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1883

e. 1 IROBA

Presented to the

LIBRARY ofthe

UNIVERSITY OF TORONTO

from

the estate of

GIORGIO BANDINI

GIUSTIZIA

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GIUSTIZIA

VERSI

MARIO RAPISARDI

CATANIA

NlCCULÒ GlANNOTTA, EDITORE MDCCCLXXXin.

MAY }

Homo sum, hutiiaiii nihil a me alieiium puto. P. Terentii//^^??//'- Act. T. Se. I. V. 25.

GIUSTIZIA

M. Rapisardi Giustizia.

-/LLA passa lenibile per la notte. Nc'l vano Aere russano i Numi ebl)ri, e, ruttando umano Sangue, con labbra livide e con enfiati colli S' arronciglian su' troni d'oro, come satolli Draghi, e sognano. Eterni sognano imperi, opimi Sagrificj, solenni voti, altari sublimi E fiammeggianti roghi d' umana carne ingordi E di pensiero. Intorno a' loro immani e sordi

GIUSTIZIA

Simulacri di pietra, sotto il lor ferreo soglio S' aggrappai! le pie turbe, quali murene a scoglio, S' aggrappati mugolando lamentose. Sogghigna Su'l capo de' fedeli la figura caprigna Di Satana, che al volto de le ciurme tapine Crepita, e si fa gioco de le mandrie divine. Sorge allora uno strano Briareo del pensiero, E il ciel crolla, e de' Numi rompe i sogni, Volterò. Ed ella passa, passa per la notte. Lojola

Dice a Pietro: S' è fatta carne la mia parola; Io tengo in pugno il mondo, l'anime. Iddio. Se cara T' è la vita, se vuoi eh' io lasci a Cristo un' ara, Ubbidiscimi : io sono il mistero. L' iniquo Infallibile piega la testa su 1' obliquo Collo, e mormora: Cresce sempre più la baldanza Degli empj ; è necessaria una santa alleanza. Che schiacci l'idra oscena de l'Eresia, che in trono Mi rimetta, che bruci, che uccida: io son chi sono. Cosi fremendo ruota come falco gli sguardi Su'l Tebro e su la Senna ; ma Sarpi grida: È tardi.

Ed ella passa, passa per la notte. A la voce Dolorosa de' volghi s' accoglie una feroce Frotta di re. Digrigna le gialle zanne a sega L'orso del Reno,il vecchio mostro che scanna e prega, E, da le rosse chiostre saettando la secca Lingua, il sangue de' suoi morti nemici lecca. Pigro cala dal Baltico il gigante triforme, Che di steppe e di forche vallasi intorno. A torme Procombono al suo piede, o Russia, i tuoi migliori, Ed ei stupido ciba sangue da tutti i pori. Trotta anch'essa al convegno con furbi occhi di volpe La strega del Tamigi, che si nutre di colpe. Che muta in oro il sangue de l'India,e insegna il dritto Con la fame in Irlanda, con le bombe in Egitto. L' ale sparnazza e stride la bicipite Arpia De l' Istro, e con la verde pupilla i campi spia D' Adige e Mincio ; inquina con proluvie funesta Le sottoposte mense d' Ausonia, e 1' aure appesta. Ma Soderini in giubba sotto la pioggia sozza S' inginocchia, la fronte piega e Io sterco ingozza.

Mentre fuor da 1' ergastolo di Moravia s' aftaccia Maroiicclli, e ti sputa, o madre Italia, in faccia; Ed alto su le rey;ie teste scintilla muto E scende, scende, scende il pugnale di Bruto.

Ed ella passa intanto per la notte. P'ra 1' ara E il trono si pompeggia la canaglia preclara. La canaglia dal sangue cerulo, che la lercia Vita con cartapecore e blasoni rabbercia, Che sogna ancor merlate rocche, vassalli e schiavi, Che copre le vergogne co' ritratti degli avi, Che su splendide bighe con specchiata burbanza Porta ovunque in trionfo la ben eulta ignoranza. Ma Gracco torna, e lancia una vecchia parola, Ma irrompe Euno,ma Spartaco snuda il coltello e vola A r anelate pugne, ma al Sol di luglio gaja Di Robespierre luccica I' instancabil mannaja.

