(:^\j^ % JD US5 §' -^ir^u Digitized by the Internet Archive in 2009 with funding from NCSU Libraries http://www.archive.org/details/glielogidelporcoOOferr GLI ELOGI DEL PORCO CAPITOLI BERNESCHI D 1 TIGPvINTO BISTONIO ?. A., É AGGADEMieO DUCALE DE' DISSONANTI DI MODENA. ^^^^^^■^ IN i., O D E N A Per gli Eredi di Bartolomeo Soli a ni Stampatori Ducali M D C C L X L Con IktBZa de* Superiori . Otnne tulit punHumy qui miffuit utile duìci, Hor. Ars Poet. AI SAGGI, E DOTTI AM ADORI DELLA POETICA NOVITÀ* D. CARLO ANTONIO GIARDINI MODANESB ACCADEMICO DISSONANTE . Ccovì, o giudiciofi Lettori, un Furto Poetico . Quefta volta 1 Amicizia, e T invio- iabìle Dritto di fedeltà fono (tati oggetti per me di lieve momento. Una fifFatta tra- dìgione ufata ad un Amico per il pubblico bene, e per i vantaggi della Repubblica Letteraria mi fa anzi fuper- bo. Le Opere magiftrali degli Eruditi, e de' Vati egregi non debbono giacere inutilmente fconofciute fra l'obblio, e la polvere. I Dotti hanno ragione di goderne. I due feguenti Bernefchi Capitoli me- ritavano le Stampe. Sono figli felici di non vulga- re Ingegno, e noto a tutti. L' Abbite Giufeppe Ferrari Segretario in Cafa Rangone ne fu I Auto- re. L'umiltà fua, la troppo cavillofa diffidenza di fé fteflb gli faceva rifguardare le feguenti compofi- zioni come cofuccie non meritevoli d' efler lette, che in privaro amichevol congrelTo. Ma egli do. vria pur fapere , che Chi va animofo fu per le vie A z dì ili Pindo calcabili folo da' divini Talenti, non ha a vergognare, che il Mondo lo fappia. Io però col rifleflb di dare con tali Capìtoli un pafcolo confen- tanco al defiderio de' faggi Coltivatori del Tofcano Elicona mi fono indotto a ftamparli (enta la fua in- telligenz,a5 e con tutto che più volte me ne avefiTe negata copia. Troverete unite a' Capitoli le rifpetti» ve Lettere, che gli accompagnano. Quefte vi met- teranno a giorno di ciò, che potrei ancor io dirvi, fé non temellì di rendermivi rincrefccvole. L' eru- dizione, la politezza delia Frafe> e la naturai rena di verfeggiare , che ho rilevata in quefte piacevoli Compofizioni, m' hanno violentato a non aver ri- guardo alle leggi dell' Amiftà. Spererei di farmene un merito, e di foddisfare così all' incontentabil ge- nio de' più fevcrl Arift^rchi Sempre intenti a cercar nodi nei giunco, Poteflì pure far ufcire alla luce tutte le Poefìe e Li- riche, e Bernesche del ncftro dottiffimo Sig. Abba- te, come lo farei volentieri 3 ma il prefente Libret- to fatto furtivamente ftampare lo farà con mio oif- piacimento più cauto per lo avvenire, òolol' umano voftro tccoglimento potrebbe incoraggiate T Auto- re j ficcome mi giuftifìcherà ancora predo del me- defimo, che confido vorrà perdonarmela generofa- mente . CA- CAPITOLO PRIMO INDIRIZZATO Dx\LL' AUTORE Air lllujìrìjfimo Signor Dottore 'Rettore GIAMBATTISTA ARALDI Elemofinierc, e Segretario di S. A. S. LA SIGNORA PRINCIPESSA EREDITARIA DI MODENA. iriis^ V 1 1. XVII. «é33!W Terge, e alToda le piaghe in foggia ftrana Liquido Lardo di fua feccia privo, E del Vajuol le boUicelle appiana. E' ammolliente, annodin, rifolutiyo Suo graffo ; e al nafal fangue , e a fquinanzia , E a rogna il fuo cfcremento è un fanativo. Di luì parli la faggia Economia, E r indultre Mecanica ingegnofa, Che in Terra, e in Mare il favor fuo defia. Tu che al nome di Porco fchizzinofa Mufa, t' aggrinzi, fentine una groilà. Tu fai di Porco in teda a tutta jofa; Quando per farti più lifciata, e roda T'affidi alla Toletta la mattina, E t' emendi, e t' ajuti a tutta pofTà, Dimmi, quel fufto onde il Topè ftrofina, £ te lo aiTefta il Parrucchier d' Apollo, Che imbianca poi di polve fopraffinaj E i ciondoli all' orecchio , e il vezzo al collo Quinci ti poni , e di Sufsì , o Lillà L' ampio Andrienne , e il Plettro ad armacollo , B Che «iìJSt» XVIII. i^Vi Che Diamine cos' è? Mufa, fi sa: Un impafto gli è quel , dov' entra , e lega Del lui fugo adipofo quantità ; E con eflb la fronte ancor fi frega Berecintia, Giunon, Venere amante, E con mille compolti entrar può in lega. Sin r immondizie a cento frutti, e piante E' un Elifire, un Balfamo fincero D' olio, e di fai volatile abbondante. Ha nel Cembalo ancora miniftero; Della cotenna fua fcaglie or fi fanno D' un movimento elaflico, e leggiero, Che fpinger fenza penne, e accoglier fanno Le lingue de' roftrati falterelli. Che r auree corde a vellicar fen vanno . Oh Cembalo immortai, che fcuoti, e fvelli Dal più cupo letargo, e V alma, e i fenfi, O tu pianga , o t' accenda , ovver favelli t I pregi tuoi fon portentofi, e immenfi, E tuo m' avrai Panegirifta eterno. Ma chi ti può lodar quanto convienfi ? So> ^$ft X I X. <^Sfk So , che talun per ignoranza , o fchern» Dirà, che Vener fé sì gran fracaflb, E giurò al Porco un odio fempiterno; Poiché il bel Cacciator mandò a patrafTo Nel bofco iftelTo, ove la fcaltra Dea Con lui il tratteneva in certo chiafTo: Ma queir era un Cignal , che non avea Co' Porci noftri alcuna parentela. Anzi tra loro inimicizia ardea. So pur, che ad impetrar T ampia tutela Di Cerer bionda, allor che Aprile ufciva, In bianco vel con lampana, e candela, Roma un Porco immolava, e ciò veniva. Perchè le biade amica difendefTe Dal grugno fuo, che via fé le carpiva; Ma fé cuftode a' Porci dato ave{!e, O pollo i Seminati entro claufura, Roma provvido avrebbe al fuo intereflè. Che far contro un iftinto di natura? Me la perdoni di Guirin la gente. In quefta parte non fa gran figura. B 2 Ma Ma quando ei fruga, e fcava arditamente, Non la fa allor da buon Mineralilla, 11 Tartufo eftraendo sì eccellente? Ah! che a ragion quel Milerel Ci attrifta, E borbotta pian piano ognor tra fé, Vedendo, eh' egli è fempre per la pilla. Chi mangia a due ganafcie, un Porco egli è; Porco chi ha fempre il gorguzzule in molle; Porco chi fcarno in pria, grallo fi fé: Porco chi non ha il fangue , che gli bolle ; Porco chi lafcia un peto in abbandono, Porco il Melenfo , il Brodolofo , il Molle . Si fa, che il fonno è di falute un dono. Pur vedi maldicenza! I dormigliofi Comodi porci intitolati fono. Oh coftumanze ! oh tempi ingiuriofi ! Oh lingue nate del buon gufto a fcorno! Ma faldi, o Porco mio, tai Ser Brigofi, Che dan la quadra, e fembri loro un corno. Ti mangierian fu i muri ancor dipinto: Tu fa r orecchie da mercante intorno. Che con coftor, chi non li cura ha vinto. CAPITOLO SECONDO DIRETTO AL MEDESIMO llluftrtjftmo Signor Dottore "Rettore GIAMBATTISTA ARALDI SOTTO IL NOME DI UN POETA ANONIMO MA VERAMENTE COMPOSIZIONE DI TIGRINTO BISTONIO ^tare del Capitolo primo . ^S^ XXIII. ^SM lllmo Sìg. Stg^ PfÓf7 Colmo. Hi non fa non falla , dice il Vro* verbio . Ogni campo ha la fua or» tic a. Il Capitolo^ che ebbi l ono" re d inviare , giorni fono y a V. S» Iliuftrifs. , è flato concio per le fé» fte. Un Critico sinonimo /' ha at^ taccato di fianco alla V ruffiana ^ e l ha cannonato a (ubi(fo fpiatella» t amente, A dire il veto tanta franche'^%a m ha Jor* prefo^ e tanto più ^ che trattavofi di cosuccia privata^ e giù alla buona. Ma che s' ha a fare? lo non fono f Archimandrita^ ne il FaHodo de "Rimatori ecce litri' tiy né tampoco la farina più pretta ^ che ufcijje mai Dal gran Buratto, che il bel fior fol coglie. Quely che mi confola y fi è^ che potrei darmi alle mof- che in qualche maniera j ma per non entrar nelf un via unoy e così non finirla mai piùy me la ingojerò in fanta pace^ e chi le ha avute fé le tenga y e il Ciel lo benedica . Un Capitolo mena tutto il