m a s a 0 a a a a s a a a i a il 5 Sciali ti A ci t et e re) ciAotii. ■ir GENOVA, T e«)uuaii 24 • . poiché questa non agisce , che sugli oggetti già messi in azione da Iside , Forza madre , e gli oggetti vege- tanti , e sensitivi , Animali. Che se poi una terza Forza agisce sugli oggetti ve- getanti, e sensitivi, e dà loro la facoltà di paragonare i rapporti degli oggetti sentiti , allora chiama vano questa terza Forza ( Aur ) Oro , Luce , Forza di giu- dizio , procedente dalla prima Forza Iside , e dalla seconda Forza Osiri , e questi oggetti , vegetabili , sen- sitivi , e giudicanti , Uomini. Cosi quando riguardavano queste tre Forze , aventi la medesima essenza , Iside , Osiri , ed Oro , come agenti sul!' universo , e producenti un solo ordine ge- nerale , essi le chiamavano J,sh,ii,e , Trinità , Dio , Pro\>idenza f Anima del mondo (i) , ed il principio d' ogni individuo , avente il potere di modificare , se- condo le sue- facoltà , ed in seguito al giudizio fattone , r azione che produce 1' ordine unico , e generale, uinìma , Spirito. Idea degli antichi Egizj sulla forza attrattiva ed espulsiva dei pianeti , e degli altri corpi celesti. Supponevano gli Egizj , che ogni globo esalasse delle particelle , le quali partendo , e declinando a sinistra andassero in linea retta a colpire gli altri globi a in- tervalli fissi , e gli sforzassero ad allontanarsene , ravvol- gendosi dàlia parte dritta, mentre durante gli intervalli , ne' quali queste particelle non agiscono , il vuoto che si trova fra di essi gli sforza ad avvicinarsi l' un 1' al- (i) Da qui nacque l'opinione, che Iside • fosse sorella gemella , sposa di Osiri , e gravida di Oro , essendo ancora nel mistico seno di una madre (^T eternità'); onde cosi dare ad intendere , che queste Ire Forze , Aleim , persone divine , o Hipostasi, sono un solo , e medesimo Iddio , esistente dall' eternila. Te , tibi , qucB es omnia Dea Isis, ( J,SH,u,E ) Ego sum quidquid fuit , quidqidd est , et quidquid erit, Calmet alla parola Isis. 25 tfO , ia modo che la forza d' impulsione delle parti- celle ripulsive, essendo in rapporto eguale alla forza di attrazione che ha luogo negli intervalli fissi , a mo- tivo del vuoto , e dell' inazione delle particelle repul- sive, fa che i globi si mantenghino a distanza eguale, ravvolgendosi sempre in giro , e correndo da sinistra a dritta. Io ignoro quanto possa essere ben fondata tale ipotesi ; pure a me pare , che possa valere qualunque altra ; poiché sembra cosa certa che i raggi solari ci venghino a intervalli fissi, che la luce degli astri col- pisca i nostri sensi , giacché noi li vediamo ; che la forza espansiva dell' aria , messa in azione dal fuoco , sia la più potente di quante noi ne conosciamo j infine che ogni corpo sempre si accresca , o si diminuisca , si componga, o si discomponga, e che nell' ordine fi- sico tutto si trova incessantemente in azione. Retta intelligenza dell' asserzione de' Sacerdoti egi- zj y i quali dissero ad Erodoto, che il sole si era levato quattro 'volte da ponentCé Erodoto narra che i Sacerdoti egìzj , quando li fe- cero vedere le 34 1 statue dei loro Re, e di altrettanti loro gran Sacerdoti, li dissero, che, durante il regno di questi Re , il sole aveva cambiato quattro volte da oriente in occidente , e calcolando la durata dei regni di tre Re ad un secolo , fa ascendere questo spazio di tempo a ii34o anni. Io osservo che nell' anno vago degli Egizj il sole im- piega 35 anni per passare da oriente in occidente , e circa yo per ritornare in oriente , per la ragione , che la differenza fra 1' anno vago degli Egizj , e degli Ebrei composto di 36o giorni, e quella dell'anno fisso, com- posto di 365 ed un quarto circa , è di cinque giorni , e circa un quarto ; di modochè se si dà principio all' anno nel mese di marzo , il sole si leverà tanto nell'an- no fisso , che neir anno vago nel segno dell' Ariete , che si trova all' oriente, ma dopo 35 anni, secondo 1' anno fisso il sole continuerà a levarsi nel mese di marzo e nel seguo dell' Ariele , ma secondo 1' anno 26 vago , il sole si leverh nel segno della Bilancia , clic è a ponente , e 1' anno comincierà nel mese di settem- bre , cioè i83 giorni più tardi che nell'anno fisso; cosicché , dopo yo anni circa , tanto nell' anno fisso che uell' anno vago , il sole si leverà nell' Ariete , e 1' anno coinincierh nel mese di marzo ; colla differenza , che nel periodo dell' anno fi^sso vi sarà stato un anno di meno, e che in quello dell' anno vago, 1' anno avrà cominciato in tutti i dodici mesi, ed il sole si sarà le- vato in tutti i dodeci i segni del zodiaco, retrogradando per sei mesi dall' oriente in occidente , e per gli altri sei mesi dall' occidente in oriente. Ciò non pertanto Erodoto , che non era poi dotto astronomo , nò buon cronologista , ignorando che questi 34i Re, ed altrettanti Gran-Sacerdoti non erano Fa- raoni, nò Gran-Sacerdoti del Collegio principale , ma semplici Re di Nomo, o popolazioni, e Primati di Col- legio di uno dei trenta Nomi , ha creduto , che essi avessero vissuto tutti l' un dopo 1' altro , e si è imma- ginato , che questa mutazione della levata del sole da oriente in occidente dovesse intendersi relativamente al nostro globo , mentre è cosa evidente doversi spiegare relativamente ai segni del zodiaco, ne' quali durante i yo anni del cielo dell' anno vago , questa deve aver luogo ; di modochè egli ha valutato lo spazio di queste quattro mutazioni della levata del sole a ii34o anni, quando in realtà queste non possono importare di piìi di 280, cioè di quattro cicli dell'anno vago di yo anni caduno. Errore in vero alquanto grossolano , ma che serve a convincerne della buona fede di questo padre della Storia. ( Sarà continuato. ) 37 CjiETJlsi Ljurejstii MoNTii de vHs puhlicis ac militaribiLS Roinanofitm tempore Senno. ( V. Fase. VI. p3g. 65 T. anno 1827. ) Sed quoniam nunc de Flaminia secunda potisslmum est sernio , operai pretium erit animadvertere , \iara Boaoiiia in Etruriam ducentem adeo non esse recentem , ut vel ante Flaminium juniorem non obscura ejus apud historlcos appareant indicia , utque ea Consulis illius imperio et cura refecta potius , et munita , quani ab eo primum aperta videri possit. Tempore ejus belli , quod Punico secando perfuncti cum rebellantibus Boiis per annos fere duodecim gessernnt Romani , quo bello tota illa est natio cum aliis Gallicis gentibus penitus sub- acta , varils locis ex.Etruria duces eorum Apennlnum transgressi in hoslilem reglonem Impetum fecerunt. Per Iribum Umbrioe Sapiniam C. Oppius Pra?fectus Socio- rum jussu P. iElii Pffitl Consulis ', quinquennio post Coa- sul ipse L. Furius Purpureo in Bojorum agrum exer- citum adduxerunt. Ea via est a Foro-Livii Arretiunx tcndens , cujus gratia CI. Amatius eruditissimum suum opus cpnscripsit , qua ' una potuisse illis temporibus a Petra P«rtusa usque ad Lucensium fines commode pe- netrari Apenninum statuit , quaque iter habuisse Seno- nes primum , aliasque Gallicas gentes , Hannibalem dein- ceps , mox Romanos duces pluriraos existimat. Sed alia certe via sub fineni illius belli L. Cornelius Merula , et anno post L. Quinctius Flamiujus , Consules ambo , Bojorum agrum suiit ingressi : alter nimirum per Li- givum tines , alter per Ligures ipsos. Cam bellum Li- gnstinum , inquit Livius , ad Pisas constltisset , Con- sul alter L. Cornelius Menda per cxtremos exerci- tiim iìi agrum Bojorum induxit. Et ad annum inse* quenteni : Domifìus ab ^rimino qua proximum. fuit , Quintius per Ligures in Bojos v~^nit (i). Non eadem profecto baec fuit via ac ìUa , quaj per Sapiniam tribuna (1) Lib. XXXV. a8 recta ex Umbria in Etrurlam ducebat , quamque ex- presse suo nomine designavit Livius , quotiescumque Roraanos exercltus per eam pergentes descripsit. Sed ne illa quidem censenda est , quae a Luca ad Parmani erat directa , etsi in Ligurum sita partibus j tum enim Bojoruin regio ad occasum Scukenna amne finiebatur , neque Parmam amplius includebat ; quod primo ilio Cisalpino Gallico bello ante advéntum Hannibalis gesto , devictis Boiis peramplam agri partem ademissent Ro- mani , qnidquid ■videlicet intra Padum , Scultennam , et Apenninum continebatur , cuius tuendse causa , et coloniam ab extremitate altera latinam deduxerant Pla- centiam , et validura ab altera praesidium Mutinse im- posuerant. Rem non satis dilucide adhuc ab Historicis explicatam llrmissimis argumeatìs alias probabimus ; nunc Livium testem adduxìsse satis sit , qui recensitis populationibus , quas in Bojorum agro fecerat Corne- lius Merula Consul , de quo supra dictum est , sic ait : Postquam omnia ferro ignique satis evastata erant , Consul agro liostium excessit , et ad Mutinani agmine incauto , ul: iiiter pacatos, ducebat ; Boii ubi egressum e jìnibus hostem sensere , sequebantur silenti agmi- ne , locum insidiis qucerentes. Si igitur extra Bojorum fines tum sita erat Mtitina , ac reliqua usque ad Padum regio; et in agrum taraen Bojorum per extremos Li- . giirum fines exercitum induxit Gornelius Merula Con- sul : quinam alii hi Ligures nisi Magelli ? et quaenam potior via per extremos eorum fines quam Faventina ? Quinctius autem Flaminius si in eamdem regionem per Ligures ipsos penetravit , magno id sane argumento est, viam tum jam extìtisse : quse ex Mugellana valle superato Apennino in liane nostram planitiem duceret, "vel prlus etiara qnam a Flaminio Consule muniretur. Tota liorum itinerum ratio , nedum ex aliis geographicis tabulis , ex ea ipsa quam affert CI. Amatius satis dis- tincte perspici potest. De Hannibalis transitu niliil hoc loco sum dicturus , accuratiorem itinerum illius in hac nostra Italise parte invesiigalioncm iu aliud tcmpus diflercns. Nunc illud =9 satis fuerit nionuisse , unum ex antiquls scriptoribus Cornelium Nepotem qui Apennini ab eo trajecti memi- nerit, per Ligurum regionem id ab eo pr?estitum si- gnificasse : inde , inquit , per Ligurcs Apenninum transiit petens Hetruriam (2). Quibus verbis alter- utram ex duabus viis Bononiensem , aut Faventinam omnino designare visus est, ultenorem illaui Tribus Sapinias sive Foroliviensem excludere , quce non per Ligures , sed per Umbros in Etruriam ducebat. Scio equidem Nepotem locutionis magis elegantia , quam veritatis in suis narrationibus accurate pervesti- gandae studio commeudatum fuisse ; ac vel de ipso Hannibale in ejus vitacum qusedam omnino falsa, tuni ordine lemporum turbato recensuisse plura ; quoad ta- nien potiora in hac re suppetant monumenta antiqui- tatis , plus apud me valebit ejus auctoritas , quani in- conditi illius itinerarii , quod testimonli loco produxit CI. Amatius, ex notissima praestigiatoris Viterbiensis officina si minus fictum piane et commeutitium , ut viri docti plerique existimant , illius sentiase lialitu, quod certe dissimulare ne ipse quidem potuit , vebemeuter iufectum. Non ante buie sermoni fìaem imponam , quam de umilia etiam via notatu quEedam digna in medium at- tulero : quse via certe adbuc manet , Romana dieta, et ut mediam secat urbem nostram , sic intra duos , quos olim habuit terminos Placentiam et Ariminum ab urbe nostra vicissim et ipsa secalur. Stravit eam , ut supra dictum est, in primo suo Consulatu , cum Gallise provincise pra?esset M. ille iEmilius Lepidus , qui postea Gensor , deiude iterum Consul , et annis amplius triginta Prin- ceps senatus , et Pontifex Maximus fuit. Extat ejus mo- numentum cippus ingens, seu columna milliaria intra agri nostri fìnes ad viam ipsam prope Castrum S. Pe- tri efFossa cum inscriptione magna ex parte erosa , lit- teris , quae paucse adbuc supersunt M. iEmilium Lepi- (3) Cornelil Nepotis Haanibal Lugd. Batav. 1675. 3o dum Consulem certissime indlcanlibus , milllarium au- tem numero prorsus deleto : M. AE. . . LER. . C. Renovalam potius , quam iaitlo ibi positam , cum via miiniretur , ex eo foitasse posset aliquis coujicere , quod gentile Gonsulis nomea AEMILIVS scriptum fue- rit , non AIMILIVhS , ut in fastis Gnpitolinis , aliisque vetustissimis lapidibus factum videmus. Translata pau- cis ab bine annis in urbem columna et iiiter alias antiquas inscriptiones in sedibus scientlarum Instituù locata est. Animadverterunt jamdudum viri eruditi /Emilia! biijus vise partem occidentalem , quse ultra Bonoaiensis agri llnes Placentiam usque porrigitur , post Caroli Magni tempora Yiam Claudiam nuncupatam fuisse. Copiose de bac re disserit Auctor doctissimus Tabulse Cboro- grapbicffi Italije medii sevi a CI. Muratorio editee (3) : multa ejusmodi appellationis proferens exempla , et quidem omnia ad sseculum IX. X. et XI post Cbr. N. periinentia ; nullum vero , quod ad loca citra occiden- tales agri Bononiensis fìnes posita rel'crri possit. Novis- slmuni eorum cbai'tula est a CI. Baccbino prolata do- nationem continens perscriptam Matbildce Gomitis , in qua agrorum qudrumdam limites sic designantur : a mane aqua quce dicitur Maza et Capitanei , et via quce dicitur Caxola, a meridie ciirtis de Bagano et Savignano , a sero aqua quce dicitur Nizola , sicut de- curritinjlm'ium Scultennam ; a septeiitrione via Clau- dia, et Ecclesia de Zena (4). Subsignata est cbarta ad diem postrid. id. Majas anni MCXII. Ego recentio- rem duobus fere sseculis iuvenl in Ccdicibus Memoria- libus Tabularii nostri, ad annum videlicet MCCLXXXIX. pertinentem ; ea vero scripta est ad hunc modum : Die lune septimo novemhris : Guizardus et Jacobinus fratres et jilii q. Vetri de Caudi de Castro franco venerunt ad divisionem bonorma suorum communiuni: (3) L. R. T. IO. pag. Lir. (4) Storia del Monastero di S. Benedetto 1 b. ^. p. igS. 3i in prima qiiidem parte posueruiit unani petiam teri^e arative et prative posilam in curia sci cessarii , in loco qui dicitur campo de pilusi juxta possessioneni monasterii sci Petri de Mulina et juxta stratam Clau- diam. In alia vero parte posuerunt unam petiam ter- re arative positam in curia Panzoni juxta stratam claudiam , et juxta possessionem monasterii sci Petri de Mulina. Salis ex utroque monumento constai non aliani fulsse Claudiam illam \iam nisi TEmiliam ipsam , quse quam. ob causam , et quo tempore in ea regione no- mea mutavcrit , diflicile est constituere. A Juliano Cse- sare cognomento Apostata, qui FI. Claudius Julianus di- cebatur , occasione cujusdam itineris instauralam fuisse viam iEmiliam suspicatur CI. aucLor Tabulae Corogra- phycse , eìque proplerea Claudise bsesisse nomen , quod. tamen Carolingorum dumtaxat Regum temporibus , ipsiusqvie Caroli Magni Consilio aut jussu vulgo usur- ' pari cosperit eo tractu , qui imperio eoruni suberat , quo scilicet regio ab ipsis possessa , ab ea quffi in Ro- manie Ecclesise dilionem \enerat, et ex vice ipsam se- cantis nomine iEmllia dicebatur , commodius distin- gueretur. Sed neque tempus reperilur , quo Julianus sive Ctesaris tantum, sive Augusti gerens insignia , tandiu in Italia moram. traxerit , et restaurandie Animi- li»; viae potuerit vacare ^ neque est verisimile , si id fecisset , faturum fuisse , ut Claudia appellaretur : pc-r- iude quasi ipse ex Claudia esset gente , et non esset illa zelate ratio omnis nominum , cognominum et agno- ininum inversa mirum in modum et confusa. Julianam opinor dixisset potius exemplo aliorum Ceesarum , ia primisque Tra] ani , qui tres ab se munitas in Italia vias non Ulpias , sed Trajanas nuncupaverat. Mutali igitur nominis alia qujerenda est causa , quam mox experiar , an possim aliqua probabili assequi conjectu- ra. Sed res est tota panilo altius , et a capite ipso repetenda. Certum est illud in primis viam olim in Etruria liaud procul Roma fuisse , qme Claudia appellaretur. Testis Ovidius , qui ait : 32 JYec meus amissos animus desiderai agros , Ruraque Peligno conspicienda solo : Wec quos pomiferis positos in montibus liortos Spectat Flaniinifc Claudia j une La vice Ci). Qua parte ducta esset , indicai non obscure Forum Claudii , sive Clodii, nane Oriolum appellatiim. Mos enim erat , ut ii qui vias ejusmodi sternebant , fora etiam ad nundinationes et ad conventus habendos , non quidem semper in exlrema , sed ssepe etiam in media earum parte constituereat , quse fora et ipsa non secus ac via) conditorum nomen prseseferebant , ut Fo- rum Appii, Forum Aurelii , Forum Cassii in \iis cogno- minibus , et Regium Lepidi in bac nostra iEmilia via. Neque ea res negotium cuique facessat , quod idem loous Forum Claudii et Forum Ciodii , eadem via Claudia et Clodia in veterum scripsis appelletur : non enim alii a Claudii Clodii , sed una eadcmque pa- tricia gens , a qua nonnulli fuerunt , qui se Clodios appellari mallent , ut Publlus ille Clodius Ciceronis iuimicus ; eam scilicet ob causam , propter quam ele- gantius se quidam loqui putabant , si Piastra dixissent non Plaustra , quem pronunciandi modum cum adlii- beret Vespasianus , età quodam Metrio Floro monere- tur latine rectius dici Plaustra quam Piastra , ille tum quidem nihil respondlt , sed accedeutem ad se postri- die Metrium non Florum , sed Flaurum salutavit (2). Vise Claudiae ductus per Forum Claudii definitus a Ponte Milvio , ubi initium ex Flaminia babebat quasi ipsius propago , usque ad Cosam maritimum Etrurise oppidum , Aurelise jungebatur , in Peutingeriana tabula his fere notatur , ac distinguitur stationibus : ad Sex- tuin : ad Careias ( nunc Galera ) ad Novas : Sabbate : Forum Clodi ( nunc Oriolo ) •• Blerani : Martam : Tuscaniam : Maternum : Saturniam : Cosam , ubi jungitur AurelicB (3). At quisnam auctor hulus vice , aut quonam tempore munita ? altum enim ea de re apud scriptores , qui (1) Epist. ex Ponto lib, 1. E[\ Vili. (2) Sveton. in Vcsp. cap. u. (3) Segmenl. IV. 33 in meas adliuc manus inciderunt , sllentiutn invenio. Noii tamen dubito ralionibus perinotus antea propositis , quia Gensoris alicuius opus fuerit via lam Ilouise pro- pinqua. CensoreS quidein ex Claudia patricia familia , quse Clodia etiani aliquando est appellata post Appium. ìllum Caecuin , a quo via Appia est strata , tres dumta- xat reperto : G. Claudiuox Genthouem annis septem ante secundum Panlcum Lellum , G. Glaudium Neronem belli ipsius tempore , et G. Glaudium Pulchrum anno tertio ac trij^esimo post eiusdera belli finem. Appius enim ille Ciceronis faniiliaris , qui Gensor cum L. Pisone fuit anno ante Ga3sarianuni .civile bellura , loage est recen- lior quaru ut de de ilio merito cogitari posslt. At G. Claudius Gemilo eo anno censuram gessit , quo Gentes Gallise Cisalplnae prope universse , accitis iu Italiam trau- salpinis auxiliis , ad delendura Romani imperii nomea conspiraverant , tanto' Senatus terrore, ut quod neque ullo antea , neque postea bello factum leglmus , seplia- genta liomlnum millia in armis habuerit. Quis credat in tanto rerum molu ad viam. in Etruria sternendani otium fulsse ? Idem de Censura G. Claudii Neronis sen- tiendum, quaa in belli Punici incidil tempora, jam illius quidem senescenlis , sed tamen exausto serai-io » et Hannibale in Italice visceribus adhuc liaerente. Unus ergo relinquitur G. Claudius Pulclier , qui cum Tib. Sempronio Gracclio Gensor fuit anno ab U. G. DLXXXV, quo anno Macedonise Rex victus et captus est Perseus , ex eaque Victoria Hs. millies ducenties summa iu sera- rium importata ad prajclara opera molienda opportu- nissiraum , et paratisslmuui subsldium, Qulndecim an- nis post Glaudium. PulcLrum Gensor fuit G. Gassius Longinus , de quo supra dictuni est , is qui Gassiam viam stravit , non ab urbe ipsa sed a priiua Claudiae viae statlone exorsus : nimlrum ut antea ex Flaminia ad Pontem Mllvium Claudia , ita ex Claudia ad primam mansionem , quse ad Sextum dlcebatur , Cassia est de- ducta , raodice flectens , et paullatim sic ab ea digre- diens , ut Sabatinum lacum viarum altera ad loevam , altera ad dextram stringeret. Mansiones inde ad Gassian» 3 34 pertinentes hoc ordine in Peutingeriana tabula recen- sentur ; Sutriiim : Vicum Matrini : Forum Cassii : j4.quas Passeris : V^ulsinium : Palliam FI. : Clusium : ad Wovas: Arretium : (i) Qui vise tractus Arretio Fesulas ac Florealiam protenclebatur , an a Censore Cassio lune prirauin munitus fuerit , an potius a Fla- minia secunda postmodum esceptus , et cum via Cassia commissus , res est adhuc dubia in opinione posila. Fla- xninius eniin junior Consul utrum suani viani Bouonia per Fesulas Arretium perduxerit , an superato Apen- nino breviori eam itinere Fesulis a dextra relictis per Magellos Ligures Arretium versus flexerit , in tanto ve- terum silentio statui non potest. Multo etiam incer- tius , an quod in Peutingeriana tabula (2) Florentia Pistorium , indeque Lucani et Lunam notatuni iter ap- paret , Cassii Censoris opus fuerit , ab coque nomen aliquando acceperit tamquam Cassise vise pars , prae- sertim quum et Luca et Luna Cassii tempore non in Etruria et Italia censerentur , sed ad provinciam Ligu- riam cum Gallia Cisalpina fere conjunctam.pertinerent. Quod magis spectat ad rem nostram operse pretium est animadvertore , universum illum viro tractum, qui a Roma per Sutrium , Forum Cassii , Vulsinios , Clu- sium , Arretium , Florentiam , Pistorium , Lucam et Lunam usque protendebatur , quo certe in vise tractu "vetus Cassia erat comprehensa , in Antoniano itinerario iter a lìoina Lucam per Clodiam (3J , scilicet per Claudiam , nuncupari ; quin etiam viam alteram , quaj a Luca trajecto Apennino Parmam ducebat , sic esse descriptam : Iter a Parma Lucam M. P. C. Via Clo- dia (4) : qua in re non equidem errasse arbitror iti- nerarii auctorem , sed consuetudinem , ac loquendi mo- dum sequutum fuisso suorum temporum. Nam etiam (1) Segment. [V. (2) Segmenl. Ilf. (3) Veterum Romanorum itineraria cura nolis yariorum AmstelaedaraiiySS. pag. 284. (4) Ut supra. ■ 35 Marcellinus Comes in Chrotiico (5) Vitlgem Gotliorum Regem , qui soluta Romse obsidioue iter siue dubio per Cassiaoi erat ingi-essus , per aggerem Clodise et Tusciam. Anaonariam ait profectum : siquidem flebat allquando, ut viarum nomenclatlones alise iu aliarum locum succe- derent ; et quae certarum quaruindam erant propcise , cum aliis facile comuiuaicarentur , quae vel ab ipsis de- ductse esseat , vel cura, ipsis existloiarentur conliuuaise, Aurelia via exerapli loco sit. Stravit eam , ut diximus, quse maritimam Etrùriae oram legeret , G. Aurelius Cotta Censor : ncque dubitandum , quin Pisas usque ; jain tura, eniui civitas ìlla cum reliqua Etruria sociaiis foederis nomine in Romani imperii ditiouem yenerat. Adjunxit buie viae alteram perduxitque a Pisis ad Vada Sabatia M. ^milius Scaurus Consul , cum Gallio Cisalpinse ac Liguria? proeesset anno ab U. C. DGXXXIX. Liguribus Gantiscis domitis , quo etiam anno fossis inter Placen- tiam ac Parmam ductis regionis illius paludes siccavit. HcEc vise Aurelise accessio modo Aurelia nova , modo ^Emilia ab auctoris nomine est dieta, ^miiiam Scauri appellant nunc Eruditi , ut ab ^Emilia Lepidi , quae in nostra est Gallia Cisalpina, distinguane Fuit deinde ^mi- lius idem Scaurus novem annis post consulatum Censor cum M. Livio Druso , quo tempore veterem etiam Au- reliam viam refecisse videtur, et a suo nomine ^mi- liam et ipsam nuncupasse : sic enim loquitur Aurelius Victor , sive quis alius auctor Vitarum Virorum illus- trium in Scauri elogio : Consul Ligures , et Gantiscos domuit , atque de his triumpha^^it : Censor viam, y^miliam stravit : Pontem Milvium fecit (6). Vias , et opera publica in provìnciis «;urandi , ut supra osten- dimus , Censorum munus non eratj quidquid vero re- gionis ultra Pisas et Auserem ad Alpes erat , usque ad extrema liberai Reipubblicae tempora ad provinciam Li- guriam , quae Cisalpiuse Gallise adiuncta est , pertinebat j (5) Biblioteca veternmPatium. Toro.X. pag. 355. au. 538. (6) Hislorise Eomanae scriptores Latini Francofurti i588. Tom. 1. pag. 5o4. 26 aliud ergo Scauri Consulls eam provlaciam administran- 1Ì5, aliud eiusdem Censoris opus fuisse existimanduin est. Sed illud animadversione dìgnuta est , non modo to- tum tractum a Roma ad Vada Sabatia modo viam Au- relìam , modo JEtniliam tum iu hisloriis , tum la ve- tustis inscriptionibus esse appellatum , sed viam eliam, quse postmodum a Vadis Sabatiis trans Alpes Arelntem est ducta , in qua munìenda neque Cottse , neque Scauri partes ullse esse potuerunt , utrumque tamen sibi no- jnen Aurelise , et iEmllise \indicasse , quod ejus conti- nuatio liaberetur , quse in Alpes iisdem erat vocabulis nuncupata ; ut vel nunc etiam in Gallia Narbonensi ejus \iffi reliquise Aurelise nomenclationem servent , et coutra in Italia J^milise. Nimirum qui iter faciunt , de eo magis sunt sollicili , ut quo intendunt , mature et tuto et commode perveniant , quam ut proprite viarum appellatioues , quibus definiantur lerminis , rite cogno- scant. Hinc ex crebris commeanlium ac remeantium errorlbus confusio ac perturbatio priscorum nominum est orta tum maxime , cum vetustate obtritis colum- nis milliariis initio positis alise inferiori aevò in ea- rum locum sunt substitutse non eorum , a quibus vise apert» ac stratee fuerunt, sed Augustorum ac Csesarum. 37 Annotazioni. / T ' . Friniates ) -LJ anno di Roma 565 due romani eser- citi assalirono i Liguri: il primo, capitanato dal consolo C. Flaminio , si volse contro de' Friniati , ci' altro, guidato da M. Emilio console , mossesi a combattere i Fviniati ì m'a perchè non si pensasse avere i due con- dottieri assaltato la stessa tribù , o popolazione ligusti- ca , ne avvisa T. Livio ( lib. Sp , § 2 ) che i Frinia- tes attaccati da Emilio eraa diversi da quelli , -che prò-- varón l' urto di Flaminio. Ora , non sembrando verosi- mile che due tribù avessero lo stesso nome , • il Sigoaio , il Gronovio ed altri eruditi pensarono di leggere in un luogo Friniates , nell' altro Briniates ; per si fatta maniera che i primi fossero abitatori del Frignano ne' monti del modanese , gli altri di Brugnato o Brignato nella nostra riviera di Levante. Da sì fatta opinione non dissentiva il dottissimo Ab. Oderico ( Leti, ligust, face. 24 ) j uè dissentire potrà chiunque legga lo sto- rico romano con qnell' attenzione , che sola è degna di T. Livio. Di fatti ; Emilio cominciò dal piano della Gallia , or Lombardia j e vinti agevolmente coloro qui in campis aut ^'a{libus erant , entrò ne' monti , e sper- perati gli alpestri abitatori , giù per 1' Apennino discese a snidar gli altri , tra' quali et Friniates ligures erant ( Liv. 89 ). Questi, a mio parere, sono i Briniati. Ed eccone le prove. I due consoli cominciarono a muoversi dalle pianure dell' Italia settentrionale innalzandosi alle vette dell' Apennino , e scendendo poscia verso la ma- rina. Perchè le mosse de' due capitani fossero bene or- dinate , ragion voleva che si partissero il paese sul quale avevano a combattere. Colai partizione fassi vo- lentieri da' comandanti col corso de' fiumi. Farmi adun- que assai conforme alla ragion delle cose , ed all' uso della guerra , che Flaminio si eleggesse quella parte dell' Apennino , che stassi tra 1' Arno e la Magra ( ov' è il Frignano , Friniates ^ , lasciando ad Emilio U 33 catena che si stende da' Genuatì alla Magra; nel qual tratto di paese trovasi Erignato , Briniates. A confer- mazione di tutto questo , si noti , che Flaminio , domi i Friniati f si rivolse contro degli Apuani, cioè de- gli abitatori di que' monti , ove sono le sorgenti della Magra ( Dioc. di Pontremoli ) ; ma non entrò punto di qua del fiume, lasciandone la cura ad Emilio. Degno argomento di una bella dissertazione sarebbero i Bri- niates ; tanto più che il loro paese comincia a far par- lare di se con monumenti etruschi ; essendo stata pur dianzi comunicata a chi scrive una epigrafe etrusca , trovatasi ne' monti sopra Brugnato ; la qual daremmo con la sua interpretazione ( qual che sia ), se non as- pettassimo un facsimile della iscrizione , onde toglierci un dubbio sopra una lettera , che sembra mal rappre- sentata nella copia , che ci fu spedita , non che in al- tro esemplare che venne trasmesso al chiarissimo Pro- fessor Viviani. Ut Quintum , Sextum ) E concorde sentenza degli Eruditi , che il trovarsi i nomi di Quinto , Sesto , De- clino ecc. sia manifesto argomento di antica via ro- mana ', stantechè 1' uso di notare le miglia con pietre , diede origine a quelle locuzioni , ad Quintum , ad Sex- tum f ad Decimum , sottintesovi lapidem. Ammettendo per vera questa decisione degli Antiquarj , né potrassi mai notarla di falsità , conviene riconoscere tre antiche vie che mettessero a Genova j cioè quella di Lom- bardia, sulla quale abbiamo il Ponte Decimo, cioè ad Decimum lapidem ; quella di Levante , ove sono Quarto e Quinto ; quella di Ponente in cui trovasi Sestri , detto costantemente in tutti i documenti geno- vesi Sextum, non Segesta , uè Segestum. Ninno per altro si ponga a verificare le distanze tra Genova , Pon- tedecimo. Quarto e Sestri, senza prima notare due cose di moka considerazione ; son esse , qual fosse il punto neir antica Genova , onde s' incominciava la mi- surazione delle vie ; ed essere il miglio comune " d' I- talia maggior d' un quinto dell" antico ; cosicché otto miglia deJJe nostre, vaglion quasi io delle romane.. 39 Ad Genuam Ligurìce emporium ) Queste parole di Strabene ci mostrano che Genova fu piazza di com- mercio, fino dagli anticliissirai tempi. Alcuni ne ad- ducono per motivo la sterilità del paese , che negando agli abitatori quanto è mestieri all' umana "vita , strin- gevali a sopperire coli' industria al difetto del terreno. Ma tal ragione , cosi scompagnata , non mi persuade. Perchè , se la povertà delle campagne fa mercantili le città , come non erano emporj Vado , Noli , ed altri luoghi della nostra Liguria , che non sono doviziosi di pingui terreni ? Io vorrei a quella prima cagione dare una compagna ; ed è la felice posizione di Genova ; che per breve tratto è divisa dall' Italia meridionale , dalle isole , e dalla Francia , e quanto riceve , in poco d' ora trasmette alle contrade settentrionali della nostra penisola. Ad viam Aureliam ) Bellissima è 1' osservazione del Monti intorno al nome della via Aurella ; cioè che r avesse da quel Gajo Aurelio Cotta , il quale fu cen- sore 1' anno secondo dopo la prima guerra punica. Ma non tutti vorranno concedere quanto egli aggiunge delle due vie, che spiccandosi dall' Aurelia a Piacen- za , scendevano alla marina , 1' una a Genova , 1' altra a Vado. Non è dubbio , che fessevi anticamente una strada romana , che dalla nostra città metteva a Pia- cenza, Agostino Giustiniani la descrisse ne' suoi annali ( pag. X): ne parla nelle sue lettere Ligustiche ( lett. VI ) 1' Oderico j ed ultimamente nell' aprire la regia strada de' gioghi si è verificato che passava , come dis- sero i nostri scrittori , per Libacna , della qual città si scoprirono le rovine. Questa via , secondo 1' Oderico , aveva presso gli antichi il nome di Postumia i corrotto alcuna volta in Costumia. L' altro ramo dell' Aurelia fu cagione di molte con- tese. Il nostro Autore non è concorde coli' Oderico , né con altri scrittori. Può leggersi uno scritto del Sig, Em. Repetti pubblicato nell' Antologia di Firenze. Certo è che dall' Aurelia spiccavasi un ramo , che giungeva a' Sabazj , come afferma Stratone. E molto acconcia- ^4«» mente scrisse questo geografo a' Sabazj , non a Vado , perchè la via giunta a' confini Sabazj , cioè al giogo , si partiva in due rami ; 1' uno de' quali scendeva sul declive occidentale, e passando per Alba Docilia si condeceva al vico della Vergine ; 1' altro sul pendio oc- cidentale metteva a Vado , a Noli e a Feglino. Il punto della divisione era Asta tra Cadibona e 1' Altare. Og- gidì ancora gli uomini di Feglino nell' andare a Noli tengono una via molto diversa dalla postale, trovan- dola più breve : credesi fosse 1' an^'ca. L' Oderico non avendo rilegato la divisione dell' Aurelia in due tron- chi , sì trovò confuso , non sapendo come ordinare i nomi che leggeva negli^ antichi itinerarj. E da scusarsi questo dottissimo scrittore , perchè a' tempi suoi ninno aveva per anco scoperto il luogo dell' Hasta de' Ro- mani, e del TFasto de' tempi fevulali. Veggasi l'Elo- gio di Grossolano ne' Liguri Illustri , e la Stor. Lett. Lig. voi. I , face. lyy. Cornelium Nepotem ) Cornelio Nipote afferma nella \ita di Annibale , che questo insigne capitano per Li- gures Apenninum transiit petens Etruriam. Nelle stam- pe di Cornelio , che da molti anni si pubblicano in Genova ad uso delle Scuole con postille volgari appiè di pagina , spiegasi la frase per Li gures , come se vi si tenesse discorso di Genova, o almeno del territorio dell' antica Rep. Genovese. E 1' Autore delle Osserva- zioni intorno ad alcuni passi di T. Livio impresse nel iSay , fidatosi di quella dichiarazione volgare, im- maginò di far venire Annibale in Italia per la riviera nostra di Ponente. Ma quello che abbiano scritto qui sopra intorno all' Apennino che trovasi tra i Genuati e 1' Arno , è più che valevole a mostrare 1' errore del postillatore , e dell' Osservatore. Qualunque via pren- desse Annibale per valicare 1' Apennino , egli ebbe a passare per Ligures ; perchè niuno dubita che valicasse tra le sorgenti della Magra e quelle dell' Arno. Può vedersi la Storia di Modena del Tiraboschi. La riviera occidentale non v' entra per nulla. • A Roma ad fada Sabbatia ) Chi avrebbe mai so- 'gnato die nel 1827 si dovesse negare 1' esistenza di Vado? E negarla sull' autorità del gramatico Ascanio Persio da Matera ! Questo è come se i Livornesi ne- gassero 1' esistenza di Pisa. A tal paradosso si contrap- pose nel Giornale ( 1827 pag. . . . ) la storia e tradi- zione di Savona , ed ora possiamo opporgli uno scrit- tore inedito savonese, cioè Gio. Batta Risso anziano di quella città, in unj^ operetta compilata nel i638 e diversa di quella registrata nella Stor. Lett. della Li- guria. Ecco le pnrole del Risso, libro 2.° ann. i65 di G. G! ce Fu fntio imperatore Elio ( 1. Elvio ) Perti- « nace (i) nato in essa villa di Marte; e dopo la sua « morte fu instituito li sacerdoti Eliani in Roma et « in Vado, avendolo posto fra li Dei. ec Ann. 683. Era vescovo di Savona Admando j si disse Vadense. « Auu Era vescovo Berardo : sì disse Vadense. ce Ann, 967. Giovanni 2.° vescovo di Savona. . . da « Prete Giovanni Zuccarello posto in ordine primo ve- ce scovo nel catalogo de' vescovi eli' ei di sua mano ce propria scrisse nel libro del capitolo 1' anno i533, « il cui computo seguirassi , salvo in quelle cose che ce patiscono contradizzione. ce Ann. 990. Don Bernardo vescovo e cittadino di ce Savona eletto del 990 non volendo soffrire che la «e chiesa Vadense ritenesse il nome episcopale , eoa ce sano avvedimento se ne passò in Roma al Pontefice, ce il quale il compiacque delle sue honeste dimande: ce che perciò, secondo il Zuccarello, si trausferse la sede «e del Vescovato di Vado in Savona. ce Ann. 1004. Don Giovanni IV vescovo della chiesa «e Vadense , mostrossi lieto di così chiamarsi in una « certa dichiarazione eh' ei rogò insieme col suo ad- (1) Elio è qui errore di penna ; perchè il Rissp parlando pili sotto di quell' Augusto , scrive : ce il padre di Elvio ce Pertinace imperatore si chiamò per nome Successo, jj Sa- rebbe intollerabile ignoranza confondere oggidì gli Elj eoa gli Elvj. 4^ « vocatore ia una valle de' Vadi , detta Ludicisa , « d' alcune proprietà , case e beni vicini al Segno si- cc tuati in Monte , o poggio , Mezzano , spettanti ad « essa cliiesa ec. » Questi documenti servono a provare che secondo la Storia Ecclesiastica di Savona Vado ritenne il titolo e la dignità vescovile anche nel sec. X j e chiunque non ha difficoltà di asserire che Kado prima del looo non fu altro che un pantano popolato di ranocchi , con- verrà che abbatta tutta 1' antichità sacra e profana. 43 LA SCUOLA DE' SORDIMUTL Ragionamento inedito del P. ANTONIO Cesari D. O. I 1 Giornale Ligustico sin dal primo suo nascere amò andarsi fregiato degli estratti , che da valente penna venivano successivamente stesi sopra una pregevolissima fatica letteraria di Antonio Cesari , il cui solo nome è più che bastante raccomandazione ad ogni libro che 1' abbia scritto in fronte. Ma troppo più bella è ben la sua ventura questo secondo anno , che può cominciare con un lavoro recentissimo , né ancor dato fuori , onde gli fu cortese quel lume della letteratura italiana. Certo non poteva a noi farsi dono né più decoroso per la nostra patria , né più autorevole agli occhi de' veri sa- pienti, la Genova passò il Cesari parecchi giorni dell' autunno ultimamente trascorso , ove tra le belle ed utili cose , che sommamente gli piacquero , una in is- peziellà gli parve degna della sua ammirazione , vogliam dire 1' Istituto de' Sordimutì diretto dal celeberrimo nostro P. Assarotti. Da ciò che potè quivi vedere e udire rimase egli siffattamente preso , che appena tor- nato da Genova ha scritto , e recitato in Verona nella chiesa della sua Congregazione un Ragionamento , In cui con eloquenza conforme a quel grande Oratore , eh' egli è , espone i prègi di questa prodigiosa scuola in questi ultimi tempi felicemente ritrovata. Or questo stesso ra- gionamento troverete qui appresso al piacer vostro , saggi e gentili lettori; né di tal dono intendiamo già che cosi a noi sappiate grado , che molto più assai non vi rimanga a doverne sapere alla singoiar genti- lezza del Veronese Oratore , che doppiamente ha vo- luto così onorare questa patria nostra. E il fargli fede di quest' obbligo , che con lui tiene , a noi principal- mente si spetta ; perocché , quantunque non ne potè 44 venir fatto di conoscerlo dappresso , come sarebbe stato nostro desiderio , e raccomandargli il nostro Gior- nale in questa città , onde eravamo allora lontani a go- dere degli ozi autunnali j tuttavia vi si mostrò presto e liberale tosto che tornato a Verona venne a sapere di questo nostro qualunque siasi lavoro. Né a questo solo si stette contenta la sua generosità , che promise altresì di collaborare per innanzi ai fascicoli , che sa- ranno per noi pubblicati. Voi avete in questo frattanto la prima parte del Ragionamento , nella quale dipinge lo stalo infelice de' Sordimuti , mostrasi come sempre fu riputalo impossibile trovar rimedio ai lor mali, la somma difficoltà di praticarlo posto pure che trovato si fosse , per attribuirne poi intieramente la maravi- gliosa invenzione alla religione e alla carità di Gesiì Cristo , scopo principale dell' Oratore. Viva e spirante spezialmente i Genovesi riconosceranno in fine la pro- sopografia dell' Assarotti. Si leggerà nel seguente fasci- colo la parte seconda non men bella , né meno im- portante di quella , che qui si legge. ( Gli Editori. ) RAGIONAMENTO. K e' viaggi , de' quali in alcuno non senza onesta e giusta ragione, io soglio mettermi a quando a quando, questo fine io ho sempre avuto davanti agli occhi , che non io solo dovessi goder di tutto quel bene che a me medesimo ne promettea , ma e voi altresì doveste averne la vostra parte , sembrandomi cosa a voi ed a me do- vuta , con voi ogni mio bene comunicare. Così tornato 10 , or fa cinque anni , da Roma 5 da quelle molte e grandi cose , che ci ho vedute , ho tratto cagione e materia da trattenere in alcuni utili ragionamenti la vostra pietà. Questo medesimo intendimento non mi lallì nell' ultimo mio viaggio di Genova , si che delle 1 cose quivi trovate , io non riponessi alcuna anche per voi , dà farvene , come di cosa a voi cara ed utile , un picciol presente. Io ci ho adunque ammirato , fra 1' altre cose , un nobilissimo esempio di specchiata sin- golarissima carità, usata ad uomini, che de' miseri e sciagurati , parmi esser di lutti i più degni di compas- sione. Questi sono coloro che nati sordi , di necessità riescono eziandio muti, e certo , se egli è una pietà do- lorosa a veder zoppi , sciancati , ciechi , assiderati ; a* quali è tolto il servigio di alcuna parte de' loro corpi, onde di tanti diletti ed ajuti al lieto vivere sono de- fraudati j che vorrem dire di questi sordi e muti , i quali per questo miserevol difetto , delle cose più care , delle più dilettevoli, delle più necessarie, non pur alla vita del corpo , ma eziandio dello spirito sono privati ! Ora questi miseri trovarono nella religione di Cristo per- sone si calde di carità , e di carità cosi forte e pazien- te , che per cavarli da quelle miserie che ho detto e dirò (e che voi forse non potete immaginare), por- tarono fatiche incredibili e smisurate ; contenti del solo piacere di aver per amore di Dio fatto loro cotfyito bene. Vedete , che io intendo con questo onorare ìtt /i6 religione di Gesù. Cristo : e questo è il presente , clie Toglie farvi : ben sapendo la consolazione che voi ne prenderete grandissima, udendo le glorie di quella fede , e di quel Redentore che tanto amate e onorate. Ma prima è da ben conoscere questa Storia. Ascoltatemi. A voi , uditori carissimi , non fa punto bisogno il provarvi , 1' uomo essere da Dio fatto naturalmente so- cievole j cioè ordinato a vivere insieme , cioè usare , e comunicare domesticamente con gli altri suoi simili in una medesima vita ; di che sono segno e prova ben certa oltre il suo instinlo , gli infiniti bisogni dall' uno all' altro , co' quali Dio ha inteso legare ed affratellare questa bellissima società: per sopperire a' quali bisogni, e per tenere più dolcemente e saldamente congiunta que- sta grande famiglia , ha egli posto per istrumento il più Decessario il linguaggio , cioè il parlare che gli uomini farebbon tra loro , fornendogli eziandio a questo fine degli organi necessarj. Parlando fra sé gli uomini, e risponden- dosi insieme , manifestano gli animi loro, i pensieri e gli affetti e' bisogni ; e intendendosi insieme , e ricevendo cosi nell' animo gli altrui sentimenti, e i propri loro rimandando, e' vengono più stringendo col mutuo co- noscersi e co' servigi , la comunanza del vivere , 1' a- more , il piacere dell' ajutarsi , del provocare la grati- tudine e le altre nobili affezioni e diletti, donde risulta si dolce la socievole vita. Del qual benefizio son prive quasi affatto le bestie , che a vivere insieme non furono create : e però né da parlare non hanno gli organi convenevoli (perchè non necessarj ); onde per vivere che facciano insieme cogli uomini , e sentire i lor ra- gionari , l' limano linguaggio non poterono imparar mai. Ma voi dovete aver conosciuto , che a pQter parlare è bisogno 1' udire : perchè , essendo o questo o quel lin- guaggio cosa trovata a piacere dagli uomini ; non pos- sono impararlo se non lo sentono pronunziare : e ciò anche dopo lungo tempo e fatica. E pertanto vedete, che i fanciulli , quantunque abbiano gli organi da ciò , penano però a prendere il linguaggio della lor patria , qualche anno } cioè quanto , per forza di udir la ma- 47 dre, il padre , i fratelli parlare, ed a pooo a poco in- gegnandosi di conformare , menando e atteggiando la lingua , finalmente prendono il loro parlare. Per la qual cosa chi nacque sordo , necessariamente ne torna muto j onde né intendere gli altrui , né comunicar può a parole i suoi sentimenti. Questa è una miseria assai lagrimevole , che divide per poco e sequestra questo infelice dalla compagnia degli uomini , e quasi acco- munalo con le bestie , e lo priva di tante consolazioni , che egli vede godersi tanti altri a lui simili , e che però intende dover essere altresì a lui destinate. Non ha mai il piacere di udirsi chiamare dai genitori eoa que' teneri nomi , che a' figliuoli sono si cari } né egli può loro rispondere con quelli che rubano 1' affetto e la tenerezza de' padri ; a' quali però egli si sente quasi in casa propria divenuto straniero, ed è poco : vede la madre , che spesso lo sguarda con occliio compassio- nevole , ricordandogli la sua miseria ', e talora la vede mirando lui piagnere e sospirare ; quando nel tempo medesimo la scorge sorridere agli altri suoi fratellini , accarezzarli ; seco trastullandosi in lunghi e dolci ra- gionamenti , da' quali s' accorge nascere negli occhi e nelle labbra dell' una e degli altri un riso ed una al- legrezza , che egli non conosce né gusta mai : di che egli é trafitto da acuto dolore di una invidia assai giusta ed amara. Egli solo dimenticato , avuto men ca- ro , lasciato solo : per non dire , che crescendo negli anni , il piìi delle volte , non solo non riceve né dai genitori , né da' fratelli dimostrazione d' amore j ma di- spetti , corrucci , rimproveri , scherni , irrisioni , se non anche odio ; come fassi per le disgrazie :* ed egli come una disgrazia della famiglia , è solo il malveduto , solo rigettato da tutti , avuto in non cale ; e sovente , come un ceppo inutile , ed uri fastidioso ingombro cacciato di casa , e dal consorzio de' suoi. Or se tanto questi miseri trovano in casa loro , da tribolarsene ; pensate voi quello che ricevano dagli stranieri , da' quali non è nessuna carità di naturale affetto , che debba loro accattar compassione-^ ma in quella vece ogni cosa loc 48 tira le beffe , il disamore , il dispi'e^zo : di che eglino sogliono essere 11 più malinconici , e ( come scontenti di se stessi , e peggio degli altri ) ^ssai iracondi e fe- roci , come mi fu affermato da chi adoperossi per man- suefarli. Ma ( lasciando dall' un de' lati queste e più altre amaritudini, che quello stato rendono assai doloroso ) , dirò di quella cosa che di tutte è più trista: la igno- ranza in che il più vivono di Dio , dell' anima , del suo destino, del Salvator Gesù Cristo , della sua redenzione, e delle altre verità , la cui fede è necessaria a salute. Non crederò io già , che costoro , o almen tutti , niuna conoscenza affatto o sentore abbiano dell' esser primo Iddio, come alcuno credette: tuttavia fiancando loro il naturai instrumento da Dio assegna^' generalmente alla fede , che è pure 1' udito : jìdes ex andini ', noa debbono questi miseri ( almeno ne' primi anni ) po- terne avere , o formarne altra idea , che assai imper- fetta , oscura ed incerta. So io bene ,' i selvaggi , che a modo di fiere, eran nati e cresciuti, sbrancati nelle isole , e ne' deserti , senza commercio alcuno con gli altri uomini , furono però trovali con qualche benché storpia opinione di Dio, e di religione; ma costoro po- terono averne avuto qualche notizia ab antico da' loro padri, ne' quali per lunghissime generazioni dinanzi passando, potè esserne fino a lor da que' vecchi mag- giori qualche tradizion pervenuta. Ma questi sordi nati come acquistarne la conoscenza ? Come capir loro ia mente idea di spirito , di anima , di paradiso , di In- carnazione , di Trinità; e quindi venirne ad atti di formata credenza a Dio che parlò ? le quali cose ezian- dio coli' ajuto della parola, degli insegnamenti più ac- curati e distinti , assai tardi entrano per le orecchie ben sane nell' intelletto , il qual / pena sempre a compren- derle , e quasi digerirle sebben così minuzzate ? Al tutto saria bisogno ( quando ve ne fosse qualche speranza) r.sar il senso della vista per qvxel dell' udito j «d o per cifre delineate sopra una tavola , o per cenni di mani , o simili atteggiamenti visibili , contraffar I« 49 parole, e per gli ocelli insinuarsi loro nell' intcluito. Ma chi tentar questo sperimento? e qual buon s^ e esso sperarne ? Senza citarvi gli storici , che a noi traman- darono forse tutte le cose sapute , le trovate , e le con- dotte a termine dagli uomini di tutti i tempi ed i luoghi , come fecero Aristotele e Plinio ; bastivi sapere che egli è stato sempre reputato impossibile ; e però nessuno ha osato tentar questa impresa ; essendo repu- tata o ignoranza o pazzia eziandio lo sperarlo. Tuttavia pognamo che alcuno , profondandosi in sottili medita- zioni sopra le facoltà della natura e dell' arte , e della via , e del modo , onde si formano nell' immaginazione, e nell'intelletto, le idee, i giudizj , ed i raziocinj , avesse trovato ; esser possibile introdurre per gli occhi nel sordo le idee medesime , che negli altri portano i suoni per la via delle orecchie j cioè venir formando in lui per cenni di mano , come per una scrittura , quelle cognizioni , che il fanciullo che ode vien a poco a poco formando nella sua mente , cou udire e racco- gliere dalla madre e da' suoi i varj suoni delle parole , componendoli , accozzandoli , compartendoli con lungo esercizio , e dalle parole ragguagliando le cose che vede e tocca , ovvero le idee e' pensieri , e le verità che a quelle parole , e locuzioni rispondono , e sono per esse significate : se , dico , egli vedesse possibile questo la- voro ; chi potrebbe però pensare la smisurata fatica , la pazienza sformata , le noje importabili , che biso- gnerebbono a questo institutore e maestro ? Certo voi vedete quanti anni bisognano al fanciullo , prima che egli cominci intendere il linguaggio della sua madre , in tutte le cose che ella gli dice : quantunque egli ab- bia libero e sciolto a questo uso il naturai organo dell' udito ; il qual dovrebbe assai presto e facilmente fargli prendere il valor naturale delle parole , come oggetto suo proprio. Dovrebbe dunque il maestro del sordo esercitare il suo allievo con cenni ed atti di mani e di dita , ovvero di lettere , o segni scritti sopra una ta- vola , ed altri suoi cenni ripetuti senza numero al- meno per tanto tempo, quanto i fanciulli spendono 4 5o ad imparar parlare dalle lor madri, die pure gli ten- gono sempre in braccio , e si fanno loro sentire tutto il tempo almen dell' infanzia .-cioè dovrebbe ricalcargli eoa atti iunumerabili le sue lezioni, anzi diventar ma- dre egli stesso, e da lui prendere la sua pazienza : la qual non potrebbe ricevere senza avere la sua natura , la tenerezza e l'amore. Ma e questo non basterebbe; da che con tutto 1' amor di madre , elle non si sono mai messe a portare tanta fatica: e tuttavia n'avrebbe sempre questo svantaggio ; prima , cbe V organo della vista , non essendo quello che Dio ha ordinato , ed è il proprio da intendere e conoscer le cose per via del linguaggio; dovrebbe riuscire più tardo l'ammaestra- mento e difficile, l' altra : cliei fanciulli cominciano im- parar le cose udendole dalla madre , direi appena nati ; cioè quando in loro tutto è molle e tenero ad ogni impressione de' suoni ; dove i sordi vanno a questa scuola più tardi, cioè quando gli organi corporei sono più duri e rìgidi , e però meno obbedienti e arrende- voli all' urto degli oggetti esteriori ; per cui mezzo debbon esser ammaestrati. Questa sarebbe dunque fa- tica di anni e di anni, fatica piena di noie e fastidj infiniti ; alle quali volersi prendere chi troveremo degli uomini di tempra sì tollerante ? Ma gli venga pur fatto , dopo lunghissimo e duro travaglio di ammaestrare il suo allievo a leggere i cenni delle sue mani , e le cifre che a lui scrive sugli occhi , e intenda il valore di quelle scritture ; ciò potrà bea essere nella conoscAza delle cose materiali e comuni , alle quali intendere forse bastano gli occhi e la ragion di lui senza più. Or come faremo nelle cose spirituali ed astratte ? come a cenni fargli comprendere che v' è Dio ? la sua natura perfettissima , la giustizia , la pro- videnza , la misericordia ? come il mistero della Trini- tà ? cioè di tre persone , che non sono tre Dei , ma pure di natura uno solo ? Per qual via fargli conoscere la natura del peccato , e le spezie diverse , e così le diverse jvirtù ? con quali foi-me rappresentargli il mistero dell' incarnazione del figliuolo di Dio , la sua divina 5t persona colle due distinte nature; il merito della sua morte , la soddisfazione renduta al padre pep noi ? la virtù e necessità della grazia j e cento altre altissime verità ? alle quali bene ricevere nella mente , a gran pena serve eziandio l'uso della parola a que' , che per le orecchie' la sentono , e 1' accuratezza delle più pro- prie ed efficaci dimostrazioni ? Da questo poco voi do- vete aver conosciuto ( posto anche che la cosa fosse pos- sibile ) che fatica importabile di assidue e lunghissime meditazioni sì per investigare e trovare i modi e gì' in- gegni più acconci e propri da rappresentare , e quindi 1' opera fastidiosissima di recare in atto , con cenni sen- sibili tali verità, e renderle loro quasi visibili, che non possono essere adombrate in segni e forme esteriori, non avendo esse colla figura de' corpi e delle viste sen- sibili nessuna somiglianza bastevole a rassembrarle. Dite ora il medesimo sottosopra dall' imparar prima i sordi questo visibil linguaggio 3 e poi accozzarlo da sé essi medesimi , o in iscritto rappresentar le loro idee con un formato linguaggio , siccome il nostro , e rimandarci le nozioni messe lor nella mente. Al tutto pare impos- sibile riuscirvi j come fu per tanti secoli giudicato da' più saggi e prudenti uomini della terra. Al tutto ( fui per dire ) bisogna che quest' arte , che è sopra I' uomo , fosse spirata agli uomini da Dio me- desimo , e mandata dal cielo : ed era certo necessaria la carità divina infusa in alcuno dal cuore stesso di Dio , che mettesse in quest' uomo tanta pazienza ed in- stancabilità , da reggere a studj e trovati e divisamenti si sottili e profondi , e da portare fatiche si lunghe ed intollerabili, a fine di far bene a' lor simili e lor pro- curare 1' eterna salute. Or cosi è stato. La religione di Gesù Cristo introdusse quest' arte nel mondo , e formò uomini tanto innamorati di Dio e de' loro simili , che per renderli abili a conoscere Dio e Gesù Cristo , e per la fede salvarsi , ponessero le spalle a quel peso , che nessuno prima di loro avea voluto né potuto o creduto poter portare. Sia gloria a Gesù Cristo ed alla sua Chiesa : questi uomini vi sono stati e ci sono ; « (sia detto ad onor dì solo Dio e di Gesù Cristo ) furono senza più monaci e preti. La Spagna produsse un mo- naco di S. Benedetto Pietro Ponce , che trovò il primo i rudimenti di quest' arte benefica j e fece maravigliare que' del suo tempo , facendosi intendere a' sordi ; e formando ad essi un visibil parlare , cui essi intende- vano j e dalla lor mente rimandavano in veri e reali concetti scrivendoli sulle tavole. Dalla Spagna passò nella Francia ne' due gran preti L' Epée e Sicard j e da questi in Italia nel P. Assarotti della religione di S. Giuseppe Calasanzio , cioè delle Scuole Pie ; il quale io udii ( or fa un mese ) in Genova , e gli parlai , e vidi con questi occhi il frutto beato delle sue fatiche e della sua carità. Chi noi conoscesse e nulla sapesse dell' operato da luij nella prima vista direbbe : questi è uscito testé da pestilenzial malattia , non ancora in lui spenta del tutto , mostrando lui nell' aspetto un uomo consunto e quasi dalla forza d' un velenoso morbo tras- figurato. Ma chi sa , quale sia stata co' sordi la sua vita da forse quaranta o più anni , intende e crede le fatiche durate intorno a que' miseri sì lungamente aver- gli rasciutto ogni sugo e vigore del corpo , e macera- tolo e strutto siffattamente. A me certo , nel primo as- petto di lui , parve vedere una mummia , o uno schele- tro d' uomo con un resticciuolo di vita j o piuttosto ho veduto in lui un vivo eloquentissimo panegirico della carità divina , e della virtù della religione di Gesù Cristo, che mi trasse dagli occhi le lagrime. Sarà continuato. 53 Elogi di Letterati scritti da Ippolito Pi n de- monte , tom. I. II. Verona , Tipografia Libanti editrice 1826, in 8." I I nome del cav. Ippolito Pindemonte , che leggesi sotto il titolo di questi due volumi , è pel pubblico una solenne garanzia , che il valore de' lodati risplende per tanta luce d' ingegno e per così rara bontà di cuore , che da' loro studj e dalle loro virtù traggono lustro e vantaggio la repubblica insieme e la religione. Certa cosa è , che l' istituzione di celebrare con lodi la memoria de- gli illustri estinti , decaduta , come avvien d' ogni opera umana , dalla propria santità e grandezza , vedesi qui ritornata a' suoi primi onori. Era lungo tempo , che gì' Italiani , al leggere in fronte a un libro Elogio o Elogi , deponevanlo immantinente persuasissimi di tro- varvi o levata a cielo con turpe piacenteria 1' empietà , o sagrificata a bassi riguardi la verità , o abusata da scriltoruzzi venderecci la dignità dell' eloquenza. Era lungo tempo , che i buoni con tutto 1' ardore brama- vano che sorgesse un qualche magnammo , il quale lo- , gliesse a tanto vituperio l'Italia , e sentir facesse la santa voce del vero. Il Cav, Pindemonte , che mai non vi- desi innanzi un' onorata carriera , che correre non la volesse almeno una volta , si studiò colla pubblicazione di questi Elogi di soddisfare alle vive brame degli animi Onesti , e vi riusci a parer nostro con tanta felicità, che potè renderli non che contenti , ma paghi. E ben fa conveniente che un Pindemonte , cavaliere , come ognuu sa , chiaro per nobiltà di sangue , celebre per fama di lettere , insigne per corredo d'ogni maniera di virtù, met- tesse mano a ristorare questa parte della nostra elo- quenza , onde coli' altezza del grado e coli' autorità del credito mostrare la vera via di scrivere elogi. Due cose principalmente voglionsi avere in vista da chi prende a scrivere elogi} la scelta cioè degli argomenti, .\ 54 e il' modo di trattarli convenevolmente. E per conto della scelta de' soggetti , ben si vede che 1' esimio Au- tore gli elesse tutti conformi al carattere suo , e chi vorrà fargliene accusa ? pacifico e virtuoso. Il tradut- tore dell' Odissea , il dettatore delle Poesie Campestri non potea volendo , né dovea potendo rivolgersi ad altri soggetti che a tali , con cui avesse comuni , assai più che gli studi, le soavi tempre del cuore. S'arroge, che , poiché quasi tutti i lodati qui da lui sono suoi concittadini , fu animato a quest' impresa dal più santo affetto , che accenda 1' uman cuore j dall' amor della patria. Scipione Maffei , qual nome ? vi apparisce per primo , e v'apparisce quel poliistore , che fu veramente, poeta, storico, antiquario, filosofo naturale e morale , po- litico e teologo. Certo la lettura di quest' Elogio , che co- me ha il primo posto nell'ordine , cosi ha più importanza nella materia e più estensione nella lunghezza , richiama il rossore sul volto a chi sente in se la forza di fare alcuna cosa , e rìmansene , per qual che ne sia la ra- gion , neghittoso , tanta è la varietà delle discipline , a cui applicossi , e tanta la moltitudine delle opere , che die in luce il solo Maffei. All' Elogio tien dietro , come per appendice , la Difesa della Merope contro le sofistiche insolenze di Voltaire j giusta , viva e brillante. Veramente non sappiamo , se a questi giorni , in cui tiensi nel dovuto onore il Maffei e la sua tragedia , sia necessaria una tale difesa ; tuttavia tornerà , crediamo , in acconcio per quegli inesperti giovanetti , che presi dal gran nome di Voltaire , e vinti da quella sua im- perturbabile franche:.za di asserire ciò che è, e ciò che non è , facilmente vengon tratti in inganno. Minor di mole , ma leggiadro nella sua piccolezza , succede l' Elogio di Leonardo Targa , medico eccellente , e sa- gacissimo medaglista. L' Arte medica da tutti i sani , come impostura , biasimata , ma da tutti gì' infermi chia- mata bramosamente in ajuto , vien qui mostra nel suo proprio aspetto ; di vera consolatrice della languente umanità. L' unione poi che il Targa sapea fare dell' Arte medica con quella parte dell' antiquaria , che ri- 55 guarda a'metalli coniati , serve a convincere quegli animi freddi , che vorrebbero i dotti in qualche facoltà di- giuni d' ogni altra cognizione , che vada fuori della loro sfera , riputando tolto alla propria quel che all' altrui arte o scienza vien conceduto : principio erroneo , e nato sol dall' ignorare che le Arti e Scienze tutte quante mai sono , con un certo vincolo di parentela vanno fra loro congiunte. Primo nel secondo volume viene il Marchese Giambattista Spolverini , autore del Poema sulla Colti- vazione del Riso. Il primato conceduto in questo tomo allo Spolverini , come nell' altro al Maffei , ben appa- lesa la preferenza che 1' egregio Scrittore dà , e merita- mente , su tutti gli altri a questi due suoi concittadini j e certo questi due elogi , se dassi nell' ottimo più o men perfezione , ci sembrano i più perfetti. Giuseppe Torelli vien dimostrato per un uomo di profondo giu- dizio , versatissimo in ogni maniera di belle arti e scienze , 1' oracolo , diremo così , per tutto il tempo che visse , di Verona non meno che di tutta la Venezia. Tanto lo Spolverini , quanto il Torelli hanno un secon- do Elogletto , il quale Hon è che un compendio del primo. U esimio Autore s' indusse per avventura a que- sto doppio travaglio per servire col primo al proprio cuore e col secondo all' Edizione delle Opere sì dell' uno che dell' altro, divenendo così l'abbrevlatore di se mede- simo , e mostrando che sa delineare i sembianti al natu- rale del pari che in miniatura. Seguono Lodovico Salvi , quel solenne amatore di Dante , che ne sapea a mente tutte e tre le cantiche , e nemico insieme mortale dell'uso della Mitologia nel poetare italiano ; Antonio Tlrabosco , benemerito compositore di un Poema sull' Uccellagione; Filippo Rosa Morando , giovinetto di pochi anni , ma di moltissimo sapere ; Girolamo Pompei , traduttore ve- ramente classico delle Vite di Plutarco e creatore delle Canzoni Pastoi'ali ; Gasparo Gozzi, sì favorito dalle Grazie e si bersagliato dalla fortuna j e finalmente Giam- battista da San Martino , Cappuccino assai celebre , in- ventore e perfezionatore di macchine utili alla fisica non meno che all' agricoltura. Questi nomi , cari tutù 56 a quegli animi gentili , che pregiano la virtù , ben chia- riscono la persuasione , in cui è il sig. Cavaliere , ed esser dovrebbe ogni elogista j non doversi scrivere 1' e- logio che di colui , nelle opere del quale possano gli altri guardare per rendere se stessi migliori. Ma se giudiziosa e dettata dall' amor patrio è la scelta de' soggetti , non men gentile e ingegnosa è 1' arte , con cui sono trattati. A taluno per avventura parer potrebbe troppo semplice la tessitura di questi Elogi : conciossia- chè, se ne togli un principio e un fine, che tengon luogo d' esordio e di perorazione , non si corre mai per altro che per la vita e per l' analisi delle opere dell' uom celebrato. Ma devesi por mente , che due sono le strade comunemente tenute da chi detta Elogi 3 questa sem- plice e piana j calcata gik con tanto suo onore in Fran- pia da Fontenelle e da D' Alambert , non in uno né in dieci , ma in moltissimi elogi j 1' altra più dilettosa invero , ma più pericolosa , d' alzarsi cioè a quando a quando alla grandiloquenza, e commovere, secondo che r argomento ne offre 1' occasione , 1' animo de' leggitori. A questa tennesi Thomas 5 ma la mala pruova , che giusta il parere de' più assennati ( e degli assennali deesi te- ner conto ) egli ne fece , distolse gli scrittori prudenti dall' insistere su quelle orme. Il Cavaliere Pindemonte credette opportuno di tenersi al primo e facil sentiero , a cui l' invitava e la naturale dolcezza del suo cuore e l'indole tranquilla de' suoi soggetti. Del che noi noi sapremmo lodare abbastanza. La luce , è vero , di que- sti Elogi non appar folgorante j ma è però si splendida, che ti fa vedere le persone celebrate nel miglior loro aspetto : il calore che esce da alcuni tratti più degli altri eloquenti , non è certo ardente j ma è però sì vivo elle ti fa amare e odiare , sperare e temere , secondo che il tema lo chiede ; il diletto che si prova in que- sta lettura non è veramente si acuto che ti lusinghi la fantasia e t' innebbrii 1' animo ,• ma è però sì dolce , gustoso e costante , che non ti permette mai di deporre il libro senza rincrescimento , e ti affeziona ognor più a coloro, di cui leggi le lodi. Le quali tanto più rie- scono care , quanto più acquistano pregio dall' unione delle virtù civili colle religiose. Gode veramente 1' ani- mo al vedere praticata anche ne' suoi esercizj più co- muni la religione da uomini , che hanno eccitala già la nostra maraviglia per 1' altezza del loro intelletto. K tanto più va crescendo questo diletto , poiché non vi sono né taciuti né giustificati i difetti de' lodati ( che anche gli uomini degni di lode hanno difetti ) : il che dà qualche sollievo all' amor proprio de' leggitori , che di nulla più si compiace , che delle debolezze de' grandi. Un' altra sorgente di piacere nasce dalle digressioni che opportunamente qui sono sparse , qual è per modo d' esempio quella nell' Elogio del Rosa Morando sulla natura della Poesia e principalmente se ad essa sia o no il verso necessario , e quell' altra nell' Elogio del Tirabosco , se al poeta convenga il favellare con esat- tezza scientifica là dove i sensi dicono il contrario della realtà delle cose ; e le due nell' Elogio di Salvi , se la Mitologia sia congruente alla poesia italiana , e se deb- basi serbar l'uso tra noi di scrivere in latino. Leggia- dri ancora sono i confronti di Spolverini con Alaman- ni , di MafTei con Muratori. Bizzarra poi sembrerà ad alcuni la forma dell' Elogio del Pompei , in dialogo. Dal che ben si comprende che il Ch. Autore non al- tro vuol significare col nome di Elogio che la vita, comunque sia la foggia d' esporla , d' un uomo degno di lode. Che direm dello stile ? Esso é colto senza am- manieramento , nobile senza gonfiore , variato senza ri- cercatezza : del quale potremmo arrecare diversi saggi , se già troppo lungo parer non potesse questo articolo. Alle prose degli Elogi s' aggiungono alcuni versi sì italiani che latini , sì di subbietto grave che piacevole per rendere d' ugual mole il secondo al primo volume. Chi non benedice questo difetto del libro compensato con tanta usura ? Grazie dunque sianne rendute all' e- simio autore per avere proposti si eccellenti modelli alla gioventù , imitabili tutti sì nella cultura delle buone lettere e si nella pratica della religione. Non Verona soltanto gli deve essere obbligata d' aver celebralo e 58 si caramente molti suoi citladiai , ma l' Italia tutta an- cora, la quale godrà il copiosissimo frutto di queste sue letterarie fatiche. Di Litocloro Euaiiti. i 59 Saggio intorno ai Sinonimi della lingua, italia- na , di Giuseppe Grassi : decima edizione. Mi- lano , Silvestri 1 827 , in 1 1." „M. -entre la gran quistione della lingua nostra stava « ancora nei termini di una filosofica e riposata dispu- « tazione , io dava mano a quel lavoro ( cioè alla Pro- « posla del Monti )... Il sentimento che mi animava « era scevro da ogni spirito di parte j né i miei pen- « sieri miravano ad altx'o che a promuovere la tanto ce aspettata impresa senza ferire in nulla quella autorità , « che per virtù di cielo , non che per consenso di tutti « i popoli italiani , si appartiene alla gente fiorentina... « e non me ne ritrassi , se non quando si venne dal ce disputare al contendere , e dalle contese alle contu- «c melie. " Così parla il eh. Autore ad un amico suo , Accademico della Crusca ', e queste parole bene ed ac- conciamente ne rappresentano quella gravità di giudi- zio , e quel lodevole temperamento di affetti , senza cui le controversie gramaticali si trasformano in feroci bat- taglie. Ma nel tempo stesso che noi tributiamo le de- bite lodi air itigegno ed alla modestia del sig. Grassi, vogliamo pregarlo eziandio , perchè ne conceda di chiamare ad esame alcune sue dottrine filologirhe , le quali essendo di gran momento per se stesse , e per l' autorità che ricevono dall' Accademico Torinese , potrebbero lasciare nella mente della gioventù studiosa alcune impressioni , che forse la trarrebbero fuori di quei severi principi gramaticali , che sono dì grave im- portanza a chi li considera con quella filosofia , che rettamente dicea Quintiliano trovarsi mai sempre nella scienza della gramatica. E nel ragionare di questo «Sa^- gio , terremo tal ordine ; che scriverem dapprima fe- delmente le parole dell' Autore i e ad esse aggiugne- remo le nostre osservazioni. I. « Lusingarsi , confidarsi : col primo va congiunta 6o <« r idea della fallacia ; col secondo quella della buona « fede... distinzione posta ornai in dimenticanza dal ce cattivo uso de' moderni ( pag. 207 ). » Bellissimo è quest' articolo del sig. Grassi , e pieno di filologia. E non so come la Bibl. Ital. abbia voluto difendere contro al Cesari la confusione del lusingarsi e confidarsi (i). Farmi cbe 1' autorità di tutti i buoni scrittori italiani , rafforzata a' dì nostri da quella del Grassi e del Cesari , dovrebbe avere qualche peso sui Compilatori di quel Giornale. IL « Gota viene dal provenzale gauta , onde anche « nella lingua nostra si scrisse prima gauta ( Crusc. et Veron. ad voc. ) , poi gota (pag. 216). » Vocabolo non pure antico , ma antiquato e vieto , è gauta i ma giova a' gramatici, onde trovare l'origine di gota. Non si hanno dunque a riprendere i Vocabo- laristi , se nel gran Vocabolario ammettono voci che non vivono più nell'uso del popolo e degli scrittori. Bene sta che si adirino di tal merce coloro che altro non leggono se non se il Goldoni e il Metastàsio ; ma non saprei concedere che ne mostrassero sdegno i veri letterati. III. ce Neil' aureo Trecento le scienze tutte giacevano ce ancora sepolte sotto le grandi rovine della civiltà « italiana ( pag. 297 ). » La civiltà non viene dalle scienze, si dalle lettere. E nota la celebre sentenza del d'Alembert. Il trecento non poteva esser privo di civiltà, se intendeva e can- tava i versi di Dante e del Petrarca j se aveva padri di famiglia che sapessero scrivere del governo dome- stico, come un Pandolfinij e Religiosi che compones- sero libri spirituali, come un Passavanti ed un Cavalca. Né direi , che fosse un barbaro quel Giotto , eh' è glorioso tuttavia dopo l'Urbinate; nèuu barbaro avrebbe scritto cronache sul gusto di Giovanni Villani. Una Verginella sanese in quel secolo rozzo scrivea meglio delle nostre letteratesse. (i) Ved. il nostro Giorn. 1827 , face 6t IV. et Fin dal Sec. XIV. cercò questo vocabolo ( sor- « tire ) d' introdursi nella nostra favella , e trovò gra- «« zia appresso F. Guittone , che benignamente lo ac- ce colse e lo adoperò (pag. Sai). »> Fra Guittone non appartiene al sec. XIV ; si al XIII. e fu Cavaliere dell' Ordine di S. Maria , ossia de* Godenti j così appellati perchè potevano menar moglie , e stavansi nelle lorcase : perciò avvenne che il popolo , paragonando la vita loro a quella degli spedalieri e templari , sempre in armi , o in umil veste monastica , e stretti dal voto di castità , li denominò Gaudenti , quasi goditori di vita riposata e dell'onore della ca- valleria. Il titolo di fra o frate (^frater ) era pecu- liare a tutti gli ordini cavallereschi j e adoprasi tutta- via dai cavalieri di S. Giovanni. Queste , che parraa minutezze , sono però sommamente necessarie nelle presenti contese gramatìcali. Perciochè , avendo creduto alcuni moderni , che fra Guittone fosse \xa frate , o religioso mendicante, non ne parlano mai che con beffe e pun- ture ; quantunque la civiltà italiana dovesse mostrarsi grata ad un uomo che già verso il i25o scriveva iu prosa italica; come i pittori si chiamano tenuti a Gimabue , che pur nel sec. ?vi!.I. die qualche principio ad una miglior manie la di dipingere. L' aver poi il sìg. Grassi posto il fiorire di Guittone nel sec. XIV. è un errore tolto dal Perticari, come or ora vedremo j errore gran- dissimo , perchè confonde , anzi rovescia , la storia della lingua e letteratura italiana. V. « Intendo per Trecento quel secolo rozzo , del « quale il conte Perticari ha tessuta la storia ( pag. 5 ). » Il secolo rozzo , di cui parla il Perticari , è il sec. del dugento } quantunque a lui piacesse chiamarlo il tre- cento. Infatti, Guittone, Jacopone , la Nina , Dante da Majano , il Guinicelli , Eiuueito ecc. composero e can- taron nel dugento; e se così ron fosse , come ne avreb- be potuto giudicar Dante, citato a tal uopo dal Pesa- rese j il qual Dante scrivea negli ultimi anni del sec. XIII. e ne' primi del XIV ? laonde egli è manifesto che il cap. ó. degli Scrittori del Trecento , iu luogo 6a .di ricevere quel titolo — della opinione dì Dante in- torno gli Scrittori del 3oo — dovrebbe assumer quesl' al- tro — intorno alli scrittori del 200 — Chi non riderebbe , s' io citassi Cicerone a giudice degli Autori dell'età di Au- gusto ? E non pertanto ( cosi è negletto lo studio della storia) molli odonsi ognidì favellare del trecento, e ripetere le parole del Perticari , amplificanc^ole ridevolmente , ed affermare che il secolo XIV. fu rozzo , e privo di civiltà. Ma sarebbe da chiedere a costoro, s'eglino sian "veramente pei'suasi che Dante , Petrarca , Boccac- cio , Passavanti , Pandolfini, Bartolommeo da S. Con- cordio , ec. ed altrettali scrittori debbano esser confi- nati nell'ignobile mandra àe" freddi e vuoti dicito- ri , e nella pessima risma di scipiti versificatori , che* dalla plebe nati la sola plebe pascevano. Se il Pe- sarese scrivendo colali contumelie , non ricordava né Dante né il Petrarca , io debbo dolermi , che la me- moria gli venisse meno al maggior bisogno: se rammenta- va que' sommi , e pur si ostinò a non mutare il titolo del 3. capitolo , dirò che 1' argomento dell' opera , e Io studio dì parte , il vinsero per sì fatto modo , che tutti gli ammiratori di lui , tra' quali pure ha luogo chi scrive , debbono sentirne dolore. VI. « I punti principali , ne' quali 1' Accademia di « Madrid differisce da quella della Crusca , sono tre. ce II primo è quello del diritto dì cittadinanza confe- €c rito a TUTTE le parole spagnuole ( pag. 4^ )• " Quel tutte è un errore di traduzione , od uno scor- rimento di penna j attesoché il testo spagnuolo trascritto dal signor Grassi appiè di pagina , non ha tutte , ma parecchie : — Se ponen varias -voces peculiares y pro- prìas. — Ecco : il Perticari confonde il 200 , col 3oo : il dotto Grassi non si avvede qual differenza si trovi tra tutte e parecchie. Cosi le disputazioni si trasfor- mano in paralogismi j e dalle controversie si viene alle contumelie. VII. « Quell'accademia (di Madrid) non aveva « 1' orgoglio provinciale dì ridurre alla sola Castiglia «t il pregio del bel dire (pag* 4* )• " - 63 Dire In questo luogo non è usato propriamente ; potendosi chiedere al Grassi se intende del dire sem- plicemente , affine di palesare altrui i proprj sentimenti, ossia parlare ,• o se del comporre con eloquenza , eh' è 1' eloqui de' latini. Nel primo caso , non si possono accusare ò! orgoglio provinciale i Fiorentini , se credono di parlare meglio , cioè più gentilmente , e armonica- mente , de' Torinesi , Bolognesi , Bresciani , Romagnuo- li i avendo già riconosciuto il sig. Grassi medesimo , che il pregio del bel dire è conceduto a' Fiorentini per virtù di cielo , non die per consenso di tutti i po- poli italiani ( dedicai. ) ,* ed aA'endo in altro luogo di questa operetta (pag. 3o5 ) definito esser la Toscana « quella contrada, ove il popolo non potrebbe , volendo, errare nella proprietà de' vocaboli. » Se poi il bel dire significasse 1' arte bene dicendi , ossia 1' eloquenza , la trafittura sarebbe lanciata nell' aria ; perciochè niun vo- cabolarista assume il carico d' insegnare nel dizionario la rettorica ; né i Toscani pretesero mai, che niuno , fuor dell' Etruria , potesse aver pregio di valente ora- tore; che anzi al Segneri nato nelle campagne romane dieder luogo nel Vocabolario j onore negato al Card. Casini , oratore toscano. Vili, ce Ammise ( l' Accad. di Madrid ) nel corpo « della favella le voci particolari delle altre province , « o regni della Spagna , onde formare una lingua no- «« bile , e comune nel tempo stesso a tutti gli abitanti « di quella vastissima terra ( pag. 4^ e 4^ )• " Non è detto secondo verità , che 1' Accad. di Madrid ammise le voci particolari delle altre province : do- veasi dire ammise parecchie voci delle altre province. Altro è dire , per cagion d.' esempio , Dante ammise alcune voci lombarde nella sua commedia, ed altro, ammisevi le voci lombarde. Onde formare una lingua nobile. E da dire che, il Sig. Grassi non abbia mai udito parlare gli uomini di Catalogna e di Valenza; che se ciò fosse, non avrebbe mai scritto che le voci di quelle province potessero dar nobiltà all' idioma casti gliano. 64 Ammise le voci particolari, E dove le ammise ? Nel vocabolario casligliano, mi risponderà il eh. Autore. Dun- que, noi con chiuderemo , il dizionario dell' Accademia di Madrid , è il dizionario della lingua castigliana , ag- giuntevi alcune parole usate fuor di Castiglia. I veri motivi , onde gli Accademici di Madrid ven- nero mossi a dare la cittadinanza castigliana ad alcune voci , sono i due seguenti : I. la necessità d' intendere le leggi ed i bandi scritti nelle Segreterie di Aragona in idioma aragonese : lo attestano gli Accademici , di- chiarando che dal dialetto d' Aragona niun vocabolo tolsero , che non si leggesse ne* bandi , nelle leggi , nelle ordinanze di quel regno: « en las (^voces ) de ce Aragon se omiten las que no estan autorizadas con « los fueros , leyes y ordenanzas de aquel reino. 3> II. Perchè Granata, Siviglia , Cadice, sì pel dominio de' mori , sì pel commercio , aveano certi vocaboli , non uditi in Castiglia , ma pur divenuti necessari alle con- trattazioni marittime , ed alla intelligenza degli statuti e ordinamenti di quelle contrade. Così Livorno ha molti vocaboli non usati a Firenze , ma pur necessari al commercio. Onde formare una lingua comune a tutti. Un vo- cabolario non farà mai comune una lingua a tutti gli abitanti di una vasta contrada , ov' ella sia stata per molti secoli divisa in varj domin). Il dialetto di Siena non si è perduto ad onta del Vocabolario della Crusca ; e i Romani continuano a dire scivolare in senso di sdrucciolare , mozzatore , fìttolo ec. Che avvenga ne' paesi di dialetto lombardo , lo sa il sig. Grassi meglio di noi. IX. « Il chiamare questo principio ( dell' Acc. di « Madrid ) a confronto con quello seguito dalla Crusca , ce sarebbe inutil opera ( pag. 4^ ) . » Se il fine propostosi dall'Accademia della Crusca era differente da quello adottato dall' Accademia spa- gnuola , non si possono chiamare a confronto. Gli accademici vollero darci il vocabolario della lingua toscana , non dell' italiana ; laonde se gli Accademici 65 di Madrid vollero , come accenna il Sig. Grassi , dare il vocabolario della lingua spagnuola, non della casti" gitana , doveano seguire im principio assai diversò da quello stabilito dalla Crusca. Ma io dubito , non siavi un picciolo errore nelle parole del nostro filolo- go , attesoché leggo nel frontespizio di que' buoni Ga- stigliani ; Diccionario de la lengiia Castellana , non de la lengua Espanola. E però mi conduco a cre- dere che sì gli Spagnuoli , come i Fiorentini abbiano raccolto in uno le voci del più nobile dialetto } ac- crescendolo di parecchi vocaboli, tolti da illustri scrit- tori, o dall'uso del popolo. X. ce Dal di che il Macchiavelli ritornò in onore lo ce studio della lingua italiana fino al tempo in cui gli ce Accademici della Crusca incominciarono a dar mano «e all' opera loro , un grandissimo numero di quelle ce parole del trecento erano già morte (pag. 34 )• » Il magnifico Lorenzo de' Medici e i letterati della sua corte, ritornarono in onore, prima del Macchiavel- li, lo studio della lingua italiana. Dal dì. . . .fino al tempo ec. Tutta questa circonlo- cuzione oratoria, ci vuol dire " dal i5oo al 1600. « Or se in quel secolo un grandissimo numero di quelle parole del trecento erano già morte > come potevano gì' Italiani intendere il Petrarca e il Boccac- cio ! e il volgo leggere con tanto di diletto la storia de' SS. Barlaam e Giosafatte , e il fior di virtii ! Ma forse il sig. Grassi intende^ accennare al trecento del Perticari , cioè al dugento del Tiraboschi, e della Cro- nologia. Certo è che mettendo insieme sette od otto de' migliori libri di quel secolo, Dante , Petrarca , Boc- caccio , Passavanti, Bartol. da SS. Concordio , i Fioretti diS. Francesco , le vite de' SS. Padri , e Giovanni Vil- lani , non si avranno trecento "voci che si possano dir morte nel sec. xix. E che sono 3oo vocaboli in 5o mila e pili ? XI. « Le parole disusate possono talvolta dagli scrlt- •• tori di storie e di romanzi essere felicemente impie-, ^ gate ( pag. 87 ). »» 5 6S Bene e saviamente fecer dunque gli Accademici di Firenze e di Madrid a farne tesoro ne' vocabolari ; e male adopera chi ne grida loro la croce addosso. Multa renascentur, quce jain cecidere j lo disse tal uomo , cui forse niuno dark que* gentili titoli di burattino, di botolo , di pedante fastidioso , che nella moderna ci- viltà italiana si concedono agli Accademici della Crusca. XII. « Il nostro volgare nato in tempi rozzi , indi- «« sciplinati e guerrieri vestì 1' indole del suo secolo «t ( pag; xxii ). » E lo Spagnuolo e il Provenzale, e il Greco moderno nacquer forse nelle corti di Carlo V. , di Carlo I. di Angiò , e neir età di Pericle ? Intenderei volentieri dal eh. Grassi qual idioma nascesse in tempi culti, di- sciplinati e pacifici. Non credo, che i Latini fossero pieni di molle civiltà a' tempi di Amulio e di Romolo; uè i Greci , che mandavano le figliuole de' loro Mo- narchi a lavare i panni , e ad attigner acqua , dove- vano assomigliarsi a' moderni abitatori di Parigi. XIII. te Quindi il discorso si resse coli' ordine na- cc turale delle idee , ed il loro costrutto fu , come do- •c vea essere , semplice ed analitico ( pag. xxii ). m Non intendo il concetto del signor Grassi : il no^ Siro volgare nacque in tempi rozzi', quindi il costrutto fu analitico. L' analisi , essendo vma scomposizione , suc- cede alla Sintesi ; sembrami dunque , che il nostro volgare dovesse vestir dapprima l' indole Sintetica. Sallustio disse : urhem Romani condidere Trojani : i gramatici, per quell'analisi, che volgarmente chiamano costruzione , insegnaroiH» a leggere : Trojani condi' dere urbem Roraam. Ma i filosofi tutti gridano che 1' ordine naturale delle idee si è quello di Sallustio , perchè dagli oggetti (^sostantivi ) vengono in noi (pro- nomi ) , e jpegli altri ( nomi ) le sensazioni ( verbi ), Senza l' idea di Roma , chi penserebbe a coloro che la fondarono ? Parmi che alcuna cosa ne dica il Blair nelle sue lezioni, e di quest' illustre inglese non dirà il nostro Autore , che sì lasciasse avvolgere nelle con- troversie de' parolai. ^7 XIV. « n Boccaccio , più tardi il Bembo , il Casa , « ed il Guicciardini cogli ondanti periodi, e collo stra- re scico della romana magniloquenza , tentarono di dare « alla giovane lingua andamento contrario alla sua ori- ce gine , e d' impacciare con perpetua ed ambiziosa cir- ce conlocuzione que' leggiadri e briosi suoi moti ( pag. te XXIII ). 3J Può essere, die i quattro citati scrittori abbiano tentato di dare alla nostra lingua lo strascico della. romana ma- gniloquenza; ma la stessa colpa dovrà dare il sig. Grassi a Cicerone j perciocché la magniloquenza non è propria delle lingue , essendo un' arte de' Retori ; e i romani an- tichi parlavano e scrivevano assai schiettamente , come si vede in Catone; e gli annali de' Pontefici erano cosi austeri, e stringati, che parvero poveri e digiuni a M. Tullio. Tutte le lingue sono non che somiglianti , ma eguali ne' caratteri intrinseci : povere da principio , e semplici, ricevono ricchezza e grandezza dagli artifìcj de- gli scrittori. Ne parla da vero filosofo il P. Lagomarsino nell' orazione prò lingua latina j e certi libri moderni che hanno pregio presso molti.di trattare filosoficamente le quistioni della gramatica , caderebbono di molto , se quella orazione fosse più conosciuta. Che se l'anda- mento originale della nostra favella era tutto di moti leggiadri e briosi, noi dobbiam saper grado a coloro che si preser cura d' impacciarli ; affinchè la lingua po- tesse , lasciate le maniere di fanciulla , comporsi alla gra- vità e al decoro matronale dell' eloquenza , della trage- dia , della storia , e dell'epopea. XV. «t Tolga Dio il sospetto , che le mie parole vo- « gliano offendere in nulla quei dottissimi uomini da «e Verona , che con grande erudizione di lingua , con « molto sapere, e con diligenza infinita diedero opera •• all' accrescimento del nostro vocabolario.... Lo sco- te noscere i vantaggi derivati all' Italia dai loro sudori « sarebbe un atto cosi villano , ed ingrato , da far •e grave torto a chi ne avesse solamente il pensiero ec ( XXX. e XXYI ). 3» Il signor Grassi , come buon filologo , riconosce ed 68 encomia le degne fatiche di qtìegli uomini da Verona? adunque coloro die non solo le sconoscono , ma le mettono in canzone , e consigliano la gioventù a leg- gere continuamente , quasi modelli del buon gusto , que' libri, che trafiggono i Veronesi, fanno atto dìZ- lano ed ingrato , e dichiai'ano col fatto di non pene- trar dentro la ragione delle liiìgue e dell' eloquenza. XVI. ce Ma parmi ornai tempo di venire al confronto « pratico di questi vocabolari . ce Johnson — Entusiasmo n. sost. év3ovi7ia'7fiòt; : vana « credenza di una privata rivelazione j vana fiducia nel « divino favore , e nel commercio col cielo. Esempio : «e l' entusiasmo non è fondato sulla ragione né sulla «t divina rivelazione, ma nel concetto che ha di se un « cervello riscaldato e prosontuoso. Locke. — « Crusca. — Entusiasmo j sollevamento di mente , « furor poetico j lat. enthusiasmus. — « Ecco tutta la definizione accompagnata da un vo- ce cabolo che non è latino , ma barbaro ( pag. 47 ) • '* Se Locke , ed Johnson intendevano parlare di quei novatori inglesi , che si credevano nel bollore di lor fantasia d' avere una interna divina missione ad inter- pretare le divine Scritture , e a riformar la Chiesa, ot- timamente fecero a scrivere dell' entusiasmo colle pa- role addotte dal nostro Autore. Ma chi volesse esten- dere qnelle dichiarazioni a tutti i tempi , ed a tutti gli uomini , si allontanerebbe di molto dalla verità. 3Von è per una vana fiducia nel divino favore , che l'Apostolo Pietro comandò a quello storpio di rizzarsi e camminare j né i Pi-ofeti scrissero per vana credenza di una privata rivelazione. Per queste ragioni vedesi chiaramerte , che 1' articolo del Johnson non solamente non é d' anteporsi a quello della Crusca , ma é som- mamente bisognoso di emendazione. E perciocché il sig. Grassi fa molto conto, nelle cose gramaticali, degli Autori francesi , leggasi 1' articolo entusiasmo del lessico greco-francese del signor de Mourcin ( Paris 1817 ): « 'EvSoufftaupò? , inspiration divine , enthousiasrae. Rad. ce £v5oj!rt3tto, étre inspiré par les Dieux : étre saisi d' une •« fureur divine ; étre hors de soi. Rad. tv et B&o; » Qui non trovo la voce vano, con tanto di affettazione inculcata nell'articolo di Johnson. Alcune altre osservazioni , troppo più importanti alla ragion della lingua, che queste non sono , era nostro intendimento di aggiuguere ^ ma per ora vogliamo ri- starci, serbandole ad altro fascicolo. Intanto preghiamo il chiarissimo Grassi a tenere per fermo , che schietto amore di verità , e di studj ci ha sostenuto la penna; non vaghezza di tenzone, o desiderio di farci nome con censurare un illustre scrittore. E già quanto ab- biam detto , e quello che di corto diremo , ci debbono acquistar fede presso le gentili persone., che noi ono- riamo l' ingegno del filologo torinese. E per certo non avremmo speso parola nell' esame di un libro che « venisse da mano volgare, o poco esercitata negli studj della buona letteratura. 70 La Colomhiade , poema eroico di Bernardo Bellini, Cremona , Deraicheli e Bellini , i8a6; voi. 4* i"' ^' ( ^^^ ritratto del Colombo , poco felicemente ricopiato dal Codice Colombo- Ame- jncanó). X maestri più severi dell' arte poellra non vogliono riconoscere per epici poemi , che l' Iliade e l' Eneide. Del qual giudizio si richiamano gì' italiani , allegando il Furioso dell' Ariosto , e il Goffredo del Tasso j ed i Portoghesi levando in alto i Lusiadi del Camoens. Non so se gli Spagnuoli pretendano allo stesso onore per 1' Araucana , e i Francesi per 1' Enricheide ; ma tengo per certo che gl'Inglesi non vorranno lasciare in di- sparte il Paradiso perduto. Benché , ove pur ne piac- cia , e sei portino in pace gli Aristarchi più rigidi , l'icevere tutti questi poemi nell' ordine nobilissimo de- gli Epici, qual conseguenza ne potremmo noi dedurre ? Questa , senza più : tanta essere la difficoltà di tessere e colorire un eroico poema, che tutta l' Europa , e 1' Asia non barbara , dalla guerra di Troja all' età nostra , appena ci diedero otto poemi degni di onorata ricor- danza. E però grande ingegno , ed alta fiducia nelle sue forze aver debbe qualunque vuol recarsi al labbro l'epica tromba. Che se l'esempio di Omero , di Vir- gilio, di Messer Lodovico possono confortarlo all'ec- celsa impresa j come non dovrà egli paventare, veden- do un numeroso stuolo di poeti , che vollero far prova di lor Veliere in sì malagevole aringo , starsi inonorati in angolo riposto , o essere fatti degni solamente di empier pochi versi nella storia della Letteratura ? E certo, chi oserebbe spregiare un Lucano , un Silio , un Brac- ciolini, un Gebà ? Fervido ingegno, vasta immaginati- va , pensar profondo , scienza deli' arte , dottrina gra- maticale non mancava ad alcuno di essi ; e tuttavia non è chi ammiri il difficil lavoro. Questo , che ab- 71 biam detto valgaci prèsso ì dlscretileggitorì , a dispor- gli ad esser giudici amorevoli di qualunque imprende un.' Epopea j e singolarmente in verso del Prof. Bellini, che celebrando Colombo , ha dimostro caldo amor all' Italia. Ma noi non possiam. celare tuttavia un nostro pen- siero ; ed è , non esser noi persuasi che la scoperta del nuovo mondo sia subbietto d' Epopea. Laonde lodiamo il Tassoni , che fattone un canto , e la prima stanza del secondo , lasciò per sempre l' impresa. Né troviamo che il Gambara , o Mad. Boccage , o 1' anonimo fran- cese , il cui poema è citato nell' Origine e patria del Colombo , e due , o tre altri , che pur quella disco- perta cantarono , qual in inglese idioma , qual in latino , sien venuti in fama di grandi poeti. E di vero: non è la navigazione del Colombo come quella di Ulisse, o di Enea 5 nelle quali 1' ira de' Numi avvolge gli Eroi in molte e gravi disavventure , e gli spinge a strani lidi , ponendogli a tali prove , cui regger non potrebbono , ove lor mancasse grande ardimento , e prudenza singolare. Che di somigliante nel viaggia di Colombo ? Partesi di Palos , tocca ad isole già dome , poi difilato giugne alle terre dell' ignoto emisfero. Voci sediziose di vii ciurmaglia , aliga , pesci non più ve- duti, ecco tutti gli obbietti che potrebbe descrivere il Poeta ', ma ne verrebbe al poema , non che bellezza , e nobiltà , picciolezza e disdoro. Nuoce slmilmente al Poeta 1' aver preso il suo ar- gomento da un fatto avvenuto in tal eia , che abbon- dava di storici ; così che poco o nulla rimane alla in- venzione , tutto essendo registrato negli annali. Ma Vir- gilio si elesse un eroe ed im fatto , che si nasconde- vano ne' secoli remoti ', ed Omero , che fu più vicino a que' tempi dell' assedio di Troja , se ne poteva die lontano , consideralo che non v' erano scrittori d' annali, e che quanto narravasi di Priamo e di Achille e df Ulisse , non era che una tradizione , cui mille poeti- che immagini si potevano aggiungere , solo che serbati fossero i nomi delle città , de' personaggi , e i lor ca- ratteri , che il poeta non può mutare a suo talento , uè 7> debbo giammai. L' Ariosto bene ed acconciamente sì volse a cantare di Orlando e di Carlo Magno ; percioc- ché del paladino molte cose nuove e incredibili vanno per la bocca del popolo , pochissime sono descritte nelle storie j e del magno Imperatore tanto sappiamo , quanto ce ne vollero accennare con tronche parole gli annali de' Franchi j a tal che il Gh, Alessandro Man- zoni non potè , quantunque vi adoperasse diligenza esqui- sita , trarne intero il filo della guerra di Carlo contro de' Longobardi j che fu pure una delle grandi e me- morabili imprese de' Franchi. Torquato avendosi eletto la liberazione di Gerusalemme , minutamente descritta dall' Arcivescovo di Tiro Guglielmo , vide con quell' acutissimo ingegno , che egli avea da natura , che tro- vato sarebbesi ne' ceppi della storia j né stimando che lecito gli fosse di lasciare gli annalisti per mettersi ciecamente negli spazj immensi della immaginazione , ebbe ricorso all' arte magica , onde ottenere per essa quel maraviglioso , che nou vedeva nella storica de- scrizione. E perchè il poeta dee ingenerar maraviglia , il Tasso , che bene intendeva cotal dovere , né sapea come rendere maraviglioso il prudente Goffredo , lasciò trascorrer la mente a tanti incantesimi , e demonj , ed a tante malie , che se ne mancasser la metà , il poema si farebbe altrettanto bello e gentile. Se la scoperta dell' America non è per sua natura soggetto acconcio all' Epopea j e se il trovarsi minuta- mente descritta , inceppa il poeta , non possiamo lodare il Prof. Bellini , che abbia scelto quell' avvenimento per comporne un eroico poema. E vorremmo almeno poterne lodare lo stile, come nel Gambara , che mostran- dosi poeta poco accorto nel suo Colombo , die per al- tro chiaro argomento di essere buon verseggiatore la- tino. Ma il Sig. Bellini non può , e questo diciamo con vivo dolore , procacciarsi quell' encomio che è dovuto al Bresciano. Né vo che alle mie parole s' abbia fede ; sì agli -«sempj. La proposizione della Colombiade s i dilata , come nella Gerusalemme , per una intiera ottava • 73 Canto l'Eroe, che al pelago profondo Volse gli abeti , e il combattuto ingegno , Onde alla vasta region del mondo Mille aperse tesori e nuovo regno: Tristo ei soggiacque d' aspri affanni al pondo , Nel mar deserto , oltre all' erculeo segno , E sparse alfin Ira un popolo feroce Chiaro il balen della purpurea Croce, I critici non troveranno in questa proposizione né la chiarezza , né la brevità , né la semplicità , che ad essa si convengono. Il Tasso col nominare il sepolcro di Cristo , non lasciò dubbio sul vero argomento del poema ; e Virgilio si propose l' Eroe che da Troja venne all' Italia , ed al lido di Lavinia , onde eb- bero remoto principio la nazione latina ed Alba e Ro- tta. Ed Omero non ci disse nel primo tratto di voler cantare l' ira d' Achille ? Ma la proposizione dt 1 Belli- ni , qual nota contiene , onde si debba credere com- posta pel Colombo ? Provisi alcuno a trascriverla , e darla a leggere a chi nulla sapesse della Colombiadey e vedrassi che parrà un enigma. E per verità s' io di- cessi che meglio conviene a Vasco di Gama , che al Colombo , chi oserebbe contraddire ? Vasco volse gli abeti all' oceano, aperse tesori e nuovo regno al mon- do ; navigò oltre l' erculeo segno j e portò la fede a popoli feroci. Anzi , io difendo che non può adattarsi che al Gama. Difattl, parlandosi dello scopritore dell* America , chi può celare , che egli trovò un nuovo mondo ? essendo questa la gloria del gran Navigatore, essendo questa la frase che il popolo non meno che i letterati sogliono adoperare. Ora il Bellini non dice che il suo Eroe discoprisse l' ignoto emisfero ; dunque parla di Gama , che aperse a' Portoghesi i tesori delle Indie , e il nuovo regno di Goa. Quel canto V Eroe è prosa schietta , e ne fu criticato il Tasso. Virgilio traspose il verbo ; arma virumque cano : meglio di tutti 1' Ariosto : Le Donne , i Cavaller , l' arme , gli amori , Le cortesie , le audaci imprese io cauto. . . .4 74 Osservisi ancora , che indizio di gusto non sano , è quella puerile afTettazione di accoppiare ogni sostantivo con uno o più aggiunti. Nella proposizione del Bellini voi avete il pelago profondo , l' ingegno combattuto , la regione vasta , il regno nuovo , gli affanni aspri, il mare deserto , il popolo feroce , il baleno chiaro, la Croce purpurea. Il Tasso , bencliè amico degli or- namenti , lasciò senza aggiunti Capitano , Cristo , sen- no , mano ecc. Alla semplicità non bene si addicono quelle figure , gii abeti , il combattuto ingegno , il baleno della Croce. Con si fatti ornamenti , la pro- posizione si fa oscura j e perdesi la brevità. Né lo stesso aggiunto si dovrebbe ripetere ad ogni istante ; come fa r Aut. della Colombiade che trova irto l' ossame dell' insania ; irti i Lusitani ; irte le chiome , irti i denti d' Alonso. Non avvi stanza , che non contenga verso così fatto , che volendo serbar la quantità , si possa pronunziare da bocca italiana : Che 1' ostil feagli ligure terreno. Più in lui , quanto il desti n più il volge al basso. Dice , e apre un riso , e 1' Eroe l' apre in core. Fé' al pudore altri infandi atti e dispregi. ( Cant. I. si. 7,9, 44 > * 64- ) Molti sono i versi di 1 2 sillabe : per figura : La Triade che ad amor n' alletta e chiama. (1.9'-) La locuzione è tratto tratto alquanto strana , e tal- volta pare che sappia di quella ridevol poesia dram- matica , che disonora i teatri italiani. Chi non crede- rebbe tolto ad un misero facitore di libretti per 1' opera , questo principio della st. 8. del Canto i ? A Fernando e a Isabella , ove consuona ( sili. 12) Solo un voler di bella coppia amante . . . Certo non è questa la maniera di lodare due sovi'ani cosi famosi nella storia. Né 1' elogio che fa il poeta all' Augusto Imperatore Francesco I dovea contenere le parole seguenti : Chiaro il fulgore degli ausplcj tuoi Deli mi rivolgi dal miglior de' troni; •3^ come se la bontà e la clemenza fossero proprie non del Monarca , ma dal trono in cui s' asside, E strano al tutto mi sembra quel dire del Colombo: Memore ognora del fatai rifiuto Che 1' oslil feali ligure terreno ; non potendosi bene intendere come un terreno /"accia rifiuto d' una proposta. E poco propriamente si aggiu- gne , che dopo il rifiuto fattogli dal terreno ligure , il Colombo si accommiata , E s' avvia venerabile e severo Sull'auree piagge del fecondo Ibero. Ottimamente si direbbe , che 1' Eroe , uscito che fu del pubblico palazzo , se ne andò pensoso a passeggiare sulla piaggia di S. Pier d' Arena j ma da Genova al fecondo Ibero è lungo tratto di via. Né gioverebbe al Sig. Bellini farsi scudo dell' autorità di Omero , colà ove narra di Crise , burberamente rimandato dal su- perbo Agamennone ; perciò che nell' Iliade parlasi di picciol tratto di paese j mentre nella Colomblade si ra- giona di contrade divise 1' una dall' altra per grande lunghezza di cammino. E perchè poesia eroica è opera di alta sapienza , veg- giamo due o tre luoghi del canto I , ne' quali apparisca qual fosse la filosofia de' costumi , e cognizione del de- coro, che dirigeva la penna del nostro poeta. Colombo viene ammesso in solenne udienza al cospetto de' Mo- narchi di Spagna. Ed ecco , dà principio alla sua di- ceria ; O magnanimi Spirti, o eccelsa Prole (sili. 12) Di Semidei , del mondo maraviglia , In voi la terra , in voi si fregia il sole , In voi prodezza e amor si riconsiglia j Del mar rifiuta e della terrea mole, A voi rivolgo i passi , ei*go le ciglia , Esule dagli Euotrii infensi Eroi, Tolgo il lauro all' Italia , e '1 reco a Voi, ( I. st. 34 ) . Colombo non poteva adoperare il vocabolo Semidei ; e la voce EnotrU appena sarebbe tollerata iu un pe- 76 dante , per isclagura eletto a parlare ad un MonarcaJ uitnor si riconsiglia in voi, in voi si /"regia il sole , si lascino a' sonetti : mole terrea , stavasi dunque so- speso nell' aria. Esule dagli Eroi enotrii , è soverchio : non tutti gì' Italiani erano Eroi j né si addiceva ad uomo italiano , che cercava procacciarsi il favore degli Spagnuo- li , lodare a cielo nella corte di Castìglia l' italica na- zione. Alla diceria del Navigatore , si fa rispondere il Re Ferdinando con due stanze : trascrivo la seconda : Te Ammiraglio maggior del mare ispano. Io lieto appello , e ti do laude e possa. Scorri per 1' intentato ampio oceano , Ne' gorghi della negra onda commossa , E di rabbia si crucci il Lusitano , Che tanto in te la diva anima or possa. Su , su : gli sì dien navi e ardite genti , E ampli tesori e bellici stromenti. Non eravi allora la dignità di ammiraglio mag' giore della Spagna , ma si quella di yimmiraglio di Casti glia i cosa molto diversa j perchè la Spagna nou si unì veramente in un regno solo , che nell' erede di Ferdinando e d' Isabella. E però nel motto dettato dallo stesso Ferdinando per la tomba dell' Eroe , si leggeva : A Castllla y a Leon Nuevo mondo dio Colon ; non alla Spagna- Veggansi i documenti del Codice Colombo-Americano , e della Collezione del Cav. Na- varrete. Il discopritore dell* America ebbe titolo di Am- miraglio del mare Oceano e delle terre ed isole dell' Indie j dignità che passò ne' discendenti ed eredi. Né il cautissimo Ferdinando in udienza di cerimonia so- lenne avrebbe oltraggiato i Portoghesi , — E di rabbia si crucci il Lusitano — j e ciò per due motivi , oltre il decoro che i Regnanti non sogliono dimenticare in tali occasioni. Primieramente , perchè il Monarca por- toghese era genero de' Sovrani spagnuoli, come si può \edere nel Codice dianzi citato j in secondo luogo , per- chè avevasi somma premura di occultare al Portogallo 77 la spedizione iiell' Oceano : i motivi di sì fatta cau- tela veggonsi pure nel Codice Colombo- Americano. Lascio di notare quella riempitura : e ti dò laude e possa ; e quel modo plebeo , su , ^u ; e 1' ordinare che si diano ampli tesori j quasi noto non fosse clie la Spagna per ispedire il Colombo , spese pochissimi soldi j e questi , vuoto essendo 1' erario per la guerra di Gra- nata , tolse a prestanza da un ricco Giudeo. Potrebbe la storia dolersi non meno di quello che si legge cant. i , st. 62 : Per sublimi natali è sorto al die Alonso, e crebbe a infami e torbld' opre. . .1 Di congiure facondo , ov' ei ragioni , Fa i Prenci impallidir , minaccia i Troni. Parlasi di Alfonso Pinzon , che guidava una delle ca- ravelle concedute al Colombo. Ma non è da credere che nel sec. XV, uno spagnuolo di sublimi natali fa- cesse il marinajo j né che sognasse congiure che minac- ciassero i troni. Scrivere queste cose , egli è , come se il Tasso avesse armato Rinaldo di archibugio. Al poeta fa mestieri avere studiato con molto di accuratezza le leggi , i costumi , i pregiudizj de' popoli e dell' età , di cui vuol favellare. Il qual precetto si dà non meno a' pittori j perchè chiunque dipinge , cantando , o sten- dendo colori, deve o fìngere, o togliendo dalla storia i personaggi , dar loro costumi ed abitudini che ad essi convengano. Ma non è da seguitare il nostro estratto. Detto ab- biamo quanto può bastare a far conoscere che il Prof. Bellini non felicemente elesse il soggetto di un poema eroico ; né seppe dare al Colombo , né agli uomini del sec. XV i costumi e il linguaggio opportuni j e che lo stile , e il verseggiare sono troppo lontani nqn che dalla perfezione , da quella mediocrità , che fu sempre negata a' Poeti. 