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GRAECE LATINE ITALICE.

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HESIODI ASCRAEI OPERA ET DIES

DI ESIODO ASCREO

I LAVORI E LE GIORNATE

OPERA CON L. CODICI RISCONTRATA

EMENDATA LA VERSIONE LATINA

AGGIUNTAVI l' ITALIANA IN TERZE RIME

CON ANNOTAZIONI.

FIRENZE 1808.

NELLA STAMPERIA CARLI E C°. IN BORGO SS. APOSTOLI. CON APPROVAZIONE.

*

Lepta suavisMinus Hcsindum ediscat , et habeat in ore

Tiig ò afirnt; i Spara.

m

M. T. Cicero Epist. L. VI. 18.

AI FELICISSIMI SPOSI

SIG. ANGELO LORENZO GIUSTINIANI REGANATI

ED

ELENA TIEPOLO PP. VV.

LUIGI LANZI.

JLJsce finalmente a luce l'Esiodo tradotto co- me il meglio io seppi e comentato ; libro annunziato da altre penne al pubblico fin dall'anno 1773. e per non so quale timidità trattenuto sempre fra le opere inedite in- sieme con la Bucolica di Teocrito , e con Ca-

VI

tulio da me similmente volgarizzati . E parto di un mediocre ingegno , ma diligente ; che per molti anni è ito migliorandolo ; ed ora il produce solo per ubbidire ad un Signore di merito conosciuto fin da prim' anni , cui non seppe non compiacere . Era l' Esiodo destinato a solennizzare le faustissime vostre nozze ; ma se più tardo , comparisce ora più lieto per festeggiare la nascita recente di un infante amabilissimo, che rassicura la progenie de' Giustiniani , illustre nella Storia di XV. secoli ; al quale , crescendo , non sarà men che utile fatto libro . Sappiam de' Ro- mani, che a' tempi di M. Tullio da esso in- cominciavano la prima istituzione de'fanciulli ; non trovandosi fra gli antichi altro più adat- to ad inserire per tempo giuste massime di morale con maravigliosa chiarezza, brevità, ed eleganza . Il metro, in cui è tradotto, ajuta a ritenerne i precetti a memoria ; e le co- piose note, ond'è corredato^ servono ad emen- dare i pochi errori, che la superstizione vi mescolò , ed a sviluppare i semi , quasi dissi ,

VII

di ogni scienza che 1' accorto Scrittore vi spar- se per entro . Così l'opera è ridotta , pare a me , utile , e dilettevole alla prima età puerile ; purché da savio precettore sia instrutta. Per- ciò anche ho scelto un modo di scrivere piano , per quanto il libro lo permetteva, e facile; senz' ambizion di correggere, e di citare mol- ti testi greci e latini ; contentandomi di ac- cennare per lo più i luoghi ove sono inse- riti ; affinchè egli abbia il piacere di riscon- trargli e giovarsene in età più matura .

Vi troverete più volte biasimato il sesso donnesco , ragione per cui non parrebbe be- ne intitolato a sposi così felici . Ma oltreché ad un Poeta non tutto si vuol credere ciò che dice , sarà per 1' uno di Voi una vera consolazione V essersi abbattuto in una don- zella , eh' è al coperto , pe' suoi egregj co- stumi, di ogni biasimo; e per l'altra di Voi sarà un vero piacere il considerarsi immu- ne da quelle tacce , che si danno a tante e tant' altre ; e amendue godréte "ro vedervi adombrati in quella sentenza ( v. 702. ) che

Vili

V nomo non ha sorte migliore 'che trovar buona la Donna , con cui si lega . Nel resto entrando voi ora in una vita, che vi costi- tuisce padre e madre di famiglia, vi trove- rete precetti acconcissimi alla condizione vo- stra ; ed in tanto numero , che alcuni dotti han riposto il libro fra gli economici piutto- sto che fra' georgici .

Gradite ^ umanissimi Signori, le mie qua- lunque fatiche , e sianvi testimoni perenni del mio giubilo per la felicità che vi è tocca, di tramandare all' età future le virtù delle vostre famiglie quali le riceveste dagli esimj e incomparabili genitori, ed essi da' loro avo- li celebri fin dal nascere della patria vostra. Vivete felici .

DELLA VITA E OPERE

DI

ESIODO ASCREO.

E.

Illa è sciagura comune di que'che vissero in Grecia prima del cominciamento delle Olimpiadi, che quasi nulla dai poste- ri se ne sappia , che non sia deformato dalla favola , o sogget- to a gravissime controversie. Delle memorie di tali Uomini non erano compilate storie dai loro contemporanei; n'era deposita- ria la fama pubblica; e ciò, che male udito avea da' maggiori, peggio raccontava a' minori. Esiodo, ed Omero sondi quest'epo- ca; end' è che le notizie loro raccolte dopo lor morte non han più fede di quel che abbiano i romanzi, se non vi entri di mez- zo la critica a sceverare il dubbio d-A certo, il vero dal falso, e, come dice Plutarco nel suo Teseo, a far che la favola ripurgata col raziocinio prenda sembianza di storia.

Il secolo, la patria, il lignaggio di quegli antichi, che vis- sero in molta gloria, son cose il più delle volte conosciutissime: ma in Omero, e in Esiodo sono altrettanti punti di storia. Noi per ovviare ancora alla stucchevolezza consideriamo nelle an- notazioni molti di que'dubbj circa Esiodo, che son fondati nelle Opere, e nelle Giornate: giacché in questo libro, egli poeticamente, ma pur diede alcuna relazione di sé, e delle co- se sue. E ordendo fin da principio si fece originario di Cuma Eolide (a): ove subito nasce questione s'è' fosse, o parente di Omero. Lo afferma Eforo ; dicendo che Atelle, Meone, e Dio Cumani erano fratelli; de' quali Dio il padre di Esiodo,

{a) Oper. v. 636.

2

passò in Ascra ; Atelle morto in Cuma lasciò Criscide, onde nacque Omero , non in Cuma , ma a Smirne , ove Criseide si era condotta (a): così Omero sarebbe nipote, non carnale, siccome parlano, di Esiodo. Taccio per ora di Proclo (/>), e della genealogia che ne tesse. Ma Eforo, il quale a giudizio di Seneca spesso è ingannato, spesso inganna (e), non sia atteso, specialmente oveaCuina sua patria vuol procacciare un decoro specioso, qual è farla autrice dc'duc poeti più nobili della Gre- cia; e men fede merita dopo che Leone Allacioha invincibilmen- te mostrato, che la patria di Omero fu Scio. Così tolta fra que- sti due la comunione della patria , svanisce ancora ogni co- munione di sangue.

Più difficile è a decidere la età loro; e con quale inter- vallo di anni e' vivessero; questione agitatissima fra gli Antichi, come si raccoglie da Seneca, Luciano, Pausania, Sesto Empiri- co, che non si fidano di definirla (i) . Alcuni, fra' quali è Ta- naquille Fevre nella Storia degli antichi Poeti, fanno Omero molto di Esiodo più antico: Poifiiio, ed altri degli Scrittori letti da Snida (V) lo fanno anteriore di circa 100. anni, Vellcjo P.iter- colo (jf) di cent) venti, Solino (g) di centrentotto, Gio. Tzetze di 3^4. (li), Catone presso M. Tullio nel libro da citai si po- co appresso, di molti Secoli. Ma l'opinione più vera, e più dai moderni seguita è che insieme vivessero, la qual è assai ben provata dal Longooiontano, dall'Orsini, dal Vossio, dal Dod- wello, dal Quadrio, dal Robinson. Essi fondatisi sull'autorità, degli Antichi, i quali pressoché tutti, per quanto Gellio avea letto (/'), concorrevano tu questa sentenzi, o che convivessero nel medesimo tempo , o che Omero fosse di poco ad Esiodo anteriore: e noi lo sappiamo espressamente di Erodoto (Ir), di

(a) Vttlg. Plutarchus ile vita Homeri . (b) In vers. 299. (e) Naturai. Quacst. Lib. VII. cap. 16. (d) San. ep. 89. Lue. in encomio Demosth. e. 9. Paus. in Boeot. Sex. Emp. lib. cont. Gram. p. 259. (e) Suid. v. 'H»/»*»f . (/) Lib. I. estremo, (g) Cap. 4- Polyhist. (h) Cbil. XII. cap. 3po. (i) Lib. XVIF. e. 21, (k} In Euurpe .

3 Vairone (a), di Cassio (b), di Plinio (e). E Plutarco (d), Filostra- to (e), Dion Grisostomo (f), Libanio (g) non solo dicono, che vissero, ma che cantarono insiememente.. S. Cirillo Alessandri- no (h) li fa vivere 165. anni dopo la presa di Troja , Clemente Alessandrino (/') circa a 200. anni ; e que' che segnano il tempo del Regno di Salomone, o di Roboamo, come S.Girolamo, Sincel- lo, Cedreno , Faculfo, non iscompagnano l'uno dall'altro. gli scompagna il Carli, che ha fatto il calcolo delia età di Oine ro, e di Esiodo riporcandogli all'anno 906. avanti Gesù Cristo. Veggasi la lettera di lui al Tartarotti pag. XXXV11I. e segu. e notisi con quale felicita, e come ben combinando un luogo di antico ed un altro provi il suo assunto.

All'autorità degli Antichi si aggiugne il computo astrono- mico, che su l'asserzione di Esiodo, a' cui tempi l'Arturo na- sceva 60. giorni dopo la bruma, si asserisce, non poter essere ciò avvenuto, che 900. anni in circa prima dell'Era cristiana: o 953. come vuole il solo Riccioli . Ma al 000. in circa si rapporta la età di Omero, e di Esiodo giusta la numerazione di Erodoto, e di molti de'citati autori: il qual computo dee leggersi confer- mato presso il Robinson, che fece farlo giusta il dato astronomi- co dianzi detto a Giuseppe Atwel astronomo insigne. Aggiu- gni quelle leggi di Critica, che dallo stile di due Autori argo- mentano, che fra l'uno e l'altro non potè correr gran tempo, le quali in Esiodo, e in Omero maravigliosamente concorrono. Aggiungasi la età avanzata di amendue . Omero morì di 114. anni . Esiodo dovette viverne ancor più , quando la sua vec- chiezza al par di quella di Nestore restò nella Grecia in pro- verbio (/). Adunque è troppo ragionevole il supporre, che per qualche tempo insieme si abbattessero a vivere, se non pon-

(a) Ap. Gellium lib. III. cap. II. (Z>) Ap. Geli. lib. XVII. cap. 21.

(e) Confer librum ejus VII. cap. 16. et 1. XIV. in praef. (d) Symp. V. p. 675. (e) InHeroic. cap. 18. (/) Or. II. de Regno . (g) Lib. A poi. Socratis . (h) I. li- bro contva Julianum p. n. ({-) I. libro Stiomatum pag. 089. (k) V. Suicìam V. 'lÌTtéJtiov >>ì?aj .

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ghiaino fra di loro una smisurata distanza di tempo, la quale

e l'autorità e la ragione ci vietan di ammettere.

.. Più oscura cosa è a decider se Omero nascesse prima o dopo Esiodo. Ne fu questione fra gli Antichi, su la quale sap- piamo avere scritto in fra gli altri Eraclide Pontico , e nei suoi scritti aver profittato da Camaleonte (a) . In questa dispu- ta la maggior parte degli Autori l'anteriorità ad Omero: ma non perciò è decisa la lite. Quei più, che dicono Omero nato prima di Esiodo, sono dietro Giuseppe Ebreo tutti que'Pa- dri che considerano Omero come il primo Scrittoi- profano, che ci rimanga. Non è però da trasandare in proposito di loro, e di alquanti anco de' Gentili, che tenner la stessa sentenza, la ri- flessione, che dopo Sesto Empirico (/>) fa Leone Allazio: Scmper magna ingenia praeferuntur ; et uti priora laude, ita prima, licet posteriora aetate, judicantur (e). Senza ciò avverto il primo, che i più Antichi favoriscono Esiodo rammentandolo innanzi Ome- ro, come Erodoto: 'Ko-io&v nat "0/j.npov due volte (J) . Lo stes- so fanno nominando i più antichi Poeti con quest'ordine: Or- feo, Museo, Esiodo, Omero; lo fanno io dico, Platone (e), Ermesianatte (/) Cicerone (g) Aristofane (A) ; ove lo Scolia- ste avverte eòe, 7rpcóin ovroc, 'Hcnóìa ftt (jlvyìtcu , uti prius IJomero existentis- Hesiodi meminit . è da sprezzar Eforo , che quan- tunque pei- favorire la patria ne facesse oriundi i due gran Poeti ; nondimeno fece Zio di Omero il nostro Esiodo, avendo potuto fare il contrario/ ma lo rattenne la pubblica persuasione dell'an- teriorità di Esiodo. Lo stesso dee dirsi dell'Autor del Certame fra Esiodo, e Omero, che non avria fatto il secondo pronipote del primo, se non avesse avuta la famapublica più conforme all' anteriorità di Esiodo. La quale fu di anni quasi 30., se vale l'au- torità de' marmi arundelliani, eh' è stimata gravissima. L'autor di essi vivuto circa un secolo dopo Eforo par persuaso della sua opi-

(a) I.acrtius in He radici e . (b) Loco citato. (<-) de Patria Homeri T. e. 5. {>!) In Euterpe. (•) In Apolog. Socratis . (/) Ap. Athenaeum lih. XIII. pag. 5p2. [g) Lib. I. de Nat. Deorum cap. i5. (h) In Ranis v. ic65.

5 nione, scrivendo così: à<p « 'Ha-foJos indi'ti, ìth Th H Ta A A . . .

ove i dottissimi Interpreti del Monumento suppliscono un A, e fanno: Ex quo Hesiodus floruit ,anni DCLXX. di poi 'A<p'a "Ounpc<; ìqdvfl, '{vi TtìAAAAlll, Ex quo Homerus floruit , anni DCXLIII. Quest'autorità de' marmi arundelliani ignota al Petavio , che però mise Omero mille anni in circa prima di Cristo, ha maravigliosa- mente persuasi i moderni, Robinson, il Carli, l'Arivabene, i quali o espressamente si son dichiarati per l'anteriorità di Esiodo, o han mostrato di propendere a questa sentenza. Special men- zione dòggio far del Co. Zamagna, il quale nella bellissima edi- zione del suo Esiodo tradotto in latino, e publicata l'anno 1785. si degna di annunziare questa mia opera; e per la maggior sem- plicità che scuopre in Esiodo , e per l' autorità de' marmi arun- delliani, inclina a crederlo anteriore ad Omero.

Oppongono, che a Salmasio (a) parve Omero men colto, e per conseguenza più antico. Rispondo, che il paragone non vuol farsi tra l'Iliade, e lo Scudo d'Ercole, opera secondo Lon- gino il criticissimo, per lo meno sospetta ; ma fra l'Iliade, o l'Odissea, e le Opere, e le Giornate, lavoro certo di Esiodo: e in questo alcuni presso il Vossio (b) e Giusto Lipsio nel pri- mo libro di Patercolo riconoscono in Esiodo majorem simplici- tatem, et rudiorem antiquitatem . Il giudizio è si comune a' gior- ni nostri, che l'Ab. Lenglet (e) appoggiato su di esso sen- za più l'anzianità ad Esiodo . Sebbene , a riflettere col Fa- brizio (i) in una età vicina, qual comunemente si mette fra Omero, ed Esiodo, non si fi una variazione così grande di stile, che possa conoscersi chi sia primo, chi sia secondo. Ma, ri- pigliano alcuni e antichi, e moderni, fra'quali il Bogano (e), il Fevre (/) , l'Osservatore britannico (g) , ed altri, sono in Esio- do alquanti versi presi , o imitati da Omero con certa servi- fa) In Solinum pag. 867. (b) De Poetis Graecis pag. II. (e) Tavol. Cronol. Tom. I. pag. 270. (d) BiM. Gr. fib. I. cap. i3. pag. 87. (r) De Ho- mero et Hesiodo hebraizonte in Appendice . (/) In vitis Poet. Graec.

{g) Tom. II. pag. 314.

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l'ita, che fa comparirlo vero emulatore di quel grand' Uomo. Ma, ripiglio io, i versi, opposti chi può dire che non sian de- rivati da qualche poeta più antico, da cui amendue gli abbian attinti? Chi può dire, che non siano intrusi in Omero istesso dal- le opere di Esiodo, o in Esiodo dalle opere di Omero? Certo so- no in Omero moltissimi versi, che l'Antichità ebbe per sospetti, e l' edizione del Villoison ce ne rende certi ; e di Esiodo pronunzia il Ruhnkenio nella seconda Lettera critica, che niun altro poeta è stato più spesso interpolato. Chi dunque può asserir con certez- za, se que' versi prima sieno stati nell'uno, o nell'altro? E di al- cuni mostro nelle note, che deon essere stati prima in Esiodo. Più sottile è l'objezione del Clarke (a), il quale osserva, che Omero usando 2jo. volte la voce x.a.'Xòq sempre ne fa lun- ga la prima sillaba; ov' Esiodo spesso la fa anche breve: fa an- che brevi doricamente l'estreme sillabe di xt/p<z$ ec. che Omero avea sempre allungate: e la estrema di eVap/.-ò? similmente sem- pre lunga in Omero, abbrevia al v. 674. delle Opere, e Gior- nate. Adunque fu egli, come dice Tullio, molti secoli inferiore ad Omero; e si valse della maniera di pronunziare introdotta più recentemente. Ma con buona pace di grand' Uomo, dice il Robinson, dalla prosodia de'due Autori niun argomento, che stringa, si può dedurre. Se vi fossero altri poeti, che stabil- mente avessero seguitato Omero, potrebbe sospettarsi del tem- po di Esiodo; ma non ci essendo, chi ci assicura, che questi non abbia seguite altre regole di prosodia, e pronunziato a nor- ma del suo paese , piuttosto che di Omero ? Quanto a Cicero- ne, osservo io, che mal si applica la sua autorità alla questio- ne presente; giacché non è egli, ma Catone che dice: Home' ras multis, ut mini videtur, ante saeculis fuit etc. (b). Ciò può aver tratto Tullio da qualche opera smarrita di Catone . Nel resto era troppo illuminato il suo secolo, e troppo da Cor- nelio Nipote istruito nella Cronologia (e) per non mettere fra

(a) In II. B. (/,) DeSenectwtfl cap. XV. (e) V. Gellium 1- XVII. e. zi.

1

l'uno, e l'altro Poeta tanto intervallo di tempo; e noi, dove Ci- cerone parla più di proprio sentimento, lo abbiam citato co- me f tutore della nostra sentenza.

L'Einsio oppone qualche vocabolo usato da Omero in un significato, e da Esiodo in un altro; come T-v.fxa.lpop.au, che presso Omero significa compiere, presso Esiodo volere, o pensare. Ma in significato di pensare V usò anche Omero , come nella Iliade H^o. onde svanisce la difficoltà. Similmente dal non trovarsi presso Omero la voce fó/uog, e presso Esiodo sì, nulla può conchiu- dersi a favore dell'anteriorità di Omero, presso cui non è da pretendere di trovar tutta la greca lingua ; come bene asseri- scono il Clerc, e il Robinson: ma di ciò meglio nelle note.

Spacciati di questo dubbio, veniamo all'altro della vera patria di Esiodo , se fosse Cuma, o Ascra. Pare che ne dubitas- se Virgilio, e perciò ora chiamasse Ascreo, orCumano il Poeta Esiodo (a). Strabone al contrario (b) , Stefano Bizantino (e), Sui- da (i) lo fan di Cuma, alla qual sentenza piega il S.ilvini nel Comento di Eustazio aggiunto al Politi (e), e dice che chia- misi Ascreo dal luogo della educazione : praesrantius enim est educati , quam nasci . Tuttavia contrario è il maggior numero dei Classici, fra' quali è Ovidio mentre scrisse di Ascra: At file- rai terra genitus qui scripsit in illa (f), e Vellejo Patercolo (g), che Ascra chiama sua patria patriam a qua erat mulctatus . A'quali si può aggiugnere l'Epitaffio di Esiodo nell'Antologia (h) Acrupouoy yn'ivìv 'H<r/oJci> nctri^co, Ascraeum genus HesioJum claudo. Più di tutto mi fa forza il detto del Poeta stesso, il quale attesta di non aver fatto altro viaggio marittimo, che quello a Calcide. E quegli, che il fan di Cuma, possono spiegarsi quan- to alla origine, come quel di Properzio, che chiama Augusto: longa servator ab Aiba. In Ascra dunque luogo, come osser- viarn nelle note, non così spregievole, come par che il de-

(a) Ecl. IV. v. 4. Ecl. VI. v. 70. fi) Lib. XIII. pag. 622. (e) V. Ktfftn . (d) V. 'Hr/ocfoir (e) In Prooemium . (/) De Ponto lib. IV. Epist. 14. vers. 33. (g) Lib. I. extremo. (Ti) III. 25.

8 scriva Esiodo, venne Dio padre di Esiodo, o fosse per omici- dio, o fosse per debito, o fosse per desiderio di migliore for- tuna; giacche queste tre sentenze han ciascuna qualche antico tutore . Quivi ammogliatosi con Picimede , generò Esiodo, e Perse; cui lasciò morendo in buono stato, e da non aver bi- sogno di altrui, purché con saggia economia custodisser l'ere- dità. Un'altra eredità n'ebbe Esiodo, se io non m'inganno; e fu un amor per le lettere, degno di essere insinuato da un che veniva dall'Asia; seppur non si dee dire, che Dio istesso avesse di queste qualche tintura, e al figlio la comunicasse. Certo è, che la Grecia rozza ebbe qualche principio di coltura di lettere, non dalla Etruria , come spacciano gli Etruscisti senz'al- tro fondamento che i sogni de'lor maggiori; ma dall'Asia, e nominatamente dalla Giudea, come prova il Bogano nel dot- to libro: de Ho mero htbraizonte , e il Mazzochj nello Spicilegio, ove tratta del creduto Orfeo, e de' suoi versi (a). Ma ebbelo per mezzo della Fenicia, di cui molte colonie furon nella Beo- zia. Quindi Esiodo potè secondo Cedreno scriver rat (poiviKct res Phoenicum, e par da intendersi delle donne fenici che in- serì nelle sue Eee. (b) . Non nego però, che dalla Grecia an- cora qualche cognizione potesse trarre; come qualche insegna- mento morale, che Piteo savio antichissimo della Grecia la- sciato avea, e ch'Esiodo ha innestato nelle sue opere (e) . Così parte per cognizioni estere, parte per greche giunse Esiodo a formarsi in testa un tesoro di notizie, per cui la Grecia gli il titolo di a-otpò;, come fa Platone nel IV. de Repub. , Te- mistio presso Stobeo al Serm. 119., Dione Crisostomo alla ora- zione settima; ed altri lo accumolan d'altri clogj .

Che che siasi di ciò, Esiodo finge che il suo sapere tut- to gli venisse dalle Muse. Era Ascra situata alle radici dell' Elicona, luogo assai atto a' pascoli; ed Esiodo in quelle valli pascea il gregge, professione onorata anche da' figliuoli de'ie-

(c) Pag. 1. (V) Cedren. paulo post initium . (e) Plut. in Thcsco .

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ne' tempi eroici (a), cioè dugent'anni innanzi. Ivi gli appar- vero le Muse , e rampognatolo dell' oziosità , gli porsero un bel ramo d'alloro, e gl'inspiraron l'arte di cantare il passato, e d'indovinare il futuro. Tanto dice Esiodo stesso (b); e dee prendersi per poetica finzione, come se un magnano dicesse di essere stato da Vulcano istruito nell'arte sua. Ma quantunque per finzione l'interpretasse e Pausania (e), e Aristide (i),e Mas- simo Tirio (e); molti più mostrano, che la tennero storia, siccome Dionisio Alicarnasseo, Libanio, Celso (/), e gli al- tri che di tale credulità son da' Padri della Chiesa derisi, e bef- fati. Taccio i Valentiniani, i quali giudicavano Esiodo il Pro- feta della gentilità (g) . Sinesio racconta il fatto altramente: dice che addormentatosi Esiodo, sognò di parlar con le Mu- se (/i) , e destossi poeta; Niceforo, che le Muse gli dessero a mangiar dell'alloro (/); Alceo nell'epitafio, che gli desser bere da' sacri fonti d'Elicona (k) ; Virgilio che lo regalasser d'una sampogna, col cui suono traesse le querce (/) . Ne questo solo : ma di così poco seme , come il Casaubono riflette (m) , nacque una messe copiosissima di favole, di cui i buoni Poeti, e più spesso i cattivi, fecero uso nei loro componimenti. Anco il Ci- terone, e il Parnaso divenner sedi delle Muse, perchè all'Eli- cona vicini; Plppocrene, l'Aganippe, quanti fonti, o fiumi so- no per que' paesi divennero prodigiosi a formar poeti; ognuno, che sapesse far versi gloriavasi di aver sognato in quegli antri; ogni alloro gustato potea formare un poeta ; ogni pastore era allievo delle Muse in poesia . Omero non ne fece mai motto , o che sdegnasse cose nuove, o che non le avesse udite. Esio- do ne disse il poco che abbiam contato; e di quel poco nacque

(a) Homcr. Odys. XIII. 223. (6) Theogon. v. 22. (e) Pag. 589. (d) Paneg. Romaep. 398. (e) Dissert. XXI. ( / ) Dion. Hai. de Panegyr. Liban. pag. 348. Celsus ap. Orig. contra eurulem lib. II. {g) Nat. Alex. tom. V. pag. l3. (h) Synes.de insomniis pag. l36. edit. Petavianae . (i) Niceph. Comment. in Synes. pag. 371. (fc) Alcaeus Antholog. lib. III. cap. 25. (Z) Virg. ecl.VI.v. 70. (m) Casaub. in prolog. Peisii.

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IO

il molto, che i posteri fiuser di lui; il moltissimo, che finser di altri . Così è avvenuto di altre favole , che semplicissime da principio, a poco a poco crebbero a dismisura.

Qualunque fosse la scienza di Esiodo, e comunque acqui- stata, nulla gli giovò nella lite ch'ebbe con Perse suo fratello, il quale, morto il Padre, con donativi guadagnò i giudici, sic- ché gran parte dell'eredita toccasse a lui in pregiudizio del Poe- ta . Egli se ne querela nella favola del rosignuolo afferrato dallo Sparviere, di che noi a suo luogo. Qui a decoro di Esio- do diremo, che non lasciò di ajutare il Fratello comunque in- grato, comunque discolo, e con le sostanze, e co' consigli; al qual fine compose il libro dell'Opere. Ebbe pur molestie da un tal Cercope, che fu quasi il suo Zoilo, sprezzato però da Tommaso Maestro, quasi un Marsia, che vuol dar briga ad Apollo (a). Ev rammentato ancor con disprezzo da Laerzio (b). Sebbene io non so persuadermi , che fosse da poco un Uomo, di cui dubitavasi da' Grammatici , che fosse autor dell'Egimio, recato da molti ad Esiodo (e) . Ciò che potè opporsi al nostro Poeta fu una cosa sola; cioè ch'egli non sapesse suonar la ce- tra; motivo per cui presentatosi a'giuochi Pizj ne fu esclu- so (<i) . Suo costume fu cantar tenendo in mano un bastone, o ramo di alloro; il quale se spogliato di fronde diceasi px/2josy a cui aggiunto àj» , si chiamasser quasi pa.fi Svcoì que'che can- tavano con esso; vestito di fondi diceasi xAa'Jè?, come divisa il Bonarruoti (e). E tanto fu proprio d'Esiodo questo ramo, che con esso in mano lo effigiavano sempre i pittori, e gli scultori; sicché Pausania disapprova una statua di lui, che in vece del ramo teneva in mano una cetra (/).

Col ramo dunque prcsentavasi alle feste, nelle quali sole- va cantarsi a prova; il qual esercizio, utilissimo alla gioventù, vuoisi da alcuni, che cominciasse in Grecia a' tempi d'Esiodo.

(a) In Argum. Ranarum Aristophanis. (b) In Vita Socratis p. 44. (e) Athe- naeklib. XI. pag. 5o3. (d) Pausan. pag.620. (e) Vetri pag. 221. (/) Pag. 585.

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E^fama, che con Omero gareggiasse in Delo, di che si allega un frammento troppo sospetto (a). L'anonimo autor del contrasto fra Esiodo, e Omero gli fa anco competere in Aulide; notizia similmente incerta, perchè ci vien da lui forse solo. Più ragio- nevole è il credere, che ciò avvenisse nell'esequie di Alcida- mante in Calcide, il quale essendo Re di quella Citta, e di tut- ta Eubea, oggidì Negroponte , volle assalir gli Eretriesi con flot- ta navale, e combattendo ivi morì. Gannittore figliuolo di lui, e successore fece bandir giuochi funebri, e premj solenni per le sue esequie; ove infra gli altri dandosi luogo a' poeti di con- correre, dicono che Omero, ed Esiodo gareggiassero in cantare a prova. Così racconta Plutarco (b) , Filostrato (e) , Temistio (d), Libanio (<?) , Gio. Tzetze (/) citati dal Fabrizio , il quale in vi- sta di bel numero di antichi non osa negare il fatto (g) , sic- come pure fan Dodwello (A) , il Quadrio (/'), il Robinson (£), che soli cito, perchè la questione esaminarono a fondo, e il lor vo- to è di sommo peso. Quanto alle circostanze essi non le garan- tiscono almeno tutte ; essendo dagli autori raccontate diversa- mente. E in prima Tzetze vuole ch'Esiodo non si cimentasse col grande Omero, ma con Omero Focense figliuolo di Eufo- rione distante per ben quattro Secoli da Omero il grande : la qual sentenza, comecché paja probabile al P. Politi nel proemio del suo Eustazio , in vigor delle cose già dette non può ammet- tersi. Altre circostanze si trovano, compendiate nel libro, che ha per titolo: 'O/Mw'pa, x) 'Ho- Su dyàv Homeri ,et Hesiodi concerta- tio-, che dato in luce dallo Stefano nel 1573. è stato dopo lui riprodotto dal Barnes, e dal Robinson. E questi benché veggano , che dee essere stato scritto dopo Adriano quivi nomi- nato; pur non gli derogan fede, potendo contener cose discese da antica tradizione, o da antichi scritti. Adunque in questo

(a) V. Robinson, in diss. JeHesiotlo. (b) Vid. Symposiacon V. pag. 6l5. (a) In heroicis pag. l'ìi. (d) Or. II. de Regno. (e) Apologia Socratis . (f) Prolegom. in Hesiod. (g) B. G. L. II.cap.8. (h) Dissert. de Cyclis Graecor. (i) Quadrio voi. IV. (k) Dissert. de Hesiodo .

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Opuscolo si fanno interrogazioni in verso, e in verso risponda- si presso a poco come fan Dameta , e Menalca appo Virgilio, cioè senz'ordine, e senza metodo: sempre si dan le parti d'in- terrogare ad Esiodo, di rispondere a Omero; e si fa con tanta profondità, e buon modo, che ben si vede l'Autore essere par- titante d'Omero, e averlo voluto anteporre ad Esiodo. Ma Le- sene presso Plutarco (a) racconta diversamente, e dice , che avendo prima recitato l'uno, e l'altro versi composti a bell'agio, piacquero ugualmente, e metteano in forse la vittoria, finche Omero propose una questione, ed Esiodo con molto spirito la sciolse, e così vinse.

Un'altra particolarità, in cui l'Anonimo autor dell'Opusco- lo discorda da Plutarco, e a Filostrato, e a Tzetze conformasi, è questa; che ove Plutarco ascrive la vittoria ad Esiodo in vi- gor de' versi repentini , egli vuole, che dopo essi il favor del pub- blico fosse per Omero; ma che Panide fratello di Anfìdaman- te, e uno de' giudici , comandasse in oltre, che ognun de' due re- citasse qualche tratto delle sue poesie meditatamente com- poste; e ch'Esiodo scegliesse quel passo della sua Gcorgica : nAtf/a'cfW 'ArXiayiviCDv Ì7rmWofxiva.tov etc. ed Omero dopo lui quell'altro della Iliade N. v. nó.'Afnp/ J' a.$v Kiwictc, JW? 7<rxvn ^d'hctyyic, etc. o come vuol Tzetze, cinque versi più sotto; che agli altri sembrasse aver prevaluto Omero ; al solo Panide pa- resse miglior Esiodo in quanto avea cantate non le arti della Guerra, ma quelle della Pace tanto migliori: e che per tal me- rito il coronasse, e gli desse il tripode.

Se ad alcuno paresse strana tal risoluzione, io non dirò con Filostrato grande ammiratore della Esiodica soavità, ch'Esiodo prevalse pel miglior talento di gestire (b) ; con Dione Crisosto- ; ino, che ciò avvenne per colpa degli astanti rozzi, e leziosi (e); col Fabrizio, che Omero già vecchio potè esser vinto da Esiodo giovane, come Eschilo da Sofocle (<*). Nò, niuna di queste rispo-

(a) Conv. Sapient. pag. 1 54. (i) Loco cit. (e) Orat. XXX. (<f) Loco cit.

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ste può sodisfare, almeno compiutamente. Risponderò piutto- sto, che simili posposizioni de' dotti a'men valenti erano comu nissime, fosse per cabala, o fosse perchè la miglior voce, e la migliore apparenza affascinasse i giudici . Euripide autor eccel- lente di 25- > ° come altri volle di 92. tragedie vinse in 5. sen- za più. Menandro vinse solo 8. volte, e fu superato da File- mone. Pindaro, ciò che appena si crederebbe, fu 5. volte vin- to da Corinna . Per simil guisa potò ad Esiodo cedere Ome- ro; né senza infamia di Panide; il quale per quanto si applau- disse di aver dato alla Grecia un buon documento morale, chele opere della pace prevalgono a quelle della guerra, ella non glie ne seppe ne grado, ne grazia ; anzi inventò il proverbio UavUou ■\.H<poq Panidis suffragium in proposito di coloro, che tortamen- te giudicano ; siccome diligentemente spiegarono Erasmo , e Manuzio. Il vincitore poi alle Muse consagrò il tripode , ag- giuntavi una iscrizione, dice Varrone presso Gellio (a), e non pochi altri ; il cui senso era questo : A le canore Muse a" Elicona ,

Poiché in Calcide ha vinco il div Omero Nel canto, Esiodo vincitor lo dona (b). Ma il tripode conservavasi fino a' tempi di Pausania (e); l'iscri- zione non già; altrimenti egli non avria detto, che dopo ave- re investigato con diligenza molta il vero su la età de' due Poe- ti, non gli era riuscito di trovar cosa, onde decider la questio- ne. Bene dunque giudicò il Salmasio (d) , che quel titolo sia ope- ra di qualche ammiratore di Esiodo .

Sopravvisse il Poeta a questa gara alquanti anni, come rac- cogliesi dal libro de' Lavori, e delle Giornate, in cui senza no- minar Omero, ne fa menzione. L'Anonimo però, che descrisse il Certame, e Tzetze lo trasportali subito per mare in Delfo

(a) Lib. IH. cap. il. (e) Paus. in Boeol. pag. 58<f. et 588-

(Z>) 'HaYoJ'of Maa-aif'EXixuv/a-i -avi' ttvi'9-miv (ti) In Solin. pag. %6$. 'Tura v/x»'<70{ ìv XaXxiVJ'/ $itov "O/Uiifoy. Anthol. III. 25.

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a consultare l'Oracolo. S. Girolamo sembra aver avuta la me- desima persuasione, quando alludendo certamente al canto di Calcide così scrisse : Hesiodus , Stesicorus , Simomdes , grandes natu, cycneum nescio quid, et solito dukius vicina morte cecine- runt . Più verisimile è, ch'egli da Ascra passasse in Delfo, luo- go, ch'era in venerazione a tutto il Mondo; e che ivi secondo il costume chiedesse l'Oracolo. E l'ebbe, dice anche Tucidide grave, e verace istorico;e fu, che si guardasse daNemea, che ivi si apprestava il fine alla sua vita. Tanto dice Tucidide (a); e l'Anonimo ancora, il quale recitando l'oracolo, specifica anche più il luogo Aiòq N*jU«/« aXa-oq, Jovis Nemaei lucum ; il che Tu- cidide esprime pure in altra maniera : òv m à.iòc, tQ Ni/ueia tm /epa» : in Jovis Nemaei delubro. Esiodo, udito l'Oracolo, si guardò dall' andare in Nemea del Peloponneso, ov' era tempio, e bosco sa- cro a Giove; ma non riflettè, che nella Locride v'era la pic- ciola Citta d'Enoe, o Eneone, come la chiama Tucidide, la qua- le aveva l'istesso nome, per quanto dichiara Tzetze ; ix.ctXéira efe » 'O/vóti &/o<; NtfxeiH hpó». Vi venne dunque sicuro parecchi anni , secondo me , dopo il canto di Calcide ; ed alloggiò presso Gannittore suo ospite, e padre di Ctimeno, e di An- tifo, per nominargli coi nomi, che danno loro Eratostene (b), Pausania (e), Plutarco (i), e Suida (e): quantunque l'autor del Certame, e Tzetze al padre dicano Feseo l'uno, Fegeo l'al- tro; a' figli Gannittore, e Amfifone. In questo mezzo tempo av- venne, che una figliuola dell'Ospite, detta Ctemene fu violata; del qual delitto fu incolpato Esiodo, come contr'ogni apparen- za di vero affermano alcuni presso Pausania al citato luogo, non riflettendo che la buona morale, che spicca in ogni pagina del Poeta, lo mette al coperto d'ogni tale impostura. Più verisimile si è, che l'autor dello stupro fosse Demode, compagno di viag- gio d'Esiodo; e che al più il buon vecchio desse consiglio, e

(a) Histor. lib. III. pag. 238. (b) Ap. auctorem Ccrtaminis . (e) Pag. 58y. (<-') De sollema animalium pag. <?6p. (e) V. 'Hr/Woj.

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opera a occultare il misfatto; come Plutarco (a) racconta; dice però, che fu falso sospetto.

Furibondi i due giovani uccidono Esiodo (b), uccidono De- mode (e); uccidono un altro giovinetto, che accompagnavagli , chiamato Troilo (d) , il cui cadavere trovato presso uno sco- glio, gli die il nome di Troilo: finalmente la male arrivata fan- ciulla, dice l'autor del Certame, disperatamente si strangola (e). i due omicidi sopravvissero che pochi giorni : perciocché entrati in una barca peschereccia per sottrarsi all'ira de' loro concittadini, e dirizzatisi a Creta, nel viaggio percossi da ful- mine perirono, e si affogarono, come attesta Alcidamante nel suo Museo (/) . Ma niun tratto di questa lugubre storia è va- riamente contato, come la morte di costoro. Eratostene gli dice tornati dal viaggio di Creta, e puniti di morte in Enoe da Eu- ricle Aruspice secondo le leggi (g) . Pausania gli vuol tragitta- ti da Neupatto lor patria in Molicria, e quivi scoperti, e mor- ti (/i). Plutarco aggiugne, che furono gittati in mare, e le case loro demolite (/). Plutarco stesso, che più volte ne discorre, ove scrive il libro de sollertia animalium (k) , par che ivi suppon- ga, che nel bosco stesso di Giove ucciso fosse, e che gli omi- cidi fossero dal cane di Esiodo scoperti; o da' cani come emen- da Polluce (/) , i quali non partendosi dal cadavero dell'ucciso, non prima videro arrivarci colpevoli, che co' latrati gli pale- sarono. L'autor del Certame è d'avviso, che il corpo del Poe- ta fosse gettato in mare, ove raccolto da' Delfìni , il terzo lo depositarono a terra, quando i Locresi quivi ratinati cele- bravan la festa d'Arianna; e che gli uccisori morissero d'una tempesta: dal qual racconto Tzetze poco si allontana. Fra que- ste varietà di opinioni non vi è altra certezza, se non la morte sciagurata di Esiodo. Ed a molti de' Poeti grandi par fatale

(a) In Conv. septem Sap. p. 162. {b) Paus. et Plutaich. 1. e. (e) Eratost. ap. Auct. Ceitaminis. (d) Plutarch. Item auctor Certaminis . (e) Ap. eundem . (/) Ap. eund. (g) Ap. eund. (7i) Pag. 589. (i) In Conv. Sapienr. (fc) P. 969. (Z) Onomast. lib. V. cap. 5.

i6 morire sventuratamente. Il Barnes nella vita di Euripide ne tes- se il catalogo, che io credo di far cosa grata al lettore se lo ri- produco variato di poco. Cominciando da' più antichi, Orfeo morì lacerato in brani, Museo percosso da Alcide, Esiodo di ferro, Omero di fame, Anacreonte, e Sofocle d'un acino d'uva, Empedocle del fuoco etneo, Archiloco ucciso dagli assassini, Euripide sbranato da' cani, Licofrone di saetta, Teocrito di laccio, Terenzio di naufragio, Cornelio Gallo della sua spada, Lucrezio della stessa morte, Ovidio , e alcuni gli annetton Proper- zio, rilegato da Augusto, Seneca e Lucano svenati da Nerone. Ai quali se aggiungasi Dante cacciato in esilio, e i Poeti delle recenti nazioni d'Europa, morti sgraziatamente, il catalogo potrebbe aumentarsi non poco. Lasciò oltre il fratello, che Sui- da annovera tra i poeti , Mnasea suo figliuolo (a) . Filocoro ed Aristotile vi aggiungono Stesicoro (6) natogli da Climene , o Archiepe; che altri credon moglie di Esiodo (e); ma la patria, e la età di questo Poeta ci vietano di dar fede a tale sentenza. Per continuare il filo della interrotta narrazione , Esiodo per la sua celebrità fu dai Locresi pianto, e nel territorio di Naupatto non molto lungi ad Enoe, o Eneone sepolto. Qui Proclo (d) una notizia interessantissima dedotta da Aristo- tile nella descrizione della Repubblica degli Orcomenj ; ma la riferisce in guisa, che senza il sussidio di Pausania non s'in- tende pienamente (e). Narra dunque, che in Ascia entrarono i Tespiensi, popoli assai vicini ; e che misero a fil di spada quanti degli Ascrei poteron trovarvi. Una parte però di loro si rifugiò presso gli Orcomenii Minii, popolo inclito di Beozia, diverso dagli Orcomenj d'Arcadia. Quivi sorta una terribile pestilenza, mandarono per rimedio a consultare l'oracolo di Apollo Delfico; il quale per mezzo della sua Pizia rispose, che l'unico modo di liberarsene saria stato toglier dalla campa-

(a) Proci, et Tzetz. ad vers. Operum •»* t. (b) Ap. Scholiastas . [e) GyralJi in vita Hcsiodi. (ci) Ad v. Operum 640. (e) Lib. IX. pag. 600.

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gna di Naupatto l'ossa d'Esiodo, e traportarle in Orcomeno: il luogo dove giaceano sarebbe loro additato da una cornacchia. Gl'inviati tornando a casa, e passando da Naupatto, ov'era già ito in dimenticanza il luogo del sepolcro di Esiodo, trova- rono una cornacchia posata sopra di un sasso. Sotto il quale guatando vider l'ossa di Esiodo indicate loro da un epigram- ma (a), che tradotto qui riferiremmo, se vero fosse. Ma vi son nominati i Minii, cioè gli Orcomenj, e Pausania Io ascrive a Cherse lor cittadino e poeta: senza nome, e alterato alquanto si ha nel III. libro dell'Antologia greca. Or io lo credo piuttosto messo dagli Orcomenj, che nella gran città loro avean due tom- be veneratissime, quella di Minia autor della nazione, e questa di Esiodo. In luogo dunque di questo epigramma malconcio citeremo un altro epigramma dell' Antologia (b) , che in nostra lingua suona così : parla il sepolcro .

// grand' Esiodo Ascreo chiuder mi vanto,

Corona della Grecia, onor del canto. Alla tomba pure dagli Orcomenj avuta dopo quella di Nau- patto, e alla vecchiezza d'Esiodo, e a quel proverbio JV? 7rauSa; ti yipovTtt;, bis pueri senes , allude un bell'epigramma, che Sui- da ascrive a Pindaro; ed è questo (e).

Xoupt cf/s n'/SwVa? x) S/g rdipov àvT//2o\t(<rct<;

'HovocT àv9pa7rot<; fxirpov t^eov <ro<pi'ìit;. Salve Esiodo gentil, che due sortisti

Fanciullezze, e due tombe: e al maggior colmo

DeW umano saper fra noi salisti . Benché mi affretto a finire, dirò che il Gravina avrebbe vo- luto ci> ò.vB^cÌ7toic,, e perciò seguì la lezione tratta dal Cod. Vos- siano fxiTpa. %t av crotpi '«5, hominibus tradens modum sapientiae. Ma non veggo perchè abbiasi per sospetta una 'costruzione, che in Esiodo si trova (d) : à'peov ìpìlt; ''Axp» (xiv n <plpu /2ct- XcLvut; , fxea-a-n (liXia-trctq, in montibus vero quercus stimma qui-

(a) Paus. p. 600. (b) Lib. III. e. 25. (e) v. 'Hrioiot (d) Opera et Dies v.2o2.

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dem fert glandes , media vero apes; ove ovpìa-t è in luogo di ìp oupio-t. E il Fabretci (a) riporta dalle schede Barberine l'epi- gramma, e dalla Biblioteca vaticana la traduzione, che dice: humanae qui modus es Sophiae. Credetemi, o Lettore: gran par- te delle correzioni, che si fanno a lezioni approvate dal mag- gior numero de' codici, è così. Ed è insoffribile la licenza di questi Aristarchi, e di questi Zenodoti, che per ostentazione d'ingegno son prodighi de' lor obeli; e come a'poetiè lecito fin- gere ciò che vogliono; così loro par lecito scancellare negli au- tori e mutar ciò, che loro è in grado.

Vengo agli onori prestati alla memoria di Esiodo; che gran- di furono, e poco men che divini. Non ne abbiamo come di Omero, l'apoteosi in marmo; ma troviamo scritte cose non poche, ch'equivalgono a tal superstizione. Il principal fonda- mento era la fola, ch'ei fosse nato di Picimede moglie di Dio, e figliuola d'Apollo, come crede l'autor del Certame; e l'altra fola, ch'ei discendesse da Orfeo e da Calliope, come Proclo accenna. Ma senza ciò, la familiarità colle Muse, la scienza in- fusa, la fama de'delfini, che ne trasportarono il cadavere, face- vanlo riguardare come divino, eh' è il titolo, che gli da Plutar- co nel libro de oraculorum defectu. Per le campagne, almeno in qualche luogo della Beozia , era considerato come il Semidio de' Pastori; in sua lode cantavasi un inno oggidì smarrito; era in altre guise venerato al pari di Dafni nella Sicilia (Jb). Sopra lui era scritto un poema epico da Euforione, intitolato l'Esio- do, citato da Suida, e pieno, come vuol credersi, di titoli da tenerlo cosa più che umana . Socrate (e) riguardavalo come am- messo al ruolo de' Semidei, e fra coloro, che doveano nell'al- tro mondo fare il soggetto della sua beatitudine. Quindi le co- tante statue erettegli nelle Citta, e pe'Ginnasii. Pausania, che dovette rammentar le più celebri, una ne vide nella piazza di Tespia, una nel delubro delle Muse in Elicona, una nel tempio

(a) Inscript. dom. p. 6?5. (£) Faber inVitisPoct. Giacconi™, (e) V. Pla- tonis Apologiam.

di Giove Olimpico, accompagnata da quella di Omero, lavori ambedue di Glauco Argivo (a) . In Costantinopoli era una sua statua di bronzo in atto di cantare soavemente, di che l'Anto- logia (b) .

Da queste, e da altrettali statue crediam propagata la fiso- nomia di Esiodo; seppure si può dire volto di Esiodo un volto, che finto come quello di Omero ci fa supporre Plinio: Etiam quae non sunt , Jinguntur , pariuntque desideria non traditi vultus , sicut in Homero evenit (e), e in ogni altro soggetto, che sia vi- vuto prima della invenzione della pittura, e della perfezione della statuaria: quantunque Cupero si opponga all'asserzione di Plinio (d) , di che non è ora luogo da quistionare. La testa di Esiodo è molto difficile a rintracciare. Loesnero ne rapporta una, che io credo d'Aristippo, persuaso dal Vetro con nome antico di questo Filosofo, che pubblicai l'anno 1805. V'è una gemma nell'Orsini col nome H2IOAOC, che io tengo per im- postura, quantunque riferita da più d'uno ne'loro Esiodi. V'ha una testa in erma doppio, di Omero, e, come parmi, di Esio- do, nel dementino, ed una negli orti di casa Colonna; che si somigliano assai. Questo è il più sicuro Esiodo che m'abbia veduto. Egli è nominato insieme con Omero suo coetaneo da quasi tutti i Classici , ed è troppo connaturale , che anche ne'marmi si accompagnassero, com'eran usi di fare gli statuarj de' sogget- ti simili; unendo verbigrazia Milziade e Temistocle, Erodoto e Tucidide, Epicarmo e Metrodoro in ermi, o teste duplicate.

Passando dall'uomo al Poeta, cercasi primieramente se que- sto nome di Poeta gli sia dovuto. Gliel nega il Vossio, dicen- do, ch'egli è teologo nella Teogonia, e fisico nella Georgica(e). E parimente gliel negano il Castelvetro, il Varchi, il Minturno, il Rapino, il Bossou, e gli altri Critici italiani, e franzesi (/),sic-

(a) Paus. p.582. 585. et 33o. (b) Anthol. 1. V. e. 6. (e) H.N. 1. XXXV. e. 2. {d) In Homeri Apotheosim. (e) De artis Poeticae natura, (f) V. il Crasso nel- la Storia de' poeti Greci alla parola Esiodo, e Baillet ne' Iugements des Sa- vants tomo VI.

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come a quello che manca d'invenzione, e fra gli Epici ne fra* Melici, fra' Drammatici non ha luogo. Costoro però sembran regolarsi da' suoi più noti poemi; senza riflettere, che gli anti- chi il finn' autore di alcuni altri, in vigor de' quali è da com- putarsi fra' poeti. In fatti Platone non gli diniega tal vanto (a), Proclo, che presso Fozio il mette fra gli Epici (b), come pur fa l'Anonimo de rerum inventoribus publicato dal Fabrizio (e): flotti- mi 7Tivrs , "OjUwpoi;, 'Ho-toSoq, TL&o-a.vJ'pos, TIumv ' a<x /$ ■> Ai>Ti'iua.^og. Nel resto non è la sola mancanza della invenzione, e il non potersi ridurre fra gli Epici, o i Melici, che ad Esiodo contra- sta il nome di poeta; è anche la dicitura piana, naturale, e quel sorger di rado , come parla Quintiliano, raro assurgit Ilesiodus (J). Al che io rispondo, che non dee misurarsi lo stile di que' pri- mi poeti con ciò , che scrissero i poeti posteriori . Prima che venissero in onore gli Storici, e gli Oratori, bastava a' Poeti di- lungarsi dal comune uso di favellare, il che ottenevano mercè del metro; nel resto erano non curanti di certi ornamenti più gaj, che divertendo l'animo del lettore dalla immagine, che gli si dipinge, sciolgon l'incanto, che fabbrica alla sua fanta- sia una poesia che imita il vero a perfezione (e). Ed ecco in che sta il maggior merito di Omero, e di Esiodo, e di quan- ti altri scrissero in quella felice età, che lo Scaligero chiama primavera della poesia: descriver le cose con una inarrivabile naturalezza. La quale par soverchia in Omero e in Esiodo, specialmente per le molte repetizioni di una medesima frase, e talora di una medesima cadenza. A purgare Omero (lo stesso vai per Esiodo) di ogni nota di tautologia adduce varie ragio- ni dopo Mons. Boivin il Sig. Angiolo Ricci (/), e specialmente queste; che tal' era l' uso d'Oriente in que' primi secoli; che siccome il verso serviva al canto, era dilettevol cosa, che una cadenza fosse ripetuta con sobrietà nel medesimo tuono ; che

{a) Legum 1. X. (b) Photius pag. 982. (e) B. G. T. IX. p. 5y$>. (<f) tot. Ornt. 1. X. cap. I. (e) Gravina Epist. ad Maffejum . (/) Disscrr. in Homcr. VI.

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Macrobio stimava queste ripetizioni conformi al resto della poesia di Omero, che non le avria cangiate con le più studia- te variazioni de' recenti.

Ma dato, che ciò sia riprensibile , questa è colpa non della persona, ma del tempo in cui visse Esiodo, compensata da tante bellezze, che la fanno poco men, che scomparire. A lui si la palma, dice Quintiliano, in quel genere di dire, che si chiama mezzano (a), ciò che pure era stato il sentimen- to veneratissimo di Dionigio Alicarnasseo negli elogj, e può dirsi di tutta l'antichità. La soave armonia, che risulta dal suo verseggiare non solo è in ammirazione al predetto Dioni- sio (b) , ma a Quintiliano, e Vellejo (e); per questo Alceo pa- ragonò i suoi versi al latte ed al mele (d), per questo Ateneo (e) chiama Esiodo soavissimo , e Callimaco mellifluo in supremo grado (/). Per questo Demetrio Falereo, benché non lo nomi- ni, lo toglie più volte in esempio dello stil grazioso e gentile; ed Ermogene insegnando il carattere della soavità, e dicendo che nell'Jonico dialetto specialmente risiede, perciò, soggiun- ge , tanto piacque a Omero , e ad Esiodo . Che se Tze- tze (g) lo dice incolto, vacillante nel metro, scarso di pensie- ri, pieno di tautologie, indegno d'essere paragonato ad Ome- ro; l'Einsio ne fa buona difesa, e tutto rifonde nella poca pe- rizia del Critico (h) . Ne colpa anche al tempo, in cui Tze- tze viveva, e applaudivasi alle sue Chiliadi, che tutte insieme non vagliouo un verso del nostro Poeta .

Così avessimo noi i versi di Esiodo quali usciron dalla sua penna! Ma egli anche in questo è simile ad Omero, che i suoi versi per ventidue secoli stati in mano d'indiscreti, sian alteratis- s'imi. Scio enim, dice il dotto Ruhnken (/) neminem ex antiquis poe-

(a) Inst. Chat. l.X.c. I. (b) Tlefi àitftoj-S-. Javómms [e) Histor. lib. II. inultis- sima dui cedine carminimi memorabilis . (d) Anthol.III. 25. (e) Lib. III. p. il 6. Ma«W«mv. (/) Epigr. 29. MéX/XP9iiit«/. (gj ln Opera etDies v. 238. {h) Pag 95. (0 Epistola critica I.

M tis crebrius interpellatorum manus expertum esse , quam Hesiodum. I Rapsodi, cantandolo, ove qualche cadenza non era a lor mo- do, audacemente mutavanla ; come dopo gli antichi congettura il Grevio. I Critici, fra' quali Aristarco flagel d'Omero, e Plu- tarco Beoto prevenuto a favor d'Esiodo, sicché ogni neo gli sia una imputazione, spesso lo alterarono. solo ne sono stati es- clusi i versi creduti non degni di tant' uomo (ma che per esser uomo, e vivuto in tal secolo dovean lasciarsi), ma alcuni pure, che o non son citati, o citati variamente, o che sono in alcuni Codici, e in altri nò. Possiam però consolarci. Almeno abbiamo il testo di Esiodo quasi qual si leggeva nella età di Plutarco, co- me risulta da Proclo e dagli altri Scoliasti, che ne riferiscono le correzioni. Ciò non interviene in altro Classico, e ci risparmia il pensiero ordinariamente di fare altre congetture per emen- darlo. L'emendarlo consiste, se io non erro, in ridurlo quale era in quell'età. Da tutto questo io raccolgo quanto parca- mente nell'emendate Esiodo si deggia dar luogo a congetture. Non ci paja vero il ridurlo qual leggevasi a tempi loro. Os- serviam bene%i MSS. confrontiamogli, non ci partiamo dalla lor fede, se vogliamo recare ad Esiodo qualche vantaggio.

Seguita di dire delle poesie di Esiodo in particolare, la mag- gior parte smarrite. Tre ce ne avanzano, le Opere e Giorna- te, la Teogonia, lo Scudo d'Ercole. Fino a' tempi del gram- matico Tzetze , n'esistevano varie, parte vere, come dee cre- dersi, parte supposte; delle quali egli ne novera cinque nel prologo, e la sesta nel decorso del suo commento. Altre son ci- tate a nome da varj Greci, e Latini; le autorità dc'quali riu- nì insieme il dottissimo Giannalbcrto Fabrizio nella Bibliote- ca de' greci scrittori per tessere il più accurato catalogo che delle poesie di Esiodo vedesse luce (a). Esso regolerà ancora il nostro.

I. "Epytt $ 'H/uipcu- Le Opere e Giornate. Il più celebre, e il più stimato di tutti i libri di Esiodo, e per tradizion de'Beo-

(a) Fabr. Bibl. Gr. lib. II. e. 8.

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ti, l'unico ch'egli scrivesse; ma di esso a bastanza diremo

nella prefazione.

II. Qioyovlot.. La Generazione degli Dei. Questa poesia è ri- conosciuta per legittima da tutti gli antichi, specialmente da Gio. Diacono, e da un Anonimo, che ne fecer comento. Pausania solo deferì troppo alla tradizione poc'anzi detta, e appena citò mai la Teogonia, che non mostrasse di dubitarne, fino a dire, che ugualmente, che i versi di Lino, gli parea fal- sa (a). Ma non è questa difficoltà che meriti d'essere attesa.

III. 'A<T7rì<; 'HpoLKXiac, Lo Scudo d'Ercole. Ex la terza delle poe- sie che rimangonci sotto nome di Esiodo, su di cui abbiam le chio- se di Giovanni Diacono, e di Gio. Tzetze. Quasi tutti gli antichi il danno o per apocrifo, o almen per sospetto, fra' quali è il gran Longino, detto per certa eccellenza il criticissimo (b) 6 xpiTtxcJmrog, Le ragioni di tal sospetto posson vedersi nelle os- servazioni critiche degli eruditi Britanni del 1733. Ivi pure si trovano le risposte di un dotto Anonimo, alle quali il Robin- son aggiunse le sue l'anno 1737. nella nuova edizione di Esio- do. Per quanto si sieno ingegnati questi due bravi oltramonta- ni di rispondere alle objezioni addotte, quel libro, a dir poco, è sospetto molto.

Di queste tre opere colla giunta degli antichi Scoliasti fe- ce Daniel Einsio una bella edizione nel 1603. Fra gli Scoliasti manca il migliore, che fu Plutarco, quantunque e' sia nelle co- se, che deon supporsi le più interessanti, trascritto da Proclo. Mi dispiace di vedere nel catalogo degl'Interpreti d'Esiodo es- cluso Plutarco, mentr'è citato da Gellio il quarto libro de' suoi Commentar) in Esiodo (e) . Oppongono che questi libri non sien notati nel catalogo di Lampria (d); ma ciò non dee addursi per indizio d'essere spurj; avendo avvertitoli Fabrizio, che quel ca-

(a) Paus. in Arcadicis pag. 483. (b) Tanaq. Faber in vitis Poctarum Grae- corum opus illius non est: quod alila probare non contendo argumcntis , quam quod peritissimi antiquitatis illud numquam agnoverint,,. (g) Lib. XX. cap. 8. (d) Fab. B. G. tom. III. pag. 343.

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talogo non fu trovato compiuto, ma tronco e lacero. Oppon- gono, che la notizia citata da Gellio si riscontri nel trattato de Iside et Osiride; ma ciò non prova quel che Robinson, e prima diluì Lambecio, e Sdoppio, e Prousteo vorrebbono; che tal no- tizia appartenga a quel solo volume; potendo una stessa cosa cadere in acconcio di varj libri. Oppongono, che non trovasi ci- tato fuor che da Gellio il commentario di Plutarco in Esiodo; lo che è falso. Proclo e gli altri Scoliasti lo citano se non col nome, almeno nel sunto. Se in qualche cosa par riprensibile Plutarco, ciò è nella facilita di scancellare da Esiodo quel, che non gli pare perfetto ; ciò che pur riprendesi in Aristarco ris- petto a Omero.

Dopo Flutarco il primo per tempo e per autorità è Proclo Licio Diadoco, uno de' più accreditati uomini del suo secolo, che fu il quinto di Cristo; autore non solo della Crestoma- zia (a), ma di molte opere platoniche, parte rispettate dal tem- po, parte smarrite. Il Platonismo, di cui resse cattedra in Ate- ne, è il suo forte; e ne'commcntarj stessi di Esiodo cerca i se- mi della dottrina di Platone; e mostra di esserne sollecito più che di altra cosa: in proposito di che vedi l'Olstenio nella vi- ta di Porfirio. Giovanni Tzetze è il secondo degli Scoliasti, autor delle Chiliadi, e di altri libri, che inediti giacciono per le librerie, specialmente sacri: per cui il Cave (b) gli luo- go nel suo catalogo degli Scrittori Ecclesiastici . Egli profitta delle fatiche di Proclo; ma nel tempo stesso non rifina di biasi- marlo con una libertà, che sa di petulanza; ciò che pure fa con Esiodo, come notammo. Il terzo è Moscopulo trascrittore

assai volte di Proclo, buono indagatore del senso letterale e della frase di Esiodo: il quale si crede, che fiorisse nel secolo XIV (e). Si aggiungano a questi tre le note, che Gio. Protospa- tario distese su le Giornate di Esiodo ingrazia di un suo figliuo-

(a) PhotLus in Biblioth. coJ. 23j). (b) Cave. Script. Ecclcsiast. historia Iic- teraria . Tom. II. ad an. C. i róo. (e) Fab. B. G. lib. II. e. 8. T. VII. pag. 3*.

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lo, acuì le indirizza. Ecco i greci Scoliasti de' lavori e gior- nate: degli altri libri, si ricordarono altrove.

V'è in Einsio, oltre le sue note, una introduzione alla dot- trina d'Esiodo su le Opere e le Giornate; vero sogno, di cui a lungo si parla nella Prefazione . Un' altra edizione ne fece il Grevio, nel 1667. corredata delle note dello Scaligero, e del Gujeto, e delle sue proprie, dotte, ma spesso arbitrarie, o dettate da cattivo codice. Una terza ne diede Giovanni

Clerc nell'anno 1701. ove riferì le annotazioni de' predetti , del Padre; e le sue ancora; ma con troppo ebraismo.

La quarta Edizione degna d'esser saputa è quella del Robin- son in Oxford nel 1737. di cui parlano vantaggiosamente gli Eruditi di Lipsia ne' nuovi atti del 1738. In una previa disser- tazione si distende molto su la età di Esiodo, e su di altri punti di critica accennati da noi poco sopra; aggiugne alcune sue no- te a quelle de' chiarissimi uomini, che poc'anzi nominammo. vi manca il Contrasto fra Omero ed Esiodo .

La quinta classica edizione è quella di Loesnero, del 1778. il quale ha riprodotto quanto si era dato da Robinson , con note di Ruhnkenio, e coi confronti dell'edizioni più insigni, e di alcuni codici assai pregiati . L'ottimo Autore ha fatto desiderare nella sua edizione l'indice delPasore per non crescerla troppo, e le corre- zioni alla versione latina, che niuno saria stato più di lui abile a fare, dicendo che o convien tutta far di nuovo tal versione, o astenersene. Nel che spero di essere scusato, se mi diparto dal suo consiglio, ed emendo alcuni creduti errori del Clerc, o del Robinson, avvertiti anche talor da lui; parendomi meglio pur- garne la mia edizione, che lasciargli correre.

La sesta ed ultima è quella, che ne fece il Cav. Brunck fra' poeti gnomici greci , degna nelle note della stima, che gode in Europa di conoscitore profondo di lingua greca. In una cosa non so approvarlo; ch'egli riduce a 773. versi il poema, che anche Loesnero avea condotto a 828. I 55. versi, che ne ha tol-

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ri, se da qualche autore, o da qualche codice son condannati, son difesi da altri ; e non ci permette M. Tullio d' imitare Ari- starco, che Homeri versum negat quem non probac (a). Pochi let- tori gradiranno di aver così tronca un'opera classica: piuttosto i versi dubbj pajon da linearsi per distinguerli da' certi.

Vi ha parecchie traduzioni di Esiodo in diverse lingue. Inver- si latini fu volta dall.' Ulpio, e da Niccolò de Valle la sua Geor- gica, da Bonino Mombrizio la Teogonia, da Gio. Ramo de Goes lo Scudo d'Ercole. Di tutto Esiodo abbiamo avuto ultimamente la versione latina con alcune note del Sig. Ab. Co. Zamagna; il quale se traducendo l'Odissea di Omero pare che abbia tolta in presto la penna da Virgilio, lo scesso ha fatto latinizzando Esio- do. Gl'Inglesi vantano la traduzione di tutto Esiodo fatta dal Hooke, e pubblicata in due tomi nel 1728. La stimano una delle più celebri di lor lingua, e pregiatissime sono le osservazioni ond'è corredata. In verso francese ne diede una il Baif del- la sola Georgica: un'altra di tutte l'opere ne ha data in pro- sa Mons. Bergier Principale della Università di Besanzon, pre- messovi un discorso mitologico, e aggiuntevi alquante note (for- se sistematiche troppo) a schiarimento della dottrina, e del te- sto. Fra gl'Italiani, oltre la elegante traduzione della Teogo- nia del Carli, vi è quella di tutte l'opere di Esiodo fatta colla usata inerenza alla frase greca del Sig. Ab. Antonmaria Salvini. Ella è opera postuma, e fra le molte versioni di lui, che sono usci- te, questa è forse la men corretta. Fu impressa in Padova nel- la bella edizione di Esiodo del 1747; ma il Sig. Zanolini che presedè a quella stampa, ebbe il MS. assai guasto, e mancante di varj versi. Vien dopo il Salvini nelle Opere e Giornate, il Brazzuoli, seguace anch' egli della medesima scuola nella fedel- tà, e nel far versi, che piuttosto son prosa. Lo stesso impegno prese il Sig. Con. Arrivabene; e vi riuscì meglio. Il suo verso è verso, ed ha inerenza grande. Giudiziose sono anche le note, onde ha corredata la sua edizione. Meno scrupolosamente si

(a) Epist. III. II.

attacca al testo, ma più poeticamente si solleva il Reverendiss. P. M. Pagnini dell' Ord. de' Carmelitani, che tutto Esiodo ci volgarizzò fin dall' an. i~l91'> degno soggetto, e in traduzioni espertissimo, colle quali ha cresciuta la stima a'torchi bodoniani. Ma delle poesie, che ci restano di Esiodo, non altro. De'poe- mi che sieguono, rimane qualche frammento. E dee procedersi con cautela prima di credergli veramente suoi. Eliano (a) ci fa sicuri, che molte opere gli furon supposte; ed uno degl' impo- stori, per quanto scrive Ateneo (b) , fu Eutidemo Ateniese. Ed anche altri poemi si possono annoverare non già falsati, ma im- maginati , e riposti nondimeno nel ruolo delle poesie attribui- tead Esiodo. Il Quadrio gli ascrive un libro di Botanica (e), sic- come fecero alcuni altri presso il Giraldi: di ciò vi ha fon- damento altro che tenue ed apparente nella storia di Plinio. Anche un poetico trattato di medicina gli ascrive il Quadrio su l'affermazion di Cleodomo; il quale commendando i precet- ti di Esiodo a Perse circa la misura de' cibi, la salubrità delle acque, l' innacquamelo del vino e altrettali cose, conchiude, ch'egli dovette conoscersi di medicina (<i): ma tutto questo all'intendimento del Quadrio è niente. Lascio stare la piena e lunga Georgica favoleggiata dall' Einsio; di cui nella prefazio- ne; ove pure del libro [xiyaiXa. '{pyx. Ripigliamo intanto l'inter- messo catalogo.

IV. 0as/ Xoyoi . I ragionamenti divini o degli Dei. Massimo Tirio nella dissertazione sedicesima gli distingue dalla Teogonia.

V. Uotpoui>i<ri^ fi Ó7ro9yÌxcu Xeipsafoi;. La istruzione ovvero i pre- cetti di Chirone. Si sa che in questa parenesi era introdotto il Centauro Chirone ad ammaestrare Achille (e). Quintiliano (/)

(a) Ael. de var. Hist. 1. XII. pag- 726. editionis perizonianae: ap. Fabricium. (i) Athen. 1. III. p. 116. (e) Storia della Poesia voi. IV. pag. 67. (d) Cleod. ap. Plutarchum in Conviv. septem S'ap. (e) Paus. in Boeot. ira^aivtTit Xti?wvos iti StSa.v%a\ia 'A;t'*-*«'<»{ . V. Fabricium in Chirone p. l5. (f) Quint. Instit. Orar. 1. I. e. I. In qua sententia Hesiodum esse plurimi tradunt, qui ante Aristopha- nem Grammaticum fuerunt: nani is primus «/VoS-ir'xa; negavit esse hujus Poetae.

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ci attesta, che un tal poemetto si credea indubitatamente di Esiodo infino a' tempi di Aristofane il Grammatico vivuto sot- to il regno di Tolomeo Filadelfo; e come opera genuina era sta- ta riconosciuta da Isocrate e da Aristotile , se ben si apposero i Commentatori di Quintiliano (a) .

VI. MiXa/X7roìi a. » ile, ròv fiavriv MiXdfjt7roSct. Melampodia, 0 sia Poema su /' indovino Melampa . E' citato da Ateneo , da Pau- sania, da Clemente Alessandrino, da Eustazio, dal commenta- tore di Licofrone. Fu compreso almeno in tre libri; dacché Ate- neo ne ha citato il terzo (b) . Fu poesia forse epica.

VII. Tliiì 'IPoulcùv ActKTtjXav. De Dattili Idei. Potè questo an- cora essere un poema epico, in lode di quegli che abitarono i pri- mi in Creta alle radici del monte Ida; e dicevasi essere stati da Cibele ammaestrati in diverse arti. Fra quelle, che insegna- rono, la più decantata dagli antichi è quella di lavorare il fer- ro, di che vedi il Giraldi (e).

VIII. 'E7ri9otXd(xto<; Uyi\{ùx; x) QiriSoe,. V Epitalamio di P eleo e Tetide. Il Commentato!- Greco di Licofrone ce ne ha conser- vato il titolo, e due versi, che si trovano tra' frammenti. Essi combinano con un passo di Catullo nel suo poemetto elegantis- simo su quelle nozze. Quindi sospettò il Quadrio, ma con poco fondamento (i), che il Latino potesse aver preso molto, e for- se anche tradotto dal Greco.

IX. (òYic-lioc, eie, wv 'A/!cT«r xam,Sa<nq. La discesa di Teseo ali* Inferno. Pausania nel lib. IX. riferisce che alcuni lo ascrissero ad Esiodo. Da questo poema, certamente antichissimo, come osserva il Meursio, dovettero derivare molte delle favole, che di Teseo e di Piritoo già si contarono; le cui spiegazioni veggan- si presso lo stesso Meursio nel Teseo, che dottamente le ri- dusse ad istoria.

X. 'E/7-/x»'cT«05 eie, Bairpa^ov Epicedio in morte di Batraco. Sui-

(a) In notis ad loc. praed. (b) Cit. Fabricius Bibl.G*.T. I. p.99. (e) I. Syn- tagm. {d) Quadrio Storia della Poesia voi. II.

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da riferendo quest'opera nel catalogo, non dice se non che Ba- traco fu amico di Esiodo.

XI. TUc, 7ri?).oìoq. Il giro della Terra. Eccitato da Strabone nel libro settimo pag. 302. e da ciò che ivi aggiugne, e da va- rie altre citazioni e sue e di altri scrittori può farsi congettura, che non poche belle notizie vi si contenessero su i regni e i popoli antichi.

XII. 'Aryjft/ot;. VEgimio. Si disputò fra' Critici, se ne fosse autore o Esiodo, o il suo grand' emolo Cercope. Così Ateneo al libro XI. Nelle note a questo scrittore dubitò il Dalecampio che il titolo dovess' essere aly/vó/mov, o sia l'arte di pascer ca- pre: ma non è solo Ateneo, che nominasse l'Egimio; v'è anche il chiosator d'Apollonio nel lib.4. e Stefano alla parola ''Afiauir/ 5; di che è da vedere il Pineto .

XIII. ''Ettm ia'juptixx x) ì%Yiyr,a-ci(; i7rì ripctariv Poesie divinato- rie e interpretazioni circa i prodigi . Esistevano a' tempi di Pau- sania , che ne parla nel lib. o. Luciano o non le seppe, o le attribuì ad altro autore; giacché introducendo Esiodo a scusar quella sua parola della Teogonia, ove si vanta dell'arte d'indo- vinare, non ne fa 'menzione.

XIV. 'A<rrpoyofjt/ot y.ìydXn, w aVr^o BifiXoi; . La grande Astro- nomia, ovvero il libro degli astri . Plinio ed Ateneo la citano co- me apocrifa o dubbia (a). Tzetze, e il chiosatore di Arato non dan segno di dubitarne ; e, ciò che più monta, ne tampoco Calli- maco, insigne non meno in critica, che in Poesia. Egli scrisse altre cose in lode di Arato (b), e specialmente un epigramma, in cui fa menzione di Esiodo, e di questa opera (e).

XV. KtlvKot; ydfJLcx;. Le nozze di Ceice. Plutarco nella 8. qui- stione delle conviviali mostra, che a'suoi tempi era inserito que- sto poemetto fra le poesie di Esiodo ; ma che si credeva d'altra

(a) Plin. 1. XVIII. e. 25. Hesiodus (nam hujus quoque nomine extat Astrolo- gia) tradit etc. Athen. 1. XIII. pag 4P1- t> TW'" •'* 'H^ic^ov àvaftfofiiviiv nroniira;

twV 'A^fovfti'itr. (£) Vit. Arati ap. Petav. in Uianol. T.III.p. 140. (e) Seal, in notis ad Manil. II. Casaub. in Theocr. Bcntl. in Callim.

penna. Lo stesso è il giudizio de' Grammatici presso Ateneo (a).

XVI. KipaLfinq. I -Fornaciai . Così intitolano i Grammatici alcuni pochi versi, che rapporta Erodoto come composti da Omero; ma per altri furono ascritti ad Esiodo. Veggasi Pollu- ce libro X. capo 23. segm. 85.

XVII. BouzoÀ/xóv. La pastorale . Opera molto dubbia, non ci- tata da veruno degli antichi, da Fulgenzio in fuori (b). I mano- scritti variano. Alcuni hanno èn bucolico Carmine; altri in bucolico ludicro , come osserva Munckero. Lo Scriverlo contraddetto spe- cialmente da Gronovio dichiara l'opera apocrifa (e) . Ma non par da discredere, che alcuna pastorale poesia d'Esiodo conosces- sero gli antichi. Virgilio non gli avria di leggieri messo in ma- no la sampogna, se non lo avesse considerato come scrittore di pastorali.

XVIII. ìAiydXa tpya. Magna opera. Ateneo nel libro Vili. pag. 364. cita questo poema; ma i versi sono della Georgica conosciuta. Proclo lo cita anch' egli a pag. 44. yivoc, àpyvpiov io «T àpyvpiov ìvioì ryi yy axcuW/, M'yovnt;, bri Ìvto1$ /mydXo/g \p- yote, àpyvpiov mi; yìit; yìvìa.Xoyeì , quidam vero verbum àpyvpiov terrae subaudiunc , dicentes quod in magati óperibus argenti tcr- rae genealogiam texit; il che pure dee intendersi della georgica conosciuta.

XIX. KamXoyot. I Cataloghi. Così generalmente si chiama- no, secondo il Meursio, tre diverse opere, che alcuni dotti han considerate come una sola (J); e pretendesi, che tutte in- sieme le considerasse il Chiosatore di Omero, citando nel secon- do libro zv xomxXóyo/q; e gli altri che scrivono ò> x.aTuXóya, come Strabone e Pausania (e). Suida nomina Twaunav » pai vav x.a.mXo- yov èv @ifiXiot$ », il catalogo dell'eroine diviso in cinque libri. Il Fabrizio congettura, che i primi tre fossero veramente con- trassegnati con questo nome ; giacché lo Scoliaste di Apollonio

(a) Athen. 1. II. p. 49. (b) Fulgent. 1. III. p. 704. (e) V. Casaub. in Sveton. II. cap. 67. Iacob. Gronov. de Dodonc . Fabric. 1. II. e. S. 23. (d) Meurs. Le- ctionum Atticarum 1. III. e. 20. (e) Strabo 1. 1. Paus. in Attic. p. 4'-

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scrive iv 7rpcór^ jta.Ta.\óy&v > e Arpocrazione ìv reJ-ra yuvcuxcov za- ra.Xoya (a)- sappiamo, che questi tre libri con altro nome fos- ser distinti. Ma il quarto libro, siegue il Fabrizio, è quello che con altro nome chiamavasi Hoixi, ovvero 'ìioìcu fzìyaÀat. La ra- gione di questa sua congettura è perchè il principio dello Scu- do d' Ercole : » o'/'n 7rpo\i7rov<ra ìóftcvq x) 7rciTp/Jct ycuctv con mol- ti altri versi che sieguono, si trovava nel quarto libro de' ca- taloghi per testimonianza di un antico chiosatore di quel poe- metto: adunque tal libro era quello, che dalla frequente ripe- tizione di questa voce » olv\ fu chiamato l'Eee, o le grandi Eee; qual ch'egli sia il significato di questa voce; di che poco ap- presso. Finalmente il quinto libro dovea contenere la genea- logia degli eroi detta da Gio. Tzetze Ypaoyovlot-, e distinta da lui dal catalogo delle donne; onde- si raccoglie, che fosse un libro a parte. Ghe poi succedesse all'altro, e vi fosse in alcun modo connesso, par che lo affermi Massimo Tirio (b) : Yi.ABa.7np e 'H.<r/oSot; ytopìc, [tir reo» vpcJav à.7ro yvvouKUV ApyoyLZVoc, , xctrxhi- ytav rotyifu , orig ì% vie, i<pv. Siccome Esiodo, che dalle donne in- cominciando separatamente novera le stirpi degli eroi , e chi di es- si da questa o da quella sia nato. Questo libro nomina il com- mentator di Licofrone w'p<y/*wV yìnstXoyi'xp , ed Asclepiade ne fa distinta menzione fra le principali opere del Poeta nell'epigram- ma riferito nel terzo libro dell'Antologia greca; il cui ultimo verso è, ch'Esiodo cantò

E la stirpe de' Numi , e degli Eroi . Questi cinque libri pertanto si vogliono accennati dagli antichi con que' loro termini generali di catalogo, odi cataloghi.

Non trapasseremo intanto sotto silenzio la famosa questione mossa e dibattuta con grandissima varietà di opinioni circa il ti- tolo dell' Eee. Ella si cita or sotto nome di 'Hoicu, ora di (xìydXou 'Hoìau. La denominazione è venuta dal cominciarsi gli elogi dell' Eroine, che ivi si celebravano sempremai colla stessa voce »<?/'«. Alcuni frammenti rimastici possono servire di esempio

{a) Schol. Apoll. 1. III. Harpocr. in (b) Max. Tyr. Dissert. XVI.

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*H oh <t>9/n %ap/T6>i> «Ve KttXXog i povera, etc. *H oh 'Yp/w 7rvKtvó<ppw iAvx.tovix.Yt etc. *H étti J'tSv'fxui; /'ipovt; va,tov<ra xoXoùpìs^ etc. Notò il Cantero , che fra gli antichi si giudicò essere ascosa in questa iterazione d'uno stesso vocabolo un'allusione ad un no- me proprio. Come Omero amando Penelope, la volle adombra- ta in tanta parte di sue poesie; così amando Esiodo una don- zella nomata Eea, volle che ne sonasse il nome per tutto un poema di femmine illustri; nella cui enumerazione ella dovett' esser la prima, e tale che sola riunisse in medesima i pregi delle più gloriose eroine; tale qual'era stata Alcmena, quale Ftia, quale Uria, e così delle altre. Favorisce questo senso la bellis- sima operetta elegiaca di Ermesianatte presso Ateneo, nella qua- le noverando il Poeta infino da Orfeo quei della sua professione che passionatamente avevano amato, di Esiodo scrive la storia o favola già. narrata. Eccone la particella che qui è necessaria, da noi voltata in versi latini

Fabor ut ille do munì , et boeotica tecta reliquit

Omnigenae Hesiodus condito/ historiae; Atque volens latos Heliconis venit in agros .

Illic Eoeam dum perit Ascraicam, Multa tulit cecinitque miser ; fecitque libellis Semper ab Eoeae nomine principium . Così tutto il gergo del titolo, e della ripetizione si riduce a un equivoco, esprimendosi con una stessa parola e il nome della don- zella, e il passaggio d'una in un'altra Eroina. E della vita, e del- le poesie di Esiodo non altro.

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PREFAZIONE.

P,

rima che io m' inoltri , Lettor- cortese, a spiegarvi il fine, il ca- rattere, la divisione, le qualità tutte dell'Opera che io vi presento di Esiodo Ascreo, permettetemi, che alquanto vi trattenga sul metodo, che ho tenuto per illustrarla. Comunque ella fosse malmenata ne' tem- pi antichi, e anteriori a Plutarco, noi l'abbiamo quasi così corretta, come la ridusse Plutarco concittadino dell'Autore, e abitante in luo- ghi, ove nonne mancavano i migliori esemplari, e la ridusse ne' prin- cipj dell'era nostra. Proclo, Tzetze, Moscopolo ne son testimoni. Ove Plutarco dissente dalla comun lezione, il primo specialmente di loro lo avverte; e ci fa sapere come si leggesse da più antichi, e come Plu- tarco voglia, che si legga. Negli altri Classici può dubitarsi se il cor- so di molti secoli gli abbia alterati: in questo nò; tolti que' passi , che espressamente diconsi da Plutarco, o corretti, o tronchi. E questi fa- cilmente riduconsi al loro essere , rammentandosi che il difetto di Plu- tarco fu come in Aristarco, un concetto troppo elevato del suo Au- tore ; per cui ne voleva escluso tutto ciò che pareagli difettuoso , sen- za rammentarsi ch'Esiodo era pur uomo, ed uomo che componeva con pochissimi sussidj d'arte, quasi con le sole forze della natura.

Malgrado queste testimonianze di Plutarco, e degli Scoliasti, mal- grado le più belle edizioni degli Aldi, de' Giunti, dello Stefano, del Trincavello, del Commelino; malgrado l'autorità de' Codici, che con- cordano e con gli Scoliasti, e con le celebri edizioni, cinquanta dei quali codici abbiam noi consultati, o per noi o per altri, e ne diamo il catalogo al fin dell'Opera; vi sono stati emendatori più affannosi, che necessarj, i quali non han lasciato verso, per cosi dire, senza voler mutarlo. Tali sono l'Einsio, il Gujeto, il Grevio specialmente; che ingannato anche da un MS. Vossiano, che credea correttissimo, ed era scorrettissimo, ha alterato, e guasto Esiodo più che niun altro; colpa di non aver veduti i migliori codici, e perciò colpa da condonarglisi , come a' predetti. Vi han pure contribuito lo Scaligero, il Casaubono, e in qualche tolleranza almeno il Robinson, e il Loesnero. Questi due eccellenti in ogni parte di buon commentatore sono, a mio credere, ri- prensibili in questo solo, che conoscendo l'inutilità delle correzioni de' Critici precedenti, le hanno ammesse ne' libri loro. Queste correzioni

5

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sono in gran parte simili a quelle, che Giusto Lipsio condanna nella sua saporitissima satira menippea, fondate non nell'autorità de' libri, ma in deboli, e talora temerarie congetture (a), per non dire a quelle che il Po- pe per emendare Virgilio mette in bocca di Martino Scriblero nella sua giudiziosissima Critica ; correzioni fatte per correggere , emenda- zioni fatte per emendare . Ecco dunque in che mi troverete , Lettor cor- tese, assai dissomigliante alle nuove edizioni: io in vigor di tanti codici»» e di tant' edizioni, e di tanti Scoliasti, quanti Omero stesso appena ne ha, richiamo le antiche lezioni. Ma le altre fan comparir Esiodo più costumato, dice Plutarco. E chi ci assicura, ripiglia il Grevio, che lo fosse? E poi lo fan comparire miglior prosodista; dicono gli altri. Cioè, potrebbe rispondersi, migliore astronomo. A' suoi tempi non eran fis- sate alcune regole, che poi il consenso de' grammatici ha canonizza- te . Deggiam noi cercare tai regole in lui , che nato avanti il loro sta- bilimento non potè saperle (fr)? Altronde l'autorità di Plutarco, e le tante altre, che citammo poc'anzi, favoriscono le contrarie lezioni: non è una specie di arroganza voler mutarle? Non è un torto a que' solenni grammatici , che le rividero, e le approvarono? Non è un arrogarsi più scienza di loro nella costruzione e proprietà dell' antica poesìa greca ? E se ciò si permette in Esiodo, quale autor greco o latino potrà salvar- si? Dissi o latino, perchè il paragone preso da questa lingua è molto op- portuno. Ennio, Accio, Lucilio han cose, che non son passate in esem- pio: perciò deono aversi per nulla? perciò mutarsi?

Corretto così il testo in alcuni passi più dubbj, anche della ver- sione latina ho procurato di essere benemerito, emendandola in alcuni luoghi, che mi parevan resi con meno felicità, alcuni de' quali avean dato nell'occhio agli editori, che ho nominati di sopra: ma eran pas- sati nell'edizioni loro. Nella traduzione toscana, giacché l'Italia ne ha quattro in versi sciolti; ho amata la rima; tanto più che in que- sta mi par che stia quel dolce incanto della poesia italiana, che sen- za ritmo langue e scade. E quanto alla fedeltà, che della rima par nimica, ma fermamente non è; io mi sono attenuto a quel detto di

(a) Bivium ad corrìgendum, libri, et conjectura: prima via satis certa, et tuta est; lubrica altera, praesertim quum in eam audaces et temerarii ado- lescentes inciderint, aut adolcscentium similcs senes. Sat.' Menip. p. 422. (L) V. Becucci Prosodia Graeca pag. 287.

ss

Tullip: nec converti ut interpres, sed ut orator ( dirò io ut poeta), non verlnun prò verbo necesse. habui recidere', sed gema omne verborum vim- que servavi: non enim ea enumerare lectori putavi oportere, sed tan~ quam appendere (a). Il che se traducendo dal greco Eschine e Demo- stene fu lecito a lui, molto più sarà lecito a me traduceudo in rime un Poeta . Contuttociò io vi assicuro , o Lettore , che poche traduzio- ni rimate troverete voi in Italia fedeli del pari alla mia , più fede- li pochissime . Ho usata la terza rima perchè acconcissima al caratte- re di chi istruisce ; di che fa larga fede il Menzini , che fu quasi l'Ora- zio della lingua italiana. La ho divisa in dieci capitoli; al che mi ha animato l'esempio di M. Tullio, che distinse l'Economico di Senofonte in tre parti; e il riflettere, che tal divisione, oltre l'esser conforme ai canti di Dante e del Petrarca, è acconcissima a mostrar l'ordine del Poemetto, che ad alcuni suol parere disordinato, e scritto con poco me- todo . Quanto è alle note , mi troverete più minuto che nelle cose gram- matiche, nelle critiche, e nelle filologiche. Ho profittato talora degli Scoliasti greci latinizzandogli. Essi hanno cose notevolissime, attinte, specialmente, come par, da Plutarco; de'quali insegnamenti, come pu- re di altri , ini è paruto bene di far parte al lettore per non obbligar- lo o ad imparar greco s'egli noi sa, o a restar privo di assaissimi lumi conducenti , quanto altri mai , alla intelligenza di Esiodo .

Ora è da vederne l'argomento, traendolo parte dall'Autore mede- simo, parte da altri degli antichi, e specialmente da' greci suoi Sco- liasti. Ebbe il Poeta un minore fratello chiamato Perse, il quale se ne crediamo al Lessico di Suida (b) , scrisse pure alcuna cosa di Poesia . Morto il Padre, sorsero tra' due fratelli differenze e discordie. La di-, versità e contrarietà delle indoli e de' costumi, più che altro, le fo- mentava. Esiodo moderato di temperamento, amantissimo di quiete, e tutto formato su la norma e il dettame di que' buoni antichi, divide- va le sue occupazioni fra gli ameni studj , e gli affari domestici , inge- gnandosi di acquistare e di conservare giusta le leggi di una savia e retta economia. Perse all'opposito, litigioso, inquieto, scaltrito pas-

(a) Cic. de opt. genere oratorum, cap. 5. (b) Suidas v. Tlif crttf. 'A^xpoùcf, ìirtiroiìs , ààtXipòs 'Ho-iófov ni troimì : David Ruhnkenius epist. critica prima , meo periculo lcge ytunróves ; nam agrum coluit Perses , non ingenium . Ecco l'esempio di una correzione mal intesa. E donde seppe Ruhnkenio, che Per- se coltivasse campagne non ingegno?

3* sava i or tra' litici del Foro, or tra' cicalamenti delle botteghe: nft di fatica, di risparmio, di cura domestica si dava pensiero. Ri- solvettero di separarsi; e dopo qualche lite su la eredità, il buon Esio» do n'ebbe la peggio: che dov'egli affidato nella bontà della sua cau- sa non pensava più oltre; il malizioso fratello con ossequj e con dona- tivi comperato si avea de' venali giudici le sentenze . E forsechè da questo perverso giudizio mosse quel biasimo, che in quest'opera me- desima egli fece ad Ascra (a): certo è almeno per testimonianza di Vellejo Patercolo (b), che que' contumeliosi versi gli furono dettati da spirito di vendetta verso i suoi popolani , dopo un giudizio pubblico sfavorevole a' suoi interessi. Ma checché siasi di ciò, vero è'1 prover- bio, ch'altri cangia '1 pelo, anzi che'l vezzo (e). Continuò il Giovane, appresso la division dal fratello, nella prima sua scioperaggine: e pe- nuriando di vitto, talor minacciava nuova briga ad Esiodo, talora gli chiedeva sovveniinento. il Poeta gliene fu scarso: ma tutto insie- me gli venne preparando un miglior dono e soccorso in questo libro , che intitola delle Opere e delle Giornate, dettatogli veramente dalle Mu- se e dalle Grazie . In questo libro adattandosi del tutto al bisogno del- lo scorretto e ozioso fratello, s'ingegna con ogni maniera di argomen- ti di ridurlo a buon senno, e a voglia di- faticare; e tutto insieme di acconcissimi precetti il fornisce per vivere onestamente ad un tempo, ed agiatamente» Pel primo fine l'istruisce nella miglior inorale, che a que' fosse nota in Grecia; pel secondo gli somministra certe scelte av- vertenze circa l'agricoltura, ed alquante circa la mercatura; e chiude l'opera con una distinta notizia delle giornate o prospere o sfavorevoli a checchessia, secondo le- vane osservazioni di que' ciechi tempi.

Quest' opera ci rappresenta il costume degli antichi Orientali , usi ad ammaestrare i fanciulli e i giovani con alcuni sensati, ma pur di- lettevoli componimenti, da recarsi a memoria, e da tenersi còme re- gola delle particolari azioni. Tali sono i sapienziali della divina Scrit- tura, che oggidì ci rimangono; egli altri dettati da Salomone, e noti anche per la testimonianza di GidSeffb Ebreo {d). E tali furono do- po Esiodo i versi di Teognide, di Solone, di Tirteo, di Focilide e di altri presso Plutarco de Pythiae oraculis: succeduti gli Oratori a' Poe- fa) In Operibus veis. 640. [b) Lib. 1. cap. 7. (e) Tctr. Par. I. Son. 96.. (d) Io». Hebr. Antiquitatum Judaicarum lib. Vili.

32 ti in laudevole ufficio, le orazioni parenetiche sottentrarono in quel- la vece; fra le quali le orazioni d'Isocrate valsero piuttosto a sgomen- tare la posterità, che ad accenderla ad emulazione; tanto riuscirono belle e perfette. Ognuno di questi componimenti con proprio vocabolo era detto jrapaxÀwvs, se contenea solamente esortazione ; se vi aggiun- geva precetti , come nota il Wolfio (a) , diceasi più propriamente 7rct- poun<rig; della qual voce, favellando di quest' opera di Esiodo, si valse Luciano (/>). E veramente ella è divisa, se non in due libri, come pur si trova in alcuni codici, almeno in due principali parti; la prima del- le quali continuata insino al quarto capitolo , è una gravissima esor- tazione alla giustizia e alla fatica; a cui succede l'altra parte istrut- tiva della coltivazione, del traffico, di alcuni ufXzj della vita.

Ecco la divisione del libro. Quanto alla forma dello scrivere, el- la è pure sul costume degli antichi savj , ed all' indole si avvicina de' Sapienziali già da noi ricordati ; gravi sentenze , racconti che tendono al morale , verità nascoste sotto il velame delle allegorie ; notizie di naturali cose con certa disinvoltura seminate e sparse a luogo a luogo; discreto uso delle antiche tradizioni de' fatti e de' proverbj ; autorità di parlare, che fondata spesso nella Religione, or la speranza maneggia, ed ora il timore; forinole il più delle volte brevi, concise, vibrate, non solo nelle morali sentenze; ma negli altri precetti eziandio; e in questi e in quelle certo slegamento e libertà e independenza di un sen- timento dall'altro ; sicché sembrili talora raccolti , ma -non disposti , mes- sivi dall' arbitrio , non collocati dalla ragione . Or questo gusto di com- porre in materie istruttive non manca chi lo reputi traspiantato dal- la ebrea lingua nella greca , almeno in gran parte . E certo ne dan fondamento quegli antichi e dottissimi Padri della Chiesa (e), i quali affermano e dimostrano, che i Filosofi, e i Poeti antichi della Grecia non poche delle cognizioni attinsero da' savi ebrei , e da' divini volu- mi: al che si può aggiugnere l'osservazione del Bogano, che nel suo libro de Homero hebraizonte , notò come per giunta, non poche frasi e sentenze di Esiodo; le quali maravigliosamente rispondono all'ebrai- co testo. forse è da sprezzare una conghiettura; che vivendo Esio-

(a) Wolf. in argum. Orat. ad Demonicum. {b) Lucian. dissert. cum He- siodo. (e) Clem. Alex. 1. 1. Strom. Iustin. M. Apolog. II. Oiig. lib. VI. con- tia Celsum etc.

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do, com'è parere di molti, a' tempi di Salomone, il cui nome anche presso la gentilità grandissimo era; di quell'immenso fiume d'ogni sa- pere qualche rivo pur diramasse, o qualche idea almeno di giovare l'età puerile colla operetta smarritasi delle Ipoteche, e la giovanile colla pre- sente delle Opere e delle G tornate ; siccome quel divino scrittore indiriz- zati aveva alla età più acerba i Proverbj , e alla gioventù più adulta l'Lcclesiasteia). E il suo disegno di giovare all'età fresca non andò punto fallito . Nella educazione degli Ateniesi fanciulli aveva parte la spiegazione di questo libro, come accenna Soloue presso Lucia- no (b), del pari con Omero. Comune era l'uso anche presso i Romani, come si raccoglie da M. Tullio e da Coluinclla (e) , di farlo recare a memoria nelle scuole a' fanciulli, per inserire a tempo ne' loro animi ottima semenza di dottrina insieme e di virtù vera; e cresciuti eh' e' fossero, quelie medesime sentenze, quasi oracoli, si sentivano inter- pretar, e inculcare da' professori delle facoltà più severe; come si era fatto da quegli delle più amene. E ciò non in una facoltà solamente, ma in tutte. Siccome Esiodo, qualunque siasi lo scopo di questa poe- sia, ha in essa accolti principi di gentilesca teologia, di politica, di etica, di economia, di agricoltura, di nautica, di astronomia, di me- dicina, di botanica", di fisica, e pressoché di ogn' altra dottrina, che costituisse allora la scienza degli uomini di lettere; gli è avvenuto, quasi come ad Omero, che presso qualunque genere di scrittori l'au- torità di lui sia tenuta da molto , e quasi a gara prodotta . Se quest' opera si fosse per ingiuria di tempi venuta a smarrire; io credo certo, che chi avesse accozzati i versi che sparsamente si trovano di lei ci- tati presso gli antichi, e che servono maravigliosamente ad emendarla, come si vedrà nelle note, ci avria potuto ristorare di quella perdita, almeno per la maggior parte; il che di niun' altra opera simigliante si può affermare; e vale senz' altra pruova a mostrare in quanta opi- nione l'avessero i maestri d'0511'arte.

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(a) In Proverbiis informat puerum in Ecclesiaste informat juvenem .

A Lapide Comment. in Ecclesiastcm ex Orig. Nyss. Theod. etc. (b) De gy- mnas. T. IL p. 902. (e) Cic. Epist. ad fam. 1. 6. 18. Lepta" suavissimus ediscat Hesiodum etc. Colum. de re rust. 1. 1. e. 3. A primis cunabulis, si modo liberis parentibus est oriundus, audisse potuerit OuV àv/ìovi oVo'Xmt' ti jxm yà'mv xaxò< m* . Hcs. V. etiam Iulianum in Misopogone .

39 Sebbene, a estimar diritto, niuna cosa tanto accredita questo poe- metto, quanto l'aver servito di esemplare a Virgilio nel lavoro della divina Georgica; non ch'egli prendesse o potesse prender Esiodo per norma o spesso , o propriamente , come fece con Omero e Teo- crito: ma in maniera tuttavia, ch'egli seguì Esiodo, imitò Esiodo, e talora tradusse Esiodo, come quegli altri due (a). Io veggio, o Let- tore , che questo luogo richiede pur qualche comparazione tra l' origi- nale , se così puote chiamarsi , e la copia ; tanto più , che niuno de' Critici si è di proposito applicato a paragonar queste due opere, e questi due Autori ; come han fatto di molti altri . Egli è vero , che non è il medesimo confrontar Pindaro con Orazio , o Tucidide con Sallustio , o Demostene con Cicerone ; i quali corsero un arringo me- desimo , e si provarono ad una giostra ; ciò che non dee dirsi , sen- za qualche limitazione , nel caso nostro . Ma nondimeno così Esio- do, come Virgilio sono i primi nel caratter mezzano, ciascuno della sua lingua ; e questo libico dell' Opere , quantunque per alcuni sia col- locato in altro ruolo, secondo il parere de' più è una vera georgica. Che merito dunque ebb' Esiodo, dopo la stima di tanti secoli, che di lui si scrivesse (b) : Omisso Hcsiodo, cuius universa Opera ne curri uno quidem versu Georgicon sunt comparanda etc. ? Come ? Alnien que' versi, che apertamente Virgilio tradusse da questo poema, non sa- ran da paragonare a' virgiliani? o quegli almeno, che per idea di ot- timo stile han citati i buoni maestri dell' antica eloquenza? o quegli altri su la virtù , che appena trovasi rinomato scrittore greco o la- tino, che non ricordigli; sicché niuna risposta di Apollo Pizio è più trita , più ricordata , più riverita di questi ? Vegga lo Scaligero , che i difensori di Esiodo non gli producano contro altri , e un do- mestico testimonio , che afferma non essere stata in lui sufficiente pe- rirla di greche lettere per impacciarsi di simili paragoni; tanto più eh' egli è suo figliuolo; è uno de' più solenni grecisti, che dopo il risorgimento delle lettere sian comparsi al mondo (e-). Ma lasciato il parere dello Scaligero, copioso fu Virgilio, dilettevole, ameno, gelati- le; in un tema però, che maravigliosamente lo ajutava ad esserlo, non che alcun ostacolo gliene facesse . Egli scrive a Mecenate , a

(a) Geli. N. A. IX. p. Scrv. in argumento Georgicae etc. {b) Iulius Cacsar Scaliger Poeciccs 1. V. e. 5. (e) Scaligeriana II. v. Orphcus.

disegno di recargli diletto coli' armonia del canto , e colla piacevole dipintura delle bionde messi, de' varj pometi, de' candidi armenti, e delle dorate api; e per questi oggetti, e per gli altri, che i più va- ghi sono della natura, si guida dietro la fantasia del lettore rapita sem- pre e dalla rappresentazione delle cose , e dal suono delle parole (a) . Così 1' argomento scelto tutto a senno dell' Autore , senza particolarità di persona, di luogo, d'altra cosa, e maneggiato da un in- gegno nato alla Poesia , ha prodotta un' opera che in certo modo incan- ta 1' animo di chi legge . Esiodo per lo contrario scrisse hi quel tema , che il fatto da noi esposto gli presentò ; e proponendo per fine alla sua poesia l'indurre il fratello alla fatica per vivere agiatamente; a questo scopò dirizza ogni suo argomento . Trova Perse maldisposto a secondarlo, e perchè voglioso di vivere dell'altrui, e perchè dalla in- giustizia de' giudici spalleggiato , e perchè spensierato naturalmente . Non dovea egli , prima d' istruirlo nel suo mestiere , rimuovere tali ostacoli , e moralizzare siccome fece ? Ma potea , se non altro , essere più abbondante , e far poema più copioso . se non iscriveva ad uno scioperato, ad un ozioso, ad uno, che in età ornai virile, dall'assenna- to fratello è chiamato per rimprovero bambo e fanciullo . Come all' età fanciullesca non si confà una lunga istituzione; così anco a quel costume. Un lungo poema a costoro è come agli svogliati una larga vivanda; non che recarlosi a mente, vorranno appena volgervi un guardo . Che fa in tal situazione di cose il giudizioso Esiodo ? Non Cerca tanto il più raro, quanto il più vantaggioso. Coglie il più bel fiore delle prelezioni, che a que' costituissero un uomo onesto, e di quelle che formassero un'agricoltore perito; e con qualche mescola- mento di amena descrizione , le unisce insieme in uno stile il più ac- concio per l'acutezza a penetrare nell'animo, ed a fermarvisi. Non ha esso il bello dello stile virgiliano; ma non è senza il suo bello, e dirò an- che maraviglioso . I gravi sensi chiusi in poco , e da poetico numero commendati, è incredibile come agevolmente destino la maraviglia e il diletto . La moltitudine , quantunque di ottuso palato , ne gusta pur nondimeno. Una bella sentenza per osservazione di Seneca, an- corché recitata da' mimi, fa levar grida di applauso a teatri interi (b).

(a) Plin. Hist. Natur. lib. XIV. in Prooemio . Quamquam videmus , Virgi- lium praecellencissimum vatem e tanti.? quae rctulit, flores modo rerum de- cerpsisse etc. (b) Seneca. Epist. 109.

4* Quindi 1' Einsio di queste due opere pronunziò, che gli parevano, an- corché dissomigliami , tuttavia uguali (a) . Non oserei dire altrettanto , posto che il consentimento de' saggi abbia giudicato diversamente (b). Dico solo eh' Esiodo avria errato scrivendo per 1' appunto come Vir- gilio ; giacihè il suo tema richiedea diversa andatura; dico che una ne tenne conformissimaalsuo argomento; dico in fine chea questo prin- cipalmente si dee far considerazione da chi voglia librarne il merito eoa giusta lance .

Quanto allo scopo dell' opera , l' Einsio non ci permette di spac- ciarcene in pochi sensi . Egli compose una lunga dissertazione , che va annessa al suo Esiodo, e porta questo titolo in fronte: Introdu- etio in doctrinam quae in libris Hesiodi tpycav à » fxìpco v continetur: in qua opinio , quae hactenus de iis obtinuit , refutatur ; totum Poetae in- stitutum probatur . La somma di questa dissertazione è mostrare in pri- ma , che scrivesse già Eslodo una piena e copiosa georgica , la quale oggidì è smarrita: quindi, che il libro delle Opere e Giornate non ap- partenga ristrettamente ari' agricoltura; ma generalmente alla econo- mica facoltà. E siccome a questa facoltà, die' egli, la Fortuna presiede; così pretende , che questa Dea sia adombrata niella Pandora di Esiodo ; ed ella sia pressoché il tutto di questo poemetto ; a tal che deggia esso avere un altro titolo, e chiamarsi il Regno della Fortuna. Questo siste- ma è stato variamente ricevuto dagli eruditi . Giannarrigo Boeclero gli fa grandi applausi (e), Stefano Clero gli consente, che il nostro Poeta scrivesse in agricoltura più di quello che a noi n'è giunto; e che ve- ramente sia questo un trattato economico , anziché georgico : cosa con- ceduta ancor dal Fabrizio (d). Quasi co' medesimi termini ne ha scrit- to il Giornalista di Trevoux del 1701. sennonché assai disapprova l'al- legoria di Pandora e della Fortuna , cui chiama vana sottigliezza e chimera . essa piacque a Gio. Clerc , che inserendola nella sua edi- zione, mostrò che non voleva, piuttosto che non potesse impugnarla. Il Robinson e il Loesnero insieme con le note . dell' Einsio han ripro-

(a) Heins. in prolegomenis ad Hesiodum . (£) Varchi nell'Ercolano pag. 166. Virgilio combattè con Teocrito, superò Esiodo, giostrò di pari con Omero. V. anche Menagiana t. 4. pag. 167. il Gravina, Ragion poetica pag. 98. e il Rucellai delle api v. 23o. (e) Boecler. de Poetis Graecis in Hesiodo. (d) Fabr. Bibl. Graecae lib. II. pag. 3:3.

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4* dotta, senza dirne ben male, questa dissertazione. Il Co. Zama-

gna l'ha compatita, ed ha detto, che l'Einsio avea messa a luce una Fortuna poco fortunata (a). Questi sono i pregiudizi, per così dire, del- la causa. Ma ella none stata mai finora trattata .come si converreb- be all'autorità dell'opera di Esiodo, e alle ragioni dell' Eiusio: il che se altri avesse fatto, egli conteria forse minor numero di soscrittori . Facciamolo brevemente .

Il primo che attribuisse ad Esiodo un'altra Georgica, fu Giuseppe Scaligero , il quale nel comento a Manilio interpretando strettamen- te alcuni versi di quel Poeta, pose i fondamenti di questa nuova sen- tenza. Adottolla Daniel Einsio, quantunque dissimuli il nome del pri- moautore, e con nuovi argomenti la fiancheggiò; avvisandosi che Vir- gilio non imitasse Esiodo nel libro , che ci rimane ; ma piuttosto in un altro in oggi smarrito. Questo dovea essere intitolato yicopyiKav , e con- tenere un lungo dettaglio su la qualità de* terreni, su la coltivazio- ne delle vigne , degli oliveti , degli orti , e su quanto altro può desi- derarsi in opera così fatta : aver dunque Giulio Cesare Scaligero fat- ta ingiuria al greco Poeta, posponendolo di lunga mano al latino, sen- za vedere il poema , che almeno avria posta in dubbio la palma .

Un parlare tanto sicuro promette prove molto gagliarde; e noi ab- biam diritto di esigerle Noi abbiam dalla nostra il silenzio degli an- tieni , che pur dovevano chiaramente nominare quest' opera . A vin- cere il peso di tal ragione non basta qualche autorità oscura ed equi- voca . Convien produrre tai documenti , che non dian luogo a tergi- versare ; scrittori che veramente mostrino , che quel silenzio non è di tutti; frammenti che nfln possano recarsi ad altra poesia, fuor che a quest' una . Così conosciamo noi le tant' altre opere di Esiodo invola- teci dal tempo. E di questa dovean rimanerci più che di niun' altra, chiari argomenti. Ella avea servito di modello a Virgilio; era dunque assai miglior cosa, che questa, la qual noi tortamente, dice l'Einsio, chiamiamo Georgica : dovea essere il capo d' opera della poesia istrut- tiva de' Greci, il miracolo di quella lingua, l'unico didascalico, che a fronte di Virgilio sostenesse il decoro di quella nazione . Dicamisi dunque: perchè ella sola non è citata a nome da niun antico? perchè uiun precettore di Rettoricao di Poetica, niun Grammatico, niun racco- fa) Nota in argumentum ad Opera et Dics.