fracafjo . Un A' mico mio parziale me l' ha comunicato ^ ed io in fu due piedi ne ho fubito fatta copia , ed è la compiegata , chefpedifco a V. S. llluftrijs. , perchè abbia come un fegaito dell' Opera , e fi follevi qualche poco dalle con» ttnuc^ € tutte nobili fue occupa%ioniy ridendo alle fpefe B 4 di ^^ XXIV. ^w^ ài due ftempìati FarfalJon'tfli Vorcìnt. Qitello di che ìa fupplico per carità y fi èy che il tuno rinangi fe^re- tOy anche a m'i[ericordta di quel po' di concetto ^ in che taluno mofira buonamente ai tener nniy preoccupato per mìa buona forte da una oppenton troppo facile^ e gene» rofa . Ma con V. S- llluftnfs. , che mi conojce > che fa quinto io fia da poco ^ e che nella magifirale Are- na fua Filolofica m ha f offerto con tanta p/i^ien^a per ttn mero Vtediftallo , od un Viccion di ge(fo , la cofa di- verftficay e tollero di arrofiire^ e di fcoprirmi per tam- bucato. Ma in tale fiato ancora jperoy che V. S. /A luflrifs. non fi fcandale%%erà poi tanto y che abbia io a rimaner privo della fua buona grafia y che valuto d* affai ^ ed a quella raccomandandomi ^ col folito invam riabile rifpetto rimango. Dtvof'ffi' y ed Ohbtigatìfs. Servidore P. Giufcppe Ferrari, «éssft XXV, «^sf» RISPOSTA CRITICA , E SUSSIDIARIA AL CAPITOLO IN LODE DEL PORCO. Aro Poeta, qual tu fia, che fefti Di Rime quella tale infilzatura, I Un^ran marrone a fdiricciar prendesi T' ingolfarti in un mar, che fa paura. Con provvifion mefchina di bifcotto: Stolto chi neir oprar non ha mifura. Ma tranfeat: ogn' Afino ha il fuo trotto; li peggio è r impoftura, onde V adorni. Larga, e ritonda più dell' O di Ghiotto. La Mufa uno ftival? La fcacci, e fcorni? Porco, e Cignal non fon tra lor parenti? E i Padri Achei fon tanta feccia, e corni? Amico, tu m' hai pieno; i tuoi accenti Fan che dall' unghie io del Leon decida; Dal morfo imparo a giudicar dei denti. Vi iéS3!K XXVI. ^S^ Vi fon le Mufe ,. e fenza la lor guida Mal (I reggono in alto i voli afcrei, Son Corvi i Vati , e raglio i Carmi , e ftrida . Figlie fon tutte del maggior de i Dei Sagre ad ogni Cantor, e già invocate Negf argomenti più fuperbi, e bei. E quante volte non le avrai feccate Tu ftefTo, e fatte morfie a collo torto, O Correttore della noftra etaffe? Tu che alla Grecia poi fai sì gran torto, E Platon pofcia ad imitar ti prendi. Che folTe Greco ancor non t' eri accorto? O un tanto Eroe tra que'minchion comprendi, E fei un empio ; o t' era ignoto affatto , E un CavoI fritto , un Gocciolon ti rendi . Qual poi t' invefte frenefia da matto. Una fol fpczie d' Animai volendo. Che in due vada diftinta ad ogni patto? Tu d' Iftorie non fai, a quel che intendo: Ne" tempi, che parlavan francamente, Ardea tra' Porci un battibuglio orrendo; E fé «^a» XXVII. ttisa»» E fé un antico Traduttor non mente, Per giovinetta, e amabil Porcellina Nacque lo fpaventevolc accidente. Quefta era ricca come una Regina, £ maritarla il Padre non volea Con alcun di que' Porci da dozzina. Ma degr Amanti il novero crefcea, E quella fcaltra a tutti fea d' occhietto, E cofe grandi a tutti promettea. Un ve n' avea di più leggiadro afpetto. Che più le fea del cafcamorto intorno, E di mufchio fapeva, e di zibetto. Ma il faggio Padre dubitando un giorno ì Non s' appiccaflè il foco nella paglia, E non gliene venilTe un qualche ìcorno. Pensò dì contentar tanta canaglia, Dicendo: V vò concederla in ifpofa A quel che in Gioftra fra di Voi più vaglia . Dai quattro Venti battaglioni a jofa Si vedean comparir nel gran Iteccato D' una profopopeja ardimentola. Di • ,^a* XXVIII. ^^ Di denti acuti era ciafcuno armato, Ed eran quefti la fua fpada, e lancia; Lo fchioppo ancor non erafi inventato. S' incominciato a sbudellar la pancia L' un dopo r altro , e per due