78 BIBLIOGRAFIA (i). § II. Città di Dio di S. Agostino. J-Ja grand' opera di S. Agostino , intitolala de Civitate Dei y venne in nostra favella trasportata da un anoni- mo fiorentino , o sanese , toscano certamente , nel sec. XIV. Questa versione si trova impressa nel sec. XV. senza luogo , anno , e stampatore. Chi ne procurò l'edi- zione veneta del 1 742 , tenne che il luogo della stampa sia Venezia; e che fosse eseguita 'verso f anno i48o. Il Brunet (2) afferma che il y en a plusieurs éditions faites dans le 1 5.° siede. Bla 1' editor veneto pensava che dopo queir antica impressione , non fosse ristam- pata più mai ; e per questo diede alla sua il titolo ( Prefaz. XII ) di seconda edizione (3) . Come che sia del maggiore o minor numero delle ristampe, non ha dubbio che l' ediz. del 174^, ben- ché molto pregevole, avrebbe potuto riuscire assai mi- gliore , se a chi n' ebbe la cura fosse venuto fatto di trovare alcun testo a penna dell' antica versione , ond' emendare gli errori della stampa , e ritornare la locu- zione alla sua primiera integrità. e« Ci è al sommo do- te luto , scrive 1' edit. veneziano , il non poter rinve- « nire né qui , né altrove , dove da parecchj nostri «« letterati amici si è fatta diligente ricerca, alcun ma- * noscritto , che ci dasse alcun lume e ci ajutasse a •e non porre il piede in fallo. j> (1) Ved. il nostro Giornale, fase. VI. del 1827. (2) Manuel, e'dit. Bruxelles 1825. (i) Nella Biblioteca Sacra di Scrittori trecentisti ( Bolo- gna, in 12.) venne ristampata la Città di Dio, ma senza consultare testi a penna. Chi scrive , trovandosi allora in Bo- logna , ne fece emendare alcuni errori. 79' Un codice a penna , che avrebbe giovato moltissimo all' Editore , si ha nella Civica Biblioteca Berio , segnato XLVII, i6ò. Esso è in foglio, scritto a due colonne, in pergamena , con miniature a principio di ogni libro , e rabeschi sparsi qua eia sul margine. Suor Veronica , religiosa in S. Spirito di Verona (4) , terminò di tra- scriverlo addi 28 agosto 1472, come si legge appiè del volume nel distico seguente : Hunc 'Veneranda Soror scripsit J^ej'onica librum , Veronae in Sacro , Spiritas alme , tuo. M . ecce . LXXII DIE . XXVin AUGUSTI. La forma de' caratteri tira alquanto al neo-gotico , o tedesco ; vi sono di molte abbreviature , ma comuni : l' interpunzione non è sempre esattissima ; per altro , il carattere non manca di vaghezza ; e 1' opera , dopo tra- scritta , pare che. fosse riscontrata , trovandosi ne' mar- gini ed appiè delle pagine parole , o versi interi , di- menticati nel ricopiare un' opera cosi lunga ed ardua , specialmente ad intelletto femminile. A mostrare il pregio del nostro Codice , noterò al- cune lezioni a riscontro di quelle che trovansi nella edizion di Venezia. Ediz. 1742. MS. Proloco (5) Gli cultori degli dii falsi cioè i Pagani. Gli cultori delli Idil falsi e muti , cioè Pagani. Il latino della stampa veneta , legge — Deoruni falsorum multorumque cultores , quos usitato nomine (4) Il Capitolo di Verona possicele un codice antichissimo e di ottima lezione, dell'opera de Cwitate Dei; e il dot- tissimo Prelato Mai desiderava che qualche erudito "Veronese se ne giovasse a darci un' accurata edizione di quell' opera nobilissima ( Praef. ad Cic. lib. de Rep, § XIV, ) Il nostro noanuscritto , che ci vien pure da Verona, potrebbe servire ad accompagnare al testo latino 1' antica versione italiana purgata d.*' molli errori che s'incontran nelle ristampe j e ne verrebbe doppia lode a Verona ed all' Editore. (5) È il cap. XLIII delle Ritrattazioni. MS. So Paganos vocaraus — ma è chiaro doversi leggere mi/- torum; essendo inutile il multorum dopo il numero del più , Deorum j oltreché la Scrittura suol rinfacciare agi' Idolatri di adorare per veri Dei imagini , che os habent et non loqiiuntur. Ediz. 1742. * Prologo. I quali vogliono che le cose umane e i fatti del mondo non possano pro- sperare ed audire bene sen- za la necessaria venerazione delli molti Iddii. E sempre , ove la stampa dice venerazione , il ms, legge cultiv amento. Prol. sono proibiti. \ sono vietati. Prol. gli altri cinque se- j guenti parlano tra coloro, j Nel latino : adversus eos loquuntur. Prol. non mancamo mai Prol. acciochè nullo. Prol. avvenga che dove Prol. delle due cittàdi .... non possano prospe- rare né andare bene senza il necessario cultivamento delli molti Idii. parlano cantra coloro Prol. e dell' altra cittade non mancano mai acciochè niuno hem che dove delle due città. e dell' altra città ( cipta ). 1 Libro I. cap. i. (ora Prefazione e cap. i, ediz. Mau- rina) MS. Ediz. 1742. Per V ultimata sententia Per 1^ quale intervenne cioè interviene j nel testo lat. qua fit. posto che li popoli | ben che li popoli. Nel testo originale , et si populi. se non fuggendo il coltello delli nemici , hanno tro- vata. li suoi e gli altri per l^ ultima Sententia p. la q. intervene. sé non che fuggendo ec. li suoi e li altrui. a? Nel testo lat. suos alienosque. Gap. 3. 'd' avere l'accomandata \ d' avere adcomandata, adiransi contro a noi | adiransi a noi. il lat. nobis succensent. teputaro degni | reputarono degni. Osservò già Scipione Maffei , che il troncamento del no è maniera poetica. Potrei fare una lista lungliissima di altre varie le- zioni , e tutte come le addotte , da preferirsi al testo ristampato nel 174^ , sia perchè più conformi alla lin- gua del trecento j sia perchè più fedelmente rappresen- tano il testo originale ; ma chi è pratico di così fatte osservazioni , può dal poco che si è detto , argomen- tare il molto , che aggiugner si potrebbe : agli altri non sarebbe sufficiente un volume. 83 BELLE ARTL VJJ incorno Calvi buon pittore , e diUgeiite scritlor bo- lognese, aveva affermato essere avvenuta la morte di Francesco Raibolino , detto {7 Francia , V anno 1 5 1 7. Quest' epoca venne adottata dall' esimio signor Dott. Girolamo Bianconi nella sua Guida di Bologna , e dall' autore della Storia Letter. della Liguria , eh' ebbe cagione di ricordare il Francia. Ma venuto in Genova il Sig. Ab. Giuseppe Caselli , assicurò allo storico di nostra letteratura , d' aver esaminato un dipinto del Raibolini che ha la data del i535. E il P. Spotorno, per mostrare com' egli pregia sopra tutto la -yerità, fece inserire nella Gazzetta di Genova un breve articolo , in cui si annunciava la scoperta dell' Ab. Caselli. Ora si è verificato , che l' iscrizione del dipinto ha vera- mente l'anno i5i5, non il 35 , e che per conseguenza nulla si può rimproverare né al Calvi , né agli scrittori, che ne adottarono la sentenza. Rilevasi questo da una lettera , che il dottissimo signor Bianconi scrive di Bologna al P. Spotorno, colla data del 9 aprile 1828: te II Signor Ab. Giuseppe Caselli mi fece 1' onore di « scrivermi avere egli ritrovato un quadro a Casalmon- cc ferrato, in cui eravi notato 1' anno i535 , ed il no- ce me di Francesco Francia , e perciò opporsi a quanto « da me si diceva nella Guida , essere cioè mancato te il detto Francia nel 1 5 1 7. Feci alcune obbiezioni , ce e lo pregai a voler esaminare nuovamente e con dlli- ct genza il suddetto quadro , onde assicurarsi della ve- ce rità dell' epoca : infatti mi rispose candidamente, che «e avendo di nuovo esaminato il suddetto dipinto, ave- cc va ritrovato 1' anno 1 5 1 5 , e pei'ciò non opporsi alla ce Guida , e perciò neppure alla vita del Francia scritta ce dal pittore Giacomo Calvi , dal quale io presi le no- te tizie. » Noi siamo premurosi di far pubblici questi esempi d' ingenuità , acciocché possano in essi spec- chiarsi coloro , che frettolosi essendo a criticare , si mo- strano poi tardi a ritrattar gli errori ; e in questo modo vengono a dire che non furono mossi alla censura dall' amor del vero , ma da qualche pravo affetto. 83 NOVELLE LETTERARIE. Annales de V Imprimerle des Aldcs , oii histoire des trois Manuces et de leurs éditions ; par Ant. Aug. Reìvouard : seconde édition. Paius , chez Antoine Angustili Renouard i825, voL 3. in 8.° bellissima edizione. VJhi amasse leggere ordinatamente quest' opera im- portantissima , cominci dal voi. terzo, in cui il valente stampatore Renouard collocò la prefazione , le notizie storiche dei tre Aldi, lettere, versi, dedicatorie, ed altre cose di tal fatta , eh' e' non volle stampare nel tomo primo , acciocché non impingixassero di troppo la serie delle impressioni aldine , eh' è senza dubbio la parte più ricercata dell' opera , e quella che i curiosi viaggiando portan seco; polendosi i due volumi i.° e 2." comodamente legare in uno. I ritratti dei tre Ma- nuzj , le insegne da loro usate , delicatamente intagliate in legno , il facsimile delle scritture di Aldo il vec- chio, crescono pregio , ed ornamento alla fatica del si- gnor Renouard. Noi abbiamo riscontrato parecchie delle impressioni aldine colla serie inserita in questi annali^ e le abbiamo trovate con esattezza descritte. Così nuli' altro faremo , che trascrivere alcune notizie intorno ad Antonio Manuzio , come leggonsi nel Renouard, voi. 1 1 1. 2o8 e 2og. « Antonio Manuzio andò nelle Lidie orientali verso l'anno i65i in età d' anni \^, e rimasevi fino a che 'morì nei 1717. Sul principio del sec. xvm. egli mandò al Senato Veneto una raccolta considerevole di me- morie per lui scritte sviUe storie de' re mogolli , dopo Tamerlano , accompagnandole con una lettera latina data il giorno i5 gennajo 171 5. Quest' opera conser- vasi nella Biblioteca di S. Marco , segnata n.° XLIV; consiste in 4- volumi in foglio , ne' quali contiensl la storia del Mogol dal i4oo fino allo spirare del secolo xvii. L' autore le aggiunse molte figure di Dei ^^ di Sa- H cerdoti , e cV Indiani idolatri , i ritratti degli Imperatori del Mogol ; e due volte vi pose il proprio. « et L'anno i^oo i tre primi libri di quest'opera erano stali trasportati ( dall' Lidie ) in Francia , e servirono al P. Catrou per comporre la storia de' Tartari. Il Ma- nuzio fa scontentissimo della maniera, con cui 11 Catrou aveva l'alto uso-delie sue notizie. I tre volumi predetti restarono in Parigi nella Biblioteca de' Gesuiti , edalla soppressione della Compagnia , furono comperati , con :dtri pure della stessa, dal Sig. Meerman , che li tras- portò all' Aja ^ dove furon venduti nel 1824. Io vidi air Aja questi volumi scritti a mano, composti , come io penso , per mandarsi la Ingliiltei'ra : sono In lingua portoghese , con molli brani in francese, m Noa dobbiamo nascondere a' nostri lettori , che la data di tulli e tre 1 volumi è del iSaS; ma che il terzo non potè finirsi di stampare , che nel giugno del 1826, perchè a face. 281 vi si cita una lettera del gior- no XVI maggio 1826. Tra 1' edizioni aldine che mancavano al sig. Renouard , il quale ne possiede una sceltissima e doviziosa rac- colta , si notano le seguenti di autori genovesi : L' Eplphyllldes di Lorenzo Magglolo. Vita e sito de' Zichl , dell' Interiano , in corsivo. Epistole di eie. ad Attico , trad. del Senarega. Institutiones Theologlcce , del Dollera. annali cV Italia dal 1760 , compilati da A. Coppi, tomo IV'. (ed ultimo) dal 1810 al i8jc). Roma, de Romanis , 1827. in 8. « Gli avvenimenti dal 1820 in poi essendo troppo ce lecentl , il compilatore non pubblicherà per ora il « proseguimento di questi annali, w Cosi leggesl sulla coperta del libro, e per quanto ne possa spiacere di vederci privi delle storie più recenti, non possiamo non lodare il savio divisamento dell' autore. Degli annali diremo , che vi troviamo la solita diligenza del sig. 85 Coppi, e la premurosa solìecìlucline di additare le fonti, cui attinse le notizie raccolte in questo volume. Vero è che alcuna volta ne sembra caduto in qualche lieve errore j ma quale storico , e dico de' sommi eziandio , potè mai tutti scansare gli abbaglj ? Ove narra , per dare un esempio, che Napoleone ( ànn. 1810 § i5 ) « incominciò a far scegliere i fanciulli delle più rag- « guardevoli famiglie dell' impero , e sotto specie d'o- « nore costrinse i genitori a mandargli a Parigi in uu « collegio gi;i detto la Flèclie , dove ricevevano una « educazione militare " ha da emendarsi, che il col- legio era cosi detto dalla piccola città della Flhche , in cui Arrigo iv. lo fondò nel i6o3 con 70000 lire di annua entrata , con intenzione di farvi educare a spese del regio tesoro 124 giovinetti di nobili fami- glie; come può vedersi nel dizionario de la Martiniere, voc. Flhche. Le cose straniere occupano gran parte degli anni 1810 — 13; colpa della sorte , che ebbe al- lora l'Italia priva de' suoi Monarchi. Di 34 paragrafi, ne' quali è diviso l'anno 181 2, ben 24 parlano di af- fari che poco, o nulla risguardano alla condizione delle nostre contrade. Non potendosi far estratto di un com- pendio, sien paghi i lettori di alcune notizie stralciate qua e là , secondo che ne parvero degne dell' atten- zione de' nostri leggitori. « Napoleone aveva ragunato grandi ricchezze parti- « colari , e fu calcolato che avesse 5 milioni di ar- « gente rie , 4^ di mobili, 60 di gioje , e 4oo di de- ce naro nel suo tesoro particolare. » ( ann, 1811. § 2 )., « Napoleone ( nel 18 12 ) aveva ragunato in Po.i< « Ionia circa ^'j'jm.. uomini, fra' quali 8om. di cavai' « leria. L' Imperatore Alessandro aveva allora in armi « Siym. uomini ; ma una parte di queste truppe era « al Caucaso, sul Danubio, in Finlandia , e nell'interno « dell' impero , sicché in prima linea non ne aveva « che aiym. I russi avevano quindi in seconda linea « una riserva di 35m. uomini (§10 )... Giunto questi « (Kutusof) a Giatsk sul fine di agosto, trovò, che « l'armala russa sommava a i32m. combattenti. Gli si 86 •« avvicinò Napoleone con forze presso a poco uguali •* alle sue , e lo assali nel giorno sette di settembre. ** Sanguinosa fu la battaglia (^della MosAowa'), ì pri- •< gionieri pocKi , e secondo i calcoli più moderati cad- •* dero fra 1' vina e l'altra parte circa 6om. morti e feriti •« ( § 12 ),.. I fuggitivi (francesi') inseguiti sempre •• dai cosacchi... ripassarono il Niemen sul ghiaccio , ri- « dotti ad una massa di circa aom. invalidi. I Russi « annunziarono d'aver preso ai nemici y5 aquile, o •• bandiere, 929 cannoni, e circa igom. prigionieri.... « il numei'o de' morti fu calcolato a circa a5om. Dei « 2 orti, italiani eh' erano nel corpo del Viceré non ne «« ritornarono ia patria che circa 1000, e dei 5 reg- « gimenti della guardia napolitana , rimasero 1 5o uo- « mini ( § ai ). " Mentre i collegali (181 4) erano in Parigi, si avan- « zarono rappresentanze per la restituzione agli anti- « chi padroni dei monumenti di antichità , e di belle « arti trasportati in Francia durante la cessata guerra. « Ma la Gran Bretagna non ne aveva da ripetere. « Quelli della Russia erano stati, da' Francesi perduti « nella loro disastrosa ritirata. L' Austria aveva di già « ripreso i suoi , e cosi aveva in gran parte fatto la « .Prussia. Gli altri delle potenze minori , e special- « mente dell' Italia ( eh' erano la maggior parte, ed i « primari ) furono lasciati alla Francia. » P. P^irgilÌi Mjronts opera ex recensione Chr, Gotti. Heyne f recentiorihus Wiinderlichii et Ruhkopfii curis illustrata. Aug. Taurin. Pom- La, 1827, in 8." «e Non si potrà mai dire che sia rimesso in Italia rt il senso e 1' amore delle buone lettere , né che se « ne intenda anche politicamente l' importanza e '1 be- « neficio , finché all' edizioni degli antichi non si tor- te nera a por mano. » Parole son queste di Scipione 87 Maffei (i) . Ma chi è tra gV Italiani die voglia dar ma- no a così util fatica ? Noi siamo tanto avviluppati tra i maravi gitosi drammi per musica , e le tenzoni gra- maticali sulla lingua nostra , e le traduzioni de' romanzi storici , che troppo grave ne torna maneggiare i libri degli antichi e i volumi degli eruditi. Laonde , egli è pur necessarip , a non perdere affatto l' idea delle buone discipline , che i nostri stampatori rimettano sotto i torchj i lavori degli oltramontani , che all' Italia , già lor maestra , hanno rapito la gloria delle lettere greche e latine. E a questi stampatori , che pur sono pochis- simi , ci dobbiamo confessar tenuti di cosi fatta ristam- pa , come di singoiar beneficio , non essendo già tenue il vantaggio che viene alle nazioni dal contemplare la sapienza d' Atene e di Roma. Merita per questo distin- tissime Iodi il torinese Pomba , che vien continuando la difficile impresa di pubblicare i classici latini se- condo le più accurate stampe fattene di là da' monti e da' mari. E veramente , chi vorrebbe starsi senza uà Virgilio dell' Heyne ? Ma quanti vorrebbono compe-^ rame le impressioni di Lipsia o di Londra ? Noi di- remo di questa ristampa , tostochè ne siaran giunti gli altri volumi. Per ora , nuli' altro vogliam fare , se non se trascrivere due o tre annotazioni dell' insigne filo- logo tedesco j onde sia manifesto , come si possa eoa brevità dichiarare eccellentemente un poeta si grande e si difficile , qual è Virgilio. L' egloga VI del Mantovano chiudesi con questi due versi : Cogere donec oves stabulis numerumque referre Jussit, et invito processi! Vesper Olympo. Ecco la nota dell' Heyne : ce yesper est Hesperus , « Veneris Stella — invito Olympo , quod coelum segre « ferebat nocte ingruente Carmen finiri. » Un commen- tator volgare avrebbe colto 1' opportunità di fare uà lungo ragionamento sopra la stella detta da' greci Es- pero y e secondo la pronunzia latina Vespero : e por (i) Nella dedicai, dell' aHf/ca condizìon di F'erona, 8S 'scia mostrato ne avrebbe che Olimpo è nome di uri monte celebre in Tessaglia , e d' altri monti in altre regioni j e poi sarebbesi posto ad esaminare se il poeta qui parli di un monte , o del cielo , detto ancora Olim- po. Ma 1' Heyne , sapendo assai bene che le stelle sono abitatrici de' cieli , non delle montagne , colla parola ccelum ha troncato le questioni. Così il Porcellini , dopo aver nominato i diversi monti , appellati Olimpo , ci avvisa che tal voce « s?epe a poetis prò ccelo po- « nitur , cielo 33 ; e ne adduce quattro esempi di Vir- gilio , mettendo in primo luogo 1' ultimo verso di que- st' egloga sesta. Nell'egloga VII dicesl di due pastori. Ambo florentes ajtatibus , Arcades ambo. E 1' Heyne : « Ncque vero illud otiosum Arcades « amho , quum is populus musica maxime delectatus « sit ; ex ipsa enim legum disciplina ( vide Polyb. IV. « 20 ) ad moUiendos hominura per urbes non habitan- « tium mores ea arte erudiebantur pueri. Itaque erant « inter eos plures , qui ea excellerent. » Né ommette il dotto commentatore di accennare a' luoghi , che servirono al poeta , o che appresso ven- nero imitati. Così parlandosi de' flutti siciliani , sotto i quali Aretasa si apre la via ( Egl, X ) , notasi che nel framm. VII di Mosco si ha questa favola j che ne tocca alcun che il nostro poeta nell' Eneide ( III. 694 ) j e ne parla Ovidio nelle Metamorfosi , lib. V) e che 1' idea virgiliana fu imitata da Stazio nel I delle selve ( 2. 2o3 ), come anche nel i.° e 4'° libro della Te- baide. Callimaco , Anacreonte , Saffo, Teocrito, Mosco, BiONE. Milano per N. Bettoni 1827, in 24. Di questa Biblioteca Universale di scelta letteratura antica e moderna ha già dati il Bettoni molti ed utili volumetti , che mostrano la squisitezza di giudizio di chi dirige così fatta impresa. Noi ne accenneremo al- cuni in grazia principalmente di que' giovani , che ama- «9 no essere indirizzati ntilla via del bello scrivere. È noto quanto giovi a ciò lo studio dei Greci maestri , i quali chi vagheggiarli non può nelle loro originali bellezze , fa d' uopo che almeno sopperisca a tal difetto col va- lersi delle miglior traduzioni che se ne sono fatte da ■valorosi ingegni ; e di tal fatta sono senz' alcun dubbio quelle che trovansi raccolte in questo volumetto picciolo di mole , ma di pregio grandissimo. Primi vengono gì' Inni di Callimaco recati egregiamente in terza rima dal eh, Cav. Dionigi Strocchi colle note quali esse stanno nella bella edizione in 4- di Bologna, i8ao , nelle quali il eh, traduttore fa uso con molto onore d' alcune illustrazioni dell' immortalq Ennio Quirino Visconti. Fra le molte versioni , di cui abbondò in Italia Anacreonte , s' è data dagli Editori la preferenza a quelle del Marchetti e del Costa , frammischiandole opportunamente e con molto senno. Non sono però da rammentarsi senza lode fra le moderne quelle del De- rogati e del Caselli, Di quest'ultimo sono in questo volume le tre Odi , che rimangono di Saffo. Gli Idillj di Teocrito, Mosco , e Bione, basti il dire che son tra- duzione di G. M. Pagnini. Siamo a questa edizione debitori d' un frammento di Saffo tratto da Ateneo , per la prima volta volgarizzato , ed offerto dal C. G. Per- ticari negli ultimi suoi giorni alla sua Costanza , e tratto dall' originale inedito , eh' ella conserva. Crediamo far cosa grata a' leggitori riportando nel nastro Gior- nale questi stessi pochi, versi, che sono proprio cosa greca. Lega le ghirlandette , o fior d* amore , E con la man gentile al caldo e al gelo Fa di tenero aneto , e di fior belli Molle freno odoroso a' suoi capelli. Un fior leggiadro acquista grazia in cielo , Ed a chi niega a' nudi crini un fiore Niegano i santi Numi il lor favore. Lega le ghirlandette, o fior d* amore. 90 La Poetica d'Aristotile 'volgarizzata d(i Lodovico Castelvetro. Ivi come sopra. 11 Galilei in Italia , il Descartes in Francia , il Newton in Inghilterra , e molti altri ristoratori della Filosofia scossero il giogo , sotto cui quel grande Stagirita avea^ tenuto per tanti secoli le col te^ nazioni. Ma se a ragione fu abbattuta l'autorità di lui in moltissime di quelle cose che appartengono al vero , non si può dire lo stesso rispetto a quelle che al bello si riferiscono. La poetica d'Aristotile sarà sempre riguardata come il co- dice del buon gusto, e in ciò egli sarà sempre chia- mato maestro di color che sanno. Ond' è che mentre i Filosofi atterravano in gran parte 1' edificio aristote- lico , i maestri del bel parlare duravano, e durano tuttavia nella soggezione di quell' antico. Lo stesso Les- sing , come notano gli Editori , mentre creava e dif- fondeva per le regioni del Nord le discipline e gli studj romantici , che tanto bene calzano all'indole di que' popoli , era solito a dire , che egli avea questo libro di Aristotile per un' opera altrettanto infallibile , che gli Elementi d' Euclide. Resta a dolere soltanto , che questi precelti di poesia andarono la più parte per- duti per l' ingiuria del tempo , e poco più rimane a nostro profitto , se non ciò che spetta al poema epico e drammatico. Né anche questi frammenti cosi come stanno sarebbero di facile intelligenza a chicchessia , e mollo meno a ciò gioverebbero quei laghi di commenti che vi fecero gli antichi. Onde questa edizione torna assai utile per ie chiare e sensate note del Metastasi© , che alla teoria tanto maravigliosamente accoppiò la pra- tica. A chi conosce Lodovico Castelvetro , con dire che suo è il volgarizzamento , è detto tutto. Egli , e il suo rivale Anaibal Caro , come saggiamente osserva il eh. Ab. Colombo (i) , quanto maggior servigio non avreb- bono renduto alla nostra letteratura , se quel tempo , CO Op. t. 3. p. 92. ' 9^ elle spesero in disonorarsi a vicenda , 1' avessero impie- gato in altre traduzioni d'autori greci e latini, oltre a quelle arcistupende <;he già ce ne diedero ? La Rettovi ca di Aristotele tradotta dal Comm. A.\- kibalCaro, libri tre, voi. i. ii. Ivi come sopra. et Della Reltorica d'Aristotele, dicono nel loro av- vertimento gli Editori , noi credianao aver detto abba- stanza , quando aft'ermiamo essere quest' opera fra le migliori di un uomo , che fu da Platone chiamato il filosofo della verità , e nella cui sapienza il beato Gì- rolamo riponeva 1' ultimo termine dell' umano intel- letto, w Né agevol cosa, né di tutti si è l'intendere dirittamente altresì questi libri, attesa la confusione, che per la lunga età sembra essersi introdotta nelle varie parti loro , e nella disposizione delle materie. Perciò vi fu opportunamente premessa 1' Introduzione di Giason de JVores , che occupa la prima metà del primo volumetto.. Benché possa parere alquanto paro- laio il Nores in questo suo lavoro , giova però assaissi- mo per 1' ordine , che vi si osserva nel ridurre chia- ramente sotto a certi capi le aristoteliche dottrine, delle quali può dirsi un esatto compendio , e a luogo a luogo fornisce un' assai chiara sposizione, w Quanto alla ver- sione , basterà ricordare, eh' è cosa del Caro , cioè un continuo miracolo di purità e d' eleganza. » Cosi es- I priraonsi i eh. Editori , a' quali si dee saper grado dì ! aver per le stampe inteso a diifondere cosi belle, ed I utili operette. Ho sotto gli occhi una traduzione latina , stampata pure in Milano in forma di sedicesimo nel i55o, fatta da M. Antonio Majoragio, la quale prendo occasione di qui ricordare per la sua squisitezza e pife- prietà , degna veramente di quel famoso, ed acerrimo latinista Milanese rivale del Nizzolio, e rapito da im- naatura morte cinque anni dopo l' impressione di que- sta sua leggiadra fatica. Piiesce vantaggioso e insieme gradevole il confronto di queste due versioni che me* ritauo certo 1' aiienziouo degli sludosi. \ 9» Scelta di rime italiane ad uso delle Scuole, e della gioventù cristiana. Savona, Rossi, 1827, in at" Quando mi viene alle mani un libro , io vorrei tosto saperne 1' autore , o 1' editore. Può essere effetto di cu- riosità questo mio desiderio 5 ma non è da riprendere. Il nome d' un uomo illustre è un buon mallevadore. Il signor Rossi non ci ha voluto palesare il vero com- pilatore di questa scelta di rime; anzi ne fa sapere nell'rts'mo , che è fatica di due vecchj Professori. Es- sendo il libro stampato in Savona , potrebbe credersi che la scelta siasi fatta da due Savonesi; ma il vedere che furonvi dimenticati i due Gentile-Ricci e Ambro- gio Salinero , non oscuri poeti di quella città , ne per- suade che non v' ebbe parte alcun Savonese. E quasi osiam dire, che la raccolta non fu compilata in Li- guria , parendone impossibile che un uomo del Geno- vesato ignorasse il Granelli , il Laviosa , il Buffa , il Bìamonti , e de' viventi il Prof, Nervi , e 1' ab. Gavotti. Per altro, che l'elezione siasi fatta da uno, o più vecchj , non oseremo negarlo ; veggendo trascurati af- fatto Monti , Cesari , Pindemonti ; ed altri nobili orna- menti del Parnaso italiano. E di ciò ne dà similmente buon indizio la somma venerazione con cui si addu- cono molti brani del Cesarotti. Qualunque sia il com- pilatore , che ben potrebb' essere il Tipografo stesso, i poeti in essa allegati sono da cinquanta : Dante , e il P. Baciocco ; Petrarca , e il P. Petrocchi ; Ariosto , e il P. Gherardi ; Chiabrera e il P. Scotti ; Torquato Tasso , ed il P. Gherardi j il Casaregi , e il P. Saul?, un Anonimo, Anguillara , Maggi, ed altri che non giova ricordare minutamente. Mancano con mio som- mo stupore il Manfredi, il Ghedini , il Redi , France- sco M. Zanotti , il Filicaja ; brevemente pressoché tutti i migliori poeti del sec. xvni. Del Petrarca vi hanno tre , o quattro componimenti ; dieci, o dodeci del R. P. Celestino Massucco > e questa proporzione si appli- 93 cKì agli altri poeti majorum et minorum gentium. A confermarmi nell' idea , che il merito della scelta sia in gran parte dello stampatore , basti 1' avvertire , che in luogo del magnifico sonetto di Eustachio Manfredi per la nascita del R. Principe di Piemonte , Vidi l'Italia col crin sparso, incolto, vi si legge ( pag. 2y3 ) una infelice canzone , che di troppo è inferiore all' alto argomento. Cosi di Alessan- dro Guidi si riporta una canzone intitolata il Tevere , omettendosi quella tanto migliore per la morte del Baron d'Aste. Il Casaregi non compose sonetto cosi mi- sero , come quello che si adduce a pag. 49 • Peccai , Padre, peccai. E chi avrebbe pensalo , che volendosi dare esempio di sonetti del Petrarca , si elegesse quello poco felice , Cesare poi che il traditor d' Egitto ? Né intenderò mai la ragione , per la quale il Racco- glitore ci stampi alcune poche ottave del Tasso , ben- ché le riconosca egli stesso come affettate , e strana- mente iperboliche. Ma se la scelta non è acconcia all' liso delle scuole , lo è molto meno alla gioventù cri- stiana ', giacché il frontispizio distingue la gioventù delle scuole dalla cristiana Se il sonetto che leggesi a pag. 86 contiene , come afferma 1' Editore, una mas- sima detestevole opposta diametralment e al Vangelo, perchè proporlo a modello nelle scuole cristiane? Per- chè lasciar neglette tante nobilissime canzoni sacre , morali , eroiche del Chiabrera , e quella specialmente sull'Assunzione della B, Vergine, ed ammettere quegli alcaici trimetri (pagi io5 ) , ne' quali il poeta insegna che il tossico d' amore e nettare, V ardere dolcissimo, il giogo agevole? Né vedo qual ornamento si aggiunga alla scelta pel sonetto del Parini (pag. 72 ) in deri- sione del monacarsi. L'ode sulla felicità ( pag. 246 ) si poteva ommettere , perchè i due versi sostituiti ìa carattere corsivo al testo dell' Autore, e gli altri due che mancano, invoglieranno la gioventù a cercare l'in- tero componimento. Finaliaente , le note ci fauno toccar eoa mano , che 9^ niua Professore potè aver parte in questa fatica. Chi non sa , che l'Anguillara fiorì nella prima metà del sec. XVI? ma il nostro raccoglitore ( pag. 180 ) lo tras- porta nel secolo del cattivo gusto e de' bisticci j cioè nel secento. Chi può ignorare il capriccio eh' ebbero alcuni grand' ingegni del sec. xvi. , e specialmente il To- lommei , di adattare la quantità , e il metro latino alla lingua italiana ; il che si disse poesia nuova ? E il rac- coglitore ne attribuisce \' invenzione al P. Cordara sto- rico e poeta del sec. xvni ( pag. 129 ). Ancora uà esempio, ed ho finito. Le città del Ducato di Milano avèano , sotto i Re di Spagna , il privilegio di tenere presso il Governatore Generale un jàgente, o Sindaco, il quale vegliasse agli interessi della città che manda- valo ; onde il Governatore , in tanta lontananza dalia Corte , non aggravasse la mano sopra le province. A si fatti agenti davano latinamente il titolo di Oratori ; perchè 1' altro di ambasciatori serbavasi a' rappresen- tanti ed inviati de' monarchi ; e soltanto tollerato era dal Pontefice nell' oratore de' Bolognesi per onorare con quel vocabolo 1' agente di quella città nobilissixna. Ac- cadde , che il poeta Lemeue fu dal Comune di Lodi sua patria eletto ad Oratore. Carlo M. Maggi suo amico scrisse allora quel sonetto satirico , O gran Lemene , or che Orator vi fé' Meritamente l' inclita città .... Il nostro raccoglitore Cp^'S- 9^) credette d' illustrare il sonetto colla nota che si trascrive. — La carica di Oratore del He , ossia presso il /»'e , pare che corris- pondesse a quella che ora si chiama di Giudice Regio, e giudice in prima instanza di certe cause men gravi. — Prima di tutto, il sonetto non dice Orator del Re , ma Orator vi fé' : in secondo luogo , ella è cosa affatto nuova che la città faccia un Giudice Regio , sia per le cause gravi , sia per le men gravi. Nò si udi mai , credo , che un Giudice avesse il titolo di Oratore. Oltre ciò , dicendone il Maggi che un valente Oratore deve Il furto ricoprir col ben del Re , chi non s' accorge trattarsi di persone destinate a ma,- 95 neggi economici , non a decider le cause ? Finalmente , secondo i costumi , e le opinioni che correvano a' tempi di Lemene , un ricco gentiluomo ( ed egli era tale ) avrebbe creduto di avvilirsi accettando la carica di Giudice di certe cause men gravi. Ma l' andare a Milano Oratore di un' illustre città , era una missione onore- vole , trovandosi allora gli affari economici talmente ravviluppati con gli affari governativi , cVe il rappre- sentare un Comune era come un partecipare degli onori diplomatici. ^ 96 EPIGRAFIA. D. 'elle molte inscrizioni, clie per pubbliche o private occorrenze tuttodì si consegnano a' marmi , è da dolere cbe troppo rare son quelle , che abbiano pregio di ac- curatezza e di felicità , o che condotte giusta le regole dell' arte vengano poi incise belle ed intatte quali esco- no dalla mano del proprio autore. Quindi riputiamo dover essere a grado degli eruditi il leggerne qui alcune recentissime , che tornano a grande onore della patria nostra e per le persone , che vi sono lodate , e pei chiarissimi ingegni , che le hanno composte. I sigg. Prof. Faustino Gagliuffi , e G. B. Spotorno son nomi tanto conosciuti da rendere vana ogni nostra raccomandazione. Del primo sono i due Epitafìj , dell' altro l' iscrizione onoraria , che fu collocata appiè del busto del Rivarola eretto nella pubblica Biblioteca di Chiavari. Né crediamo a proposilo riportar qui de' sog- getti , che porsero ad esse materia , altre notizie da quelle che tanto maestrevolmente furono espresse ia cosi belli monumenti. HIC . VBI . SVPPLEX FREQVENTER . ADERAT SEPVLTA . EST PROPE . PATERNOS . CINERES MARIA . FRANCISCA AKTONH . GARIBALDI . FILIA JOSEPHI . FRAVEGAE . VXOR VIXIT . A . LIIII VENVSTATIS . INGEMII . FORTVHAE ORNAMENTA MODESTIS . ET . PUS . MORIBVS HONESTAVIT OBIIT . Vili . CAL . MART . MDCCCXXVIU AVE ANIMA . SVAVIS . ET , BENIGNA ET . YALE . IN . PACE 97 II eh. Prof. Antonio Nervi trovandosi ia una con- ). versazione, ove leggevasi sulla nostra Gazzetta (1.° marzo ^ 1828) la precedente iscrizione , cosi l'imitò in questo ( leggiadro SONETTO. Qui dove a sospirar veiila si spesso Francesca , in questo Tempio ora riposai Amante figlia al patrio cener presso , E desio del consorte amata sposa. Dielle beltade il suo sorriso stesso , Grazia di bel parlar la fé' vezzosa , E la fortuna , che vi giunse appresso, Il nodo strinse e parvero una cosa. Ma modestia tempronne i vaghi lumi , Ma ingegno , e religion fecero a gara , Ma servi la fortuna ai pii costumi. O bacio soavissimo di Dio, O di modi gentili ornata e cara , Vanne beli' alma al ciel , beli' alma addio. ISCRIZIONE Per la tomba della già Marchesa Marina Negroni nata Balbi. QVISQVI! . AUFVERIT . PIVS ET . VOTA. . DVARUM . SOROBVM . BONO . ANIMO . LEGERIT VTIKAM . EARVM . MATRI . DESIDERATISSIMAE VALE . CHRISTIANVM . DICAT 98 DIE . X . ANTE . CALENDAS . MARTIAS . MDCCCIXVIH RAPTA . NOBIS . EST MARINA FRAJICISCI . BALBI . FlLlA . lOSEPHI . NIGRONI . CONIVI QVAE LICET . ANN . LXV . AGERET ITA . SANO . CORPORE . ET . SANA . MENTE . FLOREBAT VT . VIX . ALIYD . ESSE . POSSET PVLCHRIORIS . SENECTVTIS . EXEMPLVM DEFLETO . CONIVGE . SVO . SVSCEPTOQVE . FAMILIAE . RE- GVNDAE . MVNERE . NOSTRAM . ILLA . VALETVBINEM . ET BISCIPLINAM . DOMI . FORISQVE . SVMMOPERE . CVRAVIT . ET QVAMVIS . VNICE . NOBIS . VIVERE . KOSTROQVE . VHICE . IN AMORE . CONQVIESCERE . VIDERETVH . MIRVM . EST . QVAM DILIGENTER . SANCTEQVE . OFFICIA . OMNIA . DIVINA . ET . HV- TrtANA . PERSOLVERIT TANTA . ERAT . IN . EIVS . VVLTV . ET . SERMONE . COMMEN- DATI© . VT . HEMO . EAM . ADIERIT . QVIN . OBSEQVIO . ET BENEVOLENTI A . DIGNISSIMAM . IVDICARIT HVLLVM . EX . EIVS . ORE . VERBVM . EXCIDIT . VNDE . QVIS- QVAM . OFFENDERETVR . QVAE . DICTA . FACTAVE . PROBARI POTERANT . HILARIS . AVDIEBAT . CETERA . SILENDO . VEL DVBITANDO . VEL . BLANDE . INTERPRETANDO . PRAETERIBAT FERPETVA . ILLI . ERAT • MANSVETVDO . PERPETTA . IN . AMI- CITIIS . CONSTANTIA . PERPETVA . IN . OMNE . MISERORVM GENVS . HVMANITAS QVAM . ACERBA . OPTIMATIB . ET . CIVIB . VNIVERSIS . MORS EIVS . CONTIGERIT . FREQVENTISSIMO . FVNERE . ET . LVCTV J>R0FB . PVBLICO . IMDICATVM . EST HANC . IVSTI . DOLORIS . CAVSSAM . INSCRIPSIMVS ARTEMISIA . ET . LODOVICA FILIAE DOLENTIBVS . NOBISCVM . VIRIS . NOSTRIS ANTONIO . BRIGNOLE . SAUE , ET . IOANNE . LVCA . DVRATIO 99 MVNC . TV . DEVS . MISEniCORS 'ADSIS . QVI . ESSE . YKVS . POTES . COMSOLATOR . NOSTER TV . MÀTRI . GAVDIVM . INTER . COELITES FILIÀBVS . OPEM . LARGIRE VT . AMBAE . CVM . AU . ÀETERNA . VOCABIMVR EAM . COMITEM . ITERVM . HABEAMVS . NVNC^VAM . UEFVTVRASf QVACVM . GRAtiAS . UBI . VMI . À.GA.MVS . IMMORTALES STEPHANO . RIVAROLAE . 3MLARCHI0HI QVOD SOCXETATEM . pAtriam AGRIS . ARTIBVS . EXCOLENDIS COKSTITVERIT BIBLIOTHECAM ARCHITECTVRAE . ET . GRAPHIDIS . SCHOLAS PVELLARVM . HOSPITIVM CONSILIO . AVCTOBITATE . MVNIFICENTIA RECREARIT . SOCII . POSS. , ANN . M . UCCC . XXVIII. La Società Patria di Chiavari che tanto meritò dell' agricoltura e delle arti , suole intitolarsi — Societas Oeconomica rei agrariae , commerciis et opificiis prO' movendis — Di Chiavari si leggono nella Commedia di Dante ( Purg. XIX ) le parole seguenti : Intra Siestre e Chiavari s' adima Una fiumana bella. Cosi il Codice Bartolini pubblicato dal Viviani in Udine, 1823 5 non Chiaveri , comesi ha nelle impres- sioni volgari. Negli antichi Annali di Genova si legge Clavaram , non Claverum. Né per le renitenze del Gh. Prof. Ab. P. R. è giusto che si tralasci di cliiudere quest' artìcolo colla seguente iscrizione di lui , che crediamo dover essere accetta agli amatori degli studj epigrafici. Anna . maria caroli . f . dvratia PVELLVLA , MENS . Vili . DIER . XIX POSTRID . NONAS . APRILES AN . MDCCCXXVIII CAELVM . PRAERIPVI I diminutivi e vezzeggiativi sono frequenti presso ì Classici in questo genere d' Epitaffi. Valga per tutti il seguente esempio del Morcello. PHILIPPO INFANTI . SCITVLO FORMOSVLO BLANDE . ADRIDENTI ALOISIVS . PERSIVS CVM . ANNA . COMIVGE FECIT FILIO . PRIMIGENO CARISSIMO QVI . VIXIT . M . Ili . D . XVII H . XVI AVE . MARGARITVM . NOSTRVM ET . ESTO . MEMOR PARENTVM (i) (t) Stephani Antonii Morcelh' Inscriptiooes commentariis subjeclis. Romae ex offic. Giunch, in 4-° gf- P^g- '33. XOl E anche secondo le regale dell' arte epigrafica il far parlare nelle loro iscrizioni i defunti. Defunctos cnm vivìs colloqaentes inducere, scrive lo stesso Morcello, veteris est moris in epitaphiis. Fra gli altri se ne trova di lui uno lunghissimo , nel quale , fuorcliè la conclusione , parla sempre la fanciulla defunta , ed im- piega 48 elegantissimi versi seQarj nel racconto di sua Aita , dei quali questo è il 9 ; SIT . CARAE . PVDOR. DESIDERIO . PVELLVLAE (2) . (-2) Ib, pag. 897. 3g8. V. anche gli Specimen inscriptio- nuin dello ^chiassi. r. Paolo Amedeo GIOVANELLI Prev. di S. Don. Revis. Are. V. Se ne permette la stampa. S.« GRATAROLA per la Gran Cancelleria, INDICE. Scienze. Osservazioni per servire allo stadio della Geognosia della parte meridionale del dipartimento del Va' ro y del Sig. Lorenzo Pareto . Pag. 3.. Considerazioni sul libro intitolato : Explica- tiond'un Stèle, etVersloa métrique Italienne des 3 1 premiers chapitres du prophète Isa'ie : par Francois Ricardi feu Charles . . « 19- i Lettere. Caietani Laurentii Montii de pio, irntto dal capo xi della Genesi , del quale il senso con esattezza tradotto è come segue: «t Vi era allora nel paese una sola stirpe di uomini (lingua per stirpe. Gen. X. 5. Dan. III. 4' 7* Apoc. V. g. ed altrove ) , che avevano le stesse costumanze , quando vi pervennero degli Orientali , che avendo tro- vato la valle di Shenor , vi si arrestarono , e dissero : facciamo dei mattoni , e della calcina ; ciò eh' essi fe- cero, e poi cominciarono a costrurre una città, ed una fortezza molto elevata ; Allorquando I. E. U. E. volgendo dall' alto lo sguardo sulla città , e sulla for- tezza , disse ; Quello è un popolo solo , sola stirpe , e queir altro fa di già , e continuerà a fare ciò che ha stabilito. E ben , che si dominino , che si confondano insieme in modo che uno non resti soggetto all' altro. Tosto I. E. U. E. li fece disperdere per tutto il paese, ed essi tralasciarono di più costrurre la città. Questo luogo fu poi chiamato Babel ( confusione ) appunto perchè I. E. U. E. vi aveva confuse insieme le due stirpi , e da là le aveva sparse in tutto il paese, w Questo è il vero senso del testo ebreo , ed è altresì conforme a quello della Volgata , almeno agli occhi di coloro , che ben conoscono lo stile , le allegorie , e la forza delle frasi delle lingue orientali. Quante altre insulse dispute non si sarebbero pari- jnente risparmiate, quando si fosse fatta attenzione, che la parola ebraica Dum al cap. X. 1 1 di Giosuè , oltre il significato di essere in riposo , star tranquillo , ha anche l'altro di scomparire , e se si fosse osservato, che la parola Oule al Capo XI. i3 dei Giudici, oltre il significato di Olocausto , può anche avere quelli di Giovinetta, di F'ergine , e di Virginità ^ certo si sa- rebbe allora facilmente riconosciuto , che i voti di of- ferire a Dio la propria virginità vantano una antichità assai più rimota di quella che si è generalmente sup- posto. Queste osservazioni , che qui non faccio che in- dicare, potrebbero estendersi a molti altri luoghi della S. Bibbia , i quali danno luogo ad altre dispute eguale j»eutc inutili , e dannose , quando si leggano col sistC" i3o ma de' punti,, ma cliè affatto scompariscono leggende» questi slessi luoghi col metodo degli apici (i) . Dirò infine a questi Rabbini , a questi Orientalisti , che ci diano, se possono, col loro sistema una versione grammaticale dei primi nove capitoli dei Proverbj , la quaje mantenga un senso unico , e seguitato , come lo hanno nel testo originale ebreo , che spieghi in modo esatto , e completo i due principali misteri della nostra Religione , la Trinità , e l' Incarnazione del Verbo eter- no ? No , lo dico con franchezza , non lo hanno fatto , non lo possono fare, e non lo faranno giammai, fin- ché non abbandonino il falso sistema de' punti , e non seguano esattamente quello degli apici. Infatti , se nel primo libro dei Re Cnpo XIII. i , essi hanno apposti i punti per leggervi Bew-shene in luogo di Be-neshenuni , convien pure, che vi leggano, e traducano necessaria- mente « Saule era un fanciullo di un anno quando co- minciò a regnare , mentre due anni erano già trascorsi , da che egli regnava in Israele « in luogo di leggere , e tradurre j » Quando Saule era tranquillo nel suo re- (i) Parimente se nel Capo XLIf. aS. della Genesi i Ma- sovetì han puntato la parola Emlitz per legj^ervi Amelitz interprete, invece di Emulitz trascurava ^ e Bimthm per Bi- HUTHEM fra di loro , invece di Bineuth-em i loro riflessi , essi hanno dovuto tradurre ce Ed i suoi fratelli non s' im- maginavano , che Giuseppe intendesse , perchè v' era fra di loro un interprete jj invece di « e non s' immaginavano , che Giuseppe sentisse i loro riflessi , perchè egli faceva mostra di illuderli, cioè di non darli retta ». Di fatti come è mai possibile , che Giuseppe , il quale in tulto questo capitolo aveva già parlato co' suoi fratelli , e continua ne' successivi a parlar loro direttamente , qui lo faccia per interprete ? La retta intelligenza di questo versetto è di molla impor- tanza , mentre , se viene spiegato male , può far sospettare , «he la lingua cananea fosse fin d'allora diversa dall'egizia; quando il testo ebreo, tanto qui, come in tulli gli altri luo- ghi , ce le mostra per una sola , e medesima lingua , e quan- do le parole dell'antica lingua egizia conservateci, tutte ti mno la loro etimologia uell' ebraica , e con questa sì spie- gano cfiattameute. ÈL ^uo , e che già erano trascorsi tlue anni da che egli regnava in Israele ». Ecco quali sono i contrassensi e gli errori , ne' quali questo falso sistema de' punti conduce ad ogni passo il lettore , che vuol seguitarlo. Si è appunto per questo , che io ardisco dire ad ogni Compagnia scientifica , a tutti i dotti , ed a tutti coloro , che amano la verità , che la mia Risposta alla Fronda di David farà epoca nella letteratura , perchè questa riguarda un oggetto che interessa tutti gli uomini , di preferenza a qualunque altro , quello cioè , della giusta intelligenza della parola di Dio. N. B. L'Autore non intende col suo Progetto di ostarsi al dirìrio divino che ha la Chiesa Cattolica d'interpretare li Santa Scrillura, e di esporne il vero senso. (Nota del Rei». EccL") Testo Greco. (V. Fascicolo i.', pag. 21 , anno 1828.) yffTKTov Se. T^a.i rcàevrav mv upo'/lvfiy.riv, rtg nfLsv sazi Sia twv TTf cjTwv (TTet;ij£i&)v Kvptoloyiy.Yi, rt ée i5«>JS ■n fxev xijpioloyiiia.i xara fiipnciv, vi Se onep rpoiciyMq ypays-rae , » Se «vTiKfus alhyQpeLTXi jcarp: rivocg sviyiiovg. l32 LA SCUOLA DE' SORDIMUTI. Ragionamento inedito del P. ydlSTONlO CeSJrI D. O. (V. la prima parte pag. 43. fase, i.* anno 182&) IL Per dimostrarvi il subisso delle noje e de' tra- vagli da lui tollerati a dare 1' intelligenza a que' poveri ceppi d' uomini , per uoa dire a que' bruti , io non ho più parole né modi sopra quelli che ho adoperati , a farvelo intendere comechessia. Forse meglio il cono- scerete congetturando dal frutto , e da quello che ( eoa iniìnita coltivazione de' loro spiriti ) egli ha potuto in loro infondere di conoscenze chiare e distinte. Po- trei dirvi che ^ue' Sordimuti sanno e scrivono in molte lingue , e che loro mostrate in iscritto , le intendono , ed essi le scriyono ; italiana , francese , latina , tedesca , inglese , spagauola; che sanno d'algebra , di geometria, di metafisica ; assai di storia sacra e profana : che ad un cenno fattone lor dal maestro j essi (e gli ho ve- duti io medesimo) fanno scrivendo sopra la tavola,, le più accui-ate risposte. Ma tutto questo sia nulla. Quel- lo che più importa; essi conoscono la religione; sanno che Dio parlò , sanno del peccato originale , e del ri- medio portatoci da Cristo; sanno del suo battesimo e de Sagrameuti ; i quali ricevono con sentimento di vera pietà : in somma conoscono Dio e il Salvator Gesù Cristo ; che prima o nulla affatto non ne sapevano , o assai confuso ed incerto. Io ne son testimonio : vi basti un cenno. Ad una fanciulla sorda e muta , io scrissi in Modena sulla tavola questa dimanda ; Chi è Dio ? Ella di tratto sotto la mia dimanda scrisse questa o simil risposta ; È il sommo bene. Seguitai : Chi è Gesù Cristo ? ed ella ; // Jìgliuol di Dio , che morì per gli uonùni. Per terzo le scrissi cosi ; A guai fine mori ? Qui ella mi scrisse al disteso la storia della caduta di Adamo, del peccato oiiginale da lui passalo in tutti gli Uomini j e come per soddisfare per questo a Dio 4 Gesù Cristo era morto sopra la croce. Le quali ed al- tre cose troppo maggiori vedute quivi e in Parigi alla scuola dell' Epée e del Sicard , ed in Genova dell'As- sarotti , fecel'o trasecolare i primi fflosofi , i Principi alleati del tempo nostro i e il Pontefice Pia VII j a' quali nessuno 1' avrebbe fatta credere , se eglino co' loro Occhi non 1' avesser veduto. Onde questi nuovi padri e rigeneratori degli uomini y ebbero eolla maraviglia , in- finite benedizioni da tutto il mondo ; e singolarmente da' genitori di quegli infelici j i quali avendo lor con- segnati que' loro figliuoli per mezze bestie, disnaturati, senza religioa , senza Dio , e per dolorosi ingombri di lor famiglia , gli riebbero fra le lagrime e' baci cocenti abbracciandoli come gli avessero riavuti da morte j tro- vandoseli restituiti uomiui, intelligenti , docili , amonosi, cristiani : e così alla società degli uomini furono resti- tuite a gran numero persone umane , che prima erano il rifiuto , il disprezzo e 1' abbominio di essa società , de' quali nessuno si dava pena o pensiero , come avreb- bono fatto di capre o di cani. Questo è il frutto della carità di questi nobili se- guaci del cristianesimo j i quali senza alcuna speranza: di temporal guiderdone , per solo zelo dell' onor di Dio , e pel piacere di salvar i loro fratelli , vendettero la lor libertà , condannaron se stessi a questo faticoso servigio per tutta la vita ; e taluni spendendo le loro sostanze per questo fine , defraudando a se stessi mille comodità , che avrebbon potuto procacciare a se stessi. A questo proposito non vo' tacere un nobile esempio di libera carità mostrata da un di questi maestri , il Pereira , che dalla Spagna portò il primo a Parigi que- st' arte. L' Imperatrice delle Russie scossa di gran ma- raviglia e gratitudine del sommo bene per opera di lui fatto alla spezie umana , gli mandò profferendo di ric- chi doni. Egli rifiutò nobilmente tanta larghezza j e pregò in vece sua maestà , che in luogo di caro pre- sente , volesse mandargli uno de' suoi sordi e muti di Russia , al quale egU insegnasse coaoscei: Dio e la cai- i34 tolica religione , sicché tornato in Russia , potesse agli altri del regno di lei farsene egli stesso maestro e co- municar tanto bene. Questo è lo spirito dell' altissima carità che inspirò Gesù Cristo j questa la vera fratel- lanza , non filosofica e di parole , ma di fatti j che in nessun altro s' è trovata dal principio del mondo fin qui , se non ne' seguaci di Gesù Cristo. Ma il testimonio più certo e irrefragabile del gran bene fatto a questi infelici , lo rendano essi medesimi a chi noi sa , e vorrebbe saperlo , ed anche a chi non vorrebbe , ed a cui forse dorrà tanto onore che ne torna alla cattolica religione. Ho detto già , che questi ' meschini non aveano prima alcuna conoscenza di Dio lor creatore , o certo una si misera , incerta e confusa , che poco era più di nessuna. Arrivati dopo lo smisu- rato travaglio che ho detto de' loro secondi padri , ad intendere che essi non furono fatti da sé medesimi; e dalla ordinatissiuia bellezza delle creature e troppo più delle stelle e de' lor movimenti ( che furono loro inse- gnati ) pervenuti a conoscere che un sommo essere perfettissimo , universale , e prima cagione di tutto , li avea creati, e che da lui essi medesimi aveano 1' essere, e doveano sperare un' eterna felicità ; e imparato , il .suo nome esser Dio , fu osservato di tutti un uscire in un impeto di straordinaria allegrezza, lui ringraziando e adorando. Di un di questi in ispezieltà , chiamato Massieux si conta dal medesimo Sicard suo maestro , un tratto maraviglioso. Aveva il Sicard , mostrando a questo suo allievo 1' ordinalissimo movimento de' corpi celesti, condottolo a sospettare, che qualche artefice di maravigliosa potenza ed intelligenza , dovesse aver impresso in que' corpi si luminosi la virtù di muoversi con tanta ragione , ed a dimandargli chi fosse. Allora il saggio maestro , colto il destro , e recatosi sópra di sé, sappi, gli rispose, o figliuolo: tu ben ti se' appo- sto , indovinando que' corpi non aver dato a sé mede- simi il moto , come nò eziandio l' essere ; ma una mente potentissima e sapientissima, come creatigU , così aver dato loro la prima spinta, alla quale obbedendo e§li i35 presero , e da tanti secoli continuarono ( senza uscir un attimo dalle date norme) i loro ordlnatissinii giri, che t' ho mostrati. Egli è il creatore di questi e di tutte le creature che tu vedi nel mondo . egli è che a te ezian- dio diede la \ita , e tu vivi in lui e per lui j il quale ti ama , e vuol farli di sé bealo : e però tu dei ado- rarlo con me , ed amarlo sopra tutte le cose come bene sommo , infinito. Egli è Dio. Parve allora , che la ra- gione di questo fanciullo sentisse per la prima volta il naturai debito di riconoscere ed onorare il suo Crea- tore j e si risentisse dal suo innocente difetto , che do- vette parergli ingratitudine , della quale si vergognava. Rimase atlouito a guisa di smemorato , o di uomo che si scuote da un grave letargo j cominciò a tremare , come se avesse veduto presente Dio , che a lui si sve- lasse , e 1' opprimesse colla sua maestà. Si gittò , o piut- tosto cadde boccon sulla terra , e con profondo omag- gio adorò la prima volta il suo creatore ; appunto come fece Cristo quei cieco nato, et procidens adoravit eum. Riavutosi poscia da quel suo stordimento , e levatosi ; mi disse co' cenni o scrivendo , Deh ! qual fortuna è la mia ! che grazia è questa d' aver conosciuto Dio , il .mio creatore ! Deh ! padre , lasciatemi andare a mio padre , alla madre , a' fratelli , a dir loro che e' è uu Dio. Io temo ciie essi noi sappiano. No , rispose il Si- card , non temer di ciò, figliuol mio. Essi lo sanno si, lo conoscono e adorano : tu gli vedesti in casa tua e nelle chiese adorar ginocchioni ; e tu non sapevi che si facessero , nò nulla intendevi : ma essi allora adora- vano questo Dio e lo prcgavan per te , che tu mede- simo come essi , il potessi un giorno conoscere : e que- sto beato giorno arrivò. Ringrazia pur questo Dio, che tanto bene li volle , e ringrazia dopo lui quel sacer- dote di lui , che li amava senza conoscerti , e per farti conoscere Dio, con infinito studio, e pena trovò l'arte . da farsi intendere a sordi come le , ed a me Y insegnò onde io ho potuto in te adoperandola , farti tanto di bene. Or chi è , riprese a dire il Massicux , questo sa- cerdote di un cuoi: sì amoroso? Egli è , rispose l' altro, il mio maestro ì'Epee. E '1 fariclullò tutto dcfriSot.ltfli tli presente lagrimanclo di gaudio scrisse anch' egli suUai. tavola quel caro nome , o piuttosto nel cuore , donde non fu cancellato mai più. Quel desiderio sì acceso elle si mosse in questo fanciullo di comunicare la cono- scenza di Dio anche al padre , e alla madre , è testi- monio ben certo dell' altissima stima che in lui era entrata, della grazia che Dio àvea fatta a lui, del far- glisi finalmente conoscere ì e però , come un acquisto . (3) Monum. Vet. Anliì , p. 11 5. (4) Vedi in fine note all' Insc. 11, 156 ITI. ^ HIC «EQVIKSCIT m SOMNO VkCti FLORA QVAE VIXIT AHN V DI XXVIU DEP * SVB D. 111. ID. AVG. IKD. XV P Q DOiMlNI Ji IVSTINI PP AVG * ANN. II. Roma — ; Fabretti p. 553 , n. 4» » cap. 8. L'una è del io, l'altra degl' ii agosto. Né mi si opponga che 1* anno secondo del Postconsolato di Giustino , se questi fu console l'anno 566, cade tiel 568 , e non nel 56^ j che risponderò, che non potendosi rimuover l' Indizione jcv dall' anno 567 , né essendo cosi facile che sia stato posto xv in Vece di i , o dee leg- gersi anno i , o che 1' autore , anzi gli autori , di questi due epitafi rinchiusero nella somma dei Postconsoldtì l'anno stesso del Consolato, conforme siamo soliti di fare allorché i giorni del mese contiamo per None , Idi y e Calende. Questo metodo tenne \ittore Tun- uonense nella sua Cronaca, come è ben cognito a' dotti, e se tra i cronisti è questo particolat'e di Vittore , potè non esserlo nell' uso di molti , ed in più luoghi .* che io non penso che da Vittore prendessero simil conteggio gli autori di queste due lapidi , non mi persuadendo che la Cronica di costui , morto come si pretende a Costantinopoli 1' anno 566 , fosse già nota e divulgata ia Piemonte 1' anno seguente 567. A quest' antto medesimo 667 , ed alla indizione xv io rapporto la inscrizione seguente di Ottacilia , in cui il Postconsolato di Giustino vi è senza alcuna nota nu- merale , onde esser dee il primo che cade appunto nell' anno suddetto 56^ : IV. OCTACILIA BlDVA BONE MeM ORIAE mkHA. KAL lANVARli vlxSif Ai» KOS PLVS MINVS LXXI t»t . IN PACE V HON 4 AVG .P.C DNI N . IVSTlNI PP . AVG Donat. p. 203. n. 2. * L' asterisco , ovuoque si troverà , indica i cuori impressi negli amichi marmi. Sebbene non sia qui nominata l' indizione , ad altro anno non può appartenere che al sopradetto 56^ , ire cui , come dicea , cade il primo Postconsolalo di Giu- stino. Se ad alcuno recasse difficoltà quel v nonas Augusti , che è il giorno stesso delle calende di detto mese-^ potrà egli leggere iv non. , come che non manchino esempi di si fatte irregolarità. Veggansi le note de* Greci di Corsini (5), osservisi 1' inscrizione Ravennate di Fiorenzo che più sotto recheremo, e vi si leggerà il giorno degl' Idi di settembre chiamato xix Kalend.. Octobris, , Indizione l. Questa Indizione corse sotto Giusliuo dalle calcndé di settembre dell' anno SSjr all' ultimo di agosto del 568. Di quest' ultimo anno dee essere 1' epitafio se- guente (6) ; y. ^ Hie REQVIESCIT IN PlCE 6 . M . HO KORATA CLARISSIMA ET P . F . COWIVNX TZITTANI COM . ET TRIB . QVAE VIXIT m HOC SAEC . ANN . XL . DEPOS . EST SVB D . KAL FEBR . IND . FRIM IMP ET CONS . D . N . IVSTINO PP . AVG j ANNO TERTIO ijj^^ Murai, p. 429. n. 3. Nel febbrajo di quest' anno 568 , e non in altro , sotto' Giustino correa l'Indizione I , ed il terzo anno del consolato dell'Imperatore, come pure il terzo del di lui impero , presane 1' epoca dal novembre del 565. Il Muratori alla pagina 4^8 numero 4 ^^ ^^ questa inscrizione (7) ; (5) Cois. Not. Graec. p. 16 e 6a. (6) Vedi note ali' inscrizione V. IÓ8 VI. HIC REQVIESCIT IN PACE IMPORTVNA * FILIA DIVLUDI ARCARIS QVl VIXIT AMN P L M XVII DEPOSITA SVB DIAE VII KÀL IVJSIAS IMP DN MN IVSTINO EODEM CONS P INDICD PIMA ** Murai, p. 428. n. 4. L' inscrizione è scorretta certamente. Leggerei nelP ullima linea Imperante y o Imperatore Domino nostro Justino eodem consule perpetuo indictione prima. Il settimo delle calende dì giugno, cioè il 26 di maggio, ben combinano eoa l'indizione prima nell'anno 568. j Indizione II. Di questa indizione non mi sono noti monumenti. : Indizione III. L' indizione terza principiò al i." settembre 369, e terminò ai 3o agosto del Sjo. Al primo di novembre dell' anno 669 dee dunque appartenere l' inscrizione di Giustina Abadessa che leggesi nel Muratori (a) t VII. HIC REQVIESCIT IN SOMNO PACIS IVSTINA ABBATISSA FVNDATRIX , SAMCTI LOCI HVIVS QVAE VIXIT PLVS MTNVS ANKOS LXXXV DEPOSITA SVB DIE KALENDARVM NOVEMBRIVM IMP . D N . N . IVSTINO P.P. AVG ANNO III P . C . EIVSDEM INDICTIONE TERTIA Murai, p. 429. n. 3. Questa Inscrizione ci conferma che Giustino prese il (7) Vedi note all' inscrizione VI. (a) INel Donati questa inscrizione è iBcrilla a linee diverse. 1 J«^ consolato nel 566 , giticcliè al primo di iioYenilu-e dell' anno 56^ correa il terzo Posiconsolaio. indizioni; ir. Niun sicuro monumento abbiamo, cb' io mi sappia, di Giustino sotto questa indizione cbe dal i*. settembre 5^0 va all'ultimo di agosto Byi (8). Dico sicuro mo- numento , poiché è assai incerto se nel ix papiro Ira gli stampati dal Marchese Maffel (9) legger debbasi Indictione quarta , o quinta. Il Marchese pretende che nel papiro leggasi veramente quarta, e che solo per inesperienza di chi ne copiò i primi versi e mandoUì a Monsignor della Torre, l'indizione siasi mutata in quinta. Essendo però quel papiro , or Vaticano , lacero alquanto in quel luogo, potè forse dare occasione a chi fece la suddetta copia di legger quinta , siccome ad altri che lo hanno veduto è sembrato che dica (io). Comunque però sia , se nel papiro bassi a legger quarta , il Cancelliere Giovanni che lo stese , errò ne' suoi cai- colf, e contò male gli anni dell'Impero del suo padrone; g^iacchè nell' indizione quarta ai 3 di giugno correa il sesto anno , e non il settimo dell'Impero di Giustino» e hen ne conviene II Matfei. Questo papiro per altro , le cui prime righe dicono 'VIU. ce Imp. d. u lustino pp Augusto anno septimo , et pc ejus secando anuo quarto , sub d. tertio nonarum juniarum Indictione quarta » Maffei Slor. Dijil. p. i53. questo papiro , dico , ci dee esser caro , per esser uno de' documenti che ci attestano un secondo Postconsoldtoi di Giustino , che altre due Inscrizioni Ravennati da (8) Si cita una lapida di Leano in cui si legge «Laurea- lìus Dep. S, D. IIII nonas julii PC. D. N. lasiini PP. Aug. an. VI Ind. UH. " Se questa è sincera sarà ut) monumealo speltanle alla Indizione IV, e «adrà ai 3 luglio 5ji. (9) Stor. Diplom. p. i6'3. (io) Sono assicurato, rlie nel papiro si Jegg^ Indizione V , «d il Cancelliere avrà Ina calcolalo. i6o recarsi tra poco ci confermano , e fissano questo secondo processo consolare all'anno 56^: sono però da esami- narsi le note cronologlclie : l' indizione dovrebbe esser quinta , siccome ha avvertito il Maffei , opera citata , pagina i64* INDIZIOUftC V. Più copiosa di monumenti si è questa Indizione , e primamente le si appartiene la Capuana del Vescovo Subiao IX, VIR BEATISS MVS . BOBIMUS EPISC ' SEDIT ANN . I . MENS Villi DIES lUI . DEPOSITVS SVB DIE mi KAL SEPTEMBRES . IMP . D . K IVSTINO ANNO VII P.C, EIVS PEM ANNO V INDICI ONE QVlMTA Murai, p. 43o. n. a. Se non che quest' anno V del Postconsolato ai 20 (EÌì agosto dell' anno 5^2 , che è il giorno della deposi- zione di Bobino , ra' impiccia un poco. In detto anno e giorno correr dovea l' anno VI del Postconsolato di Giustino , e non il V z laonde io penso che legger si debba anno VI , sfuggita 1' unità al quadratario , o al copist^a , o a chi che sia , tanto piìi facilmente che la voce Indictione comincia dall' I, In secondo luogo de' 18 ottobre, e dell'anno Syi ia cui principiò al settembre 1' indizione V , dee riferirsi l' inscrizione seguente , come che non si notino in essa pè gli anni dell' impero di Giustino , né quei del di luì Postconsolato, X. ^ me REQVIESCI T JN PACE MAVRE STIVS VI QVI VIXl x6i BEPOSITVS EST Xf KAL . NOVEMB. IND . V . P.C . D IVS TINI IMP ^ Donai, p. 3o3. n. 4- Novell. Lett> Fior. an. 1765. col. 11 In terzo luogo anche questa Ravennate , in cui sì legge XI. HIC REQVIESCIT IN PACE FAVSTINVS (a) ve Q VIXIT ANN PL M Lini DEP061T EST SVB D PRID KAL MAI IND V IMP DN IVSTINO PP , A. Murai, p. 4o3. n. 3. appartiene a questa Indizione , e ai 3o di aprile dell anno 5^2 che era il settimo dell' impero di Giustino ; e poiché i Ravennati usavano 1' epoca del di lui secon- do Postcons alato , sarà il V dello stesso, Indizione; VI. A questa VI Indizione , che principiata nel settembre del 5^2, terminò coli' agosto del 5y3 ,* io credp dover riferire la seguente inscrizione 1 XII. HIC REQVIESCIT IN PACE B . M CYPRIANVS QVI VIXIT IN HOC SAECVLO ANNOS P . M . XXXIIII PEP , SVB , D . VII . KAL OCTOB . IND V (a) Questa inscrizione è pure stampala nelle Nov. Fior, tom. U. col. a65. n, XIV. ivi alla linea terza si leg{;e ve NtM . scRN . Av . MI , linea l\. qyi vixit. lin. 6 manca la nota dell' iadiiìoue, 102 POST CON . D . K . IVSTIKI P.P. AVG AHN . VI HIC REQVIESCIT IH PACE B . M VIGILIA FILI A SS . CYPRI VIXIT AMNO Esistente in Leono. Mandatami anno in cui Giustino ai IO dicembre correndo l'Indizione Vili avea già principiato il decimo anno del suo Impero , ed era per terminare col mese 1' anno settimo del di lui se- condo Postconsolato contando dall' anno 667 (i 5) . La seconda delle mentovate lapidi Ravennati cosi dice : ( 1 6) XIV. HIC REQVIESCVNT IN PACE FLORENTIVS PATER PISTORVM REGIS THEOUORICI QVI VIXIT ANN P . L, . AI LXXII . DEPOSITVS EST SVB D . NON . OCT . IND . V . SEPTIENS P.C. BASILII IVN . V . C . ET CONIVX EIVS DOMINICA RI QVAE VIXIT ANN . P . L . M . LXVIII DEPOSITA EST SVB D . XIX KAL. OCT IND III SECVN P . C . D . N . IVSTINX P.P. AVG . A . m SIMVLQ . ET FILIVS EORVM APOLLENARIS CANCELL . PRE LONGINI QVI VIXIT ANN P . L . M . IXXV DEPOSITVS EST SVB D . VI . ID . IVN . I?JD Vili P C . SECVNDO D . N . IVSTINl PP . AVG ANNO Vili. Nov. Fior, T. XI. col. 666, .iniio i^So. (i.^) Ve<3i noie Ull' Inscrizione xiii. (i5) Marini. Moniun. Aryal. p. 4^3. i64 Comiaclo dall' ultimo de' tré defunti nominati in que- sta inscrizione , cioè da Apollinare , le cui note crono» logiche riguardanti la di lui sepoltura ci danno l' indi- zione Vili corrente agli 8 di giugno e 1' anno ottavo del secondo Postconsolato di Giustino , e tutto combina con 1' anno 5^5. Si vuol anche osservare in questa lapide il giorno della sepoltura di Domenica madre di Apollinare , suc- ceduta d. XIX Kal. oct. Ind. HI. Secando P C. D. N, Justini PP. Aug. A. III. L' indizione III. correa , sic- come abbiamo detto , dal settembre del Sòg sino ali* ultimo di agosto del Syo. Fu dunque seppellita Dome- nica ai XIX delle calende di ottobre ( i3 settembre) dell'anno 5ò"g. In quest'anno però Giustino alU 19 delle calende suddette , non era entrato nel terzo anno del secondo suo Postconsolato : o vuol dunque leggersi Indizione ly , e Domenica sark stata sepolta nel S^o,. oppure sminuire d' una unità il Postconsolato e leggere anno III qualora non si amasse meglio seguire il me- todo Vittoriano , il che io non così facilmente m' in- duco a credere praticato sulle lapidi. Della sepoltura di Fiorenzo, che non riguarda l'Im- pero di Giustino, dirò nelle note (\6) . Queste due lapidi ci parlano cosi chiaro di un se- condo Postconsolato di Giustino che nulla più, ed in quest' ultima rammentasi ben due volte. A queste ag- giungasi il papiro Ravennate, Vaticano, ed il testamento di Mannane (17) e noi avremo testimonianze più che bastanti , se non ra' inganno , per asserire che Giustino procedette una seconda volta console. Di quest' epoca sembra che si'ansi dilettati i Ravennati , poiché , per quanto mi è noto , non in aljre lapidi essa s' incontra che nelle loro. Né meno chiaro mi sembra che questo secondo pro- cesso consolare sia stato fatto da Giustino l'anno 667, a tal epoca obbligandoci le note cronologiche de' sud- (16) Vedi note all'Inscrizione xiv. (17) Marini Monum. Arval, p. 4ersale nel secolo XI it e xiy, e per la metà ancora del xv. Sompnus trovasi nell' antichissimo Codice Vali- cano delle Filippiche di Cicerone (2) . Dopo il pp. leggasi Ava sfuggito al quadratario o al copista, jaSCRIZZONE V, V. F. leggo Piissima faemina. Linea a. COM.ET.TRIB. Coviitis et Tribuni è la lezione Linea 3. che naturalmctìite ci si presenta di queste sigle , o principi di voci. Ma di qual Comitiva fosse costui , e di che Tribuno non ci si è voluto far sapere. Non dee esser Tribuno militare per quanto sospetto j e la prima voce tronca supplir si potrebbe altri- menti , leggendo cioè Comitiaci , impiego di cui Cassiodoro ci ha data la forinola usata nel confe- rirsi (3) . Nei papiri stampati nella Storia Diplo- niatica del Marchese Maffei al n. viii leggesi Co- stamina Comitiaco , e nel xvi Mauro Cam. , che può ben essere anch' egli Comitiaco. INSCRIZIONE VI. ArcAris : leggerei Arcarli anzi che ex Arcaris , Lìnea 1, come sospettò il Marini nei Monumenti Arvalici p. 297 j che i Latini dissero Arcarius , e non Ar- earus. INSCRIZIONE XIII. II Muratori , se ben mi ricordo (4), lesse Tur- Llat» i. bante sco Martino. Io stimerei che dovesse leg- (1) Tromb. Arie di conoscer li codici cap. 19 p. io5> (3) Marini loscrjz. Albane p. i4a. (3) C^ssiod. Variar, lib. 7, u. 3i. (4) Muiat. p. 3004. D. I. id8 gersi /ubante o Jtiwante sco Martino ; ctie nort mi persuado che >S. Marlìno , di cui un famoso leiii- pio v'ebbe io Ravenna < fabbricato dal Re Teode- rico , comparisse a Principio ia qualche noUurnii visione a turbargli il sonno e ad avvertirlo di ri- porre il padre e la madre iil un più nobile se-> polcro. Lo scarso tesoro di Princìpio non gli permet- teva forse di farlo , siccome desiderava : ricorse a S. Martino , e comunque fosse , ebbe il denaro a ciò bisognevole « e comprò un' arca che dovette essere non ispregevole se costo soldi xxvi , sic- come dicesi alla linea 3." Se questi soldi erano del regnante Giustino che batte al fino di 24 caratti , in peso di denari 3 , gr. 18 , ossia grani go , la somma corrisponderebbe a scudi romani ^o circa. Ma chi può assicurare che fossero di Giustino ? In due papiri Maffeiani num. x e xi , ove si parla di soldi pagati o da pagarsi , sono detti Solidi Domi- nici optimi f Solidi Dominici obriziaci optimi : questa voce Dominici , per cui forse intendeanst le monete del Principe regnante , non è aggiunta ai soldi da Principio pagati ; ma non per questoi deciderei che non potessero essere di Giustino. Linea 4* paremtibvs meis, volea dire Parenttim meorunti Linea 5. Sospetto che invece di Aria legger debbasi ArCOt CONDIVI , leggo condidi. Linea 10 diaè invece di Die si legge pure nella iscrizione! VI : nou sono questi i primi esempi di si fatto spro' posilo. lifiCÈIZIOl^fE XI)^. Linea a. pater jiStorVm. Il Lami ed il Migliore , ctid stamparono questa lapide , vollero che Pater Pi- storum fosse in luogo di Praefectus ; ma forstf meglio sarà prenderlo per Praepositus , poiché trovasi in un papiro Vaticano questo stesso Fio- renzo detto ora Ex pp. Pistor. ed ora Ex ppo Pistorum : che si parli dello stesso Florenzioi sembra non inverosimile conghieltura (5). Ma questo non interessa la spiegazione della vocs ($) Mario, monuiln. Arv. p. 296, 169 Pater. Perchè poi il Capo de' Fornai del Re Teodorico forse detto Pater, anzi che Praejec- ttts , o se si vuole Praeposilus, io non saprei dirlo. Quello che da questa inscrizione ci si fa mani- festo, si è che nella corte di Teodorico v'avea un corpo di fornai addetti alia medesima ; usan- za amica presso dei Re quanto antico è il Fa- raone Re d'Egitto , che regnava ai tempi di Giu- seppe , sia ef^li stato Thusimares ventesimo Re di Tanis o Ramesse Tubaete che fu il ventesl- moterzo , come si pretende. Leggiamo nella di- vina Genesi al e. l\o. v. 3 , che Faraone fece porre in carcere il Maestro de' Fornai (^Magi- ster Pislorum dicesi al v. i6 e Princeps al v. 20 ). Questi Pistores di Faraone, più antichi cer- tamente che non le fantesche di Alcinoo e di Laerte, rammentate da Omero nell'Odissea lib. n. V. io3 e lib. 20. v. 10^ come destinati a fare li pane nell' una e nell' altra corte , questi Pi- stores dico mostrano , che i Fornai non furono così recenti conforme alcuni sonosi immaginati. E ben vero che questi antichi Pistores, quegli almeno di Faraone, doveano aver più larghe in- combenze , che non quella del semplice pane j leggendo noi nel citalo capo ^o. v. l'j che il più alto dei tre canestri , che costui sognossi di portare in capo , contenea omnes cibos , qui fiunt arte pisloria : probabilmente saranno state paste d' ogni maniera, torte, focaccie , ed altre si- mili (fi). Ne i soli Re , ma le persone ancora di rango e condizione vollero avere il particolare loro Pistor , e s' ebbe a vile il pigliare il pane da' pubblici venditori. Cosi troviamo in una la- pide Fausltts Marcellae Panili Pistor ; e Cice- rone nella Pisoniana rinfaccia , non so se a Pi- sone , o ad altri , Pistor domi nullus , nulla cella, panis et vinum a propola , atque de Cupa. IMD. V. Questa quinta Indizione non combina Linea 4' col settimo Posiconsolato di Basilio il giovine che cade nel 548: in quest'anno l'Indizione era XI. Basilio fu console Panno 54 > Dell'Indizione (6) Pìgnorio de Servii e. 8< 11 IV , nel seguente , cioè 1' anno 5^1 fu la v. che nel corso de' Postconsolati di costui ricorse l'an- no 557 , che era il decitnosesto Postconsolato. Se r errore stia più nella indizione che nell' aa- no del Postconsolato io non saprei deciderlo ; ma sembra più probabile che in questa lapida siasi più facilmente errato nella prima. Linea 6. dominicA. ri Cosa dir vogliasi questa sigla ri dirò chiaro di non saperlo. Se per avventura l'originale avesse re spiegherei allora Religiosa jfaemina , e conghietturerei che Z?omenica morto il marito , a cui più anni sopravvisse siccome è chiaro , si fosse consecrata a Dio tra le Vedove con pubblico volo di castità. Linea 10. cAncell. pre. longini. Il Prefetto Longino, di cui Apollinare fu Cancelliere , e il primo degli Esarchi mandati da Giustino 11 in Italia , e re- sidente in Ravenna , come i di lui successori, r anno 56B. Questi Esarchi presero anche il ti- tolo di Prefetti jSthhene più comunemente si chia- massero col primo nome di Esarchi, i J7I k SULLA PREDICAZIONE. Lettera 3. e 4- ( Vedi Fascic. 4- ) Caro mio Don Fidelmo. B, *uoa tempo è che voi siete tutto nello studio della Bibbia e de' Santi Padri; e però qui vi piacerebbe far tre- gua, e scorrere invece alquanti de' Retori di cui abbia- mo dovizia. Al che io non facontra ; anzi ho caro che nella carriera di questi vostri studi di sacra eloquenza non andiate cosi per le lunghe, che vogliate prima esser vecchio, che oratore. Vorrei solo che non lasciaste anda- re quella buona voglia di storia ecclesiastica che latito vi stava a cuore quando lutto pazienza attendevate al Diritto Canonico, e questo vorrei faceste prima che il grillo della mocla poni che anche questa storia ci ven- ga stemperata in romanzesco acquarello. Del resto iodico che fate gran senno se tornate alla pastura de' rettorìci prati. Imperciocché vel sapete voi bene se in buona co- scienza possa dirsi apparare retlorica quell' uccellare parolette che fa il giovane nelle scuole, vuoto per anco d'o- gni sapere. E deplorare questo costume parebbe poco , se per giunta alla derrata vi fosse tocco a mastro uno di quegli ometti , i quali tengono per modo del tutto barbaro dar traccie dallo scritto o a voce a' giovani inesperti , e gridano con quanto ne hanno in gola , che a non formare de' pedanti, voglionsi cogliere all' iraprov- vista , e lasciarli operare di proprio capo, quasi che volessero questi bacalari emulare quel nuovo capriccio di certa balia, la quale volea , che i bamboli tutlor ■vacillanti si lasciassero a sé nudi di frontaletto , affin- chè a forza di battere del visino sul terreno diventasse- ro novelli Antei. Ma il fatto è che con si bello e spe- dilo metodo, enunciato che sia il tema da lavorare, veggonsi per la più parte correre i giovani come cani all' osso, ad afTerrare chi bene o male discorso abbia in quella materia , e copiare. Se poi fra la turba degli scolari sia alcuno di elevato ingegno , questi pon mano al lavoro a lese gole, quasi abbia a giitare bocce di saponata , e là si lancia colla furia di sesquipedali parole, ove non può il poverino per via di salde rHgio- ni. Di qui vengono quegli oraicruzzi imberbi , ì quali riponendo l'eloquenza nello schiamazzo, e nella velocità delle parole , sentonsi tanto gonfiare e sospingere d^ll' aura popolare. Manco male che pi r decoro della sacra eloquenza , e della buona letteratura possiamo augurare delle opere di costoro, come già il Menzini de' callivi scritti , che come a' di nostri veniano jfin luce a furia : Prima che '1 suo sciillor lo scritto muore, E per lui cieca notte si costipa , Le barche del salame aspetta in ripa .... Ci) "Voi intanto, a cui non è toccato a mastro un tal ciro.i d' uomo, da fare pedanteria quello che per gli antichi stessi pedanti non è, e che già fatio avete qualche teso- ro di sacro e profano sapere da trovare la materia al soggetto, onde riuscire, come a Dio piaccia, oratore d'un fare che sia vostro, leggete ne' relori nostri, che troverete con poco disagio quello di cui non intendeva- te cica allorché vi ci stillavate alioino il cervelloj legge- te, e dopo Aristotile, il Trattato del sublime, vedrete in Cicerone, in Quintiliano, nel Cavalcann , nelle Gior- nate del Corticelli , nelle Poetiche del Muratori , del Gravina, e del Zanetti, nelle prose del Parini , nel Biamonti , nell' Ab. Colombo, e nella Elocuzione del Costa , vedrete dico, tutto che fu di mano in mano ri- cantato e rifuso dai Batteux, dai Blair , dagli Schlegel j gente che noi abbiamo in pregio più per quella male- detta nostra abitualità di esser ligii delle cose straniere , che per bisogno. Ora nell'intraprendere che farete questa lettura di in- slitutori avete a parere un viaggiatore, il quale per la prima volta mette pie fuori dell' umil silo , dove si (i) Art. poet. 1. X. nacque. Perchè , come avrannovi fallo scorta a meglio conoscere que' tanii Ialini autori , al cui solo esem- pio voleavi conformato quel buon vecchio francese del Decolonia ( che nel fervore attuale di letteratura ita- liana non so con che gloria possa più militare), vi avverrete nplla copia di tanti nostri classici per ogni maniera di bene scrivere j sarà a voi un incanto, e scop- pierete insieme di sdegno contro la barbarie o l'raperi- zia di coloro , per cui vi stettero occulte tante bellezze. Fra i tanti Relori che vi lio dissopra infilzato da leggicchiare, mi è uscito di penna un nome, che cerio vi saprà duro all'orecchio, voglio dire lo Schlegel, maestro della scuola romantica , di cui vi feste inteso allorché Monti le tonò contro con la memoranda can- zone , Audace Scuola boreal ... Il che io ho fatto perchè se ben vediamo, pigliano maschera di romantici pur gli oratori. I quali a fare ritratto del cuore umanO ne' loro sermoni, secondo essi, fa mestieri che «i. af- fastellino disparati oggetti, confusione perpetua, Irascu- raggine di perfezione (che impresa!), tanto che l'u- ditore tocchi con mano, essere uffizio come della poesia romantica, cosi della predicazione, dare delle graudi scosse , e nulla piìi. Ora per vedere se questa fog/;fa di arringare vada di buon portante, voi vi porrele di costa le dottrine dello Schlegel come a un dipresso fareste ( se può valere il paragone ) per discerriere i caratteri della Religione Cristiana posti a confronto con quei del Maometismo , del Paganesimo, e va dicendo. Per cotal modo potrete di leggieri vedere per voi medesimo il fatto vostro , fer- mo in quel documento quanto esaltato a di nostri , tanto nien seguito , di non isiar&i cioè alla cieca all' autorità degli uomini. Ma io , affinchè in un affare di tanto rilievo , nóa vi troviate del tutto inerme in faccia al nemico, vo' qui prevenirvi. Pertanto son io certo che non altro essen- do la rettorica , che una imitazione della natura, voi non toglierete ad imitar quella a chiusi occhi: che, come dice Tullio, a procedere con debita convenienza 174 in ogni Cosa, e però anche nella eloquenza, la natura dà mano all'arte. Oninique in re posse quod deceat face- re , artis et naturae est ( De orat. lib. 3 ). Ma se in- tanto, dico io, vedrete che altri buccinando all' impaz- zata , pur afFolla a gran torme la gente , e coglie plauso più di un esperto cerretano, come farete a non pregia- re quella malta scuola e a non provarvi anche voi a quel galoppo di predicare? Tanto più se fra l'estasi femminile di quel concorso sederà ivi alcuna di quelle persone, che spendonsi fra noi per sapute? Qui è dove Toglio vi armiate di buona critica ; e vedrete in prima se la gente trae là vinta dal prestigio, con che il dici- tore porge i suoi sermoni, che questo prestigio , a detta di Cicerone, è di tal peso che ove manchi, anche l'o- rator sommo, non appare uora di gran conto j laddove chi ne è fornito, per mediocre eh' e' sia, porta sovra tuui corona. Di più a questo magico valore arrendonsi , non che gì' imperili , il popolo sibbene , gli stessi barbari (De orat.)- E già per un'udienza popolare la cosa che vada più a sangue consiste in questo , che l'oratore tenga alcun poco dell'energumeno e arruoli rapido l'orazione come mulino: talché l'idiota men vale, più presume; e meti intende, più ammira. Sicché tornano a proposito i versi del Gozzi , di cui poi vi trascriverò a pie di pagina 1' intero sermone per non mandare il tomo con tanto iticomodo della Posta : « Vanno « In calca ascoltatori ove s' in6ora « Con lisciato parlar pensier sottile ce E sofistiche prove , e dove meno « S'intende, e dove più s'esce del vero, ce Ivi , oh buono ! si grida , oh maraviglia ! ce Qual dotto ingegno ! qual favella d' oro ! E giacché siamo in allegare autorità , togliete pur questa del Dottor S. Girolamo, che vi so dire, che mentre porge al suo Nepoziano di bei precetti sul modo di predicare , ribadisce il chiodo sul conto di che trat- tiamo: ce Docente te in Ecclesia, non clamor populi , ce sed gemitus suscitetur. Lacrymae audiiorum laudes 175 « luae sint : serrao praesbyteri scrìpturarum leclione « condiius sii. Nolo te declamatoreQi esse, et rabulam , « garrulumque sine lalione, sed mysteriorum perituia « et sacrameatorum Dei lui eruditìssituum. Verba vol- te vere, et celeritate dicendi apud inipeiitum vulgus ad « miratìonetn sui fiicere , indoctorum bominum est. « Attrita frons , inlerpretatur saepe quod nescit : et cura « aliis persuaserit j sibi quoque usurpat scientiam .... « INihil tara facile, quatu \ilem plebeculam , et iadoctam •t concionem , linguae volubililate decipere , quae quid» et quid non intelligit, plus miratur. jj ( Ep. ad Nep. ) Ma però, per quanto dare si voglia all'azione del dicitore, per niun conto potremo noi starci contenti a questa sola, noi che trattiamo sul pergamo di cose tutte celesti, a persuadere le quali non è mai , die altri s in- sinui neir animo di chi ascolta per vie men decorose , e men rette. Onde a questa fatta di tempestosi predi- catori piuttosto che fare buon viso , direte con piìi di rigore quello che Cicerone diceva a tulli coloro , a cui al parer suo stava meglio il nome di aratori , che di oratori , malim eqiddem indisertam prudentiam , quam stultitiam loquaceni. ( De Orai. 1. 3. ) Per la qual cosa se voi giudicate della bravura del dicitore non più che dal numeroso concorso, converrà dire, esser tutto vangelo le frottole che ti snocciolano i giocolieri quando fiinnosi intorno gran pressa affine di pigliarla al prestigio di lor pallotole , o impaniarla co' lor cataplasmi. Oltreché leggiamo dell' Orchi , del Barletta, del Sas- setti, del Gorla e di piìi altri secentisti oratori, come erano tanti Orfei , e per poco traevano a se le pietre , non che la gente j nel mentre che Segneri se la facea con poca udienza per questo principalmente , come os- serva il Tiraboschi , che a lui non piaceva slargarsi tanto dal lido , da naufragare in quel tempestato mar di eloquenza. Che direm noi ? Che il gusto de' Secen- tisti fosse buono ? Che a buon diritto si tenesse in mag- gior conto Orchi e la sua scuola , che non il Segneri ? fi quanto al dire che a questa strepitosa predicazione vi ì'j6 stia in orecchli tale che noa è plebe , io vi rispondo che ben veggiate se quanto un tal Aristarco è pieno di sapere , tanto sìa fino dell' odorato. Questa cosa io dico , perchè da che fa ritorno a noi la classica lelteraiura , uditori colli e ben avvezzi al bello scrivere, non possono essere né molti, né di moha età. Onde è che in fallo di eloquenza se ne odono 'n\[o giorno di madornali , anche de persone per altro ;ìu .ile, e anche dell'arte, se vo- late di più. Togliete questa per cento : Non è guari che un di costoro proponeva a modello di sacra eloquenza ( a un dipresso come ficeva Orazio de' Greci esemplari ) le opere del nostro Palmieri. Vedete se si polca spararne due più tonde legale in una ! Che ha che fare quel ge- nere di dire, onde altri o dimostra per via di nude ragioni , o tutto frizzi si va bizzicaudo a tu per tu con altrui ? Che ha che far col forte siile , con che 1' apostolico oratore tuona ed agita santamente gli animi di una folta e ondeggiante piena di fedeli ? E poi , chi più oserà por- re innanzi per italiano il Palmieri , con quel suo per- petuo singhiozzar di periodi , e con forme tutte francesi? E quasi che a fermare Ira noi Lo brutto stile che ci fa disdoro , ciò fosse niente, io so di certo altro di questa mena, il quale veggendosi proporre le opere fiacre del P. Cesari, forte garriva , e facendo tìshccìo da impazzato, allegava per tulla pruova, come il Cesari balbetta e non s' intende. Che vuoi tu farvi ? Lasciali star col lor malanno in pace. ( Orazio trad. del Pagnini Sat. i ). Se poi vi ho posto innanzi una filza di Retori uà po' lunghetta, non mi abbiale cotanto indiscreto, che voglia che per intero ve li divoriate. Non intendo io ciò , anzi se non volete aizzarvi di molli cani alla co- da, non ne fate motto per cosa che sia. Non vorrei per altro, ch'entraste nell'umore di certuni, secondo i quali l'arte nel comporre non ci ha che fare, e tutta la soma dee riuscire sulla schiena della sbrigliata na- tura^ de' quali scapestrati dlcea bene quel buon filosofo e poeta del Mascheroni: i '77 « Or salpa a vele gonfie dalla riva « L' oralor grandej e vuoto di tesoro, « E sol di vento pieno in porto arriva. » (Sermone sulla falsa Eloq. del Pulpito. ) Del resto se con ciò non paresse farla da saputo cosi per poco, verrei qui adducendo autorità a piene mani cavale da proposti maestri , e vi chiariresle del mio pensare in fitto di precetti retlorici , e di leggieri vi fareste ac- corto , come io tulio l'utile delParie oratoria fo consi- stere in questo, che essa risvegli e moderi con belli esempi la vera eloquenza, del cui fuoco ogni animo, che romantico non sia, avvampa di sua natura. Direi in somma, che ove al sacro oratore vada compagna la santità de' costumi, riesce egli cosa divina ne' subjetti , su cui a solo fine di persuadere prende ad aringare. E questo non solo perchè, come inspgna Aristotele per tutti i maestri , quel buon odore che manda di se il dicitore sia valevole prova sui cuore di chi ascolla; ma perchè, più siete buono, più sentite, e meglio sponete Je bellezze, e la santità degli argomenti , di che trat- tate. E questa è poi dote che le vai tutte, e che io prego nostro Signore Iddio, che in voi mantenga illibala, si per hen dei fedeli a cui verrete spedilo, che a vero conlento delle vostre fatiche. Addio. Sermone del Conte Gàspabo Gozzi a frate Filippo di Firenze Cappuccino Predicatore , Siila Elo- quenza sacra. Quanti anni son , che il Boccadoro scrisse Questo de' tempi suoi ! Vengono i nostri Cristiani ad udir prediche e sermoni , Non per dar vita e nutrimento all'alma, Ma per diletto , e giudicar di noi Come di suonatori e recitanti. Lun^o giro di cielo e corso d' anni Portò di nuovo 9 noi quel tempo. Vanno In calca ascoltatori ove s' infiora Con lisciato parlar pensier sottile i;8 E soGsliche prove, e dove meno S'intende, e dove più s' esce del vero. Ivi, oh buono! si grida, oh maraviglia! Qual dotto ingegno ! qual favella d' oro ! Tal, Filippo, è il costume. Oh quante volte Tra le vote pareli ed agi' ignudi Scanni udii favellar maschia eloquenza , A cui madre è la Bibbia , il Vangel padre ! Allora io dissi: somigliante io voglio A tal padri la figlia ^ e se alla mente Me la presento quasi viva donna , Tal la immagino in core : una bellezza Di grave aspetto, che con l'occhio forte Mira e comanda, maestà di vesti Massicce ha indosso , e fornimenti sprezza , Altri che d' oro e solido diamante. Chi creder mi farà che dove io veggo Viso con liscio , occhi sfacciati , vesti Di frastagli ripiene , alchimia , ed atti Di scorretta fanciulla , io creda mai Ch'ivi la figlia del Vangel si trovi? Quella che teco tu conduci , è dessa La vera prole; e se non vedi in calca Genti a mirarla , perciò appunto è dessa. Fuggela il peccator che in odio ha il vero , E da quel sacro favellar sen fugge , Che mai non esce d'argomento, e batte Come sodo martello in umau petto , Tendendo sino al fin sempre ad un punto. Sai tu che chiedon gli uditori ? poca Morale , e in quello scambio , intelligenza Di botanica è meglio, o notomla , Che fuori del Vangel porti sovente Chi parla, e il core all'uditor sollevi. La pittura anche giova ; e se ragiona Di bosco o monte, è ben che ad una ad una Le querce l'orator dipinga e i rami, E degli augelli il leggiadrelto piede Che per quegli saltella ; orride balze , '79 Macigni duri , e torbido torrente Che fra dirupi impetuoso caschi. Giungavi r invettiva , e furioso li santo legno, su cui Cristo pende. Con 1' una mano veemente aggrappi , Con l'altra il berrettino si scontorca, Gridi, singhiozzi, ed a vicenda mandi Fuori or voce di toro , or di zanzara. Allora udrai fra gli uditori tosse Universale ; ognun si spurga e sputa , E forte applude col polmone a questa Eloquenza di timpano e campana. Qual frutto poi ? pieni i sedili , pieni I borsellini che insolente canna Fa suonar negli orecchi agli ascoltanti. E r alme ? vote vanno al tempio , e fuori Escoa piene di vento e di parole. O Padri santi, s'io voi leggo, tali Però non vi ritrovo. Al tuo somiglia Lor pensiero e lo slìl. Saggia morale Tratta fuor dalie viscere più interne Dell' uom , e vera. Se Basilio sgrida L'usuraio o P iroso, io veggo tosto lu' avarizia dipinta , e gli artifizj , Di cui si serve a trar fruito dell' oro Che a ragione portar frutto non puote. Fa dell'ira pittura? eccoti innanzi II furor dell' irato , il labbro gonfio , Le ginocchia tremanti , e mille effetti Che mostran la pazzia di chi s' adira. Ferma le prove sue con la parola Di Dio, ma non la trae con le tenaglie A quel che vuole : anzi ad un corpo nato Sembra il suo dir col favellar divino. Parla di Dio ? nella sua lingua vedi Il verace Signor che il mondo tutto Tieue in sua destra come gran di polve. Ecco Dio, dico, è tale j e l'alma ho piena D' un sacro orror eh' è riverenza e spem e : i8o Questa è sacra eloquenza. Io tal la chieggo , Filippo, e f;rido: in te la trovo, e lodo Te ancor , lodando della Cliiesa i Padri. Al Medesimo. Non ostante la nostra parsimonia in fatto di rettorie? precetti, di cui abbiamo fatto parola; io non vorrei però die tanto si desse alla natura, e agli eseinpj dei provetti oratori , che anche voi senza avvedervene , to- glieste ad imitare là dove è bene spesso difetto. Perchè, oltre a quel tanto che quh e colà per noi si è detto su questo conto, vop;liarao ora di proposito parlare di due «iodi oratorj molto in uso, e quanto a me, molto di- fettosi. Del sentire che facciamo tutto di da' nostri pergami J medesimi argomenti , e le medpisime proposizioni , do- vete ora coDoscere la ragione meglio che allora , quando me ne pittaste così un motto, non so più dove, tro- vando voi , come tulli che tengono questo siile sono per la pili parte di quelli che accinsersi a predicare senza jl debito studio , e però trovansi astretti ad essere nulla più, che plai;iarj ; e manco male se ciò solo avvenisse nelle proposizioni j ma voi che prima di architettare un lavoro vorrete riuscir bene a dentro della materia , non durerete fatica a porci innanzi sempre di belle cose e in sempre nnovo e dicevole aspetto. Quindi non della proposizione, che per voi noi porla il bisogno; ma del dividere la proposizione, vo prima dir che ne penso. Nel che forte peccano per mio avviso i sacri oratori : imperocché non Ira- contenti di questa dividere ove essa abbia piìi capi , e lasciarla quando la è sola; scostatisi dall'* usanza degli antichi maestri Demostene, Cicerone, Segneri , tolsero ad imitare i francesi oratori , e alle divisioni aggiun- sero suddivisioni. Sicché il più degli Italiani , in cam- bio di cercare negli antichi i veri pregi dell'eloquenza C cosa che non trascurarono i Francesi) sonosi fatti pe- disequi a costoro in quello solo, che io più che pre- gio, inchinerei a dire difetto non piccolo. i8i E certo è tale l'abuso delle suddivisioni , che io an- ziché seguitar quelle , verrei nel parere dell' eloquente Fenelon , il quale riprovava per poco ogni uso affatto di divisioni. Jmperocchò, oltre che con questa foggia di partire e ri p:ulire stendonsi trattali soohislici , l'ora- tore souopresi ogni artifizio , e quindi volendo far pompa di filato discorso, snerva se slesso, *■ la mente dell' udi- tore. Fa come ^\l\ gli scrittori tesitrali , i quali con que' loro prologhi nel mentre che annunziavano quel che vo- levano dire, toglievano ogni sorpresa dall'animo allo spettatore. Nel che corriamo forte risico , che ove cosi sulle prime non quadrino a pieno le nostre proposte, ci alieniamo quei medesimi che da bel principio ci stu- diamo di cattivarci; quando in vece tenendoci alquanto sui generali, potremmo quindi bel bello tanto insinuarci, che gli uditori vengano dalla nostra di buona voglia. Di più, se quesl' occultare l'artificio è bello per ogni produzione letteraria, per Ja sacra eloquenza è pruprio di grande efBcacia j per essa dico, la qu^le ha per le roani soggetti detti e ridelti le tante volte : perchè va- lersene è assai migliore parlilo , che non quel masche- rare il soggetto , e scambiando , a cagion d' esempio, più per vezzo puerile, che per ragione, il giglio in palma a quel tal santo, o celebrandosi egli vissuto in terra puro spirito, chi fu veduto nposlolizzare la gente ia forma di chi mangia e veste panno quale ognuno di noi. I quali giuochetti bellamenie riconducono nel con- tagio di quel bizzarro secolo « che al tempo de' no- ce stri padri ( a dirvela con le parole del Salvini ) aveva <« infestato l'arte de' Panegirici, che quel santo che si €« pigliava a lodare, chi un Core, e tale un' aquila, e « quale un sole , e altri una colonna il facevano. 