43 glitor di vocaboli non la nomina? perchè Suida, Luciano, Massimo Ti- rio , Pausania , e chiunque altro tessè il catalogo delle poesie migliori di Esiodo l'involge in un profondo silenzio? perchè Servio, e gli altri, che illustrarono Virgilio, non producono pure un verso tolto da lei? perchè gli Scoliasti di Esiodo, e fra essi Proclo, dottissimo, come 1' Einsio confessa, non se ne valgono per illuminar quella parte di agricoltura , che ne abbiam tuttavia ? perchè gli scrittori delle cose del- la campagna, Vairone, Plinio, Golumella non ne danno qualche sen- tore? E pure non così han fatto con questa opericciuola di Esiodo, che dell'arte rustica tiene pochi versi. Ella è ammirata, lodata, confronta- ta con Virgilio da' latini grammatici : e da' greci con seco stessa . Ella nella storia e ne' precetti di agricoltura è citata a nome ; la sua dottri- na è pressoché compendiata da Plinio il vecchio; alcuna delle sue no- tizie fino a tre volte dal medesimo Plinio in diversi luoghi ci è incul- cata . Che oltre ? Ove Luciano in quel suo mordace dialogo si mette a motteggiar Esiodo su la scienza delle rusticane cose ; il Poeta non pro- voca egli ad altra Georgica, salvo solamente a questa; da questa sce- glie alcuni versi per sua difesa (a). Orio domando; qual prevenzio- ne , qual parzialità , qual fascino anzi , o quale fatalità inducesse non uno o due, ma tutti gli antichi a venerar quasi ogn' apice d'un libricciuo- lo di poche pagine ; e a volerne avvilito e negletto un altro di tan- ta più mole e valore , che pur era di uua stessa penna , e per giudizio di Virgilio tenea più merito ? O poteva tal libro non esser noto se non a quegli , i quali parve all' Einsio che ne parlassero? o smarrirsi in guisa , che a' tempi vicinissimi a loro qualche segno , o vestigio non ne rimanesse ? Ed eccovi , o Lettore , uno de' più forti argomenti dell' ar- te, critica, opposto alle novità dell' Einsio (b). Il silenzio degli antichi su di un' opera di grande autorità , che loro spesso cadde in acconcio di nominare , è una certissima pruova della falsità di tal opera ; e quando elia si trovi in antichi MSS. si per apocrifa. Quanto maggiormente questo vuol farsi di un' opera , che altro fondamento non abbia , fuor di pochissime autorità dubbie, oscure, e facili ad applicarsi ad un' altra dello stesso autore , certa , incontrastabile , conosciuta da tutti ?

(a) Luciani Opera T. III. p. 240. (b) Io. Clericus Artis Criticae parte III. Sect. 2.

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Ci oppone egli il verso 176. del 2. della Georgica: Ascraeumque

cano romana per oppida Carmen. Virgilio non avria parlato così in un libro, che tutto è della coltivazione degli alberi, se Esiodo della cura degli alberi non avesse cantato a lungo: e poiché di ciò non si trova quasi parola nelle Opere e Giornate, può e dee credersi che ne scrives- se in altra poesia . Ma Esiodo non potè parlare a lungo di alberi , per- chè molti non se ne conoscevano in quei primi tempi, ne' quali la Grecia n'era scarsissima . L' Attica , e vai a dire la provincia della Grecia più colta, insino a'tempi di Pisistrato , che visse alquanti secoli dopo Esiodo, rimase poco men che selvaggia; come afferma Dion Crisostomo (a) . Nosti enim haud dubie quod Pisistrato praecipiente et imperante, in civita- tem quidein non descenderunt populi ; sed in regione commorantes, agri- colae facti sunt ; et Atticam antca glabram , arboribus carentem , oleis tonseverunt .

Ma Plinio, oppone l'Einsio, sente d'altra maniera; e cita Esiodo come autore di notizie recondite in genere di piante ; le quali dovean essere certamente in altra Georgica; giacché in questa non parla egli se non di alberi triviali e comuni . Non può sodisfarsegli compiutamente se non si ponga sotto degli occhi l' intero testo di Plinio . Illud satis mi-, rari non queo , interiisse quarundam (arborum) memoriam , atque etiam nominimi , quae auctores prodidere , notitiam . Quis enim non communicato Orbe Terrarum maièstate romani imperii , perfecisse vham putct commercio rerum ac societate festae pacis , omniaque edam quae occulta antejuerant, in promiscuo usu facta ? At Hercule non rcpcriuntur qui norint multa ab antiquis prodita: tanto priscorum cura Jertilior , aut industria feiicior Jìiit , ante mille annos inter principia literarum Hesiodo praecepta agricolae panderc orso , subsecutisque non paucis hanc curam ejus , unde nobis crevil labor ; quippe quum requirenda sint non solum postea inventa , verum etiam ea quae invenerant prisci , desidia rerum , internecione mcmoriae in- ducta{b). Osservi in prima il lettore che qui Esiodo fu nominato solo per fissar 1' epoca de' libri di coltivazione, e perchè si vegga , che lo Scrit- tore non dee durare poca fatica a tracciar le memorie di ben dieci seco- li ; e di tanti autori, come sono Catone, Varrone, Celso, Attico, Fene- stella , Fabiano, Democrito, Teofrasto, Magone, che scrisse 18. libri di Agricoltura . Osservi per secondo , che circa agli alberi , e a'ioro no-

(a) Dion Chrysost. diss. XXV. (6) Pliniu». Lib. XIV. in riologo.

45 mi .si dice che a que' giorni se ne ignoravano non molti, ma alquanti,

e questi rammentati non da Esiodo, ma dagli antichi, uno de'quali è Ca- tone (a). Come dunque lasciò scritto l'Einsio: pleraque quae ab Hesiodo commemorata fuerunt arborum ignorari coeperint nomina ? quasiché o Esio- do sia il solo antico, o tai uomi fossero moltissimi . Dira taluno, eh* egli citò anche le precise parole di Plinio, ove dice, che ne' tempi di Esiodo, per testimonio di quel Poeta, niun piantatore di ulivi colse mai frutto dalle sue piantagioni; tardi allora fruttavano (b): Hesiodus ... negavit oleae satoretn fructum ex ea percepisse quemquam : tam tarda tunc res erat . Le quali parole non che si trovino in questa breve Geolo- gica ; il vocabolo stesso di ulivo non vi si nomina . Tutto è vero ; ma all' intendimento dell' Einsio tutto è niente . A riprodurre una di- menticata Georgica , che tanto meritava d'esser saputa, altro vi vuo- le, che una staccata e solitaria notizia, che può aver luogo o per mo- do di similitudine, o di ornamento, in temi disparatissimi dall'agricol- tura- È proprio di chi possiede varie e moltiplici cognizioni l'arric- chirne volentieri le sue poesie : e una vivida fantasìa presso ogni tema che riguarda , vede molti altri oggetti , ove può ella trascorrere e spa- ziare. Crederemo dunque, che il divino Esiodo, scrivendo di agricol- tura , non parlasse di ulivi ? Non veggo che ingiuria gli si faccia a creder così . Egli , torno a dire , scrisse d' agricoltura , non a chiun- que , ma a Perse ; e in proposito del clima , dov' era Perse ; e della campagna , che avea ereditata Perse ; e per avventura in tale e cir- costanziato argomento gli ulivi non dovean aver luogo più che i ci- pressi nella votiva tabella , che dipingesi per un naufrago . Così dee scusarsi, pare a me, e questa ed altre, che in Esiodo compariscono mancanze; albamente per poco si va a cadere o nel biasimo invere- condo dello Scaligero, o nella violenta difesa di D. Einsio.

Procediamo ; e veggiamo com' ei discorra su di un sentimento di Ca- tone presso M. Tullio; il quale così Io introdusse a parlare nel dialo- go della vecchiezaa . Quid de Militate loquar stercorandi ? dixi in eo libro , quem de rebus rusticis scripsi: de qua doctus Hesiodus ne verbum quidem fecit, quumde cultura agri scriberet . At Homerus qui multis , ut mihi vi- detur , ante seculis Jìtit , Laertem lenientem desiderium , quod capiebat e fi-

(a) Plin. 1. XIV. e- 4. Catonum ille primus pauca attigit vitium genera,

^uaiundam ex il.-) jum etiam nominibus aboliti». {b) Plin. 1. XV. e. I.

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Ho , colentem agnini , et cum stcrcorantem facit (a) . Come potrebbe Ca- tone , dice 1' Einsio , querelarsi, che in Esiodo manchi questa parte di agricoltura , se avesse ragionato del libro delle Opere e delle Giorna- te? Anzi avrebbe detto, che molte cose vi mancano, e pressoché tut- te quelle, di cui avea trattato accuratamente Catone stesso ne' suoi libri de re rustica. Forza è dunque che ragioni d'un' altra opera di Esiodo molto più abbondante . Se questo discorso provasse meno, egli proverìa più : ma non fa forza , perchè , a ben riflettere , prova più del dovere. Adunque la smarrita Georgica dovea trattare di tutto ciò, che ha Catone insegnato ì Ma qual Poeta può in un discreto volume raccogliere tante cose ? Quel savio Latino scrive leggi , anzi che precet- ti ; il suo stile par che ritragga le dodici tavole ; può dirsi eh' e' sia il modello e l'idea d'un pretto laconismo romano . Virgilio , che delle fac- cende della villa non parlò per iscorcio , in secolo poco dotto in agricoltura , non credo che delle cose di Catone abbia delle venti par- ti una . Chi dunque può di Esiodo sospettare altrettanto ?

Resta per ultimo a sciorre il più forte nodo , che avviluppasse 1' Einsio in questo proposito ; ed aggirasi ne' seguenti versi di Ma- nilio , il quale delle opere di Esiodo cantò così :

Hesiodus memorai Divos , Divumque parentes , Et Chaos enixum Terras , Orbemque sub ilio Infantali ; et primos tilubantia sidera partus : Titanasque senes , Iovis et cunabula magni ; Ut sub Jratre viri nomen , sine fralre , parentis , Atque iterum patrio nascentem torpore Bacchum , Omniaque immenso volitantia Numina Mundo . Quin etiatn ruris cultus, legesque novandi, Militiamque soli: quod colles Bacchus amaret , Quod Jbecunda Cercs campos , quod Pallas utrumque ; Atque arbusta vagis essent quod adultera pomis: Siharumque Oeos , sacrataque Numina Nymphas , Pacis opus , tnagnos naturae condit in usus (b) . Or in questo luogo di Manilio intervenne all' Einsio ciò che raccon- tasi accaduto ad alcuni, che prevenuti da viva persuasione, che la Luna fosse abitata , vi scorgevano per entro e fiumi, e boschi , e forse

(a) Cic. dial. de Senect. n. i5. (£) Manil. Astronomicon II. v. 12. seqq.

42 gran folla abitatori . Gli altri che leggono que' versi , credono tro- varvi un qualunque compendio delle due più note e più certe opere d Esiodo, fxctKo.pcoi> yi'vog, tpya. te, come le unì in un suo epigramma Asclepiade (j). Ma il Batavo ne' primi sei versi ravvisa la Teogonia; nel settimo tutto il libro delle Opere e Giornate: perchè il tema di questo , secondo il sistema suo , non altro è che il Regno della Fortu- na , la quale insieme co' Genj , regge il freno e il governo delle uma- ne cose : e finalmente ne' sei ultimi versi riscontra quella vasta e com- piuta Georgica , a cui è stato il tempo furiosamente nemico Ed è notevole il trionfo eh' egli mena di tale scoperta . Vides , ut in superiori- bus , plantationem : quae pars praecipua horum librorum hic nusquam ap- para : ita ut ex hoc Manila testimonio plantatio et propagatio vineae , insitio arborum omnium , librorum illorum argumentum fuerit : quae loca praeterea his vel illis commoda vel incommoda sint , in iis Hesiodus mul- tis probarit . . . postremo vagatus in iis Poeta Ju.it circa sylvarum , hor- torum , fluviorumque descriptionem , amoenitatemque illorum ; quam Poe- tae plerumque , ut hic Manilius , Satyrorum et Nympharwn nomine desi- gnant . Ma io non veggio come in un Poeta , che per incidenza ram- menta 1' opere di un altro , possa un Critico fondarsi tanto . Se Mani- lio fosse ad Esiodo ciò che Asconio a M. Tullio , aiuterebbe molto a formare il piano di un' opera già smarrita . Ma da un Poeta , che può ritrarsi? Ogni poeta considera queste cose come le altre; vuole che in queste pure campeggi quella naturale sua liberta di osar tutto entro certi limiti; sceglie a suo talento ciò che lusinga la fantasìa con ido- letti gai e leggiadri , e abbandona il resto alla oblivione ed al silenzio . Se dunque io dirò di Manilio, che quel suo tratto aspergesse di qual- che finzioncella, saria forse una strana difesa (Z>) ? e se io dirò, che toc- ca ivi gli argomenti di parecchi libri smarriti (e) , sarò convinto mai , che tai libri deggiano essere d' una lunga e piena Georgica ? O se an- che dirò , che forse nelle Opere e Giornate di Esiodo vide Manilio in- seriti pur alcuni versi , che a questi o per giudizio de' critici, o per incuria de' copisti sieno smarriti; dirò io forse altramente da quello

(a) Anthologia graecal. IV. e. 27. (à) Simile libertà si prese Properzio al L. II. E. 04., ove, come avverte il Sig. Volpi, finge che Virgilio nella Bucco- lica scrivesse il dono del capretto, che in Teocrito ei legge, non in Virgilio, (e) Vengasi la edizione padovana di Esiodo pag. 257 . e 271.

48 che giudicarono un Grevio ed un Clerc (a) ? Sebbene io medesimo non

ricuso di cadere dalla mia causa , quando il testimonio di Manilio sia maggior d" ogni eccezione ; e vai a dire quand' egli sia un autore diligente, esatto, osservante nelle relazioni delle opere altrui. Ma egli certo non è tale. Veggasi il suo rapporto della Teogonia d'Esiodo, da noi citato poco sopra . Nou conta ivi la favola di Bacco rinascen- te da Giove , quasi fosse di Esiodo , mentre in Esiodo non se ne par- la, e forse la prima volta che s'incontri, è in Euripide (/>)? Nou di- ce ivi della nascita di Vulcano, e de' Titani parecchie cose, che lo Scaligero stesso ha censurate in Manilio, quasi per incuria attribuis- se ad Esiodo ciò , che per altri Poeti era stato favoleggiato (e) ? Or come si accordan queste due cose , che Manilio non sia punto esat- to parlando della Teogonia ; e sia di tanta autorità parlando dell' agri- coltura? ci scuopra un'altra Georgica, perchè non ben ci descrive que- sta che abbiamo : e descrivendo non bene la Teogonia che ci resta , non ci scuopra medesimamente un' altra Teogonia ? Non si fa dunque ingiuria a Manilio , se non gli è prestata fede in alcuna particolarità ; dacché egli è un testimonio convinto di falso intorno alla stessa per- sona di Esiodo , e può dirsi anche nello stesso contesto .

Passiamo all' altra parte della dissertazione; nella quale, a dir vero, è tanto di verisimile , che il Fabrizio stesso l'adotta ; ancorché , pare a me , troppo facilmente , e senza ponderar le ragioni per la contraria parte . Vuol dunque T Einsio , che il presente Poemetto di sua pri- maria intenzione riguardi non l'agricoltura, ma la economia. Così par che l'intendesse Massimo Tirio, quando dice, ch'Esiodo scrisse «5 top fiiov tpya re ai tTpasVcp , x) *ft</pa?) ìi> cuq fpxrtov (d), e lo Scoliaste di Nicandro , che citando quest' opera , dice ìv rote, 7rpar- TOfxlvoic,, (e) e Tzetze, il qual vuole ch'Esiodo scrivesse a Perse 7rapa,i- viariv wSvxw ? > x) òmovofAixiììv 7rau/T0icu> . Rispondo alle autorità . È incer- to se Masssimo Tirio volesse intendere opera , quae in vitam , ovvero in victum facienda , et quibits diebus Jacienda; e se lo Scoliaste di Nican- dro volesse intendere in iis quae jìunt ab agricolis , ovvero a patri-

{a) Vqjgansi le loro edizioni a' versi QJ). il 6. 294.ee. (ò) Esiodo scrisse questo solamente Ej^i'Xu «*i palfiftor Jtir, Euripide nelle Baccanti (*»(*... Zst/'{.. t?rari tir, femori arripuit eum . (e) Io*. Seal, in Commentario in II. Manilii. (d) Dissert. XVI. {e) P«g. 37.

49 bus familias . 1J autorità poi di Tzetze è falsa , in quanto vuole , che il tema dell' Opere e Giornate sia una esortazione all' etica , ed econo- mìa tuttaquanta . Echi è, che non vegga mancarvi le principali parti dell' etica e dell'economìa ; ed esservi anco le meno importanti dell' agri- coltura ? Ordinar che si aguzzili le falci , e non far parola della edu- cazione de' figli? Specificare i legni per minuto, che compongono il carro , e niuna cosa dire delle qualità delle camere , che deon compor- re una casa ? Chi potria perdonargli queste e molte altre omissioni , se il suo principale scopo fosse stato di formare un economo ; men- tre Catone , Colnmella , Palladio , che di primaria intenzione formati 1' agricoltore , ne parlano a dilungo ? Ma intendendo ancora favore- volmente all' Einsio i testi di Massimo Tirio, dello Scoliaste di Nican- dro , di Tzetze , che peso hanno eglino in confronto di quasi tutti gli antichi, e moderni, ch'egli ci concede essere discordi dalla opinio- ne sua ? Poco o niuno . Ma andiamo innanzi .

E in prima si vuol supporre , che di alquante opere antiche non è facile determinare lo scopo, la partizione. Quali dubbj si eccitarono, per recarne un esempio solo, sul Panegirico d'Isocrate (a), se egli ap- partenga al genere deliberativo, o all'esornativo? e se sia veramente panegirico della Grecia, o esortazione a una guerra da intraprendersi da' Greci contro i barbari ? E di tal genere debb' essere il presente Poemetto non facile a ridursi ad una unità incontrastabile, a di- visarsi nelle sue parti. Nondimeno ancor qnì dee giovare il principio, che il gran critico Quintiliano suggerisce per quando si dubita se una orazione deggia ridursi ad uno, o ad un altro genere, e distinguersi in uno , o in un altro modo . Osservisi , die' egli , quid sit quod Orator sibi praecipue obtinendum intellig it ' {b) . Con questo filo, che mi par sicu- rissimo, e che dal Wolfio è accennato nella controversia del Panegirico d'Isocrate, .io credo potermi disimbarazzare da' cavilli dell' Einsio . Adunque 1' Einsio dice, che l'Opera è economica, avendo in vista 1' acquisto , e il mantenimento delle sostanze , e non limitandosi all' agricoltura , ma abbracciando anco la mercatura , di cui precetti : è parimente etica per gì' insegnamenti morali , de' quali è sparsa . Tut* to bene , ripiglio io , ma qual è lo scopo che specialmente si prefìgge ' È di formare un agricoltore . Per questo comincia dal fuoco , o sia

(a) V. Wolf. in argumento ejusdem. (b) Insti:. Orar 1. III. cap. 6.

1

dal vitto nascosto da Giove agli uomini ; per cui trovare , convengasi cercarlo con la fatica . E siccome il Fratello , per declinar la fatica , avea con donativi pervertiti i giudici; così egli con buoni principj s'in- gegna di persuadere all' uno, e agli altri la giustizia; e molta cura si prende di ridurre Perse dalla oziosità al lavoro .

Prima di proceder più oltre si vuol notare, che non è contro .l'unità del Poema la trattazione anche ampia di queste cose. L'arte imita la natura; e come il fuoco nelf ardere un legno fa una sola azione, disgom- brandone l'umidità col fumo, e introducendoci poi la fiamma; così Esio- do fa un sol poema, rimovendo gl'impedimenti, che alienano il Fratello dal lavorare, che sono specialmente l'ingiustizia, e l'oziosità, e rivolgen- dolo, e istruendolo alla fatica. Ma a (piai fatica? Perciocché economo, secondo che cel descrivono Aristotele e Senofonte, può essere un citta- dino, il quale intendendosi de' lavori della campagna, vada di tanto in tanto a rivedergli. Ma a Perse s'inculca di fargli per se stesso, e di non vergognarsene , e spesso se gli rammentano i doni di Cerere , de' qua- li debbe andar ricco. Questa è la prima parte del poemetto, la quale ottimamente è espressa da un dotto, che dice: duo agit , primo utvolun- tarium habeat agricolain ; passa di poi alla seconda , deinde ut peritimi (a). Ciò che fa in 23o. versi in circa , ne' quali raccoglie poeticamente quanto in ogni stagione dee fare l' agricoltore . Vien poi alla mercatura , cioè ad un'arte, che può ajutare l'agricoltura, portando a vendere al- trove ciò che in patria meno varrebbe ; ma ciò non prova , eh' Esiodo tratti di questa parte come dell' agricoltura , e che a lei l' uguagli , sic- ché lasci dubbio qual delle due parti sibi praecipue obtinendam intelligat . Si spaccia dalla mercatura, tolti gli episodj, iu pochissimi versi; prescri- ve a Perse di attendere al campo tutto l'anno , e star fuor di casa pochi dì; gl'insegna cose minutissime in gener di coltivazione; e in genere di negoziazione , come nota anco un de' greci interpreti , poco più che niente. Di più dopo avergli comandata e con gravissimi termini inculca- to il lavoro della campagna, prende circa la navigazione uu tenor di consiglio, e si contenta di avere in bocca se vuoi, se ti aggrada., se a ciò far li disponi. Questo non è metterla al pari con l'agricoltura, ma molto al di sotto. Anco la vita venatoria può ajutare; e come ajuta-

(a) In veteri Operum et Dierum aigumento apud Ciispinum, Schrevellium, Zanolinum etc.

5* trice, serva, e ministra della vita rustica la considera Aristotele, e Ca- tone , e Virgilio ; e Pier Grescenzi tra' nostri dietro la coltivazione ste- samente parla della caccia degli animali. Contuttociò può ella mettersi del pari coli' agricoltura ■* Può all'agricoltura contrastare il vanto, di esser come prima cosa considerata nel poema di Virgilio, nel trattato di Aristotele, di Catone, e di Pier Crescenzio? certo.

Sieguono utili precetti su la moglie, su' figli; e vari altri ne avea dati su i servi, e le sostanze domestiche; ne' quali quattr' oggetti tutta raggirasi la scienza economica, secondo Aristotele e Senofonte. Ciò pa- re che favorisca l'Einsio , ma non è così. Esiodo, torno a dire, forma l'agricoltore; e al suo stato attempera i precetti che dà. Anco in Ca- tone, e in Varrone, e in Golumella si parla di queste quattro cose; ma perchè se ne parla in proposito di agricoltura , niuno è che le tor- ca all'economia in venerale. Ed Esiodo non fa il medesimo? La moglie par deggia essere tessitrice (a), mestiere che alla moglie dell'agricoltore assegna anche Virgilio nella Georgica (b)> il figlio dee pascere il greg- ge (e); i servi deon far le faccende rusticane (J); la serva dee accompagna- re i bovi (e); le sostanze sono buoi, aratro, grano, vino , ciò che colti- vata rende la terra. Ma la scelta degli amici, e degli ospiti, ma i tanti precetti di morale che hau che fare coli' agricoltore? L'agricoltore e uomo, e vive anch' egli nella società, e gli appartengono molti ufi- zj, che sono comuni a' cittadini, e a'sovrani ancora. Che di questi par- lisi a Perse, qual maraviglia? Isocrate a Nicocle , Dion Crisostomo a Trajano, Siuesio ad Arcadio scrivon di Regno: contuttociò non vi fra- mischian bellissimi insegnamenti su le amicizie , su le ospitalità , su la pie- tà, su la temperanza, da poter servire ancora a un privato? Torniamo onde partimmo . Riguardisi il fine , che specialmente ha avuto in mi- ra il Poeta, eh' è stato sicuramente formare un agricoltore; e siccome tal professione ordinariamente non va disgiunta da conjugio , da figlio- lanza, da servitù, da vicinato, da ospitalità, da amicizie, da molte altre relazioni; queste s' innestili pure, o per modo di principale discor- so, o per modo di episodio nella Poesia-, ella non lascia di essere una Georgica ; col qual titolo è distinto questo libro di Esiodo nel bel codi- ce laurenziano del secolo XII. o forse XI. che citiamo a suo luogo.

Resta nella dissertazione dell' Einsio la favola di Pandora , di cui

(a) V. zi?. (b) V. 293. (e) V. 3y6. (d) V. S02. 593. (e) V. 406.

egli si applaude sopra modo: parendogli aver trovata in quell' allegorìa della Fortuna la chiave del sistema platonico, meglio che Proclo, o che altri di quella Scuola . Recita in oltre a tratto a tratto qualche squar- cio di un greco inno da composto sopra la Fortuna simholeggiata in Pandora. Noi non dubitiamo con gli Annalisti di Trevoux di dichia- rare quest' allegoria un sogno , e di affermare , che chi ha in capo un bel sistema , spesso ci ha Un bel delirio . Com' è possibile , che la favo- la di Pandora nella Teogonia , ciò ch'egli concede , sia riferita per mo- do d'istoria, e nelle Opere e Giornate per modo di allegoria? A chi può capire nell'animo, che la Fortuna rt/^w nemmeno sia nominata da Omero nella Iliade e nella Odissea (a), e al più ne'suoi inni sia men- tovata bensì , ma non come Dea potente : e da Esiodo nel secolo stes- so sia come dispensatrice de' beni tutti della Terra cantata e propo- sta a quanti leggessero il suo poema? Com' esser può, che fin da que' tempi fosser noti i suoi simboli; il Cornucopia che la dichiara Reina della Terra , e preside dell'agricoltura -, il timone, che la dichiara Dei- tà marittima e preside della mercatura; se Bupalo statuario fu il pri- mo, che le mise il corno di Amaltea in una mano (b), e il timone in più bassi secoli le fu messo nell'altra (e)? anzi qual luogo ci può avere l'allegoria, s'ella non può spiegarsi tutta, e tutta riferirsi alla Fortu- na? Come Pandora può simboleggiar la Fortuna, quando ella ha tutt' i beni, o tutt' i doni degli Dei, ma in una maniera incommunicabile ad altrui, cioè gli ha personalmente? Com'è la Fortuna una donna, in cui osgimai non rimangono beni da dispensare, ma soli mali? E che ha che fare con la Fortuna Prometeo , che vieta ad Epimeteo ricever do- \_ ni da Giove ? Conchiudiamo . Il sistema allegorico buono a spiegare al- cune favole , è inutile a questa . Dico di più , è dannoso allo scopo di Esiodo : il quale scrivendo ad un povero agricoltore , non può sperare , che arrivi ad intendere un' allegoria , di cui tanta parte rimaue oziosa . Non trovo pertanto altra via da spiegar tutto , fuorché il sistema istorico, tenuto da' Padri della Chiesa; i quali riconoscono in Pandora la prima Donna Eva cagione di tutt' i mali nel Mondo co' suoi vezzi. Similmente le prime tre età non hanno migliore spiegazione , che quel-

(a) Macr. Saturn. 1. V. cap. 16. (b) Paus. in Messenicis p. 2:4. (e) Aven- do vedute po' Musei d'Italia moltissime statuette in bronzo della Fortuna eoa questo simbolo, tutte le ho trovate de' tempi dogl'Impetadori.

53 la, che la Scrittura ci suggerisce. Di tutto partitameute si dirà nelle no- te; qui brevemente ne faremo un generale discorso. E certo la fama della prevaricazione de' primi padri , e de'primi capi del Genesi dovett' esser seminata nel Mondo fin dalla dispersione de' nipoti di Noè; giac- ché qualche oscura voce ne sonò fra' Caldei , fra gliEgizj, fra gl'India- ni, fra' Greci, fra' Latini, e fin fra' Cinesi (a). Ma appunto fu oscura; perciocché in tanti anni, in tanti luoghi, senza guida di storia, alteran- dosi d'anno in anno le tradizioni, qual dovett' essere divenuta dopo parecchi secoli? Sentì questo vero Lattanzio, e più volte lo espresse. Nel IL libro delle divine Istituzioni al capo II. ragionando delle cose scritturali maneggiate da' poeti dice: ea.fa.buUs et obscura opinione col- lecta et depravata . . . nullo non addente aliquid ad ea quae audierat , carmi~ nibus suis comprehenderunt . E nel I. libro de falsa Religione al capo II. Non res ipsas gestas finxerunt poetae , sed gestis addiderunt quendam colorerà rebus. La fama de' grandissimi avvenimenti è la più facile ad essere alterata, perchè dipende da molti; ma è la più difficile ad esser estinta, perchè dipeude da tutti.

Esiodo moltissimi anni dopo il diluvio trovò la fama delle pris- che età alterata molto ; ma non così sfigurata , che salvi alcuni anacro- nismi ed alcune circostanze apocrife, non si possa ravvisare per dessa . Chi non ravvisa l' età dell' oro negli Angeli ? che in sentenza anco di Origene (b) creati molti secoli prima dell' uomo , son dati poi per custodi al genere umano (e)? E in Prometeo chi non ravvisa quell' An- giolo , che secondo la tradizion degli Ebrei falsa , e compresa solo nel libro apocrifo d' Enoch rapì il fuoco , cioè la scienza dal Cielo , e agli uomini la comunicò? E nella seconda età il cui carattere è la lunghez- za degli anni, l'ignoranza, la discordia, la noncuranza degli Dei , chi è , che non ravvisi il tempo di Adamo , in cui si stendeva la vita a più secoli, ma era accorciata dagli omicidj, come in Abele; e in cui dopo molt' anni Enoch, che non si sa che avesse gran seguito, coepit invoca- re nomen Domini'? La terza età de' facinorosi è quella che nelle scrit- ture è detta de' Giganti , da Simmaco traducendo, de" violenti , da Aqui- la degli assalitori; la quale si spegne col diluvio, rimanendo salvo il solo Deucalione figlio, com' Esiodo dice (it),di Prometeo, e di Pandora.

(a) Schubart T. X. Antiqu. Gron. pag. 701. Bianchini Istoria Universale, De- ca I. cap. 2. ec. {b) Origeniana pag. 68. (e) Lact. Firm.Div. Inst. 1. II. e. i5. (d) Schol. Apoll. Rhodii 1. III. v. io85.

N

54 - Altro anacronismo è questo; ma semplice anacronismo, che stabilisce

Adamo ed Eva, ove andava Noè; dal cui tempo comincia la età degli Eroi. Dopo tal tempo comincia la età del ferro, a cui dee seguirne una migliore, giusta l'oracolo già adempiuto in G. G. et ipse erit expectatio Gentium : notisi che non dice solamente d'Isdraele, ma de' Gentili anco- ra, presso i quali serpeva una oscura voce del miglioramento del Mon- do, che avea ad avvenire.

Ecco in poco tutto il sistema di Esiodo. Domandolo: è più probabile, che sia finto dalla testa di un solo; o che sia dedotto dalla voce del- le vere cose, ma guasta in parecchi secoli, e falsificata? Se fra' gli Ebrei stessi, ov'erauo i sacri codici, corsero tante favole, quante più ne dovean correre fra' Gentili? È dunque cosa da fare maraviglia, che pur tanto vero si scuopra a traverso di qualche falso. Il qual vero sempre più manifestasi dagli scrittori posteriori, i quali raccolsero altre tradizio- ni de* lor paesi , e forse quelle de' libri santi . Per figura Esiodo nel se- col d'oro non fece menzione di nudità, di mansuetudine di fiere, di colloquj con animali; ma queste cose rammentate furono da Platone ilei suo Politico. Arato fa in quel secolo menzione di agricoltura (a), ciò che non fa Esiodo, e mostra di aver creduta quella sacra parola: posuit eum (hominem) in paradiso voluptalis, ut operaretur et custodirei illum (b). E nella età del bronzo, Esiodo non dice, che fosse distrutta col diluvio, ma lo dice Apollodoro fé)', e Proclo (d); e Luciano (e) aggiunge , che ciò fu in pena degli atroci misfatti comunissimi a quella età; che l'inon- dazione venne dalla Terra e dal Cielo; e che Dcucalione con la fami- glia , e con tutte le specie degli animali a due per due , maschio e fem- mina ristrette in una nave se ne salvò . Plutarco {f) vi annette il fat- to della colomba , che lasciata da Deucalione in libertà , gli diede av- viso, che duravan le acque tornando uelf arca, e che cessate erano scomparendo. Ma più che altri Beroso e Niccolao Damasceno, se pre- stiam fede a Giuseppe Ebreo (g), furon conformi alle narrazioni del sacro Testo .

Da ciò che abbiam detto risulta, che i Gentili ed Esiodo stesso tennero per cose istoricheciòche asseriscono delle prime età del Mondo. Chedun-

(a) Phaenom. r. 112. (b) Gcnes. cap. 2. (e) Bibl. 1. I. p. 41. (d) In v. 85. pag. 3o. (e) De Dea Syria pag. 458. (/) De solertia animalium pag. 968. {g) Contra Apionem lib. I.

55

que l'Euisio ci esca fuori con delle allegorie su la Fortuna; che van- tisi di aver trovato il vero sistema Platonico, che Proclo col tanto spe- colar su Platone non avea saputo indagare ; che canti un beli' inno gre- co su la Fortuna , tenuto da Niccolò Scaligero (a) per opera di un an- tico inedita; noi di queste cose ci rallegriamo con lui, ma, con sua buo- na pace, non gli crediamo niente. Eustazio condanna coloro, che comentando il divino Omero l' oscurarono con importune allegorie ; Homeri carmcn alii obumbrarunt , et quasi eos puderet, si Poeta more lo~ quoetur fiumano, reduxerunt omnia transtuleruntque ad allegoriam(b). Lo stesso vuol dirsi di Esiodo; e tanto maggiormente, quantochè s'inge- gna di persuadere al fratello la fatica . Il che se facciasi per via di sto- ria , avrà gran forza il discorso , come 1' avrebbe presso un Cattolico , a cui si rammentasse quel divino Oracolo: in sudore vultus tui vesceris pane tuo (e) . All' incontro , se si proponga come un' allegoria , non ha più autorità divina, ma umana; e di un poeta, che finge ciò che mette bene al suo intendimento. Per la qual cosa lasciamo pure, che ciascu- no siegua nelle altre favole quel sistema che più gli piace: ma nelle fa- vole, che riguardano i primi secoli del Mondo, escluso ogni altro siste- ma, tengasi lo scritturale. Chi non fa così, o per desìo di novità, o per odio alla Scrittura Santa , di vera luce tenebre dispicca (d) .

(a) Dissertaz. insenta nelle Memorie dell' Accad. di Berlino in proposito dell' Einsio an. 1242- (i) In Prooemio ad Iliadcm ex versione P. Politi . (e) Gene- 9is 3. (d) Dante Cantica II. Canto i5.

5<*

PIANO DI TUTTA L'OPERA.

I. Capitolo. S'ingegna il Poeta di ritrarre il Fratello dalla mala gara, cioè dalle liti, e di volgerlo alla buona, cioè alla emulazione della fati- ca in genere di agricoltura specialmente ; posto il voler di Giove, che ha nascosto il vitto all' uman genere fin da' tempi di Prometeo e di Pandora, la cui favola descrive elegantemente.

II. Continua occultamente a mostrare la necessità della fatica , che se in ab/ età del Mondo non era necessaria , è necessaria in questa ; la cui trista condizione in ogni linea , e specialmente nel costume , vien deplorando .

III. Presa occasione dalla fuga di Astrea, rimuove il primo impedi- mento della sua causa , eh' è l'ingiustizia ; avendo il Fratello corrotto i giu- dici con donativi. A' quali giudici ottimi precetti di politica.

IV. Rimuove l'altro impedimento della sua causa, eh' è la oziosità del Fratello. Dopo avergli dunque raccomandata la giustizia, gii raccoman- da la operosità , biasimando la dannosa vergogna, e quant' altro il distor- na dall' agricoltura , e mettendogi' in vista i beni , che ne derivano . Inco- mincia quindi a formare il nuovo agricoltore in varj suoi uffìzi verso gli Dei, verso gli amici, verso i vicini, e generalmente tratta di economia.

V. Dopo di aver formato l' agricoltor volontario , comincia a farlo pe- rito . Gli dunque precetti su lo stabilimento della casa , su la provvisio- ne degli attrezzi domestici, e rusticani; e specialmente dijfondcsi nella se- mina, e nelle altre faccende dell' autunno .

VI. Ragionasi della stagione del verno , e di ciò che dee schivare l'agri- coltore in quel tempo , e di ciò che dee fare a riparo di sua salute , e a vantaggio de' suoi interessi .

VII. Si dan precetti sul potar delle viti a primavera ; e sul mietere , trebbiare, e riporre il grano la state; si torna all' autunno, e si discorre dell' arte di fare il vino , e dell' aratura . A' quali discorsi s' interpongono altri utili consigli sul reggimento della casa convenevoli a un agricoltore.

Vili- Si dichiara come un agricoltore possa aiutarsi ancora con la mercatura, navigando in paesi esteri per poco tempo. Con questa occasio- -, ne racconta il suo viaggio a Calcide, e il premio che cantando ne riportò.

IX. Siegue ad istruire il nuovo agricoltore circa altri ufizj , che non appartengono alla sua professione, ma sono confacevoli allo stato suo.

X. Delle opere , di che ha trattato finora , insegna quali siano i gior- ni favorevoli, quali gii avversi.

H2IOAOT TOT A2KPAI0T EPrA KAI HMEPAI

HESIODI ASCRAEI OPERA ET DIES

CUM LATINA VERSIONE.

LE OPERE E LE GIORNATE

DI

ESIODO ASCREO

VOLGARIZZATE IN TERZA RIMA.

58 jjl3-ou<rcu TlnpinSiv do/Sfur/ x.Xeiov<rcu

Ai tJTi Jn, èvVl7TlTè <r<piTEpOV TTClttf) UfAVllOVCCU '

,, "Ov Sia Sporsi dfSpii; èfxw^ apparo/ ri <ponv/' te ,

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'Pela S' àplfyXov (Aipu&ii, xcù dJnXov aì%ei'

Peìa Je r ìSuvet otkoXiÒv , xai dyvvopa xdptpet

}, TjIvc, v-\i0pi[xi-m<; , 05 V7ripTum Sa para vaia .

KXùSi IScov di' aiv n £z* S' 't$wi Oifi/s'aq

Tvvìi g^<w <JY Hipa-Yi èmrufxx fxvSYitratfjtyp . 10

Ovx dpa (jiìsvov iyiv ìplSeov yivoc, , dXX e»7 yauaj» E/ cri Sua' twV ^tsV x.ii> Ì7raivicr<ren vonrac,, 'H eT t7r/fA&)/uimt Aid S" dt>S/%a Svfxòv lyouriv H jttey yàp 7ró\i/uoi> x.axoi>, Kcd SUpty òtpiXXn , S^erÀ/w »r/£ rn'i'yi <p/Àe* Sporot; , dXX vtt' àvdyx.n<; l5

ASavdrwv (ìovXyartv è*pti> rifxào-t (Bapèttt» Tu'u S' Ì7zpy\v ) 7rporsp»y fiìv tyeivarD Nu0 ipi&ivvn , 0MX4 <JY /u/J' Kpov/Sns v-^ltpyoc, , aùSipi valcov ,

M,

usae ex Pieria^ carminibus gloriam conciliantes

Adeste quaeso , dicite vestro patri hymnum ,

Per quem mortales homines pariter obscurique sunt , et clari ,

Nobiles , ignobilesque Jovis magni voluntate .

Facile enim extollit , facile etiam elatum deprimit ;

Facile praeclarum minuit , et obscurum auget ;

Facileque corrigit pravura , et superbum attenuat

Juppiter altitonans , qui supremas aedes incolit .

Audi intuens et auscultans , et juste rege judicia

Tu : ego vero Persae vera dicere queam .

Non sane unum est contentionum genus, sed in terra Sunt duo : alteram quidem probaverit sapiens , Altera vituperanda : diversa autem sentientem animum habent. Nam haec bellum exitiosum, et discordiam adauget , Noxia : nemo hanc araat mortalis , sed necessario Immortalium consiliis litem colunt molestam . Alteram vero priorem genuit Nox obscura , Posuit vero ipsam Saturnius sublimis in aethere habitans

59

CAPITOLO I.

V.

oi , che date co' versi eterno vanto , A tesser inno a Giove , onde nasceste , Muse , Pierie Dee , movete il canto .

Chiunque mortai velo in terra veste E chiaro al Mondo , o scuro ; inclito , o vile , Pur come aggrada al gran Motor celeste .

Ei di leggier' ogn' uomo in signorile Stato solleva , e '1 sollevato prostra , E scema il grande, e crescer fa l'umile;

E a chi va torto il cammin dritto mostra ; E i superbi deprime il sommo Nume , Che regna , e tuona in su l' eterea chiostra .

O tu , che vedi , e ascolti , or col tuo lume Drizza i giudizj , e m' odi ; intanto eh' io Di veri sensi a Perse empio il volume .

Due gare ha in terra ; e '1 savio , a parer mio , L' una lodar , biasmar 1' altra devria , E varia hanno tra lor mente , e desio .

Perversa è l' una , e brighe e guerre cria , piace ad uom ; ma , perchè a' Numi piacque , E forza che tra noi si onori , e stia .

L' altra è più antica , e da la notte nacque ; E di porla chi d' alto ogni ben dona Nosco , e nell' ima terra si compiacque :

6o

Taivit; t tv p'/^jwv , xad dvSpdcrt 7roXXòv dfAeiveo.

H 75 kxì X7rdXa/u:ov 7np , of/ag |jr/ tpyov ìyeip^t. 20

E/5 eispc/' p^ap 775 ts iJaìv gpyoto ^utiÌ^cov

n^«V/ov, 05 o-7riu£et /uèv dpó pifiivau , «Ve' qvréveiv y

Oìxóv T' eJ 3-i'o-Scu £«Ao7 Sì' re y piova yeiwr ,

E/5 à^j/w o-ttìv'Jovt dyx^tì ì' ì'p/5 «Js /Spcro/V/ .

Kcm nipa/Aive. xìpctftèi xcréei , «cu tsxtovi tbxtoùv , $5

Kcw ^-7&)^-0 5 7nwx£> ^Soviet , xai ào/Jcc. dot J/» .

MwJV 0-' é'p/5 xaxóxapToc, ò.7r ì'pyou Suf.iòv ìpvxoi Netzi 07Ti7mvovr , aj-cp»5 ì7rctxovòv ìóim.

XipH ^£p T OÀ;}-» TTiXiTCU VCiXtùjV T dyopiCOV 7E , SO

>^< t/;v //h /S/05 éVJo;' Ì7TYiiitt>.òc. x<x.mxetrou

Alpcuce. , toc 2,ai'a tp'pct , Avy.Krtpog àxvlv . Tou xt xop-.crcrctixivoc, véixtk ■> xctì Sviptr òtptXXoic. KintfÀtta- i7r dXXoTptoig- co/ 0" cvxiri Jivrepov treni 'ila epjeiv dXX' àt/Sv aiaxptvoa/j.i^ai, vèixoc, 35

I3-«)!cr/ Sixcuc, , a<V g x A/05 «Vii1 ap/reu .

HJn fxìv ydp xXvipov ìSxo-o-dfJLi^' ' aXXd re 7roXXd 'Ap7rct^a>v apópeic. , ^us'^a xvSauieov (2a.o~i\ìia.c,

Terrae et in fadicibus , et in hominibus , longe meliorem . Haec quamtumvis inertem , tamen ad opus excitat . Alium enim quispiam intuens opere vacans *

Divitem , et ipse festina t arare , atque plantare , Domumque r^cte gubernare . Aemulatur enim vicinum vicinus , Ad divitias conlendentem : bona ergo haec contentio hominibus . Et figulus figulo suecenset , et fabro faber , Et mendicus mendico invidet , et poeta poetae

O Persa , tu vero haec tuo repone in animo : Ncque malis gaudens contentio animum luum ab opere abducat, Lites spectantem , concionura auditorem existentem . Cura enim parva esse debet litiumque et fori , Cui non est victus domi in annuni r<;positus , Aestate collectus , quem terra fert , Cereris munus , Quo satiatus lites ac rixam moveas De facultatibus alienis . Tibi vero non amplius licebit Sic facere : sed in posterum dirimamus controversiam Rectis judiciil , quae ex Jove sunt optima . Olim quidem hereditatem divisimus : alia autem multa Rapiebas, valde deinulceus reges

6i

Ed è molto per noi cosa più buona;

Però che l'uomo, ancor che pigro e tardo, Non pertanto a fatica incita e sprona.

Spesso a piantar s affretta uomo infingardo , A stampar solchi, a regger sua famiglia, Perchè ad un ricco volse emulo il guardo:

Che 'nvidia nel vicin ratto s' appiglia Verso '1 vicin , che farsi ricco ambisce . Buona è tal gara, a cui l'industria è figlia.

Vasaro per vasaro aschio nodrisce;

E'n simil guisa un fabbro, ed un mendico, E un poeta per V altro ingelosisce .

Chiudi nel cor quant' io , Perse , ti dico ; gara iniqua dai lavor ti stoglia Fatto del Foro e d'udir liti amico.

Di liti e foro aver non de' gran voglia Chi dell' estiva fruge , che rinnova Cerere ogn' anno , in casa non accoglia

Tanto, che infìno all' altra stagion nova . Basti a nodrir ; onde all' altrui sostanze , Sazio del suo, briga e litigio mova.

Seguir più non potrai fatte usanze,-

Ma i buon giudizj , opra del Re superno , Tutte quetin fra noi le discordanze:

Che già partimmo in due 1' aver paterno, E più rapisti assai , molta blandizia Facendo a' Regi, ch'han di noi governo;

62

Aapopdyovt; > o'ì inveì Slxvtv èSiXoutrt S/xdtrcu- N»7rioi «cT }'<r air tv btra 7t\ìov % [uc-u 7ra»TÒ$, 4*

OuS' óVof éV (jLatXd^Yt re xai àa-<poJ'ìÀM fxiy ovHttp . Kpu-\,'JMTtt; ydp t%ov<r/ Sìoi /2/ov dvSpoo7roi<ri fnl iteti ydp xìv xcu iV vifiari tpydarouo , "X2<; re o*e x «? Ìpkzvtvv ì^jhv , xaì dipyòv ìóna ' kì\d xt 7r>iSdXiov (xiv V7rìp Ka,7rnt xamSéio, ^5

"Epya fioca v S~ dwoXoiTo , xad ^[xiévcov m\a.ipyeov AAAa Z,ivq ixpv-^ì ^oXtixrd/uiyog (ppurìv Itrtv , "Otti (xtv t£a.-/rdmo,i Ilpo/UH$iij<; dyxvXófjimu; , TvnK dp dv%poó7rourtv Ì[aìio-o.to xìiSìo. Xvypd Kpt/^s 7rvp' tv fxtv au^ig t&4 7rdiq 'la7nm7o , 5o

"ExA«4 dv§-poù7rot<rt Aio e, 7rdpx [jmtiÓìvto$ Ev xoiXa vdpBwxt , Xa%còv Aia, Ttp7rixipa.vvov . Tòv Si ^ohcotrct/xiPoq 7rpotrt'<pn vi<pìXy\ytptm Zi'uq '

lcnriTiovISn ) 7tdvTiav 7Tì'pi ywSia. eìSco^y Xciipe*; 7rùp xXì-^ck; , xad ì[À,d<; (pp{va.q tÌ7Tipo7riu<ra.<; j 55 So/ r duT<p (Àiyat, 7r*fAct , xad dvSpdcriv ìcr<rofXiPCiTi To?? S iyoo dvrì 7rvpòc, Scótra xctxòv , fi xtv aVavrej

Donorum appetentes, qui hanc litem volunt ( iterum) judicare

Stulti : neque sciunt quanto plus dimidium sit toto ,

Neque quam niagnum in malva et asphodelo bonum .

Occultarunt enim Dii victum hominibus-,

Facile enim alioqui vel uno die tantum acquisivisses ,

Ut in annum quoque satis haberes , etiam ociosus :

Statimque clavum quidem in fumo poneres ;

Opera vero boum cessarent , mulorumque laboriosorum .

Sed Juppiter abscondit irato animo suo ,

Quia ipsum decepit Prometheus versutus :

Quocirca hominibus macbinatus est tristia mala .

Abscondit vero ignem; quem rursus egregius Japeti filius

Surripuit ad hominum usum Jove a consulto

In cava ferula , fallens Jovem fulminibus gaudentem .

Huncque indignatus affatus est nubes cogens Juppiter :

Japetionide omnium maxime versute , Gaudes ignem furatus, quodque animum meum deceperis? Tarn libi ipsi magnum erit malum, quam hominibus post futuris. Ipsis namque prò igni dabo inalimi , quo omnes

Gente che doni ingolla, e con malizia Novo fomento a questa lite porge , O di senno fanciulla e di perizia!

Quanto sia più del tutto non s'accorge Il mezzo! qual prò le malve fanno, O l' asfodillo , che pe' boschi sorge !

Ohimè! nascoso il vitto i Numi ci hanno: Che in un di leggiermente uom troverebbe Da nutricarsi scioperato un anno;

E tra'l fumo il timon sospenderebbe, E de' muli operosi il grave stento , ' E quel de' tardi bovi a fin verrebbe.

Ma Giove il cela a noi: che mal talento L' inganno di Prometeo in cor gli pose ; Di che a noi destinò duro tormento.

E il foco in prima agli uomini nascose; Ma per giovarci di Japeto il buon figlio A torlo al savio Giove si dispose;

E'1 chiuse in cava ferula; e il consiglio

Schernì di lui che in Ciel folgora, e piove. Allora il sommo Re con torvo ciglio

Irato disse: o astuto sì, che altrove

Non hai pari, Prometeo! or fai tu festa Pel furto, e per la beffa ordita a Giove?

Gran pena a te , gran pena anco s' appresta Agli uomin, che verranno: i' darò al mondo Cosa , del foco in vece , aspra e funesta ;

*3

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Ttp7reoiTcu xam B-uftòv > ièv xaxov à[A<paya7ramt;.

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Vaia» v'Sei <pvpet») ìv S' àv$rpu>7rou StfAìv av'Sttf , Kai arSivot; , àSavarati; Bìaìt; eie, &7ra ìiirxeip W.a.pS'ivivMc, xaXcv eióoi; Ì7nipx-wi> avmp AShvyip vEpya SiSao-xiicrat , 7roXvScu.Sa.X01> ivròv vtfotiveiv Kod %dptp àyapiyiax xitpaXy ^pvo-Hv 'AippoS/mv , 65

Kou 7ro&op apyaXiov > xaì yvioxopovt; fxiXì Scovai;

Ep SifAiv xv fio' p n vóov j xaì Ì7rixXo7rOP yiSoi; 'Epfjteiiiv yfvayi S/dxropop 'ApyeitpèvTnv . "£lg ì'<pa& 01 S' Ì7rl$ovm ù/ì Kpop/eovi avaxri

Avr/xa S" ìx "paini; 7rXu.artTi xXviòc, 'Afjitpiyvnen; 70

TlapSivcp cùSo/n ÌkìXov KpovlSia Sia /SovXai; . Zcocri > xcd xóo-fAwri &nx yXavxco7rtc, 'A&ypti. 'AfMpi 0/ Xapin; rs Stai , xcd forvia Uei^a "Opfxovc, xpvceiovi; ì'Sio-ow %pof ' à/upt vtvyt

Oblectent animum , suum malum vehementer amantes.

Sic ait : risitque pater hominumque Deorumque . Vulcanum vero inclytum jussit quam celerrime Terram aquae miscere , hominisque indere vocem , Et robur , immortalibus vero Deabus facie similem reddere Virginis pulcbram formam peramabilem : at Minervam , Opera docere, ingeniosissime telam texere: Et gratiam circumfìmdere capiti auream Venerem , Et desiderium vehemens , et ornandi corporis curas : Indere vero impudentem mentem , et fallaces mores Mercurium jussit nuncium Argicidam . Sic dixit . Illi autem obtemperarunt Jovi Saturnio regi . Moxque ex terra finxit inclytus Vulcanus Virgini verecundae similem Jovis consiliis . Cinxit autem , et ornavit Dea caesia Minerva . Gircum vero Charitesque Deae , et veneranda Suada , Monilia aurea imposuerunt corpori ; ipsam porro

Sebben tal male a ognun parrà giocondo; E molto l' amerà : ridendo il disse L'autor d'uomini, e Divi almo e fecondo.

E all' inclito Vulcan quinci prescrisse ,

Che tosto acqua con terra avesse intriso; E voce d' uomo , e polso v' inserisse ;

E una Donzella di soave riso, E di bell'atto vuol che ne conformi, Che le immortali Dee somigli al viso.

Vuol, che la mente Pallade le formi Ne' donneschi lavori, e a la testura Di tele ingegnosissime la informi:

Grazia l'idalia Dea senza misura

Le sparga in testa; e femminile ardente Voglia , e d' ornar le membra alta premura .

Fallace vezzo, invereconda mente Ispiri 'n lei Mercurio messaggiere, Ond' Argo e le sue luci giacquer spente.

Disse , ed empierò i Dei 1' alto volere : E già di terra il Zoppo un'opra ha fatta, Che pudica donzella può parere.

A senno del gran Giove era compatta; Quinci la Dea Minerva al gran lavoro La dilicata vesta , e '1 cinto adatta .

L'augusta Pito , e de le Grazie il coro Intorno a lei ristrette, ora un monile, Or altro le ponean di lucid' oro .

66

' iìpaz KotXXiKofJLOi ?{<pov aii>5i<riv eixpivoicri ^5

lidvm ìi xpor xJ<r/xoi> ì^pytocn IlaXXàt; 'ASV?» . Ev cT dpa. <?y§i<r<n èiix-iopoc, 'Apyr-'pói'mt; "invaiai & aJfxvXÌovq re XÓyou<; xaù Ì7rìxXo7rov j$o$ TiC%e, Atèq fio'jXyitrt 0stpunTU7rov ìv J' xpx (pcovn y Otiti Sioov wpvt- oi'épyvi JV rn'i'ìt yuvcùxx 80

nxvJaptiv ori 7raivtte, oXiì(jL7ria. Sapar Ì'xoptb^ ù.à>pov t'£eópYi<rau/ , 7r*(x àv^pdcrtv àXtywviTi* Avmp i7reì èoXov cu7rvv a.(Ati%au>oi> ifyiiXio-cnv , Etc, E7ri[xtàia. 7tì/à7tì 7rxwp xXutov 'Apy&t<póvinv Aupov ayonu Siar Tuyvv ayytXov. OùS 'E7riixtàivc, 85 E<ppa.o~a& a e, oc m7rt Ilpofjtti&tt}<;y /j.v7ron Sùpop ùi{;atrScu 7ràp Z.moc, oXu/X7r/ou , aXX' ct7ro?rt/u7rfiv E^07rter(i) , fj.yi7ro'j ri kolkov &vyitoio~i yivmau- Avmp 6 Sì^dfxivoc,-, ots évi xctxèv &x -, ì i'Ómo-ì- Upìp fxìv ydp ì^có-a-KOv ini x&ovì <pvX' àv^pceTrcoP 90

No<r<piP àrep re xctxcov y xal etnp %ciX'c7ro7o 7rcroio, JSSooctcop r apyaXtw , air àpjpa'ct x/ipac, tJaxav Aì-\.x yetp tv kxxotuti Spowì xxmyYipxo-xovtrt

Horae pulchricomae coronarunt floribus vernis .

Omnem vero illius corpori ornatum adaptavit Pallas Minerva

At in pectore illi nuncius Argicida

Mendacia blandosque sermones , et dolosum ìnorem

Condidit , Jovis Consilio tonantis ; sed nonien illi

Imposuit Deorum praeco ; appellavit autem mulierem hancce

Pandoram : quia omnes coelestium domorum incolae

Donum eontulerunt , detrimentum hominibus industriis .

At postquam doluin perniciosum , et inevitabilem absolvit ,

Ad Ephnethea misit pater inclytum Argicidam

Munus ferentem Deoruin celerem nuncium . Neque Epimetheus

Cogitavi! quod illi praecepisset Prometlieus, ne quando munus

Susciperet a Jove Olympio , sed reinitteret

Retro , necubi mali quippiain mortalibus eveniret .

Verum ille recepto eo , cum jam malum haberet , sensit .

Prius namque in terra vivebant homines

Et sine malis , et sine difficili labore ,

Morbisque molestis , qui hominibus mortem afferunt .

,, Statini enim in afflictione mortales consenescunt .

La cinser le Stagion dal crin gentile , Di fior di Primavera , ed all' ornato Tutto , diede Minerva ordine , e stile .

E poi eh' ebbe Mercurio in lei spirato

Menzogne, e inganni tra lusinghe instrutti, Da lui medesmo nome le fu dato.

Pandora la chiamò; però che tutti

Feron gli Dei tal dono, anzi svantaggio, Che gì' industri mortali ha malcondutti .

Ordita l'alta frode, il gran messaggio De' Dei Giove spedì, perchè recasse Il dono a Epimetèo , eh' era men saggio ;

Né, che'l fratel Prometeo gli vietasse Da Giove accettar dono, a mente tenne ; Ma indietro con rifiuto lo tornasse .

Ne temea pe' mortali il mal , che avvenne : Videlo Epimetèo com'ebbe accolto Il fatai dono , e male indi sostenne .

Innanzi quel suo fatto incauto e stolto Non era in Terra il viver de' mortali In grave stento , e tra disagi involto :

fean oltraggio a la salute i mali, Pe'quai la morte il viver nostro invase; Che '1 patire a vecchiezza aggiunge T ali .

H

68 AXXa yvvÀ %eipi<r<ri m^ov (j.iyct 7tù»(jl à<piXoìj<ra. ' Etrxé Jctcr' ' àv&pcÓ7roirt S ì/AHa-am ntléta. Xvypd o5

ÌAouvvi £' avtÓ&i EXttÌ^ iv àpp^xroian Séfjuotart "EuS'oy (fxeivi 7ri$ou V7rà %eJAi<r/i> , ovSì Sdpxfy E%i7rw 7rf>ó&u> yàp Ì7Ti{A/3a.M wafjLct 7rl$oio , ,, Aìytó)(Ov fiovAvuri A/o$ vitpiXtiyiptmo .

AXXa, cl\ (xvpla. Xuypct tlclt à.vSpto7rove, àXctXnrou. 100

HXeiy fxiv ydp ycàa. ìlòlìluv , 7rXein Jt Sa.Xa.ircr a.. Novero/ £' a.v&pu7rot<riv itp v/uipti »£' ini vvhti AvTÓfxami (ponwtri , xax.a Svvnvto-i tpépou<rau ìZiyy' ènei tyuvviv t^eiXìw fxtìrreTa Zìu$ . Outuh; tir/ 7tov 157 Aiòq vlov t%aXtaoSou . ic5

Sed mulier manibus , vasis magnum operculum cum dimovisset,

Dispersit , hominibus autem immisit curas graves .

Sola vero illic spes in non fractis receptaculis

Intus mansit , dolii sub labris , neque foras

Evolavit ; prius enim injecifc operculum dolii ,

,, Aegiochi Consilio Jovis nubes cogentis .

Alia vero innumera mala inter homines errant .

Piena enim terra est malis , plenumque mare .

Morbi autem hominibus tam interdiu quam noctu

Ultro oberrant , mala mortalibus ferentes

Tacite : nani vocem exemit prudens Juppiter .

Sic nequaquam licet Jovis decretum evitare .

Ma poi che '1 gran coperchio tolse al vase La Donna, infra le genti atra e molesta Schiera d' affanni rei produsse e spase :

Solo la speme ivi nel fondo resta, fuor de 1' orlo estremo si disserra ; Che l'urna a coperchiar colei fu presta,

Come Giove volea : ma ogn' altra guerra Fra" noi ne uscì ; di Diali immenso stuolo , Ond' oggi è pieno il mar , piena è la terra ,-

E i morbi notte e errano a volo Or qua or , ove '1 disio gli porte , Recando fra le genti angoscia e duolo ,

Taciti e cheti , come cose morte ; Che la favella ha lor Giove precisa: Così schivar non si può mai la sorte,

Che 1 superno Motore in Cielo ha fisa .

69

, Et S' ìSiXeu;, 'ìnpóv wt ìy&> Xo'yov ÌTUioputpcórci) kolÌ Ì7ri<?a.[Aiva<;- o~ù S' ivi ippìo-i /3ciXXio cryanv- Sic, ópcSiv yiyaetiri Sioi , 6v»wi r <xvS-pcu7rot , Xprjtrioi> fxìv 7rpoùTi<?ct, yivoe, (AipÓ7rcov à.vS}pcÓ7rco» ASavctwi 7roiy\craj> òXÓ(j.7rta. S'afxctr ì%oi>tz$. 110

O/ (liv <t7rì Kpoi'ov Yurzv , or ùpavcp ì[x8a.<r'iMvi* ' 'Cle, n òioi S 'Itcaov , ànnSia. 6u/uov g^ovTsc, , Nóo-tpiv ctnp 7rcvcov xcù oitùoc,' a Si ri SfiXòv ràpctq i7riìv ausi 7róSa<; koÙ ^éipctc, ófxoìoi

Ttp7T0PT iV S-aÀ/JXT/ KOLKOÓV i KTO&i» CtTrdvTtOV , 11.5

,, Atpveiot fiAXotart y tptXot iKfuapia-cri diottri QvUo-kov S àe, u7tvm StS'u.vfxlvof ì&Xà. 7reivirx T olio-tv ìhv x.ctp7ròv S' e'^épj ^eiSapoe, apoupa

A.ÙTOUa.1» 7ToXXÓv Ti ÌLttl èttpSoi'OV 01 S~' ìSiXìlfAoi

'Ho~v%ot spya. vifxovn o~vv ì&Xoiartv 7roXito'o~iv 120

Avmp i7rei kìv raro yivog x.azà youa. x.a.Xv\.iv , Tot (aìv Seti /uovi e, eìo~t A tòt; fj.iya.Xov Stài fiovXaig 'E&Xoi ì Ì7Tf)(Póvioi ■) (puXaKiq &VHTWV àvSpco7rù>v O't pa <pvXoL<ro-ouo~ l v t? StKcte, kou o-^irXtx 'ipyx , tiipx iarvtt.yi.iV0i , 7rdvin tponwvTee, gV ouxe, 125

»

Caeterum si voles , alium tibi sermonem paucis expediam

Belle ac scienter: tu vero praecordiis infige tuis .

Ut siinul nati sunt Dii , mortalesque homines ,

Aureum primo genus variis articulate loquentium horainum

Dii fecerunt caelestium domorum incolae .

Et ii quidem sub Saturno erant , cum in caelo regnaret :

Et ut Dii vivebant , securo animo praediti ,

Piane absque laboribus et aerumna : neque molesta

Senecta aderat : semper vero pedibus ac manibus sibi similes

Suaviter vivebant in conviviis extra mala omnia ,

,, Abundantes pomis , cari beatis diis .

Moriebantur autem ceu somno obruti : bona vero omnia

IUifl erant : fructurn autem ferebat fertile arvum

Sponte sua , multumque et copiosum : ipsique ultro

Quieti (moderatos) labores distribuebant cum bonis multis.

Verum postquam hoc genus terra abscondit,

li quidem daemones facti sunt Jovis magni Consilio

Boni , in terris versantes , custodes mortalium hominum :

Qui quidem observant et justa et prava opera ,

Aere induti , passim oberrantes per terram ,

CAPITOLO IL

O,

'r io, se vuoi, con brevi e scorte note Le altre cose dirò: fanne tesoro Nella tua mente , e ve le serba immote .

Quando i Numi , e i mortali a par con loro Nacquero , allor gli Dei d' uomini 'n prima Fero una età , che si nomò dell' oro .

Sedea Saturno de l'Olimpo in cima; E sotto lui sicura e senz'affanni Vivea, come gli Dei, la gente prima.

Non v' era egra vecchiezza ; e per molt' anni La mano , o 1 pie non si facea men forte : Sempre lieti conviti , e non mai danni .

Ricchi di poma, e più de la lor sorte, A' beati del Ciel vivean cari ; Quasi prendere un sonno era lor morte.

D' ogni ben si godea : frutti non rari , Per se stessi nascean : il vitto e l' opra Concordi e queti si partian del pari .

Poiché la terra a tal lignaggio sopra

Fu sparta, in buoni Genj e'fur conversi, E in guardia de' mortai Giove gli adopra .

In Terra stanno , e liti suoi diversi Scorron d'aereo vel coperti e cinti, Notando i giusti fatti , ed i perversi .

72

nXovTDrfórou- rcfa raro yiptzc, /3ao~tXmov tvyov .

Aìdnpov aure ydoc, 7roXó y&pórzpov [AiT07rt&tP 'Apyvpiov 7roiy\<rxj) òXv(X7TKt ^eJfzar' iyovn^ , ~X.pv<rtJo «re <pvìiv tvaX/yxiov «re lovffxa,

'AAA' ìnctwi' fiip 7rcuc, '{ita. 7rapà /unrépt xsJVv? i3o

'ErpitpiT à.mXXoùv fjnya. vv\7rioc, Z '{vi otxy 'AXX ora» w8w<thi, kou tifivi; fxirpov t xotro Havpiìiov ^toitrxov tiri ypoiov , ctXyì '{yovrec, 'AtppoiJ/cut;. "Yfipiv yàp a'ta'a^aAo;' ovx ìSuvumw 'AXXvXav à7riy&v , ad" ctdajictTOVt; Sipinriueiv x35

"HdiXov , «cf ì'pSciv /uocxdpeov ììpoic, i7rì (Bcofxotqy Ut &tfju<; à.v§poù7roi<n xar H8ìx- mvq (xìv i7reim Z'evq KpoviÌYu; '{xpu\t xoXxuìvoc, , Svolo, rifiàt, Ou'x ìJ/Souv /uoixdpitrcr t B"co7<; o'ì cXvfxTroi' typuiriv .

Avitip i7reì xoù Tttw yìvot; xctrà yauct xdXv-^ì , 140

Tot fxìv v7royJòèvioi /ua,x.ap>t; &vhto/ xuXìovtcu Aiiirepot y dXX' ì^ltt'ac, ti}ay\ xoù thfiv 07n\£éi . Ztài; JY 7ra7»p rp/wv S.XX0 yivot; fiipo7reov àp&p&>7ret>i> XuXk&ov 7ro!>i<r' , oùx. dpyvpìi ùéìv òfxoiov ,

Opum datores ; atque hanc regiam dignitatem consecuti sunt .

Secundum inde genus multo deterius postea Argenteum fecerunt coeleslium domorura incolae , Aureo neque corporis habitu simile , neque in genio . Sed centum anuis puer apud matrem sedulam Nutriebatur crescens valde rudis domi suae : Cum vero adolevisset , et ad pubertatem venisset , Pauxillum vivebant ad tempus , dolores habentes Ob stultitias ; injuriam enim pravam non poterant A se mutuo abstinere , neque Deos colere Volebant, neque sacrificare beatorum sacris in aris, Vt fas hominibus, oppidatim. Hos quidem deinde Iuppiter Saturnius abscondit iratus : quia honores Non dabant beatis Diis, qui olympum habitant .

At postquam et hoc genus terra occultavit, Hi quidem subterranei beati mortales vocantur Secundi : sed tamen honor etiam hos sequitur . Iuppiter vero pater tertium aliud genus articulate loquentium hominum Aeneum fecit , omnino argenteo dissimile ,

Essi ci fan quaggiù ricchi e distinti: Così gran ministero, anzi pur regno Quella gente felice ebbono estinti.

Quinci un secol secondo assai men degnò I Numi fenno; e detto è dell'argento, D'altra pasta che'l primo, e d'altro ingegno.

Nella materna cura anni ben cento

Stavans' i gran fanciulli ; e in lor magione Crescean rozzi ne' modi, e nel. talento.

Giunti all' età , che al mento il fior dispone Pochi vivean degli anni , e sempre aveano ( Colpa e sciocchezza lor ) doglia , e tenzone :

Che temprarsi dall'onte non sapeano, venerar, gli Dei, né, com'è '1 giusto, Pubblicamente in are offrir voleano .

Ma gli ebbe Giove in ira, e questo ingiusto Secol spense , e nascose , che non volse , Onorar de' Celesti il coro augusto,

Sebben da che la Terra in gli accolse; Mortali Genj a cui dicon secondi Gli feo sotterra , e a qualche onor gli estolse .

Poi Giove un secol terzo avvien che fondi Di rame , dall' argento altro d' assai ; Robustissimi petti , e furibondi .

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23

24

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E fraxinis , vehemens et robustum : quibus Martis

Opera curae erant luctuosa , ac injuriae: neque quid e tritico

Edebant , sed ex adamante habebant durum animum

Intractabiles : magna vero vis et manus invictae

Ex humeris nascebantur in validis membri» .

His erant aenea arma , aeneaeque domus :

Aere vero operabantur: nigrum enim nondum erat ferrum .

Et hi quidem manibus suis interfecti ,

Desccnderunt squalidam in domum frigidi Plutonis

Ignobiles : mors vero, tametsi terribiles essent,

Invasit atra , splendidumque liquerunt lumen solis .

Sed postquam et hoc genus terra operuit , Rursum aliud quartum in terra multorum altrice Juppiter Saturnhis fecit justius et melius , Virorum heroum divinnm genus , qui vocantur Semidei , priore aetate , per immensam terram . Hos quoque bellumque malum et intestina discordia ; Alios quidem ad septem portas habentesThebas, Cadmaeam terram , Perdidit puguantes propter oves Oedipi ;

Da' frassini erari nati, e i tristi guai

Seguian di Marte , e i soperchianti torti ; vitto di frumento gustar mai.

Cor d'adamante, rigidi ed accorti, Cui dal tergo sorgea vigore immoto, E invitte mani in membra altere e forti .

Col rame ogni lavoro a' fabbri noto, L' armi , le case ancor facean col rame ; Che '1 bruno ferro era a que' giorni ignoto .

Poiché V un 1' altro uccise , e questo infame Secol fu spento; ei senza grido o gloria Sceser del freddo Pluto all'ombre grame:

Che, sebben spaventosi, ebbe vittoria Morte di loro ; e fuor de' rai del Sole Ne cacciò le persone e la memoria .

Sepulti questi , ecco la quarta prole

Il gran Padre del Cielo al Mondo crea, Gente miglior, che più giustizia cole;

Gente , che dagli Dei stirpe traea , Eroi, che Semidei già si nomaro Dall' età prisca , ovunque il splendea .

Questi pugnando in guerra a morte andaro, Quai pe' greggi d'Edippo a Tebe intorno, Tebe cadmea, cui sette porte ornaro;

25

1*

Tevg xoù cv vnicririv V7rìp fiìyoc. Àourust Sx\ct<r<ni<; Eg Tpolw dyctycòv 'EXìnig ìvìx tiùxG/uoio i65

''Està' wto/ roùg (J.ìv Scu/dm rsXog d/utpixdXu-^i Tdìg Si'x à.v^pcÓ7rav /3/o7vv xoù fòi Ò7rd<r<rag Zew 5 Kpor/Sng xarévao-a-i 7rawp ìg 7re-tpa.m yoùng . ,, TwAa Ò.7T aBouidnav wicri Kpóvog ìfJt/2ctiriXìOe Koù roì fxìv vauovo-iv dxviSix Sufièv lyovng 12°

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Mhh.ìt Ìttéit' a$ei\ov ìyù 7ri[A7mi<ri (Xiréivax 'hvSpdartv , dXX' w 7rpo<r%i Soun&ii', w i7THm yivì&ou . 1^5

tiùy ydp Sii yìvog tTt cnSvp-.ov oùSi ttot vifxap Tiaucrovrai xa/udm xoù ài tuoi > *S{ Tl vti xTwp $9eipóuiior %aXi7rdg Sioì Scótrxari fXizi/uvag AAA t/U7ntg xoù toiti (xifxi^traj. i&\d xa.xoì<rtv- Zivg <T o'Aé'(t« xoù raro yìvog /mpÓTrav dv%pd>7ruv } 180

Evt olv yen'6/j.ivoi 7roXioxpoTttpoi TtXiSùxriv. OÙSì /7-awp 7raiSioro~iv óuot'iog, iìSì ri TraìSig-, OuSì ^èìvog %xvoSóxu) , xoù ìraupog ìraupco , OvSì xa.o~lyvvmg (piXog '{otìtou , eog tv Trapog Trip'

Alios vero in navibus per ingentem niaris amplitudine!»

Ad Trojam ducens , Helenae gratia pulchricomae :

Vbi mors quoque oppressit ipsos .

Iis autem seorsum ab hominibus vitam et sedem tribuens

Juppiter Saturnius pater constituit eos ad terrae fines .

,, Procul ab immortalibus Saturnus horum Rex est .

Et ii quidem habitant securum animum habentes

In beatorum insulis , juxta Oceanum profundum,

Felices heroes : his dulcem fructum

Ter quotannis florentem profert foecunda tellus .

O utinam ego quinto non interessem Hominum generi , sed aut mortuus essem prius , aut postea natus ! Nunc enim genus est ferreum : neque unquam aut die Quiescent a labore et miseria , aut nocte Gorrupti : graves vero Dii dabunt curas . Sed tamen et hisce admiscebuntur bona malis .

Juppiter autem perdet etiam boc genus articulate loquentium hominum , Quum (modo) nati circa tempora cani fient . Neque pater cum liberis concordai , neque liberi cum patre , Neque hospes cum hospite , neque amicus cum amico , Ncque frater amicus erit , ut antehac :

TI

E quai varcando a vendicar lo scorno

D' Elena bionda, messo a Troja il piede,

Ivi morte gli tolse ai rai del giorno . A' quai Giove Saturnio in premio diede ,

Che divisi da noi, nell'estreme

Falde del Mondo e vita aggiano e sede . Nell'isole beate accolti insieme

Con Saturno lor Re, gli Eroi si stanno,

Ove l'alto Ocean mormora e freme; Lungi da' Divi è ver, ma senz'affanno;

Anzi felici ; a' quai soave frutto

Porge tre volte l'alma terra ogn'anno. Alla età quinta non foss' io ridutto!

Ma fossi spento io prima! o nato allora

Che'l mio secol nojoso ila distrutto! Secol di ferro, ove quieta un'ora

, o notte non si volge ; ove gran pene

Porgon gli Dei con poco ben talora. Creder, se dritto estimo, si conviene,

Che questa età da Giove ornai ila spersa ,

Quando chi or nasce al pel bianco perviene . Ve'l figlio che dal padre ha idea diversa!

Ve' che un fratello , un ospite , un amico

L'amistà ch'ebbe un coli' altro ha persa!

,78 Aì-\a. ■yvpcto-KOvTnt; dr t pin <r ovari roxiiat; l85

Mi [x.\ovmt S' dpct mg %a.M7ro7<; (ódZpvr Ì7ri\<r<ri X%ìtXioi , a'eJV SiéSv 07riv eiòóttf ùSt xìi> o'iyi Tvipavrea-iri mKiùcrtv ÙttÒ Spi7rwi&ct Sbliv , X&poSiKcu' tTipot; S ìtìpov 7ro\iv ì^aXa.7rd^ei , OuSi rie, ivopa.ou %azj$ '{o~o~iTau y oun èiKouu , 1QC

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7JnXoc, S àvQptt>7rouriv òiZppoicriv a.7ra.crtv 105

AvtxsXuSoc, xctxo ^cipree, ofxctpiyicrei <?uyipa7ni<;.

K.cù tot* Sii 7rpò<; óXv'f/.7rov aVò %&ovc\ ivpvoìelye,,

AiuKo/o-tv (papiicrcri xaiXv\a.yLivcù xpoa xaAòe,

A&'mioÌtwv /U'.tÙ <pu A' 'tntv , 7rpoXi7révT av8pa7rn<; ,

AiS'àc, xal Né'fAìo-it;- m Sì. Xeì\trxi ciXyìct Xuypct -00

Qf»w7g à.v^poù7Toi<Tf xotK» S' ovk io-<riTou aÀx>'.

Celeriter vero senescentes contumelia afficient parentes . Incusabunt autem illos molestis alloquentes vérbis Impii , neque Deorum vindictam veriti ; neque hi sane Senibus parentibus nutritia reddent , Violenti ; alter vero alterius civitatem diripiet . Neque ulla pii gratia erit , neque justi , Neque boni; magis vero maleficum et injurium Virum colent . Justi tia vero in manibus et pudor Non erit ; laedetque malus meliorem virum ,

Verbis injustis alloquens , pejerabit vero .

Livor autem homines miseros omnes

Malos rumores spargens malis gaudens comitabitur inviso vultu

Tum demum ad coelum a terra spatiosa

Gandidis vestibus tectae corpus pulchrum ,

Ad deos ibant , relictis hominibus,

Pudor et Nemesis ; relinquentur autem dolores graves

Mortalibus hominibus ; mali vero non erit remedium .

79 Tosto che per molti anni è fatto antico

Un genitor , la prole empia 1' offende

Con aspri fatti, e con parlar nimico;

f ira degli Dei paventa o attende . Oh fiera gente, che'l dovuto merto Del nodrimento a' genitor non rende!

L' un la cittade altrui ruba all' aperto ;

s'ama il giusto e'1 pio: si rende onore A chi soverchia, ed in mal fare è sperto.

Vergogna ed equità bandita è fuore Dall' opre lor : spesso maligno e cieco Parla e spergiura un rio contra un migliore.

Veggio il tristo Livor con volto bieco, Che ree sparge novelle e gusta pianto , E a tergo , ovunque mova , ognun l' ha seco .

Ond'è che avvolte in lor candido manto Verecondia ed Astrea , vinte da tedio , Volan alto dal Mondo al regno santo,

Lassando a noi gran duol senza rimedio.

b 80

NùV ef' auvov /3a.<rtMuo-' ìpia (ppoviovcri ned ctòni $ rjQj1' i'px^ 7rpoo-iei7riv àvSóva, 7roix.iXóSeipop , "T-vp fJioiX' cv n<pii(r<ri (pipai/ cvv^to-trt /ui/ua.p7rcJ$- "H cT ìXtov , yva.{A7mi7(ri 7rz7ra.pfA.ipy1 à/uip ów'%i<ro'iy 20a

Mt/pjTO. fflV dv ó'^' 6^/xpare'ft;$ /ypc; /xCSov ienti'

Acufj.oviYi y ti AsAaxas; e^« fu (Ti ttoXXop àpeioov . TwJ' «?, >i ff- àV 6^&; 7rip aLyco , xcu cloi&v ìov<rcu> Aei7rPov «T j oùx zSiXa , 7roi»<rofxou , (jLiSy<ra "A(fp<wc cT1 05 * tSi'hot 7rpèc, xpeltrtrovuc, àvTttpir'iì^eiv 210 N/*»5 re separo/, srpo^ r' cuc-^itriv aXyia. 7ra.<r%ei.

"li? ì'ipaT à)tv7riTn$ /'pw£> T«j>vo-i7mpo<; òpy/$. yXl Hip<rti , cu <T azous «?/xm$> ^e»/' u/0£^ oipiXXi . "tfiqjic, ydp ts ««*» S&Aài {3pora ' «de ^ee t&\ò$ 'Pili è lue, (pipì [Jlìv Avvoltoi, fiapvSei JY & V7T a.ù-m$> 2l5

''Eyx.vpa-a.c, a,Ty<riv ' óóòe, J iTspy,<pi 7ra.pi'k$éii>

Sed nuhc fabulara regibus narrabo , qilamvis soli sapiant . Sic accipiter affatus est lusciniam gutture va'riam , Alte in nubibus ferens unguibus correptam. Illa vero misere, curvi s confixa unguibus, Lugebat : eam autem ille imperiose compellavit .

Infelix, quid 6trepis? habet te multo fortior . 9

Hac vadis , qua te duco , licet sis cantatrix , Si vero libet , vel epulabor te , vel dimittam .

Imprudens autem , quicunque voluerit cum potentioribus contendere: , (^uippe Victoria privatur , et praeter convitia dolores patitur .

Sic ait velox accipiter , latis alis praedita avis . O Persa, tu vero cole justitiam , neque injurianf fove . Injuria enim perniciosa est tenui homini ; nani nec dives Facile ferre eam potest , gravaturque ab ipsa , Quoties in damna incidit . Via vero ex altera parte ad ingrediendum

8i

CAPITOLO III.

A.

-d un tema diverso or io m'appiglio; E dico a' governanti una mia fola , Quantunque aggian e' sol mente e consiglio .

Un usignuol d' armoniosa gola

Avea coll'ugne uno sparvier compreso; E s'erge in alto, e fra le nubi vola.

Da' curvi artigli il cattivello offeso

Gemea dolente: allor pien di burbanza Così parlare il predator fu inteso.

Misero! a che garrir? troppo ha possanza Di te maggior chi 'n sua balìa ti tiene , Sebben tu di cantore hai rinomanza.

E dei venir ovunque , eh' io ti mene ; Poi lascerotti , o di te farò pasto Secondo che talento me ne viene.

Folle chi al più possente fa contrasto ! Che perde la vittoria; e sempre al fine, Oltra lo scorno, di dolor si è guasto.

Così l'augel veloce a le rapine, Da le grand' ali . O Perse , ami tua mente Il giusto, e a far ingiuria non s' inchine:

Che al povero è dannosa; il possente In pace sa portarla, e gli pesa D'assai, ratto che danno ne risente.

ii

82

Kp&ìo-o-w ìc, Slxcucf tf/x» cf V7rìp Cfie/ot; iff%ei> 'E? tsXoi; ì^ì.\%i(rcf 7ra.'bùv JY re vytwtot; iyvo». Aor/xa. yàp rpi^ei "Opxog cLfxct <rno7\iy<Ti Six.Y!<r/v- Tm? aIkyu; po&ot; ìXxofXtvy\c, w k IvS'pic, ayaa-i 220

Acopopdyoi , (moXiau$ Si S/'kxìi; KPM'&xri &i(xi<?a.$ 'H S' i7riTau xXauowra. 7róXiv rs xoù h&ìci Xceàiv, Wiptt i<rtrctfAÌi>H, X.X.KOV cti'%pct)7rQiart tpiputroty O/' ri fxiv ì^iXctaùxri , xou x'x ì$èt3j> iveifx.au>. O'ì Si Sikxc, fceivoiiri aod ìvS^nfxoicri S~iSou<riv ila

I3"«as, koÙ (xyì ti 7rapiK0ouva<rj Sikcuh , Tot <ri réSyiXi Tróhit; , Xctoì S àvSivcriv ce att/rjj E/'pwVw cT <xW j/jfj' Kouporpóipoe, , oryJY ^-or a.6tm e,

ApyxXìOV 7rÓM[X0V TBKfXOUpiTttl iVpVO/TCt Z'ivi;'

Ou'Si 7tot ì&uìiKoutri fxir àvSpdcri Xt/xòg eVwefe* > 23o

OJJ' dw SaX/pi; (xìfxWhèm 'ìpyct véfjovrou- Toltri (pipa fxìv ycua. ttoXvv /2/ov ìpicri S% Spu<; vAxpw fxiv re (pipa /3aXdvxt; , /uic-a-n fXiX/cr<rxi;- Eìpo7róx.oi <T' o'iìc, fji.ix.Kkoi e, xxraSiSzfeaKri '■

Melior ( quae ducit ) ad justa: Justitia enim injuriam vincit

Ad finem progressa : stultus vero malo suo discit .

Continuo enira cursu sequitur jurisjurandi Deus injusta judicia .

Justitiae vero fremitus (est) tractae quocumque viri duxerint

Dona vorantes; pravis vero sententiis judicarint res .

Haec vero sequitur deflens urbemque et sedés populorum,

Aere induta , malum honiinibus adferens ,

Quique ipsam expellere solent , neque rectam ferunt sententiam.

At qui jura tam peregrinis , quani civibus reddunt

Reeta , neque a justo quicquam exorbitant ,

Iis floret urbs , populique florent in ipsa :

Pax vero per terram alma, neque unquam illis

Molestum bellum iinmittit late cexnens Juppiter .

Nec unquam justos infestat homines fames ,

Neque noxa : convivia autem celebrant .

Fert quippe iis terra multum vietum : in montibus vero quercua

Summa quidem fert glandes , media vero apes :

Lanigerae autem oves velleribus onustae sunt:

«3 Meglio sen va chi l' altra via s ha presa ,

Che conduce a ragion: però che al torto

Preval Giustizia al fin della contesa: E a le sue spese il folle si fa accorto ,

Quando appo '1 reo giudizio , come suole ,

Orco , e la sua vendetta vien di corto . Freme la Dea Giustizia , e assai le duole

Se venduto a' presenti altri decida ,

E tragga a forza lei dove men vuole : E per le case e per la Città infida ,

Che mal decide , e lei caccia ed offende ,

Va d' aer cinta piagnendo , e il mal vi guida . Ma dove il dritto al cittadin si rende ,

E al forestier , e non se ne trasmoda ;

Ivi '1 popolo è in fior , la città splende , E fa che l'alma pace ivi si goda

Quel superno Motor , che largo vede ;

E che suono di guerra ivi non s' oda : fame o danno altro ivi fa prede ;

Ma ne' conviti i passan soavi ;

Che '1 frutto da la Terra in copia riede : E vanno i greggi di lor vello gravi ,

E le querce pe' monti han su le cime

Ghianda, ed a mezzo il tronco e pecchie e favi:

84

Ttximriv ywouxìi; ìoixom tixvx yonvcriv 235

QdXXhHrty S xyx%oi<ri Six/j.7r'cpiq ' s«T itri vviuv

Na <r<r oimxr xxp7rèv (p{pn £&iSapo; cipy.px-

Oi q S ù'/3sjg ts fx{(jt.y\\i 3istx.it xxi arfcrXix tpyx ,

ToiaSi SlXWV KpOVlSit^ ttKfJMpiTUl ìvpuo7rx Zio/;-

TloXXxx/ ned %u{*7rx<rx noXic, xxxh àvSpòt; X7rnvpct 240

"Os"/? xXirpxtm , xxt xm&xXx ixyi^-wxxrai To7<riv S ovpxvó&iv /ui'y' i7rn'yxyt 7rii fj.x Kpovlar, KtfXOV CflQ xxt Xotfxov x7ro<p&ivu9ovTi Xptol ' OuSì ywxlxic, r'txiHcriv (xivv^oua-i oìxoi , Ziii'Ot; <ppxS{io<rtji>y<rii> òXvix7r!n' xXXots S' xvt* 2^5

'NH Twvyt spctTOV ìvpvv x.7rcóX'-<rzv y $ oyt rèt^oi; , H vìxc, cv 7tÓvt'j) KpoviSìiq x7roTÌvvvmi xwmv .

\Q /3acr/À« e, , vfien; xcmz<ppx£i&i xou xvwì TrffSi Slxw tyyvc, yxp ìv xv§pd>7roi<riv ìóvnq KSxvxtoi Xw'<rtrx<riv , otro/ <rxoXtv,<ri Sixycri s5o

'AXXtlXoUq T^jfixO-i , SiCOV Q7TIV xx xXiyovKc,. T^tq yxp (Avqjoi eìtriv ìwì yPovi 7rovXv/2oreipy 'KSrxvxToi Znvòt; , QvXxxiq &miwv xvQpcù7TUV

Pariunt vero mulieres similes parentibus liberos :

Florentque bonis perpetuo : neque navibus

Iter faciunt : fructum vero profert foecunclus ager .

Quibus vero injuria perniciosa curae est, pravaque opera,

lis poenam Saturnius parat late cernens Juppiter .

Saepeque universa civitas malum ob virum punì tur ,

Qui peccat , et iniqua machinatur .

Ulis autem coeiitus magnum hnportat malum Saturnius ,

Famem simul et pestem ; intereunt vero populi ;

Neque mulieres pariunt ; minuuntur familiae ,

Jovis Olimpii Consilio ; interdum vero rursus

Aut horum exercitum ingentem perdidit , aut ille murum ,

Aut naves in ponto Saturnius punit ipsorum .

O reges, vos autem considerate etiam ipsi Poenam hanc ; prope enim inter honiines versantes Dii vident , quotquot pravis judiciis Se mutuo atterunt, Deorum vindictam non curantes . Ter enim decies mille sunt in terra multorura altrice Dii Jovis , custodes mortalium hominum :

8* Figlian le donne , e il parto il padre esprime ;

Ne si volteggia il mar : che 1 proprio suolo

Porge gran beni a' giusti , e messi opime .

Ma per gì' iniqui e rei serba uno stuolo Giove di guai : spesso per solo un tristo , Che pecca , una Cittade intera è in duolo .

Che quegli , onde ampiamente il Mondo è visto Grave pena dal Cielo in tutti adduce , E 1 contagio a la fame erra commisto .

Muojon le genti , e non vien prole a luce , Per segreti di Giove alti consigli , Che le famiglie a sminuir conduce :

Talor ne sperde tra' guerrier perigli

Le ben fondate mura , o i molti armati , O volge al mar la pena , ed ai navigli .

O Regi , e voi che siete al Mondo nati Per far giustizia , abbiate a lei riguardo ; Che i Numi a noi dappresso erran celati :

E notano color , che con bugiardo Processo reo frode si fanno indegna ;

_ #

curan degli Dei l'ira o lo sguardo. Ben trentamila , in cui morte non regna , Genj stan quivi in terra , e il sommo Giove Alla lor guardia e cura noi consegna,

86

O" p'« tpoXd<r<rouo-/i> éixag kcu v^irXia ipya ,

'He'pa io-crd/ACvoi , 7rdvw tponwvTsg i7r ala*. a55

'H Ji re jrapSivog eV/ A/xyi , Aiòg ix.yiya.vt a. ,

KwJpvr' r cuèoiìi re Sioig vOXv[A7rov iyx<riv.

Kcu p' Óttot dv tic, fxiv ^Xd^rvi <rxoXtà) 'g òvomCpv ,

Avrìxa. 7rùf> Atf 7ia,r?l x.a&i£of*tvti Kpovìavi,

rnpv'tT àv$pd>7roùv dSixov véov o<pp a,7roTÌ<rv\ 260

Avi (jloc, am&a,Xia.g fiuo-jXyiai* , Xvye,d votò' mg

''AXXy 7ra,px.Xìvov<ri S'ix.a.g, crxoXiug ivì7rovTsg.

Tavm <puXaa-<ro/uovot , (Baa-iXittg , tSum* /uoSag,

Acopotpayoi > a-xoXicov Je Sikcov t7ri7rdy%v XaSi&t

avrà) Kxxd riv'%éi di'iìp dXXv x.ax.d reu^uv 2.65

H J'ì xaxw /3aX» Tcp QovXìvo-umti xax/rH

Udvrrx tSav Atòg o<f>9aXfzògy xctt 7rdvirx vo»'<rotg ,

,, Kcu tv mia , adii sSiXyfr , t7riJìpxircu- ùSi e A«'$f<

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E'itiP , ymr ì/uog uióg ' ìneì xctx.au , àVJpa (ììxouov

"E/wfxcvcu , fx&itw yi SlxYtv dìixcórspog i'%fH

)} 'AXXd my &7T(o toX7ra. reÀtìV Aia. np7rix{pavvou-

Qui judicia observant , et prava opera,

Aere induti , passim oberrantes per terram .

Virgo autem est Justitia , Jove prognata ,

Augusta et veneranda Diis , qui coelum habent .

Et Certe, cum quis ipsam laedat iinpie contumelia afnciens ,

Statim apud Jovem patrem considens Saturnium,

Queritur hominum iniquitatem : ut luat

Populus peccata regum , qui prava cogitantes

Alio inflectunt jus, injuste sentenliam pronuntiantes .

Haec cavcntes , o reges , corrigite sententias,

Donivori , injustorumque judiciorum prorsus obliviscamini .

Sibi ipsi mala fabricatur vir alii mala fabricans :

Malumque consilium consultori pessinrum.

Omnia viderìs Jovis oculus , omniaque intelligens ,

Et haec (siquidem vult) inspicit : neque ipsum latet

,, Qualenam hoc quoque judicium civitas intus exerceat .

n Ego porro nec ipse nunc inter homines justus

,, Sim, nec meus filius :quando malum est, justum

Esse , siquidem plus juris injustior habebit .

Sed haec nunquani arbitror factuxum Jovem fulmine gaudentem.'

87 E d'aer cinti van per ogni doye

I giudizj spiando, ed in qual cosa

L' equità , e la «giustizia non si trove .

Vergin pura è Giustizia , alma famosa , m

Figlia di Giove , ed agli olimpj Dei Veneranda lassuso e gloriosa :

E s' altri pecca , ingiuriando , in lei , Assisa a lato al Padre si richiama Di que' mortali , e de' lor fatti rei

Finché punita sia la gente grama

Per chi la regge , e le sentenze obblica , E fa con reo giudizio iniqua trama .

Vedete , o Regi , gente a' doni amica , Che retta da voi mova ogni sentenza, Dimenticando ogn' ingiustizia antica .

Chi di mal fare altrui non ha temenza , A stesso mal fa : per chi lo porge Un reo consiglio è di dolor semenza .

L' occhio divin , che tutto intende e scorge , Guata anche noi se vuol ; e in questo piato Coni' opri la Città , vede e s' accorge .

Non io giammai, non altri di me nato Fia giusto , ove mal prò giustizia faccia , Ed al peggior più di ragion sia dato :

Ma ciò credo che a Giove unqua non piaccia .

88

H Ilspcrx, <ru Se Tavru yurà tppitrì fBdXXio ar^triv , Kou vv Sixyìc, t7ra.Kovì , fi/n$ S' ì7tiXì(9ìo 7ra.(X7raji. 2^5

TóvSt yàip dv&pa>7roi<ri vófxov Siimfy Kpovlùìv '\%$v<ri (xìv xax 6nperi xoù o/ai>o/$ ttìtswoI e, , ''E&mv aÀÀ«Aof$, Ì7reì a S'ixyì e'svV tir. dvwiq. 'AvSptlTroia-i S' ISaxi Sì' km , » 7roXXèv dofcn rimar h yàp tic; x. t^i'Xjfi Six.au àyopivew 28©

Ttvutrxoùv , tu (xlv r oXfiov Si Sol tvpuova Zet/? "Oc; Si xi (JLa.pTu2J.y0- tv Ìxcùv Ì7riopxov ò/nócrcrac;

"ÌTiVO-iTOU } Q4> St SlxW fiXd-\.CtC, , VHKiTOV Ùot&tl ,

ToùSi t àfxxvpoTspyt ycvirì (Aiiv7rt&i X{Xh7ttcw

' AvSpòc; <T' iùópxou yoviti fji*TV7ri&cv dfxeivav . 285

So/ S' iyco ì&Xd potai/ tpnv , fxiyct v^7rn Uipcrn

TwV fttf ivi xaxÓTnra xoù iXaSov ìlttiv tXt'&ou

'PtiiSiaf òXiyyi f*èv óSòg , /udXct S' tyyu'Si vouei .

O Persa , caeterum tu haec in animo tuo repone , Et justitiae quidem obtempera, violentiae vero obliviscere prorsus . Namque hanc hominibus legem posuit Saturnius; Piscibus quidem et feris et avibus volucribus , Se mutuo ut devorent , quandoquidem justitia carent . Hominibus autem dedit justitiam, quae multo optima Est . Si quis «nini velit vera in publico dicere Quae novit , ei opes largitur late videns Juppiter : Qui vero testimoniis volens pejerans

Mentietur, justitiam impediens, sine spe remedii laeditur , Atque ejus obscurior posteritas postea relinquitur : Viri autem justi posteritas postea illustrior ( est ) . Caeterum tibi ego bona sciens dicam , valde infans Persa . Malitiam quidem cumulatim etiam capere^» Facile est : brevis quippe via est , et in proximo habitat .

89

CAPITOLO IV.

A

te Perse io favello : ascolta e segna Questi detti nel cor : ama ragione , E la forza in oblìo fa che ti vegna .

fatta legge all' uom Giove propone ; A' pesci , a fere , ed agli augei pennuti Che si mangin tra , concessione :

Perchè senza ragion vivóns' i bruti ;

Ma agli uomin die giustizia : e certo è questo Miglior vantaggio assai , se ben riputi .

Che chi 'n giudizio a disvelar è presto Tutto '1 vero che sa , ricchezze aspetti Da Giove che ogni fatto ha manifesto .

E chi con rei spergiuri , è infinti detti Maligno testimon giustizia preme , D' immedicabil piaga sente effetti :

E scuro dopo lui resta il suo seme ; Ove de' giusti genitor la prole Sempr' è miglior fin all' età postreme .

Oh di senno fanciul più che non suole Uomo in cotesta età ; io ti vo' dire , Perse , e ben so il dover , sagge parole .

Facil cosa è malizia a conseguire

Anche a ribocco : assai ci sta vicino ; Poca strada per lei basta fornire .

12

T»? S' àpiwi; lìpam Sioi 7rp07raLpoi$cv é'S'wxa* ASavctTor /uaxpòt; xad opSiot; ol (xoc, Ì7r aùirìv , 290

Kou rpy\yyc, 7rpamv tWfP 9 «'; dxpoi> ixìitou , 'Pti'iSiti S' Yi7reiTtt 7r{Xei , %a.Xi7rti 7np ìQ<ra Oùtoc, fiiv iraMCf-itsos b\ aùr/p 7rctvm potitrei, $px<rcrxfM!>o<; tu x iwnia xad ìt; liXoe, ycriv à/aeiva- 'E&Xòq rf xoixeìvoqj ot; iv cÌttÓpti 7ri$tiTau. 2$5

"Oc Si xt [ÀYI& avrà voiti , /utir aXXov ÀxììCùv Ev Su/uì> fidXXtiTai , SS' clvt eì%ptiio$ àvyp . 'AXXx <rv y ùixiiipYic, fii/uPti/Uivoi; cùìv ìipirpifi; Epyd^w , Uìpcrti , Siov yivoc,, otppd <n Xi/xot; E^^aipMj (piXtYi ìv^iipM/oq Atifiti-ntp 3oo

Ai Sòl il , /Stòla rstiv 7ri(X7rXti<rt xctXitiv Aifjtòt; yoip iti 7rdfjL7rau) dipyco ero ' fxtpopoc, dvS~$j.- Tv 3W vi(Xicrà<ri , xad dvipìt;, oq xcv dìpyòt; Z,dti y xtitp» varo-i xoSx'poiq IxìXoc, cpfxtif ,

Oi re fjLiXitrtrctùìV xdfxctmv rpùyjiwtv àìpyoì 3o5

"E&ovTgt; croi S"' ì'pya tpiX' gV<w fiirpia. xoTfteìi> , 'fìt; xi ni cópouov @iotx 7rXì!$C0o-i xtxXiou

Ante virtutem vero sudorem Dii posuerunt

Immortales ; longa vero atque ardua via est- ad ipsam ,

Primumque aspera : ubi vero ad summum ( quis ) venerit ,

Facilis deinceps est , quantumvis difficilis fuerit .

Ille quidem optimus est , qui per se in omnibus sapit ,

Cogitans quaecunque dein et ad finem usque sint meliora .

Sed et ille bonus est , qui bene monenti paruerit .

Qui vero nec sibi sapit , neque alii parere

In animum inducit, ille contra homo inutilis est .

Verum tu nostri semper praecepti memor,

Operare, o Persa, Dii genus , ut te fames

Oderit , amet autem pulchre coronata Geres

Veneranda , victuqne tuum impleat horreum .

Fames namque semper ignavo comes est viro .

Hunc vero et Dii oderunt , et homines , quicunque otiosus

Vivit, fucis ignavis similis cupiditate ,

Qui apum laborem absumunt otiosi ,

Vorantes : tibi vero opera justa obire gratum sit ,

Ut tibi aestate collecto victu impleantur horrea .

9l Ma d' innanzi a virtù 1' alto divino

Voler posto ha sudore; e 'n su le prime

Lungo erto e travaglioso è quel cammino : Ma giunto poscia a sormontar le cime,

Trovi , che sebben duro un tempo è stato ,

Agevolmente il passo vi s' imprime . Ottimo è l' Uom , cui per stesso è dato

Tutto pensar ; e se un partito piglia ,

Il miglior mezzo al fin sempre ha trovato. Buono è colui , che di chi ben consiglia

Segue il parer : sciocco chi per stesso

N' è privo , e all' altrui senno non s' appiglia . Ma tu serbando il mio ricordo impresso

Nella tua mente sempre ; alla fatica ,

Perse germe di Dio , non sii rimesso : Onde fame ti sfugga, e sieri amica

Cerere dal bel serto , e l' alma Diva

T' empia la cella di matura spica . All' infingardo , che travaglio schiva ,

Penuria è sempre a lato ; e gli avviene ,

Che a' mortali , ed a' Numi in odio viva : Perchè l' ingegno suo forte conviene

Col fuco ingordo ; che d' ogni opra scarco ,

Del lavoro dell' api si mantiene . Quinci tu di fatica un giusto incarco

Ama di sostener ; che '1 granaro Del vitto della state appien sia carco.

92

'Ipycov i' dvipìc, 7roXv'/u»Xoi r àtyveioi tv. Kou r ìp-ya^ó/ucvoi;, 7roXv ty'iXTtpoc,' dOam/dmiiriv ''Ea-a-ìcu, tìiì ftpomit;- fxdXa. ydp <?vyiou(riv dipyod;- 3l©

vEpyoi< i ttiìv óveiéoq, dìpyiyi ii v ò'veiioc,. E/ ii kcv ìpyd^ti) m^ct ari fyXao-a dipyòt; TIXxtìvi>tu ttXx'tm i àp'twì xaì xdioq oVmJW . AodfJLOi'i i' aloe, ì,y\5$x ' m ìpydfy&cu du&vov , E/ x.cv Ù7r' dXXoTZtcov Knavav ctiiritppova. Svjuqv 3 1-5

Ei; ipyov rpi\a.c, , fiihircic, firn a; <n kìXìvco hiioit; i ovx dyct&YÌ xixpvfxivov cLvipa, x.ojui£ei- hiieò; vf t dvipcte, fJLtyct <rimui ni avi Mitri. . hiidc, 70/ 7rpòc, di>oX/3iyi , Sctptrot; ii 7rpo<; óX@a . Xp^/ucarz d' ùx ctp7rctwTtt' SiórSom ttoXXÒv dfxeìva- 320

E/ ydp ri; xal p^pcn fiiy fxiyaL» ò'X/Sov ì'Xhtou > *H ó'y d.7rò yXdo-CYit; Xni <rcmizi , {o'tct ts 7roXXz TlvìTUt , tvr a,» dV «.{pio; vlov è^a7ra.Tn<rYi 'hvSpC07rw , càia it r dveuiein xa.TV7rd£vi )

Ex laboribus autem viri evadunt divites et opulenti .

Et laborans , multo etiam carior immortalibus

Eris ac hominibus ; valde enim oderunt otiosos .

Operari autem non est dedecus , sed ignavia dedecus est .

Quod si laboraveris , inox te aemulabitur et otiosus

Ditescentein : divitias vero potentia et gloria comitatur .

Deo autem tiinilis fueris . Laborare inquam melius ,

Si quidem ab alienis facultatibus stolidum animimi

Ad opus convertens , de victu sis sollicitus sicut te jubeó'.

Pudor autem non bonus egenum hominem tenet :

,, Pudor qui hominibus valde et obest et prodest .

Pudor quidem ad paupertatem , audentia vero adjacet ad divitias .

Opes vero non rapiendae : divinitus datae multo meliores .

Si quis namque et manu per vim magnas opes paraverit,

Aut lingua praedatus fuerit, (qualia multa

Fiunt , qiuun primum lucri amor mentem deceperit

Hominuui , pudorem vero impudentia vicerit)

n

Ricco in gregge si viene , ed in denaro Per la fatica : se ti fai operoso Agli uomini e agli Dei vivrai più caro:

Che 'n gran dispetto a loro è il neghittoso; E non che 1' operar ci sia vergogna , Solo il non operar e' è vergognoso .

E ben vedrai , se teco ti dispogna

Il mio consiglio a far , di qual maniera Anch' egl' il pigro ad emularti agogna ;

Quando poggiato in gran fortuna altera

Ti veggia ; a cui possa vien dietro , e fama , E quasi degli Dei misto a la schiera .

Oprar è il meglio , e la non saggia brama Di viver dell' altrui , volgendo all' opre , Com' i' t' esorto , il vitto cercar ama .

Or giova or nuoce assai , qualor ci copre ,

Vergogna : al pover nuoce , e 1 guida a stento ; Ardir la via de le ricchezze scuopre :

Ma di rapirle non aver talento :

Però che assai van quelle più sicure , Che degli Dei son date a piacimento .

Che se per guise violente e dure

Assai di roba a forza uomo s' aduni , O per rubare altrui menta *o spergiure :

( Come sovente avvien quando in alcuni L' amor dell' oro l' intelletto svia , E audacia di rossor gli fa digiuni)

33o

94

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'Aree/ , Trctvpov JY r' gW ^cVo* 'ÓX/2oq Ò7n\S£ .

y\o~ov <T' o$ S-' /«mvj> e(| re %èÌvov xcutòv |'p£«- O? re xcHnywwio B* «fa Silvia, fiouvoi

Kpu7rmót'ne, ivri e, d Ao'^a , 7ra.pa.x.ou&a. pìtat>

"Oc, re riti d<ppa.àiyc, clTutouvìtcu òptpuvà tÌkvo.-

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N«x«'ji %a\i7roi<T{ Kct&a.7rió pivot, Ì7r{io-<riv .

T^ c*« ro/ Zews «wro; ày xiimi , ìc, JV reAjc/wV

vEpyav dvr olÒiilùov x.aM7r»v Ìttì^yikov d/uo//3»p.

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Kctò éuvaptv & ipàetv np aSoi/dma-i Sìoìo-tv

'Ayvae, xad xx&apàc,, iwì J dyXctd /jtmojLtt xxueip-

''AAAore ef» G*7rovèyc, Suei<r<ri re tXdo-x.i&ou ,

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"He, tdi iXctov x.paStnv KCÙ Sufxóv e%6>o-iv 3/0

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Top tpiXìovr ìwì adlm KctXèiv > rov cT i%$pòv ìdo~eu .

Tòv {td\t<?ct nxAeiv , oc, ne, o-iSar ìyyvSi voxh

Facile et illuni pessum dant Dii , minuuntur vero familiae

Viri talis : exiguuuique ad tempus divitiae adsunt .

Simile vero coinmittit delictum, et qui supplicem et qui hospitem malo

Quique fratris sui cubilia ascenderit, (afEciet:

Furtivi causa concubitus uxoris, scelerata patrans :

Quique mala cujuspiam fraude deceperit orphanos liberos :

Quique pareutem senem misera in senectute

Probris affecerit , gravibus incessens verbis :

Huic certe Juppiter irascitur ; ad extremum vero

Pro operibus iniquis gravem exhibet talionem .

Veruin tu quidem ab bis omnino cobibe stultum animum .

Pro facultate autem sacra facito immortalibus Diis

Caste et pure nitidaque femora adole .

Interdum certe libaminibus «t aliis donis placa,

Et quando cubitum ieris, et quando sacra ( aurorae ) lux venerit :

Ut benevolum erga te cor atque animum habeant ;

Ut aliorum emas sortein ; non tuam alius .

Amicum ad convivium vocato , inimicum vero relinque .

Eum vero potissimum vocato , quicunque te prope habitat .

Per poco fan gli Dei che afflitto sia

Un cotal uom ; la sua famiglia scema ;

Breve tempo ricchezza ha in compagnia. Son rei del par chi 1 supplice non tema ,

O 1' ospite oltraggiar : di pari vanno

Chi '1 talamo fraterno insidj e prema; E chi per altrui frode ordisca inganno

Ad orfanelli , e chi 'n vecchiezza acerba

Con aspri detti al padre porga affanno . Contra costui per fermo s' esacerba

1/ ira del sommo Giove ; e all' opre ingiuste

Doloroso compenso al fine serba. Ma tu l' odia , e con pure offerte e giuste ,

Secondo tuo potere , i Numi onora ;

Ove lucide carni sien combuste. E doni e pio licor porgi talora

Quando ti colchi, e quando i raggi sui

Scuopre tornando a noi la sacra aurora ; Onde la mente loro a' preghi tui

Sempre s' inchini ; e '1 tuo retaggio , e sorte

Non merchi un altro , e tu merchi l' altrui . Apri all' amico tuo , chiudi le porte

Al tuo nimico ognor che fai convito;

Ma più '1 vicino di chiamar t' importe

96

345

96

E/ yctp toi xxù ^Hfi iyx*>&ov olXKo ^ìftircu,

Y&iiovtc, ascoso* % Kiof7 ^ao-cu/m 7rwt

Un uà. x-Uìiog yeiw , o<r<rov t iyctàòe, fiiy ov&ap .

"Efifiopi ni t/(m<; oc, r tp/uopi yelwroc, ì&?\ou .

Ovó a.v fiovq, stTTÓAoiT , et (ivi yeliwv xctKcg e?».

Eoi jiiv (AiTptxòcu TrcLpÒL yHTovoc, , iu J" ctTroSQyou,

Avtu) reo (XzTpj, y iccù 'Kuiovy oukì Juvhcu- 35o

*\Q$ O.V XpyiÌC,ù"' > *<" H vo-rspov ipKtOf iùpyi;.

KctKct iLipàaivetv xcDtd x.{pìict 'ìtr ctrwiv .

Tòv iptXioiru <p//\«V , Kcù 7rpo<riói'Ti 7rpo<r(*vax .

KCÙ èoftCV OC, KiV èco , X.OJ. fX» Sófizv OC, KCV flit ìéf. .