Ed ella passa, passa per la notte. Sghignazza Al suon grave de' suoi passi la turba pazza Ch' à il cervel ne la borsa e 1' anima ne 1' ci)a, Che al boja dice: salve; ed al povero: crepa;

(.'Il' erta su'l banco traffica l'opra, le forze, il sangue, L' onor d' una cenciosa plebe che stenta e langue, E scarnando se stessa, i suoi tiranni impolpa, D' un formieajo umano, cui la miseria è colpa. La sventura destino, il lamento delitto. Un patibol la vita ove Dio I' ha confitti), L' error pane de 1' anima, un tranello 1' inferno, La speranza una. frode, la giustizia uno scherno... Uno scherno? Chi '1 disse? Ella viene, ella passa, Ella impugna la scure d' acciar, la face squassa, E dal sommo d'un monte, dritta in faccia a l'auiora, (^irida con bronzea voce di mille tu(jni : E l'ora!

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SUL MOLO

X^EKVONu lungo il fragoroso molo

Le umane opere al sole, ed una mesta P'ra cotanto travaglio aura di pace Su r aspre cure de' mortali aleggia. Scherza con l'odorose onde un' azzurra Serenità di primavera ; e quinci Fuma r Etna tranquillo, oltre i lucenti Tala.-^i in fondo al chiaro etera, quind; Rosei sfumano al nitido orizzonte

12

GÌ' iblei colli, di zàgare e di timi Sempre cortesi a voi, nettaree pecchie, A te un tempo di miti ombre e d' amori, Sicula musa, a' dolci canti avvezza. Tacciono un tratto, poi che a mezzo è il giorno. Le sudate fatiche ; e per le ingombre Banchine, su le scale erte e le negre Muraglie e i massi e 1' ammontate balle Spargonsi i polverosi uomini, a cui Sollazzarsi di pan 1' ora concede. E chi, tèrso il sudore atro, il conteso Tozzo a r ombra si rode, e a la lusinga Del mare, o al suo pensier fosco sogghi;jna ; Quale tra l' assi de' segati pini Come in bara s' adagia, e a la morente Sposa ripensa; qual presso a le quadre Lame, in che chiuso è il fulgido bitume, Terror di regi e di città, rattizza Spensierato la pipa; e tu co'l tuo Indifferente occhio lo guardi, o Sole.

GIUSTIZIA ij

Ma più fervide in poco e più gagliarde Riedon l' opre e i comercj. Sprigionato Da' profondi lebeti il vapor fischia, Stridon argani e leve, urlan cresciute Da' mantici le fiamme entro le cieche Fucine, mentre bnttono in cadenza Su le sonanti ancudini i martelli. Qui cedono scricchiando sotto i gravi Passi i pensili ponti, e incatenato Su 1' alta prora abbaja al vento il cane; sotto il peso d' acreolente zolfo Da la riva a la barca in lunga fila, Ne la fredd' acqua i neri stinchi immersi, S' incurvano fanciulli, a cui 1' avara Sorte non consenti ninnoli e baci. Ne la stiva profonda in lamentosa Voce le colme staja altri misura. Altri anelando a la girevol grue Con salde suste enormi sacchi affida; Bestemmia il carrettier su la fangosa

Ì4 GIUSTIZIA

Erta aizzando la sgroppata rozza ; Mugghiano dentro a 1' ondeggianti stalle Gli atterriti giovenchi, ed urla e suoni Varj mandano al cielo uomini e cose. Tutte Sudan così quanto il Sol dura ' Le inopi ciurme de' mortali. Infrante Riedon quinci da 1' opre a' tenebrosi Stambugi estrani a la salute, dove (Jeme 1' egl'a vecchiezza in su marcito Strame a la stenta puerizia a canto; E d' ira e di pietà torbido il ciglio Brontola il genitor, che sempre impari A r uopo de la lercia famigliuola Ne le rozze scodelle il pasto fuma. Quant' onesto sudor, quanti spregiati Dolori, quanta fame e quanto sangue Costano i vostri turpi ozj, o felici Divoratori del comun retaggio!

DUETTO

-A

me che 1' opra ignoro A me la sorte amica Diede senza fatica La signoria de 1' oro : Con esso armo la mano, Centuplico 1' ingegno, E sopra il gregge umano Agevolmente ho regno.

M. Rapisardi Giustizia.

l8 GIUSTIZIA

Dopo gli aranti buoj Suda il giallo bifolco, m' importa che il solco La sua salute ingoj. Da' miei palagi lieto Contemplo 1' auree spiche, E il pingue frutto io mieto Di sue magre fatiche.

Ansa con bieco volto Entro sulfurea buca, Ove non è che luca, 11 minator sepolto. Ansa, abietto carname, Bestemmia, anima schiava, L' ergastolo e la fame Scava a te stesso, scava.

GIUSTIZIA t9

A me fuman d' eletti Cibi le laute cene, Trescano le sirene Sovra i miei rosei letti, Chinansi a me gli alteri Con lusinghevol riso. Sbuffano i miei destrieri Ai sapienti in viso.

