" Ù ‘ ’ fl 5 ' ' Dr nitida 4 poni ; Ù FAVA Fuga Ù Ù fra ir fiat Ù A : PRFPSCIPITIT) ar LET ITRO j Ù rr x ' 1 Int 4 Pub Aire n Aerb iero PERITAIATI TIR MA dd pia asa, ERE Vaart LOI î SILA ARR ULLI dot: Ne fO te a RAT % VCL, ue di [RERRAA OR a'is' AAA xa Ma s9 4a: 3 CREO FAT IRR VI STATA) LIE AAT CA Ped VT AIA e e | PRLOALIIZEGA SMI RO RAIALI IO RULE DA BL MERA SL COSCIA GALLO UG DALLA RIETI DUINO d00 RA ORLO, bl II si AIA VM fas PLOT FTT di O O IATA RTRT WMRIAIE ENI MATTI BIT NA DECIMO RA GARCIA OCZ LPoÙiPIIORRI ARIA I Aa Vroaiata sa Vo un vr'fege Meade: EISCIAFA E RT PENORNLIO Ta POECISIZIASEE à E RMINSA HE ta NEL SORIITE NATE] ATALA SA CRETA NITOIA IN RONDE RICATTO III (EVA TCRTI ATTRITI BI PTITATIO GIA e STFORTENÌ ' JA) bal; f. s“ ni Li RICA a vi d= Lr i TESO - % qui à . n DIS ‘ CRM CA tired ai l 3 = D9 A ; FATA H Last lag = gevaierti pid PRI 253 ; ; srt nine ansi ca, PERO OTTT CERI) Ù 4 opp ‘ EE. 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Ixtaagoz OttotT4Y 0100 , EMIR i I I DUE TRATTATI DELL’AGRICOLTURA DELLA COLTIVAZIONE DELLE VITI DI GIOVANVETTORIO SODERINI CON IL COMPENDIUM DE AGRORUM CORPORUMQUE DIMEN PIETRO MARIA CALANDRI A CURA DI ALBERTO BACCHI DELLA LEGA a 1°) BOLOGNA 3778 ROMAGNOLI DALL'ACQUA 1902 PROPRIETÀ LETTERARIA S DIP TS 6 1902 Bologna 1902 — Società Tip. Mareggiani _ PBRERAZIONE — ee Questo bel testo di lingua, che io presento in luce per la prima volta nella sua integrità, appartiene alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. È diviso in più volumi, ma per ora non mi occupo che del volume primo, la cui contenenza risponde alla presente ristampa. Pro- viene dalla Biblioteca Strozzi (n.° 1176); di vecchia collocazione era Magl. CI. XIV n° 42; di nuova è Z/. IV. 74. È rilegato modernamente in cuoio e tavole, e misura centim. 530 x 22; è in cattivo stato, specialmente in principio € in fine, per la corrosione dell’ inchiostro sulla carta stopposa, più adatta a cartocci che a scrittura, in molti luoghi non più carta, ma crivello; e per varie lacerature. Dopo dodici carte di preliminari, che contengono notizie del codice e dell’ autore, descrizione, indice e una lettera di Don Ubaldo Montelatici, il testo VI è così diviso: da car. 1 a car. 178 num. sul retto I’ Agricoltura, con interpolato da car. 54 a car. 76 il Compendium de agrorum corporumque dimensione del Calandri; e da car. 179 alla 321 ult. la Coltivazione delle Viti. Comincio dall’ Agricoltura. Fu stampata la prima volta in Firenze dal Sarchiani accademico e segretario della Crusca nel 1811 ed è la seguente : — Trattato di Agricoltura di Giovan- vettorio Soderini ora per la prima volta pubblicato. In Firenze 1811. Nella Stam- peria del Giglio di Giuseppe Vigiani. In 4° — Carte cinque di preliminari con numerazione romana: la prima bianca, la seconda coll’ enun- ciato frontespizio in caratteri rossi e neri, la terza, quarta e quinta colla prefazione del- l’accad. Giuseppe Sarchiani. Viene appresso il testo in pagg. num. 191, compreso l'indice; la 192 è bianca ed è l ultima del libro. Fu citata fra i testi di lingua dagli Accademici della Crusca. Delle materiali ristampe che seguirono questa prima ediz. non è da tener conto. È impossibile trovare una più allegra e pazza raccolta di spropositi ed arbitrii di questa edizione del Sarchiani. Voglio che la scrittura del Soderini sia difficile; ammetto che pur nel 1511 abbondassero le crivellature del testo; ma anche dove non è difficoltà, dove non sì VII verificano crivellature, cadono gli spropositi ed i più grossi. È così che gli alberi per il gelo portan pericolo di fruttare, che le vespe si congregano sotto tina, che le talpe covan sot- terra, che i marinari si mutano in manzi, che il Tavoliere di Puglia diviene il vento Atabulo, che l’acqua è sana a’ bizziosi, che Iviza si muta nella Scozia, che si consiglia di non far le finestre più grandi delle stanze, che i camerieri -diventano i camerazzi, ed altri infiniti, i quali si possono leggere nella lunga Errata-Corrige che segue a questa notizia. E ciò non basta; dove l’editore non capi o non seppe leggere, saltò; per cui parecchi brani, ed alcuni di rispet- tabil lunghezza, furono tralasciati; 0 capriccio- samente spizzicatone quà e là il contenuto. Né vi fu mai chi avanti di me notasse simili scon- ciature, alle quali docilmente si accomodarono tanto i primi critici, quanto i susseguenti editori. Il trattato del Calandri compare in luce la prima volta. La Coltivazione delle Viti è V opera più co- nosciuta del Soderini. Vi sono di essa quattro importanti edizioni, tre del Giunti, una del Manni, senza tener conto di altre materiali mo- derne ristampe. Ecco le quattro prime : 1. Trattato della Coltivazione delle Viti e del frutto che se ne può cavare del S. Gioanvettorio Soderini Gentil huomo VII Fiorentino. E la Coltivazione Toscana delle viti e d’ alcuni arbori del S. Bernardo Da- vanzati Bostichi gentil’ huomo fiorentino. Aggiuntavi la Difesa del Popone del- W Eccellentiss. Dottore Sig. Lionardo Gia- chini. In Firenze per Filippo Giunti. 1600. In 4° — La Coltivazione delle Viti: carte quattro di preliminari, poi pagg. 186; la Coltivazione Toscana: carte due di preliminari e pagg. 48; la Difesa del Popone: carte quattro di »prelimi- narl e pagg. 20. Edizione citata dalla Crusca. è. Trattato della Coltivazione delle Viti e del frutto che se ne può cavare del S. Gioan- vettorio Soderini gentil’ huomo fiorentino, E la Coltivazione Toscana delle viti e d al- cuni arbori del S. Bernardo Davanzati Bostichi gentil’ huomo fiorentino. In Fi- renze, per i Giunti, 1610. In 4° — La Colti- vazione delle Viti: carte quattro di preliminari, poi pagg. 156; la Coltivazione Toscana: carte due di preliminari e pagg. 48. 5. Coltivazione Toscana delle viti e d’alcuni alberi del S. Giovanvettorio Sode- rini e del Signor Bernardo Davanzati Bostichi Gentil huomini fiorentini. Aggiun- tovi di nuovo in quest’ ultima impressione la Coltivazione degli Ulivi del Clarissimo Signor Piero Vettori senator fiorentino. In Firenze appresso i Giunti 1622. Con licenza de’ superiori. In 4° — La Coltivazione delle IX Viti: carte due di preliminari, pagg. 112; la Coltivazione Toscana: carte due prelim., pagg. 36; la Coltivazione degli Ulivi: carte due prelim., pagg. 48, le due ultime bianche. Edizione citata dalla Crusca. 4. Trattato della Coltivazione delle Viti e del frutto che se ne può cavare di Giovan- vettorio Soderini gentiluomo fiorentino. Im Firenze. Appresso Domenico Maria Manni. MDOCXXXIV. In 4° — Pagg. xx dei preli- minari e 186 del testo. Edizione citata dalla Crusca. Trascrivendo l autografo, 10 tenni sempre a confronto le quattro edizioni su descritte, notai le principali varianti, e segnai le ommis- sioni. Tutte sono materiali ristampe della prima del 1600, della quale copiano perfino le sviste tipografiche, anche la ediz. del 1734, che dicono esser la meglio corretta. Errori per verità ve ne son pochi in tutte; ma le ommissioni e 1 cambiamenti fatti nel testo sono moltissimi, specialmente verso la fine. Di più, nessuno degli editori tenne conto di otto ultime carte di precetti vinicoli, le quali presentano molte di quelle ripetizioni si care al nostro Autore, e forse per questo riguardo tralasciate; io le stampo al loro posto, per quanto siano aumen- tate d’ allora ad oggi le difficoltà della trascri- zione e della piena intelligenza del testo. liassumendo: l’opera mia intorno al testo Soderiniano fu di poca entità, ma coscienziosa e fedele; non mi sentii mai stanco, non mai scoraggiato di fronte alle innumerevoli diffi- coltà di esso; e pochi per verità, in confronto al danni, sono stati i luoghi punteggiati che dovetti lasciare per insanabili, in questo primo volume. Non dico che il lavoro mi sia riuscito dilettevole in tutto, né credo che avrà maggior successo o diffusione degli altri volumi della Collezione. Dico soltanto, che, siccome le opere dlel Soderini furono impresse in vari tempi e sono citate fra 1 testi di lingua, cosi sarà meglio che si leggano raccolte in una edizione, quanto più sì è potuto fedele e corretta, la quale annulli le stampe spropositate o arbitrarie, che hanno servito finora alle consultazioni dei filologi ed agli esempi dei Vocabolari. a ERRATA-CORRIGE DEL TRATTATO DI AGRICOLTURA EDIZIONE FIORENTINA pag. 5. codiandéo » » x“ 6. si risentono gonfia- menti o mali 9. Ai topi ed altre bestie aggiransi le fibre ivi. se diritti |i corni della luna| e in testa 10. preverranne tempesta 11. i suoi razzi non azzurri ivi. nel di qualcun’ altra tempesta 18. verrà rabbuffando il tempo ivi. gli sfiaccolanti 15. e con soffiare fiato [il mare] più rendesi lento 18. moscherini e farfallini d’ aceto ivi. Il sole che pare vibri saette ivi. nugola purpurea © attaccata 20. venti appellati orien- tali 22. da tutti quattro gli angoli del mondo di tempeste ivi. aspettate giorni e tram- busti di venti EDIZIONE NOSTRA coriandro si risentono gonfiando i mari Ai topi et altre bestie astringe [la luna) le fibre se diritti e infesti prometterà tempesta i suoi razzi rintuzzati nel di seguente un’ aspra tem- pesta invernerà rabbuffando il tempo gli sfiaccolamenti e con soffiare forte più del solito rendesi lento moscherini e farfallini d’aere Il sole che pare varii o saetti nugola purpurea o affocata venti Apelioti orientali da tutti quattro gli angoli del mondo dirompendo aspettate gironi e trambusti di venti XII EDIZIONE FIORENTINA pag. 25. s'appigliano [i gam- beri] e con le bran- che e con i piedi rombazzi come mu- ‘glianti di bovi e rin- tronanti nelle valli » 27.è certo il gelo e portan pericolo gli alberi di » 26. fruttare iri. congregarsi le vespe insieme, massime sotto tina » 25. le talpe che covan sotterra > 29. le legneo tavole poste sopra il suolo >» 831. Ed i Nibbi e i Boz- zauli » 33. il rivolgimento del cielo îri. diversi cambiamenti del sole i » 36. che allora si raccol- gono i frutti e aumen- tano le notti sopra la terra. » 38. color di timo » 39. assai sono i suoi mu- tamenti (della luna] » 42. si chiamano [le stelle] Vespere mattutine » 43. Et quattro altre abi- tudini.... hanno posto fuor delle due » 44 si comincia la prima- vera e ne nasce 1)’ estate » 46. farà tempo freddo o almeno tempeste. >» 47. la salsedine.... salta da se stessa EDIZIONE NOSTRA s’appigliano e con le braccia e con i piedi rombazzi come mugliamenti di bovi e rintronamenti nelle valli è certo il gelo e portan peri- colo gli alberi di seccare congregarsi le vespe insieme, massime sotto terra le talpe che cavan sotterra le legne o tavole poste sopra il sale Et i Nibbi et i Bozzacchi il rivolgimento dei cicli diversi adombramenti del sole che allora si raccolgono i frutti augumentati e volti sopra la terra. color di feno assai sono i suoi sentimenti si chiamano vespertine o mat- tutine E quattro altre abitudini .... hanno posto fuor delle dette finisce la primavera e si co-_ mincia l’ estate farà tempo freddo o almeno fresco. la salsedine .... salsa da se stessa = iii "a = bai Ji EDIZIONE FIORENTINA pag. 48. ai confini del mede- simo orizzonte ivi. il gran gelo.... taglia la via ai fumi e va- pori che per altro combatterebbono » 48. corrompe col troppo umor suo i fiumi secchi » 54. [L' Austro] leggier- mente desta l’aere.... e tutti gli animali ne risentono la fame. ivi. tirando l’ Austro, tutto si fa facile a putre- fare e morire » 55. onde son detti pro- dromi, cioè precur- sori; fan sonno e lentezza ai manzi ivi. Atabulo è in Puglia caldissimo » 56. I venti orientali e le- vantini hanno più copiosa materia degli altri confrati e son più gagliardi degli occidentali » 57. questo vento, per essere contrarissimo » 59. onde [l Austro] neces- sariamente caldo e siccome viene nella Grecia » 65. s'abbatta come strin- gato a vagare di sotto » 66. I venti talvolta si ri- mettono e tornano » 67.i fumi... sono estesi e dissoluti XIII EDIZIONE NOSTRA ai confini del nostro orizzonte il gran gelo.... taglia la via ai fumi e vapori che per altro esalerebbero corrompe col troppo umor suo i fumi secchi |L' Austro] leggiermente dista l’aere .... e tutti gli ani- mali men sentono la fame. tirando l’ Austro, tutto si fa facile a putrefare e mar- cire onde son detti prodromi, cioé precursori; fan sonno e lentezza ai marinari [ L' Etesie soffiano] a Tabula in Puglia caldissime I venti orientali o levantini hanno più copiosa materia degli altri et i fiati più gagliardi degli occidentali questo vento, per essere con- tinuatissimo onde necessariamente caldo e secco vien nella Grecia s’ abbatta e stringa a vagar di sotto I venti talvolta si rimettono e lassano i fumi.... Sono estinti e disso- luti XIV EDIZIONE FIORENTINA pag. 68. ed i nuovi semi in terra si alterano, e nuova spezie di uccelli incogniti da lontani paesi sì sono veduti trasportare. » 74. è fievole la cava del- l’esca loro » ©. e per queste cagioni ella [l' acqua] è sana a’ bizziosi. » S0. per attraimento con- tinuo che fa il sole » 82. deboli, smunti » 84. così l’acqua che dal cielo si raguna in quelli primi tempi è migliore, e dipoi ne- gli altri si va sta- gionando. » 59. le grandi e smisurate pioggie continue con il riempierli |i pan- tani, fossi ecc.] e farli traboccare di nuovo » 91. di miniere o bagni zolfettati o simili ivi. Hanno accomodate le case i paesani a volte » 95. gli strati del monte » 96. e vi fia l’acqua sopra di buon sapore ivi. un vaso di terra cruda, o di un rame » 97-98. facendo il passo di lunghezza quanto appresso un uomo e lo stender le braccia dall’ un dito medio all’ altro EDIZIONE NOSTRA et i nuovi semi in terre aliene, e nuove spezie di uccelli incogniti da lontani paesi si sono vedute traspor- tare. è fievole la causa dell’ esca loro e per queste cagioni ella è sana a bersi. dall’ attrarre continuo del sole deboli, spunti cosi non l’acqua che da cielo si raguna in quelli primi tempi è migliore, ma dipoi negli altri stagionandosi diventa. le grandi e smisurate pioggie continue mutandole | le acque ferme | con il tem- prarle e farle traboccare di nuovo di miniere, di bagni, zolfet- tare, o simili hanno accomodate le case i paesani vòte sotto i muscoli del monte e vi fia l’acqua sempre di buon sapore un vaso di terra cruda o un di rame facendo il passo di Junghezza quanto apre un uomo stendendo le braccia dal- l’un dito medio all’ altro, E DIZIONE FIORENTINA pag. 98. in Iscozia » 99. S'ha adunque a ca- vare in questo i lati del pozzo ivi. Altri vogliono che si facci il pozzo ro- tondo a cipolla » 100. e volendo cavar pozzi a dentro » 101. coloro che trovano i pozzi » 106. si potrà entrare a dar opera a murare; cedro è arbore buono per lavori delicati al coperto né ha pari di bel- lezza ed unione di tiglio, » 117. Le manovelle d’olivo... son buone .... come ancora il corniolo, prun bianco, e pero salvatico, e scopa, che per far cavicchi, scale, e scaglioni grandicelli, vanno avanti all’ orno ed all’ acero. » 118. il noce, l'albero di gattice, il tiglio » 120. L’aere del Favonio reprime l’ umore » 123. le piante tutte ivi. hanno il legname in- fermo » 126. La più dura materia i 116, il » 180. nei luoghi scolati, aquilone asciutti, e volti a EDIZIONE NOSTRA in Jevizza [Iviza, una delle Baleari |. S' ha adunque a cavare questo filare del pozzo Altri vogliono che si facci il pozzo rotondo a capello e volendo cavar più a dentro coloro che murano in pozzi sì potrà pensare a dar opera a murare; il cedro arbore, buono per lavori delicati al coperto; né ha pari di bellezza di marezzi et unione di tiglio il fadro d’ Alemagna, Le manovelle d’olmo .... son buone .... come ancora di corniolo, prun bianco e pero salvatico e scopa, e così per far cavicchi e subbi; per fare scaglioni grandicelli [e] scale ado- perano l’orno e l’ acero. il noce, l'albero, il gattice, il tiglio L’aere dell’ inverno reprime l’ umore le piantette hanno il legname più fermo La viziata [tocca] col ferro e perdura materia nei luoghi asciutti, solatii e volti a Aquilone XVI EDIZIONE FIORENTINA pag. 181. di quelli, che presto e larghissimamente spirano. » 152. si eleggono bacchette di nocciuolo, di ser- menti e di salci. » 153. il granellino del- l’ India ivi. né mai finisce [la quercia] di seccarsi affatto imbiancan- do, sebben grossa. » 134. per la più parte bi- scontorti. » 137. sarà di corpo |[la pietra |], e forte » 141. [la calcina] si dee... per ispegnerla spruz- zarla prima sopra d’acqua a dovere in più volte; » 148.1 mattoni, i quali s° hanno a metter sopra i sassi un terzo dal piano, » 145. la farebbon precipi- tare [la muraglia] a terra. Se il terreno anco sarà sodo, e che sotto vi si ritrovi la ghiaia unita ecc. » 146. Siano battuti |i pali]... o col tetto nel mezzo del castello, accioc- chè il renone vi venga meglio a con- solidarsi, ed a fer- marsi. » 147. ed impiastrando tutto il piano del getto EDIZIONE NOSTRA di quelli che presto e larghis- simamente respirino del noce. si eleggono a fargli |i carboni] di bacchette di nocciuolo e di vermene di salice. il granatino dell’ India né mai finisce di seccarsi affatto, imbiecando se ben grossa. per la più parte bistorti. sarà di corpo unito e forte si dee..... per spegnerla, spruz- zarla prima sopra d’acqua a dotte in più volte; i mattoni, i quali s’ hanno a metter sopra i sassi un terzo del pieno, la farebbon precipitare a terra, se il terreno anco sarà sodo. E se sia d’ altra ma- niera e che sotto vi si ri- truovi la ghiaia unita ecc. siano battuti .... o vero con il ritto nel mezzo del ca- stello, acciocchè il terreno venga meglio a consoli- darsi et a fermarsi. et impiastrando tutto ’1 piano del getto dalla banda di EDIZIONE FIORENTINA dalla banda di sopra, e calandovi l’ altro getto della cassa a far presa, pag. 148. Perciocché si deono ancora far più luoghi nei terreni smossiì, posticci e men sodi, e dove avesse a so- prastare gran carico. » 148. Lasciarle stogate da imo a sommo per tutte le grosse mura è utile 149. la terraggine » 151. ed ove men piove si posson far sopra più piani, ivi. delle lastre sottili che si soprappongano l’u- na l’altra, o covertati d’ incastro insieme s’ uniscano i tetti, » 152. Possonsi fare ancora i tetti a pendio, ivi. È ben ancor fermo, e saldo il legname per tenere insieme... e per le volte e muri il castagno l’olmo la rovere ecc. » 153. Se s’elegga il sito in altissimo monte esposto a tutti i venti, sia tanto di- scosto dalla cima » 157. Le finestre... non è dubbio che volte a mezzogiorno, rice- vono il sole puro XVII EDIZIONE NOSTRA sopra, calarvi l’altro getto della cassa a far presa, perciocché si deono [i tfonda- menti | ancora far più lunghi nei terreni smossi posticci e men sodi e dove avessero a sosten- tare gran carico. Lasciare sfogatoi da imo a sommo per tutte le gros- sissime mura è utile la ferruggine et ove men piove si posson far sempre più piani [i tetti | delle lastre sottili che si so- prappongono l’una l’altra e conventate d’ incastro insieme unendosi ; Possonsi fare ancora [i getti] ai tetti a pendio, È ben ancora fermo e saldo legname per tenere in- sieme .... e per le volte e muri il castagno, l’ olmo, la rovere ecc. 2 ©» si elegga anco il sito in altissimo monte esposto a tutti i venti, ma tanto discosto dalla cima ma non è dubbio che tutte le finestre volte a mezzo- giorno ricevano il sole pari XVITI EDIZIONE FIORENTINA pag. 157. facevano i cammini in mezzo di casa con canne o modiglioni, » 159. sono .... lividi, e squacquerati ; » 159-60. e’ si distilla [il sugo per il quale si ge- nera la carne] me- diante il fuoco, esa- lando i vapori. » 162. affinché i deboli e stanchi possano ripi- gliare e trovar quiete, » 164. ed i gradi per esser torti riescono molto lunghi, dividendo co- me la sopraddetta. ivi. e soprattutto torna bene il divider lo spazio del piano dal suolo alla superficie della travatura in tre parti e mezzo, e di due farne la luce in altezza e di una in larghezza » 165. non si faranno le finestre più larghe delle stanze » 169.il detto di Caio Lucullo » 170.le sue [abitazioni |] abbiano i camerazzi. I paggi non stieno più lontani, che pre- sto a una voce chia- mati possano com- parire al padrone. » 172. Tutte quelle cose che sono soggette a umido EDIZIONE NOSTRA facevano i cammini nel mezzo di esse [delle stanze] con colonne o modiglioni, sono .... liquidi e squaqque- rati; e’ si distilla mediante il fuoco, esalando in vapore. affinché i deboli e stanchi possino repigliare fiato e trovar quiete et i gradi per essere torti riescono molto lunghi, dividendosi come li so- praddetti. ‘e soprattutto torna bene il divider lo spazio del piano o suolo alla superficie della travatura in tre parti e mezzo e di due farne la luce in altezza e di una in lunghezza non si faranno le finestre più larghe della quarta parte della larghezza delle stanze il detto di Lucio Lucullo le serve, i camerieri, i paggi, non stieno più lontani che presto a una voce chia- mati possino comparire al padrone. Tutte quelle cose che pati- scono di mucido EDIZIONE FIORENTINA pag.173.le mortelle di Spa- gna .... Si piante- ranno ben stivate, e situate insieme ; così appetisce l’ alloro, e l’ellera d’esser posta in calca. 173-174. Questa era l’ an- tica usanza, e taluno vantavasi d’avere in un suo giardino » 174. fanno un po’ di spazio rossigno » 175. pergole di viti che sieno disposte sopra legni alzati all’ aere. » 179. Qualche luogo del vivaio s’ assetti in modo, che di conti- nuo caschi una picco- la porzione d’acqua, che la faccia ballare, » 180. E sebbene i corpi aovati di più pregio paia che sian quelli di due parti tatte per testa x » 181. dove si chiuggon le seste, e tenendo una parte tuora di loro, e quella di dentro girando, » 183. nei loro ornamenti e fregi » 188. o muriccioli bassi o alti EDIZIONE NOSTRA le mortelle di Spagna .... si pianteranno ben stivate e serrate insieme; così appetisce l'alloro e l’ el- lera posta in calce. Questa era antica usanza; e Fitone diceva d’avere in un suo giardino fanno un po’ di sprazzo ros- signo pergole di viti che sieno disposte sopra leghe alzate all’ aere. Da qualche luoghi il vivaio s’ assetti, sì che di con- tinuo caschi una piccola porzione d’acqua che la facci brillare E se bene i corpi aovati di più perfezione paiano che si ritruovino, possino e deggino essere come co ’l filo con due |pernii] fitti per testa dove si chiuggono le seste, tenendo una parte ferma di loro, quella di dentro, girando l’ altra, nei loro oramenti e fregi o muricciuoli bassi o altri Poe Svuaoti "x pat Al Aletagita te, gr Ste nuit MITIZAEZIO »j { Ù Care Ni An È. Wed x i bada > AR 2a tppgftuen, * ) “A ia ua sw agio Ps |! L a T & SIRIA SECO È ian DI ; gn tnfaufito:. 4 triutia ife x À a - _ iù vò. | “i #4 ‘ ui pRÀ ASPRI AA dd IMA ATA DLL (mia bi, LI i 400 lì da À ; i E ) dra Pa e i | fi * E tnt) st ere de: gf “A si: na! ld ndonbb pe) x dest CARATI Marin x ” a . Ò n ivi. rob] VR È , Li i ,3 Ù fl n = “ *. ‘ 4 5 si 4 dé i x #< dI È LETTERA bll CAb-UBALDO: MONTELATICI suLL'’AGRICOLTURA pEL SoDERINI — 00 — (asa rai ASTON OLA DE dale SENRGRBNGALERAARARARAVAABASBENAREBERAAARARRALESA ZIALE ERA ARIE SIE LODI FE LEKKKKKLKAKKLEARARALERAAAKA REA KIAAIA KIA AR ATALA LITI Io Abate Don Ubaldo Montelatici Canonico Regolare Lateranese, dimorante nella Badia di San Bartolommeo di Fiesole e Accademico (eor- gofilo, avendo per grazia specialissima dell’ Il] m° Sig. Carlo Tommaso Strozzi estratto il presente volume dalla celebre di lui Libreria, con tutto il comodo di poterlo leggere nelle mie camere, ho creduto essere in debito di rendere al detto Cavaliere le più umili grazie (come fo) per un tal segnalato favore e corrispondere assai più col fatto, annettendo a questo volume le note che seguono da me con stento ricavate da un tal MS.; e sono 1° Che il Soderini scrisse questo libro nella villa di Cedri de’ Signori Alamanni, come egli stesso sì esprime prima di trattare della Coltivazione delle Viti. -2.° Il titolo del primo capo che si legge nella fronte di questo volume non corrisponde in tutto all’ opera, imperciocché la notizia (che egli promette) della qualità della terra per cono- scere quali frutti più felicemente produca, notizia XXIV la più difficile e più necessaria in genere di coltivazione; questa notizia, dico, non si vede in un tal volume. 8. Dà contezza d'un istrumento per co- noscere i venti, che egli dice essere stato inven- tato nella sua età da Cammillo della Golpaia, uomo nelle matematiche eccellentissimo. 4° Racconta esser egli stato in Genova con Girolamo nipote di detto Cammillo ed aver presentato a quella Repubblica l accennato istrumento, né aver trovata in quei Signori altra disposizione che di volersi arricchire d’ ogni altra sorte di ricchezze, che delle profittevoli scienze d’ ingegno e arti sottili. 5.° Riferisce una bizzarra risposta data da Michelangiolo Buonarroti ad uno che lo ricercò del suo parere sopra un modello in piccolo d’ un edifizio: 0 tu trovi ( disse) uno che sia tanto piccolo che v entri dentro per relazio- narmi come stia in quelle parti, o tu lo fai tanto grande che io vi possa entrar dentro io, e ti dirò la mia opemione. 6° Ci dà relazione che a’ tempi suoi il Caporale Ambrogio Bizzozero milanese trovò una lucerna di foggia assai meravigliosa. 7.° Scrive che nella Falterona fu tagliato un abeto grosso nel calcio quindici braccia ; e che a Casa Colonna di Siena fu un cerro grosso diciotto braccia, sano e intero di gambo. 8.° Di Papa Pagol III Farnese racconta che trovandosi in luogo vicino all’ Alpi entrò colla mula e con l'ombrello in un castagno di gambale voto, rivoltatovisi senza toccare, dove alloggiava al coperto una famiglia intiera. XXV 9.° Loda infinitamente le fabbriche, par- ticolarmente in campagna, fatte in foggia aovata, come la più comoda, più capace e più aggra- ziata che non sia la quadra o rotonda. 10.° Si ricava dal suo discorso che fu in Parigi, ove dice che vide una fabbrica in forma aovata. 11° Dice d’ aver fatto un modello in grande di questa fabbrica in forma covata e d’ averlo fatto vedere in Genova al Lomellini. 12° Asserisce d'avere in casa l' effigie scolpite de’ dodici Cesari in dodici noccioli di ciriegia, posti dentro in un picciol guscio di noce. 13. Loda molto il trattato di Piermaria Calandri che tratta dell’ Agrimensura e consiglia Filippo Giunti a porlo nel calcio della sua opera, volendola stampare. 14° Consiglia i buoni agricoltori quando levano una pianta da un luogo a un altro, segnare la loro positura e riporla come stava. 15 Riferisce un distico fatto a Michel Angiolo Buonarroti, che dice cosi : Michelangel murò, scolpi, dipinse, E la Natura ricorresse e vinse. 16.° Dice che a suo tempo si usava fare 1 gioghi di fico. 17.° Afferma che ne’ monti di Pisa, alle radici, vi sono cave di gessi. 18.° Insegna un modo particolare di con- servare i grani, per via di loto, morchia e argilla. XXVI 19° Da notizia della maniera con cui credono alcuni che Gallieno imperadore con- servasse per tre anni le uve freschissime. E finalmente, se io devo dire la mia fievole opinione intorno al Trattato delle Viti qui annesso, crederei che il celebre autore abbia sperimentate assai poche cose di quelle che egli riferisce, per la conservazione delle uve, per la diversa manipolazione de’ vini ecc.; e sarebbe tornato molto meglio che esso avesse scritto meno e sperimentato più. Per altro alcune esperienze egli fece in genere di coltivazione, ma sono poche, perché se le avesse volute fare di tutte quelle cose che esso ha scritte, ci voleva moltissimo tempo e grossa spesa. AGRICOLTURA DEL Sie. GIO. VETTORIO SODERINI DE È i gi pa >, erre Lai ». a SE, e: mx LA0RDA i È Reza 4" Le DUI ba MIDaTA vitali, pria 0 sea ‘dei ; i i al i o I o a gb SEMINA, PARTO. pal FR, pid bi ESTE, “het Ù COSE PARTIRE : VIRA Mii COSO LI, Nieto sr a i N VALE AR 1 4 da Ai TRO dal av È ; d MI la 74 db a ) ian Ù Val i, tela kg ; LA] Lao AAUTIOIIFO DE du [eroe omsosari do VI In questo primo capitolo l’ autore dà l ori- gine dell’ agricoltura, mostra la nobiltà di essa, reca universali precetti per ammaestramento de’ buoni e cristiani contadini; dà notizia della qualità della terra, per conoscere quali frutti più felicemente produca; delle regioni dell’aria, per sanità delli abitatori et acconcio delle col- tivazioni; delle stagioni dell’ anno, per lavorare le terre a tempo; e con avvedimento pieno di senno, nell’ economia villereccia et in ogni oc- casione, dagli antichi e da’ moderni agricoltori trae sicure regole in avanzamento di quest'arte. DELL’ AGRICOLTURA CAPITOLO PRIMO L'agricoltura è stata creata dall’ altissimo Iddio, il quale disse ad Adamo dopo 1 peccato: « maladetta sia la terra: per lo tuo malvagio operare tu caverai il cibo da quella tutti i dì della vita tua, ti germuglierà i triboli e le spine, e mangerai l erbe della terra e nel sudor del tuo volto ti nutricherai del tuo pane ». E non pure per così antica e gloriosa origine questa arte è altrui ragguardevole, ma eziandio perchè l'agricoltura senza contrasto è padre madre e nutrice dell’ altre arti, senza la quale straccu- rata giace in mare et in terra ogni cosa. Questa GEN., cap. iij. Lode della agricoltura Precetti di pietà dati al buon contadino. MatT.c.Vvi). 4 la più importante parte della repubblica man- tiene; questa quasi di pari passo con la sapienza procede, non essendo molto lontana la vita de’ sapienti alla vita delli agricoltori, a’ quali serve l elemento della terra, in guisa che ella non mai sdegna d'esser da loro comandata, nè rende che con usura quello che ella ha incor- porato. (Questo è il più importante e giusto modo che sia per arricchire; perciocchè di tutte quelle cose delle quali si fa qualche acquisto niente è migliore della agricoltura, nulla più abbon- dante, nulla più dolce e nulla più degno del- l’uomo libero; è guadagno pietoso e non ha in se sprazzo d'invidia o di malvagio pensa- mento. Quando gli antichi lodavano un uomo per buono, lo celebravano insieme per buon cultivatore della terra e buon lavoratore: et egli pregiato a sofficienza si teneva per così ampia lode. Né in minor conto avevano gli in- tendenti del trassmar la terra che quelli che maneggiassero ben l arme. Si fecero a credere oltre di questo che i loro Iddii non fossero meno preposti alla milizia che all’ agricoltura; e che il buon contadino non dovesse dar prin- cipio alle bisogne della sua arte, se prima non avesse invocato il nome degli Iddii. Ora dalla invocazione del vero Iddio devono ancora i no- stri coltivatori prendere il cominciamento alle loro faccende, ammaestrandoci la Scrittura che tutte le cose ci ammoggeranno, tuttavolta che noi vorremo primieramente cercare il regno di Dio e la giustizia sua. Con questa santa inten- zione stia pure intento il buon contadino ad acquistar roba finché li sia conceduto da Dio, 5) avendo sempre avanti agli occhi quel detto della Scrittura che dice: « tutte e qualunque cose voi aviate voluto che vi facciano gli uomini e voi così fate a loro ». Questa regola del Re- dentore tanto piacque a Alessandro di Mammea imperadore, che, quantunque egli fosse pagano, volle che si scrivesse nel suo palazzo e negli edifizii pubblici. Dee il giusto e da ben conta- dino, per vivere vita beata, vivere della fatica delle sue mani, considerare i campi altrui, at- tendere a’ proprii, pregare per la comune ab- bondanza e fuggire come dalla mala ventura gli aruspici e le streghe, genti che con vana superstizione costringono a spendere et ad altri mali cattivi, perchè gran peccato commette chi fa incantare con triste parole le biade e che attende a qualunque incantamento: onde le leggi comandano che malefici indovini e incantatori sì puniscano col fuoco. Nel resto le parti principali della coltiva- zione consistono nel lavorar bene il campo et attendere a’ pascoli; e più appresso si consi- derano in quattro parti: nel conoscer bene la qualità del terreno, quello che vi si convenga piantare o sementare, quali cose fare vi sì con- vengano per bene assettarlo et a qualunque tempo sapere quello che far vi sia di necessità. Son da lodarsi le ville grandi, ma è da attenersi alle piccole; e sì come in tutte l'altre cose, così in questa si deve por mente che e nel comprare e nel cultivare non sia maggiore la spesa che ’1 guadagno al far del conto. Devesi avvertire che più debile sia il campo che non il contadino che 1’ ha a lavorare, perchè se s' arà ioe: eve Precetto del Reden- tore osser- vato da im- perator pa- gano. Salmo 129. Quattro parti prin- cipali della colti- vazione. Meglio è che i lavoratori soprafac- cino il podere, che essi dal podere sien soprafatti. 6 a contrastare con esso, prevalendo il podere, ne verrà a patire il padrone; perciocchè non è dubi- tanza che manco sia per rendere uno spazioso campo straccuratamente lavorato, che un piccolo atteso con ordine. Se il campo apporterà molta spesa, non s' avanzerà molto sopra quella, perchè se ne deve molto ben tener conto, acciò poi tu non sia costretto lordamente ad abbandonare quello che arrogantemente avevi impreso di coltivare. Se sia nel campo larga pasciona, vi sarà certissimo guadagno: così vi sarà mediocre, se vi fia mediocre. Nel comprare il campo, serive Zenofonte, che non si dovesse comprare bene acconcio, ma più tosto male in assetto per stra- curaggine del padrone, pure che si conosca che sl possa poi meglio coltivare: se bene altri sono stati di contraria opinione. Chi coltiva il campo patisce un grave creditore per averli a dare, al quale senza speranza d’ essere assoluto è altresì astretto. E con fatica si deve lavorare, perchè dice Palladio che il bifolco trapassa l’ ordine non stando piegato con la vita ad arare; che perciò Vergilio chiama l aratore curvo, sì che stando diritto faccia i solchi e piegato gli intraversi, che non si può fare senza impiegarvi tutta la forza del corpo. [Seguono nel codice originale due carte bianche, che sono la terza e la quarta. Riprende il testo nel retto della quinta carta, subito in principio. Mostra che ci sia un gran pezzo tralasciato 0 una lacuna. E infatti avverte il Montelatici nella se- conda delle sue note scritte in testa all’ autografo, che: « il titolo del primo capo che si legge nella ( » fronte di questo volume non corrisponde in tutto » all’ opera, imperciocchè la motizia (che egli » promette) della qualità della terra per co- » noscere quali frutti più facilmente pro- » duca, notizia la più difficile e più necessaria in » genere di coltivazione; questa notizia, dico, non » si vede in un tal volume. » Aggiungo che da questo momento la scrittura cambia, sostituendosi l'autore al copista |. 5 La rivoluzione delle stagioni del temperato è fatta di quattro maniere, per accrescimento e scemar del dì. Comincia a crescer il dì dal dì della bruma e si conguaglia alla notte nell’ e- quinozio della primavera. Di poi va crescendo per fino al solstizio, sendo sempre delle notti maggiore, sino all’ equinozio dell’ autunno; e con l'aver pareggiato il dì procede da quello sino alla bruma. Oggigiorno la bruma è alli ventitre di dicembre, nella qual bruma è la più lunga notte che sia nell’ anno et il più corto giorno. L’equinozio di primavera vien a farsi ai venticinque di marzo e il solstizio ai venti- sette di giugno: nel qual dì è la notte la più corta e il giorno il più lungo dell’anno. Dopo ’ tramontare et essere ita sotto la Fidicula co- mincia l autunno, dall’ equinozio alla bruma; dieci dì dopo che van sotto da mattino le Vergilie, principia l’.inverno; et a dieci di dopo che le Vergilie si son levate da mattino, è il cominciamento dell’ estate; e tosto che comincia a tirar Favonio, è il principio della primavera, dopo pur dieci dì. Nel dì del solstizio dell’ estate, ch’aviamo detto che sia ai ventitre dì di giugno oggigiorno, si fanno gran muta- zioni: rivoltan le foglie gli olmi i tigli et i pioppi bianchi, al contrario di quello ch’ avevan prima il dì dinanzi; s°' arrovesciano ancora le foglie del salcio in quell’istesso medesimo giorno. Di più si cominciano a sentir per tutto le la- mentazioni del salvatichi colombi; nè sì creda che sia passato il solstizio a sentir cantare i colombi, ma quando covano. Nel medesimo dì della bruma avendo attaccato al palco il pu- 9 leggio secco, fiorisce; così fanno il lizio e le cipolle, scrive Aristotile; et esso ancora del puleggio il simile afferma. Il virione (') uc- cello esce fuori 1 istesso dì del solstizio. Il lupino, dal levarsi del sole all’andar sotto, segue il corso del sole con le sue foglie, manifestan- dolo ancor quando è nugolo. Il radicchio sì rivolta verso il sole quando va sotto; et a ogni essere di cielo, all’ uscir fuora dall’ orizzonte 1l sole, apre i suoi fiori e gli serra nell’ andar sotto; così secondo quello ritorce e dirizza il fusto. Il cinocefalo, animal più feroce delle sci- mie, tante quante son ore, tali volte piscia, se è da credere a un che lo scrive greco autore. La vivola bianca annunzia la primavera e V'ar- cobaleno I’ estate; il coriandro o cipollin salva- tico due volte l anno fiorisce, di primavera e d’autunno; un poco più tardi il narcisso il giglio et il papavero salvatico detto anemone. Seguita l’eliogrifo e ’1 gladiolo, in Spagna detto giacinto. L’eliotropio fa i fiori nell’ equinozio autunnale. Cominciando a soffiar Favonio, si maritano le cose verdeggianti di terra; soffia dall’ occaso equinoziale, dando principio alla primavera, dando vita e incremento a tutti i seminati, che sendo in terra allora, acquistano animato vigore: le stelle delle Vergilie si fanno note dall’Aquila stella che in determinati giorni dà fuor della terra; e sopra vi duran quanto essa, quasi avendo fatta lega insieme; et è cosa chiara che le Ver- (1) cuculo. Questa e poche altre parole che porrò appresso in nota sono scritte sopra la parola corrispondente del testo, a modo di variante. 10 gilie la perducono come lor parte; e di più chi seminerà innanzi a che le dien fuora i frutti e semi staterecci, s' ingannerà da se stesso e gli falliranno le semente e ’1 piantare. In questo mezzo tempo uscendo fuor la pecchia, rimostra che le fave fioriscono, le quali le chiamano a uscir fuori. Si ripongon le pecchie da che le Vergilie van sotto; et se sia che di nuovo si levino, che è allora che le fave fanno i fiori, non escono a fare le loro opere e fatiche. Un altro segno averanno che sia passato ‘1 freddo, quando comincia a germogliare il moro. E li ulivi cominciano a fiorire e mignolare nel na- scer delle Vergilie, et a metter le viti. L'uccello passa nascendo Sirio: in qual dì non si vede. In Egitto è l'origo, animale che gli sta di contro e par l’adori e sternutando ne fa segno. In questo tempo sta l’importanza delle viti che non incarbonchino. Nel nascer della Canicola s accendono i vapori del sole, si risentono gon- fiando i mari, ribollono i vini nelle cantine, e sì fatto movimento [agita] gli stagni et i laghi; sono ancora molti animali che ne rendon testi- monio con l'alterazione. Abbrucia la Canicola le biade e tutti i seminati e danneggia tutte. le cose che verdeggiano trassinandole. Imperciò allora è bene non toccar né arbore né pianta che sia, solo l’erbe degli orti sì possono sarchiar e segnare di coltivare: perchè queste all’ ore debite non ne sentiranno danno alcuno. È suole la Canicola nascere ai tredici di luglio et ai dieci di gennaio andar sotto. Della luna poi è grande il predominio che ella ha sopra tutte le cose create che gli son ll sotto in questa terrena mole; onde è che tutte quelle cose che s' hanno a cogliere a tagliare e potare, più senza danno, anzi utilmente si fanno, quando ella è nello scemare che non nel crescere. La luna quando la fa non si vede, perciò che ella posta a rincontro ('), l'acquisto della luce che ella piglia a uscire dal sole lo raggira ritorna e riporta in esso da chi ella l'aveva preso. Ora, qualunque volta ella si vede da quella banda che il sole va sotto, e che nelle prime ore della notte ella farà lume, sarà crescente et agli occhi ammezzata sì giu- dicherà; ma quando, andando sotto il sole, la nascerà dalla parte oppostagli, in modo che la sì vegga a un’'otta, allora sarà luna piena. E qualunque volta ella nascerà da quella banda. dove nasce il sole e torni alle prime ore della notte et il dì la mostrerà, sarà scema e di nuovo ammezzata, ma nel fare sarà; il qual tempo s addomanda interlunio, quando averà mancato di vedersi. E veramente è cosa mira- colosa che la forza della luna sia dalla formica sentita, quanto che nel far della luna, cioè nel- l’interlunio, sempre si ferma e cessa dall’ opere sue. E che sia vero che così piccolo animale sì riposi nell’interlunio, osservisì che nel plenilunio ancora di notte ella lavorerà. Che più? lo scara- faggio con altrettante dita o più tosto piedi fa forza e si regge quanti dì consiste (*) il mese, nei quali il sole levandosi va seguitando i suoi corsi. (Questo, quando è il fare della luna e del sole che coito s' addomanda, chiaramente ce lo (2) arrersa. — (?) ha. 12 fa palese; perciò che, avendo egli fatta di sterco di bue la sua pallottolina, con il rotolarla, vol- tandola da levante a ponente, la riduce in forma d’un tondo, e in venti otto dì, scavata sottoterra la buca sotterrandovela, tanto la tiene ascosta, che la luna circondando il zodiaco ('), ritor- nando all’ intermestruo (*), vada sotto; et aperta allora la sua pallottolina manda fuori i suoi nuovi parti, mostrando il far di ciò è il coito del sole e della luna: né altra ma- niera di nascere ha cognosciuto. Il cinocefalo maschio di maniera compiagne le mutazioni della luna, che in quel mezzo del mese che ella sta ascosta sotterra né guarda, né alza gli occhi, ne mangia; ma quasi come lacrimando il rapi- mento della luna, avendo fitto il capo in terra, testifica un’ insolita doglia; e la femmina, stro- picciandosi in quel mentre che la luna non sì vede, comparisce e si duole per il desiderio che lè in assenza; non sì contentando star senza luna (5), sta addolorata; di poi, ricognoscendosi nella cecità degli occhi che ella si ritrova, non prima ne resta libera che dia fuori il sangue, che perciò la versa ogni mese. Così scrive Eliano. Oltre a questo, alcuni più diligenti han ritro- vato che le fibre (‘) dei sorci corrispondono ai dì della luna. Alcune malattie di bestie ch’ hanno negli occhi gli fanno con la luna enfiare e disenfiare, come agli nomini le gotte et altre doglie di giunture più e meno risentire, indi- catrici ancora del tempo che ha da venire, o tristo o buono. Si provi un bicchiere che abbi 1) signifero. — (?) ammeszzarsi. — (3) illune. — (4) corde. I) 13 un poco di corpo lungo e sottile, col suo piede ordinario, accanto si rimbocca in terra o in sur una tavola un mortaio di peso ancora più che ragionevole, e fatto un girello di pasta di farina di grano in sul piano del fondo riversciato, aggravandovelo bene et unendolo alla pietra, grande quanto è il giro dell’ orlo del bicchiere et un poco più, tanto di dentro quanto di fuori, avendo in un tempo mezzo pieno il bicchiere di stoppa fina et in un tempo appiccatovi fuoco sin a mezzo, mentre la stoppa abbrucia, sì rim- bocca aggravandolo forte in su la pasta; dipoi, tirando il bicchiere all’ insù, alzerà con se da terra o dalla tavola il mortalo, causato dal ca- lore concentrato et unito quivi dentro che non può svaporare; e sin che non sia consumato, starà forte come le coppette a trarre il sangue. E ciò riuscirà meglio a luna scema che a piena, sì come per il flusso e reflusso del mare, quando è reflusso, raccoglie in se la forza dell’ acqua, così allora del calore e del fuoco. La luna empie l’ostriche e nutrisce et empie gli echini; ai topi et alle bestie astringe le fibre; e quelle medesime cose che a luna crescente s aumen- tano, scemando la luna, mancano. E gli occhi dell’ elvie, secondo le mutazioni della luna, 0 mancano 0 crescono 0 si fan maggiori; e l’elvio maschio sente le veci del sole, perciò che all'alba, innanzi al suo uscir fuori, s allungano e disten- dono dei suoi occhi le pupille, le medesime al mezzodì si ritirano in giro tondo, nell’ andar sotto s' acciecano. Oltre a questo la fava, di tutte le biade [più] raggrinzita, si riempie cre- scendo la luna; la cipolla sola allora rinverdisce 14 che la luna si manca e parte, e per contra s'insecca crescendo; e veramente che sola di tutte l’erbe non obbedisce al variar della luna, ond’è che i Pelusiotti non ne mangiavano. Se la terza o quarta luna uscirà fuori Incente e splendente, sarà segno di giorni d’ avvenir se- reni; se rossa, di venti, se nera, di pioggie. Se, sendo piena, pura rilucerà, significherà tempo buono; se focosa (') offuscata e nera, pioggie. Nella venuta, avendo i corni rintuzzati e cali- ginosi, dimostrerà di dover piovere; diritti et infesti, sempre darà venti. I suoi corni, il dalla banda di settentrione aguzzato e rigido mostra vento dovere essere da quella banda; dalla banda di sotto, austro; e l'uno e l’altro drizzato, la notte ventosa; se nella quarta sarà cinta da un cerchio rosso splendente, dimostrerà che deggia venir tempesta. Se nell’ essere piena, una corona negreggiante la circonda, sarà pioggia; se si raddoppiano a quel mezzo, il cerchio prometterà tempesta; e tanto più, se saran negri e spez- zati. Nascendo la luna, se il corno di sopra darà fuori oscuro negro, darà pioggie scemando; se in quel di sotto ..... (*) luna piena; e se ancora nel mezzo sarà quella negrezza nel pieno suo, darà pioggia. Se, sendo piena, l’averà intorno a sè un cerchio, da quella parte che quel cerchio risplenderà più, tirerà il vento; se nel nasci- mento suo saranno 1 corni più grossi, dimostrerà una tempesta arricciata. (1) rutila. — () A questo punto l’ autografo è illeggibile. L’edizion fiorentina: se în quel di correranne la luna piena, e se ancora ecc. 15 Per contro il sole, nascendo puro e netto, tale dimostra dovere essere il giorno; e se innanzi al suo uscir fuori sì vegga una nu- goletta, sarà indizio di serenità; e se intorno a quando va sotto si trovassero nugoli, pro- metterà sereno; se, et un dì innanzi va sotto e nasce sereno, tanto più durerà la serenità. Puro e netto fuor delle nugole andando sotto, assicura il dì seguente dovere essere sereno; se senza nugole vadi sotto il sole, netto e puro, di poi v intervenghino nugole rosse, nè la notte seguente nè l'altro dì non pioverà. Se intorno all’ occidente le nugole insieme ristrette rosseggino, promettono dovere essere sereni giorni. Se, nascendo ’1 sole, o rosseggia o negreg- gia, dimostra pioggia. Quando, nascente il sole, una nugola nera l adombra, s' annunzia pioggia : e se andando sotto, una nuvola oscura e nera l’aduggi, conviene aspettar subito la pioggia, se sia dalla sinistra banda. Il concavo oriente predice la pioggia; ancora venti, quando nel nascere avanti gli rosseggian le nugole intorno; e se fra quel rosseggiare negreggino, pioggia. Quando di lui i razzi nell’ andar sotto e nel levarsi rosseggino, significano doversi accozzare le pioggie; se intorno all’oriente sien rosse le nugole, promettono serenità del futuro giorno. Se nel nascere si spargeranno parte ad austro, parte a aquilone, ancorchè intorno a esse sia puro e netto sereno, con [tutto] ciò pioggia e vento significheranno; se nel nascere e nel- l’andar sotto si vedranno i suoi razzi rintuz- zati e ristretti insieme, significherassi onnina- mente pioggia. Se nell’ andar sotto pioverà, 0 i 16 TAR ia (') le nugole, denunzieranno nel di seguente un’ aspra tempesta. Quando nascendo non sormonteranno razzi chiari o che non sieno circondati di nugole, daran segno di pioggia. Se il [dì] innanzi al nascere, le nugole si rag- gomitoleranno, profetizzeranno un’ aspra inver- nata; se dal suo nascere saran scacciate e verso l’occidente si partiranno, serenità. Se le nugole chiuderanno intorno il sole, quanto manco di lume gli lascieranno, tanto più turbolento sarà ’l temporale; e maggiormente ancora, se doppio cerchio n’ averà intorno; e se ciò fia nel nascere, sarà tempesta grandissima. Se non si partiranno, ma staran ferme, da qual banda di vento appa- riranno, tempesta; se da mezzogiorno, pioggia ancora. Se quando nasce sarà cinto da un cerchio, da quella parte che s' aprirà il cerchio, sarà il vento; e se tutto s1 fenderà, sereno. Se nel nascere spargerà per i nugoli i razzi lontano, e resti il mezzo voto, darà pioggia. Se innanzi al nascere si dimostrino i suoi razzi, acqua e vento. Se intorno all’ andar sotto sarà d’ essi un cerchio bianco, minacciera la notte leggiera tempesta; se nebbia, maggiore; e se biancheg- giar in "1 sole, vento. Se lo cingerà un cerchio nero, da quella parte che ei si spezzerà, darà fuori un vento gagliardo. Quando in un subito lo splendor delle stelle s' adombra, come che ne di nugole né di caligine vadi travagliando, annuncia tem- pesta d'importanza. Se svolazzare si. vedranno (1) IHleggibile. L' ediz. fiorentina: o è vassi trarmranno con se le nugole. 17 molte stelle, per dove le si trasporteranno biancheggianti, denunzieranno venti; e se intorno pure gli staran fermi certi veli, dimo- streranlo. E se ciò si farà in più parti, daran fuori i venti da quelle parti che mostreranno. E se i cerchi d’alcuna delle stelle avanti dì salendo andranno, acqua. Et ancora quando son doppi annunziano pioggia: da questa, sere- nità di poi, non per ciò certa. I cerchi non intorno alle stelle, piovere. Quando da estate averà assai più tonato che apparsi baleni, denun- ziano venti da quella parte; per opposito, se manco averà tonato, piovere. Quando a ciel se- reno balenerà, seguiranno pioggie con tuoni e sarà freddo; e grandissimi saranno, balenando da tutte le quattro parti del cielo. E se dalla parte d’ aquilone sia solamente, il dì che viene significa acqua; e da tramontana vento. E se dall’ austro in notte serena balenerà, vento et acqua dimostrerà in quella medesima parte. ] tuoni da mattina denotan vento, da mezzodi acqua. Le nugole quando si veggon girare a ciel sereno, da quella parte ove sì trasporte- ranno saranno venti; e se nel medesimo lato si ravvilupperanno, approssimandosi il sole si disfaranno; e questo se sarà da aquilone, venti dimostrerà, se da austro, piove. Andando sotto il sole, se dall’ una parte e dall’ altra stia spa- lancato il cielo, significherassi tempesta; e più grandemente sì, se [le nuvole ] saran negre et oscure verso la notte: da oriente, minacciano acqua: da occidente, il dì che verrà dopo. Le nugole come batuffoli e fardelli di lana, sparse per il cielo da oriente, fra tre dì predicono *) 15 acqua. Quando nelle cime de' monti risederanno le nugole, invernerà rabbaruffando il tempo; se saran le cime nette, sarà sereno. Ancora che sia sereno, veggendo nugolette per aria, ancor che piccole, daran venti tempestosi. Le nebbie, discendendo da’ monti o cadendo dal cielo 0 stando ferme nelle vallate, promettono buon sereno. Accanto a questo, i fuochi terrestri signi- ficano da vicino; 1 pallidi e strepitanti sono imbasciadori di tempeste; e di pioggia ancora, se scoppietteranno i funghi abbruciati del luci- gnoli nelle lucerne; se torcendo in qua e in là Ò ranno la fiamma, vento. E così i lumi, quando da per loro scaccian la fiamma, o a fatica si possono accendere, et ancora quando in essi s'aggruppano et accozzano insieme gli sfavilla- menti, o quando il fuoco che vi è da se sfavilla, o vero quando la cenere nel fuoco s° accresce e quando i carboni grandemente fan lume. La civetta la notte gridando spesso dà indizio di sereno: similmente le cornacchie et 1 corvi adu- nandosi insieme gridando faran festa. Gli uccelli di lago e marini attuffandosi spesso significan cattivo tempo. In una pentola o in un paiuolo di bronzo le faville risplendenti percotendolo significan pioggia. La cornacchia in su 1 lito spesso lavandosi il capo o tutta notando e di notte più gagliardamente gracchiando predice pioggia. Le galline et altri uccelli casalinghi, se si rinvoltino spesso nella polvere o raspino co 1 gemere, confessan la pioggia. I corbi e le mu- lacchie riunendosi insieme, se con un certo grido faran romore; ancora se la rondine presso al- 19 l’acqua negli stagni o fiumi volerà gridando, sì che con le penne dell’ ali non solo rasentino ma tocchin qualche volta acqua; significan pioggia. Le mosche pizzando più dell’ usato, e l’oche più del solito attendendo a pascolarsi con ingordigia, et i ragnateli non gli spingendo alcun vento cascando, e le fiamme delle lucerne di color fosco e nero, significheran pioggie. E tutti gli animali quando festeggiano e scherzano insieme disonestamente, danno indizio di pioggia; et i buoi annasando il cielo verso mezzogiorno o lec- candosi l ugne e con mugliar forte ritornando alle stalle, significan di dover piovere. Et il lupo accostandosi alle case, et i cani scavando la terra e da mattino urlando forte, danno indizio di pioggia; e gli uccelli ritirandosi alla marina, tempesta. Le gru, che venendo più presto del solito mostrano essere arrivato | in- verno; i topi, [che] stridendo più dell’ ordinario fra loro fanno romore insolito; danno segno che deggia essere tristo tempo. I delfini quando sia calma scherzando insieme, dimostran vento da d'onde e’ vengono, et intorbidando l’acqua pro- mettono sereno; la soligine svolazzando, le nic- chie e conchiglie e patelle stando attaccate forte, e gli echini rivoltolando la arena e fic- candosi forte, dan segni di tempesta. I ranocchi gridando più che non sogliono e lamentandosi con alta voce, e le folaghe schiamazzando da mattina, i mergi l’anitre nettandosi co ’1 becco le penne, significan venti; e così tutti gli uccelli d’acqua rincorrendosi lun | altro, le grughe sollecitandosi di tragittarsi nei luoghi mediter- ranei, et 1 mergi ritirarsi dagli stagni e dal 20 mare; e le grughe, chete per alto volando, dimo- strano serenità. La civetta nella pioggia, gri- dando; e nel sereno, tempesta. I corvi con un certo singhiozzo gridando e l'un l'altro bezzi- candosi, continuando di farlo, saran venti; ma se con destrezza si rimbeccheranno le voci, di ventosa acqua daranno indizio. Le mulacchie ritirandosi da pascolare, e quando i mugnai (') si raguneranno insieme, e gli uccelli terrestri contr’ all’ acqua sclameranno attuffandosi fra loro, e massime la cornacchia; e quelli. che abitan negli arbori fuggendo ai nidii, e 1 oche gridando fuor d’otta continuamente, I ardea maninconiosa in mezzo l'arena, e le formiche lentamente rincontrandosi V una con 1 altra e cavando fuor le sue uova, et [1] bachi di terra dando fuori, 1 polmoni marini in mare di più dì, augurano il verno. Il rimbombo dei monti et il mugliar delle selve gran tempesta significano. (Grande spumar del mare e le grandi onde ballanti, acqua: e quando gonfia cheto e con fiato (*) più del solito, già essere vento conceputo fra se confessa. E senza punto spirar di venticello che si senta, il muoversi le foglie e scherzar fra loro, la lanuggine del pioppo svolazzando per l’aere e la piuma sopra l’acqua, l arricciarsi ancora del trifoglio e le foglie addrizzarsi, contro al temporale, è cosa certa. I vasi ne conviti e nelle tavole nelle quali si metton cose da mangiare, che lascin sudore dove elli si riponghino, e gittar acqua le mura o gli stipiti degli usci, crudeli temporali annun- (1) bianchi vecelli. — (?) soffiare. 