mefi intieri Equilibrò Vittoria la bilancia. Proteggea Marte que' polputi, e neri. Gli agili proteggeva il Dio Nettuno, E Bacco i men filveftri, e i meno altieri. Ma in fra que' Paladini alzoflèn' uno. Che fin metteva a così lunga fefta. Facendo un repulifli di ciafcuno; Quando fuor del terren fparfa la tefta Di polve immonda ufcì Madre Natura, E dìflè: ah Giove, che matteria è quella? Se manca il Porco, io veggio addiritura 11 mifer' Uom a careftia foggetto. Veggio , Signor , che a mille guai non dura . Difle, e Giove provvide, appena detto. Col fulminar quell' infelice Amante Di tanto fcempio fconfigliato effetto . Marte (^^ XXIX. (ésa« Marte il Tuo ftuolo inviperito, e anfante TrafTe ne' bofchi, e fi chiamar Cignali, E li fece terror di quelle piante; Nettuno a' fuoi donò le fquame , e V ali , E alla fchiera de' Pefci gli aggregò, Avvezzandoli all' onde , al nuoto , ai fali ; Bacco fparfi pe' campi i fuoi lafciò , E al primiero occupante Villerefco, Non volendo ammattir, gli abbandonò. Ma Tu , Poeta mio , guardi in cagnefco , E mi fquadri ingrugnito la perfona? Veggio, che ti confondo, e ti rincrefco. Ma fenti; un Uom, che vive alla carlona, I cocomeri in corpo non fi tiene, E vuoi fua libertade, e fi sbottona. Dunque da un Tronco fol vedi che viene II lignaggio porcin per cammin dritto; L' autor di quefta liloria era d' Atene. Il fatto in prifche lamine è deferirlo , Che efpofte un giorno in Tebe a vile incanto Trafportò Tolomeo dentro 1' Egitto; E eleo- ^SjM XXX. ^&H E Cleopatra, ond' aver fempre accanto Quel buon Guerrierdi Marc' Antonio, un dono Gli fè di quelle, e V obbligò poi tanto. Ma fta , che io pure Encomiator mi fono D' un tanto Eroe ; giungiam le deftre , Amico , La Critica ^ ponga in abbandono. Di litigar già non m' importa un fico, Né gì' impacci del Roflb io mai mi piglio, Non voglio alla mia Porta alcun intrico. Bada fé io fon difcreto , io fol mi appiglio A intrecciar nuove laudi al Porco noftro. Che tu ad arte lafciafti, o per configlio; E già incomincio : o del miglior mio inchioftro Vien , caro Porco , alto principio , e meta ; Non mi negate , o Mufa , il favor voflro . Dormiva Enea, quando dall' onda queta Del vicin fiume il Tiberino Dio Surfe quant' era in aria augnila, e lieta, E parlò: Figlio d' una Dea, d* obblio Spargi i danni fofferti, alfin giungefti. De' Latin, de' Laurenti, e voto mio. Nefifua 1^^ XXXI. \^2* NelTun timor tue degne irrprefe arrefti. Quello è il fin de'travagli,e Afcanio il figlio Fia che dopo trent' anni qui fen redi. Gli Dei fon paghi, del Divin configlio Che in tuo follievo fi dichiara, avrai Prove evidenti nelF aprir del ciglio. Accolta fotto un' Elee troverai Candida Scroffa, e alle lue poppe appreflb Trenta bianchi fuoi Parti ancor vedrai. 11 fegno è quel , che un giorno Afcanio ifleflb Fonderà d' Alba il memorabil Regno, Vinta r Invidia, e T Oppreilore opprefTo. Tacque , e a fuo tempo fi avverò quel fegno ; Ti ringalluzza, o Porco mio, che fei De' Numi i ciechi arcan di adombrar degno* Potean valerfi d' altre beftìe i Dei , D' Aquila , di Colomba , ovver di Toro , A lor già cari, o de' fagrati Augei. Tu fofti il fol tra quell' immenfo Coro, Forfè che in Terra tu gli avrai sfamati Quando tante zizzanie ardean tra loro; E come èSS^ XXXII. ,*«&•» E come in gozzoviglia faran flati! E trinciando, e pappandoti a due mani, Le dita alfine fi faran leccati ! Fu Publio Servio il primo infra i Romani, Che in tavola ti mife intiero arrofto, E poi con fimmetria ti pofe in brani; Ma proibita dai Cenfor ben tofto Venne V idolatrata imbandigione. Perchè di troppa fpefa, e troppo cofto. Era tutto il tuo ventre un gran caflbnc D' ova, di tefte, Beccafichi, e ancora V era di fcelte carni ampia miftione; Ed