33 (Pros. Tose. Lez. 16 ) . Ma io ho un bel dire contro a questa spezzata parti- zione del discorso, se voi intanto tenete per cosa da sensato oratore dissertar di proposilo contro agli incre- duli , coi quali si vuole farla eoa posato discorso , e ■uda ragione, come nuda da ogni ingombro vuol esser la spada di chi passa a combattere a corpo a corpo. i8i V intendo j vorreste dunque dirmi , die almeno in co- testi casi tornerebbero assai bene le suddivisioni. Ma io bandisco la croce contro a que' buoni uomini, i quali dal pulpito si accapigliano con gì' increduli. E udite perchè: gl'increduli contro cui tuona l'oratore, incre- duli sono teoretici , o pratici ; ovvero a parlare la lingua d'ogni cristiano 5 increduli sono per vizio d'intelletto, o per corruzione di cuore. I primi son quelli che par- lano o scrivono contro la religiooe nostra con qualche apparenza di ragionare , e sono i meno. Ora voi la pi- gliate con costoro che non vengono ad udirvi , o caso che venghino ci vuole altro tempo a tanta lite che l'ora scarsa che a voi dato è di parlare da per voi solo. Deh ! se il cielo vi ha dato di accoppiare la ragione allo zelo , sfidateli a tenzonare in libera accademia , o stampate le vostre confutazioni , se pur siete da tanto da potere avvalorare vieppiù le tante apologie della ss. nostra religione. Quanto alla seconda specie d'increduli, a quei cioè che tali sono per corruzione di cuore , voi perdete il sapone e l'opera se andate per via di filato discorso. Tutto al piìi quando vi viene in acconcio vibrate loro in cuore quattro parole di maschia eloquenza , e pregate Dio che prima le intinga nella sua grazia , onde pia- garli come già egli fece con Saulo. E dove ciò non avvenga , voi non cessate di stornare i buoni fedeli dalia compagnia di costoro, 1 quali se ben vedete, non altro sono , che una torma di epicurei , a' quali sin a tanto che dice bene la lena , e spira propizia ogni aura , vi- vono a modo di chi non crede j ma venuti poi a com- pieta de' giorni loro, o a tale, che illusione più non trovino alla loro sinderisi , cantano lor palinodie che fruttano più delle vostre intempestive confutazioni. Tanto più che bene spesso questo genere di declamazione è di danno, anzi che utile. Ed io so di parecchi , i quali non d' altro sonosi invaghiti di certi libri malvagi , che dall' aversene udito a far vivo ritratto dal predicatore come dì cosa fiorita di tutte le veneri del bello scrivere. Come so pure d' altri buoni cristiani , i quali a sfogo di certi i83 Ti'elati diletti, cercaronsi illudere con que' sofEsmi re- cali in mezzo dall'oratore, mentre che sostenendo a lungo la persona degli avversar] , non si avvedeva che intanto i poveri figliuoli di Adamo si appigliano più presto al male, che al bene. Che se qualche fiata pia- cesse rinnovare a' fedeli gli alti fondamenti della nostra credenza , facciasi pure , ma con decoro, ma da cristiano , tessendo, a modo d' esempio, 1' apologia della propaga- zione della durata della nostra religione , o di altri tali argomenti alla portata d^ ogni fedele. Le divisioni e suddivisioni de' sermoni mi hanno forse distratto pivi che non volevate ; ma pure ci mette più conto così a tulli e due : dacché io avea in animo di spendervi sopra una intera lettera su questo vano battagliare contro agli increduli. Che se poi considerato da sé vi pare men del bisogno, consultate là dovei' Ab. Eoberti ne scrive di proposito, il quale se i nostri pre- dicatori tanto avessero in ciò seguito , quanto nel fron- deggiare de' suoi periodi , noi avremmo oratori e più sensati , e meno parola]. Peccano in secondo luogo il più degli oratori con quelle pose ch'essi fanno prima di dire, ho detto. Del quale abuso dico cosi a voi in confidenza e con timi- dezza il mio parere^ perciò che a ninno, ch'io sappia, questo è saputo si male , che abbiavi fatto contro. Ora dunque , tronchi 1' oratore i suoi sermoni dopo provalo l' assunto in parte , o per intiero , ad ogni modo con discapito non lieve delP arte sua. Imperciocché detto il proemio, si accinge l'uomo a mostrare per grado la sua proposizione, e allor che gli affetti sono per de- starsi e bollire in animo degli uditori , ei ael più bello piglia respiro , e quei ne raffreddano. E volete arrestare un ardente destriero quando è presso alla meta ? Volete arrestare un fiume gonfio e gorgoliante della sua piena, là ove mette sua foce ? Che se posa 1' orator provato il suo assunto e il tutto conchiuso , onde poi nasce e come ci sta la parte seconda e una seconda perorazione , a cui e' si. riserba dopo il respiro? Queste mi pa]ono fabbriche che sbucciano o si sfoderano a modo di canocchiale sul i84 cornicione di altra fabbrica. Prediclie sono queste, che io Je diiei caudale, e spesso di tale forma , che guai a te, se come all' uijna si ravvisa il Mone, tu avessi per essa coda a indo%iriare del corpo, al quale si appicca! che se mi diceste che non prima fa egli sua posa per togliere altrui il destro di fuggire di chiesa, che molti colgono in quel* generale tosiire e scrosciar di sedie; quesl' è ben meschino arlitizio , e da valere a mala pena una volta. Ma , come vorremo dunque finirla su questo punto, pare che mi diciate? Torre affatto di mezzo que- st'uso di riposare? A dir vero se questo non torna utile al santo 6ne della sacra eloquenza , cosi appunto si do- \ria farej ma d'altra parie con qual cuore spogliare cosi ad )in' ora gli oratori del privilegio di prescrizione, che in ciò si godono? Nel seicento orano cotanto in voga le pause, che poco a poro pigliarono tal parte nella composizione, che dette le avresti un nuovo artifizio ora(orio a ben condurre il discorso. Saliva in allora in pulpito l'oratore armato, a cosi dire, di socco e co- torno ad un tempo, e come tragedia partiva in alti la sua predica , e ne' frammezzi rallegrava gli «nimi con una farseita. Perchè è assai vaga questa che fa il P. Orchi nella predica del Giudizio; « /\ desso , adesso in questa ce vita, bisogna lavorare a due braccia: adesso, adesso « che ci ò luogo di misericordia, bisogna ricorrere a' « favori de' Santi, alle lagrime, alla penitenza, a cor- « ronipere, se così dire si può , il Giudice, con la ele- ct mosina , e non aspettare il tempo, nel quale non ce v'ha luogo che la giustizia. Mentre adunque è Gnito ce l'atto quarto suonate voi le borse della elemosina, te che canteranno i poveri per allegrezza ; e facendo io ce le pause con altri respiri, averemo compito l'ultimo te intermezzo, « 11 qual uso delle pause è tanto disceso , che fu tenuto proficuo perfino agli orbi. I quali per buscarsi la vita noi veggiamo ne' trivj canterellare al trillo di lor tim- balli la leggenda di capitan Castellino, o della Beata Cattarineita , or pigliare respiro e far nuovo prologo pel da dire, incalzando, con molta galloria sentano , sentano ib5 quest' altra helUssima ottwa. Con che io non dico già che a' nostri giorni facciansi coleste pause con sì poco decoro j ma pure o perchè a' nostri oratori non dice si bene la lena da poter durare un' oretta di seguito , o perchè si creda salutare un tal respiro alla mente degli uditori) o per altro qualsiasi prò, il fatto è chela cosa è ita tanto innanzi , che converrebbe prima tacersi che farla senza le pause. Perchè farete pausa anche voi, ma non più d'una, ma a patto che la parte che ancora resta di predica sia tale, che dopo esservi ristorato, resti tuttora da procedere nella parte argomentativa e possiate poi spiegare tutte le vele alla perorazione e trionfare degli animi de' fedeli , come io vorrei trionfare del vo- stro con queste , quali elle siensi , mie parole. E state sano. i86 Le Pantcha-Tantra , ou les cinq ruses , Fahles da Brahme Visnou-Sarma . . . le tout traduit pour la première fois sur les originaux indiens , par M. l'Abbé J. A. Dubois. Paris , Huzard , 1 826 , in 8.° Gì rli uomini condotti a misera servitù , non osando apertamente dire ciò che sentivano , posero in Tavolette i loro affetti ^ e cosi velati fecergli andare alle case dei potenti (1) . E perchè ninna parte dell' orbe fu mai così oppressa dalla schiavitù, come l'India, quivi ebber principio le favole. I Greci , d' ogni gloria vaghi , ne fe- cero inventore un Esopo , del quale nulla sappiamo fuor del nome ; non dovendosi ricever come storia il roman- zetto del Planude. Fedro, Lafontaine , Lessing, Yriarte, Passeroni , Pignotti e Kriloff, qual più, qual meno, preser da Esopo. Ma ninno aveva pensalo ancora a farci conoscere le antiche favole degl' Indiani. Finalmente l'Ab. Dubois si è rivolto a questa parte della moral lettera- tura. Ed egli il poteva ; essendo stato missionario nel Missur ; ov' ebbe maniera di conoscere la lingua , la religione , i costumi e le dottrine degl' Indi. Della sua erudizione potrebbero far testimonianza l' Accademia di Madras , e le Società asiatiche della Gran-Bretagna e di Parigi , che lo scrissero socio , se fosse cosa certa che le Accademie non ricevono se non se uomini di speri- mentata dottrina. Gli apologi degl' Indiani trovansi in due raccolte j r una intitolata HittOpadessa (Ammaestramenti fami- liari ) , r altra , Pantcha-Tantra ( le cinque Astuzie ) . (1) ce Servitus obnoxia , Quia , quae volebat , non audebat dicere , Affectus proprios in fabellas transtulit. » Fedro prol, lib. 3. 18; Quella prima è scritta in versi di stile fiorito, in idio" ina sanscredonico ; e ne abbiamo una vei'sione letterale inglese fatta negli ultimi tempi da Guglielmo Jones. Contiene quattro astuzie , senza pili , ed è scritta in maniera concisa. La seconda può dirsi una parafrasi in prosa volgare della prima , colla giunta della quinta astuzia. I Bramini ne concedon la lettura al popolo. Già nel secolo vii dell' era cristiana venne tradotto il Cinque- Astuzie nella lingua persiana ; e nel xvii fu da essa trasportato nella francese da Pétis de la Croix ( o come altri scrivono Petit^, il quale ne dovette aver copia dal Thevenot famoso viaggiatore francese. Né per questo dovrem dire che la fatica del Dubois sia vana, assicurandone egli stesso « che le più di quelle favole , ce delle quali e' ne dà la versione , non trovansi nel « Pétits ; e le altre che vi si leggono , esser mutilate , ce e non secondo lo stile indiano. " Avrem dunque pur alla fine una esatta e compiuta traduzione del Cinque- Astuzie ? Mii no ; essendo piaciuto all' Ab. Dubois ce omettere non poche favole , il cui senso , non meno et che la morale , sarebbero oscuri a coloro che non ce conoscono i costumi e gli usi degl' Indiani. » Cosi dopo le versioni del Pétis e del Dubois , noi non pos- siamo ancora andar lieti dell' intero Cinque-/4 stuzie. Ma il novello traduttore largamente ricambia il di- fetto , aggiungendo al Pantcha-Tantra le avventure dì Gurù-Paramarta , divise in otto racconti , non che sei novelle, che degne sarebbero di una versione italiana. Benché il piacere di cosi notabil giunta ne viene sce- mato in gran pai'te dal sospetto , in che ci poser coloro che le Avventure attribuirono al P. Beschie missionario nelle Indie , volendo c\\ egli ne fosse il vero autore , e che le avesse composte per mettere in canzone l'orgoglio e le imposture de' Bramini. L'Ab. Dubois con due pa- role fa di rassicurarne su tal proposito , volendo farci credere che il P. Beschie togliesse dagl' Indiani que' rac- conti , e gli adornasse , come gli parve il meglio. Questa consolazione non è molto efEcace , sapendosi dal tradut- tore , che non dalla voce degl' Indi , né da qualche co- i88 pia antica li trasse, ma sì dall' originale del P. Beschie. Tornando al Pantcha-Tantra , noteremo clie la prima Astuzia è lunga quanto le altre quattro prese insieme; e che noi 1' avevamo già da tre secoli leggiadramente vol- tata , o travestita , in lingua toscana. Parlo della prima veste de' discorsi degli Animali di Agnolo Firenzuola, elegante scrittore della prima metà del secolo xvi; e dico non altro esser questa graziosa e filosofica operetta , salvo se una versione più o men libera del primo Tantra del Bramino Visnù. E perchè non mi piacque giammai dar parole, ma fatti, mostrerò brevemente che la invenzione e la disposizione non sono che una cosa medesima nell' Indiano scrittore e nel Fiorentino. I. Firenz. Un contadino menava uno pajo di buoi a vendere : uno di essi caduto in una mala fitta , fu abbandonato alla fortuna : ma riavutosi a poco a poco , metteva cosi orribil muglia , che faceva paura a tutto il vicinato. V^isnh. Un mercante che menava molti buoi, o tori, ne dovette abbandonar uno , che si era slogato una gamba. Questo toro, ristabilitosi a poco a poco, man- dava per quelle campagne spaventevoli muggiti, II. Firenz. Un lione che regnava in quelle contrade udito -quel mugliare , divenne fuor di sua natura pau- roso : del qual timore avvedutisi due montoni, ch'eran del consiglio reale , l' uno di essi voleva andarne al re ad intendere la cagione di quel nuovo terrore; e l'al- tro nel dissuadeva , narrando la favola della fcimia , che aveva voluto imitare un tagliatore di legne. Visnii. Abitava in quelle campagne un leone , che spaventato dal muggire del toro , mandò per due vol- poni , già suoi ministri, ed allora in disgrazia; i quali prima di recarsi al principe, presero a deliberare; e 1' uno di essi raccontò la favola della scimia che aveva imitato quello che vedea fare ad un legnajuolo. III. Firenz. L' uno de' montoni ( non avendo potuto vincer la ritrosia del compagno) ne andò al lione; riusci a fargli confessare il vero motivo del suo timore, e s' adoprò di confortarlo , narrandogli la piacevole fa- voletta della volpe atterrita al suono d' una campana. i89 Visììh. Ti' ano de' volponi non voleva andare al leo- ne : pur si la ciò vincere alle preghiere del socio. Giunti ili principe fecero e dissero come nel Firenzuola , se non che in luogo della campana (ignota, credo, agli Indiani ) nominarono il romoreggiare del vento nelle selve. IV. Firenz. Il montone si condusse al bue , ed ap- presso , al leone : tornò al bue , e condusselo al prin- cipe , che prestamente lo ammise ad intima confidenza ; cosi che il montone cominciò ad empiersi d' invidia j ed ito a trattarne coli' amico , questi gli raccontò il fatto del romito e del ladroncello. Visnìi. I due volponi operano come il montone del Firenzuola ; s' empiono d' invidia , e quello che non avea voluto sulle prime impacciarsi in quel fatto , narra la stessa novella, ma più brevemente , e più modestamente. V. Firenz. Il montone invidioso vorrebbe far perire il bue 5 e perchè l'amico obbiettavagli la disparità delle forze, ribatte l'argomento con sentenze e con apologi; tra' quali è notissimo quello del leone di Rimaggio. Visnu. La stessa consultazione e le sentenze mede- sime , non che un apologo somigliantissimo a quello del Firenzuola. VI. Firenz. Artifizj del montone per far cadere il bue della grazia del principe : conferenze avute per ciò coir amico : tre favole su tal proposito j quella del lupo, della volpe, del corvo, del lione e del cammello: 1' altra di due uccelli , che volevano far il nido sulla riva del fiume Bisenzio , annodata alla terza , cioè a quella di due uccelli d' acqua , che portano in aria una testuggine. Visnìi. Le cose medesime ; se non che in luogo del lupo , avvi il cane salvatico , che forse non è diverso dal nostro lupo , o non 1' era anticamente ; e nella se- conda in vece del Bisenzio è il mare : l'ultima poi non è compiuta nel Firenzuola , ma si ha tutta nel libro indiano. VII. Firenz. Il lione pensandosi di avere un nimico nel bue, lo si divora. Fisnii. Egual catastrofe nel libro indiano. Io non ho chiamato al paragone, che l'ossatura, per dir così, delle due operette} e credo poter affermare, che se ne può dedurre quanto basta a conoscere che o l'In- diano scrittore ebbe notizia del Fiorentino, o questo di quello. Perciocché , se non è raro che in due contrade remote si oda narrare una Tavoletta o novella , che sia pur la medesima, tranne que' particolari che si tolgo- no da' nomi proprj, e dalle varie costumanze; egli è però moralmente impossibile , che due scrittori , ignoti l' un r altro , dopo avere stabilito la stessa proposizio- ne , ne rechino le stesse prove , e coli' ordin medesi- mo , sovente adoperando parole e sentenze , che per nulla differiscon tra loro. Che dovrem dire noi dunque ? Io sono tentato a credere che il Firenzuola , avuto il libro di Visnù , o uditone il contenuto , ne formasse un'operetta, né sua interamente, né semplice tradu- zione j come fece dell' Asino d' oro d' Apulejo. E pare eh' egli stesso non ardisse chiamarsene autore ; perchè nella dedicatoria alle sdentili e valorose- donne di Prato così scrive : — Vi dedico questi discorsi da me in questa state passata , in questa forma che vedrete , ridotti e riformati , e tutti di nuovi panni e di va- rie fogge rivestiti e adornati — Né impossibile al tutto ne dee sembrare , che in Italia si avesse notizia nel secolo SVI. di un libro già dal secolo vii. voltato in lin- gua persiana. GÌ' Italiani viaggiavano per que* tempi nelle parli di Levante , come ci mostrano 1' Adorno , rinteriano, e il Centurione, tutti e tre genovesi, ed i Veneziani , de' quali parla 1' Eni. Zurla nell' opera sua de' Viaggiatori Veneti. Anche nel sec. seguente Pietro della Valle gentiluomo romano visitò e descrisse la Per- sia. Roma poi e per cagione de' Missionari , e pel nu- mero de' viaggiatori ed uomini dotti che sempre in essa si accolgono , e vi recano scritti e curiosità d' ogni parte del mondo , poteva aver notizia di un libro che si per essere tenuto lavoro di un Bramano dell' Indie, si per aver meritato una versione in lingua di Persia , dovea procacciarsi 1' attenzione di tutti i cultori delle lettere. E forse allorché il Firenzuola pose al suo la- vora quel nuovo titolo di prima veste , volle accen- nare eh' egli ci dava intanto il primo Tantra , e che pubblicato avrebbe gli altri negli anni vegnenti j ma non ne dovette aver 1' agio ; perchè , quantunque non sappiasi con sicurezza 1' anno della naorte del Firenzuo- la , noto è che terminò di copiare la prima veste nel dicembre del i54i j e che più non viveva da parecchi anni nel 49- Altri forse potrebbe venir sospicando che il Dubois ci volesse vendere come lavoro di Visnù una imitazione della prima veste del nostro Fiorentino scrit- tore j e non mancherebbero esempj di sì fatte burle letterarie ; e tra esse citar potrebbesi quella di cert'ope- ra attribuita a Zoroaslro , benché fosse lavoro più re- cente (i) fabbricato nella Persia. Ma io non potrò mai dar fede a tal sospizione j e sotFrirò anzi menomare eoa probabili argomenti d' alcun che la gloria di un nostro italiano , che dar colpa , senza sufficiente motivo , ad uno straniero. Ma con6do , che gli eruditi nostri non tarderanno a mettere in chiaro 1' enigma ; tanta è la co- pia de' giornali , e tanta in ogni generazione d' uomini la vaghezza dello scrivere. E so io bene , che addi no- stri i più de' giornalisti non amano logorarsi gran fatto nelle ricerche di cose malagevoli ; e ricevono cortese- mente come tragedie originali , le povere traduzioni , e fanno buon viso agli articoli degli scrittori innominati, che attribuiscono agli autori e sentenze , e lunghi pe- riodi , in tutto immaginarli ; ma questi lievi difetti non ci debbono toglier la dolce speranza di vedere 1' ita- liana letteratura tornarsi all' antico onore. Perchè se di egregi ^'tìri adornavasi l'Italia, allorquando l'arte dello scrivere pareva patrimonio speciale de' coltivatori delle lettere , qual numero di egregj volumi non vedremo in poco d' ora oggidì per le nostre eulte regioni , dappoi- ché gli uomini applicati alle arti , a' mestieri , ed alle sperienze materiali , si confortano della noja di lor fa- tiche con porre ad esame , e giudicare sovranamente delle cose che risguardano alla razionai filosofia ed ali arti gentili ? (i) Ved. Federici degli scrittori greci ecc. ari. Zoroaslro, NOVELLE LETTERARIE. / Lusiadi di Luigi Camoens , Traduzione di ■ A. Nervi Genovese , con brevi note. voi. L IL Milano per N. Bettoni in 24. M lancava ancora all'Italia un poema epico foggiato alla maniera dell' Iliade e dell' Eneide , quando di già un esule portoghese balestrato dalla fortuna in barbare contrade sorgeva di mezzo i disastri a collocarsi allato ad Omero e a Virgilio , ed innalzando ad una patria ingrata un monumento il più glorioso e durevole che avesse mai. Imperocché non così tosto vennero in luce i Lusiadi di Luigi Camoens , che tutta la colta Europa accolse il poema con mirabil plauso, e in poco d'ora si vide volto in spagnuola , in francese , ed in latina favella , e la portoghese venne onorevolmente nella schiera delle altre nobili figlie della latina : tanta è la forza di un divino ingegno. Ma benché non tardas- sero i nostri maggiori a conoscere le bellezze e i pregi del poema di Camoens , che faceva andar pensoso il gran Torquato , erano però di già trascorsi presso a cent' anni dalla morte del Portoghese , e all' Italia man- cava tuttavia una versione dei Lusiadi. La qual cosa mal sapendo ad un nostro nobile concittadino , Carlo Antonio Paggi , s' accinse egli primo all' impresa men- tre ritrovavasi in Lisbona , ove pubblicò la sua Lusia- da Ltaliana , e la intitolò al sommo Pontefice Ales- sandro VII. (t) Se non che la fatica del Paggi non era tale da render paghi gli Italiani , né da comparire de- corosamente innanzi alle colte persone, per essersi egli attenuto troppo servilmente alla lettera del testo origi- nale , né voluto discostarsene a costo della grazia e del (i)Lusiada italiana di Carlo Antonio Paggi nobile genovese, poema eroico del grande Luigi Camoens, piencipe de' poeti delle Spagne, alla Santità di nostro Signore Papa Alessan- dro VII. Lisbona , per Henrico Valente de Oliveira i658, in 12. costrutto di nostra favella. Né ben s' apporrebbe per- ciò chi negasse ogni lode alla traduzione di lui, per- ciocché a tacere delle belle ottave , che tratto tratto vi s' incontrano , tien luogo dell' originale stesso a chi non conosce la lingua portoghese. Ma al difetto del Paggi fu a di nostri abbondevolmente sopperito da un altro Genovese , che onora tuttavia Ja patria nelle nostre Pubbliche Scuole , in cui professa la poetica. E del fa- vore che universalmente riscosse la sua traduzione son prova le due ristampe, che in meno di otto anni se ne fecero in Milano, l' una dalla società tipografica dei Classici Italiani nel i8ai , e quest' altra dal Botto- ni , che porge materia al presente articolo. E da do- lere che amendue furono eseguite senza consultarne r Autore , che avrebbe potuto somministrare , oltre gli ar- gomenti in ottava rima , assai correzioni e varianti , e toglier via le false notizie , che sul suo lavoro troppo confidentemente inserirono nelle lor prefazioni gli Edi- tori milanesi. « Per rispetto poi alla presente traduzio- ne ( avvertono gli ultimi ) a noi parve togliere questa a paragone della prima fattasi in Genova , la quale riu- scì servile oltre modo e gretta , e altresì dell' ultima prodotta nel 1826 in Parigi co' tipi di Didot da A. Briccolani , che sebbene lodata a dismisura da' critici francesi, è allatto spoglia di poesia, e solo ricorda una dannosa fedeltà. Per lo contrario il Nervi tradusse , giusta la volontà di S. Girolamo nella lettera a Pam- . macchio , senza lacci al piede , e custodito , se così è lecito esprimersi, lo spirito dell'Epico Portoghese, fiorì di stile e di lingua poetica 1' animoso lavoro , nel quale durò presso a vent' anni , sussidiato per soprag- giunta dai consigli dell' illustre Solari. " Quanto sia lungi dal vero quest"" ultima asserzione l' abbiamo di- mostrato in altro luogo del nostro Giornale (2), al quale se avessero posto mente qiestl Editori, non sa- rebbcsi ribadito 1' errore. (5) V. fase. 2. 1827 pag. 189. ^94 e. Crispi Sallustii Opera quce extant om- nia cicm indicibus: curante I. L. Burnouf. Taurini , Pomba 1827 in 8. ( col ritratto dello storico ). Questa edizione di Sallustio, forma il voi. 65 della pregiatissima collezione de' classici latini , che si pub- blica in Torino dal Pomba. E quantunque frodar non si debbano della meritata lode quegli eruditi , che soccorrono il Tipografo di consigli, di favore , e di op- portune giunte e correzioni , tuttavia egli è certo , che la raccolta Torinese può dare agli stranieri non ingiu- sta cagione di ripetere, che gì' Italiani sono così paghi di quella gloria, che illustrando i classici latini si pro- cacciarono i Manuzj , i Vettori , i Volpi , che oggidì ne lasciano di buon grado tutto il vanto alle altre na- zioni d'Europa. E per verità, non è senza nostra ver- gogna , che scrittori nati nell' italico suolo , Cicerone , Virgilio , Orazio, Livio, Plinio , si debban leggere cor- retti ed illustrati da' filologi d'oltramonti ; come se noi perduta avessimo l'intelligenza dell' idioma latino; e non fosser tra noi testi a penna a confermare la vera lezione. I nomi di Grevio , Gronovio , Burinanno , Heyne , Hardouia , De la Kue , Cortius , Avercamp con altri mille , suonano tra noi ogni giorno , e sono avuti in pregio meritamente, come dotti spositori deg'i an^ tichi volumi latini. E non sarà egli mai , che suoni tra essi un nome italiano? Codici non mancano alla patria nostra ; non ingegni : né mancar potrebbe il pubblico favore ; nò forse la munificenza de' Principi, lo temo forte , non manchino a se stessi i pliì di coloro che fanno professione di lettere. Qual ètra noi ita'iani, che vo- glia molti e molti anni consumare intorno ad un auto- re ; frugar le biblioteche , raft'rontare i codici , e le prime stampe; cercare nella storia e ne' monumenti dell' antichità la spiegazione de' luoghi oscuri e difficili ? Ma' rispondono, questa è fatica da lasciare a' Fiamminghi ed a' Tedeschi. Or bene ; lasciate dunque al Belgio ed alla Germania il vanto della buona letteratura. Noi vorremmo, odo parlare da un altro lato; ma non ne abbiamo il modo ; così poveri siamo a' temporali che corrono. Che dunque ? Vorrannocl le ricchezze di Cre- so ? O forse tutti i letterati oltramontani sono ricchi a maniera de' Medici e de' Fugger! Gaetano Poggiali, mo- destissimo cittadino livornese, potè adunare tanti libri a penna ed a stampa , che Ferdinando iii Granduca tennell degni di essere a caro prezzo acquistati , e ne rimunerò il raccoglitore con dare impiego a' 6gli. Né Angiolo d' Elei j^rinomato per la sua collezione de' libri del primo secolo della Stampa fu gentiluomo ricchissimo. Ma lo m' avveggo d' aver trapassato i con- fini di una breve novella. Farò punto per ora ; ser- bando ad altro tempo alcune considerazioni sopra la trascuratezza degli Italiani nel fatto di buone edizioni di libri greci e latini. Intanto ci consoli Monsignor Mai , che generosamente rinnova la gloria de' secoli xv e XVI. Torniamo al Sallustio del Burnouff. Comincia il volume da una modesta prefazione del Commentatore , il quale confessa d' essersi giovato non poco delle fatiche intorno a Sallustio del Presidente de Brosses ; ed avvisa d' aver collazionato cinque testi a penna della R. Biblioteca di Parigi ; due del sec. x , due dell' undecimo, ed uno del sec. xm. Seguita la vita di Sallustio. Appresso si ha la notizia letteraria dello storico latino trascritta dalla Biblioteca del Fabririo : aggiuntovi la lista dell' edizioni , e versioni principali fatta dal Barbier. Le note a pie' di pagina sono brevi , e piene di non affettata dottrina : solo avremmo desi- derato , che i luoghi degli autori greci , citati sempre nella lingua originale , avessero il conforto di una Iet- terai traduzione. L' editore ha ritenuto quella patina d'antico , che si ha come propria di Sallustio ', cioè 1' u in luogo dell' i ; e la desinenza plurale is Invece di es. Quelle parole dell' esordio Con. Cadi. — ita utrumque , per se indigens , alterum alterius auxilio eget — si leggono nel Burnouff — ; alterum alterius auxilio veget {viget) — essendogli parula cosa ridicola la volgar le- 196 zlone indigens egei. Ma se altri voltasse quali' indi' gens per manchevole , si dileguerebbe la freddura (^ frigide dictum'). Certo uiuno potrà mai dirsi indi- gente , se non perchè alcuna cosa gli manchi. Dopo la Congiura e la guerra contro di Giugurta , si trovano le operette che o sodo , o furon credute lavoro di Sallustio : vi si leggono i frammenti delle opere sue irreparabilmente perdute : né manca 1' operina di Giulio Exsuperanzio sulle guerre civili di Mario , Lepido e Sertorio , corretta col riscontro di un buon codice della citata R. Biblioteca. Appresso si veggono le varie lezioni , e le giunte. Chiudono il volume 1' indice geo- grafico , e storico , e il vocabolario Sallustiano. Le giunte si potevano collocare a' luoghi proprj , e gli in- dici adattarsi alla ristampa Torinese ; ma lo Stampa- tore premeva , e 1' Editore non potea far prodigj. Come che sia , chi ha il Sallustio del BurnoafF impresso dal Pomba , sia certo d' avere quanto è d uopo a ben in- tendere quel nobilissimo storico romano. C. Crispi Sallustio Opera Medici, typ. N. Bettoni 1828. in Sa picc. Anche di questa edizioncina sì vuole far menzione , che ha pregio di finezza e d' eleganza di caratteri , ben- ché minutissimi , e d' esatta correzione nel testo , sic- come formata sulla parigina dell' Amar, ti questo il primo volumetto della Collezione de" Classici Latini , che ci promette il Bettoni vago di ricalcare le orme degli Elzeviri , dei Vestenj , e dei Didot : di che è da sapergliene grado spezialmente dai colti viaggiatori e villeggianti. Promette pure in simil forma le versioni degli stessi scrittori , e in prima 1' Alfierana , che però non sappiamo se verrà da tutti giudicata 1' ottima fra le molte che di Sallustio possiede l' Italia. 197 Della Guerra Catilinaria e della Guerra Giugur- tina , libri due di C. C. Sallustio volgai'izzati da frate Bartolomeo da S. Concordio ec. Mi- lano) Silvestri 1828, in 16. Saggio divisamento si fu quello del Silvestri , che ci diede ora questo rinomato volgarizzamento , di cui fe- cero liso per la compilazione del loro vocabolario gli Accademici della Crusca , e il P. Cesari. Venne la pri- ma volta impresso nel 1790 in Firenze co' tipi del Grazioli da un Accademico di quella città , e tale edi- zione è già divenuta rara. Di questo lavoro diremo alcun che ne' seguenti fascicoli , confortando intanto la studiosa gioventù a farne suo prò ed averlo in pregio. Le Eliadi consolate , sestine sulla dromostasi in- ventata dal Gentiluomo Signor GiO. Batista Colombo da Mondavi. Torino, Chi rio e Mina , 1828, di face. 10. Della Invenzione cantata nelle ottave di anonimo Au- tore veggasi quello che diffusamente ne dice la Gaz- zetta Piemontese n. y del 1826. A noi sia conceduto trascrivei'e la nota 2.' apposta a\ì' Eliadi : «Cristoforo « Colombo, scopritore dell' Amerira, nato nel castello « e da' Signori di Caccaro in Monferrato. Leggansi le « due erudite dissertazioni della patria di Cristoforo « Colombo scritte da S. E. il Conte Napione. Di que- « sta illustre antichissima famiglia de'Colombi di Mon- « ferrato è agnato l'inventore della dromostasi. " Nin- no può negare l'antichità della uobil famii^lia de' Co- lombo di Cuccaro : ninno può negare giusto encomio all' illustre scrittore , che citasi nella nota : ma la qui- stione della pa^tria di Cristoforo Colombo non è cosa da definire in una postilla. Potrebbe anche dirsi , che dopo le opere di S. Em. il Card. Zurla , del Cav. Na- varrete , dell' Irving, e di altri scrittori, e de' Gior- nali d'Europa, e d'America, che lette le ragioni dei 198 Genovesi , e de' Signori Colombo di Cuccare , decisero la causa in favor di Genova , non si dovrebbe più francamente proclamare, che lo scopritor dell' America nacque nel castello e da' Signori di Cuccaro. Il signor Conte Napione come personaggio veramente dotto , di- chiarò più volte ne' suoi libri , eh' egli non intendeva determinare che l'Eroe nascesse precisamente in Cuccaro: solo difese, che nacque da' Colombo già Signori di quel Castello, Mémoires du General Rapp écrits par lui-méme. Bruxelles, 1823, fle-Mat , m i6.° Il General Rapp , nato nell' Alsazia , cominciò a ma- neggiar la sciabola ne' cacciatori a cavallo sui primi anni della rivoluzione di Francia, e giunse a tale , che nel 18 12 egli aveva tra pensioni e beni suoi proprj , un modesto reddito di quattrocento mila franchi. L'ab- dicazione del capo de' Francesi nel i8i4 assottigliò non poco le ricchezze del Rapp , che trovossi ridotto ad un yom. franchi d' entrata j ma « ce qui me reste forme €« encore un assez beau contraste avec ma fortune pri- « mitive. » Dopo la ritirata di Mosca , Rapp si chiuse in Danzica , e la narrazione di questo assedio è la parte migliore del libro. Credesi che il Rapp non abbia ia questo lavoro , che il nome : ma lo stile non lascia di mostrarsi adattato all' origine ed alla condizione del preteso Autore. Re'sumé de Vldstoire de Pologne par Leon Thiessé. Bruxelles, Walhen, 1824 in 32. Alla storia del difensore di Danzica s' accoppia na- turalmente il compendio della storia di Polonia , ài cui Danzica era una volta 1' emporio. Il Thiessé vi si dimostra caldo ammiratore di Lutero , di Calvino , e di Zuinglio; e si sdegna contro al clero ed a' Sovrani di Polonia , perchè si opposero alla pretesa riforma. Con- vien dire che V Autore immaginasse che novità e secol ^99 d' oro fosser la cosa niedesiiua. Ma le pazzie e i delitti , eh' egli stesso ci narra di Giacomo Metinski e di Pietro Latorski, gentiluomini polacchi , i quali avevano ajabrac- ciato e volean diffondere la riforma , sono un manifesto argomento delle discordie e delle sregolatezze che le nuove dottrine avrebber introdotto nella Polonia. Prascovia , ossia la Giovinetta di Siberia , fatto 'Vero scritto dall' datore del ì^iaggio intorno alla mia Camera. Milano , Bonfanti i8a8, in iG. Hanc legite , austeri : critnen amoris obesi , diremo a' nostri leggitori. Chi può leggere questo libriccino senza dolce commozione , non debbe aver senso di umanità. Lo stile non è né grazioso, né purissima 1' elo- cuzione : severa alquanto la disposizione delle parti ; ma 1' autore conosce a fondo il cuore umano. Eccovi alcune pennellate : « Fu da quell' istante decisa la par- « tenza di Prascovia j ma però 1' epoca non ne venne « allora precisamente fissata. Lupuloff ( padre della t« Giovinetta ) sperava dai stioi amici qualche soccorso ; « parecchj prigionieri (cioè confinati in Siberia) noa •e mancavano di denaro , ed alcuni di loro gli avevano ec fatte in altre occorrenze delle proferte , di cui per «t discrezione non si era voluto prevalere » . Ora è ve- nuto il momento di mostrarsi generosi : che faranno que promettitori ? Daranno inutili consiglj , disapprove- ranno , volgendo la colpa della loro ingratitudine sulle circostanze : « Invece di soccorrere , disapprovavano •« altamente. Quelli che le avrebbero potuto dare qual- « che ajuto , se ne scusavano col rammentare le cir- ce costanze infelici ec. » Ma due miseri compagni d'esi- glio , poveri pli!i che Lupuloff, fecero vedere che la virtù non è sbandita del mondo: « l'un d'essi offri alla Pra- « scovia trenta copecchi di rame , 1' altro una moneta « d' argento di venti copecchi, soli mezzi di sussistenza, « che rimanevano a que' miseri per più giorni. Pra- « scovia ricusò le generose loro proferte « . Veggiamo 300 un trailo della gentilezza de' viaggiatori in cocchio verso i pedoni : « Una volta fra l' altre , essendo indecisa sulla scelta di diverse strade che s' incrocicchiavano , ella si fermò ad aspettare un kibik , il quale veniva alla sua volta , e pre^ò i viaggiatori d' indicarle quale di quelle vie couduceva a Kiew : Pigliate , le risposero ridendo, qual più vi piace: mettono tutte egualmente a Kiew , a Parigi , a Roma, — ce Avvi di più : quando «: ( Prascovia ) capitava in un povero casale , d' ordi- te nario era ben accolta nel primo luogo ove diman- « dava 1' ospitalità : ma uè' grossi borghi , e quando « le case avevano un aspetto signorile , durava quasi " sempie molla fatica a trovare ricovero. » Filosofica è la sentenza che segue : — Gli uomini più volentieri sogliono accordare compassione, che stima — Ma ecco Prascovia in Pietroburgo , cioè in una di quelle im- mense città capitali , che i moderni appellano grandi, cenili della civiltà europea. Ella se ne va alle porte del Senato per consegnare una supplica : ce I segretarj a' quali s' accostava , appena alzavano gli occhi , e fred- damente di nuovo si ponevano a scrivere. . . finalmente uno delle guardie della cancelleria , le chiese con pi- glio dispettoso ciò che volesse, e la giovinetta le porse la sua supplica , pregandolo di darla al Senato ; ma egli credendo che fosse una mendicante, senza nulla rispondere la prese per un braccio , e la cacciò fuori della porta. » Ancor due pitturine , e basti : ce Prasco- via giunta che fu al palazzo della Principessa , veggendo il portiere che le apriva la porta , tutto lucente di gal- loni d'oro , stimò che fosse un Senatore il quale uscisse , e gli s' inchinò profondamente. » Entrata nell' apparta- mento , trovò la vecchia Principessa , — che giuocava una partita di boston con tre altre persone ; ma subito che s'accorse di Prascovia, le ordinò d'appressarsi: buon giorno , figliuola mia , le disse : avete una lettera per me ? Le giovani signorine ivi presenti sghignazza- vano. . . Uno dei giuocatori , cui non poca noja arre- cava quella visita importuna, batteva con fare impaziente i diti sulla tavola , guardando in viso la forestiera , eli' era venuta a disturbare il suo solazzo. w Chi avrà letto attentamente questo romanzo storico , imparerà a confidar molto nella divina provvidenza , poco negli uomini ; e conoscerà che le virtù sociali si trovano o ne' poveri , o ne' grandi veramente e ne' Sovrani ; e che le Signore umane e benefiche , frequentano molto le chiese , poco o nulla i teatri. Corso ristretto di Navigazione teorico-pratica di Gaspare Tonello. Venezia, Alvisopoli 1827, 2 voi. in 8." Questo lavoro è destinato all' ammaestramento de' ma- rinai^ e potrà ricevere due appendici, della Costruzione navale, e della Manovra ^ se questa prima fatica del Prof. Tonello sarà cortesemente accolta da' navigatori. Ella era cosa da vergognarsene 1' Italia , quel dover sempre ) studiare la nautica sui libri degli stranieri j come se Venezia , Genova , Pisa non avesser mostrato qual sia il valore degl' Italiani nell' arte del navigare , e del pugnare sulle onde. Ma senza cercare gli antichi esempi , non fu egli forse un italiano , cioè 1' ammira- glio Gravina , che guidò le navi francesi e spagnuole a lottare contro il freddo coraggio degl' Inglesi , e il glorioso nome dì Nelson ? E Tripoli non vide negli ultimi tempi i sudditi di un Monarca d' Italia farsi terribili agli Africani? Ma per dire alcune parole dell' opera del sig. Tonello , vi si troveranno in primo luogo le nozioni geometriche , seguite dalla notizia degli stru- menti che servono alla misura degli angoli : appresso si leggono le nozioni trigonometriche ed astronomiche , un trattato del Pilotaggio , e il metodo di tenere il giornale. Il volume 2.° contiene le tavole delle tangenti e secanti , de' seni , ed altrettali serie numeriche neces- sarie a far compiuto il lavoro , scritto con molto di chiarezza , e destinato alla più. frequentata naviga- zione. i3 S02 La congiura de' Baroni del regno di Napoli contra il Re Ferdinando I , raccolta da CA- MILLO Porzio. Milano per N. Bettoni 1827 , in 24- I Precedono due lettere omesse nell' edizione Napo- letana del 172.4, e che trovansi nella prima fatta in Roma 1' anno i5ò5 ; la prima diretta al Porzio dal cardinal Seripanno di Trento , che indusse 1' Autore ad intraprendere questo istorico lavora, la seconda dal Porzio stesso al duca di Seminara Carlo Spinello. E se ne vuole dar lode al Bettoni , perciocché ambedue hanno coli' istoria del Porzio grandissima relazione. Dalla prima appare , che 1' autore avesse in prima fatto disegno di scrivere in latino la sua congiura , e che fu poi confortato da quel Cardinale a distenderla in to- scano. Vogliamo qui trascrivere il bel principio dell' altra , perchè si vegga da qunl uomo fosse al Porzio in certa guisa ispirato il pensiero dell' operetta sua. « Come V. S, 111."* sa , tra le buone cose eh' io co- nobbi peregrinando , fu Pagolo Giovio , padre delle moderne istorie , il quale pervenuto all' estremo della sua età , e poco conlento de' Principi cb' egli diceva con la penna avere illustrati , si era riparato in Firenze a casa il Gran Duca Cosimo , come ad unico rifugio degli uomini eccellenti : ove dimorando anch' io, e assai con esso seco ragionando dell' istorie , e di quelle prin- cipalmente che appartenevano al Regno ( di Napoli ), 1' udii molte fiate rammaricarsi che per mancamento e trascuraggine degli scrittori , egli non avea potuto in cotanti anni ridurre alla memoria degli uomini uno de' primi fondamenti delle guerre che seguirono nel novantaquattro : ciò era la congiura del principe di Salerno e del conte di Sarno contra Ferdinando primo : per la quale fatto il principe fuoruscito , e privo dello stato , si ricoverò da' Francesi , e persuase il re Carlo Ottavo a fare 1' impresa del regno : dalla cui passata egli tirava il filo della sua istoria. Questo desiderio io ao3 lo giudicai tanto giusto e sì fattamente necessario , che ili me si apprese, come fu in lui, di qualità che, po- chi anni sono , abbattutomi nel processo originale che fé' formare il predetto Ee contra il Conte e Antonello Petrucci suo segretario , parvemi che mi si porgesse occasione di potere in maggior parte rinvenire le cose di quel tempo. Postomi poi a cercare dell' altre , io mi sono finalmente avveduto di avere ragunate tante membra di quella congiura ecc. » Segue a dire non riputarsi egli stesso da tanto di poter ben condurre tal opera, ma porgere soltanto acconcia materia a piìi illustre ingegno. Dopo l'Indice, vengono i luoghi, onde l'autore ha tratta l' istoria , e poi i tre libri che la comprendono. Non facciamo qui altro che un semplice annunzio di questa produzione del Porzio , perciocché e attesa là sua brevità può essere in poco d' ora letta da chicches- sia , e per molto che per noi se ne dicesse , non sarebbe giammai lodata abbastanza. Pura è la lingua , elegante e scorrevole lo stile , e tratteggiato di continuo eoa que' colori che s' addicono alla storica eloquenza. Per le quali cose dalla lettura di questi volumetti trarranno, al parer nostro , gran frutto gli amatori del bello scri- vere. Non sappiamo perchè in questa edizloncella siasi omesso alcun cenno biografico dell' Autore , cosa che non fu trascurata in altre operette di questa Biblioteca Universale , e che non dovrebbe trascurarsi in niun li' brlcciuolo di qualche rilievo. Oltre al Zeno nelle note al Fontan. , si può vedere intorno al Porzio il Tafuri Scritt. Napol. t. 3. p. a , pag. 228. Cornelii Nepotis mtae. Medici, typ. Ant. Fontanae 1828. in 1^ picc. Nitida e corretta edizione si è questa procurata dal eh. Francesco Ambrosoli , di cui son note altre fatiche letterarie. Ella è modellata sulla parigina del Lemaire in ciò tlié riguarda il testo, e 1' Editore l'ha corredata di brevi e chiare postille , eh' egli ha trascelte 2o4 e compendiate dalle famose del Descuret e del Le Clerc. Ha iu fine la Cronologia delle cose memorabili somministrata dalla predetta edizione di Parigi. Si fa- rebbe gran senno a sostituire questa dell' Ambrosoli alle scorrettissime, che corrono comunemente per le no- stre scuole. Résumé de Vhistoire df Angleterre par Felix BODIN. Bruxelles, Walhen, 1824, in 32. Il ristretto di M. Bodin , chi lo purgasse da certi pregiudizi che tratto tratto vi si mostrano , sarebbe cosa assai lodevole. E dicendo pregiudizi , intendiamo , giudizi fatti avanti , nel senso rigoroso de' logici , e vogliam dire che 1' autore poco amico a' Pontefici ed a' Governi non rappresentativi , senza curarsi gran fatto di considerare le cause e gli effetti degli avve- nimenti, lancia i suoi giudizj con ima fidanza incredi- bile. Ma ove si limita all' uffizio di storico, è molto pregevole, e non manca di sincerità. Cosi parlando di Arrigo vm non ommette il racconto di quella di- sputa teologica che si tenne nella sala di Westminster tra il Governo ed un Lambert maestro di scuola } nella qual disputazione Arrigo finalmente propose all' avver- sario quel terribil dilemma : o ammettete la mia opi- nione , o vi fo' bruciar vivo. E così fu ; avendosi il maestro eletto la seconda parte del dilemma. Narra non meno che il Reggente Duca Warwick , essendo il re Edoardo vi Ancor fanciullo ( i55o ) fece accusare di tradimento un Vescovo , di cui voleva usurpare l' entrata. La Camera de' Comuni domandava che si accordassero le difese , e si udissero i testimonj. Il Reggente fé' discioglier la Camera ; e il Vescovo fu deposto. Così la Riforma operavasi in Inghilterra. Né vuol perdonarla il nostro storico all' illustre Bacone. Questi era stato generosamente protetto dal Conte Estex, rampollo della stirpe reale. Caduto in disgrazia di Elisabetta , ed accusato, Bacone arringò contro di luì , ao5 « ottenne clie fosse giusiiziatd. « 'Cotiesto grand' inge- gno, conchiude M. Bodia , sì nobile ne' suoi scritti, fu vile ne' suoi costumi j avaro, ambizioso, m Parlando del governo di quella famosa Regina , ne tocca il bene ed il male , affermando in ultimo , che fa somigliane- tisslmo a qaello d' Algeri. Noi consoleremo i nostri leggitori , trascrivendo in questo luogo il beli' elogio del Re Alfredo , vero specchio de' Sovrani : « Alfredo , i5 23o calata. Non ho perù dati sufficienti per decidere se lo strato di marna blu , debbasi considerare come della stessa formazione che il calcareo grossolano, oppure se si debba riguardare come a lui posteriore. Ho osser- vato che l'aggregato volcanico non ricopre che la parte che somiglia al calcareo grossolano , mentre invece la marna turchina non è da lui ricoperta ; ma ciò può probabilmente dipendere dalla sua posizione geografica , giacché il monticello che la contiene è più verso il mare e si è trovata forse al di là del punto in cui l'ag- gregato volcanico si è esteso, anzi dirò che quando au- che l' aggregato ricoprisse questa marna non se ne po- trebbe nulla inferire , giacché si sa che questi prodotti sono generalmente posteriori a tutti i terreni , e che cosi potrebbe aver ricoperto due formazioni di epoca dif- ferente. Un' osservazione generale occorre su questo capitolo , ed è, che il confronto del calcareo grossolano di que- ste contrade con quelle di Parigi, ossia i," terreno ma- rino di sedimento superiore , non riposando in parte che sull' analogia della tessitura della roccia , poiché i fos- sili sono alquanto diversi e che di più , sembrando che nel mezzogiorno della Francia una struttura analoga si ripeta in parte anche in un calcareo superiore , (^dép. de l'Hcrault ) separato dal primo da un terreno di ac- qua dolce, il quale calcareo rappresenta il secondo ter- reno marino di Parigi , che secondo 1' opinione più sparsa corrisponde a quello delle colline subapenniue , ne risulta che , laddove i due terreni non si trovano in una stessa sezione e separati dal terreno lacustre , se non se ne ponno determinare i fossili , la fissazione della loro età riesce difficile ; cosicché può dirsi che il nostro calcareo grossolano , finché un più attento esa- me non avrà fatto conoscere esattamente le spoglie or- ■ ganiche che contiene, fluttuerà tra il i.° e i° calcareo marino , menti'e invece la marna blò , che presenta piut- tosto la struttura (forse esclusiva) di un banco del. su- periore di questi terreni , può essere con lui classifi- cata e così corrispondere ad uno di quei frequenti ba- cinì o resti di questo terreno clie si vedono (come a Sestri , Genova , Alblzzola ec. e la molli punti di Fran- cia ) sul contorno del Mediterraneo. Breccie Ossifere. Nelle formazioni pure terziarie ( e queste più recenti che tutte le a'tre) debbonsi mettere quelle breccie os- sifere e non ossifere che hanno riempiute alcune delle fessure formatesi nei monti calcarei delle vicinanze di Tolone e di Antibo , le quali devono avere dell' ana- logia con quelle di Nizza , che contengono , come si sa , le spoglie di varj mammiferi, tra gli altri della classe dei ruminanti : attribuirei pure ad un' epoca simile quello strato di frammenti angolari calcarei ( riuniti spesso da un cemento rossiccio , e dello stesso aspetto di quello delle breccie), il quale ricopre una parte della pianura della Crau presso Hjeres , strato che si vede assai bene sulle sponde del fiume Gapeau , che Io ha solcato assai profondamente j ma il non avervi trovato gli stessi fossili , fa che possa dubitarsi di quello confronto. In quest' epoca pure si dovrebbero porre delle trac- cie di formazioni di tufo o travertino che impasta delle helix , e che si vede tra Corqaeiranne , e 1' istmo del Pesquier , come pure altre simili concrezioni che riu- niscono dei frammenti primitivi , si all' isola di Porte ros , come in quella di PorqueroUe } ma siccome pre- sentano una menoma importanza , cosi tralascio di fa- vellarne. Finisce qui la serie delle masse che sogliono attri- buirsi alla formazione acquosa , e che un celebre geo- logo chiama le masse normali. Non ci rimane ora pivi a considerare che quelle le quali dell' accordo di tutti sono dovute all' azione del fuoco , voglio dire i terreni volcanici propriamente detti : giacché è vero che nell' epoca dell' arenaria rossa abbiam veduto delle masse che sembravano esserne evidentemente un prodotto , ina molti geologi non essendo d' accoi'do su questo punto ho stimato di seguire 1' antico metodo che d al- tronde mi tornava in meglio lu quel caso , poiché davo nello stesso tempo la descrizione delle masse normali ed abnormi che sembravano avere un' origine contem- poranea. Terreni Volcanicì. E già noto che non pochi resti di antiche correnti di lava esistono iu varj punti della Provenza : sono già stati descritti quelli delle vicinanze di Aix , quelli di Gemenos ', a questi potranno aggiungersi le non po- che traccie che se ne vedono nel paese soggetto di questa memoria. Cominciando a ponente , esiste dapprima a poca di- stanza di Tolone , sulla montagna che è presso Olioii- les , in un luogo detto Evenos , una potente massa di lava che sovrasta al calcareo Jurassico , di cui abbiamo data la descrizione. Essa consta di una lava semi-com- patta e dura con del pirossenio , i suoi massicci hanno un poco la struttura prismatica , essa contiene in qual- che parte dei frammenti di roccie preesistenti un poco alterate, e in alcune sue cavità \i è una sostanza , cbe s approssima ed è forse TVollastonite. Non pochi punti di questa corrente sono porosi e di colore rossiccio; pare anteriore all' escavazione delle valli attuali , poiché in esse non ne scendono che dei massi isolati staccati dal massiccio superiore. Si estende per circa 700 passi: è stato detto che il calcareo sottoposto è stato cambiato in alcuni punti in dolomia. Legata probabilmente alla corrente volcanica di Eve- nos è quella del non discosto capo Negre , siccome pure i massi di simil roccia sparsi presso iS.' Nazaire a levante , ed intorno alle colline che avvicinano Six- fours. Nella prima di queste località , cioè al capo iVe- ^re si vede una sezione assai interessante ; accanto al terreno primitivo ( scisto argilloso ) vi è la massa di lava che presenta cinque divisioni o banchi che pajono indicare due o tre correnti soprapposte. Nel basso è una lava porosa amigdaloide , con mandorle o noccioli frequentissimi di calce carbonata, e qualcheduno eoa del mesotipo; gli è al dissopra uu banco di un aspetto a33 brecciforme , cioè composto di frammenti di lava , forse soltanto apparenti , legati da una terra rossiccia quasi indurata. Superiormente viene uno strato piìi compatto, e poi si rivede il banco brecciforme che è finalmente ricoperto da un nuovo banco compatto , di cui la strut- tura è uguale a quella della lava di Evenos ; contiene quest' ultimo banco dei piccioli vacui , nei quali è una sostanza gialla-terrosa, che non saprei determinare. Que- sta corrente riposa su dei detritus recenti del terreno primitivo annesso , e pare aver strascinato seco dei massi dì poudingue quarzoso dell' arenaria rossa, formazione che non è però molto di là discosta. Legata pure a questa corrente , e anzi forse più verso il punto da cui questa lava pare sortita , è la massa che si vede sovrastare alla montagna de la Coste al N. E. circa della chiesa soccorsale di S. Anna , prima del Beaussei. Questa montagna è coronata da un pla- teau di lava, analoga a quella di Es^enos , parte com- patta , parte porosa , numerosi massi della quale sono scesi nel torrente , che corre alla base di quella monta- gna. Il tratto che occupa questo plateau è forse pili alto , e molto piìi esteso che quello di Evenos ; le tre località indicate pajono però essere quasi situate sopra una sola linea , e non sarebbe improbabile che faces- sero parte di una slessa corrente. Lontano da questo cantone esistono altre traccio di lava nelle montagne dette les Maures , nei dintorni di Cogolen. Al dissopra del castello della Molle , evvi uà contraforte primitivo , di cui la cima quasi orizzontale per un certo tratto ferisce da lontano chi ha veduto i /^Zafeau basaltici del f^ivarese e dell' ^uvei'gne , e all' inspezione si verificano i sospetti avuti dapprima , giac- ché si ritrova che la massa primitiva è sormontata per un tratto considerabile da un torrente di lava che quasi orizzontalmente vi si è depositato; questa montagna porta il nome di Meravielle , la lava che vi si trova è generalmente grigia-turchina , semi-porosa con dei cristalli frequenti di pirossenio , è a grani non molto serrati , e talora ha delle parti piìi porose rossiccie , a34 nelle quajl sono sempre gli stessi cristallini di augite : questa mossa vista 4i finnco presenta qualche divisione prismatica: non vi è precisamente traccia del cratere da cui sono sortite queste lave , nondimeno verso 1' es- tremità meridionale, che è al dissopra del castello yi?e la 31oUe , una specie di semi-circolo di rocche della stessa natura potrebbe esserne un resto poco per vero riconoscibile. La slessa lava che ha coperto la sommità di Meravielle forma anche un poggio sulla montagna de la Madeleine ; ho veduto qualche parte , ove essa era più compatta : i fianchi di queste due montagne , che del resto sono attinenti , sono coperti da numerosi massi di questa roccia , spesso porosa , che si sono pro- babilmente staccati dall' alto. Monsieur Denys ha tro- vato impastato in questa lava dei cristalli o lamine di distenioj la cosa non pare debba molto sorprendere , ' trovandosi simile sostanza nei vicini banchi di scisto micaceo , dai quali probabilmente 1' hanno staccato le forze volcaniche che vi hanno esercitato ii loro potere. Un terzo luogo , ove s' incontrano ancora dei resti volcanici , è la cappella di Sant' Anna , e quella di S. Giuseppe presso i5.' Tropez : la lava è ivi più compatta che negli altri luoghi indicati ed ha più 1' aspetto del basalte , ha un colore più fosco , contiene qualche par- ticella visibile di feldspato e di olivina , agisce suU' ago calamitato grazie a dei cristalli di ferro ossidulato che vi si trovano. Non potrei indicare quanto si estende , perchè tutto è generalmente coperto dalla vegetazione o rinchiuso tra delle mura , si vede nondimeno nel fosso accanto alla strada , ove la lava è alquanto porosa. Alla cìiiesuola di Sant'Anna , la più alta delle due, si ve- dono molti massi di questa lava , ma non pare che formino un banco continuo. Questo terreno si deve estendere assai lontano a ponente mezzogiorno di questo punto , o piuttosto se ne deve mostrare qualche tratto analogo sulle montagne che sono al dissopra a ponente di RamatueUe , giacché a un' ora circa da questo paese andando a Bastide la Carradc ho trovato dei massi di questa lava con olivina , che il ruscello che passa e I 235 prende origine a' piedi di quelle , nvea staccato dal^ loie posto originario. Il tempo non mi ha permesso di ricercare ove fosse che queste roccie fossero m sitii. In appendice aggiungeremo a queste diverse masse di lava un terreno che vedesi presso Antibo e che si estende su d'una parte della penisola che è tra questa città e il golfo Jouaii ; terreno che appartiene alla stessa classe , ma di cui una parte sembra essere stata rima- neggiata dall'acqua, o almeno che è formato in parte da frammenti di questi prodotti volcanici. Questo terreno si mostra in una specie di valle del calcareo jurasslco e ricopre una porzione del terreno terziario. E composto in parte di roccie solide più o meno compatte e alcune uu poco a grani con cristalli che risaltano pel loro splendore , di anflbolo (^home- blende } , vi è forse anche del pirossenio ; ma la sua massa principale è un aggregato di massi delle roccie precedenti e di parti pili trite della stessa materia , ia cui si sono sviluppati dei cristalli neri analoghi a quelli della roccia solida e anche dei cristalli di augite. Alcuni pezzi un poco polposi sono traversati da picciole vene suddivise in rami di una sostanza di aspetto vitreo che riga fortemente il vetro , fa fuoco coli' acciarino , noa fonde al fuoco della cannella , ma diventa un poco opaca e quasi bianca ; non saprei a che riportarla grazie al suo modo di essere in vene e di aver 1' aspetto di un vetro fuso , che abbia colalo e penetrato attraverso le picciole fessure dei frammenti di lava , o meglio roccia volcanica : le superficie di questa sostanza , le quali toccano la roccia nella quale essa si trova, sono coperte di una pellicola di una sostanza verde , un poco porosa. Questo terreno pare estendersi attraverso la pe- nisola sumentovata un poco nella direzione S. O. N. E. j ma le roccie in banchi si trovano verso il golfo Jouan ; non è facile di studiarne le particolarità , poiché quasi lutto è ricoperto dalla vegetazione. Ma se il terreno \olcanico si mostra qui per un breve tratto , non è x:osi un poco più lontano tra il picciolo paese di Biot .verso il castello di f^augranìer e il Loup , e uell' in- j36 terno delle terre verso Roquefqi't : V aggregato volca- nico (che solo ho potuto vedere degli aggregati) vi acquista una potenza considerabile , è diviso in banchi di una certa altezza , ha un poco 1' aspetto del pepe- rino ed è a cemento più o meno grossolano , il quale in certi strati , mi è parso principalmente composto di grani feldspatici di apparenza un poco vitrea , vi sono In mezzo dei cristallini della stessa sostanza e dello stesso aspetto , come anche dei grani neri che sembran essere piuttosto del pirossenio che dell' anfibolo , del quale ve ne potrebbero essere però qualcheduno. I massi che questo cemento impasta sono di differente grossezza e molti appartengono ad una roccia grigia , un poco bruna , a piccole cavità , e che par formata di picciole concrezioni vitree , forse feldspatiche j vi è una specie di efflorescenza bianca con una tinta verdo- gnola , la quale è sparsa nei piccoli vuoti di questa lava ; vi sì osservano pure i cristallini neri veduti nel cemento , e qualche lamina che si distingue facendo muovere il pezzo di rocca alla luce , e che può appar- tenere a dei cristalli di feldspato. La non troppa diffe- renza dei grani della roccia impastata , da quelli del cemento potrebbe anche far sospettare che questi ban- chi non fossero un vero aggregato o breccia , ma che si dovesse quello aspetto soltanto all' inequale decom- posizione delle diverse parti della roccia ; io propendo nondimeno ad attenermi alla prima opinione , perchè non mi è riuscito di vedere quelle gradazioni di de- composizione , che si osservano dalla circonferenza al centro dei frammenti , quando essi non sono realmente tali. Osserverò che nella parte, non troppo grande per vero , che il tempo mi ha permesso di percorrere di questa formazione , non mi è riuscito di vedervi pezzi o banchi di lava cellulare , ossia contenente dei vacui di una certa dimensione. Questo aggregato o ammasso volcanico pare , come già abbiamo altrove accennato , soprapposto al terreno di calcareo grossolano , che si vede a J^augranier. Esso acquista una potenza consi- derabile al dissopra di questo punto , ove si cavano 287 delle pietre ad uso di lastricare i ponti : di là secondo {^li schiarimenti avuti pare estendersi fin verso Roque- J'ort a più di due ore di distanza dal mare. Sarebbe interessante di poterne dare una descrizione completa; ma il tempo non nii ha permesso che di A'isitare in succinto questo terreno , basta nondimeno per 1' oggetto di questa memoria che io ne abbia data l'indicazione. Fuori delle mentovate località non ho veduto traccie di terreni volcanici incontesttibili , mi è stato però detto che se n'incontrano dei resti a due ore circa da Fi'e- jus , presso la campagna di M. Tripoule , e in un luogo detto il Castelas. Siccome però da quella parte domina il terreno di arenaria rossa , cosi potrebbe essere che questi resti appartenessero alle roccie problematiche di quella formazione. Non mi è stato dato di poter visi- tare questi due luoghi. Ecco finita la serie di osservazioni che ho raccolte nel dipartimento del Varo, e che in mano a persone, più di me capaci , avrebbero potuto presentare un più alto interesse per svolgerne le conseguenze: ho creduto nondimeno che potrebbero essere di qualche utilità a chi volesse approfondire il soggetto , e perciò mi sono indotto a pubblicarle tal quali , avendo più in vista di servire d' indice a chi volesse percorrere questo paese , che di darne una completa descrizione , la quale esi- gerebbe un diuturno soggiorno in quei luoghi. Mi sem- bra però che dal poco che abbiamo detto si possa farsi un' idea della costituzione geognostica di questo distret- to , e tirare la conseguenza probabile che il rialzamento primitivo ( o la sua prolungazione ) che costituisce la catena centrale dell'Alpi , ha un ramo laterale, nella direzione quasi di S. O. , il quale ricoperto alla sua origine, si mostra in seguito al giorno, dalle vicinanze di Grasse fino presso Tolone , per abbassai'si poi al dissotto del livello del mare; che questo ramo bagnato a mez- zogiorno dalia marina per un certo tratto verso il N. serve di appoggio alle roccie posteriori arenaria e cal- carei , i quali accumulandosi hanno formato il contra- forte che esiste tra le valli del Vfràon , della Durance 23S e il mare , e die in certi seni o bacini parziali di que- ste formazioni hanno in seguito avuto luogo a depositarsi i terreni posteriori , siccome sulla superficie degli uni e degli altri gli agenti \olcanici hanno potuto versare i loro prodotti. Scritti inedili dell' Ab. Oderico ( V. Fase. i° 1 828 ). Lettera prima delV Abate Gjspare Luigi Ode- rico all' Abate Gaetano Marini su d' una antica inscrizione scoperta in Roma sul Jinir dell' anno 1 796. 1798. 6 gennaio. ^iil principio dell'anno scorso ebbi da voi a conto di strenna la presente inscrizione costi di fresco scavata. D . M . M . CATTIO . M . F . SECVNDO . GAJLER . GENVA . MIL . «HOR X VRB . ^ . NIGRI VIXIT ANN . XL Permettetemi clie accompngnata da alcune mie os- servazioni la vi mandi per lo stesso oggetto sul prin- cipio di questo clie v' auguro fausto , felice , e fortunato. Il minor pregio della nuova lapida si è a mio cre- dere il leggervisi il nome di Genova, non ostante, elle questo fin' ora non siasi veduto , clie in due soli degli antichi monumenti. Il primo si è la famosa Ta- vola di Bronzo a voi ben nota , incisa 1' anno di Ro- ma 63y , resto prezioso di Ligure antichità, che dot- tamente illustrato , tanta luce recar potrebbe alla no- stra antica Corografia (i), L' altro è una lapida Tor'-, lonese riferita da Grutero pag. 1019. n. io, e eoa' largo commento spiegata da Odoardo Ganducio ne' suoi antichi Governi di Genova : iu questa , tra le molte cariche di C. Mario Eliano , si legge che ei fu Decurio (1) L' Oderico stese su questo antico monumento molte noie , ma mori prima di poterle ordinare, ( N. "N. ) 24© (renuce et Fiamen. Federico Federici , die la citò nella sua lettera allo Scioppio ( n. i i ) scrisse trovarsi col nome di Genova un simil marmo in Torino enun- ziato e disteso nelle istorie del Pingonio. A me per altro non è riuscito di trovarlo nella ristampa delle medesime fatta da Onorato Rossi 1' 1777- Che che sia di tal marmo , ciò che molto cara mi rende la lapida, e ciò per cui holla in grandissimo pregio , si è perchè da essa sappiamo ora la prima volta che Genova fu ascritta ad una Tribù Rontana , e che questa si fu la Galeria. Se io ad altri che a voi scrivessi farei qui osserva- re , che chi era ascritto ad una qualche tribù , era optima lege civis Jìoniaiìus . acquistava con questa ascrizione la perfetta cittadinanza di Roma , il diritto de' Suffragi , ossia del voto, ne' comizj ed altri molti privilegi ed onoranze , di che Sigonio con altri , a voi ben noti , ampiamente parlarono , ed io tacer con voi ne debbo per non portar legna al bosco. Lascio dun- que tutto questo , e solo osservo come una piccola la- pida , con una sola parola ci fa sapere quale un tempo fosse lo stato , e la condizione di Genova , che nlun altro antico monumento ci avea finora fatto appieno conoscere. Ma quando fu che Genova entrò nella Tri- bù Galeria ? E quando vi entrò , era ella Colonia , o Municipio , o Prefettura , o sibbene città socia e con- federata ? due dimande che nascono naturalmeate da una sì fatta notizia. Comincio dalla seconda , e dico non esser Io per- suaso che Genova fosse una delle città socie , e confe- derate co' Romani, come pretese qualcheduno de' no- stri scrittori. Temo che 1' amor patrio non abbia illuso e sedotto chi così pensò. Di sì fatta società , e confe- derazione niuna buona prova se ne è finora recata , e uiuna credo recar se ne può. È vero che noi non leg- giamo nella Storia , né come , né quando Genova ca- desse in mano de' Romani,- ma vero è altresì che noi abbiam perduta l'intera seconda decade di Tito Livio in cui si parlava delle prime guerre de' Romani con- tro i Liguri. L'anno 517 secondo Eutropio, o nell'an- 241 tecedeiile secondo Zunara , le armi romane si mossero la prima \olla contro de' Liguri, e per ben cinque volte fino al 53 1 combatterono con essi e ne trionfa- rono. In una di queste dovettero impadronirsi di Ge- nova , poiché al principiar della seconda guerra Puni- ca l'anno 535 Genova era in loro potere. Che cosi fosse io 1' argomento dal libero andare e venire che i Consoli Romani facevano a Genova , conforme ciascun può vedere in Livio libro XXI : ma molto più me lo persuade la premura e l'interesse che prese il Senato Romano di riedificarla , distrutta che 1' ebbe I' anno 549 Magone Cartaginese. Lucretio prorogatum imperium ut Genuain oppidiun a Magone pcene dirutuni exae- dificavet. ( Livio lib. XXX. e. i. ). Questa premura e questo impegno del Senato mostra , se mal non mi avviso , che la terra apparteneva alla Repubblica. Se fosse stata città socia , e confederata , lo storico noti avrebbe taciuta una ciitoslmiza cotanto onorevole alla Romana grandezza e generosità , quanto quella di rie- dificare una città non sua. Che Genova riedificata da Lucretio 1' anno 55 1 fosse fatta Colonia, né Livio , che dovea pur dirlo , uoldice , né altro antico scrittore o mo- numento dopo di lui. Così parimente ninno scrittore o monumento ci fa sapere che fosse Prefettura , o Foro o Conciliabolo. 11 nostro Gauducio vi dirà che essa era Municipio fin dall' anno 03^ e che tale apparisce nella nostra tavola di bronzo incisa , come ho detto , ia quest' anno, ce Si vede , dalla tavola , che Genova fi- no in quel tempo avea superiorità sopra i circostan- ti popoli , e che già eia Municipio ; e come tale osservata dal Senato e Popolo Romano (pag. laS). Ma io per verità non trovo nella tavola indizio alcuno che Genova fosse allora Municipio ; sebben negar noa voglia senza prove che non lo potesse essere. Vi pro- durrò ben io un più sicuro monumento ove Genova è nominata Municipio j sol mi rincresce che il monumento sia di due e più secoli posteriore alla tavola. E questo dunque una lapida di Alba Pompeja , che dopo molti altri, più esattamente, come sempre suole, ha pub- blicala il C!i. Baron Veniazza nella raccolta delle Ro- mane inscrizioni di Alba sna patria. Vi saia già noli, ma perchè non ne andiate li\ cerca, io qui ve la tra- scrivo. CAM ~. CELSO AED .. PLEB . CERIAL . Q . ADLECT VM . SENATVS . ORDINEM .AB ... VA . TRAIAKO . AVG . GERM . DAC / PRAEF . COH . PRAET . COS MVHICIPI . SVO . ALBV . POMPEIA PATRONO . COLONIARVM MVNICIPIORVM ALBAE . POMPEIAE . AVG . BAGGIENORVM ENS . GENVENS . AQVENS . STATIEL Se Celso è quel Z. Pablilio console sufFetto 1' anno 862 ed ordinario 1' anno 866, siccome credette Terra- neo, la lapida è almen posteriore all'anno 862, e anteriore all' anno 868 in cui Trajano prese il titolo di P artico , che non gli vien dato nella medesima. Fu questo Celso protettore non solo Coloniarum , quali fu- rono sicuramente Alba , e Bagienna , ma ben anche Municipiorum , e questi sono i tre ultimi luoghi nomi- nati , de' quali , qualunque fosse il primo che non vo' ora cei'care , il secondo fu Genova. Ecco dunque Ge- nova senza contrasto dichiarata municipio in questa lapida Albense ; e poiché dalla nostra abbiamo che fu essa ascritta alla Tribù Galeria , ed ebbe con ciò la piena cittadinanza Romana , noi possiamo conchiude- te che il municipio Genovese, fu di quella sorta di municipi che cosi definì Feste : ( Vedi Mimicipiiim ) iAlio modo Miuiicipiuni dicitur , cum id geniis 1io~ tninutn dejinitur , quorum civitas universa in civita- tem lìoìiianani venit. Trasfusa , dirò così , Genova e i "Genovesi nella Romana Repubblica per la perfetta cit- tadinanza ottenuta con 1' essere ascritta alla tribù Ga- 'leria , cessarono qualunque fossero le leggi municipali ton cui si era sino a quel punto governata , glacchò conforme scrive Sigonio ( lib. cit. cap. 7. ) Qui snf- 243 fragio ornabantur , legihiis suis spolìahantur , Ro- manis vero obstrin gebantur. Voi sapete che un tal privilegio non a tutti i popoli piacque , e ve n' ebbe di quei che amarono meglio la conservazione delle loro leggi, che l'onore di essere perfettamente citta- dini Romani : è stato già avvertito , e se ne recano per esempio gli Alatrini i Verulani , e i Ferentinati , de' quali Livio ( lib. 9. e. 4^ ) • Hernicorum tribus populis , Alatrinati , Verulani , Ferentinati , quia maluerunt quam civitatem , suce leges redditce; a' qua- li si aggiungono gli Eracliesi ed i Napoletani , per autorità di Cicerone nell' orazione prò Balbo : Cum sociis et Latinis lege Julia civitas data est , magnani contentionem Heracliensium et Neapolitanorum fuis- se , cum magna pars in iis civitatibus jnris sui li- hertatem , civitali anteferret. La nostra lapida è un chiaro monumento , che i Genovesi non furono di qUe;- sto numero. Ma quando fu mai , ed in qual anno av- venne , che Genova fosse ascritta alla tribù Galeria , sento che voi mi domandale ? lo prendo tempo a ri- spondere a questa domanda , ed intanto «sonò. . . . ; , DE EPITAPHIO SANCTVLI SVBDIACONI GASP ARI ALOYSII ODERICI tìiiij 9JnsKw,: -tjqDlSSERTATIO. ,v;f,-''^'i SII. '' ' • ■ qfc< HIC REQVIESCIT BONAE MEMORlAE SANCTVL\S SVEDIAC IN PACE QVI VIXIT ^"■^ .' ' AJiNOS PM LXXX UP HVS VI isq , IH) „ ^^ . KAX MAIAS CONS ALBIJil YC COKS r.„. p p ^ Qui lapidem hunc in Laurentiaua Basilica collocarunt , in ea fuisse opinione videntur , quod Sanctulus Con- stantiuo Magno imperante obierit j sic enim subiecta in tabula legimus : EPITAPHJVM HOC A CÒKSTANTIM MAGNI TEMPORIBVS EDITYM E VETVSTISSIMA SACRA AEDE HVIVS \RBIS EFOSSVM ET A FR*^^" GKIM^ LVCAE OLIM . . . . REIP'^^'" DVCIS F DONO ACCEPTVM TEMPLI CVBATORES PERPETVO UIC SERVANUVM COLLOCARVNT MDCXLIII Placuit hoc idem Friderico Federlcio viro clarissimo cujus haec esse feruntur. « Ed è grande argomento , che i Genovesi sieno stati ce i primi a professare pubblicamente la cattolica Re- te ligione , il vedere che si ritrovino sepolture pubbli- co che sino al tempo di Costantino , che ciò primiera- cc mente permesse , come attesta il Baronio sotto 1' anno ce 326. ^ HIC REQVIESCIT IN PACE E . M lOHANNES QVI VIXIT PLVS MINVS ANNOS XXXIIII . TRANSIIT SVD . DIE . V . OCTOB FAVST IVNIORE V . C CONS ^P 245 « Ed un'altra slmile par (^ Sufi et ali nempe ) col La- « bai'u di Coslanliiio sotto Albino , come si vede in ce duomo (i) . " Quae omnia satis oscitanter , ne quid gravius dicam , prolata. Quo primum tempore Genuenses nostri catholicam fidem religionemque professi sint , non est loci hujus inquirere. Factum id Constantlni Magni aetate , ut ve- rum fortasse sit , lapidibus istis probarl mihi nolim ; ne illud usurpem , Quodcumque ostendis mihi sic , incredulus odi. Horum quippe lapidum , alterum longe post Constan- tinum posJtum certissiraum est: alterum ad illius aeta- leni pertinere nulla certa ratione asseritur. Ac primum Johannem , ut ab eo incipiam , Fausto Juniore consule obiisse lapis ait j Faustus hic , porro , Junior dictus, ut ab alio Fausto distingueretur , qui ante ipsum consul fuerat : Faustus hic inquam Junior , fastis omnibus testantibus anno vulgaris aerae 490 cum Longino II consul fuit j annis nimirum i53 post Con- stantini Magni obitum , qui anno obiit 33y. xi kal. jun. Quid quod neminem Constantino imperante Fausti no- mine cousulem processlsse veteres fasti referunt ? Novi equidem in quibusdam scriptorum recentiorum fastis anno SaS consulem cum Juliano dici u4.niciuin Fau- stuìn Paulinum. At perperam buie Paulina Fausti nomen datum ; qui Faustus nequaquam dictus est , sed ut ex Rheinesiano lapide , refert Relandus (2) M. Junius Cesonius Ni- comachus urinicius PauUnus. Finge tamen , Fausti no- mine auclum , quum in omnibus \eterum monumentis , in quibus consules cientur unico nomine PauUnus di- catur , Paulino et Juliano sic fasti omnes latini et graeci , PauUnus et Julianus sic Cassiodorus , consu- latu Paulini et Juliani sic acta Nicaeni concilii eo anno habiti apud Relandum (3) ; quum sic inquam ap- (1) Rea! Grandezza di Genova , pag. 17. Lettera di Fede- rico Feder. della Repubblica di Genova , nota n. 14. (2) Reland, Fast. cons. p. 820. (3; Reland. ibid. 346 pelleiur , rnanifcstum est , postremum atque ultimum hujusce oonsulis nomea Paulinum fulsse ; adeoque in Johaonis lapide eo notari debuisset , si eodem consule obiisset Johannes. Ut enim post Sirmoodum Norisium , aliosque egregie scripsit MafFeius (4) « postquam plura « aggerandl nomina iiivaluit usus , postremo tantum , ce tanquam magis proprio, indigitari consuevisse nobi- le llores viros , consulares fasti posteriorum temporum ce praecipue docent. » Quo circa satis apertum est , opi- nor , alium omnino ab Anicio Paulino fuisse Fau- stuni , quo consule anno 49^ Johannes obiit , annis ut dixi i53 post Constantini mortem : qui Faust us , Ju- nior dictus est , quod anno 483 alius Faustus consul fuerat. Venio nunc ad Sanctuli epìtaphium , in quo cura- tores S. Laurentii cura Federicio aliisque esultare vi- dentur ; atque ab iis quaero , quo teste , quo vate , epi- taphium illud Constantino magno imperante positum , lam facile , atque adeo tam confidenter staluant. Non alia opinor de causa quam quod eo in lapide Albini eoDSulatus memoretur , atque Albinum consulem Con- stantio collega anno 335 , quo Constantinus adhuc in vivis erat , fasti consulares proferant. Recte sane , si hic unus in fastis esset , cui Albini cognomen fuerit. At iis omissis qui tribus prioribus cliristianae aerae saeculis consules faerunt , quum tres alteri hujus seu nominis , seu verius coguominis , consules occurrant ab quarti sae- culi inilio ad Basilium Juniorem ultimum privatorum consulem anno 54 1 j dicant velini , cur Sanctuli lapis Albino consuli anno 3a5 tribuendum potius sit , quani Albino qui cum Amantio consul fuit anno 345 , vel Albino qui anno 444 cum Theodosio Janiore , vel Albino qui anno 49^ cum Eusebio Chronio consula- tom gessere ? Nam quod Constantinianum Labarum hoc in lapide sculptuni asserat Federicius vereor , ut satis rectis Gculis lapidera aspexerit Federicius , vel satis nn- verit quid Conslanti/ii Labarum foret. ConslaiUiin (4) Maflei Ossei V. LclUi. ioni. •>,. p. 3ii. 247 Labani'n , uti ex P'iisebio Caesariensi oculato leste, at([ue ex numis ejusdeiu Imperatoris novimus , bastile fuit oblongum , quoJ lignuin babuit transversum , ex quo parvulus pamius , seu vebim , pendebat quadratus , et cujus in fastigio Cbristi nominis monogramma posi- tiim fuerat ', cujusraodi videas in aversa parte Constan- ti niani numi , cujus in medio stat hoc eplgrapbe spes PUBLICA (5) . Nibil porro simile in SanctuU lapide. Decepit , ni fallor, Federiciuni Agnus qui supra lapidis coronam affixus est cum vexillo crucigero ; sed agnus ille nihil ad SanctuU epitap^iium , neque ad illius lapidem spe- j ctat. Unus est ex iis agnis vexilliferì , quos sculptores , I pictoresque Johannis Baptistae imaginibus, sequioribus I sane saeculis , addere consueveruut ; a curatoribus tem- \ pli , ornatus fortasse causa , lapidi superpositus. Symboli- ! cis istis agnis urbs nostra redundat. INeque dicant ve- I teres cbristianos agni symbolo Christura indicasse, qui sacris in litteris Agni (6) nomine designalus est , atque Dei Agnus ab Johanne Praecursore nuncupatus (7) . Novi sane ac multa vidi veterum cbristianorum monu- I menta , in quibus Agnus tanquam Cbristi syuibolum ef- ' fìctus est , qua de re egregie disserit Bonarotius ad vitra , Coemeteralia (8) : at nullibi , quod sciam , velerà Cbri- I stianoruni monumenta bisce agnis crucem cum vexillo ) addidere. Agnum cum cruce sine vexillo inter ea sym- 1 boia retulit Allegranza , quae se ex antiquis christia? i norum monumentis collegisse ait (9) ; at unde hause- I rit , cujus sit aetatis , non edocet : adde quod eo agno mansuetudioem indicatam contendit. NuUum igitur ar- gumentum prò lapidis aetate a Labaro desumptum , 1 quum Labarum nullum in lapide existat. Sed neque ex Cbristi nominis monogrammate , quod (5) Du Gange De Num. infer. aevi , § XX. , (6) Isaia 53. 7. Geremia XI. ig. (7) Apoc. XIV. (8> Buonarotti , Vetri antichi , pag. 45. 4^' (9) De Scpul. Christ. Disscrt. N. XXX , et Tabella in fine oper. a48 in iuferlori lapidis hujusce parie vìsitur, effici quidquain poiest. Triplex in lapide Christi nominis , ut dicebam , monogramma duplici modo efformatum est. Quod me- dium occupai locum , constai ex duobus prioribus Christi nominis apud Graecos eleraentis X scilicet , et P , ut passim solet littera P ad perpendiculum X divi- dente , uempe ^ , cujusmodi monogramma multo ante Constantinnm , suis in monumenlis chrisliaiios usurpasse notissimum est. Quae vero ad latera sunt mouogram- mata , ita efFormata sunt ^ , ut linea recla litterae P una sii cum altera e duabus lineis litterae X. Hoc pacto a Constantino efìormatum Christi nominis monogramma critlcorum nonnulll contendunt: atque ea usurpant quae vetus auctor scripsisse fertur. Fecit nimirum Constan- tinus ut jtissus est , et transversa X littera summo capite circumjlexo , Cliristuin in scutis notai. Grave sane testimonium , et de visu , si Lactantius operis illius auctor. Al non idcirco statues , titulum hunc Sanctuli Constantini Magni tempore positum , siquidem hujusce- inodi monogrammatis figura sexcentis in monumentis visitur , quae multo post Goustantinum certissime posila sunt. Haec cum ita sint , nemo , nisi inconsulte ac temere , ad Constantini aetatem Sanctuli epitaphium pertiuere decernet : nemo prudens ad rem lantam firmandani du- bio atque incerto testimonio utetur. Al qua aetate po- §itus lapis sii definire non ausini. Longe post Constan- tinum obiisse Sanctulum uiihi probabilius j ut non invi- tus Angustino Schiaffino (io) accedam qui òanctuli mortem in annum contulit 49^ » quo Albinus ^ ut dixi , cum Eusebio Chronio II consul fuit ; hic in Oriente , uilbinus in Occidente. Nemo porro paulo eruditior igno- rai , diviso imperio , alterum consulum in Oriente , al- terum in Occidente creatura , quamvis quandoque ambo in Oriente, vel in Occidente procederent , ut rene Norisius animadvertit (ii). Quo circa quum Occiden- (lo) Caeootaph, Pis. Disser, IV. e. i. § i. (il) De Doclr. Temp. lib. i3, p. 43:0. 2 19 talis consiiì tuerit jàlbinus lioc anno 49-^ » "'^ mirum si Occidenlales suis in inonumenlis euni soluni , om- inisso collega orientali , consuleni agnoverint. Sexcenta hujusce rei exenipla exiant , saeculo praesertim quinto ; quo libentius Schiaffino subscribo Hunc solum hoc anno consuletn nominant Gassiodorus suis in Chronicis , et Cuspiniani Anonymus , ejusque solo nomine subscripta est Gelfisii tunc Pontificis epistola septima , ut testatur Petavius (12), et Relandus (i3), quamvis in Oriente Albini collega consul processisset iterum Eusebius Chro- nius , atque utrumque nominent Marcellinus et Ghroai- con Alexandrinura. Albinoriun , quos consules ab anno 335 ad hunc annum 493 fuisse diximus , Gentem , seu Familiain , veteres F'astorum et Chronicorum auctores praelermit- tunt , ac solo eos postremo nomine , seu cognomine Al- biìios appellant, Sunt tamen ex recentloribus scriptori'- bus, qui paulo audaciores eas nobis exhibere tentarunt; ac priores duos Albinos Caeioniae Ihifiae genti Iribuunt , posteriores Deciae , non temere fortasse. Ulraque enim gens -albini cognomen ultimo loco usurpavit , ut plures ostendunt lapides et monumenta. Hinc consul anni 493 , quo Sanctulus obiit , uti reor , Deciiis Albiniis dicitur la Fastis Almelovenianis ; idemque , Pagio auctore , Junior dictus est , ut ab eo distingueretur qui consul fult anno 444 5 atque a Panvinio Caecina Decius Albinus dici- tur ; jure ne an injuria, alii inquìrant. Caecina Decius Albinus apud Gruterum p. 187 occurrit , urbi Prae- fectus Arcadio imperante j utrum unus idemque ac con- sul anni 444 ignorare me fateor. Consulatus honorem Decii^rum familiae domestlcum fuisse ait Gassiodo- rus (i4). - Hoc Decio Albino Juniore , quem lapidis nostri con- sulem esse autumo , Theodericum Gothorum regem Ra- vennam Ingressum , atque Odoacrem, eidem post pacem (12) Fast. Cons. pag. 668. (i3) Ann. Eccl. MSS. Bibl, Berio tom. 1. p. Sao. (i4) Variar, lib. g. ep. 22. »5o initam insidins molientpm iiUtfremìsse , suis in Chronicis soripsere Cassiodoius , Mariiis Aventlcensis , et Anony- mus Guspiniani. Hic idem ille est, quem pluribus post nmiis Cyprianus quidam Theoderici referendarius, falso laese majestatis crimine accusa\it , cujns innocenliam ut tueretur Boetliius Roma Veronam cucurrit infelici lieu ! exitu ; perfìdus quippe Cyprianus in Boethium ip- sum crimen vertit , cujus causa vir summus captus est , atque anno 624 , vel sequenti , per summum Tlieoderici scelus inlerfectus (i5). Ejusdem albini cognatum fuisse Fmistum Juniorem, quem consulem anno 490 supra diximus , afBrmat Bo- narrotius (16) . Sed de hujusce lapidis consule satis fortasse multa. Quid de nostro Sanctulo , cujus primae deferendae ? Dolco equidem uihil de eo ex hoc lapide , praeter vitae annos , munus , et diem depositionis scire posse. Subdiaconum Geuuensis Ecclesiae fuisse illuni censuit Schiaffinus (17), quod non invitus credam : at in Ec- clesia S. Michaelis sepultum quod idem addii , ut mihi persuadeam non patitur illius aetatis disciplina , quam- vis hujusmodi S. Micliaelis Ecclesia , eo loci quo lapis inventus fertur , stetisset. Qua de re nolo heic disputare : multa sane ut id efficeretur indocte atque imperite coa- cervata sunt , quae ego sinam praeterfluere. Mirabitur fortasse quispiam, hominem octoginta annos natum , non ultra Subdiaconatum in Ecclesiastica hie- rarchia progressum. Dicam ne ultimis tantum vitae annis Ecclesiastico ordini Sanctulum adscriptum ? An potius ex Christiana animi demissione per totuni vitae tempus in Subdiaconatu perseverare illum voluisse , quod a viris probitate et sanctitate illustribus factum olim testatur Benedictus XTV (18)? Ut ut sit, Subdiaconum octo- (i5) Boethius De Cons. Anonym. Valesian. et Valesii ad hunc notas 53, 55. (16) Vetri antichi, p. 254 > ove cita Ernodio lib. 2. cp, 22. (17) Ann. Eccl. Mas, della Bibliot. Belio niim. 120. tom. 1. pag. 320. (18) Sjnod. Dioces. lib. XII. e. IV. 331 gfsimo vitae anno obiisse Sanctulum testatur lapis j celebs ne , an conjugio jnnclus ali! inquirant. Nullis ea aetate continentiae legibus Subdiaconos adstrlctos notum satis vulgalumque est. Hinc quum apud Corsinium (19) legas ^ugustinum Subdiaconum conjugi suae dulcis- simae , qua cum convixerat annos VII, menses III, dies XX; et apud Rheinesium, aliosque graeco in lapide invenias Paulam F'auli Hjpodiaconi ( ujroe?. ) quadri- niam defunclam , non est cur de uxoribus , quas ante susceptum ordinem habuerant , interpreteris. Ut enim epitaphia ista nullam certam prcferant aetatis notam , ante indictam tanien Subdiaconis continentiae legem posita fuisse satis verisimiliter reor. Graeca illa ^noS cum Rheinesio et Corsinio uTrofytaxovo; interpretatus sudi potius quam u7ro(??]fpov cum Placentinio , vel u7ro(?sxTov cum Martorellio , cujus interpretatlonem Placentinianae praeferendam esse facile viri docti consentient. Sunt qui velint veteres Subdiaconos proprio Epi- scopo fuisse ab epistolis : Ecclesiasticas prò eo legalio- nes obiisse , eisdemque honorum ac pauperum Ecclesiae curam demandatara. Non temere fortasse ; sed nihil ia promptu habeo , quo rem vel infirmem , vel illustrem. Subdiaconos plures Romanae Ecclesiae patrimoniis ia Sicilia , et Apulia praepositos , Gregorii Magni litterae oslendunt. (19) Not. Graec. p. 6g. 70. Nota. Quarta linea hujusce tituli prò hvs legerera libentius eivs , atque DP Eivs interpretarer depositio ejiis : sic apud Maran- gonium ( Act. S. Victor, p. laS) deposso . eivs . vi . KAt . prò Depositio ejus : sic apud Mabillonium (De Cultu SS. Ignol. pag. 26) cvivs.DP.EST svB DIE Vili KAL iVNii. Si quis taoicn illud HVS prò Hvivs posilum velit , non repugnabo. Linea ultima lege : Coasidatti albini viri clarissimi con- sulis. s5s Breve notizia del sesuente Discorso. X ra le tante e si svariate produzioni d" ingegno , che fanno oggidi gemere i torchj italiani , troppo di rado accade che reggasene comparire alcuna della fatta che è la presente del eh. Abate Michele Colombo. La quale se è da fanciulli rispetto allo scopo , che s' ha prefisso principalmente 1' illustre Autore in coraporla , è da sommo e letteratisslmo uomo per la finezza del giudi- zio , per 1' ingegnosa squisitezza degli argomenti , e per le ingenue e native grazie dello stile , che vi rispleu- dono mirabilmente per entro. Egli è questo un lavoro da farsi creder facile a un volgare ingegno , che mal conosca le proprie forze , ma diDBcilissinìo pure agli elevati , che anch' essi avrebbero molto a sudare per correre con non minor lode un cosi fatto arringo. Ed in ciò appunto riponeva il sommo dell' arte quell' an- tico maestro ut silfi (juii'is Sperei idi^m ; sudet multam , fruslvaque laboret udusus idem. Il qual precetto non ci saria malagevole di far vedete con rara felicità praticato in tutti gli scritti del N. A., se questo breve cenno non fosse interamente consecrato al presente Ragionamento per dimostrare in qualche maniera gli obblighi grandi , che ha in verso di lui il Giornale Ligustico. Né minor grado gliene debbon sa- pere i genitori , e gli institutori pubblici e privati della gioventù italiana, che abbia Egli aperto un nuovo e delizioso cammino da meltervisi i teneri alunni con pari diletto ed utilità ; e ben di lui sì può dire : Ornile tulit pun etani qui miscuit utile dulci. E scegli è vero ciò che fu osservato dagli antichi sapienti, nella retta ed acconcia istituzione de' giovi- netti dimorare la felicità dei popoli e delle nazioni , un nuovo merito s' ha acquistato il Colombo davanti aJ a53 Principi stessi. Onde noi ci rechiamo a gloria di poter offerire al Pubblico si prezioso lavoro uscito appena dalle mani dell'Autore in un' età , in cui i piìi sogliono essere inetti , ed egli quanto è cagionevole della persona ( di che ogni cuor gentile dee provar dolore ) altret- tanto par accrescere per vigoria d' ingegno ad orna- mento delle italiane lettere e a benefizio della gioventù. Cosi a' 20 dello scorso maggio scriveva Egli di questo suo Discorso ad un amico : « Ho frugato ne' miei scar- te tafacci ; ma non ho trovato se non qualche brano « d' un Discorso che io ho lasciato informe , e appena ce sbozzato , intorno alle prime lezioni da darsi a' Fan- te ciuUi. M' ingegnerò di mettere insieme que' pezzuoli ,; ce e di supplire al resto il meglio che io potrò nel cal- ce tivo stato di salute e nella debolezza di mente a cui te sono ridotto; e gliel manderò se riuscirh cosa corn- ee portabile. " Né lasciò trascorrere se non pochi giorni , eh' Egli attenne la promessa , sempre però diffidando della bontà del suo lavoro , eh' Ei chiama inezia : sì basso è il con- cetto in che tiene le cose sue , e sì rara in lui la mo- destia , cui oggidì han chiusa la porta i Gabinetti della moderna letteratura. Ma gli è pur da concludere , che in così fatta inezia ritroveranno gradito pascolo e il giovinetto , e il letterato , e il filosofo , e chiunque h^^ fior di senno e di coltura. »7 ^54 DELL' AMMAESTRAMENTO culi più' conviene a' fanciulli Discorso di Michele Colombo. t/gli non è al mondo veruno il quale abbia maggior bisogno d'assistenza e d'ajuto, che un povero Huicm o coslrelto a dover ricevere dall'altrui mano tutto quello che è necessario al suo proprio sostenimento. JN e que- sto restringesi a' soli corporali bisogm : anche il suo spirilo attende il convenevole nutrimento dalle altrui benefiche cure. . Ora ciascuno converrà meco che quanto maggiore è il bisogno che 1' uomo ha dell' altrui opera , tanto mag- giore è il benefizio che gli fa chi si adopera in prò di lui : e però grandissimi benefattori s' avranno a giudicar co- loro i quali dedicano sé stessi alP ammaestramento de teneri Giovanetti. ^ ^ • i » Ma un cosi fatto ufficio non è da tutti : imperciocché è cosa assai più difficile eh' altri non crede il conoscere qual genere d' istruzione più si convenga alla natura d un Giovanetto nella prima età sua. Sarebbe d' uopo che volgessero il pensiero a ciò uomini di finissimo discer- nimento e di molto senno: e questi sdegnano per la più parte « Mirar sì basso con la mente altera : ed amando di spaziarsi per le più eccelse cime dell' umano sapere , si recano quasi a disonore lo scendere d'indi a prender per mano queste semplici creature, e condur seco a poco a poco ancor esse là sopra : co- me se di poca gloria esser dovesse il rendersi insigne benefattore degli uomini per questa via (i). CO Cos'i non pensava un de' maggiori filosofi che sieno mai stati , il celebre Locke. Quell' ingegno sublime , che 255 Qui forse sarebbe da farsi qualche osservazione sopra la maniera praticata quasi comunemente tra noi , d^ in- struire i Fanciulli : ma noi comporta la brevità d' uà Discorso in cui mi sono prefisso unicamente d'indicare quel metodo d' instruzione il quale a me sembra che più di qualunque altro lor si confaccia. Come a far prosperare una tenera pianticella è d'uo- po sapere qual genere di coltura essa sia più alta a ricevere , così parimente , a voler che un Fanciullo pro- fitti nello studio , è mestieri conoscere a qual sorla di ammaestramento egli naturalmente sia più disposto. Ora i fanciulli ( e chi noi sa?) preferiscono a qual- sivoglia altro metodo d'istruzione i racconti: a questi porgono volentieri orecchio ; a questi prestano con dì- letto attenzione : ond' è che a questa loro tendenza po- nendo mente gli Antichi , composero essi una gran parte de' loro apologhi affinchè fossero con lai mezzo istruiti i Fanciulli ne' principii della morale. Ma stimano alcuni che non sia questo il genere de' racconti che maggiormente alletti un Fanciullo: essen- doché non può egli , per loro avviso , persuadersi giam- mai che gli animali favellino , né che operino nella guisa che nell'apologo si racconta. Riguarda pertanto, dicon essi , il Fanciullo come una falsità la cosa narrata, e perciò se ne cura poco, vi porge poca attenzione, per conseguente ne prende poco diletto. Perchè mai ( soggiungon costoro ) mettere in sulla scena questa sorta d' attori ? Perchè non introdurvi per- sone della medesima nostra spezie, e dare con questo mezzo al racconto una \erisimiglianza , la quale con la natura dell'apologo non è compatibile mai ? Perchè tra- \estire la narrazione d' un abito cosi strano , se questo stesso è che aliena da essa 1' animo del Fanciullo ? Io sono ben lontano dal conformarmi in tutto al pa- pur solea con profonde meditazioni intertenersi sopra ma* lerie astrusissime e nobilissime , non isdegnò di trattare al- tresì della maniera di educare i fanciulli , e non giudicò disdicevole ad un filosofo il cercare un modo facile e di- lettevole di far loro apprendere l' abbiccì. •»56 rere dì quelli che così pensano : né già crederò che la lettura degli apologhi poco sì confaccia all'indole e al genio d' un Giovanetto. Quantunqne molto bene egli sappia che né i quadrupedi, né i serpenti , né gli uccelli non parlano come noi , perchè, di grazia , non può egli immaginarsi che pur s' inlendan tra essi , e favel- lino alla ntaniera loro ? Troverà pertanto il flmciuUo molla verisimiglianza eziandio nell'apologo seiDpre che gli animali mentovali là dentro tengano un linguaggio conforme alla natura loro. Bensì sono ancor io d'avviso che s'avesse a far uso neir ammaestrare i Fanciulli anche di Novellette accomo- date alla capacità loro, e fatte per essi. Noi verremmo in questo modo a moltiplicare i mezzi della loro istru- zione , ed a renderla piìi svnrijila e più dilettevole. Ma di questo genere dì Novelle quante n'abbiamo noi? Po- che certamente io ne conosco. Le più dì quelle , che furono fino ad ora cpmposte pe' Giovani , non sono di verun uso nella prima età loro 5 imperciocché quelli che le composero non isceser sì basso come sarebbe slato mestieri acciocch' esse non eccedessero le tenui forze del lor fanciullesco intelletto. Com' essi furono alla metà della scesa , s' arrestarono quivi : donde av- venne che il lavoro dì tali scrittori , utilissimo a' Gio- vanetti che già cominciata avevano la salita , di nessun giovamento esser potesse a quelli che 1' avevano ancora da cominciare. Seppe bensì fino ad essi abbassarsi l'abate Taverna quando compose quell'aurea sua Opera delle Prime Letture de' fanciulli ^ della quale abbiamo parecchie impressioni. Grandissimo è il frutto che i Giovanetti debbono trarre da un libro , siccome è questo, in cui apprendono nel medesimo tempo e le cose più utili a sapersi , e il modo di enunciarle con proprietà di ter- mini e pulizìa dì favella. E perchè conosceva assai bene ancor esso di quanto allettamento sogliono es- sere a loro i racconti, e^li a' graziosi Dialoghi ond' è formata la più parte dell'Opera, intrappose eccellenti IVovellette accoace quanto mai si può dire al bisogno loro. a 57 Felici i Fanciulli se in buon dato n'avessero dì cosi fdtte ! Ma perchè queste sono per avventura in più scarso numero di quello che sì richiederebbe a trovarci an- che di tal suppellettile doviziosameate forniti , ottima cosa senza dubbio farebbe chi s'avvisasse di accrescerne il novero con offerirne al pubblico molte altre ancora. Dovrebbono queste essere semplici e brevi a un di- presso come le Favoletie d'Esopo, e massimamente le prime, ^^on vuoisi per altro che sieno tutte né brevi né semplici al medesimo modo : perciocché avendo il Fanciullo a trovarvi sempre un pascolo proporzionato al bisogno suo, secondo che piìi vigoroso andrà in lui facendosi 1' intendimento , dovrà divenire e men breve la narrazione, e men disadorno lo stile. Quanto agli argomenti che avranno ad esser trattali , egli è certamente da darsi la preferenza a' più utili e più importanti: ad ogni modo non sarà malamente fatto se, per ischivare una certa uniformità, sempre gene- ratrice di noja , se ne mescolino anche altri di minor considerazione. Coloro che scrissero infin a qui Novelle ad uso de' Giovani , si studiarono di volgerle tutte all' istituzione morale. Ma perché, domando io, perché noa potrebbesi dare a così fatto genere d'ammaestramento maggior varietà ed estensione , e dirigerlo non solo alla rettezza dell' animo , ma eziandio alla desterità dell' in- gegno ? lo voglio bensi che scopo sia dell' educazione ìi formare del vostro Fanciullo un uom onesto e dab- bene: ma perchè non dovrà essere suo scopo ancora il formar di esso un uom destro e sagace? Un B^anclul- letto ha bisogno di tutto : e però , dove salubre sia il pascolo che gli si porge , lutto è buono per lui. Un detto spiritoso ed arguto, una risposta pronta ed ina- spettata varranno a disporre il suo ingegno alla sveglia- tezza ed alla vivacità , quanto unA sentenza o una massima morale a dispor il suo cuore all'amor del retto e del giusto. Per conseguente io credo che noa lutte le Novellette che si faranno leggere al vostro Fan- ciullo abbiano a contenere qualche principio o dettato morale: pur ch'egli rlliovi in esse un cibo dilettevole e sano, sìa dì qualunque sorta si voglia, non sarà stalo da lui perduto quel tempo ch'egli avrk passato in let- ture di questa fatta. Anche quelle Novelluzze medesime , nelle quali a prima giunta non iscorgesi utilità veruna, gli saranno tuttavia profittevoli se il giudizioso Maestro s'avviserà di trarre eziandio di là quello che può ser- vire al suo Allievo di qualche buono indirizzo. E non si può dubitar che non sia nel primo periodo della edu- cazione indispensabile ufHcio del Maestro il far questo. In tre periodi, s'io mal non m'appongo , è da dividersi l'educazione de' Giovani. Neil* ultimo di questi ba il Maestro a faticare poehissimo j essendoché il Giovane e con le forze del proprio intelletto notabilmente accre- sciute , e col corredo delle cognizioni acquistate , per poco che il maestro V assista , si trova in istato di spin- gersi innanzi da sé medesimo. In quello di mezzo poi, quantunque la mente del Giovanetto abbia già pigliato un certo grado di consistenza , né sia più cosi digiuna com'era di cognizioni, e perciò possa far qualche cosa ancor egli , ad ogni modo né il vigore dell' intelletto , uè il saper suo sono ancor tali , che non richiedano dal maestro di n^olto ajuto; e quindi hanno a faticare tutti e due insieme. Ma nel primo de' tre periodi non potendo il Fanciullo , privo ancora quasi afFatto e di forze intellettuali e di cognizioni , far quasi nulla da sé, conviene che la fatica sia del Maestro presso che tutta. Ma infin a qui s' è favellato, dirò cosi , astrattamen- te j e perciò potrebbe non essere stato il mio divisa- mento compreso così bene com' io pur vorrei : per la qual cosa non sarà forse mal fatto , che prima di por fine al presente ragionamento , io mostri col mezzo di alquante Novelle di questa natura qual press' a poco sa- rebbe il metodo da tenersi nel caso nostro. Novella I. Dì un breve contrasto eh' ebbero insieme un marito 0 una moglie. V A un ceri' uom , eh' avea il capo sempre pieno di ce grilli e di bizzarrie, venne un giorno il ghiribizzo di ce fendere le sue pentole j e 'J disse alla moglie. Rispo- cc segli essa : or sei tu pazzo ? Ed egli a lei : Deh , et sciocca , non sai tu il proverbio che una pentola ce fessa dura più che una sana ? Provati di far ciò, sog- ce giunse la Donna, se vuoi che io fenda a te la testa ce con un bastone. E quegli rispose : aspetta che il mio ce capo diventi pentola , e allora Io fenderai. Quella ce pronta e inaspetiala risposta mosse a riso colei ; ed ce ebbe fine cosi la questione. 