9] ziano. Oltre a questo, non è nocevole lo stato della luna né ancora di notte, se non nel sereno e sendo saldo ogni vento, perché né quando è nebbia né quando è vento cascan le rugiade; così ancora non senza rimedio s' abbruciano nei campi i sermenti le paglie i pruni tagliati, e 71 fuoco e "1 fumo le disgrega e manda via. Il sole divora l’acqua, la luna la partorisce. Diofane ebbe opinione che non sia da seminare alcuna cosa se non crescendo la luna. Alcuni de’ Greci dal quarto della luna alla decima e sino al- l’ottava essere buon seminare tengon per fermo. Altri, solamente dalla decima sino alla vigesima, affinchè il lume con le piante non vadi sotto. Altri, tre dì dopo che sia ammezzata consigliano che si semini. Ma fra gli uomini più pratichi conviensi che, quando la luna è sotterra, sì debba gettare il seme nel terreno, come da tagliare ogni legname quando ella è sopra terra. Ma tornando agli indovinamenti de’ tempi tristi, quando nel mezzo d’ un dì sereno si vede in un tempo rabbruscare l’aere, è da temere di pioggia; sì come quando dee essere freddo ‘il sentirsi un caldo grande, e quando anche son precedute di due in tre di tre in quattro bri- nate alla fila. E perchè conviene fare alcune operazioni a’ contadini quando la luna è sot- terra et alcune quando l’ è sopra terra, si dee sapere che la luna nuova dalla mezza ora di notte per fino alla mezza ora di giorno sta sopra la terra il primo dì. Il secondo da una mezza ora di notte per fino a un'ora intera di giorno. Il terzo dalle due ore et un quarto d’ora di notte a due et un quarto d'ora di dì. 22 Il quarto dalla terza e un terzo d’ora di notte per fin alla terza et un terzo d’ora di dì. [ Il] quinto dall'ora terza et un quarto per fin ad altrettante del dì. Il sesto dall'ora quarta et un sesto dell’ora di notte ad altrettante et un sesto di giorno. Il settimo dall’ora quinta et quasi un sesto ore di notte ad altrettante di dì. IL’ ot- tavo dall’ ora sesta di notte et un siciliquo ad altrettante di dì. Il nono dalle otto ore et un decimo della notte ad altrettante di giorno. Il decimo dall’ ora settima et un sesto e uno sero- polo della notte al medesimo numero d’ore del giorno. L' undecimo dall’ ora ottava della notte et otto particelle d'ora a altrettante del dì. La duodecima dall’ ora nona di notte et un sesto per fino ad altrettante di dì. La deci- materza dall’ ora decima e sedici porzioni d'ore notturne ad altrettante di giorno con la medesima ragione. La decimaquarta sta sotto. dalle undici ore et un terzo di notte ad altret- tante di giorno. La decimaquinta dal nascer del sole sino all’ andar sotto sta sotto terra, nel qual tempo si fan meglio l operazioni del giorno (*). Il decimosettimo da una mezz’ ora e sedici minuti di giorno sino ad altrettanti della notte. [Il] decimottavo dalle due ore del dì et un quarto ad altrettanto numero della notte. La decimanona da tre ore del dì et un quarto sino ad altrettante di notte. La ventesima dalle tre ore di notte et un quarto ad altrettante di notte. [Il] ventesimo primo dalle quattro ore del dì et un dodrante al me- (1) Manca la notizia del giorno decimosesto. 23 desimo numero della notte. La ventesima se- conda dalle cinque ore del dì et un sesto ad altrettante della notte. La ventesima terza dalle sei ore e un quarto di dì ad altrettante di notte. La ventesima quarta dalle sette ore del dì et un sesto alle medesime della notte. La ventesima quinta dalle sette et mezzo ore del dì al medesimo conto di notte. Il ventesimo sesto dalle otto ore et un sesto del dì al mede- simo numero di notte. Il ventesimo settimo dalle otto ore et un dodrante del dì alla mede- sima ragione della notte. La ventesima ottava dalle dieci ore del dì et un quarto alle mede- sime di notte. Il ventesimo nono dalle nove ore [del] dì et un terzo di notte sino alle altret- tante di notte. Il trentesimo dal nascer del sole a che egli va sotto. La luna..... Gioverà questa osservazione alla notizia di tutte le cose da farsi, sì come ancora il cogno- scere di più innanzi che e venghino altri segni dei tristi temporali a venire. Sarà segno espresso di dover piovere quando all’ improvviso comin- cierà a tirar vento di notte e qualche [fuoco] accendersi per aere in foggia d'una cadente stella, partirsi dal suo luogo et andar altrove per lungo tratto sfavillando, o venir verso terra lasciando dietro ove passa certo segno di bian- chezza. Similmente sollevando il vento e rab- baruffando pagliuche foglie et altre cose leg- giere, alzandole all’ aere con certi gironi poi calando a terra; i lombrichi uscendo fuori della terra et ammucchiandosi insieme nel cammi- nare, lasciando segno nella polvere del lor cam- mino, significano il medesimo; et i porci pi- 24 gliando in bocca qualche manna di lino stecchi paglie o stracci o altro, et andare in qua et in là; come le penne volar sopra l’acqua ferma ; e balenando da aquilone, cioè tramontana, e tuonalndo] dalla banda di levante o ponente; e ‘adendo di dì e di notte dai cammini filiggine in chiocca; e veggendo la notte in cielo mag- gior numero di stelle del solito o che le pain poste nella nebbia senza brillare, con li suoi razzi grossi senza splendore; e l'asino dibat- tendo e scrollando l orecchie, spesse volte mo- vendo il capo; e quando i moscherini e farfallimi d’aere sì vanno ad ascondere, non avendo altro rifugio, fra i suoi orecchi. Quando l'arcobaleno abbi posto un pie nel mare e quando si vedranno per le strade e per i campi certi fili sottilissimi e spessi in guisa di tele d’aragni e tremoli per il vento, sarà pioggia repentina. È quando si sentiranno spirare venti australi, Garbino o Coretano o Ostro (’), il più delle volte sarà pioggia; perchè essendo venti caldi, liquefanno gli umori nell’ aere e causan pioggie ; sendo proprio del caldo rare- fare e del freddo indurare. Così quando s° a- sconde il sole in nugole gialle o come è il minio colorate. Il sole, la mattina [presto] che egli si truova contorniato da un cerchio rubicondo e di varit colori dipinto, da quella banda che detto cerchio stremandosi sì romperà, subito mostra dovere uscire dalle mosse i venti. Il sole che pare varii o saetti da una nugola pur- purea o affocata nei raggi di fuori o per entro, (1) Scirocco. PE TIVO, 1 LE er 25 mostra voler regnare venti che battaglino in- sieme, che è quando per più versi si veggiono le nugole camminare. Il sole che vibri i raggi dall’ inferiore emisfero sotto I’ aurora, e non molto chiaro rosseggino, ovvero quando gli vanno innanzi nugole tinte di simil colore, indica sempre dover essere venti. Se osserverai verso la parte occidentale, dopo essere ito sotto il sole, rosseggianti le nugole distese, a mo’ d’ af- focati carboni, tosto è per venir gran vento. Il sole fosco che vibri i suoi raggi fuor d’ una rossa nugola la mattina e la sera, promette ventose pioggie. Se, tramontando il sole, appa- rirà un cerchio candido, portenderà gran vento dal lato onde prima sì comincierà a sbarrare ; e se assai innanzi al suo andar sotto e buona parte del dì si sarà veduto il sole sotto una vasta mole di nugole vermiglie, può aspettarsi vento tempestoso ; se da un canto solo il sole informerà qualche nugole e distenderà in lungo i suoi raggi, sì sia certi di gagliardi venti da quegli angoli nei quali si vedranno questi fantasmi o immagini : il che nella luna e nella sua sembianza e nelle stelle altresì, ancora che più deboli segni se n’ abbino che nella luna, acconciamente si cognosceranno, come quando che un cerchio rosso purpureo attorno sempre darà venti; e tutte le cose rosseggianti che accompagnano il sole la mat- tina e la sera, tuttavia dimostrano venti. Donde poi deggian soffiare, si antivede dal giro dei razzi solari verso l orizzonte o dal moto delle nugole che seco recano segno di venti; e questo così nel nascere come nel declinare del 26 sole si cognoscerà ; e cagion di vento, rosseg- giando la luna. Questa adunque, dopo la sua congiunzione et innanzi al terzo o al quarto et inoltre dopo gli altri suoi aspetti al sole, se con i tremoli razzi suoi in una nugola ver- miglietta n° appariranno, da quella parte del mondo soffieranno venti, nella quale si trovino piegare dal zodiaco. La luna veduta sottile in una nugola rossa, e che talvolta più dell’ usato splendida e purpurea mostri quella parte che dal sole non è illuminata, promette venti da quella banda del cielo nel quale la parerà che s'incammini la sottoposta nugola, ancora che altri dall’ opposito sito voglino il segno: la quale osservanza farà fede che sia secondo la ragione. La luna infocata o di color biondo, la quale abbi d’intorno assai cerchi divisi e sbar- rati, dimostra garbugli di venti e lor burra- sche. La luna, se a quella parte del cerchio suo che ella non ha lume apparirà gialla e ros- seggiante, apertamente mostrerà che debbe es- sere la maggior parte di quel suo mese ven- tosa; e più e manco, secondo la mobilità fermezza dei colori. Quando la luna non farà ombra, o vero [apparirà] oscura per corpo alto che se gli opponga, o monte o albero o torre, per quello che gli è concesso, minaccia venti, o quanto piovosi australi. Il corno della luna che mira tramontana, acuto e rigido, minaccia vento boreale; come quello che risguarda Ostro, australe; l uno de quali inferiore, I altro supe- riore s' addomanda; e quando l'uno et 1 altro corno è diritto, promette la notte ventosa. Le corne della luna, bianche e sendo purpuree 27 talora, ci augurano un zefiro piacevole ; se per contrario, venti Apelioti orientali. Il corno della luna boreale, se sarà tenebroso e rintuzzato, prometterà vento da tramontana; | australe, da mezzogiorno. Le corne della luna novella, fal- cate diritte all'insù et aguzze, significano la notte dover essere ventosa e qualche volta tutto ’l dì seguente; parimente, se ‘1 colmo suo sarà visto rosseggiare ad affocarsi. Se la luna nuova di tre dì in ambedue le corne né si vol- gerà né col corpo supino rilucerà, ma le cime delle corne dall’uno e l'altro lato mostrerà, dopo quella notte si moveranno venti occiden- tali. La luna che nel suo colmo sia rabiconda affatto e venghi cinta da variate ombre, da quella parte massime che saran lucide, si deono attendere venti tempestosi. Il corno della luna boreale o superiore, quando sarà chiuso come sepolto, farà Borea sospetto; e se supino, Ostro; e se due o tre cerchi si adatteranno intorno alla luna, da uno s aspetti venti; sereno, pur che tosto s'annulli e vada via; dai due, più sereno; e così degli altri parimenti. Se l' alone, così dai Greci detto, o corona o aia, si volgerà intorno alla luna rascente o tramontante 0 vero per altre regioni del cielo spaziante, se duri poco, non prenunzia cosa certa, perché da quella parte onde s' aprirà, indi usciranno venti; che se da più parti sì spezzerà l’ ala 0 corona, subito sarà gran trambusto di venti, et una ambigua pugna di venti combatterà in aere. Se i pianeti sfavilleranno, venti e pioggia, se- condo la natura del paese e dell’ aere, venfire] son soliti, per qualche disposizione e per sot- 25 fiar venti notabili diversi insieme nelli grandi eclipsi del sole e luna, et intorno all’ entrata del sole ne segni equinoziali e solstiziali, e le congiunzioni dei sublimi pianeti. Tengono gli antichi che i pianeti rechin seco cattivi tempi e ventosi, le nascite e gli occasi mattutini e vespertini, co "1 sole et altri pianeti d’ oriente, d’ Arturo delle Pleiadi e d’ alcune più segna- late stelle fisse ('). Le stelle, viste più dell’ usato maggiori, siccome elle sogliono apparire guar- dandole da un cupo pozzo di mezzogiorno, e lucide, minacciano venti da quella parte verso la quale dalla ecliptica del sole piegheranno, secondo il computo che si facci della latitudine. I cerchi visti intorno alle erranti e fisse stelle il medesimo promettono che s° è detto del sole e della luna. Le comete, se lungo tempo sotto spezie di gran corpo s' infiammeranno, da quella parte onde si leveranno ovver verso dove vi- breranno le code o razzi loro, avviseranno di certezza dover soffiare notabili venti. Le fiac- cole o altre impressioni di evaporazione che s'accendano in aere focose, da quell’ angolo del mondo nel quale spesso lampeggieranno, dall’ istesso prometteranno venti; e da con- trarie parti venendo, la instabilità loro; e da tutti quattro gli angoli del mondo dirom- pendo, minaccieranno rovinosi tempi con venti tuoni e lampi. Il che in generale si potrà a (1) Così l’autografo, né se ne cava costrutto alcuno. Peggio l’ediz. fiorentina che arbitrariamente legge: « Tengon gli Antichi » che seco portin tempi ventosi le nascite e gli occasi mattutini con » il sole e altri pianeti di oriente; d’ Arturo, delle Pleiadi e d’ altre » più segnalate stelle fisse. » 29 tutte le focose impressioni applicare et inten- dere con la diligente discrezione del giudizio. Il parelio o sembianza del sole e simulante, la paraselene della luna, se dalle bande d’ Ostro © d’ Aquilone apparirà, da quella parte manderà vento o acqua. Il vento che soffia nel far della luna, se durerà sino al terzo dì, toccherà il primo quarto e per avventura sino alla sua volta: ma se "1 terzo di spiri un altro vento, aspettisi gironi e trambusti di venti, e vincerà chi soffierà nel terzo: la qual ragione si potrà additare alla volta della luna o plenilunio e così ai precedenti e seguenti aspetti suoi: se bene alcuni vogliono che ’1 vento che monta in qualche articolo o punto di luna, duri sino al seguente; ma l'esperienza rimostra di chia- rezza non esser vero, perciocchè di raro piog- glia con neve son senza vento, [e] non se n°é visti ('); e se saranno grandissime l’ una et l’altra, si potrà cognoscere che s' avvicina un aere ventoso. Suole per lo più dopo il declinare delle caligini o nebbie sollevarsi vento; per il che se sarà gran caligine o nebbia, si giudica da chi I ha osservato che sia per levarsi Ostro. Se al nascimento del sole nel ciel sereno verrà qualche nebbia, come che piccola, minaccia vento tempestoso. Le nugole rosse, dopo 1 es- sere ito sotto "1 sole, distese verso tramontana in lungo, se sia splendente il cielo in quella parte che è trapposta, fra tre dì daranno venti forti e gaglhiardi. Una nugola ventosa, in quella (1) non se ne vti l autografo, che 1 ediz. fiorentina interpreta non se n’ é uti, ed io leggo non se n'é visti. Il senso è il medesimo. 50 parte dell'orizzonte verso dove si volge, pro- mette che i venti andranno a calare. Le nuvole nelle vette dei monti, in ogni parte diffuse e sparse, sempre da quella parte verso dove sa- ran sospinte, promettono dover levarsi vento ; et è anche chi crede il contrario. L’aere, se nero per folte nugole et oscure..... (') che rosseggi per la maggior parte, pronunzia venti se non fossero, se è vero lo che si truova scritto e se n° ha l’ osservazione. I baleni tanto mattutini quanto da sera, senza tuoni e senza nugole, a ciel sereno limpido e netto e spazzato d'ogni intorno e che per tutto l’ orizzonte risplendino grandemente, quando mostrano venti piovosi e quando portendono serenità. Nella primavera e nell'estate, come s° è in parte veduto, e nel- l'autunno, macchiandosi in alcun lato il cielo di rosato, o da Zeffiro o da Borea vedrai bale- nare; da quelle parti si conietturerà dover muoversi i venti. I tuoni la mattina per lo più denotan venti: se tonerà di mezzogiorno, sarà pioggia: così da Ostro Coro e Zeffiro, talora a notte serena lampeggiando, pronosti- casi vento misto con pioggia. I tuoni, passando il sole per 1 segni australi e vernali, cioè per il Capricorno Aquario e Pesci, spesso sono uditi fracassi di rombazzo in alto che pronosticano dover essere la primavera piena di venti e qualche volta tutto l’anno ventoso. Se l' estate più spesso e più gagliardamente tonerà che (1) IMeggibile, al solito. L'ediz. fiorentina: L’ gere senza pro- fonde nugole e oscure verdeggianti, che rosseggin per la maggior parte ecc. I 51 non baleni, temasi dalla banda che i tuoni si sentano e ventosi moti in aere, il tempo tristo ventoso e tonante. Il mare se apparirà più dell’ usato azzurro, darà venti da mezzo- giorno; se negro e fosco, boreali; e così se di turbato si farà tranquillo, secondo ‘1 crescere o scemar d’un vento in un altro. Le schiume del mare disgregate e disperse e 1 acque che notabilmente gorgogliano promettono aspro e tempestoso tempo e ventoso; l istesso promette ancora il mare, se senza strepito e romore altamente si gonfierà. Se sì osserveranno nelle cime dei monti suoni simili al mugliar degli animali, o vero se ti appariranno più alti e più grossi, e se un'isola ti parerà molt’ isole, aspettisi Ostro et insieme pioggia. Se a chi è sano e non abbi mal d’occhi 1 monti e gli arbori e gli altri corpi sensibili più grossi e maggiori dell'usato ti appariranno, renditi certo che già si pongono in,via venti australi caligi- nosì et umidi. Se parrà che la terra cangi il suo natìo colore e più dell’ usato negra ti appaia, è segno di Borea; se più bianca e pal- lida, di Ostro, massime in paese et aere spazioso et aperto. Le frondi senz’ aura almeno all’ orec- chie sensibile che a voto scherzino, e le lanu- gini d’ arbore o vello o altra cosa di sottil ma- teria che per l’ aere voli, o piuma come d’ al- tronde mossa che nuoti variante su per l'acqua, sempre apportano chiaro segno di venti. Le passere se oltre a modo garriranno, e gli altri uccelli schiamazzeranno e parrannoti traso- gnati, et anco i cani, quando s' avvilupperanno per la polvere, daran chiari segni di futuro 532 vento ; e l' aghirone, quando che egli è uccello molto strepitoso, fuggendo "1 mare, come si disse delle folaghe, minaccia venti e scompiglio dell’ aere. Surgendo i venti subito dal mare agitati, a gonfiare comincian l'onde e degli eccelsi monti udirsi il suono o di lontano i risonanti lidi mischiarsi e "1 mormorio crescere de boschi ; Già non contien se stessa e non perdona L’onda, crescendo, alle curvate navi; così dice Vergilio. Quando 1 ranocchi e rane stando dentro alla mota grideranno forte, daran segnale di vento o di tempo cattivo. I gamberi, quando è per essere un mal tempo e vento e pioggia, s' appigliano e con le braccia e con i piedi alle pietre e terra per fermarsi; le con- chiglie ai sassi s° accostano et i ricci marini si profondano nell’ arena. Gli uccelli di terra se vocifereranno lungo l acque et in esse si ba- gneranno, e se la cornacchia farà il medesimo, passeggiando gracchiando con piena voce per la secca arena, promettesi tristo tempo e ven- toso. Le oche marine, sendo per tirar vento tramontano, spesso si son viste volar verso mezzodì; e verso Borea, instando l' australe. Il riccio spinoso terrestre suol far nel suo covile sotterraneo due buchi, uno volto a mezzodì, l’altro a tramontana : or qual si sia che egli abbi aggrottando serrato e pieno di guaime, s'attenda vento da quella parte; e se chiugga ambedue, sarà combattimento di venti e mi- schia d’ essi. Il polipo pesce se oltre il solito suo verrà in terra e piglierà dentro alli suoi n.) De) flagelli delle pietrine, portenderà sicurissimo ‘ segno di venti. Il cerchio che fa talora il sole, come diventato una luna, è segno di vento e di acqua; e quando, prima che esca ‘1 sole, ros- seggiano alcune nugole, è segnale di vento ; e se; quando il sole abbi intorno un cerchio, se gli levi e si disfacci in un tratto, sarà il giorno bello chiaro e quieto. 1 vapori che ss’ accen- dono simili ai razzi, da quella parte che stri- sciano, significan venti; e quanto più, tanto maggiori. I venti poi che spirano dalla parte onde si lieva 71 sole, come da quello scaldati e fortificati, apportan segno di serenità; così quei venti che vengono da tramontana, come Borea Aquilone e Tracio, e che dalla parte di d’ onde spira l Ostro saranno nugole congregate e gonfie, il più delle volte annunzieranno il me- desimo. Le comete denotano in quegli anni che le appaiono venti eccessivi e secco grandissimo. I fiori bianchi dei cardi volando senz’ altro per aere dimostran vento; e se la fiamma del fuoco o candela o lucerna sia osservata che si muovino più dell'usato, significan vento. Quando è turbato il cielo et appariscono le nugole chiazzite e che fanno certe aperture e si vede manifestamente or quà or là apparire in terra il lume del sole, rimostra chiaro non essere il tempo ben fermo e di nuovo dover ripiovere. In somma, in tutti questi segni sopraddetti et altri che se ne possin trovare e che presagii di ciò sleno, osservinsi insieme gli abiti le consti- tuzioni e le nature dei luoghi dei tempi e del cielo di quella regione dove s ha a fare il pronostico, non essendo sempre il medesimo 29 di od segno valido in tutti i luoghi, ma sì bene per lo più per tutto alcuni si possono aver per chiari. Si possono ben per tutto tener in osserva- zione certe regole generali, come che di fuoco sotterraneo in qualche parte del concavo della terra, romori e perturbamenti; e se si udi- ranno gran romori per aere ad uso di voci, di strepito d’ armi, e sotto terra scotimenti di ter- reno e rombazzi come mugliamenti di buoi e rintronamenti nelle valli e nelle paludi, oltre a che in tal anno avverranno tremuoti, avverrà di certezza in qualche parte l'anno seguente inondazioni grandissime a danno di molti paesi; e la causa viene dai vapori ele- vati in alto in grandissima quantità: e quanto maggiore sarà l asciuttezza d’ un anno, tanto maggiori saranno i diluvii dell’ altro: e così per contrario l inverno che ghiaccia assai, mas- sime di gennaio e febbraio, è segno d’ avere a essere più frutti e vino, perchè con il freddo non mettono fuori gli occhi né gli arbori né le viti, e son più sicuri dai geli che quando l in- verno è tiepido e ti pare piacevole dolce e ‘aldo; con questo gettan fuori presto et il freddo serotino gli conquide ; e sopravvenendo, rade volte ne scampano. Somigliantemente, la primavera e l'estate umide denotan l autunno sereno e senza venti; il verno pioggioso pre- dice il più delle volte la primavera asciutta et essendo asciutto questa umida e piovosa; l au- tunno sereno e secco denota la primavera piog- giosaj; l estate umida e piovosa assai dimostra dover essere l’ autunno asciutto e sereno, e que- sto sereno fa l'inverno ventoso; e quando 1 in- verno è molto piovoso, la primavera e l’ estate saran serene; e quando egli è asciutto e sereno, sogliono essere quelle bagnate et umide; di ma- niera che una parte dell’anno umida denota l altra dovere essere asciutta, e così sé secca predice poi umida; e ciò a fine di asser- vare la qualità degli elementi. Ancora, quando l’autunno e la primavera vien grandine, allora è certo il gelo e portano pericolo gli alberi di seccare, se non se dopo sopravvenisse qualche sol caldo, che asciugasse e risolvesse ogni ali- dore. E se di giugno cade grandine, mostra che nella parte alta dell’ aere è eran freddo; e se non piove molto, sia per essere gran gelo nell’ imvernata. Quando nell'inverno sono certi freddi tirati asciutti senza agghiacciare, è segno che nevicherà presto: e quando si vedranno l’autunno in moltissimi luoghi congregarsi le vespe insieme, massime sotto terra, sarà il verno seguente lungo e piovoso; e tanto significano le troie pecore capre, saltando loro spesso ad- dosso i maschi e coprendole spesso e ristri- gnendosi insieme luna sopra l'altra. I susini mancando di frutto danno indizio che l inverno che ha a venire sia per essere molto secco: e massime se prima sieno state assal pioggie impe- tuose e grandi. Se per un anno seguirà una siccità di modo che gli acquitrini e fonti natu- rali s' asciughino e qualche parte di mare si ritiri seccandosi e sia nell’ estate assai comete; se a tal tempo appariranno in cielo aperture e voragini, di modo che appaia il cielo farsi concavo; denotasi trabocco d’ acque, tempesta e *) ") tremuoti nell’anno a venire. I bachi centogambe camminando per i muri denotan pioggia. Le talpe che cavan sotterra, ruminandola più del solito, fanno il medesimo. Le pecchie cercando il lor cibo appresso 1 buchi delle loro cassette dimostran pioggia. Gli uccelli che sogliono abitar negli arbori, fuggendo ai lor nidii, presentono la pioggia. Le civette cantando forte dimostrano doversi guastare il tempo. Gli scriccioli cantando soave e dolcemente significano pioggia: sì come quando per innanti appariscano, come le grue, venirne 1 freddo. I lupi partendosi dalle selve et andando ai luoghi coltivati, denotano pioggia: e le passere insieme stridendo e cigolando pre- dicon pioggia o vento. Falliscono talora questi segnali: per esem- pio, rasserenando a mezzo verno che averia a essere cattivo tempo, e d’ estate piovendo quando averia a fare il contrario. Ma s' in- tende per il più; et il cattivo temporale non s' intende dovere abbracciare più oltre che s' estende l orizzonte dove altrui si ritruovi, se non a certi cattivissimi tempi universali. Le nugole grosse, con tutto ciò bianche grosse, siccome il carbone ('), mandando fuori un vapore che li somiglia, dà indizio di mala tempesta. Così le stelle, per altro chiare, perdendo del loro splendore, quasi oscurandosi; et ancora quando il cielo è di per tutto rosso infocato come l’istessa fiamma di fuoco, facendo di se (1) Non v'è senso, anche leggendo ad arbitrio coll’ ediz. fioren- tina: « Le nuvole grosse, ed insieme bianche e rosse siccome il » carbone ». “mn D( una vista spaventevole, è segno di tempesta. Se gli stoppini delle candele quando ardono si fan come spugna non stando bene accesi, et alle pen- tole poste al fuoco s' attaccano le bracie, è segno di tempo umido; e quando casca assai filiggine, dover durare assai. Quando ristrignendosi la cenere al fuoco apparisce umidiccia, è segnale manifesto di pioggia, come quando gli uccelli co "1 becco si spulciano; e quando | acqua cascando in terra fa certe gocciole, mostra che durerà. Et ancora, quando le campane sendo tirate rendono il suono più chiaro dell’ usato e così gli altri metalli, indica acqua o tempesta. E quando con il vento marino o tramontano van nugole verso oriente, dimostrano acqua da durare; e quando dopo l’ essere piovuto si mette un’ aere sottile e freddo, è segno che ripioverà. Apparendo nebbia o caligo in tempo burrascoso, che non si spartischi né rompi, denota sempre peggior tempo. Il bue et i cani colcandosi sopra la banda destra denunziano pioggia. Così i prati o altri luoghi bassi da mattino o da sera, met- tendo nebbia folta o caligine; e se dopo una piccola pioggia appaia nebbia sottile che sembri fumo appresso a terra, a similitudine di caligine, promette grande e continua pioggia. Quando non casca la rugiada che doverìa cascare, denota pioggia o vento presto. La pioggia molto piccola nel principio, la quale dopo a poco a poco con tardanza cresce, la significa grande e continua; così fan le gocciole bianche, come quando ribol- lono in su ’l1 terreno e quando, dando sopra l’acqua, fan certe ampolle. Se dopo che sia pio- vuto s'asciugherà e seccherà la terra più del 4) ") solito, dimostra, non soffiando venti, grande e continua pioggia. E come le saranno a palparsi l’acque de’ laghi stagni paludi e fossi senza occasione di sole più dell’ usato calde, le pietre fattesi umide in tempo sereno, daranno pioggia fra tre dì; i muri gettando lacrime, la carne secca sudando e colando, le legne o tavole poste sopra il sale gocciolando, il sale liquefacendosi nei vasi ove sì tenghi, denotano pioggia: che fa non si compri, che quando è sole. Essendo caldo o certe afe in tempo sereno più del dovere senza evidente causa, annunzia pioggia dover essere di corto. Quando l’odor delle piante e fiori si senton da lontano più dell’ ordinario, predice pioggia. Se i ventri dei cani digiuni gorgoglieranno, e le rane e botte uscendo delle lor tane la sera in quantità, prediranno pioggia. Sono alcune botte grandi casalinghe che s° in- trattengono nell’ umido dei terreni, nei cortili 0 volte, che si soglion sentire all’ autunno gridare, intorno all’ andar sotto ’1 sole: rintoccando elle allora tre volte il grido o più, tanto più senza fallo il dì seguente o la notte istessa indiche- ‘anno pioggia. Le galline et i galli rivoltandosi per la polvere più del solito, et i pavoni gri- dando forte di notte, annunziano acqua: i bachi centogambe, salendo su per i muri. Il circolo latteo chiamato Strada Romana, sendo netto limpido e chiaro puro, non punto offuscato sì che vi sì vegghino più stelloline, dà indizio di tempo buono: così per contrario. E quando l’arco baleno è di più pezzi, significa il tempo non essere fermo, ma quanto più è stato tem- porale, tanto più poi si può aspettare che deggia 59 piovere; ancora in Spagna dove di raro piove, et in Egitto l’ inondazione del Nilo serve per tutte le pioggie. E come per un giorno o due si veggon più chiare espedite e più numero di stelle, e la luna circondata da vapori scuri et offuscati, e che gli animali saltano, gli asini ragliano, i lupi urlano, gli uccelli non cessano di volare, i galli di cantare, le mosche pulci vespe tafani. e zanzare di ana più pun- gentemente e massime le mosche cavalline, i pesci di guizzare nella sommità dell’acqua, le biscie e lucertole. di vagare, e le fogne più dell’ usato puzzare, e gli uomini istessi annoiarsi non potendo riposare, son segni espressi che ‘1 tempo farà variazione. Ma quando il gallo canta più spesso di notte e fuori della sua otta, al certo presto pioverà. Quando sono due archi Spiccati, è segno di pioggia; e se appaiono dopo la pioggia, la serenità non è certa. Et ancora qualche volta I altre stelle hanno qualche poco di cerchio intorno, che denota tempo cattivo et acqua grande. cerEani allargando le ali e tre O) quattro volte gridando e scherzando con le foglie, mostran sereno, come i colombi salvatichi con il lor canto, et i nibbi et i bozzacchi o mu- gnal con il volar loro adagio et alzarsi lento in aere quivi spaziando, e le civette, massime le casalinghe, uscendo dalle lor buche et in quantità; e ciò avviene per essere animale freddo, che non esce per altro della tana che presentendo essere abbonato I aere. Le mosche piccole quando si congiungono insieme dimo- strano serenità, et i buoi et i cani coricati sopra la parte sinistra il medesimo; come se la fiamma 40 della lucerna e fiaccole delle candele accese si stanno quete, né mandando fuori faville, né strepitando. Se la luna esce chiara è segno di serenità. Quando son le nugole nell’ altezza de' monti, se scuopron l'alto e calano verso il basso e nelle valli, è certo segnale di buon tempo; e se altramente, il contrario. La rugiada cascando di notte di sera o vero da mattina, sia di che tempo o stagion si vogli, denota serenità. L'arco celeste, quale si crei da nugola rugia- dosa e pioggiosa riflessa dal sole, apparendo nel ponente e che il sole sì ritruovi nell’ oriente, dimostra il dì seguente dovere essere serénità; così quando fa un vento freddo, e similmente apparendo verso oriente. Se due archi o più apparischino, a tempo di gran pioggia e venti, compiuti finiti et assai durabili, particolarmente nella parte che tramonta il sole, danno espresso segno di serenità; e così fan le nebbie e cali- gini che vanno da basso delle parti de’ monti e di poi sì spargono per i campi. Quando ven- gano gran venti pioggie nevi e tempeste, e che intervenga nebbia o caligo quale si sparga e consumi, e le nugole concave nel tempo di pioggia, come quelle, danno indizio di cambiare il tristo nel buon tempo; come le sommità dei monti libere e spazzate di nebbia e nugole, ancora che ne fossero circondate dal calcio, por- tendono serenità. I lampi che spesso si veggon la sera, che altro non sono che vapori che s° ac- cendono al fine dell’ orizzonte senza tuoni, e che in altri luoghi non sien nugole, promettono il tempo serenissimo; sì come la luna et il sole tt dentini. 4l levandosi dall’ orizzonte senza impaccio di nu- gole danno certo indizio del tempo buono. E massime il sole; del quale si dee conside- rare, come ben dice Aristotile, che, nascendo lui e venendo a noi, sì vede rinascere e gioire ogni cosa, germinare e ringiovanire; e partendosi et andandosene, tutto immarcire seccarsi e mancare: e niuno è che non cognosca pur, nascondendosi lui, attristarsene il mondo e la natura cordogliosa rimanere, le piante perdere la loro vaghezza prima, cascar le frondi mar- cirsi guastarsi, chetarsi gli uccelli e con l’istessa terra far silenzio; e di nuovo quando ritorna (perciocchè egli è tenuto augumento necessario, quando si dice: domani nascerà il sole), tutto l'universo allegrarsi e come al ritorno del suo re far festa da lontano, gioire e giubilar la terra, rinvigorire le piante le foglie i fiori et 1 frutti rinnovarsi e produrre, ristorarsi e rin- francarsi, ogni cosa rinascere e rigerminare e farsi nuove generazioni del tutto. Perciocchè egli è l occhio del cielo, dl’ amplissima grandezza e possanza, dice Plinio, reggimento della natura, deità delle stelle, reggitore delle sfere celesti. Finalmente, siccome la forza della luna e la potenza prima che del sole come più efficace, sendo più alla terra vicina; e da questi due, come di tutto il mondo principali guide e go- vernatori, lo stato de’ corpi inferiori e l' ammi- nistrazione dipende e la misura de’ mesi di mese in mese; così con quello si contemper: l’anno, con esso procede tutto intero, e con esso i suoi tempi si distinguono, e per esso tutti i mesi lunari dell’anno per i suoi segni 42 sl distinguono (') e figurano, facendo il suo corso in trecentosessantacinque dì et un quarto. E se bene questo quarto et altro può avere et ha alterata la nascita delle stelle e per un poco il rivolgimento dei cicli, siccome dimostra la ricorrezione e reduzione fatta dell’anno; non perciò vengono alterati i pronostichi dei tempi detti di sopra, tanto per la precognizione che s'ha dei diversi adombramenti del sole quanto da quelli della luna, la quale insieme con l’altro luminare va al medesimo ordine e dimensione regolando l’anno, il quale, co ’1 circuito dei dodici mesi in se stesso ritornando, finitolo si rifà da capo a ricorrere per il corso medesimo; e per questo dagli Egizi fu figurato per il dra- gone che la sua istessa coda rigirandosi afferra con i denti e morde; e si divide in quelle quattro stagioni che sì disse di sopra, prendendo il suo principio dalla primavera, la quale han posto gli antichi che cominci in Aquario, celeste segno del zodiaco o strada solare; dell’ estate nel Tauro, dell’ autunno in Lione, dell’ inverno in Scorpione. E conciossiaché ciascheduno vige- simoterzo giorno di questi segni celesti sia il principio di queste quattro stagioni, in tal modo che la primavera abbi novantun dì, 1 estate novantaquattro, l’ autunno novantadue e l' in- verno ottantotto, verranno a cominciare il loro primo dì come si disse di sopra, riducendo così fatta divisione alla maniera del dì d’ oggi, che ora son civili. Nulla di meno altri in altro modo han posti questi principii di questi quattro tempi (1) divisano. 45 dell’anno; onde è che stimano alcuni che 1 principio di primavera sia all’ ottava Xa/. di marzo e dell’ estate non. kal. di giugno, del- l’autunno « kal. vig.iss, altri vct.vo id. aug., del- l'inverno non. kal. decemb., altri vîiij id. novemb. Et ancora c è chi così essere l ha disegnate: la primavera stendersi dalli ventun di marzo alli ventisette di giugno, l' estate dai venti- quattro di questo ai venticinque di settembre, e l'autunno da questi sino ai venticinque di decembre; et allora cominciare l' inverno e finire ai ventuno di marzo ; imperciò alla redu- zione d’oggigiorno conviene crescere a ogni mutazione di stagione dieci dì. Divisanlo ancora in altra maniera gli astrologi et in altra i me- dici; e questi ne prendono l'ordine dal sole, come sarebbe a dire quando il sole entra in questi segni, sì che il principio di primavera sia quel dì istesso che egli entra in Ariete, d’ estate nel Cancro, dell’’autunno in Libra, del verno in Capricorno; e di quelli è un’ altra divisione, sì che dall’ equinozio di primavera si pigli per il principio dell’ estate quarantacinque dî, dell'autunno fra ‘1 solstizio e 1’ equinozio di quel tempo quarantacinque dì, cominciando la mattina a ir sotto la Fidicula, che suole essere intorno ai sedici d’ agosto: altri ai tredici l’ han posta; del verno dall’ equinozio autunnale alla bruma, quando s' ascondon le Virgilie, pigliando quarantacinque dì; e fra la bruma e l' equi nozio quarantacinque dì il tempo di primavera. Et i medici come gli astrologi l han diviso secondo la ragione delle stelle: et Ippocrate determina che la primavera cominci dall’ equi- dd nozio nella nascita delle Vergilie, l' estate da queste a che si levi Arturo, l autunno da questo a che vadin sotto le Vergilie, et l'inverno dall’ ir sotto di queste all’ equinozio di primavera. Ga- leno dice il principio dell’ estate essere la nascita delle Pleiadi, da noi dette le Gallinelle; dopo il nascer del Cane egli comincia la generazione dei frutti, la quale pone per la seconda parte dell’ estate; e dopo "1 nascer dell’ Arturo fa il principio dell’ autunno; dipoi all’ andar sotto delle Pleiadi il principio dell’ inverno; e quel che segne dopo l equinozio al fin dell’ inverno l ha per principio della primavera. Fin qui la distribuzione dei predetti tempi dell’anno, la quale se ben variamente si descrive, tuttavia in alcune partizioni conviene, in alcune è differente; ma Varrone ne mette un’ altra fuori delle sopraddette e la fa d’otto parti. Primamente fa, da che comincia a tirar Favonio all’equinozio di primavera, quarantadue dì; da questo al nascer delle Vergilie quarantaquattro dì; da questo al solstizio quarantanove; e di qui al segno della Canicola ventinove dì; e di quivi all’equinozio autunnale sessantasette dì; e d’indi all’ andar sotto delle Vergilie trenta- due dì, da queste alla bruma cinquantasette dì; e di quivi al Favonio quarantacinque. Ulpiano dottore divise l'anno in due parti, inverno et estate, cominciandola dall’ equinozio di prima- vera e finendola in quel dell'autunno; e tutto il rimanente pose per l'inverno, facendo ciasche- duna di mesi sei: la qual divisione si può dire, e lo dice Cornelio Tacito, che abbi seguito in alcune. parti 1’ Alemagna, ove per il freddo 4b l'autunno non si cognosce. Ancora ognuna di queste quattro stagioni dell’anno si divide di per se in quattro tempi: quando nuova viene, quando sta cresciuta, quando se ne va, ultima consumata fugace, per ciaschedun mese. L' in- verno è detto dzò 705 È che è piovere, l'estate ab aestu che è il caldo, la primavera, che allora ogni cosa rivive, da vigere, l'autunno ad augendo dal crescere, che allora sì raccogliono tutti i frutti augumentati e volti sopra la terra. An- cora si divide l’anno in due solstizii et in due equinozi: e si dice solstizio perché quel dì pare che il sole stia fermo, arrivando al più alto punto e poi dando la volta; e di questi ne son due, come degli equinozii, quello di estate 3 kal. jul., nell’ ottava parte del Cancro, et allora è il più lungo dì dell’anno e la più corta notte; l’altro nella bruma alli venticinque di decembre nella Nascita di N. S.j; et Ipparco disse 9 kal. jan., come i Caldei, altri 16 kal. jan., altri alli ventiquattro, perchè da questo dì pare che il sole si pieghi e s' alzi, abbreviando le notti et i dì allungando, sei mesi. Seguono con la medesima ragione gli equinozii, detti dalle notti, come 1 solstizii dal sole, così detti perché sia pari la notte al giorno. Ezio ha voluto che quello di primavera si facci alli ventisette di marzo, altri all’otto o nove ka. d'aprile, quando il sole arriva alla metà dello spazio che è tra la bruma e il solstizio, il che avviene quando è 1l sole in Capricorno, dice Manilio, Vergilio in Libra; et Ovidio lo stabilì 7 kal. marti; e Colu- mella dice farsi nell’ ottava parte dell’ Ariete, come l’ autunnale 8° 72 ef 6. kal. oct., cioè al 46 ventiquattro venticinque o ventisei di settem- bre; e tutti gli altri lo pongono al 18. kat. oct., all’andar sotto delle Vergilie. Ma così come gli autori variano in quello di primavera, così son differenti nell’ autunnale: et Eliano scrive il cubito dell’ Ariete significare l'uno e l altro equinozio, perchè sei mesi d'inverno giacendo in sul sinistro lato dorme, e per contra dal- l’equinozio di primavera poggiando sopra il destro lato prende il sonno. Ipparco insegna così gli equinozii come i solstizii farsi nella prima parte o nell’ ottava dei segni, a tal che dal sol- stizio di estate all’ autunnale si contano novan- tatre dì e da questo all’ altro novanta. Ma sopra tutte le cose delle celesti osserva- zioni et influssi ha la luna predominio grande in tutte le occorrenze de’ maneggi delle piante et a tutti gli affari dell’ agricoltura; et a chi l’ esercita molto, conviene, anzi è necessario, sa- pere il suo corso; e come si disse di sopra, come più propinqua alla terra par che ci possi più, come quella che facci il flusso e riflusso, tirando a se il mare nel suo cerescimento e nell’ occaso velocissimo rapendolo; e ciò che è in tutte l acque sente la sua forza, oltre alle conchiglie e locuste marine ancora i granchi, crescendo con esso lei e con quella diminuendo. Che più? Affermano i matematici non essere per dover mancare di maninconia a coloro che si taglieranno Vl ugne quando la luna manca o è nel fare, perciò che quelle cose che crescendo la luna crescono, venendo meno ella, mancano. Comanda ella ai seminati et a’ venti, temperando con il suo caldo et umido la caldezza e siccità 47 del sole, perchè le muove come fa tutte le cose de’ corpi inferiori, avendo in ciò la preminenza sopra tutti gli altri segni celesti, posta dalla natura per rimedio perpetuo alla scurità delle tenebre della notte. Dai Greci è stata detta 7727 dalla mutazione di se medesima e che mai non stia con la medesima figura; o perchè la si muta raoù to) pecovoda:; et Ecate per le sue varie effigie, e Diana perchè i parti sono con acuto e pene- trante dolore; alla virtù della quale si rife- riscono ancora le Parche, Cloto a generare, Lachesis a nutricare, Atropos perchè la sia dea immutabile; detta 0:2):7 dal suo splendore, perchè crescendo et invecchiando dispensa il suo lume, in modo però che egli è sempre insta- bile. La luna silente si dice quando la non luce, che è allora quando la non sì vede, pren- dendo atta similitudine dagli occhi e dagli orecchi; perciocchè così come nel silenzio nulla si sente, così nelle tenebre nulla si vede. Silente ancora si chiama il cielo quando è sereno. Quando la luna si vedrà, ito che sia sotto il sole, e lucerà nelle prime ore della notte, sarà crescente et agli occhi si giudicherà am- mezzata. Con una cesta la significavano gli Egizii, perchè crescendogli il lume maturansi le biade. E quando che va sotto il sole, ella dalla contraria parte nascerà, sì che di pari et a uguale altezza dell’ orizzonte che esso la si vedrà, lei cioé e ‘1 sole : allora sarà il plenilunio, e mancherà di corna; e quando 1 è assente co ’1 sole in diametro centottanta parti, gli Egizii la denotavano con color di feno e gli attribuivano un ramo d’ alloro per la forza di 45 fuoco dal sole, e per amore della fertilità un papavero; e per la moltitudine dell’ anime dicevan loro che in lei come in una città abi- tano, perchè il papavero è simbolo delle città, come la melagrana la norma delle repubbliche. Il terzo dì dal coito 7205075, cioè corniculare o falcata o piegata in corni, perciocchè quando lè discosta dal sole sessanta parti, la fa una figura sestangola del mondo al sole ; 77008 0 degozoptos $' addomanda quando lè ammezzata 0 vero divisa con parti uguali, quando dal. sole è lontana novanta parti e fa una figura qua- drangola del mondo al sole. E quando | è più che mezza dpgezeotòs, quando lè maggiore di mezza e il suo orbe gobbo dall’ una parte e dall’ altra, quando la sarà discosta dal sole centoventi parti e fa figura di triangolo del mondo a esso. Tutto questo avviene quando la cresce. Ma qualunque volta, da che 71 sole sarà uscito fuori, ella nascerà, caverà il lume dalle prime ore della notte e mettendolo in quelle del di sarà scemante e mancante dal pleni- lunio, secondo "1 numero dei giorni; e piglierà i medesimi nomi quando la cresce dall’ inter- lunio ; perciocchè un mese sì et uno no ne ha pieni i numeri, et uno sì et uno no ne caverà ad un per uno: alternis enim mensibus tegitur, implevit num. de plenit. singulos. Le mutazioni della luna Seleuco matematico le pose sette, Plutarco tre; la prima quando la sì occulta del tutto, commorando co ‘1 sole a pari; l’altra quando uscita fuori cresce il lume de’ razzi del sole, da occidente comincia ad apparire ; la terza ultimamente, quando illustrata dai razzi 49 solari ella fa il plenilunio: con tutto ciò assai sono i suoì sentimenti, poichè crescendo et invecchiando tuttavia si muta; ma quelle tre sopraddette sono più di tutte le altre compa- riscenti. Vergilio chiama la luna errante, perchè va con non retto ma obliquo corso come il sole, affinchè nel centro della terra ella non abbi a patir più spesso eclisse di quello che ella fa. Partecipa la luna di quattro qualità secondo Afrodiseo: quando | è spartita d’ ugual porzione, allora è umida et alquantetto calda; seconda- riamente ella è calda et in un certo modo un po’ più secca, quando l’ha il suo orbe un po più pieno; nel terzo luogo quando | invecchia è secca e fredda; nel quarto quando la sta cheta priva d’ ogni luce è fredda et umida, perocchè allora, priva dei razzi del sole che son caldi e fan caldo, è necessario che ella tutta fredda sia; assetata e secca ss’ intende ella quando non. son pioggie e quando la non è nei segni pioggiosi contrarii al zodiaco. La luna cava Plinio l interpetra per imperfetta ; et i mesi cavi dissero gli antichi quelli che hanno pari i numeri dei giorni, come quelli a chi mancasse la loro perfezione e supradistin- zione del numero impari detto cafto. Ancora il più delle volte s'è osservato che come è il quarto della luna sia tutto ’1 restante, o vento O pioggia o quieto e sereno. S' osservi questo quadrato della luna che è al giorni sette dopo il novilunio, et il secondo quadrato che è ai sette dì dopo la piena della luna, perchè questi mutano il movimento dell’aere per il più: la luna fatta in giorno di martedì s'è osservato 4 DO essere pioggiosa più che la fatta in qual sì vogli altro dì; come che il tempo racconcio nelle quattro tempora sia di più durata che rassettato in qual si vogli altro tempo; et il tagliare arbori nel giorno di venerdì affermano molti effettuare l’istesso che il tagliare a luna scemante. Tengono molti che il piantare sia comodo da un quarto di della luna ai giorni diciotto ; altri nei giorni chiamati antelunari, cioè solamente in quei tre dì del novilunio. Alcuni non vogliono che e’ si deggia piantare dai giorni dieci della luna sino ai venti, affin- chè non si sotterri il lume della luna insieme con gli alberi e piante. Io ho sperimentato che 1 piantare sempre che la luna sia sotto terra è il meglio e più profittevole e sano che sia, te- nendo io per fermo che la luna scoperta sempre nuoca alle loro radici, chè le vede. Accanto alle sopraddette cose sì deono osser- vare le stelle erranti, e massime la fredda di Saturno e tutti gli altri detti pianeti, gover- nandosi e reggendosi, come s'è detto, questi corpi inferiori con la possanza dei superiori; tra 1 quali le stelle fisse, fitte nel cielo come i nodi dell’ abeto nel legno suo, nascendo et andando sotto, causano mutazioni nell’ aere ; ond’ avviene il tirar diversi venti, nascer la grandine e l’acqua, sì che con non leggieri effetti intervengono queste cose per il moto delle stelle e turbano 1 ordine di quello che si fosse designato di fare. Nè pur ciò fallisce agli uomini, ma agli altri più sagaci animali, nel che consiste la lor vita; perciò che gli uccelli dell’ estate per i troppo tardii o prima- DI ticci freddi si muoiono, e quelli dell'inverno il troppo caldo gli uccide; e questo non solo si rimostra per i chiari esperimenti della villa, perchè pare che a certi tempi ordinarii sentino un certo che di sopra dalle stelle che gli com- muove muta distempra e contempra, o negli spiriti o nel capo o ne’ nervi o nello stomaco : e come dice Proclo, certo ravvolgimento del mondo è la causa della fertilità e della steri- lità. Nulladimeno la chiara oscurità delle cose che Ì apporta, la convessità e concavità del mondo e la differenza del globo della terra, nascendo et aprendosi una medesima stella non in un tempo medesimo a tutte le genti abita- trici del mondo, fa che le cause d’ essa non in ogni luogo vaglino a un istesso tempo, ora stracorrendo, or venendo dopo; sì che il più delle volte più tardi, un’ altra volta più presto, gli effetti del cielo e le significazioni del tempo a venire caschino in terra; sì che quando è passato il tempo tristo e già ritornato sereno il cielo, s intende già aver fatto la stella. Oltre a che per i sopraccrescimenti dei moti loro e dei cieli, non bene stati osservati, di continuo ricorrono; e per questo, stracorsi e trapas- sati innanzi, fanno in ciò oscurare la cognizione e differenziare da noi, da quello che era mille cinquecento o duemila anni a dietro, le nascite e l numero de’ lor movimenti; e per questo le cause et i loro effetti si mutano. Et avviene ancora, che, aggiungendo del dì e della notte £ (olo) gh intercalari ('), non si possi mettere il tempo (!) darales. 52 certo della levata delle stelle e loro ir sotto o altro. E l averlo ancora osservato gli autori in diversi luoghi e nelle medesime cose varia- mente scrivendone, è di questo cagione. È furono parimente tre sette di questi, Caldea, Egizia e (Greca, che secondo questi faccian professione, la medesima stella nascere et andar sotto diversamente in Egitto, altramente in Assiria, in altra maniera in Attica, im altra varia in Beozia. A questi aggiunse la quarta Cesare Iulio, addirizzando gli anni al corso del sole. Ma, come si sia ita che la sia andata, la nascita delle stelle et il loro andar sotto s' in- tende in due modi: perciocchè le stelle, o so- pravvenendo il sole s° occultano e finiscono d’esser vedute, o veramente partendosi egli si fanno innanzi et appariscono, ond’ è che la consuetudine avrebbe detto meglio nascita che occaso, e quello ascondimento che è occaso, nascita. In altra maniera, in quel dì che elle cominciano ad apparire o che elle mancano, andando sotto o levandosi il sole, sì chiamano vespertine o mattutine, secondo che l'una 0 l’altra di loro avviene la mattina o nel crepu- scolo, sendo che i dodranti delle ore un minimo che desiderano di quelli intervalli innanzi al levar del sole o dopo che egli è ito sotto, perchè si possim discernere; e massime che ogni ora si divide in sessanta minuti et ogni minuto in sessanta secondi et ognuno di questi in sessanta punti o momenti ; oltre a di questo, alcune due volte e nascono e van sotto. Al- cune altre in tre maniere l han distinte, di- cendo che primieramente la nascita sia un’ abi 55 tudine quando la stella è sotto i razzi del sole, e subito dopo il levar del sole naschi ; I altra, quando la stella e ’1 sole s° accozzano a nascere insieme ad un tempo; il terzo, quando la stella, uscendo dei razzi del sole, prima d’ esso vien fuori. Dell’andar sotto ancora sono tre modi : il primo quando dopo il levar del sole le stelle van sotto; l’altro quando il sole e la stella di pari si corcano nell’ orizzonte, questo in occi- dente, quella in oriente ; il terzo, quando dopo l essere ite le stelle sotto, nasce il sole. E quattro altre abitudini di nascimenti e di andar sotto hanno posto fuor delle dette, le quali non accade qui dire. Basta solo trattare di quelle che son necessarie alla coltivazione degli arbori e delle piante; e gli occasi ultimi, quando sia che gli avvenghino e finischino, e le prime nascite; e di non tante ancora, che le tutte che s hanno in cognizione pongono essere mille ventidue, lasciando andare i calcoli dì per dì dei loro orti et occasi agli astrologi, ma di certe e di quelle solo la cui notizia s' appartiene a chi pianta semina et innesta. Imperciò cominciero da quella la cui forza e potere et effetto pare che più si senta in terra d’ogni altra; et è il Cane, nella cui nascita accadendo l' interlunio, perchè è pieno (') di va- pore, gli acini si concuocono in caldo. Columella vuole che naschi ai ventisei di luglio e che vadi sotto in calen di decembre nella nascita del sole, perciò che prima convien che preceda Procione, come Cicerone anticamente lo domanda, che (1) constat. Di Canicola o Maggior Cane si chiama. Nulladimeno Plinio pone che naschi entrando il sole nella prima parte del Lione, il quale è quindici dì innanzi a calen d’ agosto. All orizzonte di To- . scana nasce a’ ventun di luglio. Ha il Cane Mag- giore in bocca una fulgentissima stella, la quale solo si chiama talora, per tutta la composizione della stella del Cane, Cane; alcuni la chiaman Sirio, che vuol dire secco et ardente, altri dal calor della fiamma, perchè risplenda più d’ogni altra stella, altri a oe040, che allora gli animali, e massime i cani, stiano a bocca aperta per il gran caldo. E Servio dice che ella nasce oct.° kal. jul., Galeno ai diciannove di luglio, altri vî al. aug.“, in Francia a Lione in calen di luglio. Iginio dice il Cane essere nella lingua, il Sirio nel capo; Basso per contrario quello che è nel capo dice /s:s, quel della lingua ,Sîr%0; Galeno aopo Arato lo colloca nella mascella. La stella è di per se veemente; alla quale non è minor venerazione che alle stelle transite in dii: accende il terreno et è in gran parte causa del gran caldo. Innanzi al nascer dell’ Aquila non par che la ragion della natura comporti che sia nel seminati alcuna speranza certa: e se gli accaggia interlunio, tutti i frutti primaticci e quelli d'inverno ne resteranno offesi. L’ Arturo è una stella collocata nel*segno di Boote, dopo la coda dell Orsa maggiore: che così suona il greco, coda dell’ orsa. Nasce intorno a mezzo settembre, xv kal. oct., dopo cinquanta dì dalla Canicola; 4 kal. nov., da sera, manca. Sotto il suo nascere di già insta il verno e l’ulive acquistan d'olio o sugo. Sept.»