AoItyi ixìv tic, ì'Jìvxc», ctìcJryi f ovric, ìJokqv. 355

Aule, ayctàv , a.pyr࣠ìì xa.K* Sauuzwio Sór&ipa.. "O? fttP ydp xca> ctvvìp ìàihcov , oyt xxv filya. San

Xcuptt ry ócópfj, km iép7nmi di' xam §vfj.óv- "O? Jt xcv O.VT0C, iMmi, avouìeivipt 7r/%y(<rac.,

Kca. o-fxiKpòviòv , riy i7reL?j&arcv ip/Xcv «7op. ' 36©

E/ yctp X.CV KCÙ (TfAtxpÒv Ì7TI O-fJ.lKpU KCLTuBèlO >

Kaù Sctfxoi tkS- ipSoic,, rar^a x.it> fjn'ya x) ylvoiio

Si enim libi negotium domesticuni aliud (i. e. adversum) eveniat ,

Vicini discincti accurruut , ciuguntur autem cognati .

Noxa tam magna est malus vicinus, quantum bonus commodum .

■Nactus est honorem , quicunque nactus est vicinum bonum .

Neque bos intenerii;, nisi vicinus malus sit .

Recte quidem metiaris a vicino (mutuum accipiens ) reeteque redde ,

Eadem mensura , et ainplius , si qui'lem possis :

Ut indigens etiam in posteruin promptum invenias .

Ne mala lucra captes : mala lucra aequalia damnis.

Amantem te ama, et invisentem invise

Et da ei qui dederit , neque da qui non dederit .

,, Datori namque est qui dat , non danti vero neinn dare solet

Donatio bona, rapina vero mala atque letifera .

(Quicunque etenim vir libens dat, etsi multurn dederit,

Gaudet donando , et delectatur suo in animo .

Qui vero libens rapuerit , impudentia fretus,

Quamvis id sit exiguum , tamen cruciai suum animum .

Siquidem enim parvum parvo addideris ,

Et freqUenter.istud feceris , mox magnum et hoc evaserit .

Che se disastro in casa avrai patito , Discinto il tuo vicin ti si offerisce , Mentre il parente cingesi 1 vestito .

Buon vicino è gran bene , e chi '1 sortisce , Sortisce onor ; è rio vicin gran male : Senza tal peste un bue non ti perisce .

Prendi a giusta misura , e rendi a uguale , Quando dal tuo vicin togli 'n prestanza ; E a maggior , se tua possa a tanto sale :

Così in altri bisogni avrai speranza

Che ti sia presto. Il reo guadagno aborri: Fra' danni e rei guadagni è simiglianza.

Ama chi t' ama ; a visitare accorri

Chi da te vien ; e dona anco a chi dona ; Ma in donar chi non dona non precorri .

Si solo a chi : pregiata e buona Cosa gli è il dono ; e la rapina è trista , E morte a venir sopra incita e sprona .

Chi largisce di cor , piacer ne acquista , Benché gran dono faccia ; anzi ne gode Ivi entro , ve non ghigne umana vista .

Ma chi l' aver d' altrui si prende a frode Sicuro e baldo; ancor che toglia poco, Per lo rimorso se n' attrista e rode . Che chi ciò fa sovente, è a poco a poco Picciola somma a picciola con giunge, Gran cosa vien a fare al fin del gioco.

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91

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'E&Xcv ftiv, Trapiovwq iXicBzr irìi fMt Si 8vfjito , Xptif£eii> etTTìó vmg y a tri <ppd£ì<r6ou àti'tvya- Ap^ofiìva Si 7r/&otj xod XjycvTot; xopicraoSou , Meo-ero'. 9v <peiSì<r$oum Seivy S' ivi Tro^fxivi (pnìcó . >y Mi&òt; S àvSo). <p/Xa eìpytftivot; dpK/ag %<;&. S'JO

Ka* te 7La.<riyvY[TCà yiXd<rxg ini paprupa. B-i&cu . )} ILs"«£ S aipa. ó/ueog xoù àv/rfou aXiarxv cLvSpitc, . MxJV ywri ari vóov 7rvyo7ÓXog c^ct7ra,mTw , A/'/uuXa iLCùTtXXovira.-, nvìv Stipava xaÀ/wV » "0$ Si yvvouzì 7tì7toi9ì , 7ri7roi& cyt ipyiXn'ryia-/ 7t-J>

Mxvoycviìg Si 7ra.ic, creolo/ 7rxrpeJior oìnov 0>ip(3i(AQV eoe, yàp 7tXhwc, didimi h> /uiydpotcì . rupcuòg.Si Sctvoig ittpov 7rouS' iyx.<tmiXeÌ7rci)v. Pela di' xcv 7rXié<>itrcri 7rcpoi Z'tvt; a<r7ri70t> oX/3op- TLXeicov fxiv 7rXcóvuv jutXim , /u&'^tov S' ìttiShm 38o

So/ S ei 7rXtiTti 3-o/uòg iiXSimi e* $ptcìv fieni' , '.Q.S ipdeiv i'pyov Si t Ì7F' ipya ipyaZp&out.

Qui vero parto adjicit , is vitabit atram famem .

Neque vero quod domi repositum est , hominem sollicitum habet .

Domi melius esse : quondam damno obnoxium quod £bris est .

Bonum quidem, de praesenti capere: noxa vero animo,

Egere absente ; quae te cogitare jubeo .

Quum relinitur dolium , et fere est epotum , saturare ,

Medio parce : perniciosa vero in fundo parcimonia .

,, Merces autem viro amico constituta sufficiens esto ,

Etiam cum fratre ludens , testem adliibeto .

Credulitas pariter ac diffidentia perdere solent homines .

Ne vero mulier te animo brachia exornans decipiat ,

Blande garrieus, tuum inquirens horreum .

Qui namque mulieri confidit, confidit is furibus .

Vnicus vero fìlius servarit paternam domum

Eo educando : ita enim opulentia crescit in aedibus .

Senex autem moriaris , alium filium relinquens .

Facile vero et pluribus praebuerit Juppiter ingentes opes.

Major autem plurium cura , major quoque accessio .

Tua vero si opes incus appetit in suis cogitationibus ,

Sic facito; operamque operae subinde addito

99 Chi cresce il suo , la fame non lo giunge ;

E in casa il serbi ; ivi non pensiero ;

Soggetto è a venir men quando n' è lunge .

È bene in casa aver ciò eh' è mestiero j Di ciò eh' è fuore aver mestiero è doglia : A tai detti pon mente ; io te l' impero .

Nel bel principio , e al fin bevi a tua voglia ; Ma parcamente allor che 1 doglio è a mezzo ; Risparmiandosi il fondo uomo s addoglia .

Paga all' amico il concertato prezzo Pari al lavor : se col fratel contratti , Testimonj 'n quel patto entrin di mezzo :

Ma paja , che per giuoco' ve gli adatti: Che fidanza del pari e diffidenza A la perdizion gli uomini ha tratti .

donna ti seduca in apparenza

Gaja e loquace , al tuo granar frugando : Chi a donne , a' ladri ancora credenza .

Unico un figlio , lui ben educando ,

La paterna magion guarda , e provvede , La cresce , e ne fa ir penuria in bando :

Ma tu , vecchio morendo , un altro erede Lassa di te : che dove è più d' un figlio Giove gran beni di leggier concede .

Più roba avendo , arai pena e periglio

Maggior ; ma Ila che . l' oro anco ti cresca : E se brami arricchir , fa il mio consiglio ,

E aggiugner opra ad opra non t' incresca .

IOO

HXyi'idSav ' ATXctycvt av Ì7rmX\ofjicvuct)i> , ''Ap%i&' àfty-ài dpówto > SvTO'ofjt.ivdcov A/ cJV 7D/ vvzTttz re xa* yt'fÀOtm T&nraLpdxovm 385

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Na/acr/y yvfxvòv <r7reipetv , yvfxvòv /Soareìiv, TufAvop S' a'fzoi&ty , e? % ùipja. 7rcLvr ì$iXy&a ''Epya. x.O{/./£ii&ou Avtfx^Tspoi;- à><; ni inetta.

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Mw /rore crup 7rouSìoTt yuvxixt 75 SvfJiòi' d^ivav ,

Zwmnis fiiorvv xoltÙ yeimvae, > S' d/A-Xcoo-iP 400

Plejadibus Atlante natis exorientibus, Incipe metere ; arare vero , occidentibus . Hae quidem et noctes et dies quadraginta Latent : rursum vero revoluto anno Apparent , primum ut acuitur ferrum . Haec utique arvorum est lex-, ( cum iis) qui mare Prope habitant, ( tum iis) qui valles flexuosafi Mari fluctuante procul pinguera regionem Golunt . Nudus serito , nudusque arato , Nudus quoque metito , si quidem matura omnia voles Opera ferre Cereris : ut tibi singula Matura crescant , ne quando interim egens Mendices ad alienas domos , nihilque efficias . Sicut et nunc ad me venisti : ego vero tibi non amplius donabo , Neque amplius mutuum dabo . Labora , infans Persa , Labores quos hominibus Dii per signa demonstrarunt : Ne quando cum liberis uxoreque animo dolens, Quaeras victum per vicinos , hi vero negligant .

IOI

CAPITOLO V.

A,

-Ila messe t' appresta allor che s' erge Il segno delle Plejadi d' Aliante , E all' aratura quando in mar s' immerge . Quaranta si cela ed altrettante

Notti ; e risorge allor che , volto 1' anno , S' aguzza il ferro per la messe instante . Tal legge è a' campi , ed a' cultor che li hanno Dappresso il mar, e a quei che in terren lieti Fra valli curve , lungi al mar si stanno . Semina ignudo , ignudo ed ara e meti , Se brami pur , che 'n sua stagione adempì I lavori di Cerer consueti ; E che le biade tue crescano a tempi , Ne deggi 'ntanto mendicar soccorso All' altrui porte' ; e '1 tuo desir non empi . Tal , non è guari , avesti a me ricorso , Ma di dono più , di prestanza Colle fortune mie sarai soccorso . O Perse ! o de' fanciul fatto all' usanza ! Compi i lavori che negli astri scritto Hanno gli Dei per nostra ricordanza ; Se non vuoi gire invano egro ed afflitto Con la tua donna e i figli nel paese A questo e a quel vicin chiedendo il vitto:

102

&t$ fiìv ydp xoù rp/g mxa lévZtow -tip S' tri Xv7Tf^ XpUfxct /xìv « a-pwi^É > ^ ^ nutria 7roXX' àyopivrei$ 'Afòèioi; S' t<?cu t7rta>v vofxct; ' dXXoi <r di'coya *

<Ppd£i&xi fòinóiv re Xutrtv , A/yUB r! ar Xtcopij 9 OÌxop /xìv 7rptoTi<?a. > yvPouKct re, yS^y r dpompct , 4°^

Kmvìf, « ya/xi-aìv , wr/$ xaz fintr/v t7rono. Xpv'/uctm è eìv oIx.óo 7rctvr apfxcvct 7ro/y(<ru&ctf Mw o-w //?? curi? e, dXXop > ò S' ap;»ra»/ , trù mra , 'H «T <s5'p>f 7r apci pei fimnt > /u/w'Svi Si rot tpyop. Myi'S dva.BdXXi&au tt; r av?jov , tq r tpptttptp' 410

Ou ^-ap «7&j(T/ojpj-(3$ aVup 7ri fX7rXvttr/ xxX/hp , ,, Ot/«T at.vot.fixXXófxzvot;- fiiXim Si ivt tpyov òtptXXH' Aìeì d dfxBoXiìpyoc, #Wp arpa-/ 7ra.Xxiei . Hjuot; Sri Xìi'yfi fxgpoq o^toc, tìiX/oia

Kot.ufxot.io4 tSot,Xifta , fiiW7Tù>^.::òv òju,8pti<rwm<; ^l5

'Lwoc, ì&t&cv'éoi; , [Aiiù Tpi7ri7at Bpórtoq ^<w$ HoXXòv tXa(ppo7?po<; ( Sri ydp tot? treipjoi; aVwp Bouòp V7rìp x.<<piX.XìÌ$ nti?jTpi<pìay dv%pta7reo» vEp%i7Ui n'fxdrioq , wXéiop Si re n>x.w<; t7rotupeì )

Bis enim et ter forsitan consequeris : si vero amplius molestus fueris.,

Rem quidem non facies , tu vero inania multa dices .

Inutilis autem erit verborum copia . Sed te jubeo

Cogitare debitique solutionem , famisque evitationem .

Domum quidem primum , foeminamque bovemque aratorem ,

Foeminam, inqnam , famulam non nuptam , quae et boves sequatur ,

Instrumenta vero domi omnia apta para :

Ne tu quidem petas ab alio , illeque recuset , tu vero careas ,

Tempus autem praetereat , minuaturque tibi opus .

Ne vero difFeras inque crastinum , inque perendinum :

Non enim laboris fugitans vir implet horreum ,

,, Neque procrastinator . Studium vero tibi opus auget :

Semper autem dilatar operum vir rum damiiis luctatur .

Quum itaque jam desinit vis fervidi Solis

Galorem sudoriferum , per autumnum pluente

Jove praepotente , movetur humanum corpus

Multo levius; (nam tunc Sol

Paulisper supra caput mortalium hominum

Venit interdiu , magis autem noctu fruitur . )

Ch' egli due volte e tre ne fìa cortese ; Ma se lo noj di più , repulsa avrai , E le gran ciance non saranno attese .

Vana è ragion di ciance . I' voglio ornai , Che '1 tuo debito a sciorre , ed a schivare De la nojosa fame pensi i guai.

Casa di tutto in pria , buoi da solcare , Serva senza marito , a guidargli atta ; Ed ogni arnese acconcio dei trovare.

Che se da un altro un mobile s'accatta, E quei non vuol prestar ; resti dolente , Ti fugge il tempo e V opra non è fatta .

a la dimane o all' altro vegnente Tardar si dee. Mai non empiè granaro Neghittoso cultore , e di man lente .

Cresce il lavoro coli' industria a paro: E lottan sempremai colle sciagure Quegli che senza far temporeggiare

Adunque allor che le cocenti arsure

Va cessando nel mondo , e '1 sudor molle , L' alto pianeta che co' raggi adure ;

Quando piogge d' autunno all' arse zolle Il gran Giove dispensa; e assai più lieve L'uomo le membra sue move ed estolle:

(Però che'l Sol fiammante a tempo breve Sovra 1 capo di noi guida le ruote E di più lunghe notti agio riceve.)

103

104 Hjuot; àSwmuiti 7rìXivxt T/j.tiB-eio'a. <riS*ipa 420

"TXy, (pvXXtx. S' fpa£« %ìei , 7rrópBoió n XiyH' TUfioc. dp v\oic(Ji.éìv ixiiiv^fiivoc, azjiov 'ìpyov,

"OXfXOV (JLiV TZJ-7rÓS\\V TUfXVeiP , V7TipOV T£/7rt!%UU)

"A%oi'd $ Ì7tto.7toSw (xdXa. ydp vv mi dp/ucvov ara.

E/ kz» óx.ist7róSYiv ano kcù <r(pvpx» ni m/uoio, 42^

Tzj.<r7rl&a.(j.ov «fj cL\tv ittfAveiV SwaScópa a.fj.dfy ,

IloXX S7TÌ Kctfj.7niXa. zdXct (pìpeiv ^t/«y , or av ii'pvtt;.

Et; 0/x.ov, x.xt òpot; Sttyftcvoi; , « rtctr a. papa* ,

II^uvjw o; ydp 6x<rit> dpxv ò^vpcJ-nzng ìsiv

EtTr' ài> ' kÒYwaiYie, S[xck>ò$ ce tXd/xari ttyi^ùlc, 4^0

róp.<poi<r/p TTìXairaq 7rpo<rapy!pcrat tsoftoyi .

ù.oid $ì&xi dporpx , 7rovY\o-a.(XQvoe, Kxrd oIkov ,

Avmyvov xxì 7twtov i7r&t 7toXv Xulov » to .

x i^pof y ctfas-) tnpóv y ÌttÌ fino-i fidXoio

AcKpvw; S » 7mXt'm; ÙKiaTrtTvi iTofioriic.. ^35

Apvòq ìXvyLO. , 7rpj.va yvw fili S' cvvoumpca

Quando minime cariei est obnoxia caesa ferro

Silva , folia autem numi fundit , finemque faeit germinandi :

Tunc sane ligna secare tenipestivum esse opus memor ,

Mortarium quidem tripedale seca, pistillum vero tricubitale,

Axemque seplempedalem : valde enim certe conveniens sic .

Si vero octopedalem et inalleum inde secueris,

Trium palmorum curvaturam rotae secato decem palmorum currui ,

Multa praeterea curva ligna : ferto autem Lurim , cum inveneris ,

Domum , sive in monte quaerens , sive in agro,

Iligneam ; haec enim bobus ad arandum firmissiina est,

Si Palladis famulus dentali infigens

Glavis .conjungens temoni adaptaverit .

Bina vero facito aratra , laborans domi ,

Non compositum et compactile : quoniam multo optimum sic .

Si quidem alterum fregeris , alterum bobus injicias .

E lauro autem vel ulmo firmissimi temones sunt .

Equercu dentale , ex ilice burim (facies), boves vero duos novenne*

Quando le secche frondi a terra scuote E da' germogli 1' albero s' arresta , E se lo tagli , in lui tarlo non puote ;

Ti rimembri a que' , che F ora è questa A' legnami opportuna; e al taglio usato De le mature piante il ferro appresta.

Con tre piedi il mortar sia misurato ; Si sollevi a tre cubiti il pestello, L' asse di sette pie molto è adattato :

S' egli ha F ottavo , fanne anco un martello ; Dieci palmi aggia il carro ; e di tre spanne Le volte delle ruote siano in elio.

Gran curvi legni aduna, e in traccia stanne D' una bura di leccio , e se la trovi In monte o in pian, con essa a casa vanne.

Che invitta è all' opra degli aranti bovi Se al timone F unisca , ed al dentale L' innesti il fabbro con infitti chiovi .

Due degli aratri , e 'n foggia disuguale Faratti , intero F un , F altro composto : Così tenergli in casa a molto vale:

Che se F un si diromrTe , all' altro tosto I bovi sopporrai. L'olmo e l'alloro Se a' timon degli aratri in opra è posto ,

Fermezza altra non è pari alla loro:

Ed il leccio alle bure , e F aspra e dura Querce de' tuoi dentali usa al lavoro .

*4

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'H r àpoTOto ts a-iifÀCX. <p/p« , x.od yeifxaToe, copyv /^5c

A&Kvvei òfxBpnpQ xpctSlnv cf' ì'Sax.' àvSpòc, à/3ovTsa> Aw 7ore yopm^fiv iXittctc, (Boote, tvSov ìévmc, VniSiov yàip ì7roc, h7tHv , /2os Jo<; xai u/ua^xv 'V'a'ìSìov Sà.7rui)YiVct^auLì,7Ta.pa. S' t'pya. Bóicrariv-

Masculos comparato (horura enim robur non imbecillum est)

Juventutis mensuram habentes ; hi ad laborandum optimi .

Non utique hi dimicantes in sulco aratrum

Fregerint, opus vero' imperfectum reiiquerint .

Hos autem simili quadragenarius juvenis sequatur,

Panem coenatus quadrifidum , octo frustorum ,

Qui quidem opus curans rectum sulcum ducat ,

Non amplius circumspiciens aequales , sed in opere

Animuin habens . Hoc vero neque junior alius melior

Ad spargendum semina , et iteratam setionem evitandam .

Junior enim vir ad coaetaneos evolat animo .

Observa vero , curn vocem gruis audieris

Alte in nubibus quotannis clangentis ;

Quae et arationis signum affert , et hyemis tempus

Indicat imbriferae : cor autem rodit viri bobus carenti?.

Tunc sane pasce camuros boves , domi manentes .

Facile enim dictu est, par boum da et plaustrum :

Facile autem recusare , et dicere , boves occupati sunt .

-\

io?

E due diascoli buoi cerca e procura

Pur di nov' anni : allor non son di sceme Forze ; che d' età fresca han la misura .

Ei sono i meglio ; cozzando insieme L' aratro a' solchi fiaccano ; 1' opra Lassan mancante delle parti estreme .

Giovin bifolco a seguitarli adopra , Che il pan quadripartito in otto morsi Spacci qualor alla sua cena è sopra .

E degli anni quaranta abbia già corsi ,

Quando amor de' compagni più noi sugge , Ma dritto il solco trae senza distorsi .

già semina meglio , e non isfugge Chi ha meno età di far soprassemenza : Che dietro de' suoi pari il cor gli fugge .

Al canto della gru poni avvertenza ,

Quando per 1' alte nubi ogn' anno s' ode Gracchiando rinnovar la sua cadenza ;

E 1 tempo avvisa con rauca melode Dell' aratura e del piovoso verno , E n cor chi non ha buoi martella e rode .

Ma tu ., come l' udrai , fa buon governo

A' buoi , che nodri 'n casa ; i quai compresso Aggiano il corno in un bel cerchio interno .

Prestami '1 carro , e il par de' buoi con esso , È a dirsi lieve ; e lieve anco è a negarsi , E dire : il par de' bovi in opra ho messo .

io8 *«o-/ ì àvyp <ppiva<; d$veiò$ 7rìi£ct&cu a pagai/ , 455

NmV/o?" ùSì réy' oìS' , e'xanvi> Si ts Soupa& àfxdgtii; . Tav jrpoc&Cf /buM'nt? i%if/,C4>, oÌMict &{&ai. Evr àv 7rpa>Tt7 dpowt; Svvim7<ri (paveiti , A»' roV ìtpopfxti&ìivou , òfJLat; Sfiaig re xaì aorè$ , Auyiv xaì Snpnv àpocov , dpómo xa$' apnv , ^60

Tlpaì' fidXa <T7tvjSoùv 'iva wt 7rX»$a><riv dpipaz.

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N«&V <r7reip&v tri xovtpi^acrav apovpav .

N«o? àXi^idpyi , ttojlSoov iVKviX^TSipa .

Evx'c&at Si Ali %$oviù> , Ah^tspJ. S-' dyvvt , ^65

'ExreÀe'a /3?X3-«? Aw^wrepos /gpeV axwV

Ap^óficvot; m 7rpcor apo'ra, <5'rai> d'xpov Ì%Ìt\h<;

Xhp} Xa/3a*v op7rnxa 0oàv ìtti vcùtov ìixviai

''EvSpvov ìXxóviutv /ui<rd/Sa> ' ò tut9g<; 07ti&c»

ùkUetOit Zycùv ftaxiXttv , ttovov cpvi^i<r<ri r/Seiti 4l°

~E7TipiAa xa.Tux.pv7r-mv iri$n/j.o<rdv>i yàp a£Ìs"w

Constituit autem homo , qui opinione sua dives est , fabricare plaustrum,

Stultus : et hoc nescit , centum esse ligna plaustri .

Horum ante curam habere oportet , ut sibi acquirat .

Cuin prinium igitur arationis tempus mortalibus apparuerit ,

Tunc aggredere , simul et servi et tu ipse ,

Siccam et humidam arans , arationis ad tempus ,

Summo mane festinans , ut impleantur tibi arva .

Vere vertito , aestate vero iterata non te fallat .

Novalem vero serito adhuc levem terram .

Novalis imprecationum expultrix , liberorum placatrix est .

Supplica vero Jovi infero , Gererique castae ,

Vt matura grandescant sacra Gereris dona

Incipiens arare , cum extremum stivae

Manu capiens, stimulum in boum dorsum immiseris

Temonem trahentium loris ; puer autem pone

Servus , ligonem tenens , negotium avibus facessat ,

Semen abscondens . Rectus enim ordo optimus

Tal si tien ricco, e 1 carro ornai vuol farsi * Folle ! sa che cento ivi son legni,, Che pria con molta cura deon cercarsi .

Or come a noi per manifesti segni

Si scopre il tempo che ad arar s'imprenda, Vo' che i servi, e te stesso all'opra impegni.

Allora umido , o secco il suol si fenda ; Avacciandoti assai di bel mattino, Se vuoi che pien di messe il campo splenda.

A primavera il rompi: il buon destino Così non falla ; sol che a' cocenti Si rinnovelli coli' aratro inchino .

Molle il maggese sia qualor sementi : Ei toglie da le lingue i preghi rei , E de' figli bambin placa i lamenti .

E sparger voti a Giove inferno dei , E a Cerer casta, onde matura e opima La messe cresca , e i doni almi di lei .

Questo far si conviene allor che in prima S' esce all' opra , e la mano si congiugne Già de la stiva a la superna cima ;

E '1 dorso a' buoi con stimolo si. pugne , Che '1 timon van traendo a mano a mano Per li duo coreggiali a cui si aggiugne .

E segua i passi tuoi non di lontano Armato d' una zappa un garzonetto , Che dia briga agli augei coprendo il grano.

no

®vymi<; dvSrpa7roi<;' xetxoB-ti/uoo'ui'» Si xax/r»- vQ.St x.av dSpoarrivy <?d%uis n'votcv tp&fy , E/ réXog dumi; 0 7ri&cv X)Xv/H7riog ì&Xòv Ò7ra.tpi. Ex / àyyicùv ìXa.creia.c, dpd^yict ; xcu ari ì'oA7rx 4?£

ruS'wV^r, filò mio ipivficvop ivSov iovrcg- Et/o%B,iG>i> S ìlfycu Tro'ktòv ictp xSì <®fo\ a.XK\te, Ariydnax- ano S' dXKo^ dmp xi^fxivoc, ì'^ou . E/ xcv YuXtoio rpo7ryt; dpóyc, ^póva. S7cu> , "H[aìvo$ d/uìicr&c;, ò'h'iyov 7iìp} xhP^ ìipycov , 4^0

Avriat. StCfAevcov xtxovi pivot, , ori (xdXct ^aupcov Oto-ett; S cv (poppa 7ra.il poi Si o"t Smarovrui v KXhoTt S dhXoioc, 2jYiivi; l'óog Aìyió)(Oio' ApyxXiot; S' dvSpio-ari xam Si>n7oi<r/ votio-ou. E/ Si xcv 0-^' dpóo-yq , to' xiv toi tpdp (xa.xov Hti 4^5

HfAOt; xóxxv% xoxxri^&i Spvòc, cv 7rimXoto-t To 7rpcaT0fj T?p7rei re /3poTag Vzr' a.7r&povat, ycuaw > Tn/uoi; Ztvt; voi riJ.ru n/uctrt , fxtìS' d7ro~knyot ,

Mortalibus homijiibus est ; confusio vero pessima .

Sic quidera ubertate spicae nutabunt ad terram ,

Si fìnem ipse postea Juppiter bonum praebuerit .

E vasis autem ejicies araneas : teque arbitror

Gavisurum , victu potitum intus reposito .

Bene instructus cibis autem pervenies ad canu.ni ver , neque ad alios

Eespicies : tui vero alius vir indigus erit .

Si vero bruma araveris terram almain ,

Sedens metcs , pauxillum manu comprehendens ,

Ex adversa parte manipul'os ligans pulverulentus , nec valde .gaudens

Feres autem in sporta : pauci vero te suspicient .

Alias vero alia Jovis mens Aegiochi:

Sed mortalibus hominibus eam deprehendere difficile .

Sin autem sero araveris , hoc quidem tibi remedium fuerit :

Quando cuculus canit quercus in frondibus

Primum , delectatque mortales in immensa terra .,

Tunc Juppiter pluat triduo, neque desinai,

I II

Nulla cosa è miglior del buono e retto

Ordine per ogn' uom , che vive al Mondo , Nulla cosa è peggior del suo difetto .

Così le spiche per soverchio pondo Il capo a terra piegheran da' stéli Sol che da Giove il fin venga secondo ;

E via torrai dei vasi i ragnateli

Lieto e gajo , cred' io , di tanto acquisto , E de la provigion eh' ivi entro celi .

E a la bella stagion verrai provvisto Senza sguardare altrui : ben fia mestiere Altrui di pregar te dolente e tristo .

Ma se di verno sol prendi pensiero D' aprire il suol , farai la messe assiso , Peso chiudendo in man poco e leggiero :

E gli opposti covon con poco riso

Legherai polveroso , e porrai 'n sporta : Pochi ergeranno ad ammirarti il viso .

Altro tenor di cose al Mondo apporta Talor la mente dell' Egioco Giove ; Che a ben saperlo umana mente è corta .

Se tardi arasti , qual rimedio giove Or ti dirò . Qualora intra le frondi De le querce il cuculio il canto move ,

E gli uomin per la Terra fa giocondi ; *

Allor tre , senza restare unquanco , Giove con pioggia i colti ti fecondi:

MwV dp v7np@dXXa>v f3oò$ oVAmV, fxnr dwoXei7rù)V Outu) x ò-lapóvtq 7rpa7»pory\ itroya.°}Zpi 49°

Ei> SvfAM <T tu 7rdi>7u <pvXd<r<no ' finii <n Xn'Soi Mh't' ì'a.p yivo/jLZvov 7roXièv , yu»'3- aptoc, ofi^poc, Tldp <T ÌB-t %dXx&ov Saxov , xod éV ahi a. Xitr^v, "£lpy x^H-^'f ■> ÓTTon xpv'og dnpai; ètpyov la-^xvei' ivSa x doxvcc, di-rìp (xiya. xov ò<piXXei. l\^H

Mw' era xctxx x^^vo^ àfiyi^xv/n Ka.iafxdp-\,Yt Xùv 7TC4>r,ì, \i7rry ttol^vv 7rèSa. ^«3J 7riit,otc,. TloXXd S' dipyèe, dv*p kwiyìv ini ìXttiS'cl fx/fivav^ Xpni^cov fiiómto xaxa. <Sfoa-iXi^XTo Sufiu . 'EÀ5r/$ d xx. dyttSn xi^yifjivov dvSpx xou/^ei, -Soo

"R[jlc«ov e* Xio-xy y rì> /un filcx; dpxto^ «« . Aeixwt JV ófj.ai<r<ri > Sipiu<; Iti yueWa ièvivc,' Ovx aiti bipoc, itro-éÌTui , 7toìh&ì xaXtdi;.

Non utique supra bovis ungulam , necfue infra :

Ita et serus arator primo aratori aequalis fuerit .

Animo autem bene omnia reconde : neque te lateat

Neque ver exoriens canum , neque tempestiva pluvia .

Praeteri autem officinam aerariam, et calidam tabernam,

Tempore hyberno , cum frigus homines vehemens

Detinet : tunc sane impiger vir valde domum auget .

Ne te malae hyemis difficultas opprimat

Cum paupertate , macilenta vero crassum pedem manu premas,

Multa vero ignavus vir vanam ob spem expectans ,

Jigens victus , mala versat in animo .

Spes vero non bona indigentem virum fovet ,

Sedentem in taberna , cui victus non sufficiens sit .

Die autem servis, aestate adhuc media existente ,

Non semper aestas erit , extruite casas .

X13 Quant' è 1' ugna d' un bue , più manco ,

S' erga il caduto umor : così al più pronto

Ogni tardo arator può stare al fianco .

Chiudi nel cor quant' io scrivo e racconto ; Onde non sia che inosservata lasce O pioggia che a' bifolchi metta conto,

O chiara primavera allor che nasce .

CAPITOLO VI.

N,

el tempo che l' inverno si rinnova , Quando gli uomini un giel preme gagliardo , E assai 1' industre a la famiglia giova ;

Trapassa , che non ti dian ritardo De' fabbri le fucine , e 1' altre sedi , Ove si scalda e garre ogn' infingardo ,

Perchè lo stremo e il mal non ti depredi In quella rea stagion , ti convenga Premer con magra mano enfiati i piedi .

Chi senza cibo aver che lo sostenga Sta aspettando ozioso in vana spene , E forza che gran mal covando venga .

Non buona è la speranza a cui s' attiene Chi del vitto ha penuria , e le giornate A' ridotti sedendo s' intertiene .

E dillo a' servi infin da mezza state :

Non sempre sarà estate e tempo gajo:

I tugurj per tempo fabbricate .

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Mift'ct Xavxtava, xdx.' ti (jlcliu , fèuSopa Traila, Txwv dXì'va&uf xaì TTìiyaSat;, cut Ìtti yatas 5o5

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EfATrtTnwv , xow Triterà (eoa. tots vyi&tvi; vXyi- &yjpi<; (pq.ta- trova- , ovpdt; S '3&Q fJ-itì ì$cvtv> Tav xaì Xd%vy Sìpfxa xama-x/ov aXXd vv xaì iwv "ìrv^pt; ìàv S/dna-t y Saa-vripvav Trip ìovmv- Rat re Sta p/fK fiocc, ip-fcTtxi , a'JV [xtv ì'a-y^ei . $\S

Kaz re aìya omeri 7ztvvTgA%a.' ttuìa § nrr Ovvili Ì7rtiiTUJvaJ T?J.%ìe, aviwv , ov Sidyriv *I$ dvifxv Bop{y rpo%aXòv Se yipovm t'iSywi- Kaì Std Tra.p9avix.Yii; dTraXó^oot; a Sidna-iv , "H re Soixuv ìvtu&ì <plXy TTctpd (Ainizt fiifiim , 320

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Mensem vero Lenaeonem , malos omnes dies boves exeoriantes ;

Hunc vitate : et glacies , quae quidein super terram

Flante Borea molestae sunt :

Qui per Thraciam equorum altricem late mari

Inspirans illud movet : constringitur autem terra et silva :

Multas vero quercus alticomas , abietesque densas,

Montis in vallibus dejicit , terrae multos pascenti

Incumbens , et omnis reboat turi e in gens 6ilva .

Ferae autem horrent , caudasque sub pudenda ponunt ,

Eae etiam quarum villis cutis densa est . Sed et harum

( Cutem ) frigidus quum si t perflat villosas licet pelles habentium .

Quinetiam per bovis pellem penetrat , neque ipsum arcet .

Etiamque per capram fiat longospilos habentem : ovium autem greges

Eo quod valde densi ipsarum villi sunt , non perflat ( non item :

Vis venti Boreae : incurvum vero senem facit .

Et per tenelli corporis virginem non perflat ,

Quae in aedibus suam apud matrem manet ,

Nondum opera sciens aureae Veneris :

Beneque Iota tenerum corpus , et pingui oleo

Vncta , noctu cubat intra domum

Fatevi schermo contro il fier Febbrajo, E i mali dì, che i buoi menano a morte, E l'aspro giel che in terra crea Rovajo,

Quando coli' aure sue di Tracia sorte

Di destrier madre , muove del mar 1' onde , E piagge e boschi si costipan forte ;

E per valli da' monti al suol diffonde

Opachi abeti , e querce uscendo in terra , Ed ogni selva con fragor risponde .

Trema qualunque fiera per boschi erra , Benché d' irsuto pel cinta e difesa , E la ritorta coda al ventre serra .

Che se ispida è la cute , a farle offesa Il freddo vento arriva : i bovi anch' elli Provan che i duri cuoj non fan difesa .

Fiede le capre , ancor che lunghi han velli ; Le Pecorelle : che mai non passa Rigor di Borea lanose pelli . Gli omeri e '1 capo al vecchierello abbassa : Solo di molle vergine pudica Per le tenere membra non trapassa ; Che appo sua madre in casa si nodrica ; Si lava , e d' olio s' unge , e a notte riede Di verno al letticciuolo , e vi s implica ,

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Hfj.ari %&/mt?J.6i> , or àvó?'to<; Bv TroSa t{v$h , vEf r à7Tvpo> oex-w, xou cv » Sieri XiuyaXioiviv òiò

Ov ydp o! vìi'Xeoi; Seixvv vo/àov òpfXYiBUvaj.- 'AXX' ini Kvyjiiav àvS'poùV Svi/uóv re 7toXiv re Xrpaxparou , Bpdìiov 7rau>iXXiivi<ro~i (paeivei- Koù re're tf» xtpaoì xou vyxìpot vXtixotrou

Avy,òv juvXióoavrsg ava. £?}a Bwa-viz/Q. 53o

Qwyovo'iv , xaì 7rao~iv ovì ippici wre (j,{(jmXcjv , Oiv o~nt7ra. (xouófÀiPOi 7rvxtva<; kojS /uà! i>a$ i^u<r/, Koù 'yXatpv 7rirprtcv mre cfù r$j.7roSi Spora) /co/, OS r i7Tt vara. iayiì xdpv cT' eie, oùd~a<; óparctf Tp 'IxtXoi <ponwo~iv , àXtvó/ncvoi v!<pa Xìuxh'v . 535

Koù Tore to-a-aL&au tpvfta ^po\) &>$ (Ti XiXivco > ~X.Xou.vav re fxaXaxviv , xoù npfxiócvra ^inoia' ~2.infj.ovi ó1' cv 7ravpa> 7toXXìÌv xpoxa /Ltìipuo-a&ou T'jfV Tr'tZj.ivarcL&ou. , 'ha re/ tzÌ%ì$ àrpi/Aieoo-i , MtfcT òpSoù <p2.t.<ro-co<rjv , aHpo'fjuvou xam creo /uà- 5/fO

'AfAtpi et 7T00-0-Ì 7TÌÌlXa 3oÒq ìtpt XTTXfliVOlO

''Apfxtva £\i<ra&ou } 7ri'Xotg ì'vtv&s Trvxdo'as

Tempore hiberno , quando exossis polypus suum pedem arrodit ,

Inque frigida domo , et in latibulis tristibus .

Non enim illi Sol ostendit pabulum ut invadat :

Sed super nigrorum hominum populumque et urbem

Vertitur , tardius autera Graecis lucet .

Et tunc sane cornutae besliae et non cornutae silvarum cultrices

Misere denkibus stridentes per nemora clivosa

Fugiunt ; et passim omnibus id curae est ,

Quae tecta inquirentes , densas latebras habent,

Et antrum in petra : tunc utique tripodi homini similes ,

Gujus et humeri fracti sunt, et caput terram spectat :

Huic similes incedunt vitantes nivem albam .

Et tunc indue munimentum corporis, ut te jubeo,

Laenam et mollem , et talarem tunicam :

Stamine vero in pauco multam tramam intexe .

Hanc circuniinduito , ut tibi pili non tremant ,

Neque erecti horreant , arrecti per corpus .

Circum vero pedes calceos bovis vi Decisi

Aptos ligato , pedulibus intus condensans .

1 1' Mentre ne' freddi suoi tristi antri il piede

Il grasso polpo a roder si conduce ;

Che pasco da sfamarsi allor non vede ; gliene scopre il Sol , che '1 carro adduce

Sovra regni e città di gente fosca ,

Ed a tutti gli Achei più tardo luce . Ciascuna belva cui la selva offosca,

Di corno armata o inerme , i denti batte ,

E per erte fuggendo si rimbosca . Tutte punge una cura , e cercan ratte

Il noto asilo di boschetto folto ,

E di petrosa tana , che le appiatte . E van di neve paventose molto ,

In guisa d' uom , che con tre pie s' avaccia ,

Rotto le spalle ed atterrato il volto . A schermo delle membra allor procaccia

Morbido manto e lunga sottovesta ,

E in poc ordito assai ripien si faccia . Di lei vo' che ti copra , e ti rivesta ,

Che non tremino i peli , e intirizziti

Ergans' indosso come secca resta . A' piedi porta acconciamente uniti

Calzar di bue per viva forza estinto ,

Che dentro di buon feltro sian vestiti .

n8 TipaToyovcùv £' ìpjupcop , cwo-n xpvoq coqjLov i'X&ti , ÙLtpfictvx truppctTr-niv volpa fioòg , o<pp ini vara Yew à/uipif2dXvi àXwv x.i<p*'Ky<pi /' V7np3-ct> 545

Tl/Xof ì'%eiv àtrwmv, 'lv ovaia fx» KctTCtSivy "irv^tì ydp r yfa<; 7tì\ìtxi /Sopi'cto 7ri<róvm$- Haot; <T i7rì ycucui dir ypo*a d^ipózvwc, 'Awp 7rvpo$opce, tÌtutcu (xoatdpav ini 'ìpyoie, "Oq re dpvtro-dLfjiivoi; 7roiU(xwv dna olio* ai vtwv , &5o

'Tl-\,oÌj uVep yai-ftc, dp^tìi; àvifxoto SWXAjf,

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11'jx.pct Opw/x/a 3opm vitpia. x.Xovìovto$

Tòv (p&dfACvoq , ipyov reAeW; , oìxóv Si vti&cu ,

MwVore <r ùp'wo&cv (ntonov vityoc, ct/upx.uXÓ-\,yi 555

Xpam re [j.nS'a.Xiov $e/jf, x.a.Sd 9' ét'/uam Sìuo-yi-

AXX' Ù7rctXiua&ou , [x&c, ydp xetXi7raTUT0i; aro?

Xei/jLi'e/o<; > xxXì7rò<; fWfofìoLTvic, , %a.Xi7rò<; «T dvd-palno/s

Tiìfxot; Sa fAi<rv @x<rìv , in dviqj. nXiov e?»

'ApftaXtrfi; fiax.pod yàp inippo&oi tvtppcvou eia-/. 56o

Primogenitorum vero hoedorum, cum frigus tempestivum venerit,

Pelles consulto nervo bovis , ut super humeros

Contra pluviara injicias munimentum ; supra caput vero

Pileum habeto elaboratum , ne aures humefacias :

Frigida enim aurora est Borea cadente :

Matutinus vero super terram a coelo stellifero

Aer foecundus extenditur beatorum super opera :

Qui haustus e fluminibus perennibus ,

Alte super terram levatus venti procella ,

Interdum quidem pluit ad vesperam , interdum fiat ,

Densas Thracio Borea nubes excitante .

Hunc antevertens opere perfecto doinum redi ,

Ne quando te caelitus tenebrosa nubes opprimat ,

Corpusque madefaciat , vestesque humectet .

Sed evitato ; mensis enim gravissimi^ hic

Hibernus, gravis animantibus, gravisque hominibus .

Tunc medium bobus , homini vero arnplius adsit

Alimoniae : longae enim noctes succurrunt illis

II9

E perchè da la pioggia non sii vinto , Pelli di primogeniti capretti Cuci con bovin nervo ; e vanne cinto

Agli omeri nel freddo : e 'n capo metti Benfatto un pileo , che gli orecchi tegna All' umido del giel chiusi e costretti .

Gelida 1' alba è quando Borea regna , E dal Ciel nel mattino un aer si stende Sopra i colti de' ricchi , e '1 suolo impregna ;

Che da' perenni fiumi il vapor prende ; Poi turbinoso vento in alto l' erge Tanto che lungi dalla terra ascende ;

Ed or di pioggia a sera la cosperge ,

Ed altre volte soffia , allor che i densi Nugoli il trace Borea muove , e sperge .

A prevenir quest' ora io vo' che pensi ; E al tuo nido per tempo ti raccolga ,

. L' opra compiuta de' diurni pensi ;

che la fosca nube non ti colga

Di colassuso , e non t' immolle i panni , E fra l'umido suo te stesso involga.

Guardati ; che cagion di molti affanni Questo mese del verno è sempre stato , E danni a greggi , e ad uomini fa danni .

Allor a la metà del vitto usato

Il bove , e a poco più 1' uom sia ridutto , Che lor da le gran notti ajuto è dato .

120

>, Tatùia (fv^ourtro/ucvot; , TZnM<r/uivov ei$ cviavnv

,> 'lc-»<freu rt/xSBf 7S xou ììfAcatt , eìtróiioii auS/g

y> TU 7ra.viwv fxn'wp xapzroV <rvfX{Àix.wp ovcijty.

EcJ r è' ttyiLQvm (jlìtoL TponÒLc, tìtXtoio

Xeifti'ejL ÌktìXìo-yì "Live, %fxcfnx, Sui pat tot «V«p 565

Apx.Kpo<; <wpo\i7ra)V hpòv póov \Q.x.ìomoÌo , Hpcovov 7rxfÀ<pcuveuy ìp; iiiKhnui ÙKpoKi>t<pauo$. TóvSì y.ir òpSpcyovi Haj)Siovì$ apio ythiSeàv

E? (paot; a.v$rpoo7roii; , tapoq vìov i^ctfiivoio .

Trtv <p$cL(AQAiot; oìvete, ttìQ/jix/j.pì fxiv à>q yàp a/neipoi> . 5^0

AAA óttot Slv (ptpioiKog ano ^Soiòc, àv q>vm Bttìvvi, HXiiictScti; tptvytov y liti Ai <rtLa.<pot; ùzirt oìvtuv

AXÀ' up7rct$ 75 ^apao-a-i/utifeu , x.où Jfxaaq iyeipav .

>b'tvyHV <nttipotjt; Saune; t «.iti Ìtt «'« tloÌtov t

Haec observans, totum in annum

Aequato noctesque et dies , donec rursum

,, Terra omnium mater fructum omnigen.um proferat .

Quum autem sexaginta post Solstitium

Hibernum exegerit Juppiter dies , tunc sane astrum

Arcturus relinquens sacrum aequor Oceani ,

Primuin totus apparens exoritur vespertinus .

Post hunc mane lugens Pandionis venit hirundo

In lucem hominibus , vere nuper coepto .

Hane praevertens vites incidito : sic enim melius .

At quum domiporta ( cochlea ) e terra plantas ascenderij; ,

Plejades fugiens , tunc non amplius fodiendae vites ,

Sed falcesque acuito,. servosque excitato.

Fugito vero umbrosas sedes , et matutinum somnum,

121

Questa norma di cibo , onde t' ho istrutto , Paragonando colle notti i giorni , Tutto 1' anno terrai ; fin che ogni frutto

La madre antica a germinar ritorni .

CAPITOLO VII.

oi che Giove del verno avrà donate

Sessanta intere luci dopo quelle

Che da lo star del Sole son nomate; Incomincian d' Arturo le facelle ,

Le sacre acque del mar lasciando a sera,

Tutte ad aprire lor sembianze belle . Dopo esso agli occhi nostri appai" primiera

La rondinella , e piagne in sul mattino ,

Sorta di pochi la primavera . Or poi che questo tempo fie vicino

Potar le viti , e diradar si vuole ;

Questo è 1 miglior partito al contadino . Ma come dalle Plejadi s' invole

Quella che a tergo la magion si porta ,

E di terra alle piante ascenda , e vole , Zappar viti non dei ; ma la ritorta

Falce raffina , e su la cote appunta ,

E de' grani a la taglia i servi esorta . E schiva il sonno da che 1' Alba spunta ,

E i seggi ombrosi , quando '1 gran si affascia ,

E corpo e lena dal sole ci è smunta :

122

"Xlpvt e* a'^nw , ore r tììX/oq fèócL xdptpei , &i!j

T\\fÀxm$ o-7TivS'eii> , xaì o'/xaSi xap7róv dyeipety ,

vOp3"pa dv/^d/uevot; , /Va ra/ /$/e? apxioc, eia- Hai; ydp r ì'pyoio t?j.wv a7rouetpimi aìo-a» Hoit; mi <®po(pspei uìv òS'ov > «zspops'pfi JY xaì %pyx- Hàt; «re (pcwéio-a. noXiac, Ìttì^yio-ì xihivSx 58o

' Kv^pctì7rouc, , 7roKhoì<ri S ìvrì t,vyd fiovcrl rt&wtv 'Huot; o-xóXv/uót; r drdéì , xaì y^lm tÉtt/%

AcvSpiM ityitp (j.zvQCf X/yvptìr ìirt^iwr do/Sii v

TLvxror V7ro 7rnpvyav , diptot; xatfAcmaSìot; apy ,

TH/uoi; 7rio'iztnxi r oùyic,, xaì oìvoq a^tro;, 585

Ma^Xóntnci yvrcux.it; , dtpavpómwi Si te dvSpa;

E/ovV > t7reì xtipxXiìv xaì yovva.ni Sei&ot; dì^H ,

Av'aXi'ot; «JV re p^aq v'yrò xav pan/; dXXd tot vi Su

Etti 7Tirpaxy\ re o-xtrì > xaì /3t'/3\/vo<; oìvoc, ,

Md?d r duoXyazYi , yd?\a r aiyav o-ficvvvuzvdav > 5oo

Kaì /Soci; vXo^dyoio xpìac, f.tvi7ra uwxviyii;^

TLpanyorav r ì?i<pav , ÌttÌ S' aì^07ra ttiv^ucv oìvov, Ev o~xty itpuzvov, xixopyuìrov yjwp ìS'aSyfq, Kvriov axpaioc, fytpv'pov Tp{\ajint 7rpócra7roi> ,

Tempore messis , quando So] corpus attenuai ,

Tunc festina , et domuin fruges congere,

Diluculo surgens , ut tibi victus sufficiens sit .

Aurora enim operis tertiam sortitur partem ;

Aurora magis promovet quidem viam , magisque promovet laborem ;

Aurora quae apparens raultos ingredi fecit viam

Homines, pluribus vero juga bobus imponit .

Quum vero carduusque floret , et canora cicada Arbori insidens dulcem fundit cantum Frequenter sub alis , aestatis laborioso tempore ; Tunc pinguesque caprae , et vinum optimum , Salacissimae vero mulieres,et viri imbecillissimi Sunt , quoniam caput et genua sol affligli , Siccum vero corpus ob aestum . Sed tunc jam Sit in antro umbra, et Biblinum vinum,

Libumque lacteum , lacque caprarum non amplius lactantium , Et vaccae quae frondibus pascitur caro nondum enixae , Primogenitorumque hoedorum ; praeterea nigrum bibito vinum , In umbra sedens, corde saturatus cibo, Gontra purum Zephyrum obverso vultu ,

1*3

Ma t' affretta , e per tempo il letto lascia , Onde a la tua magion raduni allora Gran , che a viver ti basti senz ambascia . De' travagli del spetta all' aurora La terza parte : ella i viaggi a noi , Ella i lavori ci vantaggia ancora . Ratto che spande i primi raggi suoi Molti 1' aurora mette uomini 'n via , Molti all' usato giogo unisce buoi . Ma poi che 'l cardo i fior novelli cria , E spesso la cicala intra le foglie Di sotto V ali sue spande armonia ; Porge la state allor affanni e doglie ; E più grasse le capre , i vin più grati -, Più son le donne accese in le lor voglie ; E più che unquanco gli uomini spossati ; Che le ginocchia e '1 capo il Sol fa stanco , E i corpi la gran vampa ha stenuati ; All' ombra d' uno speco allora il fianco Dei riposar : e vin che a Biblo nasce , E pan lattato non ti venga manco , Latte di capra che figliuol non pasce , Primi capretti , e vacche paste a frondi , Che mai di parto non sentirò ambasce: E volto il viso a' zeffiri giocondi ,

Saziati , assiso all' ombra , di tal esca , E '1 nero vino all' arse labbia infondi .

124

Kpyfptit; r divdov HMÌ V/c(>pVre, » r à&ó\cùlt>$. 5p5

TipJs o S'arai; 7rpo)(i&v » ro JV -nrpa-rov /i/ucv oìvou-

Afxaarì S1' Ì7rorpvveiv Ah/ah Ttpot; hpov ax.l»i>

Ainfjtzv, tur àv frpùùiu pau>>7 &ìvq<; \Q.ii&i>o; ,

X&ipp cv iva.it , xcu ìvrpo^aXco cv àXcoy

Mi'rpa) cT' fc'w KOfxl<raL&au. W a^5iw aóiztp ì7tyiv JV ^CO

riaVra: /S/o^ KttTuOyou t7ra,p/ucfov ìpSo&zv c'/hou ,

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Ai'^i&cu niXofA.au ^a.Xi7ryt d V7rÒ7rcpTtc, ì'pj&o; . Kou uliva xap^apo'JoiTtt ko/ueiv , /utì <peiSto fifa ' 57-ore <r' infj.ipox.otwi; àftìp "&tc' fttijua.S' ìAhtou 60 >

Xoprov S ìorxofÀiaraX xxù o~vp<piwv , otppd tui e?» , Bovo-i xal hfitèvoio~iv Ì7TKttx.vov avmp e7reittt Afiaat; àva-\,v'£xi p'Xa yùvarm , xai fio: Xvarou EtJr' àv S"' flziav x.ad *£el?jo$ ì% [xìcrov ?XS-n Ovpavòv, 'ApxTvpov S ìo*IJy poìoSctKtuXot; HfcK, ^tr«

Fontemque pereunem ac defluente'm , quique illinris sit .

Tres parles aquae infunde, quàrtam vero pattern vini admisce .

Famulis autem impera Cereris sacrum munus

Triturare , quando primum apparuerit OriOn ,

Loco in ventis exposito , et bene planata in area.

Mensura vero (usus) diligenter recondito in vasis; sed postquam

Omnem victum deposueris bene eonditum intra domum ,

Servum domo careniem conduoere , et siile liberi* ameiilaMi

Inquirere jubeo : molesta est autem quae liberoshabet ancilla .

Et canem dentibus asperum nutrito , nec parcas cibo :

Ne quando tibi interdiu dormièns fur facuJtates attferat .

Foenum autem importato , et paleas , ut tibi git

Pro bobus ac mulis annuum pabulum ; sed postea

Servorum refocilla cara genua , et boves solve .

yuum vero Orion et Sirius in medium venerit Goelum, Areturum autem inspexerit roseis digitis Aurora,

Limpido fonte di viva onda fresca

Vi corra ; e infondi dell' umor che versa Tre parti , e per la quarta il vin si mesca .

Or come prima d' Orion' emersa Vedrai la face , a la famiglia imponi , Che la mano a trebbiare sia conversa .

De la spicosa Dea tritura i doni

In, aja rasa , in loco all' aura esposto : E misurando in vasi gli riponi .

E poi che tutto in casa è ben riposto Il tuo vitto , una fante , ed un famiglio A' domestici ufficj ne sia posto .

L' un senza casa , e 1' altra senza figlio Bada che sia . Serva che nutra eredi Sempre di noja è seme , e di scompiglio .

Nodri can d' aspro dente , e lui provvedi Largo di cibo : che le tue fortune Chi dorme il giorno , a notte non depredi .

Della paglia e del fieno , esca comune

A' muli e a' buoi , quanto bisogna a un anno , Tanto a' fenili tuoi se ne raguni .

Poscia rinfranca del sofferto danno Le debili ginocchia a' servi lassi , E disciolti da giogo i buoi n' andranno .

Ma quando a mezzo il Ciel muovono i passi Canicola , e Orion ; e già l' Arturo A la rosat' Aurora incontro stassi ;

12(5 r£ì Hi'p<rn , tot? wdpTtxt; d7rèSpi7n c'inaSì fiórpvt; A&%ou S' «gA/&i Sìko. r ri fxxm xxù.Six.et vvxmc,. Hìvts <rvcrxid<rou , s'xtoj S' eie; dyyì dtpverereu ùupx A/ùjvvcni 7ro\vyy\$io<;- uv'mp eVwV JV nXn/ dSn; 3-' > 'YdSie; re, to' re Srivoc, 'fleiavoc; 6\t>

ùtfraxr/p , tot' Irrsfr ctpow /uifzpyi/uipoe; eìpcu 'ilpaiov ' 7rXeicòv xetm %$opòe, dp/uovoe, &!n

E/ Si eri vcturiXivic, Svami fAtp{\x 'lynpoc, d/péì , Et/r' oLp HXtiidSie; > ébivoe, ofipj/MP '£l?jiapo$ *Pidyou<rcu , 7ti/Ttwo"ip ic, ntpoeiSia ttopwp , 620

Aw 7o're 7rajmlaop dvi/utup Suoverip dUrui '

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N«a S' eV wVe/pev ìpverou , 7rvxdcrau rs XiSoieri

Tldpm&CP) o<pp 'I%eo<r' dpifjiap /uipog v^cy divmv , 62Ù

O Persa, tunc omnes decerpe et fer tlomum uvas. Exponito vero Soli decem dies , totidemque nocfces . Quinque autem in locum opacum repone , sexto in vasa conde Dona laetitiae datoris Bacchi . Sed postquam utique Pleiadesque Hyadesque ac veheniens Orion Occiderint , tunc deinde arationis raemor esto Tempestivae ; ita annus in opere rustico bene dispositus sit .

Quod si te navigationis periculosae desiderium ceperit , Quando utique Pleiades , veh*ementem Orionem Fugientes , subierint obscurum pontum , Tunc certe variorum ventorum strident flamina ; Et tunc ne amplius naves habe in nigro ponto ; Terram autem exercere memento ita ut te jubeo . Navem vero in continentem trahito , munitoque lapidibus Undequaque , ut arceant ventorum vim humide flantium ,

Tutti vendemmia i grappi , e all' abituro Recagli , o Persa ; e dieci di gli tieni Con altrettante notti all' aer puro .

Indi per cinque all' ombra gli sostieni ; E de' doni , onde gioja Lieo , Nel sesto giorno i vasi fa ripieni .

Al fin , quand' Orione in mar cadeo

Con le Plejadi , e l' Iadi , ad arar pensa ; Che tempo è già : così 1' anno febeo

A' campestri lavor ben si dispensa .

122

CAPITOLO Vili.

S

e poi nel cor ti nascerà talento Di sospingere in mar legno spalmato , Opra piena di risco , e di cimento ;

Nel tempo che Orion fuggendo armato Si dileguan le Plejadi nel mare, E di venti diversi spira il fiato ;

Le navi al fosco mar più non fidare , Ma de' fertili campi a la coltura , Così com' io t' esorto , dei pensare .

Traggi '1 navilio in terra , e 1' assicura Contra gli umidi venti e i lor contrasti , Facendo a lui di pietre alta chiusura .

T28

~X.eifjLa.pov ó%ipo<ra,$ f tv*. //« 7ru$Yi Aioq o/u/3poq .

OttXu <T t7rdp/J.cva. 7ravm refi ìyxàr^io oixty,

Eux.co~fitat; ^oXitrat, vvòc, 7rnpat 7rovw7rópoto

IinSaX/ov J' tùipyìt; V7rìp xo.7tvh xpifidtrttSrax

h.VlÒc, S cópOUOV fllfXVLHV vrXóov , eìtroxcv ìXSh , 6Zc

Koù 7cre pria, Sorìv aXaS iXx.ifj.cv, de re tpópmr

"'Apfxcvov òi'TUva.&ou , tv otxaSi xtpjoq «pMou,

",(ltr7Tip ifióe, Ti 7ramp xaì <rèc, , fxiya vvnrti Utpcn ,

IlXaj^itrxcv vyivo-i , fila xi^fiivoc, g'&Ay.

O5 7T0TS xaì rpj yiXSì , 7ro\vv Sia 7t6 'vitv ctnJtrtr&q, 635

Kvjunv AìoXtSa <zspo\t7ràv > bv vvir fxiXxtv»

j, Ovx àtpcvot; (piCyetv ,'a'Sì 7rXQióv re, xaì oX/Sov ,

,, AÀÀa xaxùv ncv/tiv, "»iv Zìv<; a.i'$pt<ro~t SlSeatrt .

Na.trtra.7v S d.yX EXtxavoi; òtfypn ìvì xcofiy,

"Atrxpyi, X&i{ia. xaxyj , Se'pf* àpyaXiy , vii 7ror ìàXy 6^0

Tv'vn S , à TLipcm , ipycov fxifxvv\fj.ivo^ etvax 'Qpaxav 7TO.VTWV , 7tì^j. vavriXivc, JY fxelXt^a Nw òXtyw aùvètv , fAiyaXy S' evi (poprla B-i&at. Mfi^eov fiìv tpóprot;, fx&tpv ì i7rì xlpSii xipSoc, *Etro~tTUt , e? x dvifxot yi xaxàt; à7rix&)crtv àymt,- 6^5

Sentina exhausta , ne putrefaciat Jovis imber .

Armamenta vero disposila omnia domi tuae repone,

Recte contraheiis navis alas pontigradae .

Clavum vero fabrefactum super fumum suspendito .

Ipse autem tempestivam expectato navigationem , dum veniat

Tuncque navem celerem in mare deducito , intus vero onus

Aptum imponito , domum ut lucrum reportes ,

Quemadmodum meusque pater , et tuus , «tuttissime Persa ,

Navigabat navibus , victus indigus boni .

Qui olim et huc venit , immensum pontum emensus,

Cumam Aeolidem relinquens, in navi nigra :

Non reditus fugiens , neque opulentiam , ac facultates ,

,, Sed malam pauperiem , quam Juppiter hominibus dat .

Habitavit autem prope Heliconem misero in vico ,

Ascia , hyeine malo , aestate autem molesto , nunquam bono .

Tu vero , 0 Persa , operum memor esto (Vt) tempestive omnia (fiant,) navigationis vero maxime. Navem parvam laudato, magnae vero onera imponito. Majus quidem onus , majus vero lucrum ad lucrum Erit , si quidem venti malo.- contiiHiant flatus.

12$)

Vuotane la sentina ; che noi guasti L' umor piovuto ; e 'n casa ti riponi Gli ordigni ad un ad uno , onde 1' armasti .

E l' ali sue piegando ben componi , E 1' adatto timone al fumo appendi Infin che i giorni a valicar sien buoni .

Allora al mare il pin veloce rendi , E giusto incarco per entro vi stiva Se con acquisto ritornar pretendi .

Tale il mio padre e tuo , perchè pativa Di buon vitto penuria , o stolto Perse , Sen già d' una varcando in altra riva .

Che misurar gran pelago sofferse ,

Quando con nave a queste piagge venne E dall' Eolia Cuma si converse .

già iuggìa con le spiegate antenne Ricchezze , agj , ed aver ; ma la penosa Povertà, che da Giove ad uom provenne.

Presso Elicona , in Ascra disagiosa Restò , vii borgo da la state afflitto , E reo nel verno , e non mai buona cosa .

Or tu vedi che '1 tempo a noi prescritto In ogni opera , o Perse , si mantegna , Ma più che altrove nel marin tragitto.

Loda il legnetto , ed al vascel consegna

Le merci : più e più lucro è , ov' è più carco , Se il vento le sue furie ne contegna.

n

i3°

EVT XV Ì7T ì [X7T0ZJ.YIV Tpi-\,YIC, àiO-lIpflOVCt &U[MV ,

BtsXvxi Si ^ìx re 7rpo(puyeiv , xxi Xifxòv «rep?™ , Aei^eu tci pirpa 7roXvipXoi<r/3o/o SxXx<r<rtii , j, Ocre ri rcivTiAtti; <ri<ro<pt<r{tci'Oi , are ri vìteòv . ,> Oc yxp 7rco7TOTS vr\'( y ì7tì7tXcùv ivptx ttÓvtvv , 65o

v E/ fai ti Eó'fiotx» ù% AuX/Soì, y 7tot 'A^xtoì , ,} Meivcuittt; x&f/.eoix } 7roXvv cruv Xxòv xyetpx» y) 'EXXxSbi c% iìpvii Tpoinv ti xaXXiyv vxtxx . y, 'Ev&xS' tyeòv i7t xiSXx J'cdfporoi; A/uip/Sx(À,x¥Wi ^.XxXx/Sx r <À<ri7rspYi<rx.' m <®po7ri(ppxJfjt,ivx ttoXXx 655 jj ' A9X' iSicriu! /recidi/; fztyxXitmpit; ì'vSx ya <pn/*/ ,, "T (Jlvo> viM<rxvm, ^ipem t:'.7toS' Ùtwzvtu . Ter (xìv ìyeò M»o-vi$ 'EXiKavixSierar dviS»x.a , ''EvSx (ti tv 7rpoomu Xiyvpti i t7rì/3ii<rou> xoiSHi ,> Tóirtrov Toi Mitov 7ri7Tetpxyuu 7roXuyo(/.<pcov 66o

AXXà xxi à>i tpta Tornèi ióov ouytóyoio . 5) MàVcu yxp (x totdx^xv x&i<r<pxTT)v {Ifxvov xeiS&tv ''Hfxxm 7rcviriK0iTot //ira rpo7rx<; mX/oio,

Ei TèXoi iXSoVTVi SgpiOi XXfXXTlòSiOi Capili >

'llpxìoi 7rtX'ciu/ $py\w1ì 7tXÓoì are' ut vii a 665

Quando autem ad mercaturam verso imprudente animo ,

Volueris et debita effugere , et famem molestam ,

Ostendam tibi rationes sonori maris,

,, Etsi neque navigandi peritus, neque navium .

,, Neque enim unquam navi transmisi latum mare ,

,, Nisi in Euboeam ex Aulide ; ubi quondam Graeci,

Expectata tempestate } magnum coilegerunt exercitum

", Graecia e sacra ad Trojam pulchris foeminis praeditam .

,, Illuc ego ad certamina strenui Amphidamantis

Chalcidemque trajeci ; indicta (per praecones) vero multa

,, Praemia constituerunt juvenes magnanimi : ubi me dico

Carmine victorem tulisse tripodem auritum .

,, Quem ego quide'm Musis Heliconiadibus dicavi ,

,, Vbi me primum dulcis compotem fecerunt cantus .

Tantum naves expertus sum multos clavos habentes .

,, Sed tamen dicam Jovis consilium Aegiochi ,

Musae enim me docuerunt divinum carmen canere .

Dies quinquaginta post Sobstitium , Ad iìnem progressa aestate laboriosi temporis, Tempestiva est mortalibus navigati© ; nec certe aavem

I3t

Dunque se, volto a mercatura e imbarco Il folle tuo pensier , vuoi d' ogni parte Di debito e di fame gire scarco;

Del tempestoso mar poss' io moslrarte I tempi , e le ragioni ; ancor che istrutto Non foss' io mai di navi o di tal arte :

Che gli ampj spazj del marino flutto

Con legno non premei , se non se allora Che nell' Eubea fui d' Aulide condutto ;

Ove di Grecia sacra uscendo fuora Per Troja , il grand' esercito s' unìo Aspettando al tragitto il tempo e 1' ora .

prima , e poscia in Calcide venn' io Quando all' onor del prode Anfidamante Spettacolo solenne si bandìo .

Promise e die gran premj la prestante Sua prole ; ed io tripode ansato n' ebbi , Che ad ogn' altro cantor fui messo avante :

E l'eliconie Dive indi ne accrebbi 've del canto la gentil scienza Mercè di loro , e da' lor fonti bebbi .

Tanto , e non più , di navi ho sperienza ; Pur di Giove i consigli avvien eh' io dica Poi che del divin metro ho conoscenza.

Quando la state più non ci fatica , Per ben cinquanta dopo il solstizio , Ricorre l' ora a' naviganti amica :

i33

Kaud%ouq , ìsr dvtpaq ~)>?rv<p&/(reiz QdXaco-a , E/ fj.i ì» 7rpó<ppuv Hoa-ei^duv ovotriy^wv , *H Zivq dSautdiwv /3a<rtÀiv<; ì&t\Y«riv oXtorou . 'Ev tóìq ydp rsXoq i$h ófiaq ayetSav re Kctnav ip. Tricot; £ iv*°AVii$ r avpcu , xat 7róvTvq d^f^eov , 67^0

EuxviXoq' ro're vìict &oyiv an/xonri 7rtSvicrctq 'EXx.ì'/j,qi> tq 7ió'jwv y tpo'pwv £' tu 7rdvm r/d-$&ou.

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Ktti -)^ifj.òùv Ì7ri'jiiu, vomii 75 J'etpdq minte,, 6j5

Oq t a&Lvi SciXcKro-ou) , ófxa.pirnrai.q Aiòq ofi/3p&

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H/xoq JV 7c 'Hfcowv, b<rov r i7ri3ix<ra. Kopai/ti vl%voq t7roi'ìt<rcv > tÓto-ov 7tÌtoiX ai'é^i <pxv&t» 680

'Ev xpdìvt dnpoTUTy ' to' re ì' dfj.0at.7oq iti òdXcto'arct- Eìct^oq ì ovioq 7TiXvmi 7rXóoq% « (iiv iywyi A'ivyi(jl- a ydp ifxù 6v(x,ì> K'eXdZ^r/xìfoq ì<?ìv ,

Fregeris , neque homines perdiderit mare ,

Nisi dedita opera Nepturms terrae quassator ,

Aut Juppiter immortalium rex velit perdere

Penes hos enim potestas est simul bonorumque malorumque

Tunc vero facilesque aurae, et mare innocuum,

Tranquillum : tunc navem celerem , ventis fretus ,

Deducito in pontum : onus vero bene omne colloca .

Propera autem quam celerrime iterum domum redire :

Neque vero expectato vinumque novum , et autumnalem imbrem ,

Et hyemem accedentem , Notique molestos flatus,

Qui concitat mare , comitatus Jovis imbre

Multo autumnali: asperum vero pontum facit .

Sed alia verna est navigatio hominibus ,

Nempe cum primum quantum incedens cornix

Vestigium fecit , tantum folia Uomini appareant

Summa in ficu : tum sane pervium est mare .

Verna autem haec est navigatio; non ipsam ego tamen

Probo : neque enim meo animo grata est ,

*33

E cortese porgendo al legno ospizio

Non tei fracassa il mar ; le persone

Sormontato trabocca al precipizio; Se in cor di rumarle non si pone

Giove o Nettun : però che sta in lor mano

E del bene e del male ogni ragione . Schiette l' aure , tranquillo è l' Oceano ,

E sicuro a que' dì: fida il tuo legno

A' venti , e '1 traggi nel ceruleo piano . Vedi , che tutte poste a buon disegno

Vi sian le merci , e ratto il più che possa

Di ritornar premura abbi ed impegno . Non aspettar vin novo , e che sia scossa

Pioggia d' autunno , e '1 verno che avvicina ,

Quando da tristo Noto è Y aura mossa ; Che in mar destando va turbo e ruina

Seguitato da spessa autunnal pioggia ;

E paurosa rende la marina. Un altro tempo ancora , un altra foggia

V'ha di tragitto, allor che '1 verno passa

E la nova stagion rinasce e poggia. Quando in vetta del fico non trapassa La foglia il breve giro di quell' orma , Che la cornacchia camminando lassa , Varcar si puote il mar ; in questa forma

Ha Primavera il suo marin viaggio ; Sebben noi lodo , che mal si conforma

164

'Kp7ra.Kii(,- ■^ctMyròùC, qvyoic, kak6v àXXd vu x) ra

" j\v&pco7rot pitpvcriv àiSpeir<ri vóoio 685

XpH/uomz ydp 4^M> ""*Aè7»/ SeiXoi<ri /3pom7tr/ .

A'Hicf cT' g'sv Savéiv fxird Kv/ucto-iv a'/\À« <r' dvoya.

$pd£ì&ou mSi 7roivTU fXim ippurìv otro-' àyopiuca-

Mtif evi vw<rìi> a.7Tajrm /Stoi> KO/Xyi<ri ri&i&aw

AXXd TrXicà X<h7thv , tu fxeiovx tpcpr/^ì&ou 690

A&tvòv ydp Trovai (jiiTtic xvfxctirt 7ni/j,otTt xtjp<rxt-

ùeivóv y j hx. etp a/Aafcai* v7rip$iov iy^roc, àeipae,,

"A^OVOL KCtVa^OU^y TVÌ <pOpTl' àfÀCtupU^HY! .

MìTpa. <puXd<r<n&ou ' toupòe, d ìtti 7rì<riv cL&sqc,. Slpauoc, Si yvjM.ix.ct rtGP 7totÌ oìxov ayi&au . 6q5

Mn'n rPjivixovmv Ìtìuv fxaXct ttoXX' ^croAft /rur , MwV éV/3"«5 fxdXct 7roXXa.- yd/xoc, rot aojioe, htoc, . H yvvìì rswp >i/3aYi, 7r{fX7rra> yttfxoitt . nctpSovtxvìv ya.fA.eiv , uè, x ri'Sìx xiSvd StSdJzye,.

Quia occasio ipsius invadenda; aegre quidem effiigeris malum; sed ta-

Homines faoiunt stultitia mentis . ( men et«haec

Opes enim sunt anima miseris mortalibus .

Miserum vero est mori in fluctibus . Verum te jubeo

Considerare haec omnia in animo quaecunque tibi consulo.

Ne vero intra naves omnem substantiam cavas pone :

Sed plura relinquito : pauciora vero imponito .

Miserum enim ponti in fluctibus in malum incidere :

Miserum etiam , si in currum praegrande onus impouens

Axem fregeris, onera vero corrumpantur .

Modum serva . Tempus vero in omnibus optimum , In flore vero aetatis uxorem tuam ad domum ducito . Neque triginta aìinis valde multum inferior, Neque superans multum : nuptiae vero tibi teropestivae bae . Mulier autein quatuordecim annos pubescat, quintodecimo nubat . Virginem vero ducito , ut mores castos doceas .

Al genio mio: 1' ora di tal passaggio Rubar si vuole ; e a stento ivi s' evita Qualche impensato di fortuna oltraggio .

Pur anche a tal periglio corre ardita La follìa de' mortali : che il danaro È per 1' uomo infelice anima e vita .

È miseranda cosa intra l' amaro

Flutto lasciar la spoglia ; onde rifletti Teco quant' io cantando apro e dichiaro .

tutte in cavo legno aduna e metti

Le tue sostanze : il più ne lascia in terra , E all' elemento infido il men commetti .

In mare incorrer danno è cosa acerba ; Come avviene talor che si costipa Nel carro il peso , e modo non si serba :

Si rompe 1' asse , e '1 carico si scipa .

'35

I

CAPITOLO IX.

ri tutto che farai serba misura ,

Ed opportuno in tutto il tempo cogli ,

Che molto giova quando ben si fura .

Moglier' in età verde in casa togli .

Quando a' trent' anni , o circa s' è levata , È matura l' etade in che t' ammogli .

Cresca sett' anni e sette , e sia menata Di quindici la donna , ancor donzella , Perchè al ben viver sia da te formata.

i3<5

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Et? ef1' ottiv d§'x»diwv yLCfitdpoùv 7rnp0Xa.yfA.iv0z eìvcu.

MmJV xcunyvyrto ì<rov ttoi&i&ou iraupov

E/ JV m Trornaryc, , pM.fxiv <wfonpoc, xctxòv ì'p%Yi$-

MwJY *le'vSi&cu yXuo'O'YK; X&&"' * «• xcr t^PXìl>

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A/ g Too-a t/vvv&cu fuì/uvufMvot;- Si xcv etù^iq

'Hytir' ic, (piXóimzx. , J/ztiv J" ìQiXwi 7ra.poto-^€Ìv}

Aé^a.&ou S&Xos ni aVw p ipi'Xov d AÀore d'XXov

Tloiéìmr ce efs /*«' t/ m>0J' Y.ctnXiyyiTw eìSbg-

MwJV 7roXu%eivov y fxyiJ' d^wov k<x,Xìì&ou , 7i5

M»Sì Hcmà'v i'mpov , finS ì&Xav veiMfìi pa.

Eam vero potissimum ducilo si qua te prope habitat :

Omnia diligenter circum contemplatus , ne vicinis ludibria ducas

Neque enim miniere quicquam vir sortitur mólius

Bona : rursus vero mala non gravius aliud

Commessatrice : quae virum licet robustum

Torre t sine face, et in praematura senecfca constituit.

Bene vero reverentiam erga Deos immortales observato .

Neque fratri aequalem facito amicum :

Quod si feceris , ne ipsum prior malo afficias .

Ne vero mentiaris solatii caussa. Sin autem coeperit

Aut verbum aliquod dicere ingratum , aut facere ,

Bis tantum punire memineris : si vero rursus

Redeat in gratiam , poenam autem velit dare ,

Recipe . Pauper quidem vir amicum alias alium

Facit : tuum vero ne quid animum coarguat vultus .

Ne vero multoium hospes , neve nullius hospes dicaris ,

Neve malorum socius, neque bonorum convitiator .

'37 Se 1' hai vicin di casa , attienti a quella ;

Ma per non aver beffa da' vicini ,

Guata ben tutto e prendine favella . .

La virtuosa donna infra' destini

Per l' uomo è '1 meglio ; e il peggio è la cattiva , Che a laute cene di soppiatto inclini .

Essa un marito , che robusto viva , Brucia pur senza faci , e discolora , che immaturo a la vecchiezza arriva .

De' venerandi Dei rispetta ognora L' alta presenza . Un amico sincero Meno , che '1 tuo fratello , ama ed onora .

Se un amico t' acquisti ; a lui primiero Onta non far , tanto digli o quanto anco a scherzo mai , che sia men vero .

Ma s' egl' incominciasse dal suo canto Con parole o con opre a farti offesa , Rendi male per mal due volte tanto .

Però se a rappaciarsi cerca presa , E presto a satisfare si offerisce , La tua pristina grazia gli sia resa .

Or uno , or altro d' amicarsi ambisce Il pover' uom : te non accusi '1 volto , Ch' ei dissente dal core , e che fallisce .

inospitale , ospitale molto ,

compagnon di tristi sii chiamato ,

morditor di buoni audace e stolto .

18

10

TirXctS òv&ìài^w , [/.ctiidpav S6<riv auìv ìóviuv. TXaecryc, wi Sncrctvpòi; cv àv§poù7roi!Tiv ètqjs-oc, $9iì&>Xìi<;, 57-ÀeiS"W X&&S xcfitx /uirpov iovo-ìit;- 720

Et Si xctxèv Ì17TYIC, ) 7K%ct *' o.vto\ fxéi^ov ùxx<rou<; . MnSì 7ro\v%eivi£ Sauro $ Svo-7Ti^<pìXoq 3vau Ex xoivov 7rXei<?n ^a?;? , £<t7ra.vvi r òX/y/^n- MwJV 7tot ó% voile, Xeì@&v ouSo7ra olio» "Xipcriv ctviyrTvt(riv , /una' d.XXo/1; d$cu>ctmKr/i> . «j25

Ov yctp rotyt xXvxo'iv , "&7357-rt/s<r/ Si t ctpdq- MuS àvr n'ìX/0/0 TtTpa.ixpLtvo$ òpSòc, ò(j.i%éìv. Avrap i7tYiV avvi, fÀi^vn/^ivog , £'<; r àvièvwc,. MwV hv òSa , jtttfV ixrèc, òSou 7rpo(ì(to\v «pw'cr/i?, MyiS' }>7royufA}'&)$fi<; /uotxdpav wi vóxisc, la<riv. ^3o

'E^o'/uc*o<; S' oyi Séioi; àvvìp 7ri7rvufxiva. eiSeìqì *H oyi 7rpòc, tzi^0" TriXarat; ivipxloc, otvXiì<;. MuS' oùSoia yopy /n7ra.Xa.yyi.ivoc, ìvSoSq» o'txx 'E?/'y ìfX7TiXaaòv 7ntpat.pxxvi[A.zv , olXX' à\{a.&au . M«/' y^iv Sucrtpyi'fjioto m(pit ^ìkwosYto-tunct 7 35

XzripfÀ.oui'eii' ywyìv , aÀA1 d^Midnav ^W Sauió^.

Neque unquam miseram pauperiem animum comedentem homiai

Sustineas exprobrare , divorum donum iinmortalium .

Linguae certe thesaurus inter homines optimus

Parcae , plurima vero gratia , si modum servet .

(^uod si malum dixeris , forsan et ipse majus audies .

Ne in convivio , quod multi amici instruunt , sis morosus

Ex communi (quum comeditur) ; plurima enim gratia , sumptusque mini-

Neque unquam mane Jovi libato nigrum vinum (mus.

Manibus illotis, neque aliis immortalibus .

Neque enim illi exaudiunt, respuunt. vero etiam preces .

Neque contra solem versus erectus mejito ,

Sed etiam postquam occitìit memor ejus rei, usque ad (ipsum) orientem

Neque in via , neque extra viam inter eundum meias ,

Neque denudatus : Deorum quippe noctes sunt .

Sedens vero divinus vir et prudens ,

Aut ad parietem accedens bene septae caulae .

Neque pudenda semine pollutus intra domum

Focum juxta revelato , sed caveto .

Neque a feralibus epulis reversus

Seminato progeniem , sed Deorum a convivio .

al poverello il suo misero stato

Che rode il cuore , rimprocciar giammai : Che dagli eterni Dei tal dono è dato .

Parca lingua è un tesoro ; e merto assai A chi è temprato parlator si rende . Se dici mal , forse che peggio udrai .

al pasto sii ritroso , ove si prende Infra gli amici a scotto ; e pensa eh' ivi S' aggrata molto , e ben poco si spende .

Lordo le mani , a Giove o ad altri Divi Non libar vino mai quando il nasce ; Che a' voti tuoi saranno irati e schivi .

a la vescica 1' acqua si rilasce

In piedi , o al Sol ; e poi che 1 giorno cade Tal contegno terrai fin che rinasce ;

Che camminando, in via, fuor di strade, mal velato il faccia . Il tempo scuro Di notte annoio i Numi in potestade .

Il savio, che dal Ciel divino e puro Tragge costume , assidesi in tal opra , O di chiuso cortil s' arretra al muro .

al sacro focolare si discopra

Vergogna immonda entro del tuo soggiorno ; ' Ma sempre in cose tai riserbo adopra. Qualor cenasti a' sepolcreti intorno A prole non attendi; ma ben quando Da la mensa de' Numi fai ritorno .

140

MtlJi 7T0T àotOLtoV 7T0TUfAcòv XO.XXÌ ppOOV Ó'J&p

Uoa-a-t Tripav, 7r?j.v y tu^vi iSàv ì$ xctXà pìiSpct ,

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'*0; 7romu.òv £ta.Qv\ , kclxùthti <JY %èìpx<; a:>i7nv$y 7

TaS'i Siot yi(Aicr&><n , xxi aXynt ^cox-jui Ò7r/'<r<rco-

MnS' y&m 7roin6tpio , OìcSv cv £outÌ S-aXeiti ,

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TLuóvmv òXorì yctp i7r avrai fioipa. ttruxmi ifò

MmJV Sófxov notava avi7rt^i<rov xtnrxXet n ety > Mw' roi ityìCpnivYi xp&ijjt Xotxi'pv^a xopcóvvi- MyiS'' ^>W yyrpo-n-o^Cùv à.vì7rtpp\xTiùv aviXónu ''IL&hv ymSì Xói&cu sV« xoù wig evi 7roim MhcT' iV àxivyToicrt xa^lì^&iv (u'yaìp eLfAeivov) 7^°

Ila/oa Sva^iKxrouov , or ànp a.vyvoptt 7roitH ' MnJY ìvcoSiKcifxnvov 7<rov xvl ww tstuxtm. M»Je yvvouxHp Xsrpy %{óct <pauSpvvi&ou Avlpcf XivyctXt* yàp Ì7rì yfjivov %?' ini xai rS> Tìotvn fiìiS' ìipoivtv eV aùSofxùoiari xvpn'<ra.<; , £~»5

Mcouiveiv àìS'iiXx $505 ri xad m nfiicca.

Nec unquam perennium fluviorum limpidam aquam

Pedibus transito, priusquam oraveris aspiciens pulchra flumina,

Manus lotus amoena aqua limpida .

Qui fluvium transierit, malitia vero manus illotus,

Ei succensent Dii, et damna dant in posterum.

Ne vero a manu, Deorum in celebri convivio,

Siccum a viridi reseca nigro ferro.

Neque unquam vas , ex quo vinum funditur , pone super craterem

Bibentium : perniciosum enim in eo fatum est situm -

Neque domum faciens imperfectam relinquito ,

Ne forte insidens crocitet stridula cornix .

Neque ab ollis nondum dedicatis capiens (cibum)

Comedito , neque lavator : quia et bisce noxa inest .

Neque super immobilibus locato ( non enim bonum est )

Puerum duodecennem : quia virum inertem facit :

Neque duodecim mensium : aequale et hoc est .

Neque muliebri in balneo corpus abluito

Vir : gravis enim suo tempore erit et hujus rei

Poena . Neque in sacriflcia accensa incidens ,

Reprehende arcana : Deus quippe et haec indigno fcrt .

lassa , i vivi fiumi oltre guadando, D'orar, volto la faccia a l'onde belle, Le mani al puro e fresco umor lavando.

Chi non terso le man varca per quelle, Peccando in prova, a' Numi in ira viene. E gli dan pena del voler ribelle.

dal vivo del dito si conviene

Tagliar col ferro l'ugna arida e morta Nelle sacre agli Dei celebri cene .

Sovra la coppa , che per tutti è porta , Tazza non poni a mescer vino eletta ; Che malvagio destino in ciò s' apporta .

la casa che fai , lascia imperfetta , Onde ivi a crocchiar con triste note La garrula cornacchia non si metta .

fuor dell' olle su tre piedi immote To' da mangiar , se sacre non son fatte , da lavar : che ciò pena riscuote ,

Sovra d' immobil seggio non s' adatte Fanciul, che corre il dodicesim' anno; E se un ne conta , egli del par s' abbatte ,

E al maschile vigore allor vien danno. in bagno femminile uomo si mondi , Che grave un di se ne riscuote affanno .

schernir cose occulte ; ove a' profondi Sacrifizj vedrai , che '1 fuoco è acceso : Che ciò rende gli Dei nosco iracondi .

i4t

142

MttJtj' ' 7tot ci> Trpoxoìi 7T0TtxfJi,cóu aXatSi 7rpopióvnoy. MhcP ivi xpwduv ùpèiv fxdXa. S' c'|a X ia&az. ,, MnS bi> a.7ro\v -x&v ' *i> ydp 0$ ni Xcuiév ì?tv ^HS tpSetv èbivn» fipoiiùv v7raXivio ipn'/uviy. 760

«fw'jU» ydp re x.ax» 7tÌX„tui, zov'ipn uav déìpou 'Pela. pdX' , dpyaXiv ipipetv , ya.Xi7rvì S' y?rv$i&xc. Qn'/x» S « T/5 7rd/u7rcw azro'AÀtm/ , «V T/ya 7roXXoì Aaoì <p» fxi 'poveri' Sìóe, vv r/t; in xal auwi .

HMEPAI.

,) "A \-uam S ix. Sióàc» 7rt<pvXay pivot, , iv xatrà fioìpu» ^65

y> lìitppaèìpzv Sputia-a-f runiKctSa. (iwòc, d fc'ui

ì}''Epya t Ì7ro7riiueiv , ùSì dpuxX/)ìi> Sa.ria.ocw

Evt àv a.X»àeini> Xaoì ìli'lvovt^c, dyaxriv .

Ai' Si ydp ùfAìpai etarì Atee, 7rapd /uhtio'cvtdi;.

Hpcomv 'irti, ttrpdc, 75, «.ad ì/SSu/un, iipòv vfxxp. 229

Tiì yap K7ioXXcova. ^verdopa, yeivaro Anno.

\ ,, Nec unquam in alveo fluviorum mare influentium, ,, Neque super fontes mejito : quin valde evitalo . ,, Neque ventrem exonera ; id enim nihilo est melius Sic facere ; gravem vero mortalium evitato famam . Fama enim mala est, quae celeriter quidein excitatur Facillime , molesta vero portatu , difficilisque depositu Fama vero nulla prorsus perit , quam quidein multi Populi divulgant j quippe Dea quaedam est et ipsa .

D I E S.

D

'ies vero ex Jove observans , bene secundum decorum Praecipe servis ; tricesimam mensis optimam Ad opera inspicienda , demensumque dividendum : Nempe cura vere judicantes populi ( dies ) agunt . Hae enim dies sunt Jove a prudente . Primum , novilunium , quartaque , et septima , sacra dies : Hac enim Apollinem ense aureo armatum genuit Latona

143

dal corpo disgombra inutil peso

A' fonti , o di real fiume a la corrente , Ma di ciò guardia e gran pensier sia preso.

Schiva la trista fama appo la gente . Mala cosa è la fama ; a sorger presta , Grave a portar , dura ad uscir di mente .

Spenta del tutto mai fama non resta , O sia di buona cosa o sia di rea : Che molte lingue lei fan manifesta ,

Ed ella pure in medesma è Dea .

CAP. X. LE GIORNATE.

D

i ciascun giorno , che per Giove splende , Osservando il tenor , insegna bene A' servi i giorni adatti alle faccende .

Nel che d' ogni mese estremo viene , De le mercedi a' servi far dispensa E visitarne l' opre si conviene ,

Ma ciò vai tra le genti, ove si pensa A notare i veri : il saggio Dio A tali affar tai giorni ci dispensa .

Il primo che nova Luna uscio

E '1 quarto , e '1 settim' anco , in che Latona Febo dall' aureo brando partono ,

i44

'OyJodvt t , cveivt re , JV« yi fxì» HfActm (jwvà$ VE'Z0X cìi^ofit'poio $powi<riat. ì'pyai 7Tìvì&ou. 'EvdiKctm re , £ve>>ìhza,TH r , dfJKpa yi fiìv t'&\od .

'H fXÌV 0/\ 7T€1KHV , »f <T iìltypoVO. KCtp7T0V à/UX&CU 21$

H JY ibcoS'iKoLTn t»5 tramanti fxiy àfxeivay- Tm yap mi véi vv[àoit àip<ri7roi>tm<; dpd^vtiq ''Hfxctwt; ix. 7rXeia , óre r tS~&<; rcopòv oluslttzi . T>i cf i<?òv T»<rouTo yvvÀ > «apo/SaAo/ro re ìpyov- Mni'òt; cT' tfUpUrH TtKTKou^iKctTnv d\{a<r§-au 780

S/r/p^aro? dp%a&ou- <pvnx f vi>Sp{-\.a.oìou a'g<Vi» "Exw cT' » (x{<r<rv\ fxd\' eurv (Aipopó '$ eV/ <pvro7<rtf 'Kvépoyóvoc, t dyctSti topjì S » trv fxtpopó 1; 6S"/f> Owts yo»i&au 7rpar , bV ap yct/uts ciirt/BoXia-ou. Oc/cJY jUiV «' ispcow ix.T» x»'p>) re yovi&au ^85

''Ap^cvo;, «AA' ìoj.tyHC, TtifxvHV xod 7rcó'tct fttiXav , Ewxo'y t' à[xtpt8u\éiv 7roifxv*ìov %7riov v(xa.p. EtS'Aw eP' dv&poyóvoc,, p/A*'e* JY re xipTofxa. fiatar , "i'iv&d 9' , od/uvX/nq re Xóykt;, xputp/ug r e ct°jur //.*$■

Octavaque et nona ambae dies raensis

Egregie crescentis ad curandum opera mortalium .

Vndecima vero , duodecimaque , ambae quidem bonae :

Haec quidem tondendis ovibus , illa laetis segetibus metendis

Duodecima tamen undecima multo melior .

Hac enim net fila in aere suspensus araneus

Die adulto , quum et prudens formica acervum colligit .

Hoc telam ordiatur mulier , et inchoet opus .

Mensis autem inclioati decimatertia caveto

Sementem facere incipias : plantis vero educandis optima est .

Sexta vero media valde incommoda est plantis :

Viripara bona : puellae vero non utilis est ,

Neque gignendae primum , nec nuptiis tradendae .

Nec prima quidem sexta puellae gignendae

Apta est , sed hoedis castrandÌ6 et gregibus ovium ,

Stabuloque circumsepiendo pastorali benigna dies est,

Bona vero viripara , amatque convitia loqui ,

Mendaciaque , et blandos 6ermones , et occulta colloquia .

Ond* egli è sacro ; indi l' ottava e nona Luce del mese , che già in alto sale , Per gli umani lavor la sorte han buona .

L' undecimo e 1 seguente anch' ei 1' han tale Per tonder 1' uno greggia , e 1' altro spica ; Ma il dodicesmo a quello assai prevale :

Perchè gli stami suoi fila ed implica Sospeso il ragno in mezzo a tal giornata, Mentre che '1 grano ammassa la formica .

E 'n questo la tela disegnata Ordisca pur la savia tessitrice ; E veder 1' opra faccia incominciata .

Il tredicesmo Sol tristo e infelice

È a cominciar semente : in ciò 1' evita : A far nesti di piante è il più felice .

La sedicesma luce è mal sortita

A piantagioni : è buona ad uom che nasce ; Non a donna che nasce o si marita .

già la sesta , dopo che rinasce Il nuovo Mese , è lieta a la pulzella , Se viene allor nel mondo e ne le fasce .

Ma capretti ed agnei sanare in ella Fia ben , e cinger mandre di ricinto , Ed anco ad uom nascente è fausta e bella .

Ama tal parto per nativo instinto Susurri occulti , e tenere parole , Pungenti motti , e ragionare infinto .

'45

146

MW; cf1' òySodry x.J.7rpov xoù fìoijv ioj.(xvmov 29°

Tafxn/j,cv , ùpUat; et ìvaSatarrt mXctipyou '<;• Eìx.dJi S e* (XiyobXvi , 7rXia> H/uxt/ , iropa (pam Teiva.&ou- ftctXx yetp re vqov 7ri7rux.aL<r[Aii>o<; i<?ìv- 'Eo9-àm £' dvopoyóvoi; Sindi» , xa'pji Si re rerpa$ MsWw rff J/ re fiHXx , xaì «A/VoJas ìXikcl$ $«$, £p5

Kou xt/m x.a.p^apóJona > *aì ttpHet^ TaXctipyn^ Tlptici vtxy i |W X&P& ri$eì$- 7Ti(pdha^o &u[au j> TgrpacT' a\iuct&ou (p^ivovwt; & , /^afie'ya re, j, ''AXyux. $vfjio/3opèiy : fxdXct w/ TSTiXia-fXivov Yifxctp . Ei> TSiup-m uitfOi dyi&cu £$ oìzov olkoitiv , 800

Qitovouc, Kgiyaq , ot eV ì'py/uxTt mra dqjxoi . Tii ' (/.nittc, §' ó^aXid&ou' t7reì %aXi7rxi ts nad odiai 'Ep 7ri[A7TTy ydp (pa.<riv 'Eqjvvuat; d/xipiTroM'veiv ,

"OpXOr TlVW/Xil'Ctq) toV'Eé^S tc*« TrHjtj' Ì7TlÓpKOt$

Mia-cry cT' i(ìSo(xd-w Aiifxtt'rspot; Upòv dKi»v 8o5

'Ec ^taA' Ò7ri7rrivoiTU ìÙTpo%a,Xa cv aXooy

Mensis vero octava caprura et bovem valde nuigientem

Castrato , mulos autera duodecima laboriosos .

Vicesima vero in magna , pieno die , prudentem virum

Generato : valde enim animo sapiens est .

Bona autem viripara decima , puellae vero et quarta

Media ; hac vero et oves , et pedes flectentes camuros boves

Et canetn asperis dentibus , mulosque laboriosos

Gicurato , manum imponens . Teneto vero memoria

,, Quarta die ut vites flnientis et inclioantis mensis

,, Doloribus conficere animum ; valde haec sacra est .

Quarta autem mensis uxorem domum ducito ,

Observatis avibus , quae ad hanc rem sunt optiniae .

Quintas vero evitato : quia noxiae sunt et graves .

In quinta .eniin ajunt Furias obambulare ,

Orcum vindicantes : quem Eris in perniciem genuit perjurorum.

Media vero septima Cererie sacrum munus

Diligenter inspiciens bene aequata in area

Del mese agli otto di sanar si vuole Il bue lungi mugghiante , e 1 capro irsuto : E il forte mulo al dodicesmo Sole .

Ma poi che 1 gran ventesmo sia venuto , Genera , pieno il , germe maschile ; D' alto consiglio fia , d' ingegno acuto .

Ave il decimo ancor fato simile , E ne' maschi è cortese : a nata infante Il quarto appresso '1 decimo è gentile :

E in lui pecore , e buoi di curve piante , E can mordaci , e muli faticosi Fa mansueti colla man trattante .

Vedi che doglia nel tuo cor non posi , O nasca il mese , o già tramonti e parta , Ne' quarti , d' assai sacri , e famosi .

À menar moglie eleggerai la quarta Luce del mese ; e da' migliori augelli Ve' che 1' augurio in prima si com parta .

I quinti giorni travagliosi e felli

Pensa a schivar : poiché la fama grida Che le Furie maligne errin per quelli .

Brama di vendicare Orco le guida Nato da la Discordia per far trista Qualunque lingua a giuramento è infida .

Del grano , a' diciassette , fa' rivista , E in aja piana scevera il formento Da la mondiglia che vi ila commista :

i48 BdXXw ùXoTvfxov & Tctfxsìv òa.'ha.fx^'ia. «Tapa , Unici te %v'Xa 7roXXa , tu r cipfxcvot, vwai 7tìXovtou. Tirpa.ii S' upxi&ou vHaq 7rY\yvv&au. dpmdc,. E/Va'? S' « (Ai<r<rn Ì7riSeiiXa. XeJ'iov %/xctp 8 10

TIpar/Tvi S' sivàg 7rowa7m'fxcov dv$pù)7roi<rtv. 'E&X\ì (àìv ydp h vi Si (pvrwifjtcv , yìSÌ ycvi&ou , 'Avipj. r m'JY ywjux'f xcù x7tots 7rdyxa.xov Yifxctp- Tlctopoi S ctÙT tactcì , T&afivdSa. fxwoc, d°j.?lw *Ap£a&cu re 7riSx , xcù iwì Zjjyov avviva. Sètvou 8l5

BOVO-/ XOU vìfXlÓvOKTl XCÙ '17T7TQIC, CùXV7lÒ ' S~i<7<Tl .

Nw~<x 7toXvxXyii Sa &c»fV eie, oìvoTra 7tÓvtov

E/ (xovou 7ra.vpot Si r dXnSìx xixXnarxaa-t

TirpàSi S' oìyì 7riScv- ttìpX TrdfTzav hpèv vifJ.ap

Mi'o-an 7ra.vpoi S' ùots (aìt eixdSa fxnvòc, a&urmv > 820

'Hoìlc, yi»o(ÀiVYi$m Ì7rtSeiiXa S' ty/ xife^ù)V '

Ai'Si (xìv iì/biipcu sia- tv Ì7rt)(9oviotq fXiy ovetap

Ai S' aXXou fXiTjxSn7rot , dxYiZ'O') « ti (pipovacu-

Ventilato : roborumque sector incidito cubicularìa ligna ,

Navaliaque ligna multa , et quae navibus congrua sunt

Quarta vero incipito naves compingere tenues .

Nona autem media pomeridiana melior dies .

Prima vero nona prorsus innoxia bominibus.

Bona siquidem est ad plantandum , et ad generandum ,

Tarn viro quam inulieri : nec unquam prorsus mala dies .

Sed pauci rursus sciunt tertium nonum mensis optimum

Relinendis doliis , et ad jugum collo imponendum

Bobus et mulis et equis celeribus .

Navem multa transtra habentem celerem in nigrum pontura.

Deducilo . Sed pauci verum dicunt .

Quarta vero aperi dolium . Prae omnibus sacra dies est

Media : pauci vero post vicesimam mensis optimam ,

Aurora existente ; pomeridiana vero est deterior .

Et hi quidein dies sunt hominibus magno commodo .

Ceteri autem (dies) cassi sunt , nihil fati babentes , niliil ferentes

i49 E molti legni a incider non sia lento

Il tagliator , in uso d' edifìzj ,

E per varcare il mobil elemento . Agii navigio a fabricar s' inizj

Nel quarto ; ma '1 decimo appo il nono ,

Dopo il meriggio , è meglio a tali ufìzj . Danno non mai , talor fa grazia e dono

Il nove del mese : ed il piantare

E ordir la vita a maschio , e a donna è buono . Or dirò cosa a poche menti e rare

Palese e conta . Il nono appresso i venti

È '1 più felice i vini ad assaggiare ; E ad aggiogare i muli e i pievvalenti

Cavalli , e i tori ; ed a varar la nave :

Ma pochi a ben nomarlo sono attenti . Nel quarto la botte si dischiave ;

L' altro quarto , che 1 decimo seconda ,

Come il più sacro si riguarda e pavé . E '1 quarto del ventesmo assai gioconda

Ha la mattina , e '1 vespro un po' maligno;

Sebben questo mio vero ai più s' asconda . Questi son giorni di tenor benigno ;

Gli altri buona sorte hanno ria ,

fato certo che a notar sia digno .

,5°

"AXXot; £ dlkoilw alvei , 7ra.upoi £i r )crtt<rtv

"AAÀore fiurpuiit 7tìXh w/zg'pjf, dfaoT? ymwip. 825

idcov ìvS'au ixcov ti kou oXfiioc; , o? rcih Travia.

E/cftug ìpydfymi , dvounoi; dbasdimiriv ,

''Opvtàtzc, x.&v6)v , x.ad U7np/3a<ri'a.t; dMeivcav .

T E A O 2.

Sed alius alium laudat , pauci vero norunt . Interdum noverca est dies , interdura mater De bis beatusque et felix , qui haec omnia Sciens operatus fuerit , inculpatus Diis , Auguria observans , et delieta evitane .

FINIS.

Loda chi l' un chi Y altro ; il ver si spia pochi : è la giornata a noi mortali Or noverca maligna , or madre pia .

Oh bennato colui che cose tali

Ha conte , e ne' lavor tutte le osserva ; E senza taccia aver dagl' immortali

Guarda gli augurj , e giusto si conserva .

151

NOTE

ALLE OPERE E GIORNATE DI ESIODO ASCREO.

,.M«

. ìreu etc. Questo Proemio , o sia questi dieci versi non sono di Esio- do . Pausania attesta , che i Beozj presso Elicona aveano il poema di Esiodo scritto di carattere antichissimo senza tal proemio (a) ; e quantunque Dion Crisostomo nella Orazione XII. ed Eustazio lo dian per legittimo , pure Plu- tarco (b) , Aristarco , Prassifane scolare di Teofrasto , ed altri comunemente lo credono spurio. E' dunque opera di qualche Rapsodo, o di alcuno, che a' Rapsodi facesse versi, il quale per adattarsi al costume di praefaii Jo- vem , tenuto in particolar modo da' poeti (e) , e da quei specialmente , c,he recitavan or uno , or altro passo de' versi Omericani (d) , ve lo inserisse . Noto, che forse Arato, grande imitatore di Esiodo per sentimento di Cal- limaco , cominciò senza lodar Giove ; e quel proemio che oggidì corre , l'antichità ebbelo per sospetto. Cosi attesta l'autor greco della sua vita; sebbene riferitine altri tre esordj, che condanna come illegittimi e indegni di tanto Autore , difende il quarto come d' Arato , ed è quello che anche oggidì sta a capo de' Fenomeni.

2. ri/ej inS-ev . Nome di patria, come nota Proclo. Le Muse nacquero in Pie- ria , dice anche Fedro (e) ; ma il loro soggiorno più favorito è Elicona . Tzetze apiega : Muse da Pieria , dite come Giove JV rfóirov ; per modo di chi in- terroga , e aspetta risposta -

2. Aeut* . Moscopulo chiosa àytit , e lo chiama verbo esortativo : bene in questo particolare ; male però , ove vuole che la risposta delle Muse inco- minci da A/óf fjttyciXoio ìxnn . La qual sentenza, come innaturale , abbiam ri- fiutata. Vero è però, che Niccola Valla nella traduzione di Esiodo in vergi esametri fatta, e dedicata a Pio II. la siegue .

Dicite cur hominum pars haec sine nomine vitam

Ducat ì et itlius cur fama aeterna per altum

Evolet ? Haec Jovis est magni divina voluntas .

S. 'Pia i*ìv yàf fifidei . Tolleri il discreto lettore, che qualche questione

gramatica io gli accenni di rado , perchè nulla manchi al mio libro. Alcuni

vollero toglier quel f*ìv , perchè il verso ben procedesse : altri voller mutare,

come 1' Aldo , e il Giunta , il p' «<* in fia , perchè il verso cominciasse da

(a) Lib. IX. p. 588. (6) Quaest. Conviv. Lib. IX. e. I. (e) V. Comment. Arati v. i.Theocriti Idyl. XVII. i. Virgilii Ecl. III. v. o"o. (d) Pind.Nem. II. («) Lib. III. in prologo.

20

'54

anapesto ; licenza che talora si prese Omero come nell' IL IX. v. $. Bsfe'n; , *J 'Li<pu(Of , ed Od. 11. vers. 28p. etc Ma si salva la quuntità , facendo che f'à» per sunizesi si cangi in una sola sillaba lunga ; cosa usata da Esiodo , e da Omero, e da' più moderni ancora. Simil esempio e al v. 33. 'ove «xta si prende per uno spondeo; e ve ne ha moltissimi in progresso, specialmente in tav come à)yia>v , in ixv come xf^i"" > *n "x' > come fiuìriou ; de' quali Esiodo si è servito non per necessità, ma per compiacenza dell'ionico dialetto. Il voler mutargli ha esercitato indarno 1' industria de' nostri critici.

•j. i$uvtt rx*\iir . Forse di qua» o da altro simil verso non raro presso il nostro Poeta, discese negli Stoici simil parlare. Considerando essi ciò ch'i conforme a ragione per diritto fH»'» reetwn , ciò che n' è difforme per torto o-xoX/sy tortimi, introdussero queste solenni voci ne' loro scritti, delle* quali abbondano Seneca e Persio pretti Stoici ; e ne fa uso anche Orazio, eclet- tico scrittoi' di filosofia: sUlicet ut possem cur-jn dignoscere rectum (a) . Il modo poi con cui Giove drizza chi è curvo , o rimette nel buon sentiero chi avea presa una strada torta, è a detta di Moscopulo , vcu<tx)U)ù au-àv , cioè mostrandogli il buon sentiero ; il qual senso abbiami seguito nella no- stra versione .

8. i/'4'.SfS«e7»f , altìtonans . Epiteto, che fin dal primo nascere della poesia latina adattò a Giove il poeta Ennio {b) .

9. KAt/0< voce con cui Orfeo spesso comincia e chiude gì' inni , dal Salvini tradotta esaudisci. Per tal formula , e per altre del contesto, specialmente per quell' fbovt 9-iin$a( , stimo assai men verisimile il parer di coloro , che dietro 1' Einsio tai parole credono indirizzate a Perse , non a Giove . Si fondano in molti MSS. ne' quali è scritto Wf<r», quasi fosf-e un vocativo , non rWprit terso caso . Debole fondamente» a fronte de' tre Scoliasti , e di ijuisi tutti i moderni, e di parecchi buoni Codici, i quali o nel testo, o nelle note interlineari hanno l'altra lezione .

Ivi. iftìv , àlaiv iifVidens tt audicns , espressione che non può adattarsi a Perse senza somma difficoltà . Al contrario a Giove si adatta maravigliosa- mente. Plinio (e) Quisyuts est Dtus.... totus est scnsus, totus visus, totus au iitus .

Ivi. t$vvt 9-iui?a{ , dirige judicia. Manifestamente questo passo è indirizzato a Giove, a cui spetta, secondo la pagana teologia, dar lume a' giudici , onde decidan bene. Di questa sua presidenza a' giudizj v. lo Spanemio(ii) . Ebbevi anco il tempio, ebbevi l'ara di Giove Forense ricordata da Pausa- nia (e) 'A)0f<aa A/a; fiuuói; .

11. O-J* a?* etc. Comincia il poema di Esiodo con un gajo , e giudizioso esordio su le due Gare. Avvene una traduzione del celebre Vincenzio Gra- vina in una lettera che scrive al March. MufFci :

(a) Epist.ll. i. v. 44. (b) Apud Columnam pag. 240. (e" Hist. Nat.

II.cap.7. (d) In Callim. 1. v.8l. (e; Lib. 111. pag. 181. et lib. V.pug. JlJ.

'55

Non è -di Gare al mondo un s< lo genere ; Ma due son le Contese ; una che gloria Traili dall'uomo maggio, e l'altra biasimo etc. Egli usò urn fedeltà, non difficile a chi è libero dal vincolo della rima. Noi abbiamo sacrificato all'incanto della rima il primo verso, sicuri che sia lo stesso il dire : Non è un sol genere di Gare in Tetra ; ma son due ; e il dire : Due Gaie ha in Terra. Si assicuri però il lettore che rarissimi esempi troverà qui di tal fatta ; tolti gli epiteti perpetui , che poco aggiungono in grefeo , e farian cattivo sentire in toscano. Non così siamo scrupolosi in ag- giungere qualche epiteto, o qualche vocabolo , che meglio dichiari il testo, o meglio serva alla rima.

II. iveum'mit Emencia il Grcvio ìvcuitirmi ; dicendo che cosi ha edito Isingrino in Basilea , così portano due MSS. vossiani , così meglio suona , che doppiando la <r , col dire ìvoa éro-ae , o girouvwVa-as . Ma come' noi leggono Procloj lo Stefano, Aldo , i Giunti nella prima stampa , e nella seconda , il Trincavel- lo , il Commclino , 1' t'.insio , quattro Codici presso Loesnero , più presso noi ; e ciò che assai monta, nella edizione Basilcese d' Isingrino del 1J40. è scrit- to ÌTrwia-aiii con doppia <r .