in proverbio tu paflàfti allora Per il Porco Trojan, perchè ripieno Come il Cavai , che tralTe Ilio a mal' ora j E molto prima , di cent' anni almeno , D' una pari vivanda i Greci ufaro 11 lor Convito a mantener più ameno. Plinio infegnò, che di fapori avaro Non fei, e che valenti ProfefTois Cendieci in le tue Carni ne trovato; Ond' tfStJR XXXIII. i^ìSìfi Ond' è, che Tito Quinto efcito fuori Ad aiFrontar d' Antioco le Genti, Che nella Grecia fean tanti rumori. Gradì tra mille offerte, e complimenti D' un certo Calcidenfe un ampio invito A eletto pranzo in cima agli ori , e argenti ; E nel mirar un numero infinito Di vivande diverfe, eh' ei tenea Di trecento Animai, giacque llordito; E fé quel Signorotto non gli fea Toccar con man, che tutto era porcino. Mangiar T Affrica in beflie fi credea. Neir Umbria, e nella Marca ogni mattino. Che fìa feftivo, in mezzo della Piazza Havvi di cotti arrofti un Magazzino, ^ Per cui la Povertà con poco fguazza Senza far di pignatta in la giornata , E in tre o quatta ore il Magazzin fi fpazza. La Dofe di fue carni in Francia è grata, E in Carta grande, e in Gallico dialetto 11 Real Cucinier V ha già flampata. C Cochon «s 2f> X X y I V. ,tó a«» Cochon de lait a V Alleraand ^ e Tuo precetto ; Cochon en galantine :=i jambon roti =: Boudin blanc , et noir =3 Boccon perfetto . Che poi di lui non dicono ognindì Dale , Schroder , e James , e Aldrovando ? Per lui la Drogheria s' incivilì. Come Cignale, un bene memorando Fa co' denti, col fiele, e con T urina, E fin ftcrilitade ei mette in bando ; E come abitator d' onda marina , Pe' tumor freddi il Graffo fuo fi dice Un non plus ultra, una bontà divina; E al fin di meraviglie una Fenice Come Porco noftran forz' è che paffi, E chi langue, e chi è fano il benedice. Per lui 1' Imbiancator le fpefe faflì, E privo del fuo pelo il Calzolaio Non fora il cuojo , e alle beftemmìe daflì ; E fporco , e bianco come un ver Mugnajo Un abito riman, fé fciorinato, Ei non lo purghi, e noi ritornì gajo. Ma ^a« XXXV. id^SP» Ma vieni in fcena, o illuftre Cervellato, Che da Milan fei detto Milanele, Balfamo della lingua» e del palato. Regal Milano, il nome tuo è palefc Fin dove erge la Fama i voli fuoi, . Di Lombardia già principal Paefe. Fur Regi, Imperadori, e Duchi i tuoi Arbitri, e Reggitor, e il Mondo sa. Che puoi far , che puoi dir ciò , che tu vuoi . Pur non sdegnar eh* io dica verità; T' accrefcc il Porco con fimil boccone Un quinto almeno d' Immortalità. Né te, Parma gentil, in un cantone Deggio lafciar, cui celebrar cotanto Arrigo, Sanfovin, Livio, e Strabone. Me la perdoni quel famofo, e lanto Della natura imitator Correggio, Se lo pafTo in filenzio in quello Canto ; La gloria Tua, la tua grandezza io veggio. Ma quefta volta, alma Cittade eletta. Tentar di lode altro cammino io deggioj C 2 Che ^a* XXXVI. lès^ Che la mia Rima è a celebrar cofl:retta Del mio Campione altro novel portento, Tua Bondiola ammiranda , e tua Spalletta . Ma pian per carità , piano un momento ; Che tentazioni, e che flagei fon quefti? Sfido a maggior cammin 1' inftabii vento. Tu ancor, Lucania, in mio penfier ti defti? Della Grecia maggior tu parte un giorno, E tante brighe co' Romani avefti. Bella Provincia, il cui Terreno adorno Appenin parte , e di Vigneti onufto Sparge ricchezza, e amenitadc intorno. Te ognor beata, che 1' Impafto augufto, Della prima Salficcia immaginarti , In piccoli Cilindri immenfo gufto. Ah! che a ragion tuo nome le donarti ( Se pur Varon non ci affibbiò bugia } Da Lucania Lucanica chiamarti. Vanta il tuo Cotichin, Modena mia. Del Popol di Quirin Colonia antica. Bruto ancor negli Llifi oh ! non t' obblia ; Quel ^«pt XXXVII. ^SR Quel Cotichin, bifogna pur che il dica, Al cui confronto, falva la tua gloria. La tua gran Secchia io non valuto cica. Ma di lui già ne fece alta memoria Ne' giorni addietro altro Cantor Tofcano, E gli fé flrada alla ventura Iftoria. E dove lafcio fotto il Ciel Germano Jl tentator Wetlfalico Profciutto? 