° kal. nov. la fronte Dì) della Nepa nasce, et ai tredici di marzo comincia a lr sotto; e pridie non. maias van sotto mezze le Vergilie. Verso i frutti della terra ottengono il principato; così dette, perchè nel loro nasci- mento finisce la primavera e sì comincia l'estate ; la forza di queste vale assai a maturare i frutti. È la sua una notabil caterva di stelle, onde i Greci le dicon Pleiadi, che suona pur assai; sette sono di numero nella coda del Toro, dette dzò tod zÀ:v, chè nel lor nascimento sia il primo buon tempo della navigazione; altri dal numero plurale; e si chiamano Atlanti, come figlie poste d’ Atlante. Nascono circa quinto id. maias; a Columella oct. kal. oct.; nelle kal. d’ aprile nel colmo della notte tramontano, et alli ventitre d’ aprile nascono co 1 sole, et alli ventiquattro d’ ottobre insieme co ’1 nascer del sole tramon- tano; e quando si nascondono, allora comincia il verno; in Lione z% et iii kul. nov. co 1 nascer del sole van sotto. I Capretti ai xxviij d'aprile (iii kal. maias) nascono, e vanno sotto in calen di gennaio; dopo il levarsi loro seguono le pioggie. La Saetta oct.r° kal. matri nel crepuscolo è il suo cominciamento di nascere; tutta esce fuori da mattina vj kal. decemb.; ai tredici di febbraio da mattino va sotto; grandemente allora è il verno valoroso. L’ Aquila dii nov. jun. nasce, e prid. non. aug. si nasconde, e di nuovo vi kal. del mese medesimo rinasce, e 27) kal. va sotto; vii id. decembr. di nuovo nasce da mattina. Orione, così detto perchè a suo tempo il verno nasce, che i mari e le terre continuano con le tempeste, da dov che vuol dire ancor turbare. Dicesi jugula, come sia maggiore dell’altre stelle, 56 come la noce delli altri frutti che con il guscio sono; il suo capo ha quattro stelle, delle quali due chiare, che sono per le spalle denominate: ui kal. junii nasce da mattino; ai dieci di luglio viene su con la sua scimitarra: di) @d. nov. tutta questa va sotto; e nascendo lo Scor- pione [manca] Orione, il che accompagna la favola, che di morsicatura di scorpione esso si morisse. Questa stella per la sua grandezza dure a nascere molti dì; e però ancora appresso i dotti è incerta la sua nascita. Il primo dì di gennaio nasce il Delfino; ai trenta d’ aprile insieme col nascere del sole nascono le Succole. E così la nascita di molte altre stelle può essere osservata dal contadini, che con certi loro con- trassegni osservandola, può servir poi a fargli più solleciti nel rammemorargli 1’ opere loro, come che senza questo per i presagli delle cose naturali cognoscere i tempi. [ Conciossiachè |] Messer Gesù Cristo lasciasse la vera astrologia nell’ erbe per la cognizione del tempo, et indizii certi e chiari dell’ ore; come che sì vede 1’ elio- tropio et il lupino volgersi co ’1 sole, da mattino guardando il [suo] nascimento ; e quando sì parte di mattino lo seguono, che ad ogni ora cammi- nano voltando con esso, potendosi da questo comprendere ogni minima parte del dì. Il nar- cisso fiorisce tre volte, con il che disegna i tre tempi dell’ arare, come fa il lentisco. E Nostro Signore istesso dice essere l'estate, quando allora sia tenero il ramo del fico et abbi fuori gittato gli occhi. Tiene il vulgo, come di sopra si disse, che "1 dì del solstizio e della bruma le foglie degli ulivi pioppi salci e tigli, benchè venghi >iiiNivi vv DJ talora, come si disse degli ulivi, dalla gagliardia o debolezza delle foglie, benchè in quel tempo non pare possa essere che sieno così gagliarde, che alcune caschino si secchino o voltino all'insù, abbondantemente fiorendo i lecci e le quercie, dicono dover essere il verno lungo. Il pipistrello, quando parimente di primavera appare, dà se- gnale d’ essa. Le lamquitide, dette le cincinpo- tole, sentendosi per i campi, dimostrano la pri- mavera. Il lusignuolo et altri uccelli di canto fanno il medesimo. Quando gli uccelli [che] ven- gono di paesi freddi a svernare nei più tempe- rati nostri e caldi, come grughe quaglie tordi e simili, vengono di buon’ ora, è segno che sarà il verno tardi; e quando se ne partono tardi, è segnale dovere essere caldo. Quando gli uccelli che vengono di paesi caldi a godere nei freddi la primavera, come sono le tortole coturnici e rondini, [tardano], è segno che farà tempo freddo o almeno fresco. [A questo punto nel codice sequono sette pagine bianche, che sono la carta 27 verso e le carte 28, 29, 350. Riprende il testo a car. 31 recto]. 58 (Questo così brevemente qualificato aere, sì.... sotto il convesso dei cieli, viene purificato ben custodito servito preparato disposto ben ordi- nato rinvigorito e rettificato dai venti; i quali preparamenti sono il suo moto flusso o marea, procedente e causato da esalazione calda e secca, ora in quà et ora in là intorno alla terra mossa; la quale esalazione, tirata in alto dalla freddezza della seconda regione dell’ aere, è gettata e cac- ciata al basso, non potendo al certo per la sua gravezza troppo poggiare in altezza. Onde, se- condo che si truova "1 sole, o che la materia in alcuna parte è molta, da questa spira il vento. Il fine dei venti è commuovere l’acqua e l’ aere, affinchè luna e l’altra, per la pigrizia e torpi- dezza sua, stando talora in molti lati salde ferme quiete senza muoversi, non sì putrefaccino e corrompino, ma agitate e mosse sì conservino, siccome per il naturale flusso e reflusso 1’ istesso mare, che di più travagliandosi dai venti in violento moto, tanto più vien netto purificato e da conservarsi, dibattendosi l una onda e l’altra, et il minor spazio di tempo standosi in calma. A questo s'aggiugne per maggior sal- vezza la salsedine, causata dai razzi del sole che l’attraggono della terra salsa da se stessa, per il corpo dell’ acque, nelle quali ella in passando resta e si mantiene, continuamente operando il sole d’adunarla con quelle. E non manca chi creda che il vento, tanto quello che si truova dentro la terra ascoso, come quello che uscito all’ aere aperto liberamente spira, non sia altro che uno molto sforzo e copia di vapore, e che si generi ogni volta che ’1 calore interno della 59 terra e che il fuoco occulto brucia la terra, bagnata et umettata d’acqua. Gli astrologi ten- gono che l’aere venghi agitato e mosso dalla non pari potenza e forza delle stelle erranti; e che allora è furia di venti, quando (Giove si truova con la luna o con Mercurio in opposito o in quadrato aspetto; o pur che Mercurio e Marte in questi aspetti si trovino, o quando amendue questi pianeti sì truovino l uno nella casa dell’ altro, massime in Gemini e Libra in Aquario, e quando la luna e Giove si truovino in Ariete et in Scorpione; e più la luna, quando con ugual possa con Mercurio si congiunge. Stimano ancora alcuni che i venti siano un’ onda d’ aere con una certa abbondanza di moto, cau- sata quando il fervore del caldo muta l'umore; e l’impeto del fervore esprime la forza e virtù del [fiato] spirante, quasi che non sia altro il vento che aere mosso e sospinto, parte dalla sua virtù et agilità, e parte da molte altre onde d’aere, lateralmente mosse e sospinte sopra la terra. E siccome i fiumi nell’ origine dei loro primi principii son piccoli, dopo ricevendo molte altre condotte d’acqua crescono, somigliante- mente i venti nei lor nascimenti son rimessi e contornati, nascendo intorno ai confini del nostro orizzonte, dipoi in discostandosi a poco a poco, et approssimandosi loro nuove esalazioni e fumi. dell’ aere dalla terra e dall’ acque sva- poranti sopra le quali passano, si fanno assai più gagliardi e maggiori; e perchè la terra è rotonda e diseguale, avviene spesso che ’1 vento soffiando in un luogo, nell’ altro non spiri. Et essendo il lato de’ venti l’ inferiore regione del- 60 l’aere, facilmente vengono a spezzarsi dai monti e dalle selve, onde più liberi se ne vanno per le pianure immense della campagna del mare e delle gran finmane e smisurati laghi e paludi. Talora si rintuzzano e perdono la lena per il difetto di calore che apre i pori della terra, come in un verno agghiacciatissimo, quando il gran gelo strigne e riserra i pori e meati della terra, e per consequente taglia la via al fumi e vapori, che per altro esalerebbero; per il che allora et in minor numero e più quieti sorgono 1 venti e manco umidi, come Borea. Talvolta un intenso caldo e combustivo consuma le esa- lazioni e così leva e tempera i venti come in una estate serena e calda; sì come con caldo mezzano, mentre risolve et apre i pori della terra, tira con seco di molta materia dei venti; e ciò suole avvenire nella primavera e nel- l'autunno. La pioggia ancora qualche volta. frena i venti per accidente, quando ella riempie i pori della terra in modo che l’ esalazioni non possono riuscire, 0 vero quando ancora essa corrompe co 1 troppo umor suo i fumi secchi. Talora per contra la pioggia provoca desta e fa risentire i venti, quando la terra troppo secca dianzi non potendo esalare, poi per l u- mettazione piovosa avendo aperti i pori, manda fuori un’altra volta le esalazioni, per le quali s' accrescono 1 venti. La secca esalazione risoluta dai pori della terra incontrandosi nell’ alzarsi coi vapori grossi e freddi che si raggirano nella seconda regione dell’ aere, ne viene per maniera ripercossa che declina a terra, nè ha per rincontro dell’ avversario dei vapori la sa- 61 lita spacciata e libera: perciò lateralmente o per traverso o per fianco per forza di contro- perazione sì muove. Per il che avviene che nasce grand’ impeto e moto, quando nell’ aere è eran copia di materia et esalazioni; il quale impeto e moto e rinforzamento è del vento, quasi che di quà e di là e da ogni banda venghi dal- l’orizzonte. Per il che a ciaschedun angolo dei quattro del mondo è stato dagli antichi attri- buito un vento e poi i collaterali sin a dodici; ma 1 principali sono quattro, e quattro collate- rali. I principali sono questi venti: da levante caldo e secco, da ponente freddo et umido; i collaterali, Greco, Maestro, Scirocco e Garbino. Nascono i principali dalle quattro stagioni dell’ anno, secondo la posizion del sole in essi segni, come anche si vede regnare i venti, o più freddo che non spirando, e nel caldo ancora più fresco: ciò non procede dai venti, essendo essi esalazione calda e secca, ma bene dai vapori caldi et umidi con essi mescolati; causano bene talvolta pioggia, come s’ è detto, et alle volte sole, e talora gl’istessi la fan cessare. Si vede alle volte appresso la luna un cerchio tondo e bianco tutto all’intorno di essa, causato et ancora egli da vapori; il quale apparendo, significa 0 vento o pioggia: il simile segue al sole. 1 esa- lazione calda e secca, con vapor caldo et umido, accesa alla mezza region dell’ aere, fa i tuoni; e senza fiamma restando, fa i turbini dei venti. Ma i quattro principali hanno le lor sedie me- desimamente principali, come Aquilone dalla parte di tramontana, da mezzogiorno Austro posto per linea retta a rincontro di quello, e 62 l Eoo da oriente, a rincontro dell’ Occiduo da occidente; e di tutti il più nocivo è l’ Austro, il più salubre è l’Aquilone, il quale fa la cotica morbida, buon colore e carnoso; Il Austro induce lassezza, et aprendo i pori gli prepara a corru- zione di febbre, sì come secca et asciuga i pol- moni et offusca 1 corpi, e fa in tutto effetto con- trario all’ umido. Dei venti orientali uno è detto Subsolano dai Latini, dai Greci Apeliote, che tanto è a dire come che soffi dalla via del sole e dell’ intersecar del nascimento solare equino- ziale; et è d’essi il più principale, a chi s' aserive ogni cosa temperata, e che mezzanamente si sta, secondo l’ essere delle stagioni e del paese e del presente stato dell’anno; è soave puro sottile sano, massime la mattina, per nascer sotto i razzi del sole, privo d'ogni cattiva velenosa e nocevol qualità; imperciò è connumerato tra gli altri principali, Austro, Aquilone e Favonio. Da dove nasce il sole di primavera o dall’ equi- nozio di mezzodì viene l Austro; dalla banda di tramontana e dall’ occaso equinoziale soffia Favonio; dall’ oriente di primavera tira 1 Subso- lano, e dal termine che va sotto "1 sole di estate e del solstizio 1’ Aquilone. Gli altri sono aderenti sin a otto, o vogliamo dire collaterali, poiché ciascheduno di quelli è in mezzo posto a due di questi altri; e quello è detto, da dove il sole nasce d'inverno, Volturno. E siccome i venti orientali con il lor principale son tre, così sono altrettanti gli occidentali opposti ai predetti e contrarii, Cauro, Favonio et Affrico; e 1 equi- noziale oriente e l’equinoziale occidente, l'oriente di estate e l’occidente d'inverno e l’estivo occi- 63 dente; così mezzodì e settentrione fra loro per linea retta tirando di diametro differente. Il Cauro soffia per contra a Aquilone, Favonio contro all’ Kuro, Il Africo contro a Vulturno, Borea contro a Libonoto, al Tracio il Fenice, Cecia contro a Libo che è fra Libonoto e ’l Coro; Favonio è per opposito al Subsolano, Set- tentrione contro al Noto. Alcuni per contrario hanno posto Argeste a Favonio, altri contro a questo Euro; Cecia si pone mezzo fra Aquilone e la nascita del sole equinoziale e l andar sotto solstiziale, tra 1 mezzo di nascer della bruma, Fenice fra l Austro e Vulturno, Tracio in quel mezzo tra settentrione e l andar sotto il sole per il solstizio ; et il Libonoto fra l' andar sotto il sole d'inverno e ‘1 mezzodì. All’ Austro s° ag- giungono il Leuconoto cioè, Bianco Noto, Altano o Altino, quasi che dal mar soffi zeffiro marino; a tal che si sta in mezzo di Euro Austro e di Affrico Austro. Hanno i venti adunque sortiti nomi diversi; et in varil paesi variano i nomi, nè appo tutti st chiamano in tal modo; il Subsolano dai navi- ganti è detto Levante, perchè da dove il Sol si leva, come s'è detto, spira; et Euro è detto quasi percosso dall’ aura e quasi che "1 suo fiato spiri da oriente come fa d'inverno, e dall’ aura che fresca di estate reca la marina; Tifone o Tifonico o Euro Aquilo, chiamato Nautico da’ Ro- mani, da altri pur Vulturno, dai Greci Euro Noto; Favonio è dai naviganti detto Ponente, perché egli favorisce ogni cosa e fomenta; Zoifiro detto da’ Greci perchè porti la vita, e così Zeffiro, come che egli addolcisca il cielo d’ inverno, e (4 Chelidonio et Ortigio dal primo volare che si vede delle rondini e coturnici. L’' Austro dal- l’attignere l acqua inferisce il detto latino, dai Greci detto Noto dall’ umidità che fa, e Libo che vien da Libia; e così Affrico, chè è | Affrica detta Libia, e Settentrione perchè da questo spira, e dai Greci ardozzos | da dozros ] che così chiamano l Orsa, avanti la quale è la tramon- tana, da donde ‘ei viene. Alcuni il Settentrione chiaman Borea, come che venghi tirando da alto, o come il volo dell’aquila impetuoso; et in greco suona che muova con strepito. Chia- masi l Austro da alcuni Maestro; et alcuni questo lo fan differente da Borea. Coro o ver Cauro, Acer, Argeste, altri Japige, perchè a quelli che vanno in Egitto spira da Japigio promon- torio d'Italia; alcuni lo ritraggono, non però in ‘quà, da Cecia; nè tira per tutto, et è particolare d’ Atene. Cecia è senza nome a noi, da alcuni pur detto Siro o Olimpio o Fenicio; dai Greci è chiamato Ellespontio, benchè di Ellesponto si porti in Grecia; a quelli che stanno in Ponto, Berecintio; da alcuni Carbeso, perchè spira da’ Carbani popoli di Fenicia, e da una greca voce che inferisce turbare. Il Libonoto è detto perchè soffia fra Noto e Libo; questo dicono che sia il Circeo, in Spagna chiamato (Gallico, perchè a loro vien di Francia, Trascio detto dai Greci dal franger l’ombre; i Latini l'addoman- dano Franzese o Provenzale; et è quello da chi vien tanto incomodato il paese d’ Avignone, la Liguria e la Toscana; all’ opposto del quale piantar arbori o viti o giardini sl giudica poca avvertenza, e pigliarlo obliquo attraverso alle 65 piante è saggia accortezza. E sono alcune con- trade ove possono tanto i venti, che sbattendo l primi fiori ai frutti non li rattengono, come in Sicilia per il più, et in altri luoghi come Avignone, da Borea infestatissimi, ove gli rompe e spezza o piega, se non sieno a ridosso di val- late o monti, per il che non si sentino; benchè in quelli ancora ove non può vento alcuno e v'è sempre ombra o poco manca, come negli acquosi o bassi, dove fioriscono più per tempo gli arbori; e seguendo poi i freddi, non gli con- ducono e forniscono. A tal che tutti gli estremi e dell’ aere e del vento e di ogni cosa s' hanno sempre a fuggire. Nè sono da piantarsi tutti gli alberi fruttiferi, massime i serotini, nei luoghi altissimi, nè tutti nelle basse et affogate valli ; onde osservinsi bene i siti, e sappiasi che, se saranno esposti all’ Austro che spesso vi dia dentro, se ne andranno i fiori. Ma tutti tutte le piante appruovano che si godino dell’Aquilone, e maggiormente quelle che ricercano il sole caldo et ardente, perciocchè col suo spirare fatte liete, si verranno conducendo ben le messe et i fiori et i frutti al tempo loro; sendochè i freddi di buon’ora conferiscono assai a confermare e stabilire gli arbori a fruttificare, mettendo ottimamente e facendo i frutti più odorati et in quantità, senz’ altro aiuto di capri- ficazione, come nei luoghi magri, ove muovono acconciamente; benchè per loro sempre son buoni i siti volti alla nascita del sole, bene a caldìo nelle radici dei monti, pianure 0 costa 0 colle che non troppo s’' alzi, ove batta 1 Aqui- lone e poco l’ Austro, siccome in particolare per ) 66 gli uliveti siano [| migliori] a Favonio verso il sole. E questo suol cominciare a tirare quando il sole è nella ventesima parte d’ Aquario, che viene a essere, secondo alcuni, ai sette di feb- braio, ma non arriva talora .per tutto; è di natura tiepido, e, come s è detto, rammorbidisce l’aere in mezzo inverno. Il Subsolano suol comin- ciare a muoversi quando sono dopo sei dì nate le Vergilie, sendo 1l sole nella sesta parte del Tauro, un poco innanzi ai diciannove di maggio, con poca forza da prima; et è piovigginoso, ma più asciutto del Favonio; quando egli nasce co ’1 sole, pigliando forza avanti il giorno, scac- ciando i nugoli, consuma l umore dell’ aere; e, se nato il sole, durerà di tirare, seguirà ancora il giorno appresso. L' Austro si tiene che sia freddo di sua natura, ma perchè passa per il caldo della zona torrida, comincia freddo e finisce caldo, perciò che nè la ragione né la natura comporterebbero che da due lati prin- cipali del cielo, tocchi dal freddo ugualmente, uscissero due venti dissimili; e se ‘1 sito dei luoghi o paesi non lo vieta, sì tiene per caldo et umido; altri nebbioso lo tengono; alcuni lo chiamano il pincerna della pioggia. Non si muove da principio veementemente, ma legger- mente; disfà I aere, ingrossa 1 udito, dà gra- vezza alla testa, abbarbaglia et appanna la ve- duta, intenebra i corpi e gli relassa e risolve; di chiaro: fa torbido, di freddo caldo e di secco umido; e tutti gli animali men sentono la fame. I vasi del vino così in casa come altrove sì com- muovono, differenziandosi dall’ esser loro; e tutto che sì genera, nel che sia qualche parte d’ umido, lin 67 sì solleva tirando l’ Austro, sì come tutto si fa facile a putrefare e marcire; e la terra, rigon- fiando da una occulta rugiada o umidità, dà indizio dell’ Austro. L’ Aquilone a questo è con- trario, detto la scopa delle strade, perchè sof- fiando l’ asciuga, e spazza e netta ogni umida lordura; è secco e freddo e rasserena Il’ aere, e sofiando opera che tutte le cose che non sono putride e marcie abbino a durare assai; come buone allora e da bersi son l’ acque, che [per] l Austro intorbidano e si fanno amare. Final- mente egli è il più salutifero di tutti; e la terra, di subito fatta secca, dà indizio espresso di lui, che sendo da settentrione è freddo e secco come tutti gli altri che vengono da quella parte; et è nevoso, da fuggire, perchè con la sua freddezza restrigne. Freddo e secco è il Coro, ma con modo, così a chi va et a chi viene commune. Ambedue sono di tempeste apportatori. Umido è l' Affrico e spira rovinoso e con furia. Vulturno è tiepido, e se da serena parte del cielo cominci il muo- versi, non durerà sino a notte. Uecia così deli- cato e lento soffia, che non scaccia troppo lon- tane le nebbie, anzi le tira a se, contro la natura degli altri venti che via le spingono; suol tirare nelle prime nascite del sole dell’ estate; addol- cisce in mezzo a esse Il cielo come umido. Chia- mansi i venti Etesie, altri Trascia, se tirasse Argeste e Trascia; e fan quelli la neve e ’l ghiaccio. Dei venti durano quelli che son più caldi al sentirsi, e che dal nascer del sole e da dove [sono] con esso spuntano: e il quarto dì della nuova luna dà grande indizio dei venti e gli discerne. I Prodromi, Aquilone e l' Etesie, 65 soffiano otto dì avanti al nascer della Canicola ai dodici di luglio; altri alle zx ka/end. d'Agosto si sentono in Italia; onde sono detti Prodromi et è precursori; fan sonnolenza ai marinari e facendogli delicati non par che si possin muo- vere la mattina. L’' Etesie accanto a Favonio spirano, nata la Canicola di due dì, per qua- ranta giorni; finiscono di notte e cominciano al sole alto ne V aere; variano bene il soffiare secondo i paesi, perciò che in Spagna et Affrica tirano da oriente, in Ponto da Aquilone, nel- l'altre parti da mezzodì; e son così chiamate da che soffiano a certo tempo dell’ anno, fre- quenti e peculiari della provincia di Nerbona, come che non arrivino sino a Vienna; a Tabula (') in Puglia caldissime ; e particolarmente in Eubea, solamente 1 Olimpio. I venti orientali son migliori degli occiden- tali, e questi talora sono di quelli più umidi, passando più spazio di mare; e similmente pas- sando i meridionali da Tracia in Inghilterra, mantengono la lor natura in quel paese fred- dissimo, distruggendo le nevi e ’1 ghiaccio al mezzo dell’ inverno, recandovi tepor d’ aere caldo, sì che ai maggior geli vi rinvigorisce verde tenera et alta I’ erba, causato ancora dal ribollimento naturale del gesso bianco, che per tutto quel terreno dell’ isola sì ritruova un braccio sotto, che co ‘1 suo caldo fa dalle radici (1) L’ ediz. fiorentina dei marinari ha fatto i manzi, e del Tavoliere delle Puglie ha fatto il vento Atabulo. Ho notato partico- larmente fra i moltissimi questi due errori, perchè sono dei più madornali. Tron 69 pullulare quello che sopra vi è. Et avviene alcuna volta per tutto andare un vento con- trario nell’ alto dell’ aere, et un altro all’ oppo- sito di quello nell’ aere più basso e più accosto alla terra; et alcuna volta si confrontano, sendo nell’ alto e nel basso d’ una medesima maniera ; il che si cognosce quando le nugole camminano tutte per un verso, e l’altro quando vanno a contrario l une dell’ altre; e procede dalle diverse regioni che s’ assegnano nell’ aere, non che questo sia, che è più basso, altro aere del più alto, onde facciano la mossa i contrarii 0 uguali venti; e sogliono essere in quelle con- trarietà, siccome cattivissimo navigare, gran- dissime tempeste di bufere e burrasche di tempi. I venti orientali o levantini hanno più copiosa materia degli altri et i fiati più gagliardi degli occidentali o ponentini, perciocchè la materia compressa dalla freddura della notte, nella nascita del sole s' assottiglia e si fa più acconcia al moto et all’impeto; e però sono tutti salubri e vitali, et anche perchè riescono da luogo et aere sereno temprato e sottile, onde da molti son chiamati sereni o serenatori; ond’ è che i più periti architetti e prudenti [sogliono] aprire alcune finestre verso levante, per pigliare aere sano purgato et incorrotto. E soffiando Euro, sogliono apparire le cose maggiori dell’ usato, perchè raguna le nugole et è vaporoso, onde avviene che renda agli occhi nostri la immagine della qualità e colore de’ corpi. E Zeffiro che spira dall’ occidentale spazio dell’ equinozio, è molto ‘somigliante della primavera; nel qual tempo regna più gagliardamente che in altro, (0) risolvendo il maninconoso e freddo verno, le nevi le brinate e i ghiacci; e per essere tiepido e temperato produce con le temperate qualità sue l’erbe i fiori e le frondi; detto Favonio dal favorire o fovere o fomentare, al suo spirare andando ogni spezie d’animali in amore; et i poeti favoleggiarono però delle cavalle impre- gnanti a questo vento. Sono tutti 1 venti occidentali freddi anzi che no, e sono più salubri la sera e più tempe- ‘ati, perché sono più purgati dal sole che la mattina; e gli orientali all’ opposito. I venti contrari e per diametro opposti, di raro o non mai s' odono soffiare insieme, perchè il più ga- gliardo fa violenza et abbatte il più debole e lo fa restare, confonde e toglie il suo vigore. Appresso gli antichi fu tenuto più salutevole e felice il pascer le greggi l'estate sino al me- riggio con il favore di Zeffiro, e dopo con quello del Subsolano; et all’ opposito tennero il soffiar loro nocivo, siccome per chiaro 1 esperienza rimostra. Zeffiro nella primavera, al qual tempo sogliono venir le rondini, onde acquista poi nome di Chelidonio e nell’ autunno quando si partono da noi, levandosi Espero, suole spuntare non molto lontano da terra e basso ; ond’ avviene che i cani allora sieno da lui impediti e nelle caccie non sentano bene a naso le riposte fiere; perchè questo vento, per essere continuatissimo e rader la terra molto, confonde l' odorato et il gusto. Zeffiro o Favonio, perchè è temperato, e perchè spesso dopo il cattivo tempo spira rimenandone il buono, et ha la temperie del- l’aere, perciò ha gran conformità con esso lui ra! e convenienza; e come non lo contrasta, così in guisa niuna contrasta 1 frutti della terra, per il che si dice dal greco, come sì disse, portatore dello spirito e della vita; e come che spirando questo felice e soave, la terra ristretta dal freddo dell’ inverno si dilata et apre, e tutte le piante germogliano, mandando fuori gli occhi e le messe loro. E Plinio dice che le cose vegetabili che spuntano dalla terra per brio si maritano, onde chiama spesso Zeffiro spirito genitale del mondo; e Catone comandò espressamente che gli oliveti dovessino essere volti verso Zeffiro. (Questo vento dà cominciamento alla lieta sta- gione della primavera, apre le terre che per lui principiano a fiatare uno spirito saluberrimo con il suo moderato freddo e tiepidezza; esso dà il tempo comodo a potar le viti, di potar gli arbori et insetar le piante e procurare ghi ulivi; et è allume di tutti i germogli della terra. I venti meridionali sono a noi anzi caldi che no; et il lor principale, Austro detto Noto, umidissimo fulminante e pestifero. Dei suoi col- laterali uno che mira verso l occaso detto Austro Affrico e Libonoto, detto dai Greci pio- voso, e che viene alcuna volta con tuoni; e così ancora detto, perchè da due lati sia giunto con Austro e con Affrico, che vale l istesso che Noto libico. Dalla banda orientale soffia l’altro colla- terale detto Euro Austro o secondo i Greci Fe- nicio; vento caldo et umido, che da un lato ha Euro e dall’ altro Austro. Secondo Aristotile tutti tre questi venti, Ostro, Euro Ostro e Libo- noto son caldi, ma l’ Ostro è sopra tutti gli altri nocivo e pestilente; il Libonoto più umido che 72 ‘aldo; ma in ciò si deve sempre aver risguardo ai luoghi et al cielo sotto cui viviamo, perchè da calde e combuste contrade per mezzo del mare Mediterraneo (onde nascono tiran molti vapori) vengono verso le parti settentrionali e sono loro a rimpetto, perciò non recan seco che umidità. I venti settentrionali fanno il contrario per la propria e peculiare natura dei luoghi onde spirano; la qual ragione starà in contrario in un’altra constituzione e sito del cielo verso la terra. I venti meridionali di tutti gli altri sono men salutiferi a noi, per ciò che sono fau- tori et autori d’ umidezza e putrefazione; per la qual cagione nè cantine nè granai nè camere nè librerie nè dispense nè cucine a loro giammai son da essere aperte. L'Austro, o Ostro che chia- miamo, sofia da luoghi simili a quelli, onde spira Aquilone; perchè se ne viene dal polo antartico, detto austrino, e turba tutti quei luoghi prossimi ai poli di nevi gelo e ghiaccio; quando poi questo vento passa per lo cammino del sole e per meriggio, asciugato dal calore di quello si fa acido; onde necessariamente caldo e secco vien nella Grecia, e tutti 1 suoi contorni scalda e disecca; per il che quelle cose che quivi nascono, quasi si seccano, e gli uomini similmente all’ improvviso diventano adusti ; perchè, non potendo pigliare alcuno umore dal mare o fiumi, attrae a se di molto succhio e dagli animali e dai germi della terra. I venti australi o meridionali tanto maggiori e più crudeli burrasche muovono in mare che i set- tentrionali e gli altri, quanto più vengono di luoghi caldi e che recano seco assai vapori, che =.) TO, partoriscon poi pioggie e tempi tristi. Il vento australe, che duri poco e non sia gagliardo, ras- serena l’aere; ma se è fiero e duri molto, lo conturba, massime se verso il fine cresce più che nel cominciare. I venti australi nei luoghi e tempi opportuni son nubilosi e vaporosi; perciò mentiscono spesso, come s'è detto, nel colore e nella grandezza le immagini delle cose che veggiamo, facendole parer maggiori o con- traffatte di colore. Nel soffiar d’ Ostro sì fan nel mare maggiori l’onde che quando soffia Aqui- lone, i cui movimenti come quelli degli altri il sol nascente e tramontante moltiplica e quel di meriggio mitiga, massime nei tempi dell’ estate, come nell’ Oceano gallico si discerne. IL Ostro, quanto sarà maggiore, tanto sarà più umido più piovoso e più durevole; onde, perché nel finire è più feroce che nel cominciare, perciò nel fine versa pioggie ancora maggiori che nel principio. Borea è all’opposito, perchè a poco a poco raccoglie l’ acque. I venti austrini dunque, se lungamente spireranno, n'involeranno l’audito, e recheranno al capo noiosa gravezza, e saranno pigri caliginosi e dissoluti. Le constituzioni de’ tempi austrini umettano i corpi, gli resol- vono e relassano, ingenerando capogirli, nuocono alla vista e fanno le giunture difficili all’ arren- dersi et i nodelli; inimici ai podagrosi, ben lubricano i ventri. Quando spira Ostro, l' espe- rienza dimostra che ogni animale è più torpido e pigro, e men molestato dalla fame; la cagione è perchè ’1 calore del fiato di questo vento, aprendo i pori e meati della cotica, lascia esa- lare e dissolversi insieme con gli spiriti il calor 14 natio, per il quale s' opera la digestione, e le altre facultà naturali ricevono perfezione. È questo difetto può aver luogo ne’ paesi per men caldi, ma non nei nostri, se non nel tempo del ‘aldo dell’ estate; ma, perchè gli Austri che con- tinuano empiono i corpi di superflua umidità e di flemma, possono similmente nei corpi incli- nati e predominati da simili umori produrre tale effetto; et è osservato che gli arbori che son volti ad Ostro più per tempo degli altri perdono le frondi, e che i frutti nel soffiare di questi venti meridionali fanno cattiva uscita nel lor maturarsi, anche che più tosto sì matu- rino [de] gli altri. L' Ostro suole di notte essere più gagliardo e rinforzato che di giorno, perchè l’esalazione sua è di maniera calda, che non può essere superata dal freddo della notte, ma più presto dal proprio calore innalzata si fa più veemente et impetuosa: di giorno dal calor del sole si dirada, e talora vien da lui beuta e consumata; e questa è la cagione per la quale egli non possi con tanta forza soffiare di dì come di notte. Quando Ostro è gagliardo e che dura molto, veggiamo intorno ai lucignoli delle lucerne i funghi e gli archi e giri, i quali appaiono più a coloro che hanno gli occhi appannati et umidi e la vista debole e depra- vata, che agli altri. I venti poi settentrionali son freddi e sec- chi, conducendo freddo e nevi: et il lor prin- cipale è Tramontana, da’ Greci Borea et Apar- ctia detto, perchè, come di sopra si narrò, soffia dall’ Orsa detta da loro Arcto. De’ suoi collate- rali chi volge all’Occaso è detto Circio et Olim- 11) piade, e dai Greci Thrasia e Japige, autori di neve e grandinosi; l’altro che verso oriente si svolge è Aquilone, dai Greci detto Mesis; questo strigne le nugole e senza pioggia agghiaccia l’acqua, molto nocivo ai fiori et a’ frutti et alle vigne che fioriscono. I venti settentrionali sono così da Aristotile descritti: Borea Aquilone e Circio purgano l’ aere e se non son più che freddi serenano particolarmente; Borea è grandinoso, ma nel resto salutevole; Aquilone nevoso e contrario alla putredine. In somma sono tutti freddissimi; ma così assolutamente non si deve determinare dei venti, se non con riguardo dell’ aspetto del cielo e dei paesi. (Questi venti di settentrione si contrappongono al meridionali in questo modo: a Borea si con- trappone Ostro, ad Aquilone Euro Austro, a Circio Libonoto. I venti settentrionali son salu- berrimi, lontani da ogni putrefazione, chè risec- cano et asciugano ogni minima pozzanghera ; ond’ è che le cantine, i granai et i serbatoi delli frutti grani e biade devono esser volti a tra- montana. I venti settentrionali, se sono punto gagliardi, sono molesti e dannosi ai fiori et ai rampolli di messe fresche, et a tutti gli arbori che sono su lo spuntare dei frutti, alle piante ancora tenere e molli, et alle viti quando fiori- scono. I pozzi e le fonti più sotto Borea che sotto Ostro fumano, di che è cagione | antipa- ristasi, con la quale esso dentro raccoglie il caldo, e l Ostro più tosto lo svapora e cava fuori. L' Aquilone, che, perchè è secco e freddo, più tosto consuma agevolmente e distrugge tutte le superfluità del corpo, perciò che il 16 freddo serra e ristrigne la cotica, cava ’1 caldo suo contrario alle più intime parti; il quale, cresciuto poi, risulta più forte e robusto, per essere più unito e raccolto a tutte le naturali operazioni e tutte le altre facultà, che servono a loro e dispensano la vita e ‘1 corpo nostro. Di qui è che i venti per noi il verno e la pri- mavera son caldissimi; ma Borea, quando di notte spira, per lo più non suole passare tre dì; il quale, siccome di giorno diventa più feroce, così di notte diviene più fievole e più fiacco ; che come la terra, che in un subito diviene arida, pronostica Aquilone, così se la si umetta senza pioggia occultante, annunzia Ostro. Se Borea, detto volgarmente Rovaio, dopo una constituzione di tempo umido condotta dall’ 0- stro soffierà, si vedrà tosto scoprire una fie- rissima burrasca; e nel cominciare piccola, a mezzo s' augumenta, in fine si fa talora furio- sissima e terribile. Se tali venti aquilonari vadin durando, generano tosse, difficultà d’ orina, ribrezzo e raccapricciamento, che domandano orrore, doglie di petto e laterali, cispa o lippi- tudine secche, febbri acute, maninconie, distil- lazioni e catarri. Le constituzioni aquilonari condensano constipano e ristringono i corpi rendendogli più atti al moto; ma stiticano i ventri, mordono gli occhi, e se incontrano in petto mal affetto, lo molestano et affliggono assal. Il tempo aquilonare è secco, e però con- ferisce agli umidi per natura, come | austrino al caldi e secchi, curandosi l un contrario con l’altro; come che Borea curi l ingrossate ma- terie. Gli abeti e piante che sono di più ferma l( dura e densa materia, s' allegrano fuor di modo del vento aquilonare, al cui spirare diventano di loro istessi più belli. Le greggie van pa- scendo verso l Aquilone: si ritruova che con- trassero tuttavia mal d’occhi e flusso di ventre; oltre a ciò si vede essere di spediente, a chi vuole d’ armenti fare figliar femmine, farle montare verso il vento di settentrione. Il verno, purchè egli segua a tirare, è utilissimo come asciutto e sano, massime venendo accanto tie- pide pioggie, perchè egli è cosa naturale che gli alberi, spogliati dalle frondi e dall’ aver fruttato esimaniti, abbino fame, e per conse- quente ricevendo l’ opportuna pioggia si nutri- schino; e per ciò rinvigoriti, si può l’anno che segue da loro sperare fertilità grande. Nè si dee, soffiando egli, nè arare, nè innestare, nè tampoco seminare, perchè questo vento troppo serra stringe e stroppia le radici. Tutti 1 venti che da settentrione spirano sono freddissimi, 1 quali, aggiuntovi ancora il vento Cauro, hanno per comune natura il fre- nare gli altri venti et il discacciare le nugole. Umidi sono l Ostro e l' Aftrico, secchi il Cauro et il Vulturno, fuori che quando cessano, che allora tengono dell’umido e del freddo; l Aqui- lone e Tramontana son nevosi, benchè Tramon- tana insieme con Cauro son grandinosi; 1’ Ostro in qualche luogo suole essere caldissimo; tiepidi son Vulturno e Favonio, e più secchi del Subso- lano; et insomma tutti questi venti, che da settentrione et occidente spirano, sono più secchi et asciutti di quelli che soffiano da mezzodì e da oriente; e soprattutto Settentrione è salu- (te, berrimo; nulladimeno ad alcuni paesi è pestilen- tissimo l’Austro; il Subsolano sta di mezzo; Favo- nio alquanto sospetto; ma queste sono osserva- zioni avute da poca circonspezione, e che non pone alcuna limitazione. L° Aquilone, perchè è freddo e secco, offende, quando non piove, non poco i fiori. Circio, similmente freddo e secco, aggira 1 venti et taduna gran neve. Appresso questo non solo è da stimarsi che sl possa trarre la ma- teria dei venti dalla terra, ma dai fiumi dalle nevi e dal mare, perciò che in questi abbonda manco l umido; il quale spirito poi, per la natia sua leggerezza e per la sottigliezza della materia, non possendo passare in nebbia né neve, agevolissimamente passa in vento, sendo che i venti naschino di materia conforme alla pioggia o da contraria; e di qui si coniettura che alcuni di loro menino pioggie, et alcuni il tempo buono e sereno. I venti sono cacciati in COrpo, 0 vero pare il fiato loro materiale è in un certo modo sustanza focosa et agile, che levata in alto per l’intoppo che muove per linea retta non può scendere, ma ben, per essere naturalmente lieve, da traverso lateralmente et obliquamente se ne va errando; o vero, perchè una nuova specie di fumi incontrandola, la costrigne a girare per forza altrove, cioè per fianco. Pochi venti spirano ne caldi grandi e nei gran freddi, perchè nel- l'uno di quei tempi l’esalazione, materia di venti, è consumata dal sole; e nell’ altro la terra ristretta e condensata dal sale non può esalare, come ancora non può l acqua, quando è agghiacciata affatto. Ciaschedun vento può venire in compa- ttt e LR 3 I n FEO EE ETTI LETTA TO Sn "nr 19 gnia di neve e di grandine, di brima di secchezza di gelo di pioggia di tuoni e di quanto a lor segue: il quale turbamento, burrasca, bufera, traversia e mal tempo si chiama. Il Supremo Motore Eterno diede i venti per custodire e mantenere la temperie dell’ aere e della terra, e per condurre e quietare le pioggie e nutri- care i frutti dei seminati e degli alberi; et ancora per evaporare e tenere in esercizio tal- volta 1 aere, perchè ella non si condensi e pu- trefaccia. I venti ai tempi opportuni accrescono molto la freddura; laonde veggiamo nel verno i luoghi più esposti ai venti e battuti da loro essere in un medesimo dì e spazio degli altri più freddi e gelati. Ancora, risplendendo il sole, non molto lontano da terra s'odon talvolta romoreggiare furiosamente 1 venti; perchè gli istessi fiati, a gran pena salutato VT aere, in su la soglia della terra giostrando e concorrendo combattono, o perchè uscendo da contrarii lati del mondo, nell’ affrontarsi su "1 pavimento suo, o di taglio o di punta come animosi soldati sì feriscono. Può procedere ancora che ’1 vapore sta mescolato con una esalazione ventosa, e sparso sopra quella s' abbatta e stringa a vagar di sotto. Intorno all’ ecclissi della luna sogliono gran- demente fioccare i venti: a che s' aggiugne che nell’ uno e nell’ altro equinozio, secondo gli an- tichi, o vento o acqua suole avvenire; tutte volte perciò che nel nascer della Canicola non è piovuto, siccome con un picciol vento si rac- cheta e ferma una gran pioggia, così una pic- cola pioggia arresta un gran vento, perchè son 50 fatti di contrarie materie, e perchè concompa- tiscono insieme. I venti vicini o per obliquo contrari et avversi, ma che non siano per dia- metro contrapposti, posson soffiare insieme, anzi quanto sono più obliqui, tanto maggiori scom- pigli e più crudeli fortune menano. Un vento gagliardo può impedire la generazione e ’1 cader della rugiada, e più e manco, secondo il vario sito de’ paesi et aspetti co ’1 cielo. I monti et i luoghi eccelsi, purchè non passino la prima re- gione dell’ aere, come si ten che sia Olimpo, Atlante, Ato e Pindo, nelle cui sommità la ce- nere posta non si muove, più spesso son trava- gliati dai venti che non i bassi et infimi. È impossibile che i venti che per diametro non [sono] contrapposti in un orizzonte, soffino in- siememente : finchè saranno ugualmente feroci e possenti, l’uno impedirà l altro; se dispari di forze, il più gagliardo abbatterà il più de- bole. Montando il sole sopra l'orizzonte, si è osservato che i venti prendon vigore e lena: quelli poi d'inverno sogliono più impetuosi e forti nascere intorno all’ aurora che intorno alla sera. La pioggia suole talvolta fermare i venti, perchè le sue acque empiono di fuori via i meati della terra, o vero può avvenire perchè con lo smisurato e iImportuno suo umido dissipa e spegne i fumi secchi et aridi che sono materia dei venti. Alcuna volta ancora la piog- gia provoca i venti, quando recrìa intepidisce e conforta la terra arida et essiccata, e che poco o nulla traspira, sì come avviene nel fuoco coperto dalla cenere e nella calce viva, nella quale un poco d’acqua che vi si sparga muove rr —_—_———__—_——’O@——-- i per le braccia quadre del sopraddetto campo; e partendo 1300 e -; per 1600 braccia quadre, che è uno staioro, verranne 4 di staioro, del quale fatto panora e pugnora e braccia, saranno, come di sopra, 9 panora, 9 pu- gnora et un braccio quadro. Egli è un triangolo equicrurio, come il triangolo a. d. c., del quale il lato a. 0. è 100 braccia, et. il lato bd. c. è 120 braccia, et il lato a. c. è 100 braccia. Vo’ sa- 100 Aa pere quante sta- 80 lora a corda NI sarà. E prima è di bisogno tro- 5 120 c vare la perpen- dicolare del detto triangolo, la quale attual- mente non avendo misurato, in questo modo sì a 310 ritruova, prima considerando che la detta per- pendicolare debbe cadere in sul mezzo della basa d. c., conciossiachè a. d. et a. c. sieno posti essere uguali; dipoi considereremo che ella cade in su detta basa ad angoli retti, onde se della multiplicazione dell’ a. d., cioè di 100 vie 100 che fa 10000, trarremo la multiplicazione della metà del &. c., cioè 60 vie 60 che fanno 3600, ci rimarrà 6400 per la multiplicazione della detta perpendicolare in se, cioè della linea a. f. Però dirai qual è quel numero che in se multi- plicato facci 6400. Troverai sarà 80. Adunque la detta perpendicolare sarà 80 braccia. Ora seguitando l’ ordine dell’ antecedente, multipli- cherai 80, cioè la perpendicolare per la metà della basa, cioè per la metà della linea d. €., che è 60 braccia; onde, multiplicato 80 vie 60, fanno 4800. E tante braccia quadre sarà il detto triangolo. E per ridurle a staiora partirai 4800 per 1728, cioè nel suo ripiego, 3 volte in 12; verranne staiora 2, panora 9 e 4 pugnora; e tanto sarà il sopraddetto campo. Egli è un campo diversilatero, come il campo 4a. bd. c., del quale il lato «a. d. è 130 braccia, et il lato bd. c. è 140 braccia, et il lato a. c. è 150 braccia, e la sua perpendicolare è 130 450 120 braccia, cioè la limea a. e. Vo’ sapere quante stalora a corda sarà. b e Multiplicherai come per ea gli antecedenti 120, che è la sua perpendicolare, per la metà della sua A 511 basa, cioè per 70; fanno 8400; e tante braccia quadre è il sopraddetto campo; che volendone far staiora, partirai 8400 per 1728, cioè 3 volte in 12; verranne 4 staiora, 10 panora e quattro pugnora. Possiamo alla medesima notizia pervenire dando solamente noti e’ lati del detto campo, come dicendo : Egli è un campo, [di cui] il primo lato è 130 braccia, il secondo è 140, il terzo è 150 braccia; e vo’ sapere quante staiora a corda sarà; e pongo il detto campo essere come il campo ga. d. c., nel quale 430 150 ho di bisogno protrarre la sua perpendicolare, la quale pongo sia la 6 f È linea «. e., cadente in su la linea d. c. in punto f.; e per aver notizia della sua lunghezza terremo questo modo: mul- tiplicheremo il lato a. d. in se medesimo, cioè 150 vie 180; fanno 16900; e di poi multipliche- remo il lato d. c. in se medesimo, cioè 140 vie 140; fanno 19600; ove raggiunti insieme 16900 et 19600 fanno 36500. Di poi multiplicheremo il lato a. c. in se medesimo, cioè 150 vie 150; fanno 22500; e questo trai di 36500, restano 14000; e questo dobbiamo dividere per il doppio della basa, cioè del doppio della linea 5. c., che sarà 280; vienne 50. Ora debbiamo multiplicare il detto 50 in se medesimo; fanno 2500; e questo debbiamo traere della multiplicazione del primo lato, che multiplicammo in sè medesimo (cioè (e? 312 di 180 vie 130, fanno 16900) la radice, cioè trovato un numero che in se medesimo multi- plicato faccia 14900; sarà 120; e tanto sarà la perpendicolare. Ora, per ridurlo a staiora, prima multiplicheremo la metà di detta perpendico- lare, cioè 60, per la basa, cioè per 140, che fanno similmente 8400 braccia quadre; le quali divise per 1728, cioè tre volte in 12, verranne, come di sopra, 4 staiora, 10 panora, 4 pugnora; e tanto sarà il sopraddetto campo. Abbiamo per insin qui data particolare re- gola a quadrare ogni sorte di campo triango- lare. Ora dimostreremo in che modo ogni figura triangolare di qualunque spezie sia, con una regola sola generale a braccia quadre sì riduca; e prima del triangolo equilatero porremo una regola universale, come sarebbe a dire : Egli è un campo in forma di triangolo equi- latero, che è per ciascheduno verso 80 braccia di panno: vo’ sapere quante staiora a corda sarà. Doviamo accozzare 80 tutte tre le faccie in- 80 sieme, cioè 80 con 80 con 80; fanno 240; e di questo piglia il mezzo FO e che è 120. Ora s'ha a trovare la differenza che è da ciascheduna delle basi per insino al detto 120 che troveremo; sarà per ogni lato 40 braccia. Ora doviamo multiplicare la diffe- renza del primo lato per quella del secondo, cioè 40 vie 40; fanno 1600; et ora multiplica la differenza del terzo lato, cioè 40 vie 1600; a 318 fanno 6400; e questo multiplica per la soprad- detta metà di tutti tre i lati, cioè per 120; fanno 7650000; del quale doviamo pigliare la radice, che sarà radice di 7680000, che puntual- mente per numero non sì truova, ma appressa; sarà 2772; e tante braccia quadre sarà il soprad- detto campo. Delle quali volendo fare istaiora, perchè pigliammo le misure con braccia da panno, partiremo in 1600; vienne uno staloro e 40: E per fare di #7 di staloro, panora, pu- gnora e braccia, multiplicherai 293 vie 12 pa- nora, che è lo staioro, e parti per 400; vienne 8, e rimane 316; il quale multiplicato ancora per 12, per le pugnora, fanno 83792; e questo dividi per 400, vienne 9, e rimane 192; il quale mul- tiplicato per 12, per le braccia quadre, fanno 2304; il quale diviso per 400, diremo ne venga 6. Et aremo fatto che il sopraddetto campo sarà uno staioro, 8 panora, 9 pugnora e sei braccia. Egli è un campo che ha due lati uguali, come il campo a. d. c., del quale il lato a. d. è la0bbraccia; il lato b. c. è 100 braccia, d: et il lato a. c. è 130 braccia. Vo’ sapere, essendo misurato con braccia da panno, quante stalora a cor- 180 130 da sarà. Raccozzati tutti tre i lati insie- me, cioè 180 [e 120] e 100, fanno 360; e di questo piglia il a mezzo che è 180. Ora 100 31 bisogna trovare la differenza che è dei due lati che ponemmo essere uguali, cioè da 1830 per insino a 180; sarà 80 braccia. Or deviamo mul- tiplicar 50, che è la differenza del primo, per 50, che è la differenza del secondo; fanno 2500; e questo multiplicato per 80, che è la differenza del terzo lato, fanno 20000; e questo ancora multiplicato per 180, che fu la metà del con- giunto dei lati, fanno 360000; e di questo de- viamo pigliare la sua radice, cioè trovare un numero, che multiplicato per se medesimo faccia 360000, che sarà 6000; e 6000 braccia quadre sarà il sopraddetto campo. Ora per ridurlo a staiora deviamo partire 6000 per 1600, che par- tendo per il suo ripiego, cioè 2 volte in 40, verranne staiora 3 et ->, cioè 3 staiora e 9 pa- nora: e tanto sarà il sopraddetto campo. Pote- vamo a questa medesima notizia pervenire per a la cognoscenza della perpendicolare, la quale per i modi anzidetti troverai ; sarà 120 braccia; il quale 120, multipli 130 120 cai cato nella metà della i basa, cioè per 50, fanno 6000; e tante braccia quadre è il sopraddetto campo. b e È volendone far sta- ni iora come di sopra, saranno 3 staiora e 9 panora. Egli è un campo diversilatero, come il campo a. d. e., del quale il lato a. d. è 13 canne, # Ar" — Le et il lato d. c. è 14 canne, a et il lato a. c. è 15 canne; e sono canne di 6 braccia luna da terra. Vo’ sa- pere quante stalora a corda sarà. Raccozze- remo prima tutti tre i lati insieme, cioè 13, 14 8 e e 15; fanno 42; del quale 14 piglia il mezzo che è 21. Ora diremo quanto è da 13, che è il primo lato, per insino a 21, che vi è 8; e questo serba; dipoi similmente dirai quanto è da 14 per sino a 21, che v'è 7; e questo ancora serba; dipoi similmente dirai quanto è da 15 sino a 21, che v'è 6. Ora mul- tiplica 8 che prima serbasti per 7 di sopra ser- bato; fanno 56; e questo multiplica per 6, che trovammo essere la differenza del terzo lato; fanno 336; e questo multiplica per 21, che tro- vammo essere la metà del congiunto dei lati; fanno 7056; del quale presa la radice, sarà 84; e tante canne diremo che sia quadro il soprad- detto campo. Ora, perché più volte s' è detto 48 di queste canne quadre essere uno staioro, par- tiremo 84 per 48; vienne uno e +; e tanto diremo sarà il sopraddetto campo, cioè uno staioro e 3, cioè uno staioro e nove panora. Abbiamo per sino al presente del modo del quadrare e’ campi di tre lati abbastanza detto; perciò porremo fine a questo secondo capitolo, e seguendo diremo il modo che vulgarmente si tiene a quadrare il cerchio. 516 [CaprroLo TERZO] Sonosi affaticati gli antichi geometri per » ritrovare la vera quadratura del tondo, perchè è provato da alcuni filosofi quella potersi tro- vare; nondimeno per insino al presente tempo non è noto essersi trovata. Ma bene è vero che s'è usata et usasi una regola, la quale è appro- vata da Archimede nel libro che egli fa della quadratura del cerchio, la quale mostra essere molto propinqua alla verità, e per cose quasi insensibili da quella è differente; e perciò da’ vul- gari per quadratura certa comunemente è presa. E questo si è che ogni tondo è gli -{} del quadro, i quali sono per il lato quanto il dia- metro del tondo; la qual cosa cavò Archimede dalla proporzione propinqua che lui trovò avere il diametro alla circonferenza, cioè che ogni circonferenza di tondo sia al suo diametro tre cotanti et un settimo: onde noi, questo mede- simo supposto, vedremo alcune considerazioni che nel misurare il tondo occorrono, in questo modo dicendo : . Egli è un campo tondo, che ’1 suo diame- tro è 200 braccia. Vo’ sa- pere quanto sarà la sua circonferenza, cioè quanto girerà d’ intorno. Perchè abbiamo detto la circon- ferenza d’ ogni tondo es- sere 3 tanti et 2. del suo diametro, però multiplica 200 per 3 -1-; fanno 628 P —__—_——————————— | : i 317 e -#; e tante braccia girerà d’intorno il soprad- detto campo, cioè 628 e 4. Egli è un tondo, che gira 400 braccia. Vo sapere quanto sarà il suo diametro. Deviamo in questa partire 400 per 3 et -. Multipli- cherai prima ogni parte per 7, per ridurre ia nostra ragione a numeri interi; et aremo a partire 2800 per 22, che è quello medesimo che partire 400 per 3 et -;.; verranne adunque 127 -#; e tante braccia sarà il dia- metro del sopraddetto tondo. Egli è un campo tondo, che il suo diametro è 140 braccia. Vo’ sapere quante staiora a corda sarà. Prima troveremo quante braccia sta qua- dro un quadrato che avesse per lato quanto è il dia- metro del tondo, cioè 140 braccia; e però multiplica 140 vie 140; fanno 19600; e tante braccia quadre sa- rebbe il sopraddetto qua- drato. Ma, perché di sopra È : «La Saitti : dicemmo il tondo essere gli 4- di tal qua- a È 2 A a - % rali drato, però piglierai gli - di 19600, multipli- cando 11 vie 19600, e partendo per 14; [fanno] 15400. E tante braccia quadre è il detto tondo. Delle quali volendo fare staiora, partirai 15400 per 1728, cioè 3 volte in 12; verranne otto stalora, 10 panora, 11 pugnora e 4 braccia; e tanto sarà di giusta misura il sopraddetto campo. 318 110 Egli è un tondo, che gira d’intorno 110 canne da panno di 4 braccia luna. Vo’ sapere quante stalora a corda sarà. Pos- siamo in due modi tro- vare il proposito nostro. Il primo si è di trovare quanto sia il diametro di detto tondo, partendo, come di sopra s° è detto, 110 per 3 et -1-; ver- ranne 35; e questo multiplica per se medesimo, fanno 1225; e di questo piglia gli -jj, cioè multiplica 11 vie 1225; fanno 13475; e questo parti per 14, vienne 962 et +. E tante canne quadre sarà il detto campo. Ora per farne stalora partiremo in 100, perchè ogni 100 di queste canne quadre sono uno staioro; onde partito 962 et - in 100, verranne 9 e -}, cioè 9 stalora, 7 panora, 6 pugnora: e tanto sarà il sopraddetto campo. Per altro modo alla medesima notizia pos- siamo pervenire, avendo solamente nota la cir- conferenza del campo, come nella proposta nella quale aviamo detto : 140 Egli è un campo, che gira d’ intorno 110 canne; e vogliamo, sa- pere quante staiora a corda sarà. Multipliche- remo 110 per sè mede- simo, cioè 110 vie 110, fanno 12100; e di questo piglieremo sempre e’ 4, 319 multiplicando 7 vie 12100, che fanno 84700; e questo per 88, cioè nel suo ripiego, che è 8 et 11: onde partito 84200 per 11 et per $, verranne 962 >. E tante canne quadre sarà il soprad- detto campo, che ridotto a staiora, come di sopra si disse, partendo in 100, sarà 9 staiora, 7 panora e 6 pugnora, come trovammo di sopra. Egli è un campo tondo, che "1 suo diametro è 28 canne e d’intorno gira 88 canne; e pongo per caso che abbiamo misu- rato con canne da terra di Le 6 braccia l una. Vo’ sapere quante staiora a corda sarà. Multiplicheremo in questa il diametro per la circonferenza, cioè 28 vie 88; fanno 2464; il quale dobbiamo sempre partire per 4, cioè pigliando la quarta parte che sarà in questa 616; e tante canne quadre viene a essere il sopraddetto campo. Ora per farne staiora partiremo 616 per 48, perchè 48 di queste canne fanno uno staioro. Vienne 12 staiora -, cioè 12 staiora e 10 panora. E tanto sarà il sopraddetto campo. Egli è un campo 154 tondo, che il suo dia- metro è 49 canne e d’ intorno gira 154 canne. Pongo per caso che sì sia misurato con canne da terra di 6 braccia luna, e voglio sapere quante staiora a corda sarà. Piglierai la metà del | l 320 diametro, cioè la metà di 49, che sono 24 et 3; e questo serba. Di poi pigliceni Hdi di 154, che è 77, e questo multiplica per 24 et -,- che serbasti; fanno 1886 -;; e tante canne quadre sarà il sopraddetto campo. E per ridurlo a stalora, come nell antecedente, partirai per 48; verranne 39 -#, che ridotti a panora e pugnora e braccia, sono 89 staiora, 3 panora, 7 pugnora, 6 braccia; e tanto sarà il sopraddetto campo. Egli è un campo, il quale è la metà d’ un tondo, che il suo diametro è 280 braccia, e la sua circonferenza è 290 braccia; cioè la corda di mezzo tondo è 280 braccia, e il suo arco è 290 brac- cia. Vo sapere quanto sarà quadro. Perchè aviamo notizia questo essere la metà d'un tondo, però prima quadreremo il tondo di che egli è metà; e di quello sarà quadro, piglieremo il mezzo; e perchè aviamo notizia dell’ arco di mezzo tondo, piglieremo la metà del diametro, cioè il mezzo di 280, che è 140; e multiplicheremo 140 vie 290; fanno 40600; e tanto verrebbe a essere quadro il campo, essendo tondo perfetto. Ma perché è mezzo tondo, piglierai come di sopra sì disse il mezzo di 40600, che è 20800; e tanto viene a essere quadro il sopraddetto campo mezzo tondo. È volendo fare staiora, partirai per 1728, cioè nel suo ripiego, 3 volte in 12; verranne ll staiora, 8 panora, 11 pugnora, 18 braccia; e tanto sarà il sopraddetto campo. Similmente deviamo intendere di terzo 0 quarto tondo o altra parte simile della quale IN d | | DI IX ee s' avesse notizia, come verbi- grazia avendo notizia che fusse il terzo d'un tondo; prima quadrerai tutto il tondo, e di poi ne piglia il terzo; essendo la quarta parte, quadrerai tutto il tondo e di quello che è qua- dro ne piglia il quarto. Ma come a braccia quadre si riduca un’ altra porzione di cerchio, nella quale non s' abbi notizia che parte sì sia del tutto, secondo ’1 vulgare modo appresso si dimostrerà in questo modo, dicendo : Egli è un cam- po in similitudine b d'arco levato da 180 un tondo, come ver- bigrazia la porzione del tondo a. b. c., del quale la corda 140 c a. c. è 140 braccia e l’arco a. d. ce. è 180 braccia. E vogliamo sa- pere quanto e’ sarà quadro. Piglieremo la metà della corda che sarà 70 braccia e la metà del- l’arco che sarà 90; e multiplicherai 70 vie 90; fanno 6300; e tante braccia quadre sarà il so- praddetto campo. E volendone far staiora, par- tirai 3 volte in 12; verranne 3 stalora, 7 panora, 9 pugnora; e tanto sarà il sopraddetto campo. Ma volendo la misura più propinqua alla verità della sopraddetta porzione di cerchio, bisogna avere notizia d’ un’ altra misura, cioè quanto sia dalla corda per fino al sommo dell’ arco, la qual misura si chiama saetta dell’ arco; come 21 Mei verbigrazia pongo la 0 porzione a. b. e. le- rata da un tondo, nella qual porzione la corda a. c. sia 120 braccia e l'arco a. bd. c. hi 120 “sia 150 braccia e la saetta d. d. sia 40 braccia. Vo’ sapere quante stalora a corda sarà. Prima troveremo quanto arebbe a essere il dia- metro del tondo onde tale porzione è levata, in questo modo, che piglierai la metà di 120 della corda di detta porzione proposta, che sarà 60 braccia; e mul- tiplica 60 vie 60; fanno 3600; e questa parti per la saetta, cioè 40; vienne 90; e sopra questo 90 aggiugni la saetta cioè 40; fanno 150. E tanto sarebbe il diametro di tutto il tondo. Ora piglia la metà del detto 130, che è 65; di poi piglia la metà dell'arco a. b. c., cioè il mezzo .di 150 che è 75; e multiplica 65 vie 75; fanno 4875; e questo serba; et ora 40 | 430 multiplica la distanza "25 che è dalla corda al centro per la metà della corda, ch’ è per provare quanto la corda sia discosta dal centro; ver- 41).). 