14. 'H fit'n yàf etc. Erran coloro , che nella cattiva Eride riconoscono la passione della Invidia ; la cui pecca è propriamente attristarsi del bene al- trui . Più veracemente è quello spirito di discordia, che- Plutarco ed Euna- pio dicon così innato in ogni uomo, come ad ogni lodola cappelluta il suo pennacchietto (a) , e che non pare poter mai esser senza qualche oggetto; talché mancandoci nimici al di fuori , ci aizza contro i domestici . Quindi la Guerra mutua, che 1' Hobbes portò troppo innanzi; ma non lasciò di esser conosciuta dallo stesso Pittagora , che ne' versi d'oro(ò) così ne canta : Ai/jpV yà( auvoiraiìf t^if fiXairvara XiXn^ttr Xt/upi/TOC , Xv ù <f« itfo&uytiv , lìx.ovm (piuytiv. 1

tristi* enim Eris comes latenter nocet congenita , quam provocare non conventi, sed cedendo vitare .

i5. à\\' vw' ava-yxtt;. La necessità imposta agli uomini da' Numi consiste solo in onorar questa Dea fra gli Dei nocivi ; il culto de' quali è antichissimo , come appare dagl'Inni del creduto Orfeo , fra' quali ve n'è per l'Eumenidi. 17. Tifi- r tTsf» irfoiif»y ut etc. All' altra Gara , cioè all' Emulazione , pas- sione lodevole, assegna la primogenitura ; di che il platonico Pi odo dà. una ragi-ne plausibilissima; ed è, che le cose buone son nate prima che le cat- tive : nella quale opinione si scuopre un raggio di quella divina parola : Vidit Deus cuncta quae fi curat , et erant valJe bona. Nel resto le due Gare nacquero amendue dalla Notte, con questa differenza , che la prima fu par- torita senz'aver padre, la seconda ebbe per padre 1' Èrebo, e,.

(a) Tract. de ulilitate ex inimicis capienda pag. 01. Eunap. vitae Philoso- phorum in Oribasio pag. 170. (b) Versu Jp. (e, Theogoniae vers. 225, et Tzetzes heic.

156

ip. rcuns *' è» t%t9t àv*fti<ri , terme et in radicibus et in hominibns . Elide è nell'ima Terra in quanto, secondo anche Empedocle, è principio delle cose, non meno che l'amicizia ; ed è fra gli uomini in quanto gli sti- mola al lavoro . Onde il n e il xj ci stan benissimo , per quanto Gujeto dica» che altri ometta il 1», mi è riuscito di trovarne esempio .

20. Il Brunek persuaso dal suo codice, contro l'autorità de' tre Scoliasti , e dell'edizioni, e MSS. migliori vuol qui mutare àireiXapvov in àrdìapov , perchè al metro non si faccia forza . Ma niuna forza si fa al metro , leg- gendo ànroiXauvov , perciocché una vocale innanzi pv è comune , come prova ilGretsero nella sua gramatica.

25. K«t xifctpiui xsfauà notiti . Nel Tomo II. delle. Osservazioni critiche in- glesi condannasi questa giacitura di parole , come troppo semplice e disa- dorna, e con Aristotele (a) si emenda xoù x.t?auù xfj>ot<W{ x-oiiu : al qual can- giamento si adatta il Sig. Brunek . Ma que' Critici non si avvidero che quella non è citazione, mentre il Filosofo non dice che proverbialmente quelle due voci congiunte con un «j.Nel resto come noi leggono Platone (6) , Plutarco (e), Dione Crisostomo (ci) , Stobeo (e) , Prisciano(f) , Filostrato Qr) , acquali non parve quel testo degno di riprensione. E certo lo stil mezzano, in cui Esiodo è principe, ammette quell'ordine di parole.

26". *& ùoiSòi àoiiù . L'invidia de' poeti fra loro è la più acuta delle invi- die . Marziale querelavasi , che a' suoi versi tutti facessero applauso , fuor- ché i poeti:

. . . Roma legit , requirit hospes , Non deridet eques , tenet Senator , Legunt caussidici , poeta carpit (h) .

27. 'il n«f <rn . Notò Servio esser proprio de' didascalici che siano indiriz- zati su 1' esempio di Esiodo a determinata persona : cosi Virgilio a Mecena- te , Lucrezio a Memmio , Orazio a' Pisoni ; e fra gli esordj di Arato rifiutati nella sua vita, ve ne ha due, l'uno ad Antigono, l'altro ad Anclide.

Ivi . ìvixdrito S-v/uù . Sentenziosamente Dante (i)

Apri la mente a quel eh' io ti paleso , E fermalvi entro ; che non fa scienza Senza lo ritenere avere inteso.

28. Mxtfj it"Esjì etc. Questo verso contiene la proposizione del poema. Noti il Lettore come spontaneamente discenda dall'Esordio delle due Gare ; che qui viene a riunirsi quasi in un punto ; ove Perse si ritrae dalla mala Eri- de, e s'invita alla buona.

29. Nk'xj òiriirtiuovitt , Lites spectantem ; non perchè un'altra volta pensi a litigare , come parve ad alcuni Interpreti ; ma perchè curiosamente Perse si tratteneva nel Foro, e vi perdea tempo. Era allora il Foro un ridotto di

(a) U.c. IO. Rhetoric. (b) inLyside (e) De tranquillitate animi p. 47J. (d) Orat. 77. (e) Serm. XXXVI11. (/) Instit. gram. Lib.XVllI. (#) De vitis Sophistarum pag. 544. (ft) Epigr. lib.XI. 25. (i) Cant. 111. 5. 40.

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oziosi , come si raccoglie da. passo di Omero nella descrizione dello scu- do di Achille, che mi piace di riferire: Aao/ <T «v aj-opiT etc. Populi autem in foro erant frequente!: ibi enim contentio orta crac: duo enim viri contendebant oraria multae propter virum interfectum . . . Cives autemutrisque acclamabant f hinc inde j 'autor es (a) . Or in una Città, ov' erano tai costumi, potean man- care i briganti, quale per sua natura era Perse, d'intervenire nel Foro, prender partito, promettere testimonianze? Anzi ve n'eran molti, che Aristo- fane chiama àyofài ire gjtrf iftfxatu , e presso i latini son detti concionales , sub' rostranei, circumforanei , come il Grevio osserva.

3o. "Ufi ycif t' ixiyn . L' Einsio ed altri, voglion <ùf» tempus con ispirito aspro ; e noi accordiamo , che con energia si direbbe , che chi manca di vit- to, non ha tempo da spender nel Foro. Seguiamo tuttavia i MSS. migliori, gli Scoliasti , e Suida (b) , che scrivono àftt , e spiegan cura ; ci pare che perda punto d' energia il testo , dicendosi : non dee curarsi molto di Foro chi non ha vitto. Abbiamo anco a favor nostro il dotto Scoliaste di Sofocle, il quale al verso S6. delle Trachinie ti ir*Tfó; NYuo/ tiV d-far , si patris curam gerit aliquam , comenta »?av <pqovTÌ<Sa, «j jgij 'Ho-ioàof *ftf « j-a'f r iKffyi nrtXtreu , i. e. curam , ut etiam Hesiodus Cura enim parva est, cioè debet esse.

34. o-o/' J' o'uxe'r* <fiwrf(ov ì^m'Sìì' t?inv etc. Luogo difficile ; ma che spiegasi dependentemente dalla nostra sentenza, di sopra accennata; cioè che Perse non pensi a litigar nuovamente , comunque sollecitato da' giudici . Gli dice dunque il Fratello : Non potrai sazio del tuo, muovermi lite: giacché appres- so la divisione sei caduto in povertà, e non hai luogo di prender di casa ciò che vuoi . Adunque, se altra pretensione avrai, converrà che ti accomo- di al giudizio tenuto. Fa difficoltà, come giudizj si rei possan chiamarsi i$tiit?t fixais ; ma quell' epiteto equivale a iv»iu°i$ per sentimento degli Sco- liasti ; e vuol dire legittimi giudizj , proceduti da chi avea facoltà di giudicare .

38. 0ari\>iet(, Regea . Termine equivoco in Grecia. Ne' tempi eroici era ve- ramente la somma delle cose presso i regi , ma dependentemente dalle leggi, e dalle costumanze (e) : conoscevano per soli le cause , ma avean col- laterali i principali del regno, che Omero chiama pur /3ao-A»«{, eìfierous , yifDvms . 11 regno di Alcinoo conta molti di tal grado. Dopo i tempi eroici, distrutte le monarchie , durò il nome di re . Ne parteciparono i posteri delle famiglie, che in qualche città aveano signoreggiato, come presso gli Scepsi ne' discendenti di Ascanio , e Scamandro (cf) . In altre città, come in Atene, ne partecipavano i soprintendenti alla religione. In Ascra questi che chia- mansi regi, non erano, dice Proclo, che tf/xa^aì , ed df)t<>vnt, judices et praefecti urbis.

jp. ìiiit iixnv tftXowri fixarai : x.?ìvai commentano gli Scoliasti , e vietano che quel J/xaVcu traducasi juJicasse . Adunque io spiego judware , e secondo il parer di Proclo che aggiunge e»«*/j ci sottintendo uerum ; per modo che

(a) Iliad. XVIII. v. 407. etc. (6) V. Jfmxtd*^. (e) Dion- Halic. Hist. Rom. lib. V. p. 337. {d) Strabo lib. XIII. pag. 607.

ai

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i giudici per la speranza di nuovi doni aizzino Perse , per quanto disastrato sia , a litigar di bel nuovo .

40. N»'tui' ù<? ! 'ano iv , Stuhi , neque scitint etc. 11 Cav. Brunck vorrebbe ètti , essendo breve , die' egli , la prima d' ìaairi. Ma presso Omero , come rilevasi dall' indice del Barnes, specialmente nell'Odissea, le più volte è lunga.

Ivi. trXtov HfXKJu t«v»{ ydimiditim plus est toto . Molte spiegazioni si son date a questo luogo d'Esiodo. A me più di tutte piace quella che si raccoglie da tutto il contesto ; che sia migliore dell' avarizia che tende ad aver tutto , la mediocrità di fortuna, detta hìtdi , (tir^iov , fUTinig , etc. che Orazio nominò aurea {a), Basso (ò) ottima . In questo modo interpreta il proverbio Dione Cri- sostomo, ragionando dell'avarizia ; e Suida(c), che ne reca l'origine ad un savio , diverso da Esiodo. E certo Esiodo potè averlo trovato ,e inserito ne'suoi poemi , come fece di altri proverbj . Nel resto Platone (d) lo prende per un documento a' governanti di voler esigere poco da' sudditi .

41. Qui' lirov . Alla malva erba notissima anche fra noi, unisce l'asfodelo, erba nota in Grecia e comune, come abbiamo da' Commentatori di Nican- dro (e) . I Latini lo chiamaron asphodilum , o asphodillum(f), ovvero hcroion , e come vuol Salmasio albucium , e alimon (g) . Plinio lo chiama de clatissimii herbarum (h) , non solo perché nobilitato da' versi di Esiodo , che cita più volte, ina perchè nominato da Omero specialmente nella descrizione che nella Odis- sea fa dell'Inferno, ove conta di un prato pieno d'asfodelo; talché Luciano nella materia de' navigj di colaggiù fa menzione della stessa pianta (i,. Lo scopo per cui ha fatto qui ricordanza della malva, e dell' asfodelo è di lodare la parsimonia, e la semplicità del vitto, come crede quel Pcriandro , che Plutarco introduce a parlare nel convito de' sette savj (k) . Gli antichi però vi trovarono un senso più recondito, ancorché falso ; ed è che il Poeta alludes- se all' alimo , cioè ad una composizione di malva, e di asfodelo, che man- giata cacciava la fame e la sete : così Proclo , ma in dubbio . Ma pare anzi ch'Esiodo abbia con quell'erbe simboleggiato il vitto frugale, come Ari- stofane lo simboleggia nelle lenticchie {l) , Orazio nella malva e nella cico- ria (m) .

42. Kpt/^w7* ; etc. Gli Dei , cioè il solo Giove , avverte il Grevio , secondo il parlar de' poeti , che ascrivono a tutto un ceto ciò che proprio è di un solo, nascosero agli uomini il vitto, non più facendolo nascere spontanea- mente come faceano nel secol d'oro. L'Alamanni si servì di simil' espressio- ne là dove disse : ascose V esca

,, Sotto la dura terra ; onde non saglia ,, Fuori all' aperto Ciel , se in mille modi ,, Non la chiama il Cultore (n) .

(a) Lib. II. ode io. (b) Anthol. 1. 48. (e) Verbo rplruu (d ; De leg. HI. (e) In Ther. v. 534- (/) Pallad 1.37- (gì Salmas. Exerc. Plin. pag. iop8. (h) L. XXII. 2Z. (i) De vera historia lib. 11. pag. T25. (* Pag. 1S7. (I) In Pluto v. ip2. (m) Ode 3i. lib. I. (n) Coltivai. II. SS7.

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48."Ott/ fxi\i etc L' inganno di Prometeo è contato nella Teogonia a' versi J3?. Sacrificò egli un bue a Giove» e messe sotto l'adipe dall'una parte le ossa , dall' altra le carni , disse a Giove di scerre qual delle due parti volesse , la- sciando agli uomini l'altra. O che Giove fosse ingannato» come Igino raccon- ta (a), e scegliesse il peggio; o che si avvedesse della beffa, come più con- venevolmente finse Esiodo; concepì tant' odio verso 1' istesso Prometeo, che dimentico dell' amicizia fino a quell' ora professatagli , e de' consigli presine , e de' servigi importantissimi ricevutine , volle punirlo con gli uomini da lui protetti yb) .

4p. Tàve* af ùi'9?Mirzio-iv etc. Quocirca hominibus machinatus est tiistia ma- la ; cioè una laboriosa vita , come chiosa Proclo ; o come Jerocle (e) le malat- tie , la povertà , la perdita delle persone a noi più care , il disdoro nella città . Eschilo spinge più innanzi 1' odio di Giove contro gli uomini , eèi'j-wVaj etc. . . distrutto tutto il genere Ne volea generare un altro nuovo ; come traduce Mon- signor Giacomelli (d) .

Jo. Kfo4« ^*' vù? > Abscondit vero ignem . Che deggia intendersi per questo fuoco, lo cercan gl'interpreti. Io credo, che sia la scienza, che da princi- pio fu creduta nascosa all' uomo ; e da Prometeo comunicata al genere uma- no . Platone cosi 1' interpreta : 'Hqjou';-» etc. Vulcani et Minervae aufert artificio- sani cum igne scientiam (e) Da questo fuoco , dice Eschilo (f) , i mortali impa- reranno molte arti i tutte le arti agli uomini derivano da Prometeo ; come 1' agricoltura , la nautica , 1' arte di fabbricare ce.

Si, ìù( trai'i'lairinì'o E'xXe^e , bonus filius Iapeti Furatus est. Chi sia questo figlio d' Japeto , o sia questo Prometeo si è cercato dagl'Interpreti. Il Fa- brizio vi riscontra Adamo (g) . Io credo che la favola dedotta sia dalla Scrit- tura, ma guasta dalle tradizioni degli Ebrei, e specialmente espressa nel libro d'Enoc. Ivi si racconta, che un Angelo dato in guardia al genere umano , e per conseguenza protettor suo , come si finge Prometeo , prima del diluvio , prevaricasse con le figliuole degli uomini , e insegnasse le scien- ze e le arti : ìfitaty etc palam fecit secreta , et quae in Coelis occulta erant sacculo revelavit (li) . Lo stesso errore degli Angioli maestri degli uomini in varj generi , insegnarono Tertulliano (i) , Taziano (k) , Clemente Alessan- drino (Z) , di cui son queste parole Philosophia non missa est a Domino , sed venit furto subrepta vel a fare donata.

y;. Ev xoi'Xv ycif Sh*iì, in cava ferula . E' questa una specie di frutice non ra- ro in Italia , specialmente in Puglia , e in altri paesi di mare . V. Teofra- sto nel libro V. delle piante , e Plinio nella Storia Naturale ; che anche di- ta) Pocticon Astronomicon lib. II. cap. iS. (b) V. Aclianum de var. hist. lib. XII. cap. 1$. et Perizonium heic. (e) In versum aureum 17. Pythagorae . (d Traduzione di Eschilo nel Prometeo legato . (e) In Protagora.

(/) Trag. citata v.zS+. (g) Cod. Pseudogr. p. 7. (h) Edit. Gabii pag. 35o.

(i) De cultu feminarum pag. 400. (k) Orationc ad Graecos pag. i8. (Z) 1. Strom. pag. Ì66.

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ce: ignem ferulis optime servati certum est, easque in Aegypto praecellere (a) . iS. Xcu'f«f , Gaudes etc. Origene cita ben 17 versi di questo contesto, e fra le altre varianti ne suggerisce quella di x^f't senza interrogazione fonasse gaudes conforme anche a varj MSS. di Esiodo della Laurenziana , e di al$re librerie. Un erudito Britannico nelle osservazioni del 173}. ed anche Robin- son fan poco conto di quest' autorità per alcuni errori di sillabe , che pos- sono ascriversi a' copisti . A me pare gravissima ; perchè oltre il noto talen- to di Origene .egli visse e professò umane lettere in Alessandria molti anni, ove tanto si faticò da' miglior ingegni per la correzione di Omero , e de' buoni antichi , specialmente da Zenodoto , Aristofane , ed Aristarco . Tuttavia in que- sto luogo nulla par da mutare : tanto prevalgono le autorità in contrario .

Sy, Toìf J" f )<J etc. Queis ego etc. Questo fatto da Esiodo contato come isto- rico fu dall' Einsio riportato come allegorico, e con molte stiracchierie adat- tato alla Fortuna. Gli antichi tutti l'intesero della Donna istoricamente ; fra' quali Igino (b) pio quo Jupiter favto mortalibus parem gratiam referens mulie- rem tedJidit . Potrei addurre qui molti altri antichi , che vi hanno alluso or più, or men chiaramente , massime parlando in biasimo delle Donne , siccome sono Sofocle, Euripide, Simonide , Platone, Plutarco, Tibullo, Ovidio: ma mi contento di riferire un bellissimo epigramma di Pallada che volto in vol- gar lingua suona così (e) .

Altro foco è la Donna , a noi renduto

Da Giove in pena del rapito foco :

Deh non avesse occhio mortai veduto

foco- mai , donna in verun loco :

Ma 1' un si spegne : inestinguibil vampa

E' l'altra, ed ogni cosa arde, e divampa. 5p, *Cl( ipar s'x «P iyi'kaa-a-i etc. Sic ait , risitque . 11 riso è proprio di questo luogo ; ma non se ne capisce il perchè , se non dopo alcuni versi ; quando si vede che il male che mandò Giove al Mondo fu la Donna ; male , ma vera- mente giocondo all'Uomo per sua debolezza. Origene legge : *iìf tpar' t'xiTt- \to-a-i , che fa senso più vibrato, dixit perfecit / detto fatto . Questa lezione nel 111. Tomo delle Osservazioni Britanniche trovasi lodata da un Critico, e biasimata da un altro . E veramente è aliena da' MSS. dee tacersi , che la cri- tica degli Alessandrini fu acuta, ma licenziosa ; come nota il Volfio ne'Pro- legom. ad Omero (d)

60. *Hifai<r»v etc. Paragonisi la descrizione di Pandora , che il Poeta fa in questo luogo con quella che avea fatta nella Teogonia (e). Parrà vedervi un Pittore, che fatto un bel quadro , passati alcuni anni ne fa un altro sul me- desimo tema assai più vago , e pomposo . Quando non ci fosse rimaso altro di Esiodo , che questa descrizione di Pandora , avremmo potuto ravvisare in es- sa Temolo di Omero. Osservisi ancora come fra le tenebre di questa favola

(a) Lib. XIII. cap. 21. (b) Poeticon Astronomicon lib. Il.cap. 15. (e) Anthol. 1. 1. cap. ip. (d) Pag. 23o. (e) Vers. 571.

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traluce la verità dell'istoria «anta: formavit Deus hominem de limo terrae (a).

62. Kai o-9-ivos , Et robur . Origene legge igù riov , et mentem, lezione assai plausibile, poiché esprime l'intendimento ; laddove *8ivo( signiiica la robu- «tezza del corpo, meno necessaria in una donna. Ma tuttavia è necessaria, onde vim la dice lo Zamagna , vigore , lena , polso gì' Interpreti italiani ; solo Gujeto chiosa i. e. 4UX""

6Ì. Tlat$tvi*H; è lezione approvata da Proclo , dalle glosse di un MS. Va- ticano, e di un altro Vossiano, e da buon numero di Codici; quantunque un numero alquanto maggiore di MSS. e tutte l'edizioni citate al v. 12. abbiano traj ìi.ixoì; . Scelgo la prima lezione , perchè mi pare più naturale.

6$. ¥Ltù x«3*v ctc Et venustatem etc. Oltre la. bellezza comunicata da Vul- cano a Pandora , Venere le comunica la grazia ; dono diverso , come ap- par da Catullo :

Lesbia formosa est , quae ctim pulcherrima tota est Tum omnibus una omnes surrìpuit Venerei (Jb) .

Ivi. ^usiìv 'kqiqoii-rnv , del qual epiteto usato da Omero non rade volte, e inserito da Virgilio nella sua Eneide , rende Eustazio (e) varie ragioni . La prima è perchè si ornasse di vesti d' oro . La seconda è perchè auro fransi- gitur . La terza è perchè gli antichi tutte le belle e pregevoli cose diccuno auree, come osserva anche il Valesio (d) . L'epiteto par venuto di Egitto , poiché in Tebe, dice Diodoro Siciliano, Venererà ob vetustam quamdam tra- duionem aweam appellant (r) .

66- Kou vóScv a%ya\iov , Et desiderium molestum . Tassa qui la donna per quel desiderio impotente , che naturalmente ha in ogni cosa, non badando a spesa , purch'ei si adempia ; onde Giovenale : Non unquam reputant quanti sibi gaudia constent ( f) : ma sopra tutto qui si parla del desiderio libidinoso , in cui la donna supera 1' uomo , per sentenza di Tiresia , e per osservazio- ne di Properzio (g) .

Objicittir toties a te mihi nostra libido: Crede mihi i vobis imperat Ma magis .

Ivi. t&ì ><//oxdp»; pfXifùvas , et ornandi corporis curas . 11 Gujeto , e moderna- mente il Ruhnkenio , e il Brune k vorrebbono anzi' yuio^^fnf , epiteto che si- gnifica membra depescentes cut as ; e lo approvano come più conforme alla Esiodica semplicità. Nulla si rinnuovi contro la fede de' MSS. ch'escludono affatto questa correzione . Altronde la ragione insegna , che nella donna ^ vizio innato la cura di ornarsi soverchiamente, e perciò non è credibile, che sia sfuggita alla investigazione di Esiodo . Giovenale nella citata Satira (A) Est in constilo matrona , admotaque lanis Emerita quae cessai acu . Sententia prima tlujus enti post hanc aetate , atque arte minores

(a) Gencsislly. (£) Cairn. 8 S. (e) In Iliad. III. v. 04. (d) Observ. critic. lib.lll.c.y. (0 Libro 1. p. 88. (/) Sat. VI. v. 3*4- (g) Lib.Ill. cleg. XIX. vers, I. (A) Sat. VI. vers. 4po\

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Censebunt , tanquam famae disarimen agatur ,

Aut animae : tanti est quaerendi cura decoris . 6*7. xu'vtóv it vóov , caninam mentem Appella alla impudenza , come in Ome- ro xvrls ififtana èx*>v(a), per sentimento di Eustazio . E' questo nella duina vizio più raro, ma più notabile, dopo che una volta ha mandato in bando la pudicizia . Properzio (b)

Vos ubi contempli rupistis fracna pudori* Nescilis captae mentii habei e modum . Tuttavia non tanto mi par che voglia in questo luogo notarsi la femminile impudenza , eh' è di poche , quanto la femminile stizza, eh' è di moltÌM>ime, come si ha a lungo pressoStobeo , che ne cita ben molti autoii \Cj . E' in que- sto vizio pure , che la donna supera l'uomo, onde Plutarco ?uu<ùxt; ar~f<ùy òf-yiXÙTtfcu (d) , e più che all'uomo le si afta il canino carattere.

Ivi- tyj ivi*.\ovor j?3-o{ , tt fallacem morem . Tei mina il cominciato carat- tere femminile con la simulazione; di cui un ignoto poeta (e):

Crede ratem ventis , animum ne crede puellis , Namque est feminea tutior linda fide. Intanto è da notare quanto giudizioso dipintor di caratteri sia Esiodo , che il debole del sesso donnesco ha ridotto a quattro proprietà, impotenza di vo- lere , cura di ornarsi, furor di stizza, infingimento di costume. Se si con- sultino tutt'i biasimatori delle donne , che questo frivolo tema han trattato, come sono Euripide , detto Feminarum osar (_/') , specialmente nella Medea, e nell' Ippolito ; Giovenale nella citata Satira , il Boccaccio nel lilocopo , l'A- lamanni nella Satira X. si vedrà , che i lor biasimi per lo più battono in una di queste cose; che deon dirsi non biasimi del sesso, ma delle sciaguiute del sesso .

73. Xa^tTi't n ©sai, « Ckarites Deae . Aglaja , Eufrosine , Talia , secondo Esiodo (g) , a cui aderì Onomacrito presso Pausania , che or ora citeremo. Ma Proclo a Talia sostituisce Pito, aderendo , come si raccoglie da Pausa- nia (h) , alla opinione di Ermesianatte : siccome Omero sostituì Pasitea . Ma circa i nomi, il numero, e i natali delle Grazie, veggasi oltre l'autor men- tovato anche Seneca al 1. de Beneficili cap. 3. e Fornuto al capo ìS.

Ivi. ritmai. Presso i Greci fu celebratissima per la virtù di muovere gli animi, e di piegarli a quel che si vuole, tu tenuta moglie di Mercurio ; fa- vola che presso i Greci antichi non si trova ; in Nonno autore de' Dionisia- ci si ha(«)i e forse egli l'attinse dagli Etruschi ; perciocché: Binaci dice- ba-it , Facundiam ipsi Deo nuptam funse Cyìleuio (k) ; favola propizissima , per- chè Mercurio è preside della eloquenza. Ma non ostante la celebrità che Pito ebbe presso i Greci, e gli Etruschi, i Latini poco o nulla la curarono;

(a) lliad. 1.225. (b) 111. elcg. XIX. v. 3. (e) Stob. Serm. 61. (d) De ira cohibenda pag 4*7. (ej In fragm.ap. Petron. Arbitr. pug ?4P. (/)Gell. XV.20. (g) Theog. v. 008. (/i) Lib.lX.pug. 5p<$. (ji) Lib. Vili, v.iai. (fy Mari. Capella , in Nuptiis Phil. lib. II.

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e quantunque Ennio s'ingegnasse d'innestarla fra gli Dei romani, chiamai^ do il facondo Cetego Suadae medullam (a) , tuttavia Suada e Suadela pochis- simo furono nominate da' Latini ; anzi Quintiliano par che ne disapprovi per- fino il nome : Neque enim mihi permiserim eadem uti declinatione , qua Ennius M. Cethegum Suadae medullam vocat(b) . L' offese forse che Suada invece di Penuada fosse chiamata; mentre suadeo significa consigliare ; persuadeo in- indurre a fare ciò che vuoisi.

jS. ilfuu , Horae . Deon intendersi quelle tre , che il Poeta nella Teogonia nominò Eunomia , Dice, Irene (e). Con gli stessi nomi son mentovate dal creduto Orfeo negl'inni, da Pindaro nelle Olimpiadi , da Diodoro nella sto- ria al Lib. VI. Le han tenute figlie di Temi, con la quale insieme si veg- gono scolpite in antico termine presso ilPighi(ii) . Si confà al presente luogo il notare , che le Ore ebbon presso gli antichi anche presidenza alle nozze ; onde giudiziosamente son qui introdotte; giacché Pandora si unì in matri- monio con Epimeteo ,o come altri vuol con Prometeo, e nacque di essa Deu- caiione . Mosco di Europa >gp) al tez°S ivruuav "Jl gc« , et Horae ei parabant le- cttim(e), e Apulejo nel VI. libro descrivendo le nozze di Psiche: Horae roùs et ceteris flurihits purpurabant omnia ( f) ,

j6, Wàvm al *goì , etc. Et omnem aptavit carpari Pallas ornatum . Questo è commentato da Proclo Xatrà/ xóa-fxov ; cioè la cresta , i sandali, e quant' al- tro compone il mondo muliebre . Con questa nota di Proclo , che suppone il consenso ancor di Plutarco , bastevolmente confutiamo Ruhnkenio , che questo verso e tenebricanis marni esse dncit: e il Brunck che l'esclude dal contesto , quasi non debba essere stata opera di Minerva 1' ornar Pandora - Se Minerva plesso Omero provvede Giunone di belle vesti (g) , se nella Teo- gonia orna Pandora , perchè non può farlo in questo luogo?

77. Più difficoltà han seco i versi che sieguono , riputati da alcuni presso Proclo illegittimi : perciocché 6e Vulcano avea dato la loquela a Pandora , come ora gliela Mercurio? Ma a costoro rispose il Grevio meglio di Pro- clo, prendendo quel <puv>ì non per voce, ma per nome, come presso Omero rif iafjsg <f 'EXivlui ix-aXi'cra-om ipuv» , Priamus Helenam vacavit nomine.

8i. &ù(ov ,Dontim , voce equivoca, e che significa cosi i buoni doni , come i cattivi. Omero Aùfav aia ài£ta?i , xax-àv , éisfo; éì ìa'av f donorum quae dat ma- lorum , alter vero honorum (h) .

83. <to\av àpiixavov, dolum inevitabilem , che abbiam tradotto alto, ha se- condo gl'Interpreti questo senso, che la donna, per cui mezzo s' ha a pro- pagare la specie (che prima di essa gli uomini uscivan da' tronchi), ha messo i mortali in necessità di essere infelici , malgrado la industria portata in terra col fuoco : perciocché o l'uomo non si ammoglia, e gli convien vivere senza compagna, e morir senza crede; o si ammoglia, e gli conviene fati-

(a) Annal. IX. p. 1S8. (&) lnstit. Orat. lib. X. e. I. (e) Theog. vers. poi. (d) Thesaur. Antiq. Graecar. tom. IX. (e) Pag. 16Z. (fj Pag. SS.

(g) lliad. XIV. v. 178. (h) lh.d. XXIV. Sii.

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car molto pei- nutricar la famiglia , e supplire alle «pese del donnesco lusso. Fa al proposito il proverbio presto Apostolio ,

'ASavàiiv t$i xaxoy rg\ ùvayKcùov juvtì . Immortala mina est malum , et necessarium (a) . .84. Bt'i Enrifttt&ia , Ad Epimethenm . Atticismo invece di Tfé<.Epimeteo i str- inato sciocco ; e il rovescio di Prometeo ; come bastevolmente indica il no- me , che suona tardiapprendi . Pindaro lo chiama c-^ìvqov , (b) Tzetze ógtfófiaìev, post consultantem (e), Platone nel Clizia lo dice compagno di Prometeo nel formare uomini ed animali ; ed aggiugne , che negli animali consumò le fa- coltà necessarie a mantenersi ; che meglio avria consumate nell'uomo . Clau- diana lo fa autore degl'impiovidi ,

Deteriore luto qnod pravus condidit auotor > Quem merito Graii perhibent Epimethea vates Et mhd aetherci spanit per membra vigoris (d) .

88- 11 Brunck volle cangiar yimttxi in yivom, dicendo che il luogo richiede- va ottativo, non soggiuntivo. Ma questa sua correzione di solecismo non ammessa da' Codici è una osservazione , che non potrà mai provarsi aver luo- go a' tempi di Esiodo , e nel locale di Ascra . Corre gran differenza fra il correggere una composizione di uno scolare , e di un antichissimo . Tzetze , e in altri luoghi gli altri Scoliasti han lasciati questi modi come gli han tro- vati . Gli lasceremo anco noi tali quali ; tanto più che ci mancano molti de' libri , che in antico esistevano , e che facevano latta 1' occupazione di que'Gramatici , deboli in etimologìe, ma dottissimi nel resto. V. il verso 4P7. e la nota .

8p. A</ing> i it*aftaioi etc. Sed qui recepii, quum jam malum haberet srnbit . E' detto con tacita allusione al nome di Epimeteo. 11 mal ch'ebbe fu la donna, e i tanti mali che usciron dall'urna di Pandora . Non è fuor di pro- posito l'avvertire j che da questa favola dell'urna, Plutarco {e) par che rac- colga ch'Esiodo sia posteriore ad Omero: poiché da Omero , e da' suoi due dolj pieni di beni e di mali{/} par derivato il dolio ch'Esiodo mette in mano a Pandora. Noi veggiam possibile il contrario; e rispettiam troppo l'autorità de'<narmi arundelliani , che fanno Esiodo anteriore ad Omero di trent' anni .

j>2. xwpKj idwxar , afferunt mortem ; non }>»fa{ , aff< runt seiuctuttm ; quantun- que sia meglio legato col verso seguente , se leggasi j<<fO{ . Ma il verso se- guente ò di Omero (g) , e come di Omero lo citano Calliergo nelle note a Teocrito , e ciò che più è , Plutarco (A) , a' tempi del quale , siccome a quegli di Origene e di Proclo istesso non si leggeva in Esiodo, giacché l'omettono. L'errore debb' esser nato da un Copista, «ha trovato il verso di Omero in

* . (a) pag. 281. (b) Pyth. V. (e) In Chiliad. tom. IV. Poetarum Graec. pag. 370. (ri) Lib. 11. in Eutrop. v. 4ptf. (e) De consolat. ad Apollonium pag. 10S. (/) Uiad.XXlV. vers. J2.8. (^r) Odys. XIX. vers. 3<Jo. (h) Lib. de audicndis poctis t. II. pag. 24.

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Esiodo citato al mavgine come nota, lo inserì nel testo, crcdendol testo ; del che molti esempj ha raccolti il Bcntley nelle annotazioni su la poetica di Orazio. da gran tempo mi pare inserito; avendo osservato che niuno Scoliaste , niuno de' MSS. più antichi il riporta ; quantunque no' più moder- ni , e nelle edizioni tutte si trovi . Quindi Brunck omette il verso A'^a ec. C legge x»f3{ . Noi non l'omettiamo , ma lo contrassegniamo come sospettis- simo , e leggiam x»f«s ; lezione comportabile , anche quando succeda il ver- so di Omero . ' 04. iri(* dQi\oÙ!?at opercultim removens . Proclo seguito da Moscopulo v. 8p. chio- sa cosi: Promerh<us uuum aSatyris malorum dolium accepisset , idque apud Epi- metheum statuisset , admonmt ne Pandoi am reciperct . Ma n'è deriso daTzetze quasi narrator di menzogne, come se le altre fossero verità ! La donna dun- que , a cui mal si conveniva portare in mano un doglio , ch'era la maggior o- pera della figulina , non fece altro che scoperchiarlo ; e tanto bastò perchè tutt'i mali si spandessero per la terra, come nota Servio alla VII. Ecloga , ove cita due versi di Esiodo .

po'. Mai/» J" avviai 'EX-ir/j , Sola vero Mie spes . Dee concedersi al Cornano , che 1' allegoria poteva essere ideata meglio . Perciocché o la speranza è un bene ; e perchè si colloca fra' mali? o s' è rimasa nel doglio , come si trova fra gli uomini? Rispondono alcuni, che nel vaso erano tutt'i mali e tutt' i beni (a)l; e che sparsi i mali per la terra, i beni volarono al cielo, toltane la speranza, la qual tuttavia si finge nascosta, perché comunemente non si verifica, ma per una speranza che viene a capo, cento altre falliscono. E Giove ciò volle per escluder dall' uomo la disperazione , che savia il sommo de' inali . Altri , com' Eschilo , attribuisce a Prometeo il merito di aver fatto il cuore umano così sensibile alja speranza; il qual Prometeo interrogato come avesse fatto a salvare gli uomini dal timor della morte , risponde : caciai in eia spes collocavi (b) , onde sperando sempre di vivere , lavorassero la terra , solcassero i mari ; come cementa il suo Scoliaste.

Ivi . tv à( (' ««;?; ióuoioi , in non ft actis receptaculis . Seleuco ( gramatico riputatissimo presso Suida ) cambiò il Jóaoia-i in viS-ourt. Ma non ve n'è bi- sogno , mentre alla voce Jo'mo; corrisponde il •9,i/f«£e , che manifestamente è extra januam ; ed anche presso Euripide (e) addotto dal Clerc si dice: 'E* & tXara xlffi av fóuvv 'Eo-.^Htct , educens cedrini* domibns , i. e. receptaculis vestem : al che si può aggiugnere , che anche presso i latini domus significa ricettacolo di ogni sorta ; nido d' uccelli , tana di fiere , e , come prova il Fa- bretti , sepolcro di morti (d) .

oy. ìfjiuvi è la lezione comune contro l'autorità della massima parte de' Co- dici di Esiodo : correggo col Sig. Brunck ifftiH , come legge Plutarco pag. 101. e Stobeo pag. 58o. Esempj di tal voce sono in Omero Odys. IX. verso 1 So. in Callimaco Fragm. Bentl. ioo\ in Teocrito ec.

(«) Theognis in Sent. u3i. (b) In Prometheo vincto vers. 240. v. Schol. png. 3o. (e) In Alcesti v. 1 ?8. (d) .Fabret^i Inscript. domest. pag. il 3-

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99. Mytóx* Verso dubbio «e eia di Esiodo . Contro la legittimità di ento trovo una gravissima difficoltà, ed è l'autorità di Plutarco, che omette que- sto verso nel libro della Consolazione ad Apollonio, adducendo gli altri del contesto (a) . Noi a difesa di esso verso possiam produrre il comento che ne fa Moscopulo e Tzetze , il trovarsi in tutte 1' edizioni migliori , il leggersi in quasi tutti i MSS. Tesser verso degno di Esiodo, il quale si serve qui del dialetto ionico, ridondante e pomposo a par del vestito di quella nazione, come osserva il Salmasio nel suo Ellenismo . Nel resto confessiamo, che il si* lenzio di Plutarco, e di Proclo ci fa gran forza per crederlo spurio; sicco- me parve all' Einsio, anche prima di legger Plutarco. E' notabile il modo con cui ne scrive. Libere »ut« ■» 'Agi^xf^oy versiim hunc induci nditm jnaicavera- mus . Hanc sententiam nostrani Plutarchi calcuìo cunfirmari deprehendimus , qui in Consolatione ad Apollonium , ubi totum hunc locum adducit , solum hunc versum praetermittit , vel ut vobtuo , vel ut ijrnotum omnino timo tempori* è da pretermettere che il Grevio spiega quel x»« 'Afi^a^x" per secondo Aristarco , quando 1' Einsio volle dire liberamente alla maniera di Aristarco Ciò che par pia incredibile è, che Clerc , Robinson, Loesnero non hanno avvertito questo errore , che però è inavvertenza , e non nuoce al meiito di questi letterati.

106. 'E< <T 8$A«f , Si vis; alla maniera che i latini ingeriscono si vacai ne' loro racconti , come Virgilio (b) .

Ivi . s7»fov . . . Xó-yov , alterum . . . sermoaem , non in quanto sia di tema diverso dal fatto finora , ma in quanto 11' è continuazione . "Ewf«5 qui è lo stesso che aX- Xo{ , e così dicesi àXXot; kóyof , come àXXo trùcia rehquum corpus, à\\o /3i£\io» , reliqita libri pars . Il Salvini traduce alzare un altro conto. Dormitat Homerus Apollodoro , gli Scoliasti , e comunemente gli antichi ascrivono alla terza età il cangiamento del mondo, quanto alla carenza del vitto spontaneo. Esio- do come sovrano Poeta ha cominciato da essa; ora rigale alla prima, e se- conda età, tramutando per usterologìa l'ordine delle- cose.

107. tv <f ivi <pqt<rì fìàWto s'jì cri •■ , tu vero tati infìje p< aecordiit . Ne' fram- menti di Orfeo , e nella Iliade di Omero è fatto emistichio ripetuto più volte: Esiodo è parco di tali repctizioni . Ma nel volgarizzamento con- viene variar frasi. Qui T'abbiami tolta da Dante (e).

108. iif òuóSiv , Ut simul -, Così i traduttori latini; ascrivendo 1' Ó/uo-Jct a tempo, eodem tempore, siccome »'«>«* ,anrorae tempoie. Ma i chiosatori spie- gano intintela , ascrivendo iiuó9-ai a origine ; come quando il creduto Omer» scrive Eoi"; it x.a?ryviiwif , Si roi Iftóìtv yiyàctaiv ,e( tuis frati ibui qui ind'dem te- ctim , cioè e* eadem stirpe nati sunt(d) . Anzi generalmente il dotto Scoliaste di Apollonio Rodio (e) osserva, che in Omero if*è sempre vale nel medesimo luo- go , benché i Poeti posteriori lo rechino ancora al medesimo tempo . Venen- do all' applicazione della dottrina, io ho tradotto a par con loro, frase e-

(a) P. II. pag. 71. (b) Aeneid. I. J7Ì. (e) Cantica 111. canto I. (d) Hyinno IV. vere. i35. (e) 1. vera. 107$.

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^uivoea , che significa nel medesimo tempo , e dal medesimo luogo, o sia della medesima stirpe. Nel primo senso sappiamo, che Anassagora (a) fece gli uo- mini coevi agli Dei : riav-m ^liucfm jsyovivcu »|Ub> e lo stesso fece Seneca : ho- mines prima quos mixtos Dcis profudit aetas(b). Nel secondo senso Pittagora, 9-ùov yivoj eg-i @fom7vi , divinum genus est mortalibus (e) , e Tullio inerendo a' principj di Platone : animum esse ingeneratum a Deo ; ex quo vere vtl agita- tili nobis cum coelestibus , vel genus , vtl stirps appellati debtt(d). Taccio Lu- crezio, Arato , Ovidio, Manilio , ed altri dogli antichi , i quali quantunque discordi in altri punti di Filosofia, in questo si accordano, nel dare all'uo- mo un' origine divina: il che pare disceso da quella divina parola: inspira- vit in fitcìem ijtis spiraculum vitae ,et factus est homo in ammam viventcm(é).

iop. XfJcriov ftìv etc. Incomincia la descrizione delle varie età del mondo, che Proclo vorrebbe spiegare allegoricamente, e riferirle alla età dell'uo- mo ; altri scritturalmente , fino a farvi degli anacronismi , e riferirle al So- gno di Nabucco , come Farnabio al 1. delle Metamorfosi di Ovidio. Io son fer- mo nel mio sistema, che sian cose dedotte dalla Scrittura, o a meglio dire dalla orale tradizione de' primi tempi del mondo , ma corrotte poi e guaste da' Gentili a segno , che appena ve ne resti una traccia . Ma questa è chiaris- (ima ; ed io mi compiaccio in questo confronto ; e verrò facendolo più esat- tamente forse che non si è fatto finora , a onore della Scrittura santa , a cui rendono testimonianza di verità anche gli scrittori profani .

Ivi. 'jefòiraiv av^fùirw y articulute loquentium hominum , come spiega il Clar- ice in Omero , seguendo il preteso Didimo . Ed è quest' articolazione una giu- diziosissima differenza fra 1' uomo , e gli altri animali , il cui parlare son ur- li , e incondite voci. 1 nostri traduttori voltano diversis linguis loquentium hominum; il che se può ammettersi negli uomini delle più tarde età» mal si confà agli uomini dell' età prima , eh' erano labii unius .

HO. AS-civaT»! nroinTar . Chiosa Moscopulo & Ziv% {iivo^ tV«/w» , solus Juppiter fecit: male, perchè Giove non regnava per anco: intendo pertanto questo passo, di Saturno, e de' suoi Dei consiglieri.

ni. i"6" fai Kqóvou nraui , Hi vero sub Saturno erant . In Saturno il Bian- chini, il Lavaur , ed altri ravvisano Adamo nello stato dell'innocenza. giova opporre , che questo stato fu di breve durata: mentre chi potè impedi- re , che appresso la dispersione non si tìngesse tale stato di alcuni secoli ? Ne fu portata la notizia per tutto il mondo ; e quante alterazioni sofferse fra gì' Indiani , fra gli Egizj , fra altri popoli , ne' quali fu propagata (f) ?

HI. "&s t* *«<»' <*' ì'Caov , Et ut Dei vivebant . Emenda il Brunck »j Su! Xwi?xoy , e cita un verso vicino, ov' Esiodo avea parlato così: quasi non sia buona ragione questa medesima di scriver ìX"0' Per mutar frase .

Ivi. a'xMtJe'a 9-uuò* t^ovu;, securum animum habentes . Enumerando i beni,

(a) Laertius in Prooemio . (b) In Hippolyto v. $24. (e) Vers. aur. 6Ì. ubi vide Hieroolcm. pag. 27p. (d) I. de Legibus cap. 8- (e) Genesi* 11. 7. (f) V. il Bianchini Storia universale pag. SS.

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che si godevano dagli uomini del secol d'oro, e riducendogli specialmente a que' tre , che stabilisce il Pope nel suo Uomo : Sol di felicità portan l' impronta La sanità , la pace, e il ben che resta Necessario alla vita (a). comincia dalla quiete, e avvedutissimamente. La quiete dell'animo è il pri- mo ingrediente della felicità naturale , permodochè il Muratori nella sua Fi- losofia morale giudica bastar per sola a far l'uomo beato. Ovidio (6) nella descrizione del seco] d' oro tutto su le pedate di Esiodo : Molila securae petagebant otia gerita . Il 3. Abbiam rimesso come stava da principio «rep nrórwv giacché Tzetze ci dice esser l'è in questo luogo comune, in vigor della liquida che la siegue. Così faremo altrove , ridendoci di que' magri gramatici , che hanno alterato Esiodo, perchè non iscrisse a norma de' lor precetti.

Ivi. aVe ri tn\òv r»f<t{ etc. Eccoci alla seconda condizione della felicità simile agli Dei , i quali sono àvocoi e àftifaoi secondo Plutarco. Godon sani- tà , immuni da malattie , liberi delle mani , e de' piedi , esenti da vecchia ja , eh' è per stessa una malattia .

n5. It'firovT iv 5-aX/>i3-/ , Di-lectabantur in conviviis , eh' è il terzo mezzo di viver felice, abbondare di quelle cose che sono necessarie alla vita. Gli Stoici troppo stimavano la virtù , asserendo eh' ella sola può far 1' uomo- felice . Gli Accademici considerando eh' egli é composto di spirito e di cor- po, anche i beni del corpo ebbono in veduta ; fra' quali primeggia il convito. Ma perchè sia conducente alla felicità debb'esser copioso non tanto di vi- vande , quanto di fratellevole affetto . 1 latini imitavano i conviti di que' pri- mi tempi ne' Saturnali , introdottavi ancora una temporanea uguaglianza fra' servi , e i padroni (e) .

Ilo" 'hQvaol fiìiXoio-t, Verso che manca negli Scoliasti , e in tutt' i MSS. che ci rimangono. Lo trovò il Grevio in una citazione di Diodoro Sirulo(rf) , e dopo lungo esilio lo richiamò al suo luogo , se già vi fu mai ; leggendosi in Diodoro dopo il verso 120. ove qui è il v. ii<f.

Ivi. ÌAUXa è equivoco in greco, e tanto vuol dir pomi , quanto greggi ; per- modochè ha dato luogo ad equivocare nella spedizione di Ercole, credendosi che andasse per pomi , quando andava per greggi (e) . Qui il Grevio traduce tìcchi di pomi , parendogli più conforme all'età dell'oro il nodrir quella gen- te di pomi, che di altro; tanto più che Varrone nel libro 11. dice, che fra le vite, la prima fu quella de' frutti, la seconda la pastorizia, la terza quella dell' agricoltura. Ma nulla osta, che questo passo si adatti a' greggi ; purché essi non pascesscro di lor carni i padroni , ma sol di lor latte. Nel qual proposito Tibullo parlando appunto di questi tempi,

(o) Traduzione dell' Adami epist. 4. (b) Metam. I. v. 100. (e) Horat. Serm. 11. 7. (d) Bibl. V. pag. 33*. (e) Varrò R. R. 11. cap. I.

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ultroque ferebant

Obvia stcuris ubera lactis oves (a) , ehiosa il dottissimo Sig. Heyne , pio quo Virgilius ubera lactea .

Ilo", tptkci fJiaxaftT<ri S-toìa-t. Prendo questo passo non in senso di ìuìoùtJtovti; , feliceì, come chiosa il Grevio , perciocché questa sarebbe inutile ripetizione ; ma in senso di familiari , ed amici degli Dei , cari beatis Diis . Ed è comune persuasione, che gli Dei colla gente del secol d'oro, mercè della sua inno- cenza , dimesticamente conversassero , specialmente Astrea ; di che a lungo Arato ne' Fenomeni, e brevemente Nonno ne' Dionisiaci {b) : l\*?$i>os 'Aj-fatx y.t<t*i»t $(inrTH(a yivi$-\x( , Virgo A^traea aurei generis nutrix : favole , riflette il Volpi in Catullo, che le accenna, che hanno lor principio nella Storia San- ta (e) e nella domestichezza con cui Dio trattò 1' uomo nello stato della in- nocenza.

117. Qv>fo-xoi< <f' w'c uirvii SiSfinfAivot , moriebantur vero, ceti somno domiti. L' Au- tor de' versi sibillini conformossi manifestamente a questo luogo , quando d«* primi uomini nati d' Adamo così scrive : oìaiv etc.

Hisque dia superesse dedit , mortisque dolorum

Expertes placido vitam deponere Irto ,

Infuso velini sennini per membra sopore. Ivi. t«9-Xa Si ira'via . Intendi de' beni dell'animo con gli Scoliasti, accioc- ché si schivi più che si può la tautologìa: torna poi a' beni corporei c«in ordine più poetico, che naturale; nominando il vitto spontaneo , che troppa ha connessione coli' opera fin da' primi versi.

1 18. lafiroV <f' tj>efi%iiJa(os afafa humuài* vo'KKòv , fructum autem ferebat fertile arvum sponte sua mv.ltnm . Tzetze comenta anco tàq &a\ctt>u<; , glandes . Ma Esiodo assegna a quella età vitto più mite , come io congetturo dall'epiteto X»^ui0'i »» che vien da jfe/a , spelta, hordei gentis , di cui si servivano innanzi il ritro- vamento del grano . Anzi Arato, e Claudiano (d) assegnan frumento a que- gli della età d' oro .

Iip Ak'uu™ , sponte sua, come in simile argomento si esprimono Lucre- zio, e Claudiano. Giuseppe Ebreo (e) , e specialmente Filone (f) imputa alla colpa di Adamo , e de' posteri la infecondità della terra ; permodochè cessan- do il peccato tornerebbe , secondo lui, l'antica abbondanza; errore, perchè la maledizione da Dio data alla terra fu in perpetuo . Io noto eh' Esiodo as- fai si avvicina al sacro testo, imputando a colpa di Prometeo solo la man- canza del vitto spontaneo ,come noi al peccato del primo uomo : non a volon- tà di Giove , perchè l'uomo non fosse ozioso , come il resto de' Gentili .

120. tf>« vifjova , (moderatos ) labores disti ibuebant Ch'Esiodo non esclu- desse ogni fatica dagli uomini di questo tempo , si raccoglie dal verso 4$. di quest' opera . Anche Adamo fu messo nel paradiso terrestre t'p>«J'«a-3a/ àutiv

(a) Elcg. I. 3. 4J. (b) Lib. XLI. T.2T4. (e) In Catull. carm. 6Ì. v.584. (d) De Raptu Proserp. III. v. 24. (e) Antiq. I. ( f ) De opificio mundi»

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i2°

aryj <pv\a<T<rnv , ut operaretur , ef custodiret illum(a); cioè con una fatica , che avesse ragione di divertimento. Tzetze spiega qucH'tft-er la ricolta de' frutti spontanei, e quel nt'pevro la distribuzione di essi ; perciò egli lo chiosa n»iov , comedebant .

ìli. Tei fitv ialfioiif tiri , Hi Jaemones quidem sunt . Siamo al luogo , eh' Esiodo divien maestro di uno de' principali dogmi della pagana religione. Piincept Hesiodus , dice Plutarco ,b) , piane et dittinole exposuit > attorie utentium genera quatuor , Deos , inde Genios multai ac bonos , mox Heroas , tum hominei . Par- lando ora de'Genj , è falsissimo il sistema di un Dotto, che pretese , la cognizione degli Angeli esser derivata da' Caldei ne' Persiani , e da questi nella venuta di Serse recata in Grecia. Essi eran noti fin da' tempi di Esio- do ; e sono lo stesso Angeli e Genj , o Demoni , come dimostra il Petavio (e) citando gli antichi : basti nominare Filone : Hos Daemones Graeci , Moy-.es An- geles appellai .

Ivi. 11 Meursio , l'Einsio, il Grevio avvertirono, che questi versi 122- e 123. in alcuni libri son prodotti diversamente da quel che i Codici ora gli rappresentino. Platone, Plutarco, Aristide , Teodoreto , riferiti nelle va- rianti, han citati i predetti versi con qualche diversità, che io ascriverei all'avergli recitati a memoria: ond' è che discordarti tra loro. Tuttavia nel più essi convengono, eh' è come siegue presso Platone:

'Ayvoi ciXt'ixctxtsi ipo'Xoxe; Svn-niv àvfotiirw . La lor lezione forse preferibile a quella che abbiamo , è nondimeno nella so- stanza conforme ad essa ; onde non ho stimato di cangiarla , come fa il Brunck , senza sicurezza di aver data la vera lezione di Esiodo. Fa difficol- tà , che Giove, che allora non regnava, dicasi autore della mutazione delle anime de' primi uomini in Demoni; ma questo può essere avvenuto dipoi, quando Giove prese le redini del mondo , e tante mutazioni vi fece.

123. Per quell' sVS-Xo/' , che vuol dir buoni, che Platone, Aristide, Plutar- co in due luoghi , Teodoreto e Fozio , mutano in àyvì , puri , tacitamente insinua l'esistenza di altri Demoni cattivi, conforme alla sacra tradizione. Considero pure qucll' iirix&óvioi , in luogo della qual parola con manifesta scorrezione lessero Aristide e Fozio, e molti MSS. Jiro^óvioi . 'Err^ivioi ap- pella a luogo , volendo dire che son Genj di terra , non di mare, non d'in- ferno . Le loro proprietà sono quell'&VSW , boni ; dùi%ixaxoi , malorum dcpulso- res,che da' latini son detti averrunci,e quel q>u'Xaxi< emiir àv$f w*» , eh' è casto. Ics hominum , che Proclo espone ei/X«i>»«i{ m»f ùtiìuoioi Wi> fii»» , inco- lumem custodientes hominum vitam . Or chi non ravvisa in questi Genj gli Angeli santi , de' quali è scritto : Angelis suis mandavit de te , ut cttstodiant te in' omnibus viis tuia {d) ?

127. biuitfov ai n yivo$ , Secundum inde genui etc. Ancor questa età dee

(a) Genesis 2. (b) Plut. de Oraculorum defectu pag. 41 S. (e) Theol. Dogm. tom. 111. lib. 1. cap. I. (d) Psal. XC. v. 11.

avere il suo fondo nell' istovia sagra , ma depravata . Che se ciò avvenne presso i medesimi Ebrei , che tante cose credettero della città di Caino , e delle altre particolarità che interessan quest'epoca, quante cose ne deono aver credute i Gentili? Il carattere generale della età seconda è la goffaggi- ne ; ed è espressa a bastanza nel parlare di que' primi uomini , che conoscia- mo nelle Scritture nipoti di Adamo ; qual era Lamech : Audite vocem meam uxores Lamech) auscultate sermonem meum : quoniam occidi virum in vulnus meum , et adoleicentulum in livorem meum {a). Alle ingiurie scambievoli può

aver dato luogo di crederle 1' omicidio di Caino nella persona del fratello

...

Abele, e le soverchierie che il suo lignaggio faceva, giusta il racconto di

Giuseppe Ebreo , JSfi%a,v: fin la eletta stirpe 'di Seth dice , che dopo sette ge- nerazioni cominciò a tralignare (6) . Degli onori, che non rendevano a chi in Cielo sedea , parla Giuseppe in maniera simile ad Esiodo : fttin mi vaio- fAio-utvai; Tifjctf tv 9iìi nraqi ' x."'^i etc. neque honores debitos Deo reddentes . Do- po questa descrizione passa anche Giuseppe alla generazione de' Giganti .

i io. AX\' i*.ofàv etc. Si dice cento anni , giusta l' interpretazione degli Sca- ligeri , per dir molti . Adunque dovean vivere molti più anni i loro educato- ri ; ciò che combina con la età di que' primi patriarchi, e con ciò che leggesi nella Scrittura , che Seth cominciò ad aver prole di io5. anni ; Enos di pò. e così gli altri di 6"o. di 70. «e.

1 3 i.'Efipir aia'».ftiv, Nutriebatur crescens valde rudis domi suae . Accortamente incomincia dalla educazione materna, eh' è molle, ed inetta naturalmente. Platone riflette che Ciro. e Dario educati a'eostumi guerrieri, divennero va- lorosi ; ove i lor figli tenuti in ozio fra donne delicate e ricche furon da nulla . E notisi , che in questo secolo ancora eran donne ; e che Pandora fu la prima del terzo secolo , non la prima del mondo .

133. lìaufiifiov %ùirx.i>v , Parum vivebant . Cioè poco rispetto alla età , che pro- metteva una lunga fanciullezza. Nel resto quei che non si accorciavano la vita co' disordini viveano lungamente .

I3+. Lascio apfaiiat; nel suo possesso ; giacché così hanno le migliori edi- zioni , e un buon numero di Codici : noto però , che non minore forse è il numero di que' che hanno à<t>o*firi<; , dialetto ionico familiarissimo ad Omero e ad Esiodo , come notammo . V. Chiave Omericana a .pag. 2S2. e notisi ciò una volta per sempre .

I3S. H' a*waTO{ $i?*Ttuetv "HS-tXov . E' troppo verisimile, che questo non voler servire agli Dei, si deggia intendere del culto esteriore , che si fa pubi ice , pagatim , oppidatim . Altrimenti , se fossero stati empj, e avesser ne- gato anche il culto interiore , come dopo morte esser cangiati in Geni ? An- che nella Scrittura Enos figlio di Seth , e nipote di Adamo , di cui si dice (e) , che coepit invocare nomea Domini, cominciò a istituir feste , ed opere di culto pubblico ; mentre il privato era in uso prima di lui. Con che si emendano

(a) Genesis Cap. 4. (6) Antiq. lib. 1. (e) Gcnesis IV. 16. vide Calmet Pag« 77-

*22

coloro, che spiegano quel »«r' »$ia, juxta morem : facendo menrion di costu- me , ove costume non era. Per ultimo offeiire, detto cosi assolutamente , co- me abbiam noi fatto nella traduzione, è quanto offerir sacrifìcio, nel modo che Dante, citato dalla Crusca, fa nel Canto XIII. del Paradiso .

I4r. TV fiìv vttox9-°'vioi etc. Restituisco alla sua vera lezione il testo di E- siodo , togliendone quell' t vix^inoi , che contro il parer di Proclo, e di Mo- scopulo , e contro la fede di quasi tutt'i libri editi, e MSS. ci aveva messo il Clerc j e gli editori oltramontani dopo lui , seguendo Tzetze . Questo Gra- matico fondato nella parola iiwn^oi, avea congetturato, che tutte le quali- tà, che competono a' Genj della età dell'oro, competessero a quei dell'ar- gentea : quando non è così . Il' luogo d' Esiodo va costruito , come Proclo lo costruì, iive/9-óvioi , $v>rmì , £éunt>oi , subterranri , mortale*, secundi: sono dun- que sotterranei per luogo, perchè abitanti nell'inferno, mortali per condi- zione , siccome altri Genj nominati da Plutarco e da Capella (a) , secondarj per rango, perchè i primarj Demoni sono i Genj del secol d'oro. Dee no- tarsi , che Proclo invece di /ua'xapsj legge <pukan.es , e cementa rivuv £t pc/Xa- xiC ; etc. quorum vero praesides ? nimirum animar um , quae in illis versantur lo- di , quaeque ne juxta naturam quidtm vixerunt .

142. a XV SjUirHf rifu) jgej -aìiriv òirni 11 , at honor eos quidem etiam spquitur . Questi presidi d'Inferno forse sono i Demonj , i quali poteron esser con- siderati per Genj , ma non per reprobi . Fora' anche questa favola vien da altra favola scritturale. Anche Dante riconosce un terzo genere di Angiuli , che esule dal Ciclo , è tuttavia esente dalle pene degli Angioli ribelli , e tie- ne un luogo vicino all' inferno tra gli sciocchi :

Mischiate sono a quel cattivo coro Degli Angeli, che non furon ribelli, fur fedeli a Dio , ma per foro (b) .

143. ZiJ; Jt nrant; etc. Tutto questo Secolo è fondato nella Scrittura più chiaramente de' precedenti , come han notato Atenagora nella legazione , Eusebio nel V. della Preparazione Evangelica, capo 4. S. Metodio nel Ser- mone della Resurrezione di Cristo , ed altri .

14?. 'Ex. ftiXiàv -. cioè <fià mv pOtù; come coment» il Teobaldo presso Ro- binson ; in modo che congiunto senza interrompimento con quel itiviv n, che vien dopo, faccia questo senso.- propter hastas ( ptìiai vai anche bastar) terribile! etc. La spiegazione è ingegnosa ; ma non necessaria , mentre è appoggiata in congruenze debolissime per escludere l'altra esposizione da' frassini erati natii il che è secondo la persuasione degli antichi. Per tacer degli altri, Stazio ha distesa la fecondità degli Uomini non solo a' frassi- ni, ma a più sorte di alberi

nondum , arva , domusque , nec urbes Connubiiique modus . Quercus , laurique feiebant Cruda puerperio , ac populns umbrosa creavit

(a) Plut.de orac. defectu . Capella de Nuptiitf etc. Kb. II- {b) Cant. J. c.ì-

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Fraxinus, et foeta virldis pucr excidit orno (a). 11 creduto Didimo (b) riferisce l'origine istorica di questa favola; ed è che prima della invenzione delle case le donne partorissero spesso nelle cavi- tà degli alberi, nelle quali trovati i bambini si credeano nati da essi.

Jvi otaiv "Aftio; etc. Simil carattere fa a questa età Giuseppe Ebreo ove dice de' Giganti Scritturali; progeniem procreavo- at insolentem , et fiducia ro- boris omne ju.s et fas contemnentem .

140". Ut ti a-ìrov *H(t$-i*v , neque quid fi umenti edebant . Proclo dice che man- giavan carni di fiere ; il che è secondo il sentimento di Seneca , che per vitto alla terza età assegna la cacciagione , quod sequi cut tu fera* auderet aerea (e). Ed è verisimile, che quantunque ve ne sia divieto nel Genesi (d) come di carni immonde, i Giganti della Scrittura ancor ne mangiassero.

l5i. fitteti; f b'x e'a-x* o/tfxfoj. Emistichio presso lo Scoliaste d'Euiipide nel- le Fenissc v. 10,08. 1 Greci Interpreti dicono, che una certa temperatura ren- deva il rame pari al ferro ; onde di rame erano non solo le armi , ma gl'istru- menti tutti, che poi si fecer di ferro. Io non niego questa temperatura; av- verto sì bene, che le spade, ei coltelli, e le altre armi di bronzo ritnase- ci ,che si veggono ne' musei , sono di una composizione, nella quale per qual- che parte entra il ferro ; mentre ove si limino , alcune particelle di esse so- no attratte dalla calamita, come osservò il Sig. Caylus . Nel resto carenza di ferro non fu mai al mondo ; ma solo in alcuni luoghi . Tubalcain uno dei primi uomini fuit faber in cuncta opera aeris , et ferri (*). In Grecia, dicesi da Esiodo , da Diodoro (f) , da Callimaco {g) esser venuto il ferro da' Calibi.

154 Nuvuyoi ha la seconda comune seguitando la liquida . Non so perchè 1] Brunck voglia rttrvftvet edito da noi per errore.

1 Sp AvJfwc ùfoivv ^i7ov yivc; etc. Virorxtm heioum dìvinum geims. Succede la età degli Eroi, che incomincia da Dcucalione, o sia da Noè; nuova con- ferma, ch'Esiodo non seguì qui verun' allegoria , ma si attenne al sistema istorico , qual raccontatasi . Proclo e Apollodoro dicono , che al fine della terza età venne il diluvio, e più chiaramente Servio (h) : Juppiter quuni pero- sum haberet humanum genus propter feritatem gigantiim , sedicet quod ex dio- rum sanguine editi tram mortales , diluvio mundavit terrai, et omnei homines tlecàvit , excep'is Pyrrha et Deucalione . Deucalione era figlio di Pandora, da cui Esiodo cominciò il catalogo delle donne illustri . Nel resto la memoria del diluvio uni versale fu comune a tutte le nazioni, come osserva Giuseppe Ebreo (i). Ved. Monsig Falconieri nell'aureo opuscolo sul Medaglione del diluvio (k); del qual Medaglione scrissero ancora Eroelich, e i miei amici Barthcleiny ed Eckhel (Z) uomini dottissimi .

(a) Thcbaidis IV. v. 278. (Z>) In Uiad. XXII. v. i26\ (e) V. de tota re Senec. in Octav. v. 403. (d) Genesis cap. IX. v. 3. ubi v. Calmet. (<-) Genesi» lV.v.22. (/) Lib.V.p.333. (g) Elegia de coma Berenicis ap. Catull. v. 48. (Ti; In Ecl. VI. v. 41. ( i) Lib. 1. e. 4. {kt Dissertano d* Nummo Apumensi Deu- calionei dduvii typum exhibente . (Z) Doctrina Num. Veterum voi. 111. p. i33.

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i<fo.'H/u/*«o< etc. I termini *Hf»? , ed 'H«/»ì»; si confondono , ma esattamente parlandosi deon distinguere . Semidei sono quei che nacquero d'un genitore immortale , d'altro mortale , come Achille , Enea , e simili ; Eroe è termine di virtù, come attesta Servio: //eros nomen virtutis emeritae ; plerumque et geneì ii est {a) . Oltre a ciò Semidei , e non Eroi si chiamano anco gli Dei di un rango secondario , ut Fauni , Nymphae , Silenus (b) , e questi medesimi, e gl'in- ventori delle arti , e gì' indovini , e gli Dei di secondo rango chiama Capella Semones (e) quasi semihimines, da homones che in antico dicean per homines.

Ivi. xar dirti fava ysùae , pei immensam terram: tranne i Persiani , ove si chiamavano Ariti. He.-ichio interpiPta questa voce hrioei apud Persas .

I cT 1 . 131 ipvXoirif eù«» . Gomentano gl'interpreti: et intestina discordia , allu- dendo alla guerra di Tebe, che non fu come la Trojana di esteri con este- ri, ma fu una discordia civile in origine, che provocò anche le armi stra- niere . In Toscano può risparmiarsi il nome di discordia ; perciocché- guerra dicesi anco della civile .

\6l. Tot/i pài éV ivraTru'Xj Qiilri etc. Aìios quidem ad seprem portas habentes Thebas, Cadmeam terram . Cudmca si dice da Cadmo Fenicio, che primo la fon- dò secondo l'opinione pia divolgata, e tenuta da Apollodoro nel lib. 111., da Nonno Panopolita nel V. da Igino nella favola 76. Ben è vero , che altri , fra i quali è Varrone,la credon fondata da Ogige . La favola si è alterata o per- ché le cose antichissime si dicean Ogigie , di che Spanhemio ha raccolti varj esempi (d) , o perchè dopo Cadmo ivi regnasse un Ogige, come vuol lo Scolia- ste di Licofrone (e).

lui. ìvtxvuXw . Delle sue sette porte, che a' tempi ancora di Pausania si vedevano , rendon varie ragioni gli autori secondo le varie sentenze che adottano. L'autore de' Dionisiaci le vuol fondate da Cadmo, e scelto il nu- mero settenario in ossequio de* sette pianeti (f). Hlostrato crede che sian opera di Antìone, di quello cioè, che tolto il regno alla famiglia di Cadmo, s'impossessò di Tebe , e che da sette toni musici, che Virgilio chiama «e- ptcni discrimina voutm , desse loro il numero settenario (g) . 1 nomi furon presi dalle sette figlie di Antìone. Gli recita Igino (h) e sono Tera , Cleodo- xa, Astinomc , Asticrazia, Chia , Ogigia , Clori . Altri nomi si leggono presso Pausania e pressoi Tragici , che fan congetturare, che una porta avesse più nomi .

I6"3. uiìàu» im*.' OiJnróScio , propter gregrs Oedipi. Lo Scoliaste di Licofrone cita questo emistichio al v. o>3; e vi fa questa glossa: itnXuv àtri ri tXira ■$ fii<rt\«!i{TàOi<fiiraJof , gregum prò diviati et regno Oedipi. Proclo: oi va\xioì etc antiqui enim in quadrupedihus substantiam habvbam . Hegum quippe liberi an- te nuptias pastores erant i\fonsisque bove* et pecuda muneri dabant . 11 V. Idil- lio di Mosco par fatto per comentar questo passo di Proclo : ove Dafni venu- ta) InVIIl.Acneid V.46+ (è) Serv.in Eclogam VI. v. 3i. (<) DeNuptiis Phil. Libro 11. {d) In Callim. hymn. in lovcm . vers. 14. (e; Versu Uotf. (/) Lib. V. vers. 64. (g) Lib. L lmag. e. io. (fc) l;ab. LX1X.

to a conchiuder le nozze con una donzella , le propone fin da principio la condizione di Paride bovajo : T«» irivwmv etc. Prudentem Helenam Pari» rapuit , bubulcus alius ; e in appresso discorrendosi di dote da stabilirsi dal marito , le promette, Universum gregem , omnia nemora et paletta habebis.

l<$y. EAsVh; jyjx' «C'iauoio , causa Helenae bene comatae ; ma è notabile ciò che Isocrate accenna (a) : bellum gerebant ... verbo quidein pio rieletta Memlai uxore; re ipsa vero ne Graeci'i vel consimilia pateretur a burbaris , vel quulia pritts passa erat , quum Ptlops totam Peloponnvsttm , Danaus urbtm Argivotum , Cadmiti Thibas occupaste! . Omero nella di vina Iliade ebbe in mira di mantener ne' suoi Greci viva questa gelosia de' regni esteri, ed in»ieme di far loro co- raggio ad invadergli , mostrando loro quanto potessero confidare nelle lor for- ze, ove fossero unite contro gli stranieri . V. Gravina della ragion poetica (b) .

ló'p. TiAoiT aV àSarà-aiv mìo-t Koóvos i(i,$aTi\tui t Procul ab immoi talibits , Satw nus horum rex est . 11 verso manca in quasi tutti i MSS. ed è rifiutato da Proclo , e dagli altri Critici antichi, insieme con un altro seguente, che dovea esser diverso da quello, che oggi abbiamo. La ragione che ne addu- ce è , perchè questo è un verso nugatorio , il che io interpreto per la dimo- ra di Saturno negli Elisi negata da molti, e creduta solo favolosamente da' barbari , come atferma Plutarco (e) . E veramente nel Tartaro lo dice racchiuso Eschilo (ti), l'autor de' Dionisiaci {e) , Ovidio (f) , Claudiano (g) , ed altri. Ma non mancano autorità anche per la contraria sentenza. Pindaro siegue in ciò Esiodo (h) ini\ir AiJ« eto. pcrtgerunt Jovis viam ad Saturni ur* bem , ubi beatnrttm inculai Oceanitides attrae peiflant . 11 Grevio aggiugne la Iscrizione di Rcgilla moglie di Erode, e si può annettere Diodoro citato dal Grevio stesso, Luciano nel T. 111. pag. 38p. la Tavola VII. del Sepolcro de' Nasoni, ove Mercurio a Saturno presenta un'anima da giudicare.

170. mxx&ia ìuuiv troviti , securum atiimutn habentes . Non sembra questa la teologia di Omero. Achille vorrebb' essere anzi un servo fra' vivi, che un Re fra* morti (<) Ma Omero mette tutti gli Eroi nell'Efebo: e Pindaro ineren- do a lui dice , che Achille per le preghiere di Teti passò indi agli Elisj . Avea dunque ragion di dire Achille così male dulia sua corte ., Liberato però egli dall' Èrebo, e così liberati gli altri eroi , o per sovvenimento di qua!» che Nume , o perchè aveano espiate le macchie di lor vita , e condotti negli Elisj, ivi viveano senz' affanni. E tali dovean essere a' tempi di Esiodo gli Eroi di Tebe , e di Troja ; mentre non recenti dalla lor morte , Como gli Eroi trojan! di Omero, ma corso gran tempo possedevano una compiuta beatitudine.

171. 'Ev [*xxttetn> nr.fnri etc Quali siano queste isole de' beati , si dubita ancora. Ma la opinione più verisimile è , che sian le isole Muurituniohe , og* gidì Canarie , la quale opinione è sostenuta da Cellario xk) . Di esse Strabone :

(a) In Panathenaico pag. 452. (&) Della ragion poetica pag. LX111. ediz. fiorentina. (e) Tom. 11. pag. 4X0. et 04,1. (ti) In Prometheo v. iip. (e) Lib. XXIV. v. 236". (/) Metamoiph. I.113. (g) De raptu Proser. 1. 1 15. (Zi)Olymp. 11. v. 127. (i) Ouy^s.Xl. 488. (Jt) Tom. 11. pag o3;.

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insulae beatorum quae etiamnum apparent , novimusque eas non multum distan- te* ab extremis Mauritania* (a) . E Plinio: Juba de Fortunati', fnsulis ita inqui- siva ... p< imam vocari Ombrion . . . proximam Canariam vacati a multitudine canuta ingentis magnitudini), ex quibus perducti sunt Jubae dtto(b). Un antico chiosatore di Orazio, mutando sito, dice su quelle parole degli Epodi Ode l<f. Sos manet Oceanus circurnvagus ; arva beata Pctamus arva , divites et insalai Fortunatas insulas quae sunt saprà Britanniam , ultra Orcades insula s , ubi nul- los nisi pio» habitare scripserant Graeci . Plutarco nel Sertorio le colloca dieci mila stadj lungi dalla Libia. Tzetze pur nomina la Brettagna al v. 1200. di Licofrone : A/ ?àf etc. hae enim beatorum insulae juxta Henodum , Homerum , Euripidem , Plutarchum , Dione ta , Procopium , Philostrotum , et reliquos . Nam

circa Oceanum Biitannia insula est et Thule . Diuunt autem mortuoium

animas heic hubiture .

171. rraf '£l*tcwiv fxx^uiivxv . Gli Scoliasti comentano x«w 'RkicvÒv , ad Ocea- num. L'Eìnsio vuole, che s'abbia a interpretare ultra Oceanum, nel qual proposito cita Silio Italico , che dice

Ve' um ultra Oceanum sacro contermina fonti Lethaeos laticcsy et sacra oblivia putat e). Ciò vorrebbe dire , che agli antichi fosse noto il nuovo mondo , il che è dubbio molto , e richiederebbe non una nota , ma una dissertazione (d, . Quel che pare innegabile è , che gli antichi alle terre fortunate credettero non potersi andare se non per acqua ; come raccoglie il Buonarroti da' sepolcri , ove si veggono effigiate Ninfe e Genj , ed anime che veleggiano (e) .

173. Tf/{ to ìw( etc. 1 descrittori delle ls< le fortunate, Plutarco, Plinio , Strabone , non lasciano di rammentare la loro straordinaria fertilità . Me- la (_/') : Fortnnatae insulae abundant sua sponte genitis , et submde ahis super aliis innascentibus mhil sollicitoi alunt . Eschine Socratico, che senza indivi- duarne il luogo, le chiama tvotlìùv x^fvi locum pioium , ne fa una bellis.*ima descrizione (#)> che io pretermetto, perchè troppo lunga. Volentieri poi can- gio Tf/f ìrtof in t?Ì( ti i it/( , lezione autorizzata dal maggior numero de' Co- dici , e dall'edizioni riferite al verso 12.

175. » iireim jW^-S-au . Comincia il secol quinto , o del ferro ; ed Esiodo si augura di esser nato quando questo sarà finito. E come sapeva, che il sesto saria migliore? Primieramente per congettura. Non potendo esser peggiore di quel ch'era il suo secolo, era verisimile, che dovendo durare il mondo, e' migliorasse . Secondariamente vivendo in tempi tanto più vicini al diluvio, ed avendo avuta notizia, comecché alterata, di tante cose scritturali, non saria maraviglia, se avesse avuto qualche sentore di una futura rigenerazio- ne. Gesù Cristo dovea essere dcsideiatus ettnetis Gentibus, giusta l'oracolo

(a) Strabosubinit. (b Lib Vl.cap. 32. (e Lib. XIII. v. S5j- (d) Exhibet LipsiusT.IV. pag. $9}. (e) Medaglioni pag. 114. (f) Lib. III. p. $79. (g) Dialogo 111. pag. iiJ.

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di Giacobbe (a) , e veramente fu desiderato da ognuna , benché confusamente , in vigore della notizia che di lui sparsero i primi popolatori della terra (b) . E la notizia era, che a quest'ordine di cose un altro miglior ne succedereb- be. La tradizione degli Egizj è espressa in quell' Asclepio , la cui traduzione è attribuita ad Apulejo : ille Dominus malignitatem omnem alluvione diluvii, vii igne contumens , vcl morbis prstilentibus usqrie per diversa loca dispersi* finiens , ad antìquam faciem mundum revocabit (e) . Confucio il maestro de' Ci- nesi predice presso a poco lo stesso (d) . Le scuole de' Greci tutte n'ebbero qualche sentore. E de' Pittagorici ne fa fede Giorgio Scubart nel principio dell'Opera De Diluvio Deucalionis . Degli Stoici basta legger Seneca in più luoghi, fra' quali è insigne questo : ornile animai ex integro generabitur , ci - biturque Icrris homo inscius scelcrum , et melioiibus aUspiciit natus (e) . De' Platonici si legga Platone nel suo Politico . Ed è notabile , che intorno alla venuta del Divin Verbo il mondo si mettesse in aspettazione di qualche gran mutazione , siccome per tacerne altre prove fa fede Svetonio esse in fatis , ut eo tempore Judaea profecti rerum potirentur (f). Virgilio ancora com- pose un'egloga intitolala in più Codici: Sacculi renevatio .

ìy<S. Nuv yàf iti yivot; ìg-i eiitiqiov . A quest'epoca del ferro ciascun degli an- tichi rapporta la sua età ; Platone nel Cratilo, Virgilio nell' Egloga IV. da- zio negli Epodi Ode i3. Macrobio de Somnio Scipionis li b. 11. anzi Luciano (g) e Giovenale (h) trovan mite questa espressione ; e dicono , che la età loro è qualcosa sotto il piombo; onde debb' essere di terra, o di loto.

Ivi Hi irs-r' »'ujf ctc. Comincia la descrizione del secol di ferro, nella quale sempre abbiam volto in presente quasi dica suole) ciò ch'Esiodo ha espresso in tuturo ; di che molti csempj presso il Grcvio nella greca lin- gua, e l'osserva anche Casaubono in Persio nella latina (i) a quel verso; At bona pars pro.erum tacita hbabit acena, cioè solet libare.

170. 'AXV ì(j.irn% etc. sed tamen et bisce admiscebuntur bona malis . Cercasi da' Filosofi se il dolore e il piacere si dispensi con equilibrio; nel qual pro- posilo Montpertuis crede che il male prevalga ; altri che v' abbia equili- brio, rispetto alla massa del genere umano , non rispetto agl'individui. A me piace la sentenza di Euiipide nelle Supplici v. ipo\ nx«a> etc. Plura bona quam mala esse hominibus (judico) Nisi enim hoc esset non essemus in hac luce.

18i-Ei/t' àv -ìtivéf^a/oi etc. Pochi versi di quest'opera meritano attenzione al pari di questo. 11 Grevio riprova a ragione la spiegazione che davasi comu- nemente prima di lui: postquam facti fueiint cat.i : e sostituisce quell'altra presa da Moscopulo : quum vix nati canescant ; la qual' è piaciuta dipoi quasi a ogn' altro interprete. Tzetze ci somministra una terza spiegazione, che se

(a) Gen. XL1X. io. (b) V. 1' Eminentiss. Gerdil Introdtiz. allo studio del- la Religione pag. 200. (e) Apuleius pag. t Jp. (d) Huctius Demonstr. Evang. Par.l.extrema (e) Natur. Quaest. lib. Ili pag. 3<5p. (/) Sveton. pag. $41. (g) Epist.Saturn.tom.lIl.p. 403. (h) Sat. Xlll. v. 3o. U) Satyra 11. v. ?.

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io non erro , è la vera. . Egli comenta : »'»/«« 7*X«'5«t/ xj vvaf^un ToKituf^mpot *} ■)nfouol yuri(t»*»i xj tj^JéV^;: quanto fanti WU cani circa tempora et sene* qui gir gniìntur , ac pariuntur . E tale spiegazione ha il suffragio di Aristide. Sembra egli maravigliarsi eh' Esiodo, essendo indovino, abbia stabilito il line della età del ferro alla vecchiezza di que1 che allora nascevano, e non piuttosto alla fondazione della città di Rima , quando in terra furono ricondotte la equità e la verecondia (a; . E noto in prima contro la spiegazione di devio, ch'ai? 'i! è avverbio di tempo , siccome avverte Eustazioò), tJ-r' àv iiriffnià *V' 7$°"*°* > *"0' r' *•» adverbium temporis est , aequivalens verbo quando; ove che possa usarsi per quum , o quandoquiJem , non è senza qualche difficolta . Noto per secondo, che nella medesima spiegazione di devio si suppone, ch'Esiodo argomenti la vicina cessazione del secol di ferro dalla brevità del- la vita , eh' era a' suoi giorni : quum vix nati canescant . Ma ciò è manifesta- mente supporre il falso . Una giusta vecchiezza si compieva a' suoi nel po', anno (e) , cosa, ch'Esiodo scrive, e debb' essere stata non rara in Ascra .

Ivi. iroXioxpoTOpo; , cani circa tempora. L'uomo prima che altrove incanu- tisce nelle tempie , come osserva Aristotile nel libro V. de generatione ani- mahum al cap. 4. onde raccogliesi , che il Poeta dava al suo secolo cinquan- ta, o sessant' anni di vita.

182. ovìt iranì?, neqtw pater filiis est similis- 1 Cementatori l'intendono dei pareri , quasi si quereli il poeta, che discordano i tigli da' genitori : Proclo e M"scopulo l'intendono ancora delle fattezze , quasi si lamenti, che manchi quel segno , che Orazio loda nel secol d' Augusto: landantur simili prole puer- perae (d) , eh' è un segno di prole legittima, lo ho seguita questa sentenza, la qual mi pare più acconcia ad escluder da Esiodo la tautologia ; mentre appresso nuovamente si querelerebbe della discordia fra padri e figli.

1 85. A*+a fi jttfaTx.ovTeu ctc. Teognide quasi colle stesse parole , O* f aTrojxpayxovTOf ar/ualfsT/ rax«a? (e) .

l86\ Boìfsi'T' intinti. Tzctze 'Art to @:'%ovnc w fv'ixìv àtri to ttXh^iwtixù , •»[ jgt} irafO'*»?'»- 'fi Avx.t!>i nrirt tpivytn ; vùv 9-eoi i^ó". Duale prò plurali, ut a pud. Home.rum : O Lycii quo fugitis? Nunc veloces estis ? Arcaismo notabile.

187 ufi pi» e'ys . Mendose se.quente verbo modi optativi. Cor. «fi *■!■ ■■ . Brunik . Buona nota ce Esiodo non fosse poeta antichissimo.

' 188. avi S-fiirnifta i-Jìu> . Esige la natura, che si rendano gli alimenti a' ge- nitori vecchj , che gli han dati a' tìgli mentre erano in età da non poter procacciarsi il vitto da sé. Quindi degli uomini morti giovani , Omero 11. IV. e XVII. Joi. quasi con le stesse parole di Esiodo iti ■nxsvn &?twfa ©/Xo/£ ■Vi <f«x e, neque pareritibus nutritia caris reddidit . Su questo dovere V. Eliano in proposito della Cicogna, lerocle de ojjìciis erga parentes , lo Sponda no ver- so il fine del libro IV. della Iliade .

l8p. 'Eif(Of f iii?u vi,\tv i%*\uvti%* , Alter alterius urbem diripiet . Grozio ri-

(a) In Elogio Romac tom. I. pag. 3p8. (b) Tom. 1. pag. 188. (e) Ausonius Idyll. cui tiiulus Hesiodium pag. 187. (d) Lib. IV. ode?. (e) Gnom. v.8ip.

l19

teriaca una legge degli Anflzioni, che non si saccheggiassero le città vinte («). E Cicerone (b) De evertendis autem diripiendisque urbibus considerandum erit ne quid temete, ne quid crudeliter .

lui, cT/x» <t' tv xl?<"' "3Ì oùiùt; Oi/'x t$ou, justitia inmambus et pud or non erit Abbiam tradotto Vergogna , termine usato dal Petrarca nella stessa forza : O testate, 0 Vergogna alla front' era(c) . Sebbene rispetto alla Giustizia , e alla Verecondia, fa più a proposito citar Tullio : Est autem quod differat inter Justi- tiam , <f Verv.cundiam . Justviae parte* sunt non violare nomine* , Veiecnndiae non offendere ; in quo maxima perspicitur vis decori {d) : consiste la verecon- dia (in latino pwlor ) in non offendere la delicatezza degli uomini; non disgu- starli, ma uiar civiltà, convenienza , modestia , ond<> Plutarco la chiama coa- djutrice della Giustizia Così il Silva contentando il luogo di M Tullio .

ip3- Lo Scoliaste di Sofocle ( Philoct. v. 462. ) riporta parte di questo ver- so, cangiando /3X«4" in .Sbaviti.

ìpS. liìXoi £' avi- gitomi/ ctc. Invidia vero homines comitatw . Semplice , ma vera, e ingegnosa è la desciizione che fa dell'Invidia, che in pochi tratti di penna spiega l'indole, le sembianze, il costume, la frequenza di questo vizio. Ovidio nel li. delle Metamorfosi verso 77S. fa una descrizione della Invidia più estesa, ma non più sugosa.

198. Atmàirit <p*?it7irt , Candidis vcsnbus . 4>a'po; corrisponde al pallium dei latini. Suida(e) papa;, iuariov, vtQi,2ó\aiov . . . . Xs?eia/ Si ivi ■ytr.-atx.óf . Pallium amuulum : dicitur vero de muliiris amictu ; cioè più propriamente , giacché conviene anche agli uomini. Cingevasi con zona. Candido era il colore , che si attribuiva ad alcune Dee ; siccome alla Fede ed alla Speranza lo ascrive Orazio ( f ) , alla Pace Tibullo (g), alla Virtù che compare ad Ercole Seno- fonte (/i) , alla Monarchia figlia di Giove Dione Crisostomo (i) , alla Giusti- zia ed all.r Verecondia Esiodo.

200. A/cT»; jgtj ì&(u**ts . Queste due virtù congiugne insieme ancora Ome- ro h I, à\\' i* Vitti $t7$t èxag-o; A/<Jw r^ Muori/. Sed in mentibus reponite unusjni.sqiie pudoiem , et justam reprvhemionem . Da questo luogo di Omero trasse G 10. Tzetze la sua chiosa Niuni; <?txà,a f/tfj^it, justa vituperano s eh' è ciò , che Suida insinua in quella sua spiegazione della voce Nemesi , pip-lif , Ai'x», (pS-oVsf , ùfSoff t tu'x» ; ove preferisce a tutte le interpretazioni ui/d^t;. Dal Clerc in poi si quistiona qual Deità sia questa Nemesi ; volendo egli , che sia diversa dalla Nemesi che punisce ; ma una Dea che previene il de- litto col timor di una giusta vituperazione. Plutarco nel libro de Orac. de- ftetu , la nomina la giusta indignazione Ma tutti quegli, che fan menzione di questo volo , e del posto che fu dato fra gli astri alla Dea volante , e chiaramente appellano ad Esiodo, tutti, dico, la chiaman Dice, Giustizia,

(a) Lib. II. cap. J. (£) De Officiis 1. 24. (e) Trionfo della Castità v. 70. (d) I. de Officiis 28. (e) Tom. II. pag. 10J1. (/) Lib. I. ode lì. vers. 21. (g) I. Eleg. io. vers. 58. (h) Pag. 7J8. in Mcmor. 11. (i) Oratione I. (*) XIII. 11. v. 122-

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Astrea, Temide: che bisogno abbiamo di altro cemento ? Arato ne' Fenomeni rer. i33. la chiamò Vice ; Virgilio nella Georgica al libro II. v. 474. la no- minò Giustizia ; Ovidio nelle Metamorfosi al libro 1 v. 14P. la disse Astrea, ed Astrea pure l'autor della Ottavia al v. 417. Lo stesso nome di Astrea , o di Giustizia le Claudiano alla Poesia 111. v. Ì6ì Giovenale Sai. VI v. 19. Igino nelle favole astronomiche capo 25. Nonno ne' Dionisiaci 1. XL1. v. 214. Ammiano Marcellino 1. XXU. e. io. Bastano ancora? O si vuol che lo stesso Esiodo faccia l'interprete a stesso? E noi fa a sufficienza ove dopo aver esposto poco innanzi, che la Vergogna e la Giustizia è fuor delle mani (e vuol dire dell'opre) del secol di ferro, dice ora, che abbandonan la Terra la Vergogna , e Nemesi; che altra Dea non può essere che la Giustizia ? Osta che nella Teogonia Dice e Nemesi son distinte con proprietà diverse . Ma Esiodo nella Teogonia non fece punto ; e come dopo aver quivi descritto una Gara , nelle Opere e Giornate ne descrisse un' altra j cosi può dopo una Nemesi aver descritto anche la seconda .

202. Ni?» eT ed oh etc. Nunc vero fabulam etc. Questa è la prima favola, che si trovi in autor profano, per cui molti han dato ad Esiodo l' onor di primo inventore di questo ramo della morale filosofia. Tal è quel Cleodemo presso Plutarco : Mthi autem videtw Aesopus rectius sese Hesiodi discipulum pmfite- ri(a). Quintiliano: videtur eartim primus uuttor Henodus lb< . Giuliano Augu- sto : Sic Hesiodum genus illud truccasse consrat ; tum ttjtii rum r»r sequutus , Ar~ chilochum (e) . La favola è maniera d'istruire usitatissima dagli Orientali, di cui porse motivo il ragionamento del Serpente con Eva, come pretendo-^ no alcuni presso Ciilmet : almeno è certo ciò che osserva 1' Einsio , che gli apologi tutti si rapportano al secol d' oro .

Ivi. <$oovia?t ^ ««»/{. E' verisimile che sia aiunìf per snlis ; giacché il grand' Etimologico spiega anche /ueVef quell' tùri% . E in ciò Esiodo punge ga- gliardamente i giudici , quasi ioli sapiant , proverbio , che presso il Manuzio dicesi de' superbi, che sprezzan gli altri.

203. ànioMa nroi*.t\i)fH%<3ii , lusciniam carwam. L'usignuolo è usato simbolo de' poeti presso Callimaco Epigr. 2. presso Teocrito ldil. V. i3tf. presso Jone Anthol. 111. cap 25. epigr. 3i. ove chiama Euripide /^t\i}tt(vr àniita, dulce la- quentem lusciniam .

Ivi. Quell'epiteto iroixiXóititos, che oltre il consenso di tutt' i Codici (<f) , ha per la citazione di Ammonio , non ha bisogno di esser cangiato in <roixi\óy>ifvq , vai iae vocis come il Sig. Ruhnkenio vorrebbe. Egli prende, mi pa- re, troppo materialmente quella voce efe/f» collum ; e vuole che il collo dell' usignuolo non sia altrimenti vario di colore e di penne : il che quando an- che sia vero , non è vero che collo non possa prendersi ancora per gola ,

(a) In Convivio Srpt. Sapientum pag. 1 58. (b) I. O. Lib. V. pag. 23(5. (e) Orat. VI. pag. ap. Petav. 387. (d) E' vano senza gravissima ragione opporsi a tale autorità. 11 buon critico scripturam quam omnes annuant nonnisi gravissimi* de caussis loco movet : Wilfitis Prolegom. in Homerum circa imtium .

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Ai che ci libertà Esichio , contentando Jsip» per av*»'». Ne forse altro epi- teto si confà meglio alla gola dell'usignuolo sempre varia nel suo verso , e nelle sue note . L'osservano gli autori , fra' quali Oppiano lo chiama ou'oX»©*- tov% variae vocis ; ireixiXo'pfci'oy Moscopulo e Tzetze , che vai lo stesso, e Pli- nio ne fa una bella descrizione, che io pretermetto perchè troppo lunga (a) .

20S. yvaftirroìtri ùvu'xia-a-i , curvii unguibus . Fra'simboli di Pitagora uno è questo yvait-{uvvx* (*>ì Tft'pav, curvili unguibus ammalia non nutrienda » cioè rapaces humines fugtendi , come spiega il Giraldi.

2io. "\tpfuv etc. Aristarco presso Proclo scancellava questi due versi, per- chè non è convenevole, che un animale irragionevole proferisca sentenze ^ la qual ragione approva il Grcvio. Ma tortamente : pei ciocché, siccome Tzetze riflette, è ridicolo che a' bruti si accordi il parlare umano ; ma non che si accordi dopo tal concessione il parlare sentenzioso. E nel vero presso Fedro troviam sentenze bellissime in bocca a'bruti , come quella dell'Agnello: facit parentem bonitas , non necessitasi^); o quella della Cicogna: sua quisque exempla debet aequo animo pati(t).

214. "Tlì-y-i ycif -re xaxx tfaXw jì^ory ufi (tìv i&XÒs 'Pnì'Sia; <pi:iftai iùvaiui . Injmia enim perniciosa est tenui homini , nec dives faci/e eam ferie potest . Passo intralciato più perla contrarietà degl' Interpreti , che per la sua oscu- rità . Lasciando gli altri, Plutarco ce ne somministra presso Proclo una chia- rissima spiegazione , chiosando quell' ì&\ò$ non uomo dabbene , come altri fa; mi piuttosto ricco, e potente nix», >&ì rV ^«"«Vin ■apoé^ovm . In questo sen- to anche il bonus prendesi da' latini , come quando Plauto disse : Est mise- rorum , ut milevule'itei sint, at/ue cnvultant bonis ,d, . Sicché il senso di questo emistichio è come siegue: l'ingiuria è cattiva pel povero , perchè lo diserta: il ricco poi , qumtuaque possa tollerarla, non la tollera, ma se ne risente.

2l<$. óJòf #' éwfiTip/ na^t'K^u ctc. via ex altera parte mrìior est ad ingredten- diari , quae ducit ad justa. Così comenta Moscopulo: od1!; Si ì<;t xa$' ìri'far fitft'ia , xftÌTTttii , u$l iraftXBùv ùuiiiv Xtjtv n «; tu cf/xeuce àyeura .

218. Ef ft'Xof d%i\$Sra , o «? «X01; , cune legge lo Scoliaste di Euripide nell' Ecuba al v. 1187. Ad finem progressa. La Giustizia divina non si cono- sce se non nel fine. Lascia prosperare il reo per qualche tempo; ma al fine lo arriva per lo più ancor vivente : talora almen dopo morte ; il che se non facesse Iddio, non avendolo punito in vita, e non essendosi pentito mai, sa- ria ingiusto .

2ip. 'Aun'xa yàf Tfs'^H'Ofxo; . Orco è il Dio che si fecero i Gentili per pre- sedere alla religione de' giuramenti . Opportunamente ne fa qui menzione il Poeta in proposito de' torti giudizj . Demostene Xf»' ■nivm etc. Oportet veo, viri Athenienses , illud etiam considcretis , atque ob oculos habeatis , quod ju- Tati huc venisti* ex lege judicaturi (e),

220. Ti»; <f» A/x»{ f'oSoj «Xxoui'v»; etc. 11 Guieto e gli altri ▼' intendon yivtmi .

(a) H. N. Lib. X. cap. z9. (b) Fab. IH. iJ. (e) I. 26\ (d) Capt. IH. 4. Si. (e) Centra Leptinem.

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l$2

E si fa un fremito dalla Giustizia , interpretando f o'*o; per fremito , dedotta la metafora dal fremito delle onde , e de' flutti , come «piegano i due Scolia- sti più recenti. Ma Proclo seguita Plutarco , presso cui f'o-9-»t è via angusta, sinistra, aspra, in dialetto bcotico. Onde il senso è justitiae est aspera semi' ta , come traduce Robinson. Ma chi ci assicura , che a' tempi d'Esiodo ave»- se quel significato strano, che a' tempi di Plutarco? Vi corrono circa mille anni. Ciò che sicgue favorisce più la prima sentenza, che la seconda.

222. f wstoj . . . . t$tet Xaùv f sequitur sedes populotum . "Eirirox , sequitur è lo 8tesso che insequitur . Così Virgilio: Awitosque sequi lrpores(a). Persicgue le case de' popoli perch'essi non sono esenti da colpa ne' giudizj rei: primo, perchè godevano di tener giudici ingiusti , <$" Xaùj Jtf xcu(l'"'a"' i»'*™"; <*'*"* f où; , come consentano gl'Interpreti: secondo, perchè nella decisione influì1- »ano non poco; favoreggiando anche quella parte, ch'era meno assistita dalla giustizia.

Aao/ #' àftpoitfttrit inriinrvo-i , autpt; dfibyoi .

Populi autem utrisque acclamabant , utrinque fautores (b) . 22?. O? ti Sila*; etc. Incomincia qui un parlare di Esiodo , in cui promet- tendo premj a' giusti, e gastighi agi' ingiusti , par che riduca tutta la politi* alla pietà . Perciò è assai criticato da Gio. Clerc (e) , quasi non inse- gnasse l'esperienza, che ugualmente son pia felici i buoni de' cattivi) e i cattivi de' buoni . Ma è difeso Esiodo da Robinson, il qual mostra, che S. Scrittura ove per Mosè a' giusti non si promettono te. non beni temporali , è pièna di tai promesse, le quali quantunque non si ubbian da prender* strettamente, danno buona speranza a' giusti dell' ajuto divino. Ed io noi» ho difficoltà di asserire, chO te pia volte s'adempiono, e che verissimo è quél detto de' Proverbj (d) : Justitia elevai gurues ; misero* àutem facit populot peccatimi Lo conóbbero anco i Gentili ; e Platone (r) paragonato questo luogo 8i Esiodo con altro simile di Omero, attesta, «he fifto «1 suo tempo nrun» avea lodata la giustizia se nort come datrice di onori , di gloria, di doni; per cui Orfeo le 'dà 1' epiteto di *oXuoì/3t .

23 ì. T»?V/ ipt'pw (Uev ytùa nro'Kdv fiiov , Et eis qttidem terra ftrt mnltum vi<tum. Se questa felicità sia esi'stità mai presso i giusti è stato soggetto di ricerca fra gli antichi, Omero l'ascrive a' Ciclopi, gente secondo lui giustissima, 8a Poliremo iiì 'fuori { f) . Pia celebri sohoi Macrobj di Etiopia, de'quali Soli- no (a): Hi Macrobii justitiam colunt , amant aequitatem , plurimnm valent robore , pruecipua detfent pidchritu&ine , tornantar aere , auro vincala faciunt nnxiotum . Locus aptid ipsfts *st tì^liotrapeta , Vpiparii epulis semper refertus , quibus in- discrete amnès vescuntur s nani et dìvinittìs -ras angeri ferunt . Ciò tthe quasi coi» le stesse parole «Aerina Meta nel 111. libro e. lo.

233. *Axp» fd* -n «>8f« etc. Summa qniderh fot glàndes-, media Vero apet.

{a) Georg. 1. vers. -joS- (&) Homer. 11. XVI11. v. 5o2- (-e) Ih v. 2*1. et l»*. (il; XIV. 34. (e) Lib. 11. de Repub. (/) Odys. IX. top. (5) Cap. 30.

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Il fero anche in latino ha due significati ; di produrre, e di portare. Plinio tutto prendendo in significato di pio, lurre : robora fertint et viscum et mella , ut auvtor est Hesiodus (a) , e Teofrasto (b) almeno ne dubita « <fì yH x«*"Ho-/o- iov fi?» Hì^i yji |u«Xi't«»s , ìi vero juxta Hesiodum I loquendum est) prodttcit mei et apes. Tuttavia a me pare più naturale e più vero il significato , che al luogo la figura dello Zeugma frequentissima a' poeti , di cui molti esempj raccolse Monsig. Giacomelli nel suo Prometeo al verso 3l- ed è figura, che ad un vocabolo annette diversi sensi . Adunque pi?» » rispetto alle ghiande , prendasi per produrle, e rispetto al mele, e alle pecchie, si prenda qui per fiag-a^a , sustinet , habet . In questo senso la Terra di Palestina è chiamata nelle Scritture finita jà\a j^ ftiXi , ferra fluens latte et melle , per le moltissime pecchie agresti , che mellificavano negli alberi , come prova il fatto di Gionata ( Keg. I. 26. ) ed altri della Scrittura, e racconta Maudrel moderno viaggiatore (e) .

z}$. JÌxtiktiv S% ywaùx-ts etc. Pariunt vero mulieres filios simile s patribus . Plutar- co citando questo verso (d) , e Libanio alludendovi (e), fan vedere quanta parte della felicità pubblica collocasser gli antichi nella somiglianza della prole col padre ; creduta da loro un indizio della onestà materna . Quindi non la tace Catullo in occasione di augurare ogni bene a Manlio nel pren- der moglie ( f ) , Marziale lascia di rilevarla in Nipote suo grande ami- co (g) . Ma questo è un segno molto equivoco della materna onestà, come ben nota il Volpi al citato luogo di Catullo ..

zìff. Toìrft SUkv etc. I presenti versi Tzetze nota d'imbecilli, ed inutili, contenendo cose altre volte dette, lo, per quanto lo rimproveri 1' Einsio di soverchia libertà nell' accusare Esiodo , non saprei dargli torto del tutto.

240. HoWàxi etc. Saepe universa civitas malum ob vittim punitnr . Verso citato da Eschine de falsa le<>atione , e da altri. Cercan gl'Interpreti come deggia intendersi ; non parendo della Giustizia di Dio punir molti per un colpevo- le , quando non -si sian fatti colpevoli anch'essi per l'imitazione, o almeno per la tolleranza del delitto ; come avvenne nel greco esercito punito di pe- ste , per aver tollerata la violenza di Agamemnone . 11 Clero specialmente condanna Esiodo. Lo difende perù il Bergero con alcuni suoi principj , che ometto ; e lo difendo io stesso coli' esempio di Àcabo ladro , e perciò solo in nascondere il suo furto dalle spoglie di Gerico ; e nondimeno cagione della sconfitta sostenuta da tutto l'esercito di Giosuè. Dio faria contro giustizia) «e togliesse la vita a titolo di pena personale per delitto non personale: ma la toglie in tai casi pel supremo dominio che ha su la vita degli uomini ; co» me ragiona il Gl'ozio al lib. 11. capo 21. §. 14.

Ivi. *m« avi fai àT>iu(a . Lodo 1' acutezza del Grcvio , ch'emenda 1* ìvavjù ch'era in tutte l'edizioni antecedenti , ed è in molti MSS. e ìo muta in

(n) Hist. Nat. XVI. cap. 8- (b) Hist. Plantarum L. 111. cap. p. (e) Voya- de Jerusalcm p. 1 io. e 1 14. (d) Reipublicac gerendae praecepta. (e) Ep. 242. (/) Cairn. LX. v. 221. (g) Lib. VI. cpigr. 20.

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aVw'wpa , eh' è in Eschine (a) citatore di questo verso, come pur fanno ali* tessa maniera altri molti antichi addotti da noi nell'indice delle varianti.

242. 11 Sig. Biunck , trovato in Plutarco p. 1040. sV»Aa?» invece di iV»>a>«, tien la nuova lezione malgrado tutt' i Codici. Abbiamo osservato, che gli an- tichi citando a memoria i passi de' più antichi spesso errano.

243. Aifisv ùpà ^ Xoj/ìo-, Famem sirnul et pesterà. Due gaslighi , che non vanno quasi mai disgiunti tra loro ; 1' uno produce l'altro. Livio: Dtinde duo simul mala ingenua exorta , famet pentilentiaque fueda pecari , foeda ho- mini: vastati agri sunti urbs assiduis exhausta funeribus {b) .

244 Una bella imitazione di Esiodo somministra Callimaco nell'inno sopra Diana al verso 127. e seguenti.

246. "H lùvyf s(awv etc. Aut horum exerciium ingentem perdidit . Solonc , di cui poco ci è rimaso , non poco sembra avere attinto da Esiodo; come ove dice (e):

'Ex yà( iusfiai'jiv mxioxi nroXvtifatBV à^u

Tf(/^STOM |'y (TUmÓfoif , 7B?{ àSmìvi <pt\a: etc.

ab hostibus enim urbs amabdis tubilo opprimitur dum in concilii» sunt qui pa- cato* ìnjuria ajjìviunt etc. siccome intervenne di Socrate , riflette Massimo Ti- rio (J) , la cui ingiuria fu punita con la sconfitta degli Ateniesi : Mortuu» est Soorates: damnati autem fuerunt Athcnienset : judex Deus fiiit et Ve<ita%.

Ivi. i ò-yi Ttìxof . 11 Gujeto l'avea mutato in -myt . 11 Robinson con lunga nota fa vedere, che quel!' ó'ye ha una particolar enfasi, che aggiunge affer- mazione. Lo prova coli' autorità di Esiodo v. 321- di questa opera, e con al- tre di Omero» e di Callimaco.

247. "H via; tv nrivrtp etc. Vii naves in ponto etc. Ad ingiustizia, e a somma temerità de' Consoli ascrive Polibio la tempesta, che descrive nel pi imo li- bro al capo 37. la più dannosa forse di quante ne conti l'antichità.

248. '& /Sa-iXà; etc. Il Bogano adduce qui quell'apostrofe del Salmo 2. jp) vùv jiamXà; ru'viit , et mine leges intelligite . Questo sia come saggio di qu Ila dottrina che si suppone avere attinto Esiodo dagli Orientali , e che ha da- to motivo al libro di Bogano H'ime'us et Hesiodus hebraizontes .

2S0. 'h$ùvam \iv<r<r*tvi< , Dii vident . Di questa persuasione veggasi a v. 122. di quest' opera . Circa il vero sito di questi versi se vadano collocati a v. 122. . o qui, o in ambedue i luoghi > come fan tutt'i Codici, ne lascio libero il giudizio al lettore.

252. Tf/f yà( uiifim, Ter enim decies mille tunt . Questi versi sono addotti da Clem. Alessandrino nella sua Parencsi a pag. 35. Traduciamo trenta mila ; ma ognun sa, che la miriade è simbolo di gran numero, e che il ternano è presso i Greci, e presso i Latini ancora posto invece del superlativo. Lo ha notato Strabonc nel primo libro : a.ua >qh ii; i/'ir«f /5o\X; etc. praesertim quum haec hyperbole sit omnibus usitata , quum dii.ant ter beatos , ter miseros . Quindi Moscopulo chiosa "rtXxdxi; troXXoi ; e Tzctze àvrl ti voXXoi . Proclo s' ingegna

(a) OrationecontraCtesiphontem. (6) Lib. 111. pag. 3 18- (e) Fragm. II. v. 11. (d) Dissert. XXXIX. pag. 232.

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di spiegare a lettera il passo Esiodo , riferendolo alle tre specie de' Genj finte da' Platonici . Non credo che questo ternario fosse noto a' tempi di Esiodo. Ben si sapeva tra gli Ebrei il gran numero degli Angioli , da cui è nut;i tutta questa favola. Del qual numero ved. il Petavio de Angelis e. 14. Nel resto le tre specie de' Genj, primi, ultimi, medj , o sia ragionevoli, ir- ragionevoli, partecipi dell'una specie, e dell' altra, non possono ammetter- si, ne è favola discesa da verità scritturale .

2J3. Invìi; etc. Immortale! Jovis. Suppliscon gl'Interpreti ùirv^irm, ùirv^yol , ministri . Ciò è secondo l'uso anche de' Latini , che lasciano il famulus, se- condo le osservazioni di Monsig. Fabretti (a), dicendo v. gr. CIMBER L1VIAE AMANDVS M'MECI- Per meglio dichiarare il passo si dee supporre , che ciascuna Deità maggiore avea nella opinione de' Gentili molti suoi Genj par- ticolari , non già come assessori, ciò che contro un valente Italiano ha con buone ragioni impugnato il Sig. Canonico Vida (b) , ma come servi, e mini- stri. E da esso si denominavano* Gioviano , Apollonio, Ateneo , Dionisiaco, Ermeo (e). Proclo passa più oltre» e dice, che si compiacciono di essere sa- lutati col nome del lor Padrone ; cioè Giovi, Apolli, Mercurj (d) . Che sian rappresentati ne' monumenti co' simboli delle loro Deità principali , è osser- vazione del Buonarroti (e) . Ciedo pertanto questi esser Genj di Giove , 'A$-a- h'iv! Zbvs's , i/V«f e'i»; Z»y«( .