11 Firentin Salame, ed il nofbrano? Oh, caro Porco, tu fé' dappertutto. Ogni mellier del favor tuo fi abbella. Or confluente, or liquido, or diftrutto. Ma i maggior fatti a celebrar mi appella Lei, che fui picciol Ren (ìede, ed impera. Madre d'Arti, e d'Eroi Felfina bella. Lei d' origin già Greca, e già Guerriera, Che il Sacro accolfe Tridentin Senato , E un Rè in catene aflbggettoffi altera. Ecco un Popolo vado radunato. Ecco di Palchi un ordin teatrale, E oga' angolo, e balcoa tutto addobbato. C 3 La ^j^ii X X X V 1 1 T. ^a« La dfrefti una Fiera, un Carnovale, E Carrozze, e Cavalli, e Nobiltà, Meflì a giorno di Fef]-a trionfale. Numerofa , ondeggiante, e audace fta Nel rifpondente Piano fottopofto Ciurmaglia berettina in quantità ; Che fifchia, e chiama, e ferma attende in pedo Qualche cofa di grande a far difcefa: Le Trombe annunciatrici han già rifpoflo Piovono Augelli, e come Santi in Chiefa, Alzan , ftefe le mani, in lu le braccia, E fan falti per aria a farne prefa. Quinci vedi ammaccarfi e nafo , e faccia , Suonan le fchiene ai pugni tempeftofi , Van per 1' aria i cappelli, i crin, le {traccia. Alfin tutto fi calma , e tra ì clamofi Evviva popolari, alta, eminente. Tutta infiorata, come fon due Spofi, Spettacol giunge alla vogliofa gente. Sempre affilienti i primi Padri iftefli, D' un Porco una gentil Figlia innocente. Cefar ^3f» XXXIX. léSS!* Cefar perdona: a Te non fur concefli Tanti in Roma fplendor, quando tornafti Le Gallie, il Ponto , Affrica , Egitto opprefli. Ma già piombafi al baffo , e fparfì , e guafli Si veggono i be' quarti imbrodolati, Neffun va a male, e fé ne fan de' pafti; E per r ampio recinto in cento Iati Fremon gli elogi a quelf eccelfa Eflinta, Che a Bologna rammenta i tempi andati: Che volontaria a lei diedefi vinta Faenza, rotti i Lambertacci arditi, E molta Setta Gibellina eilintaj E fur due Porci ad onta ambo rapiti Sola cagion del gloriofo acquiflo: li Sigonio, e il Vizan fcriffcrlo uniti. Popolo delle bdve immenfo, e mifto, Neffun di voi con voftra flemma, e pace. Più del mio Porco in tanto onor fu villo ; Né già villano, e fconofccntc ei giace. L'inclita Mortadella a lei riferba. Ella il pregio ne intende, e fen compiace. C 4 Porco Porco im mortai ! Beftia per fin fuperba D' aver Tullio, e Marzial Panegirifti, Con Giuvenal, lingua ad ognun sì acerba. Di te più voice i Dei furono vidi Far ufo allor, che vollero vendette, E aprir nel Mondo ofcuri giorni , e trilli . Arcadia il fa, che fu tanto alle ftrette, D' Erimanto lo sa la felva annofa. Lo fan di Meleagro le faette ; Quando la Dea Diana difdegnofa Contro Oeneo, che difpregidtla ardio, Mofle un Cignal di forza Ipaventofa. Al Popol d' Heraclea, già facra al Dio Figlio di Giove, e dell' incauta Alcmena, 11 Coccodrillo era nefando, e rio. Moftro, che ammorba V infiorata, e amena Sponda del Nil , nato a tremendo orrore Deir Uom , di cui fempre la pancia ha piena ; E perchè il Porco il mobile megliore Era in Egitto onde ridurlo a morte, Paflava in lode, ed in comune onore. Allor ^3^ X L I. WS3f» Allor quando a fior d' onda , e a lunghe , e torte Strifcic fi fcuote il Coccodrillo , e T onda Balza fremendo al flagellar sì forte, 11 Pefcator, che dalla fcelta fponda Scoprillo, inverfo lui fcaglia lontano Carne di Porco , e in lei grand' amo affonda ; E affin eh' ei trovi quel nuotante brano, A colpi di bafton fa urlar fui lido Giovin Porchetto , eh' egli tien per mano . Quel moftro Amfibio al conofciuto grido Simpatico