323 ranne (') la saetta della metà del diametro, cioè 40 di 65 restano 25; e questo multiplica per la metà della corda, cioè per 60; fanno 1500; e questo trai di 4875; restano 3375; e tante braccia quadre diremo sia il sopraddetto campo porzione di tondo, che, per farne staiora, partirai 3 volte in ]2; verranne uno staioro, 11 panora, 5 pugnora. Per più brevità l’agrimensore raccoglia la detta porzione in un triangolo equicrurio con 1’ arbi- trio in questa forma. Piglia la corda a. e. per la basa del triangolo, di poi si parta dal punto 4. e vada per insino al punto f; e similmente dal punto ec. per insino al punto .f.; arbitrando il punto f. di porlo o più presso o più discosto all’ arco, in tal modo, che la punta del triangolo, che viene a essere fuori del- l’arco di detta porzione, sia tanto quanto le due 063 piccole porzioni d’arco che rimangono dal lato fuora del triangolo, come in questo si vede; dipoi misura quanto sia la per- pendicolare di detto triangolo che gli ha dise- gnato, cioè la linea f. che in questa sarà 56 braccia -j. Dipoi multiplicherai 56 et -| per la metà della sua corda, cioè per 60; fanno 3375, che ridotte a staiora, come di sopra, faranno uno staloro, 1l panora, 5 pugnora et 1 braccio. È tanto sarà il sopraddetto campo. E se la por- zione fusse maggiore che mezzo cerchio, come verbigrazia la porzione a. d. c., della quale la —la (27 Cc (') troverai. corda è 120 braccia O 299 e la saetta è 120 braccia e l'arco a. b. c. è 330 braccia, e vogliamo sapere quante stalora a cor- da sarà, prima e’ bi- < Sogna sapere trovare quanto sia il diame- tro di tutto il tondo, del quale è tale porzione levata; e perciò multiplica la metà della corda in se, cioè 60 vie 60; fanno 8600; e questo parti nella saetta, cioè in 120; vienne 30, il quale poni sopra a 120, cioè sopra alla saetta, fanno 150; e tale sarà il diametro del tondo. Ora mul- tiplica la metà del diametro per la metà del- l'arco, cioè 75 per 165; fanno 12375; e questo serba. Dipoi multiplica lo spazio, che è dal centro per insino alla corda, per la metà della corda; ma prima per trovare quanto sia il detto spazio trarrai la metà del diametro, cioè 75, della corda, cioè di 120; rimarrà 45; e questo multiplica come sì disse per la metà della corda, cioè per 60; fanno 2700; e questo poni sopra a 12375 che serbasti, fanno 15075; e tante braccia sarà quadra la sopraddetta porzione. E partendo 3 volte in 12 per farne stalora, verranne 8 sta- iora, 8 panora, 8 pugnora, 8 braccia; e tanto sarà il sopraddetto campo. E vo- lendo il modo di risolvere detta porzione di cerchio ii 120 325) in un triangolo, come nella porzione minore di mezzo cerchio sì disse, disegnerai il triangolo a. f. c. posto nell’ altra faccia discretamente, operando in modo che la punta del triangolo che è fuori dell'arco di detta porzione sia quanto le due piccole porzioni che restano dal lato di fuori del triangolo. Dipoi attualmente si misuri la perpendi- È colare di detto trian- | golo, cioè la linea f. d., che in questa troverai essere braccia 251 et |. Dipoi multiplicala detta perpendicolare, cioè 251 et -j per la metà della basa; 200 per 60, per 60; fanno 15075. Il quale partito 3 volte in 12, come di sopra, faranno S staiora, 8 panora, 8 pugnora, 3 braccia. Tanto sarà il sopraddetto campo. E se il campo fosse una porzione di tondo la quale dai geometri è detta sector circuli, come la figura a. 6. e. dimostra; della quale 1’ arco a. b. sia 120 brac- 1920 cia veti vil. lato a. c. sia 60 brac- cia et il lato d. c. sia similmente 60 5 braccia; vo’ sa- pere quante sta- 60 lora a corda sarà. Dividerai per il Hall CR, 5326 mezzo la detta figura con la linea e. f., la quale pongo sia 60 braccia. Et ora finghiamo che una delle dette parti si capovolga, cioè che 1’ arco che è una delle metà si congiunga con la punta dell’ altra, et aremo fatta una figura quadrata. Vero è che due dei lati faranno arco, e’ quali 60 piglieremo per linee rette; e multiplicheremo 60 vie 60; fanno 3600; e tante braccia quadre diremo essere il so- 60 60 praddetto campo, chiamato settore di cerchio. E volendo ridurre a staiora partirai 5 volte in 12; vienne due stalora et un panoro; e tanto 60 sarà il sopraddetto campo. Prima che pognamo fine a questo capitolo, essendosi dimostrato il modo di ridurre a stalora i campi di diverse forme, non pare che sia inconveniente dire in che modo si truovi la lor valuta, avendo notizia dello staioro della terra, come verbigrazia dicendo: lo staioro della terra vale 9 fior. -; che varrà un campo di 13 staiora, 9 panora, 4 pugnora, 8 braccia? Prima dirai 9 fior. 3. sono 9 fior., 13 sol., 4 den. a oro; e di poi per le 13 staiora multiplicherai 13 vie 9 fior., 15 sol., 4 den. a oro; e quello fanno segna, come tu vedi fatto questo. Dipoi per fare la valuta delle 9 panora partirai quello vale lo staioro per 12, per sa- pere quello vale il panoro; verranne 16 sol. et 1 den. -;- a oro; e le 9 panora varranno 9 vie 16 sol., 1 den. -;- a oro; e quello che fanno segna nell’ ordinato castelluccio, come questo dal | 327 lato ho fatto. Dipoi 9,134 —13<(0. 4 8) parti la valuta del 0. 16.1 54 panoro per 12, vien- 0. 1 4//p ne ] sol., 4den. et TOREIAEINTO per la valuta del He pugnoro; e le 4 pu- DI i $ gnora varranno 4 0. 0.9. wie.1.sol., 4..den. -;5 0. a oro; e quello fanno (È segna. Dipoi parti quello vale il pu- gnoro per 12, vienne 1 den. -;- a oro per la valuta di braccio quadro; e le 8 braccia varranno 8 vie 1 den. 4 a oro; e quello fanno segna nell’ordinato castel- luccio. E questo fatto farai la somma, che in questo sarà 133 fior., 4 sol., 7 den. a oro per la valuta del sopraddetto campo. E così debbi intendere di tutti similmente. Abbiamo detto abbastanza della misura dei corpi tondi e di lor parti e come il pregio loro sì ritruovi; e perciò porremo fine quanto a questo terzo capitolo, e seguendo diremo del quarto. LL af Rene ae DU dI 00 SO W Verranne 133. [CaprtoLo QUARTO] Volendo dar perfezione a questo nostro trattatello et avendo dimostrato il modo di misurare i campi di qualunque forma, è di bisogno ancora che dimostriamo il modo del 328 quadrare i corpi, e massimamente quelli che all’ edificare et alla villa appartengono, preter- mettendo, come nel principio degli altri capi- toli, il definire che cosa sia corpo, come cosa dota e da molti accomodatamente detta, e mas- sime da Euclide nel principio dell’ XIm° Ma solamente diremo che cosa sia braccio corporeo quadro, perché la mente non fosse equivoca del braccio quadro superficiale. Dicemmo che braccio quadro superficiale era una superficie quadrata che per ogni verso era un braccio; e dicendo superficie s' intende piana e dicendo quadrata s' intende d’ angoli retti.' Adunque braccio quadro superficiale è una figura quadrata piana di angoli retti, che per ogni lato è un braccio lunga; ma il braccio quadro corporeo è un corpo che dai Greci è chiamato cubo e dai volgari dado, il quale è per ogni suo verso un braccio lineale, che vol- garmente è detto un braccio andante. Adunque VA braccio quadro corporeo è un cubo che è lungo un braccio, largo un braccio et alto un brac- cio, come questa figura quadri- latera; e quando diciamo questo braccio corporeo è quadro tante braccia, s' intende che tanti dei sopraddetti cubi siano in quel corpo, quante sono quelle brac- cia quadre che diciamo che egli è. E debbiamo sapere che uno di questi bracci quadri corporei sieno 9 staia di grano, ovvero cinque barili di 29 vino, come s'è per i nostri antichi esperimen- tato più volte, che non ne manca un bicchiere e di quello un quartuccio, purche sia la pub- blica misura di quella giustezza et egualità che s' appartiene, et il lavoro condotto per appunto quadro, cioè il vano quadrato. E perciò con questa notizia possiamo avere la tenuta di qua- lunque cosa che a braccia quadre corporee si possi redurre; et a braccia quadre ogni corpo colonnare di qualunque forma si riduce, multi- plicando quello che è quadro la sua basa nella sua altezza; et ogni corpo pira- midale si quadra, multiplicando quello che quadra la sua basa nella terza parte della sua altezza; et ogni corpo sferico si quadra, pigliando gli 3 del cubo del suo diametro. Ma per meglio essere intesi, prima diremo dei solidi colonnari, di poi dei piramidali, poi degli sferici. Corpo colonnare è detto quello che è in similitudine di colonna, o triangolare o rotondo o di qua- drata forma, come verbigrazia una torre, una citerna, un pozzo, una fonte, un sacco pieno di gra- no o di qualunque altra cosa, e simili altri corpi. Ma come la lor tenuta si truovi sì dimostra dicendo: Egli è una fonte che ha quattro facce et è lunga due braccia e mezzo, e larga due; et evvi alta l acqua 8 braccia. Vo’ sapere quanti barili ve n'è dentro. Prima, per ridurre a braccia 350 quadre la detta fonte, ridurremo a braccia qua- dre la sua basa cioè il piano del suo fondo, multiplicando 2 braccia et -;- di lunghezza vie 2 braccia di larghezza, che fanno 5 braccia; e tanto è quadra la sua basa; e questo multiplica per l’ altezza dell’ acqua, cioè per 8, fanno qua- ranta braccia. E tante braccia quadre corporee è la detta fonte. Ora, perché dicemmo ogni braccio quadro tenere 5 barili, multiplica 5 vie 40; fanno 200; e 200 barili d’ acqua sarà in detta fonte. E dicendo : Egli è un vivaio lungo 80 braccia e largo 60 braccia, et evvi l’acqua per tutto dieci brac- cia. Vo’ sapere Se: quanti barili ve, n’ è dentro. Multiplica 89 braccia di lunghezza per 60 di larghezza; fanno 4800; e questo mul- tiplica per l'altezza dell’ acqua cioè per 10; fanno 48000; e tante braccia quadre sarà. Ora perché ogni braccio quadro tiene appunto 5 ba- rili, multiplica 5 vie 48000; fanno 240000; e tanti barili d’acqua vi sarà dentro. E così si fa nelle altre cose. Egli è un granaio lungo 8 braccia e > © largo 4 braccia et alto. 3. braccia -j. Vo’ sapere quante staia di grano vi. capirà dentro. Prima reca a braccia quadre il detto 381 granaio, multiplicando la lunghezza per la lar- ghezza, e quello fa nell’ altezza, come verbi- grazia in questa. Multiplica 3 <= vie 4, fanno 84; e questo multiplica PertesdeGra ! fanno 119. E tante braccia quadre è il detto granaio. E perché ogni braccio quadro tiene 9 staia, multiplica 9 vie 119; fanno 1071. E così diremo che detto gra- naio terrà 1071 staia di grano. Egli è un’ arca che è per ogni verso 2 braccia. Vo’ sapere quanto terrà. Prima mul tiplica ci gii vie 2 CS che Aa 6 . Di j poi maltiplica. 64 vie 2 et |; fanno 15 e +; e tante braccia quadre sarà. E perchè ogni braccio quadro tiene 9 staia, multiplica 9 vie 155 x, fanno 140 ->, e 140 staia e x. E 140 staia e + diremo che terrà la sopraddetta arca. Uno prestò a un altro un’ arca piena di grano, che era per ogni verso 8 braccia; quello che accattò il grano lo vuol rendere con un’ altra arca, che è per ogni verso due braccia. Addo- mandasi quante volte quella si averà a render piena. Prima reca a braccia quadre la prima arca che si presta; multiplicando 3 vie 3 vie 3, fanno 27; e questo serba. Di poi reca a braccia quadre quella che s ha a rendere; multipli- cando 2 vie 2, fanno 4; et 2 vie 4, fanno 8. Ora parti 27, che serbasti, per 8, vienne 3 e 3. E così diremo che 3 volte e <> gli si arà a dar piena. 1352 Egli è un pezzo di marmo Ja: Pisis che è lungo 2 braccia e A et è largo. 2 br accia mete grosso un braccio e 3. Vo” sa- pere quanto peserà, pesando il braccio quadro 1600 lib- bre. Prima per ridurre a braccia quadre multiplica 2 -5 vie 2 et, @ quello fanno multiplica per um -} che troverai; farà, come vedi, 12 -|. E tante braccia quadre sarà il detto marmo. Ora multiplicherai 12 -{ per 1600, perchè dicemmo il braccio quadro pesava 1600 libbre; faranno 19600 libbre. È tanto peserà il detto pezzo di marmo. Uno ha fatto cavare la terra d’ una volta che è lunga 12 braccia ;, et è larga 8 braccia, et è larga, per tutto compensato, 8 braccia e Lt: Il cavatore dee avere d’ ogni braccio quadro 1 sol., 4 den. Vo’ sapere quarto monterà la detta cav Fatina Prima ridurrai a braccia quadre il vano di detta volta d’onde ha cavata la terra, multiplicando 12 - di lunghezza per 8 di larghezza; fanno 100; e questo multiplica per 3 braccia e Da di lai fanno 350; e tante braccia quadre si arà; [multiplica] 350 vie 1 sol., 4 den., e fanno 23 lir., 6 sol., 8 den. È tanto monta la detta cavatura. Egli è una torre che ha quattro faccie, e per ciascheduno verso di fuori è 80 braccia; et il muro è grosso 8 braccia et è alta 25 braccia. Vo’ sapere quanto arà ad avere il maestro che l’ha fatta, avendo di ogni braccio quadro 5 sol., 6 den. Prima quadreremo la sua basa, misuran- dola di fuora, che abbiamo detto che per ogni verso ell’ è 30 braccia; e però moltiplica 30 vie 30; fanno 900; e questo serba; e di poi quadra la basa del suo vano di dentro; e prima truova quanto sia il vano per cia- scheduno verso; e questo sì troverà, sbattendo la gros- sezza delle mura delle 50 braccia che ella è dal lato di fuori; e però raddoppia la grossezza del muro, cioè S braccia; fanno 16 braccia; e questo trai delle 30, resta 14; e tanto è il suo vano dentro per ogni verso. Et ora mul- tiplica 14 vie 14; fanno 196; e questo trai di 900; restano 704; e questo multiplica per la sua altezza, cioè per 25; fanno 17600. E tante braccia quadre saranno le mura della detta torre. E perche dicemmo che d'ogni braccio quadro si doveva dare 5 sol., 6 den., multiplica 17600 vie 5 sol., 6 den.; fanno 4840 lir.; e tanto arà ad avere il maestro. Essendo torre di tre facciate, cioè in forma triangolare, come è la pila d’ un ponte o simile altra cosa, come dicendo : Egli è una torre che ha tre faccie e per ciascheduna è 30 braccia, et è tutta soda che non ha nulla di vacuo dentro, et è alta 24 braccia; e vo’ sapere quante braccia sarà quadra. Prima, perché la basa sua è triangolare, è di bisogno quadrare un triangolo equilatero che ogni verso sia 80 braccia, che [st fa] tenendo uno dei modi detti di sopra nel secondo ca- pitolo. Multiplicherai 30 vie 80, fanno 900; e di questo piglia 4 et 4 che saranno 390, ovvero ne piglia il ,, multiplicando 13 vie 900; fanno 11700; e questo parti per 3; e tante braccia quadre è il detto trian- golo, cioè la detta basa della torre. Ora multiplica 390 vie 24 braccia, che dicemmo essere alta, fanno 98360; e tante brac- cia quadre è la detta torre. Et essendo la basa triangolare equicruria e diversilatera, la riduci a braccia quadre nel modo che di sopra si dimostrò; e dipoi multiplica quello che quadrò la basa similmente per quello che è alta la torre. E tante braccia quadre sarà. Essendo la basa di 5, di 6 o di più lati, la dobbiamo ridurre a braccia quadre, secondo l'ordine che dicemmo dei campi di più che quattro lati, per la risoluzione di essa in trian- goli; e quello [che trovi] si moltiplica per la sua altezza, come di sopra. Egli è una colonna tonda che il diametro della sua testa è 2 braccia et è lunga 7 braccia. Vo sapere quanto sarà quadra e quanto peserà, pesando il braccio quadro 1400 libbre. Prima per ridurla a braccia quadre quadreremo la sua testa, cioè un tondo del suo diametro; sia due braccia; e però multiplica 2 vie 2; fanno 4; PE SI Teen n PT e A e di questo piglia li 1}, multipli- cando ll vie 4; fanno 44; e parti per 14, vienne 3 -1; e tante braccia quadre è la testa; e questo multi- plica per la sua lunghezza, cioè per 7; fanno 22 braccia; e tanto sarà quadra. Ora, per sapere quanto pesa, multiplica 22 vie 1400 libbre, che dicemmo essere il braccio qua- dro; fanno 530800 libbre; e tanto peserà. Egli è una citerna tonda, che il suo diametro è 4 braccia et è a dentro 15 braccia; et addomandasi quanto terrà, tenendo il braccio quadro un barile, come dinanzi s' è detto. Prima recherai a braccia quadre la sua basa, e perché è tonda, quadra un tondo che "1 suo diametro sia 4 braccia; e però mul- tiplica 4 vie 4; fanno 16; e di questo piglia gli ;}, cioè multiplica 11 vie 16, fanno 176; e parti per 14, vienne 12 i; e tanto è quadro il fondo di detta citerna. Et ora multi- ‘ plica 12 © vie 15 braccia, che dicono essere a dentro; fanno 188 braccia e 4; e tanto sarà quadra. Ora multiplica per 5; fanno 942 -;. È tanti barili terrà. Egli è una fossa tonda, piena di grano, che il suo diametro è 2 braccia, et è a dentro 6 braccia. Vo’ sapere quanto grano v'è dentro. Prima per sapere quan- te braccia quadre ella è, quadra la sua basa; e perche ella è tonda, quadra un tondo che il suo diametro sia 2 braccia; e però mul tiplica 2 vie 2; fan 4; e di questo piglia 1; Apiuca vile 4; Ia }; GIUC |Uest p1g d 14) multiplicando 4 vie 11, fanno 44; e parti per 14, 4 1 tao 2 È vienne --; e questo multiplica per 6 braccia che ella è a dentro, fanno 18 braccia e -2 ; e tanto è quadra. Ora, perché è noto che il braccio quadro tiene 9 staia, multiplica 9 vie 18 e -2; fanno 169 -; e tante staia di grano saranno in detta fossa. Egli è un sacco di grano, che il suo diametro è un brac- cio, et è alto 9 braccia. Addo- mandasi quanto grano vi è dentro. Prima debbiamo qua- drare il fondo del sacco; e perchè è tondo, quadra un tondo, che il suo diametro sia un braccio. Multiplicando i vie 1 fa 1; e di questo piglia gli {,, e perciò multiplica 11 vie 1; fanno 11; e parti per 14; vienne -jj di braccio; e tanto è quadro il fondo ada 11 È n suo. Et ora multiplica -,-- vie 9, che dicemmo . Li I 1 a che egli era alto; fanno 7 -,; e tanto è quadro; et ora, perché il braccio quadro tiene 9 staia, . . . 1 Aa 9 - . multiplica 9 vie 7 -,; fanno 68 ,,. E tante stala terrà il detto sacco. Egli è una botte che il diametro dei fondi 353( compensato è un braccio e dall’ uno fondo all’ altro è tre braccia. Addomandasi quanti barili terrà. Prima quadra uno dei fondi : e perche è tondo, quadra un tondo che il suo diametro sia 2 braccia; \e però multiplica 2 vie 2, fanno 4, e di questo piglia gli 1; multiplicando 11 vie 4, fanno 44, e parti per 14; vienne 3 et +; e questo mul- tiplica per la distanza che è dall’ un fondo all’ altro, cioè per 3, fanno 9 1 ; e tante braccia quadre è la detta botte. Ora perché il braccio quadro tiene 5 barili, multiplica 5 vie 9 e -2, fanno 47 :. E quarantasette barili e mezzo diremo terrà la detta botte. Egli è un tino che il suo diametro è 3 braccia et è alto nel mezzo 2 braccia. Addiman- dasi quanti barili terrà e quanto vino renderà. Prima quadra il fondo, multiplicando il diametro in sé medesimo, cioè 3 vie 3 fa 9; e di questo piglia gli 1,, multiplicando 11 vie 9 fa 99, e parti per 14; vienne 7 et ;,; e questo multi- 335 plica per l’ altezza, cioè per 2; fanno 14 et -4; e tanto è quadro. Ora, perché il braccio quadro tiene 5 barili, multiplica 5 vie 141, fanno 70 3; e tanti barili terrà. E per sapere quello ren- derà, se sono vini di piano ne piglia e’ |, mul- tiplicando 3 vie 70 e -2; fanno 212 ; e parti per 4, vienne 13 %; e tanti barili renderà in piano; e se sono di poggio, perchè gli acini, cioè i granelli, hanno la buccia più grossa, fanno un poco più vinaccia, e però ne piglia e’ 4 della detta tenuta; multiplicando 2 vie 70 }, fanno 141 e -è-; vienne 47 et +. E 47 barili et + renderà delle uve del poggio. Egli è una torre tonda che il suo diametro è 22 braccia et il diametro del vano dentro è 14 braccia et alta 28 braccia. Vo sapere quanto saranno quadre le mura di detta torre. Prima quadra il piano di tutta la torre, cioè delle mura, insieme co ’l vano; e per questo multiplica 22 vie 22; fanno 484; del quale piglia Di che sono 380 2a e questo serba. Di poi quadra il piano del vano che è di dentro della torre, e però multiplica 14 vie 14; fanno 196; e di questa piglia gli 2a; che sono 154; di 380 è resta 226 7; e questo multiplica per l'altezza, cioè per 28; fanno 6336; e tanto sa- ranno quadre le mura di detta torre. Essendo corpo piramidale da quattro lati, come verbigrazia l’ Aguglia di Roma, ha quattro 2 —,<« /-_— er ——Fr_ruwp 3599 faccie e la sua basa per ciascun lato è 5 braccia et è alta perpendicolar- mente nel mezzo 36 brac- cia; vo’ sapere quanto sarà quadra. Prima mul- tiplica la lunghezza della basa per la larghezza, cioè 5 vie 5, fa 25; e di poi piglia il terzo di 36 braccia che diciamo che ella è alta, che sono 12 braccia; e multiplica 12: vie 25, fanno 300; e 800 braccia quadre diremo che sia la detta piramide. E similmente dicendo : Egli è una tramoggia da mulino che ha 4 faccie et è in bocca per ciaschedun verso 2 braccia et è alta nel mezzo un braccio. Vo’ sapere quan- to grano terrà. Prima mul- tiplica 2 vie 2, fanno 4; e tanto è quadra la bocca che viene a essere basa. Dipoi piglia ; dell’ altezza cioè 4 d’unbraccio che sarà } di braccio; e questo multiplica per 4; fanno 1 -;; e tanto è quadro. Ora multiplica 1 j vie 9 staia che tiene il braccio quadro; fanno 12 stala; e tanto tiene la detta tramoggia. Essendo di più di 4 lati la basa, risolvila in triangoli, come della base del corpo colonnare poco innanzi s' è detto; e qua- drato ciaschedun triangolo e raggiunta insieme —-——7 lasomma, si multi- YICS VA plichi per -; dell’ al- 2 tezza della piramide, Q come di sopra; e IN tanto sarà quadra. Ma essendo la'basa tonda, come dicendo: Egli è una piramide tonda, che il diametro della sua basa è 4 braccia et è alta nel mezzo, misurando perpendicolarmente, 6 braccia. Addo- "=> mandasi quanto sarà quadra. Prima per quadrare la basa che è tonda, quadra un tondo che il suo diametro è 4 brac- cia; e però multiplica 4 vie 4, fanno 16; e di questo piglia gli 1; multiplicando 11 vie 16, fanno 176; e questo dividi per 14, vienne 12 e -4; e tanto è quadra la basa. Ora piglia ; della sua altezza, cioè 4 di 6 che è 2; e multiplica 2 vie 12 e 4, fanno 25 ;. E tante braccia quadre sarà la detta piramide. Egli è un monte di grano in su un’ aia che gira d’intorno 22 braccia, et è alto nel mezzo 5AI tre braccia. Vo’ sapere quanto grano sarà. Inten- desi sia ammontato bene in modo di piramide ch’ abbia la perfezione. Dipoi si vuole quadrare la basa che è, che gira 22 braccia. E però mul- tiplica 22 vie 22, fanno 484; e di questi ne piglia e 4, multiplicando 7 vie 484, fanno 3388: e questo parti in 88, cioè in 11 et in 8, vienne 38 e -; per la quadratura della basa. Ora piglia il terzo di quello che è alto il monte, cioè -! di 7 che è 1, e multiplica 1 vie 38 3, fan- no 38 To e tante braccia quadre è il detto monte. Et ora multiplica 38 j per 9, perchè ogni braccio quadro è 9 staia; fanno 346 e |. E così dirai che il detto monte del grano sia 346 staia e }. E questo simile è dell’ altra piramide. Come delle antecedenti s’ è lasciata la lor diffinizione, così della sfera ancora si preter- metterà, come di cosa nota, e come si disse, da Euclide nel principio del XI. diffinita. Bastici solo quanto è a ridurla a braccia quadre, aver notizia, come dimostra Archimede, che la sfera è gli 3 del suo cubo; e perciò s'ha sempre a cubicare il diametro e di poi pigliarne gli "i e tanto sarà quadra, come meglio con gli esempi farà chiaro. Egli è una palla tonda, che il suo diametro è 5 braccia. Vo’ sapere quanto sarà quadra. Multiplicherai 5 vie 5, fanno 25; ‘e 5 vie 25, fanno 125; e questo si chiama cubicare, cioè multiplicare 5 vie 5 e quello fa per 5. Ora di questo 125 s ha a pigliare 342 gli 3,; e però multiplica 11 vie 125, fanno 1375; e questo parti per 21, vienne 65 e 5. E [tanto] sarà quadra la di sopra figurata palla. Egli è una palla tonda, che il suo diametro è quattro braccia. Vo sapere quanto grano terrà. Prima la ridurremo a braccia quadre, multiplicando 4 vie 4, 16; e 4 vie 16, fanno 64; e di questo delli 1 gli Di multiplicando 11 vie 64, fanno 704; e parti. per 21, vienne 33 et {; e tanto sarà quadra. Ora, perchè il braccio quadro tiene 9 5 staia, multiplica 9 vie 33 et 3, fanno 301 e +; e tante staia terrà, cioè 301 staia e -,, che sono 12 moggia, 13 staia 2. E tanto diremo tenga la palla della cupola di Santa Maria del Fiore in Fiorenza, perchè è di 4 braccia di diametro, come questa [qui sopra] proposta. Egli è una pallottola di bombarda che il suo diametro è un braccio. Vo’ sapere quanto peserà, pesando il braccio quadro 1400 libbre. Prima l’arrecheremo a braccia quadre, multiplicando 1 vie 1, fa 1; e questo per l ancora, fa d mul- tiplicato per 1. E di questo piglia gli 5, mul- tiplicando 11 vie 1, fanno 11; e parti per. 21, vienne 3; e tanto sarà quadra. Ora perché il braccio quadro dicemmo che pesava 1400 libbre, pi oliena 11 vie 1400, fanno 15400; e parti per 21, vienne ag 4. E così diremo che L detta pallottola peserà 783 braccia 3; Egli è una palla tonda che il suo diametro è 2 braccia, la quale Pr e il ".* lu cadde in un vivaio pien d’acqua. Vo’ sapere quanti barili ne fece uscir fuori per lo suo cadimento. Prima recherai a braccia quadre la detta palla, multiplicando 2 vie 2, fanno 4; e 2 vie 4, fanno 8; e di questo piglia gli 3; ; € però multiplica 1l vie 8, fanno 88; e parti per 21, vienne 4 e E e tanto è quadro. Ora, perche ogni braccio quadro occupa cinque barili, multiplica 5 vie 4 e ;;, fanno 20 e È. E tanti barili d’acqua uscì fuori di detto vivaio. Egli è una palla piena di mele che è il suo diametro due braccia e vale 50 lire; un’altra palla piena di dette mele, che 1l suo dia- metro sia 3 braccia. Vo’ sapere quanto ella varrà alla medesima ragione. Prima dob- biamo cubicare la prima palla, multiplicando 2 vie 2, fanno 4; e 2 vie 4, fanno 8; e questo serba. Dipoi cubica la seconda, multiplicando 3 vie 3, fa 9; e 3 vie 9, fa 27. Et ora dirai: se 544 il cubo di 8 braccia vale 50 lire, che varrà un cubo di 27 braccia alla medesima ragione? E però multiplica 27 vie 1350; e questo parti per 8, vienne 168 e 5. E così dirai che la seconda palla di 3 braccia di diametro alla me- desima misura e ragione varrà 168 lire e &. Egli è una palla che il suo diametro è 4 braccia. Vo’ sapere quanto panno bisognerà a coprirla di panno largo 2 braccia. Prima deviamo sapere che Archimede pruova che la superficie di fuori della palla è 4 cotanti del maggior tondo che cape nella palla; e però bisogna prima recare a braccia quadre un tondo che il suo diametro sia quanto il diametro della palla, cioè 4 braccia; e però multiplica 4 vie 4, fanno 16; e di questo piglia gli 1; multiplicando 11 vie 16, fanno 176; e parti per 14, vienne 12 $: e tanto è quadro il maggior tondo che vi cappia dentro. Ora multiplica per 4 la ragione detta di sopra; fanno 50 e -&; e tante braccia quadre viene a essere la sua vesta. Ora perché dicemmo il panno che volevamo torre era largo 2 braccia, però partirai 5 e -3 per 2; vienne 25 et 7; e tante braccia bisognerà di quella ragione panno a coprirla. Volendo ridurre qual si vogli uomo o che sia di piccola o di mezzana o di grande statura, bene informato o magro o di mediocre carne et ossatura, a braccia quadre, fallo entrare ignudo in un tino che sia pieno sino ai due terzi del suo cupo d’acqua, del quale tu sappi la misura di quante braccia quadre egli sì sia; e segna giusto il piano dell’acqua su ’l1 legno quivi; dipoi, entrato che vi è, rimisura quante 54 braccia quadre sia ricresciuta quell'acqua; e tante braccia quadre sarà quel corpo umano. E tanto si può fare d’ un liofante, cavallo, mulo, asino, o altro animale, e tanto situato in vaso quadro rotondo, aovato, o d’ altra forma; basta segnare l’ orlo dell’acqua, quando nulla vi è, a che segno arriva, e di poi, postavi dentro la cosa che vi ha a ire, rimisurare da quel segno al piano dell’ acqua. Et averai la giusta misura del postovi dentro. Non parrà superfluo a in questo nostro fine met- tere una cosa la quale è verissima e da Euclide provata nel 3.; e que- sta sì è del misurare una corda, la quale sia appiccata in un piano, senza vedere dove la si sia legata, nel modo che appresso diremo. Pongo qiopqro 4 per caso che siamo in5 © sur un prato piano e da } uno dei lati del detto piano dove per detto caso accade sia legato a uno piuolo un capo di fune e di poi il resto della fune sia disteso in terra, tirato il più che si può: e pongo che io abbi una vela dinanzi in modo che per niuna maniera sì possi vedere se la corda è legata presso o discosto, ma solo della corda mi sia dato in mano l’altro capo che non è legato, tanto che sia un braccio o due; e con questo poco della fune che io veggio, voglio sapere quanto è tutto il resto. Dico che 546 e’ sì tenga questo modo, che prima tiri la fune in modo sia stesa quanto si può, di poi con quello capo che hai in mano disegna in terra una porzione di tondo, cioè un arco a caso come ti vien fatto, come per caso pongo la fune sia a. db. legata in un punto a., et il capo 6. ho in mano; ma non voglio già [conoscere] il punto a. Disegnerò co ’1 capo della fune che io ho in mano una porzione di cerchio come la porzione e. d. b.; dipoi protraggo la corda di detto arco che è la linea ec. d.;j dipoi pongo la corda a. d. che io voglio misurare in su ’1 luogo della corda di detto arco, cioè in su ’1 mezzo di c. d., che pongo per caso sia in punto f. Di poi misuro co ’1 braccio attualmente quanto sia c. f. et f. d., che tanto sarà l uno quanto l’altro, perché abbiamo detto il punto f. essere in mezzo; che pongo per caso che c. f. sia 4 braccia, e similmente f. d. sarà 4 braccia. Di poi misura quanto sia f. è. che pongo sia un mezzo braccio. Ora multiplica c. f. per f. d., cioè 4 vie 4, fanno 16; e questo deviamo divi- dere per mezzo, vienne 32; et a questo aggiun- gere 3, cioè la linea f. d., fanno 82 E edi questo piglia il i che sarà 16 |. E tante braccia sarà la linea a. d., cioè la corda che volevamo misurare. Io ho scritto quello che ex provviso mi è occorso, secondo la brevità del tempo che ho potuto a questo accomodare. Il perché il superfluo et il difetto commetto a vostra correzione. In FIxE. er ERRATO DELLA BeebbRIVAZIONE DELLE VITI E DEL FRUTTO CHE SE NE PUÒ CAVARE DI GIOVAN VETTORIO SODERINI GENTILUOMO FIORENTINO —_>__ La vite, che vite per la vita ch’ ella ha'e dà alla nostra umana vita è stata addoman- data, e che tanto volentieri invita ognuno alla sua coltivazione per il giocondo, grato, soave e dilettevole et amato frutto ch’ ella produce e per il pregiatissimo liquore che se ne trae e per il guadagno d’ogni altro che dalla madre terra sì cavi maggiore, se non s'opponghi e lo contrasti, ma lo secondi e favoreggi il benigno cielo; perciocche questa nobilissima e fecondis- sima pianta, non cognosciuta per vino ma per uva a’ Cinesi che la serbano per mangiar nella senapa et acqua salata (essi dalla china erba si mesticano un liquor buono a bersi) ('), è sotto- posta all’ ingiurie de’ tempi, restando offesa da i geli aggiacciati, da 1 soli bollenti, da i seccori straordinarii, dalle tempeste di grandine et altri accidenti che tuttavia gli posson sopravvenire. Risponde con giovevolissimo profitto e con no- tabilissimo esempio di gratitudine alle fatiche che ricerca il buon governo di lei, non le ren- dendo mai la vite del tutto vote o vane, se non altro ancora secca, con i suol sermenti e gam- (') Da mon cognosciuta fino a bersi manca alle stampe. 590 bali; guiderdonandole con un gentilissimo fuoco, e per ultimo dando e retribuendo di sé delica- . tissima cenere, che fa morbidissimo ranno a pulire, lustrare e lavare gli umani capelli. Fu dal gran Patriarca Noè, dopo ’1 grandissimo diluvio, messa in pregio fra i mortali et acca- rezzata da lui. A tal che favoleggiano gli antichi, come in molte altre cose (onde è pur con tutto ciò, che dei Romani si ha credere più assai di quello che scritto se ne ritruova; dei Greci qualche cosa; dei paladini niuna), a dire che Libero padre detto Bacco ritrovasse lo vino, e fu dopo molti secoli a Noè; al quale innanzi si dee stimare che la fosse, se non così usufrut- tuata, almeno cognosciuta et in qualche parte usata, come l’ altre frutte. Questa pregiatissima pianta, più d’ ogn’ altra feconda e fruttifera, dal suo scapezzo (') e reciso tronco e mozzi rami di quello che non appare pullula e manda fuori l’ abbondante ricolta sua; e si gode, vien bene e si bonifica nei lati dei paesi che se gli affanno, onde è che siano tanto differenziate nella lor maggiore e minore e mezzana perfezione le qualità dei vini, e così diversi di loro i sapori e nature. Celebrò il vin Maronio Omero e ’1 Pramnio, Virgilio i Retici, altri gli Amenei; al Nomentani (*), ai Candiotti et ai Corsi han data lode, et in Roma a questi, ai Romani istessi, al Mamertini e [d'°] Albano e d’ Ariccia (3) e Lauremitani intorno a Messina, et ai Siracusani et ai Grechi, di Napoli, Centole, (1) scapezzato, le stampe. — (7) altri agl’ Amenei, a’ Nomen- tani ecc. le stampe. — (3) [d°] Albano e d° Ariccia manca alle stampe. 361 Chiarelli, Paula, Circelli, Lacrima et Asprini; e fuor d’Italia in Germania dove a tempo dei Romani non erano né viti né ulivi, oggi giorno fan preziosi vini intorno al Reno, al Necaro, al Meno, alla Mosella e vicin al Danubio e in Ungheria, massimamente alla sua vista, fanno et in quantità delicatissimi vini, e sopra tutti il Vilpocre e molt’ altri che odorati sono. Ma in Candia, nella Giudea e Grecia, per i più luoghi d’esse, perché oggi i Turchi piantano le viti per cibarsi dell’ uva, che è loro dalla maomettana legge proibito il vino, come in queste due provincie già, sono vini di potenza incomparabile; sì come in quella isola, come in Terra di Lavoro a Napoli i Grechi, si produce la gagliardissima malvagìa, i cui vitigni fan l’uva a terra dalla vite senza pali, et in Cipri anche di questo vino più potente assai, causato tutto dalla qualità del paese, che così fatta sorte di viti amando, come quelle dell’ uva pas- serina di Coranto ('), che per terra v’ è in copia, le conduce a tanta e così potente e gagliarda perfezione che altrove non avverrebbe. Benchè le sorti delle viti varie, che sono tante quanti i paesi, e così i vini et i vitigni diversi (°) che si ritruovano, trasportati dalle lor madri in altre regioni, quantunque lontanissime, non altramente che i frutti addotti da strane parti in altre a noi vicine per la prima volta e quasi quanto durano quelli istessi che furono trasfe- riti, ritenendo in loro quel natio patrio impresso (1) Così, qui e avanti, per Corinto. — (?) e così i vini et i vitigni diversi, manca alle stampe. 352 seme, ancora nelle parti forastiere rattengano la somiglianza di lor medesime e producano assai simile a quelle di dove elle sono uscite così 1l vino come 1 frutti. Dipoi nella seconda stirpe degenerano. Ma tutti gli agricoltori con- vengono in un parere, che i sassì sieno amici alle viti, massimamente quando sopra di loro sia soprammesso assai terreno; perché essendo ‘ i sassi frigidi e tenaci dell’ umore, non lasciano patir di sete agli eccessivi caldi le loro radici; che gli antichi lasciorno per ricordo delle viti che si lasciassero presso ai fianchi delle fosse piantati de’ sassi (') non più di cinque libbre l’uno da poter sotterrargli, riparando questi sotto il freddo l'inverno e l'estate il caldo. Così si vede ne’ fertilissimi colti d’ esse intorno al Reno, dove sono sassi a filoni per tutto, venirvi felicissimamente; e conviene levar via le pietre che sono in superficie della terra, perche l’ estate abbruciano riscaldate dal sole e l'inverno raffreddano, contrarie a quelle che si stendono in fondo. E se bene le viti hanno per natura di [non] rifiutare alcun sito o terren che sia, tuttavia nel troppo gelato e nel troppo caldo le non fanno; ma fuor di questi due estremi le vengono tanto felici nei campi quanto nei colli, e non meno nella. resoluta e nella densa terra (°) e spesso anche nella gracile et umidiccia, ma nelle pietre fortunatissimamente, ove sia ancora poco o nulla di terreno; sì come nei monti della Spezia, a Malta e nel Carso et (1) piantate di viti, sassi, le stampe. — (°) che nella densa tevra, le stampe. 353 altrove. E quanto al sito, innanzi a tutti amano i piedi dei monti che dall’ altezza loro in basso ricevon terreno e le valli che dall’ inundazione dei fiumi abbino auta materia, non rifiutando ne ancora la creta di che si fanno i piatti, se ben di sua natura sia inimica loro, come il puro sabbione e "1 salso e l'amaro o ’1 troppo asciutto e secco. Molti non despruovano il sab- bione che sia mescolato con terra alquanto umida: non vorria anco terreno né troppo caldo ne troppo freddo, né troppo raro o denso, né troppo secco né troppo umido. La terra grave che non si può vincer con alcuna sorte di lavoro e la leggiera che non si tenga insieme son loro contrarie. Nella grassissima mettono troppo, andandosene in rigoglio e nella troppo magra non vi è nutrimento che le possi far dare innanzi. Adunque fa di bisogno fra queste dissaguaglianze di temperamento, come nei nostri corpi, moderando insieme i quattro umori che gli reggono, osservando (') che più sempre avanzi il caldo che ’1 freddo, più ’1 secco che l’ umido, il raro che ’1 denso, massime se s° ac- cordi co "1 sito del cielo e gli sia in favore. Ora, se elle non sieno oltre a modo fredde regioni e quasi che di continuo (°) dalle nevi oppressate, vengono innanzi e vi producono le viti buon vino; le quali anche per difendersi dai ghiacci reggendosi in poche alte piante si ricuoprono tutte di terra smossa, scoprendosi poi nella stagione temperata di primavera. E se bene elle per lo più si godono nelle colline o colli che (1) operando, le stampe. — (?) quasi del continuo, le stesse. 23 dI così mezzanamente si elevano, e son più liete che negli alpestri e ripidi monti e scoscesi poggi, ripe e balze dirupate, ancora [in] queste fanno, non rifiutando elle quasi alcun terreno, se non umidissimo e pantanoso. Ma nell’ elevato scoperto asciutto e sano, migliore rendono il vino e più copiosamente fruttificano, se ben fosse schietta creta, gessosa e tutta argilla. É nell’ altissime coste delle ripide montagne sas- sose, se ben in non gran copia, non ricusano d’ allignare in ottimo vino, allignandosi (*) fra i massi, come fra quelli delle ripe della Spezia, ove si trae il razzente (*°) e I amabile, a questo storcendo i grappoli, a quello vendemmiando, senza ciò, innanti. Né conviene aver per costante che la prima volta le vi si ponghino per attac- carvisi; ma in due o tre volte bisogna ripian- tarle, ficcandovi i magliuoli corti ove fra i sassi si scuopre punto di rena con i pali di ferro, provando e riprovando, tanto che la stagione aluti appiccarvegli. Ne è meraviglia, in tanta frequenza di massi e penuria di terre. Et a tutte le vigne è noiosissima la tramontana, et a tutti i siti che a questa sono esposti ne feli- cemente crescono ne rendono buon vino; come anche le poste a occidente. Ma generalmente pare che sia buona elezione ne’ paesi freddi piantare i vignazzi a mezzo giorno, e nel tem- perati voltarli a oriente; e nei lati calidissimi, come in Africa et in Egitto, rincontro a tra- montana. Alcuni vogliono che le viti risguar- dino Aquilone et i tralci mezzo giorno. Amano 1) afferrandosi, le stampe. — (?) razzese, le stampe. 355 ancora le viti quasi per tutto il levante verso mezzo dì; né altissimo monte o colle, ma poco surgente collina e simile poggio (') desidera come a Monte Argentario, ove quivi vicino il vino di Port’ Ercole, e massimamente della vigna di Pomponio (°), tiene il principato tra tutti i vini d’Italia di colore, odore, limpidezza e sa- pore, naturalmente producendovisi appresso di più che ordinaria possa e vigore. Buona et elegi- bile posizione (3) per la vigna è la qualità delle spiaggie e non molto elevati colli di Ungheria, dove si raccogliono [vini] saporitissimi et odo- rati, come nell’ Alamagna bassa lo stomatico e salutifero vin di Reno per lunghissimo tratto, pur naturale e non con alcuno artefizio, valendo questo a mutare, correggere et alterare ogni cattivo vitigno e paese; sendo bastante l’ arte a migliorarlo, rettificarlo et abbonirlo. È vera- mente che oggi la fattura che dall’ arte (*) sì può usare intorno ai vini e s usa, gli fa diven- tare differenti da loro istessi e dissimili dalla natura delle loro parti, cosa contraria del tutto a così fatta pianta, che più d'ogni altra segue tutta la condizione e natura del paese dove ella nasce. Imperciò così come l’arte è atta in molte cose a correggere e moderare la natura con l’umano ingegno e diligenza, similmente nell’ acconciare i vini, per la chiara pruova del- l’ esperienza, nella quale sola è fondata tutta la (1) simile a poggio, le stampe. — (?) e massimamente della vigna di Pomponio, manca alle stampe. — (?) positura, le stampe. — (4) che la fattura che oggi dell’ arte, le edizz. 1600, 1610 e 1622; che la fattura che oggi dall’ arte, V ediz. 1734. 356 scienza dell’ agricoltura, vale a ridurgli e rasset- targli. Ora nella medesima maniera che avviene a colui, che vuole avere tutte I ulive, [il quale] non ha tutto l’olio per i varii accidenti che le fan perdere lasciandosi tanto su l arbore, se ben la vera è che le vi si lascin su maturare e caschin da loro; nella istessa maniera [avviene](') a quelli che volendo tutto il vino non hanno tutte l uve; e così per contrario come di quelle; perché lasciandole maturar tanto su la vite o v' infra- diciano o son via portate e mangiate dagli ani- mali. Perciò con una certa moderanza bisogna contentarsi di perfezionarne parte, non sì po- tendo aver l’ occhio a tutto; e questo ben proc- curare, el’ altro in altri vasi lasciarne un poco più in numero e bontà minore. Sostentansi le viti in alcuni paesi, come in alcuni luoghi di Francia et in Corsica et in Candia et altrove dove sono i terreni gagliardi et amantissimi delle viti, da per loro istesse, reggendosi senza pali; e ciò anche avviene per cagione della qua- lità dell’ aere, ammaestramento e custodia data loro da piccole, allevandosi basse e quasi rasente terra col suo piè corto, forte e diritto. E sopra- tutto stanno bene le viti nelle regioni che non siano per ordinario ventose, soggette a rovine di tempeste e tristi temporali. Ond’ è che le amano sempre l appoggio, o sia d’ arbore o palo o bron- cone, o sopra ordine di pertiche alte doppie o lunghe sì che vi sì posino in quel mezzo stese; e così acconcie fanno meglio, crescono più vigo- (1) Nelle stampe non si legge maniera; e l’avviene delle medesime, da me posto fra parentesi, non si legge nel testo. PA n RT no rose, liete et abbondanti di frutto; siccome, se quando da un luogo a uno altro le si traspon- ghino, 8 osservi di metterle in luoghi simili a quelli di dove levate sì sono; come sarebbe a dire se sì spicchino i magliuoli da una vigna volta a oriente, si piantino in lato volto al medesimo levante, nel modo che egli erano situati prima. Nel piantare (') gli arbori da un luogo all’altro s' osservano le posizioni delle buccie segnate, che stiano per il medesimo verso che l erano, a di dove elle si muovono in quello che le si ripongono. Ma nelle viti è assai man- tener loro la somiglianza della situazione. I Turchi ed i Greci piantando nelle fosse o buche i magliuoli ne aggraticciano nel fondo d’ esse due o tre insieme e qualche volta una gran filza, intrecciato l uno con l’altro, dipoi riempiono la fossa e cavano fuori il lor capo, due occhi soli a terra, tagliandoli come qui da I lodati antichi agricultori hanno costu- mato di piantare per vero magliuolo quello che si spicca rasente il capo che rimane alla vite, con tutti gli altri sermenti che gli sono ace canto tigliandolo, e ponendo tutti questi sotterra, solo cavando fuori quel principale, avendo forse openione, così facendo, che quelli aderenti pro- duchino altrettante (?) barbe più vigorose e gagliarde, e che di questo modo fruttifichino più presto e più copiosamente. È buon magliuolo per piantare ancora quello che si stacca dal capo istesso che si lascia alla vite; lasciando a questa gli occhi che ha ad avere e servendosi (1) Così nel piantare, le stampe. — (?) altrettali, le stampe. 358 a piantare del rimanente, perche quel tagliargli co ’l vecchio non serve ad altro che per attac- carvi la gruccia a spignerlo sotto; il che si fa senza il vecchio, torcendolo un poco, tanto lo pigli la cocca della gruccia. Ma meglio è piantar di mano in mano nelle fosse che si fanno per il divelto. Ma (') l’importanza è non spiccare dalle viti i magliuoli prima che elle abbiano condotto il loro frutto a perfezione, e sien un po rassodati dal freddo: et osservando, se- gnando (°), di trargli da quelle che abbin fatto assal uve l’anno dinanti e che siano sane di tronco né punto magagnate, e non da viti novelle che sono inferme, ma da quelle che sono nel colmo del lor vigore; e si spicchi dal mezzo della vite, sia rotondo, delicato, leve, sodo; con occhi spessi, corti dall’ uno all’ altro, e che abbi assaissime gemme nuove, da vite non più che di dieci anni. E se bene alcuni sono d’openione che tosto staccati dalla vite si deb- bino piantare, tuttavia l’ esperienza ha rimostro, che il lasciargli per parecchi dì star còlti e in lato asciutto faccia poi piantandogli meglior prova, e più agevolmente afferrargli. Ma se egli occorresse conservargli a qualche effetto lungo tempo, caccinsi in un orcio privo d'ogni umi- dezza, mettendovi in fondo della terra sparsa e sopra di essi, sì che tutti n’ abbino attorno; sia l’orcio lungo et alto quanto i magliuoli, perché con il loto si possa turar bene in bocca che non vi possi trapelare né vento nè aere; così si (!) per lo divelto. Ora, le stampe. — (?) osservando al con- trassegno già fatto loro, le stesse, 359 manterranno per due mesi e trasporterannosi da lontano. E se, volendo piantargli, vi se ne ritruovano alcuni che abbin patito e sien ristec- chiti, piantinsi dopo avergli per un dì e per una notte intera tenuti nell’ acqua. Usano alcuni piantarne due insieme per tirar innanzi quello di più messa; ma quando sono qualificati, come s'è detto, è assai porgli sceveri. E li magliuoli poi, che han gli occhi spessi con corti nodi, s' hanno a fare di minor lunghezza che non quelli che gli abbin radi e distanti l uno dal- l’altro, né maggiori d'un braccio e mezzo o un braccio e tre quarti, e massimamente in piano, perchè nei poggi dove la terra scorre si posson far più giusti. Del tempo del piantare le viti sono discor- danti i pareri. Ma si conviene che, se la positura del cielo sia piovigginosa o fredda, o ’1 campo grasso e campestre, e pianura che senta d’ umido, sia bene piantarle di primavera; e se sia secca et asciutta e calda la complessione dell’ aere, e 71 campo di poco polso et asciutto e nei magri e scoscesi colli, è bene porle d’ autunno; e di primavera è buon fare dai 183 di febbraio sino all’ equinozio di primavera e nell’ autunno dai 14 di ottobre fino a calende di decembre. Altri dicono che nei lati dove scorra acqua sia meglio piantarle d’ autunno, tosto che sien le foglie cascate alle viti e spogliate dei loro frutti e rassodate, come si disse, solamente dalle brinate, perche allora s' unisce meglio la terra e s' im- pasta alle radici, dando loro sotto nutrimento maggiore. I Turchi in piantandole cacciano sotto due magliuoli a un tratto, cavando fuori il capo 360 d’un solo, intrecciandogli sotto terra insieme, forse avendo openione che quello di sotto aiuti dar meglio fuora (') quello che sopra la terra rimanda. Ma a volere questo ben segua, fa di bisogno nel calcio incastrargli insieme con biette e legar (*) con giunco l’intaccatura; e di questa maniera farà effetto, acconciandoli come s° è detto nell’ assegnar i fichi col salcio. Io per certo ho esperimentato (e così come noi non possiamo così ben sapere la qualità della natura di ciascheduna sorte di vite) sia meglio senza dubbio piantare i magliuoli all’ ottobre anzi che al marzo; perciocche, da che il lor vero depo- sito, anzi sepultura perpetua, ha a essere la terra, che cosa può essere più conveniente che pian- tarli a ottobre, a fin che ciascheduno secondo la sua razza abbi a poter mettere al tempo che secondo la sua natura se gli richiede ? Del muover d’ essa o prima o poi, non si potendo così per appunto appostare il tempo giusto della lor mossa a marzo, sendo che chi prima muove e chi dopo, in quella maniera ciascheduno potrà muovere secondo la sua natura. E altramente ho fatto pruova di tutti gli arbori e piante che sì pongono a rami; et avendo avuto sospetto del rigore del freddo, ho usato coprirgli di terra cotta leggiera o d’ altra materia che più al dar fuora d’esso gli possi riparare; dipoì sì scuo- prono a primavera e vengono molto bene. Ma ne magliuoli ancora tanto più si dee osservare in quei luoghi che non sono troppo soggetti (!) dar meglio favore, erroneamente, le stampe. — (?) e serra, le stampe. 561 all’acque et all’ umidore; perciocché in questi, come in tutti i luoghi piani, è meglio piantare al marzo. Ma se è vero il parere di coloro che affermano che allora e tempo accomodato (*) che sì possi eleggere per spiccare i magliuoli sia quando son loro cascate la metà delle foglie, che perciò mostrano ancora di avere il loro umore e vigore, per tutto sarà sempre più acconcio il piantargli d’ ottobre che a marzo, se già intorno alle mosse loro di primavera non sì spiccassero, che altramente il verno si stac- cano asciutti e secchi, privi di umore. E sola- mente di questo tempo si deono staccare per necessità, quando non sì possino avere in altra stagione. Sono ancora molti che stimano non si dover staccare i magliuoli avanti che abbino avute due o tre brinate e che siano assodati et indurati bene dal freddo, perche allora si ten- gono per fatti et a proposito a piantarsi. Si conservano poi assal d’ inverno a ricoprirgli co 1 terreno semplicemente, non volendo met- tergli in orci come si disse di sopra, che così ancora si manterranno per due mesi e più. Et avendosi a condurre da provincie lontane per quasi tutta l’invernata, s' impiastrano con il mele, sì sotterrano nell’ arena dolce di continuo innanzi inumidita con acqua similmente dolce. Se avvenga che abbino a essere portati per l’acqua salsa e posti in cassette di stagno, piombo o rame, dureranno a mantenersi il me- desimo tempo. E di questa medesima maniera durano ancora le marze di qualsivoglia frutto (!) allora tempo, il più accommodato, le stampe. 362 che da paesi lontanissimi abbi a condursi. Ma egli è stato osservato per cosa chiara che i magliuoli che per qualunque accidente, o colti d’un pezzo a dietro o come si sia, abbino un po’ patito e siano quasi appassiti e divenuti verdesecchi (senz’ altramente tenergli poi nel- l’acqua avanti si piantino, come fanno certi che l’errano, perché così andando poi il tempo asciutto si perdono per la più parte), fanno miglior pruova assai che bene e freschi conser- vati o che i tosto spiccati e posti e stagiona- tissimi, purchè siano prima piantati con dili- genza, più gli accompagna la terra e se gli uniscono; avendo cura che tuttavia si piantino all’ asciutto, e ripieni attorno e circondati d’arena fresca o terra cotta in quel pertuso ove sì piantano, anzi che di vinaccia, come affer- ma alcuno, o d'altro pacciame; e che tuttavia così in questo come nel piantare ogni sorte di arbori e frutici et erbe s' osservi il crescere o scemar della luna, la quale ha espresso predo- minio sopra tutte le sorte delle vegetative e massimamente per far copiose et abbondanti le viti. Adunque la luna crescente in piantando osservata ('), circa al suo mezzo augumento gioverà assaissimo, che così impartisce della sua natura alle piante, infondendo in loro il vigore che è in essa del crescimento, del calore, della siccità, dell’ umidezza e frigidità, e di tutti questi togliendo e levando quanto ella va man- cando e scema; e così per contrario, essendo in augumento. Ora non avendo ella alcun lume da (1) osservisi, le stampe. 565 se, ma ricevendolo et incorporandosegli conti- nuamente dal sole e lo riverbera verso la terra, tanto maggiore è questo lume (') che ella rende, quanto più ella si allontana da lui; e per con- trario, quanto più s' appressa alla sua congiun- zione, tanto manco lo fa risplendente in terra; e di qui viene il crescere della luna e lo sce- mare, non che in lei veramente cresca e manchi il lume, se non se quando si eclissa, per essere sempre a un medesimo modo illuminata dal sole ; sì come il sole illumina il corpo di tutte l’ altre stelle, che stanno sempre da esso tutte lucidate a un modo, rispetto alla grandezza del convesso del cielo. Ma in lei solamente cresce e manca quel lume che da quella si riflette alla terra, il quale, secondo che egli va diminuendo et augu- mentandosi, ha parimente più e men forza di «muovere il natio vigore delle piante vegetative e di tutte le cose naturali a fare i suoi effetti, causati dal suo primo motore, il sole. Perciocché quanto più egli in essa lo fa crescere, tanto più in esse lo fa abbondare e diffondersi a tutte le parti estrinseche; et altresì per contrario quanto più scema, sì diminuisce; onde sì come il sole nella prima stagione veste gli arbori, nella se- conda produce i frutti, nella terza gli matura e nella quarta gli sfronda; somigliantemente nel primo quarto la luna è potente a muovere, nel secondo a fruttare, nel terzo a far matu- rare, nel quarto a conservare. È s'è ancora osservato e per lunga esperienza approvato che tutte le piante e viti che s'° hanno a piantare (1) è manca alle stampe. 