254. f'« (pvXdtrexG-iv etc. qui observant etc. Contro questo dogma della pa- gana teologia, se crediamo a Plutarco (_f), si elevò Euripide nel suo Sisifo, tragedia smarrita , di cui rimangon frammenti ; ma temendo gli Anfizioni di Atene , mise in bocca di Sisifo i suoi sensi- Disse , che un qualche poli- tico, per frenar l'umana cupidità , avea trovata e sparsa nel volgo la favola degli Dei, che spiano i delitti ancora più occulti (g). L'esser poste tali pa- role una volta in bocca di un malvagio, non basta per creder Euripide per- suaso della stessa sentenza. Lo avria fatto più volte; come più volte lo han fatto certi moderni pensatori, fino alla sazietà.

2$u\ 'H Si ti nrafbivoi £$t A/x» , Virgo autem eit Justitia etc. Gellio riferisce la descrizione che fa Crisippo della Dea Giustizia . E' pregio dell' opera leg- ger tutto il capo 4. del libro 14. del quale noi non riferiremo, che alcune paiole: facit quippe imaginem Justitiae ; fierique solitam esse dicit a pictori- bus , ficturibusque antiquioribus ad hunc ferme modum : forma, atque filo vir- ginali, aspectu vchementi et formidabili, luminibus oculorum acribus ; neque humilis , neque atrocis , sed revercndae cujusdam tristitiae dignitate . Noto di passaggio, che ho mutato rhetoribus in fictoribus scorto da Cicerone , ove di- ce: Deos ea facie novimus qua pictores fictoresque voluerunt [h) .

(a) Inscr. domestich. pag. 40. e 41. (A) Antiquit. Benevcnt. dissert. II. (e) Plutarch. de Oiaculorum defectu. (d) Commentar, ad I. Dialogum Al- cibiadis (e) Medaglioni pag. 28. e 42. ( f ) De Placitis Philos. Lib. I. cap. f. (j>) Calmeli Tom. XX. pag. 188. (fi) De Natura Dcorum Lib. II.

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Ivi. Aio? ixytyauìa. Dice è figlia di Giove, e di Temide, secondo Esiodo nella Teogonia a' versi poi. secondo Eratostene , secondo Igino. Questa è l'antica opinione, comecché si trovi ella talora scambiata con Temide sua madre, come riflette Marziano Capella(a).

Z$y. Kutt?» re (Augusta) , il Grevio sostituì a xuivn , che leggevasi in tutte 1* edizioni . Ottimamente , giacché xvfvii è in rarissimi Codici ; »uif>> quasi ia tutti. Consentono l'Etimologico, ed Esiehio, che forse ebbe in vista questo luogo di Esiodo: xt/tffi», { vìo'-oì , a-tuviì , rifxia , tvnrjof.

2jp. Atirixtt ira'f A</ retTfi xctbiX°f*iv» . Statim apud pattern Jnvtm sederi* . 11 seder presso Giove è un onore, che a pochi de' principali Dei si concede dall'antichità. Plutarco (è) 'H ti A$»và etc. Minerva vero videtur eximium hunc locum habuisse , ut semper Jovi proxima assiderei ; et hoc Poeta innuit de Thetide dicens :

Haec vero juxta Javem sedit , cessit vero loco Minerva. Giuliano lo stess' onore concede a Rea (e). Demostene, citando Orfeo, a Di- ce (d) . Lo stesso accenna Plutarco a pag. 781. ma piuttosto vi colluca il jus.

26"!. A>»usj àm&xXiaf .iot^iXiiiuy , Ut luat populus peccata regum . Quidyttid de- lirant reges plectuntur Achivi{e); è passato quasi in proverbio; e si è verifi- cato ancora in persona di Davide , il cui peccato recò al regno guerra , e pestilenza. 11 Clerc condanna questo verso di Esiodo. Come difendasi v. al verso 240.

2.6$. O/ avrà xaxà nux« etc. Sibi ipsi mala fabricatur vir alii mala fabri- cans . Proclo chiama divina e sapientissima questa sentenza . Cementasi cosi : chi nuoce ad altrui nella roba , o nell' onore , lo danneggia in ciò eh' è fuor di lui; ma intanto danneggia in stesso, cioè nel suo spirito; e dee aspettarsene punigione. Tale è a un di presso il parer di Tzetze , il quale bene spiega questa sentenza di Esiodo nelle Chiliadi (f) .

266. 'H ti *»»»' (SctA>f etc. Et malum consilium consultori pessimum . Fu celebre fra gli antichi questo detto. Pausania (g) lo applica a Filippo, a cui morì di veleno un figliuolo , detto Demetrio , ed ei morì di dolore , dopo aver av- velenati Arato co' due Oratori di Atene. Lo applicarono ancora i Romani agli Aruspici Tirreni , i quali per odio antico verso Roma, consigliarono ad espiare un prodigio di una maniera creduta svantaggiosa alla Repubblica. Scoperti furono messi a morte , e allora i fanciulli cantarono per la città quel verso Malum consilium consultori pcssimum s eh' è inserito anche in Var- ronc , ed in Siro Mimo. Riflette Gcllio, ove racconta il fatto ( h) , videtur autern hic versus de Graeco ilio Hesiodi versu expressus : 'H -fi xaxV etc. Noti qui il lettore , che questi scrittoli han tolto qui , ciò che secondo i cornea- tarj di Budeo può farsi , variamente il vocabolo .SouXtviiv ; Pausania per mac- chinare il male ; Gellio per consigliarlo .

(a)Lib. 11. (b) Sympos. 1. pag. 1J17. (e) Orat. V. (d) Contra Aristogito- nem (e) Horat. epist. 1. 2. 14. (f) Lib. VII. num. 161. (g) Lib. IL

P"g. 101. 102. (/1) Lib. IV.cap. $.

,8?

zgy Tiara ('«fai» etc 1 sette vergi che sieguono , furono da Plutarco, come Proclo attesta, scancellati , a cui Gujeto e Brunck si accordano. Dissentono Einsio , Robinson, ed altri. Dal primo vero uscì quel detto; vaili Domini contemplarti ur univtrsam Terram a) ; che al sorger della idolatria fu sfigura- to , applicandolo a Dei fittizj . Dice , il Sole , e Giove sopra tutto ebbe questo onore, di altri si dee intender Plauto, ove disse : Est profecio Deus qui quae nos gerimus ainlitque , et videt(b) ; e Monandro, e quegli altri Comici, che cita Arrigo Stefano nella Raccolta pag. 221- altro volea dire nella muta poesia degli Egizj il simbolo dell'occhio, che il supremo Nume il qual tutto vede (e) .

2<$8. al*' iSAw') foWéfMftu , si vnlt inspicit . Imperfetta idea della Divinità vean gli antichi, quando credevano che fosse libera a vedere e a non veder le cose di quaggiù ; come vuol Eschilo (d) nel suo Prometeo. Meglio Talete presso Clemente Alessandrino (e) : Dio è quello , a cui non son nascosti ne an- co i pensieri degli uomini .

2<Jp. ™<tf t i uku , litem . Quale? »v n»i àtrtiXtì^ &7 n/p m , risponde Proclo , qiuim mihi minitaris , o Persa . Non era dunque in lite quando Esiodo scrisse il poema; ciò che abbiam notato più di una volta. Era in pericolo , che il fratello, schivo com'era della fatica, trovasse per vivere, qualche altro protesto per litigare .

270. Niv i> ìyù /u»V «e»; , Sec ego porro inter homiites justus sim etc. ove noto, che Stobeo una picciola variante > cangiando à<?ix.a n?°; in àriuÙTe^o%. Da questi versi congettura il Clerc , e il Berger , ch'Esiodo non fosse ottimo uomo; mentre è proprio dell'uomo ottimo operar bene per puro amor della probità, o fruttuosa o infruttuosa che sia. Altrimenti si in quello sco- glio, che segna Siro Mimo pag io".

Quam vitia prosimi errat qui recte facit. Gl'Interpreti tengono quale una via, quale un'altra per difender Esiodo; poco felicemente, tolto Robinson, il quale pretende, che nell'ultimo verso sia la difesa del Poeta . Negli altri versi > die' egli, è espressa una quasi ten- tazione, come nel Salmo 72. ove si dice : Mei autem patrie moti sunt pedes , paone effusi >unt gretttts mei , quia zelavi super iniquos pacem peccatorum v-i- dens... Ergo sine causa jnstifii avi cor meum , et lavi inter innocentes manut meas , et fui jlagellatus tota die ? Dopo la tentazione , diciam cosi , vien fuori con questa finale , mihi autem adhaerere Deo bonum esf . Così Esiodo , dopo la sua tentazione conchiude con un vergo sanissimo , in cui dichiara , che non si cambicrà mai l'ordine della Provvidenza, sed haec spero nunquam fa- Cturum Jovem .

273. GÌ' Interpreti latini aveano tradotto quel verso ultimo : sed haec nondum (<5irw) ari itror facturum Jovtm ; il che non si può pensare senza em- pietà , credendosi che la Divinità , almeno dopo alcun tempo , possa avere a

(a) Paralip. II. !<$. (£) Captivi. Act. 2. se. 2. v. <JJ. (e) S. Cyrill. Alex, contra Julianum Lib. X. (J) Prometh. vers. ìli, (e) Pag- 704.

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male ciò eh' è giusto : ma a tutto rimediasi spiegando con Moscopulo quell' in , iiafjiài , ttumquam , nullaienus , di che vi ha esempj in Omero.

274. 'il riÉfy». Dalla giustizia pubblica passa alla privata, fondato su gli «tessi principj de' beni temporali , che allora erano solamente promessi a' giu- sti . Questo spirito prevale nel Testamento vecchio, siccome osserva Cai met neir Ecclesiaste al cap. 8. Notisi eh' Esiodo con questa parte del poema ha preluso alla morale filosofia, a quella che si chiama dogmatica, la qua- le insegna le massime, a quella che si chiama parenetica , la quale inse- gna i particolari doveri verso gli amici , i vicini ec. V. Lipsio(a).

27 j. JYxhj ìtrànovi , justttiae obedi . In tal forza presso i Latini obedio : appctitttm rattorti obedientem praebeamtts (b) . Dalla Giustizia incomincia la sua morale trattazione, come prima delle virtù morali.

275. TevJf yàf avàfuiroio-i viuov , Hanc vero hominibtis legem . Questa parola vo'jU5{ ha fatto credere ad alcuni , che Omero , presso cui mai non ri legge , sia anteriore ad Esiodo. 11 Clero e il Robinson concordemente rifiutano que- sta ragione : e veramente non v' era necessità che Omero tutte usasse le vo- ci , che correvano a' tempi suoi . Egli ha il vocabolo St/ti? e? , del quale si serve nella stessa forza ; e forse gli parve in que' principj più poetico , e men comune, e ciò che più monta, più conforme a' tempi eroici. In questi tempi si reggevano con le costumanze, e co' particolari decreti, e con leg- gi non iscritte , non con leggi scritte , che propriamente véftoi si appellano .

277. 'lz.9-o'*i uiv etc. Piscibus etc Bellissima è questa introduzione , ed oppor- tuna , secondo quel detto di M. Tullio: pertinet ad omnem officii quaestionem semper in promptu habere , quantum natura hominis pecudibtts , reliqttisque bcl- luis antecellat(c) . Questi versi adduce Eliano nella Storia degli animali (d) , e Sesto Empirico contro i Retori (e) , ove dice citando Orfeo , che fu un tem- po, in cui il più debole serviva di pascolo al più forte ; sennonché i Celesti (specialmente Giove ) mandarono alcune Dee (Iside e Cerere) che il vietaron per legge, proponendo agli uomini de' cibi più miti.

278. 1 ira « iix.tr ì-!v fV «c/toJ{ , quoniam justitia non est in illis . Cicerone nel citato libro : ncque itila re longius absumus a natura ferarum ; in quibus inesse fort'ttudinem saepe dicimus , ut in eqttis et in Iconibus : justitiam , aeqttitatem , bonitatem non dicimus .

2S2. "Oj JV xe fia^rufiruriv , Siccome l'ingiustizia si fa con la forza , e con la frode, dopo aver parlato della forza, passa alla frode. Eraclide Pontico racconta , che legge era presso i Licii , che i falsi testimonj convinti erano venduti schiavi, e il lor patrimonio fatto di pubblica ragione.

284. Tìii r' «iUeri/psTj'f» etc. Atqtte ejus obscurior posterità^ postea rclìnquitur Il Clero fermo nelle sue idee , vuole , che qui ancora si minacci cosa , che non si adempie: esservi molte famiglie di tiranni, e d'ingiusti, che prospe-

(a) Manuductio ad Stoicam philosophiam Tom. IV. pag. 471. (b) Cic. de Officiis lib. I. cap. 36". (e) De Ofnciis I. 3o. (<f) Pag. 447. (e) Lib. II. contra Rhethores pag. ipj.

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xano ; esservi molte famiglie di pii , che sono ite all' esterminio .Che ciò av- venga talora per segreti, ma giustissimi giudizj di Dio, non può contro- vertersi : ma che spesso avvenga, questo è ciò che si nega al Clerc , e che non si proverà mai. Oltre la divina parola : Ego Deus foriti, Zelotes , viti» tata iniqmtatem patrum in Jìlios in tertiam , et quartam genei ationem (a) , vi è una esperienza costante di tutta l'antichità profana , che in ogni paese ha fatta questa osservazione, che niun delitto restasse impunito, almeno nei posteri . Così Teognide (b) : così Solone (e) : così Platone (<i) : così Euripide ne* frammenti (e) : così Eliano(y") , che di tante tirannidi usate in Grecia pochis- sime ne rammenta passate alla terza generazione : così Orazio (g) ; taccio le autorità, o a dir meglio le scancello per non crescere al libro troppo il Tolume ; ciò che ho fatto in molti altri luoghi.

285. "AycTf df tf' r&s'fxa etc. Viri autem itati posteritas illustrior. Ne' Provcr- b]{h) : Qui versatur inculpatus in justitia , beatos filios suos post se rehnquet .

2.Z6- £01 &' il<ì> etc. Ceterum tibi ego bona sciens ilicam valde infans Persa. Moscopulo , e gli al tri antichi spiegano non bene cupiens , come i moderni, ma bona sciens . E pare opportunissima la spiegazione , quasi Esiodo dica al fra- tello: tu sei privo di senno ; convien che lo attinga da me , che so quel che dico : e ben bui.no è colui , che non avendo senno si lascia regolar da chi 1' ha .

fin. uiyt tifati» rh'fij-» , valde infans Persa. Passa alla prudenza, e dovendola insegnare al fratello, comincia da mostrargliene il bisogno che ne ha, es- aendo infante in età matura . Notisi con Plutarco presso Proclo , quanto di- «creto riprensore sia Esiodo , contentandosi di questo sol motto ninni ; mentre Timocrate e Metrodoro Epicurei scrissero tante ingiurie 1' un contro l'altro» benché fratelli .

287. Hi uiv wi xaxt'ara etc Malitiam quidem cumulatili! etiam capere etc. Comincia una sentenza , alla quale dispone il preambolo del passato verso . La sentenza ha due parti; prima si parla della malizia, di cui si dice , che imparasi facilmente ; il che è vero specialmente se vi sia naturai cattivo : tnalae nati-rae nunquum doctoi e indigvnt (1) .

28p. 1«{ f à((ni; etc. Ante virtutem vero sudorrm Dii posuerunt . La secon- da parte della sentenza parla della virtù , e ne spiega la difficoltà. Non è possibile trovare altro passo di antico poeta ugualmente celebre , e dico an- che ugualmente sensato . Socrate presso Senofonte nelle cose memorabili al lib II. e Platone nel IV. dille Leggi, se ne valgono a formare gli animi alla filosofia come di fondamento. Gli Stoici par che lo comentino in tutt' i loro principj , come appare specialmente da Epitteto , e M Antonino, e specialmen- te da Luciano (h) , vw-t/ìi tviffa^^dùv nrùjànua ixùta ni Ha/sda etc. conti» nuo inculcarli dia pervulgata Htsiodi de virtute carmina , sudoremque , et in

(a) Exodi XX. 5. (&) Versu 7J0. {a) Fragm. vers. 32. (ci) 11. de Rep. (e) Pag. 252- edit. Calmeli . (/) De varia historialib. VI p 4<f6". (g) Lib.I. Cairn. XXV111. vers. 70. (fc)Cap.XX. (i) Pubi. Syrus v. 417. (k) In Ne- cyomantia tum. I. pag. 4S0.

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stimmum verticem astrensum . Simile uso ne fecero i Pitagorici, proponendo come simbolo la lettera T, con cui confortavano i loro alunni a prenderò per tempo la miglior via, o sia la destra, che conduce a virtù, dura nel principio, soave nel line . Sul qual tema abbiamo anche un antico epigram- ma (a) . Citan pure questi versi , o vi alludono M. Tullio (b) , Massimo Tirio (e) , Clemente Alessandrino (d) , e nello stesso libro cita Siinonide , che pur vi allude (e), come fa Silio Italico (f), Libanio (g) , Filone (Ti), lo Scoliaste di Pindaro nelle Olimpiadi , Euripide nella Medea e Dell' Ippolito , ed altri. Nel ver. 287. leggono i più ri/ /ueV ya'p invece di rìi piv m . Nel v. 288. leggo- no Platone e Senofonte : Xan fjtv invece di oX/}» fxiv .

290. 'ASàvani etc. Nota qui il Robinson qujel pregio , il qual tanto è lodato in Omero da Dionigi d'Alicarnasso (i) , a cui si può aggiugnere Dion Crisosto- mo (k) , e fra' moderni il Gravina (Z) ; e consiste nel dipingere al vivo la na- tura delle cose col numero stesso del verso , e colla giudiziosa scelta de' vo- caboli e delle lettere. E' questo un maraviglino segreto dell' arte , e per così dirlo, il sommo fastigio della poesia , e dell'oratoria. Esiodo non l'ignorò ; e dipinge la lunghezza della via conducente a virtù con que' tre epiteti quasi di una stessa terminazione , [xaxgòs , Ig^io; , rpn^i/'f , che congiunti alle cinque particelle rendono il discorso più lungo : ne dipinge la difficoltà col con- corso di molte aspre consonanti, e col rompimento del verso a mezzo: ne dipinge la speditezza del cammino di chi è giunto al sommo con la fluidità del verso, colla frequenza di dattili 1 e coli' uso non parco delle vocali.

Ivi. In tutto questo passo traluce il sentimento del Savio, presso cui si promette di guidare un uomo alla giustizia , eh' è quanto dire ad ogni ma- niera di virtù : e gli si dice , che in prima dovrà passare per vie strette , dove convien camminare pie innanzi piede ; appresso non soffrirà uguale strettezza ; finalmente vi potrà correre senza inciampo: Ducam te per semi- tas justitiae , quas quum ingressus fueris , non arctabuntur gressus tuli et cur» rens non habebis offendiculum (m) .

291. trrilv £' «'{ «xpov ìxtiTcu , in terza persona , come leggono Senofon- te, Filone, Clemente Alessandrino. 11 Gujeto , e il Clerc difendono questa lezione contro quei , che vorrian 'x.nou in seconda persona, perchè il discorso è volto a Perse. E il secondo vi sottintende è&l% ; giacché siegue 'eWHin fem- minino : il primo vi sottintende ri;, eh' è probabile spiegazione confermata da Platone (n): ora» £i ri; àurì; «'{•«xpov "xnrtu ; onde non è da mutarsi ; ma rider dell'espressioni spesso enfatiche, gonfie , e sprezzanti del Grevio.

2pj. S( aury iràrm voiom . Gli Scoliasti notan qui un' aferesi poetica , per cui a</T{5 sia lo stesso che ioturù, e spiegano qui per se ipsutn omnia Hoscit .

(a) Inter virgiliana, sed non in omnibus editionibus : in Heyne non est. (fc) Epist. famil. 1. Vl.ep. 18. (e) Dissert. XXI. (ci) Strom. IV. pag. S6S. (e) Pag. 585- (f)PunicorumXV'v-IO,-etc- (g) Epist. 2. Additionis. (/1) De Tcmulentia . (i) V. tract. de verborum collocatone tom. II. pag. I. (k) Orat. XII. (/) Ragion poetica e. 4. (m) Prov. IV. (;i) In Protagora.

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Tanta dovizia di codici, quanta noi ne produciamo, e tant' autorità di libri editi quanta ne addita Loesnero , che quasi tutti si accordano in confermare quest' aura , basterebbe ad escludere quell' «'»'( , che c'intruse 1' Einsio , e anche confermò il Grevio . Citasi per l' av'n; Aristotele , che veramente scri- ve così; ma nell' Etica al lib. I. capo 2. nel margine è «bV»; segno che tro- vasi in qualche codice. Citasi Clemente Alessandrino (a) , di cui Potterocon- lultati non pochi MSS. dice , che ùvrà vel a'vrà scripsisse indubium est. Citasi Aristide (b) , di cui Samuele Iebb attesta , che rammentando più volte il te- tto di Esiodo, scrive auro; una sola volta, o sia sua lezione, o del codice . Citasi Plutarco, ma tacendosi il luogo, non posso confutare. Citasi Laer- zio (e.) , o sia Zenone presso lui j di cui Proclo riferendo il testo legge aùrf . Così anche legge Ammonio alla parola iJwt; e lo Scoliaste di Sofocle nell'An- tigone (<i) , ed Eustazio al II. della Iliade v. 3<Jo. ove il Politi S; avrà , quod Daniel Heinsius perperam mutavit in avri; . Passa anche il Grevio a tacciar di errore 1' antica lezione , e di contraria all' indole della lingua greca : di che in vista delle autorità oppostegli non gli crediamo .

2P4. <t>^arrciuciro; etc. verso , che da molti degli antichi , che citano il passo di Esiodo, è pretermesso. Quindi forse non è di Esiodo; ma essendo riferito da Aristotele, e comentato da Proclo, è degno di essere considerato.

Ivi . ^ e; reAc; jj!» o'juav&i . 11 ti'Xo; può spiegarsi del particolare intento , a cui si vuol pervenire : ma è voce di scuola , e che significa il fine della beatitudine a cui deon condurre tutte le opere; v. gr. in sentenza degli Epi- curei il piacere , in sentenza degli Stoici la virtù . Di questo scrive Varro- ne (e) , che singulat: (sectae) exitum ac telos habent proprium .

2$). 'E«&Xo'f etc. Zenone invertì 1' ordine di questi versi, ed emendò così : Kà;o; [j£v ir aràan^o; J; iv ùiróvri tridtnai , 'Etr^Xof £' av xcckìÌvo; S; avrò; 'Travia voticrit ( -f\ . La ragione che ne adduceva era questa ; che il primo comecché non vegga tutto da se, tuttavia diretto da altri agisce bene : ove al secondo non si ascri- ve se non la conoscenza del buono . Ma questa , direbbe il Caro , è una sotti- gliezza , che si scavezza ; onde senza variarla è lodata questa sentenza da Ari- stotele (g) , da Cicerone (li , da Livio (i) , da Isocrate (i) . Chi vede il meglio, ordinariamente non fa il peggio . Ma gli Stoici eran pieni di cavilli.

2p8- 'AXXa av etc. In seguito della giustizia, e della prudenza, raccomanda a Perse la fortezza in quel grado che gli conviene. Che non forma già un eroe per la patria, ma un padre per la famiglia, e un agricoltore per la cam- pagna; la cui fortezza sta. nel faticare, e nel travagliare : grado infimo, ma pur grado di fortezza , secondo Cicerone : Animi excellentia magnitudoque tum

(a) Lib. Hl.Paedag. cap. 8. (b) Orat. 1. de Rhetorica (< ) In Zenone pag. 170. (d) T. 11. pag. 422. (e) irifì ai(ic-ti,v Satyra. ( f ) Laertius inZcno- nepag. 170. (g) 1. Ethicorum cap. 4. (h) Pro Cluentio . (i) Lib. XXX. (i) Orat. 11. inter expositag a CI. V. lacobo Facciolato.

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in augendis opibm utilitatibmque et sibi et suis , tum multo magit in his Ipnt despiciendis vlucet(a) .

: 2pp. iì" yivof. Il Sevin , nome celebre nell'Accademia delle Iscrizioni di Parigi congettura, che essendo scritto biou yi><><; , Dii filuts , sia stato mal co- piato, e per la somiglianza delle due lettere i/,ed v fattone <S7ov . Lo stesso pre- tende il Brunck , 'citando il Ruhnkenio. Non mi reco a creder l'errore, riflet- tendo che anco Crisippo trecent'anni prima dell'era nostra leggeva così (b) , e Moscopulu comenta ■veùiif Ai'eu rivóf htcw , Tzetze vii A(»u; dopo letto amen- due Aio* -jito^ . Par dunque che tacitamente il richiami alla imitazione del padre, buono e industrioso padre di famiglia. Ne si opponga che da A/e; dee derivarsi ft/fer; giacché anche Omero disse òkàfiavoi per &a<>Savioi (e), e an- che i Latini geni Romula per Romulea. Veggasi il Volpi al libro 111. di Pro- perzio (d) . Proclo spiega quel &ìov yivot; per genus dtvimim , e erede che alluda alla discendenza di Orfeo e Calliope; la qual credo favola inventata per no- bilitate Esiodo, e ignota a' giorni del Poeta.

303. T ■) $eoì etc. Più cagioni possono addursi di quest'odio degli uomini, e della Divinità. Gli oziosi nelle città sono i meno sempre. Fa dunque na- turalmente disdegno a' più , i quali si considerano come operai di un mede- simo campo, il veder se in travaglio, e alcuni in ozio. Dio poi odia l'ozio, perchè non è mai innocente: multata malitìam docuit oiiositas (e) ; e di Ma- mea Augusta conta Erodiano, che avea affezionato il figlio Alessandro a vi- vere occupato sempre, «!$ à</ dxoXauwo; etc. ut occupino rebus potioribus , ac nece>.sariis imperanti , ne quod spatium suprresset vacandi mulis "rtibus { f).

304. xn9»MT?i xo^spo/; /xsXoj ófutìn, fucis ignavis simili* cupioi'atf . Fuco è insetto simile alla pecchia , di mole però alquanto maggiore , di colore, che tira al fosco, privo di aculeo. Ne provengono in ogni alveare in numero 70. o 8o- volte minore delle api, dalle quali mal credette Aristotele che nasces- sero^). Plinio gli chiamò imperfvctae apes , serotinus foetu* , srrvitia veraium apum h . 1 moderni hanno scoperto, che questi sono i maschi dell'alveare, da' quali è fecondata la madre, o sia la reina delle pecchie, contro Elia- no(i), che favolosamente vuole, che i fuchi abbiano maschi e femmine. Essi non lavorano punto per la fabbrica della cera e del mele; ma si sostengono co' lavori delle pecchie; e queste gli sostentano volentieri , tini he son ne- cessarj al supplemento della loro specie : verso autunno gli cacciano alla campagna, o gli uccidono. Cosi il Reaumur nel T. S- della storia dogi' Insetti.

7r£. Neil' assegnare I' etimologia di x..9-e?o{ , e la vera spiegazione, è incre- dibile quanto varino gl'Interpreti. Per non vagare, raunando cose da impu- gnarsi , mi arresto alla chiosa suggerita da Esichio , e da Favolino , e da Proclo ancora: K3SsfO!,aj>)35, «to' ii *.iu$iit> rìv òvfJv, piger ab abicondtnda cau- ta) De Offic {b) Plutarch. deStoicorum repugnantiis. (e) II. III. v. 4$^. Kì'iXots fiiv, Tfwe;, k, ^àfiavsi , »V «V/xBfoi. (d) Pag. 7I4. (e) Ecclis. 33.

v.2p (/) Historiarum lib. VI.p.nS. (g) H. An.lib. IX. 40. (/i) Hist. Nat. lib.Xl.cup.il. (1) Lib. 1. de animalium natura cap. p.

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da. lo credo , che la similitudine sia tolta da' quadrupedi , de' quali è pro- prio per timore e per pigrizia , remulcere tamtam . Plinio (a) : Canum drgencrcs sub alvum (cattdam) reflectunt .

Ivi. it/Jtxv E' voce di grande uso presso gli Stoici ; ma di significato contro- verso . V. il Casaubono al primo capo di Epitteto , e Giusto Lipsio ne' Co- menti a Seneca al libro II. de Ira cap. I. Ottima al caso nostro mi par la spiegazione che ne fa M.Tullio: appetitin animi, quae off*» graece vocatur non ad quodvis genu» vitae , sed ad quamdam formam vivendi videtur data(b), quale nel fuco , e nell' ozioso è il talento di vivere delle altrui fatiche .

3o5. Ot ti iM\irràttf Kcii-tanv r -f» x»7 '" àe^yai , Qui aptim laborem absumunt otio- si. L'Einsio notò, che Stobeo invece di leggere -rfvxs*'v ài$yo! , lesse v»Vsivo» «<f»5-i , emistichio di Omero (e) . Quante frasi di Omero avranno inserite i Critici in Esiodo in tanti secoli; e viceversa quante di Esiodo in Omero! specialmente Aristarco, solito a mutare in ogni autore ciò che gli pareva mcn bello, come osserva Wolfio citato altrove. E poi da qualche verso di Omero, che qui si trovi, sarà lecito d'inferirne la sua anteriorità del tem- po verso di Esiodo ?

3o($. s'pja... piTfia , justa opera. Sieguo Moscopulo , che comenta ru'fiftir^a ry <r* àwjauH , paria tuis viribus ; abbandonando il parere dell' Einsio , che spiegava labore» indefatigatos . Anch'Esichio dice /uere-10', itcmxii , convenientes.

3io. 'Ettsou etc. Questo verso è pretermesso da Stobeo, e da altri . V. V in- dice delle varianti. Forse parve contenere una tautologia. Ma non perciò era da omettere, anche perchè vizio , non hominis , sed temporis .

3 il. "Ep>oj J" ùiiìi ivaioi, attiri ài t' òi««fa; , Opus nullttm est dedecus ; otio- sieas veto est dedecus. Ingegnose note su questo verso distesero l' Einsio, ed il Clerc ; e n' era degno. Raccontano Senofonte (dj , ed EUstazio(e), ch'era ipesso in bocca di Socrate, e che i suoi accusatori se ne servirono per ca- lunniarlo , quasi il suo senso fosse , che niuna opera o buona , o rea è vergo- gna , quando è lucrosa. Infatti il verso inteso a parola presa alla calun- nia. Eustazio perciò lo giudica aa-aip»; yqattìv , ambigue scriptum . Ma Esiodo fa un'opera che intitola igy* jgtj iftifiu^ intendendo i lavori della campagna , per gf>« , il piantare, l'arare, il seminare, e gli altri. Di questi special- mente asserisce , che niuno può vergognarsi : e non è obbligato a qualificar- gli ogni volta; altrimenti sarebbe intollerabile poeta. Socrate poi per nome di i?ya non intese se non xairi tpva-iv ì?ya, e siccome spiegava un suo detto, dovea crederglisi : ma che vai ragjone in povertà di stato?

Ivi. Che sia vergogna il non operare, lo dichiara a bastanza la legge presso gli Ateniesi , riferita da Valerio Massimo ^f): Apud Athe.nienses inertia e la- tebris suis , 'languore marcens , in forum perinde ac delictum aliquod protrahi- tur,fitque ut facinorosae ita erubescendae rea culpae . Presso i Sardi era leg- ge simile, come racconta Eliano(^).

(a) Lib.XI.c. 5o. (Z>) DeFinibus Lib. 111. e. 7. (e) Odys. 1. i<fo. (d) Memo- rab.l.p. 720. (f)Hiad. II. v. 43J. (/) Lib. II. p. 32. (g) Var. Hist.lib. IV. e. 1.

ip4

•ìli. itXb'tw xt' a'fsw ^ x<7Jo<; oVikJ'm , divitias Vero et potentia , et gloriti comi- tatur . Molta confusione ha qui recato la voce «fsn>, intesa come suona , per viitù morale, lo credo che qui vada spiegata per potenza, so maravigliar- mi a bastanza , come Proclo, che meritamente deferisce tanto a Plutarco, non l'abbia seguito in questo significato di io'vxut-, , potetia , che alla vo- ce ufi.* , citando il lungo di Esiodo, che abbiam fra mano (a). In tal senso pure 1' intese lo Scoliaste di Omero O lys. XI. v. J5p. e lo Scoliaste di Calli- maco (£) , e dopo lui Anna Dacier (e) , il che può confermarsi co' versi di Teognide citati da essa, e con altri. Non si dubiti più dunque della vera interpretazione di questo luogo'; arinl e quella possanza , che al ricco viene dalle aderenze specialmente conciliatesi col denaro.

3 14. hmipurt £' oh; {»<&« . Oio; invece di ìuoio;. Gujeto , ed emenda ìvuri-t ; ma inutilmente. Dall'eolico ««fra invece di «f , per prostesi di una e, si forma inS-a nel presente del soggiuntivo. Omero: o-ù d" «* afa »?«<; i»Aa (e/). Non è nuovo che i felici, e i virtuosi si dican simili agli Dei. Antonino Aug. lib. IV. Qtùi dumì'f Jó%et; 01 ( vòv $nfior , ^ vìS-ok»; . Deus videbere iis iptèt , qui- bus nunc fera aut simius ( si ad praecepta animum flectus) .

317. A;Vwf etc. I due versi 317- e 3i8. furono rigettati da Plutarco, e sono esclusi dal Cav. Brunck , quasi un furto ad Omero . Non si è dato retta al Cheroneo, e Suida gli «'ita v. Kìiùf , Stobeo gli riporta, tutti gli Scoliasti •gli spiegano , quasi tutt' i Codici gli riconoscono . Qual de' due Poeti sia arric- chito delle spoglie dell'altro è tanto indeciso, quanto è indeciso chi sia all'altro anteriore. Ma prescindendo da ciò, è certissimo , che dovendosi ritessere quelle rapsodie di Omero, si recarono tra' versi di lui anche ver- si di altri (e), e ve ne saranno stati di que' d' Esiodo . Chi può decidere, «e scambievolmente così avvenne ad Esiodo (e gli avvenne, giacché Ari- stareo emendò l'uno e l'altro ) , qual de' due sia anteriore?

3 1 8. A/cfù; in questo luogo non istà nel significato , in cui lo trovammo al- tra volta; non istà qui in significato di virtù; ma di cosa, che non e ne virtù, ne vizio da sé, come parla Speron Speroni (/") , ed è secondo la dot- trina di Aristotele (a) , che la considera come una passione . Di questa pa»- ■sione pertanto, dice Esiodo , che talor giova, ciò che non ha bisogno di ce- mento; ma talor nuoce, il che è più oscuro. Plutarco nel libro de vrtioso pudore h) , conta fra gli effetti della nòcevole vergogna l'adulazione, la con- discendenza a cose indebite , e quanto si fa per timore sciocco di non in- contrare una irragionevole riprensione . Ma il cattivo effetto che nota qui Esiodo è il condurre alla povertà; come si dice de' Tespj , presso i quali era vergogna l'agricoltura; e fra essi molti eran poverissimi. Gli Stoici per

.

(a) Tract. de audiendis poetis pag. 24. (&) Hymn. I. Callimachi ver. 9$.

(e) ver. 129. {d) Odyss. XVI. ver.420. (e) Fabric.Biblioth.Graecaelib.il.

e. 2. pag. 271. (f) Tom. II. p. 117. (g) De moribus lib. IV. cap. ij. (hj Pag. 140-

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non confonderla colla onesta vergogna ,lc diedero il nome di iwruri'a, perchè difficilmente si volge a mirare quel che bisognerebbe .

3 19. S-derof -apo; òX.Sy. 0j>aV»f , nota Gio. Tzetze , est impudens et teme- raria audacia, **p<r»f vero est prwlens andentia . Simil dilìerenza mettono i latini grammatici fra audax e audens , l'uno prendendolo in mala, l'altro in buona parte. V. il P. della Cerda al libro X. di Virgilio v. 284

}2C>. Xpwurxr» «T »* à er ctum , Divitiae vero non rapiendae . Torna alla giusti- lia, eh' è il primo tema , inculcato perciò assai spesso : con ehe si fa qual- che scusa a questa , che a qualche Scoliaste pare tautologia . Era massima di que' primi Greci osservar la natura, e imitarla a capello. Or noi veg- giamo, che quando ad alcuno assai preme di una cosa, non si guarda d'in- culcarla tre e quattro volte in un discorso medesimo (a).

323- *i?<tof »C»f 11% ava ri ? m etc. quum lucri amor mentem deceperit. Morale quanto altro mai è questo passo , che spiega come una passione giunga a pervertire. Ella seduce l'intelletto, sicché si lusinghi o che non vi sia Di- vinità , o che si plachi facilmente ; e dopo ciò passa a fare invereconda la volontà,- sicché scacci da quel riserbo , e quella temenza di perder l'o- nore, che pon freno alle scorrette voglie. Ed è notabile il modo, con cui spiega nel conlesto l'ingiustizia, dipingendola con due parole xef°'''»e >l»'«i| in ogni sua parte; perciocché con le mani si commette l'ingiustizia aperta, per la lingua l'ingiustizia dolosa. La divisione è ancora di Dante (6) : D'ogni malizia ch'odio in Cielo acquista Ingiuria è il fine ; ed ogni fin cotale O con forza , o con frode altrui contrista .

32J. 'Tua ii uiv yxvgì?i $ioì , cioè àftai/tiai , eh' Esichio spiega o-xo-r/fa»-/ .

325. nraùfov iir tv! y^i^ov "X/33; imiti , parvo tempore divitiae adsunt . Nei Proverbj (e) Egestas a Domino in domo impii .

327. 'Ixoi/ «To'? 3-' Itiirlw , Simile committit delictum et qui supplicati, et qui ho- ipitem malo affi, it etc. Chiude questo sensato discorso contro l'ingiustizia ad- ducendo varj esempj d'ingiustizie più solite commettersi, perchè più facili; ed è differenza tra delitto e delitto ; ciò che T/etze ottimamente conobbe contro gli Stoici, che tutt' i peccati credean uguali (rf) . ~'Wov , die' egli , ve- tercs prò Spoiov ponebant : donec Pyihagoras prinops philosophus , et Archytas , et Aristotele* , et qui deinceps universum philo\ophiam multarum rerum aggres- lionem nominarunt , sanxerunt ti irosi dr quantitate dici, m luoiov de quali- tate. Quindi traduco non par , come i passati Interpreti, ma simile delictum, cioè contro la virtù istessa della giustizia.

Ivi. Fra l'ospite, e il supplice è qualche simiglianza rilevata da Omero, laddove disse : Zf</'{ i' iririfnimf ìxiiùmt -nt-mur n , Juppiter autem ultor est sup-

(a) V. Eurip. ne' frammenti dell' Eretico pag. TOl. e 102. ove un padre al figlio ricorda nello stesso contesto più volte le stesse cose . (ò) Cant. 1. cap. 2- (e) 111. 33. (d) In Commentar.

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plicum et hospitum (a) , per cui Eliodoro {b) nomina Giove ospitale, e supplice insieme. Il supplice può definirsi qui in aliena urbe vel domo, vel in sacro aliquo loco periculorum perfugium quaerit (e) . Ospite è chi dimora presso altri , non per cercarvi rifugio , ma in vigore specialmente di un contratto scam- bievole , che celebravasi tra famiglia e famiglia, o anche tra privato e città.

328. «va' Hfiviet fixlvoi : jìalvoi ottativo invece dell' indicativo 0aim , eh' è an.- che nelle glosse di Esiodo. 11 Brunck lo riprende : Gretsero fin nell'indice lo chiama atticismo. 'Avafitxivoi, nota il Bogano , corrisponde alla frase scrit- turale ascendisti cubile v. gr. patlis tui . fu solamente costume degli E- brei collocare i letti bene in alto , sicché ci si dovesse salire ; ma delle altre nazioni ancora ; degli Etruschi , come appare dalle loro urne , ove sono rap- presentati letti con gradino; de' Greci, come costa da Omero {d) : Mwtoi» ri< ìiwiti i'vifitiucvxt , nunquam ejus cubile ascendine; de' Latini , ove troviam men- zione di più gradini d'avorio; gradibusque acclinis eburnis stat thorusle).

33o. In agrnm pupillorum ne ingrediaris ; nam Dominus qui est redemptor illorum , est potens , come traduce Calmet (f) . Noto , che 1* edizioni son divise , approvando altre àXtmivtiui , altre àXirfoùvtmi . Il grand' Etimologo , citando questo verso le approva ambedue; la prima da àXtttu , fallo i la seconda da a'X/Tpti; y.malus .

33 I. *Of n yovia yifovm etc. Et qui parentem senem etc. Plutarco p. 47^. >^j «* icif etc. ncque majus est impietatis argumentum , quam parentum despectus, et injuriae .

335- 'AXXa <rv etc. Sed tu etc. Dopo i generali precetti, specialmente su la giustizia, viene a' particolari precetti su gli uffizj della vita, i quali, con- forme alla dottrina di Lipsio , con beli' ordine distribuisce cosi : considera Perse come uomo, come parte della società, come padre di famiglia; istru- endolo ne' doveri verso gli Dei, verso gli stranj , verso i domestici. E notisi ch'egli procede parcamente, e con principj coerenti alla tela che tesse. Egli parla ad un agricoltor povero; tutto è piano , tutto è volgare, nulla di elevato, nulla di grandioso; quasi tutto misurato coll'util proprio.

355- Kaffovafiiv J' ìfitiv etc. Pro facilitate autem sacra facito immort alibus Diis In prima l'esser d'uomo fonda l'obbligo di alcune esterne protestazio- ni di ossequio alla Divinità , di cui qui Esiodo divisa il modo . Primo , dev' es- ser prestato secondo le forze x«i» àvvapiv. Socrate spesso avea in bocca questo precetto di Esiodo . Da Altissimo secundum datum t-jus , è raccoman- dato anche nell' Ecclesiastico (g) .

337. 'Ayvwf , jgt} »aJo,w! etc. Caste et pure etc. è l' altra condizione del ser- vigio degli Dei . Quantunque il Clerc su la fede di Proclo lo creda detto dello spirito e del corpo insieme ; tuttavia gli altri due Interpreti lo giudi- can detto piuttosto àyvùf dello spirito, xa»*fw{ del corpo. Per secondo dun-

(a) Odys. IX. v.270. (b) Aethiop. II. pag. po'. (e) Grotius de Jure Belli Lib. 11. cap. 21. (cz) lliad. IX. 1 33. (e) Lucan. Lib. 11. v. ÌSS. (/) Prov. XX111. vers. 10. (g) XXXV. 12.

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que raccomanda Esiodo al fratello di far le sue oblazioni con mente e cuor pio. La pietà, quando accompagni il sacrificio , può col semplice farro ren- derlo accetto; come concordemente dichiarano Orazio (a) e Persio (b) : tanto è vero ciò che cantò Publio Siro , che puras Deus , non plenas adspicit manus (e) .

fai,. xa$-af»T{ . Gli raccomandala mondezza del corpo , o sia l'esteriore , co- me abbiam detto ; la qual consiste in essersi astenuto specialmente da piacer venereo per un giorno (d) , nell' aver pure vesti , che Omero appunto chiama xa-S-aja nuocm , e Tibullo puram vestem : cioè bianca , e lavata di poco <rvv i&itri hotXuvù , come parlan Moscopulo e Polluce (e) ; nell' usar attrezzi puri, cioè serbati a solo uso di sacrificio , quali gli chiede Anfitrione presso Plauto (f) Ahi domum , jube vaia pura actutum parati mihi. La purezza delle mani era pure raccomandata , e talora con iscrizione sopra la porta del tempio (n1): il valersi del fuoco puro , di che Fedro : nec de lucerna fas est accendi sacrum (h) : l'offerire vittime pure; su le quali Plinio : Coruncaniui ruminales hostias , donec bidentes fuerint , puras negavit (<) : il sacrificare secondo i riti patrj, xaia <m iraV/ya , come parla Epitteto [k); e se il sacrificio faceasi in Tempio, farlo in luogo puro, cioè «»■« nri?itfamqi<av (l) , intra vana sacra , eh' è una parte del Tempio, di cui è da veder Polluce (m) .

Ivi. itti f ày\ctà p>t?ia *càstv , et lucida femara adnle . L'uso della voce luci' do e nitido per significare pingue , è comune così a' Latini , che dicono lucida ovis (rc) , come a' Toscani , dicendo l'Ariosto: .Sì ch'era più che mai nitido e grassa o . Questo epiteto èqui dato alle cosce degli animali sacrificati. E' no- tissimo il Gl'eco rito, che prescriveva il reciderle , doppiarle , coprirle di adi- pe, e questo colmar di frammenti crudi , recisi da tutto il corpo, e bruciar- le. Omero fa la descrizione di tal funzione nel lib. I. della Iliade a' v. 458.

338. AX*07i iiì crtrovSri; iuitro-i etc. lnterdum vero libamimbus , et aliis doni* placa. Insinua ora un'altra maniera d'onorare gli Dei, eh' è per via di libazioni, e di altri doni. Porfirio pretende (p), che questo fosse il solo sacrificio de' Greci più antichi; nel che è facile smentirlo. Prometeo, che fece l'uomo, secondo che Igino racconta, rese il sacrificio degli animali più agevole a' poverelli , instituendo l'uso, che non tutto si ardesse, ma che ne partecipassero gli offerenti. Di poi Cecrope in Atene, Numa in Roma, altri legislatori in altre parti vollero moderare il rito di sacrificare animali , e sostituire libazioni , ed oblazioni, come da Puusania , e da Plinio si raccoglie (o) .

Ivi . Svitavi non dee spiegarsi per vietimi;,, come hanno tutte l'edizioni avanti Robinson , delle quali ha parlato poco sopra il poeta ; per incenso , come

(a) Lib. III. ode 23. (5) Sat.II.v. 7J. (e) pag. 3*. (d) Demost. in Neae- ram. (e) Lib. 1. cap. I. segm. 24. (/) Act. V. se. I. pag. 68. (g) Lucia- nusdoSacrificiis cap. i3. (A) IV. fabula io. (i) Plin. Vili, fu (k) Enchi- rid. cap. 3- (l) Lucianus de Sacrificis loco cit. (m) Lib. I. e. I. «cct. 0". («) Tibull. ll.eleg. 1. v. 62. (o) Ori. Fur. XX111. 27. (g) De abstinentia animalium. (p) Paus. in Attic. Plin. Hist. nat. 1. XVIII. 2.

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traduce il Salvini , mentre non dovea questo essere offerta da povero agri- coltore , quando in Roma era ignoto ne' primi secoli, e in sua vece si bru- ciava il farro (a) ; per odori , come fa il Robinson ; poiché *«'*// non solo significa s-ifpre , ma anco libare , cioè porre su 1' altare pomi , spiche , focac- ce , farro , lauro, e altrettali cose. Lasciando molte altre autorità» che il confermano, ci contenteremo di Omero, il quale disse fiXav in forza di sa- crificare , e buav in forza di offerire placente , come nota Ateneo (6) .

33p. "H jut'v Ir ìvvaXri , et quando cubitum ieris , et quando sacra (aurorae) lux advenerit . Non può lodarsi a bastanza la consuetudine di venerar la ve- ra Divinità mattina e sera . Degli Esseni conta Filone (e) A/; *«*' ixd- fnv n/jtiftcv lìaSariv iu^eo-Sai nrifì r>ìv t\, x^ ire fi Ttiv itriri'fav , Bis vero solent per dies singulos orare, circa auroram , et circa vesperam . I Gentili la sera, quantunque sacrificassero a Mercurio ((/) , non molto se ne davan pensiero ; la mattina era più deputata a quest'uffizio, per cui l'aurora qui e chia- mata sacra. Così nelle Nuvole di Aristofane, Strepsiade levatosi poco in- nanzi (e), 'A\X' iu^dfxai/oi ■aìa-i 3-e»;; StSa^outu, sed Deos precatus erudiar ; ed Enea presso Virgilio : Vota Déum primo solvebat Eoo (f) , eh' è ciò che rac- comandano anche le scritture : oportet praevenire Solém ad benedictiqnem tuam et ad ortum lucis le adorare [g) .

341. "Op(' dX^an uv$ xkàfov , ut aliorum emas hereditatem . Il vocabolo here- ditas , o sors , che il Grevio ricusa per sostituire quello di ager , non veggo perchè abbia da rimuoversi. 1 due Scoliasti comentano l'uno xXxfo.ouia , l'al- tro y.\tifoio7Ìa , e qui ancora Esiodo fa vedere la sua deferenza agli Orientali : x.\>i(ovouia iì[xùv /ueiFf fa'p» a'XX»Tf ieif , hereditas nostra versa est ad alienos (h) . Altra cosa è quando il contesto consiglia, come presso Teocrito, che addu- ce il Grevio , a spiegar campagna .

342. La seconda parte della istruzione tocca i doveri di chi vive in società. Quei della giustizia rigorosa fondano il gius perfetto ; e di essi ha sufficiente- mente parlato di sopra : viene ora a quelli che spettano a giustizia men rigo- rosa , e che fondano un gius imperfetto . Jastitia , dice Cicerone (i) , et huic eoa-

juricta beneficentia , quam eandem benignitatem , vel liberalitatemappellare lieet . Ivi. TeV qiXiovr' ivi icùia xaXùv , r!v rf' «x*?0'1' t'àrou , Amicum ad convivium vocato , inimicum vero relinquito . Chi non fa così ? dice il Clerc , il più severo critico di Esiodo, che pur comenta . E tuttavia Plutarco (k) dice, che sebbene a certi fin d'allora paresse ridicolo questo precetto di Esiodo, è sapientissi- mo , giacché ad alcuni che per non debita vergogna lo han trasgredito , è costata la vita. Fra essi nomina Ercole figlio di Alessandro Magno , che in- vitato da Polispcrconte , e accettato 1' invito finalmente per sola mal inte- sa vergogna, fu nel convito strangolato : tanto gli costò il mangiare con un

(a) VulpiusinTibull. lll.eleg.4. v. 10. (&) Lib. XIV. p. 660. (c)Pag.tfi2- (d) Intcrpr. Apollonii Rhodii ad I. Argon, (e) In nubibus v. 127. ( f) Acneid. XI. 4. (g) Sapient. XVI. 28. (h) Jerem. Thren. V. :. (i) De Offic. I. 7. (k) De vitioso pudore pag. 530.

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nimico . Riprova ancora Clerc come freddo e senile questo tratto di Poesia; dal che il Robinson lo cscusa dicendo , che a que'dì la semplicità , e la na- turalezza era il migliore ornamento di uno scrittore ; ciò che convalida con l'esempio di Omero, e de' libri santi; ove parmi ch'abbia ragione.

343. Tóv ti fjdXig-ct *.a\Mv , J{ rif <ri$c» ìyyuS-i vaili) Ewii autem potissimum va- ca quicumque prope te habitat. Ateneo (a) disapprova molto questo precetto, quasi Esiodo misuri gli amici dalla vicinanza del luogo". Ma non vede , che alcuni ufizj son limitati ad alcune persone, e ad alcuni tempi, come ben no- ta Cicerone (b) : sunt officia quae aliis magis quam aliis debeantur : tu vici- nimi citius adjuveris in fructibus percipiendis , quam aut fratrem , aut fami- Harem : at si lis in judicio sit, propinquum potius , et amicum , quam vicinum defenderis . 11 vicino molto partecipa del domestico, ed è dovere, che qual- che volta stia teco a mensa; e quando se non allora, che in tua casa è con- vito ? Terenzio : Vicinitas , quod ego in propinqua parte amicitiae ptito (e) .

344. Ej ydf -ai rg\ ^w,u' ìyx^O-0' à\\a yivmotx . Perse non era, ciò che il Grevio non vide, uomo di campagna; altrimenti Esiodo non gli raccoman- derebbe di non passar molte ore nelle botteghe , di non perder tempo nel Foro, di tornare a casa presto d' inverno terminato il lavoro . Onde non dee il Grevio tanto impegnarsi per far parere npgotium rusticum quel che per eu. femismo è X"f*' ìyx-wfxiov , o ej^w'&t" , ch'ei vuol sinonimi. Quel negotium do- vrebb'esserc un incendio , una visita di ladri , un'altra cosa da non nominarsi apertamente ; e però il poeta dice à\\o , come Livio ferte aliam sortem , cioè adversam . Or che importava chiamar tal disgrazia rusticana , o pagana ? A me piace senza paragone più la chiosa di Suida , che comenta ìyx^fio' , o/x«ov, domesticum negotium , prescindendo dal luogo ove sia la casa , se in campa- gna , se in villaggio, se in luogo murato, derivando ìyx<»sj.ov da jtwf/oy locus . Coincide con questa spiegazione quella dello Scoliaste di Pindaro , il quale ad- ducendo senza alcuna variazione i versi 34S. e 34<5. di questo Poemetto, co- menta quel x?"M èyx<"?'ov generalmente /3/wT;xa'j ;g«a? , bisogni della vita (d).

34J. rWre/ec afaifoi etc. Vicini discinti accurrunt , cinguntur autem cognati. Era della pubblica decenza il non uscire in pubblico discinto ; ne potea farsi senza nota di scioperato: Accincti industrii., negligentes discincti, nota Ser- vio (e) , e il Cementatore di Persio a quel verso : Non pudet in morem discin- cti vivere Nanne (f) ? La frase di Esiodo vuol significare, che il buon vicino chiamato a soccorso, così come si trova in casa , accorre , dimentico ancora di ciò che porta il decoro pubblico. In simil proposito cantò Dante di una donna, che vede il figlio in pericol di vita(g):

Che prende il figlio, e fugge , e non s' arresta Avendo più di lui, che di cura; Tanto che solo una camicia vesta .

(a) Lib. V. pag. ìi6- (b) De Omciis I. cap. 18. (e) Tcrent. Heautont. Act. 1. se. v. 5. (d) In od. VII. Nem. pag. 747. (e) In 1. Aeneid. ver. 210. (/) Sat. 111. ver. Ji. (g) Cantica 1. canto 23.

200 Non cosi è del parente. Egli in simile circostanza si cinge il vestito , cioè accorre men prestamente , forse perchè il pericol lontano muove meno , che il presente .

346". Tliìf** xaxel; yrimv etc. Noxa malus vicinus , quantum vicinus bonus ma-

gnum est commodum . Proclo racconta un bel fatto : Dicitur Themistoclcs prae-

diolttm vendens jussisse per'pi aeconem enunciari illnd bonum habete vicinum .

'Tutto al contrario del cattivo vicino dice Columella : Dementi* est ipsum sibi

facete malam fortunam: quod facit qui nequam vicinimi suis nummis parai a) .

348. &' àv etc. Quanto alla perdita del bove , che poi Esiodo suggiugne , sospetta Pier Vettori , commentando l'addotto passo di Columella, ch'essen- do Esiodo oriundo di Cuna, abbia riguardo al costume, che in Cuma era, di cui Eraclide Politico (b) : Moris erat apud eos ut vicini omnes conferrent ad resarciendum quae furto erant ablata: quapropter pauca furto amittebantur , quod universi pariter sua aliorumque diligenter cw>todirent . Atque bine, videtur petitum quod apud Hesiodum est: Bos etc. Lo stesso verso cita Giuliano con poca mutazione alla Epistola 3 5. e Columella al luogo indicato , e Plutarco nel trattato de audiendis poetis a pag. 34. .

34p. TEu (AÌr (U8Tf««8-ou nretfdyamvos , Recte quidem metiaris a vicino etc- Esclusa ogni frode, qual descrive Teofrasto nel carattere XI. eh' è dello scostumato» Questi misurando colla misura Fidonia , sceglie quella che al di dentro è al- quanto rialzata, e rade diligentemente il moggio quando paga a' domestici il loro compito. In questo precetto di Esiodo vedesi conformità con quefcpasso del Levitico: Nolite facere iniquum aliquod in pondi-re et men\ura . Stateta ju- Sta , et aequa sint pondera, Julius modius , aequusque sextarius e).

350. Ai/'tjJ jusVfw jgtj Xui'ov, cùx-e <tuvncu , Eadem mensura et amplius , siqui- dem possis. Niuna sentenza di Esiodo lesse M.Tullio con maggiore approva- zione di questa. Egli ne fa menzione nel I. degli Ulizj al capo i5. nel X11I. delle lettere ad Attico , spesso vi allude nelle Orazioni dopo il ritorno , in prò di Sestio , in prò di Plancio; e specialmente nel libro de'chiari oratori al capo 4. Illud Hesiodium laudatiti- a doctis . quod eadem mensura reddert ju- bet qua acceperis , aut etiam cumulatiore, si possis .

3 5 1 . "ile àv as>i/!>v eie. ut indigeni, etiam in posterum promptum invernai. Se questo fosse l'unico fine di quella liberalità , distruggerebbe affatto l' idea della gratitudine, che debb' essere affatto spontanea , all'atto libera , affatto disinteressata. Seneca (</) : Gratus sum , non ut alius mihi libentins praestet priori iiritatus exemplo , sed ut rem jucundissimam , ac pulchemmam faciam . Ma Esiodo ricordevole che istruisce un bisognoso , non iscompagna pressoché mai la beneficenza dalla utilità.

3 52. *»*« xe'ptfja ì<r' arriviti f mala lucra aequalia damnis . Aperta imitazione è di questo detto nel Ciclope di Euripide (e), Ksf<f* iren^o X»!*'00 »>«'4aw > Mala lucra damnum redditiere ; ove Barnes adduce questo luogo di Esiodo.

(a)Lib. l.deR.R.p.3. (6) Libro de Politiis (e) Lev. IX. 35. (<*) Epist. 82. (e) Pag. 73.

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3J3 Tòv q>t\tovat pi\ùv . Plutarco scancellò questo, Ai due veTsi seguenti, come indegni di Esiodo , perchè troppo illiberali . Clerc benché gli confessi illiberali , gli riconosce per legittimi : e nel vero , quale riprova abbiamo noi , eh' Esiodo sia stato incapace di pensare , e di scrivere meno liberal- mente? Ma io non dispero di difenderlo con la ragione, che adduce Tzetze ; ed è , che questo è precetto positivo , non negativo ; come chi dicesse : non amare se non chi ama, non visitare se nori chi visita . Essendo precetto po- sitivo non merita censura, siccome non la merita Pindaro ove dice: p/Xo» ut ifi^à: , e il Petrarca in quel verso divulgatissimo : Proverbio antico e fatto: ama chi t'ama. Abbiam notato altre volte, che Plutarco fu trop- po tenero della riputazione di Esiodo, tollerò in esso pure un neo; o fosse che i suoi Comentarj fosser distesi in età troppo acerba ; o fosse che troppo si abbandonasse alla imitazione di Aristarco, che gli antichi trattava come scolari, cioè ne lineava tutto ciò che pareagli scritto men bene.

3 54. Koù éófxn ó{ xor ef« , Et da ei qui dederit , et non da ei qui non dederit : datori namqne est qui dati non danti vero nemo dare solet . Più ragionevole par la censura di questo passo fatta da Plutarco , riferita da Proclo . Ma qui è una buona risposta. Perciocché vi sono alcuni così ingrati e sconoscenti, che non corrispondono a' donatori se non con promesse , e speranze : ed è ottimo consiglio a costoro, come pure agli altr' ingrati, di non dar nulla; se non si trovino in estrema , o almeno in grave necessità . Cicerone (a) vuole , che nel beneficare e' informiamo del soggetto, e se è ingrato andiamo a rilonte : in deligendis i.loneis judicium et diligentiam (debemui) adhibere . Nam prae- clare Enniui I benef'acta male locata malefacta arbitrar [b) . Nel resto poco sot- to è lodato il far donativi , anche senza speranza di rimunerazione; il che vuole intendersi de' poveri , che non hanno altra mercede , che la gratitudine .

Ì$S. i»'( àyaQtì , Donatio bona: \afj/3àvo.Ti , acciaienti, chiosano i Greci, facendo dire- ad Esiodo una sentenza da trebbio , quando una ne dice da liceo. Non è dunque il senso di essa, che il donativo sia buono a chi lo ri- ceve, ma a chi lo fa: quas dederit solas semper habebis opts , dice Marzia- le (e). Ma convien dare del proprio : videndum est ut ea liba alitate utamur quae prosit amidi, noceat nemini , come riflette M. Tullio (d) , e come torna Esiodo a insinuare a Perse, che avea fatto doni a' giudici , ma della roba del fratello ; e così non senza nota di rapina .

357. *Oj fiìv yù<i etc. Qui enim libent dat ,et>i multum dederit , gaudet donan- do. Buona conferma è questa della spiegazione data a quel fai à-yetàì ; spie- gandosi ora perchè sia buono il donativo; perchè rallegra chi'l fa; siccome la rapina è cattiva, perchè rattrista chi la commette. E quanto al donativo , è un bellissimo documento quel largire di cuore , «Vi xafiias , i* 4"X''? > Per cui il donatore senza cercare altro premio , si appaga del premio della buona sua coscienza , secondo quel detto di Seneca (e) : Sit fructus bene/icii primus

(a) 11. Offic. Voi. X.p. 175. (b) Pag. 4*5. ed. Columnae (e) Epigr.lib.V. 43. ubi v. Raderum p 401- (</) De offic. I. p. Ì6. (e) De Beneficile U.c. 33.

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202 ille conscientiae . Colle parole poi lifimui ov «aro1 òuuòv , s' insegna , come Proclo riflette, che i benefizj non si divulghino. Questo pure è secondo la dottrina di Seneca (a) : Beneficia, quae non producimi , ncque honcstiorem fa- ciunt ( accipicntem) sed succurrunt infirmitati , egestati , ignominiae, tacite dan- du sunt , ut nota tini solis , quibus prosunt .

Notisi che vi ha differenza benché piccola fra X""?1' » e rifirtrcu , e il primo debb' essere minor del secondo . 11 primo par che corrisponda ad avere allegrez- za , il secondo ad aver gaudio; due affetti distinti , come riflette un autor sacro di grandissima autorità in fatto di lingua , citato perciò dalla Crus- ca (b) . t

j£p. °Oj H *.ti etc. Qui autem libens rapuerit , impudentia fretus, quamvis sit exiguum , tamen cruciai siium animum . <t>/Xo/ x»f portavano tutte 1' edizioni ( avanti Robinson, il quale mutò in ipi'Xov tra? coli' autorità di tutt' i MSS. e di Suida , al quale aggiungo io Stobeo nel Serm. 27. Quanto alla sentenza, io non so come gli antichi e i moderni interpreti riferiscono quel j>/Xsi> ««f , o »w? al cuor di colui eh' è stato pregiudicato; mentre in vigor di. quel p/Xo?, eh' è lo stesso che ìin>v{cjt e in vigor del contesto, dee riferirsi al cuore dello stesso rapitore. Egli è, che togliendo altrui è tormentato da' rimorsi della coscienza , giusta quel detto di Pacato : tiabet nescio quos internos incus se eie rata carnifices , aut ipsa sibi carnifex conscientia est (d) .

36l. E/ ya? %ììi <7f4ix-(ivetc. Si enim parvum parvo ad jteceris , et freqtienter hoc ficeris , mox magnum et hoc evaserit . Ecco ciò che pena al rapitore ; il riflettere , che sebbene ha rubato poco per volta , facendo ciò spesso , è di- venuto un ladro considerabile . Ove notisi , che la dottrina di Esiodo ripor- tata da Stobeo (Serm. 2p.) e da Plutarco (p.p.) su i furti minuti è giustissi- ma. Essi sono assai dannosi alla società , perchè al fine del giuoco recano pre- giudizio grande a chi gli soffre .

i6i. Di mal umore era Clerc , quando in proposito di questi versi scrisse, che vel a vctula cogitar i , noe frigidius exprimi potuerunt. Troppo altramente ne sentì Plutarco, il quale nel trattato de liberis educandis, esortando a col- tivar la memoria de' fanciulli assiduamente, soggiunge: To jàf 'Hrióititn xa- X«; «furia : Ei 7«p etc. E veramente questa e una verità universale applica- bile a mille temi , cioè a tutti quegli , ove si tratti di far conto di cose pic- cole , perchè la lor somma reca grandi utili, o grandi svantaggi. Per ciò è che Proclo l'illustra coli' autorità di Aristotele : Recte ait Aristoteli^ pess^- munì esse quod dicunt : non hic ve.rtitur cardo rei ( ìd est non est rcs magni momenti) . Si enim ùngula contemnantur ut parva , male quidem rem geremus . . . nam dia quaecumque per singula jactura magnum efjìciet contemnentibus de- trimcntum .

(a) Ib.cap. p. (b) Segneri M. 17. Giugno (e) Heinsius adii. Iiyl. Theo- eriti v. 1S7. Warton ibidem . Benedictus ad I. Od. Olymp. Pindari . Anna Fabri et Th. Graevius in Callim. ad Hymnum lì. v. z5. et III. 226. et alii complurcs. (d) Ofàtionei veterum pag. S16.

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3rf3.*0{ J" tV i»w< pe'ft; etc. @ui vero purtis adjicit , is vitabit atram famem . Nota , che a' tempi di Proclo era altro 1' ordine di questi versi ; essi erano collocati , ove ora stanno i versi 370. 71. e 72. 11 luogo più opportuno pare che sia questo ; quando parlato di fresco degli uffizj verso ogni genere di persone, e de' contratti , che si fan con gli amici; prima di passare agli uffizj di padre di famiglia , si parli qui de' contratei che fannosi col fratello , e coli' amico . Ma ancorché ci sia qui un piccol disordine di collocazione , Esio- do era uomo era, attempato, era in una stagione, in cui nascevan le letle- re , per così dire ; 1! aver fatto quel che ha fatto è un prodigio .

Ivi . Comincia la terza classe de' precetti ; i domestici , o vogliam dire gli eco- nomici, primo de' quali è accrescer le rendite. Il fine della facoltà familia- re; dice Aristotele , è la ricchezza. E Cicerone nel 1. de Offciis: Res familia- ri* primum parata sic nullo ncque turpi quaestu, ncque odioso .. . deinde augea- tur ratione , diligcntiu , parsimonia .

36"?. O.'xo/ /Ss'XTEfoy uvea-. Domi melius est esse. Altro precetto di buon padre di famiglia, aver cura dell'acquistato. Ovidio si esprime così:

Non minus est laudis , quarn quaerere , parta tueri (a) . Quindi prescrivono, che in casa vi siano stanze opportune a custodir tutto. Senofonte : Steca tecta frumentum ( exposcunt ) , numida vinum , illustrata quid- qutd operis , et supellectilis petit lucem \b) .

Ì68. "Af^a/CÈi'a £ì iri'9-» etc. Quum icliniltir dolium , et fere est epottim , satu- rare , medio pai ce- Proclo, Tzctze , Eustazio al XXIV. della Iliade rendono di questo detto di Esiodo una probabile ragione; ed è, che il primo vino si beva nella festa detta lìiS-oiyia , quando non era lecito escludere dal berlo nemmeno i servi; il fondo è mcn buono, perchè vicino alle fecce; il me- dio è l'ottimo. Plutarco poi (e), e Microbio (d) ne rendono una diver- sa ragione ; ed è , che il sommo del doglio, confinando più con l'aria ni- micissima del vino, dee averlo inen buono, e così degno di finir presto; il fondo del doglio per le fecce alle quali è vicino , dee esser men buono e de- gno di finir presto; in mezzo sta il miglior vino.

Ivi. Due modi v'erano di conservare il vino presso gli antichi; l'uno en- tro i dogli, e questo era il metodo antichissimo, e de' tempi eroici : 'Ek vi'$oi oìvoto TaXouà ù&viri-aio , ibi vero dolia vini veteris jucundi (e) . L' altro era colare il vino , e trasportarlo da' dogli in vasi minori chiamati seriae , diotae , amphorae , riporli nelle apoteche , e lasciarli quivi invecchiare per qualche anno; il qual costume cominciò tardi in Roma: Apothecas fuisse, et diffundi solita vina anno DCXXXI/I. Vrbis , apparet indubitato opimiani vini argumen- to (fi.

36p. imvil <T ivìnru^ixivi ipetia. Einsio seguito da Gievio cangiò £«*>) gravis in d'i/Xw', com'egli spiega , sera, senz' altra ragione, che un testo ne' cataletti

(a) Artis Amat. II. vers. i3. (£) Oeconom. pag. 844. (e) Sympos. VII. quaest. 3. (d) Saturnal. 1. Vll.cap. u. (e) Odys. ll.v. 340. (/) Plin. H.. N. lib. XIV. cap. 14.

204

di Virgilio , in cui trova sera parsimonia . Benché Einsio tanto ai fidi della sua lezione, io non la stimo la migliore: primo, perchè tutti gli Scoliasli si vede che ¥ hanno postergata; secondo, perchè la lezione scartata dall' Ein- sio è piena di sentimento , e di vigore . Moseopulo tttviì chiosa ^satiri» , per- niciosa , e Tzetze di ciò per ragione, perchè *' Tpui; ìvo^Xù ^ Xvirù , faex turbat et dolore aflìtit. Per risparmiare adunque fatte molestie a se,

e a' domestici, quando il doglio è al fondo, si finisca prestissimo, e non si aspetti che lungamente durando pregiudichi alla salute.

370. M/j-5-of <f' *»<(•?/' ip/X» etc. Merce* autem humi'ii amico constituta suffi- ciens esto . 1 versi 370. 71. 72. mancano in molti de' nostri codici, e sono nel comento pretermessi da Tzetze . 11 primo di essi fu ascritto a Pitteo zio ma- terno di T«seo da Plutarco, e da Aristotcle(a). E forse riconobbero que' ver- si come di Esiodo contro il parere di alcuni critici, credendogli inseriti, come nel Vida sono alcuni versi di Orazio e di Virgilio innestati .

371. Ka* it xasriyriirip etc. Edam cUrn fratre Inderai testerà adhibeto . Proclo estende questo precetto ancor agli amici; giacché vero è quel detto di Dio- ne Crisostomo (b) , che può dirsi dell'uomo etfme della, Fortuna, che non ei sa se deggia perseverare nell' amicizia lino al di seguente.

Ivi. yiXàraf , per giuoco t giustissimo precotto per tutte le azioni odiose; onde passato è in proverbio quel ridendo dicere verum (jtiis vetet ?

372. n/yf/{ cT ùfet etc. Credulità* pariter et dijfide-nti-ti perdunt homines. Fe- dro addotto qui da Gujeto : Periculosnm est credei e , et non credi re {e) . Aga- mennone , Alessandro , Giulio Cesare per grandezza d' animo crederon troppo a' lor traditori, e n' ebbon morte: Caligola, Comodo, Cuicalla diffidando di tutti, vennero in odio a tutti, e n' ebbon morte. Non vi <■ leg-ola più sa- via , e più generale di quella , che Isocrate a Demonico , che conviene diffidar dc'eattivi , fidarsi de' buoni, iti% htovm?oÌ( diri-ùv ,mì; j;f»co?f Tifivi <v (-li .

373. M*J| ywj» etc. Nec vero mulicr etc. Non male questi due versi , addotti anche da Stobeo al Sermone 83- a' tempi di Proclo eran congiunti con que- gli , ne' quali si raccomanda di tenere il vitto custodito in casa; perciocché a questo precetto siegue naturalmente quell'altro di custodirlo però da'la- dri , quali sono le donne di mal affare. E per meretrice, o conciliatrice di amori, intcndon qui i grammatici quel yurt) , che ha due epiteti. L'uno è ire) o$ó\of , che Suida alla medesima voce , e Polluce nel libro 11. capo 4. e gì' Interpreti spiegano nates exornans . Allude , come Tzetze interpreta , ad una zona, che per di dietro stringeva le stole muliebri, o come il Clerc imagina , a un nodo che per di dietro le fermasse, lo che ho veduti infinite volte ne' bassi rilievi e nelle statue gli ornamenti delle donne greche, non ho mai notato, ch'io mi ricordi, tale ornamento. Tzetze lo ha veduto sol nelle Peoni , fatte schiave da Basilio il grande. Inclino dunque a un'altra sentenza , che suggeriscono Suida , il grand' Etimologico, Esichio ,e gì' lnter-

(a) Operum T.l. p.2. (b) Orat. LXX1V. (e) Lib. 111. fab. io. (d) Orat. I. pag. 12.

205 preti di Esiodo , che la voce .vuyt*TÓ).ot deducono o da truyà-j cubittu , o da nruydrie» , eh' è secondo Eustazio riferito da Emilio Porto, lo spazio che corre dal cubito al dito mignolo . Questo ornavan le donne con T6e/,i3fax'5;''0'5 . at- millis , e con tSct*.rv\iois annuita; onde sia ornata nelle braccia , e nelle mani. la quale spiegazione ancora ammetteTzetze nel comento, enelle Chiliadi (a).

374. A'/ut/X* x4it/XX»t-«, tioV fidarci xaXnh , Blande garricns , tuum inquirens ho r retini; xuriXXuva è l'altro epiteto . Kwr/Xa è rondine in Anacreonte, e in Simonide, come osservan gli Scoliasti. E in Teocrito un ignoto sgridando

Prassinoe, e la compagna della loro femminile loquacità, dice Tlaóva&y « ij'aroi àvàvuia xaiTi'XXa/ircu , Desinile, o miserae , inutiliter garrientes(b) . Ivi . xaXinv spiegano alcuni tugurinm , altri non so con qual fondamento sinum , qualche lessico horreum , a cui conformandosi il Salvini, e noi stessi spieghiamo granajo. Moscopulo chiosa quel infiora xaXmV , voXvrrfayuovìra ■ri* oixiar , che spiega l'affaccendarsi in una casa; Esichio ?»i»j« , eh' è quel cercare , o frugare per casa .

375. "O; <5ì yiwouxì wiiroi!rt , triirotb' òyi <t>n\»rriTi , Qtù namque mulieri credit, credit idem furibu*. Lo Scoliaste di Euripide (e) legge yuuax^i' . Plutarco que- sto verso da Esiodo scancello, riconosciuto da tutti , anche dal Sig. Brunck , per legittimo , e conformissimo alla sua dottrina , da cui altre volte abbiam difeso il sesso donnesco. E qui lo fa con ragione, posto che favelli di donne di mal affare, nelle quali non dee supporsi disinteresse.

Ivi. <p*\iirn3-i . Vocabolo, di cui si è dubitato molto, se dovesse piut- tosto scriversi <pi\>ir»Ti . Moscopulo interpretando ànranuriv , par che leggesse pnXnrriTi , come legge anche Tzetze : ma alcuni Scoliasti di Esiodo , testimonio Eustazio (d) , sono stati per la sola seconda voce. La prima , che noi adottiamo, ha per il Codice di Stobeo presso Brunck , e tutt'i MSS. veduti da Robinson , e la maggior parte de' molti che noi produciamo. Ma per salvarne l'etimolo- gìa , i gramatici chi all' eufemismo son ricorsi, chi all' amare ( piXs/V) l'altrui , chi all' ariti frasi, perchè il ladro è piuttosto odiatore; chi lo deriva da vtpi- Xero? per aferesi dell' v, e dell' 1 , e per V ettasi della », nel che riconoscono una figura simile al significato, vedendo tolte , o sia rubate alcune lettere ; e chi ad altre ( mi sia lecito dirlo ) stiracchi erie . In (p»XxT;f{ è chiara la etimo- logìa da QnXia fallo , decipio ; Esichio 1' ammette chiosando $n\»Ty(Ti per X»s-oùf; t»i'XH?, deceptor è presso Suida . Adunque che osta perchè questo vocabolo non debba aver la greca cittadinanza? Ecco. Non dicesi fxXtu , i»Vw ; ma 91- Xo» «Va» , da cui non pnXwms dovrìa discendere , ma <p»Xa>7»; . Ometto che p»Xs<u e riconosciuto dal Costantini; ma perchè si fonda in autorità dubbia, non è meglio dire, che questo verbo ha avuta terminazione in no , e in oa>; ha avu- ta doppia terminazione, com'è avvenuto di molti altri e greci e latini; che ricorrere a tante baje grammaticali ?

(a) Chiliad- CCC. XV11I. (b) ldyl. XV. vers. 87. (e) Med. vere. 426". (d) lliad. II. vers. 154.

33

20Ó

ì?6. Mwh^cvk'j cfe »«';•{ etc. Unitoli vero Jìlius servabit paternam domum . Sen- za far menzione de' pareri diversi , che ci sono stati riguardo all' ordine, e alla coerenza di questi versi (ciò ohe inutilmente ci occuperebbe lungo tem- po) espongo il mio sentimento, e non ne dispero l'approvazione. Lascio in primo luogo al posto loro i versi , ne muto l' interpunzione ; e al tcgto fo luce con un verso di Virgilio, che disse:

Sala domum, et tantas servabat filia sedes(a).

iyy. Ma come un sol figlio conserverà la casa? Han finora risposto pascen- do. Or com' entra qui tutt' a un tratto la pecuaria? E dato che v'entri, che bisogno ci è di applicarvi un tìglio , che dee conservare ed accrescere il patrimonio, e dalla cui assistenza si promette il Poeta l'ampliamento della famiglia, quando a tale uopo di pascere il gregge basta uno schiavo? Non dunque- col pascere, ma col sussistere conserverà , e crescerà l'avere paterno. Conseguentemente non ispiegherò co' passati Interpreti fif^i'/jai , pascendo , come sol permettendo tale interpretazione feci altra volta; ma autriendo , e educando . Mi fa scorta Tzetze , il quale a quella parola fa questo comento : arri ii TfiQi&cu , a cui va d' accordo Esichio : ^it/ìtrou , r fiottai .

378. Eccoci al verso, che come indegno di Esiodo fu scancellato da Pro- clo, da Plutarco , da Aristarco; da' quali ebbe nota d'inintelligibile, e di superfluo. Ma queste note non son bastate anche al Sig. Brunck per omet- terlo . Con quelle parole y»(xtèf <fì 5-dvou; non comanda al fratello di morir vecchio ; glie l'augura, e lo conforta a procurarlo . Con queir altre poi ìrifor Tcùif' iyx.ctm'kttnruv , alium filium relinquens , gli raccomanda in primo luogo di assicurar la successione, che non avendo che un tìglio è molto incerta : in secondo luogo lo preserva dal vedere fratelli in discordia, com'erano stati essi due. Due fratelli l'uno grande l'altro piccolo non contristano mai il padre con la discordia

37p. 'P«a Si xiv etc. Facile vero et pluribus Juppiter praebebit ingentes opes . Va incontro alla difficoltà dello scarso patrimonio, che non permette più di un tìglio ; dicendo che Giove può arrichirne più d'uno.

380. nxùuv fxìn v'Kìó/uj (liXiiti , /un'ifwv i' ìvi$nx* , Major plurium cura, major autem accessio . E' ambiguo nel testo, se si tratti de' tìgli, i quali più che sono, più dan pensiero , ma più facilmente possono arricchire; o degli averi , i quali più sono e più dan pensiero, ma più facilmente si accrescono, lo contro il parere di qualche Scoliaste sono per la seconda sentenza . E la ragione che mi persuade è , che (ut Xew , ed sVi^wx» si riferiscono agli stessi , che non po- tendo essere i figli, son dunque gli averi. 'Eviii'xt non è altro, che giunta a ciò che v'era, accessio, appositio, o come traduce Kustcro ad Aristofane nelle Vespe v. i382. è mantissa. Questa è più facile a chi è già ricco. Plu- tarco (b) racconta di Lampide , che domandato come avesse fatto ad acqui- star tanta roba : il poco, rispose, ho acquistato con difficoltà ; il molto eoa facilità per la maggior copia de' mezzi, e de' ministri.

(a) Aeneid- VII. yers, 52. (b) Tom. II. pag 787.

2°Z

381. So/' tf' « irXs'ra Swuj't ìiXiimi tv qqivìv [fo-o. 11 devio in vigor di un solo MS. (che basta a chi ha smania di correggere) mutò jiV/v in enn, la qual lezione Robinson dichiara contra'ria a tutt' i Codici) che vide ; ed io, per- chè contraria a quasi tutti i miei MSS. non so approvarla. E mi pare alte- rata la spiegazione, che il devio aggiugne tua si opes mens appetti in ani- mo tuo , benché Plauto e Catullo abbiano mens animi , il che non importa mol- to al caso nostro . Più naturai parlare ( e più fedele tradurre sarà : libi vero si animili appetii opes in suis cogitationibus ; eh' è la spiegazione che Mo- gcopulo : <to-j ti -{vx* <* ivi&uu* irXouiK ìv Tjù i'ai/jiìj XoyartJitf) .

382. TiW' ìfiuv ttf" H t tir' lfy</> t'?ic%i&cu , Sic facito , operamque operae subi'ide addito. Dante in simil concetto :

Perch' egli accumulando duol con duolo (a) . Cominciano i precetti di agricoltura , necessar j anche a' padroni , benché occupati . Era occupatissimo dalle civili , e letterarie faccende il celebre Pre- sidente di Montesquieu ; ma non perdeva per questo di mira la direzione della sua Ttrra di Brede (6) . Era anch'esso occupatissimo il Padre di Temistio ; e nondimeno l'agricoltura era il suo divertimento (e) .

383. Yl'X.niàiav etc. In qualche Codice, in Melantone , Crispino , Enischio , Wirterton, Einsio , è qui segnato il libro 11. e nella edizione di Aldo vi è lettera majuscola , per accennare , che qui comincia un libro nuovo. Noi in vista de' codici, e delle edizioni migliori, che omettono ogni distinzione, e in vista di Servio, che nel proemio della Georgica di Virgilio chiama le Ope- re di Esiodo librum ,e non libros , lo consideriamo come un solo. Picciola va- riazione è quella che si legge in Massimo Ti rio irifiTeWo/xweiuv .

Venendo al testo, il Petavio nel Tomo 111. Parte II. capo p. congettura , che a' tempi di Esiodo sorgesse la lucida delle Plejadi circa agli il. di Mag- gio ; l'ultima a' lo\ nel qual tempo cominciavano in Grecia la messe : perchè seguendo gli antichi Greci l'anno lunare, era fallace l'indicazione per via di mesi : di che è da vedere Galeno presso Petavio medesimo al Tomo 111. Parte li. pag. 94. Quindi in cosa di tanta importanza si ricorse ad un punto fisso, cioè al nascere e al tramontar delle Plejadi. Delle quali anche Filo- ne (d) scrisse così .' iuopivw yùf àuXuxi; àva-ri wvoyjxt •afa; air^ov etc. nani quum occidunt , sulcos secant ad sementerà i quum autem nasci proximae sunt , messevi annuntiant ; et ortae agricolas gestientes ad compoi tationem rerum necessaria- rum excitant. Arato dice che son sette stelle, delle quali sei sole si veggo- no . Igino ne recita i nomi . I Latini le chiaman firgiliae . Queste cose , e molte altre spettanti all' agricoltura troverà il lettore presso il P. Lodovico della Cerda , e il Sig. Heyne nel Comento della Georgica di Virgilio ; i quali libri , siccome han preoccupato il meglio che io potessi dir sopra Esiodo in questa materia, così mi potranno ajutare alla brevità- Nel passo presente ved. il I. della Georg, al verso 221. che appunto dice :

(a) Cantica I. canto 28. (ò) Lastri Corso di agricolt. t.|I. p. Z6. (e) The- mist. Orat. II. pag. 5o. (<i) De opificio mundi.

208

Ante tibi Eoae Atlaniid.es abscondantur .

38J. Af rei vt/KTut etc. Mae quidem noi tcs et dies quadr agiata latent , rur* sum vero vertente anno apparent etc. 11 tramontar delle Plcjadi cosmico , che indica il tempo dell' arare sarà da noi considerato a' versi 6") S. Ora del loro tramontare e sorger eliaco; il qual consiste nell'essere involte nella luce del Sole, e sparire , e nello svilupparsi da essa, e cosi tornare a vedersi : delle quali cose la prima avveniva a'tempi di Esiodo il 3i. di Marzo, la seconda il il. di Maggio : così il loto oscuramento eradi quaranta giorni ni; più meno. E in questo tempo cadeva il fine dell'anno vecchio, e il principio del nuovo. Ma di quale anno? Esso potrìa riferirsi ad un anno naturale, e civile. Infatti Giuseppe Scaligero misura dal sorgere delle Vergilie l'anno civile d'Esiodo. Ma Petavio gli è contro; e vuole che da questo punto co- minci l'anno rustico, non il civile; e par che abbia ragione .

387. to *qeo?Ta xxtctTo-opivoio <rii>i(s, primum ut acuitur ferrum . L'Alamanni imitatore , e spesso traduttore degli antichi (a) .

Mentre aguzzava ancor la falce e i ferri .

388. Ooib'j ni itiiimv -irtìi-mi vópo; , Haec utique arvorum est lex iis qui mare prO' pe habitant , iis qui valles flexuosas colunt . Quanto sia ristretto ne' suoi pre- cetti Esiodo , può mostrarlo questo luogo , ove non fa menzione che di due generi di terreni. Ma ve n' ha degli altri, de' quali si potea discorrere ; tali sono i poggi, e i monti; de' quali Varrone : infimis alta cultura aptior ,quam summis ; quod haec calidiora , quam stimma {b) . E de'luoghi temperati ancora potea tenersi discorso a parte , siccome fa Palladio, che appunto della messe così favella nel Luglio: mine locis temperatis messis expletur (e) . E così dicasi de'luoghi umidi, e degli arenosi , che voglion diversa coltura. Ma per non errare , senza osservar più che tanto il genere del terreno , e il tempo del- l' anno , basta attenersi alla legge di Columclla : aequaliter flaventibus jam satis antequam ex loto grana indurescant , cum rubicundum colorem traxerunt , messis facienda est(d). Al qual proposito niuno mi vieterà di dire , che Co- lumella prefato , e Varrone, e Catone, e Palladio , e Vcgezio ho pi tuto avergli emendati su la edizione Lipsiense di Gesnero ; una delle fatiche del P. Gio. Batista Lagomarsini , dunatami dal Signor Ab. Gio. Batista Lavagna dottissimo suo nipote. 11 P. Lagomarsini confrontò il libro con 1' edizioni del Beroaldo, del Poliziano, e di Jcnson , e con varj MSS della Laurcnziana , e di S. Reparata; ed è incredibile quel diligentissimo Scrittore quante altera- zioni vi trovasse .

3pi. Halwrir , e due versi sopra scrivo icuewW , riducendo le lezioni del Grevio vodutrui , e vouerùuo-i a quel ch'erano prima di lui. Egli le mutò su la fede di due MSS. ed io le richiamo su la fede di quasi io. e di tutte 1' edi- zioni migliori, che invece del dialetto dorico hanno il comune.

Ivi. yuynlt a-rrtiftiVf yufÀvìv ài fiotoisìv , Tujj.)iò> &' o/uat'i/v, Nudus serito , nudus-

(a) Coltivai. II. 158. (b) 1. 6. de R. R. (e) Lib. Vili. e. 1. (d) De R. R. 1.11. C. il.

20C) que arato , nudiis quoque metito. Virgilio su le medesime tracce, Nudus ara, sere nudus (a) ; ove Servio : id est adeo sereno coelo>,ut vestirnentis non egeas . . . nani non dicit nudum esse debere quasi aliter non opurteat , aut possit . Ma a, parola osservò il precetto di Esiodo il Dittator Serrano, o Quinzio Cincin- nato, ad quem missi legati nudum eum arante.m trans Tyberim offender unt , come dice Aurelio Vittore (b). E che ciò non ammetta limitazione (tolto che di una t'ascia per la modestia) ne fa testimonianza Plinio (e.) : Cincinnato viator attulit dictaturam , et quidem ut traditur nudo... Cui viator : vela cor- pus, inqitit , ut profeiam Senatus , popuhque romani mandata. egli fu solo. Sappiam da Plutarco (d) , che i Romani antichi d' inverno lavoravano con sola una endromide, e di estate ignudi.

3p2. « x ùy* TfZ'T ì^iXnSra "EKya xou/jfst&ot etc. si matura omnia vales Ope- ra ferie ctc. Catone: Opera omnia mature conficias face . [iam res rustica sic est ; si unam rem sero feceris , omnia opera sero Jacits(e) .

ìoS. 'il? ^ vùv »*•' ip x\9-t; , Sicut et nunc ad me venisti. Uno de' luoghi più chiari è questo, con cui provare, che quando Esiodo scrisse il poema , eran quietate le controversie col fratello; altrimenti questo non sarebbe ito a cercare il vitto in casa di Esiodo.

3P7- *naXlu , v'iti* n.'f 3-jt , labora , stolide Persa , Opera quae Dii hominibus (per signa j demonstrarunt . Non so come i latini interpreti han tradotto qu>el funx-urifcuno , per labores destinarunt , o imposuerunt . Non adduce altra ragione il devio, se non una glossa, che porta topo^im^cune , e l'Etimologi- co, che 7*x(uoup«.' spiega anche xtxiujxtuxXiw . Gli Scoliasti greci unanimemen- te spiegano come noi abbiamo esposto . Proclo non solo adotta la interpreta- zione ; ma loda Esiodo , quasi bene abbia detto , che gli Dei per mezzo delle stelle , e degli elementi pronunziano le fatiche da farsi , per non avere indi- genza co' figliuoli e con la moglie : permodochè chi solfre penuria non possa rammaricarsi che di stesso.

3pp. irò re a-u'v nrcuit^cri yuxjtuv.i it etc. Ne quando cum liberis et uxore ani- mo dolens quaeras vii tum per vicino* t hi vero negliga nt . Tirteo ha di qua preso la bella pittura del vinto ; con cui incoraggiva i soldati a vincere , o a morire, per non ridursi a mendicare colla moglie , co' tìgli , e co' genitori: TtfV d"' wjth tifoXinrovitt TÓ\tv refì Tiovas uy$ou$

Yliaiziveiv f Ta.iàtv £$■' dvin^óiuiov WXa^ijJtaiov aùv (U«Tpj iqìXij ^ trarci yifOvri , ììouri 7t cu* {iix(oì( , xoutt£i* r à^óxi> (f) At siquis urbe sua, pinguibusque arvis rtlictis mendicare cogitar, hoc omnium est miseri imum, vagantem cum cara matre et sene parente , cum parvis filiis , et adolescenttda uxore .

404. •fcpajfea'Sou ■jgnùv \ùciv, Cogitare debitorumque solutionem. Non so se

(a) Georg. 1.2pp. (b, De Virisillustribus. (e) H- N.lib.XVllI. c.3. (dj Plu- tarch. in vita Catonis majoris tom. 1. pag. 337. (e) De R. R. cap. J. (/) Tyr- taeus in fragm. ap. Lcttium pag. 732.

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2 IO a' tempi d'Esiodo, e se in Ascra fosse la consuetudine, che dagli scritti di Nicolao riferisce Stobeo (a) : Baiumv ivim etc. Ex Bucati* nominili tus qui debitum non solvnnt in forum dedtictos , et sedere jùssos cophino superinjecto cooptri- unt : qui autem hoc passus fuerit ignominiosus est . Hujusmodi ignominia etiam Euripidis pattern Boeotum genere nutatum [jutant.

405. Oiaov fiìv 'Sfurila ctc. Domum in primis , feminam , bovem aratorem , fe~ minam, inquamsnon uxoiem. Tre cose in prima comincia a consigliare al fra- tello di provvedere; la casa, una donna che la guardi, i buvi aratori. E quanto alla donna , si controveite se debba intendersi la moglie ,o debba ri- ferirsi quel yiwcùxa a quel x«m>,8 ya^fàny che vien dopo; siccome fanno tutti gli Scoliasti , lo Scaligero , il Gujeto , il Grcvio ; dal complesso de' quali non mi fo lecito di dissentire- per aderire all'Einsio e allo Zanolini , che spiega- no uxorem. E' vero che Aristotele l'intese anch'esso per moglie (b) ; ma gli falli la memoria , facerido punto fermo dopo questo primo verso , ed esclu- dendo il secondo, ov' è la dichiarazione della parola juìom<« ; come conget- tura lo Scaligero . Ripugna al 1 ilusofo , oltre gli autori soprallegati , il re- sto del poema , in cui prescrive a Perse di aspettare al trentesim' anno ad ammogliarsi, ove la donna , di cui qui trattasi , dee provvederla subilo insie- me con la casa, che dovrà guardare, e co' buoi , o le vacche, secondo il Gujeto , che dovrà seguire alla pastura.

407. Xpifuserat d" àv oix.tj> nravr àfuua iroix'eaerS-at , Instrumenta vero domi omnia apta para. Quel Cresino , che fu accusato di avere per incantesimo trattele biade da' poderi d'altrui nel suo, perchè il suo podere, tuttoché picciolo, fruttava più degli altri : instrumentum rustiewn omne in forum attulit , et ad- duxit familiam validam , atque , ut ait Piso , bene curatam ac vestitam , ferra- menta egregie fatta ,graves ligones , vomere» ponderosos , boves saturo*. Postea dixit : Venefioia mea , Quirites , haec sunt (e): tanto importa quel precetto, che sicno acconci gl'istrumenti rusticani. Le altre cose altrove le raccomanda.

411. xaXin'v horreum . 11 grand' Etimologico (d) spiega questa voce per casa di legno ; accorda però che possa abusivamente prendersi per casuccia di pietra , e cita questo verso di Esiodo .

413. A/« JdfjfioXiifyò( àvtìf arrivi vaìaiti , Semper autem dilator operum vir cum damnis luctatur . Questa cosa, come interessantissima il mesticr dell' agricoltura > ha accennata Esiodo di sopra ; e torna ora a raccomandarla , come fa replicatamente Columella : Praelabentis vero temporis fuga quarti sit irreparabilis quis dubitati ... Res e*t agresti insiliosis.-ima cunctanti: qtiod. ipsum expressius vetustissimi^ auctor Htsiodus hoc ver su significava hìù etc. (e).

417. <rti&i>i «V" f > cosi chiama il Sole da viificittn , che signiKca ì-àpTuii corti- scare, fervere . Proclo .

418. Kn(iT(Hfiuv àv^fùiruv, hominum fato nutritorum. Corrisponde alla frase ebraica filius fati , filili» morth .

(a) Serm. XL11. pag. 2p3. (b) Oecon. I; cap. 2. (e) Plin. 1. XV111. cap. 6. (d) V.*«W. (e) Lib. Xl.cap. I.

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420. *Huo{ ài immuni . 11 Gujeto corresse to.uo; tunc , e consente gran parte de' MSS. Ma l'antica lezione è assistita anch'essa da molti codici; dalla glossa del codice di Loesnero , che comenta óra; dalla interpretazione de- gli Scoliasti ; e dal senso istcsso , che il lìpos riserba al verso seguente .

422. T<T/uo{ af' j/àoro,u«v ctc. Tunc sane Ugna secare tempestivum esse opus me- mento. Esiodo circa la ulotomia si spaccia con due avvertenze, che si fac- cia d'autunno, e quando l'albero si sfronda, e cessa di metter germogli : e accortamente, perchè l'albero essendo meno abbondante di umore, è meno soggetto ad inverminire. Molte altje avvertenze , e con distinzione da pian- ta a pianta, troverà, il lettore in Catone (a) , e specialmente quella della luna scema ; il qual precetto è confermato da tutti gli antichi, e specialmente da Plinio , il quale aggiugne , che infinitum refert lunaris ratio , nec nisi a vi^esima in tricesimam cardi valunt(b) ; raccomanda che tagliato l'albero iino al midollo , si lasci stare iinchè ne scoli l'umore . Si ridono i moderni di ogni lunare avver- tenza, e brevemente consigliano, che il taglio si può fare in tutt' i tempi, ma meglio e nell'inverno, dopo colte le ghiande . Così il dotto Sig. Dott. Otta- viano Targioni Tozzetti (e) .

423. "O\ftov pìv T(iiroiU'j ràumv , Mortarium tripedale quidem seca , pistillutn vero V icubitale , axemque septempedalem . Vedesi , ch'Esiodo per queste mi- nute descrizioni di misure, e per quelle^ che troveremo poco appresso , fu de- riso da alcuni . Plutarco , come attcsta Proclo , ne prese la difesa ; e lo scusò dalla microli'gìa coli' esempio di Platone, che descrivendo i vasi delle case, avea anco parlato delle misure loro ; e con l'esempio di altri antichi, i quali trattando degl'inventori delle cose utili, e giovevoli alla vita umana, avuti gli avevano , non optante la picciolezza delle cose, in sommo onore. Al qual proposito riferisce che i Pitei avendo trovato il doglio Tli$ov , da esso furon. denominati . Aggiugni Stolone denominato da' sermenti , che primo recise .

Ivi . Circa il mortajo , e il pestello , è noto che gli antichi se ne serviva- ne per pestare il grano , o il farro , e quei che in Roma faccano tal mestie- re nominavan piuores ,,d) : perciò fra gì' istrumenti della vigna si computa il mortajo da frumento (e) . Ma era in Roma a' tempi di Plinio di pietra ; e quel di legno riserbavasi alla zea , ne lapidis duritia corner at (f) .

425- E/ ii x.tv òxtwiróin' etc. Si vero -octopedalem et malleum inde secueris . Tzetze è molto inquietato contro il carro di Esiodo, che chiama disadatto. Lasciamolo nel suo mal umore.

426*. Tfisvi'^afiov J" à-\m m/jiviiii iexaiù(u ùftà%ri . 11 Brazzuoli traduce : T rispannale la volta della ruota Pel cocchio taglierai diecispannale . Ma nel testo è diversità . La misura della carretta , che il Brazzuoli traduce cocchio, è il doro,o sia il palmo minore, detto anche iraXaif » , e traìà/in , che

(a) De R. R. c.Jl. (h) Lib. XVI e. 3p. (e) Lezioni di Agricoltura t. VI. p. .112. (d)Plin.Hist.Nat.lib. XVlll.c. u. (e) CatoDe R. R. e. 14. (/)Lib. XVI11. e. II.

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acconciamente il Salvini traduce palmo . La misura poi della ruota è lo spi- tamo , che Plinio traduce dodrante > il Salvini spanna , adattamente, per- ciocché questa è la misura che corre nel palmo aperto dal dito mignolo al grosso; quanto Polluce \a) e Proclo ne pone nello spitamo. Or è una gran differenza fra il doro, o palmo, che non ha più di quattro dita , e lo spitamo che ne ha dodici : onde in queste due misure dovea il Brazzuoli mutar frase.

Ivi. Quistionarsi potrebbe, se questo carro con ruote sia il carro ,che ser- ve a' trasporti v. gr. delle biade; o il carro che forma parte dell'aratro: per- ciocché fu in uso presso gli antichi, specialmente Galli, un aratro con ruo- te, poeticamente chiamato carro; il qual Virgilio descrive in quel vorso :

Stivaque quae cui rus a tergo tonjueat imo* (b) . Dico currus , escludendo coli' Heyne il cursus, che un erudito Britanno so- stituiva. Non pare che possa dubitarsi della soluzione. Chi ha veduti gli aratri con ruote, che sono ancor oggi in moda, specialmente in Lombardia , conosce subito, che in niuna maniera si adatta la loro costruzione alla de- scrizione del carro di Esiodo , il quale dee aver dieci palmetti di lunghezza , e ruote ben alte . Anzi non credo che a' tempi d' Esiodo fossor note le ruote agli aratri . 1 Leontini certamente non le conobbero ; altrimenti io memo- ria di Cerere , che loro insegnò 1' aratura , come nelle medaglie hanno effigia- te tre mode di aratro , non avrebbono omessa questa quarta : e in uno de' più antichi monumenti dell'aratro che ci rimangano , eh' è nel Museo Etrusco (e) , non si veggon ruote : di esse fan menzione o Catone , o Varrone, o altro degli antichi, da Virgilio in fuori, almeno ch'io mi ricordi.

427. UóW ivi xauvuXa *à\a tpi(ar yvlm òr àv tvm , Multa praeterea curva Ugnai ferto autem bwim ,qtium inveneris etc. Si consiglia primieramente a cer- care una bura di leccio, yunr . Virgilio dice, che a' suoi tempi si curvava a forza, e per qualche tempo si lasciava così curva crescere ed ingrossarsi, finché fosse a tiro di mettersi in opera per 1' aratro : e faceasi d'olmo : Continuo in sylvis magna vi flexa domatur In bwim , et curvi furmam accipit ulmus aratri {d). Ma a' giorni d'Esiodo era una fortuna, che rade volte toccava, il trovarne una di lece i< specialmente in Beozia, ove dice Plutarco presso Proclo, il leccio era legno raro: quindi se trovaci , vuol che a casa si porti.

Ivi. Il Sig. Heyne definisce cosi la bura : tignum dlud incurvatala , cui m temo junctus est (a parte anteriori) et vomcr ìpse (a parte inferiori) : a cui si potrebbe aggiugnere et stiva (a patte posteriori] ; perciocché l'aratro è com- posto specialmente di queste parti , buri , timone, vomere, dentale , e stiva. Esiodo , ed altri gli han denominati yiint, ìco/iotut, ù* n , fìu/ua, ì^t'rAa; ma •queste voci sono, tolto il Grevio , tortamente esposte da' lessicografi , e da- gì' interpreti . Non mi distendo molto a spiegarle , siccome pure fa il Ccrda ; notando, che l'intendere tali cose è mestiere degli occhi, più che delle orec-

(a) Lib. ll.segm. 157. (b) Georg. 1. v. 174. Heyne pag. 221. (e) Tom.!. tab. extra ordinerai . (d) Georg. 1. v. \6$.

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chic. Rimando pcvtiinto il lctiOTe alla edizione del Clero, o del Locsnero , «ve in un rame vedrà la forma dell' aratro, o in esso le sue parti, tolto il dentale , coperto dalla estremità della bum , e il timone nascoso fra' buoi .

43o. E-Jt' ò» 'Anitra»»? <fuuv; |'v ìXvuvti ir li %* , Si Palladi* fanmlus dentali in» ,/n>ercv . Chiama servo di Pallade il fabbro, quando pare doversi chiamare ser- vo di Vulcano. Ma Platone, oltre altre similitudini che trova fra l'uno e l'altra nel Clizia, osserva anche questa ; che amendue son chiari per inven- zioni di arti , e per isludio di sapienza . E veramente Minerva ha il cognome di Eigane da questa sua proprietà fa), e Giuliano Augusto (ò) : 'Ojàis, dice , óVa fjjvfw i»{ 'Efyavti; 'A*»>«^ Jùfx, Videte a Minerva Orefice quanta in nus de- rivala tini munera .

Jot. Traduco iìufj-xn dentali . Un egregio Comentator di Virgilio vuole , che dentale e vomere sia una medesima cosa , persuaso da un luogo di Co- lumella, ubi Celstts censet exiguis vomì ribus et dentai/bus terram subigere (e) ; quasi l'autore abbia que' due termini usati per due sinonimi Ma veramente par che non siano . Servio gli distingue : dentale est lignum in quoil vomer in- cluditur {d) . Proclo parlando dell' tXufix , che corrisponde a dentale, dice, » Si iXoyu itti iix/zXti&tv «$ ti r»v vvviv xais'^o.' ty\ov . . . ( ujviv » o-iJnfov ) . nn fi i>.uii5Ti T((in' fuo^at àva>$tv , i/j/ìeji^Htuivev «f àvà ii v.oì\cv òv : est id quoti inseritur in lignum, quod vomerem cominci .. .{vomerem seti ferrimi) . Hoc vero dentali aptatur desuper, insertum in ipsum quod cavttm est . E dovendo il den- tale far forza a premere il suolo, ed affondare pia che si può , acconciamente ordina, che sia di dura quercia. Fa difficoltà quell'in lignum, quod vome- rem aontìnet ; ma questo legno, a parer mio, non è altro, che la estremità della bura, in cui è contenuto il dentale, che perciò non si vede.

43'. riuipoiTiv irt\d?*% ■afonxfiifemt i^o,3nìii, Clavis conjungens temoni adapta- vcrit . Ecco 1' uso della bura. Si dee conficcare sotto , o sia dopo il timone , e sopra il dentale . Esiodo non prescrive misura al timone , Virgilio gli otto piedi. Notisi che Tzetze per chiodi intende o veri chiodi di ferro, o anche zeppi di legno.,

4?1. A312 Ai $ìt$cu ajsTp'z etc. Bina vero facito aratro laborans domi , non compositum , et compilatile . L'uno e l'altro aratro spiega Eratostene presso il Grevio , e meglio Proclo nel suo cemento , ove dice: « >J.ìv àv etc. Si igitur unum lignum totum sit buris usqtieadjugtim ab dentali , vocatur aratrum ùu- ibyvov non compositum . Qtium vtio bnris minor est quam oporteat , inseritur ipsi alitici lignum conjungens i; sani , et jiigum , ef vocatur totum aratrum campa- ctum , lignum vero insertum vocatur temo.

4H E;* x 8Tf°" y à%ai; etc. Si quidem alterum fregeris , alterum bobus ir.ij- cias . Non sol degli aratri, ma di tutti gli altri rusticani istrumenli , consi- gliasi avere il doppio del bisogno, perchè non si stia in ozio in caso che un *i dirompa: Exhoi tandus est {villicus) ad instrumeutoi um , ferramentorurnque

(a) Aristid. orat. in Minervam. (Zi) In fragmento orationis pag. 5Jl. (e) Lib. II. cap. 2. (d) In I. Georg, p. 77.

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curami ut duplicia quarti numerut servorum exigit , refecta , et repasita disto- diat , ne quid a vicino petendum sit . Così Columella (a).

4.3;. Avpr»; J" »" itt(M'h( etc. E lauro uutem , vel ulmo firmiisimi temones sunt; e quercu dentale, ex ilice burini (compartito) . lrn/ìaiii'i voce di controverso significato; e perciò dal Pasore nell'indice di Esiodo reso temo, e stiva. Si è notato, che Proclo quantunque come fa Tzetze , lo renda per timone, ag» giunge : Xiytrai nrrtf tvi'oif ^ perà riv ìxirXmi %v\ov : il che favorisce chi tra- duce stiva . Così fanno quasi tutti gì' interpreti latini , e gì' italiani che ho potuto leggere; giacché fra questi è il Soave , che commesso più volte in Milano, mai non mi è giunto. Solo ho trovato che spiegan timone fra latini il Grevio , fra gì' italiani il P. Pagnini , i quali, quantunque forse soli , io «e» guito; parendomi improbabilissimo ch'Esiodo avendo usato ì^to,3oiuì in signi- ficato di timone a' v. 43 [. come gli avversai) concedono , pochissimo dopo , cioè a' ver. 435. lo usi in significato di stivu . Si può aggiugnere .( ma per me- ra erudizione) che il timone con due piccole ruote fu presso alcune nazio- ni arnese ancor di soldati , che il portavano a tergo raccomandato ad una tenuta, e le due ruote sorpassavano notabilmente il capo. V. Win- ckelmann Storia delle arti del disegno: Tom. 111. tav. 22.

436". A?fò? fXufjia. Pare al Brunck , che a render ragione di questo vergo, convenga dirlo acefalo, cioè cominciante con sillaba breve; alcuni de' qu ili versi trovansi ne' poeti solo antichissimi, come in Omero +. 2. giusta Ateneo pag. 6"32. Ma vi è altra maniera di sanarlo: può Ap:/o'{ ridursi ad una lunga per sineresi dell' & e dell' 0. Esiodo debb' essere pien di licenze , giacché anti- chissimo: le leggi di gramatica e prosodia severa son fatte da' posteriori in gran parte.

Ivi. Gei &' ivvotntifu etc. Boves vero dttos novenne» etc. Fa qualche difficoltà la età richiesta ne' buoi , nella quale Vairone dissente molto da Esiodo : lgi- tur de omnibus quadiupedibiis prima est probatio; qui idonei sint boves , qui arandi caussa emuntur , quos rudis , ncque minori* trimos, neque mujoris qua- drimos parandum ; ut viribus magnis sint ac pares , ne in opere firmior imbrcil- liorom confiUat . . . . tum ita subigendum , ut minutatim assuefaciant , et tyiontm cum veterano adjungant ; imitando enim faciliti* domantur {b) . Ma la discordia si concilia così: Varrone parla di un fondo avviato già, in cui sian bovi vecchi, e per cui servigio si comprino giovenchi giovani, i quali possano imparare da' più attempati. Esiodo parla di un fondo in cui non sono buoi più attempati, che possano ammaestrare i più giovani. Convien dunque pren- dergli di qualche età.

441. Tei; &' ifia etc. H >s auttm simul quadragenarius javenis sequatur pa- ttern coenatus quadi ifiilum , octo fritstorum . 1 pani conosciuti dagli antichi eran di quattro specie, dice il Sig. Targioni (T. 1. p. 99- ) c quello che dft Ta- ti a' servi era il confusanco , o anche il furfuraceo; e i pani erano comu- nemente divisi in quattro parti , come costa da molti bassirilievi , un de' qua- tti) Lib. 1. cap. 8. (b) Lib. 1. cap. 20.