Verrà, se invano in terra Ognun la parca esora, Anche per me quel!' ora Che gì' imi e i sommi atterra; Ma pria che 1' orlo io tocchi De' tenebrosi abissi, Pago chiudendo gli occhi Potrò almen dire : Io vissi.

20 GIUSTIZIA

II.

'- Trinca, donneggia, esulta, Mentr' io lavoro e gemo. Al mio dolor supremo, Fij^lio de r oro, insulta ; Pianta il purpureo trono Su r ossa mie schernite, Ma 1' avvenire io sono, Pensiero o dinamite.

Tu il granitico monte

Che al cielo erge la cresta, Io la mazza modesta Che gli fiacca la fronte; Tu la valanga, ed io L' abisso che l' ingoja, Tu il despota ed il dio. Ed io d' entramlii il boja.

In fetid' antro orrendo, Su putridi giacigli Il tozzo e il sonno a' tìgli Come belva contendo ; Con la cenciosa amica L' amor lurido mesco, E a me fame e fatica A te nemici cresco.

PuUuleran ila queste Carni cadenti a brani Vermi no, ma titani Da le feroci teste ; E questo zolfo puro, Che per te cavo e spezzo, Del tuo palagio impuro Tergerà presto il lezzo.

Sorgi, divampa, ruggi, O santo foco, a' venti ; Le carogne opulenti Purificando struggi : Su'l sangue e le rovine Fuor da la fiamma edace Ridano a tutti alfine La Libertà e la Pace.

V

TRAMONTO

I

p

ORPOREGGIAN le viti a la campagna Nel bigio autunno in sul mancar del sole; 11 pettirosso invita la compagna A saltellar su le zappate ajuole ;

Nel vóto stabbio querula si lagna

La vaccherella a cui tolta è la prole; Per r erma strada il poverel si duole Co'i cencioso fanciul clie l' accompagna.

L' aure senton di muschi e di vinaccia ; E lontan, 1' uste de la fiera scòrte, Latran le mute signorili in caccia ;

Mentre a' figli pensando e a la consorte Il nero carbonajo alza la faccia, E con bieco pensier fischia a la morte.

IL CANTO DEI MIETITORI

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l^A falange noi siam de' mietitori E falciamo le messi a lor signori.

Ben venga il vSol cocente il Sol di giugno, Che ci arde il sangue e ci annerisce il grugno, E ci arroventa la falce nel pugno, Quando falciam le messi a lor signori.

Noi siaYn venuti di molto lontano

Scalzi, cenciosi, con la canna in mano, Ammalati da 1' aria del pantano Per falciare le messi a lor signori.

30 GIUSTIZIA

I nostri figlioletti non han pane, E chi sa? forse moriran domane Invidiando il pranzo al vostro cane . . . E noi falciam le messi a lor signori.

Ebbro di sole ognun di noi barcolla ; Acqua ed aceto, un tozzo e una cipolla Ci disseta, ci allena, ci satolla. Falciam, falciam le messi a quei signori.

Il Sol ci cuoce, il sudore ci bagna, Suona la cornamusa e ci accompagna, Finché cadiamo a 1' aperta campagna. Falciam, falciam le messi a quei signori.

Allegri, o mietitori, o mietitrici.

Noi siamo, è vero, laceri e mendici, Ma quei signori son tanto felici I Falciam, falciam le messi a quei signori.

Che volete ? Noi slam povera plebe, Noi siamo nati a viver come zebe, Ed a morir per ingrassar le glebe. Falciam, falciam le messi a quei signori.

O benigni signori, o pingui eroi,

Vengano un po' dove falciamo noi; Balleremo il trescon, la ridda, e poi . . . Poi falcerem le teste a lor signori.

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DISCENDENZA PATRIZIA

M. Rapisardi Giustizia.

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A figlia de 1' amor nacque fra gli agi, Di merletti e di raso ebbe la culla; Tra le musiche e i fior crebbe fanciulla, Ebbe servi in livrea, cocchi e palagi.

Or da le colpe attrita e da' disagi

Se ne va per le vie macera e grulla; Canta, mostra il sen vizzo, e si trastulla Co' paltonieri in amori)se ambagi.

Panneggiata ne' cenci in guise strane

Passa ammiccando, e il nero pan divide Con due luridi bimbi e un vecchi(j cane.

Da la finestra de 1' aerea stanza

La riconosce, e il grifo arriccia e ride Del rimbambito genitor la ganza.

MATTINATA

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D

AL fetido stambugio, ove s' imbuca Ne le rigide notti, esce al mattino Diego il matto pezzente ; e co'l cisposo Occhio spiando il cielo umido e scuro, Su la soglia s' accoscia, e canta al Sole.