33 Niente di più inetto e di più frivolo, che il soggetto di questa Novella. E con tutto ciò il dialogo animato e conciso di costoro , e sopra tutto la risposta bizzarra e lepida del marito non potrebbe a meno di risvegliar nel Fanciullo che la leggesse un certo che di gajo e di festevole: il qua! ofTelto riprodotto di poi dalla lettura di altre novelle di simil genere , sarebbe cagione eh' egli prendesse una non so qual altiladitie alla vivacità de^ motti : e questa disposizione , coltivata in lui dall' educatore nel debito modo , divenire il farebbe a suo tempo un ingegnoso e bel parlatore. Le lepidezze di questa fatta sono lodevoli , e possono in parecchie oc- casioni far cessare qualche contrasto , come vedesi nella Novelluzza or raccontata , al contrario di alcuni motti arguti e mordaci , de' quali vedrassi uà esempio nella seguente Novella. Novella li. Con una sola parola mordonsifieranienle le furfanterie fi?' un ribaldo. ce Uno di que' furfanti che sanno ricoprir con molto ce artifizio le lor giunterie , a forza di truffe erasi fatto ce ricco. Comperate avea possessioni , comperati cavalli ^ ce e agiatissimamente vivea. Gloriandosi un di con al- « cuni del suo prospero stato, or, disse, che mi man- ce ca egli più? Rispose un di loro: la forca, n Questa vivace e calzante risposta piacerebbe certa- mente al Giovanelio a cui fosse data a leggere la pro; 36o sente Novella ; ma gli avrebbe a far vedere il Maestro che, quantunque essa fosse meritata da quel ribaldo, quegli che a lui la diede mal fece per due ragioni : primieramente perdi' egli peccò contro a quella urba- nità dalla quale nessuno dee dipartirsi mai né pure al- loraquando gli accade di trattar con persone le più di- sprezzevoli j e in secondo luogo perchè una risposta di quella fatta potea far nascere una grave rissa fra loro. Di quante risse sanguinoso, di quante gravi inimicizie, di quanti odj implacabili non furono cagioni i piccanti detti e mordaci ? Biasimevole è altresì la risposta di cui fassì menzione nella Novelletta che segue, se bene meriti scusa colui che la diede , stantechè ne fu provocato. Novella III. Un contadino beffato volge la heffa in ischerno del beffatore. « Passeggiava un beffardo davanti alla sua casa : e « \edendo venirsene frettoloso un giovane contadino il « quale avea un brutto ceffo , gli attraversò il cammino « per dargli noja , e gli disse : Villano , da chi prese « la Natura il modello nel formare cotesto tuo mostac- « Giaccio? E quegli rispose: da voi. E soggiunse: vo- te lete altro? No, disse il beffardo j io ne ho avuto a bastanza. » Qui 1' educatore avrebbe a far osservare al Giovanetto che , se colui si fosse astenuto dal recare impaccio a chi se n' andava pe' fatti suoi , non avrebbe tirato a sé quello scorno : dal che caverebbe poi questa conclu- sione ;^ eh' egli è da guardarsi dal far onta ad altrui j prima perchè è mala cosa in sé; e poi perché bene spesso avviene che alloraquando taluno crede d'uccel- lare, trova sé essere l'uccellato. E quante altre uti- li verità non si potrebbono indi dedurre , oltre a questa? Per esempio, che non di rado ivi ha piìi di valore , ove men ne apparisce ( e certo ninno avrebbe creduto che tanto spirito avesse ad essere in un sì spa- ruto conladinello ^ ,' che accade sovente quello che l'uo- mo non si sarebbe aspellato mai (e senza dubbio quel 2.6l beffardo non si atlendea da colui una tale risposla ) j ch'egli è perciò da procedersi in ciascuna cosa con cir- cospezione, e non alla spensierata: e cosi discorrendo. Ma se è da biasimarsi la risposta che dal Villano fa data a costui, non merita lode né pur quella, della qual saia fatta menzione in quest' altra Novella, Novella IV. Un uom di bassa coudizìone si ride del modo con cui due uomiììi dabbene sopportano le lor mogli; ed un di questi rinfaccia a costui la bassezza della condizion sua. « Compar Piero e corapar Matteo, oltre al compa- « fatico , contratta aveano strettissima amicizia insieme. « Erano e l'uno e l'altro nel prender moglie (cosa « non insolita ) (i) incappati alquanto male. Disse un « dì compar Piero : compare , come fai tu a sofferire « tua moglie, la qual ti garrisce ad ogni momento, o te ben o mal che tu faccia ? E tu , compare , disse com- « par Matteo, come fai a sopportare la tua, la qual « fa sempre il contrario di quel che tu "vuoi ? Io , ri- sione sarebbe dunque anfibologica , e perciò viziosa. E adunque « di sua natura più determinata, e per conseguente migliore l'altra « espressione V edizione dall' Asinelio , la qual non ammette senso « anfibologico. » Dobbiamo a un errore di stampa un così giudizioso ammaestramento. ( Gli Editori. ) , '77 Raymundi Cunich Epigrammata originalia nunquam tjpis inissa. E eco gli altri Epigrammi del Cunich , che abbiam promesso nel nostro Giornale là dove ne abbiamo altra volta fatto parola (V. F. 6.° 1827). Ben si comprende da questi quale finezza di giudizio , e quanta grazia si acquisti in questo genere di poesia dal rivolgere con man notturna e diurna i greci esemplari , siccome fece il Gunichio. Se ai Romantici parrà saper troppo di sale il XX , sei portino per ora in pace , perciocché è saper greco , ed è da scusarsene quel dabben dell' Autore , che ci aveva a' suoi tempi assuefFatto il palato. XII. ^d Amicum morosum. Quonam iter est ? rogitas. Mecum die ipse venire Quo non vis j illuc est iter , Antigene. De Busca Urbis Praefecto qui ad nocturnos fures puniendos instrumento utebatur vulgo cavalletto nuncupato. Quid tuni Roma fult , miseros cum saeva Quirites Latronum premerei nocte dieque manus ! Cum rem , cumque caput vix spes foret ulla tuendi , Eversis foede legibus , incolume ! Quid fuerit memini ; quod nunc est laetor j acerno Grates nec cesso reddere laetus equo. Et clamo : Pallas Trojam vastavit acerno ; Romam Busca (omues plaudite) servai equo. 278 XIV. Tumulus f^iolantae. Hic Violanta jacet , cujus a'ox forniaque cepit Terrìgenas , vlrtus inclyta coelicolas. Coelicolae ad se se placitam rapuere puellam , Fleruat rapta sibi gaudia coelicolae. XV, Inscrìptum tabulae. Hlc Tereus furiisque ardens Phllomela , cruenta Et Progne et ferro vindice sectus Itys. Muta pavet natura et longe aversa refugit , 'Portenta liorrendi ne videat sceleris. Disce , ruit froenis cum cacca mente remissis Quas tandem in clades ducere possit amor. XVI. ^d Gallum inipi'nbam adolescentem ìiiirijice eqaos agitanteni. Ducis equos pulclire j mallem te ducere pulcbre , Galle , queas , quavis nec ferus ire via. Paret equus , spretis tlbl mens sed fertur habenis ; Mirus equùm domitor , te quoque , Galle , doma- XVII. De Sene curioso. Per fora , perque vias fessus fractusque senecta It Lycus , et quaerit quid sit in Urbe novi. Hoc reor esse novi ; fessum fractumque senecta Quaerere tara cupide quid sit in Urbe novi. Ad f^arum foedissimum e gravi morbo convalesceutem. Mors foeda est, multo es tu Morte foedior ips,). Te viso exlifuuit , cepit et illa fuggili. 279 Ad Philippum ea ridentem quae nescit. Gliscere quod plausus dixi , ridere , Philippe , Incipis. O risu digna , Philippe , tuo. Poi , si ridebis quae nescis omnia , nusquam Non risus fatuo gliscet in ore tibi. XX. In Poetas sui temporis. Pro Superi ! longis mutantur et omnia saeclls ! Discimus a foeda carmina barbarie. Nec valum dux est quisquam Grajusve Latinusve , At Gallus , Cimber , Suevus , et Angligena. Jaraque aliquis forsan , stulta quem mente sequamur , Scriptor ab extrema prodit Japonia. In maluni cujusdam poetae librum cui titulus Ulisses. Tot vada qui Ponti felix evasit Ulisses , Nunc miser in libro mergitur ille tuo. yiliud. Erravit Ponto , terraque erravit Ulisses : In scriptis errat nunc magis ille luis. 28o Poesie piacevoli inedite di Antoisio Cesari P. D. o. L' ORO prò 5 e centra. Capìtolo. I o volea dimandar perchè i poeti Generalmente dicon mal dell' oro Peggio che facciaa del peccato i preti. Tutte le scelleraggini che foro Commesse mai , le triifFe , ingiusti piali , Cabale , furti , e ciò che va con loro , Nate soa dagli scadi , e da' gigliati j Che come gli omicidi , e gli scherani , Vorrebbono in inferno esser cacciati. Credeva Anfrisio , dalle sporche mani De' Drudi aver ben Danae assicurata Nella torre d' acciar , vegliando i cani : Ma Giove trovò presto a lei 1' entrata , Fioccando dentro in forma di zecchini : Di che con Veuer fé' lunga risata. E quei che noi stimiam gran Paladini , Che vinsero città , castella , e regni , Assai più che valore avean quattrini. Queste fur l'arti, e i bellicosi ingegni, Che per aver rubato il fatto altrui, Di poemi , e d' allòr li reser degni. Filippo , il Re dì Macedonia , a cui Si curvò il mondo , alle dobbre stampate Fu debitor d©' gran trionfi sui. a8i L* oro le porle di ferro sbarrate Gli aperse , come fossero di paglia : E poi medaglie gli furon coniate. Ma vaglia il ver ', V onor della battaglia Doveasi al mul clie portava i denari } E me' che a quel , doveasi a lui medaglia. Sottosopra così dicon del pari In biasimo del lucido metallo Tutti i maggior poeti al mondo chiari. Io sarò un pazzo : ma forse non fallo A dir , che se e' ne dicon tanto male , Non è fuor di ragion da giudicallo. E' debbon far come quell' animale , Che non potendo all' uva porre il dente , Ella è , diceva , agresto , e può far male. Egli son la più brulla e nuda gente , Piena di fame fin sopra le ciglia , Stimata un metafìsico accidente. Veggon la parasltica famiglia De' commedianti , musici , e buffoni , Levar di se gran plauso, e maraviglia j Essi hanno i mecenati , e' buon padroni , Alla cui mensa tirano la pelle Di pasticci , di starne , e storioni. Vedi Frouton che le vecchie e novelle Colpe all' andar slombato mianifesta , Già mette gelosia fra le più belle. Ve' come in se si crogiola , e s' assesta L' anello in dito , e '1 sciamito s' allaccia ; Ma di peccato ancor pule la vesta. A capo erto insultando nella faccia Al poeta digiun , che si spidocchia , Rutta i rombi col Greco e la vernaccia. Ora , pensate , se al meschin ne crocchia Il cuor di rabbia , e fuor ne sputa agresto , Ed il plebto superbo irato adocchia. 283 E certo , se '1 poeta è si ruLesto All'oro, egli ha ragion più di millanta; E se io fossi di lor , ben direi '1 resto. Ma perchè Apollo a me non suona o canta , Io dirò mai dell' oro sempre bene , Come vuol farsi d' ogni cosa santa. E dico , che nell' oro si contiene , Come nell' Ananas , tutti i sapori , La ragion general di tutto il bene. Io non dimando già troppi favorì Alla fortuna , non molti poderi , Non di vagliato sangue i primi onori : Non dimando un codazzo di staffieri , Non gran palagi , o nobili giardini , Né sempre a uiensa cibi forastieri : Tengasi tutto : diami de' zecchini , Ed io da me provederò il convento Che se ogni ben si compra a oro , e argento ; Mio danno , se con 1' oro sgranellato Mancar mi lascio gocciol di contento. Avendo un gruzzol di molt' oro allato , Farò ragion d'aver palagi e cocchi, Buon letto , ed ogni di pranzo sfoggiato : Che già non sarò io dì quegli sciocchi , Che dì spender sì fanno coscienza , / E guazzando nell' or sono pitocchi. Ch' è propriamente , a dir con riverenza , Come avesser ne^ scrigni del letame. E che ricchezza è ciò , di cui fai senza ? Ma i frutti dell' inopia e della fame Cascheran poi di sozzo erede in bocca , Da saziar le vergognose brame. Giusto giudizio dalle stelle scocca Sopra gli avari , che dell' oro un Dio Si fan dicendo : guai chi me la tocca ! a83 Ma cosi il cielo mi castighi , s' io Trovandomi provvisto in bei contanti , Lascio invecchiar in casa il fatto mio. Io ne vo' far degli usi buoni e santi j Insieme con gli amici tener corte Che verranno da me , non miga a tanti. Io non vo' già che alcun della mia morte Rida , né preghi a me la vita corta : In pace io vo' goder della mia sorte j E poi , chi dietro vien , serri la porla. a84 Osservazioni sopra un articolo della RéVUE En- CrCLOPÉDlQUE. Paris, avril 1828, pag. 1^3. T 1- rascriveremo dapprima 1' articolo con iscrupolosa fedeltà j e poi vi farem sopra le nostre Osservazioni. Storia Letteraria della Liguria : Histoire Litlé- raire de la Ligurie par J. B. SpotorNo: t. iii , et IV. Géaes 1826, ia 8." (1). ce Nous n'avons fait aucune mention des deux volumes précédens de cetle histoire , parcequ'ils ne nous avaient pas para dignes de fixer l'attention de nos lecteurs. Mais puisque l'Auteur continue soa entreprise dans le méine esprit , nous devons prevenir ceux qui recher- chent les ouvrages de ce genre qu'ils ne doivent pas se laisser surprendre par le titre de celui que nous an- non^ons. Il est trop au-dessous de l'esprit du siede. L'Auteur croit faire honneur à son pays en lirant de l'oubli des écrivains et des livres très-mediocres, et il va jusqu'k rabaisser ceux qui pourraient seuls conlribuer à sa gioire. Il condamne encore le malheureux Bonfa- dio , qui , à dire vrai , n'était pas génois , et qui fut brulé par les protecteurs cbez lesquels il avait re9a l'hospitalité , parcequ'il avait eu des relations avec Val- des , et avec ce Carnesecclii qui fut aussi malheureux que lui. Il se félicite en méme tems de pouvoir nous informer que la vénérable matrone Catherine Fieschi convainquit tous les savans génois de son tems qu'elle avait acquis les connaissances théologiques les plus pro- fondes par inspiratioa divine. Il parie aussi du fameux (1) La rozzezza dello stile di questo artìcolo , e la singo- lare inurbanità che vi regna in ogni sua parte , ben ci mos- trerebbero che non è scrittura di letterato francese, quando | pur fosse ignoto 1' Aut. italiano , cui ne siamo tenuti. a85 Gabriel Chlabrera , dont l'Italie entière peut se faire gioire tout aussi bieii que la République de Génes , mais en confondant nialadroitement ou à dessein , ses defauts et ses bonnes qualités. Voila le genre d'obser- vations instructives que l'on rencontre ^à et là parrai beaucoup de notes pueriles et fatigantes w . E noto a tutti che il sig. S. italiano , somministra alla Révue Encjclopédique gli articoli che risgnardano alle opere pubblicate in Italia. Ora è bene che si sap- pia , come il detto Signore fece pregare piìi volte 1' Au- tore della Storia Letteraria della Liguria a volersi compiacere di concorrere colle sue fatiche ad un' opera storica sulla letteratura italiana , la quale il sig. S. vo- leva pubblicare in Parigi , ove ha fermato da molti anni il soggiorno. Ma non avendo potuto ottener l' in- tento , perchè i principi dell' uno sono opposti a quelli dell' altro in materie gravissime , è venuto fuori , per far una leggiadra sua vendetta , con quel dottissimo articolo , che si è fedelmente qui sopra trascritto ; nel qual vitupera un uomo , che di- anzi avea desiderato di avere ad ajuto in un lavoro di storia letteraria. Quanto alla inurbanità de" modi ado- perati in esso articolo , preghiamo il sig. S. . a leggere il fascicolo d'aprile iS'ìS del Giornale di Chi- mica e Fisica, che vien pubblicato in Parigi da' chia- rissimi Gay-Lussac ed Arago , nel qual fascicolo s' in- segna in una bellissima annotazione come non si deb- bano tollerare le maniere aspre ed incivili nelle con- tese letterarie. Notisi finalmente , che 1' articolo della Révue non è che un supplimento di ciò che si legge nella (a) Bihliot. Ital. ottobre 1827 ; essendoché in (2) A togliere ogni equivoco, vuoisi sapere che l'arti- colo della Bibl. Ital. ( otl. 1827 ) è diviso in due parti: la prima consiste in una vilissìma satira della Star. Lett. Lig. , e questa è frutto nostrano: l'altra contiene una que- rela del P. C. Maceratese , che si duole di non esser citato nella Star. Lett. della Liguria. Debbo rendere giustizia a' Direttori della Bibl, Ital. facendo nolo al pubblico eh' es»i '9 •Milano non hassi quella piena libertà di scrivere , che si gode in Parigi. Veniamo intanto all' esame dell' ar- ticolo francese. Noi non abbiam fatto menzione veruna de' due vo- lumi precedenti di questa Storia , perchè non e' erano paruti degni di meritar 1' attenzione de' nostri Leggi- tori ) La Biblioteca Italiana giudicò al contrario che meritassero un lunghissimo estratto : la R. Accademia di Modena ascoltò una memoria del eh. Cavedoni sul primo volume : e la Regia Accademia di Torino udì le dotte osservazioni , che sopra i tre primi volumi fece 1' eruditissimo Prof. Gazzera , il quale si compiacque pubblicarle colle stampe indirizzandole gentilmente allo Spotorno. Anche S. E. il Conte Napione , letterato di maggior polso del sig. S. , parlò due volte nella stessa R. Accademia sopra molti punti della mia Storia. Io non so quai sieno i lettori accennati dal sig. S ma posso conchiudere che un' opera , di cui parlavano i Giornali d' Italia , di cui si occupavano le Accademie italiane , potea meritare 1' attenzione degli amatori della storia letteraria. Ma , posciachè 1' Autore continua la sua impresa nel medesimo spirito ) Non avendo mai parlato la Réviie della Storia Letter. dello Spotorno , non ha po- tuto svelarne lo spirito : e perciò il dire che 1' Autore continua il suo lavoro dans le méme esprit , è locu- zione ridicola , perchè il méme suppone che per mezzo della Révue sìa nolo lo spirito dei due primi volumi. Noi dobbiamo prevenire coloro che cercano le opere di tal genere a non lasciarsi sorprendere dal titolo di quella che noi annunziamo ) E uffizio di buon Gior- nalista dare 1' estratto delle opere j e sopra questo pro- ne! fase, dicembre 182^, mi Iianno ricambiato con molte lodi quelle ingiurie, che incaulainente avevano accolle nel loro Giornale. Quimlo al P. C. io non ne poteva far men- zione , attesocliè il volume della niia Storia , in cui egli voleva esser citato, si stampò in tempo, eh' io non avea Delizia né della persona di lui , né de' suoi libri. 18; nuntlare sentenza , o lasciare clie ogni accorto leggi- tore a suo senno decida. Pre\^>enire il giudizio , è lo stesso che farsi autore di pregiudizi ; la qual cosa né al critico si addice , né al filosofo. Essa ( opera ) é di troppo inferiore allo spirito del secolo ) Qual è lo spirito del secolo ? L' amore della verità ? In tal caso , dovea provare il Critico che la mia storia è piena di falsità. Ama forse il secolo i ro- manzi , gli errori , i pregiudizi f Se ciò fosse , la mia storia non é scritta per esso. L' autore s' immagina di onorare il suo paese , tra- endo dall' obblio scrittori e libri assai mediocri ) Mi sarebbe caro che il Censore avesse nominato gli scrit- tori e i libri men che mediocri per me tratti dall' ob- blio. Ci voglion fatti, non parole. Io cavai dalla di- menticanza uno Staleno emulo di Cicerone : un Pagano compilatore del Codice di Spagna; un Falamonica imi- tatore di Dante ', un Centurione , che tentò nel secolo XVI di unire il Caspio al Baltico ec. Se costoro pajono al Critico uomini a pena mediocri , pregolo a fissare una norma , per cui si possano determinare i gradi dell' ingegno necessari a trapassare la mediocrità. Egli ardisce pur anco di ribassare coloro , che po- trebbero dar gloria al suo paese ) Supplico nuovamente il Censore a dar fatti non parole. Quai sono gli uomini grandi del Genovesato , che furono da me impiccio- liti ? Inoltre, egli condanna l'infelice Bonfadio ) Del Bon- fadio scrissero specialmente il Mazzuchelli gentiluomo bresciano , e il Corniani natio della provincia di Bre- scia , oltre il Tiraboschi bergamasco. Io addotto la opi- nione di questi tre scrittori , i quali deggion valere quanto il Sig. S Il qual Bonfadio , a dir vero , non era genovese ) Notizia preziosa , ma inutile , perchè nella mia Storia dico e ripeto che il Bonfadio era del territorio di Brescia. Il quale fu arso da' suoi protettori , presso i quali avea ricevuto 1' ospitalità ) Questo tratto contiene un 288 solenne errore dì storia ed una calunnia. Il Bonfadio non fu abbrurinlo vivo, come ordinavano le leggi d'al- lora , ma decollato in carcere , a diminuire 1' atrocità e il disonore del pubblico supplizio del fuoco. I protet- tori del Bonfadio erano gentiluomini principali di Ge- nova , ma non eran giudici j cosicché non potevano né arderlo nò assolverlo. Fu abbruciato vivo per aver avuto corrispondenza col Vàldes , e col Carneseccbi non meno sventurato di lui. ) Falsissimo. Il Valdes e il Carnesecchi furono pu- niti, come ipocriti, e propagatori in Italia degli erro- ri de' Protestanti. Or la cognizione di simili cause era propria de' tribunali ecclesiastici. Al contrario il Bon- fadio essendosi lasciato avvolgere In sozzo fuoco di vietate voglie fu giudicato dal tribunale ordinario j perchè la sua colpa era notata negli statuti criminali , che le asseguavan la pena capitale. Nel tempo stesso felice sì estima di poterne infor- mare che la venerabile matrona Caterina Fieschi con- vinse tutti i dotti genovesi del suo tempo , eh' ella per divina ispirazione aveva acquistato le più profonde co- gnizioni teologiche. ) Intorno alla dottrina comuni- cata a S. Caterina per celeste ispirazione , io mi appog- gio specialmente all' attestazione di sei dottori della Sor- bona , che per ordine dì Mons. Arcivescovo di Parigi n'esaminarono il trattato del Purgatorio nel i6ì66j e all' autorità degli editori francesi della vita e delle opere della Santa , Parigi iSgy. Quello che dice il Critico di tutti i dotti genovesi ec. è un romanzetto , di cui non ha vestigio nella mia storia ; ma lo spirito del secolo XIX è tutto romanzi , e il Censore non vuol essere au dessous de l'esprit da siede.- Finalmente io prego il Critico a rispondere sinceramente a questa mia umil domanda: cred' egli che Dio possa rivelare dottrine pro- fonde alle anime semplici ? Se dirà , che si , dovrò esortarlo a non mancar di rispetto alla venerabil ma- trona ; se dicesse , che no , mi troverei costretto a ri- cordargli , che non s' impicci di materie sacre. 289 E' parla similmente del famoso Gabriello Chlabrera , eli cui può gloriarsi 1' Italia tutta quanto la Rep. di Genova) O voi dotti Fiorentini, che vi date vanto di Dante e del Petrarca , s' egli avverrà mai che alcuQO scriva la vostra storia letteraria , ammonitelo a non par- lare né dell' Alighieri , né di Messer Francesco , perchè di essi r Italie entiere peut se faire gioire tout aussi hien qiie la Rép. de Florence. Ma confondendone scioccamente o artificiosamente , i difetti e le buone qualità ) Ninno aveva mai scritto la vita del Chiabrera : io con lunga ed ostinata fatica mi condussi a tutti i luoghi abitati dal Poeta in Savona e ne' contorni ; ne rilessi le opere tutte , specialmente le lettere ; e compilai con sì autentici documenti la storia del Pindaro Savonese. Il sig. S. dice molto gen- tilmente , che , sia malizia , sia goffaggine , io ne con- fondo i difetti e le virtù. Vorrei che l' accusa avesse la consolazione di qualche prova. Ho lodato il Chiabrera come uomo di sincera religione ; come leale amico agli amici , come vago di onesta libertà , quantunque potesse starsi orrevolmente in corte di grandi Sovrani, Ho no- tato però eh' egli in gioventù amava troppo le risse ; e si lasciò avvolgere ne' lacci d' amore. Con che parml di avere assai bene distinto i difetti dalle virtù. Ma può ben essere che il Censore abbia come un' arte cri- tica , così un' etica tutta diversa dalla mia. Ecco il genere d'osservazioni istruttive che s'incon- trano qua e là) Se il Censore avesse fatto osservare a' suol lettori quello eh' io dico del risorgimento della Filosofia , dell' errore del Blair nel rifiutare 1' antica partizione delle cause in tre generi j de' viaggiatori li- guri nel secolo xvi j delle condizioni proprie d'uno sto- rico j dell'errore del Tiraboschi nel teucre il Conestag- §io qual copista , e nell' attribuire al Bizarro la compi- lazione delle nostre leggi del iS^G: s'egli avesse fatto osservare 1 veri , né a tutti noti principj di filosofia , di critica e di gusto, che s'incontrano (^absit invidia /verbo') in ogni paragrafo della mia Storia, avrebbe fatto vero uffizio di giornalista. Ma l'esprit da siede?. ago Di mezzo a molte noie puerili e stucchevoli) Le citazioni sono certamente stucchevoli ; ond' è che il mio Censore se n' è guardato assai diligentemente j trovando più agevole il parlare a modo di dittatore , che perdere il tempo a provare quello eh' e' dice. Che poi le mie note sien puerili , perchè non si dimostra con qualche esempio ? Concludiamo. Que' moderni letterati che con tanto di accanimento si scagliano contro della mia Storia letteraria , e mi fanno deridere sui giornali stranieri , non si avvedono che onoran sommamente il mio libro ; perciocché se questo tal fosse , qual vorrebbonlo far credere al mondo , non si avvilirebbero a censurarlo. Mi giova ripetere il detto di Carlo Dati : non fu mai criticato il Bovo d' Antona j sì l'Ariosto ed il Tasso. Ma veramente , non è già eh' essi disprezzino il mio lavoro : vorrebber eh' io mi piegassi allo spirito del secolo. Se io avessi detto che Galileo fu posto ne' ceppi' ed alla tortura ( cosa falsissima , ma sempre ripetuta da certi moderni letterati ) j se io avessi lanciato , fuor d' ogni proposito , qualche trafittura contro le Persone , che tutti dobbiamo avere in riverenza ; se avessi in- gemmato la mia Storia coli' infame principio del Ben- tham ; tutto ciò che è utile è onesto } in tal caso tutta la schiera di coloro , che si pregiano di servire à l'es- prit du siede , avrebbe fatto plauso alle mie fatiche. In somma , io mi trovo nel caso stesso del Cesari , posto in canzone sui giornali , perchè lo spirito del secolo non gli vuol perdonare d' avere egregiamente descritta la vita , e sposta la dottrina di Gesù Cristo. Brevemente : questa è la lotta de' libertini contro gli amici della Religione e dell' ordine. Una sola cosa mi rimane a dire all' orecchio del sig. S Avendo io letto molti de' suoi articoli , e la introduzione alle favole del Kriloff , credo poter affer- mare senz' ombra di jattanza , non che di superbia , che egli non è uomo da romper meco una lancia. Gradisca la mia ingenuità , e lasci in pace chi non 1' offese mai né ragionando , né scrivendo. appendice i." Si è pubblicato dalla Stamperia Pagano il Fascicolo, i." della Storia della Vita e de' Viaggi di Grist. Colomba scritta in inglese da Washington Irving americano , ed ora per la prima volta tradotta in italiano. La versione , cominciando dal quarto capitolo del libro i.", procede con lodevole scioltezza , e se non è purissima , non ha però la puerile affettazione dello stile del Bandiera. Sen- tiamo con piacere che appiè d' ogni volume saranno ag- giunte dagli Editori annotazioni storico-critiche a mag- giormente illustrare la memoria del gran navigatore genovese. Sol ne conturba un pensiero , ed è questo. Neil' originale inglese che abbiamo sotto gli occhi , e nel mauuscritto della traduzione , approvato da' Revi- sori, truvasi al capo ni del lib. 2, l'annotazione seguente: — Spotorno , pag. xlvi traduzione inglese — Citasi in questo luogo il Codice diplomatico Colombo-Ameri- cano pubblicato per ordine dell' amplissimo Corpo De- curionale di Genova , e tradotto in inglese. Ora non si sa intendere la ragione per cui siasi soppressa nell'edi- zion di Genova una nota , che onorava la lodevol pre- mura del Corpo Civico , facendo conoscere che il Co- dice genovese avea meritato l' attenzione di un dotto Americano. Appendice 2.* Neil' Indicatore Genovese , foglio d' avvisi , che si pubblica in Genova , si è dato luogo ( n." 8 ) ad un articolo di Letteratura Indiana, nel quale si dà per wa falso sapposto ciò che si disse nel Giornale Ligustico ( 1828. fase. 2.) ragionando del Pantcha-Tantra pub- blicato in Parigi dall'Ab. Dubois , cioè che — ninna parte dell' orbe fu mai cosi oppressa dalla schiavitìi , come r India. — Il sig. Pasquale Mattei , autore dell' articolo , interpetra queste parole come se parlassero della schiavitù personale , benché riconosca che possono ( io direi , debbono ) ricevere un senso assai diverso. Rispondo in primo luogo che la schiavitìi personale , 293 cilecche uè dica il sig. Maltei , esiste legalmente nell' Indie , attestando il sig. Papi nelle sue Lettere sull'In- die Orientali , che tra le pene statuite dalle leggi contro le donne ree , si contano le seguenti : « degradarle dalla ce loro casta , scacciarle dal regno , e qualche volta ven- cc DERLE » e che in certi casi ce la casa del debitore è « spianata dai fondamenti , ed egli colla sua famiglia te VENDUTO (Voi. II. face. iSq e 143 ) • " Ma quelle parole del Giornale non si possono inten- dere che nel senso di schiavitù civile. E che questa sia intollerabile ed infame, ce lo insegna un libretto stam- pato in Cremona nel iSaS , pag. 11, 12 e i3. Eccone alcune parole : ec Pare cosa sorprendente che un uomo ec possa famigliarizzarsi con animali ed anche adorarli ce (nell'Indie) senza detrimento della sua casta, e noa «e possa ciò fare con persone a lui simili (pag. i3 ) ce Dove non è una certa proporzione nei naturali diritti ce dell'uomo non vi può essere unione. Gli argini morali IO. nnbili notabili )> » 20. rncltere , 0 nel se- condo mettere 0 nel secondo u — » 24. augeletto augel Ietto 3o8 Catalogo de' Sigg. Associati al Giornale Ligustico. S. E. il Sig. Marchese D. Ettore Veuillet D' Yenne Governatore e Comandante Generale della Divisione di Genova, ec. ec. ec. Torino. Direzione del Repertorio d'Agri- coltura Pratica. R. Accademia delle Scienze. Thovez Direttore del Gabinetto Letterario. Burdin Maggiore e C. Parigi. S. E. il Ministro degli Affari esteri. Parma. 111."» Conte Simonetta. Piacenza. Bjrtolommeo Prella. Pisa. Pietro Querci. LivoRiro. Fratelli Vignozzi. Genova b sue Riviere. Monsig. Giuseppe Vincenzo Airenti March. Lorenzo Pareto Firenze. Direttori del Giornale Agrario. Bologna. Professore Antonio Bertoloni. Canonico Filippo Schiassi. Professore Mezzofanti. Biblioteca dell' Università Pon- tificia. Roma. Monsign. Giacomo Brignole. P. Lettor di Modena, Collegio Marchisio. CoUeg.le Boeri. Massa. Sig. Guidoni. Vesc. di Savona. Ili ■"<> e Rev."" Abate Agostino De M.ri. March. Marcello Durazzo q. Ippol. March. Girolamo Serra q. Giac. March. Pareto Agostino. 111."" D. Giambattista Spotorno Professore. D. Paolo Rebuffo Prof. D. Antonio Bacigalupo. La scuola di Rellorica della Città. La scuola di Rettorica del Semina- rio. Rev. Cristofaro Vincenzo De Fi- lippi. Niccolò Lagomarsino. Pietro Basadonne. March. Giambattista De Marini. Marchese Niccolò D' Oria. Francesco Maria Molfioo. Agostino Sassi Dottore. Tomaso Bertelli Professore. Girolamo De-Valenlini ex-Pro- fessore. Domenico Vivianl Professore. Rev. Ant. Gianelli Arcipiele. March. Gaspare Sauli. Dottor Basso. Rev. Ang. Vincenzo Modena. Corsetto Seminarista. Giuseppe Piaggio. 111.""' Tommaso Nircolari. Canonico Prop. della colleg. dì Taggia. D. Giacomo Benedetto Astengo Prev. di S. Andrea in Savona. Rafael Io Pratolongo q. G. B. Giov. Balestrerà Enrico Boggiano. Enrico. Noli o. Biblioteca Cìvica. Baronessa Srhìailìni. Giuseppe Mojon Prof. Kev. Marciani Prev. Giuseppe Morrò studente di legge Professore Ferdinando Elice. D. Filippo Mnrazzo. Gian Carlo Marone Senatore. Marchese Gian Carlo Serra. Alessio Pittore. Mollo Rev. Prete Lanfranco. Marchese Luigi Pareto. Antonio Pitto. Marchesa Clelia Durazzo Grimaldi. March. Gaetano Serra. Rev. Quartino di Veltri. Marchesa Niccolò Grillo Cattaneo. Kev. Canonico Tarelli. Collegio Reale. Agostino De Ferrari. Giuseppe Prato. Bemorini sludente di legge. Mongiardini Botta. Rev. Prete Seghezza. Bianchi delle Contribuzioni. Tominaso Balbi. Tribune Cavagnaro. Marchese Gioachino Passano. Professore Marco Oliva. Marchese Gian Maria Cambiaso. Giuseppe Gaggini scultore. Professore Paolo Pedemonte. Girolamo Berlora Professore. Faustino GagliufH Avv. 3o9 Costa Francesco. Cimbiaso G. B. q. Luigi. Rev. Canonico Carosio Vincenzo. Abate Bozelli. Giovanni Quaglia. March. Luigi Lomellinì. March. Niccolò Mari. Giuseppe Bottini. Niccolò Allegretti. Filippo Sperone. Paolo Giuseppe Dinielli. Abate Girolamo Morando. March. Nicolò Djmaso Pareto. Rev. Prete Gambaro. G. B. Rossi. Antonio Nervi Professore. Rev. Pad. Domenico Buffi. Rev. Debarbieri Arciprete. Giuseppe Piaggio. Enrico Nolt. G. B. Malarini. Nicolò Chiozzi. Rossi. March. Antonio Pallavicini. G. B. Canobio. Pasquale Rusconi. Rev. Prete Seirullo. Emanuele Musso. Pietro Ansaldo. Direzione di Polizia. Marchesa Anna Spinola. Podestà. Gio. Cristofaro Gindolfn, Abraham Vita M^dona. AngeloCoppello Giudicedi Recco (*) (*) Se fosse stato per inaufertenzct dimenticato qualche nome , o ■titolo , verrà apposto tostoche giunga a notizia dei Direttori del Giornale Ligustico, INDICE. ^< CIENZE. Osservazioni per servire allo stadio della Geos^nosia della parte meridionale del dipartimento del Va- ro , del Sig. Lorenzo Pareto . Pag. ai 5. Lktth TxE. Lettera inedita dell' ^b. Oderico sopra un' antica iscrizione scoperta in Roma nel 1796. . . . . . . . . . . . . « 239. De Epitaphio Ganctuli Suhdiaconi , ejus- deni Dissertatio inedita « 244 Dell' ammaestramento che più. conviene a' fanciulli , discorso inedito dell' u4b. Mi- chele Colombo « 254- 1 1 Epigrammi originali di Raimondo Cu- nidi « 277. Rime piacevoli inedite di Antonio Cesari « 280. Osservazioni sopra un articolo della Révue Encyclopédicjue « 284. Appendice alla traduzione della vita e viaggi di Cristofaro Colombo dell' Irving « 291. Appendice alla Letteratura Indiana del eh. sig. Pasquale Mattei « ivi. Novelle Letterarie. Della Toscana Eloquenza , discorsi di S. Corticelli « 293. Grammatica Italiana ad uso delle Scuole ce ivi. Della Locuzione Oratoria , e delV Arte Poe- tica ce 294» Excerpta e vet. Scriptorih ce ivi. Dictionnaire abrégé des Sciences Mcdicales ce ivi. 3ii Storia di Napoleone e della Grande Ar- mata nel 1812 Pag. agS. 1 Esame Critico dell' opera del C. F. Segar « ivi, , Storia della Guerra del i8i3-i4-i5y/tì! gli Alleati e Napoleone Bonaparte ... « ivi. , Cronica di Ambrogio Balbi «e 296. 1 Lettere inedite di Annibal Caro , col sag- gio d' una ce 297. 1 Prime linee di Polizia Medica . ... te 3oo. 1 Guerra e pace dei Sessi. Della Solitudine. Dei vantaggi della Medicina. Tesoro delle Dame « 3ot.' Orazio tradotto dal Gai gallo .... « ivi. 1 Dialoghi di Mons. Bottari sulle tre arti del Disegno « 3o6. , Avvertimenti di G. P. Zanotti , per V in- camminamento d' un giovane alla Pittura « ivi. 1 Catalogo generale de' sigg. Associati . . « 3o8. j (DIOllÀILl ILlKDlSf ire® cu Hoc opus, hoc studium parvi properemus. el ampli, Si patriae volumus , si nobis vivere chari. Hor. ANAO II, FASCICOLO IV. ^L^it7uo e tyui7oà/o ^S3.S. GENOVA jL)aua "(^fAoor-ffAa e/ee/ 3^raàeiu Jil^o acino. Piazza Nuova N.' [(ò. . 3i5 Osservazioni sul Vaccino , Varicella e Vajuolo contemporaneo. L a pratica della vaccinazione che massimi e segna- lati servigi ha prestato all' umanità mirando alla pre- servazione dal vajuolo, flagello che al dire dei pratici, e degli economisti è sempre stato di gran lunga più micidiale della peste (i) , la vaccinazione che a sì buoa titolo riguardar puossi il più grande benefizio della Provvidenza a' nostri giorni , compartito agli uomini per mano medica , non va però secondo alcuni scrittori esente ancor affatto da ogni dubbietà sulla sua perfetta € costante efficacia in tutte le diverse si generali che individuali circostanze. Fino dai primi tempi della introduzione del vaccino si osservò che in alcuni soggetti vaccinati si è svilup- pato , durante il corso vaccinico , o poco dopo di esso il vajuolo che ha percorso i suoi stadii di gravezza e di pericolo, del qual fatto si è trovata di leggieri la cagione nella infezione vajuolosa ricevuta poc' anzi , o contratta nello stesso periodo del vaccino. Ma più tardi alcuni fra' dotti medici delle diverse nazioni , Inglesi e Tedeschi soprattutto avvisarono di poter ammettere qual verità di fatto , che , dopo anni dal praticato in- nesto del vaccino in qualche individui convenevolmente assoggettati a quella operazione , sia comparsa talvolta una eruzione vajuolosa vera , detta poi F'arioloide , per- chè identica al vajuolo , ma modificata in guisa da la- sciar dubbio , se alla varicella piuttosto che al vero va- juolo appartenesse. Ed in vero se pratici consumati nella trattazione del vajuolo hanno ammesso per non rarissima 1' apparizione di legittimo vajuolft , anche grave e mortale in quelli che già lo avevano sofferto una e due volte (2) , se vajuolo recidivo e di pessima qualità, notarono , come ai 3i6 avverte il chiarissimo Dottor Ccrioli (a) , Hevpsoii , Mon- rò , Bing, e Baljieman ; e il Dottor Arigo vide in par- ticolare soggiacervi due individui , cui da 38 anni era stato inoculato con perfetto esito il vajuolo , qual mera- viglia se il vaccino pure non valesse in taluni , e sotto fiera epidemia vajuolosa , a torre affatto ogni suscetti- vità a questo esantema ? Giuseppe Frank ha ben es- presso il suo giudizio su tal materia. « Concessa ( quod " ob facilem variolarum cum varicella confusionem ui- « mis fidenter non assereremus ) possibilitate infectio- tc nis variolosoe post vacciaam , hoc tamen non alia « proporlione conlingere posse , quam ipse variolarum ce prò secunda vice redilus , persuasum habemus (b) » . Il Dottor Pougeng a Mittau credette di aver incon- trato un considerevol numero di vojuolosi fra i vacci- nati ; ma , oltre che le esperienze comparative dal suo collega Fontaneilles dimostrarono non essersi potuto con quel virus vojuoloso sviluppare nella stessa epidemia il vajuolo inocidato in fanciulli ben vaccinati , mentre contemporaneamente 1' innesto del medesimo , lo aveva sviluppato gravissimo e mortale nei non vaccinati ; lo stesso Fontaneilles poi riconobbe che dominava allora in concorrenza col vajuolo la varicella , o ravaglione e di questi il grave , maestrevolmente descritto dal Professor Montesanto , che per la sua intensità ed irre- golarità non era stato forse abbastanza distinto dal va- juolo nelle osservazioni del Dottor Pougeng. Da pili rigoroso ed esatto modo di considerare sif- fatte eruzioni , pare esserne risultato , come da primi rapporti del comitato centrale di vaccino di Parigi , che non sì avessero esempj di vajuolo sopravvenuto ai vac- cinali ; nel rapporto soprattutto del 1810 al Ministro dell' Interno , sopra un milione e mezzo di vaccinati (a) V. Commentarlum Patologìco-Clinicum Gasp. Cerioli negli Ann. Univ. di Med, del Dottor Omodei , F." 87 . 1850. (b) V, Frank Joseph. Praxens Medicae Universae prae- cepta , voi III. 3x7 . ia Europa non se ne contava pur uno che fosse stato indi soggetto al vajuolo ; ciò non ostante egli è certo che Villau e Murrby notarono i primi dei veri vajuolaòti fra i vaccinati in Inghilterra e in Allemagna , le c(uali osservazioni si accrebbero poi per tutto altrove , e in Italia pure furono attestate qua e là , specialmente dai Dottori Ghirlanda , Marcolini , Pagaiii ed altri ; ma queste non giunsero mai tutt' al più che a formare qual- che rara eccezione , la quale ove sia ben chiarita ed avverata , non fa che assicurare viemeglio la legge dell' assoluta forza preservativa del vaccino, ce Qual legge « in fatti , si potrebbe dire con Fontanelllcs istesso , « può essere più generale in medicina , di quella che « non presenterebbe che 200 , o 3oo eccezioni contro « molti milioni di fatti accertati da più di 20 an- « ni ? » Dalle osservazioni poi di quegli stessi che primi po- sero mente alle rare eccezioni nella immunità dal va- juolo fra i vaccinati , come Villau , Murrhy , Bryce , e Pearson, ci vien dimostrato che il vaccino in generale riesce a preservare dal vajuolo ; che se in qualche caso soltanto non toglie del tutto la suscettività al medesi- mo , la mala indole di questo è modilicata e rintuzzata al punto, che ove pur ricompaja è benigno sempre, e senza pericolo (e). Così Thomson, che più di tutti parve che scemasse colle sue osservazioni e dottrine la forza del vaccino , come meno efficace nella epidemia va- j noiosa di Edimburgo (alla cui straordinaria malignità non si ritrae per altro dall' attribuire il difetto di pro- tezione in molti vaccinati ) , non può a meno egli stesso di dichiarare : che se il vaccino non fu sempre un as- soluto preservativo , non lo fu pure nella stessa cir- costanza il vajuolo sofferto naturalmente per inocula- zione j che però la vaccinazione offri sempre 1' impor- tantissimo e costante vantaggio di blandire per modo il vajuolo , da renderlo comparativamente innocuo ed insignificante. (e) V. Ann. Uuiycisali di Medicina dei Dottor Omodei, voi. xu, i8ig. 3i8 Forbcs , uno fra i tanti medici che altcsf'ro all' in- nesto vaccino in Inghilterra ( ove ò notabile cosa essersi l'ilevato quasi esclusivamente il maggior numero di ec- cezioni alla virtù del vaccino , quasi che la gran sco- perta dovesse incontrare appunto nel luogo della sua origine la somma delle opposizioni e dei pregiudizi in contrario ) , Forbes , dico , attesta che dei vaccinati non garantiti sotto violenta epidemia vacuolosa , uno solo ebbe vajuolo grave , e ne morì ; nel tempo stesso che altri inoculati col vajuolo corsero , e in maggior pro- porzione la medesima sorte ; in quel caso però unico di mortalità , nota lo stesso Forbes , che il paziente era stato esposto al contagio prima di esser vaccinato ; non v' è quindi ragione di detrarre al merito del vaccino per il funesto accidente , sapendosi , giusta le belle os- servazioni di Krauss, che, anche dopo 1' eseguita vac- cinazione , può succedere l' infezione vajuolosa , qnalora non si eviti il contatto del vajuolo fino a 2 o più giorni dopo 1' apparizione dell' areola vaccinale , cioè fino all' 8.°, 9.°, o 10."°° giorno, in circa dall' innesto, epoca in cui il vaccino tocca il suo più alto grado di forza estintiva della suscettività vajuolosa (d) . Ripetute osservazioni ed esperienze, conformi a quelle di Krauss , confermarono la massima attività preserva- tiva del vaccino all' epoca indicata dopo la formazione dell' areola , che Hufeland tiene per il seguo più certo di legittima , ed energica vaccina. Si può quindi ragio- nevolmente indurre , che se il vaccino toglie la suscet- tività al vajuolo , dopo aver esercitato la piena sua azione sulla macchina , non sia però atto ugualmente ad annullare 1' azione di quello ove sia già introdotto , e abbia fatto la sua impressione nella fibra, non ancor modificata dal preservativo. In fatti se la coincidenza dei due contagi nello stesso individuo ha luogo , ed esercitano essi la rispettiva azione , come si vedrà nelle osservazioni sul vajuolo contemporaneo alla vaccina , la vajuolosa infezione già seguita nel caso indicato da (d) V. Opera citala del Dottor Annibale Omodei. 3i9 Forbes può avere sviluppato la malattia esante-matica , gravissima e mortale , a malgrado del susseguito pro- cesso vaccinico : così s' iuocularouo ad un tempo il vi- l'us vajuoloso, e il vaccino (non misti insieme), e ser- virono reciprocamente di freno alla respettiva azione loro suir organismo , alterando la forma delle pustole e delle bolle , ma non mutando punto le qualità spe- cifiche del fluido contenuto. I rapporti del Collegio Medico di Londra ci fanno conoscere die tra i vaccinati esposti a forte epidemia vajuolosa , non subirono il vajuolo che i sopra 3ooo , ed I sopra 4ooo , secondo le osservazioni di Monrò , il quale ammise pure per cosa indubitata potersi effettuare delle eccezioni nel presidio vaccinico , massimamente dacché è certo che alcuni individui furono più d' una fiata aggrediti dal vajuolo, e quelli del pari inoculati con perfetto esito , manifestandosi però in questi il va- juolo recidivo con caratteri di gravezza , e mortalità ben anco , non mai assunti dallo svilupparsi nei vac- cinati : per egual modo dalle osservazioni de' nostri Italiani , e fra gli altri di Gardner Maraschin Vicenti- no , appare che molti vaccinati furono bensì colti dal vajuolo epidemico nel 1828 j ma in tutti il vajuolo fu mite varioloide , laddove negli attaccati già stati va- juolosi , mostrossi in tutta la sua gravezza origina- ria (3) . A Filadelfia, nella epidemia del i823, di 47 vajuo- losi , antecedentemente vaccinati, nessuno corse peri- colo , mentre di 8 attaccati , che già avevano avuto il vajuolo , o spontaneo , o per inoculazione , 4 sono morti ; dal che si conferma pure 1' efficacia preserva- trice del vaccino, superiore di gran lunga a quella del vajuolo istesso. Neil' ultima più mortifera epidemia di vajuolo in Londra del iSaS, giusta il ragguaglio del Dottor Gre- goiy, si ebbe a deplorare una mortalità straordinaria, colpa di stravagante e scandalosa trascuratezza nella vaccinazione in quella capitale , malgrado 1' esempio irrecusabile del mondo incivilito , e colpa pure di osti- nazione nel continuarsi colà 1' inoculazione del va- iuolo , col pretesto di non so quale barbara libertà na- turale. In detta epoca 147 vaccinati furono assaliti dal vajuolo , e si asseri che 1 2 fra questi ne perirono ; ma tale asserzione parve piuttosto fatta per adulare 1' or- goglio, il pregiudizio, o altra abbjetta passione contro la scoperta di Jenner , per parte d' alcuni de' suoi connazionali , anzi clie per effetto di verità , poscia che per confessione dello stesso Dottor Gregory vien chia- rito , che dei suddetti individui morti di vajuolo , nep- pur uno presentava evidente cicatrice , o reliquia del sostenuto vaccino , e solo erano dessi annoverati fra i vaccinati sulla semplice loro dichiarazione asseve- rante di essere stati assoggettati a quella operazione : si ha perciò tutto il fondamento di dubitare che quei li rimasti vittima di vajuolo non avessero realmente contratto il vero vaccino , come dimostrò solennemen- te di dubitarne lo stesso Presidente dell' inslituto del vaccino in Londra nel suo rapporto del 28 gennajo 183G (e). Finalmente nella relazione fatta dal sig. Moreau all' Accademia di Medicina a Parigi nel 1824, vien no- tato che tutti i fatti allegati contro 1' efficacia del vac- cino non pregiudicano punto alla medesima , che i casi di eruzioni vajuolose nei vaccinali , confrontando tutte le osservazioni di varioloidi fatte sui vaccinati in Inghilterra , Olanda , Stati-Uniti d' America e Francia , si riducono a ben esaminarli ( giusta il Dottor Valen- tin ) , a semplici varicelle , od a vajuolo in soggetti mal vaccinati ( f^. Opera succitata ) (4) . Questi tratti di storia della pratica del vaccino , ed osservazioni tanto importanti e moltiplicate , che lungi dall' indebolirne la preservatrice facoltà , ne sono anzi una più ampia conferma , quanto all' ammansarsi , e modificarsi sempre favorevolmente il vajuolo , sia con- temporaneo o succedaneo alla vaccinazione , queste ri- cerche ed osservazioni , dico , mi hanno eccitato a rian- (e) V. Ami. Uuiv. sopracilati , fase, cxi del 1826. 32 1 «Jare t fenomeni , o accidenti manifestatisi nel corso di mie vaccinazioni , le quali, tuttoché circoscritte ad una ristrettissima sfera , e a numero non maggiore di uà miglia) o e mezzo all' incirca di vaccinati , pure rimon- tando queste fino ai primordii dell' introdotto , e co- nosciuto vaccino In Italia, cioè dal 1802 in appresso, possono essere di qualche valore pel lasso almeno di tempo trascorso , onde giudicare dell' effetto , e del costante preservativo potere iu un periodo ormai di cin- que lustri. In questo non breve intervallo non mi è occorso mai di veder ricomparire il va)uolo in alcuno dei vac- cinati, e fu cosa notabile, che in 2 5 anni non sia pure insorta , meno una sol volta , vera epidemia vajuo- losa nel territorio di Ovada , la quale non infrequen- temente aggrediva per lo innanzi , come dappertutto altrove , questa popolazione numerosa di sei a settemi- la anime , e che pure non cessò nel medesimo perio- do di tempo di menare spesso ben tristo governo nei vicini paesi ed abitanti non anco assoggettati , o assai più tardi ed imperfettamente al benefico preservativo. Gli stessi registri mortuarj in Ovada hanno offerto una palpabile diminuzione in confronto di stragi in- fantili appena da credersi per cagione del vajuolo e non più rinnovate dopo l' introduzione del vaccino. E non è già che la vaccinazione fosse stata cosi gene- rale tra noi da chiudere ogni adito di comunicazione , al vajuolo qua e là serpeggiante » e da non lasciare ancora nel caso un largo pascolo al distruttivo malore , che anzi era assai più grande il numero dei suscetti- bili d' infezione , che dei protetti ^ ma così è che il vac- cino , benché propagato a diversi e varj luoghi dell' abitato e più spesso tra i villici meno indocili ad au- torevole invito , esercitò non ostante il suo efficace in- flusso , che parve aver esso , quasi propugnaculo , al- lontanato o impedito per felice disposizione 1* insinuarsi del contagioso nemico, «t Tanta è la virtù preservati- « va della vaccinazione , dice Hufeland , che ovunque " venne largamente praticata , il vajuolo non ha potuto « prender forma epidemica». Tale osservazione dell' Ar- chiatro Prussiano risultò pure dalle mie , benché te- nui , annotazioni fatte ad epoca di tanto anteriore , in cui la vaccinazione appena qua e là disseminata , quan- to il permettevano allora gli ostacoli e le ripugnanze molteplici , anzi che largamente praticata , fece pur argine alla diffusione del vajuolo epidemico in quesl' angolo della Liguria : E mentre in quella serie d' anni si ebbero a deplorare più d' una fiata 1' epidemia di tosse convulsiva micidiale , ed altra di scarlatina che offrivasi di ferale ed infrenabile genio acutissimo , non s' incontrò in tale spazio di tempo alcuna epidemia di vajuolo, eccetto che nel solo anno 1808. Prima di questa avea regnato la varicella o vajuolo volante nel 1807 , che io ho pur giudicato sempre es- senzialmente tale a malgrado di tutte le equivoche e variate sue forme , come appare dalla descrizione qui presso riferita e già fatta conoscere in quell' epoca ai comitati di vaccinazione di Novi e di Genova. Il vajuolo che tenne dietro , come soventi avviene , alla sua foriera la varicella, signoreggiò nell'anno ad essa successivo e mi procurò 1' opportunità di osservare la coincidenza del vaccino e del vajuolo nello stesso individuo. Pi-emetto giusta l'ordine dell'accaduta Invasione le notate cose sulla varicella fino dall' epoca di sua ap- parizione , le quali , non ostante la contrai'ia dottrina e i dubbj sulla natura di essa , pretesa identica a quella del vajuolo , eccitati da Reill , da Baheman , e Villian , e principalmente da Thomson , ebbi pure la soddisfazione di trovare più di recente analoghe alle osservazioni di Sprengel , di Frank Giuseppe , e eoa- fermate sopra tutto pienamente da Hufeland. ,( Sarà continuato. ) ANNOTAZIONI. (i) Il Vajuolo, dice Rosenstein , quando comparve la prima volta in un paese vi produsse effetti assai 323 funesli , ma poi si fece più benigno. — Esso ammaz- za però sempre più gente che la peste — ( Vedi Ro- senstein. Malattie dei Bambini ). U celebre abate Ge- novesi calcolava le strage del vajuolo al 12.° o iS." dei nati. ( Vedi Lez, di Commercio pag. 72 ). E Unze- ro dice che il vajuolo uccide o sfigura la quarta parte dell' uman genere ( Fedi Frank , Poliz. Medica ). Pietro Frank entrando a descrivere il vainolo parla di orrenda malattia « le cui stragi sono state e conti- « nuano ad essere maggiori di quelle che tutte le « pesti insieme abbiano mai 'prodotto in Europa ( V. Frank Epitome ) j la qual sentenza è seguita pure da Frank Giuseppe corredata delle testimonianze di Tral- les , Ramazzini , Tissot e simili , aggiungendo esso che nel calcolo della mortalità non sono pur compresi i morti dalle reliquie del vajuolo. ( V. Prax. Med. Uni- versce Voi. Ili ). (2) ce Gertissimis ex factis , dice Borsieri , observatìo- « nibusque medicorum probatae fidei et summae au- re ctoritatis cognitum est, non paucos qui jam sponta- cc neas et naturales aut insititias , artificialesque , et « quidem veras et legitimas variolas pertulissent , se- te cundo et tertio in easdem incidisse. " ( V.Instit. Med. Voi. III. ) Diemerbroek afferma di più persone sog- giaciute replicalamente al vajuolo non ripullulato, ma di miova produzione anche nello spazio di sei mesi. Sarcone, TTargioni Luigi, e Germano Azzoguidi hanno veduto o rammentato veri vajuolosi la seconda ed an- che la terza volta ; e quest' ultimo accenna pure il caso di Luigi XV." travagliato dal vajuolo nell' anno i4 e poi morto nel 64.° di sua età per la stessa ma- lattia. Vogel però suppone assai raro il vajuolo ricorren- te e dubita di facile confusione della varicella col vajuolo in simili osservazioni : anche Giuseppe Frank non ri- chiamando in dubbio la seconda infezione ne tocca la rarità , e lascia travedere che spesso siano riferibili al •vajuolo spurio i fatti allegati ( V. Op. cit. ). Ma Ro- senstein nega affatto « che chi ha avuto il vero vajuolo lo riabbia giammai »> ( V. Malattie dei Bambini ) 324 « Qui trlbutum sernol huic morbo persolvit , hic metu re liber medios Inter variolosos tutissimus iacedit m dice Pietro Frank ; non è però eh' ei rigetti gli esempi di seconda infezione da altri addotti , e da lui non osservati. Si conchiuda , che se una prudente ed occu- lata diffidanza non permette di accettare di leggieri le tante relazioni e racconti in proposito fino ad ac- cordar fede alla vecchia riportata da Pietro Bonello morta di vajuolo a lei ritornato per 1' ottava volta nel corso di ii8 anni , non si possono perù rifiutare né il caso dei due fanciulli veduti e curati dal Marescot , né quello della propria moglie di Won Doeveren , cui volle per testimonio Camper ed altri occulatissimi Medici e colleglli, né le storie di Hartmann ed altre autenticate e registrate dal de Haen ( V. Rat. Med. v. III. cap. VII. ) sulla fede de' quali e di più altri lo Sprengel parimente adottò sul vajuolo recidivo la sentenza affermativa , ampiamente confermata ora dai moderni , e viventi osservatori. ( V. Sprengel fnstit. Med. Voi. 7. ) (3) La rivaccinazione è 1' operazione assolutamente preservativa senza eccezione in ogni caso che si vo- glia un grado di sicurezza esclusiva d' ogni dubbio per qualunque evento. Il Dott. Doneldsou diilPaver sperimentato la seconda vaccinazione in più individui , ne ritrasse la certezza che questo metodo sommetlen- do r organismo alla replicata influenza del vaccino vale a preservar costantemente dal vajuolo naturale. Osser- vazioni particolari poi si hanno dal chiarissimo Dottor Thiene nel vajuolo epidemico di Vicenza del 1820, e dal iJottor Maraschin nel 1833 , comprovanti la neces- sità e r effetto della rivaccinazione in ragione della di- stanza di tempo dalla subita vaccinazione , e per lo meno dopo un decennio ; ma , comunque da altre os- servazioni posteriori non si verifichi che il vaccino per- da di sua efficacia allo scostarsi più o meno dall' epo- ca dell' innesto , avverata però ad ogni modo la gua- rentigia perfetta della rivaccinazione da successivo vajuolo per molteplici esperimenti , potrà la medicina 3^5 vantar nuovo trionfo con altra scoperta che rende , se \' ha d' uopo , ancor più luminosa e compiuta quella di Jenner. ( V. Ann. Univ. ec. v. XXXFIL ) (4) Il sig. Moieau de Jonnés dall' apparizione ia questi ultimi anni di epidemie di vajuoloide somma- mente contagiose e micidiali , quali non si erano più vedute dopo trent' anni dall' iotrodotto vaccino , prese argomento di ravvisare in queste una nuova specie di vajuolo importato dalle coste asiatiche , sia dalle Indie, o dall' Indo-China , ove nove specie di vainolo si am- mettono e soavi peculiarmente descritte nell' Esculapio dell' Indo , sia dalla China , più feconda di tal merce , annoverandosi colà circa quaranta specie di vajuolo tra umano ed animalesco con suo proprio nome. Que- sta importazione funesta sembrò al sig. Moreau tanto più provata per essersi manifestate le epidemie di pre- ferenza nei punti più importanti per commerciali co- Biunicazionl nei due emisferi , come Londra , Edim- burgo , Parigi , Amburgo , Nuova-York , Filadelfia. — Caratteri non proprii del Vtijuolo ordiaario , s' avvisò egli di scorgere nel grave vajuoloide epidemico , e nella forma tubeicoìosa delle pustule , — e nelle nausee e vomiti più coslanti, e nella maggior disposizione ad attaccare il petto , nonché nelle pustole talora superfi- ciali, vescicolose , piene di linfa, anzi che di pus, e in simili altri accidenti , non avvertendo forse abba- stanza il sig, Moreau che sono pur descritte quali va- ■ rietà di vajuolo comune dai pratici — e le Fariolce so- lidescentes. . . . vel foie verrucosa phjniata. ... e le lyinphaticoì , cristnlfince , supo.rficialcs di Frank P. , dal- le quali non molto distano le siliquosre di Freind , di 3N^ead , di Borsier , e le T^ariolce Lastricce notate da Frank Giuseppe con mollo vomito bilioso e con indole tifoidea grave , ed il tanto temuto attacco pulmonico nel vainolo confluente, per cui Moston dice — Phle- botomia nisi confestlm peragitur , actum est de aegro- to. . . . nec pulsus humilis me terret etc. ( V. Alien Sj' nop. Medica ). Così la poca o nessuna febbre osser- vata talora nel vajuoloide , non è raro pure d' essersi 326 veduta nel vajuolo ; e Rosenstein avverte di una fan- ciulla di condizione, incontrata da esso per viaggio, che fece tosto ritorno indietro , e assoggettò alla cura come vajuolante, senza che pur si accorgessero della vigente malattia né dessa stessa , né i parenti suoi. Quanto all' applicarsi poi che fece il varioloide epide- mico ai vaccinati , sempre però mitigato , come a quelli già slati vajuolosi spontaneamente , o artificialmente , e a questi ultimi spesso con carattere funesto , ciò si spiega , al dire del Dottor Fantonetti , dall' essere stato trasportato , forse per nuove comunicazioni colle tro- piche regioni , nuovo virus vajuoloso feroce come là corre e sparso in Europa ed America , a malgrado delle vaccinazioni non abbastanza generalizzate ; le quali tuttavolta lo hanno modificato sempre e nei più respinto affatto , come si ha dalle sperienze di Thomson che innestò il varioloide epidemico a 680 individui vacci- nati o stati vajuolosi e non pigliò che in 3o, essendone gli altri preservati , locché non sarebbe accaduto se si fosse trattato di nuova specie di vajuolo. Dal che conchiude il lodato Fantonetti che — tornando piìi clie mai perfetto il vaccinare se n' avrà intera la gua- rentigia. — Così Hufeland nelle sue recenti riflessioni ci annun- zia — che regni di ben dieci e venti milioni d' abi- tanti furono effettivamente preservati col vaccino , e tiene per certo il sommo medico filantropo , die tosto che la vaccinazione fosse fatta generale , il vajuolo sva- nirebbe dalla terra. ( p^. Ann. Univ. di M. voi, XLII ). J 32^ irx' ILLUSTRISSIMO SIGNOR CAVALIERE GIO. BATTA MOLINI DEPUTATO AI GABINETTI DELLA REGIA UNIVERSITÀ*. esiderando degnamente corrispondere all' onorevole incarico afiidatomi col pregiatissimo foglio di V. S. Il- lustrissima dei ij» scorso maggio, mi sono data pre- mura di portarmi nel prescritto giorno dei 22 detto mese nella sala di questa R. Università ; onde far procedere allo sfasciamento della mummia ritrovata nel scavamenti di Tebe dell' alto Egitto , ed ultimamente regalala dal Sig, Bella al Museo di questa R. Università , ciò che , come ben sa, fu eseguito alla presenza di V. S. Illu- strissima e di numeroso , e scello consesso di dotti , e distinti Personaggi. Indi pregai i Sigg. Segretaro RafFo , e chirurgo Cresta a compiacersi di fare la narrazione dell'occorso, ed a far ritrarre esatta copia delle due casse interna , ed esterna , che rinchiudevano la mum- mia ivi rappresentata, ed insignite disegni geroglifici, come fu ùiUo con lode dal Sig. Giuseppe Piaggio , ed il giorno i5 del corrente mese di giugno 1827 , essendo- mi stala rimessa copia del tutto , mi feci tosto ad esa- minare gli ornamenti , ed i segni geroglifici , che ador- nano questo funebre monumento , affine di poter sot- tomettere all' illuminato giudizio di V. S. Illustrissima la genuina spiegazione di quanto vollero esprimervi coloro , che la fecero. Siccome però diversi sono i metodi , co' quali i dotti moderni credono doversi procedei'e , onde ottenere la giusta intelligenza de' segni geroglifici egiziani , stimo pertanto opportuno di doverne accennare i principali, e di esporre le ragioni , che mi hanno determinato ad adottare nella spiegazione piuttosto l'uno che gli altri di questi metodi. '' Questi metodi sono tre , de' quali il primo ha avuto orìgine in Germania , il secondo, che è molto accrcdi- 328 tato in Francia , ed il terzo comprovalo dall' unanime consenso di tutta 1' antichità , e che viene ora ripro- dotto in Italia. Tutti gli autori , e fautori di questi tre diversi me- todi convengono a dire , che per ben intendere , e spie- gare i geroglifici conviene attenersi alle autoi-lià , e dottrine di Clemente Alessandrino ( Stroma 5." ) il qua- le assicura , che gli Egizj quando vogliono istruirsi nell' arte dello scrivere , imparano da prima la scrittura de- motica ( volgare ) , poi la geratica ( sacra ) , e finalmente la geroglifica , la quale ultima è , o kiriologica , espres- sa con segni elementari ( lineamenti caratteristici ) , o simbolica , i cui segni d' imitazione hanno , o un sen- so proprio all' oggetto espresso con segni caratteristici , o tropico , di qualità , o di proprietà dell' oggetto , op- pure enigmatico , cioè mistico , o allegorico. Questa dottrina di Clemente Alessandrino mostra ad evidenza , che i segui geroglifici hanno sempre un senso simboli- co , e non mai alfabetico j pure le parole ( Kyriologìkè dia tón prótón stoicheión ) Kiriologica per i primi elementi , hanno dato luogo ad alcuni di supporre , che questo Padre abbia inteso di parlare di lettere al- fabetiche , chiamate in greco alcune volte ( stoicheión ), ( elementi ) , poiché è vero che le lettere sono gli elementi della scrittura, ma non è poi vero, che nò in greco, né in alcun' altra lìngua , la parola stoicheión per se stesso voglia significare lettera alfabetica , mentre il nostro Prototipo , e tutti gli autori greci , quando par- lano precisamente di lettere alfabetiche , sempre le chia- mano ( grammata ) j ma ciò che ci convince piena- mente , che nel citato luogo l' autore coli' espressione ( dia tón prólón stoicheión ) voglia sicuramente parlare di delineamenti caratteristici , e non di lettere alfabeti- che , si è che egli chiama la prima specie del genere simbolico Kiriologizzata per imitazione ; Or dunque , se la prima specie del genere simbolico è Kiriologica , il genere Kiriologlco deve di necessità essere simbolico , e non alfabetico. In fatti da un esempio di genere Ki- riologico , lasciatoci da questo Padre , risulta che la 329 spiegazione da esso fattane è simbolica , come sono pa- rimente simboliche quelle che si trovano in tutti gli autori greci , e latini ; ond' è che conviene assolutamente dire , che in questo luogo la parola ( stoicheión ) ha il proprio , e generale significato di elemento , e non può avere lo speciale di lettera alfabetica in greco ( gcam- xnata ). Queste sono le ragioni, che per ispiegare i segni geroglifici espressi sulle due casse di questa mummia , mi hanno determinato a preferire il metodo simbolico ai due altri metodi alfabetici , o alfabetici misti. Ma una ragione ancora più imperiosa di queste , è stata la assoluta impossibilità di adattare le lettere degli alfa- beti fonetici , fin' ora pubblicati, ai segni scolpiti sulle casse di questa mummia , di modo che per poterne avere una spiegazione ragionevole , e regolare , mi è convenuto di necessità attenermi al metodo simbolico riferito da Clemente Alessandrino , e 1' unico , che ci può condurre ad un felice risultato. Ma siccome per far conoscere 1' esattezza della spiegazione di un mo- numento geroglifico-egizio è cosa importantissima di persuadere il lettore della verità del metodo da esso seguitato , e persuaderlo anche al pubblico istruito ; ho perciò creduto cosa indispensabile di dover qui fare una brevissima analisi di questi tre diversi metodi , onde porre gli Amatori dell' Archeologia , ed i Dotti in istato di poter formarne un adeguato giudizio ; giac- ché la massima parte di essi , dopo tre secoli d' inutili tentativi fatti da lauti illustri Letterati , ed in vista delle dissensioni tutt' ora esistenti fra i fautori di que- sti tre metodi , che vanno giornalmente pubblicando spiegazioni di monumenti geroglifici , ed alfabeti dia- metralmente opposti gli uni agli altri , tutti rigettano questi metodi senza farne alcun esame , e tutti li sup- pongono egualmente falsi , ed inutili. li primo dei due metodi stabilisce per base fonda- mentale r interpretazione della celebre pietra di Roset- ta , scritta in tre qualità di caratteri greci , demotici, e geroglifici ; ludi l' iaterpcete comincia dal leggere , 33o per quanto esatlaoiente può , la parte greca , poi cerca di far concordare la spiegazione della parte gi-eca colla demotica ( lingua volgare dell' Egitto a' tempi dei To- lomci , la quale doveva essere un misto di lingua gre- ca, e dell'antica Semitica , moltissimo affine all'Ebrai- ca ), e fa infine ogni sforzo per far corrispondere i £egni della parte geroglifica alle lettere delle parole lette nella parte demotica. Se l'esito dell'applicazione di questo metodo fosse regolare , ed esatto, noi avrem- mo r alfabeto demotico , e geroglifico , e noi potrem- mo leggere non solamente il monumento di Rosetta , ma anche tutti gli altri demotici , e geroglifici , né ab- bisogneremmo più di ulteriori studj. Il fatto però mo- stra, che l'esito non corrisponde al desiderio, poiché per leggere soltanto la pietra di Rosetta nella parte de- motica conviene continuamente supporre , che una stes- sa lettera abbia forma diversa , quasi ogni volta che si incontra , e che le parole abbiano spessissimo abbrevia- zioni j o ridondanze di lettere , in modo che queste restano scritte senza la conservazione delle lettere ra- dicali, assolutamente necessaria all' intelligenza , e di cui , se le parole restano prive, non si ha se non voci ar- bitrarie , e lette a capriccio , alle quali si cerca di dare una apparenza di probabilità , coli' asserire , che corri- spondono alla spiegazione greca > e dicono che , se queste parole non si possono leggere con esattezza gram- maticale , ciò deriva dall' essere le lettere corrose in parte dal tempo , e dal mal' uso fattone , e clie la for- ma delle lettere semitiche si è cambiata di secolo in secolo ; cosi che non deve far meraviglia , se una stessa lettera appare sotto moltissime diverse forme. Comun- que sia , sarà sempre vero , che le parole di qualunque lingua semitica , le quali non hanno nella scrittura e- spressc le lettere radicali non si possono ragionevol- mente leggere , ed intendere , e che la lettura , che se ne fa , è arbitraria , e fatta a capriccio , come è pari- mente vero, che un alfabeto, che dà alla medesima lettera molte , e diverse forme nella scrittura di uno stesso monumento , non può servire a scrivere una lin- 33t gua , che deve essere di uso comune al popolo , e che per conseguenza sono ioutliì gli sforzi di lutti coloro < che hanno finora seguitalo questo metodo j Ad ogni modo io stimerò sempre lodevolissimi gli sludj di quelli^ che corrono a questa meta , poiché , sebbene colle at- tuali cognizioni dei monumenti conosciuti non siasi an- cora scoperto il vero alfabeto demotico , e geratico , pure non è fuor d' ogni speranza , che si possano rin- venire dei papiri bilingui , greco-egizi , i quali , essendo meglio conservati , ci possano guidare allo scoprimento delle lettere , e delle lingue demotica , e geratica , che dovevano essere sicuramente alfabetiche , però non mai a farci vedere , che i geroglifici sono lettere alfabeti- che , quando non lo sono j come lo comprovano 1' una- nime consenso di tutta 1' antichità , e la semplice ispe- zione della pietra di Rosetta, in cui la parte greca è scritta in cinquantaquattro linee , quando la parte ge- roglifica lo è in sole quattordeci , e che i segni , i quali dovrebbero esprimere i nomi proprj , menzionati nella parte greca , non si vedono più nella parte geroglifica espressi nello stesso ordine , e replicati lo stesso nu- mero di volle. L' altro dei due metodi , che considera i segni ge- roglifici come lettere alfabetiche , posa su principj di- versi da quelli del primo , mentre stabilisce , che i se- gni geroglifici , i quali si mirano rinchiusi negli scu' di , o impresa di una qualche nazione , provincia , o citth , siano lettere componenti il nome proprio , o il cognome di un qualche Re ; Quindi è che gli Autori di questo metodo , avendo osservalo , che nella parte greca della pietra di Rosetta si contiene un decreto in lode del Re Tolomeo , e che nella parte geroglifica , vi sono sei scudi , due de' quali interi , e contenenti sette o otto segni geroglifici , ed un terzo smezzato , che ne contiene solamente quattro , ed altri tre conte- nenti li medesimi segni dei due precedenti , e di più in uno di questi altri otto segni , ed in due altri dieci , hanno supposto , che i primi sette , o otto segni rin- chiusi ia questi scudi debbano esprimere le letter» 332 P, t, o, l,m, X , u,s. ovvero P , t , 1 , ni , a; , u, s , formanti lo scheletro del nome Ptolenincus , e li re- stanti otto o dicci segni , siano parie simbolici , e parto lettere esprimenti le parole sempre vivente , amato da Phtha , quando in realtà i primi tre di questi scudi sono le armi , o l' impresa dei Greci , e sjli altri tre quel- le degli Egizi , e dei Greci riunite. Questo procedere vago , ed arbitrario , essendosi poi esteso alla lettura dei scudi esistenti su di altri monumenti , facendo uso di moltissime licenze non ammissibili in alcuna scrittu- ra , vi si sono letti gli scheletri dei nomi Berenice , Filip- po, Alessandro, Cleopatra , Tito , Doniiziimo , Amone, Ramesse , ecc. in modo che da questa letlura ne è emer- so un alfabeto di 43o forme di lettere esprimenti il suo- no di sole nove consonanti, e di una vocale vaga , colle quali si sono letti gli scheletri di molte voci ; pure a malgrado la sfrenata licenza di questi alfabeti , mai si è potuto giungere ad ottenere la spiegazione vera , o falsa di un intero monumento geroglifico , senza fare un uso arbitrario del metodo figurativo , e simbolico. Ad ogni modo questo alfabeto unicamente fondato sull' arbitra- rio principio di voler leggere negli scudi un nome piut- tosto di un altro , che varia , ed aumenta sempre le supposte lettere dell' alfabeto fonetico , a misura che si vogliono leggere nuovi nomi negli scudi ; che ha per unica base l'arbitrio, ed il caso, e che confonde, e rovesfcia la cronologia , ha fatto fortuna , ed ha dovuto farla presso di coloro , che non hanno esaminato posa- tamente questo metodo, né fatto simili studj , per la. ragione , che gli scudi contenenti una diversa impresa da noi conosciuti , non oltrepassano forse il numero di cento , ed essendone stati letti , o arbitrariamente , o per caso circa una metà , ne' quali si asserisce esservi scritti i nomi de' Re egizj , greci, o romani, i fautori di questo sistema , tosto die vedono su di un qualche mo- numento , uno di questi scudi , che si immaginano essere stali letti , subito assicurano che quel monumento con- tiene il nome del tale Re di Egitto , il quale secondo ile dinastie di Manetoae , o di altro storico , ha vissuto 333 nel tale secolo , essi fanno tosto i più grandi encomj di questo ritrovato , e si danno a credere di sapere qual- che cosa , mentre essi non sanno , che questo metodo è totalmente arbitrario , poiché dipendente dalla prima supposizione , che nei primi scudi letti dagli autori di questo sistema vi sia scritto piuttosto il nome di un Ke , che di un altro , giacché , se invece di avervi vo- luto leggere i nomi di quei Re che vi hanno letti per arbitrio , o per caso , vi avessero voluto leggere quelli di altri Re , essi vi avrebbero trovato parimente un al- tro diverso alfabeto , ed altri nomi proprj differenti da quelli , che vi leggono in seguito della prima loro sup- posizione. Vedasi pag. So de l'Explication d'un stele rapportò dans l'antologie de Florence , à Génes chez y. Gravier 1827 ; mentre essi non sanno , che i Re delle dinastie egizie di Manetone non sono quelli di altrettanti Faraoni, o Imperatori, che abbiano regnato consecutiva- mente r un dopo 1' altro , ma bensì quelle dei Re dei trenta nomi , i quali regnarono contemporaneamente nello spazio di 280 anni. Vedasi la stessa Explication pag. jS : mentre non sanno , che col fare 1' elogio dì questo metodo arbitrario lodano un sistema contrario iilla vera dottrina per riconoscere il sicuro metodo di spiegare i geroglifici ', giacché con qnesto metodo non si è mai saputo il contenuto , né potuto intendere un intero monumento geroglifico , il quale sveli le opi- nioni religiose, il governo, le nozioni filosofiche degli antichi saggi egiziani , tanto giustamente encomiati ed ammirati da tutta l'antichità, e che furono i mae- stri dei dotti della Grecia , e del Lazio. Quindi è , che avendo io riconosciuto che il primo di questi due me- todi può benissimo col tempo , e collo scoprimento di altri antichi papiri greco-egizj , condurci a rinvenire il vero metodo di leggere, e di intendere le lingue, e scritture demotica , e geratica , che erano secondo tutta probabilità totalmente alfabetici 5 ma che poi non po- trà mai se non vagamente condurci a ritrarne vantaggio per la lettura , e per l' intelligenza dei geroglifici pu- ramente , e totalmente simbolici ; e che il secondo di 334 questi due metodi , essendo interatueate arbitrario , ed erroneo , non può , e non potrk mal esserci se non di dan- no , conducendo i suoi seguaci a formarsi delle opinioni contrarie alla verità; ond' è che io avendo avuto 1' ono- revole incombenza di spiegare i gerogliGci che abbellano le due casse di questa mummia , ho dovuto attenermi air unico , e solo vero metodo simbolico , insegnatoci da Clemente Alessandrino, e comprovato dall'unanime consenso di tutti indistintamente gli autori, arabi, gre- ci , e latini ; all' unico , e solo metodo capace a potere dare una vera , e retta spiegazione di tutti i monumenti geroglifico-egiziani, a quello cioè che divide la scrittura geroglifica in due generi , il kiriologico , che pinge , e spiega gli oggetti al senso proprio , ed il simbolico , che pinge gli oggetti per imitazione, e gli spiega , o kiriologicamente ( al senso proprio ) , o tropicamente ( al senso di proprietà , o qualità dell' oggetto , pinto per imitazione ), o enigmaticamente ( al senso allego- rico , o mistico dell' oggetto pinto per imitazione ) . Sarà continuato. 335 Osservazioni geognostiche e mineralogiche sopra i monti che circondano il golfo della Spezia, di Girolamo Guidoni, socio corrispondente dell' I. R. Accademia dei Georgofili , e della Società Toscana di Geografia , Statistica , e Storia Naturale Patria, presentate insieme ai saggi dei Minerali dei monti medesimi alla Società stessa nelt adunanza del 2.5 febbrajo 1 golfo della Spezia fu sempre oggetto d' infinita cu- riosità , ed ammirazione tanto nei trascorsi , che nei mo- derni tempi. La natura formandolo volle in esso offrire al navigante un sicuro ed amenlsslmo ricovero ^ onde dissero molto bene a ragione , alcuni romani istorici e poeti , non essere che un grandioso porto , che molti al- tri porti conteneva dentro di se , e dove numerose ar- mate potrebbero restarvi a piacere ( Strabene , Persio , Silio Italico ) . Situato ai confini della Liguria orientale , e della Toscana , circondato al nord da una doppia co- rona di monti , presenta in faccia a mezzogiorno un' ampia apertura di cinque miglia. La straordinaria forma , né i più sicuri ripari dei venti furono i soli suoi pregi ; il ridente aspetto delle monta- gne e colline che lo circondano , tutte ricoperte di frut- tiferi ulivi : l' isolette del Tino , e della Palmaria , po- ste nel punto il più opportuno : tre comode aperture all' ingresso delle na^'i : due promontorj , che formando i seni del Varignano , e delle Grazie , sembrano indi- care all' uomo che ivi doveva collocarsi uno dei più si- curi , e comodi lazzaretti del Mediterraneo ; una sor- gente di acqua dolce , che scatm'isce nel mezzo dell' acque salse j il più bel marmo venato che si conosca , e del quale sono quasi intieramente formate le due mentovate isolette ; in fine un copioso numero di paesi , e di abi- tazioni che sorgono ovunque la ^ località fu loro propizia , 336 ecco i pregi che sopra ogni altro luogo , resero sempre ammirabile il golfo della Spezia. A tante e cosi rare maraviglie , non tacque 1' enfasi degli antichi , e dei moderni poeti , e molti furono che ne celebrarono i pregi nei loro versi. Persio , nativo dei luogo , invitava i Romani a visitarlo. ce UOPO È VEDER DI LUNI IL PORTO , AMICI : » Ennio , Silio Italico , Strabone , Plinio , Tito Livio , ne parlarono sovente , e tutti lo descrissero sotto nome di porto Lunense per la sua vicinanza a questa celebre città. I più moderni poi Tolomeo , Flavio Biondo , Lean- dro Alberti , lo chiamarono ancora Portus V^eneris , Portus Ericis , e più comunemente golfo della Spezia ; nome che conserva tutt' ora , tratto dal paese che vi risiede nel centro. Non essendo nostro scopo di tesser quivi un lungo elogio al golfo della Spezia , né di parlare di ciò che ha relazione alla di lui istoria , non mancando chi potrà occuparsene ampiamente , ed essendovi già stato , mol- to , e da molti , scritto ; porremo la nostra attenzione a ciò che presenta la natura fìsica del luogo e partico- larmente ci atterremo alla geognostica forma , e natura delle montagne che lo circondano. Se fu caro alP uomo di stato il contemplarvi un va- sto mezzo di marina potenza , tardi non furono pure gli amatori delle Scienze Naturali , ad apprezzare un luogo che offriva loro variatissimi prodotti , e numerose ricerche. Le scienze però che poggiano sull' osservazione non essendo che di recente data , noi non troveremo nelle opere di coloro che nei passati tempi parlarono del golfo , che istoriche , o geografiche descrizioni , e poco o nulla sulla Fisica , e Storia Naturale. Fattoci dun- que a coloro che più particolarmente convengono al no- stro scopo , incomincieremo dal Vallisnieri. Questo uomo sommo per i suoi tempi , quantunque dirigesse le primarie sue mire al regrlo animale , cer- cando quasi sempre l' incremento della scienza medica che professava ; ci lasciò travedere alcune volte il de- siderio di ben conoscere la fisica uaturale dei luoghi 337 che percorreva. La sua Lezione accademica intorno all' origine delle Fontane , corredata poi di copiose annotazioni , è 1' opera che avremo campo di citare , e, nella quale parlò delle maravigliose sorgenti del golfo , e di più luoghi delle Alpi Apuane. I classici Viaggi in alcune parti della Toscana del Tar- gioni Tozzetti comparvero nel i ^68 , ma gli ultimi quat- tro tomi che parlano della Lunigiana non furono pub- blicati che molto tempo dopo. Vastissime furono le mire del Targioni , come lo manifestò nel suo Prodomo della corografìa, e topografia fisica della Toscana pubblicato sino dal 1754; e negli ultimi tomi dei viaggi in questa maniera si esprime. 3 Dopo così sagge riflessioni 1' Isengarde cadde nelF er- rore istesso del Targioni volendo dare alla proposta opera una troppo geuei-ale erudizione. Il lavoro non fu dunque incominciato , o appena trovossi abbozzato fra i suoi scritti. Venne in seguito lo Spadoni colle sue Lettere odepo- riche sulle montagne ligustiche , ed il Ferber nelle Lettere sulla Mineralogia , e fecero menzione delle cu- riosità naturali del golfo. Ma questi due autori poco co- nosciuti , e le loro osseiTazioni non molto esatte , spar- sero un breve lume sui paesi che cercarono d' illu- strare. Il professore Giuseppe Mojon, già abbastanza decan- tato per le molte sue cognizioni in Chimica , pubblicò nel i8o5 nna Descrizione mineralogica della Liguria} fu troppo breve quel lavoro , e quasi un semplice ca- ' lalogo delle sostanze minerali dalle quali si poteva ri- cavare con qualche lucro. Non mancavano però cogni- zioni , e mezzi al professore Mojon , per fare un' opera più perfetta. 34o Era riserbata la vera illustrazione della storia naturalo Ligure al Professore Domenico Viviani , e 1' opere pub- blicate sino al giorno presente ce ne danno chiara pro- va. // f^iaggio in alcune parti della Liguria Orien- tale , scritto in francese è il lavoro più perfetto che si conosca ancora sopra cjueste montagne , e quantuntjue non prendesse di mira che la celebre miniera del Man- ganese della Rocchetta , ci fa egli sapere come avroblje seguitate le sue osservazioni. Ecco le proprie parole : ce Queste osservazioni bastano per completare la geolo- « già , e la mineralogia dei contorni della Rocchetta , « è secondo il medesimo piano che farò conoscere il ce restante della Liguria , se il giudizio dei conoscitori « crederà di qualche utilità le mie ricerche. et Dalla Rocchetta io continuai il mio viaggio , e le ce naie osservazioni sino alla Spezia , ove la zoologia di ce questo vasto seno di mare detto il golfo , basterebbe ce ad occupare molti anni il naturalista. Io differisco a et un altro tempo la pubblicazione di questa parte del ce mio viaggio , tanto più che la Liguria marittima , quau- ce tunque si trovi a contatto degli Appennini , ella ne ce difterisce pertanto per 1' aspetto del paese , per il ce clima , e per le produzioni , e i costumi medesimi ce dei suoi abitanti. Questi sono due paesi che meritano ce di essere trattati a parte , se si vuole dare a un' opera «e queir accordo che deriva dai rapporti comuni ai dif- cc ferenti oggetti dei quali si parla. Si dirà forse che ce cpiesta unità è inutile nella relazione di un viaggio , ce e che questo genere di composizione non è nemmeno « suscettibile ; ma se si vorrà ben conoscere ed appro- «e fondire tutti gli oggetti che costituiscono lo stato fi- ec sico di un paese, presto si scorgerà che tengono tutti ce fra loro per i medesimi rapporti come 1' efletto ce tiene alla causa. Ora questi rapporti che legano come ce a tanti sistemi gli oggetti che si osservano nelle dif- ce ferenti parti della Ligm-ia , fisseranno i limiti natm'ali et alle mie relazioni di che l' assieme completerà , se ce avrò bastanti forze , e nxezzi per contiimare , la sto- ct ria natux'ale di questo paese » . Il detto Professore fu 34 1 in seguito occupalo ìli alti-i botanici lavori, onde restaci sempre il desiderio di vederlo proseguire i suoi viaggi. Io ebbi la fortuna di ascoltare per pivi anni le sue le- zioni , e sono ancora sovente dalla viva sua voce in- sfruito nelle ricerche di tal fatta ; possa oggi questo te- nue mio lavoretto sul Golfo corrispondere al meditato suo fine ! Due anni dopo il viaggio del Professor Viviani fu in- viato dal Governo Francese il celebre mineralogista Cordier , e gli fu imposto di comporre la Statistica mi- neralogica del dipartimento degli ^pennini , la quale fa poi pubblicata nel Giornale delle Miniere nel 18 ii. L' opera del Cordier , che abbracciava tutto 1' intero di- partimento , non fu cosi profonda né vasta , qual' era sperabile da simile naturalista. Egli trattò troppo breve- mente dei carboni fossili di Caniparola , del marmo di Porto-Venere , e delle celebri cave di ardesia di La- vagna. Non fece alcuna menzione delle sorgenti del gol- fo , e ciò che scrisse sulla miniera del manganese della Rocchetta fu intieramente ricavato dal lavoro del Pro- fessore Viviani 5 ma il Cordier tacque il nome di chi bene a dritto aveva prima di lui visitata quella parte della Liguria. Neil' enumerare le roccie che compongono il tratto di paese da lui descrìtto , poco , o nulla si estende sulla loro giacitura , e non considera separata- mente le diverse formazioni , o limiti di questi terreni. Durante il dominio del Governo Francese , molte fu- rono le indagini fatte sul Golfo , poiché la località at- traeva a se gli sguardi di quella nazione che aveva idea- to di formarne la principal sede delle sue forze marit- time nel Mediterraneo. Il Barone Chabrol , in allora Prefetto a Savona , e il celebre Astronomo Barone di Zach , sì portarono sul luogo , dove fecero molti lavori di Geodesia, i quali furono poi in parte pvibbllcati dallo Zach nel suo giornale di Corrispondenza Astronomica anno 1818. La memoria del Sig. Rossi, parimente inse- rita in questo giornale, contiene osservazioni consimili j ma 1' autore avendovi vniite ricerche d' Istoria civile e naturale molto le tolse del primitivo suo merito. Fu a3 34^ parimente opei'a eli cfucl tempi un' altra memoria del sig. Lepèrc Ingegnere in capo del Dipartimento « sui mezzi di prosciugare le paludi di Creola jj che contiene molte interessanti osservazioni su quelle località. Restaci ora a parlare di due scritti che non poca cele- brità hanno parimente sparsa sul Golfo. Il primo del Professore Bertoloni di Sarzana sotto il titolo Specimen Zoopkytorum, Portus Lunae , che ci fece conoscere quanto è dovizioso il luogo in produzioni marine. Il secondo , opera recentissima del Cavalier Corderò di Sanquintino , che prese ad illustrare i marmi Lunensi , e che molto si trattiene a parlare di quelli del Golfo , inclinando a credere che fossero cogniti ai Romani gran tempo prima del marmi statuarj di Carrara. ]Non lascerò in fine di far menzione di alcune os- servazioni del celebre Mineralogista Bi'Ogniart, frutto del suo viaggio in Italia e lette all' Accademia di Parigi il 26 dicembre 1820 , Sur le Gissement ou Posilion re' lative des Ophiolites , Euphodites , Jaspes dans quel- ques parties des Apennins. E queste ricerche furono istituite principalmente sulle montagne della Rocchetta. Se volessimo poi fare quivi 1' intiera enumerazione di tutti i Mineralogisti , Geologistl , Naturalisti o Storici che hanno visitate queste montagne , e che brevemente ne parlano nei loro scritti , potressimo aumentarne il nu- mero ; ma ci è sembrato intanto non dover fare men- zione , che di coloro che maggior luce hanno sparsa sxdr oggetto che pure noi oggi prendiamo di mira. Sarà continuato' 343 1 REGALI DELLA 3NATURA Trattenimento accademico per la distribuzione de' premj agli alunni delle Scuole pubbliche di Genova V anno Ì828. O egli è vero quel cìie disse un anti<;o saputo di Ro- ma , che parentela abbiavi ancora tra' parti dell' uma- no ingegno, certo pocliissinrr^i questi son più vicini di grado e più stretti di sangue che il Giornale Ligu- stico e i trattenimenti accademici delle nostre pubbliche scuole , siccome quelli che nascono in una stessa fami- glia, benché non tutti abbiano lo stesso padre. Quindi alla maniera di savi e ben costumati fratellini han per costume a certe stagioni dell'anno uscire in compagnia, e darsi la mano ad alcuna di quelle feste, che viene loro permesso da' loro parenti. Ma già la va sempre per uu verso : de' cattivi bestioli si trova sempre al mondo , spezialmente nella moltitudine e nella frequenza del volgo. Da sezzo alcuno fece visacci a quelle inno- centi creature , e mise loro in corpo cosi brutta paura della befana , che cosi fresche e tenere com' elle sono non osavano omai quasi mettere il visino fuori della finestra. Se non che qualcun' altra persona , che sa a mente le opere della misericordia , né s' è mai beccato il cervello per sapere se la befana sia mastio o femmina , tolse a proteggere quella sbigottita brigatella , e seppe cosi destramente dondolarne la culla cantando il fallan- naona , che come fur desti e' parvero tanti Ercolelti. La qual cosa ispirò a noi altresì tanta buona fidanza , che non giudicammo a proposito di doverci ritrarre dal nostro usalo stile , ben sapendo che se i nostri saggi e gemili lettori non hannosi l' altre volte recato a vile d' .nccoglif-rp con lieta fronte i regni! die a quando a quando ne laofan le Muse , non vonan cerio a questo tratto rigettare i regali della natura , i quali anch' essi per le caste mani delle Sirocchie di Parnaso ne vengono porti. Dell' autore di queste poesie , e del suo chiaro ingegno s' è fatto più volte parola nei nostri fascicoli laddove si dovette ragionare alquanto delle diverse edi- zioni dei Lusiadi di Camoens da lui recati in italiano , e in argomento più vicino al presente , può vedersi quel che abbiam detto ( Fase, i, 1827 ) del suo trat- tenimento poetico intitolato Le Viti. Qui sarebbe il luogo di fare alcun cenno sui pregi e sul merito di esse poesie j ma ci asterremo a questa volta dal farlo , affin- chè egli non c'intervenga siccome a certi buoni uomi- ni da Gonzoli , dei quali , ancorché sia anzi lunghetta che no , qui giova di raccontare una piacevole novel- letta non mai più stampata , trovata non ha molto , nella cantina del Sig. Francesco Redi Fiorentino , con molta diligenza e fatica fedelmente trascritta dall' ori- ginale favoritoci da un amico , al quale qui intendiamo di rinnovare le dimostrazioni della nostra gratitudine. Malconcio era per le ingiurie del tempo e del luogo quel manoscritto , e prima della novella non rimasero intatte se non queste parole , che cosi come stanno in detta carta neppur facili sono ad intendersi fuorché a chi assai sottilmente vi guardasse per entro « che ce antico dettato è , che 1' essere spregiato da que' che « non sanno cresce lode e fama , e rincora i boni a « correre più gagliardamente la' ncominciata carriera ; tf et io ho conosciuto a' miei di di molti e di valenti « uomini , i quali ciò s' andavan caendo a bello studio , « e diceano tanto valere appo loro , e allo stesso fine « mirare nelle virtù e nelle belle et onorate imprese la « lode de' boni , quanto '1 biasimo de' tristi , essendo e « questo e quella egualmente securo indicio della bon- tc tade dell' opera. Per la qual cosa. ..." Questo bra- no era nel manoscritto segnato in ntodo , che esso bra- no parca tratto da altro autore. 