per lui, colà fi addrizza, E trova, e ingozza quel boccone infido » E giù lo fcaraventa, e appien s' infizza; Quinci lo tragge il Pefcatore a riva. Mentre or fi torce, or fi profonda, or guizza, E gli getta fu gli occhi, allorché arriva Di fango impiaftro , che a tal ufo fece , L' accieca , il ferma , e poi di vita il priva . Chi fii cagion , che al fren fi afiuefece V indomito Cavai? Fedra lo conti, Clallico Autor, che denigrar non lece. Del «USa^ X L 1 1. afSi^itk Del caldo Eftatc ad evitar gli affronti In certa pozza il Porco erafi fìtto, L' ombra godendo de' vicini monti; Quando giunfe il Cavai , che avea diritto Per un lungo poflellb entro quel foflb, E gliene fece un capital delitto. Vennero a sfide, e quel terren fer rofTo Di fangue alterno; ma il Cavai da vile Cedette il campo, e fé la fece addoflb; E corfo air Uom , con portamento umile Chiedendo aita , fovra il dorfo il prefe , E molTe a vendicar V atto incivile: Ma fatte eh' ebbe 1' Uom le fue difefe , Bel bello il morfo introducendo in bocca , Schiavo per fempre, e prigionier fel refe. Ma troppo lunga è omai la Filaftrocca, Non è la via dell' orto il compimento, Vi fuderebbe un Talenton di brocca: Né tu, mio Porco, andar ne dei fcontento, Ch' anzi eli' è gloria dell' Eroe lodato. Che manchi il lodator nel gran cimento. Ogni «ésa»» X L 1 1 1. «é!s^ Ogni gioco più corto è ancor piìi grato; Qui chiudo il fdCCOje quel che è fcritto è fcritto: Rida chi vuol, che non farà peccato, £ a chi non piace, mi rincari il fitto. Ho mSiSi^ xLi V. ^siM HO voluto compire il mio Furto in tutte le Tue parti. Oltre i Capitoli eravi ancora una Mi* nuca di Lettera del cottro Autore, indirizzata all' immortale Sig. Abate Frugoni, e di queft' ultimo la rifpofta originale. Malgrado un oracolo cotanto fi- curo, e animatore, egli fi è tenuto infino ad ora in- determinato j e Dio (a quando folle venuto in rifo- luzione per le Stampe. Io aggiungo 1' una, e I altra, fperando di far cofa grata, e che i puliti Scrittori di Lettere me n'abbiano a faper qualche grado. Il/nio Sig Sig Pròn Colmo. N-vto al temibile Tribunale di V. $". ///(*- Jìrifs. que due fiff/ttti miei Partt =: 5» /' Animai di Sant' Antonio Abbati ==: . Ho dovuto ubbidire. Che non patti tlla mai in ogni tempo jovra di me? Poveri sfortunati ! Vengono nudi , e crudi , come fon natìy fen^^ che io pò (fa raffa^j^onar' gli in qualche verjo^ e metttrgli in qual- che pò d equipaggio. Ma! La mtdica cir- cofcrÌ7:ione di mie fatiche mentali la vuo- le prefentemente così. Pa^j^ìenT^a! Oh troppo imperfetta naturai Vengono pieni di una ereditaria con ftder anione inverfo della celebra- tijftma Perfona fua , e vengono injìrutti dell' autorevole Valentuo- mo^ a cui fi deggiono prefentare: Che io, fé V, S, lllufìrifs. an- cor noi fa, per ogni ragion dt giufìiT^ia, per elezione ^ per grati- tudine , e per un naturale invogliamento alle tanto difficili trion- fatrici bdle7:7:e della Poetica facoltà, la venero, V ammiro entro me Jiejfo , e fuor di me poi la celebro coli' univerfale confenfo per un» ;«SS» X L V. itóS^ uno de primi Luminari Poetici del Secol nojìro: E cultot temera- rio io pure d uri Arte riferbata foltanto al fervido acume de mac- chinofi Talenti peregrini^ non mojfero giammai i pa/Ji miei^ che fu quell' Orme profondamente ficure^ e fìabilmente luminofe^ chea rifiorimento novello delle Italiche Muje^ e a lor megUore comparfé in Greche .f in Tofche ^ ed in Latine vaghe'3^ impreffe^ e impri- me pur tuttavia la feconda mai fempre ^ e fempre uguale afefiejfa infiticabil fua mente Ma io /aiterei prefìo il foffo , e addio convalefcen^a , addio medica circofcri':zione . Bella Verità , bella VirtU ^ fiete pur tentati ici! Ritorniamo a" miei Bambocciottì, La