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li è in Roma in San Grisogono (a) . None pero che nell' Ercolano non se ne sian trovati divisi in sei , e in sette parti (£). Perciò si spezzava senza coltello, sicché presso gli Ebrei fractio panis è quanto mangiare. Ateneo tali pani chiama /3Xwu<Xi's{ à?r*s, to; {)ro*mt ìvmfjàf , s? 'Pv/Jcùoi Koi^àim; "kiysiri , habentes incisuras , quos (panes) Romani quadratos diclini (e) . Or un pane di quattro quadre vuol Esiodo che spacci il suo bifolco in 32. morsi (che tali tono nel greco i /SXafzoì) sicché non ispenda più di otto morsi o bocconi in ogni quadra. La spiegazione e degli Scoliasti.

444. Mhxs't/ vawmivaiv pe8' ó|U»'X(xa; , Non amplius circttmspiciens aequales . Columella consimile precetto rispetto al villico , che sia alieno da' diver- timenti venerei : quibus si se dediderit , non aliud qiudquam possit cogitare , quam illud quod diligit (d) .

445. ni f in fe«i)TEfO{ «XXo; àuàvoiv ctc. Hoc vero neque junior alius melior ad spargendum semina , et iteratam sationem evitandam . Columella : Unum enim ac solum dominatur in rusticatione : qnìdquid exigit ratio culturae semel face- rei quippe quum emendatur vel imprudentia vel negligendo jam res ipsa de- coxit (e) .

448. •t'fa'IfeffS'a» &' evr' àv je?avn tfuvilv iiraxiarii; , Considera vero quum vocem gruis audieris . Picciola variazione è nelle edizioni migliori ifuviìv yz^dva , ma da emendarsi , perchè contraria a quasi tutti i MSS. 11 resto è quasi un pro- totipo imitato da molti poeti, specialmente da Arato v. 1010. e 107?. e da Aristofane, che così introduce a parlar gli uccelli (_/") : Tl?ùm f*tv etc Pri- munì quidem anni tempora nos designamus vcris , hyemis , atitumni, ut serant qtiando grus clangens in Lybiam migrat. Ove è da notare, ch'Esiodo parlò della partenza verso la Libia , non della venuta delle gru , la quale suol suc- cedere in primavera; allora segno dell'aratura , che precede la se- mente. Dico questo, emendando il Ch. Salmasio , che in parlare delle tre arature ha tolta per voce della gru vegnente la voce della gru che parte , citando Esiodo (g) . Nel resto tal gita si eftettua dalla Tracia in Egitto, e dall'Egitto negli altri luoghi ; dalla Tracia io dico, ov'è il fiume Strimone , e il monte Rodope , per cui le gru or Traci si denominano , ora Strimonie , or Rodopee da Virgilio (h) , Lucano (j), Stazio (k) , Nonno (Z), ed altri.

4?2. fX/xa; fioa; , camuros bove» pasce. Prudentemente qui raccomanda il far buon governo a' buoi : Mh.il est quod magis expedìat quim boves bene cu- rare ( Cato e. 54.) . Camuros Macrobio (m) vuol che sia forestiera voce ; Ser- vio , e Filargkio la riconoscono per latina in Virgilio (n) , che fra gli altri indizj della ottima vacca , e da scersi per far razza di buoi aratori mette tal segno: Captarti hirtae sub corr.ìbus aures . 11 significato è questo ,. che sian

(a) Winchelmann,Pierrespag. 72. (b) Mai-torelli de theca calamaria p. 38o. 38l. Bajardi Catalogo pag. 3pi. (e) Lib. 111. pag. 114. (d) Lib. ÀI. cap. 1. (e) Lib. 1. cap. 8. (/) In avibus versu 7 lo. (g) Ad Sulinum pag. 730. (h) X. Aencid. ver. z6$. ( £ ) Lib. V. ver. 71 1. (k) Sylv. IV. cairn. 5. (I) XIV. Dionysiac. 332. (m) Lib. IV. extremo . (n) Georg. 111. 55.

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corna rivolte in. dentro, che ove sono rivolte in fuori si chiaman pattila.

456". ixstiiv &i i iit»y af<a'§w; , Centum esse Ugna Plaustri ; cioè molti, corno contentano gli Scoliasti greci . Ma nel 1760. comparve in Germania un libro , che rarissimo è in Italia , ed ha per titolo : Veterum scriptorum de re rustica praecepta in dialogos collecta ab Hathiano Kembter ; in cui veramente si cnu* merano le parti del carro, e se non si arriva al cento, si arriva a un buon numero. V. il dialogo XIX.

4?8. Ee/V «i irpwr/;-' òfowf ctc. Quum primum igitar aratio mortalibus appa* ruerit . . . aggredere . . . siccam et humulam. arans etc. Esclude il temporeggiare , dice Proclo : perciocché è facile ch« un dica: è umido il terreno, aspettia- mo che si secchi; ovvero: è secco, aspettiamo che inumidisca; e intente passi il tempo .

452. Eìnyi ireX«.' . Tre deon essere le arature , secondo Servio al I. delle Georgiche , e secondo gli altri scrittori di agricoltura : pochi son quegli che le facciano arrivar fino a quattro. Per cominciare dalla prima, eh* è V iaft iro\ùv di Esiodo, e il proscuidere de' latini; ella si fa vere novo, non preso strettamente, dice Columella (a), come farebbe un astronomo; ma quando comincia l'anno dopo la bruma a divenir tiepido; dalle Idi diGenhajoin su.

ivi . S-ifiof <Sì ttuftiv* b o-' àirx-nÌT« , aestate vero iterata te non falltt. Il se- condo aramento si fa di estate, e si chiama vta-i; , e in latino iteratio. Alla quale operazione Plinio assegna il Maggio , e il Giugno b) : Segetes ite- rare : sarr tur vero diebus viginti

4<JJ. Nair iff oirUfliv tri nafi^ouTat afsfa* , Novalem vero serito adhuc levem terram . La terza aratura si fa quando si sta sul seminare . Tertio cum arant jacto semine boves dicuntur tirare, i. e. cum tabellis additi) ad vomeivm, si- mili et satum fiumentum operiunt in porci* , et sulcant fossas , quo atpia pluvia delabatw (e). Il tempo proprio per tale operazione è verso il fine di Otto- bre, o in Novembre, o sul principio di Dicembre, secondo Palladio. Rinno- vato cosi il terreno, si chiama ager tertiatus , o vtì$ Tf/xoXof.

454. Ne/o'; àXe^teif» ctc. Novalis imprecationum expultrix , libirorum placatrix est. Le imprecazioni si scagliano dalla famiglia in tempo che il capo non ha da saziarla; e i lamenti si fan da' figli per la fame che gli strazia: all'un mule e l'altro rimedia il maggese ben coltivato. 11 grand' Etimologico cita questo verso , e invece di vtils legge n»; .

46X Zó%i&eu ef» Ait xdWpctc. Supplica vrro Jnvi infero et Cereri castae . Che nel cominciamento di un'opera rustica s' invochi Cerere , s'intende; ma che «'invochi Giove terrestre è cosa che merita qualche riflessione . Per questo Nume Proclo intende Giove Pluvio, a cui spetti di dar buon fine alle se- menti con mandar pioggia . Parmi che non abbia dato nel segno . Conviene distinguer due Giovi ; il Celeste, che propriamente dicesi Giove, e lo Sti- gio, che'altiamente è detto Plutone . Questi è il Giove Ctonio, o terrestre, siccome interpreta lo Scoliaste di Aristofane , adducendo questi medesimi

(a) Lib. XI. e. 2. (ò) Lib. XVlIl.c. 2(5. (e) Varrò L. I. cap. 2p.

versi di Esiodo (a). Che poi s'invochi perchè prosperi i lavori, che farinosi intorno alla terra, n'espone Tullio la ragione (fc) in questa forma : Terrena autem vis omnis acque natura Diti Patri dedicata est : qui dives , ut apud Grac- co» nxou'wv, quod recidant omnia in Terra» t atque oriantur e Tetris.

A&7- 'ktxópt"! "m ■Bfù'r àfoni etc- Incipiens arare. Consento col Grevio iti approvare à fitti invece di àfótfov , che non so come aveva occupato i MSS. e L'edizioni migliori. Consento pure col Grevio in torre il punto dopoBH»», corso fin nella emendatissima edizione del Loesnero . Così attaccandosi il sentimento che sicgue col precedente , si rende buon conto della gramma* ticale costruzione , e si un bel precetto , che 1' opera , perchè ben riesca, si dee offerire alla Divinità. Antonino Augusto: ars yàf «vS-jaiir;» viv ri àvtu iii tiri $àat <Tiu.ata<$ofà<; ivafà'i,»% , mque enim rem ullum hw mariani felictter perfecei in , m'ji eam ad Deos refetui ^c) . Quindi Nicandro (ii) cominciando a piantar le rose vuol che s'invochi Temide Olenia ; e i conta- dini latini seminando rape e altri erbaggi, dir.e Columella , precantur ut sibi et vicini* nascantur , servantque udirne «ntiquoritm oornuetudincmi^ey, con le quali parole si comprovala vecchiezza di tal rito.

468- òfir«xa ,3oùy imi vùicv "imu , si.mu.um in boum dorsum immuta». Gujeto si accorse che qui era una tmesi in lu. go di ufixieu uùnv ; ma non si accorse dell' errore , scorso anche nella edizione del devio, e nelle seguenti, sti- rati um boum terga attigeri» : the finalmente il Zunolini, non atteso dagli Ol- tramontani , emendò fàmulo 1 oum terga attigeri» . Ma nemmen cosi è ben reso quell' ÌQt'xtiat , che Moscupulo chiosa s'xwi»; extenda» , Proclo ìtt-tsivav exten- de ns , Tzetze viu^n m tus, verbi che si congiungono col quarto caso, on- de noi lo rendiamo uimulum in boum dorsum immittas . Brunck vorrebbe 'ijtnixi contro 1' autorità de' MSS. Non giudico di compiacerlo.

4ó"p. "EvJfoev i\*iviuv fitra,Soo , Ti'monem trahentium lori». Mirotfiot , dice Tzctze, sono que' correggiali che uniscono il timone al giogo: e si dice trarre il ti non* , prendendo una parte per tutto l'aratro. Questi lori sono il fornimento de' gioghi; ond' e che Catone nella Villa fra gli altri attrezzi vuole juga ixiot lori» ( cioè loris) ornata tria(f). Virgilio pure gli nomina, Sub ju^a parente* cogìt lorata juvencos (g) .

Ivi . ó ti/t-9- 's ivi&tv , puer autem pone servii» ,ligonem tenens , negotium avi- bus facessat , si mcn abscondens . Questa è anche quella operazione , che si dice occarei come osserva il Popma nel suo Dizionario rustico. In questo senso par che C"lumella dicesse: Sementi facta inoveare oportet qund sparseiis h) ; cioè la semente. E ciò va provveduto, perchè non la becchino impiobae alites vomcrem comitantts , corvique aratoli» vestigia ipsa rodentes , come dice Plinio (/') .

(a) In Pluto v. 727. (6) De Natura Deorum Lib. 11. (e) Lib. III. e. 18. {d) Ap. Athenaeum pag. <J83. (e) Columella Lib. XI. cap. 3. (f) De Re Rustica cap. io. (g) Moret. pag.«3. edit.Christ. Heyne . (Ji) Lib. XI. cap. 2. (i) Lib. XVII. cap. S.

2l8

47 r. f»'*»jua<ro«f yo\a «Vr* > rectus enim orcio optimm Sentenza che hanno imitata varj scrittori} fra' quali Senofonte: tpi t" a'iìv sto? , yu.ai t Ìt' tu^». «•ra» »o xciXà» àvSfavots a>'{ , <;' raS/jla), r/t/jj/ est, o muìier , neque utile niuue pulchrum ita homtnibu* , uri ardo. ECoIu.nclla quasi eoa le stesse parole ci- tando e Senofonte e Cicerone: qui* enim dubitet nihil ess<- pulchr u. in omni ratìone vitae disposinone atque ordine (b) ? E degno che si leggan le prove di quest'asserzione fondate ne' teatri, negli eserciti, ne' navigli, e che appli- ca l'autore con molta grazia all'agricoltura.

474. E/ ot'Xo; etc. Si Jinrm postea Juppiter bonum praebuerit . Questo è il Giove olimpio, a cui spetta secondare le impiese di ogni genere, perchè abbian buon esito. Verso troppo severamente scancellato da Ruhnkcnio a giudizio dello stesso Brunck.

4fpQ. 'Ex i" a)yiuv etc. E vasis autem ej'des araneas. Solita espressione di que' recipienti, che sono vuoti , qual era la borsa di Catullo quando scrive- va : nam tui Catulli Plenus tacculus est aranearum(c).

476*. fiii-aia iftiiuivov , presa la metafora dalla ripienezza dello stomaco, co« me Moscopulo si esprime, da « poj ■»' ructus ; e prendesi qui dalla molta so- prabbondanza del vitto. 11 Grevio cita un MS. Vossiano, ov' è jS/jw a'fiv/^iiio» che spieghisi fruentem non eructantem , affinchè si eviti una metafora dura, e sgraziata. E per compiacerlo noi, e non fargli stomaco, terremo da Vir- gilio il verbo eructo , eh' egli ha inserito nella Eneide fino a tre volte; quan- tunque poeta di stil più nobile eh' Esiodo . Nel resto tal voce è ammessa dagli Scoliasti, e sente di quell'antica naturalezza di parlare.

477. nro^iiy tao. La primavera dicesi bianca, o perchè splendida , o perchè abbondi di bianchi fiori.

47p. E/ £i xev HtXinio Toovris etc. Si vero bruma araveris tei ram almam , se' dens metes etc. Ciò che Omero espresse in due parole, àuwra; ò\iyi<?oi (d), Esio- do amplifica in questi versi, con dire, che sederà il fratello mietendo; che poco stringerà; che polveroso legherà in covoni ciò che incontra (eh' è la, spiegazione del Brazzuoli); che riporterà a casa entro la sporta il fiumento; che sarà poco lieto; che pochi lo sguaineranno . Era bene ad un poco l'inci- sivo sminuzzar la materia, e mettere in vista tutti questi particolari , per determinarlo alla fatica ,e seminare per tempo. Vetus ett agi icnlat um proverà burnì-, maturata sationem saepe decipere soltre ; sei ani nunquam quin mala sit ve) .

482 travati £i et SntiTevMi , pauci te suspicioni . Tanto qui, quanto nel ver- so 478- è espresso il concetto della voce ninnai debole , eh' e quel merito di tirale a gli occhi degli spettatori, come a cosa nuova, ed insolita. L'a- dulatore di Tcofrasto è introdotto da quel sommo conoscitore della natura a dir così : t^S-uuì à( àv.fiXivuTiv «j al àv&tuvai i Viden' , ut homines in ta convertunt oculos(f)?

(a) In Oeconomico pag. 841. (b) Lib XII. cap. 2. (e) Cairn. Xlll. 8. id) lli.d. XIX. vrrs.223. (e) ColumellaXl. 2. (J ) Charael. cap. 2.

219

483. "AXXots d' dXXoTui ete. Aliai autem alia Jovis men.% Aegiochi , secl morta- libus h<>minibu\ compr (Jicndere eam difficile est . Plinio confessa questa diffi- coltà , proveniente specialmente dalla variazione delle stagioni : Accidit confessa rerum obicuritas , rt'inc prai currente nec paucis diebus tempestatimi significata, qwid -apix*' ifctiriv Grani lotunf, mine postveniente , auod liristi /xarivet plerumque alias citius , alias tardius coeli effectu ad terram dec;duo(a) . In modo simile discorre Columella nel bel principio dell'opera. Quanto è a Giove- Egioco, o coperto nella spilla sinistra di egide or vera , or imitata in oro da Vulcano, son da leggere le Osservazioni del dottissimo Sig. Abate Ennio Vi. sconti sopra un Cammeo rappresentante Giove Egioco, che fu del nobil Vene- to Zuliani, che lo avea acquistato in Grecia.

48J. E/ Si xiv J4' «'?«■?£ etc Si autem sero araveris , hoc tibi remedium f ite- riti quando cuculila canit etc. 11 cuculo suol cantare nel principio della pri- mavera; questo è che diletta gli uomini por tutto il mondo, perchè annun- zia loro, che passato è l'inverno: dura a star con noi fino al nascer della canicola; poi è rarissimo a vedersi(A). E' uccello, che dal proprio canto ebbe il nome, che presso gli antichi fu per ischerno detto a' vendemmiatori : Vindemiator et invictus , cui saepe viator Cessisset , magna competiate voce cucullum (e) ,

486". Verso addotto dallo Scoliaste di Aristofane negli Uccelli al v. ?of. ove si vantan gli uccelli che il cuculo è il Re de'Fenicj , che prescrive loro il tempo della messe cantando xixxi/; certamente coci,à , non cocci, come han tradotto i partigiani dell'antica pronunzia del greco; ed è inserito anche nella bellissima edizione di Kustero.

485. fioà(òv\>lvetc. Verso addotto dallo Scoliaste di Aristofane negli Acarncn- «i al v. 740. e riferito ancora dallo Scoliaste di Teocrito all'Idillio IV. v. 34. Ad esso alluse Suida , quando detto , che propriamente òvXiì conveniva alle un- ghie de' cavalli, nondimeno, soggiugne , Esiodo lo disse de' buoi . E' dunque da desiderare per un tardo aratore, che cada pioggia, ciò che anche inse- gna Columella {d) ubi venit imber multorum dierum sementis uno die suroit .

4p3- ria? eT' ì$t xaì.xuo 3-<Jxo.> ?& tV à\ia \iybu , Praettri uutem officinam ac- laiam et càliJum tabernam tempore hiberno etc. Scrivo sV' àxix, non inrotXix , che per errore si trova in uno o due codici , e in niuna delle più accreditate edi- zioni. Gujeto lo volle per intemperante voglia di novità , e pretese, che ve- nisse da sVaXiìj ; e questo da aXt!; calidtts. Meglio altri grammatici deducono Asa dal dorico a\t<>$ per »X/of ; ed allora ha lunga la prima , e il verso è « spondaico pei' sineresi di e ed a; o piuttosto dattilico.

Ivi Lo Scoliaste Biseto fa un ottimo cemento («) : AjV^a; fi trà\ax iXtyov infiorisi ruù% Toirat; , iv oì"j ti %o\ìv à;a»m t*.a$i'%(ivB . "O^Hfo;

(a) Lib. XV1H. z$. (b) Aelian. De Natura Animalium Lib. III. eap. io. (e) Hor. Lib. I. Sat. 7. ove Acrone spiega l'uso di chiamar cuculj i vendem- miatoli, e le- ingiurie , ch'essi replicavano a tale insulto. (</) Libro 11, cap. 8. (e) In Nubes Aristoph. vera. 1482.

220

Olii' ì$i\lti tv&ltv fcaXxir'rar j'j tifiti iXi-ù* 'Se te As'ftfc/; Ae'x«f oZim vocabant,pubhcos quosdam locos , in quibus otium exercentet sede- bant . Homerus:

Non vis dormire in officmatu aerar iam profectus , Sive in lescham ? Opportunamente Omero congiugne anch' egli , come fa Esiodo, le lesche, e le officine de' ferrai ; alle quali si vogliono aggiugnere quelle de' barbieri , testimone Aristofane (a) , che avendo detta non so qual bubbola raccontata ètri mì<ri xope/oi?/ in toustrinis , motivo al suo Scoliaste di schiarirlo con questa nota Jia.SdWei etc. Exagitat Athenienses, ut qui dies comumebant in ton- stnnis ignaviter . E veramente gli Ateniesi eran di lor natura cicalieri , fino ad avere in città , dice Proclo , trecento sessanta lesche . Vero è che in esse si teneano ancora , dice lo stesso Proclo , discorsi utili ; e in qualche tempo t Filosofi stessi vi si ragunarono a disputare, come abbiam da Jerocle .

4pJ. ìvS-a x.' àoxvof jrVv'f fiya olxov òpiÀì.n , tunc sane impiger vir valJe domum juvat. Plinio computa fra gli oracoli dell'agricoltura: malum patrem fa' milieu, quisquis interdtu faceret, quod noctu posset {b) . Lo stesso Plinio (e), e Columella {d) individuano alcuni lavori, che possono e deon fiirsi di notte, il che vuole intendersi specialmente del verno, che le ha lunghissime. Tuli sono il preparar pali per le vigne, il fare alveari, il tesseie'spoi te ,'e ca- nestri, l'incider faci, l'aguzzare i ferri, l'adattarvi i manichi, il raccen- ciare i dogli: nam inertis est agricolae expec.tare (tirt brivitatem , per con- -chiudere con Columella al citato luogo .

407. Xeirr» <vxxù» nriict xei?> "tiiX"^ > macilenta vero cras\ttm prdem marni premas. Dicon gl'Interpreti, esser effetto consueto della fame, stenuare tutto il resto del corpo, ed enfiare i piedi. Aggiugne Proclo, che in Efeso fu legge di non potere i padri esporre i figliuoli M non avean per soverchio di fame enfiate le piante. Noto di passaggio contro Biurnk , che l'ottativo T'efo's può stare , quantunque dipenda dalla stessa particella fi» , da cui di- pende fi soggiuntivo xa«/uaf4>! . Agli Scoliasti non venne in capo di emen- darlo , siccome non venne in capo agli Scoliasti di Omero di emendare il verso 160. del 1. della Iliade, ove da una stessa particella dipendono due modi diversi.

4p8. IÌ»>Xà ef tttfyòf àvxf etc. Multa autem ignavus vir vanam ob spem expe~ etani , egens victus mala venat in animo. Grozio nelle sentenze scelte da Stobeo, traduce : perpetuo mala multa suo sub corde volutat . L'ozio non solo è detestato , come origine di molta malizia nelle sacre carte , ma presso i profani scrittori ancora: fra' quali Columella si esprime cosi (e) ilìud ve- runi est Ai. Catonis oraculum , Sihd agendo hominem male agere discum . Che se all'ozio si aggiugne la povertà, gran virtù è richiesta a non prevari- ca) In Pluto ìlj. (b) Lib XV111. cap. <J. (e) XV11I. 2tf. (./) XI. *. (e) Lib. XI. cap. I.

221 Care. Titti* <r/<faVxa f àvfya rX ^«'a «»<o» (a), paupertas docet hominem oh necessitatem malum : eh' è quel che conferma l'Ecclesiastico: propter ino- piam multi deliqtterunt (A) .

5oo. 'EXt/j J' «x a'j«>»' etc. Spes autem non bona indigentem vintm fovet se- denteai in taberna , cui vietai non sujjiciens sit . Fu detto di Socrate riferito da Stobeo : al TovMfxì ìXiriSa àvirl? o! xaxo/ óSnyel ivi ùtx<tifnix*<m àynTiv , Spe s maìae sicut mali viae ductores ad extrema ducunt (e) .

Jo3- iroieìSi y.ot\ia\, extruite casas . Opportuno precetto a' servi da farsi in tempo di estate . La loro abitazione dovea essere vicino alle pecore ,o a' buoi, ch'essi custodivano (d); ed era buon consiglio il prepararsela di state, per averla pronta nel verno.

5o4- MirVa Xttvatàva etc. Mensem vero lenaeonem vitate. Plutarco presso Proclo nega che presso i Beoti vi fosse il mese Leneone a suo tempo ; ma dice, che a' tempi d'Esiodo fosse il primo mese dell'anno corrispondente al nostro Gennajo , e al Gamelione degli Attici , e al Bucazio , che in progresso' di tempo sostituirono i Beoti o i Tebani che vogliam dire. Altri poi col Febbrajo più ragionevolmente lo paragonano, o sia coli' Antcstcrione degji Attici, e coni' Ertneo che adottarono i Beoti , o i Tebani. E la ragion è perchè questo mese sembra che cominciasse nove giorni prima delle Calende di Febbrajo, cioè a' 24. di Gennajo. Or un mese che conta soli otto giorni di Gennajo, e ventidue di Febbrajo , posto che non vi sia intercalare , non è dovere di farlo corrispondere piuttosto al primo che al secondo. Ho dette più cose, che han bisogno di prove , specialmente in vista dell' avversario che ho nella persona di Moscopulo , dell'autor delle Chiose, del grand' Etimologi- co , per tacere di varj , e diversi moderni . Essi pretendono , che risponda il Leneone al Gennaio; e v'e fra loro chi asserisce, che a' tempi di Esiodo fos- te solamente questo il nome di un mese dell' anno in Beozia ; cioè del Gen- najo . Ma in processo di tempo non fu solo in Beozia, fu in Atene, ove simil- mente fu mutato , testimonio Tzetzc ; fu presso i Magneti, i quali lo segnano in un loro decreto ne' marmi di Oxford (e) ; fu presso gli Efesj , che in quel mese fecero lo psetisma in grazia de'Giudei , riferito da Giuseppe Ebreo (f) ; fu in Jonia , e a tempo perfin di Proclo non d'altra maniera chiamàvan que- sto mese ; e fu quasi in tutta 1' Asia , come si legge nel celebre Codice Lau- renziano , ove sono i nomi de' mesi secondo lo stile di più nazioni, Codice illustrato la prima volta dal P. Audiich , dotto Scolopio (_§) . Or in questo Codi- ce i mesi dell'Asia son segnati con quest'ordine : Posidaon IX. Kul. Januarias Lenaeus (corrige Lenaeon) IX. Kal. Februarias . E' dunque il Leneone un mese, che ha del Febbrajo la maggior parte; e per conseguenza che debbe aver la denominazione da questo mese , come veramente da questo mese gliela danno Seldeno , e gì' illustratori de' marmi Arundelliani , e come in

(a) Stob. cap. po'. (&) Cap. XXVII. I. (e) Stob.cap. despe extremo . (<i) Co- lum.lib. Le. 6. (e) V. Pridcaux. Marm. Oxon. p. 3 5. (f) Antiquit. 1. XIV. e. io. (g) Instit. Antiquariae pag. 33.

^"7

2.2 '2 dubbio glie la Proclo; il quale lo paragona o al Gamelione, o all'ErmcO} cioè al primo, o piuttosto al secondo mese dell'anno .Tocca anco questa que- stione il P. Corsini antiquario. di primo rango (a).

507. "Of iià 9f>t'x>t; <iriroT(>s$» etc. qui (boreas) per Thraciam equorum al- trzcem . Che la Tracia sia ferace in cavalli generosi , e valenti , si può rac- corre anco da Virgilio (b) , che ne' giuochi equestri di Sicilia fa cavalcare il solo Priamo in cavallo trace :

quem Thracius albis

Portat equus bicolor ma^ulis

Ma sopra quanto possa dirsene a tai destrieri onorevole è 1* oracol d'ApoI- line presso lo Scoliaste di Teocrito all' Idillio XV. il qual disse : Taoif nir iraVwf ti Tri\a.v)i*.ìv 'Af>of Sfiti.o. ,'lmvoi ®%*7*.iou , Tori ae totius pelusgicum Argot est optimum , equar Thratiae etc.

Ivi. Notisi, che di qui oltre comincia la gran descrizione del verno, che fa Esiodo, a cui non so so altra uguale ne porga l'antichità. 11 Toaldo, la cui memoria io venero come di buon letterato e mio umico, così ne scrisse nella Meteorologia applicata all' agricoltura , dissertazione premiata ncll' Ac- cademia di Montpellier l'anno 177S. Che a fate abbia il verno colla fame e col freddo di chi è mal paiato ognun vele. Dunque Omerico si chiami Esiodo per quel suo grande inverno di versi 70. et. (e)

508. (*ifiux.i >al<x i&'uXn , et <onstringitur terra et sylva . Miuuxi può esser perfetto da |Ui/<si« ; e allora vuol dir risonale , e può esser perfetto da «*»» , e allora vuol dire costiparsi dal freddo^: ho seguita la seconda interpretazio- ne, perchè il sentimento sia più vario, parlandosi pochi versi appresso del suono , o muggito, che Borea eccita per le selve.

5 1 2. Con picciula varietà rileggesi questo sentimento pochi versi appresso» Vedi al v. 320. la difesa che si può fare.

5 1 3. à\xà vu n^ mv . Avverto dopo Moscopulo , e alcune note inedite, che iàv in questo luogo sta invece di •wjwv , onde propriamente il sentimento sia, sèd 'et harnm {cuti-m) frigidus cum si t , per fiat villosas licei pellet hahenrium .

5 lo", irati J' ari , ovium vero greges non itene. Proclo contro questa proposi- zione cita Aristotele, che aflciir.a , non sol le capre, malepecorc ancora cu- rare il freddo .

5ip. Verso citato da Plutarco nel trattato de animi tranquillìtate pag. 46"$. in proposito de' ginecei, ove freddò non penetra ; ma affanni e mali di spi- rito. Volentieri cito Plutarco, che in moltissimi luoghi degli opuscoli ci ri. «torà della perdita de' suoi Comentarj in Esiodo, opera bellissima.

522. Eo'ii Xonroauim etc. Benequr Iota tenerum corpus et pingui oleo uncta cttbat. Eccettua dal sentire i rigori del verno le verginelle, che lavate , unte vanno a letto. Simonide della donna molle e infingarda :

(«) Fasti Attici, tom. 11. pag. 411. (b) Acncid. V. ver. S6S. (e) Pag. 127.

223

Aoòiai <fe trame, u'fjs'fnt dirò fuvun

A/'{ , aXXorr Tfìf, r&f uveoi; aX«<pere<i .

Lavut diebus singulis ab sordibus

Bis tei ve corpus , et unguenti* ungitur [a) . $l+.oi' àvò^-ioc. Sv tròta, n'.ifii, quando exossis ( polypttl) sttum pedem rndit . Che a orsor sia fra' Lacedemoni il nome proprio del polipo lo affo rman Proclo, eMoscopulo. Che poi egli di verno si mangi alcuno degli otto piedi che ha, è cosa da Eliano raccontata (è), da Plutarco (<;) , e dal grand' Etimologico . Ma è negata come favola da Aristotele (d) , il qual dice , che alcuni di essi han veramente corrosi i piedi da' congri , altro genere di pesci, ma non da loro stessi. 11 medesimo ripetono e Plinio (e) , ed Ateneo . f) .

515. *Ev r «Wj>« ótKw , Frigida in domo. La caverna del polipo, o polpo, si dice fredda pel luogo; nel resto è coperta di gusci di conchiglie, e di altri frutti marini; indizio a cui riconoscono i pescatori dov'egli abiti . Percioc- ché stolido nel rimanente, nella conservazione di so è sagace ; e porta a casa e conserva quanto -gli può servire per vitto; e mangiata la conchiglia, e il pesce predato , ne getta via il guscio o la spina (g) .

516. Ou yd? «VX/o? etc. Hon enim Mi sol ottendit pabulum . I polipi escono dal lor nascondiglio , e vanno a mangiar erbe, e salgono perfino negli alberi a cibarsi di frutti in tempo di state; ove trovati son presi dagli agricoltori t e recati a' loro padroni, come dice Eliano (h); se già merita fede in tal rac- conto , chi non la merita in molti altri. Di questi frutti parla forse Esiodo, che il Sole non gli scuopre d'inverno.

527. AXX' itti xvcwia- d àoù. etc. Sed super nigrorum hominum populumque , et urbem vertitur ; tardius autem Graecis lucet . Per popoli neri intende gli Etiopi, e gli altri popoli meridionali; per Panelleni intende i Greci, spe- cialmente settentrionali. Questi a differenza de' veri Elleni ( cioè i popoli della Ftiotide, così detti da Ellene tìglio di Deucalione e lor Re avean no- me di Panelleni a' tempi di Omero, e di Esiodo. Ma dopo non si fece tal dif- ferenza , ed Elleni furon chiamati tutti i Greci.

Sii- -ai% <f« TjnrocT; finora / Vo; , tunc tripodi viro similes; paragona le fiere , che fuggono dalla neve a un vecchio, che porti battone; questo è esser tripode. E" troppo noto per doversi ripetere l'indovinello della Stìnge, qual fosse quell'animale , che in sul mattino cammina con quattro piedi , nel meriggio con due , a sera con tre ; eh' è 1' uomo .

S36- Kau rare etc. Et tunc etc. Ordina a Perse di qual maniera vada intcssuta la veste , quasi egli o abbia a farla per stesso , o debba assistere alla sua formazione. Ciò è tutto secondo il divisamento dell' Hume , che nel T. 1. de' suoi Saggi Politici tradotti dal Dandolo , alla pag. 14S. così si esprime :

(a) In fragm. Hen. Stephani. (b) Lib. XlV.deanimalibus Ciip. 26% (e) De «olertia animalium p. $6S. {d) Histor. animalium lib. Vili. e. 2- (e) Plin. H.NJib.IX.cap.2p. (/) Lib. VII. pag. ì 16. (g) Aristoteles H. A. lib. IX. e. ìj. (h) Lib.lX.cap. 4?.

2^4 Ne' primi, e più incolti secoli... gli uomini erari contenti delle produzioni del loro terreno , o di quelle rozze preparazioni , eh' etsi potevan farvi da per lo- ro ... la lana del gregge veniva filata nella respettiv a famiglia , e lavorata da un tessitor vicino, il quale riceveva in pagamento o biada, o lana ec.

Sìy. XXaìvàv « ftaXaxiiv, Laenam mollem etc Veste propria anche de' Roma- ni ; chiamata da essi laena , da cui è il cognome de' Lenati ; siccome il chi- tone da' Latini è chiamato tunica. Moscopulo in due parole spiega l'uso di queste due vesti : **■««» ra **'a'f W •'«xu-nfov x1^" "* ìvàovifu . La prima, detta anche x^«^'i t dunque era veste al di fuori , e più densa ; la seconda era veste al di dentro .

Ivi. r& Ti?f*iia»M xnùva , et talarem tunicam. Veste, come si è detto , che si portava al di dentro . Non usando di aver camicia , la portavan sopra la carnei siccome faceva Ulisse; di cui egli non per anco scopertosi, dice a Penelope : Tóv x1'"""' i»énvet nrt(i ^oì <riya\itvm : tunicam veto obiervavi cir- ca cutem , stupendam (a). Quella che consiglia al fratello, Esiodo chiama tunica talare per difesa del verno; perchè v'era la tunica corta per altri tempi e mestieri .

538. SrVfiov/ cf' i'y trauma nroX\>tv x.(ixa. ptttutra&ca , Stamine vero in patu.o mul- tam tramatn intexe . 11 grande Etimologico e Suida (b) ravvisano un poetico metaplasmo in quel xjc'xa invece di xfoxwi' , come in Omero ìàx.u per •'•*»»• Trama e stame sono ancor nominati in un verso della Batracomiomachia , in cui Pallade rammentando il suo peplo roso da' topi , dice che avealo tessuto

'Ex (oiaviii Xfir;»; , j^ fiifiova Kitni/ jenj-a.

Ex trama nuotili: et stamen iubtile nevi(c) J40. Mjicf òfS-aì (Tf/^.15) vt'tira-aetv , Neque erecti (pili) horrrant . Persio de- scrivendo gli effetti di un timor grande, tocca questo del rizzarsi i peli so- pra la carne.: Alges quum excussit memòria timor albus arista* (d) Ho tradot- to : ergaus' indosso come secca resta ,aggiugnendo di mio una similitudine; ma mi è paruto eh' ella sia adattatissima a spiegare quel q>ti'*e»>Tiv

541. 'Appi monTÌ tritiXa. etc. Circum vero pedes calceos bovis vi occisi Aptos libato, pedulibus intus condensans . Eustazio nel 11. Tomo png. 370. cosi spiega questo passo. Anche Telemaco levatosi : nroTtri' £' ti vai Xivafoìru t'rfir'- o-ara xaXà nriJiXa , pedibusque sub unctis ligavit pulchra calceamenta . Vuoisi che il bue , che ha da somministrare la pelle per le scarpe non sia morto di malattia , ma sia ucciso con forza ; affinchè la malattia non abbia con in- debolire la macchina, indebolito anche il cuojo del bue. 1 peduli co' quali per entro le scarpe, esse van condensate, il Salvini, e il P. Pugnini tradu- cono filtro, che a me pare cosa propizissima , e la ritengo.

Ivi. Il Clerc ripete qui i suoi soliti sarcasmi contro Esiodo, deridendolo, che dia precetti, quali ogni vecchierclla sarìa capace di dare. Anzi gli sensatissimi : che se in qualche luogo ve ne framischia de' comunali , ciò fa per trattar la materia con più pienezza. Omero ha il medesimo gusto; e le

(e) Odyss.XIX. v. 232. (A) V. xfox./. (e) Vers. 182. (d, Satyra 111. v. il*.

225

circostanze presso l'uno e l'altro Poeta minutamente descritte, han loro conciliato il nome di dipintori.

542. 11 Br'unck vorrebbe irox-atruas , perchè, la seconda di voxàia; è breve . In Omero sì; ma in Esiodo conviene che sia comune, postochè l'autor de] grand' Etimologico , e il Chiosator di Esiodo l'abbiano in questo luogo per lunga.

J43. Tlfwnyóvw <f' s'f i'ijjwv etc. Primngenitorum vero hoedorum . . . pelles consulto nervo bovis Si ha in pregio la primogenitura in tutti gli animali; e presso Omero , Merione fa voto ad Apollo di una ecatombe di cento agnelli primo- geniti àfvùv nr^utoyiviov . Perchè di primogeniti? Perchè sian più forti, dice Tzetze , come nati di genitori più giovani.

?44. Invece di àpu, tutte l'edizioni citate al num. 12. e tutt'i codici han- no vw'tw , che suona lo stesso , e non so per qual capriccio è stato rimosso da Grevio . Egli dice che Moscopulo cosi lesse ; ma quel grammatico espose vurp per <ùuu come altre voci del contesto per altre equivalenti. Dice puro, che trattandosi di vestir pelli, mal si direbbe, che si adattano vw't^ al tergo; ma W|"&i agli omeri ; riflessione che non ha^fatta il gran grammatico Proclo , menando buono ad Esiodo il suo »si't» ; riflessione che non ha fatta Apollonio Rodio quando ha detto , che le tre Dee eran cinte di caprine pelli , aju$/ <jt »<ùto nyj ì%ù<*(, circa terga et lumbos (a). Quanto Grevio è minor di emen- dando Esiodo!

?45. xeipx^yipi cf' uirif&iv lììXoy ixtiv aVxmi» , 5V saia ,«»' xamJ'ivrt , suora caput vero Pileum habeto elaboi atum ne aures hnmefacias . Fu costume de' Greci an- tichi, e de' Romani andar ordinariamente col capo scoperto , fuorché ne' viag- gi, per cui Ulisse , come gran viaggiatore, fu rappresentato la prima volta, col berretto , o da Apollodoro , come vuole Eustazio (6) , o da Nicomaco figlio e discepolo di Aristodemo , come vuol Plinio (e) . Ma v'eran de' casi ne' quali si faceva uso di berretto, qual era l'eccessivo freddo di Ascia.

$47. futf» ya? t' it'ù; iriXtmi /Sope'ao ■waróvim; , frigida autem aurora est, Borea cadente . Alcuni si sono maravigliati, che ove Omero nomina i quattro venti conosciuti per principali dagli antichi, ciò sono Euro, Noto, Zeflìro , e Bo- v rea (d) , Esiodo in due luoghi della Teogonia non nomini se non Noto , Zefli- ro , e Borea (e). 11 Clerc non ad ignoranza di Esiodo ascrive questo disordi- ne, ma a trascuraggine : il che non può ammettersi, giacche non è in un sol luogo, che così faccia, ma in due. Adunque dicasi chiaramente, che ignorò il quarto vento, e questa prova si aggiunga alle altre, che dichiara- no Esiodo anteriore ad Omero . O dicasi , che siccome distinse i venti utili dagl'inutili , e dannosi , e quegli fece figli dell' Aurora e di Astreo , e questi disse nati di Tifeo ; così potè riputare il vento Euro fra' secondi in Asera. ; alla cui posizione era forse inimico .

(a) Arg. IV. i34p. (b) Ad Uiad. K. (e) Lib. XXXV. cap. io. (d) Odys. E. v. 2p5. (e) Theog. vers. 37J>. et 870.

33

2'2Ó

548. 'H»«! &' ì'tì -ysùay etc. Matutinus vero super terram e coclo stelli fero aer foecundus extenditur beatorum (cioè divitum) super opera. 'A»'? in questo luo- go è nebbia ; e chi come il Ruhnkenio non vuol crederlo , e perciò nega che il verso sia d' Esiodo, spieghi il v. zSS. ove i Genj si dicono 'Hi fa inrdfityoi. Dante espresse lo stesso concetto; ma da poeta filosofo (a) :

Ben sai come nell'aer si raccoglie

Queir umido vapor che in terra riede Tosto che sale dove '1 freddo il coglie .

549. Ottimamente fece Robinson a richiamar 1' antica lezione nrvfoQÓ?o$ u- turni , e a sbandir la sostituita irj/jps'fo; ìvriturm , che non ha per se un codi- ce , che la difenda.

550. "Oi a ùfUTràfXiitx; iramuùv airi aitvuó'wv , Qui haustus e fluminibut pe- reririibus etc. Ha moltissima affinità questo luogo con quel di Omero nel- la Ulissea : Aj,;i cf' »x troia/ti 4"^"' 9*i*l »ù$i vrù , Auro enim ex fl'wio fri- gida spirat mattiti/io tempore (i) . Ragione per cui Plinio scrisse: Homerus (e poteva aggiugnere et Hesiodus) omnino e fiumine semper antelucanas aura» insdubres verissime tradidit [e) . 1 venti che spiran da' fiumi propriamente son detti ìvu<fe/">i , secondo Achille Tazio nella isagoge di Arato , ove cita Aristo- tele e Callimaco.

554. To'» ipSapivos etc Hunc antevertens opere perfecto domum redi. Ecco un altro argomento, con cui provare , che Perse stava in città, e non in cam- pagna: la premura che mostra Esiodo perchè presto in casa ritirisi , per non immollar , e le vestimenta. Saria inutile tal precetto, se non si trattasse d'altro, se non di far pochi passi per entrare dal campo in casa.

J?8- XceAjirij npofia i»i( , gravis non grrgibus , come hanno spiegato, dando motivo a Robinson di dire , che agli autori di prima sfera è lecito talora di contraddirsi. E si contraddirebbe Esiodo, se avendo detto, che il freddo non passa per la lana delle pecorelle , ora lo facesse penetrare ne' greggi , per cui s' intendono specialmente le pecore . Ma ■api^am significa general- mente TtTfànoia quadrupede*, come notano lo Scoliaste di Omero ( 11. XIV. v. 124-) allegando questo luogo di Esiodo , ed Eustazio addotto con altri dal Costantini.

55p. Tiftoi $Ù[wtv ,Sso7i/ etc. Twic mtdiurn bob ut , Uomini vero amplius adsic Alimoniae : longae.enim noLtes succurrunt illis . Il precetto è giusto, e da' La- tini osservato. Catone d): Familiae cibaria qui opus tacient per hytmem , tritici M'idios IV. per aestatem modios IV. S. etc. E Columella (e) :Januarii mense. ..

foeni pondo XXX mense Fcbruario plerumque eadem cibaria sti/ficiunt .

Martiq et Aprili debet ad foeni pandus adjici, quia terra pruscinduur : 40* autem erit pondo quadracela singulis dari .

S6\. Taùm ifuXaa-7-é/jiuo! etc. Questi tre versi furono scancellati da Plutar- co. Proclo ne la spiegazione, quale noi la diamo ; e aggiunge , che sean-

(a) Purgai. V. verso lop. ' (fc) Odyss. V. vers. 4<5j>. (e) Lib. XV111. H. N. cap. 6. (d) Cup. 57. (e) Lib. VI. cap. }.

celiati ancora tai versi, sarebbono ben legate le cose ehe sieguono. Ragione debole per torli di mezzo; so come il Sig. Brunck gli ometta , come il Grevio ne restasse capacitato lino a scrivere : rectius suite abe.tsónt . A me parej che alquanto resti tronco il precetto, se non si dice, come si abbia a regolare il vitto nel rimanente dell'anno; e quando deggia finire quella par- simonia. I citati scrittori di agricoltura , e gli altri , che potrebbon citarsi, assegnan tal tempo: perchè Esiodo non dovea farlo in qualche modo ?

SóZ. Irì&ca violiti; ir r£H i art-m , Aeqnato noctesque tt diesi non già (liei, et noctes . E" osservazione del Grozio (a), che Talete il più antico de' Filosofi insegnò, che le tenebre più antiche erano della luce; opinione conformis- sima alla Scrittura: che lo stesso mostrano di aver creduto i seguaci di Or- feo ed Esiodo: e che i popoli più tenaci dell'antichità numeravano i tem- pi incominciando dalle notti e non da' giorni .

$64- Et/* t' àv tt' i^tinovm etc. Quum autem sexaginta post sohtitium hibernum exegertt Juppiter dics etc. 11 solstizio brumale , o sia la bruma a' tempi di E- siodo , secondo il Petavio , cadeva a' 3o. di Dicembre : a tempo d' Ipparco egli l'assegnò a' i5. di Dicembre (b) , i Caldei a' 24. del medesimo mese (e) , Plinio intorno a' zS. (d) .

566. 'Afxrajo; apoXinràv hfòv jiov ' B,x tswoio etc. Arcturus relinquens sacrum fluctttm Oceani Primum tota$ apparerà exoritur vespa tìnus . Arturo, o sia Ar- tofilace, o sia Boote ha ora il suo nascimento vespertino a' 5- di Marzo (e), cinque giorni dopo il piano d'Esiodo, che non si dubita, che segnasse il ve- ro tempo, essendo stato, anche per confessione del Petavio, critico esatto, e peritissimo in Astronomia secondo i su-i tempi. Dice che questo astro 60. giorni dopo il solstizio iemale comincia ad apparir tutto la sera : con- viene però ricordarsi, ch'Esiodo parla della nascita apparente , che sempre è anteriore alla nascita vera vespertina dell'astro; di quanto non può deter- minarsi , ma è anteriore di alquanti giorni.

Ivi. 'Ufàv fi*', sacrum fiaetum . Sacro si chiama il flutto dell'Oceano, sic- come egli è Nume , e partecipe della Deità del Cielo e della Terra, de' quali è tìnto primogenito nella Teogonia (f) . Presso Valerio Fiacco è con onori divini salutato e pregato :

lpse ter aequoreo libans carchesia Patri Sic ait Aesoni des : o qui spumantia nutti Regna quali*, terrasque sulo complecterts omnes(p) . $68. TsVJe t>n' òf$}oyù>i n.xii<fio>ìs <Jfra ^eWwv, Post kunc mane luaens Pan- dionh vtnit hiritndo Verso considerato dallo Scoliaste di Licofrone al v. 442. Sofocle nella tragedia ehe intitolò il Tereo , come dice Tzetze, disse che Tereo di Tracia prendesse in moglie Progne figlia di Pandione Re di Atene: dopo alcun tempo tornò in Atene a prendere Filomela, e condurla alla so- fà) De Verit.Relig.Christ. (b) Columella XI. [e) Colum.ìb. (d)Lib. XVIII. pag ì)o. (e) Petav. 1. II. variar. Dissert. cap. 8. (/) Vere. i33. (g ) I'. Argon, pag. 20.

228 iella , eh' era in Tracia; ma giunto in Aulide di Beozia la violò , e le troncò la lingua, perchè nulla a Progne rivelasse. Ella venuta in Tracia, per via di un tessuto, in cui scrisse l'accadutole, di tutto ragguagliò Progne ; la quale insieme con la sorella , ucciso Iti, che Progne avea partorito aTcrco , glielo porsero a mangiare, ed egli noi sapendo ne fece pasto. Risaputo poi il fatto, mentre vuol vendicarlo, e mette mano alla spada, le donne, per pietà degli Dei, furono mutate in uccelli, Filomela in rondine, Progne in usignuolo (sebbene molti mitologi raccontino queste mutazioni viceversa) e Terco in upupa, chele perseguiti . Ho raccontato il fatto secondo Sofocle e Tzetze , e Achille Tazio , che nel V. Libro degli amori di Clitofonte spiega copiosamente una pittura di questa favola ; e la spiega in guisa da potere istruire non meno il filologo che il pittore (a) .

Ivi. ò?$-%oyl>i , Imitazione di questo passo comparisce in Anacreonte laddo- ve rimprovera la rondine che svegli Batillo vvofBfi'aio-i tpuvoù; ti) .

S6p. 'E{ (p«'o{ a':-9-ffoVo;f , ìa(0( viov i^tftivoio, in lucer» ( venit) hominibus , 1)ere nuper coepto . Notabile è la forinola di cui si vale il Poeta per esprimere 1' av- venimento delle rondini. Vengono, die' egli , in luce agli uomipi , senza im- pegnarsi a decidere , se passino a' climi più caldi , secondo 1' opinione di Ari- stotele e degli antichi ; o se passato l'inverno sott'acqua, o nelle buche della terra , si lascin rivedere a primavera, come sentono celebri naturalisti moderni. Su la qual questione è da leggere ciò che scrisse il Dottili Saverio Manetti nella sua Ornitologia , difendendo la prima delle due sentenze , fon- dato su le osservazioni di alcuni viaggiatori filosufi, e su la struttura inter- na ed esterna di questo uccello. E' anche da avvertire , che il loro apparire non è segno infallibile della primavera cominciata di poco; attestando Pli- nio, che in quell' anno stesso , in cui seri ve va , advenas ( hirundtnes) ante diem VI. Kal. Februarias spem veris attuliise ; mox saevissima hyeme oonflictatas (e) .

Syo. Ta'v qi$-duivo; oìvat iricj.<mftv'ifJt(v «5j >oip àfuittov , Hanc praevertens vitet incidito: sic enim melius . Altri non assegnan tempo. Catone prescrive solo la sollecitudine nel potare (ci) : Vineas, arboresque mature face incipias pittare. Ma il Calendario rustico della Biblioteca Farnesiana nel mese di Marzo es- pressamente segna vineae . . . putantur . Ove Fulvio Orsini , che lo comcntò, adduce un passo di Columella, che ne determina sempre più il tempo: A Kalcndis Atartii eximia est vitium putatio usqtte in X. Kalendarum Aprìlium , si tamen se gemmae nondum movtant te); e uno di Palladio, che dice: Mar- tio mense locis fiigidis putatio vinearum cclebratur . In quel locis frigidis si vede ciò che manchi ad Esiodo; la distinzione de' luoghi ottimamente av- vertita da' moderni; fra' quali è il Sederini {f) , e il Davanzati nella Col' tivatione toscana a pag. 25. Sebbene chi vuol vedere quanto il nostro Se- colo sia raffinato in genere di coltivazione, legga il Sig. Cav. Re (g) , il

(a) In Chiliad. pag. 38i. tom. IV. Poet. Gracc. (£) Ode XII. pag. 26". (e) Lib. XV11I. cap. zS. {d) Cap. 32. (e) Lib. XI. pag. 7S1. (/) Coltivaz. delle viti pag. Ì7. (g) Elem. di Agricolt. Voi 111. pag. So. e segg. della 3. edii.

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quale nota pure la differenza fra terreno e terreno , ma fra vite e vite , fra stagione e stagione, fra anno di età ed anno. Tali osservazioni ha egli fatte per se stesso, e le ha in oltre cavate da' migliori libri di agri, cltura, come dal Bertholon , dal Mitterpacher , dal Gallo, e specialmen- te d<l Sig. Verri , nel Saggio di agricoltura pratica, che giudica un de' mi- gliori libri editi in fatto di coltivazione, sennonché pai gli troppo nimico della teorica .

Ivi . Consideriamo quelle parole sic cnim melìus . Si potè dubitare un tempo se le viti si dovesser potare, o lasciarle crescere a lor voglia. Dopo il fatto di quel giumento, il quale avendo mangiati i sarmenti di una vite, ella avea prodotto maggior frutto, e se n'era cavato miglior vino, i Greci comincia- rono a potar le viti, e a non lasciar disperdere l'umore in tralci sterili: e quel giumento fu rappresentato in sasso, come racconta Pausania (a) > quantunque par che dubiti della velila del suo racconto.

ìj\. AXX' óirór' àv ctc. Sed qtium ilomipoi ta (Cochlea ) e terra piantai ascenderti Plej ides fugient . La chiocciola p8eso/xo; , che teme le Plejadi , e perciò sale , e vola negli alberi, secondo Dionisio Trace rifoiito da Proclo, e seguito da Gio. T/ctze,è un animaluzzo simile ad ape, che appiattato d'inverno, esce di «tate , traendo seco un picciolo guscio al di dietro , che lo costituisce nel genere delle chiocciole. Dicesi essere in Arcadia; e vuole intendersi spe- ciahnente in Arcadia: perchè Esiodo scrive in Beozia, e suppone che vi si vegga. Poeticamente parlando fugge le Plejadi, e vuol dire, che fugge ri caldo della state, la quale comincia dalla comparsa di tutte le Plejadi a sentimento ancora di Ovidio (ò) :

Plej ade» adspiews vmnes , totumque sororum Agmeti ubi ante iilus nox erit una super . Tum mihi non dubiis uuctoribus incipit aestas , Et tepidi finem tempora veris habent .

$JZ. tilt in etc. tunc. non ampliti* fodiendae sunt vites . Passa per giudizio del Gujeto , ma poco felicemente» a suggerire un'altra operazione di agri- coltura; eh' è zappar le viti dopo che sono potate; aggiungo, o vangate. Catone: Vineam putatam circumfodito (e). Plinio citandolo: Vineam statuito, alligato, crebro fodito(d) . Varronc : inter vergiliarum exortum et solstitìum haec fieri debent : vinras novellas fodere, aut arare (e) . E Columella spiegan- dolo: quum delude germinavtrint , fossor insequitur , ac bidentibus eas partes ìubigit quas LultiL u* non potuit pertingere . Max . . . insequitur pompi nator (f) . Fra' moderni ecco ciò che ne scrive il eh. Sig. Dottore Ottaviano Targi\»ni, distinguendo, com'è suo costume, terreno da terreno: si zappano le viti di poggio, e si vangano quelle di piano dopo che son potate... Vini lodato, ed è utile di zappar di nuovo le viti nell' autunno ,- e da altri anche dopo la fiori- tura, vale a dire tre volte V anno, e anche più se fosse possibile, cioè a dire

(a) Pag. 1*7. (b) Fast. V. v. $99- (e) De R. R. cap. 33- ('/) H. N. lib. XVII. cap. 22. (e) De R. R. lib. 1. cap. 3i. (/) Lib. V. cap. 5.

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•230 ogni mese, secondo il sentimento del Sig. I.astrì . E' conformissimo a Columel- la, il qual dice : finis fodiendi vineam nulliis est : nam quanto sa*pius foderi* t tanto uberiorém fructum reperies (a). Sul qual punto veggasi anche ciò che scrive il testé citato Sig. Cav. Re (b) .

Ivi. Chiara prova dell' essere stata poco innanzi l'agricoltura a' tempi di Esiodo è , che qui altrove fa menzione di ciò che i Latini dicono pampinatio . E' una operazione che si fa in Maggio , e consiste nel tor via i germogli inutili prodotti dalle radici della vite (stolones) acciocché non con- sumin l'umore dovuto agli utili. Presso i Romani fu così in credito, che Varrone (e) ebbe a dirne: vites pampinari , sed a sciente ; nam id quam pittare niajus .

Syì. 'AW àfiras tf £apayirj,usi'*< , ^y.j ifjtàat; iyàftiv , sed falcesque acuito, et servos excitato . Ripiglia il precetto dato a'v. 383. ove espressamente si dice che al comparir delle Plcjadi , si appresti la mietitura. Columella vuole, che il villico preceda, ed esorti: Hoc igitur custodire opoitct villicum ; ne statim a prima luce familia cunctanter tt languide procedat etc. Qui le parti del vil- lico si commettono a Perse stesso : tanto è vero , che il libro tende a fare un buono agricoltore , anzi capo di agricoltura.-

S74. <t>i'uyiiv c-;w»pB{ S&'xsf yoùf tir' »'« xoìnv , Fugito vero umbrusas sedes , et matutìnum somnum tempore messis . Gombina questo precetto con ciò che gra- ziosamente al suo solito dice il citato Columella : nam ut in itinere conficien- do saepe dimidio maturius pervenit is qui naviter , et sine ullis concessationi- bus commeabit , quam is qui quum una sit projectus umbras arborum, fonticulo- rumque amoenitatem , vel aurae refrigerationem captavit ; sic in agresti negotio dici vix potest quid navus operarius ignavo et cessatore praestet (J) .

578. 'Ha; yd( r" ifyoio tfirlw «Vo,u«'p£w» cuaar , Aurora etenim operis tertiam sortitur partem. Ciò intendendo l'agricoltore di Euripide nella Elettra, esce al lavoro sul far del giorno , e dice : iytì £' o,u' w fifa Bà; «j aps'paf tìrfiaXùy Tvifà yùa% etc. il qual sentimento recò in volgar lingua il Canneli cosi:

' Io poi

in sul fare del giorno i buoi guidando Nella campagna, la solcata terra Seminerò : perchè nessun che pigro Giaccia > avendo per bocca i Numi , senza Fatica il vitto ne potrà raccorrò (e) .

582- 'H,'^o{ cxó\ufj.ii t' àv$ù , Quando vero scolymus fioret . Ha qui ragione Salmasio di reclamare contro gli erbarj , che quasi tutti a-xàXt/uov han tra- dotto carduum , non eccettuando lo stesso Teodoro Gaza, che ci ha latiniz- xato Teofrasto. K/vapa è il cardo , e o-xiXt/po; è una delle molte specie di esso :

(a) Lib. de arboribus cap. 12. <•*>) Pag. 52. (e) Lib. I. cap. ?i. Columel- la : magis pampinatio quam putatio vitibus consulit . E Plinio ci notizia , che pampinatio inventa primo Stoloni nomen dedit; tanto plauso riscosse uni- versalmente, (d)- Ibidem. (e; Cirmoli tom. XX. pag. 45.

»3i

Scolymus carduorum generis , dice Plinio (a), ab Ut distat , quod radixejus ve- scenda est deoocta . E ancora meglio al nostro proposito disse : Sccljmni fio. ret sera , et diu{b) . Ora con quel sero viene a confermare ciò ch'Esiodo avea detto , che contemporaneamente le cicale fanno armonia , e lo scolimo met- te fiori; il che avviene di state avanzata.

J83. w «'xs'iw t»tt(5 etc. et canora ricada arbori insidens dulcem fundit can- timi frequenter sub alis . Le ali sono alle cicale in luogo di voce . Perciocché , dice Eliano (e) , non fanno uso le cicale come l'uomo della lingua, ma xanù •nv ì%vv «ti \a\ifaTBi circa iha loquacissimae sunti eh' è quel che disse Pli- nio (ci) pectus ipsum fistidosum ; hoc canunt achaetae : e achaetaa son le cica- le , che cantano , maschi ; poiché le femmine si stan sempre senza cantare .

580". Ma^Xoiaia; jiu/oùxej , aipaufsiKw/ Si te àvSfi$ , Salacissimae vero mulie- res , et viri imbecdlissimi sunt , quoniam caput , et genua sol siccat . Proclo ci ha conservato un frammento di Alceo , che contiene un' apertissima imita» zione di questo , e de' superiori versi di Esiodo . L' Einsio, e il Grevio si sono ingegnati di supplirlo: il che sarebbe meglio loro venuto fatto, se avesser notato , che Ateneo (e) ne cita alcuni versi, e sono i seguenti :

Tg>>6 nrviuiuovctq otvp

Ti >e? à^foy irifnìWtiut ' ù S' afa %a\nra .

Tleivm di St-\$ «fi nxjfxaiaf .

Humecta pulmoies vino :

Sydus exoritur : grave tempus est.

Aestu sitiunt omnia . Dopo le quali parole par da collocare il resto che malconcio si ha in Proclo , che noi diamo secondo la correzione dell' Einsio.

'À^« S' s'x nriiaXwv àSia Sv -remi;

'Kv$à rgì (rnóXi/fiOf (jiafùiurau

Tuvoù%ts ' Xiineì Si mi à'S^n.

Canit vero ex fbliis suave ricada ,

Et scolymùs floret . Nunc vero foedissimae sunt

Multerei : viri autem imbecilles . 588- «>.Xo ■ór' US* etc. Sed tttne jam sit in antro umbra . Xlntain axin è l'om- bra , che fa 1' antro ; come avverte il Grevio .

y8p. jQt} iSi.^X/vo; ojvot . 11 Clerc cita una lunga nota dell' Olstenio , a cui si conforma in tutto, per provare che qui va scritto /iifc\tvo<; non .SJ/SXivo; ; e intanto nella greca , che nella latina lingua, il suo stampatore, e gli al- tri ancora "n gran parte, fan legger Byblinos. Non si nega, che in Egitto vi sia stata un;: Città chiamata $J.Skosy come attesta lo Scoliaste di Eschilo (_/") , e l'autor d l'Etimologico grande, che la fa celebre in vino. Un' altra Cit- tà del medesimo nome è in Celesiria al Libano , di cui vuole Dalecampio , che parli Ateneo in quel verso: mv S' avi <t>o/y/x>i{ iqì% m\ /SufiXivov alvù , Lau-

{a H. ti. lib. XXI. cap. \6. (b) H. N. loco cit. (e) De animai. 1. 1,0. 20. (d) H. N. 1 XI. cap. 16. (e) Lib. X. p. 430. (/) Prometh. v. 810.

232 do vinum byblinum a sacra Phoenicia (a) . Ma il Biblo , di cui Esiodo parla, , è in Tracia; e l'uva onde si fa il vino Biblino era in Grecia, in Italia, in Sicilia- E' da vedersi Ateneo :b) , presso il quale si ha, che 1' Argivi» Pulii Re un tempo di Siracusa v'introdusse una specie di vino dolce , le cui viti ebbe d'Italia , e questo in origine era vin Biblino. 11 Bjrnes comentundo Eu- ripide (e) ha meglio di lutti messo in chiaro la provenienza di tal vino ,ch'è in Biblo luogo- di Tracia, o fiume, o munte, o citta, o altro che sia, giac- ché in questo gli autori non son concordi. son concordi in iscriverlo per o, o pei' i ; giacché Ateneo, che cita Epicarmo , Filino , Armenida , lppia di Reggio, sempre lo scrive per / , e lo stesso fanno Euripide, Moscopulo, Esichio ; al contrario Proclo , e Tzctzc lo scrivon per v erroneamente ; ingannati forse da qualche codice mal trascritto. Anche Teocrito fa il medesimo (</) ; ma egli parla forse del vin navigato di fenicia, <> di Egitto; benché ciò in uno scrittoi- di Sicilia è duro a credersi. Era vino stimatissimo, perchè leg- giero, e secondo lilino, facile a dileguare i fumi della crapula; ragione per cui Esiodo ne consiglia l'uso di state; ove il vin caloroso non fa che aggiugnere fuoco a fuoco.

Jpo. Majfa t' àuoXyoùn etc. Et libimi la^trum. Non so aderire al Grevio , che per maza intende la polenta , fondato in Esichii», che dice : M»J« , àX^ira ir%- tpuquivx viari, w^ l'XaifV e>t fai ina imxra ayita 91 o/eo . quasi la focaccia non sia farina mista con olio ed acqua. Ateneo {e citando questo luogo di Esio- do , e discorrendo di altri generi di maze descritte da Trifone , lo fa dopo aver parlato lungamente di pani, quasi di ci sa , che co' pani abbia affinità; e dice espressamente ch'era fatta a modo di mammella, e che avea luogo ne' sacrificj ; cose , che fan vedere in essa non polenta, ma pane. Gli Sco- liasti tutti , e anche i Glossatori, e 1' Etimologico si servono della stessa vo- ce apre; pann nel commentarlo; e chi lo dice àfw; yà\*xri ì^vaufAÌvo; , punii lacte fermentatili t chi ojto{ jusik ja'Xaxwf | y*>f vjv/u* Mf » ° yaXaxn viQv(uitoft panis lacti mixtus , lacte perfitsus . Or chi in questo parlare troverebbe po- lenta , se non chi ce la mettesse di suo?

Spi. Verso citato dallo Scoliaste di Teocrito ( 1. 6- ) senza cangiamenti.

Spi. IJfa/iBjeVw t' s'f/pwv, et primojremtnrum hoednrum . Qu;il merito abbiano sopra gli altri i primogeniti capretti, 1' ubbiam detto di lOpra, cementando il verso S43. Ma notisi 1' artifizio del Poeta, che in ogni cosa presenta non pure il buono, ma l'ottimo ; e non si cura di mutare vocabolo , purché l'ot- timo si presenti : capretti primogeniti , latte di capra spoppata , carne di vitella che non ha mai partorito, e che mungi fiondi, pane che sia il chifel di que' tempi , vin di Biblo. L' istesso è delle vesti , l' istesso è dell'aratro, l'istesso del mangiare all'ombra, in faccia al zeffiro , appo una corrente di acqua pura .

Ivi. tiri à'cùSoTrx -rtripiv o'yev , praeterea nignim bibito vinum. Non è questo

(<7) Lib.l. p.2p. (i)Lib. p.3i. (e) In Ione tom.ll. pag. 26"2. (d) Idyll. 14. et v. Scholiast. t. I.p. 187. (e) Athen. 1. 111. p. \\S-

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un nuovo vino da bersi; ma di qui può congetturarsi, che il vin di Biblo fosse nero. Ne avean gli antichi anche del bianco, dice Ateneo (a) ^ ma il nero per osservazione di Mnesiteo Ateniese, area più di tutti del nutriti' vo ; specialmente se tiri al dolce, qual crediamo essere il vin di Biblo. Plinio (6) assegna a' vini questi colori : coloiea vini quatuor : albini , fulvus, sanguini us , nig+r : ma vuole intendersi di un rubicondo più carico; poiché assolutamente nero non esiste . Eustazio (e) , e Omero stesso non lo distin- gue , chiamando U. vin maroneo , di cui abbiamo a parlar nella nota seguen- te or jUf'Xcu' nigrum , ora i?v$-c£v rubrum .

5^5. Tfi't«'J'ai»j Tpo^i'i/K, tres partes aquae infunate , quartam vero panetti vini admitee . Tf/'t Sfarai; leggono quasi tutt' i codici, e le edizioni citate da noi al verso 12. giova con molte parole confutare le novità del Clerc , che volle Tf/'{ £' ù<ttTO( , e fu ciecamente seguitato. Basta osservare col Winter- ton , che rflt in vigor della terminazione è comune. Piuttosto noteremo , che Esiodo insegna a temperare il vino, discretamente , laddove Anacreonte all'Ode 56". dice fiiv d'ex' i yx" "TJarof , tu vsvn d" oìvou K{/o$*{ , decem infuna* aquae , quinqtie vero vini cyathos .

Ivi .Tf/s etc. 11 metodo poi degli antichi nel faTe il vino contribuiva a ren- derlo più gagliardo, che ora non riesce. 11 vin di Biblo, benché de' pi limi- ti, avea bisogno di tre quarti d'acqua per esser bevuto senza danno. 11 vin maroneo , di cui fa lungo elogio Omero (d) , ed Euripide (e), avea bisogno di 20. misure d'acqua per ogni simile misura di vino. Lo stesso vin maro- neo mille anni dopo Omero, a' tempi di Plinio, quando dovea aversi impara- to a renderlo più bevibile , ritenea molto di quell'antica sua forza ; e non potea bersi , se ad ogni sestario di vino non se ne mescevano otto di acqua, come osservò Muziano tre volte Console, essendo Preside in que' paesi (,/") . Può anche raccorsi la generosità de' vini antichi dall' usanza de' Romani , fra' quali gl'ingenui fino al io. anno non ne beevano ; dagli Statuti de' Lo- crensi , fra' quali per legge di Zaleuco era punito di morte chi ne faceva uso senza licenza del medico, e fuor del caso di salute danneggiata (g) ; e da molti altri argomenti.

5p7. ìl/iutì i' t'woTBiivuv etc. Famulis autem impera Cereria sacrtitn mitnus tri- turare, quando primum apparuerit Orion . Teofrasto nel libro de' venti , dice che Orione nasce i'» a?x» rif òvufet; , initio autumni : il Petavio avverte , che

(a) Lib. I. pag. jp. (&) Lib. XIV. cap. p. (e) In A. Uiad. vers. 46*2. (d) Odys. IX. ip<f. etc. (e) In Cyclop. vers. 141. (/) Plin H. N. Lib. XIV. cap. 4. Ne' libri editi non si legge sextarios singulos octogenis aquae mi- sceri , ma octonis : la qual correzione par equa; parendo troppo da venti, ch'era a'tempi d'Ulisse, passare a ottanta a'tempi di Plinio, quando dovea «uocedere il contrario; e Plinio non avrebbe lasciato di osservar questa gran meraviglia. Ma l'Arduino ci attesta, che ortogenis è in tutt' i Co- dici ; e che sostituire octonis fu audacia d' interpolatori ; a noi pare auda- cia il difendere l'antica lezione. (g) Athen. 1. X. pag. 42p.

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deesi intendere dell' estato , che già declina , passato il solstizio di qualche giorno. Quest'apparenza si computa dalla nascita eliaca, o mattutina, che voglia dirsi, della stella lucida del pie d'Orione; ciò che avviene in Lu« glio; e nel latercolo Petaviano precisamente ai dodici . Ne dee dimenticarsi ciò che di questi nascimenti altra volta abbiam notato, che secondo tempi e luoghi si cambiarono : quae res , dice il Petavio (a), morosam , ac propemo~ dum inextricabilem istarum rerum investigationem facie .

5 99. X*i?p tùaii, >@ì t'(/Tfo^a'X« tv ùXuii , Loco in ventìs . exposito , et bene planata in area. Sit autem area loco sublimi, et undequaque perflabili, dice Palladio (b) , rispetto al primo precetto, che 1' aja sia esposta a' venti . Ri- spetto al secondo precetto , che 1' aja sia bene spianata, è necessario, come dice Virgilio (e), di osservarlo :

Ne subeant herbae , neu pulvere vieta fatiscat ; Tum vanae illudunt pestes. Saepe exiguus mus , Aut oculìs capti fodere cubilia talpae ; Jnventusqtte cavis bufo, aut quae plurima terrae Momtra ferunt , populatque ingentem farri* acervum Curcnlio , atque inopi metuens formica senectae . Quindi si prescrive da' maestri dell' arte, che 1' aja sia scavata nel sasso vivo del monte, e sia munita di pavimento di pietra, vel sub ipso triturae tempore sit uiigulis pecorum et aquae admixtione solidata(d) . Lodasi anco lo sminuzza- re la terra, e bene aspergerla di morchia d'olio, eh' è nimicissima dell' er- be , delle talpe, delle formiche, de' topi ; quindi appianarla con cilindro, secondo il consiglio di Catone (e) .

600. Mi'rpp i' tv x-ouiactàou tv àyytiriv , Mensura vero (usus) diligenter recondito in vasis. IVetze interpreta quell' àyytrtv per x//5a»T<'o/c, che vuol dir casse di legno, in cui i medimni misurati si ripongono (f). Valcvansi specialmente de' dogli di legno , o sia delle cupe a custodire il grano per mare , e su' ba- stimenti {g) . Vero è, che a conservarlo conviene sollevarlo spesso con la pa- la, e tramutarlo da un piano superiore ad uno inferiore, specialmente quan- do il grano è nuovo, come insegna il Sig. Targioni (h). lo in questo luogo spiegherei quell' àyyuriv per dogli fittili. Catone fra mobili della villane vuo- le fino a 20. Dalia frumentaria XX. (i) .

6"02. ©£■>■' àoiKor -roitì&ai, Agi} ànx-vov i?i$ay etc. Servum domo carentem condu- cere, et line liberis ancillam quaerere jubeo . Cioè servo senza moglie fi- gli, come interpreta Proclo, e serva che non abbia figliuolo'. E' ciò secondo le condizioni di Perse , ristrette , e limitate; nel resto: dando optra ut {praefecti ) hubeant peculium , et conjunctat conservai , ex quibus luibeant filios : eo enim fiunt firmiores , et aonjunctiorcs fundo , è precetto di Varrone (i) . Vi si aggiunge la condizione de' tempi ; perciocché i Prefetti , o Fattori , o

(a) Diss.variar.lib.il. cap. 8. (ò) L. 1. tit. )6. (e) Georg. I. 180. (d)Pall. lib. 1. p. 887. (<) R- R- cap. 120. (f) In commentario. (g) Alfen. Dig. ip. tit. 2.1eg. 32- (A) Tom. V. p. 18. (i)Cap.n. (i; Lib. I. cap. 17.

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Villici è un uffizio meno noto a' più antichi, quando i padroni attendevano per loro medesimi a' propi j interessi (a) : e Perse dovea essere un di questi padro- ni , che facesse anco da agente .

Ivi. {fii-or etc. Per ciò che spetta alla donna , Senofonte (b) ben altre qua- lità richiede dalla donna di casa : rìv <?t ■mula* ìirt>tn<rdjxt$x ÌTi^xi^àuctoi »t/j xfiìr t'ttox-li *'<u lyn^ait^aiii ig\ >af fò< , r&j orm , >^ ó-rvu , i&) àvifùv <riwov<riaf , promam vero conduximus postquam consideraverimus quae nobis videretur essa temperantissima , et ventris , et vini , et som ni , et societatis virorum ; al che aggiugne 1' aver buona memoria , e buona disposizione a sentire i beni e i mali del padrone . Ove notisi quel mitiar tnroinTaut6a, corrispondente al nroiìrSau ifiZov di Esiodo; e si aggiunga questo esempio ai molti raccolti dal Grevio per provare che nronìv può anche significar quaerere , e comparare .

Ó04. Kaì xc/Va xa'f^apoVovw *o/jùv etc. Et canem asperis dentibus nutrito, nec parcas cibo, ne quando tibi interdiu dormit-ns (fur) facultates auferat . Con- sente Varrone : Canes potius cum dtgmtate et aerea paueos habendttm , quam multo s : quos consuefacias potius noeta vigilare, et interdiu clausos dormire (e) ; e altrove: diligenter ut habeant cibaria providendum \d) . Bellissimo poi è il composto «iusf o'*o:t8; , e inimitabile in altra lingua per significare il ladro , che dorme di giorno per rubare di notte.

606. Xófwv <?' ìa-xou'uroa etc. Foenum autem importato , et paleas, ut tibi sit prò bobus et mulis annuum pabulum . Parla del ragunar ne' fenili il fieno e la paglia per provvista del bestiame , quando non pasce . Vuole che ciò si faccia prima di dar vacanza a' servi ed a' buoi ; cioè prima del tempo autun- nale , e come dice Varrone : quinto intervallo inter caniculam , et aequino- ctium autunnale oportet strumenta desecari, et acervos construi (e) . V. il Sig. Ab. Lastri(/") presso il quale si hanno ancora utili cautele per riporrei pre- detti strami ben~soleggiati , e inariditi , e sparsi di crusca , e tritello ; fi- nezze che non posson cercarsi in Esiodo.

Ivi. Più avvertenze perchè il fieno sia riposto senza pericolo che nuoca al bestiame, o che possa concepir fuoco, trovansi presso il Sig. Re nel Voi. II. p. 204.

<So8. Auw«{ aVo4t/?ai ?>'*« yévam , ^ /Sol Xtia-ai, Servorum refocilla cara ge- nita, et bovs solve. Abbiamo più esempj fra' latini di simile discretezza verso i buoi , e molto più verso gli uomini . Per rinfrancarli nelle forze , dopo aver lavorato , si facean feste , nelle quali giusta Orazio vaeat otioso Cum bove pagus(g) , e Tibullo :

Solvite vìncla jugis ; mine ad praesepia debent Piena coronato stare boves capite (h). Delle feste a Cerere ved. Virgilio nel 1. delle Georg, v. 340; di quelle a Gio-

(a) ColumellaXII. cap. I. (b) Memor. Socratis lib. V. p. 84J. (e) Lib. 1. cap. Zi. (d) Id. lib. 11. cap. p. (e) Lib. I. e. 33. (/) Corso di Agric. tom. IV. pag. 2p. V. anche il Sig. Targiuni tom. V. p. 182. e segg. (g) Horat. lib.lll. odte 18. {h) Eleg.i. libri 11.

236 ve Dapale disse Catone: eo die feriae bubus , et bubulcis(a). Ne* Compitali, e Saturnali lo stesso vuol che si aggiunga un congio di vino al giorno alla, famiglia, e de' buoi in generale questo precetto: Nihil est quod magia ex- pediat , t^uunt boves bene curare (b) . Ma a' tempi di Esiodo doveano esser rade le feste rustiche , delle quali niuna menzione è in tutto il poema : piutto- sto, dice Proclo, si usava co' buoi una certa discretezza, non prestandosi a' fabbricatori delle case per portar pietre , e avendo loro ogni altro riguar- do; e verso degli uomini raccomandasi il rinfrancarne le forze dopo le gravi fatiche della state; come vedesi nel presente verso citato dallo Scoliaste di Aristofane; il quale vi fa una nota opportuna al caso nostro : à^yàim al >i«f- yoì isit ii ci fmm^c), otiantnr rustici turte per messrm.

6"op. EfV à» (T'Uf/av ijgj E«yo; ìf /.lio-ov i\$n , Postquam vero Orion et Sii in» in medium venerit Coelum, A'C.turum vero inspexerit rosris digiti* Aurora . Sag- giamente , dice Proclo, Esiodo congiugne a mezzo il Cielo e il Can Sirio, e Orione , essendo costellazioni vicinissime tra loro; nel qual tempo accade il nascimento eliaco, o mattutino di Arturo, eh' è ciò che il poeta esprime per quel suo detto: quando l'aurora riguarderà A' turo. Il giorno in cui questo succede è ora a'2i. di Settembre ; ma non dee mai dimenticarsi quanto no- tammo a' versi 385- e Jp7-

(fu. La vera maturità della vendemmia non da astri dipende; ma da 01- servazione locale , per cui in alcuni paesi è un magistrato , che ne determi- na il tempo ; usanza lodevolissima . E il vero tempo è quando cominciano a cadere le foglie, quando il picciuolo veste un colore di legno, appassisce, ed incurvasi sotto il peso del grappolo, e i gianelli cadono ad ogni piccola scossa . Altre avvertenze di grandissima utilità in questo genere troverà il lettore nel Voi. 111. del Sig. Re pag. <55. ec.

tfll. A«|a/ fittoti etc. Exponito vero (uvas) soli decem dies et decem noctes , quinque autem in umbra i epone, sexto in vasa conde . Deride Tzetze queste leggi, eie chiama simili a quelle, che dettò Platone per la sua repubblica. Proclo al contrario le considera come co.-,e vere , e usate a' tempi di Esiodo. E certamente chi sa la cura che si usa anche oggidì in iscegliere e prepa- rare le uve a fare il vero Montepulciano , non discrederà che tanta se ne impiegasse in antico a formare un buon vino. Ne questo è l'unico esempio che ne abbiamo . Fra gli antichi è da veder Columella nel modo di fare il vin passo (d) : Uvam praecaquam bene maturam legere: acina arida aut vitiosa rejicere... in sole pandore uvas,et noctibus tegere ne itrorentu> : quum deinde exaruerint , acina decerpere et in dolium, aut in seriam conjicere : eadem mu- stum quam optimum, sic ut grana submersa sint , adjtcere: ubi combiberint u- vae seqae impleverint , sexto die in fiscellam conferre , et prelo prtmeie, pat- sumque tollere . Trapasso sotto silenzio molte consimili autorità degli anti- chi, e molte de' moderni, fra' quali il Sig. Targioni (einel modo di faro il

(a) Cap. 1 3 2. (b) Cap. ?4- (e) In Iren. v. IT 70. (d) Lib. Xll. cap. Ip. (e) Lez. diAgricolt. tom. VI. pag. 174. tom. 111. pag. ni.

a37

vin santo, l'aleatico, il piccolit , ore anche loda l'uso di riporlo in rasi di terra colta, come anch'oggi si costuma nella Spagna. Bene anche ne scri- vono il Sig. Lastri , e il Sig. Re , che col predetto Sig. Targioni formano un triumvirato di scrittori d' agricoltura, da potercis' invidiare da molti esteri.

614. cium? ÌTnìvÓH TlXìiìacSe; 8,'Tuóts <n , ■»' it &ìvoì 'ftp/avo; buvunv , Sed post- qnum l'iejtidesqiie , Hjadesque , et vekemens Orioli occiderint . Ripiglia il con- ciglio dato a' versi 3 84. di arare al tramontar delle Plejadi. Questo tramon- tile è mattutino, ma non eliaco; è cosmico, e a' tempi d'Esiodo interveni- va, dice il Petavio, circa a'principj di Novembre. Lo stesso vuole intender- li delle ladi , e di Orione, astri che tramontano poco prima, o poco dopo le Plejadi: di che leggasi il Petavio nella Parte 11. del Tomo III. Dissert. II. capo 8. specialmente e p.

6\j. nrXtiù- ài »aw ^""^i ap^iwo; un, annus veto operum quae fiunt in terra finem habuerit , traduce il Costantini v. ù^fiaos ; ovvero annus compietti* Juerit . Tlksiàn per annui è vocabolo usato da Licofrone , ammesso da Esichio , deri- vato a parer di Tcone ^u) appunto dalle Plejadi , quasi regolatrici dell' anno rustico. Ma quel!' amplio; non può spiegarsi per completila , quantunque un cemento di Proclo favorisca tale interpretazione; dee intendersi per a./ustf/oj , come in altro cemento segnan lo stesso Proclo , e Moscopulo : e vuol dire aptus accommoddtus »aw jc**'»? circa terroni, cioè circa opera terrestria , circa opera rustica . E' opportunissima clausula di ciò che ha detto Esiodo dal v. 383. ove ha incominciato , e senza interrompere ha fino ad ora proseguito a trat- tare di agricoltura; divisandone i lavori dell'autunno, del verno, della primavera, della state, finché di nuovo torna all'autunno.

618. E;' <f« re vavTtkins etc. Quod si te nav gario'iis peruulosae desiderium ceperit , quando utique Plejadcs vehementem Orionem. jugientts etc. Le Plejadi nell'occaso mattutino precedono Orione , e perciò poeticamente è detto che lo fuggono . 'A/f« han tutti i nostri codici , eccetto un solo , che ha eù?>J Cor- regger la lezione di tanti codici come fa l'Aldo, mi par troppa animosità.

622. Kai ra'-re etc. Et tunc ne amplius naves habe in ni^ro ponto; terram autem exercere memento ita ut te jubeo . Questo consiglio, ritenuto stabilmente,

loda M. Tullio al I. de Officiis cap. 42. Mercatura si satiuta questu , vel

contenta potius , ut saepe ex alto in portum , ex ipso portu se in a^ros possessio- nesque contulerit , videtur jure optimo posse laudari.

6iy. "OirXa <T tVe'f/w* etc. Armamento vero disposila omnia domi tuae repo- ne. Intende gli ordigni, onde si arma la nave prima di metterla in corso; 1' albero , i remi , le molte funi , il timone , le vele.

628- Eùx.io-/xus etc. Recte contrahens navis alas ponttgradae . Le vele accon- ciamente son chiamate ale, giacche alla nave fan 1' uffizio, che le ale, dice Proclo, agli uccelli. Quindi il mare è da Virgilio (6) chiamato vclivolum s e volare linteo è detto da Catullo il navigare (e), ed Eschilo più per noi a

(a) In comment. ad Aratum (b) I. Aeneid. v. 224. (e) Cairn. IV. pag. ip.

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2}8 proposito \ivo-rrif' iuft vxuriXm ò%>iaai* , invenit navitarum currus lineai alas habentes (a)

620. TltitdXiov i' tùif/ìi etc. Et temonem fahr e. factum super fumum suspcndito . Per seccarlo dalla umidità ed indurirlo. In simil guisa faceano agli aratri pel line istesso. Fulgenzio nel primo della Mitologia: Largo fumo lurida pa- rietibtts peadebant aratro (b) .

6ìo. Ao' 7»; J" tSfcùov /xiuvuv irXóov , «a-o'xei» i\$>i etc. Ipso autem tempcstivam ex- pectato navigationem >dum vtniat; et tuie navem celerem in mare deducito etc. La navigazione in tempo d' inverno pochissimo era in uso presso gli antichi Greci; ma soliti erano di aspettare le feste di Dionisio, che facevansi in primavera. Uno de' discorgi sciocchi, che fa il garrulo presso Teofrasto è <r!iv $c!ka?a-ar IX ùitevva-iuv nrXùifxoj ti vox , mare post Dionysia esse navigabile (e)'. Ove Casaubono pretende , eh' essendo detto semplicemente Dionysia si abbia ad intendere delle feste grandi, che a Dionisio o Bacco si faceano nella città (di Atene) in primavera; non delle picciole , che nelle campagne si facean d' Autunno . Altri più probabilmente vuole , che quell' ex Aiovuo-i'uv s'intenda dell'une e dell'altre feste; passate le quali fosse tempestiva la navigazione. Aristotele (ti) assegna a lei altra festa ts mv Xìcw^Bxvoùut ò tX»; ; festa che cadeva in Giugno. Samuel Petit nel libro de Legibus Attiris lo spie- ga della sicura navigazione . Nel resto la navigazione in Atene par che si aprisse alquanto prima della gran festa di Bacco ; giacché in essa , pratica- bile già il mare, si portavano in Atene i tributi dalle isole e dagli altri luoghi (e) ; ed è notabile , che gli Ateniesi , favorendo il commercio , avean fatto legge, che ne' mesi della navigazione fosse vietato il litigare ; la qual legge dichiara il Petit.

6ìi. "ilrtrif t'jus'f is irawj jgt} tris etc. Qnemad/nodum , meuique pater et tuia, stolidissime Persa , navigabat navìbus . Togliamo alcune notizie dagli Scolia- sti greci . Il padre di Esiodo fu chiamato Dio , come dicemmo al v. 2pp. ovve> ro Foronide ; la prima tradizione par che sia di Eforo , a cui conformansi Tzetze e Moscopulo ; hi seconda è di Ellanico citato da Proclo. La ma-dre di Esiodo fu Pknmede/, dice Tzetze; gli antenati, dicon quasi tutti, Orfeo e Calliope .

<J34. fiia xe^i/teVof ì&\ì , victus indigus boni. 'kja$où jgij Sin.oticu chiosa Mo- scopulo , victus boni et honesli . E Proclo soggiugne , ch'essendo il padre di Esindo indebitato, per sottrarsi alle molestie de' creditori , intraprese il viaggio da Cuma ad Ascra . Eforo poi , Camini) anch'esso , nega questa po- vertà, e questi debiti; e dice, che il padre d'Esiodo lasciò la patria per omicidio, lo non credo quest'omicidio; perchè se indi fosse venuta la po- vertà, confiscati i beni pel delitto, come dice il Poeta , che vien da Giove?

(a) Promcth. v. 4S8. (/)) Pag. p. (e) Thcophr. Charact. e. 3 . et Casaub. p. 1 2p. (d) Lib. 1. de Generat. Animai, e. li. (e) Palmcrius ex Schol. Aristoph. Exer- citationum pug. tf ! 8.

239

Parla dunque più verisimilmente di una povertà, in cui il padre era nato, e cresciuto .

6Ì6. Ka'ufou KioXiit ttfo^inràv , Cumam Aeolidem relinquens . Tzetze cihacon- servuto il nome di questa Cuma o Cyme , con cui chiamavasi ne' suoi bassi tempi; ed era Fricotide.

6I7. Oi/'x à<$tvos tpiuyav etc. Non reditus fugiens, neque opulentiam etc. Se si avessero a torre , dice il Clcrc , tutt' i versi che sono indegni di un poeta di tanta fama , quanta Esiodo ne ha raccolta ; questo verso e il seguente , essendo freddissimi, andrebbon lineati , e veramente lineati gli ha il Signor Brunck; a torto se io non m'inganno. La fama è relativa al tempo, in cui vive un autore; e eh' Esiodo , comunque scrivesse , sia giunto nello scrivere tant' oltre , è cosa simile a prodigio, e da conciliargli gran fama. Che poi non sia esente da alcune imperfezioni , è vano a pretenderlo. Lo stesso Ome- ro non ne fu esente ; ed è criticato Aristarco per la sua troppa severità in emendarlo . 11 Critico è anche istorico ; e dee trasmettere ogni verso a' po- steri quale lo ha ricevuto.

638. 'AX\à «x»'» ircvilw , sed fugiebat malam pauprriem . Molte cose dice Teo- gnide della fuga dalla povertà, come dal sommo de' mali, dal verso 172. e fra gli altri ha questo sentimento :

Xf»' >ap ó,uw{ ivi yiiv -re , itg^ lù^t'rt vùiu ^«XoVa-itf

&iXi&<u %a1.iirìt$ , Kvfvt, Xuriv vfvnii . Qfortft enim simul super terrum , et lata dorsa maris Quaerere gravis , Cyrne , liberationem paupertatis . 11 che è quello» che con più spirito disse Orazio al principio delle sue Epistole : Impiger extremos currit mercator ad Indos Per mare pauperiem fugiens , per saxa , per ignea .

6Ì0. ìiàatrum <$' àjx 'EX/xài'Oj ói'^u^ ivi x<um«, Rabitavit vero prope Helico- nem misero in vico. E pur questo borgo ha egli chiamata città (vó\i() a' v. 2o"p. del presente poema Lo stesso nome le Stefano alla pag. 123. Proclo la dice voXi^nor parvain urbem; e benché da MoseopuJo si raccolga che non avesse muraglie, ciò non osta perchè almeno non possa dirsi città picciola : giacche Tucidide ha espressamente detto iro'X/j disi'x"?'! ,urbs sine moenìbut . Ora dunque lo chiama borgo per disprezzo; siccome pare aver notato Vellejo Patercolo, che di Esiodo scrive : patriamqtie et parentes testami est ; sed pa- triam , quia multami ab ea erat , contumeliosissime (a).

640. "Aaxf» %wfM x«x>T, biqn a'fj-aXe'it, oùii vor ìs-\vi , Ascra , hyeme ma- la, aestate molesta, nutiquam bona. Notisi àfyaXiti è un dattilo per la Sì- neresi di e ed », seguendo vocale. Ecco i versi contumeliosissimi di Palei- colo; a' quali però in gran parte si accordano e Plutarco che Ascra dice inabitabile , ed Eudosso che la chiama senza sole , e Proclo , che ne descrive la posizione. Stavasi su la via per cui andavano a visitare il bosco e il tempio sacro alle Muse , alle falde dell' Elicona : onde non potoa essere esente

(a) Lib. I. extremo.

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(la venti impetuosi, e da nevi l'inverno, e da una penosa e lunga tranquil- lità d'aria la state. Era nondimeno , se vuol credersi all'autor dell' epitaffio di Esiodo , iro\v\Hit>s (a) , cioè fertile di f umento , e se non mente Zenodoto iroXu^óipuXe; , fertile in viti e in vino(b) , e in tutto feconda , se ben la descrisse Sidonio Apollinare, ove disse : Non heic tiasìodea pingui* Ascrae spectes car- mina (e) .

64Ì. Ni?' ò\iynr aìvùv , (xiyà\* i' ivi tpogria $i&t>u, Navem parvam laudato, magnae vero onera imponilo. Di qua par che Virgilio derivasse que' versi , come notò Turnebo ne' Cumm.ontd.1 y. Laudato ingi mia rara f Exiguum colito(d) .

6^6. Ewt' à» eV ìfi-iro ilw Tff\n$ àtri <pf ova Sufxiv , Ubi ai. tini ad mercanti um verteris tmprudentim animttm , fugere vero et debita volueris ctc. Di Tfe4<*{» che il Gujeto vorrebbe qui intrudere , vedi le varianti .

ó"48. Aa'gai °n "ai, non , come contro la fede della più parte de' Cedici legge lo Stefano ; il che ha dato ansa a formare un canone , che <t ì , ti , , *«' > ft" t >»'?» T'«> X8V> <nJv} e simili si faccian lunghe, seguendo qualunque consonante . Principio falso, dice Winterton : le particelle finite in t non si allungano se non in cesura, e seguendo liquida, le altre terminate in li- quida , o in ; , in cesura e fuori.

6"4p. Oùtì ti vxutiXìh; ctc. Etti neqtie navigandi peritus ncque navittm Non mi appaga il Gujeto , quando de' due versi che sieguono pronunzia : hi duo versus, teste Proclo, insilitii videntur Plutaicho qttem vide. Placet judteium Plutarchi . Ma il giudizio di Plutarco è molto più rigido a detta di Proclo: Ixviu iravru etc. Omnia haec circa Chalcilem Ani^hidamanns , et agoaem, et tripodem insinua duit Plutaruhus , nullam habentia militati m . Par poco ra- gionevole la difficoltà , che si fa ad Esiodo ; che niun utile abbia questa sua narrazione. E' qualche utile il supere un tratto della vita'd' un valen- tuomo che gli fa onore. Ma poi non abbia utile: perciò non la scrisse Esio- do ? E che utile hanno le tante e tante volte ripetute lodi di M. Tullio, che egli fa a se , d'aver salvata la repubblica, e di esserne in benemerenza stato ricondotto dall' esilio sopra i suoi omeri ? Eppure chi negò mai , che M. Tullio le scrivesse ? Di tutto il passo dunque , che anche il Brunck rise- cò tutto, non par da scartare se non il verso T«» tauirtM? tv XaXxi'cf'/ Suor "OyxiO't che in alcuni esemplari leggevasi a' tempi di Proclo; e che Pausa- nia (e) non notò nel tripode di Esiodo , che pur vide.

6S0. Od yàf nrùiron vai y ivitr^ar tu' fiat trovar, Neque enim' unqitam navi frammisi latum mare. Filostrato (/) nella vita di Eliano racconta, che que- sto Solista, contuttoché scriva con eleganza veramente attica, era solito di dire , p**' àtroótSx/uttxircu trn ti( yX( litri? -ri* 'lraìùv %ufar , yn*i iy/SHvcu vavr, pxiì yvùvai ^àXarrar , numquam se alla parte terrarum peregrinatum ultra Ita- lorttm fines', neque navem consccndisse , neque expertum esic mare.

6S\. fot •'{ E«/\tfe/o* i\ Ai/A/Jej, Hiù in Euboeam ex Aulide . Breve tragitto

(a) Paus.lib.lX. p.doo. (b) Ap. Straboncm Lib. IX.pag. 41? (e) Pag. 304. (<f) Georg. IL 411. (e) Lib. IX. pag. 588. (/) In vitis Sophiet. lib. IL p. 6zS.

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passar d' Aulide , città picciola di Beozia , in Eubea . Pausania descrittore esatto di tutta Grecia: "£.v ii%'$ 1* Eu'fi'iru viiv Eù/So/o» .. àtri 7»; Voiumv iitinj- yri-ms . . ..ita Au'\ì;,ad Euripi dexteram dividentls Euboeam a Boeotiorum fini- bua ... est Aulis {a) .

Ivi. « tot' 'Ax«w' etc. ubi olim Graeci, expectantes tempestatevi , magnum coìlegerunt exercitum . Notissimo è il racconto , che lungamente aspettasse l'esercito greco in Aulide il vento propizio per passare in Troja, e l'otte- nesse, sacrificando a Diana 1 innocente Ifigenia. Dice \aì» ày«?cu> ; perchè Agamennone dopo risoluta la guerra di Troja nel tempio di Giove, poi det- to Omagirio , ove convennero tutt' i principi della Grecia, comandò che il popolo, o sia i soldati, si raunassero in Aulide.

65$. 'Ev$éJ' ìytir etc. Illuc ego ad certamina strenui Amphidamantis, Chalci- demque trajeci. Questo Anfidamante fu Re di Eubea , e combattendo in mare contro gli Eretriensi , morì. Più altri Anridamanti contò l'antichità, come il figlio d' Aleo Re d'Arcadia, rammentato da Pausania (Z>) , e il padre del medesimo Aleo, chiamato Anfidamante il vecchio dallo Scoliaste di Apollo- nio Rodio (e) , uno Scrittore di mitologia, che nomina Antonino Liberale (d) , ed altri, che saria perduta opera andar divisando.

($55. it irfoiripfatfuiva irò/ Xa 'A-9-V t$t?cw Troùii^ i*iya\>ÌTeyt<; , indiata {per praecones) vero multa Proemia constituerunt juvenes magnanimi . I tìgli di An- fidamante , come dicono gì' Interpreti greci , posero molti premj , dopo aver- gli fatti promettere per mezzo de' banditori . Quindi comentano •apoyxtm- foyui*a, E nel preconio se ne facea menzione; come in quello, che con- vocando gli Dei presso Giuliano usa Mercurio:

'O i£v xaWi's-uv "A&\uv muia; , Incipit quidem certamen pulcherrimorum praemiorum judex(e) . Ove noto di passaggio, che questi preamboli spesso facevansi in versi, ma dozzinali, come raccoglievi dal Giove Tragedo di Luciani; ove Mercurio avendo co- minciato a fare il suo invito in prosa , è da Giove ripreso perchè noi faccia in versi; ed egli sdegnando que' de' Rapsodi , perchè mal fatti , e non essen- do poeta, impasta alcuni v'ersi di Omero.

($57. Tfiirod" ti'ucvn , tnpodem auritum . Non è da ricorrere per aver notizia di questo tripode a quelle medaglie , che ci rappresentan tripodi greci o romani sostenuti da elevati piedi ; e che servon d' altari , dando luogo a farvi de' sacrifizj . Gli antichi , dice Ateneo (/) , ebbon due sorte di tripodi, che dissero anche lebeti Alcuni eran destinati a temperare il vino coli' acqua , e questi chiamarono àiru?»; , cioè che non aveano sentito fuoco . Altri erano destinati a scaldar acqua per lavare il corpo , e specialmente i piedi , e questi chiamaron ^oerpo;^»; , ovvero tYtTU£i/Sa'ia; ; e tenevangli al fuoco con-

(a) Paus. lib. IX. p. J70. (6) Pag. 460. (e) In 1. Argon, ver. i<5i. (cZ) Me- tamoTph.cap.3p. (e) In Caesaribus pag. 3 1 8. (f) Lib. II. pag. lj.

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tintamente . Parecchi de* tripodi erano auriti , altri , cioè alcuni avean anse, alcuni . Aurito fu quello , che descrive Omero (a) , messo in premio da Achille , che teneva ventidue misure di liquidi , che toccò a Diomede ; siccome aurito è questo , eh' ebbe in premio Esiodo .

658. Tòv (*ìv ìyù MaVa/f etc. Quem ego quilem Mmis Hcliconiadibus dicavi . E si vedeva a' tempi di Pausania , come dicemmo. Anche quello di Diomede fu dedicato ad Apollo Delfico, aggiuntavi una iscrizione, che riferisce Eusta- zio (£) , 6ebben sospetta. Richiamiamo l'antica lezione di quasi tutt'i MSS. ÌAiurcui , cangiato in M«<ri); , che anco è scorso nella nostra edizione.

<fjp. "Ev>a fjtt etc. ubi me primum dulcis compotem fecerunt cantus . 11 Clero a questo verso fa la nota seguente : Contrariarli hoc est iis quae habuimus in Theogonia v. io. et sequentibus: ma non a me. solo , ma anco a' greci Scoliasti par conformissimo a ciò che dice nella Teogonia dal verso 22. fino al 32. ove racconta d'essere stato dalle Muse fatto poeta nel monte Elicona; monte in cui fu consagrato il tripode .

661. "Hfjtam iri.nnovm etc. dies quinquaginta post solstitium , ad finera progresso aestate laboriosi temporis Tempestiva est mortalibus navigatio . Al Clcrc è paruto Esiodo ignaro affatto dell'arte di navigare, quando coercet omnem navigationem intra quinquaginta dies , quorum initium sumatur a solstitio aestivo , quum praesertim solstitium aestivum inevìerit in III. Julii . Quindi stimò , fuor della opinione degli Scoliasti , che mancasse prima qualche verso , in cui si lodasse la navigazione cinquanta giorni avanti il solstizio estivo ; giacché anche questo è tempo opportuno a navigare. a questi tempi, in questi paesi , con maggiore pericolo . L' arte di navigare era ancora fanciulla a' tempi di Esiodo ; e il legno poco si scostava di terra. Ciò special- mente in Grecia ed in Ascra; ove anche potean esser venti impetuosi al co- minciar della state, miti al finire. Ed Esiodo, che in ogni precetto sceglie 1' ottimo, come avvertimmo, anche in questo punto avrà scelto il tempo più opportuno a' tragitti ; in cui senza una straordinaria disgrazia fosse sicuris- simo il navigare .

Ivi. (xim rfoirdf Ht\ioto . Sistole dorica in quel r(ovà( accusativo plurale della seconda declinazione de' semplici : nella prima ancora si trova, ma più di rado, come in Teocrito H[xuti; cìtmf ò ? .

665. 'ilfoùoj nei \itut ^vms-1% tXo'oj . Ho tradotto : Ricorro l'ora a' naviganti a- mica; usando il vocabolo ora per tempo, siccome fece il Petrarca, quando disse : Cose che a ricordarle è breve V ora(c). Ed anche fra le Ore , che sono le allegorie de' tempi, Igino computa Euporia (d) , eh' è l'Ora che presiede alla felice navigazione .

667. E«' Mi' £i tepiwuv etc. Nisi dedita opera Nepttinus terrae quassator , aut Juppiter immortalium Rex velit perdere . Nomina queste due Deità come re- golatrici del mare ; Nettuno perchè Re di esso ; Giove perchè dispotico dell' a-

(a) lliad. XXIII. vers. 164. (6) Pag. LfJ», (e) Trionfo di amorecaji. II. (d) Fabula CLXXX1II.

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ria, e de' venti , che mandandogli sfavorevoli , può sommergere i legni, e gli uomini .

67ì. 'Snriufmv <t" Òtti «t'x/r« etc. Propera autcm quam celerrime iterum domum redtre. Non prescrive tempo determinato , sicché alquanto prima o alquanto dopo i cinquanta giorni deggia tornare a casa : dice di tornare il più presto che sia possibile . Alquanto più si facean lecito di trattenersi in mare i Fe- nicj a tempo di Luciano , de' quali egli dice : airarar ya\ émt «'»»» etc. omne enim isti litus , et orarti umnem , ut ita dicam , singulis annis perscrutati , sero per autumiutm domum suant revertuntur (a); ove nondimeno si vede, che al cader dell'autunno anco i Fenicj , spertissimi in navigare, si riducevano a casa loro .

£■74. Minti fiivsiv alvììi tt viov , Neque expectato et vinum navum etc. Utoivia , nova villa, era una festa in Atene, in cui beveasi il vin nuovo: era dedicata a Bacco ; e celebravasi in essa la invenzione di questo liquore , per cui Lon- go (&) ìv ie?rn &tovu'<7ou , jg^ oìca yoiitrti . Di tal festa vedi il Jonstonio (e) .

67 S. Ka*1 xhuùv ìirióviu , vómó ts invai; aliteli;, Et hyemem accederitem , nntique molesto* flatus . Plinio (d) : Post eos ( Aquilone s ) rursus Austri... Vergiliarum occasus hyemem iuchout , quod tempus in HI. IJtts Novembres incidere consue* vie ; ma prima a' tempi di Esiodo .

tf78.>AXXof J lìatftvòs etc. Sed alia verna est navigatio hominibus . Plinio nel capo stesso : Ver ergo aperit navigantibus maria ; cujus in principio Favonj hiberntim molliunt coelum . Ma non è del principio della primavera , che il nostro Poeta discorre; è della primavera inoltrata, quando il fico comincia a mettere le sue foglie; il che avviene di Aprile; e allora permette di porsi in mare ; s'ebben quasi furtivamente pel pericolo che si correva a' que' tem- pi di far naufragio .

6"84. àXXoi vu ^j ia etc. Sed tamen et haec homines faciunt stultitia mentis. In vece di •» il Brunck volle -àv , cioè v\iov . Perchè? Perchè così trovava scrit- to nel solo suo codice . Del tragitto d' inverno furono i primi sperimentatori i corsali, secondo Plinio; poi gli avari : Pivatae primum coegere mortis peri- culo in mortem ruere , et hiberna experiri maria ; mine idem hoc avaritia co- git (e) .

<S85. Xfi'uajK yà( 4"X'' etc. Opes enim sunt anima miseri* mortalibus . In si- mil senso disse Filostrato : "Ktraa-i Xuoi<; iìv -^vyil <rix.ua , cunctis vero viven- tibus anima sunt filii'f), e più propriamente Timocle parlando anch' egli di averi: 4ox"' iS?o-n>t.-tv aifxd t ì<;iv rffj-ofoc , anima et sanguis mortalibus est ai gerì' furo (g). Noi abbiam tradotto danaro, che fin da' tempi eroici era in uso nella Grecia , quantunque non segnato , come vogliono i più : ma consistente in oro, argento, bronzo pesati. V. Feizio Antiq. Homer. Lib. II. cap. io.

(a) InTaxaritom.ll.pag. ?n. (b) Pastoral. lib. II. p. io. (e) Gronov. The- saur. antiq. Graecar. t. VI. (rf) H. N. lib. II. cap. 47. (e) Ibidem. (/) In Apoll. Thtiaa, 1. II. (#) Apud Natalem Comitem lib. II. Mythol. cap. 1. p. 40.

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<fp4- M«rf* pv\drrt»n' xoujj; i" ivi vati* ày.$o<; , Modum serva : tempus vero in omnibus optimum . Si è dubitato fra gì' Interpreti , se questo sia un sol pre- cetto , o debba dividersi in due. L' Einsio e il Gujeto l'intesero quasi dices- se (U8Tf« xoupà : il Grevio dietro gli Scoliasti lo divide in due , serva modum ; ser- va tempus, quod est optimum in rebus omnibus. Noi seguiamo la sentenza del Grevio , perchè ci pare che tutto il presente capitolo riguardi il modo , nel senso che spiegheremo; e il capitolo seguente risguardi il tempo, cioè lo giornate prospere , ad ogni affare : cosi scuopresi sempre meglio 1' ordine di tutto il poemetto. Per ora dichiariamo due sensi della voce ijiìt^ov .

Adunque in primo luogo ixir^ov è quella misura, che gli antichi raccoman- davano in tutte non solo le azioni , ma ne' desiderj altresì , e nelle speranze ; e finsero la Dea Nemesi, che mostrando il cubito, misura comune, tacita- mente minacciasse di non eccederla in cosa niuna , dando nel soverchio .

Un altro senso ha la roce flirto* , come insinuano due de' Comentaturi gre- ci, spiegando vvufiirfia ; che significa ivi itiuvvolezza , cnnventvoltzza . Di ciò il G.evio al v. 306". ove Esiodo nomina uir^ia ff>«, adduce varie testi- monianze , come di Platone , che ha utr^iu; \iyeiv , di Tucidide , che haf»fTf/*s lìirùr . In questo senso la voce /ueVfov conviene a tutt' i precetti, che si dan- no in questo capitolo ; in cui ripassando il Poeta molti degl' insegnamenti dati ne' precedenti capitoli , senza espi imer sufficientemente il modo di eseguirgli , e dandone anche de' nuovi ; di tutti insegna come convenevolmente, e dicevol- mente mettergli in pratica . V. gr. avea nel capo quarto parlato di far sacrifiej; ora ne mostra il modo, che si offeriscano con nettezza; e così insegna i mo- di di trattare gli ospiti, i parenti, gli amici, i convitati: i più de' pre- cetti riguardano questo capitolo quarto; ma tuttavia al quinto appartiene il non lasciar le case imperfette; al sesto il non cicalar troppo, e così di altri. Vano sarebbe ricercar ordine in questi ammaestramenti , che come dicemmo, sono dettati all'uso orientale espresso ne' libri di Salomone.

Ivi. Koafo'f &' tiri nràriy àsA$»f. Con questo verso prelude, come dicemmo, al capitolo delle Giornate ; ma generalmente ancora si può intender di quel- la opportunità, che in ogni cosa è da aspettarsi , e da seguirsi. E' questo un bellissimo insegnamento , inculcato ancora nelle sacre carte: Fili conserva tempus (a), ove il P. Calmet fa questo comcnto: Stude , ut omnia suo tempore facias : suum enim est Inquendi tempus, suumque tacendi; aedifìcandi ttmpus et destruendi . Gravisdmum hoc est sapientiae officium . Inter dwn enim qua» opttfìia natura sunt , pessima fiunt quod suo tempore gesta non fuerint . Abbia* mo su di ciò un altro proverbio preso da Esiodo, di uno de' sette Suvj , che l'erma dementino , ed Ausonio ascrivono a Pittaco riyvturxt xeufóv (b 1. Nel resto ciò che dice Esiodo àr^^c», Terenzio l'espresse per primum rerum omnium, laddove disse : In tempore ad eam veni , quod rerum omnium est primum (e) . 6"p5. 'ftpaIo{ yiuiaùxn, In flore vero aetatis uxorem tuam in domum àucito . 11 Grevio a quel ma(ine,con cui traducevano l"ilf»o{, sostituì in aetatis flore;

(a) Eccli. IV. 23. (6) Lococit. t. 212. (e) Heaut. A. IL ec. 3. pag. 218.