345 NOVELLA, Messer Qioconilo Buoninsegni e' suoi amici diven- gono J'aniusi per la coltura delle 'viti e pe' vini che ne traggono : Fallalhello si argomenta colla birra di vincer la prova , e riesce a mal fine. ce In Gonzoli , terra a voi tutti ben nota , e dalla no- te stra poche miglia discosta , non sono ancoi-a tre se- cc coli ben ben passali , furono una brit^ata d' amici sa- ie vi , costumati e gentili , i quali conciofussecosacliè de' « beni della fortuna e delle cose di questo mondo ce fussero agiati et abbondevoli assai , né alcuno di lo- ce ro , comecliè tutti i venticinq' anni oltrepassati aves- ce sero , essendosi per anco ammogliato a uno in fuori , te erano usi a visitarsi spesso 1' un 1' altro per torno e te convenire ogni sera in casa un Messer Giocondo te Buoninsegni loro compagno , giovane molto amore- ct vole , e d' ogni lodevole qualità che ad onesta e beu- te nata ])ersona si confaccia , a dovizia fornito , e in così te fatto consorzio menavan essi la più lieta e riposata te vita del mondo. Nò vi crediate già che si stessero in te tresche e in sollazzevoli ozj tutto '1 dì a contare del te gretnbiul bianco della Tonia o del nuovo gamurriu te della Mea , o della insalata della Lucia , o della tri- te sta fin che s' ebbe 1' amorazzo di messer Andreuoloj te ma tutti i loi'o pensieri erano rivolti a far masserizia et da buon senno e alle particolari faccende delle loro ce famiglie , e sopra ogni altra cosa si dilettavano di te riempiere d' anno in anno più botti di buon vin che tf ])otessero , del quale poi erano larghi e cortesi tra di ce loro e cogli amici , e con ogni altra persona che per te qualsivoglia cagione fosse loro capitata in casa. To- ct sto adunque che eransi nelle consuete stanze raccol- tt ti , loro ordinar] e famigliari ragionamenti erano del et miglior modo di piantar le viti, quali spezie di ma- tt glioli o di propaggini fosser più acconce al colle e al te piano e ai sassosi ovvero ai grassi terreni , allegando te non di rado ia confermazione delle loro proposte 346 " quando 1' un passo e quando 1' altro di M. Pier de' « Crescenzi , et anco talora Varrone e Columella e Ver- « gilio ; che vi so dire che non eran mica capi d' oca « né sanza gramatica. Delle quali cose posciachè pareva « loro d' avere opportunamente e sufficientemente favel- " lato intra di loro , solevano far la chiosa al testo « con alcun fiaschetto del miglior vin che s' avessero « dentro alla grotta , e dopo d' avere alquanto annaf- « fiato 1' esofago , si recavano in mano chi la ribeba , « chi uno sveglione , e chi simile altro stormento da « sollazzo, cantavano e sonavano alcuna ballatetta o se- « renata , e poi finlvan la festa con andarsi ciascuno « alla sua casa a dormire , essendo 1' un di più allegri « ed amici che 1' altro. Nelle ore poi da lavoro con- « duceano a opera quanti v' avea da ciò nel paese , e « accozzatili ai loro lavoratori metteano in moto tutte « quelle colline , le quali in pochi anni rimonde e di- « sciolte dai pruni , dai gineprai e dagli inutili arbusti , « chele ingombravano, di salvatiche e d' immacchlate « eli' erano in prima , se ne videro riuscir vestite di « belli e fruttiferi vigneti fattevi portar dalla Grecia e « da altre terre di levante , non che dal La/.io , dalla « Toscana e dalle più rinomate contrade d' Italia , le « più preziose spezie di tralci che mai si trovassero , « i quali ivi per la diligenza e per la perizia di que' « buoni amici così perfettamente allignarono come in « lor proprio paese. Di che Gonzoli e i suoi vini ven- ti nero in quel pregio , e salirono in quella fama che « ben sa ciascuno. Mentre adunque disboscavansi que' « luoghi , e i Gonzolesi con grandissimo utile appren- «' devano dal Buoninsegni e dagli amici suoi 1' arte che « dovea poi farli ricchi e famosi , avvenne che tornasse «e iu Gonzoli sua patria certo M. Pietro Strafalcioni ce detto Fallalbcllo , di assai ricca famiglia , il c]uale da « fanciullo erane partito con un suo zio preso da va- « ghezza di veder paesi strani e d' inoltrarsi fino a quelle « ultime piaggle dove i montoni han cinque pie ; e « ben sapete che '1 potéa fare , perciocchò ricchissimo •«: era. Di tutti i luoghi però , a che egli s' avvenne , 347 « niuna altra parte gli andò a sangue meglio della Is- a landa , nella qual isola passò gran tempo della su;» « adolescenza , donde poi , dopo la morte del zio clie " d' ogni suo avere l' istituì erede siccome quello clie " non avea prole , si trasferì ad abitare in una città « della Lapponia , della qual piìi non mi ricorda il « nome , e toltovi per mogliera la figlia d' un ragguar- <* devole mercatante di quella terra , eravi rimaso tutto " il resto del tempo sino alla sua tornala, alla qual « non si sarebbe mai da persona del mondo lasciato « condurre , se non era per amor della consorte , la «« ([uale per esser di tempra assai fina e dilicata né « troppo bene stante della persona gli avea fatto forza « per poter per innanzi godersi il bel cielo d' Italia. « Or giunto costui in Gonzoli con numerosa molto et M orrevol famiglia , in un bello e magnifico palagio , « cbe di suo zio era già stato , fermò sua dimora , e « venendo a visitarlo amici e parenti , et essi doman- « dando lui et egli loro , come suol farsi , di cose nove « e peregrine , perciocbè cervel bizzarro avea e spasl- « mato fradicio dei costumi e degli usi del setteatrio- « ne , il primo giorno appunto eh' ei ne veniva , che ce fu a dieciselte del mese di agosto di mezzodì , tutto « imbacuccato in un suo zamberlucco che prendea sei « miglia di paese , ordinò a tutti i suoi fanti che ve- ce stili ancor essi in simil foggia all' usanza delle lor ce terre con un grosso torchio in mano venissero cia- cc senno nella sala ove riceveva gli amici, e fatto quivi ce accendere un gran foco di lecci , che vi si sarebbe ce sudato di fitto gennajo , s' incamminava per accon- ce ciarvisi allato. Della qual cosa prendendo gli amici ce grandissima maraviglia , e guatandosi di sottocchi ce l' un l' altro siccome quelli che importabile caldo ce pativano , stavano tra la noia e 1' espettazione a ve- «e dere ove s' andasse a riuscire un così nuovo apparato. ce E lo Strafalcioni intanto quivi a seder postosi sopra ce un gran seggiolone , più pettoruto e serioso eh* ei ce potesse e sapesse , con atti e sembianti da far strin- ce gere i cani la coda tra gambe , si diede a parlare la 348 lode delln Tana e dell' Orsa maggiore e tninore h più sperlicate , le più inique e goffe cose che mai udi- ste, in un linguaggio cosi barbaro e in cosi strane foggio di favellare , che era a mala pena franleso , non che dagl' Italiani , da que' pochi forastferi , che l'aveano da' lor gelati paesi insino a Gonzoli accompagnato. Discese quindi favellando a fare il e confronto dell' Italia colle regioni del polo Artico , e e tanto a queste la pose di sotto, quanto è alla notte il giorno , e al verno tutte 1' altre stagioni, (i) Del qual ragionamento di tutti quei eh' erano presenti altri rideva, altri sbadigliava, taluno arrossava, e talaltro dimenavasi stizzosamente su per la propria seggiola con viso da farlo tacere. Ma subilo fatto fine al suo parlare impose M. Pietro al suo siniscalco che fosse il consaputo liquore ivi recato , onde potessero i cir- costanti amici rinfrescarsi. Il quale , fatta quivi ve- nire gran quantità di larghi e profondi bicchieri , e messo mano a più bottiglie che su una credenza avea poste in ordine , una ne prese , e postalasi colla man- ca tra le ginocchia , e colla destra certo suo ferrato e bistorto ingegno ficcandole nel turracciolo , le gi- nocchia serrando a tutt' uomo nel tirava di forza con un rombazzo che risonavane la stanza tutta , e ad un tempo una spuma ne guizzava fuore così impetuosa , che soverchiati ne venieno le bottiglie e' bicchieri. E perciocché di que' tempi 1' uso della birra era tra noi sconosciuto , tutti gli amici di Fallalbello sì ten- nero da lui svergognati e scherniti non osando alcuno appressar le labbra a così fatto beverone , con tutto che ne bevesser gli strani avidamente. Di che accor- tosi egli nuova cagion ne trasse di bistrattare l' Ita- lia esaltando le forti e superbe bevande iperboree , tanto che a coloro convenne , se parer non voleano (i) Non creda alcuno che qui si voglia alludere alle poe- sìe d' un valente professore , il quale è da noi tenuto in grandissima stima e rispetto. Ben altro si fu lo scopo dell' Autore dì questa novella. ( Gli Edit. ) 349 « scKizzinosi e increali , assaggiarne così un pochetio w a fior di labbro con un triemito e aggrottar di ci- « glia che parean contraffare gli spiritati o aver dato « di morso in nespola acerba. E sentendosi poscia gor- re gogliar le budella , e un cupo ruttare da non finirla « giammai , quale con una scusa e quale con altra ac- ce comniiatatisi la più parte s' andarono tutti sudati colla ce bocca piena d' amarezza alle case loro non senza so- cc spetto d' aver ingollato alcun farmaco attoscato , bron- cc tolando e mordendo fieramente le strane fantasie di ce Messer Strafalcioni. Alcuni de' più stretti parenti del ce quale essendo allora soli con lui rimasi , il comiu- ce ciarono frntellevolmente ad avvertire com' egli andas- ce se nelle opinion sue troppo lungi dal vero , ma clie ce ben ancora era degno di scusa siccome novo quasi ce affatto del buono e del bello d' Italia , alla quale ce dovrebb' egli recarsi a somma gloria essere in grem- cc bo ; che però tra breve andrebbesi a poco a poco ce dispogliando degli usi oltramontani solo che frequen- cc tasse la compagnia e i gentili modi di que' valentuo- ce mini venuti testé a visitarlo , e conosciuti per fama ce iti ogni luogo ove sia in pregio la virtù e gli ornati ce costumi. Quanto ai liquori , de' quali erasi per lui ce pur ora ragionato, che assai di leggieri potea trarsi ce d'inganno gustando del vin di Gonzoli; e eh' egli ce n' avea di più qualità avuto ia dono da M. Giocondo ce de' Buoninsegni e da alcuni amici di questo , de' ce quali egli non arebbe trovato in tutto Gonzoli né i ce più cortesi ed amabili cittadini , la fama de' quali e ce de' lor vini era anche di là da' monti meritamente ce diffusa. E parte che così andava dicendo tornò un «e suo servo con alcuni fiaschi , per cui lo aveva cela- le tamente mandato, e del più ghiotto arrubinandone « un bel bicchiere , entro cui traspariva come perla : ce saggiate un po' di questo , gli disse , Messer Pietro , ce e poi mei saprete dir voi se questi son vin da cri- te stiani. Alcuni han voluto dire , che cotesto Messer ce Piero fosse abstemio , perciocché nessuno il vide mal « ai banchetti ber altro che acque medicate o liquori 35o et sconosciati alla nostra gente ; ma io so di buon loco, « eh' egli allor ne bevette , ma non vi si seppe accon- te ciare se non dapoichò tutti , fino a' suoi compagni « Lapponi n' ebber gustato , e lodatolo senza fine, e « poi cioncato e ricioncato tanto da veder notte in- « nanzi sera, E prima ancora di fiutarlo non che di a berne , si mise con altro nuovo parlamento a soste- « nere , essere impossibile che buono cotal viu fosse , e « che '1 Buoninsegni e gli amici suoi per questo il fa- « ceano tener buono alla gente, perchè sei lodavano ce a dismisura vicendevolmente 1' un l'altro. E che ciò « sia vero , segui a dire , ve ne sarà or ora irrefraga- « bil testimonio il mio palato , che in fatto di bevande « 1' è infallibile. Quindi dato di piglio al bicchiere , « ne tirò così un mezzo sorso come di fuga , e non « avealo per anco mandato giù , che ricominciò a gri- « dare all' impazzata che quel vin era pure la mala « cosa, lui essersi troppo bene apposto, e che ben « sciocco era chi buon dicea quel vino; e fattasi tosto « da un donzello recare la birra ingollonne un buon « vaso in men che noi dissi , aggiungendo che senza « quest' antidoto egli saria senza fallo andato del cor- ee pò (2). Il parente di Fallalbello , che venire avea et fatto quel vino, veggendo tanta iniquità, né volendo ee per quel primo giorno venire in aperta rottura con et costui , cosi riprese a dire : 1' essere questo vino as- ce sai dolce , Messer Pietro , puote aver fatta parere l'una ce cosa per 1' altra al palato vostro non per anco avvez- ct zo alla clemenza del suolo italiano. Ma ne tengo io ce di più mene , 1' uno migliore dell' altro , che il Buo- tc ninsegni me ne presentò del bianco e del vermiglio , ce dello smaccato , del razzente , e di quel altro più vi ee vogliate immaginare : che alla fé d' Iddio non si tro- te va da per tutto chi più di lui e degli amici suoi se (2) La frase andar del corpo ha due sensi , il moderno a tutti noto , e l' antico , in cui significa uscir di vita. L' autore di questa novella convien dire che non sia tanto moderno , parendo che qui intender si debba in quest' ul- timo significato, ( Gli Edit. ) 35i « ne conosca , e meglio sappia farne rispondere a' no- ti stri terreni , che è proprio un onore del nostro paese. « E quel che vi dico lo sei sa e sei vede ogni nato « uomo che abbia palato in bocca , e da quanti inten- « denti m' è mai incontrato di vedere e di udire ho « sempre e dovunque sentito dire quel che dicovi io « a voi. Et io vi ridico, soggiimse allora lo Strafalcioni ce tutto incollorito e tronfio , che non si può di simi- cc gliante vin bevere senza noia , né credere che altro ce sia da quel che ne sente il mio palato , eh' è trop- ee pò buon giudice in queste materie del vino j che Id- ee dio dea la mala pasqua e al Buouinsegni e al vino e ee a chi piace : che vorrei che fusse presente colui , che ee gli vorrei mostrare eh' egli è una bestia egli e' suoi ee amici e '1 suo vino. E sì io il farò bea vedere e toccar ee con mano ad ogni persona che passi da casa mia , se ce non mi vengon meno tutto ad un tratto nella canova «e mia qne' miei benedetti liquori boreali , che sono una te beatitudine. Ma di grazia , Messer Bonamico ( che cosi « avea nome quel suo dabben parente ) vedete voi ee stesso s' egli non è ver quel eh' io vi pur dico , che ee la birra vince d' immenso tratto ogni vino non che il ee cattivo del Buoninsegni : tenete questa tazza, eh' io vi ce colmo, beete, e ditelmi voi alla line. Bonamico , che ee prudente e discreta persona era , comechè a suo mal- ec grado , ne bebbe alquanto , e sazio omai fino alla gola ee della oltracotanza e stoltizia di costui , sentendo ee allora sonar nona, per ispiccarsene un tratto disse ee di dovere andare testé ad uno amico, che avea- ee gli posta 1' ora , e che del resto sarebbesi più como- ce damente ragionato altra volta , e scese più che di ec trotto le scale mezzo disseccato dal gran calor della ce stanza segnandosi e botandosi a Dio di non aver più ée mai che fare con un capocchio di quella generazlo- ee ne. Ma lo Strafalcioni più fermo 1' un di che 1' altro e« nella sua folle openione , e ognor più ardente in vil- ee laneggiare e lacerare il Buoninsegni , gV interveniva ec spessissimo di dover andare fuor de' gangheri, per- « cicche da altri semplicemente , da altri per istrazio 35a « suo gli veniva lutlo di zufolalo agli orecchi del va- te lore e de' vini di quel valentuomo j tanto che FhI- c< lalbello era sempre in favola anche fuori di Gonzoli. « Et egli a tutti quanti che ne potea chiappare , facea ce far il saggio delia sua birra , e dire come migliore ce d' ogni vin fosse , che era proprio un trastullo a tro- cc varvisi. Se non che dalla madia della natura nou ce escono gli uomini tutti d' una medesima pasta , e la ce fortuna spesso si prende giuoco di chi che sia. E nel ce vero non andò molto , che passò un sabato sera lun- tc go la via signoreggiata dal palagio dello Strafalcioni, ce un mulattiere di Radicòccole ( della qual terra po- ce tele anche di qui scorgere quel lorracchione ) , ed ec era da tutti chiamato il Vinciguerra , di un naturale ce permaloso oltra misura e collerico , e che in tracan- ce nare il miglior vin che fosse riponea legge e profeti , ce e delle cinque volte le sei le mule sue si tornavano ec di per sé a casa più a buon' otta del padron loro, ce Ora allo Strafalcioni , che secondo suo stile alla li- ce nestra si stava appostando , venne posto l' occhio so- ce Yra costui , e volendo fargli fare il saggio come agli ce altri , sei fé' venire davanti, e dissegli : perciochè mi ce sembri persona molto da ciò , i' vo' che tu mi dia ce il tuo giudizio sulla bontà d' un ottimo liquore , eh' ce io ti darò , e po' mi saprai dire s' e' non si lascia ce addietro qualunque più superbo vino che t' abbi mai ce beuto. E colui , che già bene avvinazzato usciva al- ce lora allora dall' osteria della Quercia cantando com' ce una calandra , credendo di dovere indolciarsi in uà ce qualche pozzo d' ambrosia; messer sì, rispose, il ce il farò ben io , e vi potrò servir meglio che persona, ce E intento senza troppo badare alla bevanda che porta ce gli venia , ne tirò un fiato maestro da pari suo , e ce ingoiarne la metà , battere in terra il liicchicre , e ce menare a due mani il mazzafrusto , che s' avea tratto ce da cintola , su per lo capo e per le schiene di Fal- ce lalbello fu tultuno , dicendo : morto sie tu a ghiado , ce bagaglione , 1' hai errata per dio. Tu ti dai forse ad ce intender eh' i' sia uomo da uccellare io , gaglioffo , eh ! 353 « Ma prima clie mi ti levi dalle branche , caverotti ben lo te il ruzzo di capo , caii rinegato, A me lisciva per vino , te malan che Dio ti dia , ? Ti concerò io pel di della « festa, . . E dagli e ridagli senza ristare , e intanto aveagli « per si fiera guisa ricerco ogni costola ed ogni osso , " che allo Strafalcioni non rimase capello che ben gli « volesse. Volea gridare costui, ma l'altro non gli da- te va uè tempo nò luogo né respiro aggirandolo furio- se samente per lo spazzo, e alcuno de' servi che pri- cc mo accorse iu soccorso del padrone toccò parecchie ce tentennate delle buone , e l' era spacciata per Fallai- « bello quella sera , se fatto drappello di tutti i dome- cc stici noi cacciavano colle spade alla mano. DI che « parendo al Vinciguerra d' avergli mostro in buondato ce cliente la sua birra fosse , scese ancor egli quelle ce scale sudando d' altro che di ciò onde sudarono già ce gli altri che facean visita a Messer Piero , e cosi rag- ce giungendo le inule sue si tornò difilato a Radiccòc- ce cole raccontando poi a quanti ne incontrava il caso che ce gli era intervenuto. La qual cosa ben presto divulgata ce porse materia da ridere a tutto Gonzoli e alle con- ce finantl contrade, dicendo ognuno, e piìi Bonamico, ce che di troppo santa ragione avea lo Strafalcioni alla ce fin trovato quel che da buona pezza era andato cer- ee cando. »» 354 L'ANANAS SONETTO. Sì dolce odor nou da viole , o bei Seni di rose aura lo porta altrui , Questo , vago Ananas , uno è de' tui Respiri , a dirne che maturo sei. Perchè col tardo ingegno io non potei Il bel lavor scoprir de' succhii sui ? Come sapore, non s'agguagli a lui O d' arabi profumi , o favi iblei. Deh chi per mezzo il fende , e fa che cada La desiata pioggia entro il mio petto , E possa io dir se è nettare, o rugiada. Ma faccia presto , perchè il tempo fura Quel caro spiritel , quel succhio eletto , E dolcezza mortai passa , e non dura. IL RIBES , ED I LAMPONI biglietto ad un mimico. la gentil dono t' invio , Tu che vate , e amico mio Sei fra i primi , e i più diletti , Certi vaghi grappolelti , Che parrannoti un lavoro Di granelli tutti d' oro : E di questi metto al fianco Altro frutto rosso e bianco , Che sebben fra boschi nato , Sulle mense giunge grato. Ma non sai che chiuda in se Il bel don che viene a te. Se dell' uno e l' altro frutto Comporrai tu un misto e un tutto. Tal si fa cambio fra quelli Di profumi e spiritelli , 355 Che lì punge eoa diletto Ogni più soltil nervetto ; E tu senti intanto il fiore D' ogni odor , d' ogni sapore ; Ne puoi trarre quindi un vino Odoroso e di rubino : Ed ascolta, amico, ascolta j Se natura anco talvolta Gentilmente sa impazzire , N' avrai anche 1' elisire. IL CACAO E LA VAINIGLIA SONETTO (l) . Un caro don , che i spirti ne conforte , Dicea 1' alma natura , all' uom degg' io } E un alber sorga , quindi proferio , Che di pingue medulla il frutto porte. A questo frutto Io poi farò consorte Un aromo , un profumo , un foco mio , Che rivestendo dell' ardor natio , Nuovo vezzo , e vigor nuovo v' apporte. Misto insieme cosi , ciò die aspro e grave Era dapprima , cangerà sembianza , E un che ne fia di morbido e soave. Quindi con un gentil nodo d' amore , Si farà questo una vital sostanza , E questo quiaci ne sarà il bel fiore. (i) Il P. Eulalio nel suo poema didascalico delle Cose Botaniche , laddove tratta delle piante esotiche , cosi cantò il medesimo soggetto : Hic ( in America ) et Mexiaci pallia quem voce Cacaum Agricolae dixere , frutcx lectissimus exit In peponum faciem fructu pendente beatus , linde laboratum medicala in pocula nectar , Divinum inventum , socio quem gennine concors Luxurians slliquis vaginula stipai odoris. Lib. 3. Botarne. E il P. Tommaso Strozzi compose uu intero poema pure latino de opificio Coccolatis. 356 LA CANNELLA MADRIGALE. Se alcuna volta 1' anima smarrita Sembra che m' abbandona , Un po' di scorza di Ceylan vi pone La natura sul labbro , e mi dà vita. Al primo verdeggiar clie fece Aprile Tolta al tronco gentile Ella si cocque al sole , e fuori espose Le fibrette odorose. S' abbian farmaclii pur contro il veleno Ippocrate e Galeno ', Con tanto filosofico concetto Tal d' inquieti umori Mi destano tumulti entro e di fuori , Come se l'^Etna mi bollisse in petto : Ma questa dolce giunge , Fibra o nervo non punge ; Anzi gustata appena Gli spirti ti ri mena , Ed il volto ti fa lieto e fiorito D' un vezzo porporin eh' era smarrito. IL MELE ANACREONTICA. Bell' Ape susurrante , Posa qui 1' ali d' or , Chiuso è il loco e spirante D' ogni più dolce odor j Qui fra muscose rive Un puro lago sta , Che di pietruzze vive Bel ponticel ti fa. Vedrai casia e serpillo Mescere bei respir , E in mezzo a lor tranquillo Un ruscello fuggir. Ma dolce a' miei desiri Tu già voli dal ciel , Bell' Ape , e già t' aggiri In mezzo a questo stel. Dì , chi ti pose in core Un senso si gentil , Ch' ogni men puro odore Ti giunga ingrato e vii ? Dì , come freschi e puri Lasci i ridenti fior , Mentre tu parte furi De' bei profumi lor ? Non ti sdegnar ; dì ancora , Cosa nella fedel Celletta si lavora Quando distendi il mei. Ma tu , beli' Ape , intorno Lieta susurri a me ; Tu voli , e fai ritorno , E non sai dir perchè. Ah ! non sai tu che cura Tutta celeste è il mei ? Che gelosa è natura D' un tesor cosi bel ; Che più gentil fibrette Dispose ella al lavor ; Che da sostanze elette Ne stilla i puri umor. Ah ! non sai tu nemmeno Perch' ella cnnseuli , Che ti lavori in seno Un don puro cosi. Perchè schiva e rubella A ogni vezzo d' amor , Beli' Ape verginella , Tu vivi in mezzo ai fior. 24 358 " IL FUNGO SONETTO. O lo rechi dal sea atesso di Giove Candida pioggia , o sia dal suol nudrlto , Nasce il bel Fungo appena si rinnove Col lieto maggio il bel tempo fiorito. Natura allor che lo feconda e move , Par che mostri un piacer non pria sentito : E '1 liscia , e '1 ritondeggia in così nove Guise , che gli esca un cappellin tornito. Quando dal natio cespo ei spunta fuore , Un pargoletto sembra che sorrida , Un pargoletto che ti chieda amore. Però non è come beltà fallace , Che spesso ha dolci vezzi , ed alma infida ; Ei tanto giova , quanto alletta e piace. IL TARTUFO ANACREONTICA. Ciò che r uom Tartufo appella , E una vaga pianticella , Che si chiude in seno tutto Il suo germe , ed il suo frutto. Da terren sabbioso e lieve Portò un bel manto di neve , Ch' allo svolger delle belle Bilicate particelle , Quasi marmo poi distinse E di vaghe striscie il pinse. Timorosa e gelosetta Che a scoprir giungesse auretta , Fomentò nel suolo ascosa La sostanza si odorosa , Onde fosse vezzo e sale D' ogni mensa geniale j 359 Finché giunto il caldo nipse , Che d'Augusto il nome prcje , Diede segno , e fece invito Che il lavoro era fornito. Ma 1' umano ardito ingegno , Che assai spesso passa il segno, Perchè 1' aere s' accende In agosto , e il fulinin scende , Chiamò 1' alma pianticella Figlia sol della procella. Oh in qiiai ciechi lahiriiifi Son gli umani ingegni spinti ! Dunque il turbine ed il tuono Ne faran sì caro dono ? Io piuttosto crederei A un gentil de' pensier miei , Che mi dice , che quel tuono E di gioia un dolce suono , Che quel lampo ò quasi stella , C) una placida fiammella , Che il natal delle più care Cose viene ad annunziare. MBi» Allorché r erudito Ciampi scrivea si fatte parole , non avea presti alla mano né il Foglietta , né Pietro d' Abano ; percioc- ché né 1' uno né 1' altro parlano di una spedizione alle Canarie , sì all' Indie rigirando intorno all' Africa j na- a5 374 \igazione che potrebbe sembrare incredibile , se non ne avessimo sicure testimonianze. Le parole del Foglietta si possono leggere nella storia del Tiraboschi ; quelle di Pietro d'Abano nella Storia Letteraria della Ligu- ria , voi. I. face. 3i3. Notisi intanto che invano si cer- cherebbe la dissert. 6y di Pietro d'Abano, citata dal Ciampi^ l'opera dell' Abanense è partita in differenze ^ non in dissertazioni. Vero è che il Tiraboschi cita il Foglietta e Pietro d' Abano a proposito delle Canarie ; ma non afferma che il Doria e il Vivaldi andassero in traccia di quell'isole; solamente giudica cosa molto ^ro- hahile , che i due navigatori suddetti , o altri loro con- cittadini , scoprissero sul finire del secolo XIII le isole Canarie, o Fortunate. La quai esattezza dello storico dell'italiana letteratura fu bene avvertita dallo Spotorno, i. cit. face. 3i4. « Il Petrarca ( continua a scrivere il Cav. Ciampi ) e ne parla chiaramente , esprimendosi così : eo ( ad in- f sulas Fortunatas ) et Palrum memoria Genuensium e armata classis penetravit , et nuper Clemens f^I illi e patriae principem dedit. La spedizione che dice fatta patrum memoria dovett' esser quella de' Genovesi t l'anno 1291; e giustamente il Petrarca nato nel i3o4 «^ la chiama fatta patrum memoria: le parole che se- guitano , nuper Clemens VI illi patriae principem « dedit , debbono molto probabilmente intendersi della « spedizione de' Fiorentini , Genovesi e Spagnuoli dell' e anno i34i j giacché appunto nel i344 Clemente VI r conferì la sovranità di quell' isole al Principe Luigi r di Spagna , «he non potè mai conseguirne il possesso. Il Tiraboschi non conobbe questa seconda spedizione ; e l' investitura data da Clemente VI la fondò sulla prima spedizione de' Genovesi ; ma piìi propriamente fu prodotta da questa del i34i' " La testimonianza del Petrarca , riferita dal Tiraboschi , onde la trasse il Ciampi, è chiarissima , e dimostra che la prima scoperta delle Canarie ( almeno dopo 1' oscu- rità de' secoli X e XI ) si debbe a' Genovesi , che ar- mato uno stuolo di navi peaetraron nelle isole dell' O- 375 ceano. Ma non è poi certo che si abbia a fissare all'anno i2C)i. A quest'anno ascrisse il Foglietta la navigazione del Doria e del Vivaldi ; ma , lasciamo che questi due navigatori non andavano a cercare le Fortunate , non è dubbio che il Foglietta errò nel computo , cora' è di- mostrato nella Storia Letteraria della Liguria , voi. 2. face. 3o6. Infatti , se Pietro scriveva il Conciliatore verso il i3o4, com'è opinione degli eruditi, toglien- done i quasi trenf anni , eh' egli dice essere scorsi dalla partenza de' Genovesi per l' Indie fino all' epoca in cui componeva il suo libro , noi ci troveremo al 1284 circa j io per altro inclino a fissar l'epoca di quella memorabile navigazione al 1281, come si trova scritto in margine di un documento genovese pubblicato dal eh. Graberg negli annali di Geografia e Statistica. Farmi eziandio che si possa dubitare se Papa Cle- mente VI prendesse motivo d' investire delle isole Ca- narie il Principe Luigi di Spagna dalla ricognizione che di esse si fece nel i34i , della quale or ora diremo. II Tiraboschl non poteva certamente aver notizia di un piccolo scritto che giaceva ignoto in un zibaldone della Magliabechiana ; ma se lo avesse conosciuto , forse non avrebbe mutato d' opinione. Perciocché la spedizione alle Canarie nel i34i, il cui racconto scopri il Ciampi nel citato zibaldone , partì di Lisbona per ordine ed a spese del Re di Portogallo. Or non sarebb' egli cosa de- gna di biasimo che nel i344 ^ Sommo Pontefice pren- desse motivo da una navigazione ordinata dal monarca portoghese nel i'ò\i, d'investire un Principe di Spagna delle isole riconosciute in quella spedizione ? Fondare l' investitura conceduta ad un Principe di Spagna sopra una discoperta eseguita a spese della Corona di Portogallo , non è cosa verisimile , spezialmente in tanta brevità di tempo. Laonde meglio sarà l' accostarsi alla opinione del Tiraboschi , e dire che la scoperta delle Canarie essendo avvenuta nel secolo XIII per opera de' Genovesi , i quali non vi lasciarono colonie , né pen- sarono di prenderne il possesso ; e le isole stesse essendo stale nuovamente, per così dire, scoperte nel i34i, ma 376 senza che il Portogallo pensasse a sottometterle al suo dominio ; ed avendo questa nuova ricognizione di quell' isole fatto voltare ad esse il pensiero degli Europei; Clemente VI ne investì il Principe Luigi, senza temere i rimproveri della Corte di Portogallo j stantechè avrebbe potuto rispondere a' ministri portoghesi , che la scoperta di quelle isole non essendo opera della loro nazione , bensi de' Genovesi, i quali più non pensavano alle Fortunate , poteva il Pontefice , senza ledere il dritto altrui , darne l' investitura ad un Principe di Spagna. Ma se Clemente si fosse dichiarato , che avendo i Por- toghesi ultimamente riaperto a spese della Corona la navigazione alle Canarie , egli perciò concedeva queste isole ad un principe spagnuolo , avrebbe un si fatto ragionamento destato l' ira e l' invidia del popolo por- toghese , il quale non poteva udire ad animo pacato , che il frutto e l' onore delle sue fatiche tornasse a vantaggio degli Spagnuoli. Detto avendo quanto si è creduto necessario a ri- schiarare i fatti confusi dal Cav. Ciampi , non per man- canza di erudizione , che egli ne può essere maestro a molti , ma per non avere pensato a consultare alcuni libri che discorrono della Canaria , parliamo brevemente della relazione , che il sig. Ciampi trasse dal Zibaldo- ne di Messer Giovanni. I mercanti fiorentini di Sivi- glia con lettera de' i5 novembre i34i scrissero a Fi- renze d'una navigazione alle Canarie fatta quell'anno medesimo. Da questa lettera è tratta la narrazione scoperta dal Ciampi. Dicono adunque i negozianti di Siviglia , che il Re di Portogallo avendo fatto for- nire ed armare due navi ed una navicella , montarono sopra di esse uopiiui fiorentini , genovesi e spagnuoli ; i quali salpando da Lisbona nel mese di luglio dell* anno predetto, ed avuto prospero il vento, in cinque giorni arrivarono alle isole che si chiamavano volgar- mente trovate — ad eas insulas , quas vulgo repertas dicimus — ; e dopo d' avere visitato , o veduto , di- ciotto o venti di quell'isole, se ne tornarono in Por- togallo , non bene soddisfatti di lor navigazione , per- 377 ciocché ne trassero a mala pena eli che pagare le spese. Qui verrebbe in acconcio di cercare , qual fosse il condottiere di quelle navi , e il capitano della spedi- zione. Il Ciampi nella tavola delle materie ha queste parole : ce Navigazione de Fiorentini alla Canaria e ad ce altre isole oceaniche l'anno i34i.« Con questo tratto brevissimo di penna la gloria di quella esplorazione è trasferita ne' fiorentini-, i quali n' ebbero la parte minore. Ed invero , l' ordine e 1' armamento si fece dal Re di Portogallo — a rege Portogalli — : Se vi fu- rono de' fiorentini , è certo che vi si trovarono geno- vesi, e spagnuoll, e naturalmente de' portoghesi ezian- dio; — homines florenlinorum , januensium et hispa- norum castrensium ( di Castiglia ) , et aliorum hispa- norum ( di Portogallo. ) — Io penso che il comando delle armi lo avesse un Portoghese : della navigazione Nicoloso da Recco genovese j e che Angelino del Teg- ghia de' Corbizzi , fiorentino , di cui non pai*la il do- cumento , ma se ne legge il nome nel margine del Zi- baldone , vi fosse come agente de' negozianti fiorentini , i quali probabilmente erano concorsi alle spese di quella navigazione guerresca e mercantile. La prova di quel eh' io dico , trovasi nel documento stesso pubblicato dal Ciampi. Quanto in esso si racconta della lontananza delle isole da Lisbona , de' lor pro- dotti, abitatori ec. , tutto si ebbe dal genovese : « Nico- « losus de Recco januensis alter ex ducibus navium, « illarum , rogatus agebat etc. w Conchiudesi : « Ce- re terum et multas alias res invenere, quas hic Nico- « losus noluit recitare. » Come dunque si dà il titolo di navigazione de' fiorentini ad una spedizione, di cui tanto seppero i fiorentini , senza più , quanto loro ne disse il nostro Nicoloso ? Ma io debbo qui rivelare una particolarità , che può giovare alle intenzioni del Cav. Ciampi. Suo principale intendimento fu , pubblicando questi monumenti , di mostrare che il Zibaldone appartenne al Boccaccio, il quale compilato lo aveva ad uso de' suoi studj , che non furon tutti di novelle né di romanzi. Or io afFeimo , 378 eh' egli trascrisse volgarmente la contenenza del mo- numento del Zibaldone ne' suoi comenti alla Comme- dia di Dante: ecco le parole di Messer Giovanni , già pubblicate nella Stor. Letter. della Liguria , voi. 2. face. 297 : « Quelli popoli li quali abitano le isole ri- « trovate (i) gente, si può dire, del circuito della ler- « ra , e nella quale né loquela (2), né arte (3), né co- tt stume alcuno (4) è conforme a quelli di coloro li « quali civilmente vivono , di palme ( delle quali (5) « abbdbdanti sono ) non so s' io dica tessute o anno- « date più tosto , fanno ostacoli , co' quali quelle parti te nascondono (6). « Raccogliendo in uno quanto abbiam detto qui sopra, vedesi chiaramente , che ai navigatori genovesi del sec. XIII dobbiamo e la scoperta delle Canarie , e la ma- ravigliosa navigazione lungo 1' Africa per trovar l' Indie , e che Nicoloso da Recco nel sec. XIV fu il principal personaggio della esplorazione più diligente di quell' isola ; cosicché può dirsene un secondo scopritore. Delle quali isole avrebbe trovato esatte notizie il dotto Cav. Ciampi nella Storia della Ligustica letteratura , se avesse pensato a consultare questo lavoro. (1) Ad eas insulas , quas vulgo Repertas dicimus. (a) Non inlelligentes aliquo modo illorum linguam,. .. Eas ( insulas ) dicunt idiomatibus adeo inter se esse diver- sas ut invicem nullo modo intelligantur, (3) Nullis ( dicunt ) navigium aut aliud instrumentum ^^esse , per quod possint de una insula ad alias pertransire. . . Nu- mismata eis incognita. Monilia aurea , vasa caelata , enses , gladii estensi eis , non apparet ut viderint unquam. (4) Abundantem ( la Canaria grande ) nudis hominibus et mulieribus , asperis cultu et litu. .. . Frumentura autem et segetes aut more avium comedunt , aut farinam conficiunt, quam et absque panis confectione aliqua manducant nudis pedibus incedentes. (5) Videntes ibidem casas plurimas , ficus , et arbores et palmas, ^6) Cingunt autem lumbos corda , ex qua fila pendent pal- Éiac , seu juncorum , in multitudine grandi , longitudine palmi unius cum dimidio , seu duorum ad plus : iis quidem tegurit pubem omncm et obscoena ex anteriori ac posteriori parte. 79 Storia della Letteratura antica e moderna di Federico de Schlegel: traduzione dal Tede- sco di Francesco JmbroSOLI. Milano , Stam- peria de' Classici ital. 1828, voi. 2 in 12. « -lo ho in animo , dice il eh. Autore , di abbozzare « un quadro non solo della letteratura alemanna , ma c« sibbene di tutta 1' Europa. » Al nobil disegno fanno contrasto le censure , o più tosto le querele , di coloro che protestano svenevolmente di perdere la pazienza , ove s' avvengano , leggendo un libro di storia lettera- ria, in alcun articolo critico o filosofico j ovvero , come parla il sig. Schlegel nella traduzione dell' Ambrosoli , di coloro i quali pretendono che « il tutto si componga in un quadro agevole a percepirsi, m Avvi un' altra dif- ficoltà : parlandosi sto ricamente della letteratura , egli è impossibile di evitare tutte le particolarità e le mi- nutezze , se anche la storia di tutti i letterati che fu- rono , si chiudesse in picciol volume : « dovendo com- « porre e fondare la mia opera ( dice il n. Aut. ) « sulla storia il più che per me si possa , mi troverò « nella necessità di discendere ad alcune particolarità , « le quali potranno forse parere frivole e di poca im- « portanza a coloro che non si applicano esclusiva- cc mente alle lettere. » E che parranno si fatte parti- colarità a que' giovani , che per nulla si applicano alle lettere , e ne voglion dar sentenze (i) ? Ogni nazione ha una letteratura sua propria , che nasce dalle qualità della lingua , dalle antiche tradi- zioni nazionali , e dalla religiosa credenza. Allorché il gusto diventa imitativo straniero e non punto nazio- (i) Chi scrive queslo articolo non dev' ommettere di far osservare che Ira' bei pregj di quesl' opera dello Schlegel , è pur quello importantissimo di un sommo rispetto , anzi amore , per la Religione di Cristo. 38o naie , scrive 11 nostro Autore , esso è un gusto insd- vatichito. Ed a cotal selvatichezza ci vorrebber con- durre i Romantici , i quali pretendono che per noi sien ricopiate le fantasie , e le locuzioni degli Scozzesi e degli Americani. « La negligenza della lingua na- « tlva ( continua lo Storico ) non può mai eccitare « una favorevole opinione né sulla qualità , né sulla « universalità della educazione o della dottrina di chi ce vi si abbandona. » Epperò quand' io leggo negli scritti di taluno , che si fa giudice di cose letterarie , quelle gentilissime e toscanlssime frasi — articolo assai ragionato , lodi abusate ; essere inspirato dalla coscien- za j le proporzioni colossali che mal s' accordano col loro risultato ; abbondanza sterile ; la Musa che offre il più puro incenso all' Estetica ( Avola di Giove ) j romper guerra con accuse irresistibili j echeggiare eja- culazioni d' ammirazione ; ricambiare 1' ospitalità colle inspirazioni ; il valore delle lettere nei rapporti ec. ec. — che altro far potrei se non se piangere la sorte in- felice della nostra contrada , ove assai volte si vede scender nell' arena della letteratura , ( per usare le trop- pe vere parole di un Anonimo nell' Indicatore ") , lo scritLorello vanaglorioso , il sofista , non V utile cit- tadino , non V autore modesto ? Le antiche tradlzloai nazionali sono argomento pre- clarlssimo alle lettere, e specialmente alla Poesia. Il n. Aut. per questa ragione vuol preporre il Gamoens al Tasso , ed all' Ariosto eziandio. E sarebbe cosa uti- lissima che nelle Accademie sì facessero argomento de' versi le onorate memorie della religiosa pietà , delle opere segnalate degli Avi, come ancora de' Sovrani che nelle' arti di pace e di guerra lasciarono di se non manchevole grido. E se altri desse mala voce a sì no- bll lavoro , e ne svillaneggiasse gli Autori col nuovo titolo di spiriti retrogradi f sarebbe d'avergliene gran- dissima compassione. Da ultimo, la religiosa credenza concorre a dar gran- dezza , maestà e vigor sempre nuovo alla letteratura dì ogni nazione. I Treni di Geremia saranno mal sem- 38 1 pre composizioni recenti a' nipoti cV Abramo , che veggono sedere in tristezza Gerosolima ; sperso il po- polo , perduti i Sacerdoti j cosicché leggendo la pittura dell' età di quel Profeta , possono dire di aver sotto degli occhi la condizion loro infelice de' giorni presen- ti. Fino a che fia in onore ( e quando potrà non es- serlo ? ) il Sepolcro di Cristo , si loderà il Goffredo del Tasso. I Fénélon e i Bossuet trassero dalla reli- gione quella grandezza , che apparisce ne' loro libri , e si cerca vanamente in altri scrittori francesi. Indicati i principi saviamente posti dell' Aut. , sarebbe forse nostro dovere , accennare brevemente il conte- nuto dell' Opera , analizzandola capo per capo : ma trat- tandosi di un compendio che 1' antica letteratura e la moderna vuol chiudere in due tometti , già vede chi che sia , che saremmo nella necessità di ricopiarla per disteso nel nostro giornale. Né ciò sarebbe assai a molti de' nostri lettori , attesoché il gergo filosoGco , del quale fa pompa il sig. Schlegel , espresso colle forme de' mo- derni tedeschi , avrebbe mestieri di annotazioni , e schia- rimenti. Si appaghino dunque i nostri Lettori di alcuni cenni, che verranno a far fede de' pregj del libro, e della lode che ne dee venire al eh. Autore. Questa istoria è singolare affatto, almen nell' Italia j e tra' libri da noi conosciuti , non ci avvenne di rav- visarne la somiglianza, se non se nell' operetta di M. Barante, annunziata nell'anno i." di questo Giornale. Della qual somiglianza pochi son pure i tratti ; e può essere che al Francese fosse già noto il lavoro del let- terato tedesco. Diciam singolare , perché considera le cagioni che fecer fiorire le lettere e gli effetti di que- ste sopra la vita reale ( pag. 2 , voi. i ) e sopra il destino delle JYazioni , più tosto che I letterati e gli artefici delle opere leggiadre. L' antica letteratura de' greci , romani ed ebrei è descritta dal n. Aut. nelle prime quattro lezioni. Nella quinta si ragiona della letteratura indiana. Di questa diremo alcuna cosa , e perché men nota in Italia , e perchè si conosca non esser cosa da chi che sia il tener 382 discorso della coltura degl' Indi. Innanzi tutto , niuno si lasci ingannare dalla pretesa antichità remotissima della letteratura di quella contrada. « La favolosa cro- « nologia de' Bramini fa parte anch' ella della loro « letteratura , di cui ascrivono le opere più antiche a « persone intieramente favolose , e danno loro un' an- " tichità affatto immaginaria Fra tutte le opere " ( degl' Indiani ) conosciute ( dice lo Schlegel ) il « Codice di Menù porta seco i contrassegni di una « più grande antichità , e di una autenticità superio- « re ad ogni dubbio. Jones , il più grande orientalista « del secolo XVIII. e il più grande erudito che 1' h\- f ghilterra abbia mai prodotto , in conseguen). E veramente se gì' Indiani potevan conoscere nelle antichissime età 12 segui, perchè ciò sarebbe stato impossibile agli Egizj ? Cosi diceva un difensore del Dupuis. Ma si ascolti il eh. Schlegel : « Perchè i te Bramini attribuiscono una favolosa antichità a tutte « le opere che entrano nella loro mitologia e nel loro « sistema , si rende tanto più necessario di procedere « con accurata investigazione e con severa critica. In (2) Ved. quello che ne dice il P. Spotorno nella Introd. al Zodiaco di Dendera illustrato ; e la Disserl. di Mous. Testa. 383 te molle opere indiane trovansi parecc'hìe volte nomi- ct nati Alessandro e Sandrocotto , che signoreggiò dopo « di Poro nell' Indie : e da ciò solo viene determinata et la loro antichità. In alcune altre s' incontrano dei tt passi che si riferiscono già ai primi tempi maomet- « tani. Ma non vuoisi però neppur qui dedurre veru- « na conchiusione intorno a tutta l' opera od alla sua tt autenticità , da qualche particolare passaggio , che te potrebb' essere una particolare interpolazione. ... Se tt le opere indiane furono meno cambiate e meno ren- tt dute incerte della verbale traduzione di quel che «t fossero le opere greche, dovettero per lo contrario te avere sofferto assai più dalle falsificazioni introdottevi tt a bello studio. » E di grandissima importanza 1' avere imparato e il ritenere questi due punti ; che gì' indiani non possono mostrar con certezza libro alcuno che sia antico quanto Omero ; e in molti de' lor libri essersi introdotte a heUo studio delle interpolazioni. Ora ve- diamo quali sieno i principali libri indiani ricordati dal nostro Isterico. I. Il Rama o Ramajan , poema eroico, tt Celebra tt quel Eama , che debbe aver conquistata la parte me- te ridionale della penisola abitata dai selvaggi , non che <^ti V isola di Ceylan. Rama è 1' eroe favorito della na- te zione. . . . Questo poema di Rama , qual egli sussiste tt ancora , a giudicarne da alcuni frammenti a me noti , tt parmi che sia un' opera di sublime bellezza ; e tien tt forse il mezzo fra 1' omerica semplicità , e chiarezza tt di rappresentazione , e quella pienezza di fantasia te che distingue dall' altre la poesia persiana, jj II. te II secondo poema epico degl'Indiani che ab- ct braccia tutta intiera la mitologia , e s' intitola Ma- tt habliarat , canta la lotta universale che armò gli et uni contro degli altri gli Eroi , 11 Dei e i Giganti. » III. Codice di Menù , tradotto in inglese da Gugliel- mo Jones. IV. La Sahnntala , poesia di Kalidas , tradotta quasi letteralmente dal citato Jones , il quale pensa che Ka- lidas fosse contemporaneo di Virgilio. 38 i V. Gita Govinda , poesia pastorale , o ditirambica , di cui Jones diede un compendio, od imitazione ia inglese. VI. Hitopedesa. Ne abbiamo parlato distintamente nel fase. . . . anno 1827. VII. I Puranas , specie di leggende mitologiche. Una sola di esse , detta Bagavadam , è stata tradotta finora , dice lo Schlegel , senza indicare da chi , e in qual idioma. Vili. Baghavat-gita « poema didascalico tradotto da « W^ilkin. Ksso contiene il nuovo sistema della dottrina « Indiana. E un episodio del Mahabharat , ma è tutto ce filosofla. Egli è notabile che le divinità in questo li- « bro esaltate e poste in pregio sopra l' altre , sono in ce parte affatto sconosciute all' antico codice di Menù , ce o non ricevono in quello un luogo così elevato come ce ne' libri posteriori, m IX. Prabodh Chadrodnja ( il sorgere della Luna del- la scienza ) commedia filosofica. Riguardo alla misera servitù che la divisione del popolo in caste , separate da ostacoli insormontabili , ha introdotta e stabilita nelle Indie, ecco alcune parole del nostro Schlegel, ce II Cristianesimo ha proclamato ce sempre e predicato il principio , che gli uomini sono ce eguali dinanzi a Dio j principio che meglio d'ogni ce altro stabilisce una nobile libertà di sentimenti. Ma ce se invece quello che è dovuto soltanto ad una inter- cc na vocazione , quello che non può essere se non un ce dono del cielo ec. , si attribuisce e si appropria ad ce una determinata casta , come ereditario privilegio , ce ben può vedersi quale incomportabile orgoglio da un ce lato , e qual avvilimento dall' altro debban esserne ce conseguenza, m Ed altrove alle caste inferiori dà nomi di caste senili. Non è nostra intenzione di seguitare i passi dello Schlegel , che troppo vi vorrebbe , e noi siamo stretti ne' limiti di una novella letteraria 5 ma trascriveremo alcuni de' suoi pensieri intorno agli scrittori del secolo XVIII , e del nostro. 385 « La poesia di Gualtiero Scott non vive che nella ricor- te danza del tempo antico e della antica Scozia , e non è « che un' Eco della non più esistente poesia di quei « tempo; o se si vuole, non è che un musaico. . . La poesia " del Byron non ha nascimento dalla ricordanza o dalla « speranza j ma erompe dalla profondità della tragica « ispirazione , e dalla maniera di considerare il mondo « sua propria , ateistica , e priva d' ogni consolazione. . . « nel combattimento della incredulità e della dispera- « zione. ... La moderna poesia non può scaturire da « questo oscuro vortice. . . Scott e Byron , presi insie- « me , come la poesia della ricordanza e la poesia della « disperazione , formano piuttosto I' ultimo termine di « una poesia già esistita , perduta o decaduta intera- « mente , che il principio d' una nuova , il quale al- « meno finora non vi si ravvisa. « « Se in Italia nulla di nuovo venne prodotto nell' « alta poesia , che raggiungesse le opere antiche , il « teatro almeno sviluppossi più variatamente. Nel Me- « tastasio , nel Goldoni , nel Gozzi , nell' Alfieri , si « mostrano affatto isolatamente tutti questi elementi di « un dramma poetico , che anche presso dei Tedeschi, « per lo pili però in una strana mescolanza riempiono « la scena. Nel Metastasio troviamo la somma bellezza « della lingua; nel Goldoni la vita usuale, ma trattata « leggermente e piacevolmente. . . . Nelle fantastiche no- ti velie popolari del Gozzi ( le Fiabe ), ne' suoi com- « ponimenti magici e spettacolosi ravvisiamo una \e- « ramente poetica forza d' invenzione. . . • nell' Alfieri « finalmente scorgiamo uno sforzo verso 1' antica su- « blimità. » 386 Esposizione deW Accademia Ligustica di Belle Arti. S e nel dar ragguaglio dell esposizione di un' accademia di be]/o arti piuttosto si dovessero aver in mira le opere prodotte dagli estranei , che non gli studj in cpiel- la corapiuti , noi al tutto taceremmo quanto slamo per dire , perchè nella presente tenghiamo che la più importante parte avessero le fatture dei giovani alunni. Ma noi stimiamo , che in tali occasioni lo scopo prin- cipale di un' accademia quello debba essere di far vedere r ordine del suo ammaestramento , e gli avanzamenti che ne derivano. Però , diciamo questa esposizione principalissl- ma fra le altre , perchè , e nella copia , e nella bontà dei lavori dei giovani , dimostrò quanto ne sia migliorato 1' insegnamento, al quale han corrisposto i profitti. E questi sono i fondamenti sul quali riposa la futura glo- ria delle arti fra di noi , per cui ci è dato travedere un' epoca non lontana , in cui raccoglieremo più copiosi e maturi i frutti di questi studj nelle opere che i giovani artisti , scorti da ottime pratiche , e da sani precetti , sa- ranno in grado di produrre , le quali non potranno non esser degne della loro istituzione a un tempo , e della nostra espeltazlone. Intanto diremo come 1' opportunità delle copie, che 1 concorrenti al premio nella classe di pittura , cavarono da uno del celebratissimi dipinti di Pie- rln del Vaga nella loggia Dorla , sia stata evidentissima , e come lo stile adoperato in tali cartoni abbia fatto mani- festo r ottimo metodo introdotto nel disegnare. Quivi so - no fermi i contorni , corrette e ben intese le estremità , dolce , ma insieme robusto il chiaroscuro , i lumi al loro luogo , e con intelligenza distribuiti , 1' esecuzione libera , senza che la facilità nulla tolga all'accuratezza e alla cor- rezione. Uno studio cosi fatto non può non riuscir al gio- vane sommamente profittevole: perchè quell' accostumar 1' occhio alle grandi proporzioni, oltreché lo rende esper- tissimo, ponendo in esso le seste, come si esprimeva Mi- 387 cìielangiolo convenirsi adi ogni artista , scioglie la mano , e facendola pronta e sicura , la rende ubbidiente al con- cetto della mente. E noi possiamo ascriverci a somma ven- tura il possedere negli stupendi freschi del palazzo Bo- ria non meno preziosi esempj di quelli , che olirono le logge Vaticane e le altre de' Ghigi, per cui lo studio- so di pittura non è costretto ad abbandonar la patria per virtìi e fama procacciare. Ma queste eccellenti pitture so- no ancora veri modelli del piìi schietto e vigoroso colo- re ; e però , crediamo che porgeranno materia ai giova- ni , che bramano avanzarsi nella pratica del colorire , di attenta e profittevole considerazione. Le proporzioni pure aumentate della copia proposta per il concorso di scultura , lian dato occasione ai modellatori di spiegare le belle forme , ed esprimere in cpialche modo la gran- diosità dello stile del celebre torso , avanzo il più su- blime a noi tramandato dalle arti greche , solo aggua- gliato , se non vinto , da alcuna delle immortali scul- ture di Fidia nel Partenone. E questo sistema dovrebbe venire adoperato eziandio quando trattisi di copiar figure intere , poiché non è possibile in piccole proporzioni , uè intendere , né adequatamente imitare la bellezza delle forme antiche, né osservare le relazioni che hanno fra esse, e che costituiscono i caratteri di eleganza o di ro- bustezza , di leggiadria o di gravità. E che sia questo il vero metodo da tenersi , lo diraosti-a abbastanza 1' essei'e stato rimesso in vigore dal genio che ricondusse a tempi no- stri la scultura e le arti tutte all' onore antico ; ed esser per lo contrario caduto in disuso ogni volta che si accostarono i tempi della decadenza di quelle. Nella classe di architettu- ra, fu certo savia la scelta del tema di concorso, riguardo specialmente ai belli e semplici particolari , alle pur- gate modinature , ed agli eleganti profili del palazzo già Grillo , che dal giovane De-Lvicchi vennero misurate e tradotte fedelmente , con molto garbo e pulizia di linee. Rimane però il desiderio , che negli altri temi di copia della medesima classe , sia sempre tenuto un tal ordine, e che ad ogni altro esempio sieno sempre preferiti , dopo §li antichi , quelli di Vignola e di Palladio , e di altri 388 pochissimi j e questi In certa parte più dei primi consi- derati , non già per ciò che pertiene la proporzione delle parti e la bellezza delle decorazioni , ma per ciò che ri- guarda la- composizione e la distribuzione delle fabbriche, e lo imparare, sulla scorta di que' grandi , il modo di utilmente adoperare , ed imitare le belle forme , e le proporzioni degli edifizj greci e romani. Perciò si vor- rebbero sbanditi da ogni ben diretta scuola di Archi- tettm-a certi esempi , i quali sebbene per la condizione di tempi in cui furono publicati , potessero allora essere tenuti imitabili , nel presente rinnovamento di questi studj non devono più ottenere un tale onore. Ma in fatto di ornamenti , tutto fu cavato dalle mi- gliori opere antiche , o da quelle del cinquecento j e que- sto savio consiglio oltre che nei giovani imprime sul bel principio la bella maniera , e le ottime massime di uno stile puro , e per ogni riguardo eccellente , induce speran- za , che possano una volta I varj artisti che concorrono a questa scuola , ritornando alle loro officine , propagarvi il buon gusto , e sbandirne tanta barbarie che ancor le in- gombra. Non solo dunque stieno contenti a disegnare gli ottimi esemplari , ma di quei modi facciano tesoro , e le belle fogge , e 1' ordine egregio ne osservino nei lavori che loro occorrono tutto giorno. Cosi non avremo più a veder rinnovate ( e questo diciamo singolarmente in fatto di arredi sacri nei maggiori e più augusti tempj della cit- tà , dove sembra che si ripari il cattivo gusto , scacciato poco a poco dagli altri luoghi ) certe forme in vero spiacenti , e non sappiamo se più insopportabili all' occhio , o alla ragione , che non diremo per qual capriccio ripigliansi da certuni con pessimo esempio d' inesperti ammiratori , e sommo vituperio di tutti. Finalmente la scuola d' incisione , che istituita da circa quarant' anni addietro , cadde per difetto di ammaestra- mento in languore , e finì per estinguersi affatto , riordi- nata , or son due anni , ha avuto a combattere con una ostinata contraria fortuna , mancatole per morie 1' ottimo suo direttore Professor Scotto , e per varj altri casi , al- cuni giovani che promettevano assai felicemente di se. 389 Ora , nella persona del Professor Rivera , confida risto- rare i sofferti danni , e già due giovani d' ingegno dispo- stissimo all' intaglio , han dato tali prove da far sorgere in cuore le più liete insieme e più fpndate speranze. la fatto , gli studj da Edelincli del sig. Ravano mostrano con quanta facilità egli già adoperi i ferri , e quanta nettezza e lucidità abbia conseguito nel suo taglio ; alle quali doti rimane secondo 11 sig. Armanino solo quanto vuole il minore esercizio dell' arte da lui di fresco intrapresa. K se questi giovani alle sovraccennate doti faranno andar del paro uno studio assiduo del disegno, il quale dev'esser il fondamento d' ogni ben indirizzata scuola d' incisione , non dubitiamo che non sleno per adempiere le speranze , che su di essi ha fondato l'Accademia e la Città , che di tanta mancanza di maestri d' intaglio ha avuto fin ora a dolersi , e a vergognare. Perciò tante degnissime pitture che in lei si trovano , son rimaste finora oscure , e senza 1' onore di un intaglio che ne faccia conoscere fuori i molti pregi . ^1 ^'^^ difetto dee in molta parte attri- buirsi il plccol grido della nosti-a scuola fin al momento in cui il benemerito autore della storia pittorica d' Ita- lia la illustrò. I nostri pittori impiegati ad ornare i tem- pj e 1 palagi , con dipinti a fresco , rimasero sconosciuti fuor di patria , nò molto dal forestieri in quella visitati , per la difficoltà delle strade , che ne ritardavano , ed ancora impedivano loro 1' accesso. Questi ostacoli al presente più non sussistono , e confidiamo che la rina- scente scuola d' incisione da canto suo illustrerà i più rinomati pittori genovesi. Dalle opere di concorso passando a quelle esposte dai giovani educati nell' accademia , e alle altre di amatori e professori , primo ne occorre alla mente il disegno del sig. Raffaello Granara copiato da altro di mano del sig. Giovita Garavlglla sotto la cui direzione egli studia l'in- cisione. Rappresenta questo porzione del rinomato quadro di Raffaello, volgarmente detto , la Madonna di Foligno. Lo- deremo il bel modo con cui il sig. Granara ha saputo imita- re lo stile di quel tanto chiaro incisore , quanto valente di- segnatore , per cui ad una fermezza ed eleganza di contorno a6 3go »i v-ede accoppiata una forza di chiaroscuro condotta «eoa sottile ai^te di degradazione fino ai primi lumi , dalla quale, oltre al perfetto rilievo , risulta una larga e morbida ese- cuzione , ed un singolare effetto. Né il Granara ha solo con questo lavoro mostrato i progressi fatti in un sol anno fiotto la disciplina di tanto maestro , ma ha dato eziandio a vedere quanto nella pratica dello incidere siasi avanzato nel ritratto di Rossini , che ha copiato da Morghen , e negli altri studj di bulino da esso presentati. Più dif- ficile , per aver dovuto ritrarre da un dipinto il suo di- segno , fu 1' assunto del sig. Tubino , e perciò non meno degno di commendazione. E copia di una tavola di Guido rappresentante Amore vinto dal Genio della virtù , ed è molto a lodarsi pel soave effetto , e per il buon metodo dell' esecuzione ; solo il contorno si desidererebbe in alcune j)arti meno timido ed incerto, particolarmente ove il carat- tere e la mossa delle figure lo vorrebbero risoluto e vigoro- so. Però , se in mezzo a slmili disegni che gli procacciano giusti encomj , il sig. Tubino non tralascierà quegli studj «he devono fondarlo nell' arte , e renderlo non tanto ■gentile , quanto dotto e intelligente disegnatore , si acqui- -sterà meritamente l' estimazione universale = Fra i dipinti , piccolo , ma grazioso quadro era quello del sig. David Parodi in cui vedevasi in ameno paese la Sacra Famiglia , S. Giovannino , S. Elisabetta , ed alcuni Angeli , uno de' ^uali in aria librato , versante fiori a piene mani su quel- la santa comitiva. Molte doti distinguono questa pittura , e sono in generale , un corretto disegno , e in varie parti un lodevole colorito , ed ancora una savia maniera di piegare j se però 1' insieme del quadro offerisse i pregi che si ravvisano nei particolari , sarebbe tale da chiamar- sene contento qualunque più difficile approvatore. Ma il partito del chiaroscuro si vorrebbe più grandioso , e me- glio serbate le ragioni dall' innanzi e indietro , onde le figure spiccassero dal fondo convenientemente , e all' oc- chio si presentassero , senza eh' egli abbia , nel cercarle , a rimaner confuso ed incerto. Grande e pietoso concetto Io stesso pittore espresse nella figura della Vergine , che sola , a canto al sepolcro del figlio , addoloratissima , sta 391 rinnovando all'animo 1 fieri e duri casi di tanta , e sì inau- - dita passione. E già questo modo di rappresentare 1' estre- me ambasce di quel cuore afflitto è patetico pensiero , onde 1' artista non distraendo lo spettatore dal proposto subbietto con altri accessori personaggi , può destar iu lui la più viva pietà , e mostrare fin dove ei giunga nella parte piìi nobile dell' arte sua , cioè 1' espression degli affetti , che quell' antico chiamava cosi sentitamente 1' arte di delineare gli animi. E a tal proposito , non lasce- remo di notare un pensiero che più volte ci è corso alla mente , nel vedere , anche da sommi pittori , rappresentare 1' uccisione dei bambini per ordine di Erode , non in quel modo che forse sarebbe più atto a commuovere i riguardan- ti. Perchè il figurare una serie di crudeltà negli sgherri esecutori del barbaro decreto , e gli estremi atti di spa- vento , di dolore , di disperazione nelle madri , e i varj casi di morte degl' innocenti uccisi , risveglia nell' animo un tumulto di affetti , misti di sdegno , d' ira , di com- passione , e di ribrezzo , per cui alla per fine rimane stanco ed oppresso. All' incontro , se una tela offrisse allo sguardo , sola sullo innanzi una di quelle desolate , che involatasi a tanto orrore , tenesse ancor fra le braccia il suo amore ucciso , e nella faccia al ciclo rivolta avesse espressa la doglia immensa , e nello stringersi quel caro pegno , benché estinto , al seno , cercasse ancora d' in- gannare il suo dolore , 1' anima forte impietosita , già sen- tirebbe ri suonare in Rama la flebile voce di Rachele che piange i figli , e non \tio1 conforto perchè eglino più nou sono. Sull' estrema linea del quadro si vedrebbe appena accennata alla lontana la strage crudele , cosi per necessaria indicazione del soggetto , come per dare 1' ultima pen- nellata a quello spettacolo luttuoso. Ma tornando al sog- getto del sig. Parodi , lo diciamo felicissimo. Quanto al ■costume , non tutti approveranno 1' aver figurato il sepol- cro del Redentore con un artificio , e di una forma che la storia evangelica contraddice ; anzi ne pare che se il pittore si fosse attenuto solo a quanto la stessa racconta , e però non altro che un sepolcro cavato nel masso avesse rappresentato , più avrebbe servito alla semplicità del 3g2 soggetto, e alla tlignilìt à(A meflesimo. — Una copia di bel- lissimo paese del nostro Tavella fermava chiunque , al primo entrare nella sala dell' esposizione , tanto per le qualità intrinseche all' originale , come per la felice imi- tazione del medesimo. Il partito sommamente pittoresco , una artificiosa degradazione de' piani , la limpida traspa- renza delle acque , la leggerezza e mobilità delle frondi , la ben espressa rusticità delle fabbriche , e lo spiritoso tocco del pennello nelle leggiadre figm'ette , rendevano pieno d' illusione quel quadro , da cui mal sapeasi 1' oc- chio staccare. La signora Degola, che suole ogni anno esporre alcun saggio de' suoi esercizj nella pittura , si è in questo singolarmente distinta. E molto ancora in lei è a commendarsi la scelta giudiziosa dell' esempio di sua imitazione i e ciò tanto piìi , quanto non tutti in questo , sono , come ragion vorrebbe , accorti. Perchè non ci par savio consiglio il far materia di studio certe opere, in vero pregevoli per lo spirito , e il brio che hamio in se , ma lontane da quelle perfezioni che richiedonsi a tenerle in conto di eccellenti esemplari j nel che spesso si è pec- cato, e si pecca tuttavia fra di noi. Né una cieca rive- renza a tutti i maestri della nostra scuola deve indurre in errore. Certo che , a cagion d' esempio ,^ Domenico Piola , Gio. Batta Gaulli , Gio. Andrea Carlone , per ta- cer di tanti altri , furono pittori degnissimi , e , per le doti di cui andarono ornati , meritevoli di molta lode ; ma per la maniera che seguirono , e le massime false da essi professale , oggi non vorranno esser osservati come maestri d' ottimo stile. Ma basti di questo , che ora a se ci chiama il gnippo di Teseo vincitore del minotauro modellato dal sig. Santo Varni. Il quale nella figm-a dell' e- roe si è ricordato di quella a tutti nota di Canova in simile soggetto j nel mostro invece abbattuto e vinto ha voluto far palese quello che possa il suo ingegno , non is- corto da alcuna guida. L' imitazione però non è servile, e tutto è studiato dal naturale con sapore di antico. Rispetto al minotauro , non soddisfa forse pienamente lo scorto a cui dà luogo col braccio destro , che si presenta di punta in faccia a chi osservi il gruppo j e là dove la parte umana 393 s' innesta alla bovina , lo sparire dell' una , e il co- minciare dell' altra non bene si accordano. La quale os- servazione non sarà che paja di soverchio minuta, se si consideri che gli antichi molto posero cura a simili avver- tenze , per cui Luciano grandemente celebrò Zeusi per aver a maraviglia espresso il trapasso dell' uomo al ca- vallo nel suo centam-o , e Filostrato, nel secondo delle immagini, non meno, per un tal artifìcio, lodò la ta- vola del Chirone educator di Achille. Né ci par bello volere lo scultore comporre il suo gnippo coli' ajuto di qualche oggetto non necessariamente collegato allo stesso , come qui sarebbe quel tronco posto ad equilibrar la massa del minotam'o. Gli antichi cosi non fecero ( e co- me si tratti di perfezione , convienpur sempre nominarli), allorché dalla necessità furon costretti a dar per sostegno un tronco alle lor figure , procurarono che in. qualche modo avesse relazione alle medesime , come si vede per addume un solo esempio nell' Apollo di Belvedere , presso di cui sta il piede dell' antica pianta , sotto la quale finsero che in Delo nascesse quel Dio : e vi sono scolpiti i frutti della medesima, unitamente al serpe, simbolo della vita e della salute , delle quali Apollo era tenuto arbitro e di- spensatore. L' amore però con cui il gnippo é operato, e il buon garbo con cui é lavorata la creta , mostrano 1' impegno del giovane scultore e la facilità che già egli ha acquistato nelle pratiche dell'arte, per cui padroneg- giando la materia con cui deve esprimere i suoi con- cetti , e avendo una sufficiente dottrina , per quello che spetta all' imitazione dei corpi, non gli rimane che ad affinare il suo giudizio , e a formarsi lo stile sugli esempj antichi e 1' osservazione delle loro massime. Del quale importantissimo acquisto , ne fanno certi i lieti principi del sig. Varni. Parleremo da ultimo di due quadretti d^ prospettive , 1' imo de' quali portava il nome di Migliara , e 1' altro di Moja , chiarissimi Professori in questa parte di pittura. Cosi il primo come il secondo rappresentavano interno di chiostri , e in ambedue , gli effetti della luce cran vivissimi , forse nel primo più veri , e ne riusciva all' k 394 occhio una illusione per cui spaziava per quegli atrj , e s'internava sotto quelle volte. Ma siccome , soddisfatta la vista per l' inganno che le è procurato , nulla rimarreb- be nell' animo del riguardante , ed è ufficio d' ogni beli' arte , per quanto le vien dato , oltre al diletto di che può esser cagione , destar una qualche impressione piìi utile e durevole , ben si consigliarono gli autori dei due quadretti di arricchirli con figure , non già oziose , ma che dicessero pur qualche cosa all' intelletto , e destas- sero qualche commozione nell' anima. Perciò l' uno espresse , per quanto ne parve , il momento in cui il re Lodovico quartodecimo , nel monastero di Chaillot , s'incontra nella Duchessa de la Vallière; e 1' altro fi- gurò una scena del Conte di Gominge , dramma del francese Arnaud. Esempio meritevole di esser seguito , come confidiamo che questo genere di dipinger pro- spettive , e 1' altro più ameno ancora dei paesi , saranno abbracciati da parecchi dei nostri giovani che crescono nella carriera delle arti , in cui i primi onori sono serbati a pochi , eppure molta lode e vantaggio si ritraggono an- cor dai secondi. Né tanto dee costare al loro amor pro- prio dichiararsi con ciò ad altri inferiori , quando sa- pranno che il celebratissimo Apelle non avea ritegno di confessarsi minore , in alcune doti , ad altri suoi emoli 5 come a cagion d' esempio nella disposizione ad Anfione, nel concetto e nella simmetria ad Asclepiodoro. Ma a questi generi della minor pittura non potranno mai essi con isperanza di riuscita attendere , se non sa- pranno scorti da un necessario e fondato studio di pro- spettiva. Perchè confortiamo i benemeriti che delle cose dell' Accademia si prendon pensiero , a non patire più a lungo in Lei il difetto di questa importantissima parte d' insegnamento. E qui giunti, noi rileggiamo qxianto sulla proposta ma- teria ci è venuto fatto di scrivere ; e vedendo varj giu- dizj , ed alcune opinioni che non a tutti potranno riu- scir accette , siccome cfuelle che al parere di cert' uni non saranno forse conformi , ci rivolgiamo ai nostri let- tori , e diciam loro , che quanto venne per noi notato , nacque da intima persuasione , won da volontà di gar- rire, o di contristare persona. Però, se le nostre ri- flessioni sembreranno degne di' qualche considerazione , ce ne terremo oltremodo soddisfatti ,• quando al contrario paresse che in alcun giudiTno S'iamo andati errati, ab- biano riguardo almeno all' intenzione che ci guidò , che parte da non dispregevole origine , di giovare cioè 1« arti e i cultori di quelle. Il quale nobilissimo fine , se non sarà stato da noi conseguito, abbiamo però , per quanto le nostre forze comportavano , a tutto potere procurato. ^ NOVELLE LETTERARIE. j4lVacclamatissima Signora Fanny Eckerlin, Ode del Sig. March. LoR. Ant. Damjso Pareto Patrizio Genovese. Milano , nella Tipografia del Sig. Dottore Ferrano , 18*27, ^^ ^•° vO* J-Ja signora Fanny cantò sul teatro di Genova , e quantunque avesse qualche oscuro detrattore , essa fa accolta fra le unaninii acclamazioni. Cosi 1' Kditore Milanese. L' ode ha dieci sti-ofette : eccone 1' ottava , degna d'essere serbata nel tesoro della memoria a con- fusione de' detrattori del merito altrui. Sciogli , o Fanny , dal roseo Labbro le dolci note ; Che la baldanza e V invida Censura invan percote ; E parrà sogno , o incanto , A i posteri l' idea di sì bel canto. La Battaglia di Benevento, Storia del secolo XIII scritta dal Dottore Fr. D. Guerrazzi. Livorno, Bertani 1827, voi. 4 ^^ ^'^° Due considerazioni , senza piìi , faremo sopra questo romanzo , che s' intitola Storia : l' una spetta alla filo- sofia della storia , 1' altra alla filosofia morale. E con- ceduto all' oratore di ammettere alcuna volta certi fatti , che il popolo tiene per veri , benché sien falsi a giu- dizio de' critici : è lecito al poeta venderci per cose incontrastabili le sue bizzarre fantasie j onde potrà , come r Ariosto , citare il ^^erace Turpino , a confer- mare qualche strana avventura. Ma se un autore , ìa (>) Ved. / Teatri, giornale drammatico ecc., anno. I, fase. 46. 397 que' luoghi , ne' quali dichiara seriamente di non voler farla da oratore né da poeta , elegge fatti favolosi , e s' adopra di renderne convinti i suoi leggitori ; ovvero a' fatti veri aggiugne particolarità favolose , o tratte dalla fantastica ignoranza del popoletto , in tal caso quello scrittore fassi reo di gravissima colpa j essendo- ché il corrompere artatamente la storia , egli è avvele- nare una fonte , che dinanzi sgorgava limpida e pura a ristorare i cittadini. Or mi faccia ragione il sig. Guer- razzi medesimo : come non abborrì egli dal rimettere in campo quella favoletta del piede che Papa Alessandro pose sul collo dell' Imperator Federico I.' in Venezia l'anno 11^7 ? « Questa istoria (così egli rispondei i53) « è riputata dai moderni storiografi una favola ; senza «< però che ne abbiano esposte le cagioni j almeno per « quanto mi sia venuto fatto di poter ricercare. » Bastava eh' egli ricercasse gli Annali del Muratori , e agevolmente veniagli fatto di trovare le cagioni. Più stravagante è la cura che si prende il Dott. Guer- razzi di farci credere , come verace storia , alterata dai moderni scrittori , che il giovane Re Enrico rapisse da un monistero di Palermo Costanza , monaca professa , né giovinetta , ma donna di senno , come colei che aveva i suoi 5o anni , e la si sposasse lietamente ; ed ella « vi- ce cina a partorire, fece tendere un padiglione sulla piaz- « za , e mandare un bando che qual donna volesse « andare a vederla sì il potesse ; come pure che in « Palermo si mostrò sempre col seno scoperto , onde la gente ne vedesse distillare il latte (voi. i. i58). » Non sono questi gli esempj che l' illustre Manzoni diede a' Romantici. Maggior difetto si è 1' altro , che all' etica risguarda. Gli uomini non furon mai né tutti buoni , né tutti scel- lerati j ma v' ebbe sempre copia degli uni e degli altri. E però , ove io m' avvenissi in persona , la quale non volesse lasciarsi dar ad intendere , che qualche azione fan gli uomini per amore di onestà , o di religione , ma volesse perfidiare che tutti gli atti umani si met- tono ad effetto per cagione d' interesse , d' orgoglio , 39? d' invidia , o di altra rea passione , direi francamente , costui essere un perfettissimo scellerato , od esser preso dalla pazzia della disperazione. Il nostro Romanziere vede gli uomini lutti d' un colore j perfidi , superbi , vili ec. ec. Se non può condannar 1' opera , si gitta » mostrarla generata da prava intenzione. Questa malizia notò il Tiraboschi in qualche scrittore francese de' suoi tempi j e lo Schlegel trovoUa condotta a grado supremo nelle opere del Byron , chiamandola perciò la poesia della disperazione. Ascoltiamo alcune parole del Guer- razzi : ce Fu il diroccamento di Milano operato da mani « italiane. Questa era la carità della patria nei nostri « padri ! Né ciò dico per dimostrare che noi siamo ce migliori j ma essi non furono meno scellerati di noi : c€ iniqui tutti (1. i44)' " Orribili sono Je seguenti (1. ii3): ce Da tutto il creato maledizione e sventura « su te vilissima schiatta , che non sai vivere , né ar- ce disci morire ! . . . . Chi piii vive è più scellerato. » Come s' ingegni di torcere le intenzioni , vedasi a pag. ii6, voi. I. Corrado III sentendosi presso al morire, chiamati a se i baroni di Germania , ronsigliavali che a successor nell' impero non gli dessero alcuno de' figli suoi , si Federico ; giudicando dover questo principe recare alla Germania de' grandi vantaggi. Che dice il Guerrazzi di quest' azione di Corrado celebrata come, uno dei pochi fatti che onorano la nostra specie? In- clina a credere che Corrado per una Ipocrisia politica facesse sembiante di donare quello che non poteva impedire. Conchiudo : questo romanzo non può far cadere al- tra lagrima dall' occhio a bagnar la pagina y se non che la lagrima dell' uom dabbene , il quale pianga le stra- vaganze di vm giovine, che datosi in bnlìa ad una troppo vivace immaginazione , travolta dalla lettura del By- ron , più non ravvisa nell' uomo che la perfidia e Ja disperazione; quella convertita in natura ; questa serbala per unico retaggio. INoi però confidiamo , che siccome i più assennati degl'Inglesi inorridirono a quella dispe- razione del Byron, così i óavj Italiani , né sono pochi , %9 getteranno lungi dalle lor mani questo nuovo libro , che ha fatto tesoro di quello che parve terribil pestilenza agi' Inglesi. Favole Russe del Kviloff ^ imitate in versi ita- liani e precedute da una prefazione italiana di F. Salpi. Perugia, Baduel , 1837, in 12.° Del nobile disegno del Conte OrlofF di far conoscere all' Italia ed alla Francia le favole del KrilofF abbiamo parlato assai lungamente nel Giornale Ligust. fase. 3." del 1827. Ora che il Baduel , ristampando V imitazione italiana fattane da varj nostri letterati , ha procurato alla pati'ia un' agevol maniera di poter conoscere i pen- samenti dell' illustre poeta moscovita , diremo breve- mente di alcune favolette a farne gustare la invenzio- ne j sembrandoci che di poesia trasportata liberamente in nostra lingua da una Ietterai versione francese fatta dal benemerito Conte Orloff, poco altro lodar si possa, salvo se l'invenzione, e la morale. La favela seconda ci rappresenta un vii cane , che veduto un Elefante ab- bajavagli contro 5 e da questo si conchiude , secondo l' imitazione italiana : Sovente contro il Saggio Declamano i piìi inetti: Ei segue il suo viaggio ; Lascia ronzar gì' insetti. La favola 72." morde coloro che, pensandosi di ap- parir grandi , alzano la voce , e decidono di ciò che non intendono , ed empiono di lor ciance i giornali j ma pur finalmente vengono riconosciuti per quello che sono , e si rimangono col danno e le beffe : Quanto meglio fora il vivere Moscherino oscuro e muto , Che nel mondo per grand' Asino Esser poi riconosciuto ! L' oltantesimaquarta narrando che anticamente si pre- giavano le Api , e si cacciavan le Mosche , couchiude : 4oo Tale usanza finora avean le genti : Or son le umane menti Cosi stravolte e losche , Che r Uom persegue 1' Api , ama le Mosche. Abbiamo recato tre moralità , perchè si veda che il KrilofT conosce i difetti più singolari del nostro secolo , e tenta mostrarne la deformità. Per la invenzione , di- remo che non tutte le favole del poeta russo , sono ori- ginali ; pur ve ne ha molte che non ci rimembra d' aver lette altrove. Tal si è la XI." tradotta assai bene dal chiar. Cav. L. Biondi ; nella quale si narra che in certi giorni dell' anno , come sarebbe il di natalizio di Ne- rone , facendosi festa nell' inferno , nacque disputa di precedenza tra il Serpente e il Calunniatore ; e che Plutone decise recar male più grave il secondo , che il primo j perciocché il Serpente non può mordere che i vicini ; dove il Calunniatore spande il suo veleno in lontane contrade. Bella è similmente la Xlll." , tradotta , ossia imitata dal Nìccolini. Un ladro entrato nella casa di un contadino — fece si ben , che vi lasciò pulito — Il poverino gridava soccorso : trassero i parenti e gli amici 5 chi gli facea rimprovero di negligenza nel guar- darsi j chi gli dava consiglj : — ma a dirla a voi , nes- sun gli otferse un soldo. — I traduttori son trenta j e tra essi vi hanno chiari nomi , Monti , Cesari , Biondi , Angeloui , Ricci , Pin- demonte , Mezzanotte , il Duca di Ventignano ecc. Mi- glior di tutti è il Cesari; sia per vero sapor di lingua, sia per brevità , e per evidenza ; e però con ottimo con- siglio vennero le sue imitazioni stampate qui in Genova in sottil libriccino. L' Angeloni porrei il primo dopo il Veronese ; appresso il Monti e il Biondi, Alle favole va innanzi un discorso del sig. F. Salfi , il quale si propose di J'ar conoscere questo ramo di letteratura italiana , già illustralo dal Ginguéné. Co- mincia con Accio Zucco e con Francesco Tuppo , il nome de' quali di ni un a fama risuona , e eh' Ei trasse dalle tenebre , ov' era meglio lasciarli. Mario Verdi- zotti e Cesare Pavesi divulgarono favolette nel secolo XVI. Qui r Autore ne riconduce al secolo XV , e loda gli apologhi di Leon Batista Alberti. Maravigliasi poi che Bernardino Baldi abbia scritto in prosa i suoi apo- loghi , benché sapesse far de' buoni versi ; ma forse altri si maraviglierà che gli scrittori di favole invece d' imi- tare Esopo , abbiano voluto prender esempio da Fedro. Giulio Cesare Capaccio diede alle sue favolette la forma del madrigale j troppo lontana dalla semplicità dell' a- pologo. L' Astemio ed il Faerno ne scrissero latinamen- te ; così il P. Ceva nel secolo XVIII, Il Cresci mbeni trasportò in versi le favole in prosa del Baldi. Tommaso Crudeli mostrò che poteva essere grande in questo ge- nere di poesia. Egli non ebbe imitatori , dice il sig. Salfl , perciocché fu creduto prudente il non imitarne le favole per non far sospettare di averne ancora adottato le opinioni. La bisogna andò tutta al contra- rio ; perché dopo il Crudeli surse in moltissimi Italiani il desiderio di farsi autori di apologhi ; né lo ignora il sig. Salfi che cita il Roberti , il Passeroni , il Bertela , il Pignotti , il Perego , e Gherardo de' Rossi. Ottimo fra questi é il Passeroni. Non omette 1' Autore di ricor- dare il poema del Casti, e gli Animali del Firenzuola» « A dir vero , il Firenzuola , 6n dal secolo XVI avea « tentato alcun saggio di questo genere j ma tanto sono « differenti i Discorsi degli Animali di questo scrittore « dagli minimali parlanti del Casti , che sarebbe un ce torto manifesto il non concedere a quest'ultimo il me- te rito dell' originalità. » Ma del Firenzuola veggasl quanto si è detto nel Fase. 2." del nostro Giornale , ove si adducono forti ragioni a mostrare ciie il nostro ne tolse r idea dal Pantcha-Tantra degl' Indiani. Agli au- tori citati dal Salfi 1' editore perugino aggiugne Monsig. Giorgio Ferrich morto nel 1820. Noi citeremo il no- stro Ab, Bivera, che scrisse apologhi in prosa, come pur fece il eh. P. Villardi , che trattò pure della ra- gion poetica di tali componim enti ; traltatello impor- tantissimo , e che poteva dar cagione al sig. Salfi di farne ragionamento sia per confermare , sia per com- battere le opinioni del Villardi. 4o2 Poesie scelte dei pia rinomati scrittori Italiani del secolo XIX. Genova, Ponthenier, 1828. in 24- Questo volumetto , elegantemente impresso , contiene poesie scelte di dieci autori, Monti, Manzoni, Perti- caci , Bellotti , Costa , Pindenionte , Arici , Nervi , Bar- bieri , e Cesari; e vi si troverebbero quelle similmente di un collega del sig. Nervi , se 1' autore di esse non si fosse opposto , come nimico di procacciarsi nome di poeta, alla volontà del benemerito editore sig. Agostino Pendola , e di chi lo assisteva de' suoi consigli. Le per- sone che si dilettano di poesia , troveranno in questo libro bellissimi esempj da imitare ; e dalle bellezze di questi scrittori impareranno a meglio conoscere ed ab- borrire le stranezze de' Romantici. Ramosky , Esperimento di Novella di L. A. D. P. Torino , \^2G , in 12 , face. 56. Si vende presso i principali Libra] : prezzo, 1. 1 di Piemonte ( senza data ). Ramoshy vide il giorno nella città imperiale che brasca V onde , dice il N. Aut. , e vuol dire in Pte- troburgo : giovinetto ebbe pur anche ricetto nella reg- gia ; ma ora a quelV alma sconsolata danno conti' mio affanno disperazione e amore. Datosi a viaggiare , così qual era , concio pel dì delle feste , venne in Grecia , dove i seguaci indegni del profeta fanatico oltraggiaro la creta immortale dei Trecento ; poscia giungea in Italia nelV ora in cui ogni stella cede loco al sole ; in quell' Italia , ove i degeneri figli empion le arene , cioè le platee de' teatri. Vede sulV ^.pennino un castello , che ha per ghirlanda in- torno al capo un' ampia valle : in questo luogo po- satosi , che dovea fare il meschinello Ramosky ? In- namorò d' Urilda , bella come sera d' autunno , e quel eh' è peggio , la rapì coli' ajuto di un amico. Ma men- tre j cime V amica terna fuggitiva correa , soprag- 4o3 giungono uomini armati spediti dal padre di Urilda ; ma gli Eroi , ( è un po' troppo trattandosi di rapitori ) dan di piglio al nudo acciaro ; ma due palle d' archibu- gio tolgono la vita agli Eroi j ed Urilda muorsi , molto eroicamente , di dolore. La novella è scritta in ottava rima di versi endecasillabi ; se non che tratto tratto ve ne trascorsero alcuni furtivamente, che sono ricchi di una sillaba di più , che non doveasi : eccone gli esempj : Rompe interrotto da trista visione. Amplissima distendesi regione. Ove al compire del diurno viaggio, ec. Hannovi pure locuzioni nuove affatto ad orecchio ita- liano j come , la notte che chiama le stelle a popolar V azzurro , e la niente di Urilda che è armonia an- gelica. Confortiamo 1' autore di questi versi a studiare il trattato dei dittonghi dell' Ab, Cesarotti , e la Dis- «ei'tazione sulla lingua italiana del P. Cesari Christine et sa Coiir , par C. F. Van der Pel' de. Paris, Paul Renouard ^ ^827, in 8." Il secolo XVI II è memorabile per molti scrittori che fecero della storia romanzi. Il secolo XIX è tutto romanzi storici } Scott , Cooper , Manzoni , ed i sa- telliti di questi pianeti maggiori acquistano fede al vaio dire. La Germania si vanta del suo Van der Vel- de , tradotto in francese dal sig. A. Loève-Veimars. Cristina e la sua Corte è uno de' Romanzi di questo -scrittore tedesco. Né la Regina , né i dotti da lei trat- tenuti , né i favoriti della corte , potrebbero saper gra- do al sig. Van der Velde di averli dipinti in questo suo libro. Cristina , quella principessa celebratissima , non sa regnare con fermezza , né con decenza. Il dottis- simo Salmasio sa il nome della seggiola in dieci lin- gue ; ma non sa seder^^isi sopra : egli è il più erudito di tutti i jxazzi dell" Europa , Bourdelot è un epicu- reo , il quale non ammette se non che 1' orribil dot- trina di quel verso : Ede , bibe , lude } post mortem nulla voluptas. 4o4 Meibonico è un pedante , clie conosce solamente i libri dall' antica musica greca e romana. Naudeo non sa par- lare che della danza degli antichi. Monaldeschi , il fa- vorito di Cristina , è pieno di vizj : né migliore è Sea- tinelli. A rallegrare cosi fosca dipintura , introduce r Aut. due giovani innamorati , Steinberg ed Ebba. Non sarà inutile trascrivere una bella risposta di questa fan- ciulla al suo Steinberg. Cercava questi , come zelator della Riforma , di persuadere ad Ebba che la Regina , non per convincimento , abbracciava la fede Cattolica; sì per essere meglio accolta in Francia ed in Italia, ce Oimè , rispondeva la Donzella j che trista consola- cc zione ! Se la Regina ha potuto rinunziare alla cre- te denza de' suoi padri , io vorrei che avesse abbrac- « ciato la nuova con convincimento , e cuore lutto sin- « cero. Voi pensate , eh' Ella ciò abbia fatto per leg- « gìeri e terreni riguardi : questa sarebbe pure la ter- cc ribil cosa. Se a voi fosse possibile provarmi che Cri- cc stina è una incredula , io non mi starei più un istante « a servirla ; e sono contristata di vedervi così indifFe- « rente per le cose sante , le quali dovrebbono pre- ce mere di molto ad un' anima leale ed amante. " Fi- losofica è la risposta del vecchio Steinberg al giovine suo nipote , ragionandosi tra essi del medico Bourde- lot : « Costui vorrebbe cacciar della corte ogni sapere ; « e per qual ragione ? Perchè egli stesso è un ignoran- te te. M Ecco la chiave non fallace , che ci può far conoscere la ragione della guerra che i semi-dotti , i letterati da caffè , i giovani spiranti profumi e femmi- nil mollezza , dichiararon mai sempre , e tuttora man- tengono centra quegli uomini solinghi e modesti , che attendono sollecitamente a coltivare i buoni studj. Uà versificatore infelicissimo dirà spregevoli le poesie al- trui : un giovane , il quale non legga se non se ro- manzi , commedie , e fogli d' avvisi , dirà eh' e' non può sostenere la fatica di leggere una storia. Noi sen- tiamo sincera compassione d' essi , e gli esortiamo ad aver cura di lor salute, leggendo poco, e sopra tutto guardandosi dal leggere poesie di qualche rilievo , e 4o5 volumi (li storie diligenti ed esatte ; clu^ alla fin fine son prette pedanterie. L' /ilmanaccn delle Dame è più gradevole lettura , e non pute di lucerna. Caffaro e suoi Conti jiuatorì : annali di Genova dall'anno iioo al f anno 1291, testo latino con traduzione italiana , note e documenti. Genova , Carniglia , 1828 , in 4-° ( È il fase. 1."). Gli anticlii annali di Genova , che vennero comin- ciati da Caffaro, e per ordine pubblico, o per bello amor di patria, continuati furono al 1291 , non hanno mestieri di lodi , avendoli celebrati con eloquentissima prefazione il gran Muratori , che fu il primo a man- darli alle stampe nella gran raccolta Rerum Italica- jum. Del Caffaro (i) e de' suoi continuatori , come pur de' difetti che si veggono nella edizione muratoriana , parlasi con esattezza nel i." volume della Stor. Letter. della Liguria. Commendevole sommamente si è la pre- mura generosa degli Editori , che un' opera tanto en- comiata da quel gran padre della storia italiana , si proposero di ristampare , ricca di annotazioni e di do- cumenti ; onde venir potrebbe nuovo splendore alla patria , e dolce diletto agli amatori della storia : che non sono poi moltissimi que' dilicati , i quali non si tosto veggono una citazione , od un documento , gri- dano romanzescamente, che le minutezze producono la noja , che non possono resistere ad un' arida lettura j che svengono , che perdono la pazienza , e simili altre gentilezze , eh' egli è propiio una gioja udirle ripetere ne' crocchj , e poi trovarle stampate sui foglj d' avvisi. Ma in questo che noi lodiamo con sincerità il divisa- niento degli Editori , sorridendo alle smancerie de' giovani Walteriani , non vogliamo tralasciare di scrivere alcune osservazioni che potranno tornare a qualche van- taggio di coloro che hanno il carico di questa nuova edizione del Caffaro. (i) Vedine 1' Elogio ne' Liguri illustri. »7 4oG! 1 Assicurandoci gli Edilori che il lesto a penna di cui si servi il Muratori, era mutilato e pieno di er- rori, avrebber fatto bene a indicare di qual manu- scrilto si giovassero per questa nuova edizione. — Se il Mtiralori non ebbe da Genova né il testo originale , né le notizie opportune , né i documenti necessarj , non è da incolparne 1' antico governo genovese j per- ciocché, il testo originale dovea rimanere nell' archi- vio j e sarebbe stala imprudenza , come notò egregia- mente S. Ecc. il Conte Napione , comunicar documenti ad un soggetto , benché dottissimo , che diede prin- cipio a' suoi studj diplomatici coli' accendere una gra- vissima controversia tra il Papa e il Romano Impero. — L' aanalista Giovanni ^urobono non ebbe mai esi- stenza che in un errore di penna già palesato nella Stor. Letter. della Liguria. Mal cominciano gli Edi- tori, se nelle note alla prefazione introducono anna- listi che non furono mai conosciuti. 2. Nel frontespizio si promette la traduzione degli Aunali. Ma ella è cosa , incredibile quasi , pur verissi- ma , che gli editori credettero gli annali di Genova compilati dal padre Zacchia Min. Rif. teologo dell' estinta Repubblica, esser una traduzione degli Annali. Forse non si darà fede alle nostre parole ', eccone per brevità una sola prova : Testo lat. Anno 1128. « In iste consulatu Monsaltus c(j captus fuit a Januensibus , qui fueruut ibi cum ma- cc gno exercitu peditum et militum. » TradiiZ. « In questo consolato i Genovesi con nu- M. meroso esercito di cavalleria ed infanteria andarono « in Monferrato , ove presero e s' impossessarono di « Montallo , che poi con Parodi l'anno ii5o da Gu- «e glielmo Marchese di Monferrato fu venduto al Comu- « ne di Genova , come vedremo. » ce I Consoli di quest' anno nel mese di febbrajo con- « cederono ad alcuni Conti di Lavagna. . . ( e seguita « per altre i o linee ) . ce Nel medesimo Consolato un certo Lanfranco Gabo... ( 9 segue per altre i4 linee ). » 4"7 Se cotesta è traduzione , ne daranno giudizio i leg- gitori. 3. Le note meriterebbero più soUecita cura. L' anno- tazione seconda all'anno iioo ( eh' è il |>tiino degli Annali ) ha queste parole : " La dignità di Console non era in Genova in allora che un titolo d' onore. « Come « si prova cosi strana proposizione ? Uditelo : « I cit-' ce tadini innalzati a questa dignità , come Consoli del « Comune , erano capi del Consiglio , regolavano « gli affari politici di pace e di guerra ; portavano , « ove il volessero , anche in persona , le armi contro « i potenti , e formavano con essi leghe offensive e di- ce fensive. » Cosi , secondo la logica dell' Annotatore , regolar gli affari politici di pace e di guerra , far le- ghe ec. non è se non che un titolo di onore 1 A pag. 24 not. ( *** ) trovasi scritto : ce Foglietta , Istoria pag. ce 4o , ha tradotto in italiano suddetta donazione ( la- ce tina ) e convenzione. Speron Speroni , p. 33 1. ce n. 42. " Può forse un Genovese ignorare che il Fo- glietta compose latinamente la sua storia ? Chi non sa che Sperone Speroni , celebre letterato padovano , non iscrisse mai sulle cose di Genova ; e che 1' annotatore dovea citare Carlo Sperone ? Infelice è similmente il comiuenlare nell' Etimologia. Parla Caffaro all' anno t 122 de' Chiavari del Comune ( Clavigeri nella pretesa tra- duzione) ; e 1' Editore ci regala questa bella illustrazione : ce Erano i Clavigeri quei Massari che custodivano le ce chiavi del pubblico erario. La voce clavigeri bassi ce a dir derivata dal vocabolo latino clavus , Timone , ce perchè gli uomini aventi quella qualità , governavano ce e dirigevano il pubblico erario , siccome i timonieri ce la nave. " Noi avremmo pensalo che coloro i quali custodivano le chiavi fosser detti, Chiavari dalla voce clavis y chiave ; saremmo stati in errore ! Possano queste nostre schiette parole muover gli Editori a darsi maggior pensiero di questa nuova ri- stampa ; consid«raudo che non si onora , ma si offende la patria , e si fa oggetto di scherno , pubblicandone gli Annalisti eoa errori tanto grossolani e frequenti. 