364 sl caccino sotto terra quando la luna è sotto terra, e non mai quando ell’ è sopra terra, che così nuoce loro; et allora gli aggiova, fomenta et aiuta, facendo tutto crescere in vigore e copia di frutti e prestezza di venire innanzi, e più sana pianta, rigogliosa e bella. Può adunque tanto la diligenza del lavoro buono con che s attendono le viti, che e’ si racconta che L. Anneo Seneca possedeva una vigna di inestimabil grandezza e circuito in quel di Napoli, della quale essendogli occorso, per casare le figliuole, tutto che egli fosse ricco come precettore di Nerone di più di due milioni d’oro, alienarne la metà, con aver raddoppiato lo studio del governarla, aver cavata la mede- sima rendita di quella metà che gli era rimasta, che del tutto che gli aveva prima. Così ancora riferiscono per ultimo, essendo egli restato con la terza parte sola, avere con il rinterzare la fatica del procurarla, cavato quanto di tutto insieme. Di qui viene certificatissimo il pro- verbio che dice: chi semina e non custode, assai tribola e poco gode. È ciò tanto più avviene alle viti, che trasandate si conducono a perdi- zione per la loro fragilità e debolezza, né si reggendo da per loro, hanno tanto più bisogno d’ aiuto e governo, che non l'altre piante. Dal di adunque che in terra elle si pongono hanno di mestiere di continua cura, vigilanza e ri- guardo, né già mai deono restare abbandonate e senza essere o con la vanga, se sono in piano, e se in poggio, monte o colle ripido e scosceso, con la zappa trassinate; e né pur una volta l’anno, come si mal fa, ma ciascheduno mese Toten og e pre 565 per estirpare l’ erbe e confortare le lor radici, per il che le divengono poi più liete e più fruttifere senza comparazione. Ancora s’ abbi in osservanza che, avendosi a piantare vigne o altri frutti, si cavino sempre del magro e mediocre terreno per porsi nei grassi, e non mai si faccino uscire di questi per piantarsi in quelli. E non volendo ancora nel porre o viti o arbori fruttiferi osservare la luna, si può fare in questi giorni, che sono veramente per spe- rienza al porre profittevoli, come di gennaio il dì 8, 9, 10, tutti i giorni interi si può pro- fittevolmente porre; di febbraio 7, 8, 9, infino a mezzogiorno; di marzo 3, 4, 5, da mezzogiorno a sera; d’ aprile 1, 2, 8, sino a mezzogiorno ; di maggio 28, 29, 30, tutti interi i giorni; di giugno 26, 27, 28, sino a mezzo di; di luglio tutti interi 23, 24, 25; d'agosto da mezzodì sino a sera; di settembre 21, 28, 29, 30, da mezzodì sino alla sera; d’ ottobre 16, 17, 18, sino a mezzodì; di novembre 13, 14, 15, da mezzodì sino a sera; di dicembre 11, 12, 13, sino a mezzodì. In osservar questa regola non è altra difficultà che 1 inco- modezza quando è mal tempo, e quando troppo freddo e quando troppo caldo. Ma con lo star avvertito, aver le cose pronte et il lavoro fatto, si può condurre tutto a bene, e con lo avere per il bisogno moltitudine d’ uomini pratichi (?). Or i magliuoli non pur s elegghino da fe- condissime viti, ma da rigogliosissima parte della vite e la più che vi sia di frutto copio- (') Dalle parole Ma con lo star avvertito, fino al termine del Jeriodo, manca alle stampe. I ’ p 566 sissima. E avvertiscasi che volendo far pergole si stacchino da pergole, e così da bronconi per bronconi e da vigne per vigne, staccando i magliuoli da quelle viti che l’anno innanzi abbin fatto poc’ uve e che si speri che l anno a venire siano per dover farne buon dato; et abbino per lo più sette in otto occhi, perché da quivi in su è reputato il magliuolo sterile; et è ancora buono quel magliuolo che si spicca rasente a quello che si lascia per capo alla vite; e quanto più si taglia rasente il gambale della vite, tanto è meglio; e se bene non ha del vecchio, non rilieva, ancorchè e’ mettino tra 71 vecchio e ’1 nuovo, e più sempre in sul nuovo; e questa medesima avvertenza è da essere avuta nelle viti degli arbori, pergole e bronconi. Nelle valli dove concorra scolamento di terren buono, stanno benissimo le vigne; e nelle moderata- mente alte cime dei monti e nei colli difesi da altre montagne acconciamente riseggono le vigne, le quali gli antichi hanno approvato che elle sì voltino a occidente verso tramontana, affermando che così le sono più feconde, ma di men buon vino, come nei piani e nelle spiaggie aperte, poste a piè dei monti. Le valli profonde sono da essere fuggite per l umidità che rice- vono e per le grandi ombre, essendo le viti amicissime dello scoperto e del sole; e vi si producono debolissimi vini. E se pur sia di mestiero porvene, piantinvisi vitigni che faccino talmente 1 lor granelli rari, che fra essi possi agevolmente penetrare il sole, et in quella parte di valle dove egli più che in altra si scuopra. Nei piani e nelle cupe valli s° hanno a piantare 5307 tali sorte di uve che sogliono portare le viti alte e che producono l’ uva primaticcia e non molto fitta, ma rada di grappoli, di dura scorza, soda, asciutta e forte, come la colombana e simili. Nell’ alture de’ monti, colli e colline, coste e spiaggie fanno bene tutte quelle che produ- cono il ceppo basso, di granello tenero e facile a marcire, e grappoli stretti e serrati di gra- nello, come il moscadello e ’1 mammolo; ma il moscadello, che innestato in su la sancolombana acquista graziosissimo sapore, e tutt’ altro viti- gno che teme la nebbia e la rugiada, vuole essere piantato a oriente, et a occidente quelli che ricevono aiuto e vigore dall’ una e dal- l’altra, come sono le colombine e le di scorza dure et asciutte. Il colombino e suoi simili che hanno il legno duro e broccoloso e che si scovre presto (') è cattivo per i luoghi ventosi, et in questi fa bene il greco e ’1 trebbiano in vigne. Si deono ancora piantare le viti nei campi grassi che sieno poco fertili, e cavati i magliuoli dai luoghi magri, e così per contrario; e non meno nei freddi et umidi quelle che hanno poca midolla et i granelli sodi, e nei caldi e secchi quelle che ne hanno assai et i granelli delicati di sottil buccia. Tutti i terreni sassosi in qua- lunque sito o di piano o di poggio, purché in lavorandogli per piantarvi si facci rimanere le pietre dentro al terreno, ricevono le viti lieta- mente, generano saporiti e gagliardi vini; così le terre sparse di minuti sassatelli e mesticate di scaglie o pietre che si fendino, come dove (') sî scorza presto, le stampe. 365 fa il vin di Reno; e similmente quelle dove occorra spezzare grandissimi massi e cacciar sotto i lor pezzi di modo che non appariscano fuori, giovano alle viti e fanno buoni vini; le terre salebrose et amare non sono il proposito per le viti; come il dolce e di buon sapore, dove appresso nasca acqua dolce e buona da bere, dovendo essere tale il sapore del vino quale della terra. Con tutto ciò alle marine fanno buoni vini, e per cagione di quell’ aere sono le uve fuor di modo saporite. Amano le viti ter- reno magro anzi che grasso, ma in magrezza mediocre, sì come in grassezza; e se pure siano piantate in grasso terreno, sianvi delle pietre assai in esso, e se magro non molte pietre e terra assai della buona, perché nel sasso (*) quasi schietto o poco meno, come nei calestri, pruo- vano benissimo. Ogni terreno domestico buono per piante di arbori fruttiferi s' affà alle viti, sia in che posizione di sito si voglia, purché sia asciutto; ond' è che non rifiuta il dala e teschio puro. E le viti che vi faccin bene verdi e fresche con i gambi grossi e grandi, non ronchiosi 0 broccolosi, ma lisci, belli e delicati, di frutto assai, dan chiaro segnale che sia per loro. Gli spini et 1 roghi danno indizio di terra atta alle viti. Quella che per il caldo sì fende et ha gran crepature, è cattiva per le viti come ancora per i frutti, se già non vi fosse comoditò. di adacquarla, essendo per altro di sustanza e forte. È recipiente per le viti quella terra che con la grassezza ha sustanza e leggerezza, e non grave, (1) ben che nel sasso, le stampe. 569 e ancora che ella sia di sopra debole, se dentro è grassa e sustanziosa, sarà buona, perché quella di sotto nutrica bene le piante e quella di sopra, secondo i tempi, ben difende dal freddo e dal caldo. Così fa buon profitto a tutto che vi si semina il terreno che sopra è buono e sotto cattivo, zappandolo o vangandolo in modo, che smovendolo a dentro torni di sopra la [terra] buona e sotto vada la trista. Desiderano le viti il terreno in tutti i modi di buon fondamento e che sieno siti in fondo simili a sè medesimi; onde è che nel paese di Roma, sendo a poco più d'un braccio il tufo, sleno i vini romaneschi di poca durata, se ben di buon sapore, e perciò molto atti a far buoni i raspati; e nel cretoso rade volte piglion bene; pur la terra che ha di sopra arena e di sotto creta gli produce assai acconciamente; et in questi terreni, così malagevoli a appiccarvi i magliuoli, si possono piantare delle barbate, sic- come ne’ paludosi e all’ acque sottoposti. Le barbate è ben porvele senza potarle, e ’1 se- condo anno riempierle di terra; e giova ancora a gettare fra la creta assai letame, e nel fondo della fossa, quando si lavorano, dell’ altra terra. Dove sono sassi in abbondanza conviene sce- margli, e dove non ne sono fa bene porre intorno al piè de’ magliuoli tre o quattro pietre vive, per la ragione che si disse di sopra; per il che è bene, sempre che si fanno i divelti, cacciar delle pietre in fondo delle fosse e massimamente nei piani, come sempre anche, ponendo in fosse, fognarle sotto con le lastre, accomodandole in modo che non pur l’acqua che piove, ma tutta 24 370 l'umidità sì scoli; e tanto si facci, ponendogli nelle buche, e tutto più assai nei piani, spiaggie e coste, che nei colli sollevati o monti; e facendo le fosse, sì getti la terra buona da una banda e la cattiva da l’altra, affinchè questa rimanga di sopra e quell’ altra si stenda su le radici. Tra i calcinacci e rovine, purchè vi sia alquanto di terra, pruovano le viti bene. Tutte le viti (') che fanno l'uva di granello tenero stanno ben piantate (°) in terreno renischio, e rendono buon vino, e massimamente avendo sotto acqua dolce. La terra che succia presto l’acqua è conve- niente alle viti; la creta rossa, l argilla e 71 gesso che la rattengono, è cattiva. Dove è stata altra volta vigna è male rifarla, per le radici. restatevi e per il terreno indebolito. Bene adun- que è eleggere il terren crudo, nuovo e selva- tico, o sia di sterpi, di macchie, di roghi, o prato, o di bosco di quercie più che di cerri; e. fuggasi sempre, più che le ginestre, ove nascono le felci, ché, oltre a che, come'è le tignamiche e "1 cisto, danno indizio di cattiva terra, non si sbarbicano mai. Et i magliuoli che si pian- tano nei piani non sì mettono a giacere come si può fare nei monti e nelle spiaggie, mentre si fa il divelto; perché, essendovi sotto il pan- cone, non sì smaltirebbe 1 acqua e starebbono di continuo molli le barbe che e’ mettesseno, e per conseguente queste in breve tempo si mar- cirebbero. Considerato adunque bene, secondo 1° osser- (?) Tutte quelle, le stampe. — (°) stanno bene piantarsi, le stampe. 530] vazione degli ordini sopradetti, il luogo del sito a proposito per le viti, accomodandosi sempre nel meglio alla qualità del paese, e determinato lo spazio che si desidera per esse, conviene da quella banda che torna bene a mano a coloro che hanno a lavorare dar principio a divegliere il terreno dove elle hanno a stare. Facciasi adunque la prima fossa (*) quanto tiene la lun- chezza di detto spazio destinato loro; e se non è molto grande e disagioso, si può far portare dal contrario lato, dall’ ultima parte del divelto di fuori, per riempiere l’ultima fossa d’ essa con barelle o carrucci per il sodo. È se è gran paese, si può gettare fuori del divelto da quel medesimo lato, e lasciarlo stare sopra la fossa dal lato di fuori, e farà argine a piè della siepe che vi s ha a porre. Ma meglio è farla gettar discosto, sparnazzandola nel terreno, che appia- nandosi la vi si smaltisca senza far risalto. Né si metta mano a così fatto lavoro quando la terra è non solamente molle ma umida, perché, essendo umidiccia la terra quando la si diveglie, fangosa o bagnata affatto, sopravvenendogli grossa pioggia, inzuppa di modo che (*) non dopo molto tempo soffoca i magliuoli, di modo che non vi pruovano, perché non s° addomesti- cano mai con quella terra rappallottolata e zotica; però è di necessità eleggere giornate serene et asciutte; e volendo farlo d'inverno, è buon fare quando tira tramontana e che si vegga il terreno con l’ essere inumidito e ram- morbidato dall’ acqua piovana, rimanere asciutto, (1) Za fossa, le stampe. — (7) insuppa in guisa che, le stampe. 5372 non essendo mai bene trassinare il terreno molle, né per questo, né per altro. Per il che, volendo assicurarsene, la diritta è fare tutti i divelti di estate, nel qual tempo s' incuoce la terra al sole forse più che per i freddi, divenendo cotta e stri- tolata; meritando d’ essere solamente (') lodato quel divelto, la terra del quale sia ridotta quasi in polvere e che sia più a dentro sempre di quello che hanno detto gli antichi e che da noi si dirà; perché nel terreno sodo, che rimane sotto la terra smossa del divelto non fatto bene a dentro, non sì generano molti vapori, per- ciocchè l' umidità (°) delle sostanze meschie et impure che son generate dagli elementi, con l’aiuto del sole e degli altri pianeti e dell’ istesso cielo, non possono penetrare nelle viscere della terra che non è sollevata e mossa così bene, come in quella che è per contrario; né meno confiolare (*) insieme et unire la messa delle barbe (‘) e fomentarle gl terreno, come quando sla il terreno profondissimamente divelto. Né è assal anche il diverre la terra così a dentro a volere avere le viti fertili, ma bisogna ancora che i contadini usino grandissima diligenza in diverlo sottilmente, acciocchè non vi rimanghi né sassi oltre a modo grossi nel mezzo, né sterpi, né zolle grandi né piccole che non siano disfatte e sfarinate, perché questi impedimenti non lasciano poi accostare la terra cotta a’ magliuoli ; i quali non essendo bene stretti e serrati da (1) sommamente, le stampe. — (7) Ze umiditadi, le stampe. — (3) confiolare manca alle stampe; forse muovere, eccitare. — (4) Za massa delle barbe, le stampe. quella ammazzolata ricevono, così il verno come l’estate, notabilissimo danno e mancano di venir rigogliosi e di tanto frutto. Dee adunque la prima fossa detta essere larga due braccia e fonda tre, se sia in poggio, pendendo sempre nel più se sia ripido e sca- vezzo, e nel piano due in circa, secondo che sì conosce esservi meno o più umidità, e che vi sl ritruovi vicino alla cima del terreno il pan- cone; che sono due cose oltr” a modo alle viti nocive, e nel fare i divelti l'una e l'altra age- volmente (') si conosce. Ne viene accanto il dover fare l altra fossa rasente alla fatta, la quale si può sotto co’ 1 marrone soggrottare per espedire il lavoro con più prestezza, che così capoleverà il terreno smosso nel fondo della fossa, dove cascato, se non è ben disfattosi e divenuto come lavorato nel cadere, si dee quivi tutto con la zappa o vanga minuzzare e presta- mente rilavorare. Di poi s' ha a ritrovare con i ferri il terreno restato sotto al rovinato sodo, e quivi con la vanga o zappa e pala ridurlo al piano in fondo della fossa mezzo ripiena, get- tando sopra il terreno a quel ragguaglio; e di questa maniera s’ andrà seguitando di divèrre tutto il terreno di quello spazio che s'è deli- berato per la piantata della vigna, avvertendo che è meglio, massimamente nel poggio, monte, spiaggia, colle o collina, piantare di mano in mano che si mandano giù le fosse a riempire luna con l’altra, i magliuoli, che poi, spianato il divelto (*), porgli con la gruccia. Spicchisi (1) agevolissimamente, le stampe. — (?) come s’ è detto, aggiun- sono le stampe, Sd adunque, se sieno stati tagliati dalla vite con esso, quel poco di legnetto che si chiama il vecchio, e gli antichi lo chiamavano mallo, ciò è martellino; con ciò sia che rimanendo appic- cato tal ceppetto, stando poi sotto terra infra- dicia; onde tutte le barbe che mettono al capo del maglinolo, che sono pur assai, toccandolo ancora loro si guastano, patiscono et infra- diciano. Appresso a questa diligenza non bisogna pretermetterne un’ altra più importante, che è d’osservare che, quando si piantano nelle fosse 1 magliunoli, si ponghino a giacere un certo che a discrezione nel fondo d’ esse, dirizzando il resto all’ aere, affinchè più agevolmente abbi a poter mettere maggior quantità di barbe, sendo che quanti più occhi hanno i magliuoli sotto terra, più barbe mettano; e tuttavia nel fondo del divelto di fossa in fossa si gettino dei sassi, se non ve ne sieno, portati d’altrove; e se ve ne sieno, disporgli la maggior parte nel terreno, sì che pochi ne rimangano fra la terra di sopra al fondo ('). E facendosi, per piantare le viti, fosse aperte (perchè ancora questo si costuma per abbreviare il lavoro e risparmiare spesa a fare il divelto, ma conviene che sia più buono terreno per loro e loro appropriato e che l’ amino di natura) o per diritto o per traverso del :ampo che s' è destinato per vigna, come venga meglio, siano aperte bene di larghezza in bocca di due braccia e mezzo, e in fondo ugualmente, tirate giù e soggrottate poi quando vi sì pian- (1) di sopra e ’L fondo, le stampe. nm (+) tano i magliuoli, dall’ una e dall’ altra banda minuzzando e tritando loro addosso tutta la terra e questa ancora con che le si riempiono; e siano cupe in poggio tre braccia et in piano poco meno; e gettisi lontana la terra dall’ orlo della fossa un braccio, la buona da un lato d’ essa e la cattiva dall’ altro al medesimo modo, affinchè quando le si riempiono in piantandovi i magliuoli (osservando sempre nel poggio, spiag- gia, monte, collina e colle di mettere una par- ticella d’ essi sempre a giacere) la buona gettata su e l’altra degli orli della fossa, disfacendola e tritandola, sì possi mandare al calcio dei ma- gliuoli (*), e poi la cattiva o men buona sopra, che co' 1 tempo incocendosi ella ancora ai soli e confettandosi ai freddi diventisi (*) buona, avendo avvertenza di porre nel fondo buona quantità di sassi, accozzandogli in foggia di fogna, se si conosca che l’acqua vi covi o sia punto acquitrinoso il terreno; se non, alla rin- fusa (*) Di poi gettisi sopra i sassi, tanto che si. ricuoprano, terreno di quelle sponde delle fosse che è restato sodo e buono, e sopra questo piantare i magliuoli con dare loro al calcio, se sia luogo oltre a modo magro, terreno mesco- lato con letame vecchio stagionato, o fiocini o vinaccie, che ancora questo farà lor bene, o veramente loppa e pula di biade o di grano, ma che sia marcita d'un anno o di due; e ciò fa di modo germogliar le radici, per essere ma- terie calde accompagnate dall’ umidità della (1) come di sopra fu divisato, aggiungono le stampe. — (2) diventi, le stampe. --- (3) alia confusa, le stampe. 306 terra e vigor del sole, che opera a farli più presto fruttificare, massimamente se sia marcita allo scoperto e non sotto gli animali; sì come quelle pietre postevi in fondo, non più grosse d'un cacio marzolino di quattro libbre, non solo manterranno fresche nel gran caldo le barbe delle viti, ma vi riusciranno i vini assai migliori; e le gemme delle medesime viti indugieranno d’anno in anno a metter, sì che non saranno offese da freddo che lor sopravvenga. È bene ancora cacciar nelle fosse sterpi, ricci di casta- gne, manne di sarmenti o fascine, che manten- ghino il terreno sollo e sospeso, da potervi meglio abbarbicare; sì come gioverà ancora non riem- piere la fossa tutta a un tratto, ma lasciare d'anno in anno sino in tre anni a macerare quella terra soda degli orli, e stagionata gettar- vela dentro un poco per anno, sì che il terzo anno venga colmata e pareggiato il terreno; e posti, come s° è detto, i magliuoli nel pian della fossa, si lascia loro due occhi, di poi, strappan- dola con le mani, si leva loro la più debol messa, e tirata innanzi l’altra, tagliando di sopra l’avanzo del magliuolo, se sia la prima, se no, senza toccarlo, sì conduce alla sommità della fossa, ponendo a tutti una cannuccia o paletto, e zappandogli o vangandogli ciaschedun mese, sbarbando l’ erbe, sì che siano conguagliati al terreno. Né prima che al fin di maggio si deve troncare quella messa più debole con lasciare l’altra e più ancora, finchè quella messa sarà inviata a farsi lunga, perchè allora non germo- glierà più; et al febbraio seguente si tagli via quel poco di messa che avanza sopra il ma- 9 377 gliuolo col pennato, acciocchè crescendo il fusto e quello di compagnia diventino un medesimo piede. Ancora deesi lavorare il terreno intorno a’ detti magliuoli il primo et altri anni, ma meglio sarebbe zappargli o vangargli ogni mese, questo in piano, quello in poggio, e così tutti gli altri magliuoli, piante e vigne, cominciando da febbraio sin per tutto ottobre, ritornandovi parte del lor terreno attorno da maggio sin per tutto agosto, affinchè le non siano (') tra- fitte dall’eccessivo caldo le lor radici, e poi colmarle con la marra innanzi al verno, et aprirli poi fuori alla primavera, lavorando allora attorno bene e nettandoli dall’ erbe, con tagliar via (?) tutte le radici che saranno fra le due terre, con mettervi, ma un poco discosto dal piè, il suo palo, che la vi s' avvezzi a andarvi su. Ma poichè queste viti averanno due anni, l’altro vegnente febbraio si taglino di nuovo sopra i due occhi, e dipoi vi si mettino i pali che gli bisognano (*) un poco grandetti. E come quelle due messe siano cresciute un dito, si levi la minore; ma se ’1 piè sia gagliardo, lascinsi ambedue, tenendogli netti da ogni altra messa che vi s' inframmettesse e spuntando ancora quelle che vi sono, perché si facci tutt’ una; e poichè all’ altro febbraio averanno tre anni, sì può poi lasciar loro ambedue le messe, tiran- dogli innanzi a guisa di vite fatta e da frutti- ficare, secondo il rigoglio che se le vede. (1) affinchè se non siano, erroneamente le stampe 1600, 1610, 1622; affinchè nom siano, la stampa 1734. — (?) con tagliar lor via, le stampe. — (3) che loro bisognino, le stampe. 378 Ma le buche, che per i campi o luoghi della villa per piantare le viti occorrono fare siano quattro braccia per ogni lato e fonde tre in monte e in piano poco manco, gettando pur la terra lontana dalle sponde un buon braccio, per poter poi, come nelle fosse, riempirne quanto più si può della buona; et avanti (') che si piantino cosifatte buche o per frutti o per viti a far bronconi tra lun frutto e l'altro, nello scompartimento dei campi, si riempia il fondo di sassi ammontati in colmo, affinchè l acqua scoli e non covi e stagni a fare infradiciare le radici, come chiusa in un vaso. E si deono fare queste buche così grandi, perché altramente le radici, urtando nel sodo, non si dilatano; perciò è bene ancora questo, in piantando, soggrottarle. Ancora s' ha ad avvertire nei paesi di sito che v'è gran calata e scoscesa e ripida, ove s° hanno a por viti, che ad ogni ordine che d’esse si ponghi, in filo et ancora a vigna, [conviene] fare un muro a secco grosso a scarpa che sostenghi il terreno, di maniera che piovendo ancora rovinosamente non l’ abbi a portar via. S' accostuma ancora in molti lati d’ Italia e fuori, in monte et in piano, dove s' hanno a piantar vigne, non divèrre tutto lo spazio d’ esse, ma in quello far assai fosse larghe, luna dall’ altra lontane due braccia e mezzo e tre, e porvi i magliuoli; ma di questo modo, trovando presto il sodo, non profittano a un pezzo, quanto quelli de’ divelti liberi. Ma se elle saranno fosse ampie, piantate con la regola di sopra, verranno bene, ma non mai tanto (1) et avvertasi, erroneamente le stampe. PI e oo api — 309) quanto nei divelti, dove la terra è tutta smossa, e le rahci, largamente vagando, possono abbrac- ciare il tutto. Ora, volendo piantare al febbraio, lavorisi il terreno all’ ottobre, se non si sia prima di estate potuto lavorare; e volendo pian- tare all’ ottobre, sia lavorato prima all’ agosto almeno, se non si sia fatto di primavera; e, come sì sia, non si maneggi mai la terra altra- mente che asciutta et a tempo asciutto, sì come non si pianti mai, che sia il terreno ammazze- rato e con tempo piovoso o inumidito. E di qui è che la prima cosa che ha a fare un valente agricoltore, volendo ben coltivare e trat- tare e tenere la sua possessione, si è pensare ai modi di sanarla dall’ acqua e da ogni suo gemitio, così della piovana che ella non nuoca ai campi, come alle pozzanghere et acquitrini d’essa e da quelle delle vene di sottoterra che non ap- pariscono all’ aere, e dare l’ uscita a tutte, con far buone fosse scoperte o fogne aperte in pozzi smaltitoi o chiassaiuoli, secondo i siti e che ricercano 1 paesi, riparando con muri a secco e talvolta con i fatti a calcina, e cansare il tra- bocco dell’ acque, facendo fare assai e buoni acquai per i campi e fosse fognate per dare lo sfogamento all’ acque, e con fare nei luoghi da smaltirle buoni acquidocci, con i suoi scolatoi ben fognati, e con ordinare le fosse peri frutti e per le viti similmente, con capaci e larghe fogne, e massimamente nei luoghi dove con- corra molta acquazione, e di questa maniera sanificando i campi. E in questi bisogna veder di piantarvi ogni altra cosa che fichi, perchè in poco tempo seguendo la conformità della lor 350 natura ritureranno con le lor radici la fogna, essendosi trovata ne’ condotti dell’ acqua giù per 1 doccioni una barba di fico più di centocin- quanta braccia lunga, che lasciatasi ingrossare averebbe guasto affatto quel canale. E volendo pur piantarvene, per essere luogo fresco, fac- cinsì per loro le fosse più spesse, e pongavisi una fossa di fichi e una no. E per essere questa una delle grandi importanze che risguardi l’ ot- tima coltivazione dei campi, di levare ancora l’acque stagnanti, o che vi vengono o che vi nascono e covano, conviene porci cura con ogni diligenza, prendendo esempio dalla natura; che così come l uomo che non può orinare, sendo (*) impedite le strade di ciò, si fa spacciato, il simile avviene alla terra et ai campi, che se non si purgano dall’ acqua rimangono infermi e come morti (*), non rendendo frutto 0 poco, et i posticci vi vengono meno; onde è di neces- sità aver l’ occhio a rimettere le fosse ai tempi, per dare esito ragionevole all’ acque piovane che rovinano i campi in poca dotta e portano sempre via il meglio del terreno che le dila- vano. E dovunque esse fanno questo cattivo effetto si dee avvertire di lavorarvi al tempo asciutto e quando altrui si crede che e° non sla per piovere; e tanto più si dee essere cauto in ciò et accurato, quanto più sì desideri in tali lati di porvi delle viti, le quali per essere di natura umorose hanno a noia l’ acque, e sì vede per esperienza che nei luoghi umidi fanno (1) sendole, le stampe 1600, 1610, 1622; sendoli, la stampa 17384. (*) e sono morti, le stampe. 551 cattivissimi vini ('), e così per contrario; e così per i seminati e per i frutti i luoghi pantanosi non rendono. Imperciò per rettificargli conviene talvolta far grandissimi fossi aperti che sboc- chino in laghi e fiumi vicini, e che sien atti a ricevere in sè tutte le fosse che son fatte per sanificare i campi e le campagne occupati dal- l’acqua et i paduli. Ma quanto alla bontà dei vini, volendo colti- vare a viti, 10 ho per costante che chi desidera buon vino ponga i vignazzi in lato montuoso e pieno di sassi o grandi o piccoli. Colui poi che brama d’averne assai, ponga pancate et anguil- lari in piano in lati grassi, mettendo i magliuoli più radi e discosti che altrove, o sì vero a bron- coni peri campi, o le mandi in pergola così mez- zanamente alta; perchè la vite, oltre al cercare tuttavia con i tralci di allargarsi e distendersi, è vaga d’ abbracciare molto paese, e massima- mente in alto e quanto più va alta, tanto più frutto getta, ma di sustanza più debole e minore; e tenendola bassa a uso di vigna se gli viene a torre il suo proprio et è forza che ella facci poco in tal lato, ma buono. La vite in sé ha questa natura che ella vuole stare insieme vite con vite, come in vero è cosa naturale di tutte le piante d’ogni genere; et a voler far buon vino non vuole la vite partecipare di niente altro che di essa vite e di essa sostanza di vite, per essere la vite e ‘1 vino tanto gentile, delicato et attrattivo, che ogni minima cosa lo guasta, ogni seto e sapore piglia di quello che vi si (!) fanno cattivo il rino, le stampe. 552 i mescola et incorpora, e rattiene ('); e non ch’ altro, osservisi che nelle vigne dove il ter- reno produce la marcorella, quel vino saperrà dell’ istesso tristo odore di marcorella; sì che, come s è detto, vite con vite e vino con vino in gran quantità insieme, et avere gran cura ai vasi, o siano di terra cotta invetriati, a usanza di Spagna, dove i loro potentissimi vini secchi, Sammartini e di Riva d’ Avia, racchiusi con la bocca serrata e stipata di pece, dal di che ai principali di quel paese sia nata una figlia gli tengono sigillati sin che si sposi, e gli trovano essere tuttavia abboniti. Ancora si dee stare avvertito ai tini che non piglino seto cattivo e sì conservino con buon odore, come tutte le botti e barili e bigoncie, sopratutto procurando che le non sappino di muffa o piglino il secco; ché non ne vanno queste due cose se. non eon lasciarle e levarne anche buon dato. E volendo esperimentare le differenze delle fatture dei vini fatti in diversi lati e di diversa maniera di vigne, faccisi fare un tino d’'uve di vigne et uno d’uve di pancate, e tutte di poggio e d’un medesimo paese, e facciasi pruova di qual sia migliore d’ ambedue essi vini, che senza dubbio sarà migliore quel della vigna. Piglisi poi uva d’ una pancata o anguillare di tre filari, e quella del filare di mezzo si metta dispersé in un tino, et in un altro pongasi quella dei due filari dalle prode; e facendosi l’ esperienza qual sia il migliore, sempre si troverà il vino (1) ei rattiene, le stampe 1600, 1610 e 1622; e il rattiene la stampa 1784. SD del filar di mezzo essere più buono, più sano, più netto e più saporito e di più bel colore, che quello dei due filari di fuori, perchè viene a partecipare del grasso del campo e quello di mezzo non vi arriva. Ma del sapore, odore, co- lore e bontà delle viti medesime, faccisi paragone del vino medesimo dei bronconi e dei cappel- lacci e degli altri con quello delle pergole, che se l’uno si troverà debole e grasso, 1’ altro riuscirà forte e generosissimo, cioè quel delle pergole (*). E per concludere, chi vuol buon vino, ponga le viti in luoghi montuosi, secchi et asciutti, buoni e privi d’ ogni gemitio e mol- lore d’ acque stagnanti; e chi assai vini, pan- cate e bronconi, e metta in pergola. È ben vero che le vigne ogni dì vengono a noia ai mezza- iuoli, perchè rispetto a quelle le fan poco vino; e chi n’ ha e chi ne pianterà e ne faccia a sua mano, ne farà bene. Ma chi le lascia a grido di villani getta via la spesa; et avendo durata la fatica indarno le vede tosto mal condotte consumarsi e finire, e massimamente quelle dei poggi e monti, perciocchè in quelle dei piani interviene il contrario, perché si mantengono le vigne e le pancate sì spengono. È tosto che sia la pancata o la vigna in essere, a due cose bisogna avere gran cura; l'una di non lasciare mai seminare su’ colti semente di sorte alcuna, come fanno molti imprudentemente, carote, pa- stinache, radici, bietole rosse e simili, perché i magliuoli col nutrimento che levi loro ne pati- (1) Dalle parole che se l’ uno fino al termine del periodo manca alle stampe. 5S4 scon troppo; la seconda è di non vi lasciar tra- sporre piante di sorte alcuna e massimamente cavolini, spigo, ramerino e salvia e simili cose calde, perchè spolpano il terreno, e peggio di tutto le zucche, cocomeri e poponi; ma il prez- zemolo e la lattuga seminatavi con la sasse- frica (') non gli farà notabil danno, come qual- che rapa rada e radicchio. Quando egli è tempo di potare, faccinsi staccare i magliuoli per porli a luna crescente, passata la luna di gennaio; e quando arrivi alla vite, la prima cosa squadrala tutta e scorgi come possa battere la potagione e lasciagli il suo capo; e se questo truovi lungo come da prima sì disse, spiccane il magliuolo, [s]e non, Vl altro (*) che gli viene appresso, che s' ha a spiccare per ordinario et è il vero magliuolo; et oltre alle condizioni dette di sopra, sia me- diocremente sottile e non grosso né broccoloso, e sempre dal basso e non dalla vetta; e legando insieme i magliuoli che si sono così trascelti, avvertiscasi che non sì strofini l un occhio con l’altro o si soffreghi; e se s abbino a trasportare qualche poco di spazio da lontano, pongasi un panno lino molle che di quando in quando si rimmolli in su la tagliatura, perchè, secondo lo spazio lontano, si rammorbidisce; guardisi dal sole e massimamente dal vento di mezzodì e tramontana; abbisi ancor cura che e’ non v abbi rimettiticci su per il tronco d’ altri tralci, più di su per gli occhi (#), et avendogli, lascinsi (1) sassetrica, o sassettica, le stampe 1600, 1610, 1622; sussefrica, la stampa 1734. — (2) se no l’altro, le stampe. — (*) più di su per gli occhi, manca alle stampe, 955 stare, e così tutti gli altri, se ben fossero rigo- gliosi oltre a modo; né se ne toglia mai che un solo per vite, e del primo, o quel primo dopo il primo; et osservisi questa regola da chiunque vuol del vino, perché gli altri sermenti o indu- giano a farne un tempo o ne fan poco. Oh quante volte avviene, che circondando minuta- mente il padrone la vigna sua truova molte viti che non fanno uve mai e di quelle che non fanno se non raspolli, e non si rinviene chi sappi darne la ragione! E pur è questa: che il primo tralcio che si lascia alla vite è il vero capo et il secondo viene a essere il vero magliuolo che produrrà uva assai e presto; il terzo ne farà, ma tardi e poca et in raspolli e rada; il quarto, non mai; e chi non lo crede, ne può far la pruova. Onde si conosce manifestissimamente quanto erri chi pone tutti 1 magliuoli di una vite che vi ritruovi. Da questo per certo procede. E chi vuole ancora avanzare in perfezione questo documento, quando le viti son cariche d’uve segni le più cariche d’esse et in qual magliuolo e da tramontana; e pigli di quello. E se conviene che sia magliuolo di vite che s° abbi a portare di lontano assai, oltre a quello si disse, empiasi un corbello di terra cotta buona e faccisi per di sotto e di sopra per il mezzo passare il sermento, e poi dopo un anno sì tagli di sotto al corbello, et in esso e con esso si pianti e mettavisi all’ ottobre, cascate le foglie; e se vorrai farlo attaccare in lato umido, come nelle corti delle case, e ombroso e difficile, fa la barbata a questo modo in un orcio e ponlo in quello e con quello inclinato. Così ancora, 25 386 ma in terra ferma, sì fanno le barbate per ogni sicuro uso di trapiantare, avvertendo che se s'ha a piantare in collina dèi farne il semen- zaio in collina, se in poggio, in poggio, se in monte, in monte; così dell’ asciutto, caldo, umido, secco, hassi a osservare; e tuttavia nel più magro, secco e stentato luogo della possessione. E ciò s° ha a fare sul divelto o nelle fosse, al modo detto di sopra; solamente non s° hanno a cacciar tanto sotto, perche di lì a poco si pos- sino più agevolmente levar via, perché non ha a essere quella la stanza loro, ma un deposito. Ancora, volendo piantare in sul divelto di monte (perché in piano si può adoperare la gruccia, mentre si fa, senza stendergli nella fossa e di mano in mano piantandoli, riempierla) si fa d'avere un palo di ferro voto uguale in cima come di sotto dalla punta, affinché fittolo in terra facci il buco col cavarnelo dentro di sé e non stivandolo dalle bande come fa il palo pieno e massiccio. Gettinsi in fondo di quel buco sei granelle .d’ orzo, e riempisi il pertuso di terra cotta o polvere di terra buona o arena o vinacciuoli in parte pilandogli bene attorno la materia, e così s’ attaccherà sicuro; e i ma- gliuoli si trasceglino d’ottima bontà di sorte di viti, e varuinsi ('); come anche di diversi sha a piantare la vigna, perché se uno non pruova in quell’anno, fa l’altro e vi pruova.. Né mai, piantando magliuoli, sì patirà che sieno storti o ammaccati per porgli, che ciò gli dan- neggia e fa marcire; e se pur conviene, per (1) e rariasi, le stampe 1600, 1610, 1622; e rar), la stampa 1734. 587 attaccargli alla gruccia e strignergli giù, attor- cergli un poco, sia fatto dall’ ultimo intorno l’occhio; ma adoperando quel palo voto non occorrerà, e massimamente se si facci fabbricare grosso quanto un braccio e lungo il bisogno; e nel terreno sassoso si facci fare un ferro sodo a uso di succhiello in punta, che discosterà i sassuoli ch’ egli intoppi sotto, lasciando 1° aper- tura espedita da mandar giù il maglinolo, il quale si cacci e ponghi giù sempre diritto, se non se quando sì pone avanti si riempino le fosse, un po’ a giacere, come da prima sì disse ; ma, ponendolo torto da quivi in su, s' offende poi troppo a scalzare e zappare, urtandovisi dentro. Se ’l1 terreno sia secco e caldo o estre- mamente magro ove si pianta la vite, non si riempia affatto la fossa, né meno il pertuso sopra il divelto si riempia tutto a un tratto, ma di tempo in tempo, secondo che prende l umore e il vigore in sé; ma se sia umido e freddo e grandemente grasso, riempiasi affatto e sl rituri nel divelti; et in tutti i modi che le viti si piantino, o fosse o divelti o altro, dove hanno a star sempre, sì piantino tuttavia doppi i magliuoli, e afferrativi l uno e l’altro, levisi via il men vigoroso e vegnente, e questo si metta in un altro divelto a parte per barbata, mettendolo lontano l uno dall’ altro un terzo di braccio e non più; e così s' averanno barbate fatte di due anni. Nei luoghi aridi et asciutti, secchi e caldi, è meglio a piantar 1 magliuoli nell’ autunno per far barbate e vigne, perché non solo queste, ma tutte l altre piante che si pongono all’ autunno, oltre alle ragioni dette 398 di sopra, godono nel terreno, perpetuo lor depo- sito e naturale, il benefizio di tutto l’ inverno, addomesticando in quel tempo le lor barbe con la terra e traendone quell’ umore che è loro a bastanza, con esso intrattenendosi, per germi- nare a primavera, nella quale, piantandosi, le lor barbe non hanno molto tempo a distendersi e farsi amiche alla terra, et in un tempo hanno a far due effetti, metter sotto le barbe e mandar fuori sopra le foglie. È buona piantata dal fin di ottobre sin a gennaio a luna crescente, e a luna scema hanno a essere staccati i magliuoli; così per la primavera, nella quale conviene, subito spiccati dalla vite, piantargli nel terreno, per far buone barbate, perchè averanno maggior vigore e forza a metter sotto e sopra che non gli stati colti; tenendo sempre a mente che i magliuoli che hanno gli occhi più fitti sempre (*) sono più fertili degli altri, facendo sotto terra più barbe e fuori maggior messe e uve; et il tempo vero dello spiccargli dalle viti è quando i sarmenti cominciano ad aver piagati un po’ gli occhi e che si scorgono di cominciare a gon- fiare; et il piumtire di primavera s’ intende sempre da gennaio in là, e (*) s ha a far ne’ paesi freddi et umidi, e come sono quelle terre il più delle volte che sono situate alle radici de’ monti volti a levante ponente e tramontana e nelle basse pianure, dove piantandosi nell’ au- tunno cominciano a spuntare fuori le barbe [e] per essere sottili e molto deboli in breve quel (1) sempre, manca alle stampe. — (?) s'intende sempre da gen- natio in là e, manca alle stampe. "o 5359) l'umidità gli corrompe e l’infradicia; per il che avendo le viti o altre piante a rigettare poi alla primavera nuove barbe, essendo la terra asciutta e risecca dagli ardentissimi soli dell’ estate, non possono crescere, anzi patiscono e non vanno innanzi; e perciò è bene in tali terreni servirsi, in cambio di magliuoli, delle viti barbate. Ma nella primavera, smaltito il rigido verno e l’ u- mide pioggie, con il favor del sole che in tal tempo disecca e rasciuga tutta quella umidezza che l’ aveva (*) nell’ autunno e poi nell’ inverno raccolto in seno, quella terra freddosa e piena d’ umido, ammansata et addomesticata e risanata, accetterà per la benignità della stagione conve- nientemente non pur le barbate, ma i magliuoli, a fruttificarvi ragionevolmente. Dove sia diffi- cile e rozzo et aspro il terreno s’impiastri di bovina il magliuolo e sfesso da pié vi si com- ponga dentro quante più si possino granelle d’orzo, e così in tutti i rami dei frutti, ficcan- done dieci o dodici; e il pero, melo e ciliegio e nespolo s’ appiccheranno; e se sia terreno asciutto, s'adacqui in fondo il pertuso, e durando l’ asciut- tore s' adacquino del continuo, perché nulla fa più afferrare che l’ adacquare da prima; ma con- viene continuare in ciò sin che si cognosce le viti o le piante non abbino a patir del secco. Aggravisi, quando si piantano, loro intorno la terra asciutta e si calchi sì che la tocchi per tutto. Ne luoghi e terreni secchi è meglio porre barbate, più acconciamente difendendosi elle dal (1) et in tal tempo diseccata e rasciugata tutta quella umidezza che ell’ aveva, le stampe. 390 sole che non i magliuoli, i quali da sette occhi in su sono giudicati sterili, non essendo rimasto in quelli punto vigore (') di generare. Nei luoghi umidi, perchè il sole possa sempre asciugare d’ogni intorno, piantinsi le viti più rade, e così nei lati secchi e magri perchè ricevano più umidità. I maglinoli condotti da lontano, se sì vede che egli abbino patito, tenendogli nell’ acqua rinvigoriranno. Sotto terra si deono ricoprire almeno quattro occhi, impiastrandogli con la bovina, [la quale], oltr’ a che gli aiuta afferrare, gli difende dai vermini. Scrivono i Greci che le ghiande sfracellate alla grandezza delle fave, sparse intorno alle radici de’ maglinoli, danno abbondanza di frutto e giovano all’invecchiare il vino; il medesimo s afferma delle vinaccie; ma semplicemente I’ a- rena, posta in modo che la circondi i primi occhi del magliuolo, senz’ altro gli farà metter radici et appiccargli a sufficienza. E volendo fare un semenzaio che in capo di cinque anni dia ogni anno assai barbate, divisisi il luogo destinato a ciò più tosto divelto che altramente, e se non, compartito in larghe, grandi e spa- ziose fosse lontane 1’ una dall’ altra otto braccia, dell’ altezza detta di sopra, ripiene poi, pe sì piantano, ammezzate o più. Quivi si ponghino 1 magliuoli cappati, lontani l’ uno dall’ altro un terzo di braccio; et allevinsi poi di tempo in tempo con i suoi paletti sempre secchi, ché i verdi che si appiccano, o pali o canne, sempre (1) in quella parte vigore, le stampe. 591 fan nocumento. E come egli averanno tre anni finiti, siccome s' averebbero a potare in foggia di viti fatte, si volgeranno due o tre di quelle sue messe sotto terra per piè di vite, crescen- dole poi di anno in anno, secondo che vedrassi che i posti sotto mettano più gagliardo, sot- terrandogli in quello spazio dell’ ottobre un piede sotto, e lungi dall’ altro l uno tre brac- cia. Poi, essendo le viti da tramontana verso mezzodì per dirittura, sì volgeranno verso orien- te, tagliandoli due occhi sopra la terra, accon- ciandoli in modo che si possano lavorare e pa- lare e che luna vetta non noj l'altra, come sotterrando il primo magliuolo lontano dal suo pie un braccio, il secondo due, il terzo tre et il quarto solamente uno, il quinto due, il sesto tre e sempre in dirittura, e di questa maniera niun magliuolo occuperà 1 altro, né cima di due occhi sopra terra darà noia all’ altra, anzi appa- riranno distintamente tutti palati; e quando cresceranno in maggior numero, gli sotterrerai sin al doppio anche più spessi, lasciandovi perciò sopra (') delle messe traverse che faccino ma- gliuoli per l’ anno seguente; che se ben faranno lontano (*) da terra un piè o mezzo braccio, si zapperanno e vangheranno agevolmente, dando lor sempre un po’ d’ aiuto, se sia terreno debole o troppo magro, di sterco di bue, di pecora 0 di porco, o di foglie d’ arbori come quercia e cerro, sopra le quali abbino stallato le capre o altri armenti; la colombina è caldissima e molto a proposito a far germogliare le viti presto, ma (1) sopra, manca alle stampe. — (?) saranno lontane, le stampe. 392 non è poi buona a megliorare il vino, che fa il contrario; ottima cosa sarà loro l’ orina vecchia marcita, e se manchi sterco, i favuli e fusti d’ altri legumi faran buono effetto, riparando ancora dal freddo e dagli altri animali reptili, se siano di lupini. Il seminare ancora fra esse nell'ottobre veccie, fave e lupini e di quivi a tre o quattro mesi vangargli sotto, gioverà loro, e un pugnello di lupini cotti, dati attorno al pié, gli fomenterà grandemente, come ogni sorte di letame stagionato che se gli dia, et avver- tendo di non ne mettere di alcuna sorte su le barbe appunto, ma lontano da esse e dal tronco sopra esse, e così agli arbori, sapendo che nelle terre arenose è megliore quel delle pecore che altro; e pur ancora di capra farà bene, purchè nello scassare s' avvertisca che la terra che è di sopra vadi di sotto, e così sì muti e rinuovi a magliuoli, et avendo riguardo che col lavorar loro attornogli non s’ offendino, o se si fa quando cominciano a muovere, non sì scuotino gli occhi o si soffreghino. Imperciò è bene anticipare allo zappargli o vangargli, e lo scalzargli d’ attorno è da esser cominciato dai 13 d'ottobre, sì che avanti la bruma e’ s' abbiano scalzati; dopo la bruma zappisi o vanghisi intorno allo scalzato, et intorno all’ equinozio di primavera pareggisi tutto ’1 voto dello scalzato; intorno a mezzo aprile ammassisi la terra intorno al pedale; di estate sarchisi spesse volte; e quando all’ ottobre e' si scalzano e si scuoprono le loro radici e sì spurgano e nettano dalle barbaccie, destramente co ’1 ferro si recida (') quelle barbette che (1) sî ricorda, erroneamente le stampe. To VV —_e ep e

) talche, le stampe. 488 salci o giunchi o spago, e le serrano avvoltando sì che l'uno spago sia accosto all’ altro, segui- tando di legare fino a dove erano le prime tanaglie o legatura di spago rinforzato dette, la quale allora si può sciorre e levar via. E fatto questo, fa d’ avere due pugni d'argilla 0 creta battuta o di grassume di terra di fossa umida o di terra ordinaria un po’ tenera, e fanne una massa attorno a questo innesto, acconciandola sì che ne sia un poco tra luna marza e l’altra, ma che non cuopra gli occhi alle marze; accanto fascisi con buona stoppa 0 buona paglia o fieno o veramente musco; dipoi non lo guardare, non lo muovere, non lo toe- care, non gli star d’attorno, sinché le viti comin- cino ad aprire 1 pampani; allora taglia e leva via e scuopri ogni cosa, sfasciando per tutto, e in capo a due anni, lasciata come (*) marza sola la più vegnente, augna et agguaglia il legno. Alcuni senza sfendere la vite scostano la buccia dal tronco spulito con un ferretto o bietta pur d’osso o avorio, senza scoscenderla; e simil- mente acconciando la marza, facendovi dentro il legno d’essa marza assottigliato da quella banda e la buccia della marza sopra quella della vite componendo, legano attorno sopra una guardia d’ una altra buccia accomodatavi ; e così anche s’ attacca; e fendendo il tronco pareggiato alla vite presso a terra un palmo, o vero alto un braccio da essa, e poi a terra storta, ricoprendole quasi tutta l’innestatura, DOD siccome la marza nel mezzo, sì che (') una, le stampe, 45 incontri solo il midollo ('). Scrivono alcuni, che quando le viti dan principio a gettar fuori le foglie del mese d’ aprile, si pigli la cima d’un occhio e sì cavi nel sermento che s'ha a inne- stare, facendone restare le foglie piccole con qualche concavità; et in questa s adatti un altro occhio fresco cavato (*) et Impiastrato con il letame tenero di bue; senz’ altro s' appiglia. Alcuni al tronco ove vogliono insetare fanno un taglio o segatura, riandandolo poi col pen- nato e ripulendolo a traverso per ingiù; et in quello con un scarpello di mezzo cerchio a uso di sgorbia fanno un foro della grossezza che v ha a entrare la marza, e a dentro tre diti e mezzo; e presa la marza, l’ assottigliano col raderla attorno sino in sul legno; e fattala incastrare appunto nel pertuso, ve la ficcano quasi per forza senz’ altro, fattala passar sino all’ altra banda; e quivi tagliando pareggiarla. Rinviensi che la trivella gallica sia uno instrumento simile a quello con che si forano i pertusi dei cocchiumi in capo alle botti; il quale sendo circolare, come quello d’ acciaio 0 rame con che si foran le pietre dure (*) con l’aiuto dello smeriglio, taglia intorno senza far punto di segatura, et ha a essere grosso quanto è di bisogno di fare il buco per mettervi il magliuolo. Forisi adunque senza troncare il gambo della vite, prima con un succhiello ordi- nario in luogo d’esso, tondo, liscio, netto e (1) Questo brano, poco intelligibile, fu tralasciato da tutte le stampe, dalle parole e fendendo ecc. — (?) accanto, le stampe. — (3) dove, le stampe. 440 grosso sino alla midolla, facendo poi il pertuso maggiore con la trivella gallica, con la quale operando resterà ben netto e pulito; e preso il magliuolo, tondo, liscio e conguagliato et alquanto più grosso del buco, si taglierà dove è più grossetto, facendolo ben tondo, e in lun- ghezza tanto quanto possa ben giusto da ogni banda toccando entrare nel pertuso, e troncan- dolo poi talmente che non habbi a rimaner fuori, se non con due occhi, nel batterlo con qualche legno sin che sia ben ficcato e ben ser- rato, e che anche non apparisca del magliuolo ('); e si dee fare il foro per scancio a schimbescio, pendente a traverso all’ ingiù; e la marza che vi si mette ha a essere fitta dalla banda che gli soprastieno i due occhi cavati fuori dalla parte di sopra. E si può far questa operazione dal marzo sino a mezzo aprile, risguardando sempre 1 siti et i tempi. Conviene lasciare ben scolare quel foro prima che vi si cacci la marza, perche altramente per il gran colaticcio di quell’ acqua saria pericoloso di riuscire. Ancora, piglisi un magliuolo dei più belli e dei più lunghi che siano nella vigna e dei più bassi della vite rasente il suo gambo; il quale, senza spiccarlo da lei, lo troncherai in cima dove è tondo e grossetto; e si lasci tal- mente lungo che arrivi sotto terra almeno un palmo; e sfessolo per mezzo, non più di lun-. ghezza d’ un dito, e così fendendo l’altro, taglie- rai d’esso le due bande contrarie della sfessa- (1) e che anche non apparisca del maglivolo, manca alle stampe e non è chiaro. 441 tura, da uno di sotto, dall’ altro di sopra, sino in su la midolla, e levata via quella metà a ciascheduno, da occhio a occhio gli soprapporrai, commettendogli insieme, e legheraigli forte con salci sfessi o giunchi sodi come una scopetta; di poi sotterragli come s'era detto di sopra. Ma in questo conviene eleggere i magliuoli che si confaccino di grossezza uguale; massimamente dove si hanno a comporre, soprapporre e con- giungere insieme, perché meglio s' unisca et attacchi. Et insomma, sfendasi il magliuolo da un occhio all’ altro, spartendosi ancora d’ esso per mezzo il midollo, e taglisi rasente 1’ occhio luna parte e l’altra si lasci, così di quello che dalla vite l’ ha a ricevere. Di poi s assettino e si mettino sotto terra come s'è detto; et oltre a come s'è detto ('), di tagliare le viti tre di innanzi che elle s' abbino a innestare, sarà bene piegarle a terra perché possin meglio sgoccio- lare. E l'innesto della trivella gallica dicono non essere sicuro nel lati umidi e piani, ma si bene ne’ secchi e asciutti, rispetto al gemitio delle viti. Ancora, con la medesima trivella franzese forisi la vite in luogo netto e liscio e pulito, da una banda all’ altra; e piglisi un capo della vite vicina che sia ben fatto e vegnente e che abbi fatto gran frutto l’ anno dinnanzi, non per ciò spartito dalla sua madre, e faccisi passare per quel buco, procurando che egli esca dal- l’altra parte della vite e che la vetta sua risguardi all'insù, non lasciando fuori a dove (1) a come è detto, le stampe. 442 passi più di due occhi, così unito alla vite; e quando si vedrà che il buco fatto con la mede- sima trivella gallica sia ben saldato, ricoperto con terra grassa o creta, unito e fortificato, taglisi via dalla vite rasente, levando via ancora tutto quel tronco della vite che avanza dal fine del pertuso della vite in su; e farà buona pruova. Ancora, vicino alla vite o albero [ove] s° ha a fare l’inseto ('), piantisi la vite o la pianta che si brama d’insetare e governisi bene, sin che abbi ben preso e fatte le radici gagliarde; diasi un foro per la vite o per un ramo del- l’arbore che s'ha a insetare, e sia il pertuso tale che per esso entri la marza senza offesa e vi sì facci passare senza tagliarlo; e la parte che tocca dentro al buco sia scortecciata da ogni banda un poco; e quello che entra per unirsi sia di due anni e il ramo dove ha a entrare l innesto sia fresco, sano, liscio e nuovo senza magagna, e vadi ’1 foro verso la midolla, e vi s' impiastri con creta o argilla stemperata, sì che turi bene e passi l’inseto per all’ ins quanto più si può; e dopo che si vegga bene incastrato e riturato et incorporato insieme e riunito (°), taglisi l inseto dalla banda di sotto rasente al tronco dell’ albero in su "1 foro, perché pareggi unitamente con la buccia e legno e si concentri insieme. In così fatta maniera s° im- (1) Qui nelle stampe finisce il paragrafo precedente. Io ho cre- duto più naturale invece di cominciar questo, togliendo a quello le ultime parole, che così per aria mi pare non presentassero senso alcuno. — (*) incorporato bene insieme, le stampe. 