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ma perciocché lo fece fuori di luogo , cioè a' versi po3. della Teogonia) perciò non fu atteso non dico da Gujeto e da Clerc , ma anche da Robinson , e da Loesneio. Nel resto »?« vai pulchritudo , e «?<wo; pulcher , o come Esichio chiosa iv/xo?<po;. E siccome, riflette il Grevio , la età della bellezza degli uomini è la gioventù, così wfoùo; si prende per giovane da Esiodo. Al qual proposito riporta lo Scoliaste di Teocrito , che così lo espone (a) ; e citan- do Esiodo nel luogo presente , «fai»; , interpreta «x^ia'JW, in aetatis flore con- stitutus .

6$6. Mw'is rc/xy.óvmv iiiov etc. Neque triginta annis valde multimi ìnferior , ncque superans mtdtum- Questi -versi son riferiti da Stobeo(Z>) senza la mutazione di r^jLux.óvmv in Tyutxovm , che Tzetze vorrebbe introdurre non solo in questo, ma in tutt' i numerali finiti in «j come nrwnxovm ; la quale ortografia è ap- provata anche da Gujeto amantissimo sopra ogni credere di novità; la qual lode io gli rinunzio .

Ivi . Quanto alla età , eh' Esiodo prescrive ad ammogliarsi , Platone nel V. della Repubblica , e nel VI. Libro delle Leggi aggiugne cinque anni di dila- zione : iixorem quisque a trigesimo usque ad quintum et trigesimum ducat . Solone avea stabilito alle nozze il quinto settenario della vita , che incomin- cia ai 28 . anni {e) . Agli Spartani era concesso da Licurgo di prender moglie nel più bel fiore della età, iv àx.(Jcùs iàv o-u/jdmv , dum vigerent corpora (d) , poneasi differenza di anni fra uomo , e donna.

<Jp8. H d'i yutiiì Ti'wp' li/Sa», trip-irTu £i yafjo7n, Mulier vero quatuordecim an- no» pubescat , quintodecimo vero nubat . Lascio m/Su», senza mutarlo in «fitóot , quantunque i più de' codici così consiglino ; perchè gli Scoliasti tutti leggo- no *fi<in . 11 passo è controverso . I più dietro Moscopulo ci sottintendono iJVxa , presa tal numerazione da' mesi lunari. E nelle chiose assai belle pubblicate da Loesneio, tanto sopra tiro^' è scritto tiri <?ix.u , quanto sopra *t'(*T*pi& scrit- to Je'xa . Proclo accenna tale spiegazione ; ma accenna pure quella di Tzetze, difesa da Robinson , che la donzella avanzi nella pubertà , fino a' 14. e aspetti poi cinque anni , e maritisi al ip. Ma se questo è , perisce il fine, che ha Esiodo, prescrivendo-alle nozze un tempo, che la donzella possa essere educata virtuosa dal marito : perciocché a' ip. anni si è presa comunemente la piega verso la virtù, o il vizio ; ciò che non avviene ne' 1 5.

Ivi. Credo, che l'equivoco stia nella parola »',5«», che Tzetze vuole in- tendere strettamente per pubesco , e va intesa per pubesco in senso più lar- go , cioè per cresco. Così la prende l'Interprete di Omero chiosando nfiu'us-x di una vite , ax,rtcl%ti?a (e) . Or siccome una vite comincia a crescere dopo pian- tata , così la verginella dopo nata cresce fino a' 14. anni, dopo i quali nel quindicesimo si mariti. E circa a questo tempo celebravano le nozze i più degli antichi. Senofonte che propone Isomaco per esemplare di economia , gli fa dire, che la moglie era stata sposata prima di compiere il quintodecimo

(a) Idyll. I. versu iop. (b) Cap. o"p. (e) Censor. (d) Xenophon de Rcpub. Lacedaem. (e) Odyss. V. vers. 5p.

43'

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anno, in àvu nri*nx.«iti*.<t ■) tyov ul a. (a) . Epitteto riflette, che le donne eran chiamate x-ugiou Signore da' lor mariti «/'Ws aVò •retro-affTxat'cUx» iwv , subito dopo i 14. anni (6). Platone prescrivendo alle fanciulle il termine delle noz- ze ; jau» 0? ov Zvtu xó?» fxìv atro s'xxeu'J'lxa éiw» «j if-irt dai lo" .anni , fino a'io. (ci. o"po. TloifS-iiiixììv ■yot^ùv etc. Virginem vero ducito , ut mores castos doceas . Fa onore ad Esiodo il precetto di menar moglie di 1 5. anni , e vergine , per po- terla istruire nel buon costume : giacchi; da una madre di famiglia morige- rata dipende in gran parte il morale di tutta la casa. Aristotele nel I. degli Economici cap. 4. adducendo questo verso di Esiodo , lo loda in quanto con- ducente a formar la donna di carattere simile all'uomo, ciò che molto gio- va alla concordia - Nel resto , come ben riflette Plutarco , più utile è all'a- more scambievole, che l'uomo e la donna siano in una età non molto diver- sa, e già maturi; siccome prescrisse a' suoi Spartani Licurgo, il qual vietò an> che le doti (d) e continua : Romani vero r.atas XII. annìs et minus jungunt nuptiis : ita potissimum corpus et mores illibatos et puros in manus viri censente! perven- turos . Sunt autem superiora (la legge di Licurgo di cui prima avea detto), ut patet , ad liberorum procreationem magis naturae consentanea $ haec ad vitam conjugalem aptandis moribus (e). Un' altra ragione si può derivare dall' Eolo di Euripide pel metodo de' Romani , e di Esiodo ; ed è che la donna invecchia prima dell' uomo ; onde collocata presto si trova in certa età quasi coetanea dell' uomo , ancorché egli sia più attempato ; il che giova alla scam- bievole dilezione, massime ne' più inoltrati anni. Ecco le parole del Poeta» secondo la traduzione dell'esatto P. Carmeli(/):

Con giovane garzon male s' accoppia

Giovane donna ; perocché ne' maschj

Più a lungo si mantien forte la lena,

E il fiore femminil presto svanisce. 700- TxV fidXi^-a yauàv etc. Eam vero potissimum ducito , si qua te prope habitat ; omnia diligenter circum contemplatus , ne vicinis ludibrio ducas . 11 consiglio è buono in quanto tende a congiugner più strettamente le famiglie con due rela- zioni , 1' una di parentela , 1' altra di vicinità. Ma il seguente è migliore ; e Moscopulo chiosa quell' !ivv, che i latini Interpreti rendono contemplatus , per /uaS-oìc, che significa dopo esserti informato ; ciò che noi abbiamo espresso con prendine favella . E" poi necessario al buon nome de' figli il buon nome della ma- dre ; i quali nascendo di madre di dubbia fama , per tutta la vita sono infami (g). 702. Oti t*ìv yùf rt etc. Neque enim muhere qmdquam vir sortitur melius bona: rursus vero mala non gravius aliud . Simonide apertamente imitando Esiodo , come avvertì Clemente Alessandrino (h) :

(a) In Oeconomico pag. 836*. (&) Enchir pag. 57. (e) Plato lib. VI. de le- gibus pag. SS6. (d) Justin. Histor. lib. 111. pag. 69. (e) Tom. I. pag. 77. {f) Tom. XX. pag. 8. (g) Plutarch.de liberis educandi* . (A) Strom. VI. pag- 74+-

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'Ea-9Xii; àuuvov , adV ft'yiov x«»»"{ . Muliere bona nihil meliti) sortitur vir ; nihil horriditts mala . Fra le sentenze de' Comici raccolte da Enrico Stefano (a)

ruurl yà( »i"»o vii uà. jgi} 9-«TOf/a> Mulicr enim salus et exitium est aedibus. 704. As/TrvoXo'x»?- Fra le derivazioni di questa voce niuna mi piace più di questa : avi to Xo^ot" ieìvvov , ab insidiando eoe ni s , a captando coenas , eoe- nipeta . Lo Scoliaste pubblicato da Loesnero la risolve in due ; rXs Suvvvrvt; , ^ Xantomi; od tauri*; à"v<f? a , commessatricis et insidiantis suo viro; ma queste insidie van pur riferite a sodisfare la propria golosità , per cui essa o di soppiatto si prepari in casa miglior vitto di quel che voglia il marito ; o coti iscuse e bindolerie sei procuri fuori di casa: cosi colei, che presso Ariste- neto(5) trovata dal vecchio marito a un convito , con femminile astuzia il delude. E' bellissima la novella, ma troppo lunga all'intento presente. Ca- tone (e) Taccomanda che la moglie del villico: ad coenam ne quo eat , neve ambulatrix siit.

Ivi. Ut' àviqa etc. quae virum licei robustum torret sine face. Tibullo (d) con espressione del tutto contraria a questa, sebben da questa derivata: Ut or io: remove saeva puella faces . 70?. >&ì w'/uw yriyouL ffàxai, et praematurae senectae tradit . Ottimamente ha notato Robinson, che cruda senecta , come han tradotto, presso i Latini ha forza di robusta vecchiezza , qual è quella di Caronte nel VI. dell'Eneide ; a cui aggiunse Virgilio viridisque . Sostituiamo pertanto praematurae a cru- dae . »'«? ynqou. <T<ùxe>> è in tutte l'edizioni più corrette, in tutt' i codici veduti dal Robinson , e dal Loesnero, e in tutt' i nostri . Nondimeno vulgata lectio , dice francamente il Grevio , non poteit ferri: a cui io non oppongo se non il detto di Omero riportato dal Costantini (e) , ì<fuxtv òiùvnai ftradidit do- loribus . Ben gli accordo , che iù*.a> forse è di mano recente , e da mutarsi , poiché Proclo e Tzetze chiosano nS-eìa-a , e Stobeo ancora lesse -S-wxev; e la medesima lezione segue Plutarco (f) .

J06. Ev £' óviv a^anamiv etc. Bene vero reverentiam erga Deos immortales ob- servato . Detto il modo delle nozze, che si fa una volta sola in vita comunemen- te , va discorrendo per altre opere giornaliere ; e comincia dal timor degli Dei presenti. Cosi Proclo intende questo precetto; le cui parole son degnis- sime di esser tradotte , e lette, e , toltone l'errore della pluralità degli Dei, meditate ancora : Plato ait : Qui in Deum praesentem intuetur , curat se ab o- mni petulantia et impiotate continere : etenim et qui viros botios veretur ab ejusmodi operibus abstinct iis praesentibus . Quid vero ego Deos loquor , quid viros bonosì Atqui vel imagines honorum quidam verentur, et mali aliquid coram ipsis facere non audenl i quemadmodum amatrix Ma quae coram Xenocratis sa- ia) Pag. 204. (l>) Epistolarum lib. 1. pag. 24. (e) Cap. 14?. (d) Lib. II. pag. 173. (e) V. tapi, . (/) De cupiditate divitiar. pag. S26.

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pientis imaglne minime amasium quidquam indecori facete passa est . Eam r«- verentiam erga Deos multo magis exhibere opus est .

707. Muti xanyyiiru ctc. Neque fratri aequalem feceris amicum . Dopo gli Dei considera le due principali relazioni della vita, la consanguineità , e l'ami- cizia; e di amendue stabilisce il modo; cioè, che l'amicizia debba ceder la mano , almeno comunemente , alla parentela più stretta , perchè questa è vincolo di natura , che dee preferirsi a quello di volontà ; e perchè il vin- colo dell' amicizia può disciorsi , ove quello della parentela , e molto più della fratellanza, è indissolubile. Plutarco (a) stabilisce i confini , entro i quali dee restringersi l'amicizia rispetto alla fratellanza: cioè, che sempre la relazione della fratellanza deggia precedere nell' ottar le magistrature , nello invitare a' conviti , nella conoscenza de' principi , e in tutte quelle cose , che a parer comune recan gloria, dignità, splendore. Nell'amore parimente, e nella benevolenza comunemente va preferito il fratello all'amico; percioc- ché le più delle amicizie ^dice Plutarco stesso (A), son ombre, imitazioni , so- miglianze di quella prima che la natura ingenera a' figli verso i padri , a* fra- telli verso i fratelli. Ma pur qualche volta è il contrario; e allora gioverà più un amico senza parentela, che un parente strettissimo senz' amicizia , co- me dice Dion Crisostomo (e) ; e avrà luogo la sentenza, che da' Comici scel- se , e notò Arrigo Stefano (t/): No'/u/f àteXpàs iì<; ct\n$ivot){ pi*»; , Fratres judica veros amicos. Ma deon esser amici veri; perciò anco nella versione ho ag- giunto sincero.

708- E/ ti xt voi)lcrri( etc. Si vero feceris, ne ipsum piiar malo affcias . Tro- vato l'amico vero, e uguagliatolo nell'amore al fratello, il primo precetto è non gli fare offesa; il che non è lecito fare nemmeno a scherzo : amicum laedere ne joco quidem licet (e), anzi non ha a parer possibile offenderlo: ■niàt» àfyar xfivet mv pi/.iuv etc. Tanti vero aestimat amicitiam , ut neminem judicet unquam ab amico esse violatum: sed hoc unum de iis esse , quae vocan- tur impossibilia : cosi Dione Crisostomo (f) .

70$. Muti -^iuttid-ou y\u?<r>i; x"^" > neque méntiaris solatìi caussa.ìì secondo precetto nell'amicizia è non mentire all'amico. Proclo: Monuit quoque Plato eum qui volens mentiatur , merito esse infidum ; qui vero sii infidus eum ab amici- tia esse alienum . E Cicerone nel libro dell'amicizia a cap. 18. Firmamentum autem stabilitatis constantiaeque est ejus , quam in amicitia quaerimus , fides : nihil cnim est stabile quod infidum est . E tanto e necessaria la fede fra gli amici , che il mentire all'amico non si può , a parere di Esiodo, nemmeno in giuoco; e questo acciocché l'amico non sospetti, che vi sia cosa., che dall'altro amico gli si voglia tener celata. 11 Salvini j-Xaar»? %.<*&* traduce per grazia di lingua ; ne noi ci allontaniamo guari da questo valentuomo volgarizzando pef sollazzo.

Ivi. « ti xiv effxjt , "H ri ìvof ùvnìv ctc. Si vero coepcrit aut verbum aliquod

(a) Plut. de amore fraterno pag. 4pi. (Z>) lb. pag. 470. (e) Orat. 111. (</) Pag. 2*p. (e) P.SyrusSent.34. (/) Orat. 111.

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dicere ingratum , aut facere , bis tantum punire memineris . Qui il Poeta , che prescindendo dalla superstizione di que' tempi, era stato buon maestro di mo- rale , un pessimo consiglio , approvando la privata vendetta , non solo a pro- porzione della colpa , che fu errore di altri moralisti antichi, ma raddoppian- done la pena. Tanto è vero ,, Che ragion dietro i sensi ha corte l'ali ,, e che i Savj non illuminali dalla santa religione han sempre urtato in qualche scoglio ; il che non pure in Esiodo si osserva , ma anco in Epitteto e in An- tonino . La vera vendetta in casi simili è slontanarsi a poco a poco dal falso amico; e dico a poco a poco, perchè farlo ad un tratto può nuocere, ov'egli eia consapevole de' nostri segreti , o almeno per non dare occasione di cian- ce » e di romori a' malevoli.

711. ti fi »•/ aj>i; etc. si vero ritrsus redeat in gratiam , satisfactionem autem velie dare, recipe. Cicerone: nihil magno, et praeclaro viro dignius placabi- litote et clementia a) . E Seneca : reconciliatio tua et facilis sit et certa [b) .

7 13. inXó; t»; eìviif etc. panper qttidem vir amicttm alias alium facit : tuum vero ne quid animwn coarguat vultus. Dopo che il Gujeto aveva osservato, che questo precetto è staccato, e non ha che far con ciò che precede, non go perchè si si,i rispettato 1' crror del traduttore (ma si è fatto troppe altre Tolte) che tot ha volto namque ; quando è particella asseverativa, o esple- tiva . 11 senso a mio parere è questo . Dopo aver dato Esiodo precetti di a- micizia stabile , e quando non sia , della maniera con cui debba riconciliar- si , passa a discorrere dell'amicizia sincera. A questa si oppone talora la povertà. 11 povero ha bisogno or di questo or di quello, che son talvolta fra lor nimici ; e discorrendo con essi , anche contro coscienza, ragione ad uno, che internamente crede aver torto. Tal vizio vuole allontanar dal fratello Esiodo . Et ( invece di ii all' uso' di Omero ) rio* , il tuo animo non aia mai smentito dal volto , e dall' apparenza . Taci piuttosto ; ma non fare l'amico, non lo essendo; o non dar ragione a chi ti pare aver torto. Una bella orazione scrisse Lisia contro questo genere di amici , alla cui familia- rità pubblicamente e solennemente rinunziò (e).

71 J. Uniti rokv^mrcy, tini' à%avor xaXt'i <&<u , Seque Vero multorum hospes , neque nulliu* hospes dicaris Dici ed esse è una medesima cosa. Neil' Ecclesiasti- co (<Zj /i» xXn^yj 4i>(/p»{ , ne appclleris situino ; cioè ne sis ; modo anche fami- liare a' Latini . V. C.ilpurnio all' Egloga 111. pag. 47P- 1 Greci interpreti , e il Gujeto hanno interpretato («n; per amico in questo luogo ; il Clero meglio per ospite nel senso ovvio ; aggiugnendo , che inospitale non si dvvea essere , perchè viaggiando era troppo incomodo a chi non avea ospiti viver sempre a sue spese; e ospite di molti non si poteva essere, senza disastrarsi , es- sendo di limitate sostanze. Vie un luogo di Aristotele (e), ove il Filosofo di- itinguc, e e' insegna a distinguere la ospitalità dall'amicizia, spiegando Esiodo steso nel luogo, che abbiam preso qui in considerazione.

(a) De OfKc. 1. 2J. (&) Epist. ioó*. (e) Pag. top. (t/) Cup. V. 16. (e) De inoribus Lib. IX. cap. io.

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716". ÌAtiSi xaxwi/ eioep «e, neque malorum socius (esto). La sentenza è bellissi- ma, specialmente per la età giovanile. A questo riduce Plutarco il simbolo di Pitagora fin yivt&cu [tt\àva(ov , ne gustes melannrum , cioè commercium cum improbis ne habeto (a) .

Ivi, fitnf' (o-S-^ùv vuxe<r<nfa : neque honorum conviciator . Comincia un altr' or- dine di cose : del modo da tenersi con la lingua; e prima raccomandali il non dir male de'bu<.ni. E la ragione par quella addotta da un Comico pres- so lo Stefano (è) : 'Ah'? &% yttn^ì; JST'" » (*i*i nron, nunquam odit vir bonus bo- num . Questo era il peccato del brutto Tersite , aver sempre che rimprove- rare a' migliori dell' esercito , ad Agamennone , ad Achille , ad Ulisse . E que- sti con universale applauso de' Greci lo bastonò , e lo fece piagnere (e); sic- come Achille con applauso universale dell' esercito gli trasse con uno schiaf- fo i denti , e il sangue, e la vita(tf). Zoppo , gobbo , deforme , e per natura nimico di tutt'i buoni.

7I7. Mwde hot àXoui'vlw ctc. Neque unquam miserarti pauperirm animiim comc- dentem homini sustineas exprobrare , Divo'um donum immortalium ; ove il let- tore rammentisi, che Sùpcv, o JeV/j è voce media; e significa largizione buo- na e cattiva . Tcognide , che spesso dilata ciò eh' Esiodo disse più brevemen- te , ha dilatato anche questo sentimento (e).

7ip. rXwVa'iff w< $nj-av(ès eie. Linguae certe thesaurus inter homines optimus par- cae; plurima vero gratta ,si modam servet. Gellio fa una chiosa opportuna a questa ; sentenza, quando alludendo ad essa scrive così (/") : Hesiodtts poetarum pru- dentissimus linguam non vulgandam , sed recondendam esse dicit perinde ac thesaurum . V è ne' Provcrbj (g) una lode della lingua del giusto , in cui parrebbe che avesse riguardato Esiodo, se il sistema del Bogano dovesse am- mettersi : «fjufo? imrvei»fxivo$ yXùrra eT/xou's , argentum elettimi lingua justi .

721. E/ xaxòv «t»; etc. Quod si malum dixeris , forsitan et ipse majus au- dies . Proclo cita un verso di Alceo di simile sentimento : ex' ivoi( $ì\h; , axaVai; m x' » *s'A«?, Si dixeris quae velis , quae nolis et audies; e Tzetze ne cita uno di Omero, che leggermente sbagliato si emenda così. 'Orraìiv x' ivn-r- ■&« ivo; , -mìo* x'tVaxaVouf (h) , Quale dixeris verbum , tale et audies.

722. MjfeTe •n-aXu^tivii ctc. neque in convivio , quod multi amici instruunt , sis morosus . Nel testo della mia edizione il punto è dopo xoivà . Mi piace però l'ortografia, che difende l'Einsio, e che fa punto dopo ivou . E' tenu- ta da Ateneo (1) , e da' Greci Scoliasti . E' insinuata ancora da Favolino , mentre spiega questo testo di Esiodo , e dice che tft/yirf.upeXo; è sinonimo di Ji/VxoXoj, difficile a venire benché pregato (k)- In occasione di essere pre- gato, o invitalo, è anche consiglio di Lucilio, l'esser pieghevole ; ut mu- nifici (che presso gli antichi significò compiacenti) comesque amicis notti is

(a) De liberis educand. pag. 12. (b Pag. ipo. (e) Hom. lliad- II. 166.

(d) Q. Calaber. 1. p. <S8. (e) Versu 1 55- (f) Lib. 1. p. ilo. >g X. 20. (h) lliud. XX. ver. 25o. (i) Lib. Vili. piig. 364. (h) Apud Phavorinum.

V. fu?Triu<fl\o; .

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videamur viri (a), 11 pranzo di cui qui si parla non credo essere alcuno dei conviti, che per certe feste eran celebrati da' Greci; come ìùtvo. ^tXirtxoì , i conviti delle tribù, o itiuamà de' borghi , o ip^rfixa delie curie, pe' quali ciascuno portava la sua simbola (6) ; ove il malcreato chiedeva di potere in- trodurre anche i figli senza pagar per essi (e) . Esiodo par che parli di que- gli , che diceansi é?a*«/, nominati da Omero (d) , ed erano conviti frugali, e a comuni spese &>5 s'xarTti; ti jcs/uVhc* , come dice lo Scoliaste di Omero , ed emenda il Barnes.

723- Ek tloivì <r\ucìi X"SJ-S ■> àotnravv t iXlfi'^n . Ex communi ( quum comedi- tur ) plurima gratha est , et sumptus minimus . Quella sociabilità lega non poco 1' animo de' circostanti , e fra la ilarità de' commensali si concilian be- nevolenze, come nota Plutarco, si stringono amicizie (e). Quanto alla spesa, ch'era a' que' tempi tenuissima in Ascra, convien dire che fosse considera- bile in Palestina, e che ivi si facessero con più lusso, giacché Salomone ne' Proverbj (J ) vieta questi conviti a scotto appunto pel dispendio che re- cano : Noli esse in conviviis potatorum , nec in commessationibus eorum qui car- nes ad vescendum conferunt : quia vacantes potibits , et dantes symbola consti- mentur .

724. MxJe iror ì'i, «ibj etc. Ncque unquam mane Jovi libato nigrum vinum ma- nibns illotis, neque aliis immortalibus . Come a' versi 338. avea consigliate le mattutine libazioni ; così ora ne spiega il modo , dicendo che si facciano con le mani pure , e lavate . V. il Brissonio nella forinola manus purae (g) . Quin- di Nestore (h) nel far libazione pel ritorno d' Achille , chiede acqua , e i ban- ditori la portano. Per certi sacrificj più solenni lavavasi tutto il corpo. Tornando alla lavanda delle mani , Tzetze ci avverte , che fu un simbolo di Pitagora, <Cm x.a$aeaìf Svuv X1?" '• cioè f*>ì àX\a fiìv 0sXA/av , àfka ii àfàv ; la qual notizia può'aggiugnersi al Valeriani , e al Giraldi, che dottamente ci espo- sero quella mistica filosofia .

726". ÙTroirrv>i7i ii t' «fa'; , resputint vero etiam preces. Fa al proposito il co- mento di Proclo, il quale spiegando la parola a?où dice , che sono ìirtqtù ta.1% Suo-iou; , i! mì<; a-m-oricùs ìnraiouuiou , preces quae sacrificiis et hbationibus adei- nuntur . Ma qui ove si tratta di libazioni private, private ancora , e recita- te in piana voce , e senza canto deon esser le preci che le accompagnavano.

727. Mittf' tt'ir' itiXi'ato TfTjiauus'i'Of òfS-òs òfxixàr , Neque cantra solem versus erectu* mijito. Sieguono alcuni precetti sul modo, la decenza , e il tempo dell' orinare ; il qual luogo male inteso da Saimasio , quasi Esiodo voglia , che solamente di notte si orini, ne fu dal Petavio agramente ripreso ( i ) . Clero approva il parer del Petavio , e noi 1' abbiam seguito nella traduzione. Laerzio fra' simboli di Pitagora quasi colle parole di Esiodo: tifi; tiXnj Ttrea/j-

(a) ReliquiaeexSatyr.lib. XXVI.p. i5i. (ò) V. Potterum in Archaeol. grae- cal.l.rap.p. (o) Theophr. charact. XI. (d!) Odyss.l.pag. tS. (e) In Pr. o-,m. lib. lV.Sympos. pag. <J6o. ( /) Cap. XXI 11. ver. 20. (g) De formulis pag. 4. {h) lhad. IX. 171. (i) In miscellis cxcrcilation. cap.L

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flint» fui ò filza* (a). Ove il Giraldi : Discipulos monet Philosophus ut omnibus in rebus ) omnique loco pudorem verecundiamque servent .

728. Ac/iKf i'*»'ì< £uf etc. Sed etiam postquam occidit memor ejus rei usque ad òolem orientem, cioè o che il «ole sia occulto , o che ricomparisca > si dee usar riserbo nell' orinare .

72.p. M»V oVw , ^»V eh*; óJa ■OfO^àùljj i(n'rf( , ju»*' ct'ro-yvfxmS-ùi , Neque in via neque extra viam inter eundum mejas, neque. denudatili . In via vieta que- st'atto per riverenza alla Dea Enodia , dice Moscopulo , e Proclo; fuor di via semplicemente per decenza. Ove noto , che questa Enodia è uno de' molti nomi, che chiese e impetro Diana da Giove, detta perciò voXuuvuftiti , di che v. lo Spanemio (Z>) . In vigor di tal nome, a Diana Enodia si dedicavano i trofei eretti nelle pubbliche vie (e) , e il suo simolacro , o le tre sue teste ni ponevano ne' trebbj , ov' era specialmente onorata, perche guardasse le tre vie : uno de' quali simulacri di tre teste è in questa Imperiai Galleria . Ufo^àinr qui è camminando xivs/uf 05, significato ben raro, come nota Polluce.

7Ì0. fiaxàfav -ai vu'/.if( iatriv , Deoi uni quippe noi tes sunt . Reca Proclo una ra- gione di questo detto, eh' è approvata dal consenso degli altr' idolatri ; sicché io non so per qual cagione il Grevio dica , che non est nauci . Ecco la ragione di Proclo: quia tunc maxime fiunt apparitiones Deoium , prnpter quietem a vul' ao. Quintiliano (d) addotto dal Grevio medesimo in ischiarimento di questo luogo: omnia religio templorumj omnis religio lucorum, quum tacuere mortali* , et profani procul , errare sedibus totis , solitudine f'ui, et de suis dwitur exiro simulaci*. Si può aggiugnere che presso Aristofane (e) Esculapio visita di notte i malati , e prescrive loro i rimedj opportuni ; e che Stazio addotto dal Grevio stesso di tutt' i Numi brevemente asserisce, che si dilettano delle ter- rene cose in tempo di notte :

sub nocte silenti Quum Superis terrena placent , tua turba relieto Labetur C'ylo (f) .

73 I. 'EXouévof <S' oyt 5-ào{ ài/nf etc. Sedens vero divinus vir et prudens , attt ad parietem accedens bene septae cuulae . 11 titolo di divino àuto da Omero a Eu* melo porcajo, si ora da Esiodo a chi fa le sue necessità sedendo, o al muro. Convien cercare in qualche Scoliaste come temperarlo; e Moscopulo ne somministra alcun altro vocabolo equivalente, come é -9-tè ivoiar tx"*t quihabet Dei cogitationem,* iv$to( , qui Dei spiritu ujflatus est , chi in somma è di buon costume. 'E!fi,uc»o{ vuol dir x.a$»ftevof secondo le glosse sedens, quale era presso gli Egizj il costume degli uomini a' tempi di Erodoto (g) ; e forse di era venuto, e conservatosi da' più morigerati in Grecia. L'altro mo- do di orinar con decenza è , per osservazione ancora di Plinio, ritirarsi al muro di chiuso cortile^; : Hesioàus juxta obstantia (lotium) reddi suadet ne

(a) Pag.218. (b) Callim.Hymn. 3. p. 120. (e) Anthol. giacca lib. I. cap.V. epigr. 24. (d) Deci. X. (e) In Pluto vers. 708. (/) Sylv. I. 1. pag. 17. (g) Lib. 11. pag.<J4- CO Lib. XXVI 11. 6.

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Detim àlìquem nudatia offcndat . Ed au>.»ì traduciamo cortile; il che è secon- do la spiegazione del Grevio , a cui però non accordiamo-, che sub dio essent fatto fabbriche , almen sempre . Anzi spesso si coprivano per difendere il bestiame dagli eccessivi caldi , non meno che dagli eccessivi freddi : perciò Vairone cohors execrior crebro operta stranienti* , et palea (a) .

734. 'ErTij i[4Tr»'kai$òv etc. Focum juxta revelato ysed caveto . Era il focolajo pres- so gli antichi una cosa sacra, cioè un altare di sacrine] , e di libazioni do- mestiche ; e perciò degno d' ogni riguardo . Bella è la riflessione , che difen- dendo Esiodo fa Plutarco, al riferire di Proclo , su questo precetto , che par minuto troppo, ed esile : siccome non è gran lode, parlando , astenersi da' so- lecismi , ma è gran vitupero 1' incorrervi ; così il non fare alcune cose non è molto commendabile , ma il farle è assai biasimevole; onde avvertirle, co- me fa Esiodo , non è altro che bene .

73 J. Mn-S' avo iwripìi fiato m<fn etc. Neque a feralibus epulis reversus etc. to'<j>»; è voce che ugualmente significa sepolcro, e cena ferale . In questo luogo dee prendersi nel secondo signiticato , perchè il Poeta l'oppone al convito degli Dei; come bene il Grevio riflette: ma non dee escludersi, com'egli fa, il primo senso; perciocché era anche mal augurato l'attendere ad alcune cose quando uno avea v. gr. portati doni a un sepolcro , anco senz' avervi cenato : anche quest' atto rendea 1' uomo funesto ; e avea bisogno di purgazione .

737. M*#l ttct' dtvàaiv nroittUKV etc. Neque unqtiam perennium ftuviorum limpi- dam aquam tr ansito pedibus , priusquam or averis adspiciens pulcra flumina . No- tabile è ciò che osserva Proclo su le acque perenni : 0/ iraXotioì etc. omnem quidem aquarum speciem , utpote ad nutriendas augendasque rerum naturas accomma- datam veteres sacram putabant : maxime vero perennes fluvios divinos crede- bant , indeficicntem Deorum substantiam commode imitantes . La orazione do- vea farsi al Fiume medesimo, ed è verisimile, che vi si nominassero anco le Ninfe fluviatili , come fa Virgilio (b) . La forinola , che potrebbe aggiu- gnersi al Brissonio , è accipe , o occipite secondochè al solo Fiume , o al Fiume e alle Ninfe si fa la preghiera. 11 Cerda lo comprova (e), paragonando con Virgilio e Sofocle, e Livio, e Stazio , e Nonno , e Properzio; e ancora , sog- giugne , vi si esprimeva ciò che le circostanze di quel passaggio potevano consigliare .

73p. X«fa{ viifttuwos etc. Manus lotus amoena aqua limpida. Virgilio osser- vantissimo dipintore di tutti i sacri riti dell'antichità, non fece , che il suo Enea trasgredisse questo ; anzi nel luogo accennato così 1' espresse :

Surgit , et aetherei spectans orientia sohs

Lumina , rite cavis undam de flumine palmis

Sustulit , ac tales effudit ad aethera vòces .

Nymphae , Laurentes Symphae , genus omnibus unde est,

Tuqrte , o Ty bri, tuo genitor cum rrumine sancto

Accipite Aeneam , et tandem arcete periclis .

la) R. R. lib. I. pag. \66. (b) Aeneid. Vili. 71. (e) Tom. 111. p. \$o. 169.

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742. Mwcf' àirò TcwaX"0 etc. Neque vero a maria, Deorum in celebri convivio, ìiccum a viridi reseta nigro ferro. Inarrivabile è la gentilezza della greca lingua . Chiama la mano il cinque rami dalle cinque dita , che quasi rami •orgon da essa : chiama secco quella porzione di unghia , che col ferro si se* para dall'unghia viva, ed annessa al dito, che nomina il verde: metafora proprissima . L' epiteto di où$<av ti alle cesoje , o ad altro attrezzo di fer- ro , o perchè luccicante , o perchè attivo a par del fuoco in vigor dolla tem- pra , da où$u candeo , uro. Cercare allegorie , come fanno i Greci Interpreti , in cose piane , come si farìa ne' simboli di Pitagora, è una vanita. altro, credo, intese Pitagora stesso quando vietò di tagliarsi l'ugne a' sa- crificj : ir«fa Svyia» fiìl ow/^/if» (a ) , se non rammentare a' suoi , che simili pre- parazioni convenivano al precedente , eh' è il senso, che trova anche Plu- tarco nel verso di Esiodo (6).

744. Mxtfi nror oìvoxó("J etc. Neque unquam vas , ex quo vinum funditur , pone super craterem bibentium : pernicinsum enim in eo fatum est situiti . Ho mutato V urceum de' passati Interpreti in vas, persuaso, che gli antichi non si vales- sero di orci per cavare il vino da' dolii , o da' crateri , e metterlo su le tazze ; che gli orci si mettessero mai sopra i crateri , se non per una bizzarria . O/'hx»» è cosa molto diversa dall' orcio ; è un bicchiere , o tazza , che ha lungo manico, il qual preso in mano, e affondato nel dolio o nel cratere , *e n' estrae il vino. Proclo male inteso dagl'Interpreti, meglio che altri ha schiarito questo punto: ó pìv yà% Xfxnìf -apixim xoivi; tv reùt J^vi^mc tx. iii H?««JtM»f ùfvópcvoi itrtrwn owjàtnrtìivns , crater communis statuebatut in mensis ; ex oenochoe vero haurientes bibebant convivae . 11 cratere dunque era un gran vaso a campana; molti de' quali conservatisi ne' sepolcri , son venuti fino a' nostri: e dal cratere collocato nella tavola si estraeva il vino, e si ponea ne' bicchieri . Ovidio: Terra rubens crater, pocula fagus erant (e) . Ma siccome ciascuno avea il. suo bicchiere, e sarìa troppo sconvenevole cosa , che si tuffasse nel cratere ogni volta che si avea a bere ; così v' era un bic- chier comune , onde si empivan gli altri , come vidi in un' urna ctrusca ; e questo chiamavasi oenochoe. Ho detto che questo era un bicchiere , perchè sotto questo nome ce lo esprime Proclo medesimo: ot'voxóUu x.ua$oy \ija<rt , o«- nochoen cyathum nominant . Ho detto che avea lungo manico, perchè in altra maniera non si poteva estrarre il vino quando era ridotto al mezzo , o al fine del cratere . Era dunque 1' enocoe simile a' simpuli sacri , de' quali gran numero è rimaso ne' musei , sennonché notabilmente più grande.

74J. òXo» yàf etc. perniciosum enim in eo fatum situm est. Lo spirito del precetto , che gli Scoliasti si sono ingegnati di spiegare allegoricamente , non è che una superstizione anilc ; delle quali anc' oggi in tanta luce di lettere è pieno il mondo; han luogo solamente nel volgo, ma nel ceto nobile ancora. Tal' è il non assidersi ad una tavola, in cui sian tredici le

(a) Inter Symbola num. 27. in Hierocle. (&) De Iside pag. 3)2. (e) Fa- stor. V. ver. 522.

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posate. Quante più superstizioni, e quanto più credute evano a' tempi di E- siodo? Delle quali vergognandosi i Greci posteriori han procurato d'incro- starle f riducendole ad allegorie .

746". MitJe' ióuQv itnàt etc. Neque domain faciens imperfectam relinquito , ne forte insidens super eam crocitet garrula cornix . 11 Salvini inerendo al greco àì/nri^t^ov , che viene da ?s'w rado, polio, traduce : . Quando casa tu fai non lasciar buche , Che assiso non vi gracchi il cornacchione . Tutto ciò per mera superstizione: giacche Plinio (a) : ipso ales est inauspica- tue garriditatts ; a quibusdam tamen laudata ; cioè lodata nelle nozze > per le quali era la voce della cornacchia di felice augurio; come dopo varj antichi osserva il Corda (6).

748. Mncfar» xì/tj cxo'J'<»i< etc. Neque ab ollis nondum dedioatis capiens (cibttm) comeditn , neque lavator : gufa et hisce noxa inest . Si fa questione in primo luogo della voce xvr?^lrovi > che vale olla co' piedi ; della qual forma al- cuna ve n'è in qualche Museo; e in tal senso 1' interpreta qui Ateneo citato a' V. 6Sy. e Moscopulo %tiT(ovi#<ov eìvrì to xu<?"v

Si controverte, in secondo luogo il significato della voce àvivif $ix.mv , voce composta dall' a privativo, da sW , e da f'<!fw sacrifico , e perciò un di quei ^iTv'v$i<tit composti di tre voci, che son. rarissimi presso Omero, come nota il suo Scoliaste , ed il Barnes nella Iliade XXIV. £40. e XXII. 528. 11 senso ovvio , che noi seguiamo è , che siccome gli antichi usavano di non mangia- re se non da' vasi consacrati con la libazione ; onde la gran patina di Vi- tellio chiamata per ischerzo clypeus Minervae , f u dedicata prima di metterla in opra (e) ; così si parli di una libazione, con cui sia dedicato il caldano, o 1' olla di cui si parla . Ma Plutarco , secondo che scrive Proclo , una se- conda sposiziono, e l'intende de' quotidiani desinari, e delle quotidiane la- vande, e vuol che questo sia il senso di Esiodo : non prender cibo, o Per- se , prima che abbj libato agli Dei qualche parte del contenuto nel cutro- pode . Mi sia lecito di rifiutare questa spiegazione, perchè porta seco una servitù intollerabile .

Si controverte in terzo luogo il senso di quella voce àvtXóvm, che Samuel Bochart (d) seguitato dal comune degl'Interpreti spiega rapiens, e vuol che sia detto di coloro , che senz' aspettare che le carni del sacrifizio sian finite di cuocere, le strappano dalle olle, e ne mangiano; della quale ingordigia è accusato Vitellio Augusto (e) . Ma non vi è bisogno di ricorrere a questa rapina; mentre à'ikóvac ci e spiegato per Xa/3o'/« nelle glosse di Loesnero , e in Omero aV-JX/a d1' <V àviXivng ( /") , non può spiegarsi se non proemia aequalia capientes ; onde sicuramente ho mutato il rapiens in capiens . Senza che du- rissimo mi pare ove 1' autore dice olle non santificate intender olle , il cui sa- crificio non è compiuto .

(a)Lib.X.c. 12. (ò) Tom. I. p. 160. (e) Svet. in Vitellio p. 530. (d) Hieroz. Part. I. lib. 11. cap. So. (e) Svet. ibid. (/) lliad. +. 736".

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7J0. M»J' s'ir/ ctx.uti'BKrt x.a$t%«tv etc. Seque super immobìlibus locata (non enim bonum est ) puerum duodecenncm , quia v'vum. inertem facit , neque duodecim mensiam: acquale et hoc est. E' questo un precetto, che tutto riguarda la sa- lute de' fanciulli . E per tale l'ha inteso Plutarco nel Conv. p. l58. 'Iarf/xà; j-otf 'HrioSof etc. Medicus enim Hcsiodus , neque indiligenter , neque imperite de victu , et usti vini, deque virtute aquae , e< bulnei disptitans , et tempore mulie- bris congressus , et tessione puerorum E Proclo : Plutarchus ait sinere non opor- tere , ut recens nati sine motu sint , et in immobìlibus collocentur ; fiunt enim im- becilliores : sed movendì maxime sunt ; e siegue a dire, che vi sono alcuni letticciuoli , o cune agitabili , delle quali si può servire . Ma ancora questo de' fanciulli di dodici anni ? Per questi basti il precetto generale di non collocarli sopra immobile seggio , in guisa che non possan far moto, come farebbe chi messigli ad un' arte sedentaria , pretendesse di tenervegli im- mobili tutto il giorno. Dir co' varj Interpreti, che qui si vieta il metter bambini a seder su la terra , perchè non vengan men forti , è un opporsi alla contraria esperienza de' villanelli . Dir che qui si vieta di fargli seder su' se- polcri , su' termini , su gli altari , e fin su le leggi , perchè cose immobili , è un mettere a tortura 1' ingegno per provare il falso . Perchè raccomanda- re questo riserbo non agli uomini, ma a' fanciulli di un anno o di dodici?

7?3 MwJé ?Miatx.eiw XouTfp etc. Ncque muliebri in balm-.o corpus abluito vir : gravis enim suo tempore erit et htijus Tei poena . Questo ancora è precetto medico , avvertito dal Mercuriale nell' Arte Gimnastica (a) , da cui dopo aver citato Esiodo conchiude : ubi et feminarum lavationes etiam antìquitui apud Graecos distinctas fuisse , et viris eas ingredi ob salubritatem vetitum apparet ; ciò che Plutarco ancora avea avvertito, ma più oscuramente. Proclo mol- to apertamente : Ex corportbui mulierum quaudam effluvio viaria nt , quibus re- fluii viros foedum est. L' Einsio crede tal precetto fatto pe' bambini ; e vor- ria trasportar questi versi al passo di sopra, ove si fa menzione della età di dodici anni, e innestarli quivi: non riflettendo che il Poeta dice avi- f « , non irtùfa. Anche Clemente 1' Alessandrino (&) l'intese generalmente di qualsivoglia età; ove riferito il luogo di Esiodo , si duole che a' suoi tem- pi fossero xoivà àvifdiriv ^ yuuoa^ì m ,3a\àviia . Veggansi i suoi contentatoli, e le autorità che adducono per provare, che anco in Roma era questo disor- dine , riparato , ma temporaneamente , da Adriano , Antonino , e Severo ; poiché fu rinnovato sotto l'infame Eliogabalo ; di cui Lampridio nella storia Augusta : balneis semper cum mulieribus fuit (e) .

ySS. f**f itfoìrir etc. neque in sacrifìcio accenta incidens reprehende arca- na: Deus quippe et haec indigne fert . Inclino a credere ciò che 1' Einsio sup- pose nel numero precedente ; cioè che i Grammatici nimium misere trunca- runt , rnutilarunt , auxerunt , transposuerunt ohm tanquam vultures quidam , Homerum et Hesiodum . Non vi è passo in Esiodo più fuor di luogo che que-

(a) Capite io. (&) Paedag. 111. pag. 273. (e) Hist. Aug. pag. 870. Xiphili- nus inter Historicos graecos Romanae Historiae. Tom. III. pag. 447.

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sto- Nulla combina con ciò eh' è detto ; nulla con ciò che vien dopo; e vi era luogo opportunissimo a questo insegnamento dopo i versi 749. Che che aia della disposizione, il significato è ambiguo, come notano gli Scoliasti ; potendosi prendere àiSnXa invece di àiti\a<; occulte, e nel proprio senso oc- culta. Occulte vuol dire in cuor tuo. Occulta possono essere i misterj stessi, di cui non si possa a chi vede render ragione; e nondimeno chi gli vede dee non riprendergli, ma venerargli. Questo più verisimilmente è il senso del precetto , il qual tende a salvare tutt' i riti del gentilesimo , e a rispet- targli , comunque strani. E certamente ve ne dovean essere de' superstizio- sissimi, e degni di risa, come raccogliesi da' profani stessi. Uno di essi sorpreso per accidente, come appunto porta la voce xopxo-otf , così parla a co- loro, che lo avevan^sorpreso : Protendo igitur ad genua vestra supinas ma- nus i petoque , et oro , ne nocturnas rehgiones jocum risumque faciatis , neque traducere velitis tot annorum secreta, quae vix ulli homines noveruntfa) .

yS6. fiss'f ti invece di -9-io't rJ rt è in quasi tutt' i Codici , e l'edizioni notate al verso 12.

757 Mwcfi' tjt' tv inpox0? etc. Nec unquam in alveo fluviorum mare influen- tium , neque super fontes mejito: quin valde evitato. Neque venti em exonera i id enim nihdo est melius sic facete. Proclo e Moscopulo dicono, che Plutarco togliea questi versi da Esiodo come indegni del magistero delle Muse; ma essi scusan 1' autore , dicendo che probabilmente ebbe in mira i più volgari , che non si guardano da tai cose. Nel resto Plutarco (b) dice, che Crisippo avea scritto xaX«; fiìv àirayoftutiy to'? 'HrioJov «5 nroiu/jàf i&j xjirvaj B(iv , recte Ve- tare Hesiodum in fluvios , et fontes mingere, autorità che prova, che infino da' tempi di Crisippo questi versi eran tenuti indubitatamente per suoi: ciò che forse ha indotto il Sig. Bruncic a risparmiargli . Potrebb' essere , che il Poeta avesse tal riserva verso i fiumi attinta da' Persiani , ch'erano a' suoi la più colta forse nazione del mondo; di cui dice Erodoto, che non solo non orinavan ne' fiumi , ma ne anco vi sputavano; e che veneravangli sopra tutte le cose !c). Tralascio la spiegazione pitagorica di Tzetze ; giacché men pitagorica non può essere : lo stesso fa troppe altre volte.

760. iW ifimv ittvnv /S(ajùv ùiraXa.io $»alw , Sic facitn : gravem vero mar- tahum evirato famam . GÌ' Interpreti greci considerano quell' w<?' »(<ftiv come un epilogo di tutto il detto fin qui su la dicevolezza delle azioni; quasi di- cesse : in somma in ogni ufizio verso i domestici , e gli amici , e gli ospiti , e gli Dei procedi colle misure predette; e guardati che non si parli sini- stramente di te. Anche il Savio raccomanda: Curarti habe de bono nomine: hoc enim magis permanebit tibi quam multae divitiae pretiosae et magnae(d) .

761. «tw'^ii yd( rt x«x» vi'kntu etc. Fama enim mala est , quae celeriter quidem excitatur facillime , molesta vero porta tu , dijfficilisque depositu . Virgilio nel IV. dell' Eneide (e) dilatò a maraviglia questo sentimento ; e fece una descrizio-

(a) Petr. Arbit. Satyr. pag. So. (b) De Stoicorum repugnantiis pag. 104?. (e) Pag. 37. {d) Eccles. XL1. 1S. (e) Versu 174.

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2^3 ne della Fama , che si riguarda come una delle più belle di quel poema , tutta poetica, tutta degna di lui . Ne prenderò qualche parte che illustra il poeta nostro :

Fama , maltim quo non alitici vvlocms unquam . . .

Tarn fitti p:avique tenax , quam nuntia veri. V. ancora Ovidio nel XII. delle Metamorfosi, e Stazio nel III. della Te- baide, e Nonno nel principio del libro XV111.

7<S3. *»'ju» eP' » t;{ iràfnrcw airiXXvmi etc. Fama vero nulla unquam pro> stts perit , quam multi quidem papali divulgant . I molti popoli che divulgano una fama dieder motivo a Virgili*» di quelle g.ije finzioni:

Moristi um horrendum , ingms ; cui quot sunt corpore plumae ,

Tot vigile» otuli subter j mirabile vini)

Tot linguae, totidem ora tonant , tot sub'ìgit aurcs . I citati versi di Esiodo passarono in proverbio presso gli antichi , ed. erano in bocca di ognuno, dice Aristide (u) . Essi porsero un luogo oratorio a due gran dicitori di Grecia (b) Demostene ed Eschine : essi formarono ad Aristo- tele una prova dell'autorità che risiede nel consenso delle genti (e) .

764. 3-èo's «/' t/{ t'o-ri >cy avnì , Quippe Dea quaedam 1 st et ipsa . Questo par det- to per provare la perennità della Fama, ch'essendo Dea è immortale. Prova ancora , secondo Moscopulo , eh' ella ha multurnm haminum consensum , et assecutionem ventati!, . Di fatti per credere alla Fama, di questo argomento si valse Libanio (e/) : 'htri^Asv pìv etc Fidt-m habebam tpsis nuntiis qui Ari- staenetum optimum oratorem esse ferebant: quum autem ipse veniens praesew tem se siateret et splenderet, famam vere Deam esse deprchendi . Sinesio (e) prende a scherno questa veracità della Fama accordatagli da Esiodo per es- ser Dea , e potea pure prendere a scherno Marziale , ove dice :

Credo tibi : vtium diceie, Fama , soles{f) . Ivi. Questa Deità Esiodo nella Teogonia non la conobbe ; nelle Opere e Gior- nate la per Dea, ma non ne tesse la genealogia. Al che han supplito al- tri. Libanio la fa figlia di Giove (g) ; Virgilio più giudiziosamente;

Ulani Terra parérti ira irritata Deorum

Extrcmam , ut perhibent , Coeo , Erueladoqtte sororeiu

Pmgenuit {h) . Fu dunque dalla Terra partorita in odio degli Dei, sorella de' Giganti , e co- me tale, aggiugne Valerio Fiacco, Giove non la vuole in cielo, ma la lascia nel mondo a confusion de' viventi :

dia fremens habitat sub nubibus imis ,

Non Èrebi, non Diva Poli, u rrasque fatigat

Qua datar ( t ) .

765. "H/i«« <T s'x £io$u/ etc. Dies vero ex Jave observans , bene secundum de-

(c) Platonica li. p. Z4p- (b) *De fafsa legatione pag. 33o. (e) De moribus VII. e. 4. (d) Epist. 1002. (e) Lpist. 44. pag. 181. (/) Lib. VII. pag. Ì2$. L(ó') Epist.p7i. (h) Aen. IV. 178. (i) Lib.'ll. vers. t ip.

259

corum praecipe servili . Il libro de' Giorni è distinto in alcuni Codici ,e in alcu- ne edizioni , dal libro delle Opere. Ciò è dovuto a' moderni Greci ; giacché i più antichi non fecero tal distinzione, e citando questo lavoro di Esiodo, dicono tv t^yoii, ovvero tv ì^yoa; ^.j «us'fa/j; ecco per qual ragione 1' Einsio e il Grevio tolgono tal divisione, siccome fa pure il Fabricio (a) . Nel resto niuna parte di questo lavoro è mcn utile che quella delle Giornate. Sono in essa raccolte le osservazioni non si sa se provenute da' Caldei (a quibus dies , tnnquumut Chaldeis petebatur ih) ), o seda altra nazione, dalla tenicia v. gr. o dalla Egizia, o fatte in Grecia stessa su la felicità, e infelicità di alcuni giorni del mese rispetto a certe opere specialmente di agricoltura, per cui Esiodo vuole, che i servi le impalino. Ad altre cose ancora serviva la osservazione de' giorni, come si raccoglie, fra gli altri, da Petronio ,. il. qual nel Triclinio di Trimalcione dice, che v'era una dipintura co' sette pianeti, e la luna,ef qui dies boni, quique inaommodi essent , distinguente bullu notabantur e) .

Ivi. Anche i Pagani più accorti han derise queste follìe, come Plutarco nel Cmamillo , Sesto Empirico nell'opera contro i Matematici . Dico follìe le cose di astronomia giudiziaria ; non le fisiche , nelle quali qualche parte può aver la luna, che agisce ne' corpi sublunari, secondo Aristotele (d) e i filosofi antichi , per via del maggior calore o del maggior freddo , che fa a luna crescente o a luna scema ; dal qual principio partendosi Gio.Tro- tospatario ha fatto sopra le Giornate di Esiodo il commento che ci rimane. Virgilio pure sulle tracce di Democrito (e) osservò i della luna , ma come nota Servio, assai più brevemente di Esiodo [f) . L'Alamanni ancora della luna discorse , ma poeticamente finse , eh' ella ~

. . . quante ha nel Ciel erranti o fisse

Stuuj di visitar , e ciò che in esse

Trova di bene o mal , lo versi in noi (g) . Gli effetti della luna si ripetono dalla pressione specialmente; ma non è questo luogo da favellarne .

766. Tf/»xa'efot fxlwòi dfi's-lw etc. Tricesimam mensis optimam ad opera inspi- cienda, demensumque dividendum . L'Economo di Senofonte visita i lavori de' servi più spesso, che una volta il mese: ìini&às ài ìx9-u ei; ày^òv etc. quum antem ras verno, sive qui mihi serunt , sive novales insti uunt . sive semi- nant, seufriutus importali! , inspectis omnibus quo pacto fia'nt singula , corri- gendo concinnius facio etc.{h) . Il compito (demensttm) è quella misura di vitto, che si dava a' servi : i Greci par che lo pagassero al fin d' ogni mese, i Romani al principio. Plauto (1) :

Vos meministis quot calendis petere demensum cibum ;

(a) Bibl. Graec. lib. II. cap. 8- ih) Cicero prò Murena. (e) Satyricon. pag. p3. {d) De generatone animalium lib. 11. e, 4. («■) Plin. lib. XVI11. cap. 32. ( f ) Georg. I. vers. 27Ó". ubi ad ver bum recitat hos tres versus (g) Coltivaz. lib. VI. v. 36. {h) In Oecon. p. 85o. (/') In Sticho Act. I. se. 2.

vóo

il che era quattro moggia di grano, secondo Donato (a) , a cui Seneca un altro moggio aggiugne , e cinque denari: Serviti est; quinque modios accipit , et quinque denurios (b) .

j6i. E</V àv àXnS-tilw Xae/ xf/iwn; àyuviv , Nempe cum populi veram | triacada) jtidicantes agunt . Questo senso han dato saggiamente gli Scoliasti al verso di Esiodo; ed è il senso, come pare, che gli diede anco Plutarco, e tutta l'antichità. La cosa è manifesta. 1 coi avean bisogno di tenere in un certo equilibrio l'anno solare di 365. giorni, e un quarto, coli' anno lunare eh' è di giorni ÌS4. in circa; altrimenti il Giugno sa ria coli' andar del tempo caduto nel fitto verno, e il Gennajo di estate , come Gemino racconta essere avvenuto agli Egizj per aver trascurato il quarto di un giorno, che annual- mente avanza dai 36*5. . Altronde l'Astronomia vagiva, ancora , ne vi era noti- zia piena de' giorni che costituiscono 1' anno solare , di que' che compon- gono l'anno lunare: onde con osservazioni fatte così alla meglio, e in di- grosso s'intercalavano dove più e dove men giorni, dove un intero mese lu- nare , e dove una parte di esso; in alcun lungo ad ogni biennio, in altro ad ogni triennio; e nondimeno continuamente trovavano nuovi errori, e ricor- revano a nuove intercalazioni: pcrmodochè il gran Petavio ebbe a dire : l'iu- tarchus prulentcr admonet in istarum rerum i'ida^andis originibus uimium sub- tiles et exactos esse non oportere (e) . Or ecco ciò che dice Esiodo ; essere ac- concio il 3o. di ogni mese a rivedere i lavori , purché i popoli non si rego- lino in determinarlo da popolari pregiudizj , ma dalla verità delle fasi lu- nari; il che in tanta oscurità era difficili.- .-imo .

Ivi. Xctoì xf/vov.sf àyuviv, populi judicantes a^unt . Lo Scaligero, e il Clerc a questo parere fan guerra , e voglion piuttosto che si parli dell' ora , in cui si ragione dal popolo nel foro, o sia del pieno giorno. Contro tale spie- gazione ho più ragioni . La prima è che se àynv è verbo di giudizio , molto più è di festa, dicendosi continuamente àytiv eopioj , à;nv AiivaTa ,e così *>ytir •rQj.nxdStt : secondo, non sono i popoli che giudicano, almeno ordinariamen- te, ma i giudici, o i regi da loro eletti: terso , se il trentesimo di ogni mese era così occupato in rivedere i lavori , e in pagare il compito, non so chi potesse convenire al Foro d'Ascia; noni padri di famiglia, non i servi, non i contadini: ed io inclino a credere, che in paese si piccolo fosse piut- tosto vacanza dal Foro, che azione di liti .

76"p- A*J» yà( ir'.utfot etc. Hi enim dies sunt Jove a prudente. 11 Gujeto vuo- le , che di qui cominci il trattato delle Giornate, e che i quattro v'ersi pre- cedenti sieno spurj. Son però in tutt'i Codici; e niuno prima, dopo Gu- jeto ha dubitato, che sian genuini; nemmen Plutarco, nemmeno Biunck , i due più severi giudici del Poeta. Angelo Poliziano a ragione confutato dall' Einsio, é di parere, che solo a' tre giorni prossimi debba riferirsi l'ap- partenere a Giove. Gli antichi tutto ripetevano da Giove, ed alcune volte lo nominano , dice 1' Einsio , •* "ti^ttì , di soprappiù , per usanza ; siccome

(a) In Phorm. Teientii act. 1. se. 8. (&) Epistola 81. (e) T. 1. pag. I»J.

2<5r

fa qui Esiodo, che poco sopra lo avea nominato, ma come autore de' giorni in generale , onde da' Romani fu detto Diespiter , da' Salj ne' lor versi Lucu- tala , da' Cretesi »' »'«e'?a (a) . Ed ora torna a nominarlo come autor de' gior- ni significanti .

770. Ilfiàwv svn, TtTfci; ti , iqÌj iSf éliti, lieòv vuoto, P rimimi , nnvilunium , quar- tusque , et septtmus ,sacer dies . Convien premettere, per contezza delle cose che deon succedere , la maniera onde i Greci divideano i lor mesi , e di- «tingueano i lor giorni . Ogni mese era diviso in tre parti , mese incomin- ciante , mese medio , mese terminante . Dieci giorni avea il mese incomincian- te, che si contava dalla nuova luna, chiamata ri j così il due Sivtiott ir-a- pita , il tre Tf/w ig-auivs , e in pari modo fino al dieci . Dopo dicevasi <y»'« , e £ A-u'p« , e F''* utrìvKs , ovvero ivi uirrn , ovvero ivi oVxa fino al ventesi- mo, che dicevasi «xa'f , o «xo^V ; e seguivano medesimamente dicendo «painr ivi ùxdJi , o te/san <p$-/voi"ns , e così degli altri giorni fino al trentesimo; o #c v'era ampliazione , fino al trentunesimo; di che, come dicemmo, non si può dar regola generale . Un' altra maniera tien anche Esiodo , av- ▼ertita dopo Proclo da Moscopulo , eh' è di chiamare il mese i^ófxivov fino a' 20. e dipoi dire tcfùm $$i<ovn; , ■JUtt'on <p$ivovm% etc. Ecco come si conta- vano i giorni del mese a' tempi di Esiodo. Solone , o secondo altri Taletej vi fece qualche cangiamento . Nominò ivlw , ^ via*, che han tradotto lunam vttenm tt novam i e mostrò di aver capito Omero , dove volendo indicare il giorno del Novilunio disse (6) :

uìv <p9-ivovTB$ uhvÒ$ , li ef' lo-rotaivoio Hoc quidim desinente mense, alio vero ineunte . Volle di più , che i giorni che seguiano il ventesimo si numerassero con or- dine retrogrado fino al trentesimo; cioè il 21. ìndi* ipS-ivotnss j nonus mentis abeuntis , il li- àyioam t$$ivovn( , octavut mensis abeuntis , e così nel resto. Tanto dice Plutarco e) ; e Polluce , insegnando a contare i giorni , siegue e insegna il metodo moderno (d) .

Ivi. rifulsi» in etc. Verso presso Clemente Alessandrino pag. 713. con la ▼aliante x&\ ìflJoaov . Introdotto da Solone il nuovo modo, si chiamò Ns«&u;'a il giorno che succedeva al trentesimo, chiamato da lui s"Vif ygjj via. Questo giorno era sacro per antichissima istituzione presso tutt' i popoli : quindi la favola presso Eliano (e) , e Proclo, che la formica in quel non fatichi; quindi l'usanza presso i Greci di non lavorare in tal dì, anzi di premetter- gli il digiuno, e la lavanda; inoltre con limosina si sollevavano i pove- ri , s' intimavano sacrifii-j solenni , si accorreva a' tempj a pregare per la patria e per sè(/|. Tanto raccoglie il Meursio da varj Classici, fra' quali campeggia Omero . Cercasi a qual Nume fosse sacra quella solennità . A' tem- pi eroici pare che fosse sacra ad Apollo , nel cui bosco finisce la pompa ap-

(a) Macrob. Saturn. 1. cap. 1 J. (b) Odys. XIX. v. 307. (e) Tom. I. p. 52. (d) Lib. 1. p. 41. (e) Aelian.de animalium natura lib. 1. e. 22. (/) Meur*. Graec. feriatae lib. V.

42

2Ó2 prestata in Itaca presso Omero (a) . Posteriormente pare che fosse sacra agli Dei in genere (b) , e che fosse una di quelle feste, che chiamavano feiiut publicae ; ma in modo particolare par che fosse dedicata ad Ecate , cioè alla Luna; giacche la cena, che' imbandivasi a' poveri in Atene, chiamavasi tùirvov Lxa'wf (e) .

Ivi . itfìv Jfjotf , non vuol dir qui sacro giorno , ma fausto , come ben nota il Clero, paragonando questo verso al v.8rp. del presente poemetto. Prosperi son questi giorni secondo i numeri pitagorici, e platonici, de' quali fecero conto anche i PP. della Chiesa; perchè parte di quella filosofia , che profes- savano essi , e i loro avversarj altresì . Conosciutane la vanità , basterà darne a' lettori un breve saggio. L'unità eh' è contenuta in quell' im, è la celebre monade; di cui basti dire ciò che ne dice Macrobio (dj : Haec monat initittm finisque omnium , nrque ipsa prinvipii aut finis sciens , ad summum re fertur Deum . Quanto al numero quaternario , Esiodo lo fa sacro in tutt' e tre le decadi ; ciò che prova non essere stato Pitagora il primo , che lo mettesse in onore . E tanto fu in onore presso i Pitagorici, che il massimo lor giura- mento era pel quaternario : n <fì xaXtiuim itrfaxru \ [liyi^of i* Zfxof , dice Plutar- co (»?) , a otri consente Macrobio nel luogo citato. La sua prerogativa consiste in questo . Pitagora stabiliva la decade per numero perfetto , e similmente il quaternario , perchè in esso la decade si contiene , giacché computandosi i nu- meri ,che lo precedono ,ed aggiugnendosi esso, viene a formarsi il dieci così i La prerogativa poi principale del sette è questa ; che sia quasi senza madre, j perciocché da niun numero è generato come gli altri , facendo due e due 1 quattro, tre e tre sei ; ma non procedendosi al sette se non per via di rotto 4 o di mezzo . E' anche vergine , perchè dentro la diecina niuno ne genera ( f). i"ò Per altre innumerabili prerogative S. Agostino (g) il chiama perfetto, Filo- ne (h) protesta, che non può lodarsi a bastanza, Varrone (£) presso Gellio trova il settenario nel Cielo, nella Terra, nelle opere di natura, e di ar- te, ed in tante di esse, che il leggerlo fa maraviglia. E pur tante non ne addita quante Fabio Paolini ne' sette libri sul Settenario , editi in Venezia nel i?8p. che bastici aver nominati.

771. yàf 'hiriXXuva etc. Hoc enim Apollinem ense aureo armatum grnuit Lenona. Nacque Apollo nel 7. del mese Bisio , primo mese dell'anno Del- fico, o del Targclione Ateniese (k) , nel qual giorno i cittadini di Atene uno- ravanlo , dice Proclo, laurtim gestantes ,coronantes cani>trum , et Denm hymno celebrante». solo a' 7. del Targelione , ma d' ogni mese , nel qual senso è chiamato da Eschilo (Zi ititouoiytlmi; , septimi dtei (cvjusque novi mensit) praefiCtus ; non già di ogni settimana, come per zelo del Sabato interpre- ta) Odyse. XX. 278. (b) Plutar. in quaest. Rum. tom. II. p. 270. (e) Schol. Aristophanis in Plutum pag. 3o. (d) De somnio Scipionis lib.l.p. ìp. (.) De Iside et Osiride tom. II. p. 38i. (/) Hierocles in Aurea Carmina Cairn. 47. (g) Quaest. in Exodum. (ft) De Opif. Mundi pag. 28. (i) Lib. 111. cap. IO. (k) Laert. in vita Platonis pag. 70. (/) Scptem ad Theb. v. 73$).

2<*3

tano Clem. Alessandrino, ed Eusebio Ccsariense (a) . V è un' altra ragione, onde il sette sia dedicato ad Apollo , 1' esser numero armonico , essendo sette le vuoi che compongono l'armonia, onde Virgilio citato altrove parlando di Orfeo»:

Obloquitur rmmeris septem discrimina vocum .

Ivi. xvo-do?* dulia spada d'oro è epiteto Omericano e di Virgilio, che il rese ai matum auro (e) ; sebbene anco 1' arco eia faretra, a detta di Callimaco , ha d'oro ; anzi d' oro ha il vestito , e la fibula , e la lira , e i calzari (e/) , di- cono , perche figurato nel sole. Intanto notisi, che a tempo di Omero , Apollo era rappresentato con spada ; ne' secoli posteriori amaron gli artefici di armar- lo d'ureo e di saette, inerendo credo ad Omero nel principio dell'Iliade.

771. 'Oyioani r , ìvuiti n etc. Octavaque et nona , ambae die* mentis egregie crescenti* ad curandum opera mortalium . 11 numero ottavo , non meno che il settimo è creduto pieno da M. Tullio (e) : Nam quum aetas tua septenos octiet solis anfractus , reditusqw converter it ; duoque hi numeri, quorum uteique ple- nus , alter altera de causa habetur , circuita naturali sttmmam tibi jatalem < ori- f «cerini i in te unum , atque in tuum nomea sese tota convertit civitas . La pre- rogativa del numero otto è 1' essere primo cubo ; come lo denominano Cle- mente, Plutarco, Eulogio, Capella citati da Meursio al capo io. Per com- prendere il mistero di questo cubo , basta far conto che il quattro non sia che una superficie chiusa entro quattro punti; a cui aggiugnendone sopra altri quattro, venga a fare otto; ed ecco formato il cubo, o sia il corpo so- lido misurabile per tutte e tre le proporzioni , in lungo cioè, in largo, in profondo . La perfezione anco di questo numero comprovarono colle otto sfere .

Ivi. 11 nono era in uguale o maggiore onore che l'otto. E Platone morto per l'appunto in età dipi, anno, eh' è formato' da nove vie nove, fu perciò riputato da' Magi, che a caso si trovavano in Atene, qualcosa più che uo- mo, e onorato con immolazione a foggia di Nume, o di Eroe almeno ( f) . La perfezione di questo numero, dice Eulogio, sta in questo; eh' è il primo quadrato , perchè risulta dal tre moltiplicato per tre ; ed è il primo quadra- to, che risulti da numero impari , più degno del pari, secondo i Pitagorici, che lo chiamarono aifrfKOtà* , come dice un altro comcntatore . Giovanni Pro- tospataiio aggiugne , che questo numero era in onore presso gli antichi in vigore delle nove Muse. Virgilio diversamente da Esiodo, ma non men su- perstiziosamente:

nona fugae melior , contraria furtis(g).

774. 'E/cfexnjv it, iuuitxàn ri etc. Undecimus veto et duodecimus , ambo qui- dem boni, hic quidem tondendis ovibus , die vero laetis segttibus metendia; duo- decimus tamen undecima multo melior. Per mietere, Vairone approva tutto il contrario: quaedum facienda in agris potius crescente luna, quam aeius^en-

(a) Strom. V. pag. 713. et Praep. Evang. X11I. 7. (il Aen. VI. vers. 6+6.

(e) Aen. Ili v. 517. 'd) Hymn. in Apol). v. il (e) De Somn. Scip. pag. 5-

(f) Seneca epist. Sp. (g) Virg. Ì.Georg, v. 2Ì6.

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tei quaedam cantra , quae metas, ut frumento et caeduam sylvam (a) . Plinio al contrario più conforme ad Esiodo asserisce , che i grani mietuti a Luna crescente , qual' è nell' undccimo e duodecimo della Luna, nell' aja ricre- Bcono : Crescente enim luna fumenta grandescunt (b) .

Ivi Quanto alle lane , Varrone e di parer conforme ad Esiodo : Ego ista edam , inquit Agratius, non soìttm in ovibus tnndendis , sed in meo cavillo a patte accentuai servo, ne decrescente luna tondens calvus fiam (e) Notisi il verbo -rit*.iiv , che propriamente significa veliere ; ma qui è xei^iir tondtre, secondo gli Scoliasti di Esiodo , secondo quel di Teocrito ( v. p8. ), secondo Esichio . Da'quali raccoglie Clerc , dopo Bochart {d) , che l'uso di carpir le lane alle pecore, benché fosse a Roma una volta, mai non fosse in Grecia; e che quivi sem- pre le tondessero col ferro.

yyy. yàf -mi etc. Hnc enim net fila in aere suspensus araneus . àtfriir-.- 7»wf cifà^vns . 11 dotto Catullo emulò questo verso: Ne tenuem texens suhlimi$ aranea telam (e) . Suidaeil grand' Etimologico notano , che il nome di àfdxvnf quando è di genere maschile è l' insetto , quando di femminile è la tela, che tesse. Contraddice a quest'asserzione Eliano col fatto, scrivendo: n/ ài *f<*X?hv " <pu'ei( <rotp>ì' ■'< /g-BpjVa» idK,'n«fyiai , araneam vero natura sapientem ad textrinum opus instttuit (f) 11 che è più secondo Aristotele, che il la- voro -e la caccia, e cosi il più ascrive alla femmina; e al maschio il solo godere insieme colla femmina della preda: e f7&<T*T«' <**' KH ^im'w »' -S-iAa* , i rf' à(f!w auujcnro'kttvt.i (g) .

7;8. "H,uaw{ t'x. irX«», Die adulto. E' ambiguo, onde l'abbiamo reso anche ambiguamente. 11 Gujeto seguendo i greci chiosatori, spiega quel vìi!*, giorno estivo; giacche le giornate d'inverno sono dimidiate. Lo Scaligero al contrario ed il Clerc spiegano en plein jaur , verso l'ora del mezzo giorno. Se ho a dire il parer mio, la prima interpretazione mi sodisfa più che la se- conda , perche le mosche e gli altr'insctti onde i ragni vanno a caccia son frequenti nella state ; e cosi facili a guastar le lor tele , e ad impegnargli spesso a rinnovarle. Dico sptsso , perchè non è vero, che sol d'estate Involino, e come Proclo si esprime , a Luglio e in Agosto, quando le giornate son lunghe assai ; molto meno è vero , che aspettino l'undici e il dodici della Luna, e l'ore più calde. Basta disfar le lor tele per vedergli cubito in opra a rimet- terle in ordine : |d* efe ri; \vfijvmou li à^a/yia , vóXiv àf^emi •/*{ i/'(p«{ , quod si qttis laedat opus aranei , iterum texturam inchout , dice Aristotele.

Ivi. In t' ìfcKa»Ì'* àfJiàrcu, quando et prudens {formica) acervttm colligit . Ecco un'altra ragione , che impugna la sentenza di Scaligero e del Clerc. Le fatiche delle formiche si fan d'estate, e non sono legate ad ore calde, dicendo Plinio </i) , che operantur et noctu piena luna, ciò che scrivon anco Aristotele , ed Eliano citati dall'Arduino. E' degno di osservazione il nome ,

(a) De R. R. 1. 37- (b) Lib. XV1U. 3o. (e) Ibid. (d) Hieroz. P. 1. lib. 11. e. 45. (e) Cairn. I.XV11. v. 4J. (/) Lib. 1. pag. 28- (g) Histor. Animai. IX. p. 718. (/*) L. XI. cap. ìo.

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onde in Esiodo è chiamata la formica quasi per eccellenza là°M, e vuol dire , come interpretano Proclo e Tzetze ,8>ir«?»f ;cioè prudens , eh' è quel che disse Virgilio inopi metileni formica senectae .

779. J" iVo'i' ^irVcura yvm etc. Et hoc die telam ordiatur mulier , et inchoct opus, irò» rxV*/» propriamente vuol dire jugum erigat . Esichio /;-ùf , ò(9-if %u\ov ròf uà; ip] *»' ÙQotrrixiv, est reetnm ligintm navis , et textoiium- Allude all'antico modo di tessere . Collocavano due legni per ritto, a' quali racco* mandavano lo stame perpendicolarmente , che appunto diceasi ?>>ftuv airi tu ^rivat, come in latino stamen a stando: dipoi ritte con una verghetta termi- nata in una punta vi andavano intrecciando orizontalmente la trama sub- temen ; cominciando dall' ima parte , e salendo sempre verso la cima , e cam- minando sempre. Quindi Artcmidoro: Ttla reeta motum et pcregrinationem (in sùmtiis) significat , textricem enim deambulare oportet(a) . Vedesi tal fog- gia di telaio nel Codice di Virgilio del secolo VII. che fu al Vaticano , ed è riportata da Monsignor Ciampini fra gli antichi monumenti (b) , e dal P. Lu- pi nell' epitaffio di Severa (e).

780. Mnvàg J' i^auivs r?/.<rr.aui&i*.à,Tlw dXi'a<r)ou etc. Mensi^ vero inchoati decimo tertìo caveto sementini facere inoipiasv plantis educandis autem optimus est. 11 mese incominciante non passa il dieci nel computo più recente ; a' tempi di Esiodo arrivava al venti ; mavì era ancora l'altro computo di f/sj-BVTO; , come sopra dichiarammo. 11 T^iax.ou.&zY.d'mv i<;ap.iins ( e lo stesso potria dirsi di simili numerazioni) è frase esiodea. La giornata, dicon gli Scoliasti, e Plutarco, è soggetta al soverchio umore, opinione, che seguì anco l'Alamanni (d) :

Quel che siegue costor, contrario al seme E' secondo al piantar : che '1 troppo umore Come in quello è nemico , in questo è caro . j8i. ìv$<>i-\x>Tbau. (non s'xrft'4""'-^5" (come contro la fede di quasi tutt' i co- dici vuol Gujeto ) è dubbio se voglia dire innestare , o allevar le piante ; on- de il Salvini usa l' una e l'altra voce. Secondo Moscopulo è allevarle. ti( Te ì v-9-f e ■ifazSax , Hyiiv , dic'egli, wifi$ctì^ou , rjù fi\d^lw àvaSivau. nrcin^oa àfio-rtt, i. e. ad circumfovendas , et ad rfficiendum ut germen emittant optimus .

782. *E;ej» d" «' fxia-oti etc. Sextus z'ero medius valde incommodus est plantis . Guasto è il luogo di Polluce , per error di stampa , ove cita questo verso (e) , e dovea col Sebeto rassettarsi così: 'Hriofo; fjìv zktIw furliu qma-i , vìv ìx.iìiv jjjc} àiKarlw Xiyuv ; piuttosto che condannarne l'Autore-, come fa Clerc .

783. 'Avii-oycvoi; t a ? aSV etc. Viriparus bonus: puellae vero non utilis est» neuue gignendae prinmm , ncque nuptui collocandae . S' ingegna Proclo di dare la ragion fisica, onde il lo", giorno alla generazione dell'uomo sia prospero, della donna infelice. A lui rimettiamo il lettore vago di udir cose nuove, ma non vere .

78?. Oùiì fiìv » -zifàn fxw etc. Nec primus quidem sextus puellae gignendao

(<^ Lib. 111. p. 200. (b) Tom. I. p. 104. (e) Pag. 28. (d) Coltiv. VI. 53. (e) Llb. I. cap. 7. segm. 6Ì.

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aptus est . 11 primo sesto , dice il sopra nominato Proclo , e sacro a Diana che venne a luce il innanzi ad Apollo, nato nel .settimo della luna e prestò alla madre, per partorirlo, gli ufizj di ostetrico in Dolo . Tanto as- seriscono Libanio (a) , e Servio (b) ; il quale per ragione dell'allegoria che la notte a cui presiede la Luna , è anteriore al giorno , a cui presiede il Sole . Che che sia di ciò, alla favola si oppongono Aristone , e Callimaco, e come pare , Omero stesso, ed altri ; dicendo chi che solo Apolline nacque in Del"; Diana in Oj tigia (e) ; chi che amendue nacquero in Ortigia , chi che 1' uno e 1' altra in Creta. E' poi curiosa la ragione , che adduce Proclo dell' es- sere il sacro giorno di Diana felice per chi nasce uomo, infausto per chi nasce donna. Perchè, die' egli, Diana è vergine, e non volle mai generare. Ma perchè non favorire i parti delle fanciulle, e favorire que' de' fanciulli , che dovriano per la stessa ragione andar male? Tutti quasi i MSS. e l'edi- zioni xoy'p» <n yaiiS-aji, il che perchè sia mutato in xstv'fiir; non saprei dirlo.

785. àW ìli fu; •mjxvav etc. sed hoejii castrandis , et gregibus ovium , et stabulo circumsepiendo pastorali benignili dies est. Plinio al contrario : Verrei, juvencos , arivtes , hoedos decrescente luna castrato (ti) ; e Columella (e) in lopit frigidis ab id'bus Marti* usque in idus Majas omnia recto pecora castrantur .

788. 'Ej-*X>i A' àrffoyó»»; etc. Bonus- vero viriparus ; amatque cornicia lo qui ; mendaciaque , et blandos sermones, et occulta colloquia . Si dice questo giorno Lsacro a Venere ; e il costume, che se ne deriva, par proprio di quella Dea. Pitagora volea , che il sesto giorno alcuna cosa a Venere si sacrificasse: 'AppoJ/r* fi ri BuTiàZ*v £x.T,t (f) . Altre molte autorità adunò il Meursio (g) . Intanto noti il lettore , come fin da' tempi di Esiodo appaian vestigj della scienza vana degli Oroscopi, cresciuta tanto a' di Manilio; di cui son quei versi per chi nasce sotto il segno del Tauro (h) :

Plv'iadas ducit , qtiibus aspirantibus almam In lucem eduntur Bacchi , Venerisque sequaces , Perque dapes mensamque super petulantia corda , Et sale mordaci dulces quacrentia tisus... Semper amare parum est; cupient et amare videri. 790. yimòs ef' èyioaTti etc. Octavo vero mensis caprum, et baveri! valle mugiew tem castrato ; mulos autem duodecimo laboriosos . L' otto della Luna nuova è sacro a Nettuno ; a cui s'immolavano arieti e tori: Taurum Neptuno (i) Vuoisi che gli dedicassero tali animali per essere di lor natura impetuosis- simi, com'egli è , e lo mostra specialmente ne' tremuoti ascrìtti a lui. 702. Eixeiti J" iv (tvya\f etc. Viccsìmo vero in magno, pieno die, prudentem Ivirum generato. A' versi 778. si dichiarò quella forinola tftamfìx. tXm« per am- bigua, potendo significare e le lunghe e piene giornate di state ; e l'ora del

(a) Orat. XXX11. tom. II. pag. 662. (b) Aeneid. 111. v. 74. pag. 27S. (e) V. Spanhcmium Hymn. in Deluin p. 477. et 478. (d) XV111. 32. (e) Lib. XI. 1 cap. 2. pag. 753. (f) Jambl. in vita Pylhagorae Lib. I. Gap. 28. (g) Gr. fe- riat. cap. 8. {h) Lib. V. pag. i2p. (t) Viig. 111. Aen. vers. uj.

2Ó7 mezzo di in circa. A quel passo richiamiamo il lettore. Il ventesimo chia- masi qui gran giorno, perchè ha annessa la sorte principale fra le sorti de- gli altri giorni, cioè di poter generare maschio dotto, saggio, d'indole ele- vata . Così gl'interpreti . Ma essi nos frusti antxir , dice I' Einsio , il qual vuo- le, che si possan contare dicci ventesimi , cioè io. ai. 22. e così fino a 2p. e che questo sia l'ultimo , e il gran ventesimo. Si fonda in quel verso di Ari- stofane : ó(àv àyou?u¥ -mv vtX'ivhu Hxx'ias(a), che a giudizio dello Scoliaste fa contro lui. E senza ciò, se il gran ventesimo è il 25. perchè in plurale Ari- stofane disse àxaias ?

7J>3. ua'Xa >ap ts- viov Treirvx.aTUt;°; iVtj» , Valde enlm animo stridita ; 1. e. sa- piens est. Il Salvini tradusse assai fedelmente: ch'egli è di mente assai ser- rata, e stretta; ed è frase molto opportuna a spiegare la felicità di quelle menti , che molte idee , e cognizioni disparate uniscono strettamente insie- me , e con giusta combinazione le compongono , e ne deducono conseguenze opportune. I Greci amano assai questo parlare, u>iiia vuxvd , Consilia cordata, nruxvà * fai in , prudens cor , vukvó ts^oi f sapìentiores . I Latini poco lo frequen- tano : nondimeno Manilio aspirò anch' egli alla venustà di questo ellenismo laddove disse {b) : stiictas pendere mentes Prudcntes habucrc viri,

7P4. 'E&À» ? dr&pyif'n iv-àrvetc. Bonus autem viriparus decimus . Della per- fezione del numero X. abbiam parlato poco sopra. Alle notizie ivi addotte aggiugniamo ora un passo di Capclla al libro VII. decas vero ultra omnes habenda quae omnes nume' os diversae viitutis et perfectionis intra se hubet ; cun altro di S. Cirillo in Osea al capo terzo : a-J[*/2o\ov •reXe/Jnrws ó iiia sV'» ote*3-jUoe , ira¥ii\eio% ùv : symbolum vero per fectionis numerus est decimus, qunm pirfectissiiuus sit . Questa dottiina è anche di S. Agostino , e di quanti altri han prestato orecchio a queste cose . Che se Esiodo commenda sopra tutti il ventesimo , e da credere che ciò faccia perchè contiene il decimo due volte.

75 5. Tjf il 7f p.»Xa etc. hoc vero et oins , et pedes flectentes camuros boves , et ca- nem asperis dentibus , mulosque liboriosos cicurato , manum imponens .11 palpare i vitelli , e a proporzione gli altri animali , per cicurarli , è raccomandato da chiunque ha scritto del governo di essi. Palladio (0) : boves quum teneri fueiiut frequenti manus attrectarione mamuescant . Columella (d) aggiunge il venir loro davanti , e lo spargerli di vino, e l'usare una voce blanda: tum demum ad alligata* bov^s neque a posteriore parte , ncque a latere , sed adver- sui placide, et cum quadam vocis adulatione venito . . . mos etiam convenit tota trrgora et trattare et respergere miro, ut familiariores bubulcofiant .

7^8. TiTfài' àXiua&au QÌt'vivn; ♦', Ifctftir» ■raetc. Quarto die vites fìnientis et in- choantis ( mensis) doloribus confìcere animum . Proclo ci notizia, che Plutarco quattro versi ( dovea dir due) ha stimati men degni di Esiodo, fcco come ciò non ostante nell'atto di accusarli gli difende: quod ridnulum stt prae- cipcre , non oportere dolores iis dubita in se commovere , quasi vero ptr alios quosdam dies il facete oporteret . Scd non hoc praecipit : veruni sacri* lùsce

(a) Nubes v. 17. (6) Lib. I. p. 27. (e) IV. 12. (d) Lib. VI. cap. 2.

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diebus maxime amovendas actiones quae taedio ac dolori sint , quas si alias ut necessaria! subire necesse est, in his non oportere ; sentimento, che trascri- ve Moscopulo .

7Pp. fiaXn ni ifnXi7fxivo)i »/i*fi valde enim hic perfectus est. Moscopulo chio- sa, TcTiXiT/4iyti »ixiqa, tyxv it?a . 11 qual senso seguendo il Clerc , dice che iutt'i giorni più solenni si passavano più lietamente; per modo che non. entrasse malinconia a intorbidarli. Tuttavia il Salvini spiega il luogo per giorno perfetto a divorare il core col dolore. Gli altri due Scoliasti favori- scono la sua versione; Proclo tiXuca «5 w fiìd-^ou , perfteti dies ad laedendum ; e Tzetze : cìtrcnXer/x'xrixaù etc. fatale s enim dies sunt hi; et quomodo eris tunc affectus, ita diu permanebis . Quantunque la interpretazione del Clerc più ci soddisfaccia; abbiam tuttavia nella versione conservato l'equivoco.

800. 'Ev TtiàfTìi fxmòi etc. quarto autem mmsis uxorem domum duetto. Ma- crobio nel 1. de' Saturnali insegna i giorni fausti a celebrare le nozze: ncc hoc praetermiserim quod nuptiis copulandis Kalendas , Nonas , Idus religiosa* , id est devitandas censuenint (a) , e siegue dichiarandone il perchè. Ovidio nel VI. de' Fasti (&) loda il 14. di Giugno come acconcissimo :

Tunc mihi 2>ost sacras monstratur Junius idus Utilis et nuptis , utilis esse viris . Ma Esiodo loda il quarto giorno del mese, dicono, perchè sacro a' due feli- cissimi sposi, Mercurio e Venere.

801. Ot'urbf xfirat etc. observatis avìbus , quae ad liane rem sunt optimae . Pro- clo : quod vetus sit avium divinano, hit ctiam probatur ;et quod eaedem aves ad alia quidem sint dexterae, ad alia laevae, piane declaravit , ajens : quae ad hanc rem sunt optimae . Il che specialmente si avvera nella cornacchia, che infausta per altre cose ,per nozze era fausta. Ciò si credeva , perchè la cornacchia è sim- bolo di concordia ma ri tal e, come osserva dopo Angelo Poliziano (e) , il P. la Ccr- da(cf, . La stessa superstizione di osservar gli uccelli ne' matrimonj fu in antico presso i Romani , come si ha da Tullio (e) ,e più chiaramente da Valerio Ma.v-i- mo ( f) : quo ex more nuptiis etiam mine auspices int< rpotltuttur . Qui quamvis ampi- eia pettre desierint, ipso tamen nomine veteris consuetudini* Vestigia usurpant .

802. niuirms S' ii,a\itt&ou. Quintos vero evitato. Tzetze limita questa super- stizione alle nozze: gli altri la estendono al cominciamento d'ogni opera. Virgilio (g) senza limitazione veruna : quintam fuga I ove Servio : quinta Luna nullius operis initium sumas : dicitur enim hic numerus Minervae esse consecra- tu% , quam sterilem esse constati unde etiam omnia steiilia quinta Luna nata esse dicuntur , ut Orcus , Furiae , Gigantes ; come meglio spiega Virgilio da citarsi nella nota seguente.

803. 'E» irj'jUirTii jeep etc. In quinto enim Ftlrias ajunt obambtdare Orcum vin- dicantes . Virgilio (h) rende la ragione soprindicata, per cui questo sia in-

(u) Pag. 32*. (b) Vers. 22?. (e) Misceli, cap. 67. (cf) In Eclogam IX. vera. iS. (e) Lib. II. de Divinat. (/) Lib. II. pag. 24- (g) Georg. I. 277- (7i) Loc. cit.

fau*to : pallidus Orcus , Etimi nidesque satae: tum partii Terra nefando Coeum- uue Japetumque creat <tc. L'Alamanni si attenne anzi ad Esiodo (j) :

fugga il quinto ciascun con quegl' insieme ,

Ch' nanno il nome da lui: che in cotali ore

L empie furie infernali intorno vanno

Tutta empiendo d'orior la lena e l'onde. 1 Pitagorici , uice Proclo, tenevano il numero cinque sacro alla Giustizia, di cui e proprio punire 1 malfattoli, ti 1 giuiainonu falsi tatti a' cinque del mese, erano puniti di morte ne' medesimi ui ; come anemia Gio. Tzetze trop- credulo in questo articolo .

804. -or Ly-i «ile ir»[j.' tTriotHois , quelli Eris in pern.ciem pcperit perjurorum . Quesl'Oico tu nnto da Esiodo a' versi 2.3 1 della Teogonia qual preside dei giuramenti. Per distinguerlo da Orco Plutone, il Clerc vuol che si scriva con aspirazione , come per testimonio di Servio al citato lu>go , taceva Probo . 8o>. M«j-j;i j ipJS'jnT.i etc. Medio vero settimo Cerei li suciuni muniti diu^eu- ter impune ni bene ae^uata in urta vtutilato . Plinio (b) VentiLari quoque et tondi frumeitta, ao leguminu cura ad emani Lunum jubent. Dell' aja aXw.i non -iÀoit cuna' e in Clerc , bene appianata , v. al verso 5pp.

807. vàoiùijoii n muti» SaXceunia dsja, arborumque stetor incidilo cubieularia liana- Columella (e), e Palladio (d) vogliono, che si aspetti pel taglio delle legna la luna scema. E-Varrone nota, che quanto più e scema la luna, tanto meglio riescono alcune operazioni , fra le quali e l'ulotomia: Ut si qua sene- scence ( Luna) fieri conveniret , meliti» guanto Vilnus habei et ignisid aiti uni (e) ; ragione per cui l'Alamanni al precetto d'Esiodo, che a'. 17. del mese vuol che s'incida il legname, aggiunse quest'altra opinione (f) :

Puosse in questo atterrar ne i boschi' alpestri

L' alto robusto pin , l'abete, e '1 faggio

Nel verno a fabbricar palazzi, e navi;

Benché forse indugiar quando è più scema

L'alma sua luce in Ciel , non spiace a molti. lo». Nk'ì'o 1* ^«/Aa TroXAa etc. Savahaque ligna multa , et quae navibus con- grua iunt . Altri vog.iono, che i legni, che deono lottar coli' acqua si at- terrino nel giorno del novilunio; nel qual proposito e da sentir Plinio (g , : Injinuum rrjert et lunarn ratio ; nea mu a vijieuma in trignimam cuedi V0- lunt . Inter omnes veto couvi mt utilissime in coitu Lumie ite: ni, quem diem alti interlumum , ala sdentu Lunae appellaut . Sic cene libirius Caesai , cotwre- mato ponte uaumacluarij , lai ices ad restituendum caedt in Rhetia pruefiuivit

8op. IsTforfi d' «f^SJ-S-cu eie. (guaito vero inctpiio naves compingere tenues . Tenues tradusse il Cleàc , alludendo alla sottigliezza delle pareti delle navi: poteva tradursi anche leves ; giacche Moscopulo e Proclo comentan xoi/pa;.

(a) Coltivazione. Lib. VI. v. 67. (b) Lib. XV11I. e. 32. (ci Lib. XI. e. 2*

(ti) Lib. 11. titolo 22. (e) Lib. I. cap. 37. (f) L. pred. ver. 74. {g) Lib. XVI. cap. 3p.

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22° - 8iO. E<Wf f « pi*"* iriitiiXa \ùUy »(K*p» Konus autem medius pomeridìanut melior dies. Catone (a) : Matetiem omnem quum effodues Luna decrescente exi- mito post meiidiem. Proclo : ncque integro» modo dita putartwt nonnulli fa' tum l\abe< e bonum , ad quaedam opera ordienda ; sed et parte» diei , nella qual divisione niuno cerchi presso gli antichissimi le ore, che loro furono ignote. Non parlo degli Egizj : in Omero, e in Esiodo non ve n' è segno; e i Latini compilatori delle dodici tavole non le conobbero .

8 1 1 - Tleurt^M i' ùvàf etc. Primus vero nonu* proi sua innocuità hominibua . Bo- nus siqwdem est ad plantandum , et ganerandum, tamviro quam mulieri. Virgi- lio, come dicemmo, al nono del mese annette il destino d' easer buono a fug- gire , contrario a' furti: al piantar viti, al domare i buoi, al tessere prefe- risce il diciassette .

814. TlotùfOi <T avr ioart , riyTitvattt /u&uo'j à fichu etc. fauci Vero rursus sciunf tertium nonum mentis optimum relinendis dolila, et ad jugnm collo imponen~ dum bobus et mulis, et equis celeribus . Vi è stato disparcr fra gì' Interpreti su la voce rfinirucfa , che significa tre volte nove. Presa nell' ovvio senso vuol dir 27- e questo significato le die Gujeto Presa in senso più recondito signi- fica la terza volta che il npve si dice in un mese; cioè a' nove , a' dicianno- ve, a' ventinove; e questo è il vero significato che qui le danno i greci Scoliasti, e il latino Clerc- \

81J. " \f%ct&cù « w/0* , relinendo dolio. Circa il doglio , a'versi 81J. consiglia a saggiarne il vino ai 29, del mese ; ma a manometterlo , a' versi 8ip. consi- glia il 14. del mese , che seguita, o di altro mese. Proclo mi fa luce a que- sta interpretazione , ove così si spiega : xiXeW ■»» •ri*»» àvoiyti» >&j <m air* ■nùfor Xafifàuvetv , jubet aperire dolium , et vini capere experimentum .

817. Nifa nroXvx-kntfu etc. Navem multa transtra habentem celerrm deducito in nigrum pontum . cìvoira trovar è la frase di Esiodo , il qual volle dire, che il mare avea colore di vino. Gujeto tradusse purpureiim , Clerc nigrum. Come poter conciliare l' una con l'altra spiegazione v. a'versi 5o* V. ancora il dotto Francesco Redi nelle Annotazioni al Ditirambo pag. 181. il quale pai -che lo prenda per un rosso, che tira al nero.

818. vaùtoi tfe r' àXai-it xixAjrVx»»-* , Sed pauci verum dicunt . 1 Greci Scolia- sti credono, che ciò sia detto in proposito degli Ateniesi , i quali non chia- mavano quel giorno col vero suo nome .

819. TtryàSi $' oì?t t/S-3/ etc. Quarto vero aperi dolium. Piae omnibus tacer ■dies est me diti s . Era I' 3 18- e l'8ip. versi , 1' edizione del Trincavello interpo- ne, dice il dìligentissimo Loesnero , un verso di questo tenore :

Tìtuoi àStnemn iriXtmi tuuSmc-ix ntii fu . Tuncimmunia carie ( cor. a<r«x»«» est recisa ferro ; ch'è riferito da noi e spiefato a' v. 410. Mi fa meraviglia, che la edizione del Trincavello regolata sul prezioso Codice di Demetrio Triclinio , per quanto ili assicura il Sig. Abate Morelli edebratiesimo Bibliotecario di San

.- (a) Cap. Jt.

2^1 Ma-reo, abbia in luogo così improprio , ed alieno quel ver*o . Ma da ciò me- desimo il Lettore potrà comprendere quanto quest' opera abbia bisogno ii esser rettificata su buuni MSS. Proclo riporta questo medesimo verso in luo- go più proprio, cioè tra il v. 808. e il v. 809. «ve si fa menzione di taglio di legname . Nondimeno lo credo anche ivi fuor di luogo per quel nri\ovr«i con cui termina il v. 808 e mi par difficile ch'Esiodo abbia voluto metterlo appresso al nriXtmi del verso insili/io.

Ivi. 11 precetto è <ii aprir la botte il decimoquarto dei mese . In Atene era una festa di Bacco detta Oj&ojy/a {a) , che oelebravasi agli undici del mese Antesterione , in cui le primizie gustavano del nuovo vino padroni , amici , servi in abbondanza.; e i Latini avean ^er costume di fame prima una libazione , pregando, che loro non nuocesse , ma giovasse anzi alla salute.

8i0. vctùfoi <T aure ixir lixatta etc. pauci vero post vicesimum mensis optimum, aurora existetite , pomeridiani^ vero est detcrior . ì>\iv?n vaùfoi i' »u ,1 fj.tr iir.de a ftlu/éf àfig-loj è in buuna parte de' nostri codici, e in quasi tutt' i lib.ri MSS. ed editi confrontati da Loesnero , che non son pochi, e quel eh' è più in Proclo e in Moscopulo . Non veggo perchè abbia a ritenersi il jUSjWh , e le altre correzioni del devio , che appena han l'appoggio di uno o due dei nostri codici. Ma è più elegante scriver così. Sia. Cerchiam noi di emen- dare il meno elegante , o di rappresentare il vero testo di Esiodo per quanto si può ? Non mi diparto intanto dalla opinione del Guieto , il quale vuole che (tir WxaeTa sia il 24. del mese . Tzetze e Giovanni Protospatario lo prendono pel 2t. dicendo il secondo, che gli Ateniesi appunto così chiamavano il 21. h*t «ìxaVa . Ma questa pare un'appellazione nata dopo i tempi d'Esiodo, e nella età di Solone. A' tempi di Esiodo si procedeva più semplicemente; e uno, due, tre , quattro dopo il venti erano 21. 2.2.. 23. 24. e cosi nel resto.

822. KlSi (xìv «<*j'f«j etc Et hi qttidem dia sunt huminibus magno commodo . Abbiam da ultimo riservato 1' esame su 1' influsso lunare , acciocché detto tutto, potessimo sceverarne il vero dal falso , il probabile dall' inverisimile. Che la luna influisca su le opere meramente morali , qual è il menare a casa la donna , è solenne superstizione . Che possa influire in alcune opere fisi- che, qual è il tagliar de' legnami, e il riporre il vino , è questione; ma non tale , che possano adattarsi gì' istessi giorni a ogni clima; ma forse regolan- dosi ogni clima con particolari , e per lungo tempo comprovate osservazioni. Quello eh' e certo si è , che la luna agisce sulla nostra atmosfera come suj mare; producendovi un continuo movimento di flusso e riflusso, a cui son legate le meteore , che tanto influiscono nella economia vegetabile ed ani- male . Prova dell'azione della luna nella nostra atmosfera è il barometro, che si alza quando la luna è nel suo apogeo , e si abbassa quando è la luna nel pei igeo \6) . Escluderla dunque alFa'tto da qualunque influenza su le cose sublunari e stato un pregiudizio di que' dotti , a' quali è bastato il veder che

(a) Plutarch. Sympos. IH. quaest. 7. (b) Cours complet d' agriculturc .

tom. II. p. 87.

/

il popolo troppo si eia abbandonato a queste osservazioni per condannarle tutte. Tutte condannar non si possono; ma secondo i climi, come io dice- va, adottarle , non contentandosi di osservazioni di pochi anni, ma attenen- dosi alla stona di molti e molti.

823. Ai <?' àXXui (xernàanei etc. Celeri autem (dies) carni sunt , nihil fati ha- bentes , iiihd fei entes ; sed ahut unum laudati puuci Vliu noi uni Abbiam se- guita nella versione la bella nota di Guitto nel primo veiso. fuchi , con- chiude Esiodo, sanno il vero ; anzi, conciuude Plutarco , nelle cose morali, niuno ; in un giorno medesimo i Ki/inuni e fuion vinti sotto Copione da' «-.ini- bii , e sotto Lucullo vinser Tigrane e gli Armeni \a) . Le Calcndo , le None , le Idi erano presso loro in osservazione, guaiuancosi giorni che imme- diatamente lor succedevano, e pure in tal giorni avvenuti loro cose vari, taggiosissime . Gli Ateniesi, nota frodo , ebboiio un calendario di giorni fausti ed infausti propno loro, e diverso da tutti gli altri: non prova que- sta incoerenza medesima, oltre mille altri fondamenti , che il tenui dei giorni e noto non a pochi, come dice il Poeta, ma a niuno?

825. AXXoit ,u«j-fw«' vi ah itfit^ìi , aA\t>it (tfnif , JnterUum noverva est dics, in- terdilli! mater . Gellio (ò; cita questo verso, e vi fa questa chiosa: eo ve su .■ugnijicatur , non ornili die bene csit pome, ied isto bene t utyue alto male : ch'è itio che disse 1' Alamanni^) :

Che matrigna talor , tal volta madre

Vien la luce del di noli' opre umane . Con simil metafora parla Clauuiano (d) della Terra , quando cominciò a ne- gare il vitto spontaneo a' mortali :

Sed jam auae genurix mortalibus ante fuissct

In dirae subito moret traudire novercae . i'ìj. ù.odnoi aS-owùmiTir , Inuul^atus Diti. L'essere innocente presso gli Dei va connesso con ciò che siegue, in quanto il giusto, dice il Poeta, serva gli auguij , che ci manifestano il voler degli Dei , e schiva il soverchio , eh" e conuario al modo, alla misum deile umane azioni, prescritta dagli Dei , e raccomandata tanto da Esiodo: Ilavaii' fitT?s>» à&tof vvtt/i<xsiit <r' a\t- ti'iì , Omnium optami* est modus; transgressio vero vitanda, dice Focilide .

(a) In Camillo (£) Lib. XVJl.cap. 12. (e) Loc. cit. v. p?. (d) Derapttt Proserp. 111. pag. 27.

223 Codices, quibus ad emendandum Hesiodum usi

sumus in locis magis dubiis , et controversis .

XXmbrosiani sex . Contulit Clar. D. Aloysius Buchettus anno 1774. non obscrvato plutei et libri numero, cui quique codices responderent . Is Medio- lano Venetias traductus, et R. librorum Censor dictus , rcpetere memoriam facti non potuit . Opere functus est diligenter ; immortalemque eidem ha- beo eruditi laboris gratiam ; quem si alicubi imperfcctum reliquit , facile ex- cusabitur a lectore, qui sciat distracto eum. animo, atque occupatissimo per id tempus fuisse.

Britannicus I. 2. 3. exhihiti sunt a Robinsonio in Hesiodi laudatissima editione : eos autem Bodlejanos nominat num. 699. et73l.et 60; quos nos primum, et secundum, et tertium Cod. Britannicum nominamus. Quartus Britannicus codex est, quem a R. Societate Londinensi profectum ipse Ro- binsonius versavit . Quintus codex , quem Coislianum idem auctor appel- lat , non nisi ex loco, unde prodiit , codex Britannicus nuncupatur ; cete- ium ejus notitiam in primo Gallico requiras . Sextus et septimus Britanni- cus quam habeant patriam ignoro; nisi quod ad Jo. Georgium Graevium eos misit ex Anglia Isaacus Vossius chartaceos , et recentes; quorum pri- mus glossas interlincares continebat , secundus non item . Multa in eorum commendationem , primi praesertim , vir doctissimus scribit : ego vero tam saepe dissentientem a Scholiastis , a celeberrimi.? editionibus , a codicibus reliquis , quos videre Graevius non poterat, non magni pendo; immo si quid in observationibus hesiodeis auctor peccat , in hoc codice inculcando , de- fendendo , sequendo , ni fallor , plerumque peccat . De quo licuit ei dicere Phaedrianum illud : Carbonem , ut ajunt , prò thesauro invenimus .

Fiorentini sunt , quos extra Bibliothecam Laurentianam Florentiae repe- ri, alterum apud PP. Benedictinos optimis animadversionibus ornatum , et figuiis aratri veteris insignem ; alterum apud NN. Richardios , quem eru- ditissimi Ab. del Signore beneficio tractare licuit. Chartaceus uterque , sed optimae notae .

Gallicus primus Prodi is est, quem Marquardi Gudii manu postea exa- ratum Graevius legit , et a Vossiano II. distinxit pag. 46. et 22. Itaque miror CI. Montfauconium eundem esse cum Vossiano affirmare . Gallicus secun- dus, ut nuper dixi , Coislianus a Robinsonio appellatur . Fuit autem in bibliotheca Cancellarli Seguerii,et variantes ejus lectiones cum editione Clerici collatas misit ad Robinsonium P. Montfauconius . Gallicus tertius is est , quo CI. Brunckius R. Inscriptionum Academiae Socius usus est , eumque petitum a R. Bibliotheca, et ni fallor optimum, Regium vocat .

Germanicos voco a Vindobonensi bibliotheca diversos , quos bene de Hesiodo merentissimus Chr. Frid. Loesnerus consuluit in Poetae editione. Horum primum nomino Lipsiensis bibliothecae Senatoriae proprium ; secun- dum vero bibliothecae Paullinae Lipsiensis, quem Academicum simpliciter auctor appellat ; uterque chartaceus est , uterque ad initia circiter quinti- decimi saeculi referendus . Tertius est bibliothecae Augustanae , ab eodem Loesnero citatus , et ab Heingero , et Reisero ante descriptus in catalogo Manuscriptorum ejus bibliothecae .

Mediceos novem contuli an. 1723. et diligentius C. V. Gaspar Bencinius bibliothecae Laurentianae Pro-Bibliothecarius an. 1806. eos item descripsit luculenter. Primus e pluteo est XXXI. codex 5. saeculi XIV. chartaceus, quod intelligo , si quid in contrarium non moneo , cum commentariis ad marginem , et glossis interlinearibus . II. eodem ex pluteo est codex 23.

224

-acculi XV. ceterum superiori persimilis . III. codex ejusdem plutei est n. 24. saeculi XVI. cum glossis. IV. cod.ex 2?. plutei ejusdem , saeculi XIII. cum glossis ab alia manu gaèculi XVI. pluribus paginis suppletus . V. co- dex plutei ejusdem 29. membranaceus cum glossis . Pertinet ad saec. XII. fonasse ad XI. Celeri lieet manu conscriptus, pretiosus est, lectiones , no- tacque continet valde observabiles . VI. codex est e pluteo XXXII. uti se- quentes , num. 2. positus , e saeculo XIV. cum scholiis , et glossis. VII. si- milis, sed sign. num. 16. et ad saec. XIII. pertinens; optimae notae . VIII 36. saec. XV. cum glossis non perpetuis . IX. codex 41. membranaceus saec. XVI.

Vaticanos quatuordecim contulit mihi amicissimus Cajet. Marinius ejus- dem bibliothecae custos primus, et Tabularlo S. S'edis Praefectus , Sanctis- simi D. N. Pii VII. Cubiculaiius ; quos etiam descripsit , et perhumaniter mecum communicavit : sunt autem chartacei omnes. I. num. 53. saec. XIV. II. num. 44. saec. XIII. cum commentario Tzetzis . III. num. 49. saec. ejus- dem cum commentario Prodi: deest aliquid . IV. V. num. 5o. et num. 5l. saeculi ejusdem cum scholiis. VI. num. hi. saec. XIII. multum deest. VII. num. 121. saec. XIII. cum scholiis. VIII. num. 92. saec XV.

Codices qui sequuntur numero quinque ad Fulvium Ursinum V. C. perù- nuerunt. IX. codex l3ll. cum scholiis est saec. XV. X. codex cum

scholiis imperfectus est, et revocatur ad saec. XIII. uti etiam XI. qui nota- tur numero l363. XII. vero qui notatur numero 1384. et XIII. qui nota- tur numero 1421. pertinent ad saeculum XV. et scholia habcnt. XIV. de- nique cum scholiis Reginae Christinae olim fuit, et ad saec. XIV. referri debet .

Vindobonenses habui VII. quorum nctitia est in libro Daniclis Nessel , cui titulus : Commentario. Lambeciana Viennae, et Norimbergae l'.9°- qui omnes chartacei, eodemque ordine a Nessrlio citantur v. Hesiodus Con- tulit autem , sive conferri curavit amicissimus mihi Josephus Eckellius eo tempore Musei Imp. et Reg. Praeses . I. Codex est inter Medicos 16. tm- perfectus, et saeculi XV. II. 198. et reliqui inter Philosophicos , omnei saeculi XV. omnes imperfecti praeter sequentem . III. qui signatur num. 200. et integer est . IV. qui habet num. 242. V. habet num. 256. VI. num. 2^9. VII. n. 292.

Tantam codicum messern , quantam vixulli aut Graeco,aut Latino re- cognoscendo, atque emendando paratam esse autumo, mihi pvaesto esse duxi ; ut videas , lector humanissime, quantopere inemendatum Hesiodum haberemus , et quot passim locis emendandum Neque enim fieri potuit , ut inti.ger uno in Codice , quem Graevius tanti fecerat , traditns nobis esset ; in rtliquis autem e tot locis Orbis Terrae congestis nonnisi corruptus le- geretur ; conjecturae autem quibus ad eum emendandum usi crant Hrin- sius , Gujetus, Graevius ipse , Clericus , Robinsonius, Brunckius , tanti fa- ciendae non esse vide'ntur, saltem communiter, quanti tot codicum, addo etiam tot editionum , et ut longius provehatur oiatio, tot antiquoium in Hesiodo citando vel explicando consensus. At grarr.matici erant prirrat notae qui emendarant . Nimirum grammatici po.'-terioris multo temporis, qui licentias , qui metrum , qui leges , quas Hesiodus Ascrae sequebatur , igno- rabant . Quae quidem aut in MSS. et in vetcribm requirendae, aut de tam veteri poeta emendando desperandum est. Quare habe ubi^hoc qualecum- que opus, in quo si complura . humanissime lector, r< quircs , quae tenuitati» nostrae .niodum excedebant , illud tamen spero percipics commciium , quod antiquissimum Poetarum graecorum mendis expurgatuin compluribus , quai correctionum nomine viri summi sed codicum indigentes adsperserant, ex- purgatum, inqnam, atque emaculatum habebi» . Vale.