4o8 Del moto e misura dell' Acqua , trattato di Leo- nardo DA Vinci. Bologna , Cardinali e Frulli', 1828 , in 4*° con tavole incise in rame. Quantunque questo trattato faccia parte della Rac- colta di Autori italiani che trattano del moto dell' acqua ( forma la parte seconda del tomo X ) tuttavia ci crediamo in dovere di annunziarlo distintamente, punto non dubitando che gli Editori ne avranno fatto tirare degli esemplari a parte , onde satisfare alla bra- ma degli ammiratori di quel grandissimo ingegno del Vinci, ce L' opera ora per la prima volta vede la pub- « blica luce ( cosi al Conte Agucchi l' Editore signor « Cardinali ). Il manuscritto della suddetta esiste in « Roma nella Biblioteca Barberini , ed io ne ho potuto « ottenere una copia col mezzo del chiarissimo signor « Dott. Francesco Tassi Accademico residente della « Crusca , e già bibliotecario di S. A. I. e R. il Gran- « duca di Toscana. « L' opera è divisa in nove libri : 1° Sfera dell'acqua: 2. Moto dell'acqua; 3. Onde dell' acqua: 4- Retrosi (i) dell'acqua: 5. Acqua cadente: 6. Rotture fatte dall' acqua : 7. Case portate dall' acqua : 8. Dell' oncia dell' acqua e delle canne : 9. De' moiiui ed altri ordigni d' acqua. Vita di Alessandro I , Imperatore delle Russie e Re di Polonia. Livorno, Vignozzi 1827 in 12. col ritratto dell'Imperatore. La vita di un Sovrano potentissimo , che molto fece a render migliore la condizione de' suoi popoli , che tollerò le avversità con animo grande , e fu modesto nella ridente fortuna , meriterebbe d' essere descritta da un Plutarco o da un Tacito. Ma perciocché sì fatti (i) ce Retroso è impressione di percussione reflessa cir- ce convolubile dell' acqua fatta o Dell' acqua , o negli objetti ce dell' argine o del fondo, w Così Leonardo slesso uel cap. I. del lib. IV. 4o9 scrittori rado sorgono tra noi , appaghiamoci per ora di questo compendio ; essendo pur cosa dilettevole leggere la storia de' grandi avvenimenti dell'età nostra, ancor- ché rozzamente descritti. Ogni storia , purché sincera , è buona per colui che cerca la verità. Ma lo scrittore anonimo della vita di Alessandro è sincero ? Ne daran- no giudizio i lettori. Discours sur VHistoire univer selle par Bossuet ... avec la suite jiisqua Vaii 1700. Milan , Fon- tana, 1827 5 in ii4-° "^'ol' 3- Molti libri narrano gli avvenimenti | pochi ne mo- stran 1' origine e 1' ordine , e ne scoproa gli effetti. Tra questi pochi piacerai collocare la Scienza niiowa del Vico , la prima parte della V^erona illustrata del Maf- f«i , il Discorso del gran Bossuet sulla storia universa- le , le Antichità italiane del Muratori , ed il ragiona- mento del eh. Manzoni della condizione degl'Italiani sotto i Longobardi. E per dire alcuna cosa più distinta intorno al discorso del Bossuet, farò considerare che l'illustre Scrittore non presentò al suo real discepolo il compendio della storia universale che in esso discorso si contiene , se non che dopo d' avergli fatto leggere molte storie antiche e moderne (voi. i. pag. 4). L'im- mortal vescovo di Meaux non potea cader nell' errore volgare d' immaginarsi che i compendj della storia uni- versale sieno acconci alle menti de' fanciulli, o delle persone di poca levatura. Il ristretto giova a colui , che avendo già letta la storia delle principali nazioni , vuole trovarsi alle mani un libriccino che gliene ricordi l'e- epoche ed i fatti più degni di memoria. Ma pochissimi sarebber capaci di scrivere un buon compendio di storia universale 5 e se di tal proposizione si dovesse recare una prova , servirebbe la lettura della continuazione , che conduce il lavoro del Bossuet dall' anno 800 al 1700 j perchè dove nel grande Scrittore tutto è con- catenato e pieno , sto per dire , di vita , la continua- zione è in quella vece uà semplice registro di alcuni 4i» avvenimenti , che si leggono con tedio , e si dimenti- cano con prestezza. Decamerone di M. GiorJNNl BOCCACCIO nuova- mente purgato ad uso delle Scuole. Pistoia , 1825 , voi. 3 in 8." Lamaravigliosa prosa di M.Giovanni tanta forza sempre «bbe suir animo delle dotte persone e degli spiriti gen- tili , cbe sempre si dolsero di non poter porgere a gio- ■yanetti per la lubricità degli argomenti quel dolce e succoso pascolo di eloquenza , che d' ogni stile vi si ri- trova per entro a dovizia. Per la qual cosa in varj tempi molti valenti uomini s' accinsero a ripurgare il ©ecamerone da quelle macchie, che offender potreb- bono il buon costume , più pregevole- d' ogni coltura , e da prima il Gav. Lionardo Salviati , e ne' tempi a noi più vicini il Gorticelli , poscia il Bandiera spesero le loro fatiche in così fatto lavoro. Ma il Salviati , to- gliendo in assai luoghi ciò che era innocente , e in- altri aggiungendo o mutando ciò che , salvo i nomi , tendeva egualmente alla corruttela , non ne fece riu- scir cosa alla quale luto pede possano appressarsi i giovani costumati ed onesti. Il Bandiera rifece il fatto- dal Gorticelli , e 1' affogò in tante note , che ne rifugge- il giovinetto. Il Gorticelli , a nostro giudizio , tiene su- gli altri- la palma, e pregevolissima è la scelta eh' ei fece delle Novelle del Gertaldese , d'ella quale oltre alla Bolognese del i^5i più altre edizioni furono fatte, che ora non cosi facilmente si trovano. Parve al be- nemerito G. S. che alcun che potesse onestamente ag- giungersi a questa ancora, e con felice esito ne diede i due volumi da noi annunziati. Sono anibidue prece- duti da una dotta e sensata prefazione del Gli. Editore degna di essere maturatamente considerata dai giovani" studiosi e dai loro istitutori. A pie di pagina son col- locate acconcie e brevi illustrazioni delle voci e locu- zioni del testo , e della trattata materia ; le quali altre- soo; tratte dal Salviati,. altre dal Gorticelli, e molte- 4ri se ne leggono dell'Editore tnedesirao. Ond^ è che ì giovinetti amatori della bellissima nostra favella assai profitto trarranno da questi volumi. Molto plii proficua però potrebbe esserne la lettura , se 1' Editore avesse avuta 1' avvertenza di valersi delle note che il Ch. Ab, Colombo fece all' intiero Decameron e , la squisitezza e perspicuità delle quali non solo porge lume grandissi- mo al testo , ma serve altresì di buona scorta al ben* comporre. Serie dei testi di lingua italiana e di altri esem- plari del bene scrivere , Opera nuovamente ri- fatta da Bartolommeo Gamba di Bassano, Venezia, tipografia Alvisopoli, iSaS. in 4« Il nome del sig. Gamba è notissimo a tutti coloro che hanno in pregio gli studj delle buone lettere e della bi- bliogafia. A lui debbono gì' Italiani molti volumetti di scelte prose , usciti dalla stamperia ^Ivisopoli , eh' è proprietà del benemerito Editore :■ a lui una Serie di libri italiani , divisa in due parti j leggendosi nella pyima tutti quelli che si trovano citati nel gran vocabolario j e nella seconda molti altri che dovrebbero , o potrebbero almeno , ricever questo medesimo onore. Ma perchè in; tutte le varie parti dell' umano sapere ( tranne il Ro- manticismo ) si può sempre far meglio , il sig.Gamba noa ha sdegnato di recarsi nuovamente in mano la Serie ^. di emendarla e d' accrescerla , onde provvedere alla cu- riosità dei dilettanti , ed all' ammaestramento degli atu^ diesi. Perciocché non è vero quello che taluno va bucci- nando , non essere la biografia che un trastullo da oziosi , od un' esca a' ricchi ignoranti : essa giova specialmente alla storia lettei-aria , ed a frenare 1' avidità de' venditori di libri rari od antichi. E per dare un esempio del van- taggio che ne viene alla storia de' letterati., noL impa- riamo dal Gamba ( n. 178 ) che il famoso nostro P. La- gomarsino , il quale mostrava di essere tutto sepolto nella lingua latina, né scrivea mollo elegantemente in italiano,, aon ebbe a vile i padri della lingua ed eloquenza toscana ,, 4ta trovandosi un esemplare del Corhaccìo dì Messei- Giovan- ni da Certaldo collazionato da hii nella estate del 1748 con un idtimo testo a penna iu Firenze. Ma ne piace trascrivere in questo luogo un brano del cliiar. Bibliogra- fo , acciocché si conosca (pianto giovi la bibliografia a far meglio rispleiidere il merito degli scrittori: " Il eh. Spotorno ,, ( Stor. Lett, ecc. T. III. e. 76. ) nel parlare " dell' Interiano scrive (\\ h scrillor grave, prudente, " sincero, ne rozzo di stile. Egli si contenta di giudi - ■" care non rozzo di stile uno scrittore che a me pare " piuttosto conciso , e direi anche lezioso ; ed anzi , tolta " in questo libro la pessima interpunzione, tolti al testo " gli infiniti errori di stampa che lo deturpano , sembra - '' mi che meritar potrebbe d' essere riprodotto, e di " avere onorato posto fra le storie le più assennate. " Sia lode al cielo ! I dotti compilatori d' un foglio commer- ciale gridano che 1' autore della storia di nostra lette- ratura non sa far altro, che ricondurre alla luce del giorno e nomi e libri che doveano lasciarsi nelle tene- bre; e tra questi nomi tenebrosi non è dubbio che merita seggio distinto Paolo Interiano , giacché i sutlodati cona- pilatori vogliono ricacciar nelle tenebre Simone il Bo- tanico , il legislatore di Spagna Pagano , il Falamonica ., Paolo Centurione , S. Caterina , il B. Alessandro Sauli , Giov. Matteo Giberti , ed altri molti , che meritaron 1' at- tenzione del P. Spolorno , e che sono certamente più notevoli dello storico Interiano. Ma , sia detto con loro pacej ecco il dottissimo sig. Gamba pronunziare un giu- dizio assai diverso , gentilmente lagnandosi che 1' Inte- riano sia men lodato , eh' Egli non m.erita. Di cotal romantica (i) stravaganza di giudizj degni di essere stam- pati sui foglj d' awisi , ne daremo due nuovi esempj. Si rideva a gote piene da taluno per aver letto nella Storia letter. ligust. ricordarsi V indirizzo agli eco- nomi scritto dal Padre Angelo Pietra nel see. XVI; e (i) De' romantici si ha un dialogo nel fine dell' opera del chiar. Cav. Manno iatit. Ds' vizj de letterati. Merita d' esser letto. 4i3 per essersi tratto da un manuscrìtto il nome del piltor Botnbelli o de Bunbellis, che operava circa 1' anno i 5 16. Ma sappiano i belfalori , che V indirizzo , benché scritto da un monaco , e nel sec. XVI, fu impresso , non ha molto , con illustrazioni , a vantaggio degl' Impiegati nella ragioneria di Governo nel Regno Lombardo- Veneto , come potranno imparare dalla bibliografia dello Splitz , e dalla Bibl. Italiana ; e che il Bombelli comincia ad esser noto per due tavole da lui dipinte , che sono in Genova, ed hanno il nome dell' Autore 5 oltre l'essersi trovato descritto nell' antica matricola dell' arte pitto- rica , che per diligenza di chi scrisse la Storia di nostra letteratura si può leggere nell' anno 1.° del nostro Gior- nale. Prima di dar giudizio , e specialmente prima di schernire altrui , converrebbe far diligente esame delle cose ; e sopra tutto avere per fermo , che il cervel- lo di due o tre giovani , non è il senso di tutti gli uomini 5 e non bastare uè il mirabile Guerrazzi, uè 1' in- comparabi le Scott , uè 1' Eco , né il Journal des Mo- des ad organizzare la testa dell' uomo. Ed acciocché si possa toccar con mano quanto sia facile anche a' dot- tissimi , non che agli Studenti , Y erx-are in cose di sto- ria letteraria , e perciò quanto li convenga il leggere pri- ma di sputare sentenze, accenneremo conchiudendo, un errore dell' erudito sig. Gamba intorno all' Interiano. Parlando egli di Paolo lo storico, aggiunge alle parole qui sopra trascritte queste altre che seguono. " L' Inte- " riano è anche stato autore del curioso e rarissimo li- bretto intitolato F^ita de' Ziclii. ,, Ma 1' autore di questo libretto non è Paolo , sì Giorgio Interiano , di cui si hanno le notizie nella cit. Stor. Lett. Lig. ( T. IV. face. 164 e segg. ). Il sig. Gamba egli stesso , dandoci il ca- talogo de' viaggi stampati nella raccolta delRamusio ( n. 2228 ) scrive Giorgio , non Paolo. 4i^ ^' Signori Direttori del Giornale Ligustico. li sig. K ha fatto imprimere sopra d' un foglio (!orn- ìnerciale alcuni perche sulla pubblica istruzione, chie- dendone la risposta. Inurbanità sarebbe negargli sì fatto conforto. Laonde a voi ricorro , Direttori chiarissimi , perchè vi piaccia dar luogo nel vostro Giornale alla mia soluzione, che altro non è in sostanza se non se la di- fesa delle pubbliche scuole. Se crediamo all' anonimo K si vede sempre mol- tiplicare la razza degV Infarinati y dei Crusc1ie<^oli , de' Mevi e de' PauLilj ; ( poteva aggiungere , degli Az- zeccagarbiLgli cosi vivamente dipinti dal valoroso Man- zoni ) " e non appare indizio che possa venir suscitata " la santa semenza dei Galilei , del Colombo, dei Doria , " del Franklin, degli Waslnghton , del Fénélon ? „ Perchè ciò mal , chied' egli tutto costernato? E senza aspettare la risposta , pensa di averla felicemente sco- perta. Egli è , dice sul sodo , che a' nostri giovinetti si fa studiare la lingua latina, che più non si parla, e si A'uol che sappiano i supini e i deponenti ( io credo an- che 1 gerundj e 1 neuti'i ) , e si costringono a schiccherare periodi bimembri ( sto a vedere che si daranno periodi unimembri ) j e si ricordano in lor presenza Catone e Bruto. O vedete , eh' è sapere ! Ma state , Direttori or- natlsslml , eh' io mi credo d' avere trovato un' altra ra- gione del non venire suscitata la santa semenza de Galilei , dei Fénélon , e degli altri che il K suso ap- pella. Egli è che Galileo fu cruschevole , e cruschevo- lissimo il Fénélon nel Frullone di Parigi ; laddove certi studiami dell' oggidì abbrividlscono al nome di Crusca : egli è , perchè Colombo studiò in patria i supini e i de- ponenti di quella lingua latina , che più non si par- lava a' suoi tempi , ma che gli apri i libri de' viaggia- tori , degli Astronomi e de' Cosmografi: egli è, perchè Andrea Doria e Waslnghton , ammaestrati dall' Infelice sorte del Catone secondo e d<;l secondo Bruto , per aver- ne studialo la vita nelle scuole , non pensarono né a 4'5 Contratti Sociali , né a Governi ideali , ma cercarono di fare alla patria quel maggior bene , che allora si po- teva , spegnendo il furor delle p^rti , ed allontanando da' cariclii pubblici i giovani azzimati. Egli è che FranlJin antepose sempre 1' onesto all' utile , e meditò profonda- mente le cose, e prosando e riprovando, non già la- sciandosi portare al calore della immaginazione, fece teso- ro di nobili e nuove dottrine. Se il sig. K può dare alla studiosa gioventù 1' egregie qualità de' Galilei , de' Frank- lin , de' Colombo ecc. , sia certo , che vedrà suscitata la santa semenza di questi uomini gloriosi. Non sarebbe cosa sconvenevole , prima d' entrare a tener discorso della pubblica li^ruzione, leggere attentamente gli opuscoli del cel. d' Aguessaii. Né il Rollin si dovrebbe dimenticare. Chi oserebbe dire che cotesti due modelli di probità non che di dottrina , fosser Mevj ed Azzeccagarbuglj ? State sani, Direttori ornatissimij e continuate nel generoso proposito di lodare il vero ed 11 bello , e di combattere i pregiudizj e gli errori. A. d. V. Paolo Amedeo GIOV ANELLI Prev. di S. Don. Revis. Are. V. Si permette la stampa. Marchese ROVERETO di Riva azzano Sen. Rev. per la Gran Cancelleria. 4tG INDICE. Scienze. Osservazioni sul Vaccino , Varice Ila e Vajuolo con- temporaneo Pag- 3i5. , Relazione del Sig. Francesco Riccardi fu Carlo sopra lo sfasciamento della Mum- mia regalata dal Sig. Bella al Museo di questa R. Università . . . .... « 3*7.1 Osservazioni geognostiche e mineralogiche sopra i monti che circondano il golfo della Spezia, di Girolamo Guidoni , so- cio corrispondente dell' I. R. Accademia dei Georgofili , e della Società Toscana di Geografia , Statistica , e Storia Na- turale Patria , presentate insieme ai saggi dei Minerali dei monti medesimi alla Società stessa nelV adunanza del vtS febbrajo 1827 « 33S. 1 Letteke. I Regali della Natura , Trattenimento ac- cademico per la distribuzione de' premj agli alunni delle Scuole pubbliche di Genova l' anno 1828 343 a 364» 1 Lettera quinta sulla Predicazione ... « 365. , Piacevoli Poesie inedite di .Antonio Ce- sari , « 371.1 Delle Isole Canarie , monumenti d'un ma- noscritto autografo di Messer Giovanni Boccacci da Certaldo , trovati ed illu- strati da Sebastiano Ciampi . . . . « 373.1 Storia della Letteratura antica e mo- derna di Federico de Schlegel , tra- duzione dal Tedesco di Francesco Am- hrosoli « 379. 1 Belle Artt. Esposizione dell' Accademia Ligustica . « 386. , Novelle Letter^ìjìie 396 a ^i^.ì ir'vuS cu Òciai/rc'; Aelte^e, c^O JbvLi. ^\ Hoc opus , hoc studium parvi propercmus, el ampli , Si palrix volumus , si noLis vivere chari. Hor. ANNO II. ■ FASCICOLO V. t7e//c/?i/'re e 0//o/'/'e -/SsS. ,,;,;;•-■;, c^^ GENOVA Piazza Nuova N." ^Z. 4^9 Relazione del sìg. Fr. Ricardi sopra lo sfa- sciamento della Mummia regalata al Museo della Regia Università. ( V. Fase. 4.» ) Spiegazione de' segni geroglifici espressi sulle due casse interna f ed esterna della Mummia. La cassa interna , nella quale slava rincliiusa la Mum- mia , presenta una donna vaga , ed avvenente , che ha un velo di color celeste sul capo , di cui le estremità le scendono da ambi i lati sul petto , e sopra questo velo un altro ve n' è di color giallo , che le circonda parimente il volto al di sopra , e dai due lati. Questi due veli sono ritenuti sulla fronte da un nastro giallo, che le stringe il capo in giro , e che contiene dei qua- drati di color celeste, aventi in mezzo un piccolo cir- colo di color giallo , e tre lineette attigue , due di color celeste, ed una In mezzo di color rosso. Ora osservando noi , che il velo è il segno simbolico , e proprio di cosa misteriosa , il quadrato quello della perfezione , il cir- colo quello della Divinità , e le tre linee perpendico- lari quello delle tre Sublimità , possiamo con ragione asserire , che questi segni sono i simboli di una persona iniziata ai misteri delle tre Forze divine , e perfette , che regolano e mantengono 1' universo , chiamate dagli Egizj Osiride , Iside , ed Oro. Questa stessa opinione viene anche confermata dall' altra figura di questa donna dipinta nella cassa interna di legno di Sicomoro , avente sul capo il modio , ed il serpe Ureo sulla fronte , e sopra del modio una sfera attorniata dal serpe , ed inchiusa fra due corna ,* em- blemi proprj , e particolari , della Dea Iside , ed indi- canti , che la persona adorna di questi segni è iniziata ai misteri della Dea. Questa figura di donna pinta sulla cassa interna ha 420 in giro al collo un monile a varie file di diversi co- lori, verde, giallo, rosso, e nero, od lia il corpo av- volto, come quello di un bambino stretto in lascie ; simboli tutti , che ci avvertono essere questa la fìi;ura di un Ente mistico , e particolarmente protetto dalle tre mistiche Forze adorate in Egitto , ed espresse chiara- mente sul corpo di questa donna. Questa medesima figura di donna ha sul petto un animale mistico , avente la testa d' asino con velo dalla parte posteriore , uu globo di color giallo sopra il ca- po, due grandi ali spiegate, una da un lato, e l'altra dall' altro , piedi d' aquila , co' quali tiene un piccolo globo di color rosso , attorniato dal serpe Ureo , ed una iscrizione, che dice: Forza immensa, itìjìnita,e divina, che regge stabilmente, e regolarmente V u- niverso. Sotto , e dai due lati di questo animale mi- stico , vi sono tre figure a corpo umano , aventi la lesta di animale , la prima dalla parte sinistra ha quella di cane col modio al di sopra , ed una iscrizione in- nanzi , che dice : Forza immensa , ed infinita , che il popolo adora , come una delle tre Forze uni- versali , e quella che mantiene stahilmcnte V wii- i^erso ; la seconda pure dalla parte sinistra , ed ora mancante di capo , ma che doveva sicuramente essere quello di un asino , ha innanzi una iscrizione , che dice : t/na delle tre Forze universali , che regge il mondo ; la terza , posta dalla parte dritta , ha la testa di Scia- cai , ed ha innanzi una iscrizione , che dice : Forza immensa , ed infinita , che il popolo adora , come una delle tre Forze universali , e quella che man- tiene r ordine nelV universo. Queste tre teste di ani- mali , poste su di un corpo umano , esprimevano i tre principali attributi , la fedeltà , la costanza , e la vi- gilanza del Dio Osiride, e lo qualificano per quella Forza universale , che fedele , costante , e regolare mantiene V ordine nelV universo. Sul ventre della stessa figura di donna vi è dipinta un'aquila con grandi ali spiegate, avente sul capo un globo attornialo dal serpe Ureo , la quale liene con 4^1 Ognuno dei due piedi un piccolo globo di color rosso , pure attorniato dal serpe; due consimili fiijure di aquila , una dal lato sinistro, e 1' altra dal destro , \i sono ritte su di un piccolo trono , aventi innanzi lo scettro a testa di Sciacal , il globo attorniato dal serpe , ed una iscri- zione , che dice : Forza immensa , infinita , e divina , che regola, e mantiene costantemente l' imiverso ; ed al di sotto di queste misticlie figure , due occhi , e due iscrizioni , che dicono : Questa e una delle tre Forze universali , e spirituali , che regolano , e mantengono con sapienza l'universo , e proteggono il governo , il quale le adora, come Providenza universale (T Occhio d' Iside ) ; emblema della Dea , e probabilmente espri- mente anche il nome proprio di questa donna , delta OlNlSiS. Lungo il ventre , e sulle gambe della stessa figura di donna , ritti su di un piccolo trono , vi sono due serpi Urei , uno a sinistra , e 1' altro a destra , con coda ri- torta, grandi ali spiegate, e globo di color giallo sul capo , e dalla parte interna di ognuno di essi , il globo attorniato dal serpe , e due iscrizioni , che dicono : Forza immensa , ed infinita , che regge , e mantiene l universo ; e sotto questi due serpi un'altra iscrizione, che dice : Questa è una delle tre Forze universali , e spirituali , che dà l' intelletto , e T eloquenza ai go- vernatori delle nazioni , ed a coloro , che in qualun- que parte del mondo venerano V Occhio d' Iside. Le qualità attribuite a questa terza Forza universale , di dare l' intelligenza agli uomini , e proteggere i governi , sono quelle che si attribuivano al Dio Oro , il quale viene qui rappresentato sotto le forme di serpe L'reo , e dal globo attorniato dallo stesso serpe posto sul suo capo ; emblemi che sono il simbolo della divina Sa- pienza. Al di sotto delle tre sessioni del corpo di questa donna , delle quali la prima ci prosenta il Dio Osiride co' suoi principali attributi , la seconda la Dea Iside co' suoi principali attributi , e la terza il Dio Oro co' suoi prii)cipali attribuii, vi sono due Sciacal di culor 422 nei'O , fuggientl all' ingiù , sopra eie' quali si vedono due serpi uniti dalla parte della coda , e formanti un semi- circolo, ed un sistroj simboli questi indicanti, che questa donna è già passata nel seno delle divine Forze sapien- ti , che mantengono 1' ordine universale ; cioè a dire , che essa fu dopo morte accolta nel seno delle tre Forze immense , ed infinite , ai misteri delle quali fu iniziata , allorché ella visse. In mezzo di questi due Sciacal , e dei due gran serpi Urei della terza sessione , vi è una lunga iscrizione del tenore seguente : Spiegazione , ed analisi dei geroglifici della fàscia , che dal ventre scende fino ai piedi della donna. Molto stimata .... Triangolo con angolo superno acuto fu . , Segmento di sfera ed onorata Ramo a foglie fra le persone distinte . . Barra su cui altra piccola si in- nalza Fu una delle perfette , . . Quadrato , segmento ed iniziate donne , . . . Fascio di verghe legato che adorano la Previdenza Occhio, Adoratore, Aliare (Iside) sugli altari j . e la fanno eoa ferma costanza Braccio sulla cui mano vi è un adorare triangolo , serpe dalla classe delle persone di- Barra, su cui altra piccola si stinte innalza Fu una delle perfette , . Quadrato , segmento e sante donne , che rico- Serpe posto su di tre altri nobbe le tre Forze sapienti. più piccoli serpi e della classe degi' iniziati , Faccio di verghe legalo la quale adorò 1' Occhio d' I- Occhio , Adoratore side per lo spazio Due lineette di quarantacinque . . . Cifra del num. quarantacinque anni Specie di triangolo aperto al di sotto e per il corso .... linea orizzontale di mesi tre Mezza luna con tre lineette sopra che ella fu in vila . . . Asia con bandiera spiegata Ma fu poi la spirituale , mi- Segmento, uccello senza capo stica Sapienza , la quale governa Piuma , serpe L' universo , Piuma rovesciata con oncino so- pra che la chiamò nel suo beato Bocca , uccello con la squadra seno j sul dorso perchè fu una della classe Fascio di verghe legato, ed at- delle persone sante , ed ini- traversato da un serpe in for- ziate ma di semicircolo durante il corso di anni 45 , Cifra del numero 45, Sole e mesi tre , Triangolo , Luna e perchè essa adorò la Provi- Occhio , Adoratore denza ., Esatta spiegazione , ed analisi dei geroglifici dipinti sul coperchio della cassa esterna di legno. Molto stabilmente . . . Tetraedro, figura la piìi stabile. Senso tropico. elevata Angolo superno acuto. Idem. tu Segmento di sfera appoggiato su di una linea orizzontale. Senso enigmatico. e molto eminente . . . Ramo a foglie. Alleg. Vittoria. Id. fra le persone distinte . . Barra piccola che si leva su di un'altra orizzontale. Alleg. Chi s' innalza sul popolo. Id. Perfetta Quadrato, figura perfetta, Xro^. fu Segmento di sfera. Porre , Es' sere. Enig. fra la classe degli iniziati . Fascio di verghe legato. Id. ai misteri della Dea Iside, . Occhio. Alleg. Vigilanza, Pro- videnza. Trop. la Dea Iside. ì quali la adorano , . . . Figura umana seduta con gi- nocchi alzali , velo , e fiocco e la fanno adorare ... di barba. Senso proprio» sugli altari Aliare. Idem. \ timori ed errori . . . Animale del genere dei sorci. Trop, grossolani , ..... Segno di cosa grossolana. Enign che erano Segmento di sfera. Idem. 4^4 nei governanti, e che nel pò- Piuma riita attraversala da una polo linea. Jd. vigevano Asta con bandiera spiegala, hi. con grande ostinazione . . Braccio. Id. fra le persone distinte . . Piccola barra , che si leva su di altra. Enig. ella svelse Segmento di sfera rovesciato , senso opposto all' altro. Id. Stabile , e costante . . . Tetraedro. Id. Ella fu , e mantenne . . Segmento di sfera. Id. il santo timore .... Sorcio con due puntini sopra. Trop. di Dio immenso, ed infinito . Sfera con croce nel mezzo. £nig. con fermezza , .... Braccio col tetraedro sulla mano. Id. e saviezza Serpe. Id. fra le persone distinte . . Piccola barra , che si leva su di altra. Id. Perfetta fu Quadrato , segmento. li. nelle nozioni delle tre Forze Serpe sopra tre altri piccoli, sapienti, . . ., ., . Trop, e del culto . . . .^ . Candeliere con candela. Enig. dominante , Bastone con cima ritorta. Id. e vigente Asta con bandiera spiegata. Id. delle tre Sublimità . . . Tre linee dritte , sfera. Id. 11 numero degl'iniziati ai mi- Fascio di verghe legato. Id, steri fu molto esteso nello Stato . Due linee orizzontali , segmen- to. Id. e con santo timore perfetta- Vaso con un sorcio a sinistra , mente fu venerato il culto e sotto un c£uadrato. Id. delle tre Sublimità che reggo- Tre linee attraversate da una no, e mantengono l'universo barra. Id. Cosi furono queste Forze spi- Segmento, testa di uccello. Id, rituali molto, e grandemente venerate Due bastoni biforcati nel pie- de. Id. dalla nazione .... Lìnea ondeggiante. Id. e dagl'iniziati ai misteri; . Fascio legato , da cui pendono due linee. Jd. E cosi fu esteso il numero . Lìnea orizzontale, segmento. /e?, degl' iniziati ai misteri . . Tcsia umana con benda in giro alla fronte. Id. 4^5 durante lo spazio . . . Due lineette perpendicolari. /. Vi sono stati però, e vi sono ancora dei Geologi , che considerando gli Appennini come una semplice dirama- zione delle Alpi , u come una sola montagna ed una 29 434 sola formazione , chiamarono tutti secondarj i gioghi elle dividono r Italia , dalla Liguria sino al regno di Na- poli, Chi però osserva attentamente le Alpi Apuane po- trà chiaramente convincersi che non hanno alcun legame col restante degli Appennini , e danno origine ad una formazione speciale. Dalle Alpi Apuane come centro do- vrà cominciare i suoi studj il Geoguosta per poi scen- dere a conoscere i terreni interniedj , i secondar] , ed i terziari che si presentano in più luoghi della Ligm-ia , della Toscana ^ e del Ducato di Modena, Fa maraviglia come il celebre Brocchi ( vedi Conchiologia Fossile Su-' bappennina'), che riconobbe come intermedie molte delle montagne della riviera orientale di Genova , e forSe quelle istesse del Golfo , e di molti altri luoghi del Luc- (^hese , e della Toscana , non abbia poi voluto conside- rare qual calcareo primitivo il marmo di Carrara , di cui le montagne vicine non sono che un seguito, e da questa formazione intieramente dipendenti (3) , Per partire noi dal punto dal quale sembra che la natura abbia voluto dar origine alle montagne del Golfo incomincieremo dal Capo-Corvo come il luogo pivi inte- ressante pel Geologo , e direi quasi , la chiave della for- mazione di queste montagne. Anderemo analizzando le due sponde seguendo 1' esemplo dello Spallanzani ( vedi lettera citata ) j «^ Quivi è dove un Fisico indagatore , «e dice egli , adagiatosi in qualche navicello sul mare , « quando non é agitato dai venti , e tenendo gli occhi « fissamente rivolti a questi due lati , può soddisfare con né alla particolarità 444 delle linee , doveva essere il fondamento di queste in- stituzioni. Questa parte importantissima era già stata egregia- mente eseguita dal chiar. Professore E. Giamboni , che profondi studj , e 1' esercizio dello insegnamento in il- lustre Università , rendevano atto egregiamente a sod- disfare all' uopo ed al desiderio degl' Italiani. E per- ciò i Compilatori del Corso non avevano a far altro , se non se a ristampare 1' opera in due volumi di quell' egregio Matematico , che ora si trova in Parigi per as- sistere de' suoi lumi il traduttor francese , che vuole comunicare alla sua nazione le fatiche dell' Italiano. Nel voi. i.° si trova 1' Algebra con le sue applica- zioni aritmetiche : nel a." la Geometria elementare trattata analiticamente , resa cioè dipendente dall' Al- gebra , onde servisse d' anello di congiunzione colla Geometria a due e a tre coordinate , che formano il 5.° e il 6° volume del Corso già usciti alla luce , colla traduzione della Geometria analitica del valoroso sig. Bourdoa. A giustificare la scelta de' nostri Compilato- ri, ed a far conoscere 1' ordine , la chiarezza , la bre- vità e la stretta connessione , che regnar debbe nel Corso da loro proposto , gioverà qui addurre le nozioni premesse dal eh. Giamboni al i." ed al 2.° volume de' suoi elementi. et Chi conosce le difficoltà di trattare gli Elementi della scienza dell' esattezza con metodo affatto nuovo , anziché disapprovare che da noi si ritocchi con più ordiine e precisione ciò che già si disse nell' incomin- ciamento del i.' tomo, e del complemento, resterà sorpreso a ragione del nostro impegno per un travaglio quanto necessario e laborioso , altrettanto non conosciuto e mal corrisposto. — E quantunque a molti Elementisti siano sembrate di poca importanza alcune nozioni pri- mitive degli elementi di Matematica , pure è certo che dal concepirle in un modo inesatto ed incompleto , ne deriva sempre una funesta influenza in tutto lo sviluppo della scienza. Certamente può dirsi a ragione che tutte le difficoltà della Matematica adulta derivano dal non 445 ' essersi sviluppate al)bastanza quelle eh' essa presenta fino dalla infanzia. j> ce È di qui che le voci unita' , rapporto , numero , quantità' , GRANDEZZA , MISURA , UUmeTO INDETERMINATO , SEMIDETERMINATO , e DETERMINATO : VALORE NUMERICO delle lettere , a, b, e , d, Istituzione decadica dei numeri semideterminati i, 2,3,4» • ALGEBRA , ARITMETICA ; CALCOLARE , ANALIZZARE : FORMOLA , MATEMATICA j questc voci , dico , perchè non precisate con chiarezza in quanto al loro significato nella prima lezione , presentano poi ai Principianti una difficoltà che va a riprodursi in seguito ad ogni passo. ce L' unita' , germe , elemento radicale dei numeri e perciò della Matematica , è cosi semplice nella sua per- cezione , da rendersi ribelle ad ogni definizione. ce Contentiamoci perciò di dire : che V unità astratta , ossia di specie indeterminata , è un elemento privo di ogni associazione di altri elementi consimili, e che V unità concreta 3 vale a dire di specificata natura ^ è un individuo il più cognito per abitudine. et E in nostro arbitrio il concepire uno di siffatti in- dividui. Fissato che siasi , viene riguardato come inva- riabile , e per mezzo di esso si esprime il valore di quel tutto di cui è parte. ce Si scorge di qui , che 1' unità concreta deve soddi- sfare a due condizioni : dev' essere cioè della medesima natura di quel tutto di cui è parte : e , nella classe degli elementi del supposto tutto , dev' essere il piii noto per abituai cognizione. Cosi, trattandosi, a ca- gion d' esempio , di determinare un peso , 1' Elemento di misura, dev'essere della specie dei pesi, la gran- dezza del quale venga espressa dalla familiare abitudine di concepirlo. ce Con questa unità confrontando il dato peso (ciò I che dicesi misurare"), viensi a conoscere quante volte 1' unità medesima in quello contengasi. «e Per tal maniera altro non si è fatto che determi- nare il RAPPORTO del peso proposto colla sua unità di misura. 44« te E siccome il detto rapportò non risulta ctié clàll* aggregato o numero delle unità , cosi pure il numerò si scorge essere uà aggregato di unità , a di parti eguali dell* unità; onde si concepisce facilmente là possibilità del suo crescere , e del suo diminuire per gradi assegnabili, « Siegue di qui , clie la qtjamtita' , la Grandezza , ri- guardate soltanto nella loro generalità , come capaci di crescere e di diminuire per gradi assegnàbili ^ siano 4ue sinonimi della voce nùmero. « Se ci limiteremo a considerare in un numero 1' ag* gregato delle Unità , O delle parti della Unità , senza esigere che venga posto in evidenza uè da (fuantì in- dividui venga costituito il numerò , né la specie di ciascuno di essi , sarà allora che questo numero lo chiameremo! indeterminato. Così , per esempio , un cu- mulo di monete j del quale non sappiasi né il quanti- tativo delle tinità ivi riunite , né la specie di ciascuna , lo riguarderemo come numero indeterminato. « Che se Verrà posto irl evidenza il suo quantitativo i ignorandosi tuttora la specie, o viceversa; sarà allora questo nostro tiumero semidetermìnato. Così , Se ci fosse noto quante siano le unità del riostro cumulo di mo- nete , ignorandosene però la Specie j ovvero si cono- scesse la specie , senza sapersi quarite esse siano , è allora che questo numero di monete sarebbe per noi seraideterminatOi Similmente le linee ^ le superfìci e le solidità , nel genere delle estensioni , verranno da noi riguardate dome numeri semideterminati , de' quali s' ignora il rapporto colla unità di confronto ^ sebbene ci sia nota la loro specie* « Finalmente passerà il numero ad essere tEXERMWATò allorquando , oltre esserci noto dà quanti individui Venga costituito j si conosca p\ir anche di ciascuno là specie. ce Fissata là distinziotte dei numeri in indetertnitiati > semideterminati , e determinati , facciamoci a rintrac- ciare r indole di quei simboli , o cifre che , per con- venzione , si volle che esprimesstro in un modo sen- ^^1 isìbìle e permanente questo trìplice carattere dei nu* meri. « I numeri indeterminati , de' quali s' ignora qua! si- stema concorra alla loro formazione, dovevano farsi rappresentare da simboli , o cifre di una configura- zione affatto arbitraria. Furono a ciò destinate le lettere a, b ^ e, . . . a , ^ , 7, .,.* dei due alfabeti latino e greco , attesa 1' abitudine già contratta fino dalla puerizia di riconoscerle. Ora , essendosi conve- nuto di annettere a queste lettere il significato di mol* tiplicità indeterminata , riguarderemo perciò tali lettere come numeri indeterminati , e indipendenti V uno dall' altro. « Osserveremo bensì in questo luogo che le Indicate lettere vengono talora adoperate per rappresentare an- cora e i numeri semideterminati , ed i determiilati } ma ciò deve sempre avvertirsi. « Per esprimere i numeri sémideterminati convenne rintracciare simboli tali che rendessero, in certo mo- do , sensibile V assegnata ripetizione dell' individuo medesimo. « A rappresentare l' unitk fu destinata la cifra 1 , e colla successiva distinta e sensibile ripetizione di qiie* sta cifra i ( almeno cosi ci è giovato supporre nella nota del tom. i." p. ii ) si formatone altre otto cifre primitive ,a,3,4> ^Qo alla cifra 9 inclusl- tamente. ce Se il successivo crescere de* numeri sémideterminati si fosse voluto accompagnare colle variazioni delle ci- fre , sarebbero mancati i mezzi per poterle tutte rap- presentarci Era dunque necessaria una convenzione di compenso che , fondata sopra principii quanto semplici altrettanto filosofici , ci abilitasse ad indicare qualun- que unione di unità coli' uso delle sole nove cifre elementari , e dell' altra o , che enunciasi zero ; il che indica la privazione delle unità , e delle parti dell' unità. « Per ben conoscere la natura di questa convenzione leggasi la pagina io, 11 ,...,., del t,* i,**, e si 448 vedrà che un qualunque numero semicletermlaato , nell' adottata maniera di scriverlo , rappresenta colla sua prima cifra posta a destra dello scrivente , le unità semplici; colla sua seconda cifra, andando da destra a sinistra , le unità dieci volte maggiori di quelle della prima cifra j colla sua terza cifra le unità dieci volte maggiori di quelle espresse dalla seconda ; e così suc- cessivamente. A questa legge , a cui si sono sottoposte le unità delle consecutive cifre dei numeri nella loro formazione , si dà il nome d!, istituzione decadica. « Dei numeri determinati poi viene indicatala specie o con segni particolari , o con lettere iniziali delle pa- role che esprimono la specie medesima. « L' ALGEBRA è la Scienza dei numeri. Colle sue re- gole , intendendosi effettuate alcune operazioni sopra i simboli numerici , indicate con segni convenzionali ,. veniamo abilitati a conoscere i numeri igaoti mediante i cogniti. « Le regole algebriche , applicate alle cifre dei nume- ri semideterminati , ed associate colla legge decadica , costituiscono ciò che per noi s' intende sotto il nome di volgare Aritmetica. «e Dalle medesime regole , applicate alle dimensioni della estensione riguardate come numeri semidetermi- nati , e combinate collo sviluppo di quei principi che sono esclusivamente inerenti alla natura delle grandezze estese , facclam noi risultare la Geometria elementare trattata analiticamente, « Nella effettiva esecuzione delle addotte regole con- sìste ciò che , comunemente , s' intende per Calcolare. « Con la voce analizzare vogliamo , generalmente , intendere V uso dei principi già ad evidenza dimo- strati y e degli assiomi ( cioè delle verità così evi- denti da non ammettere dimostrazione ) per risol- vere i quesiti, e scoprire le ignote grandezze, roporzi(»ue. 4^2 A' : B' : : m' : n^ , ]a quale ci farebbe conoscere il rapporto approssimati-' »'o fra due qualunque estensioni A' e /?' , benché in- commensurabili Ira loro. ce L' estensione incommensurabile A' si chiama limite dell' altra estensione e' X m' , perchè questa non può giungere ad eguagliare A' , benché vi sì approssimi sem- pre più. « Che se V estensione e' vien chiamata Variabile , per- chè può accrescersi o diminuirsi all' infinito , dovre- mo al contrario chiamar Costante l' estensione e la quale si suppone che^ conservi sempre lo stesso valore. « Ciò posto , supponiamo che fra due estensioni co- stanti a , b , e due estensioni 'variabili x , jr regni la relazione di eguaglianza fl + X = ^ + j . . . . (Oj allora , io dico , che le costanti dovranno essere se- paratamente eguali fra loro ; e che debba perciò es- servi ancora egualianza fra le variabili , cioè che debba aversi a z=z b co. x zzz y. « Infatti , se volesse supporsl che vi fosse fra le costanti a e b una differenza costante d, questa ci darebbe a — b =: + d . . . . (2). « E siccome 1' equazione (1) della nostra ipotesi ci dà a — b z=. y — X . . . . (3) , perciò 5 eguagliando i secondi membri delle equazioni (-ì) e (3) , dovrebbe ancora aversi y — X = ± d . . . . (4). te Dunque , fra le variabili ancora vi sarebbe una dif- ferenza costante d. ce Ma ciò è contrario alla ipotesi che le estensioni va- riabili X , y possano ricevere un qualunque valore tanto pìccolo da rendere la loro differenza d minore dì qua- lunque numero che possa assegnarsi. Non potrà dunque nò anche ottenersi a — b ■=. _^ d,oa:=zb-^di perciò dovrà aversi , come si disse , a :=z b , eà X =^ y . . ■ ■ (5). et Stabilito questo Principio 5 che chiamejremo Dei Li- 453 MITI , del quale ci prevarremo in luogo del priìicipio di riduzione alV assurdo che era il solo degli anliclii , come lo è ancora di molti Geometri eleraentisii ; ver- remo abilitati a fissare ancora V esistenza di rapporti fra le estensioni incommensurabili tra loro, ce La dottrina dei rapporti fra le estensioni , delle proprietà delle loro figure , e della loro posizione nello spazio è ciò che chiamasi Geometria. « Il 3.° tomo del Corso ha per titolo , Introduzione alle ^rti. Trovandosi qui unite quelle parti staccate che potrebbero turbare la connessioae del Corso , cioè le costruzioui geometriche , le frazioni continue , i lo- garitmi nella loro totale estensione , le due Trigono- metrie ec. ec. non che un ristretto delle sezioni coni- che a cono retto , vien giustificato il suo titolo , servir potendo d' introduzione alla Fisica ed alle Arti ra- gionate. Premesso questo 3." volume , potè a buon dritto il 4.° ( che ha per titolo — Introduzione al Calcolo , parte algebrica ) andare esente da quelle materie estra- nee , che uè turberebbero 1' ordine ; e può nitidamente presentarsi agli studiosi, diviso in tre parti: i." Teoria generale dell' Equazioni : ?.. Applicazioni di questa a' problemi generali : 3. Dottrina delle Serie. Desideriamo che le nobili fatiche del Prof. Giambo- ni, e le premure lodevoli de' Compilatori del Corso , giovino ad avvivare nella gioventù italiana il desiderio d' ammaestrarsi nelle Scienze esatte , come certamente gioverà il Corso stesso a farne loro lo studio più evi- dente , più compiuto ed agevole. 454 J_J articolo, con che diamo principio alla Classe Lette- raria del presente Numero , recherà ai nostri fogli tanto più di decoro , e tanto maggior diletto a' nostri let- tori, quanto più va sceniaudo a' di nostri in Italia la schiera de' famosi letterati , alla quale appartiene chi lo distese, e a noi ne fece liberal dono. Ognun com- prende essere questi il chiarissimo sig. Ab, Michele Co- lombo , al quale intendiamo di render grazie infinite de' bei lavori , onde fa andare adorni i nostri fascico- li. Il nome dell' illustre Autore , e 1' articolo stesso ci dispensa dal dirne di vantaggio agli amatori delle buone lettele italiane e 4ella bibliografia. ( Gli Editori. ) ho Scisma d Inghilterra e le altre Operette di Bernardo Davanzati Bostichi gentiluomo fiorentino, con un discorso di FRANCESCO Mori sopra la vita e gli scritti dell' Autore , prima edizione sa,nese più completa di tutte le pre- cedenti. Siena, dai torchi di Pandolfo Rossi ^ly insegna della Lupa, 1^28 in 8.° iVJerìta molta lode il sig. Rossi per aversi preso il pensiero di ristampare queste Operette onde agevolare ^gli amatori delle lettere il modo di procurarsi un au- reo libretto divenuto oramai non agevele a rinvenirsi , quantunque se ne sieno fatte parecchie impressioni : né iniqor l«pde gli si deve per averne fatta un' edizione nitida , corretta , e per più riguardi pregevole. Sono da tenersi in gran conto tutte queste Operet- te , in cui r Autore ha mostrato molto sapere , e pe- scato a fondo nelle materie eh' egli ha trattate , tutto phe r abbia esposte qoa la solita sua brevità. In eia- 455 scuna d' esse osservasi (dice un valente scrittore (i), !cc maturità di giudizio , scelta di erudizione , perizia « *oon ordinaria de' pubblici e de' privati affari, pre- ce fondita di pensieri , e la più squisita proprietà del « materno idioma » . Ad ogni modo lo scisma d' In- ghilterra più celebrità s' è acquistata che le altre. Non è questo un lavoro originale del Davanzati , come comunemente si crede; ma un volgarizzamento alquanto libero fatto da lui , d' una parte dell' Istoria Latina del medesimo Scisma , scritta da Nicolò Sande- ro , e impressa la prima volta in Roma nel i586. Ciò non era ignoto ad Apostolo Zeno , il quale in una delle note eh' ei fece alla Biblioteca della eloquenza italiana di monsignor Fontanini cosi scrive : « (2) Credesi che « questa brieve Istoria sia anzi opera di Nicolò San- « dero , che la scrisse in latino , che del Davanzati , « il quale la ridusse in compendio nel suo idioma fio- te remino j>. Ma più chiaramente, e con maggior esatr tezza cel fa sapere il medesimo Davanzati , il quale nel Codice Autografo 4i questa operetta , posseduto dal Manni , e passato dipoi nella Biblioteca del Bali Far- setti in Venezia , cosi nel fine avea scritto di propria mano : « Ne' primi cinque libri di Cornelio Tacito feci « una sperienza , che la lingua fiorentina può dire i ce medesimi concetti di quello scrittor brevissimo più ce brevemente. Ora , siccome altrui giova di ben fare , niera d' afTcllo raccolti in solonni aclunanzc o in nume- rosi conviti. Il canto animato dalla danza e da musi- cali strumenti esercitava sui circostanti un maraviglioso imporo , e quasi per ima certa ispirazione volgeva il poeta le menti e i cuori a suo talento. Questa si è quella poesia , di cui diceva il gran Savonese esser te- nuta a fare inarcar le ciglia. A lei debbono le più ri- nomale nazioni gran parte di cpiella civiltà e di quella gloria a cui si videro salire da tanta rozzezza e da così fieri costumi , che 1(; deturpavano in prima. Ne germo- gliarono poi le arti e le scienze , e , trovata la scrittura , si distinsei-o le varie produzioni degli ingegni. Da ulti- mo la poesia stessa venne disgiunta dalla musica sua natm'al sorella. Quella spezie però , che più lungamente si mantenne in unione , si è dessa appunto quella onde qui si ragiona , e che più ritiene del primitivo fervore. Per la qual cosa tanto più malagevole riusci a' poeti il coronai-si di così fatto alloro , in quanto che il loro in- gegno e la lor fantasia dovea imprimere tanto di forza e di splendore alle misiu'ate parole , che non si facesse in certo modo sentire la mancanza della musica. Quin- di gli ardimenti , le irregolaritk , e quasi direi stranezze di questa fatta di composizioni , e quindi anche lo scarso numero de' veri e degni lirici in ogni più eulta nazione. Ad Orazio stesso parca toccare il cielo col dito , se era annoverato tra cjuesti poeti. Ognun compren4e che non di tutti 1 soggetti che possono competere alla poe- sia lirica , ma qui s' intende di favellare soltanto de' più sublimi , quali sono gli ei'oici , e quali son quelli trat- tati nelle sue Odi dal nostro Patrizio. Imperciocché a noi non sembra ragionevole la opinion di coloro , i quali confondendo le idee delle cose , fanno ogni genere di poesia consistere in un cotal comune slancio , a cui mal si possa resistere da chicchessia , non conoscendo che sotto il solo genere della lirica molte spezie sono comprese , 1' una differente dall' altra , i cui soggetti e il ani stile sono per conseguente differenti anch' essi j cose tutte notissime a chi abbia alcun poco rivolte le carte degli eccellenti maestri. Chi dirà essere inezia la Go- 477 lomba di Anacreonte , perclocchò non è un' Olimpica di Pindaro ? O egli era un cocomero il Venosino perchè cantò di Lalage e della Fonte Blandusia ? Né ciance canore vergava Messer Francesco quando non ripren- deva i Signori d' Italia che poco vedessero e paresse lor di veder molto , o quando non confortava uno Spir- to gentile a por mano in quella venerabil chioma. Chi leggera il Gravina , il Tassoni , il Zanotti , o pure il Ginguené e lo Schlegel , vedrà quale e quanta difFe- reiiza passi tra 1' antica e la moderna lirica nella sola specie ei'otlca. E se non temessimo discostarci di troppo dal proposito nostro , saria questo il luogo di distin- guere in grazia de' giovani inesperti quali sieno quegli slanci , che può ammetter la lirica meritevole di que- sto nome , da quelli onde rimbomba quell' altra chia- mata dallo Schlegel della disperazione. Ma questo tornerà altrove in acconcio (b). (b) Basii ad essi intanto ripescare il conto loro in queste due lettere di G. Chiabrera , ov' egli 1' accocca ad un tempo a' suoi secentisti e agli odierni ristoratori del secento. Godo in Tcdere , che V. S. è volta a salire in sulle vetfe del Parnaso, perciocché non solo pensa intorno a tragedie sovrana Poesia , ma intorno queste cerca la forma perjetta. Sic itur ad astra. Ora V. S. ai'erìi letto nella mia ultima- mente scritta, che per tutto settembre spero di essere in Ge- nova : e però serheromnii a fare pieno discorso a bocca. E reramente simili materie vogliono dialogo , per bene rischia- rar la dottrina : ora dirò solamente la mia opinione. Sperone uomo grandissimo soleva dire, die si possono fare tutte le cose purch' elle si facciano bene. Dico dunque , che dal Boccac- cio si possono trarre Favole per Tragedia , et una me ne sovviene la quale è nella novella del L'otite d' Anversa. Dico similmente , che di Favola tutta finta si può fare Tragedia , e credo , che la Torrismondo del Tasso sia così fatta : e la parte tragica del Paslor fido panni , che sii immaginazione del Sig. Guarini. E similmente dico da' Nomi finti di Vir- gilio, e deli' yt riosto , e del Tasso potersi trarre Tragedie e ne veggo esempj pubblici. E perchè simiglianti Poemi hanno il loro ìdtinio fine in su le scene tra' Teatri , i quali s' empiono di volgari persone, e plebee, deono potersi lo- 478 ce Ma 11 valore di un poeta lirico , dice il Zanottìi ," non si conosce all' argomento , ma sì allo stile , con cu? egli lo veste. » Or noi di questo proporremo alcun saggio a' nostri lettori trascelto dalle Odi del Dinegro. La prima , in citi egli fa volare un inno dalla sua dare , quando da quc sì fatti uditòri hanno il loro Plaudite. Che alla fin fine i secoli si cangiano , et i costumi : et anco per conseguenza le opinióni y e le cose perfettissime de' Gre- ci, a nostri non soddisfanno. Che s' ha egli a fare ? Dare novelle leggi al mondo , il quale ha per legge il cangiar d' ogni cosa 7 Bli direte , questa è tua opinione. E mìa opinione , parlando in Banchi j parlando in Parnaso , io m.' atterrei alle leggi antiche , et amerei le composizioni perfette , e quelle rappresentare ^ e se mi si facessero fischi , io riderei , e fischierei non meno : che finalmente non me ne va , salvo che inchiostro , e fogli. Et io awegnacJiè non straniere da Poeti , mi rido della Poesia , siccome di tutte le ciancie di questo inondo infelicissimo. A bocca , se d Dio piacerà , spiegherò meglio il mio concetto. Ora mi raccomando , e faccio riverenza alle mie Signore , e dico- vi , che al vino da farsi Francesco ha dato ordine, et egli dee avervene scritto, lo spero vedere pigiar le uve costì. Di Savona li 19 settembre r6'33. Dello stomaco non conviene dir male , e castigarlo y che il castigo glielo dia il cuoco con conmiission del Me- dico. Che a V. S. dispiaccia Carnovale , io il credo , et è ragione. Egli è un assassino • Fa come le belle Dame , ci alletta e poi ci tormenta. Ora io dico , che Orazio , e fra' latini molto riguardevole Poeta. Se si esaminano le odi fatte per celebrare i Grandi Romani , sarei forza pregiarle non poco. Ma s' elle si porranno a fronte a quelle di Pindaro,' perderanno. Siccome anco perde Virgilio con Omero. In Par- naso vassi per piìi vie , e tutte guidano per colà ; ma tale è pi.il larga , e piii fiorita , et ha più del nobile. Et è buono consiglio attenersi a quello , a cui la natura ci chia- ma. Orazio è molto pensoso sulle sue scritture , colto di lingua , eccellente in dare gli aggiunti , non è scarso di gnome; si disvia dalla sua materia, e sullo fare , ( sì fatte condizioni sono da celebrarsi ) , nulla ha di soverchio , e non mai è diverso da se medesimo. Io stimo , che tutto ciaf 479 tetra al Solari onor del Ligure terreno , sublimi sensi racchivide ornati da acconcia nobiltà di parole in que- sta penultima strofa : ce Della sagace mente L' umiltà piacque al Regnator superno , E 1' alma ognora a ben fidar rivolta In sua virtù possente sìa quello , che possa mettersi in conto delle sue glorie. Md oggi gì' ingegni cotanto sublimi vogliono apparire ; che , se le scritture non volano sopra le nuvole , dicesi , che elle strisciano sul suolo ; e non è così. Puossi essere reo per troppo andar altamente. Io tengo sì fatta opinione , perchè fa per me , che le cose mezzane si lodino , anzi le basse. Io ho patito per una freddura malvagissima ^ per la quale le go- te mi si gonfiarono in modo , che io somigliava a Bootéi Ho preso guardia da tutto ) fuorché dal vino , e questa me- dicina hammi guarito^ Ora sono gagliardo , e niente ca- gionevole. Farommi vezzi per venire bravamente a godere Loggie , Chiese , Prediche , Musiche , e delle Poesie io tac- cio , perchè mi vergogno di confessare di essermi loro ri- bellato , siccome si vergognerebbe un Frate ad uscir , e fug- gire di Convento. Sento che Toscana è disbandita , et è purgata come oro fino. Io , se piace a Dio , penso di fdr colà maggio , e poi settembre in Genova , e quivi penserò , e discorrerò con V. S. del mio vivere. IDesidero stampare quelle Poesie , le quali a me paj'ono meno infami , che si- richiudono in due volumi di canzoni , e in uno di variU componimenti , et in un breve numero di Poemetti. DeW avanzo io lascierò il peso sulla coscienza degli amici , che arderlo non ne posso far nulla essendomi uscito di mano. Ben è vero , che V Amedeida io ho ristretta , et ella stam- perassi con Firenze , e con Ruggiero. E ben vero , che tutte queste parole non empiono tanti fogli , quanto n empie il Canzoniere del Petrarca. Ho fatto un bel cicalare. Mi per- doni , si governi ^ scrivami , e mi faccia caro a coleste mie Signore , e tutti Dio Benedetto tenga in sua guardia. , Di Savona i o fehhraro. Le due siuriferite lettere sono la 89 e 4i dell' edizione Bolognese , della quale sta soUo il torchio una ristampa qui! in Genova con giunte.. 48o Vollo spoo a l)ri]lar nel regno otffnd ^ Ivi fra i giusti accolta Ridir mi sombra alla superba gente ; Il profano saper , che al mondo piace Disgiimto dalla fé quanto è fallace ! « Quel levare a risplendere in Dio quella mente soste- nuta dall' umiltà e dalla speranza , e quindi porle in bocca una sì grave sentenza , benché non sia concetto aflatto nuovo e peregrino , accpiista non picciol decoro dallo splendore dell' espressione ; il qual sarebbe anche, maggiore se non trovasse intoppo la quel sua virtù , che a prima giunta non ben si distingue se sia da ri- ferirsi a Rcf^iiator Superno , o all' alma a ben fidar rivolta. Neil Ode appresso con molta proprietà ed evi- denza si toccano i pregi del celebre P. Ijuigi Serra , e speciaLuente le tre ultime stanze dispiegano non lieve copia di quel sapere , in cui fa il Gravina consistere lo spirito della lirica poesia. E' in parlando dell' inipa- vid' alma del Serra , ben si chiude con que' versi : ce Al cui raggio s' accese il mio pensiero Che all' età fido per amor del vero, n Vivace e limpida scorre la prima stanza in lode del P. Bernardo Laviosa , nella quale cosi il Cantore si \olge a Genova : Donna regal di Giano , Cui per lunga stagione il fato amico Nobilitò 1' antico Valor costante , e il provvido consiglio , Se d' affidare ho in' cura Oggi all' età futura Il caro nome d" un Illustre figlio , Arma di quella cetra a me la mano , Che fc' suonar caldo del patrio onore II Savonese Lirico Cantoi-e. Giacomo Filippo Dnrazzo siccome fu grande orna- mento alla patria e alla nobilissima sua famiglia , cosi ancora ol tiene dal N. A. il primo canto appresso i sum- mentovall personaggi. Ivi di lui si ricorda il corredo d'odili avita virlà , il fino discernimento del vero 48i inerito altrui , gli onori , V ospitalità , la splondidezzai verso i saggi : E come 1' ape industre attinger suole Dai fiori il succo eletto , (e) Tal ei d' aurei concetti Fé' tesoro dei Sofi alle parole , E vieppiù in lui s' accese Fiamma d' amor cortese , Onde qon opre illustri al patrio lido Die più famoso ed onorato grido. Indi si fa il N. A. a descrivere con quanto studio ed arte il Durazzo raccolse la famosa sua Biblioteca , ove adunavasi il fiore de' più dotti clie allora fosscr tra noi , e leggevano le loro memorie accademiche , le quali si conservano tuttavia dal Sig. Marchese Marcello Fran- cesco , degno erede non meno delle virtù , che della nobiltà paterna. Alta lode tributa poi il Negro al ce- lebre Museo di Gomigliano , nel quale Giacomo Filippo offri alla patria terra Ciò che il mondo di raro in so rinserra. Noi non sapremmo meglio esprimere i magnifici sen- timenti che risplendono nelle tre ultime strofe di que-. sta Canzone se non con riportarle per intero. Vestibolo fiorente , ai dotti caro , Si fé' r altera Giano , Che per valor sovrano ' Iva coir altre Itale ville al paro , U' i cittadin beati In liber* aure nati Godean d' un saggio governar sagace I dolci frutti in sen d' amica pace. Che non può 1' amor patrio in uman petto ! E rapida scintilla Che s' accende , e sfavilla Eccitatrice del bramato effetto : Egli tal gloria ottenne Che vlverà perenne , (e) Leggasi II singolare in plurale , e la rima anderà di buon portante. 32 482 Speccliio , e sprone n color cui la fortun.i Larghi doni versò lìn dalla cuna. Crcbber cosi famose e Roma e Atene , Che riverente adora La nostra etadc ancora , Che di lor fasti in se memoria tiene : Di gcnii al par feconda E la Ligiue sponda , E se in vii ozio giace , è perchè il merto Raro ottien dai potenti mi nobil serto. Maggior calore ha 1' Ode per G. C. Serra , ed ha pregio di gravi sentenze felicemente espresse ed inne- state al soggetto principale. Per festività e gentilezza si distingue quella in lode di Anna Brignole. Nel cantare di Luigi Corvetto riprende Giancarlo lo stil grave e sen- tenzioso , e fa di sé vaga mostra la similitudine adope- ratavi nella penultima stanza. ]Vla noi vaiclicremmo i confini al nostro articolo pre- scritti , se ci avvisassimo di proseguire egualmente intorno alle Odi che restano. Onde qui farem fine rendendo le debite lodi al nostro Cantore dell' aver egli voluto colla sua cetra consecrare un monumento a tanti e sì egregi cittadini , i quali levarono so stessi ad alto grido , e ampliarono le glorie della nostra patria. Non voglia- mo però chiudere il presente articolo senza avvertire , che il pili pregevole componimento dell' annunziato vo- lumetto , e quanto alla lingua e allo stile , e (pianto alla condotta , si è la Canzone in morte di Giuseppe Cambiaso , la quale tiene assai del petrarchesco , e si legge con molta soddisfazione. 483 Del libro di Giulio Perticari intitolato L' Amor Patrio di Dante. n Conte Perticari scrisse una ingegnosa operetta dell' Amor patrio di Dante f a persuadere altrui , come non ira né odio , uè altro vile aifetto qual che sia , trovò mai luogo nel casto petto di Dante Alighieri. Questo libro si lega con 1' opera maggiore del Pesarese intorno agli Scrittori del trecento , e rpiasi ne forma una no- bile appendice. Il P, Cesari nelle Bellezze della Divina Commedia mostrò come 1' Alighieri avea troppe cagioni di dolersi de' suoi Fiorentini , e che perciò , ov' egli amaramente vitupera Firenze , e ne dileggia i cittadini e gli statuti , ragion vuole che si pensi 1' ira del fuoru- scito avere o mossa la penna , o dato più nero colore al dipinto. Questa opinione dell' illustre Veronese fu accennata nel Giornale Ligustico. Ed ora si può con- fermare coli' autorità di Ugo Foscolo , il cui nome è caro a molti più che quello del saggio Veronese. Che se gli studiosi vedranno consentire in un medesimo giu- dizio e il Cesari e il Foscolo cotanto dissimili e per gli studj e per 1' indole , ed amendue innamorati dì Dante , avverrà forse che non più si contenda intorno al vero amor patrio dell' Alighieri , e ne verrà nuova luce alla gran contesa del pregio de' Trecentisti ; atte- soché , siccome è notato qui sopra , Z' Amor patrio ed il Trecento del Perticari sono due parti distinte dello stesso lavoro. Osserva in primo luogo il Foscolo (i) che « il fie- re rissimo abborrimento di Dante a' governi popolari , e « il suo disprezzo per l' ignoranza della moltitudine de- ce stinata dalla natm'a al lavoro e privata d' agio e di « mente , e di libertà da meditare sugli ordini della (i) La Commedia di Dante illustrata , pag. 17. voi. 2. ediz. Lugano. « vita civile. . r. e il compiangere le famiglie de' nobili ce antichi , ed onorarne 1' antichità delle schiatte , e il oc sospirare (2) Le donne , i cavalier , gli affanni e gli agi , Che ne invogliava Amore e Cortesia jj ci fanno toccar con mano che Dante « abbominava senza ce rispetto i 'vlzj della democrazi^i e il fasto villano de' ce mercatanti in Firenze (3). ^ Adunque doveva abbo- minare il governo popolare della sua patria. E cosi fa- cevano i Ghibellini. IL II Perticari ad escusazione di Dante scrisse le pa- role seguenti : ce Non trovando adunque ( Dante ) altro ce modo da vincere , non già Firenze , ma quella fa- ce zione che V occupava , si volse ad Arrigo Imperatore, <« che per la sua venuta aveva sollevato tutta Italia in ce isperanza di grandissime novità. Con tale ajutQ pensò ce di ritornare al suo tetto. Ma pure ( dice Lionardo ce Bruno ) il tenne tanto la riverenza della patria , ce che veneficio l' Imperadore contro Firenze , e pò- ce nendosi a campo presso la porta , Dante non vi ce volle essere , secondo esso scrive- Perchè egli voleva ce ricoverare la patria , non trionfarla coli' arme degli et stranieri. 3> Ma il Foscolo ci fa osservare una pru- dente reticenza del Perticari nell' allegare il testo di Leonardo Bnmo ) ed è , che dopo le parole secondo esso scrive , si trovano queste altre ; contuttoché con- fortatore fosse stato di sua venuta (4). Laonde es- sendo stato il Poeta confortatore ad Arrigo , perchè ve- nisse contro Firenze, come ci vuol dare ad intendere il Perticari che non voleva trionfarla con V arme im- periali? Ma il Foscolo recita xm brano della famosa lettera colla quale Dante confortava Arrigo alla venuta, minacciandogli l' ira di Dio , se non faceva a' Fiorentini quello stesso che il Signore aveva ordinato a Snulle di fare agli Amaleciti ( cioò di sterminarli ") ; ricordando- (p!) Foscolo, 1. cit. face. 21. (3) Foscolo , 1. cit. face. 9.2. (4) Foscolo , opcr. cit. voi. I. face. 280. 485 gli che non sì diradicano gli alberi col tagliameli to de' rami (5). Da un amor patrio di tal naluia Dio scampi le città de' nostri nemici. III. Ma il Perticali citando 1' esempio di Agidc e di Socrate , i quali da' lor cittadi ni condotti a morire , non perdettero perciò l' amor della patria , conchiude die Dante , nuovo Socrate , facesse lo stesso , perchè « la « costanza , la gravità , la fortezza e la sapienza sono « virtù che non ricusano nò dolore né supplicio. » Di questa induzione oratoria si ride Ugo Foscolo : « Agide , « Socrate ( cosi egli ) e nomi eroici sono ottimi a farti « m.al conoscere Dante; uomo d'altra vita, d' altr' ani- ce ma e d' altri tempi. . . Vuoisi guardarlo bensì fra' m.or- « tali diversi dal gregge infinito degl' individui ne' quali « non si può studiare la razza d' Adamio e non di- « sprezzarla. . . . non però spogliarlo de' suoi difetti o te rivestirlo degli altrui meriti (6). . . . Che Dante non et amasse l' Italia chi vorrà dirlo ?. . . . Non però giova , et né gioverà. ... tre o quattro giorni innanzi eh' egli Raccogliendo in breve gli argomenti del Foscolo , noi troviamo , che Dante , dopo 1' esilio , non amava Firen- ze j il che dimostrasi per tre ragioni piiucipali ; I. per- chè il governo fiorentino ei'a opposto al sistema di Dante j II. perchè il Poeta sollecitò Arrigo ad espugnare e spian- tar Firenze ; III. perchè dichiarò solennemente di cou" siderare qual pena e qual vitupero 1' esser conosciuto e detto Fiorentino. Così tutta l' ingegnosa operetta del (5) Foscolo 1. cit. voi. 2. face. 6. 7. e 8. (()) Foscolo 1. cit. voi. 1. face. 272, (7) Foscolo, op. cii, voi. 2. face. i-iZ, 486 Perticari apparisce inutile prova di sagace intollclto. Né sia olii si maravigli di trovare in tanto inganno quel buon filologo ; perchè molti altri nei vi notò il Foscolo. Noi brevemente gì' indicheremo a' nostri lettori. Volendo dimostrare il Pesarese , come gentilmente si poetasse in Romagna già intorno agli anni i25o , onde confermare quella sognata lingua corti giano- italico-illu- stre f cita una poesia che attribuisce ad un certo Ubal- dlni da Faenza. Ma il Foscolo francamente risponde : ce La poesia che voi recitate per saggio di lingua del « laSo , non è ella attribuita in più libri a Franco et Sacchetti ? Forse non sente 1' amabilità tutta propria M di questo scrittore e le grazie native del . dialetto de' te Fiorentini ? O non suona co' numeri della poesia e te della lingua dell' età del Petrarca e del Boccaccio , te anziché co' vagiti di quanti rimavano innanzi che Dante « nascesse ? (8). A questo abbaglio di critica , un altro ne accoppia il Foscolo di cronologia. Gli editori fio- rentini e padovani della Divina Commedia , citando il libro dell' Amor Patrio , affermano che Innocenzo III proibì uu libro al tempo stesso di Dante con una Bolla data Vanno i3i3. Qui sorride il Foscolo, os- servando che Innocenzo HI mori un secolo e piii in- nanzi Dante (9). Ma fosse cpiesto errore il solo. Ec- cone un altro niente minore. Secondo il Perticari ( Amor -patrio, pag. i85 ) Sordello fu grande amatore della patria e degno amico di Dante. E Foscolo non sa intendere come il Poeta potesse godersi l' amicizia di un uomo , che viveva cento anni innanzi. Chi potrà salvare 1' ordine de' tempi e il detto del Pesarese , erit mihi magnus Apollo. Spiace similmente ad Ugo Fo- scolo che il Perticar! , trovando in Lionardo Aretino citata 1' autorità di Dante — secondo Lui scrive — ab- bia immaginato che il Poeta scrivesse la Storia de' Ghibellini } laddove è cosa manifesta che Lionardo ac- (8) Foscolo op. cit. voi. 1. face. 2^3. Cy) Ojicr. e it. voi. 2. face. 276. 487 cenna alle epistole di Dante , le quali afferma di avere veduto scritte di propria mano dell' Alighieri (io). Viene da ultimo il Censore del Pcrticari all' errore gravissimo dell' aver creduto che Dante morisse curvo , caduco , miserabile vecchio. Ecco le parole del Pesa- rese ( Amor Patrio ec. ) ce II poeta fu tenuto vivo e « confortato dalla speranza di ritornare alla patria ; sic- cc come leggiamo in quel libro del Convivio , eh' egli « ne' suoi ultimi anni cominciò, né potè finire per « morte. . . . Nel leggere le quali parole non può essere « che non cada da qualche occhio fiorentino una lacri- « m,a SII queste carte , veggendo il curvo , canuto , « miserabile vecchio sull' orlo del sepolcro ec. » Dante ( nota il Foscolo , I , 278 ) morì d' anni 56 , « mezzo V autunno ( della vita ) -- Quando il fruito risponde al fior d' aprile -- Non duncpie vecchio curvo , caduco, m,iserahile. Ed è poi vero che Dante cominciasse il Convivio ne' suoi ultimi anni, ne potesse finirlo per morte ? Osserva il Foscolo che 1' Alighieri « si propo- «c neva di trattare quando che fosse dell' idioma mater- « no j> come afferma nel Convivio pag. 76 , e che di fatti cominciò 1' opera della Volgare Eloquenza , e fat- tine due libri mori , senza poterla finire j come imper- fetto è similmente il Convivio. Da questo si cava che Dante cominciò il Convivio prima che 1' Eloquenza j m,a non si può decidere a qual di esse si applicasse allor- quando non matm'a morte lo tolse alla miseria dell' esilio. Questi errori notò Ugo Foscolo nell' operetta del Pesarese , dichiarando di ommetterne cent' altri , che non facevano al disegno del suo lavoro (1 1). E percioc- (10) Foscolo, op. cit. voi. II. face. 2.80 e 282. (11) « Mi duole che l'Autore dell' y^mor Patrio per vo- ti ler essere troppo corrivo a raccogliere tutto da tiUli , ab- « bia SI spesso ingombrala la via. . . L' Autore dell' A. Pa- ci trio investendo impazientissimo i tempi , fu cause gli cf- « feiti, ed effetti le cause; e costringe chiunque sente com' " esso a tremare delle sue citazioni di documenti. 3) Fo- scolo , 1. cit. voi. i. face. 283. 488 che le opere del Pertlcari vanno per le ruanl di tutti > né gli Editori si vollero dar la pena di rilevarne brevi annotazioni gli errori de' tempi e del raziocini non sarà inutile fatica questa che abbiamo durato a ser- vigio della studiosa gioventù ; acciocché non così cieca- mente si affidi all' autorità di quell' ingegnoso scrittore. Molte penne moderne , dice il Foscolo (12) , copiano in buona fede gli anacronismi ( io direi anche le pa- role ) del Perticari , le cui teorie vanno pericolando a ogni poco per imprudenza di essi anacronismi. Le date s' hanno da temere con religione : sono ostina- te , imperterrite , onnipotenti ; ti rovesciano ogni ra- gionamento e ti vietano di rispondere (a). . . . Sono più che ìiojose f ma tuttavia necessarie a trovare lu- me di verità. . . . Ma sì fatti ( errori ) e cent" altri in quel libro ( dell' Amor Patrio ) sono impeti di locuzione oratoria ; e m,' insegnano che l' arte critica e la rettorica affratellandosi cozzano a morte. (12) Oper. cit. voi. I. face. 275. e 276. (a) "Vietano a' buoni e modesti Scrittori; che gli altri sona più imperterriti delle date. ( Nota degli Editori. ) A. D. 489 BIBLIOGRAFIA. xinderan lieti gli amatori delle Italiane lettere di vedere sciolta in questo dotto articolo una difficoltà bibliogra- fica ad ogni altro inestricabile che all' illustre Michele Colombo , nel quale principalmente rimane all' Italia la dolcezza di consolarsi in parte della perdita eli' ella fece testé del Monti e del Cesari. Facciamo di pubblica uti- lità una recentissima Lettera dal Colombo indirizzata all'amico suo ab. A. B. , il quale avealo consultato sulle Rime e Prose dello Allegri in quella forma che si potrk scorgere dalla lettera stessa. ( Gli Edit. ) AMICO PREGIATISSIMO , Così è appunto , come pensate : non a caso ne per dimenticanza , ma deliberatamente e per malizia dell' Editore s'è ammesso di apporre il numero , come alle altre , anche alla decima Canzone nella prima Parte delle Rime e Prose di Alessandro Allegri cpian- do se ne fece in Napoli la ristampa con la data d'Amsterdam nell'anno l'j^^ in S° Riscontrandola io con V edizione originale , ho trovato che se n' è lasciata fuori l' undecima , la quale comincia col verso Resse già 1' uom quasi caporione : ed affinchè la mancanza ci fosse men manifesta , non ne fu numerata la precedente. Ne fu vietata la stam- pa da' Revisori per eh' essa e piena d' equivoci osceni. Se ne potrebbe desumere la proibizione dallo stesso componimento ; ma io me ne sono potuto assicurare con pili di certezza per una combinazione puramente accidentale. Ecco come m' accadde ciò. Gli stessi vóli o Lacune , come si soglion chiama- re , i quali s' incontrano nella ristampa, si trovano parimente nella stampa originale j ma in questa ne 490 J'aron molti riempiti con supplire a penna a quanto mancava. Con tatto che il libro sia raro , n' ho ve- duti parecchi : ed avendone confrontati alcuni tra essi , ho osservato che in tutti restavano vóti a riem- pirsi , ma non ne' medesimi luoghi. Mi avvisai al- lora di poter col soccorso di molti esemplari riem- pir tutti i vóti che restavano ancora nel mio : ne ci volle di più, a determinarmi di fare acquisto di tutti gli esemplari che io avessi potuto ; ma non per questo mi venne fatto di conseguire il mio intento. Bensì mi accadde di averne uno tra gli altri , il qual mi fu caro non vi posso dir quanto : esso e quello stesso stessissimo che fu adoperato nella ri- stampa di Napoli. Essendo stato dall' editor presen- tato a' Revisori per ottenerne la permissione della ristampa, essi nelV udpprovazione eccettuarono la detta canzone , come apparisce dall' ultima pagina della Parte quarta , in cui si legge di mano del primo de' Revisori : Vidit , etc. ; ma si eccettua la caazoae Xt della prima parte , e le stanze liaeate sotto , eoa tutte le aggiunte manoscritte. Jo. Domìnicus Mansus. V^engono appresso le sottoscrizioni degli altri due. (guanto è poi alle stanze lineate sotto , io non ne trovo lineata se non una j vale a dire la terza delle stanze con le quali finisce la Parte terza. Comincia questa stanza col verso Ma s' egli è già fiorito il favagello ; e di fatti essa non trovasi nella ristampa. Tornando ora a vóti , o lacune che vogliamo de* nominarle , non crediate già che così fossero nel manoscritto originale. Furono castrate le rime dì questo Poeta nella prima impressione j la qual cosa io desumo da quanto ora dirò. T^oi già saj>ete che queste quattro Parti furono la prima volta separata- mente stampate. Quindi è che ha ciascuna l' appro- vazione sua propria : ed in queste Approvazioni veg- gonsi fatte alcuìie restrizioni. Ha nella prima : F. Yalerlus Seta Servita vidi , et pluribus cxpunctis > 49 1 quae modestiores aures forte offendere poterant , subsciipsi et imprimi posse judicavi; nella seconda: Ego Frater Marius Canossa vidi et subscrlpsi ut im- primi possit , praetec adnotata et deleta ; e nella quarta : Ego Franciscus Auricalcus vidi et subscri- psi , tamquam poema saturicum ( errore di stampa per satyricum ) cum omissionibus interclusis. Da ciò mi par che con molta ragione io possa desumere essersi fatta, almeno la massima parte delle dette mutila- zioni . quando quest' Opera fu pubblicata. Resta ora a sapersi se nel supplire a penna a quanto ommesso fu nella stampa siasi avuto ricorso al manoscritto originale. j4. me non pare ; e tengo quasi per fermo che i riempimenti si sieno fatti in desumendo dal contesto per congettura ciò che era stato soppresso. Mei persuadono piii ragioni. Primie- ramente , se si ricorse all' originale , e perchè vi sì lasciarono tuttavia molti vóti a riempirsi ? In secondo luogo i versi in cui ha qualche vóto non furono in tutti gli esemplari riempiti allo stesso modo. Così , per esempio , nella Canzone V^III della prima Parte al verso quarto della stanza decima leggo in un esern^ piare hanno un becco per Iddio : e trovo in un altro — hanno un becco per lor Dio — : così de' due Capitoli indiritti nella Parte seconda al sig. Pan- dolfo ^cciajuoli in quello che comincia : Al Molto , con quegli altri tutti quanti dove trovo in un esemplare Sottili avvisi e grossa coscienza leggo in un altro Sottili avvisi e poca coscienza : e nel Capitolo della Parte quarta che comincia : Al Magnifico etcetera Giuliano dove leggesi in un esemplare «e di non so che sbar- batello 3i , leggesi in un altro «e di non so che bel budello M . Or egli è chiaro che questa diversità non avrebbe avuto luogo se le voci che mancavano si fossero tra- scritte dal manoscritto delV Autore. Finalmente non 49' in tutti gli esemplari (^come ho accennato di sopra^ i luoghi rcdintcgvati sono i medesimi ; tu ritrovi in uno riutegrato un verso , che s" è lasciato imperfetto in un altro ; ed al contrario rintegratone uno in que- sto che rimane mutilo in (picllo. Che hassi egli a conchiudere da ciò, se non questo: che i supplimenti furono fatti a fantasia da chi ne possedea V esem- plare? Di qui il vóto rimaso in que' luoghi ne' quali non si sapea indovinar ciò che avesse potuto scriver ivi il Poeta} di qui il vario modo con cui vi fu in diversi esemplari supplito j e di qui la diversità de' vóti riempiti in differenti esemplari. Da tutto ciò apparisce che io non avrei conseguito .il fine che io m' era prefisso , presupposto eziandio che avessi potuto con /' ajuto d' altri esemplari riem- pir ì vóti che restavano ancora nel mio ; essendoché gli avrei riempiti bensì con quanto fu da diversi let- terati congetturato che ivi s' avesse a fare ; ma non per questo sarei stato sicuro che così avesse fatto ef- fettivamente r autore. Ma, dato ancora che io avessi potuto ottenerne V in- tento , portava egli il pregio che io me ne prendessi pensiero ? Ed e da tenersi in maggior conto una bella poesia quando è imbrattata d' oscenità o d' al- tre macchie , e perciò più. volentieri letta dagli uo- mini di depravato costume , che quando essa è ri- nettata da tutto ciò che dee dispiacere alle anime gentili ed amiche della costumatezza ? Cattiva im- presa era dunque la mia : e debbo essere ben con- tento che andato a vóto mi sia un tentativo di que- sta fatta. Ma voi sarete ristucco di tante ciance. E cornai no , se ne sono io medesimo ? Conservatemi V ami- cizia vostra , la quale m' è cara assai. Di Parma a' 24 d' ottobre i8:ì8. L' amico voblio M. C 493 NOVELLE LETTERARIE. Lettere di Jacopo Bonfjdio e la Congiura de' Fieschi. Firenze, Batelli 1828, in 24. Se vi ha cosa , di che ogai animo genfcile si dolga , ella è certamente la sventura , quando sopravviene a que' nobili ingegni , che recano immortai pregio d' o- iiore alla patria. E posto eziandio che si fatti uomini avessero chiamato con errori e colpe sopra il loro capo la pena , pur ci dorrebbe di vederli puniti ; perchè dalla infamia che gli avvolge pare che ne vengano ia cotal modo adombrate le nobili discipline. Epperò quel piacevole ingegno del Lasca supplicando con memoriale poetico il Duca di Firenze a far grazia ad Andrea Lo- ri , traduttore delle Pastorali di Virgilio , condannato al remo per furto , diceva al Principe , che mandare queir infelice poeta alla galea , sarebbe come dannarvi le Muse. Ma questo sentimento d' animo generoso , non debbe così trascorrere , che ci muova a dar nota d' ingiusti a' Giudici , che fermi ne' principi dell' equi- th , vogllon che alla colpa tenga dietro la punizione prescritta dalle leggi a tener ben ordinata e sicura la clvil società. Ed è principio di naturai giustizia , che ove non appariscano chiarissimi argomenti del contra- rio , si vuol sempre pensare in favore de' Giudici , non dell' uom condannato. Questo canone fu dimenticato alcune volte da coloro eh' ebbero a parlare del Bon- fadio , e della sua morte infelice. Perochè in luogo di argomentare con Paolo Manuzio , che gli fu amico , Si fecit , pereat : factum palet ', ergo peribit ; ' ammettono per cosa certa ch'egli fosse innocente yj" e così gridano contro de' Giudici , rappresentandoli quali uomini corrottissimi , che si fecero un trastullo di far troncare il capo all' illustre scrittore. Ma perchè non è giudice al mondo così stolto , che non voglia 494 dare almeno alla sua sentenza una vernice di equlti , avviene che coloro i quali , senza disamina , ci danno per innocente il Bonfadio , debbono pur trovare qual- che cagione , clie potesse ricoprire l' iniquità degli uo- mini che pronunziarono la fatale sentenza. E qui è dove si conosce che 1' errore è mai sempre seco slesso discorde. Infatti Ugo Foscolo, ricopialo da un Anonimo nella Reviie Encjclopédiqne ( avril 1827 ), non du- bitò di asserire che il Bonfadio fu arso vivo per es- sersi scoperto amico ad alcuni favoreggiatori delle opi- nioni luterane. Il Fontauini disse , che fu ucciso per avere parlato liberamente di una ragguardevol famiglia. Ed ora ci vien insegnata una nuova opinione dell' Edit. Fiorentino delle cose volgari del Bonfadio j affermando che ce la libertà con cui 1' aveva scritta ( la Storia ) e le « democratiche dottrine che spiegando i libri d' Ari- ci stotile andava insinuando alla nobile gioventù che ce frequentava le sue pubbliche e private lezioni , non ce tardarono a creargli tra la patrizia oligarchia poten- te lissimi nemici , i quali al tutto determinati di per- cc derlo , lo accusarono di turpe delitto , ed ottennero ce che fosse a pena capitale condannato. » Sapremmo assai volentieri in qual documento abbia trovato 1' Editor fiorentino questa pellegrina notizia , che il Bonfadio fosse pubblico e privato banditore della democrazia. In segreto può essere j ma non se ne ha prova di sorta : in pubblico chi vorrà crederlo ? Egli spiegava Aristotile nella chiesa metropolitana , non en- tro quattro pareti di oscui'a abitazione j né tanto era stolto da predicare il rivolgimento dell' ordine sotto un Governo diligentissimo allora nell' indagare ogni menomo principio di novità. Quanto all' Oligarchia , diciamo all' Editore eh' egli ha ben poca cognizione della Storia Genovese, se pensa che 1' anno i55o fos- sevi in Genova un principato di pochi. Egli è il vero che il Bonfadio nel finire il libro quarto delle sue Sto- rie, ha queste parole, secondo la traduzione 'del Pa- schetli : ce Parve bene , che delle 28 famiglie nobili , « nelle quali consiste la città , si creassero 4o capitani 495 « di guerra «j e trovandosi esso quarto libro tra le cose volgari accolte in questa edizion fiorentina , può essere che 1' Editore immaginasse che in Genova non fosser più che 4^ famiglie ammesse al Governo ; e sembrandogli poche a così popolosa città , ne trasse argomento di accusarla d' oligarchia. Ma quelle che il Paschetti appella /«//ii^^Zie , i Genovesi dicevano al- berghi , o aggregazioni ; e ciascuno di essi compren- deva molte case nobili ; cosiochò fra tutte sommavano a più centinaia. Gli annali del Casoni avrebbero illu- minato r Elditore. Ma oggidì si scrive molto, e poco si legge , e con niun' attenzione. Questo abborracciare , chiamano slancio, scintilla, e vita della razza, e ten- denza del secolo , e torrente di luce. Ma ben altro nome darannogli i Savj , Che questo tempo cliiameranno antico. Les Patriciens , histoire de la fin die XV I.^ sie- de d'après d'anciennes Chroniques , tradiate de VJllemand par C. F. Fan-Der-Velde. Paris, Renouard, 1826 in 12. • Un vecchio tedesco , uomo del popolo , veggendo una leggiadra e giovinetta sua figlia trescare alquanto libe- ramente con un giovane signore , rivolto al seduttore : « Ce sont-lk ( diceva ) les suites de ces damnées d'hi- « stoires d'amour , qu'on devrait absolument défendre ce aux femmes de lire. . . c'est là qu'elles apprennent à « bàtir de beaux chàteaux en l'air : elles y trouvent « toutcs les passions peintes des plus belles couleurs , ce et avant qu'elles s'en doutent , leur honneur est bien ce loin. « Queste parole leggiamo nel cap. 2 del romanzo les Patriciens ; e non intendiamo come potesse mai , olii scrisse così savie parole , spender la sua vita a met- ter insieme de' romanzi. Ma 1' uomo è talvolta defini- to , anininh; di contraddizione . Qui molti leveranno la voce contro di noi , e faranno prova di persuaderne r utilità de' Romanzi Storici ; e la uoja , in die si 496 troverebbe la gentil metà del genere umano , se rtori potesse piacevolmente ed utllniente dar qualche ora del giorno alla lettura. Noi non vogliamo già vietare alle femmine di legger alcun libro ; e ne abbiamo udito nominare delle valenti in lettere; ed una ne abbiamo conosciuta , che agli uomini insegnava dalla cattedra iti celebratissiuia Universith la greca favella ; ma siam fer- mi in questo , che non bene si provveda alla prospe- rità del mondo con tanti romanzi storici j che produ- cono di molti e strani capogiri ne' giovani e nelle si- gnore. O , queste sono le sentenze del vecchio Gold- mann ne' Patrizj del Van-der-Velde. Sono , e che per- ciò ? Ma che rispondete a coloro che vi dicono : tant' è j il secolo non può comportare cotal severità : i lumi progrediscono , né resteranno pel gridar de' pedanti. Che rispondo ? Udite due parole del vostro Vau-der- Velde : « Ne pas parler , c'est souvent répondre claire- ment (i). " Baje , soggiungono : col romanticismo la nostra letteratura, quando che sìa, sarà patria: seguitare i Greci ed i Latini non è che imitazione cieca e sn- jjerstiziosa. Adunque ricopiare Scott e Van-der-Velde e Cooper , tradurre Schiller e Goethe e Byron è dare all' Italia una letteratura nazionale : specchiarsi in Omero e Virgilio , in Demostene e Cicerone è perpetuare in noi la superstizione delle lettere ! E poi faranno querele i Romantici perchè il Botta , li chiamò ragaz- zacci e traditori della patria ? — Ma i Greci erano romantici , chi mira oltre la corteccia. Grazie della scoperta j solo desideriamo che a bene intenderne il pregio , ci diano la definizione precisa ed ingenua della Letteratura romantica. Essi ne fauno un mistero j ma rifiutano quella che si trae dalla famosa lettera del Botta. Benché di rigettarla non hanno giusta cagione. Infatti non ci dicono e ripetono sempre , che la gio- ventù italiana vuole il romanticismo ? Non iscrivono forse esser questo un nobile desio che arde i giovani petti? Ciò posto, non è tanto fuor di proposito il vo- (i) Les Patriciens , chap. VII. 497 fcabolo di ragatzacci ; bencliè il pegglofatlvo potesse oaimettersi. Oltre a ciò ; noa ispregiano essi i Roman- tici e il Petrarea , definito ultiniameate Uìin dei fuchi della letteratura; e il Boccaccio deriso qual maestro di far periodi col verbo in punta } e Dante stesso cosi mal concio dal Villardi j dappoiché questo scrittore la- sciate le tende del classicismo si è ricoverato sotto il bivouac di David Bertolotti (i) , - e degli altri roman- tici ? Or coloro che alla gioventù danno consiglio di giltare i principali scrittori di lor nazione , per copiare servilmente i parolai delle selve caledonie ed ercinie , potevano esser chiamati a buon dritto traditori biella patria. Laonde mitigando alquanto le parole del Bot- ta , a lui dettate da un caldo ma generoso sdegno , sì potrà definire il romanticismo : la letteratura de' gio' vani nemici delle cose patrie. Forse questa definizio- ne , cosi temperata , non lascerà di essere spiacevole a molti j ma in tal caso dovranno metter fuori una volta la vera definizione , che eglino cosi gelosamente custo- discono ; e di custodirla aver debbono gravi molivi, — Vorrei per altro che i nostri Romantici , allorché parlano di cose letterarie non si mostrassero cosi di- giuni della logica. A me avvenne nello scorso ottobre di trovarmi in legno con due giovani , e con essi ra- gionando , ut meus est mas , di cose pertinenti 'agli studj , mi venne udito dall'uno di essi: la letteratura di Grecia era greca : perchè quella dell' Italia non sarà italiana? Ottimamente, risposi; ma Walter Scott, ma Cooper , ma Vandervelde, che sono ricopiali ; ma Schil- ler , e Kolzebue , che vengono ridotti ad uso del tea- tro italiano y non sono italiani. Come dunque potrà da tronchi scozzesi , americani, tedeschi, pullulare una lelleratura tutta italiana ? Sorrise 1' altro del farfallone logico del suo compagno ; e volendo mutar discorso , prese a parlare del vino d' Asti , alla qual città era- vamo già presso y e cosi ebbe fine la coùversaiione let- teraria. (a) Ved. Villardi Epist. IV nelle appendici. 33 49^ U aite di fumare e prender tabacco senza re- car dispiucei-e alle Belle insegnata in sole ijuattordici lezioni, con una notizia etimolo- gica , istorica , dogmatica , fUosoJìca , politica , igienica^ e scientifica sul tabacco, tu tabac- chiera , la pipa e la cigara , descritta da due Tzlepi turchi che , quantunque gj^an Juma- tori , fornuuvn le delizie degli Harem di Co- stantinopoli. Milano , coi tipi di Gio. Pirotta 1828 in 16. (Prezzo una lira austriaca ). Si lagnarono spesso , e a gran ragione , i sapienti italiani che gli scrittori d' oltra monti attribuissero a sé stessi le invenzioni e le scoperte fatte molto innanzi da' nostri : ma al solo leggere il frontespizio di questa Operetta ci si fa chiaro che finalmente sorse in Italia chi rendette agli strani la pariglia. Che se il Barone Emilio de l'Empésé in sedici lezioni insegnò ultimamente alla Francia con nix' indispensabile opera, l'art de nieltre sa eravate , e il sig. Cav. de Mangenville in sole otto quella de ne janiais déjuner chez soi et de dìner toujours chez les autres ; il lil)relto , che ora annunziamo , non ci lascia di che invidiare quella il- lustre nazione , la quale anzi dovrà al nostri ceder la palma , in quanto che 1' argomento che in esso si trat- ta , vai da sé solo per mille altri di simil fatta recen- temente pubblicati in Parigi (1). Che non cianciava per Dio , ma dice a da vero quel -valentuomo che scris- ise : Meum semper judiciuin fuit , omnia nostros aut invenisse per se sapientius quavi Graecos (in questo caso sostituiremo Gallos ) , aut accepta ab illis fe- cisse meliora , quae quideni digna statuissent , in quibus elaborarent. Né monta un frullo che l' Operic- ciuola sia lavorata da Turchi , perciocché non bisogna mica essere oggidì pedanti nemici d' ogni novità eso- tica , tanto più scritta in lingua italiana. Se non che (1) Vedi gli articoli seguenti. . . ■■ ■ •embra che gli Autori o sieao turchi stati italiani , o italiani già stati turchi, dal ricordare che fanno a carte 19 le contese de' casisti intorno all' uso lecito od ille- cito del tabacco , e dal far dire ad una parte di que- sti , che S. Pietro non visita il naso desili eletti , quando ne apre le porte del paradiso. E più sotto allegano l'autorità di papa Urbano Vili , e contano di un bel tratto di benedetto XIV con un padre pro- vinciale Francescano. Per vero dire nulla manca al mi- lanese libriccino fuorché una dedica ai Romantici : esso varietà di caratteri gotici ( osservi il lettore che in ciò Hou consiste 1' originalità dell' Opera , essendo ia cosi fatta eleganza anteriori i parigini nella stampa delle suUodate Arti, ) , esso lingua peregrina , stile inarriva- bile, materia indispensabile alla razza: in somma ha il torto da questo lato chiunque fu il benefico editore. , Ciò si vuole osservato per chi assumesse per innanzi la lodevol cura di ditTondere con altre ristampe dot- trine cosi interessanti. Ma minore esser non deve la comune riconoscenza verso i eh. Autori,, i quali in. sole quattordici lezioni si sono occupati d'un' opera , ripetiamolo, immensamente importante fatta nel conp vinciniento della loro coscienza. « L' opinione de' goffi e degli sciocchi, dicoa essi nella loro introdu- zione, ci parve dover più volentieri spregiarsi che se- guirsi ; ma un sesso , che forma le nostre delizie , e cui ei ci fu sempre ardente nostro desiderio di piace- re , sembra aver participato a queste ingiuste preven- zioni (^contro V uso del tabacco ) j e e' incumbe quindi ridurle al nulla 31 . Immensi lavori e pene senza numero è costata loro la confezione di quest' opera. » Parlando dell' origine e beneGzj del tabacco ci si fa sapere dai Tzlepi , che ad onta del veleno delle male lingue de^ medici nemici un tempo a questa pianta regina de' vegetali , ce è oggidì autenticamente riconosciuto il tabacco acchetare la fame , alleviare i dolori , guarire da certe piaghe ec. ec. ; che " lo stesso 5UO fumo S9ni- ministra di che escogitare e riflettere con utilità sulle vanità di questo basso mondo , e che die luogo a' se- 5oo '' guentì versi , i quali > comeohè antichi , non sonò però scevri di inerito : ce Dolce piacer di mia solinga vita , Fumante pipa mia , fornello ardente , Che rinfranchi la mente illanguidita , E sereni lo spirto impaziente. Tabacco , ond' è quest' anima rapita , Quand' io volar ti veggo di repente , \ Come per 1' etra folgore spedita , De la vita 1' idea mi fai presente. E pei? te nel pensiero mi si volve Di ciò che un giorno diverrò l' immago , Poiché altro non son io che poca polve (2). E tutt' a un tratto mentre attento io sieguo (3) Coli' occhio il fumo tuo che scorre vago , A par di te mi perdo e mi dileguo (4). » Ecco poi come sottilmente gli eruditi autori rintrac- ciarono 1' epoca del fumare che fanno le belle italiane. « Dopo molte e svariate investigazioni , dicou essi , fummo in grado di poter unanimemente stabilire che quest' uso della pipa , della clgara , e d' ogni altra ma- niera di fumare , è venuto in favorevole accoglimento delle belle nostre dall' epoca in cui de' giovani seguaci di Marte , i quali negli ozj loro trovavano grata risorsa in fumare , hanno saputo vincere 1' antipatia delle belle come seppero vincere 1' inimico sul campo di batta- glia » . Nelle regole generali per fumare questa si as- segna , ce che laddove si voglia fumare senza recar di- spiacere alle belle , giova studiarsi di possedere una pipa elegante f originale , curiosa ". Si avverte pu- re , « che la moda essendo ovunque dlspensatrlce delle grazie , un giovinetto non potrà mai esimersi dal se- guimela , persino nella scelta della propria sua pipa. » Avvi ancora una regola , in cui si prescrivono due (2) Non sospetti alcuno che qui II poeta si mostri mate- rialista ; perciocché nel primo quartetto ricorda la mente e lo spirto , benché impaziente. Ciò sia detto a sua discolpa. , (3) ( Che non mondava nespole, no ) (4) Oh miserello! È d'aveigli compassione. Sol scatole , una romaniiea , e 1' altra classica , secondo 1' a- dunanza di cui s' avesse a far parte. E veramente ir- refragabile 1' autorità addotta in una nota della terza lezione per provare che nella lingua italiana , in cui è scritto il volumetto , il sigaro ( o sigaro come il pronunziano i toscani ) può chiamarsi cigaro o cigara. Ecco la filosofica nota , che vai meglio di tutti i Cin- nonj e di tutte le Crusche del mondo. L' Accademia di Parigi asserì potersi dire indifferentemente un cigaro o una cigara ; ma noi istiamo per f adozione di quest' ultima. Oh bravi ! tenetevi al femminino , o turchi o italiani che siate. Né meno saggiamente dimo- strano le loro dottrine poco dopo ( pag. S% ) ove or- dinano ce il fumare tabacco quale cosa necessaria alla. esistenza degli uomini grassi e pituitosi. " Si legga il secondo mezzo di fumare ecc. , che Ovidio diventa nell' arte sua un cervel d' oca appetto a loro. La Ze- zione undecima è posta in aneddoto , vi campeggiano due eroi da Pari ni , e le altre seguono sullo stesso re- gistro finché si giunge alla selva degli aneddoti , mot- ti , novelle f canzoncine , e queste da disgradarne Ana- creonte. Ma alcuno vorrà un saggio di questi aneddoti. Eccolo e facciam fine — - I Romantici de' di nostri hanno bel fare , essi saran sempre lontani da' Romantici del secolo di Luigi XIV ( e poi si dirà che essi sono di data recente .' ) . Non si saprebbe trovare in tutto il Solitario , uè in tutte le odi di Hugo , né nemmanco nell' Alemagna , una frase da por a raffronto a quella , di che Bai zac si servì un giorno per chiedere ad una dama una presa di tabacco : « Madama , gli diss' egli , permettete che le mie estremità ditali possano insi- nuarsi nelle vostre concavità tabacchiche , onde atti- gnervi quella sottil polvere , la quale dissipa e Bon- fonde gli acquatici umori del palustre mio cervello » . boa JJArt de mettre sa Oravate précède de thìstoire complète de la Oravate . ... par le Baron Emile de VEmpésé. 3.'' édition. Paris ,4 1^27 in la. U'Art de ne jamais déjeuner chez soi et de . diner toujours chez les aittres .... par feu M. le Oh. de Mangenv'dle. Paris 1827 in 12. ■ lo mi sono maravigliato più volte meco stesso , come avvenga che gli uomini pongano maggiore studio e cura più diligente nelle cose o vane , o di picciol momento , che in quelle altre , che alla civiltà europea , e perciò al ben essere della razza possono giovar grandemente. E trovo che se ne m.aravigliava , son dlclotto secoli , quel dabben uomo di Sallustio ; se non m' inganna il traduttore francese ; che non pensaste voi già , eh' io volessi intisichire apparando una lingua che, più non si parla, ed è piena z;eppa di supini e deponenti. INIa poi considerata più sottilmente la cosa , parmi d' aver tro- vato la ragione dell' antico disordine. Que' romani e quei barbassori de' secoli andati , aveano fìtte in capo certe idee, che arrestavano il nobile slancio dell' inci- vilniento , inceppando miseramente gì' ingegni. Giulio Cesare scriveva della lingua latina , quasi fosse un pe- dante. Catone si avvolgeva nelle Origini delle cose ; e Terenzio Varrone rovistava tutti gli archivi di Roma per dissotterrar nomi e libri, che di ninna fama risona- vano. Se ci rivolgiamo poi a' secoli men remoti , chi non si sente mosso a compassione delle vigilie e fatiche incredibili durate dal Panvinio , dal Sirmondo , dal Mabillon , dal Noris , e da tanti altri Claustrali , che scotevano la polvere de' Codici e de' diplomi ? Qnal misero piacere fu quello del Muratori , del Tiraboschi , dell' Andres e di altri Bibliotecari , a consumarsi sulle Cronache , e le stori? per dare luce all' Italia ed alla letteratura ? Ma oggidì si va pur mutando la condi- zione del mondo ; grazie a quella scintilla che agita e scalda 11 capo di molti gagliardi ingegni. Le pedanterie 5o3 non hanno più voce di dottrina ; e le contese grama- t leali non sono più comportate dal secolo. E già la fi- losofìa , sdegnando di trovarsi ne' rumorosi ginnasi , n' esce fuori , e leggiadramente vestita si fa maestra di gentili costumi. Ella è stracca di viaggiar sull' Alpi col Saussui'e , di cercare i covili col Bu'ion , di aggirarsi ne' vortici del Cartesio , e di contemplare 1' ordine del mondo con Galileo e col Newton. Essa con un gentil sorriso si appressa a' Giovani , e porge loro un sigaro , mostrando come debbano fumare al cospetto dell' ama- bile metà della Razza ; oA^vero mette ad essi tra le lab- bra una pìj)a tornita da mano industre , insegnando con poche lezioni come si possa riempier 1' aria soavemente de' profumi tabaccali. Ma poco sarebbe , che un bea costumato giovane sapesse 1' arte di graziosamente fu- ìnare , s' egli poi avesse mal annodata intorno al collo la sua cTavata , bellissimo trovato de' Goti , a ripararsi djd- ^^yv'ajo ne' ghiacci del settentrione j introdotto poi , ed accolto , e diligentemente custodito da' popoli , che più temer deggiono il caldo d' agosto , che i venti del gennajo. Questa p:irte di filosofia , non disvelata mai né anche a' sottili peripatetici , ci viene insegnata da Monsìcur de l'Einnésé , che ne imparò gli arcani tutti dalla gentilissima Madamigella Martinet, (i), modista alla Galleria di Legno allato del R. Palazzo in Parigi, Il benemerito Autore comincia dalla storia della cravata « etimologica, filosofica, medicale, fisica, morale, po- « litica e militare , considerata sotto il rapporto delia « di lei influenza e del di lei uso nella società , dall' " origin sua fino a' dì nostri. » Ma perchè niuno si pensi che Madamigella si volesse dar briga d' influenze medicali , politiche e militari , è da sapere che tutte queste ricerche e considerazioni filosofiche si leggono in una introduzione che va innanzi alle Lezioni pratiche. In questa introduzione cerea il signor de l'Empésé 1' o- rlgine delle eravate , e propende a darne la gloria dell' invenzione a' giovani effjininatiy che volevano ren- (i) VeiJi il libro dell' Empe'sc , pag. ij6. So4 dersi interessanti , o sottrarsi a' que' doveri die at- terrivano la lor mollezza ; e ne ha per mallevadore un Filosofo , un Seneca ! E 1' origine del nome ? uditela dall' Autore : ce Nel 1660 vemie in Francia un reggi- mento di Croati , i quali avevano intorno al collo una benda di tessuto comune ; ma gli uffiziali , di mussola q di seta. Questa nuova foggia ebbe tosto il nome di croata , corrottamente cravata. ^i Non lascia 1' autore di notare quell' enormi crovate , clie si videro ( e noi le vidimo ancora ) negli ultimi anui del sec. XVIII ; per le quali un poeta che in un sonetto fece la descri- zione di quel secolo , lo dipinse con Intorno al collo un valiglone attorto. Nelle lezioni voi troverete , giovani leggiadri , un pieno ammaestramento , onde cravattarvi a maraviglia. Ve- drete la maniera di piegare ed annodare la cravatta da caccia , alla Diana , all' inglese , in valigia , alla poltronesca , da viaggio ec. ec. Belle sono al certo le lezioni j e ricevono chiarezza dalle figure annesse ; ma io temo che Madamigella Marlinet , tuttoché gentilis- sima , com' esser debbe una Modista di Parigi , allato al Palazzo reale , si volesse prender giuoco , un tantino almeno , de' letterati romantici. Io F argomento dalie- parole seguenti ; e forse m' inganno : certo , desidero d.' ingannarmi. Il lettore ascolti Madamigella , e ne giu- dichi, ce Gravata alla Indipendenza. E dubbio se tal nome ce le convenga a buon dritto ; perchè il collo cosi cra- cc valtato trovasi stretto come iu una specie di tubo ,, •t cosicché diviene incapace di qualche siasi movimento * d' inflessione ( face. 66^ . 