443 bastardiscono 1 frutti e si fanno diventare di diverse ragioni e portare il frutto vario a con- trarie stagioni; e così si può insetare una vite in un ciriegio, e produrrà l' uve al tempo delle ciriegie, se elle pur siano serotine; s° attaccherà la vite a questo modo ancora nel moro che è tanto alla vite amico, e viverà ancora nel salcio e vetrice, ma sarà difficile che produca frutto. Ma la sicura è, essendo due viti piantate accosto, farle passare con questo garbo l'una nell’ altra, et essendo di diverse sorte, per così fatta con- suetudine muteranno natura. Ancora, essendo medesimamente due viti vicine l’ una a l'altra, diasi un f6ro a una delle due in un lato liscio e netto con trivella fran- cese, e fa che ’1 foro arrivi sino alla midolla; dipoi raschia il capo della vite vicina che tu vuoi innestare fra lun occhio e l'altro, e fallo arrivare al fondo del foro e che vi suggelli bene; e quando si cognosce che abbi fatta buona presa e le sue gemme così a rovescio, staccalo dalla vite sua e farà pruova in quell’ altra, in guisa e somiglianza dei capogatti. Più appresso, piglisi il sermento che tu vuoi insetare e quando lo tagli fagli rimanere quattro dita di vecchio dell’ anno dinanzi e cavagli la midolla che ha, perchè venga quivi a poter entrare un sermento alquanto sottile; e fatto questo, il sermento che è nella vite e che sì vuole insetare bisogna che si assottigli dalla punta raschiandosi sin (') tanto che sì agguagli e pareggi con l’altro, si che cacci giustamente (1) sim manca alle stampe. dd per il buco cavato tanto come sta di pertuso e di vano; accanto, impiastrisi di (') argilla e sot- terrisi in una fossa fatta accosto alla vite, ‘avandogli fuor del terreno la punta; e in capo a due anni si può o lasciarlo star quivi o tra- spiantarlo altrove, come più piaccia. E volendo farne più d'uno a una vite sola, si può col medesimo ordine; et è bene avergli lasciati 1 sermenti senza potare un anno, che sien più sodi e sicuri; e il magliuolo che s'ha a inne- stare sia tagliato nello scemar della luna e sia conservato che non si guasti, per innestargli poi a luna crescente; e ciò si osservi a tutte le marze delle viti. Oltre a questo, quando sono gli occhi delle viti ben ingrossati, prima che gittin punto di foglia, cava l occhio molto intero a scudetto di quel magliuolo che ha a restare per capo alla vite, con un ferro di acu- tissima punta; et ancora poi, nel meglio luogo dell’ altro sermento in che s' ha a insetare, cava l’altro nella medesima foggia; et in suo luogo bene aggiustato mettivi quello. È bene ancora in quel cavo metter prima una gocciola di mele o dragante disfatti nell’ acqua, servendosi del- l’acqua sola ove sieno stati a inzupparsi. Ma meglio è non vi porre alcuna altra cosa e suggellar bene e incassar l’ occhio e lasciar fare alla natura. Fuor di questo, spartendo due sermenti che non abbino la midolla fungosa e siano dalla banda di mezzogiorno, la qual qualità si dee osservare in tutto l’insetar delle viti, uguali (1) un, le stampe 1600, 1610, e 1622; con, la stampa 1734, 445 di distanza d’ occhi, fazione e grossezza, presi da due vicine viti senza staccargli, luna e l’altra nera, e di sorte anco inequali, di ma- niera dividendoli, che gli occhi ancora sieno per il mezzo partiti netti ('), con manco offesa che sia possibile, e similmente il legno del ma- gliuolo; gli ricommetterai si che il legno e gli occhi si confrontino insieme e combacino appunto. Dipoi con giunco o ginestra o salcio sfesso legati insieme gli sotterrerai, impiastrando con argilla le commessure (°), lasciando sfogati gli occhi per fino a mezzo; e se fossero cosi lunghi che tirati a terra posson sotterrarsi che dien (3) fuori le punte, sarìa assai meglio e più sicuro l’ incorporarsi et appiccarsi insieme; e staccargli poi uniti l’uno con l'altro e pian- targli a modo, fatte che abbino le barbe quivi; e s' averanno i grappoli d'uva variegati (4). E i nesti a occhio vogliono essere fatti come quelli a scudicciuolo o scudetto che vogliamo dire, ma che combaci in quel medesimo luogo et entri appunto; e piglia ben l occhio in fondo, trapassato il medollo, affinche tocchi (?) a dove ha a rimargmare; e di poi piglia loto di terra fine et impiastravi attorno con batuffolo di quella terra grassa, facendo questo delicata- mente acciocche rattenghi l’ occhio, se per caso traesse furibondo vento, o che per altro non si spiccasse; e fermerai bene quelli tralci a canne o pali che non si sbattino; e stia fermo e saldo (*). (!) mette o metti, erroneamente le stampe. — (?) commetti- ture, le stampe. — (3) potessero, dessero, le stampe. — (4) varieg- giati, le stampe. — (5) finche tocchi, le stampe. — (5) e stia fermo e saldo, manca alle stampe, 446 Ancora, prendasi un cannone di terra cotta, di lunghezza di due palmi e di grossezza quanto aggavigna una mano; o veramente un corno dirizzato con l’acqua bollente e ben scavato; e togliendo corno, sfendilo per lo mezzo, dipoi rilegalo (') con corda rinforzata incerata bene; e presi cinque sermenti uguali d’occhi e di grossezza di diverse sorti di vitigni, e neri e bianchi e rosseggianti e giallicci, e cacciavegli dentro stivati, ma che non sì guastino o strofi- nino o scorteccino troppo insieme; e fatta una fossa a misura de’ magliuoli da piantarsi nella vigna, e sotterravegli dentro si che sieno ben rincalzati con terra grassa letamata, annaffiagli et accarezzagli, non avendo lasciato per uno più che due occhi sopra terra; annaffiagli et accarezzagli di sotto al corno, distendendo et aprendo Vl uno dall’ altro, sì che la terra entri fra V uno e l'altro; et in capo a due o tre anni che egli abbia fatta un corpo unito insieme, scalzagli d’ attorno; et arrivato ove finisce di sopra il corno o ’1 cannone, se quivi sieno uniti, sega pari e conguagliata la testa, e leva via il corno o cannone; e guarda dove sieno più serrati et incorporati insieme, e quivi, segagli tutti pari (*), pareggiando la segatura co ’1 pennato, coprendo con terra minuta e stritolata cotta, e riempiendo con la simile d’ attorno. Quando poi questo gambo unito metterà due messe fuori, le più gagliarde di quelle si tirino in sommo bene innanzi, levando via tutte l'altre. Di questa maniera in un grappolo d'uva verranno gli (1) rilegato, le stampe, — (?) puri manca alle stampe. 447 acini variati. Alcuni vogliono che, perché questo pie di tante sorti metta, se gli dieno due o tre tacche sotto nel piè o nelle radici. Fuor di questo, piglisi al tempo del potare ove siano viti bianche vicine alle rosse, nere, o altro viti- gno, e prendasi dei più sottili il più vegnente sarmento di ciascheduna di esse due o di tre, intreccinsi in terzo l’uno nell’ altro e si taglino da capo ugualmente et uguali ancora restino gli occhi di tutti due o tre; e leghinsi bene insieme, impiastrandogli d’ argilla di sopra, lasciando gli occhi liberi; et ogni tre di s° a- dacquino con acqua di fiume; e passati due anni, spicchinsi dalle lor madri e traspiantinsi a dove si voglino avere, e faranno il medesimo. E se da tre viti vicine si prenderanno tre sar- menti e si sfenderanno sottilmente, si che non si guasti né tocchi la medolla, e si congiunge- ranno gli uni e gli altri in modo che venghino gli occhi spartiti uguali e ben fatti, 1’ uno con l’altro fortemente appoggiati insieme, si che paia un sarmento istesso; e si legano (') poi con vinciglia morbida, di modo che gli occhi restin fuori del legame, impiastrando bene con sterco di vacca e di sopra con buona creta; poi si corichino in una fossa fonda un braccio e mezzo, e degli occhi legati se ne lascino due o tre e non più sopra la terra; e se sia luogo secco o asciutto, si adacquino di quando in quando, sî che s’ unischino incorporandosi insie- me; e mettendo per quegli occhi fenduti, dipoi attaccati insieme, le messe, produrranno in un (1) sî Zega o si leghi, le stampe. 445 medesimo grappolo racimoli di variati vitigni; e dopo due [anni] sì trapiantino a dove sì vogli che stieno. La qual cosa volendosi fare più alla sicura, conviene prima in sur una vite rigo- gliosa insetare tutti questi variati sermenti, dipoi acconciarvegli sopra come s' è detto, che faranno meglio che di viti spartate, sì come, ‘acciandogli nel corno o doccione, farlo di quattro o cinque barbate poste a ciò insieme con le radici di sotto larghe e separate, e di fuori ristretti i capi e ficcati (') in quel corno o cannone (°). I magliuoli poi di questa così- fatta et ordinata vite piantandosi sceveri non degenereranno. Il modo e la regola che l uva non facci (8) granella (oltre a che si truova una sorte di uva che naturalmente non produce acini): piglierai un magliuolo preso da bella sorte di vitigno e che abbi l’ acino grosso, che sarà più bella cosa, e lo fenderai per appunto dividendolo con un coltello taglientissimo sino al vecchio o al calcio, non lo finendo di sfendere affatto, e con la punta del medesimo coltello caverai tutta la medolla d’ esso dall’ una et altra parte, usando discrezione di non intaccare il legno del ser- mento, e subito cavato et accannellato lo ricom- porrai insieme legandolo, fuor che gli occhi, per tutto con la buccia d’olmo o di moro; e così acconcio lo porrai. Ma avvertisci che questi bisogna porgli nelle fosse aperte e non in sui (1) con le radici di sotto larghe e separate, e di fuori ristretti i capi manca alle stampe. — (?) doccione, le stampe. — (3) fard, le stampe. 449 divelti con la gruccia, perché con essa in cac- ciandogli giù si diserterebbero; ma in dette fosse, piegandogli umanamente a uso d’impia- gato, avendogli cura come a ferito; e vorreb- bero questi essere posti diritti e non a giacere, perche al penetramento dell’ acqua patirebbero. Ma volendo andare più al sicuro, farai questo medesimo al tralcio della propaggine che riu- scirà meglio cavandogli il midollo sino all’ attac- catura della vite, avendolo sfesso e rilegato sin lì ('). E quando tu volessi porne barbate, osserva la medesima regola detta al principio nel porre de’ magliuoli, poi, cavati, trasporglij; e puossi fare al medesimo tralcio che tu pigli per capo alla vite, quell’anno che tu vuoi fare simile pruova, e lasciarlo un po’ più lungo fuor di modo, perche nella punta rammargina sempre mal volentieri; e questo si può fare senza sot- terrarlo. Ma avvertisci per un braccio (*) di legarlo bene e stretto, e ciò si facci nel subito rintenerir delle viti. Altri tutto il magliuolo sfesso e voto cacciano in terra. Alcuni tutto lo sfesso e voto pongono in una cipolla squilla, la quale ha proprietà di far venir innanzi tutto che dentro se gli inserta e lo sotterrano. Alcuni altri il capo della vite potato senza dividerlo votano bene in giù e legano a una canna o palo che non si rivolti; e deletti (*) ceneraccio e sugo fatto bollire nell’ acqua e con essa ridotto a densità di sapa, infondono e riempiono quel (1) sin lè manca alle stampe. — (?) per un braccio manca alle stampe. — (3) che non si volti e con ceneraccio ecc., le stampe. 29 feti 450 concavo, rinnovandolo ogni otto di un tratto, sin che la novella vite facci messa. La vite teriaca poi si crea di questa ma- niera: fendasi un cappato magliuolo per tre in quattro dita da basso, e cavatane di dentro la midolla sì riempia tutto di teriaca e sì ponga sotterra, rilegatolo insieme con legame di giunco o altra vinciglia morbida. Altri nella cipolla squilla pur lo nascondono, ricoprendo con essa la parte ripiena d' utriaca, e lo piantano; et altri strofinando le radici della vite con l’ utriaca, perché succi et incorpori della virtù sua, subito lo pongono in terra. I magliuoli di queste viti fatticcie degenerano, se non s’ infonde continua- mente alle sue barbe dell’ utriaca o si ritorni a rifarli in quelle altre maniere dette da capo. Ma le ceneri de sermenti di cosifatte viti, i pampani triti e "1 vino e l'aceto è buono contro ai veleni, e l uva in cibo è ottima e sana. Di questa medesima maniera infondendo dell’ elle- boro si creerà una vite che genererà uva solu- tiva; et in questo medesimo modo piglierà na- tura dal veratro, se bene l’ odore e la mestura di questo succhio offende, non perciò ancide la vite. Et in questa maniera medesima si farà l'uva odorata, componendogli intorno o musco o ambra o zibetto o bengiui o altro acuto odore, cacciando alcune di queste cose nel calcio del sermento fesso o scavato, riempiendolo e vezzeggiandolo. Hanno (') le viti in odio i nocciuoli, i susini; (1) Il lungo tratto di qui alle parole: abbino a far uve senza acini (pag. 452) occupa due pagine del codice e vi è cassato tra- sversalmente. Tutte le stampe lo hanno tralasciato, meno un periodo in principio e uno in fine. Le lacune e le parole supplite provengono da lacerazioni e rattoppature della carta, 451 e d’erbaggi 1 cavoli; i mandorli, i mirti, i fichi, E se 1 sermenti si tenghino a macerare nel- l’acqua odorata, poi si ponghino, e’ n° acquiste- ranno le viti che i lor sermenti e gli occhi bagnati intorno d’acqua e salnitro ridotto a grassezza di mele, [si vedranno] fra sette dì cacciar fuori e metteranno. Ancora, messi in- torno al magliuoli gli acini di vite intinti d’olio, o se ne riempia la fossa, faranno l’ effetto mede- simo; tanto sarà riempiendo d’oppio, di sca- monea o altra cosa medicinale il cavato midollo, o spassito e di poi ricongiunto, o votato da piè senza spassire, piantatolo secondo 1’ ordine si pongono gli altri magliuoli. Scrivono alcuni, ma è cosa favolosa e non riesce, che se le viti s'annesteranno con la mortella, nascerà fra i grani una foglia d’essa. E si possono insetare o con la sega o con la trivella francese o a marza, ma più sicuro è attestar la mortella e ’l sarmento d'una vite che gli sia stata posta rasente. Spruzzando sopra i grappoli delle viti dell’ olio, le vespe non rosicheranno | uve. Quando la vite è giovane di cinque o sei anni, potandosi avanti il verno non lacrimerà, né meno nel tempo della primavera, quando s' ha a far l inseto, getterà acqua; et allora di .... in qualche piccol capo diasegli un foro per tra- verso all’ ins [che] aggiunga sino alla midolla, poi si netti bene e mettavisi qual si sia odorata materia o zafferano, e tutto in buona quantità, inzeppandovelo bene e turando il foro con una tappetta di vite medesima, fasciando con argilla e cencio che ve la tenga ferma nel primo prin- cipio di primavera; e ne saperanno l’uve che 452 la farà. Alcuni scrivono che e’ si pigli una pignatta nuova e s empia mezza d’acqua rosa con un poco di terra in mezzo, la qual terra sia nuova e vergine non adoperata, non lavorata ne letamata, e vi stia più tosto spessa che rara. E quivi entro, messi i capi dei sermenti, sì sotterri la pignatta verso il sole, avvertendo che non vi caschi dentro alcuna cosa, restando i sermenti di fuori; i quali vi si lascino stare, sino che per virtù di quell’ acqua ingrossino le gemme; e subito sì piantino, adacquando con simile acqua o più odorata, con una canna che v'arrivi e penetri alle radici, tanto che s° appi- gli. Farà ancora bene insetare con quelle marze che siano state a macerarsi in simile acqua. Tengono alcuni per opinione che, così come passando per un salice il persico darà le pesche senza nòcci, similmente facendovi trapassare le viti, abbino a far uve senza acini. Le nebbie che vengono alcuna volta sopra e tra le viti sì scacciano con il fummo e fiamma di pagliaccia o altra robaccia o spazzatura abbruciata di casa. Giovano i rami di alloro sparsi per la vigna; e l acqua, maceratevi dentro le foglie di cocomero asinino, rinfrancheranno le viti annebbiate; et ancora là statevi dentro le radici di coloquintida. Ancora, se subito che la vite che fa l uva lugliola, fatta che 1 abbi, volendo tu delle mede- sime uve un’ altra volta in quell’ anno, colto il primo frutto, fa potarle di nuovo all’ usato e fagli lasciare i capi un poco giusti, che vedrai che incomincieranno di nuovo a mettere; e pro- durranno poi l uve di nuovo quando Vl altre, rv ——uoee o vu rr a 455 non più lugliole, ma di settembre o ottobre, e averanno il medesimo sapore. E facendo il simile alle altre viti rimetteranno, conducendo non l’uve, ma agresto; e con tutto che ciò riesca nei luoghi più tosto caldi che tiepidi, interviene loro come a quelle di tre volte, che per il freddo che sopravviene lasciano l’ultimo lor frutto in agresto. Et a volere che quelle maturino almeno al fin di maggio ('), pianta a piè d’ un ciriegio di quelli primaticci una vite d'uva lugliola, e quando l’ hai in perfezione farai un pertuso in detto ciriegio con il succhiello franzese (°), sì come si dimostrò doversi fare di sopra, tanto grande che v' entri dentro quel tralcio proprio che ha a essere il capo della vite, facendolo passar fuori, tagliando tutti gli altri e quello lasciando lungo quanto lo truovi; et il foro sia appunto nel tronco del ciriegio e non in rami, e vada per insù a traverso. Accomanda poi la punta di quel capo tra i rami del ciriegio e lascialo star così, potandogli d’anno in anno le messe, tanto che egli riempia e tocchi per tutto il buco fatto; e come sia ben rammargi- nato, intacca un po’ il tralcio verso la vite (che dovrà essere il secondo anno) et intacca tanto che e’ cominci a patire; il terzo anno taglialo affatto; et avanti facci questo, guarda ben che serri e congiunga per tutto; e di poi pota la vite, che vivrà in sul ciriegio all’ ordinario del- l'altre e ti farà le uve e matureralle quando le ciriegie. (1) Qui, senza ragione alcuna, finisce il periodo nelle stampe antiche; ma in quella del 1734 continua come nella nostra, — (?) alla franzese, le stampe. 454 Ecci chi ha fatto questo medesimo a un fico, et afferma che s° è rammargino (') meglio e più presto; e così nel moro, sendo questi due arbori alla vite amici; e così chi ha fatto passare per un ramo di pesco e di fico, per un ciriegio, simile, e produrre i frutti quando le ciriegie. E dicono l uve bianche divenir nere e così per contra, passando luna per l’altra in questo modo; e così per contrario le pesche carote. Se queste per sorte facessero carote da dovero, io non lo so, che queste esperienze io non le ho fatte; ma bene ho favellato con chi mi ha detto d’ averne fatto parte, e m’ ha affer- mato averne fatte riuscire qualcuna; ma che l’uve diventino di bianche nere non essere stato, ma ordinarie, come è il suo proprio che fanno gli altri innesti; e questo di già non è altro che un modo d’ insetare. E m° aggiunse d’ aver veduto al Vescovo di Cervia di Casa Santa Croce, romano, un suo giardino a Cervia, dove aveva una gran quantità di viti che passavano per varia sorte di frutti alla foggia detta, che tutte vi vivevano dentro e davano dell’ uve sopra quelli, ma non al tempo delle frutte loro, ma si bene al tempo naturale delle sorti dell’ uva; et affinché (°) la cosa apparisse più fantastica e maravigliosa, erano levate via dal pedale de’ frutti le viti che erano state piantate loro appresso. Ma così fatte esperienze di certo sono tediose e difficili a riuscire; e se pure riescono, non son così durabili, mal volentieri sempre (1) rammarginato, le stampe. — (2, e a fare che, le stampe. 9 p np —o 455 con l’arte facendosi uscire la natura dal suo proprio naturale ordinario; e poi quando anche le ben (') riuscissero, non n’ è da far endica; oltre a che tengo io che molte son favolose, come che far passare per un alloro un rosaio, abbi a fare le rose verdi, e così per il rodo- dendro mutar foggia; quella dell’ alloro io 1° ho voluta provare e provai, ma non riuscì (°). E ancora vero che quando alcuna di queste soprad- dette (*) abbi a riuscire, conviene usarvi una diligenza con pazienza grande. E’ si trova con tutto ciò fra gli antichi scrittori chi ha affermato potersi innestare ogni sorte di frutti insieme e non che altro un fico con uno ulivo, combaciando e legando uniti e pari due rami smussati l’ un con l'altro; e non è dubbio in quello della Miglia su ’1 Genovese, accanto alla Magra, essersi veduto un susino viver sopra un ulivo; ma sono sconciature e abortivi, che non bastano né possono bastare più che tanto, sendo tanto fuori dell’ uso natu- rale. Così come adunque gli uomini per altro saggi e degni di memoria immortale, che oltre agli studii della filosofia che concerne tutta la scienza e notizia delle cose che sono [e] di quello che si può sapere, [si] sono messi a raccontare le azioni dei mortali, tanto delle civili quanto quelle di guerra, e tutti i casi et avvenimenti loro, scrivendo le storie di diversi paesi et 1 (') se bene, le stampe antiche. La stampa 1734 lascia le. — (2) e così per il rododendro mutar foggia; quella dell’ alloro io l'ho voluta provare, manca alle stampe. — (3) sopraddette manca alle stampe. 456 varii costumi delle genti che abitano sotto questo convesso del cielo, sotto e sopra, intorno e quanto circonda la terra abitata di che no- tizia s ha; perché di tutta non c' è cognizione, non essendo ancora stato chi abbi penetrato il continente di terra ferma che si vede che vi è dallo stretto di Magagliano in là; di quelle istesse cose che se ne può aver certa, chiara e manifesta ripruova, hanno presunto di voler scrivere il falso e scritto lo hanno; e di qui è che tutti i generali e finali raccontamenti desse sì posson credere, ma non i particolari. Così avviene nell’ altre relazioni fatte dagli scrittori, i quali per il più hanno pretenduto e diletta- tosì di mescolare la bugia con la verità, verifi- candosi in questo la sentenza che dice che ogni uomo è mendace ('): ci atterremo (°) alle cose sperimentate, come questa che io imparai (3) da Cristofano Lambertini lucchese e provatala riuscì bene; e questa è un segreto bellissimo per far creare la barba all'uva; e barba così fatta, che sieno fili lmmghi quasi da potersi con un pettine pettinare, lunga un braccio e più, fitta e folta (‘) quanto si vogli, e si fa così. Quando l'uva è spurgata e a pena cascatogli il fiore, che la sia grossa nei granelli come una picciola veccia, si piglia un’ erba dai contadini chiamata cuciculo e pettimio per altro nome e ordinariamente cuscuta è appellata: questa (1) dalle parole Così come adunque fino qui, manca alle stampe. — (?) adunque, aggiungono le stampe. -— (3) che î0 ho apparato o apparata le stampe, secondo che dicono questo 0 questa. — (4) fitta l’ommettono le stampe. ì o 457 nasce e si mantiene viva e piena d’ umore senza toccar terra, e non ha barbe, ma sta attaccata con la sua rugiadezza su le ginestre, mortel- lette, sul lino, su la salvia e su l'epitimo, è rossetta a uso di fili di refe, vincida e tutta arrendevole, che per tutto ha certe boccette a uso di fiorellini non aperti. Questa si piglia fresca la mattina di buon’ ora, mantrugiandola poco e brancicandola il meno che si possa, e che v'abbi dato su la rugiada; e si tiene in molle sino alla sera nell’ acqua, sino a che ’l sole sia in su l’andar sotto; e di poi (') si pigliano le fila di tal erba et a filo a filo s' in- treccia e s'incavicchia fra gli acini nel grap- polo dell’ uva, sì che ella s' aggavigni tra l’ uno e l’altro granello, addoppiando i fili in manco che si possi (*), né vi se ne ficchi né troppa né poca, ma a discrezione di chi l assetta, quanto par che ne possa ricevere la grandezza o picco- lezza del grappolo; spruzzivisi poi, se non vadi tempo umido, dei quattro dì un tratto, un poco d’acqua chiara; così crescendo l'uva dà (3) nutrimento all’ erba, la quale getta all’ ingiù certi fili alcuna volta spessi e folti, lunghi un braccio e mezzo e due, e staccando poi il grap- polo si mantiene a quel modo parecchi giorni con quei fili freschi; e si potrà dare ad inten- dere a chiunque la vegghi e non abbi notizia di ciò, che e’ s’ abbi un’ uva (‘) che produca i grappoli barbati a quella foggia. Deesi eleggere (1) di più, le stampe. — (2) il manco che si possa, le stampe. — (3) di, le stampe antiche. Quella del 1734 legge come noi. — (4) una vite, le stampe. 455 una sorta d'uva d’acini radi come quella di Hierusalem, detta per altro nome maravigliosa; et ancora l'uva angiola, per essere umorosa, riuscirà bene. Sappiasi che quella cuscuta che fa sulle mortelle e ginestre è meno atta a gene- rare la barba che non l’altra; e quanto più s'annaspa fra i granelli dell’ uva, tanto sarà maggiore la barba che ella farà. Ancora è bene non indugiare a comporvela tanto oltre che siano affatto cascati i fiori all'uva, perché la loro umidezza nutrisce e fa crescere l'uva con i fili della cuscuta avviluppata a quella. Oltre a questo non sentirà già mai la vite male alcuno, scrivono, se con olio incotto con la lacrima del papavero sì strofini tutta da imo a sommo. Ancora affermano alcuni che non sia per creare viticci la vite, se con uno staio di morchia cotto a grassezza di mele, aggiuntovi di bitume la terza parte e di zolfo la quarta, al sereno, che non roventi, intorno ai capi e sotto i rami averai ben stropicciato. È cosa favolosa lo che si truova ancora scritto da alcuni, essere in Ungheria viti che producono i viticci d’oro di paragone, e queste sono di quelle cose che è più sicuro assai tacerle che dirle, perché, essendo elleno tanto lontane a poter esser vere, è gran follia farne menzione come di cose che posson essere di miracolo ma che d’ effetto non sieno; sì come viene scritto della quadratura del cerchio, che ella sia una cosa da potersi sapere, ma ancora non saputa; e come l’ Archimia che tuttavia resta in forse di poter essere, e di operazione e di effetto essere non si vede, e tuttavia pur si cerca, ma 459 non sì trova, non sì potendo [nel]l effetto tran- sustanziar le sustanze con altre sustanze, senza disfar le sustanze diverse, anzi contrarie dalle sustanze che elle sono, annichilandole e rifa- cendole da capo; il che è cosa di miracolo e che solo lo può far la Divina Maestà onnipo- tentissima, la quale anche non concede il moto perpetuo che con l'istesso moto perpetuo; né meno che si sappi per appunto, per qual causa attragga la calamita il ferro; e molte altre cose, delle ragioni delle quali siamo in tutto e per tutto al buio ('). Imperciò, ritornando alle materie naturali vere che sono di cose che sì toccano con mano, come le palpabili, seguirò qui appresso del vendemmiare. Il qual tempo dee essere o più tardi o più per tempo, secondo la qualità dei luoghi, dei siti, dei paesi, della positura delle vigne e della condizione della natura dei ma- gliuoli che in esse si ritruovano; e per questa ragione non saria mala avvertenza dispartire le serotine dalle primaticcie e così per contra, piantando secondo che elle desiderano le sorti variate in diversi luoghi, disperse [o] insieme. Nei luoghi tutti s'ha (°) a osservare di far la vendemmia che la luna sia in Cancro o in Lione o in Libra o in Scorpione, Capricorno o Aquario, et essa tuttavia sotterra; e se si truovi che ella (1) Tutto questo lungo periodo è compendiato neile stampe antiche, e il vegnente comincia: Perché appresso seguiremo della vendemmia ecc. La stampa del 1734 restringe ancora di più e comincia il vegnente periodo in maniera tutta sua che nel codice non si legge. — (?) si deve, le stampe. 460 non abbi maturato l' uve, è bene con l'aceto forte e con l’orina vecchia annaffiargli le barbe, e con loto fatto di ciò cacciarle sotto, e spesso zapparle e scalzarle ('). Scrivono che, chi vogli vendemmiare avanti che siano l uve mature, farà 11 vino debole e poco durabile; e che chi tarda a far la vendemmia non solamente offen- dono la vite, perche la porta (*) il peso più del dovere, ma perché sopravvenendo gragnuola 0 tempesta fassi (*) gran danno al vino. Affer- mano alcuni che le viti tengono l'uva matura in perfezione per sei giorni soli; dipoi perde se colta non sia, smarrendo e scemando l'umore; il segno adunque della maturità non solamente si cognosce e comprende alla vista (‘), ma dal gusto che la sia dolce e fatta; il che si mani- festa se l acino dell’ uva, scolato e premuto, sia di color rifuscato, che non più verderognolo trasparisca, ma anzi che no negreggi; perché veramente niuna cosa può apportare ai vinac- ciuoli il colore; e significa l'uva matura. Alcuni altri preso col dito grosso e con quello che gli è accanto il granello dell'uva e spremendolo forte, se n’ esce senz’ alcuno attaccamento dal suo tenerume netto e pulito e ignudo, tengono per manifesto segnale che ella sia matura; e restandovi appiccato punto della sua carne di dentro, tengono che non sia arrivata al. fine della sua maturità; e alcuni d’ un razemolo del grappolo cavano un acino e di poi in capo @ (1) Diversamente le stampe: innaffiar loro le barbe e zappargli e scalzargli. — (2) offende le viti perch’ elle portano, le stampe. — (3) faccia, le stampe. — (4) veste, le stampe. 461 tre o quattro di ritornano a rivederlo, e se rientra appunto appunto nel suo voto, è indizio che ella sia matura. Ora nei luoghi caldi et asciutti, verso qua- lunque parte del cielo vi sien piantate le vigne, s'ha a vendemmiare assai più innanzi che in quelle dei luoghi temperati, se bene in queste sien volte a mezzo giorno; e nelle parti fredde assai più tardi di tutti questi, perchè indugia quivi a maturar l uva, e nei molto freddi non matura mai affatto, essendo tuttavia agrestina et aspra; imperciò, se non vadi il tempo piovoso e ghiacciato, lascisi stare l'uva in su la vite il più che si può; e colui (*) che vendemmia pio- vendo, cerchi di consumarla presto, perché basta poco et è men buona (*). E per questa cagione si dee còr (#) l'uva libera dall’ acqua, dalla rugiada e dalla guazza, in tempo e giorno sereno e quieto, temperato e caldo. E se sia tenuta o stata l uva ammontata o in altro modo troppo al sole, si che sia alquanto riscal- data, lascisi raffreddare, perché la non riscal- dasse e guastasse il vino, posta nel tino così calda a pigiarsi; e deesi avvertire di coglierla condotta a debita maturezza, e non mai acerba o agrestina. Per la troppa maturezza resta il vino torbidiccio e naturalmente non rischiara affatto, e lo fa troppo sdolcinato e per la sua troppo smaccata dolcezza ristucchevole; sì come la non matura di poca retta e debole. (Quegli (1) Quegli 0 quelli, le stampe. — (7) Le stampe ommettono il brano: e nei molto freddi fino a lascisi stare l’vva, — (3) cogliere, le stampe. 462 che nella riviera della Spezia fanno il razzese e l’amabile, fanno l'uno e l’altro d’ un vitigno medesimo; perciocche, volendo far 1 amabile, quando l uva è matura storcono il picciuolo, a dove egli sta attaccato alla vite, a tutti i grap- poli, avendogli spampanati bene che il sole vi batta sopra, lasciandogli così per quindici giorni, dipoi gli cogliono a far l amabile. E volendo fare il razzese, quando è pur matura, la spic- ‘ano dalla vite senz’ altro. E così si può fare a chiunque tu vogli vitigno per fare il vino dolce, senz’ altra manifattura. Ma per fare i vini basta- bili e buoni, così di poggio come di piano, ella si dee condurre un poco più che mediocremente matura, gettando via con avvertenza i grani marci e guasti, la tempestata, la secca, l agre- stina; le foglie che talora s intricano fra gli acini et ogni altra bruttura o schifezza si dee levar via, ché, se bene il vino bollendo ha forza di purgare e levare in capo ogni cosa, è tanto atto a imprimere in se stesso et incorporare le male qualità, che ogni tristo seto e corrotto gli nuoce. Accanto a questo, si deono trascèrre e mettere disperse i vitigni che fanno diverse sorte di uve; e di questa maniera s' averanno i vini differenziati e si cognoscerà distintamente la diversa qualità loro. È ancora segno della lor compiuta maturità quando il granello di dentro ha mutato colore, alla bianca giallo, alla rossa rosso, alla nera nero; e similmente, quando l’uva bianca pende in giallo, la nera in neris- simo e la rossa rossissimo e la verdognola (') (') verderognola le stampe. Fan 463 verde e che tutte sieno dolcigne al sapore, dan segnale espresso di stagionata maturità ('). Il luogo poi dei vasi della vendemmia, o vasi o tini o canali e vasche secondo l’uso del paese (perciocche in Spagna et altrove, dove fanno vini gagliardissimi, sì possono premer l’uve come fanno nei grandissimi truogoli murati che tenghin bene; ma dove non sieno i vini così gagliardi, è meglio vendemmiare nei tini; e tini stretti in bocca e larghi in fondo che non sva- pori) si deono accomodare in loggie aperte o in stanze grandi e capaci al primo piano delle case della villa, dalla banda che risguarda tra- montana; e sia di quella capacità in grandezza che sia per essere assal alla quantità del vino che si giudichi doversi raccogliere nella posses- sione, ordinando in modo i tini o le vasche, che avendo sotto a questo luogo accomodata la cantina sotterranea in volta, per canali o doc- cioni che dal zaffo del tino o canale a dirittura corrispondino sopra il cocchiume delle botti che vi s'acconcino di sotto; et a questo s’ as- setta un cannone di legno che arrivi dall’ un pertuso a l’altro a sesto e per appunto, com- mettendolo di sopra e di sotto che non si versi; o veramente s adopera una calza di cuoio acconcia che tocchi et arrivi a poter fare questo effetto per la volta, che sia, quando la sì mura, per la grossezza di quella pertusata. Di questa maniera sì manterrà meglio il vino nel suo vigore e ratterrà (*) in sé meglio il fummo e (1) Più tardi matureranno l’uve in su le viti, se quando sono in agresto, si spunteranno loro i tralci, aggiungono le stampe. — (?) mantiene, rattiene, le stampe. 464 la forza, non essendo egli tanto diguazzato, dirotto e travasato, e verrà a patir meno. È ben vero che quando il vino sì tramuta vergine e, come si dice, di sono (*), mentre ancora bolle e non è ben chiaro o fatto, non riceve danno dell’ essere trambustato. Ma in tutti i modi quella sarà sempre maggior comodezza e si spedirà (*) senza comparazione più presto Vl im- - bottare. Ma l’accomodare la tinaia a questo modo dee esser fatto da coloro che raccogliono grandissima quantità di vino; che per la poca, mediocre e ragionevole si può murare la ven- demmia dove più torni comodo, pure al primo piano della casa volta sopra a tramontana, e far la cantina ove più piaccia, volta pur al medesimo modo. È come si sia, e le tinaie e le cantine stanno meglio, più pulite, più sane e più accomodate con volta di sopra che altri- menti; et 1 sedili delle botti o tine sono ancora più da potersi mutare et acconciare a suo modo e megliori, fatti di buon rocchi di travi all’ al- tezza che bisogna, che non murati; benché molti e per quelle e per loro (*) gli appruovano più di pietra, per la stabilità e freschezza; ma questo non dà noia ai tini, imperciò si possono fare come altrui vuole. E murandosi vasche e canali avvertiscasi d’andargli ristrignendo verso la bocca e murargli più-tosto di muro fatto di pietra che di mattoni; et all’ uno et all’ altro sia l’arricciato e l’intonacato doppio et 1 sassi (1) e, come si dice, di sono, è tralasciato dalle stampe; io non so quel che voglia dire. — (?) e ti riuscirà con minor fatica, le stampe. — (3) e per quelle e per questi, le stampe, A —_—_— '——_ Du OO I TUA "e __o ar e———_—st o —_'o 465 o mattoni ben conventati insieme e tuttavia al coperto nella stanza detta. L’indugio nella vendemmia è tuttavia gio- vevole a megliorare la bontà del vino e farlo più durabile; e tutto in ciò ben discerne il buon giudizio di chi con dritto occhio lo con- sideri; e tenendo per fermo, che chi vendemmia a luna crescente abbia più vino dall’ uva, ma di men durata assai che nello scemare. E se all’ agosto, settembre o ottobre sopraggiunghino caldi e secchi grandi, si deono lasciar passar queste afe, e dopo la prima rinfrescatura di pioggia si vendemmi; e sovrastando di sei o otto dì, da che si vede l’ uva essere matura ma non smaccata, vendemmisi più tosto così, che danneggiare con altro indugio e le viti e 7 vino. Alcuni tengono, e così si truova scritto in lingua cofta ('), lingua in scrittura alla greca somigliantissima, e massimamente (°) nei lati di pianura, che e’ sia da vendemmiare dopo li diciotto o venti dì della luna, avendo per ope- nione che i vini fatti con questa regola diven- tino più gagliardi e da bastare, che non sien per fare alla luna crescente. Ancora non farà che giovamento, essendo sicuro che non piova, lasciar fuori all’ aere, per tre continui giorni, l’uve colte, stese o ammontate come si può, sì come scèrre le nere dalle bianche e le gentili e minute dalle grosse e dure di scorza, non mesticando più che di due sorte insieme; e (1) lingua costa, le stampe. A me par che si legga chiara- mente come ho stampato. — (?) massime, le stampe. 30 466 meglio sempre è che sieno tutte trascelte e poste disperse, come s° è di sopra detto ('). E chi vuole il vin bianco polputo e possente, facci vendemmiare l' uve bianche a luna crescente, cominciando tosto veduta la luna, con buon tempo e senz’ acqua addosso, avendo tuttavia riguardo che e’ non si vendemmi tra le due lune né in sul dar la volta, che simil giuoco ti farà il vino; e non t impacciar nei nostri paesi con vasche e canali, che vi svapora dentro et esala (*) troppo il vino, smarrendo la virtù. E se pur vi sia tanta abbondanza d'uva che sia necessario adoprare le vasche o canali, siano stretti in bocca il più si può, e così (8) i tini; e così in questi come in quelli sì porti l'uva con le bigoncie, più salda sia possibile, senza pigiar- vela dentro, tanto quanto se ne fa, che è meglio portarla sempre tutta intera senza premerla punto nel tino o vasche; e poi tutta in un tratto tagliarla e pigiarla; e fa d'aver a uso di ciò un instrumento a uso d'una vanghetta leggiera e sottile che rada bene, e con questa farai ammostare il vino parecchi giorni e di molte volte da mattina e da sera, affinche la vinaccia non riscaldasse e facesse pigliare il fuoco al vino, tagliando bene i raspi con detto instrumento; e pigiato poi ancora bene con i piedi, lascialo riposare qualche giorno, secondo che tu pensi che sia di bisogno e secondo le terre, a discrezione, pendendo sempre nel meno che nel più; e fa che tu non usi quel modo (1) divisato, le stampe. — (?) scala. erroneamente le stampe. — (3) altresì, le stampe. 467 dello svinare e pigiare a un tempo, se tu vuoi che "1 vino ti basti all’ estate e non facci i piè gialli; che la causa di farli al vino nasce da quel grasso che esce dall’ uve quando si pigiano, svinato che tu hai o mentre che tu vuoi svi- nare. E così quella vinaccia, che di già per il bollire e fumosità del vino ha preso il fuoco, spremuto che tu hai, sempre ve ne rimarrà della forte ('), il che fa di subito pigliare il fuoco al vino, che quando è nuovo, non appa- risce fuoco, ma possanza e grandezza; che è quello che per il più cercano i contadini, ai «quali. molte volte occorre venderlo al tino, et ha più spaccio; e rattenendolo per loro uso, comporta di molta acqua e fa loro maggior parata. E perciò è da lasciar questa usanza, né mai è da attenersi ai consigli dei contadini, perché son troppo interessosi del loro avere e troppo vanno dietro all’ utile loro proprio, senza guardare a di chi sieno le terre o altro rispetto. E quando tu pensi che egli abbi bollito e sia presso che chiaro, e tu l’imbotta così vergine, affinche nella botte egli si risenta un pochetto e vi grilli qualche dì, che questo stabilirà il vino, e lo farà scarico di colore, tenendo pur sempre, come s'è detto, gran cura alle due lune et alla volta d’essa; e se all’ imbottare et a tutto il maneggio che occorre al vino osser- verai questo, gli gioverai infinitamente e lo manterrai assai. E volendo vin piccolo, lo farai vendemmiare a luna scema e con poca luna; e quanto manco luna averai, tanto meno sapore (1) re ne rimane delle forti, le stampe. 465 e colore averà il vino. E se quando tu ven- demmi, la luna sarà all’ ultimo suo (') fine, cre- derai risolutamente che il contadino te l abbi adacquato, tanto piccolo e scolorito sarà. Deesi avere in considerazione che a voler ben trattare le viti, oltre al dettone di sopra, st torna loro intorno da sette o otto volte, cominciando dal potare; et in questa ultima consiste il tutto. E perciò, se questo non si fa, tutta quella cura e diligenza conveniente è gittata via, [e] tutta l'opera di tutto il tempo in un dì solo, mancando tu d’ una delle minime regole sopraddette (*). E poi il vino da averlo. buono ad averlo cattivo ognun sa che divario vi sia; et avendolo cattivo il difetto si darà sempre al padrone come a uomo dissipito, strac- curato e senza gusto; et avendolo buono, tutta la lode sarà la sua, perché i contadini, come s' è detto, son tutti intenti all’ utilità loro; et i padroni dei luoghi, o coloro che per essi ne hanno la cura, deono aver la mira all’ utile et all’ onore. Questi così fatti vini è openione che s'avvantaggino nel crescere per non scemare nel bollire e bollendo non consumarsi dai raspi che rodono, e più maturi diventano e più dige- stibili per l’ estate; e più ancora, passato l’anno, se sia in paese e vitigno che lo comporti. Ma se conviene [tramutargli] o a novembre o pas- sato marzo, levata via tutta la lor posatura e sporcizia, tramutagli in vaselli ben netti, spaz- zati, puliti e mondi. (1) Questo sxo tralasciano le stampe. — (°) Tutto questo prin- cipio è tralasciato dalle stampe. 469 Per fare ancora i vini piccanti, saporiti e dolci, aiuta assai, dopo la prima sera che sieno messi, come s'è detto, i grappoli interi nel tino, e tagliati e minuzzati con l’ instrumento descritto di sopra, pestare con stanghe o con mazzapicchi rotondi che abbino la caperozzola piana, almeno un dì sì e un dì no; e si lascierà riposare per due altri dì avanti che s imbot- tino. Alcuni cavano, pestata che sia e tagliuz- zata l’ uva posta intera con i suoi grappoli nel tino, così destramente, ma non affatto, la metà del vino, e lo pongono in una tinozza, copren- dola ben di sopra prima con un panno lino 0 lano, e poi con tavole sopra attraverso che non svapori, sin che sia ben pesto e pigiato nel tino il restatovi dentro; e di poi vi rimetton dentro quella metà della tinozza con bigonciuolo, con più prestezza possono, facendo e rifacendo ciò un dì sì e l'altro no, e così vengono a fare un vino di diverso colore, odore, sapore e potenza; e questa manifattura giova assal nei piani et in quei lati ove sieno le viti sopra gli arbori nei luoghi umidi, rettificando assai e riducen- dogli a maggior polso; e nei luoghi grassi molto gli ritira. Et a fare un buon vino si mette tanta somma d'uva buona trascelta, cannaiuola o altra di buona razza, in un tino che renda un tanto a discrezione; e come sarà bollita due o tre dì, avendola pochissimo pigiata e men minuzzata con l’ instrumento (et altri avendone gran copia, pigliano quel vino che esce dall’ incalcatura dei grappoli soprammessi l’ uno all’ altro), conviene cavar tutto ’l1 vino che n’esce e porlo in un 470 altro tino che di grandezza sia uguale a quello, e questo ben finire d’ empiere d’ uva buona, di condizione pari a quella di prima, che sia ben pestata con i piedi; et in questo secondo tino, come egli sia diventatovi ben chiaro, imbottarlo, avvertendoti che potrai ancora porvi una certa quantità d’acqua, subito che tu la levi dal primo tino; ma sia l acqua postavi a una certa discrezione, e ancora prima un pochetto in sul primo; e lasciarlo bollire e schiarire, come s° è detto, e poi imbottarlo. Così vi si ponga sempre alla rata del vino o dell’ uva che vi si mette sopra nel secondo tino la quantità e misura dell’acqua. Ma volendo poi fare i vini mescolati con acqua, come s' accostuma a Bologna e per tutta quasi la Lombardia, si dee, subito poste l’uve nelle tine, mentre sono i grappoli interi, senza pigiare o altramente averli tocchi, met- tervi l’acqua che e’ ti pare possi comportare il vasello e la qualità dell’uve e vino; et essendo le uve buone e gagliardo vino, non vi vorrebbe (') manco della quarta o quinta parte di acqua, e massimamente che l’acqua non fa mai scemare né crescere tanto il vino, quanta n'è stata posta dentro, rispetto alla bollitura fatta comu- nemente. Alcuni a questa mescolanza aggiungono un poco di sale, come saria tanto che ne tocchi un’ oncia per barile, avanti che nel tino egli abbi cominciato punto a bollire. Et alcuni, vo- lendo fare acquetta alla Romanesca, dirompendo e diguazzando (?) bene con un bastone tondo (') essere, aggiungono le stampe. — (?) dirompendo il vino e diguazzundolo bene, le stampe. 471 dal cocchiume per quattro ore, vi pongono un po’ più sale e acqua per metà con l ordine sopraddetto; e quello e questa, passati tre o quattro dì, lo imbotterai, che sarà chiaro e delicato. E quando ti venisse bene di farne del più piccolo, cioè di manco possa e vigore, farai pigiare con i piedi benissimo tutti quelli raspi che vi restano, acini e fiocini, e vl porrai tanta acqua quanta era la quarta parte del vino a che poteva riuscire il tino; e medesimamente, passati tre o quattro dì, l’imbotterai; e sarà buono a ber così e da mescolare con i grandi. Ma per farlo assai gentile da bere, pongasi in un tino d’ uva buona, ben stagionata, matura, che sia stata prima in terra distesa e sparsa al sole almeno cinque o sei dì, avvertendo di coprirla con panni bene contro al sereno, e che non vi piovi o vadi guazza sopra o rugiada, e lasciala poi, posta nel tino, stare un giorno; e pigiata e tagliuzzata una volta sola con dili- genza, caverai subito che n’ esce et imbotterai. Sgranerai ancora quella quantità d’ uva che tu vuoi, che sia di buone sorte, osservando sempre che per ogni dieci bigoncie d'uva tu v hai a porre due barili d’acqua bollente ; coprirai subito con un copertoio che suggelli bene, fatto d’asse che si soprapponghino; o veramente si metta in un tino che abbi il fondo di sopra da potersi ben chiudere e serrare; dipoi, statovi un giorno o due e non più, lo svinerai imbottandolo in botte pulita, netta e di seto buono, e farai che ogni volta che se n’attinghi un fiasco che s’ ha a empiere di vino, vi sì getti sopra prima pieno d'acqua; e 472 qualche volta, quando va alla scema, im cambio d’acqua vi si metta di buon vino, che così si farà durare; ma avvertisci che di questo vino bisogna attendere a cavarne ogni giorno, ancora che non se ne volesse bere. Ancora, essendo cavato via il vino dal tino, leverai subito i raspi che vi sono rimasti in cima che sieno asciutti, e quelli ancora degli altri tuoi tini, facendo pestare benissimo il rimanente; et essendo stata l'uva bigoncie sessanta, glie ne porrai sopra dieci o undici d’acqua; e coperto bene quel tino, ne potrai bere a dilungo da quattro o cinque dì in là, e si conserverà un pezzo con quelli raspi senza inforzare. Ancora, mettendo in un tino sessanta bi- goncie d'uva buona ben matura, lascieraivela dentro per cinque 0 sei dì, senza fargli cosa alcuna, e dipoi caverai il vino che verrà fuori” e lo metterai in una tinozza, pestando subito luva del tino con i piedi e. gettandovi sopra venti barili d’acqua, e più ancora e meno, secondo la sua qualità; e fatto questo, ritor- nerai dentro tutto quel vino cavato e pigerai bene poi un’ altra volta ogni cosa ‘insieme con i piedi; e dopo tre o quattro giorni l im- botterai e riuscirà molto buono. È bene tutte l’uve, pigiate che elle sieno con i piedi, poste nel tino, tagliarle con l instrumento detto mi- nutissimamente, vedendo di tagliuzzare ancora tutti i raspi dei grappoli dell’uve, perché questi faranno sempre più saporito e più piccante il vino. Et a volere fare vino d’acini, il che è una nuova invenzione venuta da Città di | | 475 Castello, bisogna pigliare delle meglio (') sorti «d’uva e delle più mature e belle che tu abbi nella vigna da far vino; dipoi tenutala per Quattro o cinque dì aperta, spiegata e stesa a | sommosciare al sole, spicciolata tutta a granello a granello, et empire (*) la botte intera perfino al cocchiume; fa poi dare una scossa alla botte tre o quattro volte, che i granelli rientrino bene insieme; e quello spazio di lato, che per essere avvallati, resterà voto in cima, riempilo di nuovo di granelli, e trilla la botte un’ altra volta; e quando la truovi tanto piena che più non ve ne possi patire, tura bene (*) la botte con il .cocchiume fasciato di stoppa o panno . lino, sì che vi entri per forza, puntellala e lascia bollire, e in capo di quaranta dì comincia a bere dalla cannella quanto ne viene dì per di; poi quando la non getta più riempila di vino vergine, et in capo a quindici dì (*) rico- mincia a EAT per la cannella; e votala affatto, beendone ogni giorno. Et affinche (*) i vini rieschino senza fum- mosità, se ben sia uva trebbiana o più gagliarda, arrivata l'uva tutta intera nel tino, la farai premer subito, scolando quel vino in un tino 0 più tosto in una tinozza, a causa ch’ egli abbi a poter più esalare; ma perché per otto dì o dieci egli farà della schiuma assai, non man- cherai di levarli con una mestola grande bucata ei -—-<=-—)-., e o - «—» =—,, xe _ se °° (1) miglior e meglior e migliori le stanipa. — (°) e empi, le stampe 1690, 1610, 1622; empi, la stampa 1734. — (3) bene manca alle stampe. — (*) di manca alle stampe. — (5) Affine che’ cini, le stampe 1600, 1610, 1622; afinché i rini, la stampa 1734. 474 di legno quanto bisogna, e dipoi ne lo caverai (!) per tal modo che e’ non porti via punto della feccia seco che è in fondo, e così l imbotterai; e ciò si può fare con tutte l’uve nere per il medesimo effetto. E volendo fare un vino puro naturale che non sia intricato con i raspi, bolla e si purghi più presto, spremi a grappolo a grappolo l'uva con le mani sopra la pevera che sia messa sopra la botte, dentrovi quel ‘liqnor che n’esce tanto che la s'empia (°); di poi turala; e come sia schiarito, si può cominciare a bere. E di mano in mano avendo gettato quelli grap- poli spremuti in un tino che tu abbi quivi presso, o in bigoncie dalle quali e’ vi sì portino, gettavi sopra dell’acqua a discrezione, e farai un raspatino da cavar la sete, ma non già di nervo alcuno. Et a fare il vin dolce con acqua, porrai duemila cinquecento libbre d’ uva buona nel tino, tutta intera; e pestata bene, vi get- teral sopra settecento cinquanta libbre d’acqua, compartendola in cinque o sei mattine, e con la mestola intorno ai raspi levati; cavando di poi il vino che in tutto vi sia badato sette dì, l’imbotterai, e sarà chiaro, dolce e piccante. E similmente, ponendo trenta bigoncie d’ uva nel tino, lasciatevele così intere per tre o quattro dì avanti che tu le pesti, e poi pestate e tagliuz- zate con l’ instrumento detto, benissimo, mettivi cinque o sei barili d’ acqua bollita nella caldaia, coprendo bene subito il tino con tavole, panni e coperte; e lasciato star così tanto che schia- (1) ne manca alle stampe; Za caverai, erroneamente, la stampa 1734. — (°) ch’ ella le stampe. 475 rischi, l’imbotterai; e sarà un vino dolce friz- zante. Ancora, ponendo, per dir così, il lunedi trenta bigoncie d’ uva buona, ben scelta, matura e non rotta o punto acciaccata, il martedi sera vi porrai sopra almeno dodici barili d’ acqua, facendo sempre il barile di libbre cento venti; e la caverai la sera del mercoledì, depositan- dola così avvinata in una tinozza affinché esali; il giovedi sera poi tu la ritornerai sopra la detta uva, et un’ altra volta la caverai la sera seguente del venerdi, ritornandovela solamente la sera seguente del sabato, e cavandola ancora la sera seguente della domenica, la porrai per questa volta nella tinozza medesima, e poi dili- gentemente ripestata bene quell’ uva, la mattina del lunedi seguente trarrai subito sopra ‘1 tino la medesima acqua avvinata, lasciandovela star dentro fin al mercoledì. Allora cavandola tutta et imbottandola, averai vin chiaro, saporito, buono. E di più pigliando dieci bigoncie di uva simile buona, tenutala quindici o sedici di sopra la paglia distesa al sole, difendendola dalla brezza della notte con buone coperte lane e line, e procurando che la paglia, che alzi quattro diti, sia sparsa sopra tavole secche; di poi, posta nel tino e ben pestata con i piedi, getterai sopra dodici barili di vin buono nuovo schia- rito; e passate solamente dieci o dodici ore, imbotterai tutto quello che dal zaffo scolando venga fuori; e sarà vino mantenente il dolce tutto l’ anno. Ancora, pigliando tutta quella quantità 476 d'uva che ti parrà buona e matura et asciutta, non rotta o macolata, postala nel tino la lascie- rai così stare per otto o dieci di, affinché cal- candosi bene tra se stessa insieme, renda del vino assai, il quale imbotterai tanto quanto ne venga da per se agevolmente; e sarà eccellente; dipoi fa pigiare al solito quei grappoli interi, et imbotta il rimanente. Appresso questo, piglierai dieci parti d’ uva grappella matura, stata al sole, sopra la paglia e sotto [a lei] asse, dieci di ('), e postala nel tino senza rompere, dopo due di vi getterai sopra cinque o sei bigoncie di vin nuovo, chiaro, buono e non carico di colore; e passate ven- tiquattro ore caverai tutto quello che ne può venire e l’imbotterai. Rompendo ancora le dette uve e ponendo sopra altrettanto del vino mede- simo, lasciandovelo stare su due o tre di, e cavandolo al modo detto, poi la quarta ed ultima. volta, pestata benissimo la medesima uva, vi metterai sopra altrettanto del medesimo vino, lasciandovelo stare su un di; poi cavatolo al modo detto l imbotterai, invassellandolo di- versamente. Così averai un vino dolce e gentile. E di più piglierai otto o dieci bigoncie d’ uva matura buona e la pesterai bene, e poi empierai una botticella di quel vino che uscirà fuori, la quale ben chiusa e cerchiata, posta così piena nell’ acqua, talmente che ella s' attuffi tutta appresso a quattro dita dalla cima, ve la lascie- rai star dentro per quindici e più giorni, più e meno, secondo che sia quel vino potente; e (!) e sotto alli dieci di, le stampe, erroneamente. 477 poi farai portare quel vassello così pieno, senza più trambustarlo, nella volta, e ti darà vin bianco d’ uve nere, e si manterrà dolcigno tutto l’anno per non aver potuto bollire. E pigliando appresso uva buona e ben ma- tura scelta, taglierai via tutto ‘1 picciuolo del legno con le forbici e tutti gli acini agrestini e non maturi, e così mondi gli metterai di mano in mano in una tinozza che sia sopra a un carro, all'ombra sotto un portico, e la manderai girando le ruote con esso la sera alla rugiada, così seguendo per otto dì; di poi caverai tutto quel vino che n’ uscirà agevolmente e sarà dol- cissimo. Farai anche di poi tutta quell’uva che ti darà vino poco differente da quello. Et appresso a questo tu porrai dell’ uva buona sopra i graticci o asse nel forno, tanto scaldato che ella rigonfi; e rigonfiata la caverai, mettendovene poi dell’ altra, secondo che tu vorrai far del vino in quantità; e pestata alquanto la getterai sopra il vino imbottato; il quale, essendo subito ben chiuso, in capo a quindici di sarà più e men dolce, secondo la qualità del- l’uva che v averai messa. Ma il suo proprio è di porre per ogni cinque barili di vino una libbra di detta uva ben qualificata; et averai vino dolcissimo da durare. E di più piglierai dieci o più sacchetti di tela lunghi un braccio et un quarto, aguzzi in fondo a uso d'una aguglia rotonda di tela di panno lino, anzi piuttosto di panno lano ordi- nario grosso, mettendo il pelo di dentro, giusto in foggia tagliati e cuciti di scartoccio con un cerchio di legno in bocca, che tenghi aperto, 478 tre quarti di braccio; et acconcia una scala sopra due cavicchi alti da terra tre braccia e mezzo, ponendogli poi sotto una doceia di due asse lunghe in proporzione, larghe mezzo braccio, commesse, quanto è lo spazio di quei sacchetti, e stia un po’ a pendio, finchè il vino che si cola in quei sacchetti possi scendere in un tino posto a terra, quanto bisogni. E così acconcio tutto porrai nei sacchetti tanto vino pigiato di fresco, non bollito, quanto vi possa capire, il quale, mentre uscirà torbido, riporrai dentro tanto che eschi chiaro; et allora non gli farai altro, sin che quei sacchetti non cesseranno di gettar fuori; i quali, lavati benissimo, tornerai poi di nuovo pieni al suo luogo, avendo però prima imbottato tutto il vino che sarà uscito chiaro, osservando questo ordine sin che tu ne abbi fatto quanto vuoi. E questo vino riuscirà dolce e tanto oppilativo, quanto quelli che si imbot- tano torbidi e che così mal purgati sì beono. Et in questa istessa maniera si fa alla vernaccia che si cava dall’ uva della vite bergo, imbottan- dola in botticino di tre o quattro barili e non più, mutandola la prima volta in capo a un mese, poi ogni due mesi, tanto che la si bea. E chi la vuol naturale, l imbotta di sodo senz’ altro, poi la tramuta; et ha più fummo e sapor migliore. In oltre piglierai tanta quantità d'uva sta- gionata, buona, non pesta, come cape in una botte, secondo il tuo animo, ben cerchiata; et empila di quei granelli sino a un palmo. Chiu- dila di poi molto bene puntellando il cocchiume con travicello alla volta della volta, per diffi- 479 cultare il bollire. E come senti che egli non bolle più, prendi una tinozza di dolcissima ver- naccia e tienla appo la botte, ordinando poi a coloro che hanno a cavare questo vino piccante, lo mescino per la prima volta così puro, poi, chiedendo del dolce, lo mescolino con un po’ di vernaccia; e dicendo che rechino di quello più dolce, aggivinghino tanta più vernaccia; e così seguendo, da una sola botte tu avrai vino di più sapore e tutto buono e delicato ("). Appresso a questo, per dar l odore del moscatello al vin nuovo imbottato chiaro, vi sì ponghino dei fiori di salvia seccati all’ ombra quell’ anno, dentro messi a un sacchetto o pezza di lino, come sarebbe a dire un pugno per barile, ben chiusi nel panno, a fin non eschin fuori (?) e che il vino possi ricever quel sapore di mosca- dello; ma gli legherai talmente al cocchiume con un filo, che non passino la metà della botte; e in capo a otto di si tirano fuori, facendo il simile (*) a porvi la semente di curiandoli; e per aggiungerli gentil sapore, vi si mette poi dentro truciolatura di noccimolo secco, poi il vino nuovo sopra, avanti che abbi finito di bollire. Faranno questo medesimo i fiori di sam- buco secchi all'ombra, si che calino dal coc- chiume sino a mezza botte; e tuttavia si deve avvertire di spiccar l’ uve intere dalla vite, senza pestarle prima quando si vendemmia, come si mal usa fare, [presso] le viti (‘). Volendo poi (1) buono tralasciano le stampe. — (?) affinché non esali fuore, le stampe. — (3) e farà il simile, le stampe. — (4) Le stampe si fermano all’ usa fare. Mal si usa a fare, la stampa 1734. 