O frate sole, anche voi, se non erro. Troppo vi fate quest' oggi aspettare : V arrestò forse qualch' ispido sgherro Perchè vermiglio uscivate dal mare ?

40

Forse, obliando ogni vostro dovere, V intratteneste ad un lauto banchetto, E, avendo alzato più volte il Vjicchiere, I^' augusta sliornia crociate nel letto?

Forse una bionda marchesa, ammalata Di malinconico amore ideale, A' vostri baci s' è tanto scaldata Che v'ha succhiato il midollo spinale?

O frate sole, noi siamo canaglia, Che non pensiamo al prima al poi, Noi siamo carne da forca e mitraglia, E non abbiamo altro amico che voi.

Voi maturate, pur troppo, le spiche A chi spasseggia ozioso ne' cocchi, E rischiarate le nostre fatiche, E e' impregnate su'l capo i pidocchi ;

41

Ma i poverelli, così come siete, Vi chiaman sempre, vi vogliono bene; E, ancor che soffran la fame e la sete, Quand' altri sbuffa tra fumide cene,

Dal marcio strame, ove languono infermi, A voi sospiran da 1' anime strane, E al vostro raggio, quai sudici vermi, Strisciano in busca di morte o di pane.

O frate sole, ma voi, se non erro, Troppo vi fate quest* oggi aspettare: V'arrestò forse qualch' ispido sgherro Perchè vermiglio uscivate dal mare?

O, trafficando il sorriso bugiardo. Sol compiacete de' grandi a le brame. vi degnate più dare uno sguardo Al nostro vivo dolente carcame ?

42 GIUSTIZIA

O frate sole, s' è ver che mi fate, Con riverenza, si bel pateracchio, Deh ! permettete, mio splendido frate, Che su la faccia vi tiri imo sgracchio.

Così crocida il matto, e si rischiara Con gravità. Fitta e minuta cade Dal ciel bigio la piova; e mentre ei guazza Barcollante nel fango e al ciel sogghigna, Le dame impellicciate escon dal ballo.

CONTRAVVENZIONE

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LJm. limitar de la nera casetta

Guarda il sentier la vecchiarella bianca, Che indarno da due giorni il figlio aspetta, E per lo strano indugio il cor le manca.

Ogni cura domestica negletta,

Di fervide preghiere il labbro stanca,

Ed al bosco s' avvia tarda e soletta,

E sosta e piange e chiama a destra e a manca.

Ma a raccSr qualche frasca il figlio audace Porre osò il pie ne la regal bandita. Onde còlto dal piombo a terra giace.

Lo ritrova la grama e un grido caccia, E, a richiamargli 1' anima fuggita, Il freddo corpo, anzi la morte abbraccia.

MONUMENTI

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V^AI.AN sn|;)ia stridenti cai

ipia stnileiiti cani da le sti-eniate Montagne i marmi ; fervono dentro 1' effij^iate Forme i metalli sacri agi' immortali. Canta

Degli aurei lucri al suono 1' artefice, che tanta Folla d' eroi discendere Mira nel tetro asil.

Canta. Già di marmorei, di bronzei simulacri.

Di trofei, di colonne, d' archi ai potenti sacri S' imboscano le piazze : torreggia ad ogni passo Un redentore, un martire, un galantuom di sasso, A cui d' intorno immemore Bulica il volgo vii.

M. RAnHAKDl— Gmsfrzr a.

so

Insuperbisci, o santa madre Saturnia I In poco

Mancherà certo a tante postume glorie il loco : Poi che la Morte, amabile Circe, muta fra noi Non gli uomini in cignali, ma i cignali in eroi; E di marmoree plejadi T' ingemma 1' arte il suol.

Corone a lor! Che importa, se stracca e macilenta

Una ciurma di vive larve curvata stenta Su r altrui gleba, dove semina l'ossa? A lei, Se un covo e un tozzo manca, non bastano i trofei, Onde la gloria italica i'oggia a l' olimpo il voi ?

Spumeggi altrui nel colmo bicchier l'ebrezza; bacchi

Felicità per 1' aule de' blasonati ciacchi ; Altri gioisca i letti, in cui molle si sdraja

T^a voluttà, che i corpi meglio che l'alme appaja; Pieghi la Fama i facili T,oml)i n riti in alto sta.

51

A vui, lombrichi in volio d' uomini, a voi di prenci

Ludibrio, la natura diede in retaggio i cenci; A voi la Legge, druda di chi più le fa scorno, Per r opera d' un anno la mercè d' un giorno, L' onta, r error, 1' infamia I,a Legge ec|ua a voi dà.