53 ce Cravatta sentimentale. Il solo nome di questa cra- cc vatta , serve a dimostrare eh' essa non si addice ad ogni Si ; ma che sozza città, e che miserabil locanda '. — O via : pensi tu forse che i discendenti di Leonida alberghino più agiatamente di noi ? = Io non sono soldato — Potenza in terra : chi inai potrebbe approdar nella Grecia senza sentirsi tutto elettrizzato ? Vedi la casa in cui Byron mandò 1' ul- timo sospiro , e vergognati. — Potrebbe a noi avvenire come a Byron — Quando potrò godere del bel clima dell' Attica , e salutar la città di Milziade e di Pericle ? Ma s' avvicina un uffizlale stif'aniero : Signore ; siete voi giunto or ora? — Io parto; e voi, se siete saggi, se- guitemi. — Voi abbandonate gli Elleni ? — Ho servito Ire mesi e basta. La nave sta per allontanarsi : addio . . . A proposito , sappiate che Kiaia-bey paga per ogni te- sta di franco, i5oo piastre — Ali moti Dieii , grida Riccardo: à Paris je sentais ni t téle plus ferme sur mes épaules. I due poveri cosmopoliti sono fatti pri- gioni da' Turchi , danno tutto ciò che avevano a titolo di riscatto , giurando per soprappiù di non tornare più mai nella Grecia. — Non dubitate , dice Riccardo a Res- chid Pascià , non ci verrà più la tentazione di farci .sfidare à-^x! pensatori , né di pagare riscatto a' Bassa. In Frauciu le cose vaiuio assai m .glìo ; e il bene pò- 531 sitivo vai meglio dell' ideale. — Saviamente tu pensi , o Riccardo : chi sta bene non si muova — conchiude il romantico Arturo. Possa il Cosmopolita del Romieu rendere gli studiosi accorti delle follie che s' aggirano nel capo de' settattori della nuova scuola boreale ; possano riconoscere finalmente i giovani italiani che il Romanticismo non è soltanto una pazzia letteraria , ma una pazzia ncll' ordine sociale. La difesa di Dante ed i sermoni di Gaspare Gozzi. Milano, Bettolìi, 1828, in Sa. Spesso ci porge la storia letteraria esempi di nobilis- simi ingegni , a' quali piacque sotto lo scudo di ben condotte allegorie schermirsi dai morsi dell' invidia , e confondere i nemici de' buoni ed onorati studj ; nel che diversa via si tenne da ciascheduno secondo la di- versità delle discusse materie. Al quale intendimento il Boccaccio in quella leggiadrissima introdiizione alla sua Giornata Quarta con una Novella si scoteva dattorno certuni troppo teneri della sua fama ; il Caro faceva ad un Bidello rispondere al Castelvetro meglio di una cat- tedra , e Alessandro Tassoni cogli scritti d' un suo ser- vitore riportava sopra l' Aromatario una vittoria san- guinosissima. Ma Gasparo Gozzi siccome di tutti questi avea migliore la causa , cosi ancora ne riuscì vincitore con una gentile e graziosa urbanità tutta propria di lui. Il Bettinelli colle sue pazze lettere Virgiliane aveva in- torno alla metà dello scorso secolo insolentemente mal- menati i nostri miglior poeti , e in singoiar maniera Dante prediletto del Gozzi (1). Il quale non potendo questa temerità portare in pace , immaginò di vincere 1' avversario colle sue stesse armi , facendo anch' egli dagli (1) Piaceml qui di riferire a' nostri lettori una leggiadra Iscrizione che il chiarissimo giovine , immaturamente dalla morte rapito alle italiane lettere , Luigi Uberto Giordani ( cugino del celebre Pietro) avea composta e premessa al suo esemplare delle lettere Virgiliane dell' ediz. di Venezia 34* 522 Elisi venir IcUcre che smentivano le pseudo-virgiliane, e convincevano di solennissimi errori V inventore di queste. Ricchissima suppellettile di dottrine , profondità di critica , sceltezza di solidi precetti qui si dispiegano con mirabile disinvoltura in vaghi e naturali dialoghi , nei quali 1' Autore rappresenta con finissima arte i par- ticolari caratteri del Doni , di Virgilio , Giovenale , Ari- stofane , e d' altri antichi poeti ammiratori della Divi- na Comedia. Di questa si dichiara il sommo magistero, se ne spianano le difficoltà , e più facile se ne rende l' intelligenza agli studiosi. Sono capi d' opera le parole dette da Trifone Gabriello sopra V arte di Dante nel suo poema, l' Orfeo fai'ola di Aristofane intor- no al buon gusto dello stesso Dante. Il Doni è il rac- coglitore di quanto si fa o si dice negli Elisi dalla schiera de' poeti , e il tutto comunica allo stampatore Zatta , il quale impresse pel primo questo lavoro del Gozzi adorno di figure analoghe ai trattati argomenti. Certi GioK'inotti che vanno a caccia di scintille bo- reali , e amano meglio far la scimia agli strani che vol- gersi a una prudente e discreta imitazione de' nostri sognando pastoie dov' è libero ed aperto campo , hanno 1^58 in 4'" A me graziosamente permise di trarne copia un mio (iottissimo amico , della cui amicizia godette pure un tempo il Giordani. L' Iscrizione è questa : AVSPICE . PHOEBO . A POLLINE SVMMORVM . POETARVM . CONSVLTO CAVTVM NE . QVIS . ANTE . VICF.SIMVM , AETATIS . ANNVM ET . DANTIS . ALIGHERII . DIVINO . POEMATE NON . QVATER . LECTO MAS . PSEVDO-VIRGILIANAS . EPISTOLAS LEGAT QVI . SECVS . FAXIT A . MVSARVM . FINIBVS PERPETVO . ARCETOR QVI . EPISTOLARVM , SENTENTIAM . PROBAVERIT SACER . ESTO 5^3 una chiara e filosofica lezione nel secondo Dialogo della Difesa di Dante. Eccone le parole poste in bocca al Doni : ce II buono e il bello sono sempre quégli stessi. « Gli uomini si saziano , e qualche beli' ingegno si ce prevale di questo difetto del cuore umano che tosto ce si annoia , onde trattosi fuori della via comune , pre- ce senta altrui qualche novità. Nel principio se ne odono « le maraviglie ; ma poi finalmente chi vuol avere una « buona statua convien tornare a trarne le copie dalle ce antiche , e chi vuole una buona pittura fare il me- cc desimo, L* imitare non è un legame , quando si sa ce fare. Esso non è altro , che a poco a poco andar ce dietro alle orme di uno o di più che ti guidino per ce un sentiero che tu non sai ; ma come tu se' giunto ce ad un certo segno , se avrai buon intelletto e forza , ce puoi prendere un volo , e lasciarti indietro quegli ce stessi che tu avrai imitati ; o almeno , se tanto non ce potrai fare , non ti romperai il collo. Io per me leg- ce gerei con più sofferenza centomila Sonetti de' Pe- ce trarchisti mediocri , che due dozzine di altri , i quali ce volando sopra le nuvole ti dicon finalmente nulla , ce e male, w I Sermoni del Gozzi , che formano 1' altra parte del volumetto annunziato , sono per giudizio di tutti i lotte- rati si eccellente cosi , che se ne compiacerebbe Orazio stesso. Veggasi il Piudemonte nell' Elogio del Gozzi , e più ancora dementino Vannetti nell' opuscolo sopra il Sermone Oraziano imitato dagli Italiani , che sta in fronte al voi. 2. delle sue Osservazioni sopra Orazio , edizione di Lugano 18^4 in 8. Elogio funebre del M. B. D. Pietro Bevilacqua già priore di Gonzaga, detto nella plehaiia sua chiesa il IX ottobre MDCCCXXFIII ec, Par- ma , per Giuseppe Paganino. Qutslo li])retto ci offre una recentissima Epigrafe del- l' egregio D. Filippo Schiassi Professore nell' Università 524 di Bologna, Quindi ne facciamo un presente ai cultori delle latine lettere , delle quali è degnissima. MEMORIAE . ET . NOMINI PETRI . BEVILACQVA CVRIONIS QVI.A .PRIMA . AETATE . INNOCENTIAE . RETINENTISSIMVS DEI . EIVSQVE . GENETRICIS . CVLTOR . EXIMIVS QVVM . INGENIO . MEMORIA . DOGTRINA . ENITERET DEQVE . OMNIBVS . BENEMERENDI . STVDIO . FLAGRARET IN . ORNAMENTA . AEDIS . HONORIS . SVI QVEM . VNIVERSIS . PRAEOPTANTIBVS . SVSCEPIT IN . TVTELAM . PVDICITIAE IN . SVBSIDIA . EGENTIVM . AEGRORVMQVE MAGNAM . PEGVNIAE . VIM . EFFVDIT IDEM . NEC . PROSPERIS . VNQVAM . ELATVS . NEC • ADVERSIS . FRACTVS MITIS . MODESTVS . COMIS . OFFIGIOSVS SEVERVS . SIBI . ALIISQVE . IND\'XGENS VIXIT . A . LXXV . M . IX . D . XXIII QVATVORDECIM . MORBIS . SAEVISSIMIS . TOLERATIS EXEMPLAR . CONSTANTIAE . ET . SANGTIMONIAE ABIIT AD . SVPEROS . NON . OCTOBR . A . MDGCCXXVII DEDITISSIMI . OPPIDANORVM AD . ALTARE . VIRGINIS . SANGTAE . PRODIGIALIS IMPENSA . VIRI . PIENTISSIMI . EXTRVCTVM VIRTVTIS . HONORANDAE . GRATIQ .ANIMI . CAVSSA F.C. L' Amhassade en Chine par C. F. VaNdervelde. Paris , Renouard 1827 in 8." Sono alcune contrade colà nel settentrione dell' Eu - ropa , le quali si troverebbero avvolte per molti giorni, anzi per mesi intieri , nell'orror della notte , se tratto tratto non risplendesse agli occhi dì que' m.iserl abitatori la pallida luce delle aurore boreali. E di questo fulgore , qual che sia , debbon gli uomini di que' paesi render 535 grazie immortali alla divina Provvidenza. Ma se le na- zioni del mezzodì , ove 1' alma luce del sole ogni gior- no risplende , ed avviva la natura , chiudesser gli occhi al dolce lume , e si volgessero desiosi a sospirare le au- rore boreali , sarebbe da dire che fossero in tutto fuori del senno. Questo che diciamo dell' aurore settentrionali e del sole , puossi molto acconciamente applicare alla letteratura romantica ed a quella detta de' Glassici. Omero e Scott , Virgilio e Cooper , Tasso e Van-der- Velde , così sono per sapienza e per grazia lontani gli uni dagli altri , come l' immenso splendore del gran pianeta è lontano dalla pallidezza delle aurore setten- trionali. Che se in tutti i Romanzi storici m.ancano i pregi , che fanno i libri e gli autori immortali per fama , che diremo dell' ambasceria alla China , eh' è senza contrasto uno de' più scipiti tra' romanzi mo- derni ? A far prova di quanto diciamo , si noti che gì' Inglesi parlano nella China familiarmente con uomini e con donne d' ogni condizione j né l' autore pensò a dirci come s' intendano tra loro j anzi ( cosa incredi- bile ! ) dopo averci narrato i colloquj di un luogotenente inglese con una giovine della China , fa che questo mi- litare cerchi un maestro di lingua chinese per appren- dere à exprimer le choses les plus nécessaires ( face. io8 ). Sic itur ad astra , direbbe il Chiabrera. 1 y/Z Signor DjriD Bertolotti , Proprietario e Compilatore del Nuovo Pàcoglitore , A.lho Docilio , Salute. Tatti gli Editori di libri lodano , prestantissimo sig. David , la vostra umanità e gentilezza , colla quale ac- cogliete assai cortesemente i lor desiderj , e ne fate co- pia nel vostro Nuovo Rico^litore a tutta l' Italica Na- zione. E se questo gentil uQicio rade volte prestate agli Scrittori Liguri , non ò colpa vostra , ma di noi che non ci curiamo gran fatto di bandire pe' giornali i no- stri pregj ; donde avviene che molti , non bene infor- mati delle nostre condizioni , ci abbiano in conto anzi di mercadaali che di cultori degli sludj e delle arti miglion. Ma ove alcun de' nostri a voi si rivolga , pre- gandovi di farlo cliiaro co' vostri fogli , non siete punto ritroso a così modesta brama. Difatti nel quaderno set- , tembre 1828 trascrivete di buon grado un articolo ge- novese sopra un llbriccino stampato in Cremona nel i8ii5 con questo titolo: — Relazione storica dello slato civile , scienze ed arti che fiorivano tra gì' Indiani prima del tempo di Alessandro — e ciò fate , per promuo- vere qU utili studj e la (Ugnila nazionale. Ora, vo- lendo io similmente dare opera all' avanzamento degli «Itili studj (secondo mie forze), mi sono deliberato di esaminare il vostro articolo , che s' intitola Cose in- diane, e di mandarvi le mie osservazioni , acciocché , in qualche momento d' ozio , possiate benignamente darmene il vostro giudizio. E perchè io non so di Ret- torica , senz' avvilupparmi in proeuij , vengo subito a schiettamente palesarvi 1' animo mio. Nel vostro articolo è lodato 1' Autore della succitata Kelazione per 1' ottimo gusto, con cui giudica della scultura e della musica , per la singolarità dello stile che adopera , da ultimo per 1' educazione e la civiltà. Tanti ornamenti non sono mica spregevol cosa ; ma poco o nulla montano all' intendimento di questo mio scritto. Dicesi innoltre neli' articolo vostro che la ignoranza della lingua indiana ha indotti non pochi scrittori a narrarci cose confuse, esagerate ed anche false. E io mi sottoscrivo a tal sentenza. ce Ho sempre pensato ( continua l'articolo) che non ce tutto quello che molti degli Europei hanno scritto ce sopra le maniere , leggi , riti e costumi indiani sia ce geometrico ed infallibile, ^j E saviamente ha pensato quest' articolo. Ragionando 1' articolo sopra un Anonimo che nel Giornale Ligustico (i) ebbe a parlare per incidenza degli usi dell' ludie , scrive a face. 663 che è un eru- dito Scrittore e che saggiamente fa vedere ec. j ma poi , senza ricordarsi di queste lodi chiude il suo ser- mone colle parole seguenti : ce Finisco con animo riso- (1) Fase, secondo del 1828, face, 186-191. « luto di nort voler contendere con persone ( legg. « persona ) ornata di tanto valore. " Orazio sgrida co- loro i quali scrivono per maniera si fatta, che iiec pes , nec caput uni reddalur formae. Il vostro articolo , sig. David , per quanto sia grande ed illustre cosa , non può mai dispregiare wn erudito Scrittore che saviamente ragiona. « Fu sempre libero ad ognuno ( parla 1' articolo ) « di dire il suo sentimento , purcliè non offenda nò ce Iddio , uè la P».eligione , né il Governo , né il pros- « simo , e si trattenga entro i limiti della civiltà. 3> Dunque anche il Giornale Ligustico potrà dire il suo sentimento. Ma il Giornale Ligustico parlando delle Indie ( op- pone 1' articolo ) ci fa una diceria inconcludente , in- sulsa ed incivile. Io non dirò che in questo luogo si trapassino i limiti della civiltà : ma dico che il Gior- nale Ligustico cita Qà) le leggi delle Indie , e 1' auto- rità della Relazione , tanto celebrata nel vostro arti- óolo. Può darsi , che le leggi indiane sieno insulse ; ma è impossibile che le testimonianze della Relazione sieno inconcludenti al tribunale di chi difende la Re- lazione medesima. Il vostro articolo , Signor Bertolotti ornatissiino , o dovea provare che la Relazione s' in- ganna , o dovea tacere. Ora prima di mostrare che 1' articolo del Ricogll- tore non ha inteso lo stato della quistione , piacemi far un breve sommario delle cose qui sopra conside- rate. Non pochi Scrittori ci narrano cose confuse e false intorno all' Indie ; e benché molti Europei con- sentissero in un punto , non perciò 1' autorità loro sa- rebbe infallihile. Qui prego il Raccoglitore ad illumi- ' narrai. Ammessi questi due principi delle falsità e della fallibilità di non pochi anzi molti degli Eu- ropei, che scrisser dell' Indie, può forse darsi colpa al Giornale Ligustico se modestamente dubitò di uu fatto riferito in im foglio dell' Lidicatore ? Colpa sa- rebbe se non avesse dubitato. Eccone la prova. L' hi' (2) Gioia. Ligusl. iS^y , fase terzo , appcnd. seconda. 528 dicatore contraddiceva apertamente alle lettere sull' Indie Occidentali del chiarissimo viaggiatore e profes- sore Lazzaro Papi ; contraddiceva alla Relazione sto- rica pubblicata in Cremona nel iSaS. Doveva egli dunque la deposizione dell' unico testimonio prevalere contro a quella di due ? Ben so , potere alcuna volta 1' unica testimonianza meritar fede maggiore che quella di due , o di dieci testimoni ; ma solo in certi casi ; nel caso nostro poi, si trattava di un Papi, vissuto lungamente nelle Indie , ragguardevole per dottrina , e non che ri- fiutato , lietamente accolto in illustre Corpo in Toscana : trattavasi di una Relazione storica , che si asserisce composta da persona che fu degli anni parecchj nell'In- die ; e che ratifica e ripete le cose deposte dal Papi. Adunque ogni dritta norma di ben ragionare voleva che sì autorevoli testimonianze si tenessero in maggior conto dell' articolo anonimo dell' Indicatore. Laonde , avendo errato molti degli Europei che vol- lero parlare delle Indie , poteva assai bene chi fece r articolo del Giornale Ijigustico , essendo egli , a detta del suo avversario , erudito Scrittore , che ragiona sag- giamente , dubitare dell' articolino stampato nell' In- dicatore, appoggiandosi per quel dubbio all' autorità del Papi , e della Relazione Storica di Cremona ; e poteva eziandio per quella dottrina certissima , procla- mata dal Ricoglitore , esser libero ad ognuno di dire il suo sentimento. Parmi , che fino a qui la ragione sia tutta pel Gior- nale Ligustico. Né il Nuovo Ricoglitore arreca tali argomenti da metter paura al Giornale. Osserviamo. ce Non trovasi in tutta 1' India un Bramine , un Scie- tri , un Naire , o altro facoltoso di qualunque siasi Casta , che possa dire d' aver posseduto o possedere schiavi. Questa verità conobbero anche quei Greci che con Alessandro invasero l' India. Megastene , uno dei generali di Alessandro : Hoc etiam esse memorabile in India , dice , Omnes Indes (i) liberos esse , ncque ulluin omnino Indum servuni esse j gua quidem in (i) Forse volea dire Indos. Sag re Indis cum Lacedemoiììis convenit. Lacedemoniis eniin Helotes , sive mancipia , tantum servi sunt , ser- viliaque munia oheunt , neque Indi aliis servis utiin- tur. Arriano lib. I. " Queste sono le parole del Rico- glitore , face. 661. Ed io mantengo che in questo luogo si offende la logica , e la dottrina dell' antichità. Infatti a provare che in tutta 1' India non trovasi uno clie possa dire d' aver posseduto o possedere schiavi , si do- vea dimostrar che in tutta Sparta non si trovasse uno che possedesse schiavi; diversamente il paragone non corre. Che logica è questa ? GF Indiani non hanno schiavi , come gli Spartani non avevano altri schiavi che gì' Iloti. L' unica consegxienza che se ne può de- durre si è qu.csta : I costumi degl' Indiani convenivano intorno alla schiavitù con li costumi degli Spartani : ma gli Spartani avevano molti schiavi , detti Iloti : dun- que anche gì' Indiani avevano schiavi. Ecco come il grande argomento del Ricomputare viene a confermai'e la dottrina del Giornale. L' archeologia avi'cbbe spie- gato (a) all' autor dell' articolo 11 passo di Arriano j facendogli sapere che gli antichissimi figliuoli degli Eroi, ossieno gli Ottimati , o Palrizj , avevano a se riserbato la proprietà di tutti i terreni , i dritti di far leggi , di maneggiar le armi , gli auspicj , i matrlmonj legali o solenni , e il ministero de' riti religiosi. Questi privilegi guardavano per se gelosamente ; e perciò non volevano comunicargli alla plebe. Adunque fino a che il di- scendente di un Eroe formava parte del corpo civile ( ossia fino a che non cadesse in mano de' nemici guer- reggiando ) , egli era sempre uomo libero e signore 5 né poteva discendere alla condizione di schiavo. Cosi pur fecero in Italia i Longobardi ; giacché riputandosi eglino tutti liberi e nobili , si tolsero le terre , le armi, il diritto della guerra e della pace , lasciando a' vinti il coltivare in servigio ed utile de' padroni il terreno , e ubbidirne i comandi. Che se non furono cotanto ri- gidi, come gli Spartani , ciò venne dalla Religione di (a) Egregiamente illustra questa parte dell' antica storia il Vico nella Scienza nuova. 53o Cristo, clie professavnno. Adunque Arriano non dice , che ql' Indiani non avessero sciiiavi ; àfiermA ( vero o falso che si dica ) che nell' Indie niimo di legiuima stirpe indiana , era schiavo ; ma come gli Spartani adoperava- no al servii ministero gl'Iloti , così gì' Indiani si procac- ciavano schiavi cV altra generazione. Questo è pe' secoli antichi. Parlando de' recenti , il Ricoglitore non ba- dò a queste parole dell' Ab. Mignot , le quali pur cita ( mlrabll cosa ! ) contro al Giornale (i) « Quoiqne la ce servitude y ait été admise depuls , les Indiens traltent ce leurs esclaves conime leurs propres cnfans. " Duu- qile oggidì ( aujouid'hui dans V Inde ) gì Indiani tengono degli schiavi, se dicono il vero 1' Ab. Mignot, e il Rlcoglitore : dunque ( con pace dell' Indicatore ) può trovarsi in tutta V India un facoltoso che possa dire d' aver posseduto o possedere schiavi. Or giudi- cate , se vi sia misera servitìi in una contrada , ove a detta del vostro articolo « sono cinque caste infami , ce la condizione delle quali tocca forse 1' ultimo grado ce d' abbiettezza e miseria , impiegati sempre nel più ce vili uffici : vivono separali dalla società in mezzo a ce pantanosi campi. . . si pascolano sovente anche degli ce animali morti ritrovati. 33 Queste caste , divise dalle altre con insormontabili ostacoli , secondo 1' Indica- tore , sono in vera servitù civile , peggio assai che gli Italiani sotto de' Longobardi , e i Greci sotto de' Tur- chi. Dico in servitù civile , non personale ; e se 1' Aut, dell' articolo non intende tal distinzione , legga il Maf- fel e il Manzoni , che la spiegano assai chiaramente (a). (1) Nuovo Ricoglit. face. 666. (a) Ad ammaestramento de' giovani ne farò io stesso un articolo, che spero di pubblicare nel Giornale Ligustico. r. Paolo Amedeo GIOV ANELLI Prev. di S. Don. Revls. Are. V. Se ne permette la stampa. Gay.' GRATAROLA Revisore per la Gran Cancelleria. 43i INDICE. Scienze. Relazione del Sig. Frane. Riccardi fa Carlo sopra lo sfasciamento della Mummia regalata dal Sig. Bella al diuseo di questa M. Università Pag. 4^9' ^ Osservazioni geognostiche e mineralogiche di Girolamo Guidoni «427.1 Corso elementare di Matematiche pure e miste « 443> 1 Ll^TTÌCRE. Lo Scisma d' Inghilterra e le altre operette di Bernardo Davanzali ec. Osservazioni bibliografiche e filologiche dell' Ab. Mi- chele Colombo « 4^4- ' Lettera 6. sulla Predicazione ce l\^6'i. \ Poesie inedite di Pompeo Figari Genovese « ^']o.\ Odi Liriche di Gian Carlo di Negro . - ce 47^* 1 Del libro di Giulio Perticari intitolato l'A- mor patrio di Dante ce 4^3.1 Lettera Bibliografica dell' Ab. Michele Co- lombo sopra le Rime e Prose di Ales- sandro Allegri ce 4^9* 1 Novelle Letterarie. Lettere di Jacopo Bonfadio e la congiura de' Fi escili. Les Patriciens , histoire et e, traduite de V AUemand par C. F. Van- Der-Velde. L' arte di fumare e prender tabacco senza recar dispiacere alle Belle. U art de mettre sa Gravate. L' art de ne jamais déjeuner chez soi et de diner tou- jours chez les autres etc. Caffaro e suoi continuatori. Il Dorateo , Dialogo di G. Ottonelli contro allo scriver men cri- stiano. Canto funebre in morte di G. Piazzi famoso astronomo , scritto da 432 yigostino Gallo palermitano, articoli scelti dello Spettatore Inglese. Proverbes Jiomantiques. La Difesa di Dante ed i Sermoni di G. Gozzi. Elogio funebre di D. Pietro Bevilacqua. L' Ambassade en Chine par C. F. F'andervelde. Lettera di Albo Docilio a David Bertolotti. « 4g3 53o, Errata del Fascicolo 4-° 1828, Pag. lin. lessi- 344 17. non ha mollo , nella novi ha mnlto nella ivi ivi Redi Fiorentino Redi accademico Fiorentino 345 12. a uno in fuori da uno in fuori 346 21. vigneti fattevi portar vigneti , fattevi ecc. 347 i3. della persona gli avea della persona , gli avea ivi a3. a dìecisctte a' diciassette ivi 32. di sotlocchi di sottecchi 349 7- accomoiiatatisi la più parte accommiatatisi , la più parte ivi 29- né i pili cortesi ed né i più cortesi , né i più virtuosi amabili né i più arnablli ivi 17- essere in grembo essere nato in grembo 35o antep e di quel altro e di qual altro 35a 3o. il il farò io 11 farò 36o 23. resertum referlum 36 1 3i. objecta se frondls objectu se frondìs 4o3 16. dell'abate Cesarotlì dell' ab. Casarolti 4.1 29. la biografia la bibliografia 404 4.. meibooico meibomio 4l3 3. ultimo ottimo Idem del Fascicolo 5, 454 a4' agevele agevole cà c)ae'W/:te/, A ebbene, e^O JbUt/. Hoc opUs , hoc studium parvi prope^einus, et ampli , Si patriae volumus , si nobis vivere chari. Hok. ANNO li. "— FASCICOÌO VI. GENOVA 1828. 535 Continuazione delle Osservazioni geognostiche ó mineralogiche di Girolamo Gridoni. V. Fase. 5." pag. 427. Dei marmi , e di varie altre sostanze minerali e metalliche che si trovano nelle montagne del Golfo. X-^ on essendo la Geologia uìio studio di pura e sem- plice curiosità , ma dovendo la parte scientifica condurre gradatamente ad una più esatta cognizione delle sostanze che servire possono nei bisogni sociali ; verremo primie- ramente a parlare dei marmi che hanno origine dalle roccie descritte , poi accenneremo brevemente le altre so- stanze minerali e metalliche , dalle quali si potrebbe ri- cavare un qualche lucro. Esistono già da moltissimi anni nel Golfo della Spe- zia due rinomatissime cave di marmo ; una situata ali estremità orientale dell' isola Palmarla , 1' altra nel seno interno delle Grazie. Il marmo che esse producono è generalmente cognito sotto nome di Portovenere , e dai Naturalisti chiamato Portoro dal presentare che fa bel- lissime venature gialle sopra un fondo nero cupo. Un tal marmo non fu pure ignoto ai Romani, che al dire del chiarissimo sig. Corderò di Sanquintino , portò forse il primo il nome di marmo lunense. Fra coloro però che lo lodarono e lo desci'issero merita che io ponga quivi per intiero ciò che ne dice 1' immortale Spallan- zani , poiché la sua descrizione può bastare a darne la più chiara idea. « Il marmo di Portovenere è uno di « quelli che è nominato con lode in Italia ed anche et fuori, E ciò meritamente non tanto pel nobile lustro te che dal pulimento riceve , quanto per le vaghe do- te rate macchie , che spiccano mirabilmente su di un «t fondo morato. Gotal marmo si cava presentemente in 536 « due luoglii, all' ostenio canto della Palmai-ia a levante re e in terra ferma poco lungi dal Golfo , e da un mo- cc uastero detto delle Grazie. Del rimanente non sono ce questi i due siti unici dove si può estrarre im tal ce m.armo. Moltissimi altri luoghi di quest' iso](a ne ab- cc bondano. Lo stesso è pure di più parti del vietino con- te tinente , e il medesimo borgo di Portovenere , piantato ce tutto nel nudo scoglio , può dire di averlo dentro al ce suo seno. Difatti molti strati dello scoglio non sono ce che di un tal marmo , con questo solo divario che è ce privo di quelle macchie giallo-dorate, o che non è ce tanto ricco di esse. Generalmente poi il marmo de- ce nominato di Portovenere non è come tanti altri mar- ce mi elle formano monti iutieri o pezzi di monte , senza ce che mescolati vadano a materia straniera. Quello di ce cui parlo trovasi per lo più in compagnia di una rozza ce pietra calcarea , più dura di lui , e d' un cenerognola ce oscuro , per liberarlo della quale , e così poterlo aver ce pui'O , fa sovente d' uopo di molta spesa, w Oltre gli encomi fatti dallo Spallanzani a questo ce- lebre marmo , ne parlarono molti altri autori. Il Tar- gioni , il Gordier , e il Brard nella recente sua opera : Mineralogie appliquée aux arts , dopo 1' enumerazione di tutti i marmi d' Europa , così si esprime : ce Ce mar- ce bre , célèbre par la ricliesse de ses veines jaunes d'or , ce et par l'intensi té de son fond noir , est connu de tout ce le monde. Après le marbré blanc , le porlor est celui «e cpii est cité comme étant le plus digne de figurer dans «e les ameublemens les plus somptueux et les plus re- ce cherchés jj . E chiaro dunque che esso occupa forse il primo po- sto fra i marmi coloriti , e che al dire dello Spallanza- ni , non solo esistono moltissimi altri luoghi dove po- trebbe tentarsi utibnente 1' escavazione dei marmi di Portovenere , oltre le due già mentovate cave ; ma è pure sicurissimo che 1' isolotto del Tino , la Palmaria e la massima parte della montagna che sovrasta a Por- tovenere , sono della stessa natura. Come trovasi appunto in Carrara un bel marmo statuario di una bianchezza I 53; laltea , a contatto di un bardiglio di un colore oscuro , cosi il nero di Portovenere , alterna con una pietra cal- carea di un bianco sudicio e lamine saccaroide. (7) Ciò prova che la sostanza clie ha coloriti questi marmi , non si mescolò cogli strati inferiori , e che fra la for- mazione di un deposito e 1' altro , corso vi sia un certo spazio di tempo. Tanto il marmo di Portovenere , quanto la roccia nominata , sono composti di carbonato calca- reo e su di ciò non cade alcun dubbio ; ma il coloi'e nero sembra forse dovuto ad una maggiore quantità di carbonio accumolatosi alla pietra nell' epoca della sua formazione. Di altra origine sono poi le macchie o ve- nature gialle , e senza timore d' inganno , possono attri- buirsi ad un leggero ossido di ferro. Vero è bensì che non in tutti i luoghi , ove scuopresi , il marmo di Por- tovenere , non presenta costantemente le stesse venature gialle , ed alcune volte ne manca affatto. Allora sono queste cave di marmo nero assoluto ; marmo che non ha il pregio né la stima del venato , poiché trovasi del nero in Francia , in Inghilterra ed in molti altri luo- ghi. Le venature gialle sembrano pure qualche volta passare al bianco j non sarebbe perciò improbabile lo scuoprire alcune cave di un marmo nero venato di bian- co , e simile al bianco e nero tanto pregiato dagli an- tichi. Il Targioni, al riferire del Landinelli , e di Bona- ventura de Rossi , cita un marmo di tal fatta , che si scava in queste montagne. Il commercio poi dei marmi di Portovenere andò più volte soggetto a molte variazioni. Un secol fa non ado- peravansi che in adornamenti di chiese ed in altari , vedendosene moltissimi in Genova ed in gran parte delle due Riviere , lavori tutti eseguiti per iutiero in Carrara. Il gusto dei marmi andando poi sempre au- mentandosi , ed introdotti ancora ad abbellire le dome- stiche mura , non vi è al presente limitato particolare, che non voglia ricuoprire i proprj mobili con lastre di marmo. La grandezza e la ricchezza di una nazione richiamò sempre a se abbondante copia di marmi nei uionumenti che costruiva alla posterità ; non presenta-, 538 rono dunque mai le cave di Portovener* un maggiore interesse , né risvegliarono in conseguenza le mire dei passati Governi. Il marmo che fu scavato e venduto dalle due cave della Palmaria , e delle Grazie, durante l'anno iSaJ ascende in circa ad ottomila palmi cubici , a cui dato un valore medio di lire sei il palmo, avrebbero queste due sole cave prodotto lire 4^000. Non può però uu tale valore essere sempre costante , dipendendo dalle maggiori o minori ricerche , ma si osservi che tutto si vende allo stato greggio , e che non esiste in questi luoghi nessima fabbrica , come costumasi in Carrara , per ridurlo in lasti-e , e per facilitarne il lucido. Fatto conoscere il marmo il più pregevole delle no- stre montagne , e pel quale si potrebbe aumentare ed estendere un più lucroso commercio , restaci a parlare di quei marmi su' quali o non furono mai fatti tenta- tivi d' escavazione , o furono essi di breve durata. Ab- biamo osservato che tutti questi marmi hanno, origine nella roccia calcarea intermedia , e che essendo questa roccia soggetta a variare in mille maniere , per la na- tura dei colori , potrebbe a molti far credere di aver scoperto un nuovo marnio , ove non fosse che una di queste semplici variazioni. Noi non faremo perciò men- zione , che di quei marmi , che presentandosi in lui modo più esteso , sembrano meritare 1' attenzione del mineralogista economico. Dopo i marmi di Portovenere , vengono ad occupare il secondo posto quelli del canale di Éiassa. La prima è una specie di breccia di uu colore di fiore di pesco con macchie i"otonde bianchiccie. Questo marmo , che sembra più duro del Portovenere , non riceve però il suo lucido e il color rosso ò un poco troppo svanito , né produce un gradevole effetto alla vista. Il marmo bianco venato di Biassa non può paragonarsi in modo alcuno al venato di Carrara , essendo molto inferiore a questo ^el lucido e nella bianchezza. Non è questa pie- tra che il calcareo intermedio , già tante volle nominato , e di un grano un poco pi*ù cristallino. I marmi poi del 539 canale di Blassa non pi'esentano la facile escavazione cU quelli di Portovenere , nò come essi , il facile trasporlo ed imbarcazione. Un bel marmo trovasi nel picciolo canale che divide la sommità di Coregna dal paesello di Gampiglia. Il suo colore è rosso cupo con miacchie verdognole , ed è suscettibile di ricevere un bel pulimento. Non sembra che per lo innanzi vi fossero mai fatti tentativi d' esca- vazione. La sua situazione è però molto elevala , ciò elle ne renderebbe difficile e costoso il trasporto. Indizj di marmi a varj colori , si presentano nel ca- nale di Carpena , situato al nord della valle di Biassa , e nel successivo canale di Valdepino , e sotto la chiesa di Ponsò y ma in nessun luogo furono mai scavati. Il marmo di Pignone , già cognito per essere stato adoperato nei lavori della sala del gran Consiglio in Ge- nova , e per averne falla menzione il professore Giu- seppe Mojon nella breve sua Descrizione mineralogica della Liguria , non è che un tenuissimo strato di car- bonato calcareo compatto disposto a zone rossigne e verdoline chiare : zone che dilFeriscono nella loro du- rezza , onde in gran massa non può ricevere bel puli- mento. La sola parte verdolina è la più compatta e dura , ina contiene sovente delle arborizzazioni , o dentriti. La posizione in cui si ritrova e la sua poca estensione con- vincono chiaramente non potere meritare le spese di alcuna lavorazione, Cordier confuse male a proposito questa pietra con un marmo serpentinoso. Nella sponda destra del Golfo , e verso la Magra , oltre un marmo simile al Portovenere che abbiamo già nominalo , rinvengonsi altx'i marmi macchiali di rosso , e di questi marmi sono le colonne della chiesa di Trebbiano. Quanto sono ricche le montagne del Golfo in marmi , altrettanto dimostrano essere meschine o prive affatto di sostanze metalliche. La roccia calcarea come la più estesa non ne presenta quasi nessun indizio , se si ec- cettui il ferro solforato epatico , che come vedemmo ha pochissima connessione colla roccia stessa , e non vi for- ma mai filoni. La Grauwacca che occupa il secondo 54o posto , e cHe in pi» luoghi è la matrice di molti me- talli ; quivi pure ne sembra quasi sprovvista. Il solo te- Buissimo banco di serpentino del promontorio del Me- sco , è ove rinvengonsi i maggiori indizj metallici , che potrebbero diventare un giorno materia di una escava- zione importante. Due metalli sono '\\ ferro ossidulato e il manganese ossidato. Il manganese rinviensi nel diaspro compatto , che come accennammo , è roccia su- bordinata alla formazione serpentlnosa , e trovasi in ci- ma al canale di Fegina. Vi è sparso in globoli , o masse di varia grandezza , nel modo istesso come rinviensi quello della celebre miniera della Rocchetta ; ma pare alcune volte che si combini col diaspro e vi passi in- tieramente riducendolo allo stato d' ossido di manganese. Io posseggo molti saggi che per una parte sono formati dal manganese , e per 1' altra dal diaspro. Questo se- mi-metallo trovasi pure in altri Inoghi delle montagne del Golfo , e specialmente nelle colline di Arcola -e di Pitelli ove scuopresi il diaspro argilloso , o quella terra di un colore rosso vinato , il di cui centro è sempre occupato da uria massa più o meno voluminosa di manganese, Il ferro ossidulato e solforato è il secondo metallo di cui si rinvengono abbondanti indizj nel serpentino del Mesco , al luogo detto la Nera. Egli si manifesta alla superlicie del terreno sotto la forma di un abbon- dante idrato di ferro , che colorisce in ruggine le roccie vicine , e formavi delle eflorescenze di solfato dì ferro, che all' avvicinarsi del luogo sporgono un forte odore di solfo , il tutto dovuto alla decomposizione della pi- rite solforca , che si trova in picciola quantità combi- nata col ferro ossidulato. Esaminata poi più da vicino la roccia col martello , scuopresi il vero filone metal- lico , che io potei misurare della lunghezza di un me- tro. Il ferro è di frattura granulare o scagliosa , di un colore oscuro o verdognolo , e muove fortemente 1' ago calamitato. I saggi che ne posseggo , furono presi super- ficialmente , poiché non fu mai fatto tentativo d' escar Vazione , ma 1' esame esteriore basta a persuadere che 54i nseriljpr dovrebbe 1' atteoizione di qualunque mineralo- gista speculativo. Di fatti molte delle più ricche miniere di ferro d' Europa si trovano appunto nel serpentino e appartengono al ferro ossidulato ; ora la nostra miniera, oltre questi caratteri , presenterebbe un vantaggio incal- colabile , qual' è la vicinanza del mare. ^ Del ferro ossidulato osservasene ancora alla estremità di Capo -Corvo , nel luogo detto la Bianca , e nel calca- reo primitivo in cristalli ottaedrici simili a quelli che SI rinvengono nei marmi di Carrara. Nello stesso luogo, salendo verso il piccolo paesello di Monte-Marcello , vo- gliono alcuni che vi esistessero delle antiche escavazio- ni , e un' acqua minerale si trova a poca distanza , che contiene molti indizj della presenza del ferro. Per terminare il catalogo delle produzioni minerali del Golfo , aggiungeremo che nella roccia serpentinosa del Mesco trovasi parimente una bella steatite sarda- cea , volgarmente pietra da sarto , e alcuni filoncelli di arbesto amianto. Nel serpentino dalla valle di Pignone , presentasi una specie di grammatite , ed una terra fnagnesiaca , che servire potrebbe a molti usi dome- stici. Varie terre argillose si rinvengono in altre loca- lità del Golfo, e una finissima arena quarzosa si for- ma dalla decomposizione della grawvacca nella spiag- gia dell' Oca pelata vicino a Santerenzo , che viene ado- perata per segare i marmi , ma che con maggiori van- taggi servirebbe nelle fabbriche dei vetri. Ecco 1' enumerazione delle sostanze che il regno mi- nerale somministra nelle montagne del Golfo , le quali tutte furono osservate coi proprj miei occhi. Non voglio dubitare che altri in seguito potranno scuoprirvene delle più interessanti , e sebbene si studj un paese in breve spazio , non vi è naturalista fortunato che possa dire di averne conosciuti a pieno tutti i prodotti. J)elle maravigUose fontane, ed altre curiosità naturali del Golfo, pe vi furono mai sorgenti , o fontane che meritassero 54^ r altenzione dei fisici osservatori , quelle che trovansì nel Golfo della Spezia , non solo risvegliano alla mente del poeta il favoloso fonte d' Aretusa , ma danno al naturalista la più chiara idea della loro origine. Furo- no esse materia di mille questioni , e non pochi le visitarono per semplice curiosità , o come mezzo allo ad iscuoprire uno dei più maravigliosi fenomeni. Non v' ha dubbio alcuno , che sopra V importante oggetto dell' origine delle fontane , queste nostre del Golfo sono il testimone più certo della teoria ormai generalmente ab- Lracciala. Spallanzani e Vallisnieri le visitarono con grande attenzione , ma né 1' uno né 1' altro ce ne la- sciò una esatta descrizione , e tale da non muovere dub- bio alcuno sui fenomeni che presentano. Io mi credo in dovere di riassumere questo argomento , tanto più che mi sembra avere una certa connessione colla natura delle montagne che abbiamo descritte , e particolarmente col terreno calcareo nel quale si rinvengono. Incomin- cìcremo dal descrivere separatamente i luoghi ove sca- turiscono , poi passeremo al punto della loro origine. La prima e più meravigliosa è quella che osservasi nel mezzo delle acque salse , poco lungi dal seno di Ca- damare , e chiamasi volgarmente la Polla. Si manifesta alla superfìcie delle acque marine per una specie di gorgoglio , quasi che fosse ivi il mare in ebollizione ; ma lasciamo che lo Spallanzani ce la descriva , essen- doci proposti di seguirlo ove dire non potressimo di meglio : ce Questa fontana , che è distante da terra ò"5 « piedi , e dalla Spezia un miglio all' incirca , si solleva « di alcuni pollici dal livello del mare , formando una « specie di colmo circolare del diametro di 20 piedi , « il quale colmo è per ogni dove ripieno di gorgogli , « eziandio quando il mare è quietissimo , e la sua ac- « qua si osserva sempre torbidiccia , ma più ancora « nei tempi piovosi , a differenza della circostante che « è sempre chiara. In grazia di questi gorgogli non è « possibile che una semplice barca , o un navicello , « possa arrestarsi nel centro del colmo venendo subito « cacciato alla circonferenza. Sentirete però 1' artificio (8) 543 « da «ae immaginato , e per cui mi è riuscito il star et fermo a mio talento nel bel mezzo della fontana , ce giacché troppo mi premeva di esaminarla a dovere « così alla superfìcie che nel suo fondo. Adunque gu- cc stata detta fonte alla superficie , non è niente dolce , te ma solamente meno salsa che la circostante acqua ce marina ; scandagliata la sua profondità , ella è di piedi ce 38 e 1 [2 , e il piombino giunto che sia in vicinanza ce del fondo si sente tremare insieme alla cordicella , a ce cui resta appiccato , il qual tremore , siccome non si ce manifesta in altri luoghi , così è chiaro che viene pro- cc dotto dalla fontana , che scaturendo dal soggetto suolo , « lanciasi con impeto all' insù. Ma se 1' acqua della fon- cé tana alla superficie era meno salsa , dove cioè non ce poteva non essere grandemente mischiata alla marina; ce questa era una presunzione troppo forte per credere ce che nel fondo essere dovesse intieramente dolce. Ad et accertarsi però di questo faceva di mestiere trarre da ce quel fondo porzione di acqua e recarla fuori del mare ce senza che si mescolasse punto all' acqua marina. Ma u come giuguere a conseguir ciò? Parlerowi a suo tempo ce della macchinetta felicemente inventata , mercè cui ho ce potuto avere 1' acqua fontana nello stato medesimo in cui ce è quando sgorga da quel fondo , e dirovvi adesso di ce averla trovata torbidissima , anzi fangosa , ma dolce, ce Vi aggiungerò due altre circostanze ; 1' una si è che ce quest' acqua dolce in agguaglio a quella del mare è ce freddissima , 11 che nasce per venire sotterra ; 1 altra ce elle la macchinetta , clie era di latta , restò una volta ce quando toccava il fondo , schiacciata in un lato 5 la ce qual cosa a mio avviso non potò accadere che dal te violento m'to dell' acqua dolce sboccante dal fondo ce che cacciò la macchinetta contro qualche pietra o ce pezzo di scoglio, w Quantunque siano già scorsi 4^ ''*ii'^^ '^''^^^' epoca in cui lo Spallanzani visitò questa sorgente , nulla ha cam- biato di quanto ne dice. Scrivendo però al suo grande amico Carlo Bounet , gli fa sperare più minute ricerche , e dichiarandosi quasi lo sciiopritorp della vera origine 544 . della medesima , ciò che era rimasto dubbioso al Vallis- iiieri, ci lascia poi improvvisamente senza dire pure una parola di quelle che scaturiscono nel piano della Spe- zia , né del luogo della loro origine. Noi dunque ci sludicrcmo alla meglio di proseguire queste osservazioni, che se fossero state ultimate da quest' uomo sommo , le sorgenti del Golfo non avrebbero mestiere di nuova illustrazione. Dopo la Polla marina , non meno meritevoli d' atten- zione sono quelle che scaturiscono in più luoghi della pianura della Spezia. Sortendo dalla porta di Biassa , alla distanza di un cento di metri dalla città , trovasi un campo di figura quadrilatera , nel di cui centro os- servasi un impaludamento d' acque a guisa di una di quelle conserve atte a supplire ai bisogni dell' agricol- tura. Presto però uno si accorge dell' errore , quando fattosi a considerarla più da vicino , trovasi dalla parte che guarda verso la città un picciol muro , poi una cateratta dalla quale sgorga moltissima acqiia. Vedendo dunque scorrere si straordinaria copia d' acque , e non vedendo mai diminuire lo stagno , appena elevato di poche braccia al dissopra del mare , conviene natural- mente supporre che una qualche sorgente scaturisca nel di lui fondo e dia appunto tant' acqua , quanta è quella che sgorga dalla cateratta. La forma di questo stagno è quasi ovale , di 60 me- tri circa di circonferenza , ma dalla parte della Spezia vi sono due più piccioli semicerchi , e un terzo stagno perfettamente rotondo a guisa di un pozzo. La maggior profondità sembra vicina ai mentovati semicerchi , ma varie sono sopra di ciò le opinioni. Qualunque siasi però , è certo che oltrepassa di molto il livello del mare, e 1' origine delle fontane , che vi fluiscono nel fondo , vengono da un serbato] o sottomarino , che non ha nes- suna comunicazione col mare , sebbene vicinissimo. Ecco dunque uno dei fatti più chiari , che depone contro l' opinione di coloro che credevano 1' origine delle fojiti derivare dal mare , ed ecco ancora provato come pos- sono esistere gran serbato) d' acque dolci al dissolto del mare, senza che siavi fra loro comunicazione alcuna. 545 La seconda sorgente chiamasi volgarmente Sprugolu ili Maggiola (9) , ed è situala alle falde dol monte di Parodi , nell' angolo il più occidentale della pianura della Spezia. Le acque ohe scaturiscono in questo luogo sono così abbondanti , che molti dei più celebri fiumi non ne hanno in tanta copia alla loro origine. Se la loro elevazione fosse molto maggiore nel scendere al basso formerebbero un rapidissimo torrente , che molto danno arrecherebbe alle vicine campagne; ma invece esse scoiTono fra due erbosi poggi , non portando seco né sabbia , né pietre , né altro che ingombri il suolo. Picciolo è lo spazio ove si manifesta questa fontana , e forma uno stagno di 20 braccia incirca di circonferenza. 1 er una parte resta fiancheggiato dalla montagna di Pa- rodi , e dall' altra trovasi costruito un muro a guisa d' ai'gine , alla di cui estremità restano due cateratte , 1' una che conduce 1' acqua ad alcuni molini , 1' altra che serve a dar sfogo alle soprabbondanti nelle epoche di uno straordinario ingrossamento. Quivi pure la pro- fondità dello stagno è molto grandiosa , e le acque sem- brano esteriormente in uno stato di perfetta tranquilli- tà , ma accostando 1' orecchio si ode un certo fragore che rende avvertiti delle acque sotto venienti. Perdono però alcune volte la loro tranquillità apparente e si ve- dono gorgogliare con impeto , ed ancora sorgere in for- ma di colonna. In questo stato sono sempre torbidissi- me , e contengono assai sovente delle foglie , o altri vegetabili , che come si dirà a suo luogo vi vengono introdotti dalla famosa voragine di S. Benedetto. Segue assai sovente , che questa fonte cessa improvvisamente dal dai-e acque per essersi turato il foro con qualche corpo estraneo , e dopo una grande e seguitata siccità j ma poi riprende il naturale suo corso. Altre picciole sorgenti scaturiscono in molti luoghi del piano della Spezia , e sono fra loro poco distanti , ma un maggior numero se ne veggono dopo le abbon- danti pioggie , che scompariscono al cessare delle mede- sime. Fra queste è il così detto Ninfarum Domus , e la Rocca Lupara, che sembrano variare dalle altre , per 546 rssere due caverne situate più in alto , e dove le acque che yi sortono scendono naturalmente al Lasso , mentre nelle già descritte , vengono quasi tutte da un serbatoio inferiore al livello del mare. Alle fin qui nominate^ arrecherà maraviglia che io ne unisca tre altre ben cognite ai medici del luogo sotto nome di acque termali di Pitelli. Sono esse situate nella costa di levante del Golfo , in faccia quasi alla fa- mosa Polla di Cadamare , lungi un miglio circa dalla Spezia. Sorgono in prossimità grandissima del mare , e appena ne sono divise da una spiaggia di una trentina di metri. Il loro volume è molto considerabile , e fu- rono capaci di muovere due macine da mulini , al quale uso fu cercato di adoperarle , ma la loro elevazione ò così tenue , che difficilmente possono fluire sino al mare. Le vantate proprietà mediche , non sono dovute che ad una picciola quantità d' acido carbonico , che acqiTÌstano forse dall' attraversare qualche banco di fuchi marini , o altre sostanze , che si accumularono in quel luogo prima che la detta spiaggia separasse queste fonti dal mare, nel quale dovevano, non è molto tempo, scatu- rire. Né queste sono le ultime , poiché nella stessa di- rezione se ne osservano varie altre che danno origine ai cosi detti stagnoni , luoghi ben cogniti per l' insalu- brità dell' aria , e pei quali fu pubblicata la interessante memoria del sig. Lepère che propose al governo francese i mezzi di rendere salubre questa bella parte del Golfo. La sola enumerazione di tante sorgenti che si pre- sentano in un breve spazio , con tant.t abbondanza d'acque, e con fenomeni eguali , fanno abbastanza comprendere che una sola deve essere la loro origine. Chi non avesse però mai visitato le montagne vicine, e veduto ciò che segue di alcuni torrenti , non potrebbe parlarne con certezza. Il Vallisnieri , che da quanto sembra non vide che la famosa Polla di Cadamare , e forse neppure la vera caverna di S. Benedetto , restò dubbioso sulla sua origine ; quando con un più attento esame avrebbe ri- trovato nelle sorgenti del Golfo la prova più sicura della sua vantata teoria. Spallanzani parve conoscerla appieno. 547 ma egli la tacque. Il Targionl che infelicemente doveva rapportarsi ai suoi corrispondenti , non trascrive che un lungo squarcio di un certo Salvatore Ravecca della Spe- zia , che ne dh un' idea incompletissima. Tutti gli au- tori poi che ne hanno parlato in seguito si accordano a dire che queste fonti hanno la loro origine dalla Caverna di S. Benedetto , o volgarmente sprugola di Zegori, Tre miglia soltanto lontano dalla Spezia , resta questa celebre caverna , o immensa voragine , che il volgo ri- guarda con orrore , e sulla quale sparse si sono molte novelle. Salita colla strada imova la sommità della foce, presentasi subito un picciol seno , o catino di monti , chiuso per ogni parte e nel quale scendono diversi tor- renti. I monti che chiudono , o circondano questo cati- no , dalla parte meridionale , sono cpiélli di Carpcna , e Quaratica , che confinano con le più alte pendici , che guardano il mare e le sottoposte Cinque Terre. Pro- lungandosi poi dalla parte di Biassa sino alla foce , se- parano il mentovato catino dalla pianura della Spezia , e linendosi ai monti che si dirigono dal levante al nord 6 dove costeggia la nuova strada , terminano nella col- lirfa di S. Benedetto , luogo alle cui falde è situata la caverna , ed il punto meno elevato delle mentovate m.pntagne. Fra i torrenti che scendono in questa località , il più considerevole è quello di Garpena , che scorre al- quanto nella picciola pianura del mentovato seno pri- ma di gettarsi nella caverna. Alcuìie volte e principal- mente nella calda stagione , le acque si disperdono pri- ma di terminare il loro corso ; ma nell' epoca però delle straordinarie pioggie , segue sovente , che per la copia delle acque , o per le pietre e vegetabili da esse strascinate , otturasi il mentovato foro , e formasi quivi una specie di lago che acquista molta profondità , e rl- cuopre le vicine campagne. Tale improvviso accumulo d' acque in un seno di monti poche miglia distante dalla città della Spezia e molto più elevato della sua pianura, potrebbe mettere in gran timore i suoi abitanti , se non vi fossero altri fori situati però a maggiori altezze e che ricevono le acque che non possono penetrare nella caverna di S. Benedetto. Questa istessa apertura è un poco più elevata dell' alveolo del principale canale, co- sicché le acque sono quasi sempre costrette a salire la- sciando nel fondo le pietre , e non penetrando nella vo-* ragine che la pura acqua. Una seconda caverna molto più vasta della già de- scritta , e non meno orrida all' esteriore aspetto , tro- vasi assai prossima alla divisione delle due strade , nuova e vecchia , e chiamasi volgarmente Sprugola di Cam- pastrìno. Resta situata sul dorso della collina che di- vide il già menzionato seno di monti dalla picciola /pianura di Ricco , o dai cosi detti prati di Caresana< Non penetra in essa alcun torrente e solo vi depone pochissime acque un rivoletto che scende dalla pendice del monte vicino. "Verso il fondo però della voragine non pare che vi manchino , poiché gettandovi una grossa pietra dopo averla più volte intesa percuotere nelle pa- reti , ne dà infine manifesto segno col suo rumore. Vo- gliono alcuni che attesa la vicinanza di queste due ca- verne siavi fra loro una sotterranea comunicazione , e che quando nell' una penetra una gran quantità d' acqua , dall' altra sorte un fortissimo vento ed un certo rumore. Questo fatto che viene costantemente asserito da molti, non è improbabile , se si rifletta che nell' ampie cavità ove penetra 1' acqua sortire ne deve 1' aria che le oc- cupava , e trovando preclusa la solita via , aprire se ne debba un' altra. L' opinione dunque di chi considera questa seconda voragine come una specie di sfiatatoio che facilita 1' andamento di quelle sotterranee sorgenti , non è priva intieramente di fondamento. Con quanta facilità il celebre Vallisnieri confondesse queste due caverne , o non visitasse che quest' ultima potrà riconoscersi da quanto ne scrive, tt Nel ritornare « che feci da Genova verso la metà del mese di ot- « tobre , fui avvisato ritrovarsi poco lungi la via fra Re- « co , e la Specie ( invece di Ricco e la Spezia ) una et caverna sotto un monte che ingoiava tutte le acque ce de' luoghi circonvicini e le portava per un cupo ba- I 549 ce ratro nel Golfo della Specie , dove in mezzo alle ce acqvie salse tornavano a lasciarsi vedere. Volli andare ce sul fatto , e notai che allora un mescliinissimo rivo- cc letto entrava entro la nera grotta , e colà in una inac- cc cessibile voragine si perdeva. Osservai in quella di ce curioso uno spiraglio largo quattro piedi incirca, ce tutto fatto a chiocciola , come da un artificioso scar- cc pello , il quale perpendicolarmente metteva foce poco ce dentro la bocca della caverna , e andava ad aprirsi ce nella sommità del monte , donde quando molta acqua ce entrava nella caverna , usciva all' insù Serissimo ven- ce to , che faceva uno strepito , o un urlo , molte mi- cc glia lontano , sensibile ; ma al contrario come mi dis- cc sero , quando nella state seccavasi 1' entrante rivo , 1' aria ce senza strepito veruno all' ingiù piombava. Giunto alla ce Specie desiderai assicurarmi anche colà del vero , e fal- ce tomi condurre in una peotta al luogo , dove dicevano ce essere lo sbocco della menzionata sottoveniente acqua ce dolce, trovai essere verissimo, veggendosi molti gor- cc gogli come d'acqua bollente a ricorso , qualche poco ce alzantisi sovra il piano del mare , che gustati erano ce dolci. Riflettei però non potere essere allora quel mi- ce serabile rivo che entrava nella caverna , che portasse un' ce acqua abbondante , ed occupante molto più larga cir- ce conferenza dell' accennato rivo , onde sospettai o clie ce fosse un altro , o più d' uno raccolti insieme , che colà ce formassero quel guscio che al volgo pareva un prodigio.^ Di quanta maraviglia non si sareblie ripieno il Vallis- nieri , se avesse osservate tutte le altre sorgenti che nascono nella pianura della Spezia , e visitata la vera caverna dalla quale hanno origine ! Fece egli però at- tenzione ad un impaludamento d' acque fra Ricco e la Spezia , che sono quelle praterie appunto , che si ritro- vano alla base della collina di S. Benedetto dalla parte opposta della menzionata caverna. Non poche sono quelle acque , e nell' inverno formano un picciolo laghetto quasi permanente , non potendo tutte penetrare nel terreno. Che esse pure vadino poi ad unirsi a quelle di S. Be- nedetto , sembra cosa indubitabile. 36 55o Se moltP e copiosissime sono le sorgenll della Spezia , non pochi sono i torrenti e le acque che le nutriscono, e eia basta a farci considerare quanto grandiose e va- ste esser devono le cavità del terreno calcareo , nel quale sono contenute. Né d' una sola immensa caverna ci dobbiamo formare l' idea , ma è più naturale invece supporne diverse, le une dissotto delle altre, e tutte comunicanti fra loro col mezzo di sotterranei condotti j poiché in tal modo soltanto rendesi spiegabile , attesa la forza di pressione , come possano scaturire delle fonti in mezzo al mare , e sorgerne altre da cavità inferiori al suo livello. Non tutte però le numerose caverne che si presentano in questa parte delle nostre montagne , sono atte a con- tenere acque , e a nascondere torrenti che scendano da più alle sommità. Moltissime altre se ne osservano che per la loro direzione orizzontale al piano della monta- gna , e per la loro elevazione permettono all' uomo ed agli animali di penetrarvi a grandi distanze , senza ti- more di incontrarvi ostacoli. Due di queste maestose spelonche si vedono in faccia al paese di Pignone , e la loro esteriore apertura è vastissima , onde non sem- bra improbabile che servissero un tempo di covile e di tomba a feroci animali. La caverna di Cassona re- centemente descritta dal Professore Paolo Savi unita- mente alle ossa fossili che \\ furono rinvenute , trovasi due miglia incirca lontana dal canale di Pignone (io). Essa è situata nello stesso calcareo intermedio , che come vedemmo, forma una larga zona che senza interruzione si estende dall' isola Palmaria al canale di Pignone e ancora più innanzi. Le ricerche che ci siamo proposti di fare in alcune altre di queste caverne ci dan luogo a sperare di scuoprirvi qualche nuovo deposito di ossa fossili , che verrà ad aumentare un giorno la storia na- turale delle montagne del Golfo , delle quali noi ora intanto non crediamo di averne tracciato , che lui breve £unto. 55i NOTE. (i) Un lai metodo dì descrivere e limitare le montagne non consiste clie a facilitarne il loro studio , o a limitare le proprie ricerche ad un breve spazio di paese. Simili di- visioni introdotte in quasi tutti i rami delle scienze na- turali, non è già che esistino di loi'o natura, poiché tutto è una sola e semplice continuazione di una catena non in- terrotta. ( Vedi d' Aubuisson Traile de Céognosie , tom. i , § loo. (2) Era già slato Inviato il presente lavoro alla Società To- scana di Geoi^rafia, Statistica e Storia naturale patria, quando comparve nel secondo fascicolo del Giornale Ligustico una memoria del sig. Lorenzo Pareto Sopra alcune Relazioni che esistono fra la costituzione geognostica dell' Appennino Li- gure e le Alpi della Savoia. Noi abbiamo avuta la sorte di conosceie personalmente il sig. Pareto , e sappiamo di quanto zelo sia fornito per la scienza geologica , non cessando dall' intraprendere costosi viaggi in varie parti d'Europa. Le sue osservazioni diventano perciò un materiale prezioso , e la Liguria che ha 1' onore di esserle patria , può sperare sopra ogni altra parte d' Italia , un' esatta illustrazione. Questo primo suo semplice abbozzo ce ne dà una luminosa prova , ed io ho la soddisfazione di trovare le mie opinioni in ac- cordo col suo scritto. Se dunque alla classe dei terreni di transizione appartengono una gran parte delle montagne della riviera orientale ; quelle del Golfo , a mio credere , sono il luogo ove le roccie cristalline alternano colle arenarie , e vengono a contatto coi terreni primitivi delle Alpi Apua- ne , della cui importantissima formazione avremo campo di parlare in altro lavoro. (3) Verte oggi grave questione sulla natura di queste montagne , e dopo le osservazioni pubblicate dal celebre geologo tedesco Hausman , nel suo scritto sulla costituzione geognostica degli Appennini , parve dubbiosa la natura pri- mitiva dei marmi carraresi, lo non posso quivi maggior- mente estendermi per dimostrare tutte le ragioni^ che mi fanno differire dall'opinione dell' Hausman. U sig. Ema- nuele Piepeti is tesso, al quale siamo debitori d' importanti osservazioni su queste montagne , quantunque nel primo suo scritto. Cenni sulle Alpi Apuane , le dichiari come spet- 552 tanti ai terreni primitivi, guidato poi dall' alto sapere dell* Hausman , parve inclinare verso i sentimenti del medesi- mo , nell' altro suo lavoro sopra V Alpe di Pietr asanta , in- serito neir Antologia. Avendo avuta io la sorte di visitare le, cave carraresi , e torse i luoghi istessi ove 1' Hausman isti- tuì le sue osservazioni in compagnia di un non meno cele- bre geologo , il Professore Buckland , presidente della so- cietà geologica di Londra , egli non vide che un calcareo primitivo e simile a ciò che era stato osservato per lo in- nanzi da altri Naturalisti. (4) Quantunque le Alpi Apuane siano naturalmente divise dalle montagne del Golfo , e che un terreno evidentemente secondario occupi lo spazio che resta fra la valle di Carrara e il Capo Corvo; non è perciò che si debba dire interrotta la continuazione del terreno primitivo all' intermedio. Il gran deposito di grès a carbone fossile di Caniparola , la lignite di S. Lazzaro , 1' argilla , e il calcareo compatto che formano una gran parte del suolo Sarzanese, e delle mon- tagne che sono una specie di primo controforte alle Alpi Apuane , poggerebbero tutte sul calcareo saccaroide , o sullo schisto micaceo. (5) Un simile fenomeno fu osservato dal Brocchi nella Puglia Pietrosa in alcuni monljcelli detti le Murgìe , ove il terreno calcareo preseutogli lo stesso aspetto di quello che noi ora abbiamo descritto ( Fedi Conchiologia Fossile , •voi. \ , pag. 32. ) (6) Un più minuto esame sullo schisto grauwatico nei nu- merosi suoi passaggi allo schisto ardesiaco per una semplice diminuzione delle particelle micacee e quarzose, mi ha dato luogo a scoprirvi numerose impronte vegetabili , oude ecco un nuovo punto di confronto fra i nostri terreni di tran- sizione , e quei d* altre contrade descritte già da celeberrimi geologi. Nel canale di Verna/za nrlle Cinque Terre , cioè verso r estremità delle montagne del Golfo , esistono quest' impronte nello schisto grauwatico , che conserv^.no soventi la forma cilindrica , sebbene siano convertite nella materia del grès , e sembrano , per la massima parie , appartenere a piante monocotiledoni. Singolari sono Ira queste , alcune che conservo presso di me , di due in tre piedi d' altezza e che presentano qualche somiglianza colle fucoidi o palmacee ci- tale da d' Aubuisson ( Trait. Géog. , toni, i , pag. 238 '), e elle furono trovate nell' Hartze in un terreno consimile. Non mancano parimente frantumi distintissimi di madrepo- 553 mi, ed io ne ho riscontrati in più luoghi dei medesimi schisti. (7) Questa pietra di un bianco sudicio e lamine cristalline assai prossima al marmo di Carrara , e che alterna col nero di Portovenere , ed altre roccle pramltlche e schlstose , oltre essere una prova della natura intermedia di queste monta- gne , dimostra ancora la continuazione del calcareo delle Alpi Apuane , che servendo di base alle isolette del Tino e della Palmaria, va gradatamente perdendo 1' aspetto del marmo carrarese nelP inoltrarsi verso le montagne Llgu- (8) SI rammenti che lo Spallanzani scriveva a Carlo Bonnet. (9; òotto nome di Sjirugone s' intendono alla Spezia tutte le caverne o voragini dalle quali sortono o penetrano acque, (io) V edi nuovo Giornale de' Letterati , Pisa iSaS, settem- bre-ottobre : Memoria del Sig. Professore Paolo Savi sopra una caverna ossifera stata scoperta in Italia, §123. 554 Giunta alle Osservazioni geognostiche fatte nel dipartimento del Varo* U: Nota del signor Lorenzo Pareto. uà nuova escursione fatta recentemente nel diparti- mento del Vai'o avendomi permesso di rivedere alcuni dei terreni da me descritti nella Memoria , alla quale questa può servire di complemento , come pure aven- domi messo in caso di estendere il campo delle mie osservazioni , non che di poter dare più precisione alla descrizione di certi terreni , soltanto a foggia di jyro-r memoria , in quella indicati , non credo disutile il tra- scrivere qui quanto dall' ispezione di nuove parti del dipartimento e da ulteriori ricerche mi venne sugge- rito , ed affiachè il metodo adottato nel complemento non differisca da quello della memoria principale , co- mincleremo dai terreni primitivi. Poco per riguardo a questi dovrò aggiungere a quanto già ne ho accennato , dirò solo che ne ho trovato il liniite orientale , cioè il punto più a levante in cui si mostrano al giorno per nascondersi al di là sotto i ter- reni più recenti ; è questo punto presso Valaaris , a un' ora circa a ponente di Antibo : quivi i terreni primor- diali scompariscono sotto un contraforte di un calcareo compatto appartenente alla formazione colitica e agli strati calcarei di color grigio di fumo a lei inferiori e riportabili al lias o forse anche al mushelkalk. Sono detti terreni ridotti in queste vicinanze , da Cannes cioè a Valauris , ad una minima dimensione e constano principalmente di gneis talora in decomposizione : dei lembi di arenaria rossa si mostrano qua e là sopra di luì particolarmente dalla parte del mare. Da questo punto andando si a levante che a tramontana-levante , non si trovano più terreni primordiali che nella catena centrale dell' Alpi , o in punti a quella vicini , come nel coatado di Nizza. 055 Quanto ai terreni secondar) , e dapprima quanto al terreno di carbon fossile e quello di arenaria rossa , aggiungerò che del primo di questi due si sono tro- vate traccie vicino a Tolone , presso il capo Cepet , e che pare che questo lembo di terreno di combustibile sia là pure , come nelle vicinanze di Frejus , inferiore all' arenaria rossa , e colà pure accompagnalo da roccie problematiche , cioè trappiti ec. In quanto al terreno di arenaria rossa, nulla posso aggiungere alla storia datane nella passata memoria , se non che avendo visitato nei contorni di Frejus due località ( la campagna del colon- nello Tripoule e quella di M. Jourdan ) ove mi erano state indicate delle traccie volcaniche , ho ritrovato che quelle roccie appartengono alle problematiche deli' are- naria rossa , assai frequenti in quelli dintorni. Di questa loro riunione col terreno di arenaria ne è prova 1' esser desse ricoperte in parte da uno strato di questa roccia^ Esse formano , nella prima delle due località mento- vate, una collina rotondata; sono divise in specie di banchi assai poierfti , un poco inclinati , sono ripiène di piccioli vacui , ora di mandorle e di vene di calcareo spatico , e forse di calce-carbonato-ferro-magnesifefa ; sono di un colore violaceo sporco , ed hanno una tes- situra quasi terrosa. Io sono in dubbio se riportarle al vakite , o allo spillile del sig. Brongniart ; ma la loro durezza più con quest' ultima roccia che con la prima m' impegna a classificarle ', del resto hanno non poca analogia con delle roccie già da me denominate ainig- daloidi , e che ho indicate presso Carqueranne nelle vicinanze d^Ifyères , aWe areties dì Frejus, e presso A' Raphael : si trovano poco distanti dai banchi di queste due ultime località, e si può credere che fanno quasi parte della stessa massa , essendo nella stessa di- rezione e appena una o due volte separate per breve spazio da qualche banco di arenaria. Dirò inoltre a proposito dell' arenaria rossa , che un ulteriore esame dei filoni di roccie problematiche , i quali dopo aver traversato il terreno primitivo passano in mezzo a lei alla Baraque S.' Jean all' Esterel , mi ha 556 fatto niscere l' idea che tal parte di loro potrebbesi classificare con una varietà dei trappiti del sig. Broa- gniart. Prima di chiudere quest'articolo dell' arenaria rossa, mi sia permesso di fare ancora un cenno dell' opinione di varj geologi , che vogliono vedere nel terreno di aggregati e arenaria di questi contorni un rappresentante del terreno di arenaria a vario colore (^grès bigarré , hunter-sand-stein ) . Già dissi che riportavano a que- sta formazione, le parti ove i banchi di arenaria ab- bondano di calcareo , oppure quelle ove predominano le argille , o le marne ; ma che mi pareva difficile di potere ammettere questa opinione guidandosi colle sole considerazioni geognostiche o di posizione j polche non vi era strato alcuno che ci conducesse a separare la formazione degli aggregati di questi contorni in due membri distinti, e che ammesso che la parte inferiore, come tutto par concorrere a provarlo, era dell'arena- ria rossa , ossia la formazione di rothe-todte-liegende , ne risultava che probabilmente anche la parte supe- riore apparteneva alla stessa formazione. Soggiungerò ora poi, che se realmente il terreno di arenaria varie- gata esiste in questi luoghi , cosa che non si potrà mai determinare sicuramente , mancando uno strato di calcareo alpino o zechstein , che lo separi dall' arena- rla rossa , bisogna confinarlo a plcclola estensione di paese e soltanto verso il limite esterno del semicircolo nel quale ho detto rinvenirsi il terreno di arenaria rossa. Sarebbe quindi verso Goufaron , e forse anche verso Tolone , che questa formazione più recente esiste- rebbe: infatti è particolarmente verso questi punti che i banchi di aggregati e argille hanno più il carattere dell' arenaria variegata , cioè di essere calcarei , un poco micacei macchiati di verJe tenero e di rosso. L' esten- dere la supposizione della sua esistenza più verso mez- zogiorno, cioè verso le montagne primitive, ci condur- rebbe ad ammettere che questo terreno di arenaria variegata si accompagna e s' intercala coi porfidi , fatto non ancora altrove verificato per una formazione come questa in paragone dell* altra assai recente. 55; Del resto nello stato attuale della scienza questa qui- stione diventa ogni giorno di minore importanza , poi- ché non pochi geologi vogliono , e certo con ragione , considerare il terreno dì arenaria rossa e quello di are- nai'ia variegata come una sola grande formazione are- nacea , in mezzo alla quale si siano parzialmente , e forse accidentalmente , sviluppati degli strati calcarei quelli dello zechstein , che non sarebbero più per con- seguenza che una formazione subordinata. In questo stato di cose la questione consisterebbe per riguardo ai nostri aggregati in chiedere, se appartengono alla parte inferiore o superiore di questa grande formazione, e allora più facilmente si potrebbero conciliare le due opinioni che pajono a prima vista assai differenti , poi- ché si riguarderebbero come sicuramente più antichi , e perciò come appartenenti alla serie inferiore , gli ag- gregati àdV Esterel e delle montagne ai piedi dei Maa- res f nel mentre che si riguarderebbero come più re- centi e superiori , ma però intimamente legati coi pri- mi , gli strati di arenaria e di argilla che si vedono a Goufaron e in parte verso Tolone. Questa maniera di considerare la questione ci condurrebbe anche a legare con loro il gesso con aiihidrite , che ho detto esistere alla base di varie colline calcaree di quelle vicinanze, e che precisamente non sapevo se si potesse riunire con detti calcarei mushelkalk o lias , coi. quali però aveva non poche relazioni , o piuttosto colle nostre are- narie e marne della gran formazione che abbraccia il rotile toclte-liegende ed il bantev-sand-stein. Dopo la formazione del terreno di arenaria rossa e aggregati abbiamo favellato del calcareo turchino ri- portabile al mushelkalk e al lias. Pare che ambedue queste formazioni esistano nel dipartimento ; bisogna pertanto riunire alla più antica quelli strati soltanto di un calcareo grigio di fumo , ripieni di terebratule so- vente liscie, che si vedono al dissopra dell' arenaria e nella parte inferiore dei colli calcarei , come pure al- cuni banchi che sono strettamente riuniti con questi strali grigi di fumo; quali sono il calcareo porosa e il 558 calcareo rossiccio comune al limite delle arenarie e del jiinshelhalk. Si devono invece riportare al lìas degli strati ugualmente, bigi turchini semi-compatti, che pre- sentano delle belemniti , o che pure si mostrano a questi superiori , ma che differiscono però dal calcareo giallognolo della formazione oolilica. Siccome nondi- meno , per una rivista geografica di questi terreni , riesce difficile in un' assai grande estensione di paese , l'indicare quale strato appartenga più all'una che all' altra di queste due formazioni , le quali difficilmente si distinguono, quando manca, come generalmente suc- cede nel dipartimento del Varo , lo strato di marne va- riegate (marnes irisées') e quello del quadersandstein , banchi a loro intermedj , continuerò a comprendere sotto una sola denominazione, quella di calcareo blò , li strali che appartengono a queste due formazioni. Abbiamo veduto che questo calcareo esiste nella parte media del dipartimento , ma ritrovasi anche al di là dei confini che avevamo assegnali alla nostra descri- zione ; così trovasi a ponente e al nord di S.' Maximin , \erso Bar] oh , verso Tourves , ove ho veduto le stesse terebratule che presso Tolone , e tra questo paese e Bri gn olle y ove anche compariscono al dissotto di lui gli strati rossi riportabili alla parte superiore della for- mazione di arenaria rossa : esiste anche questo calcareo blò verso uéups e Coti'gnac , ove generalmente predo- minano gli strati grigi di fumo a calcareo compatto se- mi-cristallino o a piccioli grani. In quest'ultimo luogo delle antiche sorgenti, cariche di carbonato di calce, hanno formato un potente deposito di tufo , o traver- tino, che incrosta una porzione della montagna, e nel quale gli abitanti del paese si sono scavate delle casuc- cie , che presentano nel loro assieme un aspetto assai pittoresco. I banchi cellulari di questa formazione si mostrano invece da Cotignac a Lorgues , sono anche accompa- gnnii da un' arenaria fina biancastra , un poco calcarea, non saprei dire se sia inferiore a tutta la formazione e rientri nella gran zona arenacea , o se pure , come mi 559 par più probabile , sia intercalala ai bandii calcarei e possa per conseguenza riguardarsi come un corrispon- dente del quadersandstein , che si trova tra il mushel- halk e il lias. Pare che cpiesta formazione , di cui non può essere scopo^ di questa memoria di favellare più a minuto, finisca di comparire al giorno alla parte N. E. del di- partimento , il calcareo blò essendo ricoperto dal cal- careo giallo colitico verso Bargemont , nella direzione di Grasse da una parte , e in quella delle montagne che si estendono verso jlìgames dall' altra , montagne che formano per un certo tratto la riva sinistra del f^erdoii e àeW^rtubie suo affluente. Quanto alla formazione di calcareo giallo , ripor- tabile alla formazione oolitlca o del Jura , si potranno dividere in due parti le aggiunte da farsi alla sua storia nel dipartimento del Varo. Questa divisione è dettata dalla posizione geografica di questo terreno , potendo dirsi che esiste nel dipartimento in due gruppi sepa- rati, uno a ponente, 1' altro a levante. Ma prima di entrare nei dettagli di posizione , farò osservare che bisogna riunire a questa formazione certi banchi di un calcareo quasi granulare biancastro e cri- stallino, ma talora più compatto, che presenta l'aspetto di una dolomite , e che è almeno un calcareo magne- sifero. Questi banchi si mostrano ora nelle parti , che si ponno riputare inferiori della formazione , e allora si legano col terreno precedente , cioè con quello del calcareo blò, come si vede alla sommità della monta- gna des Oiseaux presso Hyeres , oppure sono appieno nella parte superiore della formazione jurassica , come accade nelle vicinanze di Antiho , ed anche a Nizza, Io avevo tralasciato nella memoria precedente di notare questa particolarità , che non è però ristretta a questi semplici punti , perchè non mi ero accertalo che questi banchi fossero realmente del calcareo magnesifero. Oltre questi banchi contenenti del carbonaio di ma- gnesia , bisogna pur legare con questa formazione certi strati marnosi che hanno degli analoghi nella catena 56o del Jara , e che contengono oltre ad alcuni frammenti di lignite delle numerose conchiglie mariae , ostriche, pinne, hemicardii , pholadomie , plagiostome : ne fa- \elleremo quando ci toccherà indicare la loro situazione. Per riguardo poi alla disposizione geografica di questo terreno, avrò poco ad aggiungere circa al gruppo oc- cidentale , a quanto ne dissi nella precedente memoria , soggiungerò solo che questo terreno , che ho accennato esistere al N. di Touloii e Olioules , si estende ancora dalla montagna di Canderon a mezzogiorno di BrignoUe per tutte le sommità della catena della S.'" Baume , \erso la rocca di Bertagne e Gemenos y come pure ■verso SJ Zacarie e verso Roques'aire , ove contiene delle masse di gesso principalmente semi-saccaroide con an- hidrite e con cristalli di ferro solforato. Questo gesso si trova alla parte inferiore e potrebbe anche apparte- nere a una formazione più antica. Da questo punto la formazione oolltica si estende nel dipartimento delle Bocche del Rodano, formando da un lato le montagne che sono tra y4ix e Marsiglia , cioè la catena del pilon du Boi e de VÈtoile , e quella che da Septeinies ( ove anzi si presentano dei calcarei marnosi , riportabili forse alla parte media della for- mazione) si dirige per certo tratto verso YÈtang de Berre. Essa costituisce pure nello stesso dipartimento , oltre le montagne che si trovano verso Larabesc e Or- gon , alcune delle colline secondarie delle vicinanze dì ^ix verso Gardanne e il Tolonet. In questo luogo e in mezzo alla formazione , di cui ci occupiamo , esiste una breccia calcarea a frammenti di calcareo compatto , o di marmo or grigio di fumo , ora scuro, ora rossiccio, ora giallognolo , riuniti da una pasta di calcareo compatto giallo , non dissimile da quello delle vicine montagne. Non saprei sottoscrivere Jiir opinione di chi riguarda questa breccia , che viene adoperata a foggia di marmo , come essendo di forma- zione terziaria , dapprima perchè l' inclinazione e la di- rezione dei suoi strati pare positivamente indicare che essa passa sotto le masse di calcareo compatto , che 56i 1' avvicìnauo j in secondo luogo percbè la pasta di detta breccia non differisce punto da questo calcareo , ed è per conseguenza non improbabile che il trovarvisi dei frammenti di roccie anteriori , non è che un semplice accidente ; terzo perchè , quando anche si potesse con- trastare che detta breccia nel luogo del Tolonet non. fosse sottoposta a degli strati di calcareo jurassico , pure è accompagnata da certe marne rosse , che noa molto discosto di là sono evidentemente ricoperte da detto calcareo e che presentano di plìi in mezzo alla loro massa delle payti frammentarie analoghe alla detta breccia , onde la posizione di questa è data dalla po- sizione di quelle marne che sono evidentemente in mezzo alla formazioue oolitica. Né mi pare debba es- sere un ostacolo alla posizione assegnata a questa brec- cia il trovarvisi dei frammenti di un calcareo compatto analogo a quello della pasta e a quello della forma- zione oolitica; perchè essendo essa nella parte media della formazione , alcuni strati di detto calcareo do- veano preesistere , e di là per conseguenza hanno po- tuto derivare i frammenti , che vi se ne vedono. Que- sta idea viene confermala da quanto si scorge sul sen- tiero da Aix a Gardanne , ove si vedono le mento- vate marne rosse , contenenti dei frammenti di calcareo giallo , alternare a varie riprese con dei banchi di detta roccia compatta. Questa determinazione dell' età della breccia del Tolonet, riposando nondimeno sulla pro- babilità che il calcareo che la ricopre appartenga al calcareo compatto della formazione oolitica , di cui pre- senta tutti i caratteri mineralogici , se per caso si ve- nisse a provare (e solamente delle conchiglie lacustri, che vi fossero rinvenute , ne potrebbero far prova ) che questo calcareo di Tolonet appartiene invece a quei calcarei lacustri , che hanno una struttura analoga , come se ne vedono a Montpellier ; bisognerebbe allora sottoscrivei'e all'opinione che questa breccia è terziaria , cosa a cui non si può senza ciò aderire , perchè ri- pugna il credere di un' epoca cosi recente dei banchi compatti di breccia di una tanta mole e così forte- mente iucliaati. ( Sarà continuato. ) 562 Medaglia coniata da Giuseppe Pvtinati Ve- ronese in onore de gV illustri suoi concittadini. I 1 costume di spai'gere tra' contemporanei e di tra- mandare a' posteri con pubblici monumenti il nome degl' uomini illustri , puossi considerare tome un bi- sogno piuttosto della natura , cbe come un' istituzione della politica. Troppo angusto ci sembra, com' è ve- ramente per animi destinati a vivere eternamente, lo spazio della terrena nostra esistenza onde potere in esso ristringere le brame del nostro cuore vivissime, sempre nuove, inconscrittlbili , infinite. Quindi, poi- ché tolto ci viene il vivere colla persona in tutti i tem- pi , e in tutti i luoghi, ci adoperiamo con ogni miglior maniera per vivervi almen colla fama. La saviezza dei legislatori conobbe questa prepotente inclinazion dell' uman cuore , e cercò ben presto di trarne profitto con cercar tutti i modi di secondarla , e dirigerla ad uti- lissimo fine. Ad accrescer perciò , e a perpetuare la rinomanza del vero merito si son messi in uso i mezzi piti possenti , e i metalli impressi non sono stati cer- tamente gli ultimi , siccome più facili a serbare le impronte, a propagarle copie, a procacciarsene l'ac- quisto , e a formarne la collezione. Di qua nacquero le medaglie, che, coniate ora per privata, ora per pubblica deliberazione in testimonianza delle esimie virtù de' personaggi più eminenti in se contengono tanta parte della storia del genere umano. Vero è che lo stolto orgoglio, la vile adulazione, ed il cieco fa- natismo hanno talora prodigalizzato i preni] della virtù alla bassezza, all'ignoranza, all'impostura: ma chi mai ignora esser fatale che d' ogni ottimo istituto abu- sar debba la depravata ragione? Non per questo però rimane men luminoso il chiaror che ne viene sulle per- sone dotate di reali pregj ; anzi dal confronto che fa- cilmente può istituire ogni uomo fornito di ^ufficiente 563 acutezza d' Ingegno atto a distinguere 1' oro dall' or- pello , se ne ricava maggiore la gloria. Fortunata pertanto uoi crediamo la città di Verona che ha veduto , non ha guari , coniarsi da un suo fi- glio in onor de' figli suoi più illustri una medaglia , la quale può servir , direm cosi , di compendio della storia sua letteraria , e contiene in piccol confine ri- stretta gran parte delle cagioni di sua grandezza. Il sig. Giuseppe Putinati caldo di quell' amor patrio, che non si perde già come in molti , in empie fellonie , in vane ciance, ed in chimerici progetti^ ma si mo- stra in utili opere d' ingegno, o di mano, ha voluto testimoniare alla patria sua 1' alta venerazione in che la tiene , coniando in onore di essa una medaglia , la quale rappresentassela al mondo in tutta la sua mag- gior bellezza , e magnificenza. Vero è che anco dall' utilità propria egli prendeva consiglio nel suo divisa- mento j conciossiachè ne formò 1' idea , n' esegui 1' ope- ra , ne pubblicò le opere per ricavarne , vendendole onesto profitto. Ma ciò che vale ? a scemar forse o il pregio del suo lavoro o il merito della sua intenzione ? no certamente, se gentili e cortesi siano gli animi che ne prendono ad esaminare 1' impresa. Ah piacesse pure a Dio che tutti i professori , e in ispezialtà di Belle Arti , rivolgessero le loro cure in opere di simil genere , che a doppio onorato scopo , non fallirebbero all' utile proprio, i' alla gloria della patria. Ma non tutti , con- vien confessarlo , han nelle loro fatiche questi nobili fini , e vedesi pur troppo la turpe guadagneria corrom- pere gran parte degli artisti ancor più valenti. Anzi questa sarebbe una nuova sorgente d' industria e di gloria nazionale, ove si facessero , ciascun nell'arte sua , ad illustrar la lor patria. E poiché qui è discorso di medaglie , qual piacere, e vantaggio non sarebbe mai , ove si avessero le serie delle medaglie di tutte le città italiane col carattere lor distintivo da una parte e dall' altra col nome de' più notabili lor cittadini ? Né sol vorremmo che quelli vi avessero parte i quali levarono grido per altezza d' ingegno , ma eziandio quelli che 564 colle lor virtù sia in pace , sia in guerra , acquistaroa più degli altri diritto alla pubblica riconoscenza. Così s' avrebbe nel proprio Museo rappresentata la storia civile e letteraria di tutte le città italiane. Ve- rona intanto meritava d' esser la prima ad avere un tal vanto per 1' amor d' un de' suoi figli , essa che onorò sempre i fidili suoi sino colle statue di cui volle or- nata la sua piazza. L' onor d' una città , più che dalla sontuosità delle fabbriche , risulta dai fatti egregi dei cittadini , e questi egregi fatti più si veggono risplen- deie ove è più lodato l' ingegno , incoraggiata l'industria, premiato il valore. La medaglia adunque del sig. Putinati s' allarga in un diametro , e in una grossezza pari a quella dell' annesso disegno. Il diritto di essa contiene il Tempo che scrive sul marmo il nome de' più celebri Veronesi. Il Tempo che campeggia nel mezzo della composizione è raffigurato in un vegeto vegliardo ignudo tutto se non quanto il cinge al mezzo un manto , che gli copre il fianco , e parte della gamba sinistra , e i sandali gli difendon le piante ; ritto sulla persona ; tenente appog- giato sulla terra il pie manco, e sul plinto, all'angolo sinistro della base della colonna il destro quasi per aver più agio a scrivere , come fa realmente , sull' alto della medesima ; calvo nella fronte , e mostrante nell' increspatura degl'altri capegli una colale senil gagliar- dia , alle spalle grand' ali , non del tutto raccolte come d' uomo che è in perfetto riposo , non afl'alto aperte come d'uomo che debba volare, ma mezzo fra l'uno e 1' altro, che è quanto dire, quali s' addicono a chi fermatosi e inteso a qualche opera sta tuttavia pronto ove il bisogno il richiegga , a proseguir suo cammino ', ornato di falce in modo ch'egli sembra che per non contraddire all' eternità promessa ai nomi da lui scritti a bello studio 1' abbandoni in terra , e ne ritenga sol- tanto colla sinistra distesa snll' anca , il manubrio per certo indizio che se a pochi qui si mostra amico , anzi custode della lor gloria, non è però dimentico per gli altri moltissimi dell' indole sua distruggitrice. Il resto 565 del campo è occupato da una colonna e da due massi quadriluughi , l'uno a destra della colonna , 1' altro a sinistra del Dio. La colonna è tronca tirante al cippo, terminata in alto con un cordone clie le corre intor- no , e cinta al basso da un serpe (simbolo dell' eter- nità ) che s' abbocca la coda appoggiata sur una base distinta con bassi rilievi. Tutto il largo della colonna vien diviso dall' alto al basso con una vergi clie serve a dividere in due file i nomi inscritti ; sili angolo di- ritto della base s' alza la clessidra misuratrice delle ore : il bassorilievo contiene una Minerva sur un treppiede la quale porge ad un genio corone , acciochè col mi- nistero d' altri genietti ne faccia ornamento a' sepolcri. d^ uomini segnalati. De' due massi , cpiell' a diritta è più lungo, quell' a sinistra più breve. Cosi tutta la composizione t' appare , come dicono , piramldata egre- giamente. Leggi poi nell'alto dfl campo ; non per tutti IO scrivo; e neir esergo : putinati coniò. Quanto al ro- vescio, ammiri in esso disegnata l'Arena di Verona , e nell' indietro il monte Baldo , parte vestito d' arbori , parte ignudo, nel bel mezzo in alto il Pegaso in atto di volar rapidissimo ( figura della sublimità dell' ingegno de' Veronesi), al basso pezzi di marmi , tronchi Ji co- lonne rovesciate, e il fiume Adige rappresentato da uà vecchio seduto con alla sinistra un' urna versante acqua che distendesi ondeggiando nell' alveo ; entrovi un se- micircolo: CON SUPERIORE PERMESSO l' ANNO 1S26 (*). Se guardiamo alla correzione del diseeno e alla finezza del lavoro noi non possiam che dar somma lode all'esìlio coniatore , il- qual certo non ha ommesso industria alcuna per riuscire con felicità nella sua impresa. Pure a taluno in esaminando tutta l' opera con guardo al- quanto diligente , non sono in tutto a grado alcune co- serelle che noi crediam di far piacere toccandole qui brevemente , all' esimio disegnatore. E in primo luogo non s' intende il perchè tanto debba esser diversa l' architettura dei marmi destinati a con- tenere i nomi degl' insigni Veronesi : i due massi rozzi appena quadrati ; la colonna ornata a gran maniera. (*) Nella Medaglia 1' aiiuo è, come <]ui, in cifre arabiche , non ^'».' 569 . autorevoli e i critici più sagaci. Della nolnltù delia sua famiglia, degli onori che ottenne da Cesare, delle sue facolth piuttosto sufficienti che ampie , e della sua morte in età giovanile , non è qui luogo a farne parola. Noi non dobbiamo, né vogliamo scriverne la vita. Solo faremo alcun cenno de' versi suoi. Ma che poirem dire, che non sia stalo da mille altri avvertito ? Da pertutto senti in essi una squisitezza, che t'innamora; da per tutto incontri sentimenti dolci , pensieri delicati , face- zie urbane: una lingua poi che è la stessa eleganza, uno stile che èia medesima leggiadria. Se una certa stu- diata durezza , se un ricercato uso di diminutivi ti ritarda, o scema in leggendo, il piacere, noi creder sempre un difetto; altri l'estima, uè sempre forse senza ragione, un ornamento. Quello però che non troverà mai, salvo che tra libertini , uè scusa , né plauso, si è il vitupero d' aver prostituita la poesia alle più sozze uefandità con tutto lo sfoggio delle imagini e del linguaggio del bordello. VITRUVIO CERDONE L. Vitruvio Cerdone, di condizion liberto, di profes- sione architetto, secondo il sentir de più dotti, fu Ve- ronese. Del cui valore nelle opere del disegno faceva fede sino a' di nostri 1' avanzo d' un' Arco trionfale che mlravasi in Verona, detto l'Arco de' Gavj dall' esser stato sacro ad alcuni della famiglia de' Gavj. Gli or- namenti che nella cornice avea quell'Arco, di modi- glioni , e dentelli , dichiarano il nostro Vitruvio ben al- tro da qucd Vitruvio vissuto sotto Augusto , di cui ab- biamo un trattato sull' Architettura : cociossiaché que- sti , dannò , come lavori di non sano gusto , quegli inutili fregi. Ma di q!iesto bel monumento d' antichità non rallegrasi or più Verona ,* perciocché quest' Arco scam- palo all' ingiurie del tempo e al furor de' popoli set- tentrionali nei tempi del basso impero , dovette cedere con infausto destino per una malintesa civiltà in que- sto secolo, detto, altri vegga se a ragione o a torto, illuminato. 070 POxMrOiMO SECONDO Del mrrito di questo sommo tragico son si vive le lesiiiuoiiianze di Plinio il maggiore, di Quiatiliano, e di 'j'acito, che abbiam graiidemenie a dolerci della perdita de' lavori suoi , i quali ci ristorerebbero indubitatamente della noja che provasi nella lettura delle gonGeaze tea- trali di Seneca , e nietterebbono il teatro latino per av- ventura del paro col greco. Plinio non si contentò di averlo in grande stimk e di portargli sommo amore ; volle anche registrarne le virtù ( cosa che non fece di nessun altro ) nella vita che ne scrisse , ora miseramente perduta : tanto gli fu sfavorevole la fortuna. Quintiliano tenne le tragedie di lui in tal conto, che non ebbe difficoltà di gridarlo principe de' poeti tragici: elogio, che venuto da un tanto critico , anziché sembrar esage- rato, deve aversi giustissimo. Tacito ])0Ì , oltre che fa- moso poeta , cel mostra uomo di stato : conciossiachè divenne Consolo , e combattendo in Germania contro i Catti ( quei di Cassel ) potò liberare non pochi Ro- mani già da quarnnt' anni schiavi , presi nella celebre rotta di Varo. Laonde gli furon decretate le trionfali. Curioso è un suo detto riferitoci da Plinio il giovane. Qualora egli leggeva a qualcun degli amici le sue tra? gedie , se venivagli fatta obbiezione , che a lui non sem- brasse in tutto conforme a buoni principi dell' arte j N'appello, usava dire, n'appello al popolo. CASSIO SEVERO Pochissimo o nulla sappiamo di certo intorno a que- sto Cassio Severo, Che egli fosse un insigne storico apparisce dalle citazioni che ne fanno Svetonio , Ter- tulliano,Minuzio Felice , e Lattanzio jche fosse Veronese deducesi dalla richiesta che Plinio facea dei ritratti di due suoi concittadini da riporsi in una privata biblio- teca , cioè di Nipote , e di Cassio. Or egli è chiaro , com' è stato detto , che se a Verona concedesi questo Cassio, non vedesi ragione per toglierle Nipote, essendo da Plinio nominati amendue compatriolti. 