480 fare con comodezza questa sorte vini, et accanto a questo far[ai] lavare talmente i tini, che non resti dentro bruttezza o sporcizia aleuna, per- ciocche come il vino non bolle pulito, ma sporco, non è maraviglia che non si conservi. Poi, se- condo che giugneranno le uve intere a casa, tu le farai bene infragnere con i piedi nella bigoncia e poi di mano in mano le farai gittare nei tini accomodati al coperto per la pioggia e sole che 1 offenderebbero, e massimamente che luna o l’altro impedirebbe il ben bollire, questo facendolo bollir troppo presto, e quella noierebbe che non ben bollisse. Questo sì dee sapere, che il vino quanto più bolle lentamente, è sempre meglio; e chi gli vuole lasciare bollire su l tino, pare che sette dì abbi a bastare di monte e cinque in piano. E volendo fare un vino che sia di forza, di sapore e colore buono, vedi di mettere interi tutti 1 grappoli nel tino, spiccati con diligenza dalla vigna, e subito aceu- ratamente posti e pigiati e stagliuzzati, dopo ventiquattro ore levane il vino et imbottalo nella botte ove egli ha a stare; e quivi lasciato stare altre ventiquattro ore, lo ritornerai nel tino per altre ventiquattro ore; così segui per quindici di alternativamente, e dipoi imbottalo per affatto, e beilo. Quando ancora bolliranno i vini nel tini, se tu metterai nel fondo loro a bollire qualche *sorta di erbe di sapor buono 0 di qualche virtù medicinale o odorifera, come rosmarino, nepitella, menta, sermollino, vivuole mammole, timo, rose, vivuole, garofani, narcisso, musco greco, mughetti, selbastrella e simili, prenderanno l odor medesimo che hanno dette - 451 erbe. Ma l’acqua che tu poni sopra i vini, sempre ponvela cotta più tosto che cruda; e cosi ancora, avanti che si ponga il mosto nei tini, profu- magli con l'incenso, dopo che siano stati ben lavati con acqua, bollitovi assai sale dentro; e tieni pieni i tini sino in cima, tanto che tu possi levar la schiuma che rigonfia et ogni altra bruttura che egli gittasse di sopra, e portala via lontana dalla cantina, perché generano poi certi moscherini, che vanno a rischio di far guastare il vino: il quale volendo fare e dilet- tevole et utile, sgranellerai quella quantità di uva raccolta da diverse viti perfette che si parra bene asciutta, stagionata e netta, ponendo sempre a ogni dieci bigoncie d'uva spicciolata due bigoncie d’ acqua ben bollita, tornando subito sopra la botte, sopra la quale tu 1 averai messa: e potrai bere di questo vino dopo un giorno o due, et ogni volta che e’ si manda ad attignervi, si può e si dee metter di sopra altret- tanta. acqua per volta, sin che muti sapore. Hleggerai ancora uva della migliore che si possi trovare per far buon vino, di scorza dura, e che sia molto bene stagionata nella sua maturezza,; e sgranellala senza spremerla con diligenza, mettendola poi in una botte o altro vassello da vino, sin che la sia piena: accanto gettavi sopra un barile di buon vin vecchio possente e maturo: bolli poi dell’ acqua a discrezione e così bollente gettavela sopra, si che la sia piena, e lasciala stare sin tanto che fermi il bollire e che egli sia raffreddato, e comincia a berne : et a qual ora tu ne cavi vino, riempi con altrettanta acqua; ma meglio è non cavar dI 452 vino se non ogni ventiquattro ore. È nella sorte di così fatti vini conviene sempre ben puntellare o legare le botti, et avvertire che tutte siano ben cerchiate. Più appresso, pesta e pigiata che tu averai l'uva, cava subito il mosto dalle graspe (') e depositalo in un tino di buon sito e cuoprilo con un lenzuolo netto o panno più grave 0 stuoia, e componivi sopra delle tavole che ben si commettino e componghino insieme, che non sfiati o svapori, e lascialo star così per quin- dici o venti di; e fra tanto schiumalo ogni di e dipoi imbottalo, mescolandovi a discrezione un po di vin vecchio sano e buono: e sarà perfetto. Et affinché sia ancora (?) odoratissimo, piglia un arancio o vero cedro di mediocre grandezza, ficcandovi dentro tanti garofani buoni che si tocchin V un l'altro, dipoi mettilo nella botte del vino si che non lo tocchi, e chiudi benissimo la botte; e non volendo tanto odore, da prima quando e’ bolle mettivi dentro assai scorze di mele appiuole e di pera cotogna e di moscadelle secche, e lascia bollir con esse, poi quando imbotti levale; et averai un odor suave. Oltre a questo, metti libbre cento, o più o meno sl come ti vien bene, di uva buona e ben matura nel tino, e pestata bene vi metterai sopra il terzo e poco più d'acqua, comparten- dolo in cinque o sei mattine con la mestola intorno a’ graspi levati; e dopo caverai il di seguente tutto il vino, imbottandolo subito; e riuscirà dolce e buono, con pungente picco. (1) grasse, le stampe. — (?) E affine che sia, le stampe. 483 Ancora, poni sei bigoncie d’ uva ben ma- tura nel tino, o più o meno come ti pare, la- sciandolo così per tre o quattro di innanzi che sì pesti, e pestato che egli sia benissimo, por- raivi sopra una bigoncia 0 poco più d’acqua bollente, più o meno per rata, coprendo bene con coperta doppia il tino; e dopo ventiquattro ore imbotta e sarà simile. Si fa del vin bianco rosso, 0 col farlo bollire nei gusci dell’uva nera, e mettendo buona quantità della cenere di essi nella botte del vin bianco, col mesticarlo bene, e chiuderla con diligenza; e di li a quaranta di sarà diventato rosso. E così per contrario. Vin dolce si può fare semplicemente, metten- dovi quando bolle dell’ origano, e con le sole uve mature lasciate stare al sole per quattro di, facendo lor cansare il sereno della notte :; poi, pigiate bene, imbottarlo. Ancora riesce dolce, ma fumoso, il vino che si cuoce, e deesi cuocer quello di arbori di piano ; et ogni vin debole ('), ponendolo a bol- lire in gagliardo fuoco, in caldaie che ne ten- ghin gran quantità, quando egli ha finito di bollire in su "1 tino, né ancora tanto, perché resti con più forze; e bollendo si fa scemare un terzo, poi s'imbotta; e durerà. E cocendo un barile di trebbiano o altro vin bianco buono, e bollendolo, facendolo scemar tanto che si riduca a quattro fiaschi, ponendo poi un fiasco di questo sopra un barile di trebbiano o bianco detto, lo farà diventare possente come greco ; e sì dee fare alla vendemmia. È così il vin (1) debole tralasciano le stampe. 4S4 d’ uve nere cocendosi diventa bianco; anzi tutto quello che si cuoce o sia d’uve nere, rosse 0 bianche, diviene vin bianco, cotto che sia, di modo che ne scemi bollendo un poco più del terzo. E di più mescolando la feccia del vin dolce nel vin nuovo, che sia un poco di sapore aspro, diventerà delicato e buono. Così, poi che sieno messe dieci some d'uva nel tino, metten- dovi dentro del méle distrutto e mescolando con esso pepe acciaccato, si farà possente. Si- milmente prenderà d’ ogni cosa d’ odore, come musco, ambra e zibetto, più e meno a discre- zione, secondo che se n’ infonderà nel mosto che bolle senza raspi. E mettendo nel vino, tosto che egli sia imbottato, finocchio e santoreggia pesti a di- screzione, è mesticato, si renderà il vino molto gentile. In questa medesima maniera si farà odorato e saporito, mettendovi coccole di mor- tella salvatica secca e sfogliata, per dieci di, e poi colarlo con la calza detta. E saperà di vi- vuole mammole, mettendovi dentro un sacchetto della lor polvere pesta; e sia il sacchetto di panno lino bianco, pulito, sottile, acconcio con un filo che penda dal cocchiume sino al mezzo della botte, quando v'è di prima giunta imbot- tato il vino che sia alquanto giovine. Secca ancora all’ombra i fiori della vite lambrusca, e sfogliati e tritatigli bene, mettigli in un vaso nuovo, e quando tu vorrai inodorarlo, metti una giusta porzione di due pugni in tre barili di vino, et imbottalo ben chiuso, et in capo a sei o otto giorni renderà quell’odore e si potrà bere. Si possono ancora, posti nel sacchetto, ca- 455 lare dal cocchiume a mezza la botte, sospeso [il sacchetto] a uno spago, tanto che il vino prenda quell’ odore; e perché non vadino né guazzando ne a galla, leghivisi insieme una pietra marmoreccia pulita. Il vino si fa come vecchio di nuovo, se tu pesterai insieme fien greco, mandorle amare e gomma di pino per ugual porzione; e poni in un sacchetto nella botte penzolone, a propor- zione; e parrà veramente vecchio. Ancora, ai vini di piano che sien deboli si da lor forza schiarendoli con l’allume di rocca, con la calcina viva e con le chiare dell’ uova, queste mescolandole e ponendole in un sacchetto al modo mostro di sopra; e poi schiarito cavarlo rinvassellandolo ; e di questa maniera durerà ancora assai; ma è mal sano e non molto da approvare. Sono alcuni che pongono per disputa di gran contrasto, se sia più da commendare et approvare il lasciare bollire i vini in su ’l tino quanto possin durare a bollire, o si vero non punto, o qualche poco. E non è dubbio che la diversità del paesi e situazione dei luoghi e qualità di viti è da credere che ricerchi sempre qualche privata osservazione; onde procede che e’ non si possa in ciò dare una certa regola universale. E con tutto ciò per la più parte dell’ Europa ove si tiene conto di procurare i vini, come nella loro amica Germania, in Fran- cia e Spagna et in Italia per lo più, in Candia ove si fanno le malvagie e ’n Cipri, i grandis- simi vini poco o non punto si lasciano bollire nei tini, vasche o altri vasi dove gli fanno ; 486 perché, quanto più bollono i vini, più diventano duri, grossi, insipidi, fortigni, svaniti, di poco polso e deboli, di più oscuro, abietto et appan- nato colore e di durata minore, e per questo ancora di poco e cattivo nutrimento e mal sano. Approvandosi adunque i vini predetti (') dal colore, dal sapore, dal chiarore e dall’odore, dalla chiarezza e limpidezza sua, bollendo tanto quanto posson durare a bollire, perdono la maggior parte di queste condizioni, snervandosi e disvigorendo senza fine; e ciò gli rende an- cora atti al guastarsi, offuscando il colore; cosa che non avviene a quelli che si imbottano di sodo, senza lasciargli punto o poco bollire ; come che ancora questi comportano entro seno (*) del- l’acqua, non scemando sapore, indizio chiaro del lor vigore acquistato e mantenuto naturalmente. E chi non sa che ponendo per ciascheduno di due tini trenta bigoncie di buona uva stagio- nata per uno, quello in che si lascierà bollire venticinque o trenta, non passerà diciotto ? Il che si pruova ancora dal vino che si cuoce, che si cognosce bollendo quanto egli scemi, e tanto più in sul tino che bolle da sè adagio ; e l’acqua e tutto che si fa bollire, scema. Adunque si può risolvere che per bollire i vini quindici o venti di, non sì conservino, ma piut- tosto quanto manco bollono; perché per 1’ espe- rienza si vede che a bollire i vini sin che ces- sino, non sì mantengono perciò più degli altri, ma meno assai, È ben vero che quanto più son lasciati nelle tine da che e’ son divenuti freddi, (1) per eletti, le stampe. — (?) entro seno manca alle stampe. 457 tanto più sono per durare; né questo avverrà perché abbino assai bollito, ma si per essersi fatti forti alla cima i raspi, 1 quali durando di starvi l’inacetiscono, sî come posti sopra 1’ aceto stretto lo fanno tanto più inforzare, e tanto più quanto più vi se ne pon quantità; e fatto un suolo d’ essi d'un palmo, sopra poi gettandovi aceto rosso, lo fan bianco. Ora per far perfetti vini claretti e (*) cire- giuoli fatti alla francese, conviene primamente, condotti i gr ‘ppoli interi al tino, pestargli coi piedi nelle vinaccie sin che siano ben pigiati, e subito subito imbottargli più netti che si può, stoppando bene il cocchiume con stoppa e pece o cenerata, che tutto tien forte e non lascia sfiatare. Possonsi ancora quell’ uve striz- zare al torchio, ma meglio è pestarle e pestando con il mazzapicchio, cavarne quel si può, ve- nendo poi fuori a questo modo il vino mi- ghiore, facendo poi vinelli con acqua, sempre bollita, sopra alla vinaccia vi resti, pestato che sia. Ma chi vuole, empie più volte il di del medesimo quella botte, sm che gitti fuori la schiuma dal cocchinme di sopra, e poi la tu- rano affatto (*). E più amabili resteranno tra- mutandogli di tre di in tre di, due o tre volte, levando loro prima (*) la feccia di sotto; e questo è meglio che indugiare, come molti fanno, un mese intero a tramutargli ; et alcuni hanno openione che il tramutargli levi lor forza, quella acquistata dalla madre, che resta (') o le stampe. — (?) e di poi si tura affatto, le stampe. — (3) sempre, le stampe. 488 in fondo, che gli mantiene gagliardi; ma questi bisogna bergli più presto, perché v'è dubbio che piglino il forte. Ma mettendo in questa botte il terzo di mosto dolce, fatto al modo detto, d’ uve mature nere, il quale non può bollire per esser maggior quantità il vecchio che ’1 nuovo, saranno dolci e amabili. E sappi che quante più volte saranno pigiate e calcate l’uve, tanto più averà del puro il mosto; et essendo il vino men calcato, più si purificherà e sarà ancora più durabile, e meno ratterrà il sapor dei raspi. Et essendo le uve deboli et acquose, lascinsi bollir più, e le di meglio sorte e più sode manco; e quanto più grasse et acquose sieno e di piano, si lascin bollire più con i raspi; e l'altre dure e di poggio meno. E quanto più uve s' ammosteranno insieme, tanto riuscirà più gagliardo il vino e più puro e più netto; così meglio ancora si conserverà insieme nelle botti grandi; si come si vede in Santa Maria Nuova e all’ Horeto, che quivi è una botte di trecento sessantacinque barili e li (') di cento cinquanta e cento più d'una, e si conserva benissimo. Tiensi per openione che 1 olio buono (?) posto sopra l ultima cima della botte in sommo del vino sì [lo] conservi bene e sî [lo] facci ot- timo, e così il méèle posto in fondo lo migliori assal; e quanto all’ olio, si cognosce per espe- () e Za, le stampe. L' Horeto prima, forse l’ Orto, ma quale? 0 Loreto? — (*) Tiensi per openione che l’ olio buono... si conservi bene e si faccia ottimo, erroneamente la stampa 1600, da cui le altre trascrissero. Peggio quella del 1610: Tien...... Quella del 1622: PRAIA Quella del 1734: ......s7 "Z conservi bene e ’l faccia ottimo. 459 rienza quanto egli possi sopra "1 vino di pomi granati, lo mantenghi e conservi pure assai. Il vino passo, che dai Greci è tanto lodato, si fa coll’ uve lasciate appassire e quasi seccare in su le viti, et è buono nei luoghi temperati. Del- luva che i Greci domandono stica, noi mosca- dello, si fa 11 vino moscadello odorato; e quel di Taglia nel paese di San Remo passa tutti gli altri d’Italia, sin quello di Montefiascone e di Piombino. Fassi ancora d’ uva moscadella nera, che se ben fa poc’ uva, il liquore è tanto buono, che merita ’1 pregio dell’opera a inte- ressarvisi. Alcuni fanno vino odorato di qua- lunque uva dolce seccata al sole, tanto che ella scemi di peso la metà, spremendola poi bene, e lasciatala poco bollire, imbottandola subito; e per fare il secondo vino vi aggiungono altret- tanta di acqua, quanto ne sia uscito di vino. Alcuni altri più diligenti i grappoli d’ uva sec- chi gli cacciono in vino eccellente tanto che rigonfino, poi premuto bene imbottano quel vino che n’ esce; et accanto aggiungendovi del- l’acqua fanno il secondo. Ancora, seccando l uva sopra i tegoli al sole si che scotti, e subito spremuta, fa il vino oltre a modo dolce. Aggiungonvi alcuni quello che chiaman diachine (*), avendo seccate 1’ uve con rivoltarle spesso in luogo chiuso per sette di, tenendole da terra alte quattro braccia in sur uno graticcio, mettendole dentro al coperto la notte, l’ ottavo giorno pestandole e pigian- (1) che e chiamato dachiume, la stampa 1600; da chiume, la 1610; e anche la 1622; dachiume, ia 1734. 490 dole bene e poco dopo imbottandole, lo fanno di buon sapore et odore. Si scegliono ancora assal uve fatte passe al sole e messe in paniere di giunchi, vi sì rompono gagliardamente con bacchette; sbattute e così acconcie al sole, si pongono nelle gabbie sotto lo strettoio, e tutto quello che sì scola si serba; et è vin buono da serbare et ha corpo come la sapa. Et avanti che l’uve si pigino o pestino, quello che si scola, da per sé, lasciato bollire nei vasi dove si scola per quaranta di al sole si tiene et appresso s'Imbotta; e sarà buono. Et il vino che si addomanda di lagrima, si fa ancora in questo modo; ma lasciandolo bollire subito scolato dall’ uve non pigiate in su la botte ben chiusa inserrata (') con il coc- chiume lo mettono. Et a far un vino di poca forza e delicato da dare ai malati, sopra venti misure di mosto se ne mescolino dieci d’acqua, e lasciato bollire insieme tanto che fermi, s im- botti, che sarà lor buono e giovevole. Alcuni altri prendono la. metà di mosto e la metà d’acqua marina, e lasciato bollire sin che cessi (*), l imbottano. E due terzi d’acqua e un terzo di vino, o vero cacciata quell’ acqua sopra un terzo di uve non pigiate, et anco postavi sopra la vinaccia spremuta al torchio sotto la vite et imbottato, per mezzo anno si conserva acquerello, bevanda buona per la famiglia. È openione che dall’ uve nere esca il vino più gagliardo che dalle rosse, e più soave dalle (1) den chiusa e serrata. le stampe. — (?) sin che resti, le stampe. 491 bianche mediocri. La pece greca distrutta e posta nel vino per acconciarlo, non per questo lo fa più cattivo, anzi resta buono da durare e giovevole allo stomaco più che con allume, calcina o zolfo. E 1 vino chiamato mulso si fa col mescolare due barili di vino et uno di mele; e molti insieme cocendolo lo fanno ; et è sano da usare, ma ristucchevole; ne vuole es- sere mescolato con vin dolce o austero il mele. La cera è openione che fa inforzare il vino, distruggendone sopra la botte buona quantità ; e volendo adoperare il gesso per correggerlo e schiarirlo, bisogna mettervene poco a discre- zione, imbottato che egli sia. Avendo messo i grappoli interi nel tino, quel liquore che da se stesso scolerà, ponendolo subito in un vaso invetriato et impeciato in bocca, si manterrà di quella qualità che n’ esce, per qualche mese tenendolo in luogo umido, o vero sotterrandolo nell’ arena; e così durerà tutto 1 mosto; ma il mogto si conserverà bene in una brocca impeciata, cacciata in fondo del pozzo, perchè egli non potrà bollire. Il vino raspato del Cardinal Farnese (') si fa così: pigliasi una botte di dodici barili, ove sia stato dentro il greco e votata di pochi dì; quivi dentro si pone ottocento libbre d’ uva sgrandinata, della migliore che sì ritruovi nella vigna; se ha a esser nero, canaiuola, se bianco, trebbiano, perugino o bracciuola. A spicciolar quest’ uva si piglia il grappolo in mano sopra (1) del Cardinal Farnese tralasciano le stampe, e sostituiscono buono. 492 la pevera posta al cocchiume della botte; e la botte sotto una loggia o stanza aperta, ove possi il vento tramontano e vi sia freddo; e con le forbicette si taglia, senza punto mantru- giarlo, il granello col suo piccollo e si manda giù di mano in mano; 0 vero spicciolati a questo modo in un vaso grande di legno di molti grappoli, st votano per la pevera che abbi un ‘annone largo nella botte, e piena delle otto- cento libbre sino a mezzo o quanto sia, sì finisce d’empiere di greco bitono. Ponsi poi, levata la pevera, incastrandolo bene e bene poi attorno impeciandolo, un legno voto di lunghezza di due braccia, con un vaso accomodatovi in cima della medesima materia a sborrare il bollire; il che finito, si tura bene il cocchiume e in capo a due mesi si bee; la botte si puntella o lega o si carica di buon sassi come più piace, che non possi traballare. | Ancora, il vin raspato buono si fa cogliendo uve buone bianche ge nere, mescolate non importa, purché siano tutte di buona ragione; e tenendole al sole quattro di, spicciolarle et empierne i due terzi della botte; e tutto il rimanente riempiere di vin greco vecchio buono o d'altro vin vecchio eletto, durato sin a quel tempo. Ancora ('), piglia una botte di dieci barili piena mezza di uve spicciolate, e rinfondi di due barili di vin greco o d’ altro vino possente vecchio e ’1 rimanente di vin vergine del meglio della vigna che tu abbi, né fa caso o bianco 0 (1) Oltre di questo, le stampe. 495 rosso, ché tutto sarà poi d’un colore, con un barile e mezzo di questo che vi sieno bolliti dentro i raverusti o brumasti, gettatovi dentro per la pevera caldo quanto più si può. Di poi acconcia il suo peverino, puntella e lascia stare. E senza vin vecchio, empi tutta la botte così mezza d’acini, poi il resto di vin vergine, et un barile e mezzo d’acqua bollente, che vi siano dentro bolliti i raspi triti minutamente. Ancora, empi tutta la botte di grappoli di buona uva interi, infondi quanto vi va greco, e lascia bollire col peverino al solito; poi due di dopo empi tutto affatto di vin vergine, poi bevuto, riempi di nuovo del medesimo per una volta sola. Ancora, tre barili di acqua, tre di vin ver- gine, tre di vecchio buono, con raspi crudi (') triti im mezza botte piena di racimoli di uve, ti farà raspato buono. E ottimo te lo farà, empiendo tutta la botte di uva spicciolata di raverusti, riempiendo quanto vi cape di buon vin vecchio o vergine con mezzo barile che vi sien bolliti dentro di questi medesimi raspi, triti, messi su caldi. Ancora, empiendo mezza la botte d’ uva buona spicciolata e tutto il rima- nente d’acqua bollente, cottivi dentro i raspi di abrostini, se non delle medesime uve tagliate minute bollitevi. Ancora, si può bollire di mosto buono e lasciarlo bollire (*). Ancora, vota che sia la botte del vino d’ acini detto di sopra, la (1) crudi tralasciano le stampe. — (?) Intendasi sempre il raspato. Le stampe acconciano così questo periodo: E puossi ancora bollire il raspato di mosto buono e lasciarlo quindi nella botte bollire. 494 riempierai di un terzo di acqua, bollitivi dentro i raspi, et il rimanente di mosto buono. Empi ancora mezza la botte di mosto buono, e spic- ciolavi dentro solamente duecento libbre d’uve, e finisci d’empiere d’acqua bollente sino al cocchiume; e se saranno uve gagliarde che possin comportare tant’ acqua, se no, più vino e meno acqua e più uve spicciolate ; e sarà buon raspato. Come ancora a mescolare in una botte vin vecchio e nuovo per metà e per ogni barile mettervi una libbra di sale e raspi et uva spic- ciolata buona senz’ acqua, lo farà similissimo ; e riuscirà ancora a pigliare tutto vino vergine, poi acqua bollente e raspi e sale a proporzione. Finalmente tutto il raspato fatto con debite porzioni di raspi di vin vecchio o nuovo, con acqua o senza, è eccellente comunche si sia fatto, pur che sia tutto di uve di abrostini, se si può, se non, canaiuoli; e volendolo bianco, san colombano, trebbiano e bracciuoli; e volen- dolo odorato, moscadelle o nere o bianche; ben svaporato per peverini stretti di pertuso e alti di canna; e dipoi, finito di bollire per i peverini, turato bene il cocchiume e serrato; e faccisi sempre nelle migliori più sane botti e di buon sito. E volendo farlo con le tacchie o brucioli di nocciuolo et ancora di castagno, l’ uno o l’altro fresco o secco, che in tutti i modi a questo uso si adopera, fatti minuti co ’l pial- letto o vero raschiando il legno sbucciato prima con coltello tagliente, si dee porre nella botte un suolo di queste tacchie e un suolo di uve spicciolate, avendo levati i mezzuli della botte 495 da un lato, e quando con quest’ ordine 1 hai piena tutta, rimettigli il mezzule e posta in su’ sedili, finisci d’empiere di greco o vin vec- chio buono 0 mosto e acqua se ti pare. Altri danno per ogni barile di vino quattro oncie di questi brucioli, empiendo Ja botte per il coc- chiume all’ ordinario e per quivi mettendo i brucioli e l uva spicciolata e tutto altro, lasciando bollire per il peverino quanto occorre; poi in capo a quaranta giorni lo beono ('). Si può ancora quella quantità di brucioli che tu risolvi di porre nella botte, che ha a essere secondo la qualità della grandezza sua a discre- zione, porla innanzi a tutte l'altre cose nel fondo della botte, o sì vero, postovi dentro ciò che v ha a entrare, quelli 1’ ultima cosa. Questi trucioli fatti (°) di tal legname e più di noc- ciuolo secco che altro, hanno proprietà di tirare il vino e rischiararlo, imperciò se ne doverria mettere in su tutti i raspati che si fanno o pochi o assai. E chi vuole che e’ si mescolino bene insieme e succi il vino quella sustanza, perche oltre a quello lo facci frizzante e pic- cante, mettendovi ancora i raspi bolliti (*) e l'altre cose che vi vanno, bisogna mettere per il cocchiume quattro o sei menate d’ uva spic- ciolata et un bioccoletto di brucioli, e così seguitare con gli uni e con gli altri sino al cocchiume, e poi mettervi quanto greco vi vadi, acconciandogli sempre, come s’ è detto, il suo peverino, mettendo ancora in su "1 raspato (1) Zo manomettono, le stampe. — (?) fatti tralasciano le stampe. — (3) bollenti, le stampe. 496 quando bolle dell’ azzeruole acciaccate mature o vero parecchie sorbe peste, ma meglio è degli aponi (') o more nere dei roghi, in non troppa quantità; et ancora assai granella sgranate et acconciate di pomo granato di mezzo. sapore, gli darà più grazioso, piccante e soave sapore. Il raspato si conserva con farlo in botticelle piccole di non maggior tenuta di cinque o sei barili, dipoi alzate da terra quattro o sei brac- cia (*) con corde, tenute sollevate e sospese nella cantina da ogni banda ugualmente, nel mezzo sostenute dalle ventole e bilicate che stieno in pari, si che non tocchin da banda alcuna; e quando vuoi all’ estate bere, càlale (8) in terra destramente; e lo troverai come da principio buono, beendolo presto col cavarne buon dato per volta. Ancora, tenendo la botti- cella del raspato in sur una finestra o loggia libera, che vi batta, sempre che tira, il tramon- tano, si conserva sino alla primavera; e sotto le loggie e nei terreni freddi basterà per tutta l’invernata assat meglio che nelle volte. Ma chi volesse, fuor di questi modi, ancora il raspato sicuro per l'estate; al tempo della vendemmia metti da parte, senza premerla punto o guastarla, tutta quella quantità d’ uva buona matura che tu destini a questo effetto e tienla al sole per quattro o sei di; dipoi appiccala alta in luogo chiuso rimosso dai venti o al palco a chiodi o a stanghe che sieno alla stanza tra- (1) Aponi leggono il codice e le stampe antiche; aproni la 1734, con esempio passato nei vocabolari. — (?) alzato assai, le stampe antiche; alcate assai, la 1734. — (3) calato, le stampe antiche; calalo, la 1734. 497 versate, volta a mezzodì, acconciando i grappoli in modo che l'uno non tocchi l'altro, e legan- dogli per la punta del grappolo con spago, perche s allarghino i granelli e non s° arrivino l’uno all altro; et a primavera spiccatala e levata via tutta la [uva] che fosse macola o fra- dicia, mettila nel tino e pigiala e pestala bene, avendone salvata una parte per spicciolare, e bollendo i raspi tutti nel vino ; imbotta ogni cosa insieme a un tratto e presto, con acconciarvi un peverino un po’ più corto, perchè non co- mincierà si presto a bollire, durerà meno e con manco polso, e massimamente se vi mescolerai in cambio di vin nuovo, vecchio; et aggiugnen- dovi ancora allora le tacchie, rasperà tanto più. Minor briga sarà ancora adoprare a questo quel mosto che averai conservato nel vasi impeciati del fondo del pozzo, mettendolo nella botte, e sopra spicciolandovi i granelli dei grappoli del- l'uva conservata per questo, che così sarà manco dispendio d’ essa; et il raspato riuscirà migliore assai, che d’ uva tutta conservata. Usano i Germani, et in Ungheria ancora si fa, vino d’assenzio, di rosmarino e di salvia; e tutte queste cose si seccano nel forno, se non altrove, e secche si spolverizzano e mettono disperse sopra la botte di vendemmia, avendo imbottato vergine, perché bolla con esso et attragga a se quella sustanza o sapore, ponen- dovene più o meno, secondo che altrui ami che e’ ne pigli. Si può ancora questa polvere legare in un fazzoletto lino e dal cocchiume calarlo a mezza la botte. Ancora si può far bollire in una parte del vino, assenzio, rosmarino o salvia, 32 498 e poi così caldo mescolarlo con l altro della botte, avendone cavato qualcuna di queste piante ('), delle quali tutto il vino in bollendo averà di già preso il seto e lo compartirà all’altro; e tanto si fa delle coccole di mortella, ma vi se ne pone un poco manco, e sarà ristrin- gitivo; e più ancora, se si farà con foglie o coccole di lentischio. Fassi ancora con 1 abro- tano, che giova più allo stomaco, nella foggia detta di sopra, dove ho detto ancora dei modi di fare che ’1 vin bianco divenghi nero et il nero bianco, questo col bollire, quell’ altro col mescolarvi dell’uve di quella sorte. Adesso dirò quello che si truova da dire di fare diventare l uve bianche nere, il quale è un segreto, che quanto a me non voglio dire che sia vero, perche non n’ ho fatta la pruova, e la ragione è che e’ non mi pare che sia da curarsene; perché, mettendo a conto che e’ possi essere che annaffiando le viti col sangue di bue, col votare di midolla i tralci alla vite che tu vuoi mutare, come a far l’ uve senza granelle a riempierle di detto sangue, et ad ogni luna annaffiarle con esso, e che questo le facci di bianche divenir nere, meglio mi parrebbe far diventare le nere bianche, come sa ognuno. Non si truov egli? Cominciando dall’ uve lugliole, naturalmente dell’ uve lugliole [ne sono] bianche e nere, delle moscadelle similmente, zibibbo, agnola, ansorie, sancolombano; a Modena et a Reggio il trebbiano mammolo, Toscana et altre infinite di tutte le sorte. Se adunque le si truo- (1) parti, le stampe. 499 vano create così dalla Natura, a che effetto vanamente andarsi affaticando con l'arte in ciò? Nelle vivuole e fiori io mi lascierei più tosto persuadere, per soddisfare agli animi gen- tili della tenera età et ai più che gran vagheg- giatori, a far con simil modo d’ annaffiamento 1 vivuoli incarnati che mi facessero le vivuole di due colori, bianche e rosse mischiate; ma di queste ancora naturalmente se ne truovano delle brizzolate ('). Ora a voler fare il vino dolce che sia natu- ralmente dolce, bisogna la prima cosa porre le viti in paesi che la natura di quel terreno lo produca così, e questo si è quel terreno che s' addomanda castagnino e focaiuolo, e che sia volto a mezzogiorno, e porvi a vigna e non a pancate o arbuscelli o bronconi, e nel porre aver cura al vizzati, e così delle bianche come delle nere; e piantare della meglior ragione che si ritruovi e che piaccino alla bocca e aspettino il dente e rieschino dolci al sapore, come è la canaiuola, la marzamina, il rafone e la schiava, il mammolo nero e bianco, le san- colombane, i trebbiani e simile gergo e bergo; e ordinate dette viti in tal terreno, il quale per sua natura getta dolce e primaticcio, e venendo l'uve a buon’ ora e vendemmiandole quando l'altre, verranno a essere sempre più ‘mature che l'altre, e così verrai a fare senza altra manifattura il vin dolce naturale; oltre a che, come è detto, la proprietà del terreno pro- duce di questa fatta i vini, che non lo fanno (1) Questo capitolo manca alle stampe. 500 così l’alberese, i calestri e ’1 colombino, che gettano tardi per essere di natura freschi e fanno vin grandi e saporiti, si come tutti i sassosì terreni; a tal che, accozzatevi poi nel farlo le diligenze sopradette, farà un vino smac- cato, non che dolce; e perciò è necessario di dargli il vino e frizzante, perché ’1 vin dolce che non ha queste parti e che non lecchi, punga, baci e morda, non vale, ristucca troppo e viene a fastidio. Et a voler far questo, conviene usare la medesima regola di sopra quanto all’ ammo- stare e quanto all’imbottare; e farai di imbot- tarlo più vergine che 1’ altro, affinché egli bolla nella botte parecchi di; e finito ch’ egli abbi di bollire gli darai due giumelle di uve secche buone spicciolate per botti di dieci barili 1 una; e vedendo che non frizzi o picchi a modo tuo e non fussi chiaro così bene, rimettivene due altre giumelle e sarai consolato. Quanto al vino bianco son varie le openioni come i gusti, perche a chi piace dolce et a chi no; pur tuttavolta chi disse bianco disse dolce; e più, piccante dolce, ma non dolce smaccato, mellacchino o colato, ma che frizzi così un pochetto, non è che bene; e se il paese ordina- riamente lo produce, bisogna usar l arte a torglielo e questa è la prodezza. Imbottato su- bito, non lo lasciare star punto in su la vinac- cia, tramutalo spesso, senza lasciarlo svaporare ne vasi dove tu lo metti, tal nell’ imbottare quanto nel tramutare. E simil regole s' usano oggidi a quei vini che si chiamano verdee, che sono di vitigno tutte di bergo. E per il con- trario, se tu lo vuoi far dolce che il paese non 501 lo dia, bisogna primamente (') maturare l uve più che l’ altre, lasciarle premute star un po- chetto su la vinaccia, che gli darà qualche odore del trebbiano ancora; e quando tu lo tramuti, lascialo svaporare senza rimetterlo subito in su la botte, affinche egli vadi per- dendo quel suo fumo o grandezza, che è quello che col tempo gli toglie il dolce; colarne una parte, e mescolare, e simili diligenze (*). Et avendo un vino che ti riesca dolce fuor di modo, e che tu gli vogli dare il sapore di mo- scadello, usa questa regola: farai seccare l’anno, di maggio, dei fiori di santoreggia, e così secchi ne darai cosi un pugnetto per ogni due barili; e questi gli daranno il sapore e l’ odore del moscadello; e pendi sempre in dandogli [più] nel poco che nel troppo. E volendo fare un vin buono in eccedente (8) sovranità di perfezione e che schizzi in aria, non che brilli nel bicchiere, e che beendone et assag- .giandone ti bisogni presto risolverti o a man- darlo giù o a sputarlo, userai questa accura- tezza. Piglia uve di vigna vecchia e di buon paese montuoso, che siano mature a modo e non smaccate; et userai appresso quest’ altra regola di scèrre di detta vigna i migliori vizziti che vi sieno, cioè l’uva che tu senti che regga al dente più soda che l’altra e di buon sapore; che questa ti darà sempre il vino più saporito e megliore che non l’ uva al dente tenera, fie- (1) primieramente, le stampe. — (?) Quest’ ultimo brano manca alle stampe. — (8) recedente, le stampe 1600, 1610, 1622; eccedente, la 1734. 502 vole e smaccata; e guardati dal sangiogheto, ché chi crede farne vino ne fa aceto. E così piglie- ‘al il primo grappolo che viene allato alla vite del primo capo, e tanto farai a tutte le viti elette di che tu vuoi l uve, questa scelta. E non avendo nella tua possessione tanta uva da poter fare una cappata simile per farne una dozzina almeno di barili, procacciati dai vicini senza guardarla, pagandogli bene, o rendendone loro altrettanta che si contentino, che tutto si troverrà da fare; e preso il primo grappolo, lo dividerai per il mezzo, e piglierai l’ uve da mezzo indietro, cioè di verso il gambo; e ’1 rimanente manda sopra 1 tino ordinario. E fatta questa scelta con diligenza, e di viti ancora volte a mezzodi, in prima avendo posto cura di non vi metter fra esse punto di pampani o acini infra- diciati o secchi da sé (') o agrestini o mal ma- turi o maculati per conto alcuno, e li farai mettere in bigoncie avvinate, di buon seto e lavoro (*), e mandarle d’esse al tino che sia pulito e netto, di buon odore, sano, schietto e ben tenuto; e di poi tieni il medesimo modo detto di sopra quanto all’ ammostarlo, et abbi avvertenza grande che la vinaccia non riscaldi; e per questa cagione tu l’ammosterai spesse volte, e non lo farai svinare, come s° è detto, ma più presto e riposatamente; e volendolo per l’ estate, lo farai imbottare un pochetto vergine, e massimamente sendo un po coperto di colore; ché quello risentirsi nella botte lo fa diminuire (1) da sé manca alle stampe. — (?) lavoro manca alle stampe. 503 di colore e destarsi; e volendolo per il verno, lascialo rischiarare; e così chiaro fatto in sul tino, lo imbotterai in una botte stata sempre perfettissima; e volendo assicurarti della botte stata sempre buona per l’ addietro, che ella [non] avesse preso per straccuraggine 0 secco 0 muffa o altri così fatti odori, come di quoia altro tanfo, usa questa diligenza in fra l’ altre per la potissima e principale, lasciando stare le pampanate che sono pannicelli caldi e cose di nullo rilievo, come il bollir con acqua dentrovi l'erba vinci e lavarle, e le coccole del ginepro, e dell’ alloro bollito con vino e sale, che non ti faranno onor mai: caverai la botte della volta e la risciacquerai bene con vin nuovo vergine o vecchio buono, bollito bene, e dipoi vi farai por su una bigoncia d'uva ammostata, così come ella viene dalla vigna, e turatala col cocchiume bene e conficcatovi sopra un semicircolo di cer- chietto attraverso, e messa al sole o in su l’aia o in su ’l pratello, e quivi di quando in quando la farai rivoltolare, e lascieraivela stare tre di, che tutto "1 cattivo trarrà via e purgherassi, e tornerà di maniera che ella sarà assai meglio che nuova; e sicuramente vi puoi, dipoi che l’averai risciacquata e netta con vin nuovo, imbottare che vino tu vuoi, e questo tel man- terrà per esperienza; e l’uve che tu ne cavi mandale al tino ordinario, che si purgheranno benissimo. E per tornare, imbottato che tu avrai il detto vino, procurerai di tenerla ripiena, e rivedila ogni due sere secondo ’1 bisogno suo, durando la visita fin a San Martino, con il miglior vino che tu abbi. Et ogni volta che tu 504 riempi questa botte, osserva questa regola di farla sempre ridere, cioè traboccare, soffiando forte sopra il cocchiume, affinché si mandi fuori e sputi, se vi è nulla di fiori o panno o altra ribalderia, e col dito netta sempre bene e dentro e fuori intorno al buco del cocchiume, acciocché non possa la botte mai pigliar punto di muffa o tristo sapore o pessimo odore; et avendo il modo a riempiere la botte tutto l’anno, questo sarà ottimo; e ripiena che tu l’ hai, fa di turarla bene ogni volta, che non sfiati o traspiri, e sempre nettare il cocchiume e la botte, strofi- nandola con invoglia, che le stieno pulite, spaz- zate e nette; e imbottandosi vini di poggio, non si sfondino mai le botti, né mai s' alzeranno; ma come una botte è vota e non getta più stando nel suo piano con la cannella, subito sì turi bene di sotto e di sopra, e lascisi stare. E di questa maniera, avendo fatte le diligenzie dette di sopra, vedrai che vino preziosissimo ti riuscirà questo. E volendo fare esperienza del- l’altro grappolo dal mezzo innanzi detto di sopra, quanto sarà megliore vino questo, fanne la pruova, che sarà assaissimo differenziato; et è ragion naturale, perché la vite con la sua virtù propria dà prima l’umor suo e la sua sustanza all’ uve più vicine a essa, che alla punta; et osserverai ancora questo in fare il buon raspato. Nell’ andar sotto le Pleiade, dette le Galli- nelle, portano pericolo e patiscono i vini, et ancora nel cuor del verno, e quando è la vite in fiori e se ne spoglia, e nel solstizio dell’ estate e nel nascer della canicola, insomma sempre 505 che è o troppo caldo o troppo freddo; quando piove ancora troppo e quando fuor di modo tuona, tempesta e balena o vengono saette; le quali è scritto da alcuni che si rimoveranno con l aver posto del ferro intorno al cocchiume delle botti, altri con il porvi attorno i rami dell’ alloro. Al vino inacetito e inforzato rimedia una pignatta d’acqua da bere diligentemente turata con panno lino impeciato si che non versi, e posta nella botte; e in tre di torna sano; e la- sciando l’ aceto, saperà d’acqua. Un vetro lungo grosso, quanto il cocchiume, che abbi da capo una rivolta piana, che sì possi empiere della medesima acqua e sia lungo un braccio, posto dentro al vino per il cocchiume, lo proibirà dall’ inforzare e dal fuoco, messovi quando si vede che sia disposto all'uno o al- l’altro; e meglio farà quando vi si ponga che sia sano. Alcuni vi cacciano la quinquagesima parte di latte di capra sopra il vino che v° è, e turan bene dopo cinque o sei di, rimutandolo. Se egli sappia di secco o abbi odor cattivo, caccinvisi dentro fiaccole accese e vi si spen- gano, o ferro infocato o frutto di cedro arso con la galla arrostita; altri un testo che sia fatto rovente per il fuoco; altri un vaso pien d’acqua vi tengono dentro tre di, o vi mettono dentro il seme dell’ appio con sue foglie; altri vi rivoltano dentro il siero del cacio fresco; e il legno di salcio posto in un bastone mondo fresco gli leva ogni cattività; onde è chi ne fa le botti, perché tuttavia vi si mantenghi dentro sano il vino; l'incenso arso abbrustolato o ab- 506 bruciato lo fa durabile, mescolandovi i sarmenti della istessa vite ridotti in cenere vagliata; così fa il fien greco pesto e battuto tenuto al sole, e l’uve secche con arena immollata di mosto e sapa; il sale arso, gettato nel vino, vieta che e non si facci cercone. Il vino che ha data la volta, se si tramuta in su vasi di buona feccia, talora ritornerà. Altri, lasciatala stare [la botte] sturata dal cocchiume, la votan mezza; e così racquista l'essere di pri- ma; e quando pur né per questa ne per altra ricetta si sanifichi, se ne facci, stillandolo, acqua arzente ('). Ma per quando e’ va pigliando, piglia o ha preso un poco di punta e tira al- l'aceto, da principio il rimedio è mescolarlo con l’altro, dandogli i due terzi vantaggio; ma quando è diventato aceto, non vi si può ripa- rare. Oltre a quello, perchè e’ non inforzi, 0 quando comincia, per vietare che non diventi aceto, piglia una dozzina di noci acciaccate e ben scaldate in un forno, gettale roventate nella botte, e [insieme mesti]cata tagliatura di salcio verde mondo; e faccisi questo con altro nuovo legno e noci due o tre volte, turando sempre bene [il] cocchiume; e ritornerà. Il gesso mesti- cato con l’ uve, quando sì pigia, lo difende dalla corruzione. Dà ancora forza al vino e lo mantien sano, mettendo quantità di arena minuta netta e ben lavata, o ghiaia a discrezione nel fondo della botte; e lo purificherà meglio, schiarendolo. (1) Da questo punto fino al termine del capitolo, il testo manca alle stampe, nelle quali è sostituito un piccol brano, non so donde preso. inizio din 507 Ponendo ancora, in un vaso di terra ben chiuso, mosto nuovo cotto scemato a due terzi, entrovi spezierie buone d'ogni sorte, e cacciato nella botte per i mezzuli e poi racconcio, conserverà il vino e gli darà grazioso odore. E prendendo un buon pezzo di carne salata grassa e lardosa senza magro, ben lavata sî che la resti senza sale pulita e netta, et appiccandola con una corda, dal cocchiume calandola giù nel vino, di mano in mano che egli s' attigni, l’ andrà sino all’ ultimo ben conservando, tenendo sempre chiuso bene e serrato il cocchiume. Alcuni, perché il vino si conservi e sopra tutto non diventi aceto, pongono in cima alla botte del- l’olio sopra il vino a discrezione, tanto in sommo; che tocchi alla metà della doga il coc- chiume, e lo serrano bene; altri, semplicemente, pece distrutta. Giova ancora, perché si rimedi presto quando se gli cognosce alcun difetto, tramutargli in vasi migliori; e ciò si dee fare fuor di luna piena, chè in questa porta pericolo di diventare acetoso, a luna crescente quando la sta sotterra, il primo o secondo di dalla volta. L'olio è megliore in cima del vaso, il mele nel fondo, et il vino nel mezzo; imperciò attingasi, prima forando la botte nel mezzo e poi da basso, e quello di mezzo così cavato resti nella botte da ultimo a conservarla. Quelli che hanno biso- gno di tramutarsi, tramutinsi sempre in miglior vasselli, e questo si facci fuor del nascer delle stelle, quando fioriscono le rose e quando la vite mette, tenendo per fermo che sia molto necessario di mutare il vino che venghi special- mente dalle vigne grasse e da quelle che sono 508 state alletamate e massimamente il vino dei piani; e appresso a questo tutti i vini che fanno feccia assai nel fondo della botte è ben tramu- targli, non solo una volta, ma più ('). Alle botti piene di vino che tu sei andato dubitando che per conto di tuoni o saette o romor di tempeste o fracasso di gazzarra d’ ar- tiglierie che elle abbin patito, conviene cavare ad una per una per il pertuso delle botti più basso il zaffo o cannella che vi sia e rificcarlo più a dentro; e quivi presso spillandolo atti- gnerne di quivi ogni di un bicchiere; e per conservarlo con l allume di rocca se ne met- terà, spolverizzato e pesto, mezz’ oncia per ogni barile, se sia vin gagliardo, se debole (°), tre quarti d’oncia per barile; e di mano in mano che tu l’imbotti, gettalo nei barili; o vero metti in un barile dodici oncie d’ allume così prepa- rato et infuso, e versalo sopra una botte di venti barili. E meglio è ancora risciacquare le botti con questo barile e poi imbottare il resto del vino senza allume. Puossi ancora mescolare con l’ allume sale per metà. Ancora, pigliando quattro oncie di sale e quattro di zolfo pesto, quando averai tramutato una volta il vino, lo getterai sopra a una botte di dodici barili. Ancora, mettendo otto o dieci menate di scaglie di sassi vivi di fossato nelle botti di vino tra- mutato, lo turerai con una scodella volta al- l’insù, impiastrando attorno di stucco di cal- (1) Qui il testo nuovo è tralasciato dalle stampe, forse perchè è ripetizione di precetti già dati sopra, finisce. — (?) o debile, le stampe 1600, 1610, 1622. 509 cina stemperata con chiare d’ uova ('). Il gesso posto pendente sino a mezzo in una botte, ac- comodato in un cencio, mitiga l’ asprezza del vino. L'acquavite buona di quattro cotte, met- tendone tre per barile, lo conserverà, turando ben la botte, e gli darà sapor vivo. L' argento vivo, calcandolo di mano in mano che s' attigne in un vaso di vetro ben serrato, calato nella botte a metà, conserva il vino e lo ritorna, mentre che egli sta per guastarsi; e tanto fa un boccale di acquavite, mesticata con vin buono. Ancora che ’1 vino sia debole, fa bollire con esso in una pignatta un’ oncia d’ allume con dodici oncie di sale; e ben bollito insieme e schiumato, caccialo sopra la botte ben turata; e fattalla] andare ruzzoloni più d’una volta, anzi quattro o sei, falla fermare al suo luogo, e di più per il cocchiume aggiugnivi a metter su nove once di acquavite; e rinserrala. Ancora, pigliando oncie trenta di zolfo ben distrutto a fuoco lento, con un’ oncia di garofano, d’ in- censo un’ altra e melegranate due, poi un quarto d’oncia di cannella, uno di pepe lungo et uno di gengiovo bianco con cinque noci moscate pestate ben insieme, mescolando con queste cose quattro oncie di zolfo di più, tutte insieme le porrai in una pentola a fuoco lento, sì che sieno distrutte et incorporate insieme. Pigliando poi dei trùcioli di nocciuoli fatti con (1) Da questo punto le stampe variano infinitamente dall’ auto- grafo, ed è impossibile tener conto di tutte le varianti ed arbitrarie e capricciose sostituzioni di capitoli, tolti qua e là, alterando l’ an- damento naturale del testo. 510 la pialla piccola, larghi due dita e rotondati in foggia d’ anelli, i quali involterai in moia di ferro ad uno ad uno nella composizione, e tinti benissimo gli porrai da parte, di mano in mano, sin che l’ abbino ricevuta tutta; onde essendo il vassello di dodici barili, piglierai sei di quelli anelli infilzati in un filo di rame, e gli accon- cerai dentro di modo, che non tocchino il fondo del vassello voto; poi gli darai fuoco di dentro con un candelino, chiudendo di sopra subito il cocchiume, si che non esali; et in quell’ istante quasi caverai quel filo di rame; e lo riturerai tosto, mettendovi la pevera che suggelli, e, senza tardare, [dovrai] empierla a dilungo e riturare. E perche egli non abbi a rimaner punto questo vino con odore di quelle mesture, con le quali resterà ancora, così per pochi di è meglio usare questa regola al mosto, o imbottarlo vergine ; et è ancora meglio il zolfo pesto minuto che il distrutto, purche egli sia bene spolverizzato. Ora, se bene ad alcuni vini giova tramutargli, tuttavia quelli che senza tramutargli sono re- stati sopra la lor feccia si conservano più pos- senti, più coloriti e più piccanti. Quando spira Borea è bene assaporare i vini. Alcuni spillano la botte quando Ostro tira. Chi è digiuno, non avendo il gusto in suo essere, e comunche ha troppo mangiato e bevuto, non dee assaggiare il vino, ma a metà della digestione è il tempo comodo. Per cognoscere (') se vi è acqua o mestura alcuna (benché l’ acqua scrivono che la mani (') Di qui stampe ed autografo ritornano a concordare. 511 festa espressamente un vaso tornito d’ ellera, perche avendovi messo dentro vino adacquato, per i pori del legno traspirando esce fuori tutta l’acqua e vi rimane dentro il vino) nel vino, gettivisi dentro una pera o mela salvatica, una canna, un legno liscio impiastrato d'olio; se quelle stanno a galla, e questo nell’ olio mostra le gocciole d’acqua appiccate, chiara cosa è che vi sia acqua o mestura; et andando quelle in fondo, e l’ olio non dimostrando acqua, sarà segnale di vino sincero e schietto. Ma se la locusta, la cicala e l olio in su "1 bastone con l’acqua non si mescolando staranno a nuoto, sarà il medesimo. Alcuni, presa una pignatta nuova nella quale non sia stata cosa alcuna e per due di tenuta piena di vino, tenuta ap- piccata, e se vi sarà acqua mescolata, sia certo che stillerà l acqua fuori. Altri pongono il vino che bolle in una pignatta nuova al sereno; e se vi sia acqua, si converte in aceto. Altri mesco- lano il vino nella calcina viva, e 8° egli è pretto, la costringe insieme; se vi è acqua, la separa e dilegua e la disfa, come fa l’acqua istessa. Molti spargono il vino nella padella ove sia olio bollente; e se vi sarà acqua, farà sopra il fuoco strepito e romore, e salteranno gli schizzi in alto. Et è ancora chi con una spugna non adoperata, attuffata nell’ olio, soffregano la bocca del vaso intorno intorno, e se vi è acqua si raccoglie nella spugna; il medesimo avviene dell’ olio adacquato. Ma se tu vorrai cavar fuori l’acqua della botte incorporata co ”1 vino, metterai in un vaso di vino dell’ allu- me liquido et appresso con una spugna piena 512 d’ olio turerai la bocca del vaso, e ponendolo pendente, starai a vedere se cola acqua o vino. Ancora un cencio o bambagia caverà l acqua d’ un bicchiere pien di vino adacquato, mezzo dentro e l’altra parte fuor dell’ orlo pendendo. Forando una canna per lunghezza, la quale arrivi sino al fondo della feccia e chiuso il coc- chiume, passa per esso la canna, e tirata per esso la canna, sentendo il seto che per essa viene ; e secondo che lo sentono, fanno giudizio del vino. Et ancora sono chi fa bollire (*) un poco di vino e raffreddato lo gustano; e secondo il sapore lo giudicano. Altri pigliano le coniet- ture dal fondo del cocchiume; e secondo quel seto, cavan Vl’ indizio del rimanente. E se sarà il fiore del vino del color di porpora chiaro e puro, il vino sarà netto e sincero; se abbaci- nato e scuro et appiccaticcio, sarà il contrario; e se il fior del vino sarà di sopra negro 0. giallo, © cattivo segno ch'egli abbi a durare in buon essere; se sia bianco, il contrario. E quello che è somigliante alla tela degli ara- gni, dà indizio subito della sua acerbità. Il vino che alla primavera apparisce caldo al gusto, tosto darà la volta; così, se il cocchiume sarà umido, è segno di non avere a bastar troppo; se secco et asciutto, il contrario. Il buono odor del vino dà segno espresso del suo mante- nimento. Attaccate lame di piombo o di rame al fondo del cocchiume, lunghe e larghe tre dita, e posto che tocchino il vino, se re- steranno asciutte e pure, è segno di durare ; (1) sono di quelli che fan bollire, le stampe. 518 se bagnate e molli ('), il contrario; e massi- mamente se averanno le scaglie fatte a somi- glianza di biacca. E volendo fare il vin bianco limpido e tra- sparente, piglia l albume di tre uovi, e gettali nella botte avendoli sbattuti prima, st che li faccin (*) tutta la schiuma, con aggiungervi salina bianca e parte di vino, si che sia bian- chissimo macinandolo ; e lascia stare sin che sta da bere. Le radiche dell’ altea, mescolate nel vino, che siano secche, rivoltolato (*) sottosopra il vino, diventerà possente e reggerà più acqua nel berlo. Conserva bene le botti piene e di buono odore una corona, fatta intorno al coc- chiume, d’ origano, di serpillo, calamento, mon- tano e puleggio. Saggina bollita in aceto e messa dentro, risciacquata la botte, la rassetta. Un fiasco d’'agresto, dato per botte di vino di dieci barili, lo mantiene e purga. Il vin guasto (‘), e che abbi dato la volta al sapore e colore, si può rimediare con cavarlo, subito che te n’ avvedi, della botte e metterlo dentro a un tino con una libbra di sale e con dieci uova dibattute; e gettatevele dentro, con un bastone girare attorno con forza et in parte cavar via tutta la schiuma; e durare a così fare (1) molli manca alle stampe. -— (2) sin che faccin, le stampe 1600, 1610, 1622; sinche facciano, la stampa 1734. — (3) rivoltano, le stampe 1600, 1610, 1622; del resto leggono il periodo come qui sta. Invece la stampa 1734: Le radiche dell’ altea che siano secche, mescolate nel vino, rivoltano il vino sottosopra, che diventerà possente, ecc. — (4) Torna qui ad allontanarsi nell’ ordine il con- testo dalle stampe; le quali inoltre molte cose hanno tralasciato. E non è possibile tener dietro minutamente a tanti cambiamenti e tante mancanze. 