(J vermi, brulicate, aftaniate, marcile ;

Ne' baratri fangosi, nel dolor seppellite L' anime senza nome 1 La dolce patria intanto Su la tomba del suo re sparge l' oro e il pianto; E per te, vii progenie, Pane e sospir non ha.

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CHARITAS

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l_yA la febbre consunto, n ìa cocente Vampa di luglio, senza pan tetto, Dal suo signor, da l' ospitai rejetto, Su la via cade" il uiietitor morente.

Fra le labbra riarse, in su le spente Pupille ronza l' importuno insetto, Mentre, qual sega in sordo asse stridente, Scote il rantolo il giallo, ossoso petto.

La cucciola di Zoe passando rigna Impaurita; con gentil costume L'adesca a la vaga donna, e ghigna.

Ma la ribelle animaletta intanto

Si fa core, s' accosta a quel cenciume, E stille schizza che non son di pianto.

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XXXI MARZO

JTerchè ad ambigua libertà redenta La Tiade de la Senna erge la faccia, E , immemore del suo sangue, s' avventa Del nostro sangue in caccia;

E cosi di furor torbido ha il lume, O di solita ebbrezza i sensi infermi. Che affogar di Sedàn 1' onta presume In petti itali inarmi.

6o cuus'nziA

Splender devono al Sol nudi gli acciari E cader le cognate anime a mille ? A vendetta suonar da 1' alpi ai mari Le orrende itale squille?

No; grave scenda sul fraterno insulto E perdono ed oblio : resti a' malfidi La gloria. Al nostro sagrificio inulto, O civiltà, sorridi.

De le genti a' conflitti ed a le paci, A la gloria de' regni e a la rovina Vindice impera tra serpenti e faci Nemesi adamantina;

E quando è 1' ora, che il Titan dormente Ne la polve si scuota, ed apra i lumi, Caggiono allora al suo crollo possente Genti, monarchi e numi.

6i

Giorno verrà, sia lontan, che, dòma L' idra che le fraterne ire ridesta. In un patto d' amor Lutezia e Roma Trlonferan: su questa

Ciurma, eh' or siede insidiosa al temo

Ed arma occulta a le due genti il braccio, Giustizia piomberà qual falco, e al remo Dannerà gli empj e al laccio;

Mentre su' troni eversi e l' are infrante Poseran, chete sorridendo, il guardo Leonino le teste inclite e sante De l'Hugo e del Nizzardo.

Ghigni fra tanto da' sabaudi gioghi

Su le nostre fortune il Brenno invitto, E al suo carro, se può, facile aggioghi, I leoni d' Egitto.

62 GIUSTIZIA

O ruffianando il popolesco orgoglio Con finte audacie e marziali aspetti, Sorga al curule seggio il Furto, e il Broglio Di frigio s' imberretti.

Gloria a' trionfatori ; a le infelici Ostie pace. Un' infesta itala prole Quest'aure ammorba, altri piii rei nemici Strisciano al nostro sole :

Fere spente d' amor, cui la vigliacca De' gaudenti adiposa alma carezza. Mentre, o popolo, il tuo collo si fiacca Sotto la lor gravezza ;

Fere dal vario pel, che di mentita Suavità mèlan l' ingegno iniquo E il cor vile: tu primo, o pio Levita Dal sorrisetto obliquo ;

GIUSTÌZIA

63

Voi, tetri mostri, gracidanti a' vivi L' ultimo esizio e l' infinita notte. Voi dal rostro di ferro e d' occhi privi, Che a branchi, a stormi, a frotte

Con perenne clamor da 1' inquinate Macerie saCTC e da' sanguigni altari. Al mal di noi, che vi pasciam, chiamate Mostri a voi d' alma pari.

Urlate, osate : i son vostri, è vostra Questa tomba d' eroi; fuma al divino Occhio più grata de la gloria nostra L' offerta di Caino.

Irta vigila al ben vostro la vecchia

Volpe in giornea, eh' oro ed obbrobj insacca. Essa che al nostro onor cauta sonnecchia, E la discreta lacca

64 GIUSTIZIA

Porge al nerbo sonante, onde s' indraca Ne' vili il ferreo domator del Reno ; Ed or le dubitose alme ubbriaca D'arguzie e di veleno;

Or con bieco pensier guida la buona Stirpe sabauda a 1' asburgense albergo, Quando, o Silvio, de' tuoi ferri ancor suona L' antro de lo Spilbergo.

E intanto il crasso mercator negli atri Scrigni il sangue del popolo usureggia, E in auree sale, in cocchi ed in teatri Con vasta epa troneggia;

O d'ignoranza tumido e di vento Trulla in tribuna 1' animo bugiardo, O per compri sufifragj in parlamento Legislator linguardo

65

Piomba, e di libertà schivo e d' onore, Indulgente de' suo' pari a' delitti, D' ogni antica virtù bruttando il fiore, Reca r alma in editti.