fupplico volergli accogliere co» animo prevenuto ^ e preparato y de- pofìo il critico fopraciglio , e la magifìrale terribilità . Li metto fra le fue braccia . Voglia [offrirgli , voglia padrocinargli . In Modena chi gli ha veduti in un rigorofo incognito^ gli ha compatiti^ e gli ha fatto delle moine tante ^ e bellin bellino; ne ^ mancato chi pee fino ha voluto fedurmi y onde voglia emancipargli^ febben piccini^ e la/dargli a lor talento entrar nel gran Mondo. Ma «ò, Signore, Non vo\ che fervano per Zimbello. Che fi dimenino ^ che mi guar- dino col collo a vite quanto vogliono^ s ha a fìar meco, e dieno la lingua al Beccajo . lo mi Jan un di qui Padri alV antica , t con le cal^e a campanella. Non vo rtmorfi^ non vo pentimenti i Se pero V. S. Illu/ìrifs.y a cui in ogni tempo ^ e circofianxa de- ferivo ciecamente , configliaffe all' oppofito la mia Paternità , fi mi -affolvejje da ogni fcrupolo^ fé mi anima [fé ^ rompo immedia- tamente qual fi fia clau[uray gli abbraccio ^ li benedico ^ e poi gli [dolgo per fempre da qualunque filial dipenden-s^ , e vadano , o fiiefio , non parlo piU , Perdoni V, S. lllufìrifs. il cruccio ^ che le reco ^ e la divoti [fima libertà del parlar famigliare ^ e fìgur/jto ; E intanto fuori d' ogni color Rettorico fi degni di credermi in realtà , qual mi fofcrivo c»n veroy ed ingenuo rifpetto Di V. S. lllufìrifs. Modena io. Settembre l'jóo. Divotijfimoy ed obbligatijftmo Servidore Giufeppe Ferrari. «flSIt^ X L V I. ^'^•> RISPOSTA DEL SIGNOR ABATE FRUGONI Inflitutore di Belle Lettere Itali^e DEL REAL PRINCIPE D. FERDINANDO Revifore degli Spettacoli Teatrali di S. A. R., e Segretari» perpetuo della Reale Accademia Parmenfc delle Selle Arti. Egregio Signore. Dì Parma 12, Settembre 17^0. Ricevuto il fuo Componimento; e dopo a» verlo con piacer letto j e contemplato ^ io gliel torno ^ dicendole ^ c&' Ella fa fare dei leggiadri Verjì^ ma non fa diritto giudicarne^ quando fono juoi . E perche 'vuol' Ella tenergli cbiuji dopo avergli fatti? Oh! fonoy Ella mi dice^ dtfav- venenti^ e degni delle tenebre. Io rif- pondoy che fono ricchi di venujìà ^ e de- gni della pubblica luce, Poffo ingan- narmi; ma s Ella mi vuol Giudice^ io nelle Jolenni forme prof- ferifco la fentem^a della loro libertà. Gli ftampi , 0 gli lafci Jìampare a chi fa far più ragione a quejìi Juoi Parti; né per effer troppo fevera Padre eoa ejft -u»- liiK^ X L V I I. <«^^ glia effere anche ingmjlo con gii altri. Le Gra^te Berntefche y che vi ridono per entro , ne faran ben contente . il Pubblico ne avrà folloT^T^o: Ella ne avrà lode: lo mi compiacerò di non aver errato nel giudi-^to mio. Ma j' Ella non à fatto bene a penfar sì male di quefla fu* gentil fatica^ à ben fatto poi peggio a parlar sì magnificamente di me. Sa Ella chi veramente io mi fono? V Amor proprio non mi fa veder torto, lo mi conofco: mi afcoltiy e mi creda, Jo Jon un Uomo , che forfè conofce la bella Poefta . Son pieno di buona voluntà . Ammiro Pindaro^ ammiro Anacreonte ^ ed Ora'jiio, Veggo per efft come la divina Lira dovrebbe trattar fi. G de fiato levarmi fuTle lor Orme immortali. Ma che? Tengon quefìi divini Cantori le Cimcy ed io mi trova ancora alle falde del Monte. Ella dunque con effi fi configli ; e fé pur vuole .un ejfi cotf- fultar qualche nofiro Tofcano Maefiro^ fi guardi bene di legger mai le cofe mie ^ e di proporfele per guida. Legga quelle del felice Chiabrera ^ che a i tre fopra nomati fiede vicino» Sono con la ptu difiinta fiima , ed amictT^a Egregio Signore Devtaìfs.^ ObbVtgattfs. Servidori Abbate Frugoni. ^Sf> X L V I I I. ié9$tfl Le parole^ e le efprejjìom^ che fanno di Cenùkfmo fono ìingu£!ggto , e vaghe%x^ ^* Voefia , ^-^ non fentimenti Cattolici. Y I r -^ -^ ^OOOO' ff- /u