innanzi al corpo scientifico del quale ho il pregio di far parte, ed al quale in questo momento rassegno le mie idee, sopra l’im- portante argomento della statistica civile. Permettetemi adunque questa giustifica- zione. I Due illustri scrittori, già per me citati, Melchiorre Gioja e Giandomenico Roma- gnosi, hanno formato in Italia, può dirsi, due scuole diverse in fatto di Statistica; l’ana che comincia dalle cose per venirne agli uomini, l’altra da questi per andare a quelle; l’una che vuol conoscere tutto ciò che esiste nelle cose, l’altra che ama di conoscerne quanto basti per lo scopo prefisso. Per esempio, il Gioja ha ammesso come parte integrante della Statistica lo stato fisico; il Romagnosi lo ha escluso come parte integrante, e lo ha incluso come parte affine. Gioja quindi nel suo trattato, che in- titola Filosofia della statistica, introduce il lettore nella località e spazio delle pro- duzioni e de’ consumi ossia topografia, cioè, terraquea, idraulica, atmosferica; alle quali cose fa seguire le variazioni nelle spese e ne’ lavori pubblici, ne’ regolamenti e nelle leggi per elementi topografici: Romagnosi nelle sue classiche Questioni sul- l'ordinamento delle Statistiche, dice di esservi veramente una topografia stati- SULLA STATISTICA CIVILE 229 stica, ma questa dovere avere un aspetto diverso da quelle delle seografie e geo- logie; non avere gli espositori delle Statistiche pensato che se la geologia, la bota- nica e la zoologia hanno il loro oggetto materiale comune colla Statistica, esse però hanno il loro oggetto logico e tecnico che le distingue e le qualifica o le simme- trizza in una data maniera; consistere ogni scienza nel conoscere ciò che vogliamo sapere nelle cose, e non nel conoscere tutto ciò che esiste nelle cose; questa di- stinzione, non conosciuta dagli statisti, aver gettato nei loro prospetti un affastella- mento nocivo, nell’atto che ha fatto trasandare lo aspetto proficuo: conchiude che se nella geografia, nella geologia, nella botanica noi incominciamo dalla natura este- riore per venire alla mente dell’uomo, per lo contrario nella Statistica, noi dob- biamo incominciare dalle esigenze dell’uomo, per venire a’ mezzi di soddisfazione più o meno preparati e somministrati dalla natura. Ma pur troppo la scuola di Romagnosi non ha vinto l’altra del Gioja, chè questa invece è stata seguita dagli scienziati e dai pratici italiani, ed è stato molto se il Boccardo si è limitato ad esprimere soltanto un gentile dubbio, pur convenendo, col suo talento non comune, dell’utilità di far convergere i raggi della sfera statistica sull’uomo, come a loro centro. Ciò che ho detto dello stato fisico, riparando sotto lo scudo dell’illustre Romagnosi, valga per ogni altro argomento affine alla Statistica. Conchiudo. Sulla questione generale dell’andamento delle Statistiche e della defi- nizione della materia i Congressi internazionali, che sonosi riuniti in Brusselle, Pa- rigi, Vienna, Londra, Berlino e Firenze, non hanno sparso alcuna luce sulla bisogna, avvegnachè la norma sovrana della Statistica civile, riconosciuta necessaria già dal Romagnosi, e cou essolui posteriormente dal Neuzinger, dal Quetelet, dall’ Heuschling, e da varii altri sommi scrittori, è stata sfuggita da’ detti Congressi, per la difficoltà di sciogliere i nodi complicati della questione. Quanto a me ritengo, come ho scritto in una Nota, relativa a” Congressi stessi, che quando si mira ad un fine, la prima cosa a farsi sia quella di fissare con pre- cisione i caratteri distintivi di quello, perchè non lo si confonda con altri, ed il ri- manente non sia che una risultante logica di una giusta premessa FINE DELLA PARTE II DEL VOL, VII, 1871. b) Menotti nitr pA sin GIOVA ONE 97008 îI: VINTNASI sf:0r dò at | sot ONbrauv. ot0E. fida nat ari tab aaa fi castro ii Lift da 10 pito) vitate Quod ati 1A MERATE ilgntio ataldzo doo ndr ars + dj Ito). Mito a orta Lo a vigui “arno x Wo atsolonatoal lag add ti, Ù VATI dita) sli dtd age tì IR SUORT AUTO CRA TÉ fra ipa edi Fi 19 Liniagdia cadi nin: {e i vi iomoninali ti a lagda al OPICRA MUTUA sii i Rea Rd: 9 itelingina Miti #; (la ian: assi i DAITEI ROS ITTEST EREZIONE TIA G CFISSMAR TT VOPII HAI E RISO 19xud9. ARM Alt Hillloh MA ITITI (Giuotal i SERI TO diko ono dtdati tue Mu pen tion };05 13594) l'oltoaafiaeriaia anita va lio ottone: oe alodi Noale da asiago mi ani tario ol, i sore ptallaftat-e dileo: Giga stona dial Grana ult PESI Lalli Hi enti mb TICAIO iena gi ai vegoro) dis iasoigitoli di aisoia Alga Be li ul pitap pia (hl si v MERO E Ego di di cita nta ‘SUREAI Peri 4a 5 sa App Vin Di MICH E ci i (png SO [uo hai HS ESILIO Hfaosg along N fi a ta ade di Lu Ato e cda Ian f altota italiano! ilo FRETTA CRUDI iti ti 0108. ot, IM ID alpinisti RESTA fi aa suita se ti are Ra aiotior a eh oa dato dia tb eltali mo vii io glio Saona Apole fiat dali MA} I) IRA MOTTA A OLIRE GA TICO O ICNRACN E A PUICHLA 4 YO IR e RIMMRCETA