Vili 1 Ma così un cangi la buffa, Che in alto or mena la progenie rea. Via di qua, griderem, Fucci in camuffa, Aristidi in livrea.

Via da la casa degli eroi, da' santi Vertici de la gloria, o bulicame Di nani, che su'l dorso de' giganti Adagi il nido infame,

E pesti i capi gloriosi ! Il giorno

Sacro a l'ire verrà: questo ch'or vedi Muto, inerme, digiuno errar d' intorno Come larva a' tuoi piedi,

M. Rapisardi Giustìzia.

66 GIUSTIZIA

Questo, a cui con mille arti e mille ferri Smungi ed apri le vene, ed è sol reo Di tua grandezza, questo che tu inferri Nel fango, è Briareo.

E sorgerà : su la spezzata gogna Agiterà le cento braccia immani, E schiaccerà la tua viva carogna Co'l martel de' Titani ;

croci o stemmi onde superbo or vai, O reggie, o tempj ti saran di schermo, Quando tu suonerai tu suonerai I tuoi bronzi, o Palermo!

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In vigill\ nativjtatis Domini

k

ilssi .son là, seduti in giro al verde Tappeto ; in man le earte

Ila Crispo, il baro gentiluom ehe perde Il primo giorno ad arte.

Di eontro a lui Mena sbuffante e rosso wSquadra la faccia arcigna;

L' audace seduttor Celio a ridosso Fuma l'avana, e ghigna.

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70

Fonde Miroii la facullà sua uova,

E con gentil contegno 1 baffi arriccia, e publica prova

Che del suo stato è degno.

La nuova sposa intanto a un nuovo damo

Uccella, e cauta il piglia Al cubàttolo, e aggiunge qualche ramo

A r alber di famiglia.

Sgrana Clodio il cisposo occhio, ed ammicca

Al sozio, che con frasche Accorte fra di lor Livio si ficca

Visitator di tasche.

Fulvio manca il nobile bardassa

Dal medicato crine, Che l'oro vinto rastellando ammassa

Con le rosee manine ;

GIUSTIZIA 7 1

Mentre il rubesto Lio, mésso a le strette

Per angustia del loco, Gli si cuce a le groppe ritondette,

Pensando a un altro gioco.

Qui il baronetto da 1' ambigua razza y Pallido ride e scocca

Arguzie, ed a supplir quel che biscazza Altr' oro a Taide scrocca.

Bieco troneggia a canto a lui maestro

Sosia, r ingentilito Sensal, che perde men, benché mal destro,

Di quanto ha il rapito.

il vecchio Grifio da la spelacchiata

Zucca ritinta e da la Barl)a verdastra la sua posta guata,

E se perde s' ammala.

72 CinsTIZtA

E intorno intorno, spori^endo il sembiante

Ebete, la moneta Trepido gitta e mormora il gnlanle

Armento analfabeta.

perchè per le folte saie prave

.Stagnino 1' aure, e i lumi Rossi usurpino ]' aria ultima. f;iave

Di rei flati e di fumi,

O per la notte in nero agguato a I' uscio

Sotto il nevoso azzurro Li abbranchi, ad onta del velloso guscio,

11 frigido cimurro,

Men protraggono il ludo arduo. Non vide

La Patria, è ver, nei suoi Trionfi e ne le sue fortune infide

Questa matta d' eroi ;

GIUSTIZIA 73

Non però de la Patria essa è men degna,

Men generosa e forte, Se in altri campi e sotto ad altra insegna

Sa dispregiar la morte.

Oh vìva! E tu fra tanto a la gentile

Ammassa oro, e con epa Digiuna su'l piccone e su'l badile,

Sozza canaglia, crepa.

O, se 1' ora notturna ozio concede

A le tue membra fiacche. Corri a mugghiar del vecchio nume al piede

Le tue preci vigliacche.

I Ma non più, ma non più nascer vedrai Su'l consueto strame li novo Dio : troppo ha sofferto ornai Dal freddo e da la fame ;

74

Troppo del Fariseo tristo il flagello

Esercitò le prone Spalle. Ei rinasce : il mansueto agnello

Tramutasi in leone;

E rugge e lascia il nero antro. I palagi

Tremano a' suoi ruggiti, E quei che nuotan fra delizie ed agi

Guatansi inorriditi ;

Guatansi. Da le rie mani a costoro

Cadono le segnate Carte ; le granfie gittano su l' oro . . .