Vulgatae lectiones.

2. Afui» tfx' t'vvjwMt Ainbr'vf.'l. 3 3 ó. Med. I. 2.3.4 Z- 8- P- Vat. 3 4 6.9.10. 11. 12. Vind. I 4. 5. Schol. omnes, Dio Chr.

$. fàa (*ìv ... Omnes codd.

S . ì <?iy Ambi. 1..2. 3. 4. 6. Med. 5. Var. 1.2. 13. Vind. Fior. I.a.

io. ntf*]f

Ambr. 6.

Med. 1.2.3.

Vat. 4.6.

Vind.

Scholiastae omnes .

Editiones omnes .

Fior. 1. in notis tj! nitrii .

Lectiones aliae .

•'26-

ti'

i vtnrm

Ambr. 4. 5.

Med 5. 6. 5.

14. Vat. 2. I. 13. 2. 5. 8.

Vind. 3. 2.

Aid. Steph. Com. Heins. Eust. in t Hom.

fiat Jt1

Ambr. 5.

Med. reliqui . Fior. I. 2.

Vat.3. 4.5.6. 7.0. io. 11. 12.14.

Vind. I. 2.3. 4. 5.

f. Omnes Codd. Robin, fere o-

mnes Loesner. Aid. Jun. I. 2.

Trine. Steph. Com. Heins.

Aristid. p. 363.

ns'f<r» sine jota subscripto

Ambr. 1. 2. 3, 4. 5.

Med. 4 5. 6. 7. 8. 9.

Vat 1.3.5.7.8.9.10.11.12.13.14.

Vind. 1. 2.3. 4. 5.

Fior. a.

12. iirauvx<THt

Ambi. 4. 5. 6. Med. 6. 2. Vat. 12.

Vind.

19. Tai'nt tv Gujetus ex debili conje- ctura .

22. àfó'tuevM Ambr. 2 3. 6. Florenc. Med. 1. 2.3 8. Vat. 1.3 4.5. 1t.1l 14. Vind. 1. 2.4. Tzecz. Mosehopul.

2.5. Kipa/ueus xi(af*£ Omnes lnterprctes , et li-

tirtttvt?<Tui

Ambr

Med 2. 3. 4. 8. 9.

Vat 3. 4. 6. II. ivcuviettt 14.

cam » supra ». iveuvirv** ?.

io. cum » supra •'. Vind. 1.3. Proci.

Veu*{ r ìv

Codices omnes. Editi libri an- te Gujetum omnes.

Kfóuivcu tìfu/Jtvai

I 4 S.

1.2 a'f5«iv*/ cum * supra 0

4 5 7-9. 6.

8 12. 2.6. 7. o. io.

3. 5.

Gali. 3.

Stob. Serm. 29.

KCf rt/rt« *if-xi'.fj\

Ariatoteles, qui V. de Rep. cap.

22<*

Vulgatae lectiones

Lecttones aliae.

bri editi et MSS. item Plato io. citat Hesiodinon verba, sed et antiqui quinque . V. no- sensum . tas .

"Xlfii cum adspiratione I. 2. 6.

1.2 3. 4. 8. 9. in 5. erat spirimi

lenis . 5. l'i. 14. 1.5.

io. "Q.(* Ambr. 2. 4. 5, Fior. 1. 2. Med. 6. 1.

Vat. 1.2.4.6.7.8.9.10.12.13. Vind. 3. 4.

Schol. omnes . Edit. fere o- mnes. Suidas. Int. Sopho- clis , et Glossator Hesiodi .

33. o'ipi'XXo/f

Codd. fere omnes . Schol. mnes. Edit. omnes.

37. ftavrcifAty Ambr. 1. 4. 5. 6. Med. 1.2.3 4.6.7.8.0. Vat. 2.3. 4. 8.9. io. 11. 12.

13 14. Vind. 1.2. 5. Int. omnes. Edit. reliquae.

37. 'AXXa tw nroXXoi 'AXXù iti nroXXal

Lectio intentata usque ad Guj. solus jubet , lege o'XXa to' Gujetum . cui editorum nemo obediit .

Codices rarissimi

t'ifa&a/Jtty 2.3.

▼el

5.

Ì<f*Tafit9-a

I.5.7. 3.4.

Aid. Junctae 1.2. Trine.

3p. &l*UIT<rWL

Ambros.

Brit.

Fior.

Med. 1.3.6.7. 8.9.

Vat. 4. 5. 8. II.

Vind.

43. ifydvai» Ambr. I. 4. 5. 6. Med. 1.4. 5. 6. Vat. 6. 8. 9. io. II. la. l3. Vind. I. 2. 3.

tixàaou

1.2 3.4.5.6.

1. 2. 2.

2. 4. 5.

1.2.3.6.7.9. io. 12. i3. 14. I. 2.3. 4.5.

Germ.Cod.Senat.Acad. August. Mosohop. Glossator Hesiod. Edi- tiones fere omnes ante Cleri- cum .

ifyaa-ircuo 2.3.

2.3.7.8.9.

3. 4. 5. 14. 4-5.

48- àyxuXo /ux'«»{ Ambr 2. 3. 4. Med. 4. 5. 6. 7.

àyxuXifxmèi I. 5. 6. 1.2.3. 8. 9.

Vulgatae lectiones

Vat. 6. 9. 12. Vind. 4.

Ambr. 6.

Med. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Vat. 8.9. io. 11. 14. Vind. 3. 4- 5. Glossatoi Hes.

Lectiones alìae

1.3. 4. 7. io. 11. i3. 14. I. 2. 3. 5.Glossator Hesiod. Moschopulus docet iromiXi- ftxrif , J'oXo'jUHT/;, et reliqua verba ejusdem naturae per <f scribenda .

i/TtfoirfWaf wVlfovi't/a-aj

1,4. J. uirlfovivrcts 2. 8.9.

1.2. 3.4.5.6. 7. 12. 13. I. 2. Coisl.

!22

<J3. •B-afSsv/Xflf Ambr. 4. 5. Med. 4. 5. 6. 7. Vat. 2. 6. 7. 8. 9. io. 12. Vind. Proci. Glossator Hesiodi .

V. Notas .

irapSsKXoùs

1.2.3.6. 1. 2 3. 8. 9. 1. 3. 4. 11. i3. 14. 1. 2. 3.4. 5.

Omnes prope editiones an- te Clericum .

pi. "Arep re xox«ù» Ambr. I. 2. Brit. plerique Fior. 1.

Med. 1. 2. 3. 5. 8. 9. Germ. I. 2.

Vat. I.3.4.7.9.IO.11. i3.I4. Vind. 1.3.5. Editiones aliquae .

*Anp xax.ùv 3.4.5.6.

4. 6. 7.

3.

2. 5. 6. 12.

2.4. .

Editiones aliquae ,

P2. J-wfaj x>ìpaf

Solus Cod. 12. Vat. Magis Reliqui Itali , Brit. Germa-

probat Robins. et editores nici fere . Gloss. Hesiodi.

prope omnes . Orig. Proclus , Tzetzes .

j>3. Ai'4* 7«'p Ambr. 1. 2. 3. 5. 6. Med. 1. 2. 3. 6. 8.9.

Vat. I. 2. 3. 4. 9. io. 11.

13. 14. Vind. 1. 2. 3. 4. 5.

12.

Deest

In 4.

In 4. in 5. 7. deest : in 6. ad- ditur in margine .

In 5. et 7. deest: in 6. addi- tur in margine .

Omittitur a Schol. ab Orig. a Plutarcho .

$y. ifiifjtvt Ambr. 5. Med. 4. 5. Vat. 9. io. Vind. 5. Editiones omnes:

perperam

t(nm

1.2.3.4.6.

1.2.3.6.7.8.9.

1.3. 4-5. 7. 11. 12. i3. 14.

1. 2.3. 4.

Praeterea Fior. I. 2. Brit. I. 2. 3. Gali. 3.

Germ. 1. 2. Plutar. Stob.

51

278

Vulgatae lectiones

pp. Kìyii^ou Ambr. I. 5. 6. Decst in 2. 3. M 4

Med. extat in omnibus codicibus Medicei-: . Vat. I. 2. 3 4. 7. 8. 9. io 11. 12. 13. 14. Dee-r in 5. Vind. 1. 2. 3 4 5. in Plurarchi citatione deesr .

102. sV *7<t?>i s'ipx'/ujji' Tel e't»t'fxe?oi

Onines ferecodd. et Brit. 2. Med. 4. Graev.

Edit. Krebdius Stob. Plutarchus .

102. W' s'ti' odi' ìnri

Ambr. I. 3. 5. 6. 2. 4.

Med. 3. 2.4.5.6. 1. 8. £. 1 . »' e manu secunda

Vat. 2. 8. 9. io. I 3. 4 7. II. 12. 13. 14. in 5. «supra a*.

Vind. 1.2.3.4.5.

Fior. 2. Brit. 2.

IO?. T8 TU

Ambr. I. 2.3 6. 4. 5.

Med. 1. 2. 3. 8. o. 4. 5. 6. Vat. 1.3. 4 5. 14. 2. 7. 9. io. 12. Vind. 1. 2 3.4. fi

utraque particula abundat ap. Hesiodnm .

107. Et? jgtj etc. ,

Extat in omnibus Codd. praeterquam in uno , in quo est deletus , et in ejus locum haec nota addita •?' fortasse ex Prodi sententia , qui hunc videtur non agnovisse .

Il5. «7Sf TToVdlF

à-rtf

51

OTFf TI

Ambr. 2. 3. 4. 5.

1. 6.

Med. 3. 4. 5.

6.

1.2.7.8.9.

Vat. 2. 5.2.8. 9. io. 11. 12.

1.3.4. i3. 14.

Vind. 3.4.

1.2.5.

Tzetzes .

Diod. Sic. p. 335.

i\6. 'hifvaoì etc. Deest in omnibus Codd. et editionibus ante Graevium, qui hunc versiculum a Diodoro Siculo ci tatuai heic inseruit . V. Notas .

120. I??* vt/Jiwro t'fj-' ìvt/jova

Ambr. I. 2.

Med. 2. 3. 8. 9. I.4.5.6.7.

Vat. 3.4. II. l3. 14. I. 2.5. 7. 8.9. 10. 12.

Vind. I. 2.3.4.5. Fior. 2. Tzetz. Gloss. Hesiodi .

122. Plato V. de Rep. ita legit: TV fxìv fouftovtf j<frXoi ìt/^>«. vioi it\t$ouriv 'kyvoì oXt!;''xaxoi . Citat et in Cratylo codem modo. Theodorctus Sermone de Martyribus. Item Ari- stide* in Platonica II. p. 184. sed prò ■ni legit 0! , rt prò

TiXi'^sa-iv xxXfovrai , et pio iviy^ivioi , ùvo^^iviei ; item àjvoi

primo loco, secundo loco ia$\ti . Eodem modo Photius

Vulgatae lectiones . Lectiones aliae.

p. 121. et Plutarch. p. 417. et de Oiac. defectu pag. 43i. ' Kyvìl , eV^SÓy/o/ j q>v\a*-n; etc. Lactantius Lib. II. Insti- tut. e. i5. nihil mutat . Macrobius I. in Somn. S'cip. e. 9. si citatio marginalis prisca est , nihil mutat . V. Notas .

l3l. à'axXXtkit àrra'XXur àridXmv

Britan. 2. 3. 4. Germ. 2. Gerin.3.

Ambr. 3. 4. 5. 6. 2. Fior. 1. 2. Ambr. I.

Med. 1.4.5.6.2.8. 2.3 9.

Vat. 2. 5. 7. 8. 9. io. 12. 14. 1 . 3. 4. il. l3.

Vind. 3. 4. I. 2. 5

1?4. 'Apf aiiatf àtpqaf!ri$ àffaittirty

Amb. 1. 2.Sed3. etó.in marg. 3. 4. 5. 6.

Med. 1.2 3.8.9. 4.6.7. 5.

Vat. I.3.4. Il- i3. 14- 2.5.7.8.9.10.12.

Vind. 1.2.3.4. 5.

Gloss. Hes. Fior. I. »s cum sup. ». MS. 6. Brit.

141. ìnrtx$óviti ùirox$óvtoi

Ambr. 4. 6. I. 2. 3.

Med. 4. 6. 7. 1.2.3.5.8.9.

Vat. Z- 12. I.2.3.4.5.6.8.9. 10. il. 13. 14.

Vind. 1.2.3.4.5.

Tzetz. Moschop Proci. Libri editi ante

Clericum . MSS. Brit. 4. 5. Germ.

2. 3. Fior. 1. V.Notas.

Ambr. I. 2. 3. 4. 5.6.

Med. 1. 5.6. 9. 2 3. 4. 7. 8.

Vat. 1. 5. 8. io. 12. 2. 3. 4. 7. 9- II. i3. 14.

Vind. 4. I. 2. 3.'5.

Moschop. Tzetz. Brit. 4. Gali. 3. Germ. 3. Fi. 2.

148. "\nrXa^at 'ATrXam/

Ambr. 4. 5. I. 2.3 6.

Med. 4. 5. 6. 7. 1. 2 3. 8. 9.

Vat. 1.2.8.9. 12. 3.4.5. 7. io. 11. i3. 14.

Vind. 6. 1.2.3.4.5.

Mosc. Proci. Codex Gali. 3 . Brit. 2. 5. Germ. 2.3. Fior. I. 2.

iJ3. K(ti?où est in Guieti editione; sed MSS. omnes Medicei et Fiorentini , et editiones ante et post eum , et Schol.habent xpt/ef» praeter aliquos codi- ces MSS. atque editos , qui habent xfi/spsV.

idi. Deest hic versus in primo Mediceo; ceteri habent .

167. air adirai; oVaVa;

Ambr. 24 3. 5. 6. St'd primus r&j Sàio tanai; .

Med. 2. 3. 4.6. 7.8.9. 1.5.

2Ì9

2'ÒO

Vulgatae lectiones

Lectiones aliae .

Vat. 3.4. 5.9. II Vind. 1.5.

2. 6. 1- 8. IO. 12. 14. ònraireu . I.

2.3.4.6.

Aid. Junt. 1.2. Trine. Cod. Brit. 2.

Germ. 3. Fior. 2.

Est in Vatic. 12 et in Brit. Abest ab omnibus fere codicibus,

6. Proclus extra locum eum et ab omnibus libris editis ante

recitat, et exclusum dicit Craevium; post Graevium agnosci-

a criticis cum sequentc . V. tur fere ab omnibus . Not.

173. Tfl; {TCOJ

Ambr. 4. 5.

Med. 4. 5. 6. 7.

Vat. 2. 5.6. 7. 8. 9. io. 12.

Vind.

Palat. FI. 2.

[87. cv'iì Ambr. 2.4. Vatic. I. Stob. Omnes fere editiones .

2. 3. 6. et in 1. ?toj cum *»j sup. «;.

1.2. 3. 8. p.

1.3. 4. 11. l3. 14. I . a. 3. 4. 5 6.

Gloss. Scholiastae . Brit. I. 2. 5. 7. FI. I. Germ. 2. 3. editiones omnes citatae v. 5.

ourt

Reliqui omnes codices fere.

Tz. i ri <rù vita poi; 'rr\iova£ti

ip8. Xec/xo?

o-iv

Xfux.oìa-1

Ambr.

I 2. 3. 4. 5. 6.

Medie. 2. 3.

ì-9-

1.4.5.6.8.

Vat. 3. 4. Il

. 12.

14-

2.5.6. 7.9. io. i3.

Vind. 5.

1.2.3.6.7.

Fior. 1.2. Germ. 3.

ipp. <puX'

$C\ov

Ambr.

1.2. 3. 4 5.6.

Med.

1.2. 3.4. 5. 6. 7.9.

Vat.

1 . 2. 3. 4. 5. 6. 8. 9. io. 1 1. 12. i3. 14

Vind.

1. 2. 3.4. 5. 6. 7.

Cod. 1. Brit. Steph. Heins. Glossae. ipù^ot. yivot . Ita Mosc. Tz.

Aid. Trine. Coni. Junct. I. 2. Cod. Gali. 3. Brit. 1 . 4. 5. Cod. Germ. 2. 3. Fior. 2. S'oph. ad Oed. Col. V. 1670.

Ambr. I. 2.6

Med. 1.2.3. 8. 9.

Vat. 1.3 4. II. l3.

Vind. 2.3.5. 6. 7.

Mosc. Gali. 3. Brit. 1.4.5.

Flor.2.Ger.2.3. Aid. Trine.

Com.

205. XjXaxaf Cod. 2. Vind et 14. Vatica- nus . Itein Heins. Proclus .

3.45.

4. 5. 6. 7.

2. 5. 6. 7. 8. 9. io. 12. 14.

1.

Junct. 1. 2. Cod. Brit. I. 7. Gali. 3.

citatur a Brunckio Soph. Schol. sed

per errorem .

Xt'Xxxaf Codices nostri reliqui. Item Brit. I.2.3.4.5.6. et Gali. 2.3. item Tzet. et Schol.Eurip. inHippol. 146.

28t

Vulgatae lectiones Lectiones aliae

210. "Ape»» etc. 2IO Extant in Stoh. , sed xe 6i\oi .

N/xjif etc. versus su- Extant in omnibus codicibus; et in spucci . plerisque, quo dedimus ordine-

221. <rxoX/cùf Jj tfi'xout o-xoX/«f JV J/xitf

Aequa prope codicum auctoritas bino atque hinc.

222. fCXtv 7t i$

•waXiv ?&j

Ambr. i. 3.

2. 4. 5

6,

Med. 1.2.3. 6. 8.9.

4- 5. 2

Vat. 1. 3. 4. 11.

6 0.7.

'*.

9-

io. 12. 13.24.

Vind. 1.2.3. 5.6.2-

4-

224. ityXaau?!

.1

eXaVa^/

. , . XdlKTI

. . . UT IV

Ambi. 4 è. 6.

2.3.4. 5.

Brit. 1.2.3,

Med. 4. t.ó. 2.

1.2. 3. 8.9.

Moschop.

Vat. 7.8. io. 1.

n

0.

4. 5.JJ. 11. ;

i3.

14

6 o-<u(7( cum « sup.».

Vind. 4. 3.

0,

1. 2.5.7.

Brit. 6. 7. Fior. 2.

Gloss. Germ. 2. 3. editiones vers. 5.

23o. ('*i/tf/xa«r<

ì$V&Ut\iTi

ì9u£i'koi<ti

Ai:ii>r. I. 2. 3. 4. 6.

5.

Med. I 2. 3. 0.

4.5.8.

6.7.

Vat. 3 4. 11.

6. 14.

5. 7.8.9. l°- 12- 13.

Vind. 1. 2. 3. 5.6. 2-

4-

Fior. 2.

Proci. Tzetz.

Brit. 1.6.

;

233. "AxfK 'Axfji

Ambr. 1. 2. 3. 4.5. 6.

Medie. 1. 5. 6. 2- 8. 2.3.4.9.

Vat. I.3.5. 6.7.8.9.10. 11.12. 1 3 14. 4. VinJ. 1. 2. 3. 4. 5.6. 7. Brit. 6.

Piatoli. deKcp. Schol. Nicandri ad v. 44?-

237. Ì^H7O-0Vmt

NflVovTOM

ìfioTavTiu

Amor. I. 2. 3. 6.

4-

Med.i. 2.3.0.8. 9.

4.5.

1-

Vat. 1. 3. 4. il. i3.

14-

5.6.

2. 12.

Vind. 1.2.3.5.6.2

Proclus. Alii itera

Mosc. Tzetz.

NuWavTou ; sed rarissimi .

240. a'irx'i/f* intavoli

Amor. 5. I. 2. 3 4. 6. Medie. 4. 5. 6. 7. 1.2 8.9. Vat. 2. 5.6. 7. 9. io. 12. i.3. 4. 11. i3. 14. Vinu. 4. 1.2.3.5.6.7. Brit. 6. Fior. 2. Aesrhinesin Glos. Cod. Brit. 1.2. 3. 4. 5. 1- Ctesiph. sed deinde dXnfah» . Germ. 2. 3. Fior. 1. Edit. omnes Tzetz. Eust. in 1. II. Schol. Fin- quas retulimus v. 5. sed pi ae va- dali ad Pyth. 3. Liban. dee. 43. let tot antiquorum auctoritas . Sch. Hon». I. 42.

52

28a

Vulgatae lectiones Lectiones aliae

246. "yi rtìx'( ióyt rl7%o(

Lectio Codd. edicionumquc o- Leccio fortas.se inaudita ante

mnium revocata a Robinsone . Gujetam , Clericum , Giaevium.

2?0. 'ABdvarei \ivrranv 'hbàvofat ipfa^ovmi

Ambr. (\ìvth?i, vel... o/i. 2. 6. 3. 4. 5.

Med. 1. a. 3. 8. 9. 4. 5. 6. 2-

Vat. t.3.4.[I. 2. 5.6. 7.9. io. 12. io. 14.

Vind. 1. 2 3. 5. 6. 2- 4.

Cod. Gerii*. 2. 3. sed . . . ."nm , Cod. Brit. 1. Fior. 1. fiat edam

vel .... rartt . in 2. Fior, sei deletum est , et

\iu?3-sa-i)r restitutum .

O nne.s fere codices; etiamex- Cod. Ambr. 2. 5. Vind. 2- Vat. 2.

tcri. RestituitGraeviusexPro- Brit. 3. Editionesante Giaevium.

eli, et grammatico*'. consensu. Stob. xeeW .

261. ,2<XTi\>iav /Saa-iXiaiy Ambr. I. 2. 3. 4. 5.6.

Med. I. 2.3:5. 6.8.9. 4- ?' Vat 1. 3. 4. 5. 2. 9. 1 1 . 13. l3. 14. 2. 6. 8.

Vind. i 2. 3.4. 5. 6. 2- Cod. Fior. 1. Tz -tzes ait coalea'cere et ah" in un&fn syll. longam .

2<J3. fJtvàus

«r.'x«{

Ambr. 1. 2.3. 5. 6.

4-

Med. 1.2.3.6.7.8. 9.

4.5.

Vat. 1.3 4. 5. 9. il.

2.6. 7. 8. io. 12.

i3.

14-

Vind. 1.2. 3. 5. 6. 7.

4- Brit. 3.

26 5. Or durtp

O: y àurù

Oi r avrà

Ambi. I. a. 5. 6.

0. 4.

M d. 1 2. 3. «.9.

4. 5. 6. 7.

Vat. i.3. 4.6. 11. 5. 2-8-9- 1°- 12. i3. 14.

Vind. 1 2. 5. 6. 4. 3. 2-

Sch. OiiinM. Plut.T.II. p. 564. Brit. 6. Fior. 1. 2.

lecrit ós tC' àXXm xaxct •tck'x* e «J *«• xòv virar 1 liù \ti .

278. 8 ir' àuroìf àwmì(

Ambi'. 1.2. 3. 4. 5. 6.

Med. 1.2 3.8.9. 4. 5.6 2-

Vat. 1. 4. 11. i3. 5.6.2.8.9- 12. 14.

Vind 1.2.3.5.6. 2- 4- Fior. 1.2. Moschop. Aelianus Hist. Anim. VI. 5oi. At Sext.Em-

pir. pag. 395. pir àura» . Item Clem. Alex.

Strom. I. Item Plat. de solerti» animalista .

2po «V àorìv »'{ duri»

Ambr. 1.2. 3. 6. 5.

Vuli'atae ìectiones

Lectiones aliat

283

Med. 1.2.3.8.9. 4. 5. 6.7.

Vac. 1.2.0.4 8.9. io. 11. 12. l3. 5. 6. 7. 14. Vind. 1.2.3.4.5.6.7.

Moschop. Proclus. Plato.

2pi. '«irai ìxnrat

Vaticanm J. Reliqui codice» , et editiones omnes,

Scaliger , Meursius, He- et veteres qui Hesiodum citant .

insius studio novitatis . Gujetus subintelligit t>s . V. Notas .

2p3. °i ctuii{ J( avrà

Medie. 6. Reliqui Codd. et editiones prope o-

Heinsius.et Graevius stu- mnes . Item veteres qui Hesiodum dio novitatis. citant prope omnes, saltem in mar-

gine . V. Notas.

294. Est in codici bus, ideo con serva ndus. Scholiastaeetiam ex- plicant : veteres citant, ut Arigtot. Ethic. 1.2. Stob.Serm.3. At Ari- stides Plat. 2. praeterit, et CI. Alex. Paedag. III. et Eust. in I. Iliad.

296. ftit-V duiìs

A nbr. 1. h *i ■•■&)

Med. b.6.

Vatic.

Vind.

Aristotel. Clem. Alex.

{ÀH$' HOT»

1.2.3 4. 5.6.

1.2.3 4.7.8.9.

Omnes .

Omnes. Praetcrea Moschop. Codd.

Fior, omnes . Germ. 2. 3. Brit. 2. 3.

4. 5. Editiones numeri 5. Stob. bis .

Aristid. tom. III. pag. 44.

Ambros. 2. Moschop. Riliqui codd. italici;

Medie. 6. item Brit. 2. 3. et Germ. 2. Aid.

Phurnut. de N. D. t. 28. ìuirkó- Trine. Steph. in marg.

3IO. «Sp>«C

A:,ibr. 2.3. 5.

Medi;'.

Vat. 2. 5. 7.8.9.

Vind. 7.

I. 4. 6.

I. 2. 3. 4. 6. 7. 8. 9. in 5. deest.

I.3.4. 1 1 . 12. 14. in 6. «*?}•«£ cum ovsup. »f.

1.2.3. 4. 5.6.

Coterum suspectus est versus, quem codex Med. 5. omnium an- tiquissimus, et Stob. e. 29 et binae editiones omittunt .

3 18. A/J-ftìf x' T'affa; i-tc. Piutarchus habuit suspectum hunc vnsuin ; sed eum Stobaeus e. 29. et codd. agnoscunt . In 5. Me- diceo additur in margine.

3ip. dvo\i3i'tiv ò\@ov

Amor. 3. 4. 5. 6. 3.6.

Med. 6. 7. 6. 7.

Vat. 1. 2. 6. 7. 8. 9. io. 12. Vind 4. 2. 4.

Codices Britan. 6.7.

àvo\/3/ti ÒA.jw

12. 1 . 2. 4. 5.

I.2.3.4.5.8.9. similiter 3 4. 5. I (. 14. similiter 1.23.5.6.7. 1.3.5.6.2. Proci. Glos. et Moschop. sub-

284

Vulgatae lectiones . Lectiones aliae .

Tzetz. Stobaeus cap. 29. audiunt iraf«xi/TO/. Cod. Brit.

2. 3. 4. 5. Gcrm. 2. 3. Floren. 1.

Editiones eie. ad vers. 5.

3lJ. 'Pàa piv ftavfùri àfiavfSri

Ambr. I.4.5.6. 3. ac 2. fiaufcìa,

Med. 'Pi««' , vel f «a <?« (jiiv ftau^Stri . 1.2.-

3. 4. 5. 0. 7.8. 9. Vat. P«a 11 /u;v , ve] . . . Si /xiv tuavfSa-i .1.2.

3 4. 5. 8. 9. 10. II. 12. l3. 1 4. 6.7.

Vind. Ma' Tt ittv fjtat/fìa-i , vcl ...<f é /u/k //au-

f«V/.l. 2. 3. 4. 5. 0. J. Cod. Brit. 4. nraufoìrt , a[ 7 àfttv fari .

333. ày alititi Omnes codices praeter quatuor, 8. 9. Vat. àyitmi , io. ùydtmi qui diversas exhibent lectiones. 4. Vind. àyaiftmi cunusup. <u.

338. o"7roi'J'«{ > voi rnrovSj airovinn ardiri»

Ambr. 4 1. 2. 3 5.6.

Med. 7. 1.2.3 4.5.6.8.9.

Vat. 2. 12. 2.3 4. 5.6.8.9. 10.11.13.14. I-

Vind. 1.2.3.4.5.6.7.

Cod. Brit. 1.4.5.6. Germ. 1.2. 3. Aldus.

Junct. 1 . 2. Trine. Steph. Com. Tzetz.

338. butirri $vi7<rt $uitri

Ambr. j. -2. 3-4- 5. 6.

Med. 1. 2. 3 7. 8. 9. 4.6. 5.

Vat.0.4 9. 12. 14 2.3.4. 5.6. 7.8. io. 11. i3.

Vind. 1.2.3.4.5 6. 7. Glos. Brit. 7. Editio Steph. et FI. I. Brit. 1. 4. aliae praestantes.

344- r<" ri

Ambi. 2 4. 5. 6. j. 3.

Med. 1. 2.3.4.7. 8.9. 5. 6.

Vat. 23.4.6.7 8.9.10.1 1. 12 13 14. 1 5.

Vind. 2. 4. 5. 7. 1 3.6. 6. Ambr. habet tyxu/jiov, itera FI. 2. et Steph. verbo x«/«>f .

3J2. io- *«•« , vel, ìrr

Ambr. 1. 3. 4. 5. 6.

Med. 1. 2. 7. 8. 9. 4. 5. 6. 3.

Vat. 1. 3. 4. 8. 1 1. 12. i3. 14 2. 5. 9. io. 6 7. '

Vind. I. 2. 3. 5. 6. 7. 4 ,'»« «Vw/ii ArtemidorusBinaltii

Oneirocritiua cap. 61 , et Stob. serm. io.

353. 354. 355. Hos versus ut illiberales delebat Plutarchus; sint: ideirco delendi? Imo explicant omnes scholiastae, habent oinncj codiceli, citat S'uidas.

Vulgatae lectiones Lectwnes alita.-

357. Ko» (us>a ioiì *£» P*V| **>»

Ambi. 3: 1.2. 4. 5.6. 1.2.3.4.5.

Med. 5. 2- 1.2.3.4.6.8.9. omncs

Vac. 2. 2.8.10. onirica, cxc. 2. 8. et io. sed I. ò>« «v M«>a .... el

io. tji/usja .... Vind. omncs omncs

Cou. Brit.2- .Cod. Brit. 1. 2.0. 5. Gali. 3. Gemi. 2. 3. Fior. 1. 2.

edit. oiinie., quae cuantur v. 5.,6tob. Serm. io. Scholiabiac . 3<5o. t'i^ot x«f in nullo cod. habetur : tJt' in uno : in reliq. •»?' , et tpi'Aov j>TOf : quam lectiouem tuetui Suiuas T. I. pag. 06Ó. et Stob. Serm. io. semel , tt to» , et wtì ni codd. et cxcusis.

3<Jp. Mes-tro'*/ tSli\>ì Metro'*; dl/vir

Amor. 4.6. 4.6. 1.3. 1.2.4.

Mea. 2. 0.4.-6. 7. 8.0. 4.Ó. 6. 2. *• $. 1.2.3.8.9.

Vai. 2.0.7.9.10.1213. 1.0.4.5.8.11.14-

Vind. 4. 2- 1.2. o. ò.o.

Bric. 0. 2- Britann. I. 2. 3. 4. German. S.

Fior. I. 2. Luitiones prope omnes relatae ad. v. 5. Proci, et Moschop. qui interpretantur xa'Kint>'

370. M/o-*c; .... Deest

Amili. 1. 2. 3. ò. 6. in 4. in 5. additur recentius .

Med. 1.2. 3. 8.9. 4. 5.'0. 2.

Vat. 1.3. 4. 8. li. i3. 14. 2. 5.0. 2- io- 12. in 9. addit. recentcr .

Vind. I.2.O.5.O.2. 4. in Biit. 6. cum duobusseqq. 1

371. K<w ir - Deest

Amor. 1. 2. 3. 5. 6. 4. m 5. additus recentius .

Med. I. 2. 3. 8.9. 4.». 0.7.

Vat. 1. 4. 8. 11. i3. 14. 3. 5.0. 1. io. 12. in 9. additus recen.

Vind. 1.2.3. 5.6. 2- 4.

372. n/$«; .... Deest

Amur 1.2 3.5.6. 4. in 5. additus recentius.

Med. 1. 2. 0. 8.9. 4. 5;fc. 2.

Vat. I. 3. 4. 8. 11. i3. 14. 2. 5. 6. 2- *°- I2- in P- add,itus recent.

Vind. 1.2.3 5.6. 2. 4.

375. 9/XifTjtffiy vel . . . . «•/ pnXw'riia-»

Ambi. 1.4. 5. 6.

Med. 8. 1. 2. 3. 5. 6. 2-9- sed cum <"!■

Vat. i.3. 4. 8. 6 2 .9.10.11. 12. 14. 2 .-. i3.

Vind. 5. 2 3. 4-6.2-

Gius. Hesiodi , Gali. 3. Uu.but. 1. 2. 3-4.5. Fior. a. Tzetz.

Ìj6. eù^oi il» cum gì. Jtro'f^p

Amor. 1. 2 6. 4. 5. in o. correct. in eu%oi

Med. 1.2 3. 8. 9. 5. 6. in 4. et 2- mutatum in «•a'?»»

Vat. 3. 4. 8. 9. 11. i3. 14. 2. 5.6. 2. io. 13,

Vind. 2 3 5.6.2- 4-

Interprete* Brit. I.

53

286

Vidgatae lectlones Lectiones aliae

3 8 1 . (p p e f *' <7iìV/,vel on<ri» Qferi» rivi»

Ambr. 5. 1.2. 3. 4.0. sed in 2. » ri .

Med. 1.2 3.4 5.6. 7.8.9.

Vat. io. 2.9. I.3.4..V6.7.8. il. ia. l3. 14.

Vind. 4. 2.3.5.6.7.

Cod. Brit 7- Cod.Flor. 1. Cod. Britan. 1.2 3 4. 5. item Cod.

Germ. 1.2. Cornei. $*«>, sed edi- tiones relicjuae citacae v. 5. fri .

Ì8l- ìffliv IfTov £t r' l'ir' tfjta t?£lif ng] ìpyov jV tf>«

Ambe. 1. 2 5. 6. 3. 4.

Med. 1 . 2. 3. 9. 5 6. 7. «ed 8. iV«» lo»" ^ »* «'»'

Va r. 1.3. 4 9. 11. 1 3. 14. 2 5. 6. 7. 8. io. sed 12. ì*' ì<tj*

Vind. 2. 3. 5.6. 7. 4.

Brit. 1. 2. 3 4.5. Fior. 2. Distinctio inter primum et secundum librum saltem ma- Jori littera , vel maiori spatio indicata in Hesiodi editionibus .usque ad Graevium mansit , milioribus codicibus invitis .

383. àrXaylvito» àrXaycvdco»

Ambr. 1.36. 5. arXayyivdiuv , at 2. et 4. àrrXnyafù»

Med. 2. 3 4. 6. 7. I. 5. 9. Sed 8. drXaylvvctav

Vat. 1 . 3. 4. 5. 1 i. i3. 14. 2. 6. 7. 8. 9. at 10. àTXayewau»

Vind. 2. 3. 5. 6. 4. 7. .

Interpr. tres . Athen. pa». 490. Cod. Germ. 1. àrXaywàw curri « sup. «'.

Schol. Homeri Iliad. XVIII. v.

4S6. Dio Cluys.,Orat. II.

384- à[Jtn5 , iuTc-outvaut KUtinìo . .. àuTotxtvàu»

Ambr. omnes 1.2-3. 5.6. 4.

Med. omnes 1.2 3.8. 4.5.6.7.9.

Vat. omnes . 2.3-4 6.7. 8. 9. io. S. 13.

II. 13.14.

Vind. 2.3.4.5.67. 2 3.5.6.7. 4-

Dio Or. II. Athen. p. 490. Int. Hom. U.S. 486. Eu.se. II. T. 4S7. Brunck.

38p. VCUtTUUT VtUtlttlStr' Vel...87< Vel . , . UT

Ambi-, 5. 1.2 3.4 6.

M-d.4. 1. 2 3.6. 7.9. 8. 5.

Vat. 2.9. 3.4.5.6.7.8. 11. 12. 14. io. i3.

Vind. 2.3.5.7. 4- Fior. 1. Gali. 3.

Brit. 6. 7. unde Grae- Glos. Hes. Cod. Brit. I. 2. 3. 4. 5. Cod. Germ. 2 3.

vii emendano. Editiones omnes relatae ad v. 5. et Brunck.

3pi. va;W/, vel. ..iti» vaiari vel . . . . vi»

Ambr. 5. 2. 3. 4 6. ì>>

Med. 4. 1.5. 6. 2 3 7. 8. 9.

Vat. 2. 1. 5.6. 7. 8. 12. 3 4 11.13. 14.

Vind. 4. 5. 2 3. 7.

Glos. Hes Cod. Germ. Cod. Brit. I. 2 3. 4. 5. Gei-

3. Gali. 3.Edit. Aldi, m. 2. Fior. 1.2. Ed. Trine,

etjunct 1.2. Steph. Com. Hcins.

Vuljratae lectiones .

Lectiones alia?. .

a87

3p2. oìuciliv

«'^ào-^su

Ambr. 4 6.

1.2. 3 5.

Med. 4. 5-6. 7.

1.2.3. 8.9.

Vat. 2. 6.9. io. 12.

1.3.4-5. 8. 11. i3. 14.

Vind.4. 5.

2. 3.7.

Brit. 6. Gali. I.

Codex Britan. I. 2.3.4. 5. Germ. 2. 3. Fior. 2. Edit. citataead v. 5. Mosch. Proci.

3pJ. TIU^Tff

«iiiVji; tthiVhs dvtl&tpt

Ambr.

2

3

1.4. 6. sed 5. àyu<r*s

Med. 1. 2.3 6.7.9.

2

3.

48.9. 4.5.8. 1.5.6.?.

Vat.omnes: exc. 1.5.

1.

3.

4 11. i3.I4. 1.5. 2. J. 6. 7.8.9. io. 12.

Vind.

3.

7,

2.4-5.

Mosch. Tzetz. Glos.

Glos. Mosch.

408. a'T>i; dfvàmi cìmìf àfnìtai

Ambr. 1.2 3. 5.6. 2.3. 4. i. 4. 5. 6.

Med. 1.2.3.4.5.6.7.9. I.2.3.6.8.9. 8. 4-5.7.

Vat. 2. 3 4 5.6 9. io. 11. 14. 1.2.3.4.5. 11. i3. t,.ii.i3. 6.7.8.9.10.12.14.

Vind. 2.3. 5. 7. 2.3. %.

Mosc. Proci. Glos. Mosc.

40p. iuiru'$rt

Ambi-. I 3. 5. 6. Med. 1. 2 3.4. 8.9. Vat. 1.2. 3. 4. 5. io. i3. Vind. 2. 5. \. Tzetz. Glos. in Hesiod.

jjti dia

2.4-

5.6.7.

6. 7. 8. 9. 11. 12. 14.

o.

Moneo in sequenti Pollucem legete 1**9 1

p.44. Scholiastem Atistoph. ìw*<pi pag. 243.

412- 'Ovi' àva&awlfxtvos . Deest in Cod. 4. Britan. item in

Est in orrrtiibus fere Codd. et in 2. Fior, omnibus editionibus, et quod mi- reris in Brunckiana .

41 3. "\min pleraeque editiones veteres habent, et Columella locurn hunc citans 1. XI. e. I. et Eustathius in II. II. pag. 480. sed àr*<ri omnea piope codices .

420. 'H««5 Quum Ambr. I. 2. Med. I. 2. 3. 9 Vat. 1. 3. 4/ li. i3. 14. Vind. 2.

Twjuo{ Tum 3.4.5.6. 4. 5. 6. z- 8.

2. 5 6. Z- 8-9- io. 12.

3. 5.7.

Pe'riodus continuat ut ostendunt Schuliastae , exponcntes óit : hinc majori codicum numero minor^m praetulerim .

422. TXfto( etc. Hic versus deest in cod. Germ. I. sive Senatorio ; agnoscicur a reliquia , itemque a Servio in I. Georg, v. I?5. et Interpr.

42S. airi rg\

Ambr. I. 2. 3. 5.

4.6.

288

Vulgatae lectiones .

Med. 1.2.3.8.9. Vat. 1.3. 4- 5.». H. 14- Vind. 2.3. 7.

43 I. yifJiipoi<riv

Ambi. O.

Med. I. 2. 3. 7. 9.

Lectiones aliai?.

4.6.

7. 12. 13.

yoUQHri S. 3/4. 4. 3. 0. 8. Glos. Germ. 3.

5.7.

2.0.9. io. 5.

I.

43 1. orfo3-afifj>tra«i Onnes codices : vforafiriiui io. Vatic. et perpauci

43 <5. ir fi va yuitv

Ambir. 3.4. ù. Med. 4. 3. 0. 7. Vat. 2. 5. 0. 7.9. io. Vinti.

ir(ivv yuxv I. 2. ac 5. >*'»{

1. 2. 3. 8. 9. 1.3. 4, 8. 11. 12. i3. 14.

2. 3. 7. sed 5. *H * J"'"5

Suid. Etymol. magnuni , Schpl. Aratoph. v. 179. vloschop. Tzetz. citant irf;Vs <fé : irf/.H tr^ivivo* , quod habi t v. 329- Suid. v. irf/v/vo/ , Sch. A- 11stophanisloc.cit.tt1taemendatu.il in veni in codice Kiicardiano , in quo ante lrgebatur •tt'v"" > sicut vfiwiov in Loesnero : utiaque le- ctio in paucis codicibus .

43p. ruy ifi^ewa;

TWJt

Ambr. 2. 3. 5. 6. 1. 2. 3. 4.

1.4.

Med. ouines- 1.2. 7. 9.

Vat. 3.4.U.

Vind.

Tres Scholiastae Hesiodi .

.8.

e'fiVewTi , Tel... »t

5.0.

3.5.6.8. 4-

i.é.ó. 7.9. io. 12. 14. 2. ..»'

2.3.4.5. 7. Glossae in Hesiodum , Britan. o. Fior. 1.2. Germ. 3. Suid. in fi/}^3*""

442- Deest hic versus in codice Senatorio; est in reliquis .

448. w<v yt^àvu reperi in Proclo, et in tribus MSS. et in omnibus, nescio quo pacto , editionibus . RettUup veterein inversum ordinem verborum quem habent omnes propc codices , et Tzetze.s , et Bisetu* ad Aves Avistoph. v. 710. >tf«cB <p»v>ìr , atque etiam Brumkius ex MS.

45.7. /JlìtTtlV ìyjuf/

Amor. 2.3. 4. 5. 0.

Med. 4 5. 0. -f.

Vat 2. 5. 0. 7. 9. IO. 12.

Vinu.4. 5. 7.

Tzetz.

1.

1. 2 3. 8.9. 3.4. ò. 11. i3. 14.

2. 3.

Biit. 2. Gemi. 3. Glossator .

fittimi txm

4?p. i<i m, OmneJ codd. practer tr,es , ubi H wr' , quibusadde duos Bntannicos Kobinsonis .

4<f2. s«f/ . Pollux lib. I. cap. 12. s< gm. 22.3. et Biunckius , sed ««f ha- bent excusi et Codices et Scholiastae .

4^p. pnùfctn

Ambr. 3. 5.6.

Medie. 4. 0. 7.

1 . 2. sed 4. non bene intelligitur . 1.2.0.8.9.

Vulgatae lectiones

Vat. 2.5.6.9. II. 12. 14. Vind. 4. 5. 2- Brit. 6. 1. Tzetz.

471. Xiri'([Jirtm Ambr. I. 2. 3. 4. 6. Med. 6. Vat. 7. 9.

Vind.

xaxxpjnrm)v 2.

472. Kaxoi-ìifXiTVVii Ambr. 3. 4. 5. Med. 2. 3. 4. 5. 2.8. ?• Vat. 3.4. 6.2-8.9. io. 11. 12. l3. 14 Vind. 2. 5. 2- Proci. Tzetz.

Lectiones aliae

I. 3 4.8. io. 2.3.

Brit. 1.2. 3. 4. 5. Getta. 2. 3. Aid. Trine. Steph. Com.Hi-ins. Proclus , Mosch. Glossator ; juxta cuos : bobus trahentibus loro . txirtqiia x.otiBcHfu'Jr'iwv

5. 1.3.4.5.6.

I. 2. 3. 4-5. 2- 8. 9. sed 6. viriffxara x(v'nrmy

1.2.3.4. 5. 6. 8. 10. 11. 12. i3. 14. in 2.etiam

et 9. xamx-t .... 2.3. 4.5.2-

Britan. I. 2. 3. 4. 5. German. 2.3. Trine. Junet. 2. Moschop. Proci. xxxoS-vftoavvti

I. 2. 6.

1.6.

1.2.6.

3-4-

289

477. 'Efo^.W*»» Ambr. I 3

Med. 1.2 3.4.5.8.9. Vat. 3. 4 5. S. 11. i3. 14 Vind. 2.3.2- Mosch. Proci. Eustath.

'Uvuxim

2. 4. 5. 6.

2- 6. cor. &ox$i*v 1. 2. 6. 2- io. 12. 9.

4.5. Cod. Brit I. Aid. Junct. 1.2. Steph. Com.TzetE. 47P- Cur Tfcwoùt plrrique editorum scripseiint quum rfeirif MSS. o- mn>s quos consulta , rxhibcant , divinare non possum ; nisi forte He- siodum nolint ionica dialecto usum , quam in primis adamasse etiam testatur Hermogencs .

485. a\i<rii(

Ambr. 4. Med. 4. 2- Vat. 2. 9. 12. Vind. 2 4. 5.

1.2.3.5 6. 1.2.3.5.6.8.9. 1.3.4.5.6. 2-8 io. il. i3. 14. 3 6.7.

MS. 6. Biit. quo solo au- MS. Brit. I. 2.3.4. et 'ta emendatum est in ctore Graevius hanc le- Fior. 2. Itcm Gerrn. 2. 3. Gali. 3. Editiones ctionem amplexus est. omnes relatae ad v. 5. Brunckius .

4PO- /Veijjap/jfe;

Ambr. I. 2. Med. Vat. 5. Vind. 2. Cod. Brit. 2-

3. 4- 5. 6.

4-5-6.2- 1.2.3.8.9.

2.6.2. 910. 11. 12. 13.14. 1.3.4.8.

4- 5. 2- 3. 6.

Fior. 2. Ht'ins. Gujetus,

Graevius , Brunckius .

4P 3. inrakia. »V à\ia

Ambr. I. Vatic. I. Canterus Reliqui codd. quorum haberc potui notitiam

ex cod. Gujetus ob ratiun- et editiones , et Aristid.inPlaton.il. Scholia-

oulam . stae Hes. Eust. citatus a Stephano , Winterton .

54

2^0

Vu!<tatae lectiones Lectiones alide

--•

tpjov

ii?y»v

4-

5.

5. olim UV

ifywv 1-

6.

oli in

4P4. « ror Arnbr. I. 2. 3. 5. Med. i. 2.3. 4.8. 9-

Vat 1.2. 3. 4. 8.9. io. 11. 14. 5.6.7. 12.

Vitul. 2. 3. 5.6. 7. 4. olim *>v, quae lectio videtur Prodi fuisse .

Glossar.

4pJ. iVfca'm òtpéWn iV^aVj» ps'XXji

Amb. 2. 4. 5. 1.2.3.4.5. 1.3.

Mcd.4.5.6.7. 1.4.5.6.7.9. 1.23.8.9. 2.3.8.

Vat. 1.3. 5.6. 7.9. 10.12. 2. 5.6. 7.9. io. 12. 3.4.8. 1 1 13.14. 1. 8.4.8. Il.l3.t4

Vind. 4. 2.3.5. 6.7. similiter .

Tzetz. Bnt. 1 3.3. 4. Germ. 1.2.3. FI. a.

Mosch.

4P7. vicoli iriiXfi

A .ibi. 24. I. 3.

Mei. 4. 5. 6. 7. 1.2.3.8.9.

Vat. 2. 5. 7. 9. io. 12. I 3.4. 6. 8. 11. i3. 14.

Vind. 4. 2. 3. £.6.7.

Moschop. Proci. Glos. Cod. Brit. 5. Germ. 3. FI. 2. Gali. 3.

$06. àvT*\tyi*% codd. fure omnes . iuvnXeyiot . Brit. 4.

$10. /SxVffMj ir/Xi'jè /3>i*<rrtTi vel /Siimri wiivj.

Arnbr. 2. 3. 4.

Med. I 2.3.4.6.7.8.9. similiter . 5. Hmtuti 5. t*X«^

Vat. 2.3. 4. 9. io. 11. 12.14. 1234.5.6.7.13. 5.8.13. 7. at i.et 6. £*<mt Vind. 2.3. 4. 5. 6 7. 2.3.4.5.6.7.

Mosc.

$ io. irxìvfioTtìftì vo\u/3oni'fi>

Arnbr. 2. 3. 4. I.

Med. 1 2. 3. 4. 6. 7. 8. 9. 5.

Vat. I. 3.4. 6. 7. IO. II. 12. I 3. 14. 5.8.9. sed. 2. iraX//3ow/f» Vind. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

5i3. Ante vers. 5l2. ponunt Aid. et Junct. I. 2.

Sii. Sixw r& tv XìtTi. Ita omnes codices practer 5. Medie, et 5. Vati», et 3. Vindob. qui habent °!*p >sh x$tei.

J3o. huyfòv ffu'a Auyfùf ifia

Ambi. 2. I. 3. 4.

Medie, omnes . omnes

Vat. 3.4. 5.6. 7.8. 11. 12. 1 3. 14. 2. 9. io. i.2.3 4.5.6.7.8.9.1 1.I2.I3. 14-

Vind. 2.3.45.6.7.

Moschop. qui vertit ^aXiirii') Glos. Brit. 2.3.5. Germ. 2.3.

Tzetz. Gali. 3. S'teph. Juncta I.

537. fcXoùVo» (t£t JtXoùi'a» n

Ambi. 1.3. 2. at 4 xXcùiw r'

Med. 1. 2.3.8.9. 4-5.6. 7.

Vat. 3. 4. 8. 11. 13. 14. 2 5. 6. 7.9. io. 12. at I. xXmw *■*"

Vind. 2. 3. 6. 7. 4- 5.

Aid. et reliqui citati ad v. 5.

29*

Vul gatae lectione» . Lectiones aliae.

?43. óir&Vf MSS. omnes praeter 2. Ambr. et 4 Medie, qui habent érórar , sed ?. Med. oVot' àv ut Trine. Retincndum lirùit quum extrema produ- catur vi caesurae , et vi mutae cum liquida subsequentis .

$44 ut*» «ub^tituerunt nimium creduli Graevii editores voci vara quae eiat in omnibus codicibus , et editionibus . V. animadversiones .

J/p. irt/fipo'po; t'iiiwmt. Sic erat in Ambrosiano 3. sed correctum est, et mutatum in vu^o^ofo^ limmi. Clericus et invitis codd. et editionibus ante eu n , et Proclo , et Moschopulo , et Auctore Glossaium , qui irt/foipóf»j probant, edidit «"ff ?o'f°f

SSo caivao.Tuv ediv tóvm» ditvvaóvwv

Ambi'. 0.4 I. 2.

Med. •> 3 6 1- 8-9- Aied. 4. 5. sed 1 . adtvttivmv

Vat. 3. 4. 8. II. 1 3. 14. I. àiùv àivmv

Vind. 4. sed 2.3 5.6.J, àiì» àóvmv

dti, vxivm, Vat. 2. 5. 6. 1 p. io. 12. Glos. Aid. Trine. Junct. 1.2.

JJp. finir' tiri J' àvigj. fittriv ivi i' ci vi fi ve.l fisvìv tir avi®, ti

Ambr. 4. j 2 3

Medie. 4 5. 6. 2. 12 3.8.9.

Varie. 2. 5. 6. 2.9. io. 12. 1.3.4. 8. 11. i3. 14.

Vindob. 4. .v 2.3.6.2-

Fior. 2.

/Su7Ìv 1 ditiones f. omnes . Brit. 1. 4. Germ. 1 . 2. 3. FI.

I. Gali. 3.

S68. òfSsoyón if^oyón

Ambr. 2 3. I. 4

Med. 1. 2. 6. 1. 8. 9. '3 4 5. Vat. 2 3 4 6. 2. 11. i3. 14. 1. 5. 8.0. io. 12. Vind. 2. 3. 5.6. 2- 4.

Fior. 1. Proci. Mosch. Auctor glos. Cod. Germ. 2 3. Junct. I. 2.

Etymolog. Magn. in òqSoyón , Tzetz.

$70. irtej.mfXvifH* vtymiviiixc* vel irieiT'ktfiiiivcv

Ambr. 2. 34. I. Medie, omnes

Vat. I. 3 4. 5. 2-8. io. 12. 2 6.9. II. 1.3. 14.

Vind. 2.3. 4. 6. 2- 5.

Tzetz. Germ. 3. Brit. 6. Moschop.

57J. xafpf xcr'fpH

Ai, br. 2. 4. Reliqui codices nostri : item Brit. 2.3.4-

Vat. 6 sed io. x«f$«, cum » sup. « et Germ. 2 3. et Gali. 3. Vind. 5.

J77. ó?Sf« 0*?»a

Ai.ibr. I. 2. 4. 3.

Med. li 3 4 6. 29. 5 8.

Vat. 1.2.3 4 5.6. 2.8.9. io. 11. 12. 14. l3. Vind. 2. 3. 4. 5. 6. 2-Tres Scholiastae.

292

Vulgatae lectiones Lectiones alia»

J83. xxtuxìuit' irixii/rr

A. noi. 2. 1.3. at 4. xxntxi'ueiBi

Med. 5. 6. 1. 2. 3 8. 9. at 4. «afflar', et 7. l'ri^iW

Vat. 2. 5. 2- 9- io. 12. 1.3.4.6.8. 11. i3. 14. Vind. 5. 2 3.4.6.7.

Glos. Cod. Germ. 2. 3. Moschop.

£84. xauamfio; x.*i/u*WtOf

Ainui>-f"2. 3. 4.

Med. 2.3. 4. 5. 7.8.9. 1.6.

Vat. 2. 3. 4. 5. 8. 9. 10. 12. 6. 7. 1 1. i3. 14. sed I. xa^anVi.;

Vind. 2. 3. 5. 6. 7. Brit. 6. 7.

Ambi-. 1.2. .3. scd 4. <*e T'òWp*c

Med. 1.2 3. 8. 9. 4. 5. 7. in 6. deest

Vat. 1. 3. 4. 7. II. 1 3. 14. 2.6.9. io. 12. sed 5. <W «Wf i; , etÈ.iir' i,ifti

Vind. 2. 3. 4. 6. 7. 5.

Arist. Probi. Sect. 4, Junct. 1 . 2. ii r ùvi^i; . Fior. 1. et 3.

$8p. /Sv'.3\ivo( (Si'/3X<vo;

Ambi. 2. 3. 1.4.

Med. 4.6. 7. 1.2. 3. 5. 8. 9.

Vat. 1 . 6. 1 1. 14. 2. 3. 4. 5 7. 8. 9. io. 12. i3.

Vind. 4. 7. 2. 3. 5. 6.

Proci. Tzetz. Int.Theocr. Glos. Cod. Brit. 2. 3. Gali. 3. Fior. 1. et fuit in

2. Germ. et 3. Aid. Trine. Junct. 1.2. Mosch.

5p4. «xpoj'o; e't/xfaWo;

Amilt 24. I. MXfOSOf. 3. OXfJj'o;

Mud. I 2 3. 5. 7. 8. 9. 4. 0. «uxfae'os

Vat. 1. 3. 4. 6. 8. 9. ' 5. 7- i°- 1 ' 12. i3. 14. <UnP«»'of , sed 2. ... Wc«

Vind. 2. 6. 4.7 <*»{ sed 35.... «'«s

Moschop. Proci. Glos. Cod. Brit. 1 3 4 5. Germ. 1.2. 3. FI. 1. et 2.

Aid. Junct. 1. 2. Com. ?P4> •npifuirov ufoawirct

Ambr. I. 4. 2. 3-

Med. 1.4. 5.6.7.8. 2. 3 9-

Vat. 1.2.6. 7. 8.9. 3. 4. il- 14-

Vind. 4. 5.7. 2. 3. 6.

Tzetz. Glos. Brit. 1 .4. 5. Germ. 3. FI. 2. Mosch. Proci.

5oJ. Kfv'yit; **" àivciu K(»n t' àtvvau

Ambr. 1.2 3.4.

Med. 1.2.3.4.5.6.7.9. 1.2.3.4.9. **• 5.6. 8. sed 7. T'auc*»»

Vat. 2. 3. 4. 6. 7.8.10. 4.6.12. 1.5. 2. 5. 7.8. 9. 10. ii. 13.14. sed

I I. 12. 14. 3. K»M

Vind. 2. 5.6. 7. 3. ai»»* sed 4. t' «iW«

Gerin.2.3. Junct. 2. FI. 2. ai (wo'k.

$96. Tfìt i'ùttt-a%. «f'abest ab omnibus Codd. et ab omnibus editioni- bus.ante Gracvium .

<Jo2. 0»™ àemtr nullug codex , quod sciam, nulla editio habet ante Graevium .

Vulgatae lectiones .

QHm t' àoixov A'mbr. I. 2. 3. Med. 2. 3. 4. 5. 7. 8. 9. Vat. 1.2. 3.4.6. 7.9. io. Vind. 5.6. Cod.Biit. 1.2.4. 5. Germ. 1.2.

616. a few Ambi. 2. 4. Med. 4. 5.6. 7. Vat.1.2. 5. 7.9. 10.12. 14. Vind. 6. Fior. 2.

Lectiones aliae

!93

rari Owt' àoixov

4-

1.6.

5. 8. 11. 12. i3. 14.

2. 3. 7. sed 4. 0»ia <T àotxov

Glos. Cod. Brit. 3. Germ. 3. Fior. 1 . 2.

Editiones omncs cit. ad v. 5. Proci.

OfÓTftf

1.3.

1. 2. 3. 8. 9.

3 4.8. 11. i3.

2.3. 4 5. 7-

Bue. 2. 5.Germ.i.2.Trinc. Ald.Mosch. Proci.

<Ji8. «'?? non reperi nisi in Vindobonen. 2- neque Glossator habet, neque MSi. Florent. habent tamen editiones aliquac . Certissima lectio est «'?«

633. Eadem prope ratio est in piyatvMrit quod non agnoscunt Vaticani quatuordecim , sed tantum Ambrosianus 2. Medicei 5. 6. et Vindobonen- ses quatuor ; itaque scribo niycx ytivit.

My. J" «j>j- . .

12. sed 5. >f'f* «f'o'f .

Ó40. 9-t'fft a'f>aXs'it $Yf« t' à(f .

Ambr. I. 2. 3. 4.

Med. I. 2. 3. 5. 7. 8. 9. 4. sed ■9-f'e»

Vat. 1.3. 4. 7. 6. 11. i3. 14. 2.9.10.

Vind. 2 3. 4. 6. 7. ltem Strabo Vind. 5. pag. 409. et Schol. Nicandri ad v. li. Ther. et fcustath. T. II. pag. 54S. sed *8>{ .

6+6. Tf(.f »{ . Miror Guieto Tfs'4«j placuisse , quod vix reperi in Codice Vinaobonensi 4. Tfe'4>,f autem habent icholiastae , et codices ; et ex suo cod. probat Brunckius.

64J. fiiXycu. Xifjtòv àit fri (H\t«A ànfvt'a ìi/nòv

2. 3. 4. 5 6.7.at4...;.J'«' 2. 3. 6. 7. 8. 9.

2. 5. 7. 9. io. 12. 1.3.4. ó. 7.3.1 1. 12 13.14. 5.6. 7. ai 4.i6s'x!t 2. 3. 6. 7. CoU. Gail.3. Brit. I. 2.5. Germ. 3. «VEi/,3.... aVAi/X...

4-

6- 7 7-

1.2.5.9.10.12. at7. 7. 12.

t'ir' "Ev/3 ....

4. 5. 6. 7. tres Interp. 4.

Ambr.

Med. 2.3. 8.9.

Vat. 1.3. 4.3. 11. 13.14

Vind. 2. S.

6S I . t'j Ev.?oiar Ambr. 1. 2. 3. Med. 1.2 3.4.5.8 9. Vat.3.4.8. 11.13.14.

Vind. 2 3.

658. M«V«»' Ambr. Med. 4. 7. Vat. 2. 9 io. Vind. 5. Mb^ji;

4-5.

2. 9. IO. 4-5.

Hi, 'AuXkToj 1.2. 3.4.

1. 2.3 4. 5.6.8.9. 1. 2. 3.4. 5. 8. 9. io.

11. i3. 14. 2.3.5.6. 7.

1.2. 3. 4. non intelligitur . 12 3. 5.6.8.9.

1.3. 4. 5. 8. 11. i3. 14. 2.3.4.6.7.

Brit. 1. 2. Germ. 3.

55

io4

Vulaatae lectiones

Lectiones aliae

<f<$0. vnwv yt vnrHfnfÀai

Ambr. 4. sed deest yt 4.

Med. 1.2.3. 4.5.6. 7.8. 9.

sed in 1 .2. 4.6. 8.9. deest yt Vat. I. 2 3 4 5.2.8. 9. io. 1.2. II. 12. I3.I4.

II. 12. i3. 14. sed in 4-5.

et 14. deest yt Vind. 2.3.4.6.7. at 3. et 7.siner« 2.4.6.

vtùv .... vivuqnfxtu

1 . 2. at 3 vinrifxfitu . Omnes Codices .

3. 4. 5 7. 8. io. at?.

nrivàfxuai cura a sup » VtVÌ (ll[XCtl 3. 7.

661. Maro» . Hic versus extat in omnibus codd. sed in 5. Med. fert est erasus.

6j1- Hic versus est in omnibus codd.

677. ì9-etx.w in editionibus Clerici , et Graevii male etat prò t>»xe» .

688. °<r<r' dyo(&to Ainbr. I. Med. Vat. 3. 4. Vind. 2.

*>f dyof&ti

Si a ayof A'w

2. 3. 4. I.2.3.4.6.8.9. 5.2-

11. 13.14. 1.2.5. 6.7.8. 9.12. iS.

3. 7- 4 5. 6. Cod.Brit. l.5.Germ.2.3. Cod. Brit. 7. Fior. 2. Aid. Junct. I. 2. Steph. Trine. Mosc.

tfpi. vHfxa>Ti placuit Graevio , et Clerico ob novitatem : ceterum non reperi nisi in 5. cod. Vindobonensi , et in Richardiano. nrx'ftan habent reliqui codices, nisi quod in Britan. 5. et Germ. 2. et Mediceo 3. legi- tur irii(*%iu ,

J"

6$Z y ix'

«V £[*a%ar

Ambr.

3.

Med. I.2.3.4.8.9.

5.

Vat. 8. 11. i3. 14.

6.9.

Vind. 6.

4-5.

Brit. 6. Proci.

Mosc. Proci

Tzetz,

696- Tgjmtirmr iiiuv Ambr. I. •> 3. Med. I. 2.3 4. 5. 7. 8.9. Vat. 1.3. 4 6.8. 9. 11. 1 3. 14. Vind. 2 3.4. 5.6. Proci. Moschop. Plutar. p. 753.

69%. »/3m Ambr. Med. 7-

Vat. 3.5.6. 8. 9. 11. i3. 14. Vind. 4. 6.

Proci. Mosc. Pollux pag. 27. Stob. cap. 69. Plut. pag. 573.

tir àfta%a» I. 2. 4 5.6.7. 1.2.3.4 6.8.9.

6. 7.9. 10.12. 1.3.4.5.7.8. IO. II. 12. l3.I4.

2.3.4.5.7. 2.3.6.7. Aid. Junct. I. Cod. Brit. I. 2.3. 5. 2. Trine. Steph. Cod. Gemi. 3. Com. Heins.

TgjJf'xovjBt i-riti

4-

6. Sed T£tl»XOVT' ....

2. 5. 7. io. 12.

7. et Codex Richard, et Brit. 7. Junct. I. 2. Steph. in marg. Tzetzes.

I.2.3.4.

I. 2 3.4.5.6. 8.9.

1.2 4- 7- io 12.

2.3.5.7.

Cod. Germ. 3. Junct. I. 2. Ecymol. Magn.

70 J. yiifoù $nxa>

Proci. Tzetzes, Stob. Plut. pag. 527.

yiifoù iùxcr

Mosch. omnes codd. et editiones antr Graevium ; etiam cod. Brunckii .

Vulgatae lectiones

710. sto; t' «ìxijr Ambros. 3. Med. Vat. 2. 9. Vind. 5.

712. 'Hy»T Ambi-. I. 2.3. 4. Med. I 2. 3. 4. 8.9. Vat. 1.3. 4. 11. 14. Vind. 2 3.6. %. Mosch. Proci.

Lectiones aliar

(»«! rnm-àv I.2.4. '

omnes

1.3.4 5.6. 7.8. II. 12. l3. 14. 2. 3. 4. 6. 2

5.6.

2. 5.6. 7.8. 9. 12. i3.

4-5.

Cod. Brit. 1.3. Junct. I. 2. Trine. Tzetz.

*95

yi6- viixf^»(a Amb. 1.2

Med. I. 2.3. 8. 9. sed 4. uniti? w?oj Vat. I. 2.3. 4 8. 9. II. l3. 14. Vind. 2 3.5.6. Mosthop.

721. xaxo'v «iro/{. Cur hanc lectionem sequuti fucrint , divinare ncscio : eam enim inememlatam vix reperi in 5. Vindobonensi , et in 2. et 9. Vaticano : reliqui habent «""yf vel «irac vel «ir«{ .

vs/xiwfa

3. at 4- raxiu»f«

5.6.2-

6. 2- 12. sed. 5. nxjfwfa

in 4- et 2- fn*xnf»

728. àvióvaf

Ambr. 4.

Med. 6. 2-

Vat. 2. 2- 9. io. 12. 14.

Vind. 2. 4. 5.

Proci.

73o. àiroyvuvai-iìi Ambi. I. 2 3. Med. 1.2.3.4. 5. 2-8. 9. Vat. I. 2.3.4.8. il. i3. 14. Vind. 3. 6. Mosch.

aviovm 1.2 3.

1.2.3.4. 5.8.9.

1. 3.4.8. 11. i3.

3 6.2.

Gallic. 2. Germ. 2. Aid. Moschop.

ctToyufXyo^rìi

5. 2- 9- io. 12. 2. 4 5. 2- Tzetz.

7J0. ietirnv nullo in cod. reperi , sed lam , vel rarissime •"««•# .

àiltvavf

737. àtvattv Ambr. 3.

Med. 1.2.3 4. 6. 8. 9 Vat. 1.3. 5. i3. 14. Vind. 2. 3. 4. 5. 6. 2-

atwactv I. 2. 5.

2.4. 8. 9. io. n. Junct. 1. 2.

4-

in 2- àiaduv

1 2. sed 2 àiiwvv .

742. è»< Joutì est in 4 Vindobonen. in reliquis tou-iì ; item in Pliuarcho Tom. II. pag. 352.

yS6. ■S-so't ni ri nullo in codice reperi : sed *»óf iti saepe ; raro •>•<>'( w/r« .

781. trire'f ««•»{ àf%aT$cu Ambr. I. 2. 3 4. Med. 1. 2.3. 4.5. 2- 8.9. Vat. I.4.5.2 IO. 11. 12. l3. 14

Vind. 3. 5. 6. 2. Mosch.

6.

2. 6 9. sed in 2. et 6. &à<r<ra&tu . in 8 nrieftxiBi ftioraaiou . 4. Sed Sai?<Ttt<T$ax .

296

Vulgatae lectiones

781. àrSfi-^ar^at Ambr. I. 2. 3. 4. Med. omnes Vat. I.4.5. 6. II. 12. Io. Vind. 3. 4. 5. 6. 7. Mosch.

785. xifriai y<j>i<r$ai Ambr. 4. Med.

Vat. 4. 6. 9. scd 12. xspjf»'/ <?«' >■» . . , Vindob.

Lectiones aline

ix.fi^a<r$at

2.1.

x»'f>f n ye»i?$at I. 2. 3. scd prò ri habent fi .

I. 2 3.4. 5.7.8.9. Sed 6. xépjfff,' riytm ...

I. 5. 7.8. IO.I I. l3.I4. sed 2. *»'(>* ywiràtu

3.5.6.7.

Brit. 1. 3. 4. Germ. 2. 3 FI. 1. 2.

Aid. et ceterae editiones cit. ad v. 5.

7p3. Tavao-S-ac prope in omnibus codicibus. yivieSat in Vat. 6. ymi<r$<u in Vat. 2. et in Vind. 4.

7P4. xa'ptio-/ .... in Vindobon. ""'fii <fi •>» •»*?«'{ . Correctto visa Gujet.

tantum4- et in Britannic. ó.quod sed extat in omnibus fere codd. Me-

Graevius alteri lectioni audacter diceis , et in Vaticano 9. reliqui ha-

praeposuit . bent *t<f V fi ■*"?<*;.

801. sV iffian est in 2. et 6. Vaticano , et in 5. Vindobonensi-, reliqui codd. habent tir' topazi .

804. riJvuui'yaf Ambr. 1. 2. Med. 6.

Vat. 2. 9. io. li. ra. l3. 14. Vind. 3. 4. 5.6. 7. at 5. correct. riwvutvov Moschop.

•nw/xivai

o.

1.2 3.4.9.

in I.4.5.8 u'ftivov

ytivoficvcy

4-

5.at Z.ytrifi... 6. at 7 . yivip. . . Bnt. 6.

8l2. <t>ujtvifxa> Ambr. 4. Med. 5. 6. 7.

Vat. 2. 4.5. 6. 7. 9. io. 12. Vind. 3. 4. 7. " Britan. 6.

t'intuii* 1.2.3. I.2.3.4.9. 1. 8. 11. i3. 14. 6.

Brit. 3. 5.Germ.2.3.Flor. i.Ald.Junct. I. 2. Ste- ph. in marg.

820. Mtrtrii»' nraùfoi (ttr tìxdfa. Ita invenit Graevius in suo Britan- nico 6. addidit quod placet , et Hesiodo quem nimium fidens eid&B Codici corruptissimum dederat, extremam manum imposuit. Ex nostris habet 2. et 9. Vatic. qui consentiant -, reliqui disscntiunt : dissentit et Brunckius .

vel /uè»» vaùfoi f àu-rt uti Gali. 3. 2.3. jJLÌ<rtrn% iraùfoi fi /u|T ùvn 5. fii'ti irau(oi fi tt un' Hxàfa . .. 4- 8. /ut'a-x traiìfoi fault...

820. Mirati' nraùfoi favi* Ambr. 1 . 4. Med. I. 2.3.4.6. 7.9. Vat I.5.6.7. io. 11 ti 13.14. Vind. 3. 4. 6. 7. sed in uno

(iivtrnv , in alio f àtm

Tot lectionibus anteposui pirjf travet f àvn , quae praeter supra indicatos codices prò se habet Brirann. I. 3. 4. 5. Gcrman. 1. 2. 3. et edi- tiones Junctae 1.2. Steph. Com. ileinsii .

292 Index Scriptorum , praesertim veterum, qui in Opere

nominantur.

JLA.i;hilles Tatius. De Clitoph. et Leucippes amorib.G.L. ap.Commelin.in 8.1606.

Aelianus. De varia histona G. L. ex edit. Gronovii. T. II. in 4. Lug t. Bat. i^Sl.

Idem de bistorta animalnim G. L. in 16. apud Tomesiuin an. ioli.

Aeschyli Tragoediae G. L. cuin suo Schokaste , et notis Stanleii . Londini 1664.

AesiJiinis Orationes cuin Demoschene G.L. in fol. fcrancoiurti 1604.

Aeschinis Socratici dialogi G. L. cuin adnot. Jo. Clerici . Amstelod. 1711.

Anacreon graece cuin notis Holst. in 8. Lipsiae I 782.

Anton. Liberalis , et Antonini Imp. de vita sua G. L. in 8. Basileae 1 568.

Apollinare Sidonii Opera , in 8. Paris. 1 5pS.

ApoUodon Bibliotheca cum Heyne. G.L. in 8. Gottingae l8o5.

Apollonii Hhodii Argonautica cum schol. et notis G. L. in 8. Oxonii \129-

Apulejus. Opera varia, in 8. Florentiae apud Junctas i5l2.

Aristophanis Comoediae G.L. acculante Kustero, in fol. Amstelod. 1710.

Aristides . Orationes G. L. Cantero interprete. T. III. in 8. an. 1604.

Aristoteles G.L. ex interpr. Casauboni. T. II. in fol. Aureliae Allobrogum i6l5.

Arnobius et Tertulliano cum de la Bar, in fol. l58o.

Artemidorus de Somniorum interpretationibus , in S. Lugduni 1546.

Athenaei Dipnosoph. G.L.cum Casaubono . T. li. in fol.baiuu Commelin. 1608.

Ausonius cum los. Scaligeri notis, in 12. Lugduni l545.

Bionis et Moschi Idyllia G.L. et Gallice, in 8. Venetiis 1746.

Bonarruoti . Osservazioni sopra alcuni medaglioni , in 4. Roma 1698. Lo stesso . Frammenti di vetri antichi in 4. Firenze 17 j6.

Brissonii de foimulis juris, in 4. Francofurti 1502.

Q. Calabri praetermissa ab Homero acculante Pavv. G. L. in 8. Lugduni 1734-

Callimachus cum notis variorum , et cum explicationibus Spanhcroii G. L. Tomi II. in 8. Ultrajecti 1697.

Calmcc . Commentarius in S. Scripturam . T. X. in fol. Venet. 1 792-

Catullus cum Commentar. Jo. Antonii Vulpii , in 4. Patavii 12^1-

Censorinus de die natali, cum Manutii notis, in 8. Venetiis l5Sl.

Ciceronis opera omnia, cum notis variorum, accurante Verburgio. Tomi XI. in 8. Venetiis 1731.

Clavis Homerica cum proverbiis Apostolii . Londini 1727.

Clementis Alexandrini opera cum Porterò G. L. Tom. II. in fol. Venetiis 1755.

Comitis Natalis Mythologia, in 4. Venetiis 1568.

Cornelii Nepotis vitae cum notis omnium Interpretum , in 8. Patavii 1753.

Correctissimus Claudianus , in 8. Venetiis 1642.

Corsini Eduardi Fasti Attici . Tom. IV. in 4. Florentiae 1744.

S. Cyrillus Alexandrinus, et Julianus Aug. in folio G.L. Lipsiae 1696.

Demosthenis et Aeschinis Orationes cum Ulpiani commentano G. L. in folio, Francofurti 1604.

Dio Chrysostomus , in fol. Lutetiae 1604.

Diodorug Siculm G.L. in fol. Hanoviae 1604.

Dionysii Halicarnassaei Opera omnia G.L. Fiancofurti l586.

Eckel Domina Nummorum veterum Tom. VIII. in 8. Vindobonae 129».

Ennii fragmenta cum explicationibus Columnae, in 4. Neap. l5oo.

Epicteti Manuale G. L. in 12. Lucae 1759.

Eunapius. Vitac Philosophorum , G.L. in 8. Antuerpiae 1568.

Euripidis Tragoediae cum veteri Scholiaste , et notis Barnesii G. L. in 4. To- mi III. Lipsiae 1778.

*S>8

Lo stesso con la spiegazioni; del P. Carmeli . T. VII. in 8. dal 1743. al i"»55.

Eugenii Pamphili Demonstratio et Praeparatio Evangelica . Basileac

Eustathii in Homerum Commentar. G. L. T. III. in fol. Florentiae i:3o,

Fabretti Inscriptiones antiquae , in fol. Romae 1702.

Fabiicius Jo. Albertus . Bibliotheca graeca Tom. XIV. in 4. Hamburgi 1718.

Festus cura notis Scaligeri, in 8. 1 585.

Gellii Noctes Atticae cum notis Gronovii et Corradi . T. II. in 8. Lipsiae 1762.

Heliodori Aethiopioa G. L. apud Cornmelinium 1.S96.

Heraclides Poncieus G. L. Ad calcem Heliodori .

Heiodiani HtstoriM G L. cum Boeclero Tomi II. in 8.

Heiodoti Historia G. L. in fol. Excudebat Henr. Stephanus I.S70.

Hesiodi Op.ra G. L. cum S'chcliasiis et notis Hoinsii in 4. Raphelengii l6o3. Eadem cum animadversionibus Jo. Georgti Graevii in 8

Eadem ex recensione pri num Robinsonih deinde Loesmri in 8. Lipsiae 1778. Eadem ex recensione Biunckii in 12. Arg.mtorari .

Hesychii Lexicon cum notis variorum , praesertim Alberti. Tom. II. in folio Lugduni Batav. 1746.

Hieroclis Commentar. G. L. in aurea Pythagorae Carmina , in 12 Lendini l65l.

Historiae Augustac Scriptores cum Comm. Casauboni et Salmasii. Tom. II. in 8. Lugd. Bat. 1672.

Homerus G. L- cum Scholiaste et notis Barnes. T. II. in 4. Cantabrigiae 161 1.

Horatii Flacci Carmina cum notis Desprezii . T. II. in 4. Balani 1 7 "4.

Hyginus Fulgentius et ali l Mythologi, cum commentario Munckerii. Tomi II. in 8. Amstelod. 1681.

Jamblicus de Mysteriis , Proclus de Anima et Daemonc , Porphyrius de Divi- ni» et Daeinonibus, in 12. 1607.

Isocratis Oiaàoiies et Epistolae G. L. cum versione Wolphii , in 8. 1604.

Juliani Augusti et S. Cyiilli Alexandrini in eum opera G. L in folio, Li- psiae 1696.

Justini Historiae cum lucubrationibus variorum , in 8. Argentorati 1621.

Juvenalis et Persii Satyrae cum commentariis veteris Scholiastac, et variorum , in 8. Amstelod. 1684.

Lactantii Opera in folio , cum notis Isaci . Caesenae 1646.

Laertius cum Menagii et variorum notis G. L. in fol, Lendini 1664.

Libanii Opera G. L. Tom. II. in fol. Lutetiae 1C2".

Lipsii Justi Opera. Tom. IV. in fol. Antuerpiae lóS?.

Livius cum notis Dujaci et Clerici . Tom. VI. in 4. Venctiis 17 14.

Longi Pastoralia G. L. cum notis Aioli in 4. Franekerae 1660.

Lucianus G. L. cum variis commentatonbus . Tomi IV. in 4. Amstelod. 1743- Ejus Index , Trajecti ad Rhen. 1747.

Lucilii Satyrarum reliquiae Douza illustratore , in 8. Patavii 1788.

Lycophron cum suo Scholiaste in fol. 1697.

Lysiae Orationes G. L. in 8. Moguntiae 1683.

Macrobius in 1 2. Lugduni 1 585.

Manilii Astronomiccn cum notis . Ex recensione Bcntlcii in 8. Argentorati I ~6j.

Martialis ad u<um Delphini illustratus a Collesio . T. II. in 4. Venetiis 1789. Idem cu 11 Raderò, in fol. Moguntiae 1627.

Maximi Tyrii Disserta tiones G. L. cum Heinsio, in 8. Lugduni Batavorum 1^04.

M"lae de Situ Orbis cum Olivano. Inter Antiquitatum Scriptores , in 12. l"5A».

Minutii Fclicis Octavius cum notis variorum etc. in 8. Lugduni Batav. I 709.

Mythol«gi antiqui. V. Hyginus.

Nemesianus et Calpurnius . Inter rei venaticae scriptores cum notis, in 4. Lugd. Barav. 1727.

Nicandri Scholiastcs.

"99

Nonius Marcellus cum Gothofredi notis, in 8. Paris. i586.

Orationos panrgyricae veterum Oratorum , in 8. Venet. I ? ip.

Ovidii Opera omnia cum notis variorum , ex recensione Burmanni . Tom. IV.

in 4. Amstelod. 1724. Pai inerii Exercitationes in opcimos fere auctores graecos, in 4- Lugd.Bat. 1668. Pausaniae Descriptio Graeciae G. L. in f< li Hanoviae l6i3. Persius cum Casaubono , in 8. Paris. 161 5.

Peta\ ius. De doctrina Temporum . Tom. III. in fisi. Veronae ab an. 1734. ad 36. Petronii Arbitri Satyricum cum notis variorum, in 8. Amstelod. 1669. Phaedri Fabulae cum noti* ad usum Semin. Patav. in 12. Patavii 1733. Philonis Opera in 8. Ba-ileao i5?4-

Philostratus G. L. cum notis Oliverii, in fol LÌMiae I7°9- Photius G. L. cu.n comment. Scotti, in fol. Coloniae 161 1. Pindari Carmina G. L. cum antiquo Scholiaste, et notis Heyne. Tom. V. in 8,

(i ^ttingae 1798. Plafoni^ Opera. Lugduni, infoi. 1570. Aliae praeterea editiones v. gr. de Legibus

Amstelod. Tom. II. G. L. in 8. Plauti Comoediae cum notis multorum, ex recensione Gronovii Tom. II. in

8. Am.strlod. 16K4. Plinti Epistolac, in 12. Lugduni [6p3.

Plrnli Historia natuialis cum Harduino . Tom. III. in fol. Paris. 17 12. Plutarchi Opera G. L. Tom. II. in fol. Lutetiae Paris. 1624. Po tne Ornici G. L. Tom. IV. in fol. Aureliae Allobrogum 1606. P Mucis Onomasticum G. L. T. TI. in 4. cum notis variorum . Amstelod. 1710. P p.tius cum notis, ex recensione Vulpii. T. II. in 4. Patavii 1755. Pytliagorae Aurea Carmina . V. Hieroclem. Quinril:anus cum notis Parei, in 8. Gcnevae 1641.

Roiianaf Historiae Scriptoies Graeci minores G. L. in fol. Francofurti 1690. Salhistius et veterum historicorum fragmenta , in 12. Venetiis 1666. S'criptores Rei Rusticae, Cato , Vario , Columella , Palladius etc. cum Gesnero .

Tom II. in 4. Lipsiae 1733. Senecae Stoicorum Principis Opera omnia cum variorum notis, in fol. Basi-

leae |5?3. Senecae Tragoediae cum del Rio, in 4. sino loco etanno. Servii Comm. in Virgilium , in 4. Genevae l636. Sextus Empiricus G. L. ex recensione Fabricii , in fol. Lipsiae 17 18. Sidonius Apollinaris, in 8. Parisiis 1598.

Sinesii cum Nicephori siholiis et Petavii notis G. L. in fol. Lutetiae Paris. 1640. Solinus cum exercitntione Salmasii . Tom. IL in fol. Paris. 1629. Sophoclis Tragoediai- cum Scholiaste et notis Capperonnier , et Vauvilliers .

Tom. II. in 4. Paris. 1781. Statius cum Placido, Lactantio , et aliis, in 8. Lugd. Batav 1671. Stcphanus de Urbibus cum Pinedo G. L. infoi. Amstelod. 1678. Stephani Henrici Comicorum Graec. scntentiae , in 16. Excud.Henr. Steph. l56p. Stobaei Sententiae G. L. in fol. Aureliae Allobrog. 1609. Suetonius Bcbelonii ad usum Delphini in 4. Venetiis 1787. Suidas Studio Aemilii Porri latinitate et siholiis donatus . G. L. in fol. Colo- niae Allobr. 1619. Symmachi Epistolae, in 8. Francofurti l6[6. Syrus Publius cum notis docti viri, in 8. Patav. 1740. Tacitus cum notis Justi Lipsii et Josiae Mercerii , in 8. Paris. 1606. Tatiani Oratio ad Graecos G. L. cum notis Cave praesertim , in 8. Oxonii 1700. Terentius cum Minellio, in 8. Neapoli 1766. Themistii Orationes G. L. in 8. Parisiis l6i3.

3©o

Theocritus ejusque Scholiastes graecc , cum notis Warthon . Tom. II. in ±.

Oxonii ilio. Theophrasti characteres G. L. cum commentario Casauboni, in 8 Lugduni i5oo. Thucydides . De bello Peloponnesiaco, in fol. Excud. Henricus Stephanus iò8tf. Tibullus cum notis Vulpii in 4. Patavii 1749.

Idem cum commentario Heyne, in 8. Lipsiae 1 2p3. Valerius Flaccus Latine et Italico cum notis. Opera P. Butii . Mediol. 1736. Valerius Maximus per Aldum seniorem 1Ó04.

Vellejus Paterculus, inter Epitom. Histonae Kom. T. I. in 8. Florentiae i?23. Virgilii Opera cum notis Ludovici della Cerda . Tom. III. in fol. Lugd. 1619.

Idem cum notis Christiani Heyne . Tom. IV. in 4. Lipsiae 1788. Winkelmann Gio. Storia delk arti del disegno presso gli antichi con note del J>ig. Avv. Fea. Tom. Ill.nn 4. Roma 1773. e 74.

Desuription des pierres gravées , in 4. a Florence 1760. Xenophon cum Leunclavio , G. L. Tom. II. in fol. Francof. i5pó. Xiphilinus G. L. in fol. Inter Romanae histoiiae Scriptores minoresFiancof. i5oo. Zosimi Historia nova cum notis variorum G. L. in I. Cizae 1679.

Indice delle cose più st' Opera .

x\.'iricoltore, dee esser sollecito p.23o.

Agricoltura poco avanzata a' tempi di Esiodo 2oO. Precetti che di essa si danno 207. e segg. Gli strumenti, che la riguardano debbon esser bene ac- conci 230. Si consiglia averne il dop- pio del bisogno 214.

Aja , debb' essere esposta a' venti , e bene spianata 234.

Alberi, quando debban tagliarsi 211.

Amico , dee amarsi 2Ci. 248. Non gli si dee mentire . Ivi . Falsi amici 249.

Anassagora fa gli uomini coevi agli Dei 167.

Anfidamante Red' Eubea 241. Più An- fidamanti conosce 1' Antichità.. Ivi.

Animali, come si mansuefacciano 267.

Apollo , quando nato 262. 266. A' tempi d' Omero, e A' Esiodo rappresentato con spada 263.

Arare . Quante volte , e in quali tempi debba ararsi 216. 237. Chi ara nel solstizio d' inverno scarsamente rac- coglie 218. Si ari nudi 209. Il tardo aratore dee desiderar pioggia 219.

Aratro con ruote ignoto a' tempi d' E- siodo 212. Sue parti, h'i e segg, Deg- giono aversene due . Ivi .

'Apst» spiegata per potenza 194.

Argento. Età d'argento e suoi caratte- ri 171.

Aristarco , solito mutare negli Antichi ciò che gli parea men bello 193.

Arturo . Suo nascimento vespertino 227.

Ascia . Se potesse dirsi citta 239- D'in- felice situazione, ma però fertile. Ivi e 240.

Asfodelo. Pare, ch'Esiodo simboleggi in esso e nella malva il vitto fru- gale l58.

Astica conversava colla gente del se- col d' oro 169.

Astronomia, vagiva a' tempi d'Esio- do 260.

301

notabili contenute in que-

gli alberi 173.

Beati. Isole de' beati quali siano 176. 176.

Bovi. Si consiglia averne due di 9. an- ni 214- Si dee far loro buon gover- no 2l3.

Buoni. Non decsi dir mal*de'buoni25o.

Ba

e

'agno. Non dee 1* uomo lavarsi nel bagno delle donne 256. Bambini, perchè si credessero nati da-

alzari . Non voglion farsi della pelle di bue morto per malattia 224.

Cane dee tenersi per difendersi da' la- dri 235.

Canizie , incomincia dalle tempie 178.

Capo , portavasi scoperto fuorché nei viaggi 225.

Carro rustico. Suo uso, e sue dimen- sioni 211. 212. Sono moltissime le sue parti 216.

Casa, dee. farsi di state, e vicina ai greggi 221. Non dee lasciarsi imper- fetta 255.

Xatfiiv differisce da Ttfvte$cu 202.

Chiocciola 229.

Cibo. Antichissimamente il più debole serviva di cibo al più forte 188.

Cicala 23l.

Ciclopi, giustissimi secondo Omero. 182.

Consiglio malvagio dannoso al consul- tore 186. Se ne adducono esempj. Ivi.

Convito . Dee accettarsene 1' invito 25o. Per certe feste si celebravano conviti da' Greci 25 1. Conviti a scot- to vietati da Salomone pel gran di- spendio . Ivi .

Cornacchia , simbolo di concordia ma- ritale 268. Ko»oufO( . Sua etimologia 192.

Credulità , e diffidenza hanno ugual- mente pregiudicato 204.

desino accusato di aver per incante- simo tratte le biade dai poderi altrui nel suo , con bel modo si difende in giudizio 210. Cristo, desiderato da ogni Nazione 176.

ni-

Cuculo, canta nel principio della pri- mavera 219.

57

3<>'2 Cunia ne' bussi tempi chiamavasi Fri- cotide 239.

"anaro , fin da' tempi eroici usato in Grecia 243.

Debitori . Trattamento che lor faceva- si in Ascra 21 o.

Decenza, che dee conservarsi nelle fun- zioni del corpo 2.5 1.

AfnrvoAo'^nf . Etimologia di questa vo- ce 247.

Diana , quando venisse a luce 266.

Diluvio , al fine della terza età 123.

Divinità . Gli antichi ebber di essa idea imperfetta 187. Doveri dell' uomo verso di lei 196. e segg. Si venerava nel levarsi dal letto e nel coricarvisi 198. A lei deesi offerir 1' opera , per- chè ben riesca 217. Timore della Di- vinità presente fa astener dal ma- le 247.

Doglio, quando debba manomettersi 270. 271.

Doni , come, e cui debban farsi 20T.

Donna .Essa è il male, che mandò Giove al mondo in pena del fuoco rapito da Prometeo 160. Se ne descrive il ca- rattere 162. l63. Consiglia Esiodo il fratello a procacciarsi una donna per la cura della casa e del bestiame 210.

E,

iconomia . Precetti , che la riguarda- no 2o3.

Einsio crede che le Opere e Giornate d'Esiodo appartengano alla facoltà economica ; riconosce in Pandora la Fortuna ; e pensa eh' Esiodo scrives- se Una piena e copiosa georgica oggi smarrita. Si dissente da lui 41. e segg.

Enodia , nome di Diana 252.

Epimeteo, stimato sciocco 164. Rice- ve Pandora e ne ha male . Ivi

Eni. Secolo degli Eroi I"3.

Esiodo , figlio di Dio 192. e secondo al- tri di Foronide 238 Originario di Cu- ma I. Dissenso di Eforo e di Proclo sulla causa, per cui il padre d' Esiodo si trasportasse da Cuma in Ascra 238. Se fosse parente d'Omero 1.2. Se an- teriore a lui 2. e segg. Gli antichi nel menzionargli rammentano Esiodo per primo 4. Gli dan 1' anteriorità i Mar-

mi Arundelliani 4. 5. Se nascesse in Ascra , o in Cuma 7. Finse che il suo sapere venisse dalle Muse 8. e ttgg . Ha lite con Perse suo fratello , e la perde per la corruttela de' giudici IO. 36. Compone il libro delle Opere per dar consigli al fratello. Ivi . Non seppe suonar la cetra, perciò escluso da'Giuochi Pizj. Ivi . Cantava tenen- do in mano un ramo d'alloro . Ivi . Se gareggiasse con Omero, e ove 11. e segg. Chi di loro prevalesse 12. l3. 240. Esiodo consulta l'oracolo di Del- fo 14. Accusato di aver violata Cte- mene . Ivi . Perciò ucciso I 5. I suoi uccisori periscono miseramente . Ivi. Esiodo pianto dai Locresi , e sepolto nel territorio di Na'upatto 16. Le ossa di lui si trasportano in Orcomeno per comando dell' oracolo di Delfo 17. O- nori prestati alla memoria di Esiodo 18. 19. Se gli sia dovuto il nome di poeta 19. e segg. Suoi versi alterati 21. Catalogo delle sue opere, Cementatori antichi di esse , ed edizioni più rino- mate 22. e spgg. Manìa di emendare Esiodo 33. 34. Corretto in questa edi- zione ne' passi più dubbj , ed emen- data la versione latina 34. Qualità ot- time d' Esiodo ; cattive di Perse 35. 36. Divisione delle Opere e Giornate e stile di esse 37. 38. Sentenze d' Esi- odo rispondenti ai libri santi 37- 184. Le Opere e le Giornate avean parte nell'educazione de' fanciulli Atenie- si e Romani 38. Esiodo fu in esse c- sempio a Virgilio nella Georgica 3<f. Esame d' amendue 39. 40. D'altri e non d'Esiodo è il proemio delle Ope- re 1 53. Non era in lite con Perse, quando le scrisse 18". 209. Difeso 187. 1 99. 20 1. 262. 224. 239'. R iprensor di- screto del fratello 189. Versi di Ome- ro inseriti in Esiodo, o viceversa 193. Peritissimo in astronomia pe' suoi tempi 227. Non navigò che dall'Au- lide nell' Eubea 240.

'Ecr-S-Xo'c , in significato di ricco e po- tente 181.

*EitfO{ lo stesso che aXXof 166.

Euripide, difeso l85.

Jl ama . Sua descrizione 257. 258. Fame . Suoi effetti 220.

Fanciulli . Precetto di Esiodo , che si permetta loro il moto 256.

Favola . Esiodo è il più antico autor profano , che abbia fatt' uso di es- sa 180.

Fenici, espertissimi nel navigare 243.

Ferro . Secolo di ferro è il quinto ram- mentato da Esiodo 1 76. Sue qualità 177. e segg. Ciascun degli antichi ri- porta ad esso la sua età . Ivi .

Feste rustiche 235. 236.

Figli. Somiglianza dei figli col padre cre- duto indizio d'onestà materna 183. Come un sol figlio conservi la casa 206. Non assicura però la successio- ne . Ivi .

Fieno dee ragunarsi ne' fenili per prov- vista del bestiame quando non può pascere 235.

Fiumi . Religioni degli antichi verso di essi 253. 257.

Focolare , sacro presso gli antichi 253.

Formica, lavora d'estate 264.

Foro, ridotto d'oziosi l57-

Fortezza , raccomandata da Esiodo a Perse 191.

Fortuna . V. Einsio. Mediocrità di for- tuna migliore dell'avarizia i58.

Frumento , pestavasi ne' mortaj 21 1 . Si custodiva in cupe 234-

Fuco , qual insetto sia 304.

Furie , quando generate 269.

Furto . Il rapitore è tormentato dalla coscienza 202. Quello ancora , che rubando poco alla volta si accorge, facendo ciò spesso , d' esser divenuto ladro considerabile. Ivi.

G,

rara . Sono due; una buona, l'al- tra cattiva i55. 1 56.

Genj . Lo stesso che Angeli e Demo- nj 170. Buoni e cattivi . Ivi . Ciascu- na Deità maggiore avea molti Genj come servi e ministri 185.

Gineceo . Ne' Ginecei non penetra fred- do 222.

Giorni. Il libro de' giorni distinto dal resto in alcuni codici, ed editi : deesi a' moderni Greci 259. Osservazioni de' giorni da chi provenute . Ivi . In uso presso gli antichi . Ivi . Il trente- simo ottimo per visitare i lavori . Ivi . Primo giorno del mese sacro pres-

3°3

so tutti i popoli per antichissima isti- tuzione 261. Varie operazioni pre- scritte in varj giorni ; e su ciò dissen- so degli antichi 263. e segg. Fausti ed infausti nel calendario degli Atenie- si 272.

Giove , presiede ai giudizj 154. Nasco- se agli uomini il vitto 1 53. Seder vi- cino a lui è onore che a pochi si con- cede dei principali Dei J 86. Giove Stigio perchè invocato nel comincia- mento delle opere rustiche 217. Gio- ve Omagirio 241. Dispotico dell'aria e de' venti 243. Tutto ripeteasi da lui 260.

Giusti . Premj di essi, e castighi dei malvagj 182.

Giustizia . La Divina giustizia non si conosce che nel fine 181. Descrizio- ne fattane da Crisippo 1 85. Siede vi- cino a Giove 186.

Greci . Aspettano in Aulide il vento propizio per andar contro Troja, e 1* ottengono col sacrifizio d' Ifige- nia 241.

Grecia , dall' Asia , non dagli Etruschi ebbe la cultura . 8. Attinse cogni- zioni dagli Ebrei 37.

Gru , annunziano i tempi delle fac- cende rustiche 2l5.

ingiustizia, si commette colle mani e colla lingua 195. Esempj d' ingiusti- zie più solite commettersi, hi .

Inverno . Bella descrizione di esso in Esiodo 222.

Invidia 179.

JLiampide. Sua saggia risposta 206.

Lastri , Sig. Proposto Marco , lodato 235. 237-

Legna , quando debbano tagliarsi 269.

Lcneone . Se questo mese presso i Beoti corrispondesse al Gennajo . ovvero al Febbrajo 221. 222.

Lesche , che fossero 220.

Letti con gradini presso gli antichi 196.

Libazioni, deon farsi con mani pure e lavate 25 1. Accompagnate da preci . Ivi .

Licii. Loro legge intorno ai falsi te- stimoni 188.

3°4

Lingua parca è un tesoro 250. Lucio ingiusto uguale a danno 200. Luna , non influisce nelle opere mora- li 271. Nelle fisiche è questione. Ivi.

allora le loro apparizioni 252. Numeri . Superstiziose opinioni degli Antichi su di essi 262 263. 267.

M,

-acrobii d'Etibpia celebri per la giu- stizia 1S2. ,•

Malizia imparasi facilmente 189.

Malva . V. Asfodelo .

Malvagi non deon praticarsi 25o.

Matrimonio. Dee l'uomo menar mo- glie quand' è nel fior dell' età 245. La donna dee maritarsi di l5. anni. Ivi , e 246. Dee scegliersi nel vicina- to . Ivi . L' uomo e la donna non deb- bon essere in età. .molto diversa. Ivi. Moglie buona è gran bene 247.

Màjfa è pane 2o2.

M»Xa. Doppio significato di questa vo- ce , ed equivoco nato da essa nella spoJr/.ioi e d'Ercole 168.

Mendicità . Mezzi per iscansarla 209.

Mesi. Come gli dividessero i Greci 261.

Mj'Tfoc . Si dichiarano due sensi di que- sta voce 244.

Mietitura . Si faccia al comparir delle Plejadi 2oO.

Miriade , simbolo di gran numero 184.

Misura. Deesi restituire conia misu- ra medesima, e anche più colma di quella con cui è stato a noi misu- rato 200.

Mortajo e pestello . Loro dimensioni ed uso 211.

Muse , nacquero in Pieria , ma soggior- nano più volentieri in Elicona I 53.

N.

avigazione 23?. D' inverno pochis- simo in uso presso gli antichi 238. Tempo che se le assegna . Ivi e 243. Ancor fanciulla a tempi d' Esiodo 242. Prima i Corsali , poi gli avari navigaron d' inverno 243.

Nemesi , la stessa che la Giustizia 179. 180. Rappresentata mostrando il cubito 244.

Nso»1''» , Festa in Atene 243.

No>»{ . Dal non trovarsi questa parola in Omero non può arguirsi eh' ei sia anteriore ad Esiodo 188.

Notte, opportuna per alcuni lavori ru- stici 220. E" degli Dei perchè seguo-

0<

'ccare 217.

Occhio. Qual simbolo fosse presso gli Egizj 187.

Oceano , Nume , e partecipe della Dei- tà del Cielo e della Terra 22".

Oìvexó», era un bicchier comune , che tuffavasi nel cratere per empir gli altri 254.

Olle con piedi 255.

O.nero . V. Esiodo e No'/uo; .

Orco, Dio dei giuramenti 1S1. 269. Quando generati. Ivi.

Ordine . Nulla è più bello del buon or- dine 218.

Ore , ignote negli antichissimi tem- pi 270.

Orientali . Uso loro di ammaestrare i fanciulli con sensati e dilettevoli componimenti da recarsi a memoria. Simile a loro Esiodo in questa Ope- retta , ed altri Greci dopo di lui. 36. 37-

Orione . Suo nascimento 233.

'O? uiì , voce di significato controver- so 1 p3.

Oro. B<ni del secol d'oro ló^.e segg.

Ospite . Fra 1' ospite e il supplicante è somiglianza 195. 196. Non si dee es- sere né ospiti di molti , inospita- li . 249.

Ottativo , invece dell' indicativo 196.

Ozio, origine di molta malizia 220. Ozio i odiati dalla Divinità, e dagli u imini 192.

-L andora. Sua descrizione e doni fat- tile dagli Dei 160. e segg. V. Einsio.

Pani . Di qual figura , e di quante specie fossero presso gli antichi 214. 2 1 5

Parentela. A lei dee ceder 1' amicizia 248. Talora è il contrario. Ivi.

Particelle . Falso canone formato dai Grammatici per alcune di esse 240.

Perse , scrittore di versi 35. Sciopeiato l56. Esiodo cerca distorlo dal litiga- re l57. Stava in città, non in campa- gna 226. V. Esiodo .

<J>»X>f'.7»{ .Spiegazione di questa voce 205.

Pitagora . Suasuperstiziosadottrina.su i numeri 2Ó2.

Tliioiyfet , festa di Bacco in Atene 271.

Plejadi 207.208. 23?-

Plutarco , corresse 1' Opere e i Giorni

d' Esiodo ; e noi gli abbiali! quasi

coiti' ei gli ridusse 33. Polipo . Più cose intorno ad esso 223. Povertà, maestra del male 221. Sommo

dei mali 239. Preconj , fatti in versi dozzinali 241. Primogenitura avuta in pregio in tutti

gli animali 225. 232. Tlfófiaia , significa generalmente ht^cì-

vaia 226.

Prometeo. Sua favola dedotta dalla Scrittura 1 59.

Punizione . Molti talora puniti pel de- litto d'un solo 1 83. 184. Popolo puni- to pe' peccati del Re 186. Costante esperienza di tutta l'antichità profa- na , che niun delitto resti impunito , almen ne' posteri 189.

Tluyos o'Xos . Significato ed etimologia di questa voce 204. 2o5.

muli a . Che sia 21 5.

Q

XVagni . Loro caccia , e tempo dei lor lavori 264.

Rame. Secolo di rame 172. 1 23. Uso del rame nelle armi , e negli stru- menti tutti prima del ferro Ij3.

Re . Termine equivoco in Grecia 1 52-

Re , Sig. Cav. Filippo , lodato 229.

Ricchezze . Più sono più dan pensiero; ma più facilmente si accrescono 206. Sono 1' anima de' mortali 243.

Riti del Gentilesimo strani e supersti- ziosi 257.

Rondine . Opinioni degli antichi e dei moderni su questo volatile 228.

s

apienti antichi non illuminati dalla S. Religione hanno urtato in qualche scoglio 249.

Saturno, dimora negli Elisi 175.

Scolimo, quando fiorisca 23 1.

Scrittura Santa. Da lei debbono toglier- si le interpretazioni delle favole, che riguardano i primi secoli del mondo 53. e segg. I secoli d'oro, d'argento , e di rame hanno il fondo nella Santa

3°s

Scrittura 167. e segg.

Semidei , che siano l 74.

Servi . Esiodo vuol che Perse abbia il servo senza moglie , e la serva sen- za figli 234. Misura di vitto, che lo- ro si dava 269 260.

Socrate , difeso 19.3.

Solstizio brumale quando cadesse ai tempi d'Esiodo 227

Speranza , rimane nel doglio di Pandora l65. Cattiva speranza che produca 221.

Stelle , prenunziano le fatiche dell'A- gricoltura 209.

Stoici , forse preser da Esiodo il loro rectum e tortum iòi\. Pieni di cavil- li 191.

Superstizione 255.

A «>o{ vale sepolcro e cena ferale 253.

Targioni , Sig. Dott. Ottaviano , loda- to 237.

Tebe . Sua fondazione , sue porte , e guerra dei sette Prodi 174.

Tf'Aoj , voce di scuola , che significa il fine della beatitudine, a cui deono condurre tutte le opere 191.

Tempo 244.

Tenebre più antiche della luce 227.

Tereo . Sua favola 227. 228.

Ternario , invece del superlativo 184.

Terra, maledetta da Dio in perpetuo 16.

Terreni. Di due soli generi di essi fa menzióne Esiodo 208.

Tessitura . Come tessessero gli anti- chi 265.

0«o{. Spiegazione di questa voce 252.

&t!iiv , incenso di libare 198.

Tracia, ferace in cavalli 222.

Tripodi . Di due sorte n' ebber gli an- tichi 241 Alcuni avean anse , altri no 242.

V

T a

asi . Non mangiavano gli antichi se non in vasi prima consacrati 255.

Vele, ale della nave 237-

Vendemmia . Tempo per eseguirla 2.36.

Venere, perchè si dicesse aurea 161. Volea Pitagora, che le si sacrificasse alcuna cosa nel sesto giorno del me- se 266.

58

3o6

Venti . Esiodo non nomina Euro 225. I venti , che spiran dai fiumi , sono freddi ed umidi 226.

Vergogna insieme con Nemesi abban- dona la terra 1 80. Vergogna è il non operare 193. Effetti della nocevole vergogna 194.

Veste . Come Perse dovesse intesser la sua 223. 224.

Vicini. Debbon chiamarsi ai conviti, perchè più pronti si prestino all' uo- P0199. Buon vicino è gran vantag- gio ; com' è svantaggio il cattivo 200.

Villico . Ufizio men noto agli antichi 235.

Vino . Modo di conservarlo presso gli antichi 203. Biblino 23l. 232. Varj colori di esso 233. In che proporzio- ne si mescolasse coli' acqua . Ivi . Gli antichi il rendevan gagliardo coli' ar- te . Ivi. Diligenze che prestavano alle uve per fare il buon vino . 236.

Virgilio imitò Esiodo nella Georgica 39.

Virtù. Difficoltà, di e3sa 189. 190.

Viti. Quando si debban potare 228. Quando zappare 229.

IL

ccelli . Uso presso i Romani di os- servargli ne' matrimoni 268.

Ugne . Vietavasi tagliarsele ai sacri- fizj 254.

Ulisse rappresentato col berretto per- chè viaggiatore 225.

Uomo . Consenso degli antichi in dar- gli origine Divina 167. Le anime dei primi uomini si convertirono in De- moni o Genj . 170. Anche quelle de- gli uomini del secol d'argento 172. Doveri scambievoli degli uomini 198. e sega. Uomo tripode è uomo col bastone 223.

Usignuolo , usitato simbolo dei Poeti 180.

-Jaleùco . Sua legge intorno al ber vino 233.

CORREZIONI, E AGGIUNTE.

Pag. ip. lin. 25. Epicuro 25. I.7. Guieto 67. 1. n.Dc'Dii 70- 1-24- gc- nus articulate 71. 1. 14. viveano 71. lin. 21. Cui Giove in guardia

de' mortali io5. 1. 20. faràti i3p. 1. 2<5. Non attender a prole; 141. 1. II. Tazza non porre ivi 1. 17. Torre a mangiar 155.1. 1 5. doppio <r. 162. 1.23.Corbaccio 157. 1. 4. Pitagora 177. 1. 30. Maupertuis

ip8. 1. 3<5. trasgredito {agg. ) mangiando con un nimico 208. 1. 32. Girolamo

Lagomarsini 22p. 1. 1. nota non pure ; siccome altra volta suppliscasi riè. 245.I. 3p- si mariti ( agg. ) Può anche la pubertà cominciare al 12. anno , e compiersi al lo". 25p. 1. 17. Cammillo 2<53. 1. 3o. primo quadrato ( agg. ) degl'impari Ivi 1.32. un altro scrittore .

Si troverà qui qualche rarissimo vocabolo non ammesso dalla Crusca. Esso però è sempre ammesso in Toscana, e in Italia dall'uso , arbitro delle lingue ; ed è autorizzato da uno di quegli Scrittori, che a supplemento degli antichi da tutta Italia scelse la Crusca nel 1786". ; di che v. il Sig. d'Alberti nel suo Dizionario universale pag. XL1V.

A 25. Ottobre 1808.

Noi sottoscritti Censori Deputati Accademici della Crusca avendo esaminata l'opera del Sig. Abate Luigi Lanzi intitolata i Lavori, e le Giornate d' Esiodo versione in terza rima dal Greco , arricchita di note , non abbiamo in essa riscontrato errori di lingua .

Francesco Fontani . Giuseppe M. P agnini Carmel..

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PA Hesiodus

4-009 Hesiodou tou Askraiou Erga

07 kai hemerai

1808

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