571 C. PLINIO SECONDO Nome tanto più glorioso per Verona , quanto più ad essa conteso, è quello di C. Plinio Secondo, il vecchio. Ma è pur destino , che de' grand' uomini debba esser ognor controversa la pntria , per quell' amore che tutti , o pressoché tutti hanno d' appartenere ad una patria il- lustre , e di grandeggiare , se non del proprio , almen del merito altrui. Quelli che il dicon Comasco , sembra che obbliate abbian le parole con cui egli medesimo chiama Catullo suo concittadino Del merito letterario di lui non v' ha chi possa aver dubbio. Egli fu incontrastabilmente il più dotto dell' età sua, e pel solo amor del sapere trovò la morte soffocato dalle fiamme nel visitar che facea il Vesuvio 1' anno 79 dell' era volgare. Della vastità della sua dottrina , benché molte siano perite delle opere sue, basta a porgerne argomento la sola sua storia na- turale , che è la più eslesa che abbiasi dell' antichità ; inesausta miniera , se è lecito dir cosi , di cognizioni , oltre le direttamente volute dall'opera, anche di storia, geografia , medicina , e agricoltura. Né perchè 1' erudito autore è caduto in non pochi abbagli , né percliè lo siile apparisce talora oscuro , e gonfio , rendesi perciò né r autore men degno d' ammirazione , uè 1' opera men piena d utilità e di piacere. PACIFICO ARCHIDIACONO Due grandi archidiaconi ebbe l'Italia, l'uno in que- sto Pacifico nella cattedral di Verona , 1' altro in Petrarca in quella di Parma. Ma Petrarca pel diletto della poe- sia levò più gridò, Pacifico per l'utile de' suoi lavori restò sol noto agli eruditi ; tant' è ingiusto il giudizio umano, che più fama attribuisce a chi moltiplica i pia- ceri, che a chi accresce i vantaggi. Fra le tenebre del secoli Vili e IX , uscente 1' uno , e cominciante 1' altro , man- dò Pacifico una luce , si per 1' altezza dell' ingegno, che per la pietà delle opere, assai maravigliosa. Verona gli va debitrice di sette delle sue più cospicue chiese da luì o fondale , o ristaurale ; della biblioteca , un tempo okreuiodo illustie , e del Capitolo della Cattedrale; il mondo tutto poi gli deve l' invenzione degli orologi a ruota , e a pesi senza acqua ," che si dissero orologi da notte , perchè anche senza il benefizio della luce , av- venivano , col suono, del aunieró dell'ore; invenzione , che dopo moki secoli fu poi perfezionata da Vallerò che 1.1 cimentò nelle osservazioni astronomiche , da Ugenio the v' adattò il pendolo scoperto da Galileo, e da Har- lisun che corresse le ineguaglianze prodotte dall' allun- gamento e accorciamento del pendolo , in grazia del caldo , e del freddo. Chi vuol sentire il gran pubblico bene apportato da tale invenzione, immagini le miserie degli antichi che usando d' orologi a sole , ad acqua , a polvere , non poteano mai ove fosse bujo misurare il tempo. Né men valse Pacifico negli studj sacri. Intelli- gente com'era, d' ebraico, e di greco, diede principio, secondo 1' opinar di molti , alia glosa detta Ordinaria dell'aulico e nuovo testamento. GUGLIELMO DA PASTRENGO L' amicizia che quest' egregio Veronese ebbe con Francesco Petrarca , forma di lui l'elogio più segnalato. Conciossiachè non s' entrava assai nella buona grazia di quel sommo poeta senza grandezza non ordinaria d'ingegno, e nobiltà vera di generosi sentimenti. Gu- glielmo infatti, presa la carriera delle leggi, sostenne ca- riche sempre luminose e di notajo e di giudice , e fin d' ambasciatore per Mastino , e Alboino Scaligeri a Be-; nedetto Xll che' avea la pontificale sedia in Avignone. Ma il merito suo diventa ancor maggiore , ove vogliasi considerare che 1' opera sua de Originibus rerum puossi tenere come il primo germe d' uua biblioteca univer- sale , si sacra , che profana. Non tutti sogliono esser giu- sti verso i primi inventori delle cose , prodighi poi d' enconij co' perfezionatori. Ma se si ponesse mente che questi senza di quelli non sarebbero saliti a tanta eminenza , in più venerazione si avrebbono i primi sforzi 5^3 dell' umano ingegno die seppe vincere la ritrosia della natura e aprire il primo sentiero all' altrui ardimento. Per conto di questo Guglielmo crediamo opportuno il notare come il Gh. Scipione Maifei nella Verona illu- strata cadde in non lieve errore , avvisando che altro fosse Guglielmo da Pastrengo , altro Guglielmo oralor Veronese, e cosi d'uno facendo due personaggi: tanto anche i solenni maestri van soggetti agli abbagli. Ma il diligente Tiraboschi nella S:oria letteraria d' Italia mostrò che una sola persona è Guglielmo 1' orator Ve- ronese , e il da Pastrengo. guaui:no Al rinascer de' buoni studj in Italia nel secolo XIV sorsero pure le greche lettere, che sono 1' ornamento più bello, per non dire l'anima , e la vita della nostra letteratura. Molti, è vero, a que' dì valentissimi ingegni diedero opera , perchè le lettere ,. e le arti greche pas- sassero tra noi j ma nessuno al certo più del Guarino, benché non da tutti conosciuto , a ciò rivolse tutto se stesso. Primo degl' italiani imprese il viaggio a Costan- tinopoli affine d'apprendere d;illa viva voce del Creso- lara le greche istituzioni, e dopo cinque anni di lunghe vigilie e di continue fatiche reduce a Verona, vi tenne scuola , e aperse a' suoi concittadini tutti i più recon- diti tesori del greco sapere. Il grido della sapienza di lui si sparse sì largamente , che Ferrara , Venezia , Fi- renze e Roma il vollero udire , e in ciascuna di dette città ebbe a discepoli uomini per nascita illustri , per ingegno distinti , e per fama cospicui. Aon si trovò all' aprimenlo del Concilio che cominciossi in Ferrara, e compissi in Firenze per la riunione de' Greci , uomo più esperto nella lingua ellenica e più capace di ser- vire d' interprete che il Guarino. Il che mostra e la profondità del suo sapere , e la stima in che 1' avevano i più grandi uomini di quel tempo; per lo che Pio II ebbelo a chiamare padre, e maestro di pressoché tutii, che iu queir età aveaao apprese lettere greche. Né sol 57 j pensò colla sua scienza di giovare ai presenti , ma ezian- dio ai lontani , e a' futuri : conciossiachè pose mano alla traduzione di Strabone , e la terminò tutta quanta , benché soli dieci libri per la morte di lui ne fossero pubblicati. Malgrado di tanta dottrina e di tanta vene- razione per lui de' contemporanei che gli decretarono una grandissima medaglia , non gode questo Guarino nella repubblica delle lettere quella celebrità , a cui al- tri con minor capital di cognizioni sono soliti; tant' è vero che nelle cose del mondo più che la virtù vai la fortuna. MATTEO BOSSO Cara a tutte le anime religiose sarà sempre la me- moria di Matteo Bosso chierico regolare, abate del con- vento di Fiesole, che fiori nella seconda meta del se- colo XV, pel complesso di molte virtù difficili a ritro- varsi in un solo congiunte. Spiccò la sua dolcezza nel governo della coscienza , e tanto , che perciò fu eletto a moderator di quella di Lorenzo de Medici sopranno- minato il Magnifico : amorevole e dotto ebbe 1' ami- cizia di molti cortesi e colti uomini, e specialmente dì Girolamo Barbaro , e di Pico della Mirandola ; attivo e prudente fu adoperato in diversi maneggi d' assai im- portanza da papa Sisto IV di questo nome ; pio ed erudito dettò non poche opericciuole ornate d' elegante dicitura , e piene di buon giudizio. ISOTTA NOGAROLA Ninno si maravigli, se in un monumento destinato alla gloria de più grand' uomini di Verona , vi ritrova re- gistrata una donna. È questa una donna che vale per molti uomini , onore del suo sesso , vanto di sua fa- migh'a , decoro della sua patria, è l'Isotta Nogarola. Se nobiltà di sangue, altezza d'intelletto, vastità d'eru- dizione , eleganza di dire in legata , o sciolta orazione, gentilezza di maniere giunta a illibata fama di pudi- cizia , rendono pregevole una femmina. Isotta Nogarola 5^5 è sicuramente niaggior fra le altre e a nessuna delle prime seconda. E se a tanto sublimossi , vissuta soli trent' otto anni , che fatto avrebbe se avesse potuto compiere la mortale sua carriera ? Ma come invida ebbe la morte, così ancor la fortuna provò coulraria , la quale non Ila lasciato finor far di pubblica ragione le sue Lettere , ed Orazioni ohe si giacciono iudebitaniente nell' oscurità e uell' obblio. BARTOLOMEO CIPOLLA Non molte parole spenderemo intorno a questo giu- reconsulto dottissimo , e professor di Padova riputatis*- simo ; mentre parla per lui anch' oggidì un' opera sua insigne de Servitutibus iivbanoram et vasticoruin prae- diorunif conosciuta assai favorevolmente da quegli uo- mini di legge , che vanno al di là nella lor cognizione della legislazione francese. Masso a sinistra FRA GIOCONDO Il titolo di Frate suona così spiacevole all'orecchio de' moderni, che nulla maggiore. Eppure tante sono le ob- bligazioni che ha la società intera co^ frati , che dettar se ne potrebbouo ampj volumi di splendidissimi elogj. Ma la cosa è così: è di gran moda 1' irreligiosità; con- vien dunque dispregiare anche a costo della verità e della gratitudine i più zelanti mantenitori della reli- gione ; i religiosi. Alzano, è vero , contro cotesta infezion morale, la voce a quando a quando uomini di gran senno. Ma chi dà retta alle saggie loro parole ? Di co- testo vilipendio però, come ora ne sentono tutti i buoni gravissimo dispiacere , così ne proveranno ahi ! troppo ( che Dio ne distolga il presagio ) i nostri nipoti le funestissime conseguenze. Ma vogliasi o no , i frati haa fatto un gran bene al mondo , e non ultimo fra essi è stalo questo Fra Giocondo da Verona. L' abito di S. 576 Domenico , e le occupazioni di quel sacro Ordine noa gì' inipediron d' attendere anche a' sludj d' altra sfe- ra , per cui si rese carissimo a Lorenzo de' Modici per soprannome il MagniGco , e ottenne lodi a ci. Finalmente il sig. Grassi in una lettera impressa dinanzi a' sinonimi nell' edizione del iSay chiama atto villano ed ingrato lo sconoscere i van- taggi derivati dalle fatiche del Veronese (3). Ma 1 au- tore dell' epistole si pregia di aver favorevole il voto di Vincenzo Monti ; e reca un brano di lettera che que- sti gli mandò intorno all' archimandrita del bello scri- vere (4). Qui vorrei sapere dal Villardi , s' egli pensi che il Monti parlasse mai del Cesari con quella saldezza ^i mente , che sorge dalla pei;^uaslone di ragionare se- condo verità. Cfedo eh' egli si troverebbe intricato di molto a darmi risposta. Perciocché il Monti, nella sua Proposta , dichiarò essere il Cesari « uno de' più bei lumi dell' italiana letteratura (5) » ; e nella lettera al Villardi ne parla si villanamente , che non osa trascri- verne le parole chi pure allega la lettera per far sapere a tutti d' averne favorevole il voto. Così 1' autorità del Monti, esseiido intrinsecamente contradditoria , cade per- fettamente nel nulla. Egli è dunque manifesto che l' epistole non sono modellate al pensare de' savi italiani. Ora mostreremo brevemente , che il Villardi uull' altro ha fatto , se non (1) Parenti , Riflessioni , face. 29. (2) Parenti , Riflessioni , l. cit. (3) Vedi Gioru. Ligust. 1828 , face. 6. (4) Vedi la dedica dell' Epistole al suo Cecco. (5) Vedi r avvertimento premesso alle Orazioni del Ce- sari nell' ediz. di Genova , 1828 in 8.0 ()ob che ripetere gli errori di molli , ehe vollero darsi briga di ragionare delle lettere e della lingua d' Italia. Innanzi tutto , quelle continue declamazioni contro del trecento sono cosi viete e comuni , che oggimai fauno schifo ad ogni gentil peisona j e, come dice il Parenti (i) « sono cose cantale e ricantate , udite e riudlte sino al fastidio; ed havvi ben poca originalità di pensiero e di frase a farsi 1' eco di simili vituperi. » Inoltre j tanto ciecamen- te il P. Vili ardi ricopia in quest' epistole gli errori del Perticari e di altri moderni , che piti non ricorda quel- lo , eh' egli egregiamente aveva scritto negli anni tra- scorsi. Recitiamone alciml pochi versi ( Epistola I. ) : cf O forse il calzolai o , « La trecca , il pescivendolo , il magnano , « Per comprender la predica , gli antichi « Pria studieranno in Fra Giordan bei modi , ce Nel Passavanti , in Fra Guitton d' Arezzo , ce Nelle Cento novelle e in ser Brunetto ? ce Pur si batte sol qxii , mai sempre a questa ce Incudine il marte! : Tornate al quia , ce Itale genti ) io dico al terso e bello ce Stil del Trecento. » Or si ascolti in qual maniera rampognato fu il Per- ticar! dal Villardi nel 1818 per avere collocato ne' tre- centisti Fra Guittone e Ser Brunetto (2) « ce Indarno procacciate altrui d' imporre , Pur del Dugento mostrando la rogna : Del Trecento parli ani ; né e' è che apporre. Or perchè rovesciate la bisogna ? Ei dice di Rachele , e voi di Lia ; Né dello scambio vi prende vergogna ? Maggior vergogna dello scambio dee prendere il Vil- lardi , perchè essendo certa cosa che Brunetto e Guit- tone (3) non appartengono al trecento , ed avendolo (r) Riflessioni , face. 29. (3) Capitoli due di Agatopislo Eplfane , Verona i8i8. (3) Di questo' eriore di tempi vedi il nostro Giornale la più luoghi ; e vedi , se non altro , la tavola degli Autori premessa alla Ortografia del Facciolati. Sol conoscijito e proclamato 1' autor dell' epistole , og- gidì uoii ha ribrez/.o di adottare l' anacronismo del Perticar! per far onta al Cesari , al quale scriveva in- tanto ( settembr» 1827 ) quelle dolci parole : « Io vi ce stimo qiiant' uomo possa farlo . . .Pensate mo se po- « trò mai aver l' animo a volervi offendere comechè « sia ! (1) " Un' altra ingiust' accusa danno i malevoli all' illustre Veronese , ed è questa , eli' egli non altra lingua voglia, se non se quella sola del trecento. Il P. Villardi nel suo discorso accademico , pag. y , avea già notato la fal- sità di queir accusa/àone , recandone in prova quelle parole del Cesari nella dissertazione sulla lingua italiana : « La Leila lingua si dee per noi prendere , la prima ce cosa dal Trecento , e da coloro eziandio che nel ce cinquecento con tanta lode la ci conservarono, m Ma nell' epistola prima il Villardi si compiace di rij^etere la falsa accusa , per cui egli avea già rimproveralo agra- mente i nemici del Cesari : ce Pur qui si studia sempre , e sola accesa Nella cappella delle Grazie vedi La del Trecento rugginosa lampa. 33 Sogliono i gramatici sofisti a dileggiamento del Cesari, raccogliere studiosamente dal vocabolario alcune voci o storpiate dal volgo fiorentino , o ite in disuso , o ri- maste in contado , ovvero adoperate soltanto nelle con- trade non toscane ^ e di esse formar periodi buifoneschi j e dire : ecco la lingua del trecento ; ecco lo stile del Cesari. Quest' arte adoperò il Monti e ne fece dialoghi , cosi pieni di buffoneria plebea , che n' ebbe rossore ( giova il ripeterlo ) n ebbe rossore l' Italia. E V inge- i^no creatore del \ illardi ha voluto far la sclmia al Monti ; ma siccome ([uel sozzo animale imitando guasta, come diceva il Lanzi ; così il nostro dall' epistole non ha saputo andar fedelmente sidl' orme del maestro. Il quale cercò per minuto tutte le parole e le frasi le più sciatte , le più morbisciate , e monche e zoppe , e fi-a- (1) Lettela dell' Ab, Manuzzi , face. g. dlcie che immaginar si possano , e di esse compose dia- loghi , che moverebboa le risa , se rider si potesse ve- dendo attribuirsi ad un illustre scrittore modi e voci che non gli cadder mai dalla penna. Ma i vocaboli scelti dal "Villardi sono essi poi cosi deformi e inuditl che se ne possa far commedia ? Rangola , ciangolare , gallo- ria, cuticagna f croja , scarminare , bisogna, acquat- tarsi , cencio, orrevole, raggruzzolarsi, gora ecc. non sono voci così schifose o barbare , che non possano allogai'si acconciamente in qualche maniera di compo- nimento , almeno bernesco. Ma noi non intendiamo per- chè tanto gridare contro del trecento e del Cesari per quelle voci che sono ite in disuso , e che debbono chia- marsi storpiamenti della plebe toscana , anzi che voca- boli proprj della lingua. E uffizio del vocabolarista re- gistrare tutti i vocaboli , e specialmente i men noli , per darne la spiegazione (i) : è uffizio de' maestri del ben dire mostrar le regole sulla scelta delle voci e delle locuzioni. Il vocabolario non assume d'insegnar a scri- vere ; questo è dovere de' gramatici per 1' emendazione, de' retori per 1' eleganza , la chiarezza e la forza. E per- ciò Giovanni Balbi , che si era deliberato di sommini- strare nel suo Catholicon un' opera compiuta , per lutto ciò che s' appartiene all' arte del ben dire , divise il suo lavoro in tre parti ; lista de' vocaboli sotto le lettere dell'alfabeto 3 regole della gramatica , precetti di umanità. Disse un tratto il Zauotti , che molti si adirano contro di un libro , perchè non vi trovano quello che 1' autore non ci volle mettere. Si fatti son coloro , che vorrebbono imparare dal vocabolario 1' arte del facondo e del gra- zioso favellare. In questo noi gli assomigliamo ad un giovane studente di architettura , il quale aggirandosi in- un vasto magazzino , dove fosser© fusti di colonne , ca- pitelli , mensole , basi , pietre , mattoni ecc. si corrucciasse perchè da essi non può imparare a far subito un no- bile e leggiadro edifizio. Quanto al Cesari , non è vero eh' egli infarcisse i suoi scritti di parole vicfc e di stor- (i) Vedi Gioin. Lig. 1827. ' 6o3 plature fiorentinesche. Leggasi la sua Dissertazione sulla lingua italiana , la traduzione del libro de Imita tione Chrìsti; veggansi le sue lezioni , e le orazioni , e si toccherà con mano che a torto altri 1' accusò di tal di* fetto. E se alcuno rifiutasse simil fatica , lo pregheremo a recarsi in mano i due volumetti di Novelle inedite stampati in Venezia dall' Orlandelli , e ristampati in Ro- ma , ne' quali troverà due novelle del buou Cesari , e dodici di altri moderni scrittori. In quest' ultime vedrà studiosamente accolti tai^ti modi plebei , o fiorentini af- fatto , e tante voci rimote dall' uso comune , che si tro- verà costretto a riconoscere che il Veronese è il più schietto di tutti gli autori di quella raccolta. Vero è che nella traduzione di Terenzio , e nelle Bellezze di Dan- te , pare che si allontanasse alcun poco da quello si lo- devole temperamento j ma è da osservare , che le Com- medie ammettono di necessità modi bassi , e furbeschi , perchè vili persone , e truffatori , e giuntatori hanno luogo sulle scene j e se molti de' modi che trovansi nel Te- renzio , sono oscuri al più de' lettori , egli è che noi slam poco dimestici col volgo di Firenze (i). Nelle Bel- lezze di Dante , volle il Cesari far pompa del ricchis- simo tesoro eh' ei possedeva , dell' antica buona lingua toscana ; nò ricordò sempre quella tempera maravigliosa d' ogni cosa , iVe quid minis ; e si credette che la for- ma di dialogo familiare avesse a meritargli perdono di qualche affettazione. Forse diede nel troppo ; ma se altri perdona al Botta gli arcaismi , che a larga mano (2) sparse nella sua storia d' America ; se arcaismi ed affet- tazioni trecentistiche si perdonano all' Angeloni , sarebbe atto ingiusto e villano negare ugual perdono al Veronese scrittore. Noi chiediamo scusa all' ingegnoso P. Villardi , se diciamo eh' egli talvolta censura 1' amico per non averne (1) Sulla difficoltà di farsi uno ^tile ital. acconcio alla Commedia ved. la Poetica del Zanotti. (2) Del Botta cosi ha il Villardi , Epist. I. ce Ben lece die in America T amica « Del Trecento lasciò gitima quisquiglia. « 6o4 inteso b©iie le parole. Un esempio ci basti. Neil' annot. 2.' all' Epistole a dileggiare il Cesavi si adduce quella terzina di Dante (Farad. Vili): Poscia die gli occhi miei si furo offerti Alla mia Donna reverenti , ed essa Fatti gli avea di se contenti e certi j e la chiosa del commentatore , ove dice , che di mille che la lessero ce i dieci non hanno ravvisato la maestria « ed eleganza di questo dire tanto breve e sì pieno w ; e tosto si corre alla declamazione : et Quai misteri pos- •« sono esser nascosti in questa terzina evidentissima ? « Questa terzina è un miracolo di chiarezza. Che dice ce Dante in èssa terzina ? Qual sufficiente scolare di Ret- «c lorica non dee poter intendere questa evidenza di ter- ne Zina chiarissima? A chi si cantano queste cose? A un « popolo di ranocchi , o ai dotti italiani ? « Quanta foga d' interrogazioni ! Or voi , P. Villardi , che pur siete ricco d' ingegno e di dottrina , avete voi inteso questa evidenza di terzina chiarissima? Temo che no. Ecco la vostra dichiarazione : ce Che dice Dante in essa terzina ? « eh' egli offerse i suoi occhi riverenti a Beatrice , e ce cli'Eila li fece contenti e certi di sé. ^ E colosta si Chiamerà spiegazione? Voi avete sciolte in prosa le pa- role del Poeta j ma togliere il numero non è spiegar gli autori. Di che avvedutovi , avete aggiunto : cioè ( male quel cioè , dopo aver gridato lungamente che la terzina è un miracolo di chiarezza ) cioè : con un cenno lo assicurò , Lei esser contenta di quello eli egli volea. Ma il Cesari non disse già die di mille lettori , i dieci «on avessero inteso la terzina : questo gliel fate dir voi : r autore delle Bellezze nel passo da voi allegato , afferma che i dieci non hanno ravvisato la maestria ed ele- ganza di questo dire tanto breve e sì pieno. Ora , eleganza , maestria , pienezza e brevità , dir non vo- gliono oscurità ; che anzi parendo ai più , come a voi , evidentissima la terzina , non si fermarono a conside- rarne quelle quattro doti che in essa ravvisa il Cesari. Difatti , un altro Poeta avrebbe scritto : Poscia che gli ocdii miei si fiu" fissati jNella mia Donna ruvtTenti 6oS e il graa maestro della poesLi toglie al concetto la for- ma comune , facendo che gli occhi si offeriscano alla sua Donna j e da questa novità nasce maraviglioso di- letto. Tutti avrebbero saputo dire che la Beatrice eoa un cenno fece intendere al Poeta eh' Ella era contenta di Lui 5 e la maestria , notata dal Cesari , dice che la Donna fa gli occhi di Dante contenti e certi. Chi non intende la maestria de' modi adojjeratici dall' Alighieri sopra quelli che sarebber caduti dalla penna ad un altro poeta , farà bene a non parlare di ragion poetica. L' e- ii' ganza di questa terzina è squisita j o volete conside- rare 1' armonia del verso non altero né rimesso , o il temperare il suono esile degF i e dell' e col pieno degli o e degli « i o le voci schiette , proprie , collocate in ordine naturale , cosicché limpide e graziose si presen- tano all' intelletto del leggitore. Della brevità diremo unicamente , che il terzo verso occupa 2 3 sillabe nella interpi-etazione del P. Villardi ( scrittore conciso ) , e tuttavia mancavi la dichiarazione dell' aggiunto certi po- stovi non a caso dal Poeta , e che non si potea spiegare senza parecchi vocaboli. Hassi pienezza , quando nulla , senza sconcio , si può toglier né aggiugnere. Fate di scemare o crescer 1' idea Dantesca di una voce , o di sostiluirvene un' altra , e vedrete quanto ne scemi la bellezza. Queste sono le cose che di mille i dieci hanno ravi/isato in quella tei'zina ; e il valoroso P. Vii- lardi immagina che il Cesari volesse dire che pochissimi abbiano inteso 1' idea Dantesca. Ecco come l' ira faccia velo agli occhi ben veggenti. Un' altra censura trovo nel Villardi , e la veggo ripe- tuta le tante volte, ch'ella è proprio una seccaggine j cioè che il Cesari insegua questa dottrina , che il tutto dimora nella eleganza (i)j Esser talun che la potenza troppo Delle parole estolle , e avvisa il tutto Dimorar qui della gentil bisogna (Ep. I. ) Il sig. Parenti , nelle sue Riflessioni , § VII. , combatte (1) Vedi annoi. (*) face. Sy dell' Epistole. 6o6 assai bene questa querela , mostrando con un bel passo del Villardi , quanto di dottrina profonda , teologica e filosofica si trovi nelle opere del gran Veronese. Noi , che non vogliamo allungar di troppo il nostro ragionare , rimettiamo i lettori ad una lettera di Marcantonio Fla- minio a Mons. Florimonte (i) , ed all' arte poetica di Francesco M. Zanetti. Intanto vogliamo pregare il dotto P. Villardi a volerne perdonare , se abbiamo cre- duto di non approvare questo suo trasporto contro dell' onorato Vecchio , di cui contristò gli ultimi giorni ; e i motivi di non concorrere nel sentimento del Villardi , sono i seguenti : I. Una parola viva , o piccante , fuggita al Cesari , non era motivo sufficiente a rompere 1' antica amicizia. IL Per una parola detta in privato , non si dovea fare una pubblica e terribil vendetta. IH. Mandare alla stamperia così fiere Epistole contro del Cesari , nel tempo stesso che gli si scrivea per let- tera quella dichiarazione di costante stima altissima e di amicizia , è un fatto non degno dell' onorato e religio- sissimo P. Villardi. mi. Il Villardi neir abbandonare gli steccati del Ce- sari , il quale sempre congiunse lo studio e la difesa delle buone lettere allo studio ed alla difesa della Re- ligione , dovette di necessità ricoverarsi al campo di per- sone , le cui intenzioni sono sospette al Villardi mede- simo (2). Il sig. Parenti non ha potuto a meno di non mostrarne grandissimo stupore ; e noi consentiamo con quel valente Modanese. V, Con tal mutazione il Villardi nuoce al suo inge- gno ; perchè di scrittore robusto , originale , è divenuto , in queste tre lettere , declamatore e trascrittore delle cose altrui. L' osservazione trovasi nelle Riflessioni del Parenti. Alla lettera dell' Ab. Manuzzi , che risponde il P. Vil- (1) Trovasi nelle Prose raccolte dal Tagliazucchi , 11. 3. i3. (2) Vedi l'Episl. 2." face. Sy. 607 lardi? Deride l'avversarlo (1) chiamandolo /ibatino ed iafelice scrittore d' iscrizioìii italiane : si chiama va. colpa delle lodi date al Cesari , condannandole e dete- standole come matte esagerazioni. Ma , e il giudizio di quel solenne letterato intorno le BUezze Dantesche, scritto dal Villardi al Cesari , e pubblicato dal Maiiuzzi ? Dichiara , eh' è cosa finta in gran parte. Si lagna fie- ramente del sig. Acerbi , che pubblicò nella Biblioteca Italiana alcune sue lettere per mostrare , eh' egli , il V il- lardi , una cosa stampava ed altra scriveva. E perchè con altre lettere si potrebbe trovare nuovamente confuso , come già per c[uelle stampate dall' Acerbi , ed ora per le altre fatte pubbliche dal Manuzzi , sdegnosamente conchiude : « non mi tenti piti avanti , perchè potrei « cedere alla tentazione. 33 Amena è poi la risposta alle Rljlessioni del eh. Pa- renti (2) . Voi avete ben ^o anni e più ( gli dice il P. Villardi ) se io ne ho 46. Io mi stava col Cesari solo in apparenza. Voi lodate i Trecentisti per agevolare lo spaccio delle ì^ite scelte de' SS. Padri , e delle Os- servazioni sopra i rancidumi cruschevoli (cioè sopra il Gran -Dizionario di Bologna ) , opere stampate per vostro conto : io ho ferma la ragione di queste cose , cioè delle declamazioni contro al Cesari ed a' Trecen- tisti. Riconfermo clke i SS. Padri scrissero in bassa lin- gua. Erasmo , che voi mi citate , poco sapea di latino , e però non mi fa maraviglia che lodasse S. Girolamo. Imitiamo lo stile elegante del Compagnoni , del Berto- lotti , dello Zannoni , non quello del Cesari. Così la di- scorre il Villardi , e cosi confuta le osservazioni del dotto professore di Modena. Fa rider poi , ove sostiene che la lunghezza de' periodi nella storia del Guicciardini ce dipende daM' aver posto assai spesso due punti dove andava posto il punto fermo. « Se questo fosse , togliendo alle opere di Tacito la metà , o i due terzi de' punti fermi , sarebbe trasformato in uno scrittore periodico , (1) Epist. IV. Appendice , face. 78. 'jc) e 80. (f) Epist. IV. Appendice, face. 69-78. 6o8 od anche difi'uso. Quanto agi^iunge a difendere le Iodi smaccate che diede nell' Epistole alla Jìlosnjia del Gior- dani e del Machiavelli specialmente , merita d' esser com- patito , non rifiutato. Ma sopra tutto è nuova e festevole la confutazione che fa il P. Villardi di un articolino di un Giorna- letto , nel quale alcuni gli fecero sentire , urbanamente, però , il loro rincresci mento per la guerra da esso bandita contro del Cesari. Comincia col dire che 1' au- tore dell' articolino e un discente della scuola ribo- bolaja , avvezzo solo alle scritture di Jacopone da Todi e di Fra Giordano. Seguita dicendo non voler rispon- dere alle osservazioni dell' articolino , perche non ìia tempo da t^ìttar via- Tocca solo , ed anche leggermente, un particolare ; che daremo colle stesse parole del Villardi. fc II censore ristampa un articolo da me pub- te bli(;ato in Roma nel Giornale Arcadico. In esso io lo- « do , conae feci altre volte , sperticatamente il P. Ce- « sari, recando anche una lettera del Perticari che Io « esalta come Pater elegantiarum. Rispondo primie- « ramente che delle lodi degli amici non è da farne « gran conto . . . Oltre a ciò avverto che il Perticari ce in cpiella lettera nou di altro loda li Cesari , che di « eleganza. » Bene sta : delle lodi degli amici non è da farne gran conto : ma quando l' amico loda un uomo chiaro in tutta la nazione , quando loda uno scrittore , che giovinetto meritò gli encomi di un Tiraboschi j quan- di) per lodarlo non teme d' incontrar lo sdegno d' uo- mini assai riguardevoli nel regno delle lettere j quando le lodi publjlica e ne' giornali , e in operette a parte , e in prosa e in versi ; quando per molti anni persevera lodando , quando finalmente il lodatore è persona d' in- gegno svegliato , ed ha con se il giudizio del Botta , dell' Angeloni , del Perticar! , del Parenti , del Gior- dani , del Colombo ec. ec. , in tal caso chi potrà dire che delle lodi di un amico non è da farne gran conto ? Aggiunge il Villardi ce essere leggerezza ridicola « il trombettare nelle gazzette i premj , le lodi de' « giornali ec. da che ben si sa come vadiano spesso 6c9 « (queste bisogne. ì3 Ollimo è l' avvertimento j ed in maniera speciale a' nostri giorni , ne' quali non pochi modesti autori mandano a' giornalisti , a scemar loro la fatica , una copia de' lor libri con un estratto , o con una novella letteraria , pregandoli molto umilmente ed efficacemente che vogliano compiacerli di dar luogo ne' lor fogli all' articolo compiegato ; ed a supplire corte- semente a quelle lodi , che per modestia non vollero venir giù dalla penna agli autori. Ovvero , che è un al- tro modo bellissimo di avanzar l' ignoranza e di met- tere in grido i cattivi scrittori ; non si tosto è pubbli- cato un libro degno di lode , taluno si dà la briga di farne una censura , o satira , e questa consegna ad un amico , acciocché la mandi fuor di paese ad un qual- che rcdattor di giornale ; raccomandandosi che appena finito d' imprimere il foglio , se ne confidi un esem- plare alla Posta ; ed avutolo , corre tosto a' crocchj degli amici , e ad essi lo legge commentandolo , e prega eziandio le gentili signore a introdurne discorso nelle conversazioni , onde aver cagione onorata di ripeterne la lettura , e di rifare ì commenti. Noi cel sappiamo assai bene , e per lunga sperienza , come vadiano queste bisogne ; ma esse proprie sono de' miseri scrit- tori , non d' uomini sì fatti , cpiale il Cesari ; il quale non avea mestieri di trombettare nelle gazzette le Iodi de' giornali. Cosi nel prhicipio del secolo scorso si vedevano i MafFei , i Ijazzarini , i Poleni , i Volpi , i Zeno , metter nella pubblica luce opere dottissime , senza mendicar lodi dalle gazzette^ ed intanto i Lazzari, i Bernardi , i Salio , mandavano a' gazzettieri Veneti articoli incivili ed insulsi , lacerando la fama di quegli uomini eruditi , e per non parere essi medesimi altret- tanti insetti letterari , si lodavano a cielo 1' un 1' altro , e faceano trombettare sulle gazzette le proprie lodi. Ma per qual motivo , voi , degnissimo P. Villardi , . cosi caldo amatore del Trecento e del Cesari , vi siete voi ritrattalo ? Ecco la risposta : « Rispetto poi all' aver « io cangialo opinione del Cesari , non credo si possa « darmene carico ... Il procedere negli studj e nelle 6io « cognizloai ... mi disingannò . . . Non si ritrattò forse ce Cicerone ? Noi fece Quintiliano , e tant' altri ? » Si fecero ; ma non dissero d' aver tenuto per lo avanti 1' opinione contraria , soltanto in apparenza , né d' aver finto che altri fosse della sentenza medesima ; né che le cose per loro scritte non partissero dalla persuasione dell' animo , sì dalla vaghezza di far servigio altrui. Se il Villardi dichiara e confessa d' avere per tanti anni ingannato 11 Cesari e 1' Italia ( parlo de' giudlzj lettera- ri ) mostrando di tenere una opinione , eh' egli fingeva solo in apparenza, potranno rispondere i nemici di lui con un adagio de' Legglsti ; e protestare eh' Egli nel 38 potrebbe ricredersi di quanto scrive nel 28 , come in quest' anno ritratta le cacabaldole (è suo vocabolo) stampate l'anno i8i8. E con Fedro gli diranno sul vi- so , non dovergllsl prestar fede , etiamsi verwn dicit. Chiude 11 Villardi la sua risposta all' articolino del Giornaletto , scrivendo che il Cesari predica 11 Tre- cento non pel ben delle Lettere , ma per negozio ; cioè , per vendere a caro prezzo tanta carta stampata (1). Il complimento è gentile! Non contento il Villardi delle risposte date al Gior- naletto , al Manuzzi ed al Parenti , si affatica di per- suadere altrui d' aver mutato opinione per amore di fi- losofia gramaticale. Udiamo , com' e' ragioni , con in- tendimento di abbattere la dissertazione del Cesari sulla lingua nostra ; dissertazione premiata dalla Società Ita- liana , dall' Accademia della Crusca , ristampata in Mi- lano più volte ed in Pisa , ed approvata pur anco da' nemici dell' illustre Veronese (a) . Avendo detto 11 Ce-, sari che la lingua specialmente è quella che dona agli scrittori la vita e V immortalità , il Villardi acremente lo rampogna d' aver insegnato una dottrina falsissima. Or dicami il Censore : noi abbiamo la col- tivazione del Crescenzl in latino ed in toscano > e cosi abbiamo gli ammaestramenti raccolti da Fra Barici. (1) Villardi, Append. Epist. IV , face. 3,6-34. (2) Villardi , Append. Epist. IV , face. 35-58. Gli da S. Concordio. Perchè mai ninno legge , ninno ristam- pa, ninno ricorda il testo originale di questi due lavo- ri , e tutti ne cercano e tengono in pregio la versione ? Per 1' eleganza della lingua toscana. Come ha potuto il Bonfadio farsi immortale con un volumetto di storie ge- novesi ? Il subbietto non ei-a grandissimo ; né lo Storico vi fa pompa di quelle dottrine , per le cpjall le persone di piccola levatura ammirano alcuni Scrittori del secolo XVIII e del XIX. Ottenne l'immortalità per 1' eleganza della lingua latina. 11 P. Villardi nel combattere la sen- tenza del Cesari , dimenticò una distinzione : vi hanno libri assolutamente necessarj j ed altri no. Si conservano i primi , perchè 1' uomo non può farne a menoj o crede non potere: periscono gli altri, ove non sien conser- vati per la proprietà della lingua. So bene anch' io che un farmacista non si cura dello stile di im ricettario ( ora Farmacopea ) j né un geometra si affanna a tro- vare gli Elementi in idioma purissimo ; né i Codici perdono lor vigore per mancanza di pure locuzioni. Ma i libri , de' quali può far senza la civil società , vivono molti secoli pel merito dello stile proprio e leggiadro. Perirono gli Annali l'omani de' Pontefici , storia utilis- sima , benché disadorna , a detta di Tullio : vivono le commedie di Terenzio , perchè di somma eleganza. Chi legge le opere dottissime scrìtte dal Boccaccio in latino ? Chi 1' Africa del Petrarca ? Dante , fattosi di Guelfo Ghibellino , compose un trattato de Monarchia. Le opi- nioni ardite annimziate in questo libro , rivissero sul ca- dere del sec. XVIII ; ma 1' opera dell' Alighieri non potè tornare in onore j e perchè ? Perchè già nel sec. XV. Leonardo Aretino 1' avea fulminata , come scritta in istile disadorno e peripatetico. Qni ritorna in campo il Villardi , sgridando il Cesari « che voglia ricondurre al Trecento tutta la lingua 3i la qual cosa , quanto alle teste un po' Jilosojiche non avrà mai altro che le fi- schiate. Ma tempo sarebbe oggimai , che le teste un po' filosofiche si compiacessero diiraT^^oviAve fedelmente le opinioni degli autori. Quando fu mai , e dove , che il Cesari pretendesse di ricondurre tutta la lingua al 6i% Trecento? E non fu egli, il Cesari , clic ristampò il vo- cabolario del Disegno del Baldinucci, e quello di Me- dicina d^l Pasta ? Non propone egli in più luoghi delle opere sue , come ottimi scrittori il Gasa , il Davanzati , il Firenzuola , il Lasca , il Cliiabrera ? Non dobbiamo forse a Lui , che sien venute a grand' onore le opere del Battoli , di cui a pena i Gramalici conoscevano il Torto e il Drillo ? E qual di costoro è scrittor trecentista ? Dirò al P. Villardi , com' egli al Cesari ; distinguo : Il Cesari , con tutte le teste un po' filosofiche , vuol ri- condurre la lingua al Trecento , quanto ai modi , tran- seat ; quanto alle voci , nego. Leggasi la Dissertazione del Cesari sulla lingua italiana , e si vedrà chiara , come il mezzodì , la distinzione da me accennata, O non dice il P. Villardi medesimo (i) essere « il Cesari iu- te caponito , che questa ricchezza di lingua sia tutta nel " Trecento , e ne' comici del cinquecento ? » Come dunque si avvisa di condarla tutta al Trecento (2) ? Una testa un pò" filosofica ben vede che 1' avversario dell' illusti-e Veronese conti-nddice al Cesari ed a se mede- simo ; cosicché non dovea mai lasciarsi cader dalla penna le parole seguenti : « Come adunque il Cesari potè ac- ce cecarsi fino al termine d' insegnare questa dottrina? » Cercasi che cosa sia la bellezza di lingua ? U Ce- sari risponde colle parole di Cicerone intorno all' urba- nità j essere un nescio quid. Qui trionfa il P. Villardi , pensandosi di avere trovato, filosofando, la vera natura della bellezza di lingua. Trascrive primieramente la definizione datane dal Pallavicino : V eleganza non è altro che un minio dato alle cose per renderle più dilettose agli ascoltanti , e poi esclama : ce Se una gio- cc vane Signora di bellissime forme , ma di smorto co- cc lore si tingerà un po' le guance di minio , acquisterà ce nuova grazia , ov' altri non s' accorga dell' artifizio ; ce ma se tingasi una brutta vecchia arata dagli anni , ce non moverà ella le risa come la faccia di Madama (1) Append. Epist. IV, face. 4^ e di nuovo face. 55.: (2) Append. Epist. IV , face. 44- 6i3 « Simona moglie di Pulcinella ? « Ma il P. Cesari po- trebbe rispondere : la definizione del Pallavicino non è mia ; e perciò non è atto da filosofo ritorcerla contro di me. Potrebbe aggiugnere che F eleganza è un vivido purissimo sangue , che scorre per le vene della spiovane Signora , dandole moto leggiadro e gentil colore j e che ninna Signora potrà meritarsi mai il titolo di bratta 'vecchia , fino a che avrà grazioso movimento e lx;l co- lore. Questo diciamo per non partirci dall' esempio pro- posto dal padre maestro Villardi. Per altro io tengo per fermo , che se 1' eleganza si potesse definire , le teste un po' filosofiche ammetterebbero anzi la mia defini- zione , che quella del minio , che fa le cose dilettose agli ascoltanti. Veggia 1' ingegnoso Villardi , quanto sia fallace quella filosofia , che trasse dal Taglia, Il color del minio può dar diletto agli occhi , non mai alle orec- chie : e la Signora di bellissime forme avrebbe già grandissima parte di eleganza j dove al contrario i libri pieni anche di cose dottissime , se lor manchi la pro- prietà della lingua , non sono di bellissima forma , ma si fanno conoscere per fratelli di quel Modancse avaro , che il Tassoni paragonava ad una Mummia , in cui natura V arte imitò d' un uom di carta pesta. Un' altra accusazione lancia il P. Villardi contro al rispettabile suo precettore ed amico 5 cioè il non aver mai voluto ammettere un comune parlare italiano usato dai letterati nei loro scritti , beffandolo com' uomo che abbia logorato il naso cogli occhiali incantati del Trecento ; che questo linguaggio adopera il Villardi ad ogni pie sospinto , dappoiché ha fatto professione di moderna filosofia. Quanto alla lingua comune , o auli- ca , o cortigiana , o siciliana, che dir si voglia, po- trà leggere il Villardi le lettere a Polifilo del Biamonti, e i Discorsi sulla lingua italiana del chiarissimo Prof. Bagnòli (Pisa, 1822 in 8."). E iuutile citare 1' auto- rità del Muratori j essendo un fatto incontrastabile nella storia di nostra letteratura , che niuno fuor di Toscana scrisse in lingua iudiana aulica illustre , prima di aver potuto leggere Gino , Cavalcanti , Dante , il Petrarca , 40 6ii il Boccaccio e gli altri loscani antichi. V ebbe chi scrisse in Pugliese , e in rumanesco : tal altro in siciliano in lombardo , e in genovese j ninno in lingua illustre. Op- porranno le canzoni di Federico II , di Pitr dalle Vigne ecc. Ma il Bagnòli osserva che questi poeti scrissero non in lingua siciliana , si in toscana j né questa risposta do- vrà parere nuova a chi voglia considerare che molti Ita- liani , e specialmente genovesi , cantarono in lingua pro- venzale , né perciò si disse che la lingua aulica , illu- stre italiana fosse la provenzale ; si disse che cantavano in idioma non materno. I filosofi poi diranno che lin- gua è opera d' imitazione j e ninno imitare un idioma , che in nessun luogo si trova ; specialmeute un idioma volgare. I critici migliori hanno già notato , contro a coloro che ripetendo errori si dan nome di filosofi , non esser vero altrimenti , che vi sia esattamente parlando ima lingua francese (i) , una lingua spagnuola (2)5 ma essei-vi una lingua piccarda , o parigina , imitata scri- vendo e cortigianamente parlando da tutti gli abitatori del vasto regno di Francia ; e così una lingua castigliana , adottata dagli scrittori della Spagna. Ma 1' età nostra é così tollerante degli errori e delle stranezze , che nulla più ; onde anche i buoni ingegni , pel molto leggere di libri moderni , non possono a meno di talvolta inciam- pare in paradossi ridicoli. Basti l' esemplo del eh. Schle- gel che si lasciò fuggir dalla penna cosi nuovo pensiero sul concetto primitivo degli autori della gotica architet- tura che un secolo fa avrebbe fatto trasecolare di stu- pore (3) e rider senza fine anche i Magistri Comacini (1) Luigi XIV obbligò con severi editti tutte le province della Francia ad usare negli scritti legali la favella fran- cese. Questa favella dunque non è propria naturalmente di tutta la Francia. (2) La R. Accademia di Madrid ha dato al suo vocabo- lario il titolo di Castigliano, non di Spagnuola. (3) « Quest' architettura , cosi detta Gotica , fiori senza dubbio più che altrove in Germania. ... Se ne ignorano as- solutamente i veri primi inventori. . . Chi che si fossero poi , essi ebbero in animo di esprimere con quelle ingenti moli 6tj (i)^ ed ora (chi sa?) potrebbe trovare ammiratori , ed aver luogo onoratissimo fra le sublimi idee de' filosofi transcendentali j o come direbbe il celebre Buonafede , de' filosofi fanciulli. Che se il P. V.illardi accusa il Cesari di scrivere con- tro ogni buona ragione di logica del sec. XIX , & pi-etende che 1' esistenza della lingua italiano-aulico- illustre y fosse trionfalmente dimostrata da Girolamo Muzio , a noi piace di considerare che la logica , ossia la facoltà ordinatrice delle idee tal era nel sec. XVIII , come n el XIX. Quanto al Muzio , io temo che il Vii- lardi lo abbia letto molto frettolosamente. Ecco le pa- role di quel vivace scrittore : « Difendo che la lingua ce nostra volgare era nata fuori di Toscana ; e che da « noi ( Lombardi ) avuta la hanno i Toscani , come ce forestiera (2) . » Ed è tanto fermo in questa opi- nione il Muzio , che avendo fatto nascere la lingua volgare da' Barbari venuti in Italia , e specialmente da* Longobardi , ed ostinandosi ad asserire che i Toscani appresero la lingua volgare da' Longobardi , non ha dif- ficolta di scrivere ( cap. XX ) ce che i Longobardi o non furono in Toscana , o poco vi dimorarono. » K pure è cosa certa che la Toscana stette per più di due secoli sottomessa a que' Barbari ; e tenacemente fu ad essi fedele ; cosicché già caduto il l'egno di Desiderio , nelle carte di Toscana trovasi tuttora il nome di questo Re sconsigliato , e dell' infelice Adelgiso suo figlio. Di- cane dunque il P. Yillardi : vuol egli starsi all' opinione del Muzio , eh' e' giudica filosofica e trionfale ? In tal caso dovrà difendere , che i Toscani apprendessero da' Lombardi la lingua italiana; e che i Longobardi non furono in Toscana , benché Lucca , capitale di quella alcuni grandi pensieri .... Ciò che dall' intiero di questa misteriosissima architeltura viene significato , si è la consi- derazione dell' eternità .... è 1' espressione d' un pensiero sollevantesi a Dio. » Lezione Vili. (1) Nome che i Tedeschi davano giìi a' maestri di mura- re , ossia a' muratori. (2) Muzio, la Varchina, cap. XVUi. 6i6 regione ne' tempi bassi , piena «la dì monumenti lon ' gobardici anclie a' di nostri : o conosce non essere al- tro le idee del Mvizio che rldevoll paradossi ; ed in tal sentenza , come ardisce citai-ne 1' autorità ? Mn perchè vegga e tocchi con mano , che tutta la filosoGa che nel fatto delle lingvie si concede al Muzio , come a certi altri Scrittori , non è poi che un vano suono di vane ciance , piaceini esaminare una opinione gramaticale del Muzio ; accioeliè dall' ugna si conosca il leone. Avea detto il Varchi , in su la riva di Mugnoiie ^ di che lo inmprovera il Muzio ( Vavchina cap. VII ) : = do- veva dire , in su la riva del Maglione. = Ma il filo- sofo esaminando 1' uso degli uomini , trova eh' eglino nelle frasi più comuni , e nelle cose che deggiono ri- cordare assai spesso , amano grandemente 1' elissi , per vaghezza di fars' intendere senza indugio. I neutri de Latini haniTo tutti ima elissi. Noi diciamo : è un' ora , cioè del giorno, o della notte , suonano le ventiquat- tro , cioè ore : buon prò , sottintendi , vi faccia , e mille e mille di tal fatta. I Bolognesi quando parlano del Reno germanico , adoprano 1' articolo : l' esercito è sul Reno : quando parlano del loro picciol Reno , cbe debbono ricordare ad ogni momento , lasciano 1' arti- colo : Reno è grosso: la rotta di Reno. I Genovesi volendo parlare del palazzo pubblico , o Ducale , taccion similmente l'articolo : Palazzo e serrato: vo a Palaz- zo , ed i Fiorentini clie vivon sull' Arno , dicono per somigliante guisa, Arno, non l' Arno ; lung' Arno , non lungo i' Arno ^ e da' Livornesi udrai, Porta a Pisa , non Porta che mette a Pisa. Ora essendo il Mu- gnone cosi presso a Firenze , che ogni ora è sulle boc- che de' Fiorentini , vale per esso la ragione dell' elissi , come per 1' Arno ed il piccolo Reno ; ed acconciamente disse il Varclii , di Magnane ; e se il Bluzio lo accusa di errore , la filosofia vera della lingua 1' assolve. Vana è dunque la fatica adoperata dal P. biliardi a comporre una lunga lista d' Italiani viventi e trapassati , i quali descrive come favorevoli alle sue nuove opinioni. La ve- rità uou è soggetta a prescrizione; può esser corobattu- 6ij ta , non vinta. E quando egli esalta studiosamente i Bertolotli , i Ghcraidiiii , gli Arici , i Taglia , noi , senza punto menomar la fnma ad esso loro doviua , risponde- remo col Muzio ( f^archina , cap. V ) : « Si fa grato « il Varchi ( legg. il Villardi ) in commendar molti oc Scrittori j e a me sembra clie con mollo studio vada « procurandosi amici , acciocliè allri da lui sentendosi « lodare , gli porti rispetto in allontanarsi dalla sua ce opinione jj . annotazione all' articolo del J^illardi. Nel tempo che s' imprimeva 1' ai-ticolo sul P. Villardi , ne venne fatto di vedere la = Lettera seconda dell'Ab. Giuseppe Manuzzi intorno al P, Cesari : Modena , Vin- cenzi , i8a8 , in 8.° =5 e non volendo tralasciare di farla conoscere a' nostri lettori , ne diremo due parole a modo di annotazione j quantimque meritei'ebhe d' es- sere tutta per disteso inserita nel Giornale; tanta è l'ur- banità , la sodezza , e la sincerità di questo opùscoletto. L'Ab. Manuzzi risponde con questa Lettera alla IV. del P. Villardi. Ma facciamo che parli il Manuzzi egli stesso : te Ricevei la IV. epistola del P. M. F. Villardi . . . Buon « Dio ! si vede aperto che la passione lo ha accecato. « E opex-a da galantuomo , non che ec. il volere avvi- te lire e vilipendere un uomo chiarissimo per dottrina « e pei' virtù , qual è il P. Cesari ? Se anche ha « portato ( il P. Cesari ) una qualche opinione , la quale « a qualcuno paja non troppo ragionevole , sarà perciò « da calunniarlo? da fargli dire ciò che non disse mai , « falsando .... le cose ? O non sanno certi Aristarchi , « che non tanto lo scrivere quanto le cittadine tt virtù sono necessarie al consorzio degli uomini ? che « '1 mondo ha assai più bisogno di sentimenti e di esempj « generosi , al cui specchio l'uomo compone la vita, e « fassi seguace ed amatore della bontà e dell' onore , che ^t di misere dispute e transitorie? .... Mi duole assais- « simo , che il P. M. ( Villardi ) abbia cosi voluto mac-. 6i8 « chiare la propria fama , e mandare alla posterità un « vilxiperio indegno del suo buon nome e del suo stato . . . te Scagliarglisi contro con tanto veleno , ed insultarlo « « malmenarlo e vilipenderlo pubblicamente , come un « bamboccio, ò ella cosa da suo pari?... (Qui l'Ab. Manuzzi reca im' aurea lettera del Cesari , in cui sono inseriti non pochi brani delle lettere del P. Villardi , e poi continua ) . . . . « Quel sentire che tanti vituperi non « bastarono a toi-gli un sol quarticello d' ora di sonno , « mi consolò senza fine , e fecemi sclamare ? Ecco che « vuol dire una coscienza pura , un animo veramente « virtuoso ! (Entra poi l'Ab. Manuzzi a descrivere colle parole di una lettera del P. Villardi uno scrittore invi- dioso della gloria del Cesari j e di tal invidia dà questo motivo )....« Tutte le sue cose sono sudate a limbicco « di pazienza e a fatica infinita .... e veggendo voi si « facile a compilare i tomi grossi , non sa darsene pace. ( E dopo altre cosette , conchiude l' amabile Manuzzi ) : « A me pare d' esser certo che , passatigli i fumi , ri- « conoscerà il vero... condannando cordialmente queste « ingiurie .... Se avrò occasione di riscrivervi , allora e» dirovvi molte altre cose, n E noi slmilmente , ove ne giungano altre lettere del Manuzzi , ci affretteremo di farne parte al Pubblico j essendovi anche fuor di Verona e di Modena troppo gran bisogno di ribattere ed umi- liare la baldanza de' semi-letterati. BELLE ARTL Al Molto Reverendo Signore IL SIGNOR DON TOMMASO NICCOLARI CANONICO PROPOSTO DI TRlORl G.B.S. '^uel Pietro Oderico che vien creduto architetto ge- novese del sec. XIII-, io 1' ho per un semplice geuli- luomo, non per un architetto di professione. E credo che l' inganno sia nato dalla iscrizione , che si legge qui in Genova a' cannoni ( tnbi ) di S. Andrea. Ec- covi le parole del monumento, come si trovano (i) nell ampia raccolta che dagli eredi del benemerito sig. Piaggio è passata ad arricchire la Civica Biblioteca Berlo. MCCLXXXXII. Li potestatia Domini Gulielmi Oldlni Civis Asteiisis factum fuit hoc opus existente operarlo Potrò Oderico et scribente Ugolino de Scalpa Notarlo. Non dir') esser caso rarissimo che una città , special- mente in que' tempi di tanta austerezza , permettesse ad un architetto di scrivere il suo nome in fronte di un pubblico edlGiio j né accenneiò che allora il notajo avrebbe avuto la precedenza sopra l' architetto ; perchè sì fatte cose vi sono di certo notissime; ma tengo per cosa indubitata che Operarlo nel nostro marmo espri- ma 1' Operajo de' Toscani j ossia il Sopraccapo della Fabbriceria , come or diciamo , benché 1 nostri amassero meglio la voce Massaria. Infatti in Toscana tanto è Opera , come Fabbriceria presso di noi. I Romani (i) Piaggio, Monumenta Genuensia, MSS., voi. V, pa- gina 3o5. 6ao dicono Fahbricn ; come ben sapete. Laonde il Pietro Oderico della Lapide fu il Massajo , il Sopracciò , il Deputato pei- q'iiel pubblico lavoro ; non ne fu 1' ar- chitetto; come ha creduto il sig. Piaggio nell'indice al citato volume. Io per altro mi protesto sommamente grato alla memoria di quell'egregio Cancelliere della Sanità y ed infaticabile raccoglitore delle cose patrie , si per 1' amicizia , di cui vivente mi onorava , si per aver egli voluto far di me cortese menzione nell' in- dice al voi. VII de' citati monumenti ; nel qual volu- me avendo inserito copia della iscrizione antica che si vede in S. Michele di Rua , da me comunicatagli , scrisse queste parole di suo pugno , come lutti possono riscon- trare : « Sancii Michaelis loci Rulae : plusquam pre- ce tiosam prospice inscrlptionein , quam elapso mense « octobris anni 1820, detexit primus litteralissimus vir ce R, P. Spoturnns. w Ma i^ che non ho mai dimen- ticalo, per grazia del Signore, quella umiltà che deb- bono professare i Cristiani , avendo fallo copia di essa lapide a' chiar. signori Direttori del Giornale Ligu- stico, l'accompagnai colle seguenti modeste parole; oc Di questo pregevol monumento giravano copie, ma « imperfette ; attesoché coli' imbiancare ne' tempi an- « dati il pilastro in cui esso è incassalo , avevan riem- « piato di calce i solchi di alcune lettere , che più non « apparivano. Ma nell'autunno del 1816 (i) trovan- te dosi il P. Spotorno nell' amena villeggiatura del sfg. « Avv. G. Cristoforo Gandolfo a S. Lorenzo della Co- cc sta , ambedue sì recarono ad osservare quel marmo j « ed avendolo diligentemente ripulito ne trassero que- cc sta co])ia , la prima genuina che si presenta alla pub- re blica luce. » (^ Giorn. Lignst. fase. i. 1827, face. 84 ) • Vedete , sig. Proposto orualissimo , eh' io non mi vantai di pub licare come inedita una iscrizi nt già divulgala ; e mi guardai bene dal dare a me stesso ( benché i morlerni me ne porgessero mille esempj ) (1) L»gg. 1820; e siinilineiUc ove dice anno 33|> '*^bD' anno 49"- 621 titoli d' onore ; che anzi Io non avrei pur saputo mai che il Piaggio mi avesse nominato in quella Raccolta , se non era il sig. x\b. S studiosissimo delle cose patrie , che mi fece nolare una impertinente interpo' lazione fatta da chicchessia alle parole del Piaggio. Que- sta interpolazione degna di grave biasimo , vi dimostri , i^mico stimatissimo, quanto sia da pregar caldamente il Datore di ogni bene , affinchè ci guardi dalle misere convulsioni di pravo aftetto. Addìo. Genova, 26 gennaio 1829. NOVELLE LETTERARIE. Lettere di Seneca volgarizzate dal Comm. A N- NIBAL Caro: Milano, soc. tip. class. 1B28, in S." N< on avvi in Italia amatore delle buone lettere che non sia per far buon viso a questo volgarizzamento del Caro, e al benemerito Elitore che ce ne diede questa bellissima impressione ; e persona fornita di squisite dottrine cel mostrano la Prefazione, che vi premise, e le Note , onde 1' ha corredata, A due chiarissimi lette- rati dell'età nostra dobbiamo la prima stampa di così pregiato lavoro, i quali nobilitarono in tal guisa quelle nuziali feste sempre ricorrenti , onde sempre i volgari ingegni traggono cagione di vergar le carte d' ineziette arcadiche , e tirare la divina Erato per entro a canore ciance. « Un ottimo costume introdotto di fresco , scrive il eh. Autore della Prefazione , fu causa che questi due Italiani ( Angelo Dcihnistro e Sebastiano Liberali ) ci presentassero di un tal pregevolissimo volgarizzamen- to. Vennero ormai a noja , anzi mossero a stomaca quelle tante raccolte di rime pubblicate in occasione di sponsali , in cui si soleva dipingere Amore che scoc- cava i suoi dardi, ed Imene che scoteva la sua face , e si presagivano eroi d' ogni maniera. Si fece miglior senno cercando qualche scritto inedito e pregevole, o comechè altra volta stampato, pur penduto rarissimo, onde farne un presente agli sposi , e scrivendovi in fronte il loro nome , tramnndarlo ai posteri , cui passe- ranno quelle scritture, w Cosi non saranno senza fama né le nozze Albrizzi Pola , per cui il secondo de' sul- lodati Editori pubblicò dalla Tipografia Trento in Tre- viso nel i8ao la lettera XXKl , prima della milanese edizioae , e diciott' anni innanzi aveva il primo date Ka3 alia luce in Vene7.ia le altre nelle nozze Michiel e Pi- sani , in un libretto divenuto ora rarissimo. Il Dalmistro vi prefisse un erudito Discorso preliminare , di cui si riporta un bel tratto nella Prefazione milanese , e si mostra come il veneto Editore ebbe il picciol Codice dalla generosa amicizia dell' ab. Daniele Francesconi , che con altre rarità bibliografiche dissotterollo in Ro- ma, ce Chi amasse poi vedere 1' autografo di questa bel- lissima traduzione ( sono parole di esso Dalmistro ). . . , lo troverà quindinnanzi nella insigne sceltissima Biblio- teca Pisani , alla quale , fattone 1' uso eh' io voleva , 1' egregio abate Francesconi mi commise di rassegnarlo in suo nome. » Due lettere erano nell' autografo man- canti del fine ( la X e XII dell' ediz. milan. ) , al cui difetto felicemente supplì il Dalmistro , e la sua ver- sione è impressa in carattere corsivo. Non sono da tra- lasciare le seguenti parole , con cui egli chiude il suo discorso : « Possano tante mie cure riscuotere alcun be- nigno compatimento dagli studiosi della lingua nostra , al vantaggio de' quali furono dirette , ed abbiansi gra- zie , e plaudasi al ticchio eh' emmi saltalo in capo di mettere in luce nelle doppie odierne sponsalizie in luogo d' una poetica raccolta , che morta sarebbe al par dell' ultima Gazzetta, un tal monumento che nel genere suo vale un tesoro , e che non vedrà 1' estremo gior- no , fino a che fioriranno gli ottinvi studj , e saranno in onore le amenissime lettere italiane, jj Quanto alla latinità e allo stile di Seneca , il cui testo sta di rincontro alla versione , superfluo è ricor- darne a' vecchi Biologi , che ben ne conoscono i difet- ti j ai giovani studiosi consigliamo attenersi al solo vol- garizzamento del Caro, e tenerlo in conto d' originale ~ italiano, avvertendoli col eh. Edit. dell'errore, in cui incappò Seneca siccome stoico , di credere cioè lecito il suicidio. Avvi pure un altro volgarizzamento delle lettere di Seneca fatto nel trecento , citato dalla Crusca , pub- blicato per la prima volta da M. Bottari , e riprodotto in Brescia nel 1822 dalla «oc. tip. Foresti e Criatiani. 6^4 Ne parlano gli Accademici della Crusca nelle note alla tavola delle abbrev. (voi. VII, pag. 61, In Ijn. «diz, Veron. ) , e vi fa pure qu.i]clic osservazione V Editor milanese sul finire della sua Prefazione. E per fare un cenno della versione , ne paro cbe il Caro sia in questa generalmente andato men largo dall' originale clic nelle altre , onde tanto crebbe il suo no- me. Ne recbereino alcuni eserapj. Tantum ejjicc , quan- tum coiinlus cs : et iila , fjitae tecum animo tuListi , tracia ( Sen. ep. vulg. 3i). Quanto prendesti a fare, taiTto fa ; e quello , che hai nell' animo , quello ese- guisci ( lett. I della pres. ediz. ) . yld sunmnun , sa- piens eris , si (;lauseris aures ; quibus corani parum est ohilere ; firmiori s/?issaniento opus est , quani usuni in sociis Ulixeni ferunt (ibid, ). Alla fino, per di-, ventar savio basta che si chinggano le orecchie j ma non basta turarle colla cera: bisogna impegolarle, e di più forte pegola , che non fu quella con che dicono che Ulisse turò 1' orecchie a' suoi compagni. Cl'\-utn istuni uno, si potes , spiritu , exsupera (^\h'\à.^ . Monta quest' erta ad un sol fiato, se tu puoi. Suhmitti te ac de- primi veto. Né sottomettere , uè deprimere voglio io che tu ti lasci ( ib. ) . Javeni paranclum , seni uten- duni est ( ep, 36 vulg. ) . I giovani devono acquista- i"e , i vecchi servirsi dell' acquistato (lett. 2). Mors , quani pertimesclmns , ac recusamus , intermittit vi- tam , non eripit. La morte , che tememo e ricusiamo , interlassa la vita , non la toglie del tutto ( ib. ) . Que- sto verbo intcrlassare non è notato , come parecchie altre voci , dall' Editor milanese , e non si trova nel vocabolario della Crusca. Aestas ahit , sed alter annus Ulani adducit: hienis cecidi t , refcrent Ulani sui nien- ses : soìem nox obruit, sed ipsain statini dies abiget. Stellarani iste decursus quidquid praeterierit , repe- tit : pars caeli levatur assidue , pars niergitiir. L e- state se ne va, ma 1' altr' anno ne la riconduce ; manca r inverno , ma gli suoi mesi lo ritorneranno ; la notte offusca il sole , et il giorno incontanente scaccia lei. Questo viaggio delle stelle ritorna di uovo a quel che 62 5 ha passato; una parie del cielo s'innalza del continuo, et una parte si sommerge ( lett, 2 ) . p'^ir bonus tam cito 71 ec fieri potest , nec iiitelligi. Un uomo da bene cosi presto, non solo non si può fare, ma nò anco comprendere ( ep. 42» lett. 3). Iste niultum adhuc ahest ab eo , quod projitetur. Costui è ancor molto lontano da quello di chi egli fa professione ( ib. ) . Io leggerei più volentieri di che che non di dà , non ri- forendosi qui a persona, ma a neutro 5 che facile è lo scambio dall' e all'i, e il carattere del Commenda- tore, per testimonianza del Dnlmistro , non è, a dir vero , molto felice. Convien dire che i segretarj allora non badassero più che tanto all' arte calligrafica , che ora si tien da taluno infra tutte necessarissima. Memorie della Reale accademia delle Scienze di Torino. Ivi y Stamperia Reale, voi. 26, 27, e fi8 in 4'° La Reale Accademia di Torino è così famosa non che in Itnlia , ma ovunque si hanno in pregio i buoni sludj e lo severe discipline , che il nostro Giornale non può trascurare di far conoscere a' suoi leggitori i vo- lumi di Memorie , che 1' Accademia vien pubblicando ad ora ad ora, con lietissimo plauso de' veri letterati e de' sinceri amatori della patria. Laonde noi , segui- tando il savio consiglio di un nostro amico, daremo im cenno de' voi. XXVL XXVIl e XXVIII , serbando il dire più distintamente degli altri a' fascicoli dell' anno 1829. 11 voi. XXVI , dopo il solito elenco degli Accademici ( tra' quali il dotto Mons. Airenti Vescovo di Savona , e il chiar. Ab. JNIultedo prof, emerito della nostra R. Università ) , contiene 1' elogio di Gìaufrancesco Cigna scritto dal prof. Vassalli-Eandi. Vengono appresso le Memorie della classe di scienze fisiche e matematiche ; e tra gli autori delle operette in essa contenute , com- pariscono il cav. Avogadro , i prof.,, Plana, Borson , iViichelotti , Rolando, il cav. Cisa de Gresy , il sig. Col- la , ed altri. La classe di scienze morali , storiche e fi- 6^6 lologiche non ci ha se non se due Memorie ; una il- lustiazione del cel. prof. Peyron d'un luogo di Tuci- dide, e r elof^io del baione Vernazza di Freney sciilto con vero sapore di antica latinità dal prof. Boucheron. Il voi. XXVII comincia come gli altri dall' elenco degli Accademici : poi si registrano i doni fatti all' Accademia : succede una notizia intorno ai lavori della classe di scienze fisiche e matematiche nel corso dell' anno 1822 scritta dal prof. Carena. Sette Memorie appartengono alle scienze fisiche e ma- tematiche , scritte da' chiar. Michelotti , Borson , Ca- rena , Rossi , Avogadro, Bidone, Plana e Colla. E sette sono similmente le Memorie della classe morale e sto- rica; tre composte da S. E. il Conte Naplone , una dal Cav. Saul! d Igliano ; un' altra da M. Raymond , una del Cav. Corderò di S. Quintino ; come un altra del prof. Peyron. Noi faremo brevi parole di due , senza più; attesoché risguardano più da vicino alla Liguria Marittima. 11 pr. Borson tratta in una di esse d'alcuni denti del Graii-AIastodoiìte trovati nella prov. d'Asti, e di alcune mascelle e denti fossili trovati nel carbon fos- sile , o lignite, di Cadiboaa prov. di Savona. Di quest' ultime rarità naturali ci presenta la descrizione e la fi- gura intagliata in rame , protestando di lasciare al cel. Cuvier il nobile e malagevole incarico di determinare a quale specie di animali possano appartenere. GÌ' igno- ranti non sì tosto trovano denti, ossa, e simili oggetti, gridano subito, che sono avanzi di elefanti; ma i dotti non corrono con tanta fretta. Parlando il chiar. Borson della miniera in cui si rinvennero le mascelle e i denti sopraccennati , ci dà questa notizia : " M. Gallois iu- « gegnere delle miniere , considerata la posizione geo- « logica , ia cui oggidì si trova la miniera di Cadibona, « valuta la quantità del lignite che trovasi in massa « in quella posizione a due milioni di metri cubici j « e ciascuno di essi pesando da mille chilogrammi , «« equivarrebbe a venti milioni di quintali metrici ; ed « assicurerebbe per 5o anni una tratta regolare di « quattro mila quintali ogni anno. » 62; L' altra Memoria , di cui abbiamo promesso un cen- no , è la dissertazione seconda d/11' illustre Conte Na- pione sulla patria di Cristoforo Colombo. E cosa degna di osservazione che il dottissimo Scrittore non lascia di encomiare il suo avversario con una gentilezza ben degna della sua dottriua e dignità ; affermando che il libro della origine e patria del Colombo è det- tato con grande apparato di erudizione e sottigliezza d' ingegno ( face. 77 ), e sovente ne appella l'Autore dotto , savio , ed erudito ( ved. face. g3 ec. ) . IVIa questa fu sempre ed è la caratteristica de' letterati j 1' amor della verità , ed il rispetto agli amatori de' buoni studj. Il voi. XXVIII dopo i soliti preliminari, ne porge cinque memorie scientifiche de' signori Avogadro , Bel- lingeri , Libri , Bidone e Carena; 1' elogio dell'architetto Piacenza scritto dal sig. Grassi , e le quattro memorie seguenti : I. Della scienza militare di Egidio Colonna e generalmente degl'Italiani del tempo di mezzo, di S. E. il Conte Naplone. IL Del Petardo di guerra , del cav. Omodei. IH. Codicis Theodosiani fragmenta inedita ex codice palimpsesto Bibliolhecae R. Taurinensis , sco- perti ed illustrati , del prof. Peyron. IV. Osservazioni bibliografiche letterarie intorno ad un' operetta falsa- mente ascritta al Petrarca ; dell' Ab. prof. Gazzera. Non abbiamo indicato 1' anno della impressione, per- chè non si potea ciò fare senza tema di errore. Infatti il voi. 26 che ha sul frontespizio la data del 1821 , co- mincia coli' elogio del Cigna letto nell' adunanza del i4 aprile 1822. Il Perticari confutato da. Dante , Cenni (il Nic- colo Tommaseo. Miliino , Sonzogno , 1826 in 16. ( con un' appendice che si trova sepa- rata ) . Lo studio della vera metafisica , tanto negletto negli ultimi anni del sec. XVIII , e ne' primi del nostro , è necessario a tutte le parti della letteratura j e perciò anche alla Gramatica , fondamento primo d' ogni libe- 628 ral disciplina. Che non si potea sperare dall' ingegno, djjla erudizione e dall'eloquenza del Conte Perticar! , se questo valentissimo' scrittore ed ottimo letterato avesse potuto spaziare ucll' ampio regno della filologia scorto dalla luce della tuetafìsica ? 11 sig. Tommaseo ci fa ve- dere in questa operetta che il Pesarese errò di spesso e gravemente per avere o dimenticato o ignorato la filosofia delle lingue. L'opuscolo è stampato in modo, che si può far legare colle opere del Perticar! dell' edi- zione milanese del Silvestri : e fu questo un ottimo consiglio j acciochè gli studiosi della lingua possano contrapporre i principi del Tommaseo a que' del Per- ticar!. Vediamone alcun esempio. Secondo il Pesarese , dee lo Scrittore allontanarsi dall' uso del popolo ', e ri- gettata la lingua volgare , attenersi all' aidico-illnstre. Ma Cicerone, risponde 11 Tommaseo, insegnava per contrario , che « in dicendo vitium vel maximum est « a vulgari genere orationis atque a consuetudine corn- ee niunis sensus abhorrere. » E il Cesarotti lasciò scrit- to : ce La lingua parlata è più ricca , più animata , più « disinvolta , meno affettata e più libera. La scritta è « più povera , più misurata , più uniforme , superstiziosa « e infeconda. « Ma che faremo noi di que' modi bassi, di que' riboboli del pop lo fiorentino? esclamava il Perticari. Dirallovi il Castelvetro, risponde il Tom- maseo , nelle parole seguenti : « Non veggo come il ce Poeta comico possa schifare il parlar vile , menando « in palco persone vili , la condizione delle quali si fal- ce sificherebbe , se loro si attribuissero atti e parole no- ce bili, w E per non essere sovei eh] , finiremo coli' av- \ertimento che siegue. Molti confondono voce , o vo- cabolo, (*on locuzione , ossia frase , o modo ,• ond' è che avendo una volta un Professore dichiarato essere locu- zione nuova ad orecchio italiano mediocrità consoli- data, vi fu chi citò il vocabolario e qualche libro , in cui erano le due voci mediocrità e consolidato. Ma voce e locuzione , rispose il Professore , non è lo stesso. Ego amo Deiun è frase giudicata noa latina dal Sanzio , benché formala di tre voci latinissime. Io 629 vengo di ricei'cre una lettera, è locuzione barbara, composta di voci italiane. Al puro favellare ci vogliono e parole proprie , e collegamento usato da coloro che parlano, o scrivono urbanamente, ce Altro è desinenza « ( scrive il Tommaseo ) , altro ù parola. Altro è pa- ci rola, altro ò frase. Altro è frase , altro è stile. Altro « è pronuncia , altro è lingua. " Ed aggiunge con uu Francese ; « Vous avez , vous autres qui brillez dans les villes , des préjugés , doni il faut vous guérir. 33 // Pilota di M. Cooper: prima traduzione ita' liana. Livorno, 1828, Bertani , in i6. Il Pilota del Cooper ? Veggiamo. — Apro il volumet- to primo , trovo mia breve prefazione dell' Autore , e leggo : « Per quello che riguarda i Giornalisti , Critici oc ec. lo scrittore vuol che sappiano eh" Ei li tiene iti « conto di niaritiaj d' acqua dolce; e però gli avverte « a guardarsi di manifestare la propria ignoranza. « Un giovinetto che mi udi legger parole si fatte , rideva sa- poritamente ; ma io voltomi ; st, st , gli dissi 5 e' noa è mica da ridere , trattandosi del Cooper non pur ma- rinajo d' acqua salsa ; anzi dell' Oceano gran padre delle cose. Or non vedete voi , continuai , quanti Gior- nali cadono ad ogni istante ? E perchè ciò ? Per noa manifestare la propria ignoranza. Parla , se vuoi eh' io li vegga ^ disse un buon vecchio trovandosi al buio, e udendo il tintinnio d' una voce assai leggiera. Adun- que ha ragione il Cooper , intimando il silenzio a tutti coloro che parlando manlfeòtano la propria ignoranza. — Ciò detto , voltai un' altra pagina del volume , e co- minciai a leggere : ce Altra prefazione Che se quei li- ce bri di Tramontana sono tradotti , è tutto capriccio ce di merci straniere , e poco amore di patria j e chi ec li traduce ò corrivo e ignorante ; perchè lo fa per te cotrtmisslone e pochissimi scudi che gli danno i li- ce bràj ; onde chi legge arricchisce gli stampatori , e di- ce simpara la lingua. " Queste paiole mi parvero avere 4i 63o del tragico. Sarcbber mai dell' AlGeri , dissi meco stes- so ? No , iuterruppe il Giovinetto , e col dito sulla caria mostravami nella prefazione del traduttore quello che siegue : « Questa con forse un milione d' altre verità « scriveva Ugo Foscolo, w Doli ! esclamai : quel Fo- scolo che imitò un certo libro del cittadino di Gine- vra , quel Foscolo che voltava in italiano un viaggio sentimentale d' un inglese , eccolo nimico de' libri di Jraniontana f benché la Svizzera e l' Ini^hilterra sieno settentrionali all' Italia. Egli è adunque , in parte alme- no , altr' uomo , da quel eh' egli era in sul primo gio- vanile errore ; egli stesso definisce , come il Botta , non altro essere la nuova scuola boreale, che un capric- cio di gioventìi nemica delle cose patrie. Qui vidi puovamente scorrere sulla carta il dito del giovinetto , per additarmi le parole seguenti: « L' ottimo Botta, in « certa lettera , che si trova nel Giornale dell' Autolo- « già , atìerma potersi ogni nostra idea esprimere con « la lingua antica 33 ; e aggiunge che « possiamo credergli « perchè ne ha fatto 1' esperimento. Per quanto grave « sia 1' autorità di un taut' uomo , il miserello tradut- cc tore afferma il contrario, ai Oh la bella età dell' oro , eh' è la nostra. Un anonimo , che in Livorno traduce , a tanto il foglio , com' egli stesso dichiara (i) , i Ro- manzi del Cooper , vuol dare una mentita nel fatto della lingua a Carlo Botta! Histoire Littéraire d'Italie de P. L. GingueNé , continuée par F. Salfi. Paris, l'òiù iii 8." Tardi e tardi assai abbiam ricevuto questo lavoro del sig. Salfi -, ma non vogliamo trascurare di farne un cenno a norma di coloro che possedono già la Storia della Letteratura Italiana del Ginguené. Questo Scrit- tore francese condusse 1' opera sua fino a tutto il se- colo XVI j se non che a descrivere pienameale quell' (1) Vedi l'altra prefazione al Pilota. 63i epoca felice delle lettere italiane , desideravasi qualche notizia de' poeti minori , de' sommi latinisti , e delle Arti Belle , non piccolo pregio di nostra comune pa- tria ; ed a questo difetto ha voluto supplire il sig. Salfi aggiungendo ai nove volumi scritti dal Ginguené que- stoi , oh' è il X.° , e che vuoisi considerare come parte integrante della Storia compilata dall' Autore francese. Il Crescimbeni , il Quadrio ed Apostolo Zeno forni- rono al N. Aut. i materiali pel cap. XXXIX dell' opera (e I." di questo volume). Ma noi vorremmo che vi fosse similmente citato il Dizionario Poetico di quel valentuomo del P. Affò pubblicato intorno al 1770 j perciocché in molti articoli , e massimamente in quelli che mostrano qualche novità , troviamo che 1' Affò avea preceduto il sig. Salfi ; vincendolo in questo eziandio , che alle notizie storiche e critiche aggiunse bei lumi di filosofia, che non ricompariscono nella continuazione del Salfi. Confermeremo il nostro detto con gli esempj. Crede il sig. Salfi che gì' Italiani ignorassero d' avere avuto scrittori di favole ( ^apologhi ) innanzi al Gru- deli ; e per convincerli di errore , cita le favole di Accio Zucco , del Verdizotti , del Baldi e del Crescim- beni ; i quali parte imitarono traducendo , parte inven- tarono favolette. Or leggansi queste parole dell' Affò ( voc. Apologo ) : ce Nel nostro idioma se ne leggono « varie (i) versioni ( d'Esopo ), la pili antica delle « quali fatta da Accio Zucco veronese, fu impressa in « Verona nel i479 ^^ 4-° Glo. Mario Verdlzzotti ed « altri poeti volgari si sono provati non solo a tradurre « le medesime , ma eziandio a darcene alcune di loro « invenzione. Bernardino Baldi cento ne stese brevis- « slme in prosa , che dal Crescimbeni furono poi in et verso trasportate. " Pregiasi pure il sig. Salfi di avere fatto conoscere una Maggiolata , qui était pres- qae oablióe dans Ics Marmi da Doni. Ma veggasl nel (1) Nolisi che il P. Affò Jft il nome ài versione alle imi- tazioni ; ond' è che molle anche Fedro Ira coloro che die- dero versioni di Esopo» 632 Diaionario del P. Affò U voc. Maggiolata. E si con- frontino ancora gli articoli del nostro Continuatore sulle Canzoni alla greca , sulle Odi , sugi' Inni , sulle Can- zonette , con gli articoli relativi inserii! nell' opera di quel dotto Minore Osservante j non tanto per le noti- zie , come , e più an«ora , per le osservazioni filosofiche e critiche che illustrano il Dizionario Poetico. Da quanto ìbbiani detto , potrebbe forse taluno ac- cusare il sig. Salfi di avere risuscitato nomi e compo- nimenti che meritavano di restare nella oscurità j ma nelle cose letterarie molti oggetti sembrano di poco momento agi' idioti , od agi' impazienti lettori di ro- manzi , che sono di molto pregio agli occhi dei dotti e de' filosofi. E qui può vedersi qual senno dimostrino certi uomini dabbene i quali accusano il Tiraboschi , e gì' imitatori di cosi onorato Scrittore , quasi persone smarritesi cacciando autori e libri di niun conto j e gra- \emente comandano di leggere la continuazione del Salfi , per imparare da esso a lasciar la natura del ret' tile , e 1' amore alle pedanterie. Fallo è che se questi dittatori del gusto , avessero avuto la pazienza di leg- gere il lavoro del sig. Solfi, si sarebbero guardati dillo scrivere scerpelloni. Il Continuatore del Ginguéué Uova nel Tiraboschi , non già la sterile abbondanza , ma un considerabile difetto di notizie e di osservazioni , che il Bibliotecario Estense giudicò non degne di ave»' luogo nella Letteratura Italiana ; e per sopperire a tal mancanza , dovette il N. Ani. rivolgere pazientemente i zibaldoni del Crescimbeni e del Quadrio , e rivangare negli angoli delle Biblioteche. Nò perciò negheremo che talvolta il sig. Salfi sia di- sceso a minutezze che non avremmo creduto mai di trovare nella Storia Letteraria di una intera nazione. Che occorreva, per figura, fermarsi a rilevare ( facr. 89) un grossolano errortj^di stampa corso neìV udtrcadia dell' edizione milanese de' Classici , dove in luogo di uézio , si trova ( certo per goffaggine de' torcolieri ) il vocabolo Apio ? Nò mi piace che due volte affermi il sig. Salfi doversi leggere Azzio ; essendoché da yictius 633 ìa nostra lingua formò Azio ( non Azzio ) , come da Actio, le Clio , dictio , azione, lezione, dizione. Ma è probabile , che coloro i quali lodano a cielo questo lavoro , per alcuni riguardi pregevole , del sig. Salfi , non abbiano letto , secondo il costume de' Gio- vani , che due o tre articoli , e tra gli altri quello sul T^indemmiatore del Tansillo. A tutti è noto quanto sia lascivo questo poema , che 1' Editore di Livorno , benché poco scrupuloso (i), non volle ristampare « per- « che riprovato dall' Autor medesimo , come licenzio- cc so. w Questa severità non va a sangue del sig. Salfi , il quale si compiace di fare ( face. 6o-63 ) un indecen- tissimo estratto di quel componimento. La qual cosa , se gli meritò encomj dalla incauta gioventù, che avi- damente corre a suggere il veleno delle passioni , noa so quanto sarà lodata da' buoni e da' prudenti. E^inalmente , non sappiamo intendere la cagione , per- chè il sig. Salfi nel parlare delle Arti Belle , abbia di- menticato la scuola genovese , benché citi la Storia pit- torica , in cui la nostra è descritta e lodata dal chia- rissimo Lanzi. Scelte Poesie e Prose di Francesco Redi. Milano, Fontana, 1827 in 16. Ottimo servigio prestò il Fontana alla studiosa gio- ventìi nell' accogliere con beli' ordine in questo solo volu- metto un saggio di tutti i generi di composizioni , nei quali esercitò il Redi il suo versatile « divino ingegno. Que- sto leggìadrissimo scrittore , che visse nel più corrotto secolo della nostra letteratura , offre ad ogni cultore delle nobili discipline un gradito e succoso pascolo , accoppiando alla dignità ed importanza delle materie la più pura , elegante , e vigorosa dizione che possa loro competere. Fu egli eccellente medico , sommo natura- lista , poeta e letterato squisitissimo ; e se quanto i fi- (2) Poesie del TausIUo. Londra ( Livorno ) , Masi e C. 1782 , in 12. 0^4 lologi sliuliano lo sue carte , facessero altreltanlo coloro the "> olirono l' iiigci^no loro alle scienze, non si \edreb- jaer queste parlale e scritte in quel gergo , che ci' ordi- nario regna in simiglianti trattati didascalici , non senza noja degl' intendt^nti e grandissimo discapito della glo- ria italiana, E ben ai medici mostrollo il Pasta nella Prefazione al suo vocabolario di medicina estratto prin- cipalmente dalle opere filosofiche del Redi. Questi fu il modello de' veri letterati eziandio nel tenore di sua vi" ta : di che fa fede Anton Maria Salvini in questo elo- quente squarcio dell' elogio funebre eh' ei ne disse: ce O genio del Redi amorevole , benigno , ammiratore ,« ed amatore de' letterati , e dogli studiosi grandissimo ! €c che nella censura esercitava la finezza del suo giudi- ce zio , nella lode facea spiccare sua gentilezza amiche- te \oìe ; gli altrui studi favoriva , sollevava , promovea ; ce onde molti insignì personaggi nelle lettere sotto la ce sua guida e sotto i suoi auspicj a eccelso posto di ce gloria pervennero ; col suo finissimo discernimento ce li scoperse , e scoperti gli incoraggiò , e incoraggiati ce li formò , gli allevò , li mostrò al mondo , e la no- ce stra età ne rendè più onorata e piìi chiara. Al con- ce trario di quei falsi amici e falsi letterati ( che non ce vi ha cosa sì buona tra noi che non maligni nella te sua corruttela , e che soggetta non sia a guastamento ce ed a falsificazione ) , i qviali pieni di orgoglio , di ce vanità , di presiinzione , d' invidia , ciechi amatori ce di se stessi , disprezzalori di altri , mal veggiono ce chiunque s' apparecchia ad aver posto tra' letterati, ce amando eglino d' esser soli gli ammirati e i lodati } ft onde invidiose gare ne nascono , e talora sanguino- »e lenti contese , con iscialacquamento di tempo , il ce quale più utilmente compartire si dovea , e con ac- ce cattar brighe e travagli senza fine , e porre in dis- ce credito e vilipendio le lettere , le eguali dove ave- te vano a essere di amicizia conciliatrici, fanno colle ce acerbe liti e nimistà odiosi a un tempo e ridicoli te comparire pel teatro del mondo i loro seguaci. Ma ff lungi lungi 44 beli composto cuore del Redi no 635 « cosi fatto abuso , e reo maneggio delle lettere che ce della pace amiche sono e compagne , ed officiosi « e gentili fanno gli uomini ia cui elle daddovero e « legittimamente s' apprendono , e gli oltraggiosi tu- « multi fuggono , e dalle inquiete risse lontane si stan- te no. Esempio di letteraria moderazione fia sempre il « Redi , rarissimo ed immortale : poiché il suo dar te contro , che non faceva egli se non di rado , e per et grandi cagioni e costretto , non era un offendere , te ma un obbligare , il rispondere alle opposizioni , un te semplicemente difendere se stesso senza oltraggiare te altrui, anzi congiunto sempre colla stima di quello ce a cui egli obbligato di rispondere si credeva. E per te tutto riluceva l'amore alla verità, la quale essendo- le gli sopra tutte le cose cara , non diminuiva però punto «e quella pia affezione e solenne carità che a tutti i ce letterati portava. " Ora da questa osservazione non meno importante delle altre tornando all' Edizioncella del Fontana , pri- mo viene il famoso Bacco in Toscana con brevi note , che sono un bel compendio di quelle più ampie e pre- gevolissime , le quali al suo Ditirambo appose il Redi stesso , e che troppo di rado si riproducono oggimai da' nostri stampatori. Appresso abbiamo i Sonetti tanto dal Salvini ammirati , \ Incanto amoroso che tutto spira di greche bellezze , e tre scherzi per musica piacevo- lissimi , de' quali il primo comincia : Sotto 1' ombra d' una zucca Stava un giorno Bertoldino , E grattandosi la ignucca (i) Borbottava a capo chino ec. Segue una scelta di lettere , delle quali nella prima r Autore chiede a Carlo Dati che cosa fossero i mezzi Cavalieri mentovati nella Cronaca manoscritta di Pa- golo Morelli , perciocché egli andava dubitando , se questi mezzi Cavalieri erano una stessa cosa co' Bae- (i) L' Alberti a questa voce legge gnucca , cioè nuca. Cosi anche il Vocabolario di Bologna. 636 cellieri. Queste lettere si aggirano la più parte sopra argomenti di lingua e di letteratura , e vi si scorgono parecchi di quegli spogli clic 1' Autore faceva pel Vo- cabolario della Crusca , e di questi altri servirono per la terza edizione, altri rimasero per la quarta. Tra le varie etimologie eh' egli va dichiarando in queste let- tere si cercava per noi se per avventura vi si trovasse quella della voce Fallalbello. Ma quantunque non ci sia venuto tatto di rlnvenirvela , non ne par malage- vole il darne una ragionevole e sufficiente spiegazione. Neil' inventar nomi proprj del fare di certe persone, a tacer degli altri , maravigliosl furono il Boccaccio , il Firenzuola , il Bojardo , e 1' Ariosto , i quali sono slati anche in ciò imitati dai moderni , dal Gozzi princi- palmente. Ora , siccome un di quelli disse Fallalbac ciào a chi non sapea 1' arte di battersi col bastone , cosi potria essere che Fallalbello derivasse dal non sapere , che altri facesse , che cosa sia il bello , o r arte per cui si conosce , si sente o si distingue il bello. Nell'uno e nell'altro caso occorre il medesimo verbo fallare con un dativo di rapporto ; e questi ne pajono gli unici elementi del vocabolo di cui si ragiona. Che se a taluno de' nostri leggitori non andasse questa eti- mologia troppo a sangue , noi non no possiamo altro per ora , non la trovando nel Redi , e nò manco nelle Giun- te Veronesi. Non vorranno però disgradire almeno l' intenzione , eh' è buona. Il milanese volumetto è chiuso dalle Osservazioni del nostro Autore intorno alle vipere, trattato che immor- tai lode fruttò a chi lo scrisse, (i) (i) A quei, che volentieri lessero quel manoscritto da noi messo in luce trovato nella canlina del Redi , secondo che se ne parla nel Fase. 4 del presente anno a carte 344> fia caro l' intendere , come alcuni altri ne furono recente- mente ritrovali , i quali di corto aspelliamo da nn nostro colilssirao amico per farne partecipi i nostri gentili e di- screti lettori. ( Gli Edit. ) 637 Las Heimites en prison , par Etienne Jour et Antoine Jay. Paris, Pillet 1824, voi. 2, in 12. In Parigi , in Londra , ed in altre popolose metropoli d' Europa vi hanno persone , che traggono il sostenta- mento di lor vita e di lor famiglia dall' arte dello scri- vere. La qual maniera di procacciarsi il vitto non è punto spregevole per se stessa j e sappiamo che uomi- ni ragguardevoli , come Apostolo Zeno e il Conte Gas- pero Gozzi, non isdegnarono di farsi schermo di tal industria contro la povertà o il disagio. Ma può avve- nire che il desiderio del guadagno faccia traviare la mano dello scrittore , movendolo a piaggiare le passio- ni, a lodar i vizj , a deridere le persone dabbene, ac- ciocché il libro si venda più rapidamente , e ne torni maggior vantaggio al librajo ed al compilatore. Vero è che libri siffatti non *i tosto sono partiti della stam- peria, che cadono nel dispregio; ma intanto qualche impressione è già fatta negli animi ; e a quelli di jeri, oggi altrettanti ne succedono dettati con cotesto inten- dimento; e domani ne verran dietro due tanti; cosic- ché il male , che non sarebbe gravissimo per se mede- simo , fassi pestilenziale per la successione e il contatto morboso. Da questo disordine vien molta noja a coloro che reggono le sorti de' popoli; perciocché da un lato non debbono tollerare la diffusione di tante inette e perniciose scritture ; dall' altro , ecco gli autori e i li- bra] gridare che s'inceppano gl'ingegni, si rovina il commercio , invilisce l' industria. De' molti libri, i quali la uno pruova di quanto affermiamo, vogliam citare quello che s'intitola i Romiti in prigione. Autori ne sono due vivaci ingegfii francesi; Vittore Giuseppe btefano Jouy nato in Jouy l'anno 1769, ed Antonio Jay nato ia Guitres nel 1770. L'uno e l'altro vennero condannati per certe asserzioni temerarie ad una pic- cola multa e ad un mese di carcere in Santa Pelagia. Ed egllao seppero voltare a proprio vaataggiQ quella 638 mite punÌKÌoue ; perchè ne trassero argomento all' opera les Hertnites en prlson , che avrà loro fruttato non poco si per la novità del titolo, si per l'affetto della gioventù a' libri superGciali e frizzanti. Nò i signori Jouy e Jay si trovaron soli in Santa Pelagia ; eranvi ad un tempo e Domenico Magallon provenzale , ed Ales- sandro Barginet di Grenoble , e G. B. Bonnin natio di Parigi , ed Agostino Le Page pur di Parigi ; tutti scrit- tori che viveano componendo giornali , gazzette , farse, e libri di moderno filosofare. Scorrendo i due volu- metti de' Romiti , abbiam dovuto ridere , leggendo nel ■voi. i.°, pag. 17, la singolare accusa fatta alle pubbli- che scuole dello spiegarsi in esse Cicerone e Tito Li- \io; autori che lodano Bruto ed altri si fatti personaggi dell'antichità. Ma noi preghiamo cotesti troppo delicati e troppo timidi scrittori , a lasciar che i giovani leg- gano e Livio, e Cornelio, e Cicerone; e a non voler essere tanto severi : le miserie della Francia cominciate nel 1789, non nacquero dalle opere di Livio o di Tul- lio , come si afferma in quest' opera (1. cit. ) , ma si da eerti altri libri che dovrebbero esser noti più a' nostri Pri<^ionieri che a noi. Non dobbiamo poi trascurare di far palese una recondita notizia intorno a Torquato Tasso scoperta dal Jouy : e perchè niuno diffidi della traduzione , leggasi (i) nell' originale francese : « L'ira- te mortel Auteur de la Jérusalem délivrée mournt " dans le cachot. « Veramente a scoprire cosi preziosi aneddoti non è mestieri consumar gli occhi sulle cro- nache e sui fogliazzi : basta spalancare il grande ar- chivio della immaginazione. Di una cosa lodiamo i Ro- miti j ed è l' avvertenza di notare appiè d' ogni capi- tolo il nome dell' autore che lo scrisse ; onde non s'abbia a dar lode o biasimo ad uno di ciò che all' altro appartiene. Merita similmente d'esser letto quanto in brevi parole vi si dice ( voi. II. 5^ ) intorno alla poesia dolce, semplice, schietta, qual si trova in tutti ì buoni poeti antichi delle diverse nazioni e ne' loro (0 Voi. I. pag. 89. 639 brav' imitatori ; dove al contrario i più de' moderni non sa>nno far altro che accozzar parole sonanti , locu- zioni strane, e volendo essere nuovi ed energici, stra- ziano 1' orecchio , e fanno aggliiacciare il cuore. Da ul- timo si leggerà con piacere quanto si racconta ( voi. If. 64 e segg. ) della prigione di Nuova- Yorck negli Stati Uniti , delta la Casa dì penitenza. Za Gerusalemme liberata di T. Tasso con va- rianti e note del COLOMBO, del Gherardini, e del CjfedONI. Mantova, co' tipi Virgil. di L. Caranenti, 1828 in 16. Debbono certo al nostro secolo assaissimo le auree scritture de' classici , intorno alle quali hanno felice- mente impiegato le loro fatiche molti e molti valenti filologi e bibliografi , onde gran luce si sparse sulla nostra letteratura. Infra i quali non sono da ricordare senza particolare onore i tre famosi, che dieder opera alle varianti ed alle erudite annotazioni , delle quali da parecchi anni in qua veggonsi corredate alcune edi- zioni del poema di Torquato. Di queste la prirna uscì alla luce in Milano nel 1823 dalla società tipografica de' Classici Italiani per cura del Ch, Gio. Gherardini , la quale , quanto al testo , viene considerata come una ristampa della Bodoniana. Né tardò un anno a mostrarsi quella del Molini in Firenze , adorna delle note del sommo letterato Ab. Michele Colombo , ])er cui con- siglio fu eseguita su quella dell' Osanna del i584, la quale a giudizio de' più riputali bibliografi tiene sopra tutte il primato. Né picclol servigio prestò al Poema il Ch. Ab. Cavedoni allorché con la scorta di quallro ma- noscritti modanesi pubblicò nelle Memorie di religione ec. le sue varianti ed illustrazioni ; il qual lavoro unita- mente a quello dell' illustre Michele Colembo vide la luce a Lodi nel 1 826 pe' torchi dell' Orcesi , siccome n' abbiam già fatto onorevol menzione in altro luogo del nostro Giornale. Ora il Caranenti si è proposto 64o nella sua Edizione di far ritratto dalle due prime at- tenendosi principalmente alla Mollniana quanto al te- sto , e riportando in succinto il triplice lavoro che i sullodati filologi con tanta lode vi posero. E ben me- ritamente spera l'Editore che la sua bella stampa debba incontrare il favore del pubblico anche per la variante seguita da preziosa Nota , di che gli fu largo il Gh. sig. Ab. Colombo , e che qui volentieri riporteremmo , se già fosse in nostra mano il volume secondo , in cui sarà inserita. Ai due volumi del Poema promette il Caranenti di farne succedere un terzo , ove oltre 1' Amin- ta e l'Amor Fuggitivo saran comprese altre poesie di Torquato da pochi finora conosciute. Né qui voglia m tralasciare di ricordar con onore altresì le due edizioni della Gerusalemme lib. eseguite in Padova co' tipi della Minerva , la prima nel 1820 con varianti copiose e note critiche ed apologetiche , 1' altra nel presente anno col riscontro della Conquistata. A' Chiar. Signori Direttori del Giornale. L' erudito signor E, Repelli parlando nell' Antologia di Firenze ( dicembre 1828 , pag. 3 ) della sede vesco- Tile di Vado , aiFerma che all' Aut. della Stor. letter. della Liguria « a volere con sana cfltlca appoggiare ce un tale racconto ignorato dall' Ughelll e dagli scrit- « tori della storia civile ed ecclesiastica della Liguria ce stava a carico di rintracciare la bolla pontificia o una ce copia autentica , della quale non dovrebbe esser privo ce (se ciò pure avvenne) 1' archivio vescovile savonese. » Io vi prego , signori ornatlssimi , ad assicurare il pubblico che 1' Ughelli protesta di avere esaminato i registri del Vaticano , e d' aver trovato che in luogo di Savonensis eravi scritto T'^adensis. Le prove si leg- gono nel Giornale Ligustico (i) j e mi spiace che il valente sig. Repelli non ne abbia avuto notizia (2). (1) Fase. 4- del 1827. face. 87 5. '(2) Il signor Repetti cita soltanto il fase. I. anno 1828; nel quale per altro si adduce 1' autorità di 6. B. Risso An- ziano , non pteie , di Swona. 64^ Del rimanente è già pronta per la stampa la Notizia della Chiesa Vescovile di Vado , in cui si troverà la serie de' Vescovi Vadeosi tratta da' Goacilj , dall' Ugliel- li, e dagli storici di Savona. Quanto alla Bolla pontificia , troppo voluminoso sa- rebbe il Bollario , se tutte dovesse contenere le bolle de' Pontefici. Dicami di grazia il Sig. Repetti : chi po- trebbe mostrare la bolla di traslazione del vescovato di Brescello nella città di Parma ? Per 1' archivio episcopale di Savona, è cosa notissima, che prima del 1600 fu per varie sinistre cagioni cosi sventurato , che pochis- simo può somministrare alla storia Savonese. Veggansi gli scrittori dell' apparizione di Nostra Signora di Mi- sericordia. Ma quando i Goncilj , i registri Vaticani , e gli storici Savonesi ammettono il vescovato di Va- do , e notano l' epoca della traslazione , noa è mestieri cercar bolle ed archivj. Genova , 6 febbrajo 1829. 64^ ' INDICE GENERALE DEGLI ARTICOLI CONTENUTI NELl' ANNATA DEL 1828. Fascicolo I. Osscn'aziont geogn. di L. Pareto. Considerazioni di F. Ri- cardi 3 — ip. De viis piiblicis ac militaribus Roniaiior. tempore. Ragion, inedito di A. Cesari. Elogi del Pin- demonle. Sinonimi del Grassi. Colombiade del Bellini. Città di Dio di S. Agostino , volgarizzamento del buon secolo , testo a penna della bibliot. Bei-io. Belle Arti. An- nales de V Imprimerie des Aldes. Coppi , annali d'Italia. Virgilii opera ed. Hejne. Callimaco, Anacreonte , Saf- fo , ecc. Castelvetro , poetica d' Aristotile. Annibal Caro , Reltorica d' Aristotile. Rime scelte in Sawna. Epigrafìa 27 — 96. \ Fascicolo IL Osservazioni geogn. del 31. Lor. Pareto. Considerazioni di F. Ricardi 107' — 23. La scuola de' Sordimuti , Ragio- nam. inedito di A. Cesari. Della Polinnia Cominiana , Relazione inedita di llf. Colombo. Alanosc. inediti dell' ab. L. G. Oderico. Sulla Predicazione , lettere. Le Pant- cha-Tantra , ec. 101 — • 86. i Lusiadi di A. Nervi. Sal- lustii , opera. Volgarizzamento di Sallustio per F. B. da S. Concordio. Le E lladi di G. B. Colombo. Me'moires de Rapp. Resumé de l'histoire de Pologne. Prascovia. Navigazione di G. Tonello. Congiura de' Baroni napol. di Camillo Porzio. Cornelii Nep. vitae. Résumé de l'histoi- re d' Angleterre . . . du Danemarck. Ab. Forlun. Federici, degli scrittori Greci. Versione di Geremia del cav. N, G. Cattaneo 182 — 209. Fascicolo III. Osservazioni geogn. di Z. Pareto. 21 5. Lettera ined. dell' ab. Oderico. Eius Dissertatio inedita. Dell' ammaestra- mento de' fanciulli , discorso inedito dell' ab. M. Colom- bo. Epigrammi del C'unich. Rime inedite d' A. Cesari. Sopra un art. della Rcvue Encj-clop. 289 — gì, Eloqiicii- 643 Sa Toscana del Corticelli: Grammatica e Locuzione orati\ ed ylrte poet. di G. Biamonti. Excerpta ex veterib. Script. Dictionnaire Mèdie. Storia di Napoleone e della gr. ol- mata nel 1812. Esame Critico del C. F. Segiir. Storia della guerra del 181 3 — i4 — "5. Cronica di Ambrogio Balbi. Lelt. inedite del Caro. Prime linee di polizia me- dica. Guerra e pace dei sessi. Orazio del Gargallo. Dia- loghi di M. Bottari sidle tre arti del disegno. Zanotti , avvertimenti ad un giovine per la pittura. Fascicolo IV. Osservazioni sul Vaccino. Sopra la Mummia dell' Univer- sità di Genova. Osservazioni geognost, sul Golfo della Spe- zia, di G. Guidoni 3i5 — 35. 1 Regali della natura, Trattenim. per le pubbl. Scuole nel iS-xH. Lettera V. sulla Predicazione. Poesie inedite di A. Cesari. Delle isole Ca- narie , autografo del Boccaccio. Storia l et ter. di F. Schle- gel. 343 — 79. Accademia Lig. di Belle Arti. Ode all' acclamatissinia signora Fannj- Ekerlin. Battaglia di Be- nevento. Favole di Krilojf. Poesie scelte del secolo ig. Il Ramoski Novella. Christine et sa Cour. Cajfaro e Continuatori. Del moto e misura dell' Acqua, Trattato di L. da Finci. Fita di Alessandro I. Imperatore. Dis- coiirs sur l'hist. univ. par Bossuet. Decamerone purgato. Serie de' testi di lingua di B. Gamba. A' Sigg. Diret- tori del Giornale Sgtì — 4j'5- Fascicolo V. Continuazione della Mummia. Continuazione sul Golfo della Spezia. Corso di matematiche 419 — 43- Articolo dell' ab. M. Colombo sulle Operette del Davanzali. I^etlera FI sulla Predicazione. Poesie ined. di Pompeo Figari. L'Amor patrio di Dante, del Perticari. Lettera dell'ab. M. Colombo sulle Rime e Prose di A. Allegri 4^4 — ^9* Lettera e Congiura del Bonfadio. Les Patriciens di Fan- dervelde. L' arte di fumare e prender tabacco senza dis- piacere alle Belle. L'art de mettre sa eravate. L'art de dlner toujours chez les autres. Caffaro e coni iniuxtori. Dorateo di G. Ottonelli. Canto juneb. in morte di G. Piazzi. Spettatore inglese. Proverbes Romantiqu»s. Difesa di Dante e Sermoni di G. Gozzi. Iscrizione dello Schiassi» 644 L' amhassadc tn Chine di Fanderveldc. Lcllcra a D. Ber- toLotti 493 — 53o. Fascicolo VI. Osservazioni geognostiche di G. Guidoni, ylrticolo di Ceo- gnosia del sig. M. Lorenzo Pareto. Di una Medaglia coniata in onore d' illustri Veronesi. Sopra quattro Epi- stole di F. P'illardi. Illustrazione alla scoperta d'alcune lapidi. Lettere di Seneca volgarizzate da A. Caro. Me- morie dell' Accad. R. delle Scienze di Torino. Il Per- ticar i confutato da Dante, Cenni di N. Tommaseo. Il Pilota di M. Cooper. Histoire littér. d'hai, de Gin- guené , continuée par F. Sai fi. Sopra alcuni scritti di F. Redi. Lcs Hermites en prison. La Gerusalemme Lib. colle note del Colombo, Qherardini e Cavedani. Lettera ai Direttori del Giornale.