Qui, qui da le sudate

Officine, da' campi a voi fecondi

Di triboli e di fame. Larghi d' ozj e d' amori inverecondi

A 1' aureo vulgo infame ;

75

Dal famelico mar, da' covi in cui

Co' figli e la consorte Marcite, da le grotte ove ad altrui

Scavate oro, a voi morte,

Qui, qui irrompete, o tristi greggie umane, O vecchi, o spose, o madri,

O bimbi senza vesti e senza pane. Ai ladri, ai ladri, ai ladri !

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DESIDERIO COLPEVOLE

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Oir.iLA marzo, e pe'l nevato calle

Torna al tugurio il vignajuol tremante, Scalzo il pie, nudo il petto, irto il sembiante, In man la zappa, un fascio in su le spalle.

Torreggiar mira ne la colta valle

Fra pioppi e cedri la magion festante, E a contemplar le spaziose stalle Al dorato cancel ferma le piante.

Ferma; e gettando la pesante zappa, Tutto fiso in que' tiepidi recessi, La man convulsa a' ricchi ferri aggrappa.

E al cielo impreca e brontola al destino : Se un canto sol di questa reggia avessi, Non morreblie di freddo il mio bambino.

-^

CANTO DEI MINATORI

M. Rapisardi— Ginsiizia.

9Utu^ ^rf.y

L RA cieche forre, tra rocce pendenti Su'l nostro capo, entr' oscure caverne, Fra pozzi cupi e neri anditi algenti, Fra rei miasmi, fra tenebre eterne,

D' ogni consorzio, dal mondo noi scissi, A nutrir gli ozj d' igndti signori, Noi picconieri di monti e d' abissi Sepolti vivi scaviamo tesori.

84

Scaviam tesori noi squallido armento A voi terreno concilio di Numi, Tesor di ferro, di zolfo, d' argento, Tesor di gemme eh' abbagliano i lumi.

A voi la terra vestita di fiori.

Le cene, i cocchi, i teatri, le danze, Gli stabili ozj, i mutevoli amori. Il compro riso d' eterne speranze ;

A noi non occhio d' azzurro, non sole. Non aura sana d' amore e di vita, Non guardo amico, non dolci parole, Ma pena eterna, ma notte infinita.

Uomini forse non siamo ? Qual tristo Destin e' infligge fiera condanna ? S' esiste Dio, se incarnato s' è Cristo, Perchè a l' inferno ancor vivi ci danna ?

GIUSTIZIA 85

Scaviam, scaviam; chi sa? forse tra poco Ci mozza il fiato quest' aria maligna, Ci schiaccia il monte, divoraci il foco: Vedete? in fondo la morte sogghigna.

Scaviam, scaviam le ree viscere a questa Tena a noi ricca d' obbrobrj e d' affanni ; Finché un sol guizzo di vita ne resta,

, Scaviamo il trono de' nostri tiranni.

Stridete, su, negre macchine immani. Argani urlate, picconi battete, Tuonate, mine, scoppiate, vulcani ; Le nostre tombe mugghiando schiudete.

Venuta è 1' ora ! Noi vili, noi rei. Ai forti, ai giusti sorgiamo davanti ; Noi, bulicatole d' abietti pigmei. Mirare in volto vogliamo i giganti.

86

Noi v' abbiam dato l' immenso tesoro, Che in seii chiudeva gelosa la terra; Ma voi, titani de 1' ozio, con 1' oro Avete mossa a noi primi la guerra.

Noi v' abbiam 1' arche di gemme ripiene, E voi le figlie ci avete corrotte ; Del ferro avete a noi fatte catene Per inferrarci a 1' errore, a la notte .

Del carbon adro, che l'arti ravviva. Che vi sfossiamo noi maceri e lerci, A voi calore, a voi luce deriva E pingui industrie e volanti comerci.

Per voi spezziam le montagne, per voi Scendiam ne' letti de l' igneo granito ; E voi co'l marmo negato agli eroi Colossi ergete a chi il pan ci ha rapito.

GIUSTIZIA 87

Eppur, vedete? siam buoni e cortesi, Benché canaglia da forca e da fogna : Patrizj biondi, panciuti borghesi, Brindiamo un po', non abbiate vergogna :

Blindiamo insieme al Lavoro che affranca, t-j^A. la Giustizia che l' opere abbella,

Al pan che a noi, a 1' onor che a voi manca.

Ed a la Pace che tutti afFratella.

Ma voi fremete, ed pffesi dal lezzo Dei nostri cenci torcete la faccia, E ci lanciate co'l vostro disprezzo Un duro tozzo e una vecchia minaccia.

Voi minacciate ? Codardi ! Com' angue T>e cento lingue il nostr' odio saetta : Non vogliam pane, ma sangue, ma sangue. Ma un giorno solo d' allegra vendetta.

LA CUCITRICE

per un ilipinto di Calcidonio Reina )

i^at.

Oeduta sopra un liunu d'ossa, a la scialba luce Del Iramonlo, in un vasto campo la Morte cuce, Infaticabilmente cuce, avvolta in un bianco Lenzuolo, incoronata d' asfodeli : al suo fianco Una forbice acuta dal pernio adamantino, Da r affilate lame d' acciajo ; su'l cuscino porpora, ove adagia i piedi ischelitriti, Che mostran da la veste candida i gialli diti, Una civetta immota dagli occhioni ritondi Di topazio ; lontano per gli spazj profondi

92 GIUSTIZIA

Un suoli d' orgie e di fieri gemiti. Ed ella, soina Le ginocchia piegando il teschio, affretta l'opra: Un' ampia coltre nera di velluto, che ingoinbia Con ricchi ondeggiamenti 1' arido piano. L' onilna S'avanza, ed ella cuce: infaticabilmente Mena tra le falangi rigide il rilucente Ago d'acciaro, e l'aureo fìl che mai non si spezza Tira tira con alta mano al lavoro avvezza. E più e più s'addensano, s'addensan l'ombre; ed eli; Assidua sgobba al raggio d' una vermiglia stella. L' opera è presso al fine ; è già fornita ; scocca Un'ora; ed ella, a un ghigno dilatando la bocca, Ealza, la coltre stende, gli stinchi scricchiolanti Agita al ballo, e l'aure empie di strilli e canti.

Voi che in seta ed in velluto Sbadigliando le groppe adagiate, E su lane istoriate vStrascinale augusti il pie.

OILSTIZIA 93

Voi che in morbido origliere, AspeUando del sole il saluto, Vi crogiate, vi crogiate Come papi e come re;

O paffuti e tondi eroi,

Che dal lombo d' Anchise calate,

O da l'anca d'un droghiere,

E il mestiere di godere

Con gran jilauso esercitate,

O paffuti e tonili eroi.

Qui posate, (pii posate :

Questa coltre è ben da voi.

A la plebe, a la bordaglia,

Che a servire ed a piangere è nata,

Altra sorte ha il ciel serbata

Di lei degna, oscura e vii;

94

Per lei, viva e morta infame, C'è la forca, il baston, la mitraglia, C'è la fame, c'è la fame Che la porta al nero asil.

O paft'uti e tondi eroi, Che dal lombo d'Anchise calate, U da r anca d' un droghiere, E il mestiere di godere Con gran plauso esercitate, O paffuti e tondi eroi, Qui posate, qui posate : Questa coltre è ben da voi.

Così canta per 1' alta notte. A le voci strane Sbucano spensierati da le marmoree tane ( Tane che sembran reggie ) da' casini, odorosi Di muschio e di godute carni, da' clamorosi

GIUSTIZIA 95

Teatri, da le iiische. ove in abito nero Di matrona panneggiasi la Frode, e con austero Volto di gentiluomo il Furto infila i guanti ; Da le tradite alcove sbucano i tracotanti Figli de la Fortuna, sfatti da l' ozio, bianchi Da la veglia, d' amore sazj, di danze stanchi. Tumidi e softerenti di cibo e di piacere, (Poveretti, il destino li ha dannati a godere!); Si affrettano, si pigiano, s' abbandonano vinti J3al sonno, o da la ferrea necessità sospinti, nel campo deserto, ove con man secura Li ravvolge la Morte ne l'ampia coltre oscura.

INDICE

Giustizia pag. i

Sul molo » 9

Duetto » 15

Tramonto » 23

Il canto dei mietitori » 27

idlscendknza vatrizia » 33

Mattinata » 37

Contravvenzione » 43

Monumenti » 47

Charitas » 53

XXXI Marzo » 57

In vigilia nativitatis Domini >> 67

Desiderio colpevole » 77

Canto dei minatori » 81

La cucitrice » 89

cy^^

Pubblicato

il XX Gennaio MDCCCLXXXIII

nella Tipografia

di

L t) R E N z o Rizzo.

Proprietà letteraria dell'Editore

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Secondo » Lettura elementare per la Se- zione inferiore 2.° sera. » o, 25.

Terzo » Lettura corrente per la Sezio-

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con una breve dichiarazione

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AD USO DELLE SCUOLE ELEMENTARI SUPERIORI

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NICCOLO GIANNOTTA, EDITORE. II

Di prossima pubblicazione: G. A. CESAREO

DON JUAN

parte prima

GLI AMORI. Francesco Stendardo

P E E Y I A

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