33 514 per tre ore, rinforzando sempre il girar del bastone; e accanto imbottarlo in una botte pu- lita. Ancora, infilzare otto o dieci aranci forti che sien senza scorza, pendendogli dal coc- chiume, che vadino appresso ma non tocchino il fondo, lo ridurranno, se non sia guasto molto, e gli acquisteranno odorato seto. (Quando è al mezzo la botte del vino nuovo che ella si bee, mettivi su due manciate di coriandoli e poi riempila affatto d’ altro vin nuovo; e chiusa ben la botte, di li a poco riberai bonissimo vino. Leva un fondo alla botte e capovolgila in terra sotto mezzo braccio e lasciala star due di; et il terreno leverà ’1 tanfo e ’1 seto tristo; ma a questo non è meglio che dalla parte di dentro asciar bene le botti, le quali vogliono esser nelle doghe e ne’ fondi grosse un ottavo di braccio, che così si difenderà il vino 1 inver- nata meglio dal freddo e l'estate dal caldo; e sì potrà più agevolmente più d'una volta, oc- correndo, asciare. Un cocchiume d’ ulivo che sia fuor che rimboccato di sopra, che ha a soprapporre alla botte, in foggia di bastone ch’arrivi a un palmo al fondo della botte, farà che non si guasti, se fosse anche vino fatto con acqua. Avendo posto, quando sì vendemmia, sopra un tino che renda diciotto o venti barili di vino, fra l uve, avanti che sien rotte e pi giate, quattro braccia d’ acqua, opererà che si conservi più lungamente che per ordinario. Get- tando una libbra di aceto non troppo forte in quattro barili di mosto, lo schiarirà e lo ren- derà gustevole a bersi. Mettendo a discrezione del salnitro alessandrino pesto nel mosto, lo 515 conserva, imbottandolo in botte ordinaria. L'acqua della vite che lagrima quando si pota, beuta prima assicura dall’ imbriacarsi, come sette o otto mandorle amare mangiate prima, et ancora quattro o sei cime tenere di cavolo mangiate innanzi; e dopo ripara all’ imbria- chezza il mangiar schiacciate fatte co ’1 mele; et il bere dell’ aceto assal fa ritornare di sana mente un imbriaco. E che altrui non sappi di vino avendone beuto assai, opererà l aver man- giato il succhio del r...... (*) e dell’iride. Ancora, non gli nocerà la forza del vino a chi avrà mangiato prima del polmone di capra arrostito ; et il cavolo crudo, intinto nel mele, fa che chi abbi beuto del vino assai ritorni a se; et an- cora una gran quantità d’acqua beuta prima riparerà che altrui beendo assai vino non s im- briachi; e di più, avendo beuto prima un bic- chier grande d’ olio, scorrerà tutto ’1 vino che si bea per le vie dell’ orina. Le botti che versano per le congiunture dei mezzuli o vero tra le doghe, si ritura|no] con l’appiastrarvi sevo e carton pesto e con i fichi secchi appiccativi e con fare uno stucco che s' attacca e regge sott’ acqua; il quale sì fa stemperando la calcina viva con l'olio, aggiun- tevi delle chiare dell’ uova. E le cenerate ai cocchiumi, per turargli bene che non svapori il vino, si fanno con aver vagliata la cenere in un vaglio fitto e quello che n’ esce si stempera (1) Una racconciatura impedisce di leggere oltre la iniziale. S'intend» che alle stampe manca. 516 con acqua, e fattane poltiglia vi si caccia sopra; e lo tura bene e s attacca e tiene il bisogno. Et a fare che i vini grandemente bastino, fabbrica una buca. nella volta tanto a dentro che tu truovi l acqua; e non la trovando, o per letto di fimme o per vene sotterranee fa sco- larvela; e sia tanto grande che v' entri una botte o due della qualità che t’ accomoda, et agiata in modo che accadendo attignere il vino sì possi, e così fatta che vi facci mettere i sedili di pietra, affinché di legno, infradiciando, non cascassero le botti; e [fa di] accomodarvele e poi imbottarvi il vino che tu vuoi salvare per l'estate o per il verno o per mezzo novembre l’ anno di poi, sapendo che ti riuscirà una cosa mira- bile et un vino eccellentissimo, mettendovelo buono, perciocché, in cambio di perdere, acqui- sterà sapore e valore; et imbottato che 1 hai, fa di turar ben la botte di sopra co ‘1 cocchiume et attorno un panno lino e sopra il panno della cenere con chiara d’ uova stemperata; e sopra la botte farai un ponte e ricoprirai di terra ogni cosa, si che l’aria non vi penetri e che vi sì possi andar sotto sicuramente; e non la toc- care se non quando tu vuoi manometterla. E vedrai che modo è questo di conservare il vino. E non è da temer delle botti, benchè le tro- verai tutte muffate, che le patischino, quanto al pigliar cattivo fiato. E ben vero che co ’l tempo le si espediscono più presto che l'altre, e dei cerchi ne consumano più assai; ma subito le farai nettare e stropicciare con un panno e lavare con l'aceto o ranno, l’ uno o l'altro adoprando caldo; e come siano vote, cavinsi di 517 quivi e sfondinsi e ponghinsi all’ asciutto; e si chiarirà che elle averanno fatto come "1 vino quanto alla bontà dell’odore. Nè mai si tema che in capo a due anni il vino si guasti in simil lato; et i vini di piano similmente, che non bastano all’ estate. E volendo che» v' arri- vino, regghino e sien buoni, conviene mettere in ogni botte d’essi, quando s imbotta, a pro- porzione, degli acini d’ uve e massimamente di abrostini; altri vi caccian su per ogni barile che si pone nella botte un boccale di vin cotto, di che bollendo se ne siano scemati i due terzi. Et alcuni gli correggono e migliorano con met- tervi dentro per ogni barile mezza libbra di uve secche con i grappoli interi. Ma i mezzi minerali gli assicureranno più che cosa che sia, se ben saranno più mal sani. Ma chi ama d’avergli in piano più che ragionevoli degli ordinarii, bisogna la prima cosa aver cura ai vizzati nel porvi le vigne, e sopra tutto fuggire il bianco, et a lo svinare ; e resteranno all’ estate benissimo, avendogli imbottati in mosto vergine, senza punto lasciargli bollire in sul tino; et avendo a fare in lati che vi sieno e grassi e grossi, di quella sorte che s' usa dire che si taglierebbero co ’1 coltello, di sorte che .... (°) sgarrati .... possa a dirittura. Et al marzo gli tramuterai, dando loro parecchie uve secche spicciolate per ciascheduna botte, tante che ne tocchi mezza libbra per barile, et allora gli (') Vi sono due carte nell’ autografo, la 280.% e la 231.*, lacere nel terzo superiore e racconciate con carta bianca. Da ciò derivano le lacune e i puntini di questo brano, che non si può supplire con le stampe, per loro omissione. 518 farai mettere in buone volte fresche et asciutte, e così basterà e si sanificherà; e quel vento è cagione di ciò, «tirandone tutto il cattivo e diseccando i mali umori (sì come stando al tramontano, ove batta forte, ignudo, asciuga e disecca ha milza a chi 1 avesse gonfiata e grossa) di quella grassezza e grossezza. E volendo fare, oltre al dettone di sopra, un buon vino alla franzese o di piano o di poggio, tien questa regola che io ho detto dei vini bianchi o verdee. Ma perché questi non sono quei paesi, et i vini e le viti non si pro- ducono quà di quella virtù, però bisogna aver cura in questi di qui di quel poco d’arte, per- che s’appressino a quelli. E volendolo buono sopramano, sì dee tenere il modo detto, et avvertire di non lo far pigliare al tino o alle bigoncie (') o in modo alcuno, ma farlo ammo- stare con i pugni della mano, per non cavare il grasso dell’ uve (°), e così vergine imbottarlo, e in su quella vinaccia far un buono acquato, alutandolo con gli abrostini spicciolati che lo faran piccare come raspato; e volendo che abbia un po’ di colore il vino sopraddetto, lascialo stare un di in sulla vinaccia; e non se ne cavando, non ve lo lasciare star punto; e cosi imbottato lascialo bollire, e ogni giorno e sera levagli via la schiuma e ribalderia che e’ getta per il cocchiume, e nettalo bene; e tener la botte pulita e fare che ella stia sempre (1) culle. Le stampe: alle culle o alle bigoncie. Ma nel testo culle è fra parentesi dopo digoncie. — (2) Si supplisce colle stampe fino alle parole e’ getta per il cocchiume. 519 piena, mentre che ella bolle, avendone prima fatto un botterello (') piccolo per simile effetto ; e lascialo godere sino a tanto che tu lo vuoi manomettere, tenendolo, poi che averà finito di bollire, ben turato; e volendolo per l’ estate non gli dar tramuta alcuna, perché quà a noi, sendo i vini deboli, non avviene come a loro là, che gli tramutano facendone quello che e’ vogliono. Ma qui bisogna non gli toccare e lasciargli sguazzare in su quella madre o letto, che in altro modo né riuscirà, né tampoco basterà. E pur volendolo al marzo tramutare, essendo ne- cessitato come di villa alla città, daraigli per suo letto, tramutato che tu l hai, due o tre piene giumelle di uve secche spicciolate, rinve- nute con un poco del medesimo vino al fuoco; e queste lo terranno in cervello e gli giove- ranno assai (*), perché così fatti vini non pos- sono stare senza letto .... (*) botte; e poi falla empiere d’acqua calda bollente quanta ve ne cape, che ella rida; e la mattina seguente co- mincia a berne, riempiendo di mano in mano che tu n’attigni con acqua fresca di pozzo, durando tanto così, quanto ti regge il sapore. Di poi, vuota, falla risciacquare e riempiere di buon. vino come l altre; e non patiraili chiare dell’ uovo. Le cenerate, gli allumi, i zolfi, i gessi e calcine vive che si danno ai vini deboli per rinfrancargli o ai torbidi per schiarirgli o ai grassi per tirargli o ai grossi per assottigliargli, (1) botticello, le stampe. — (?) e queste .... assai, manca alle stampe. — (3) Qui vi è lacuna per l’accennata laceratura, e non si può supplire con le stampe, a cui manca il pezzo, cominciando di qui sino al termine del capitolo. 520 cose tutte che non fanno mai i vini di quel- l’eccellenza che sono i detti di sopra, danneg- giano le botti e fanno male ai corpi; e sì usano in quelli di piano perché hanno più vendita, per la maggior apparenza. Ma per mantenere il trebbiano et il vin bianco d’ ogni sorte, come tu n' hai mano- messa una botticina o caratello, et avèndolo a tenere a mano che e’ non inforzi e basti sino all’ ultima gocciola sano e buono (') del sapor medesimo, come tu vuoi manomettere un cara- tello, piglia un pezzo di carne secca e levagli la cotenna da dosso, eccetto che gli lascierai nel mezzo tanto di quel grasso solito che serva a turar la botte e esso a uso di cocchiume, facendo che entri appunto e suggelli appunto quel grasso nella botte, si che la cotenna venga di sopra e faccia rimbocchetto sopra la doga e sl distenda sopra quella di che tu n’ hai levato il grasso, e così con le mani andarla bene appic- cando alla botte, che ella suggelli; e dipoi piglierai della cenerata stemperata con la chiara dell’ uovo, perché ben s' appicchi, e la metterai sopra detta cotenna; e impiastrala di sorte, che tu pensi che l’aria non vi possi penetrare al vino in modo alcuno; e di sopra vi getterai di nuovo della cenere asciutta per asciugarvi meglio, e sopra la cenere un pezzo di panno 0 invoglia di cuoio, confitta con bullette piccole alle doghe; e così fatto, ne puoi seguire di bere a posta tua, che mai diventerà forte (*). L’ olio (1) Si supplisce colle stampe, per la solita laceratura, fino alle parole rimbocchetto sopra la doga. — (?) Di qui innanzi tutto è come nuovo e inedito fino alla nota susseguente. 521 ancora serve e fa bene, come s’ è detto di sopra. Ma l’olio s'adopra ai fiaschi del vin bianco o trebbiano a volerlo mandarlo discosto, e così a ogni vino che tu dubiti che per il viaggio lungo non si conservi; e bisogna, quando s’ ha poi a bere, levata la coperta, rompere il collo al fiasco quanto tien l'olio, per non lo bere tutto unto. Ancora, volendo tu a un vino che sia buono dare un perfetto e mirabile odore, in cambio di seccare i fiori di vite l’anno d’ aprile, come si può, o t6rre di quelli di vite lambrusca, cioè salvatica, che non conduce l' uve, i quali tutti fanno ancora bene, farai stillare a bagno maria detti fiori di vite o lambrusca delle macchie come le rose, e di quell’ acqua ne darai una guastadetta per botte l’anno d'inverno, o quando vuoi manometterla, un poco innanzi di qualche di, che farà al vino come il liscio alle donne, e meglio odore che non le mele appie, muse o ghiaggiuole. I Todeschi, come più apprezzatori del vino d'altra nazione, osservano di far le cantine con le fenestre e porta volte a tramontana, appruo- vanti [i luoghi] oscuri, freddi, asciutti, con gros- sissimi muri, lontani dal sole, dalle stalle, dai porcili, dai pollai, pozzi, granai, fondaci, da fichi selvatici e da tutte altre cose di calore e fetore, e dalle strade maestre e da tutti gli strepiti e romori che potessino fare scuotere e tremare i vini. E le fanno senza luce, eccetto che un per- tuso solo per sfogamento, in volta sempre e ben sotto la terra. L'occasione del sito dà alcuna volta di cavarle in vivo sasso o tufo o pancone 522 che si sostiene da per sé o in terreno arenoso; e pur che non vi sia umido, sì manterranno bene le botti e ’1 vino. Ma se occorre murarle, siano grossissime le mura, e sia la volta bassa asciutta e buia con pochissime fenestrette, le quali si tenghino serrate 1’ estate, e _massima- mente tirando vento di mezzogiorno o altro vento caldo, e aperte di notte; e tutte sì faccin volte a tramontana, opposta a mezzodi per dirittura. Deonsi appresso le cantine tener pulite e nette e spazzate d’ ogni bruttura; e per rice- ver queste, con cavarle poi subito, e per raccet- tare il vino che per qualche caso si versasse dalle botti, siavi in mezzo un pozzo pulito ; et il lastricato o ammattonato o getto stia a pendio, perchè tutto concorra quivi e tutto si possa recuperare. Possonsi ancora far le cantine con muri grossi fatti di casse piene di materia di ghiaia e calcina, ponendo luna sopra l'altra, in mezzo l’acqua salata; e come abbin consu- mato le tavole sottili che la tengono rintasata, [devi] con la calcina intonacarle, arricciarle e rinzaffarle, e di subito cavar l’acqua; e man- terrassi bene il vino, verno e state. [Non] si tenga nella cantina, dove sta il vino, aceto, ché questo s ha a tenere su per i palchi a tetto, ne nel tempo che i vini bollono, né in altro tempo. Nell'estate sia la cantina annaffiata e rinfrescata con l’acqua e nel verno secca e rasciutta; e in ogni tempo è bene profumarla con fumo d’incenso et altre cose odorifere, perche "1 vino, per essere di sua natura caldo e poroso, tosto attrae e riceve in sé ogni buono e tristo odore; e massimamente quando bolle. Il |TeTerI————_—m 523 vino, quando s'ha a bere, si dee attignere subito, perché non stia attinto, chè attinto perde la forza e 1 fumi. Ma Michelagnolo Buonarroti, perché non gli desse noia a depignere la forza e fumo del vino, l’attigneva a levata di sole per a desinare, col boccale lasciato aperto. E d’alcun Duca di Ferrara è stato costume far apparecchiar la tavola nelle stanze che rieschino sopra le cantine; e fatto fare un foro a capa- cità d’una tazza d’argento, sfondato ’1 palco e la volta a perpendicolo delle cantine, per un fil di ferro con un ingegno di contrappeso e mulinello, [faceva] tirar su subito accanto a sé il vino attinto dalla botte, I’ una [volta] dopo l’altra, secondo la volontà del suo bere. In- somma, oltre al detto, la diritta è cavar sempre le cantine in lati asciutti, e se sì contrasta con l’umido, riparisi con la grossezza della muraglia che sia fatta di mattoni; ne se gli facci più che un uscio o un’ intrata, e quella più piccola che possi la necessità comportare; e sia questa con tre porte doppie, che luna aperta truovi l’altra serrata e aperta questa si serri quella, a causa che si proibisca il più si può Vl entrarvi l’aere nuovo et il vento tutto nocivo. È se per sorte il troppo fresco o umido facesse di fuori immuffire le botti, nettale diligentemente, stro- finmando con una spugna; e di poi [fa] si come i Todeschi, [che] seguitano ogni di di lavarle da tutti i lati con ranno forte. Ma (') se il vin proprio abbi presa la muffa, piglisi un pan caldo che allora eschi dal forno (1) Qui per un poco torna a combinar colle stampe. 524 e con questo si turi la botte; o vero si tramuti in botte di buon seto, ove si ponga dentro un sacchetto entrovi sale, finocchio et anici; o vero con la salvia che vi penda appiccata dal coc- chiume. Ancora, infilerai tanti aranci forti, quanti sono muffiti barili di vino che è nella botte, facendogli star gi con un sasso attaccatovi, si che non tocchino il fondo; e lascivinsi stare così penzoloni da dieci di continui. Di più piglia un capo di vite voto [e] fattolo passare per un pertuso fatto nel cocchiume dentro al vino un mezzo braccio et un braccio che avanzi di sopra, tutto ricoprirai con terra in una cassetta tanto alta quanto il sermento, che ha a essere ben suggellato; e rintasatolo con la stoppa, così la terra per quel sermento tirerà a sè tutta la malizia del vino e tornerallo a suo essere. E se sarà (') diventato torbido, piglia tante uova quanti barili sono di vino nella botte e levane via quelle pellicine dentro al guscio; rompile bene con le scorze e sbattile di modo, che sien tutte ben trite insieme con le guscie, e gettale nel vaso, raggirando bene il vino dal cocchiume nella botte, con un bastone che sia fesso in quattro parti; così si farà chiaro: e se egli è torbido assai, cresci il numero delle uova, e con esse disfatte mescola sale. Ancora (°), avendo dodici barili di vino nelle botti che sia muffito, piglia una libbra di ranno forte e dieci libbre di feccia di buon vino e gomma che s’ adopra per dar la vernice a’ piatti (*) Di qui fino alle parole mescola sale manca alle stampe. — (*) Ancora piglierai, le stampe. 525 di terra; e tutto incorporato insieme, risciacqua la botte con questa materia, diguazzandola bene ; e non operando la prima volta, torna la seconda, e va a fare il medesimo, e libererassi; e di più, abbruciandovi dentro molta paglia a covone a covone, e di poi risciacquatala con forte aceto bollente, avendola prima ben spazzata e netta. Piglia ancora tante libbre d’allume di rocca, quanti sono 1 barili della botte, et incorporato bollendo con acqua,.risciacquala con essa, lascian- dovela dentro si che la vi raffreddi, avendo ben serrato il cocchiume; e sarà ricorretta. Questo fa, appresso a ciò, l’acqua dei tintori con che danno l’ allume ai panni; e cocendo un mezzo quarto di fave e risciacquando la botte turata, lasciatavi star dentro si che freddi quella coci- tura, sì gli racquisterà il buon seto. E la crusca bollita nel ranno ordinario, diguazzando la botte, e messavi dentro bollita, si che raffreddi di poi, vota [la botte], imbottatovi il vin buono, ve lo manterrà. Ancora, se non sia il vino molto guasto, cavalo, tramutandolo dalla sua cattiva feccia, e ritornalo sopra buon vassello con feccia buona; e ritornerà sano ('). i E sopratutto, come s' è detto, le buone botti di castagno, di salcio, di frassino, di ontano, di carpine, di noce e quercia, fatte di queste sorti legname bene stagionate, conservano bene il buon vino; e si possono ancora fare di larice, d’abeto, di carrobbio e di moro; e siano sempre (1) Dalle parole e cocendo un mezzo quarto di fave fino al termine del capoverso manca alle stampe. Ma ormai, l’ ho già detto, è quasi impossibile tener dietro agli arbitrii dei vecchi editori, tanto più grandi, quanto più la fine s' accosta. 526 grosse quanto si disse di sopra; e dove le si fanno sottili, 8° usa impeciarle; e quando questo s abbi a fare, cavinsi delle radiche di gigli pagonazzi e ben peste s' incorporino con la pece liquida e con quella s' impecino; vi si può ancora mesticare aceto, garofani, pepe e cannella, impia- strando i conventi di dentro. Ma meglio è che sia legname buono; e se bene in Spagna et altrove accostumano di conservare 1 vini nei vasi di terra invetriati, fabbricati di creta me- scolata con arena minuta e ben cotta, non si mantiene così bene come in quelle. E nelle botti nuove vi sì caccia dentro la prima volta acqua bollita con calcina viva, e vi si lascia star dentro per un di, e di poi si lava bene con vin caldo bollente, di poi s' imbotta; o vero vi si ven- demmia dentro, et accanto vi s imbotta; ma essendo di legname secco bene stagionato, ba- sterà solo risciacquarla co ’1 vino. Le botti che versano tra le doghe o tra i mezzuli o intorno al canale dove son commessi questi o quelle, si rintasano co ’1 sughero fittovi dentro, con i giunchi, con l'erba sala, con la bambagia e stoppa e con lo stucco detto di sopra ('). Dove il vino è di natura di durare assai, è bene di fare grandissime botti, perché, quanto più vino insieme è, più si conserva; dove è non solito bastare, piccole; e così si fac- cino i tini, e siano dei legnami sopraddetti, (1) Tralasciate quest’ ultime parole, la stampa aggiunge qui di suo: con l’impiastrarvi sevo e carton pesto, e co’ fichi secchi appie- cativi, e con fare uno stucco che s’ attacca e regge sott’ acqua, il quale si fa stemperando la calcina viva con l’ olio, aggiuntovi delle chiare dell’ uova. titti I 527 stretti in bocca e con buono e forte fondo. Puossi fare ancora le botti che l'una doga (’) entri nell’ altra a coda di rondine, e cosi i mez- zuli senza alcun cerchio; e si possono ancora cerchiare con i legni di garbo commessi attorno insieme; e di quarto son tenuti gagliardi; e son buoni di faggio, di cerro, frassino, ontano e castagno e carpine. Si mantengono ancora le botti risciacquandole con l’acqua marina e con l’acqua che sia salata, ma meglio è non trassi- nare mai le botti con acqua; e quando hanno bisogno d'esser risciacquate, faccisi con buon vino caldo bollente; e se le botti sono grandi, non finir mai di votarle affatto, e lasciavi dentro del vin buono in fondo, quattro o sei diti alto, per conservarie; e le mantiene ancora bene quello che un poco inacetisce. Quando vuoi imbottare, votale tutte prima; e più appresso risciacquale con vin buono. Altri avendo durato senz’ altro di continuo a imbottare sopra buone botti, stanno quindici o venti anni senza mai toccarle dentro; e durano (*). Ancora si man- tengono bene, vote che elle sono, sfondandole e nettandole subito ben dentro, e tenendole in luogo asciutto et aperto, perché in chiuso e serrato intuferebbero, e che qualche volta vi dia dentro il sole; e quando le vuoi imbottare sl rassettano, risciacquandole prima con aceto, bollitovi dentro del sale. Et i tini sì conservano co ’l tenergli spazzati e netti, turati e coperti (1) botte, errore delle stampe antiche. La stampa 1734 salta questo periodo, non avendo saputo leggere doga che accomedava tutto. — (?) A/tri.... e durano. Manca alle stampe. 528 di sopra con tavole; et ogni vassello da vino 0 tini si curano co "1 vendemmiarvi dentro; sì come il vin vecchio, gettato sopra la vinaccia, da che non siano ancora bene spremuti gli acini, acquista vigore e si rinnuova e si chiama rin- cappellare, pur che si ponga a otta che si facci bollire per quattro o cinque di; e mescolato col nuovo s'imbotta insieme; et è assai, sopra ogni venti barili che possi rendere un tino, porvene cinque; et ancora nella metà farà buono effetto. Ma non s' hanno a rimettere a bollire co 71 nuovo 1 vini vecchi, che si siano interamente mantenuti buoni, ma si ben quelli che hanno in loro qualche mancamento di fortigno o cat- tivo seto, che sanno di secco, o abbin preso ‘1 fuoco, o sappino alquanto di muffa; e tutti questi, se non in tutto, in parte, rincappellan- dogli come s’ è detto, sì correggeranno di modo che si potranno assai gustevolmente bere; et osservisi di mettere questi tali vini il primo giorno che cominci il vin nuovo a bollire nei tini, avanti che egli si levi in capo la vinaccia; la quale, svinato che sia ('), s usa in alcuni luoghi strignere al torchio in certi vasi di legno composti d’ asserelli, che si tenghino da cerchi di ferro, che gli asserelli si tocchino l’ un l’altro; sono vini che inacetiscono presto, né è da cu- rarsene, e s hanno a far solamente per rispiarmo della famiglia, si come il far olio dei vinacciuoli al medesimo torchio dell’ olive, che serve a far buon lume, et è buono a poco altro; et è (!) Le stampe vanno a capo: La vinaccia, svinato che sia, ecc. 529 meglio ('), netti e vagliati dagli acini, quando son ben secchi, dargli ai colombi et ai polli, 0 vero stendere con essi i gusci dell’ uva e lasciar fare a loro. Per chiarire, fortificare, accrescer sapore al vino, usano in Ispagna a quei lor vini di Riva d’ Avia, San Martini e secchi, porre, tosto che e’ gli hanno imbottati di sodo, [a] far pendere dentro, sino a mezzo dalla bocca del vaso, una spalla o zacchetta di castrato, maggiore e mi- nore, secondo la quantità del vino, a discrezione; e affermano che ciò ancora gli mantiene e fa durare co ‘1 bollire della botte, avendolo con- sumato sino all’ ossa; le quali poi sì levan via. E si racconta che un moretto di poca età, come avido di ber vino e ghiotto di quel liquore, salito alla sponda della vasca ove egli bolliva, vi cascò dentro, né ritrovandosi per allora, fu dopo non molto tempo imbottato il vino e ri- trovato l’ ossa e la testa, e fu ricognosciuto che era, e quel vino beuto fu ottimo. Ma negli altri paesi ove sono pur ancora vini grandi e di gran fumo, ciò non s' accostuma, e tanto meno da nol sì deve usare (°). L’aceto naturale propriamente si cava dalle vinaccie riscaldate insieme, dopo che se n’ è auto il vino; volendone avere assai, non così affatto traendone, spremute allo strettoio fatto con una vite gagliarda; et è meglio svinare affatto, facendone meno; ma più buono è allar- gare le vinaccie all’ aere et al sole, lasciandole (1) st come il far olio .... et è meglio, manca alle stampe. — (*?) Questo capitolo non è nelle stampe. 530 infortire avanti che elle si sottoponghino al torchio. Ma il vero buono aceto è quello che è di vin buono, inforzato da per sé, o che sia stato fatto inforzare con arte; ma avendo tutto 71 vino e massimamente il bianco natura d’ infor- zare et inforzandosi convertirsi (') in schietto e puro aceto, conviene primamente, quando tu senti che e vuole cominciare il vino a rinfor- zare, prenderne della botte dove egli inforza un barile, e fattolo bollire al fuoco, quando è nel colmo del bollore ricacciavelo sopra e tura bene, perché a questo modo inforzerà più assai e sarà molto megliore; e più farà, se vi met- terai sopra un barile d’ aceto ben forte bollito ‘al fuoco, e ve lo metterai sopra (*), chiudendo bene che vi suggelli il cocchiume. Ancora, se questo così fatto vino tu lo porrai in una botte fatta tutta di legname di ginepro stagionato, 0 di sorbo o di sambuco, diventeravvi fortissimo ; e tanto più farà operazione, se in una di queste botti tu metterai fortissimo aceto, e lascieralvelo stare un anno, tenendo la botte all’ ultimo palco della casa a tetto, dove abbi a poter la state il caldo; et ordinando il luogo in modo che la botte possi avere il sole tanto d’ inverno quanto di estate, gli acquisterà assai e l’ andrà mante- nendo sempre più forte; dipoi quando ne cavi, rimettendovene di mano in mano altrettanto del non tanto forte, l’averai tuttavia fortissimo. E questo medesimo operano le botti ordinarie (1) conservarsi, le stampe; natura di inforzandosi conser- varsi, a sproposito la stampa del 1622. — (?) Questa ripetizione non fu raccolta dalle stampe. 581 che sono state assai tempo all’ aceto, e se ne truovano di quelle che hanno preso tanto il fortore, che ogni vino che vi si ponghi dentro fa inforzare; avvertendo sempre che il buon aceto s1 fa del buon vin bianco, come vernaccia e trebbiano, e non del nero, e sopra tutto rac- cogliendo i fondigliuoli delle botti del vin greco, o pure abbattendosi a vin greco che inforzi da per sé; e cacciando così quelli come questo in un vaso di terra ben cotto invetriato di dentro, avendolo turato ben di sopra con pezze line impeciatevi, si che non vi possi penetrare punto d’aere, vi sì farà dentro aceto fino. E volendo farlo di vin nero, non vi sendo d'’ altro, terrai il medesimo ordine detto di sopra; e deesi avere in ricordo che le botti dell’ aceto nero non si mettino al bianco e così per contrario, si come le botti del vino et ancora gli imbottatoi ('). Ancora, cacciando sopra i raspi delle vinaccie, quando s'è svinato e che le son di già riscal- date et han preso il forte, una quantità d’ aceto buono e lasciatovelo stare cinque o sei di, avendo ben turato con un panno et asse il tino di sopra, e poi (*) cavando per il zaffo quello che n°’ esce, o veramente spremendo tutta la materia che v'è al torchio, s’ averà aceto ottimo; si come ponendo i raspi della vinaccia riscaldati et infortiti sopra un residuo di vino che tu abbi lasciato nel fondaccio de’ tini, ragunati tutti insieme e posti in un solo; e sopra tutto por- vene assai. Ancora, ponendo in sur un terrazzo (1) si come... imbottatoi. Non è nelle stampe. — (?) e piu, le stampe. 552 o loggia aperta, volti a mezzogiorno, una botte che vi sla stato dentro gran tempo aceto buono, piena di vin bianco, acconciandola che vi batta il sole e sia il luogo caldo, diventerà aceto. Il vin bianco ancora trasmutato sopra feccia d’ aceto forte piglierà l aceto; e seccandola e spolve- rizzandola e gettandovela sopra, farà ancora meglio ('). Di più scaldando al fuoco e roven- tando ferri d’ acciaio e così infocati spignendoli parecchie volte nel vino, lo faranno diventar forte, turando ben la botte che ella non sva- pori; e volendolo più sano e di meglior sapore, vi spignerai dentro tegole infocate o mattoni nuovi netti ben (*°) roventati e candenti. Le pine ancora, mentre sono attaccate dalle fiamme, gettatevi dentro così accese, faranno inforzare il vino; e volendo di subito far diventare un bicchiere di vino bianco o nero, aceto, fa d’ avere delle radici di bietole secche spolverizzate e gettavele dentro, che in breve spazio lo farà inforzare. Piglia ancora un barile di buon vin bianco e ben chiuso in bocca; mettasi una gran caldaia d’acqua al fuoco, e quando la bolle forte, caccivisi dentro il barile a quel modo pieno e ben serrato, e lo farà quel gran caldo e bollore inforzare; e lasciavelo star a bollirvi dentro quattro o cinque ore. Ancora, pigliando ciriegie salvatiche quando principiano di maturare, o veramente corniole o more quando sono rosse e non nere, et agresto ben agro e ghiande salvatiche prima che matu- (1) Ancora... ancora meglio, manca alle stampe. — (°) netti ben... manca alle stampe. tinti citt da 935 rino, e pestate tutte queste cose bene insieme in un mortaio di metallo da speziali, si che s'incorpori e s impasti col migliore aceto (che di continuo vi si getti fra esse) che si ritruovi ('); e non volendo torre, per fargli far corpo che si tenga insieme, aceto, piglisi assai sugo di aranci forti o limoni, e fattine piccoli pastelli si pon- ghino a seccare al sole; e quando si vorrà fare aceto, mescolivisi, stemperati quei pani, un poco di vino in tanta quantità quanto si può consi- derare a discrezione che sia per inforzarlo; e questo fa e pruova bene, mettendo quel vino in botti che sien fatte di ginepro o sorbo. È ancora, tenendo continuamente un bastone di ginepro mondo o di sorbo dentro alla botte dell’ aceto, lo farà tanto più inforzare, avendo turata bene la botte. Piglisi ancora agresto d’uve molto acetose (°) e se ne faccino pani impastati con formento et aceto buono, e s’ asciu- ghino all’ombra; e posti in una quantità dice- vole, subito rimesticativi dentro, l’ inforzerà (*); e 1 medesimo farà il lievito solo di farina infor- tito. Ancora, avendo posto del vino che sia buono, che tu vogli farne aceto, sopra la vinaccia inforzata, senz’ altro premerla del torchio lo farà diventar aceto. E si dee sapere che le botti ove sì tiene l'aceto non s’ hanno mai a tener tutte piene di quanto ve ne cape, ma si ten- ghino piene sino a mezzo. Lavando ancora i raspi dell'uva con buon vino e ponendogli a (1) col miglior aceto che si truovi e di continuo vi si getti fra esse, le stampe. — (?) acerbe, le stampe. — (83) s' inforzerà, le stampe. 3DL: asciugare et a seccare a lento sole, dipoi mace- rati in forte aceto, mettendogli in un vaso (') che vi trabocchi sopra il vino, diventerà aceto fortissimo, avendolo turato bene. Le radici del rafano todesco, spolverizzate, poste nel vino che abbi presa la punta, fanno mirabile aceto, ma il cavolo, messovi dipoi dentro, lo ritorna a essere vino. Le barbe delle vitalbe secche al- l’ombra e fattane polvere e messa nel vino lo fan di tratto diventare aceto, e 1 acetosa secca spolverizzata farà il medesimo; e le persiche molli e tenere messe in un vaso con orzo arro- stito e colato, quella colatura posta sopra ‘1 vino lo farà aceto; e pigliando fichi vecchi secchi et orzo brustolato, midolla di cedro e posto tutto in un vaso a marcire, dipoi passati per stamegna, quella colatura farà aceto buono senza aggiugnervi vino; e tanto fa il gesso mescolato con acqua marina e piovana colato (*). Ancora, pigliando aceto fortissimo bollito si che la terza parte se ne consumi, et aggiugnendolo all’ altra non si forte, si farà tutto fortissimo. Per ogni barile d’ aceto non molto forte mettivi un’ oncia di pilatro greco ben pesto e lo farà inforzare benissimo, massimamente avendolo prima fatto bollire in un boccale di altro aceto e cacciatovelo su bollito. Altrettanto farà il galbano e similmente 1 fiori di sambuco secchi all’uggia, sparsi in buona quantità per la botte; le radici di gramigna vecchia, uve secche, foglie (1) mettendogli in un.... lasciato dalle stampe. — (2) 72 mede- simo fanno i fichi freschi macerati nell’ acqua e colati, aggiun- gono le stampe qui, mentre nel testo è più avanti, con variazioni, um. r—m—y n ———’ 535 di pero salvatico, radici di rogo o spino, sieri di latte, posti fra "1 vino, lo fanno inforzare e diventare aceto mezz’ agro. I fichi freschi nel- l’acqua a macerare colati fanno aceto. Se met- tendo del salnitro nell’ aceto gonfi come se bollisse, vi sarà acqua dentro. Ancora di vin guasto potrai far aceto, mettendolo al fuoco e facendolo bollire si che levi la schiuma, la quale leverai di mano in mano che la cresce; e di poi per ogni barile mettivi un’ oncia di pepe pesto et una libbra di sale, e datogli un altro bollore incappellalo' in botte acetata; e sarà buono. Così (') avendo fatto mettere nello strettoio quantità di raspi, quanti n’ escono (?), mettiveli solli solli in due tini, e facendovi star sopra il vin guasto di ventiquattro ore in ven- tiquattro ore e poi in su l'altro mutandolo, facendo così sin che sia divenuto ben bianco et inacetito, l’ imbotterai, e ben forte diventerà, e bianco di vin nero; e tanto più, se avrai posto dell’ aceto ben forte prima sopra quelle tine di raspi. Diventa 1’ aceto fortissimo, mettendovi dentro i vinacciuoli asciutti in gran quantità et ancora di molti granelli d’ uva che sia acerba (?). Il pilatro greco vuol essere bollito in aceto, poi mescolato con l’ altro. Le rose salvatiche, che hanno le foglie un poco rossette odorate, poste nell’ aceto lo fanno fortissimo (‘);} e pigliando delle . rose rosse da (1) Se mettendo... Cosi, manca alle stampe. — (2?) quando n’ escano, le stampe. — (3) et ancora... acerba, le stampe ne mancano. — (4) Le stampe qui interpongono le virtù del sermollino e della nepitella che nel testo sono celebrate più avanti. 536 Dommasco o fresche o secche, in vaso di terra cotta invetriato, messe in aceto bianco buono e lasciatele stare quaranta di, ponendone sette libbre per barile spicciolate, faranno aceto rosato eccellente assai più che non le roselline bianche da Dommasco, delle quali le scempie sono a questo effetto come in tutto di più odore e migliori che le doppie dommaschine; e dopo i quaranta giorni cavinsi dall’ aceto e questo si ponga a conservarsi in vaso di vetro turato bene e tenuto in lato freddo. E pigliando un’ oncia di grana di quella con la quale sì tingono i panni fini, della migliore che si ri- truovi, e sì metta in quattro fiaschi d’ aceto buono bianco, e vi si lasci stare, avendogli turati, tenendogli trenta di al sole; poi si conserva in vasi di vetro o in quei fiaschi come l'altro. E quando si vuol fare di roselline da Dommasco, mettasi due pugni di rose spicciolate con quel fioretto giallo per fiasco di buon aceto, e lascisi stare assal tempo al sole. Ponendo ancora in un fiasco di vetro due pugni di fiori di salvia, procurando i fiaschi al modo detto, si farà un aceto gentilissimo ('). Fassi aceto ancora ordi- nario e buono pigliando pane arrostito, intinto e poi asciutto, nell’ aceto forte, e spolverizzato ; ponendo dentro al vino un pane per barile, che cominci a inforzare, di vino (*), lo farà inforzare affatto et essere buon aceto. I rami di fico (1) Una mezzetta d’ aceto.... di buono aceto interpongono a questo punto le stampe, che nel testo sì legge più a basso. — (°) Le forzate inversioni di questo periodo sono corrette nelle stampe ; intinto nell’ aceto forte e poi asciutto... barile di vino che cominci a inforzare, 5537 tagliati con la buccia e lattificio in pezzuoli minuti, cacciati nella botte dell’ aceto, lo fa- ranno forte tanto più, et ancora (') posti dentro al vino, lasciandovegli stare; e se i primi non faccino in trenta di, prendasene degli altri e vi si rimettino sopra quelli che faranno operazione di fargli pigliare il forte. I nodi dell’ abeto cotti a bollir nel vino, poi posta quella pentola con essi bollendo nel vino, fanno aceto eccellente; et il sermollino, cioè i fiori spicciolativi dentro, lo fanno diventar oltre a modo fortissimo. Una mezzetta d’ aceto rosato fa condimento per inforzare, posta bollita sopra l’ aceto ordinario ; et aggiugnendovi a bollire gengiovo, noce mo- scada, gherofani, cannella e sale a discrezione, risciacquato il vaso con esso, darà odore e sapore di forte a tutta la botte, empiendola poi di buono aceto. La saggina bollita in aceto e messa dentro, risciacquata la botte con essa, la rassetta; et un fiasco di agresto, dato per botte di dieci barili di vino, la mantiene e purga. Scorze di mele appiuole e di pere cotogne e di pere moscadelle, secche o fresche, o dell’ origano, posti penzoloni in un sacchetto in buona quan- tità dentro all’ aceto, gli: daranno il buono loro odor naturale, come al vino. I fiori di nepitella sono di lor natura molto acuti e nell’ odor penetrativi; imperciò, ponendone cinque o sei menate in un barile d’ aceto buono, così sparse per esso, lo renderanno di gratissimo gusto e pungente acutezza; e mettendole sopra il vino (1) Di qui fin quasi al termine del capitolo moltissime sono le variazioni fra testo e stampe, ed è difficilissimo tenervi dietro. 9538 che cominci a inforzare, l’ aiuteranno a diventar più forte. Questo medesimo opererà pigliando delle rose salvatiche scempie che hanno le foglie che pendano un poco al rossigno o incarnato, che fanno per le macchie in su certi pruni di rosai non molto alti di fusto, ma pungenti, e spicciolandovele sopra co ’1 lor fiore giallo di mezzo che hanno. E così come delle pere e delle mele d'ogni sorte strette al torchio se ne fa vino, somigliantemente questo vino si può fare inforzare per aceto, tenendo pieno sino a mezzo il vaso dove egli dentro si pone, e poi cacciandovi sopra a discrezione pilatro greco spolverizzato fatto bollire in un boccale d’ aceto buono e mescolatolo con quello; e tanto si fa con i fichi infortiti (') spremuti. L'agresto vuole essere d’ uve tutte d’ una fatta, e sì deono corre i grappoli avanti che egli abbino preso (*?) del maturo; facendolo d’uve nere o rosse, faccisi avanti che le piglin punto di colore, e d’ uve bianche, avanti che elle intenerischino (3). A far agresto ordinario si cogliono i grappoli interi e si premono bene nel tino, prima con i piedi, poi con un pestone di legno, e subito cavatone più netto che si può, avendolo fatto passare per un panno lino posto sopra alla bigoncia, s' infiasca, mettendo per ciaschedun fiasco mezza oncia di sale, e lasciando per quindici di sturato il fiasco, tenen- dolo al sole; di poi sì turi e si tenga in lato asciutto; e tanto si facci a proporzione, tenen- (1) forti, le stampe. — (2) punto, le stampe. — (3) facendolo... intenerischino. Non è nelle stampe. . 539 dolo nella botte. L’agresto fatto di moscadello è migliore dell’ altro e odorifero; e delle viti che fanno l’uve di tre volte, è, appresso a questo, perfetto. Piglisi adunque dell’ agresto di viti di tre volte massimamente, o altro di sugo assai, e [di uva] acerba bene e non ghezza; di poi sì pesta molto bene e se ne cava il sugo in mortaio 0 in bigoncia; di poi sì lascia riposare in un vaso invetriato, dove si lasci stare tre di al sole. Accanto a questo, fatto passare per stamegna, sì getti via la bozzima; et il chiaro che n'è uscito si metta a cuocere in una gran pignatta bene invetriata al fuoco, e si lasci cuocere sino che sia scemato per metà, di poi si muti in un’ altra pignatta che sia tanto grande, che vi sia dentro tutto quell’ agresto ('); e sì metta di nuovo al fuoco che bolla bene e che torni pur per metà, e serbisi in vaso di vetro, mettendovi un poco di sale a discrezione; et il vaso sia fiasco turato con bambagia muschiata; e sarà agresto delicatissimo per i bisogni. Piglisi ancora l’agresto quando è ben grosso e ’n sul voler maturare, di poi si pesti in mortaio di pietra con pestello di legno e nel pestarlo mettavisi alquanto di sale; più appresso mettasi al sole per due o tre di; di poi si riponga in vasi inve- triati chiusi st che non v' entri l’aere; e po- nendo nel collo del fiasco in cima un dito d'’ olio buono, si conserverà meglio. Ancora, farai ben cuocere l’'agresto tanto che scemi una debita porzione e facci un po’ di corpo, come una pasta; deesi prima insalare; et (1) che sia... agresto, non è nelle stampe. 540 accanto s adoperi in pezzi come altrui vuole. Ancora, l’agresto che si conserva secco si fa così: toggasi l’ uva agrissima et acerbissima, pestala bene e spremila e fa bollire quella colatura tanto che s assodi; di poi ponlo in su asserelli a seccare al sole, e riponlo a tutti gli usi in vaso di terra cotta invetriato. Altri mettono a indurire l’agresto spremuto al sole caldo, poi ne fan cofacciette, e serbanlo a quel modo in lato asciutto; e l’ uno e l’altro in pestandosi e spremendosi si dee insalare a discrezione. Met- tendo a impassire l’ agresto al sole per quattro o cinque di, e di poi pestato, si. ponghi nelle gabbie fitte nello strettoio; e quello che se ne spreme si conserva, insalandolo un poco. Egli è una certa sorte d’ uve che quando l è matura è verde come l’ agresto, di poi ingialla un poco, e quando ella è in agresto, è nera morata come la canaiuola; così parendo ella matura, quando l’altra è tutta agresta. Questo vitigno è ottimo per fare agresto; appresso questo, quello di tre volte. Ma ogni sorte di vitigno è buono; sola- mente si deve avvertire che se gli è fatto di sorte di uve che non conservino il vino alla state, bisogna dare tre libbre di sale per barile; e se per contra, bastano due ('). Il sugo del mosto si fa con pigliare della migliore uva da mangiare che sia nella vigna, stagionata e ben matura; di poi colta si tiene al sole per tre di; accanto si sgrani e si passi per fitta stamegna, infragnendo in essa con la mano aggravata 1 grani dell’ uva, e lo scolo (') Egli è.... è buono; non è nelle stampe. intestini D4I che n’esce si condisce con farina, garofani, can- nella e zucchero e altre spezierie; posto a bol- lire si schiuma, e cotto bene si ripone e si con- serva in vasi invetriati. Di questo medesimo modo si acconcia la mostarda ordinaria e ’l visciolato, e si fa eccellente. Et a fare il sugo semplicemente si passa per stamegna il grano dell'uva, et in quella colatura avendoli infuso un pugnello o più di farina a discrezione, si mette a bollire a fuoco lento, ponendovi dentro un po’ di zucchero e si schiuma in bollendo con diligenza; e scemato il quanto, si pone a tiepidare e si mangia. Prendi oncie quattro di ottima iride [ghiaggiuolo](') et un pugno di semi di finocchio, un di farina, un’ oncia di pepe e due oncie di mirra troglitide et una e mezzo di seselio e altrettanto di mirra (*) e oncie due d’appio, e pestando bene insieme si dee tutto incorporare col vin bianco quanto basti, facendo bollire; e ridotto ogni cosa in pastelli, leghinsi in panno lino, calandolo nella botte di buon vin bianco o nero, chiudendo bene la botte; di poi quattro di aprila e beine ogni mattina un bic- chiere e sarà salutifero; e massimamente fatto in mosto, più assai dell’ ippocrasso, che riarde et abbrucia il fegato, sebbene questo è al gusto più suave. E fassi di questa maniera. Ponsi a macerare in quel vino di che tu vuoi far 1 ippo- crasso, il quale dee essere vino maturo, dolce, rosso o bianco, et in quella quantità che tu ne vuoi fare a discrezione, zucchero, cannella in (1) Le stampe o ghiaggiuolo. Nel testo è fra parentesi, come lo conserviamo noi, — (*) e altrettanto di mirra, manca alle stampe, 542 canna un po’ acciaccata, garofani in polvere poca quantità o sodi [o] acciaccati, chi lo vuol più acuto, e alquanto di musco, chi lo brama; e lasciatovelo stare per due o tre di, si strizza forte con le dita per una pezza lina tutto quel vino, con quella materia che ha incorporata dentro, in un altro vaso di vetro; lasciasi un po riposare e schiarire, e si bee. Aleumi cuocono per un poco nel vino bollito tutte queste cose; di poi, passano tutto per stamegna fitta e lasciono freddare a berlo. Ma è megliore al gusto quello che non sa-punto di cotto, purché sia fatto di perfetto eletto vino. Bollendo il mosto si che ne scemi la terza parte, diventa sapa; e volendola un poco du- retta e non tanto liquida, metterai nel mosto dell’ uva spicciolata. Ancora, per far la mostarda, tu farai bollire il mosto cacciato sopra una caldaia di rame piena d’ uve spicciolate ben mature e buone, si che tutta quella materia scemi la terza parte, e poi passerai tutto per stamegna e la riporrai in vasi di terra invetriati; e, secondo la quan- tità che si vorrà adoperare, se ne cavi in un altro vaso e a discrezione si vi stemperi dentro la senapa, prima disfatta in aceto con un poco di pepe. Ancora, mescolandovi dentro pere co- togne cotte nella sapa e passate per stamegna, o veramente mele appiuole e melagrane di mezzo sapore, migliorerà in tutto di condizione e sarà più gustevole. Ma sopra tutto, pigliando delle coccole di mortella mature in commoda quantità e pestandole bene nel mortaio e dipoi passandole per stamegna et infondendo quello 545 che se ne trae nella mostarda, la farà ottima; e secondo che la si vorrà o più liquida o più soda, si potrà bollendo far più o meno scemare, secondo che si vede farsi o rara o densa; e sopra tutto sì piglino uve di buona ragione per porvele dentro spicciolate; e avvertiscasi, tosto premuto ‘1 mosto fresco, bollirlo per ciò ('). Le sorti dell’ uve giustamente si distinguono in due maniere; e la prima di queste è quella che ordinariamente si costuma per cibo; le quali da per se sole è openione che se ben pos- sino far buon vino, si come elle sono buone uve e prodotte da vitigno di buona ragione, tuttavia ne fanno poco; ma in effetto quello che le fanno è buonissimo, se ben sieno in paesi e luoghi cattivi; così ho sperimentato io e massima- mente dell’ uve sancolombane, le quali fanno un vino somigliantissimo dell’ acqua, come è quello che viene dalle vigne del Reno e Fiandra, per ingannare adacquando con esso l’altro vino, chi si gloria d’ esser bramoso del bere e va alla banda. Ma per la quantità le non sono (*) da essere poste in comparazione di quelle che sono appropriate dalla natura a far il vino, le quali per lo più non sono così piacevoli e delicate a mangiare come quelle, se bene anche fra quelle ne sono delle buone e gustevoli e saporite, come la canaiuola, il morgiano, il rafaione (#) (altrove sit chiama gallozzone) (‘) e 1 bergo, l’ uva che (!) Qui le stampe interpongono il capitolo dell’ ubbriachezza e suoi rimedi, che nel testo si legge più avanti, nell’ ultima parte inedita, ma con molto diverse parole. — (°) non son degne d' esser poste ecc. le stampe. — (3) Raffaione e raffone la 1600, e la 1610, e la 1735. Raffone sempre la .1622. — (4) Le parole fra parentesi non sono nelle stampe. 544 si chiama còrsa rotonda, quando si matura, et il trebbiano d’ogni sorte e massimamente il perugino, che ha proprietà di bastare, se bene è acquoso assai; e tutte queste sono le princi- pali per fare assai vino e buono, e massima- mente le canaiuole e le schiave, le quali son quelle che gli antichi tanto celebravano per vino da durare, dette da loro amerie e falerne. (Queste di vero riescono e buone a mangiare et abbondanti per far vino; ma per questo solo copiosissime sono il trebbiano d'ogni sorte, il rafano, il morgiano, la barbarossa, la rinaldesca e il sangiogheto aspro a mangiare, ma sugoso e pienissimo di vino, et il riminese, quando è nei luoghi che egli ama e desidera, come è in spiaggie, colli e piani non troppo grassi e sopra tutto alla vista della marina, come il razzese e la braccinola. Il greco ancora è molto profitte- vole nel render vino, o sia egli nel suo natio paese, ove si trova da una vite sola sopr’ albero essere usciti bene otto o dieci barili di vino, come in Terra di Lavoro attorno a Napoli; e trasportato altrove ancor [rattiene] intiera la natia virtù della sua gran fecondità; ma ama assai l andare in alto, come anche il trebbiano e l’istesso pergolese di Tivoli. E di vero tutte le sorte di viti per lor natura desiderano andar in alto et abbracciare assai paese, con dilungarsi a dirittura lontano assai ('), si come si vede al Portico di Romagna una vite in pergola essersi distesa più di mille braccia e caricarsi per tutto d’uve, e in Palermo una che ha il pedale alla (1) con dilungarsi.... assai, manca alle stampe. 545 grossezza d'un uomo, alta da terra nove o dieci braccia, che apre sopra un cortile, dintornato da loggie dei frati Cordellieri, più di cinquanta braccia in quadro per ogni lato; e poche se ne truovano che desiderino di andar basse e appe- tischino di starsene terra terra ('), come le viti che fanno l'uva nera passera di Coranto e le passerine bianche, tutto che elle fanno ancora bene e si distendono volentieri in pergola; e queste sono l ametine propriamente di Coranto bianche e nere, buone a seccare in grappoli interi e spicciolate, come lor fanno nel lor natio paese, ammassandole e restrignendole e conden- sandole insieme nelle casse o ceste di giunchi, come si vede (*); e tanto fanno le viti che fanno la malvagia: delli quali vini un boccale solo condisce una botte di sei barili di vin bianco di quei paesi e lo fa essere tutto mal- vagia; a tal che sola e pura è uva che fa un vino potentissimo; e quella è malvagia garba o amabile, 11 che viene da lasciarla maturare o più o meno (#); e questa vite ne fa poco nel suo paese di Candia e Cipri, e meno assai pro- duce trasportata negli altrui, e s1 diletta d’andar terragnola. Sono delle moscadelle nere e bian- che: quelle ne fanno pochissima e queste assai; quelle sono tutte d'una sorte di grosso gra- nello tondo e fra essi dei piccoli minutissimi; queste di granello un po’ rotondo e schiacciato, e di grappolo di acini ben fatti e serrati in- (1) o star terra terra, le stampe. — (°) tutto che elle.... come si vede. Manca, eccettuata qualche frase, alle stampe. — (5) e quella... 0 più 0 meno manca alle stampe. 35 546 sieme. Sono delle napoletane dette moscadelle grosse di Napoli, d'uva buona a mangiare et a serbare, ma di poco vino, perché questa ne fa poco ('). Ne sono ancora delle maremmane gial- lose e grosse, che fanno assai vino e sono molto buone a mangiare et odorifere. Il vino delle nere riesce colorito et odorato assai, e la sua uva è molto delicata, ma non troppo da serbare. Il mammolo è buon vitigno per vini, così il rosso come il nero, e non è spiacevole, ben maturo, a mangiare, si come l’ orzese e la rinal- desca, e queste sono ottime per fare vino et abbondanti, si come il marzimino e l'uva mo- staia che ne fa assaissimo e la zuccaia; et a mangiare non è punto aggradevole, ma aspra e piena d’acquosità insuave; e se pur la ingor- digia dei viandanti la volesse assalire, perocché ella si pianta per lo più in su le strade maestre per gli argini delle fosse, si spruzzi tutta di calcina viva stemperata con l acqua, che non patirà; né perciò farà peggio il vino, purgando, in bollendo il vino, ogni superfluità; e s° asse- veri da chi non potesse raffrenare la gola (?). Dell’uva di Gerusalemme se ne vede poca e non altrove che in ripostissimi giardini; e perché è miracolosa di grandezza di grappoli, come che s' allunghino verso terra talora un braccio e mezzo (*), si addimanda per altro nome mara- viglia, facendo i racimoli tanto grandi, quanto (1) et a serbare.... perché questa ne fa poco, manca alle stampe. — (?) e se pur la ingordigia.... raffrenare la gola non è nelle stampe. — (3) e perche di grappoli si allungano verso terra talora un braccio e mezzo, le stampe 1600 e 1610: e perché i grappoli ecc., 1622 e 1734. 547 sono i grappoli d’altri vitigni; va in alto volen- tieri, rende poco vino, è buona a mangiare; et a questo la sancolombana tiene il primo grado ; la quale annestata in su la vite moscadella diventa ancora (') più preziosa e delicata e di se stessa migliore; fa un vino che par acqua, ma di gran possa e fumo. Buona è ancora la nera di questa sorte, ma non tanto quanto la bianca. Appresso a questa la galletta bianca, addomandata dagli antichi testicolare, ha per la sottil sua buccia e delicata carne gentilis- simo sapore; ma la galletta nera non arriva a questa bontà, sî come il zibibbo bianco è al gusto più grato che non il nero (*). L’uva para- disa è ottima, sebbene ha la scorza grossa, quando sia ben fatta, gialla e matura; e questa per serbarsi passa innanzi a tutte l'altre (8); e basta non meno che la pergolese o duracine, la quale et a Tivoli et in altri luoghi posta, aman- dogli ella buoni ma non troppo grassi, si man- tiene intorno alle case in su la istessa vite et a pergole basse, come a Tivoli, dopo l autunno al principio dell’ inverno, e quasi come nel suo proprio natio paese sino a Natale; ancora di questa n'è della nera, ma la bianca supera questa d’ogni bontà; ama d’ andare in alto e in pergole o bronconi, et annoiasi dai venti, si come tutte l'altre (‘). Ce ne sono ancora fra queste sorte d’ uve che per cibo solo s° apprezzano, come le soprad- (1) all’ odore, le stampe. — (?) si come.... il nero. Non è nelle stampe. - (3) e questa... l altre. Non è nelle stampe. — (4) et annotusi ... l altre. Non è nelle stampe. 548 dette; e perché sono grosse oltre a modo, e grosse sì addomandano (*), s° adoperano a sfen- dere, e sfesse, a seccare, e massimamente al sole (°). E queste sono ancora quelle di tre volte e di cinque. E 1 uve angiole e ’1 zibibbo bianco e nero e tutte le altre che di grossezza maggiori delle sopraddette si ritruovano, ben- che tutte le sorte che sono buone a mangiare et intere e sfesse servon bene a questo uso; e le megliori sono le seccate al sole, tanto le sfesse-quanto l intere. E volendo far uve secche buone, conviene pigliare delle migliori che si ritruovino di quelle da mangiare e seccarle più prestamente al sole che nel forno, dove ciò si deve fare per necessità; e quelli che avanti che e’ le secchino al sole o nel forno tiepido in su i graticci gli dan prima un tuffo nel- l acqua bollente, l intendono male, nè è si buona ne durabile come l’altra che non abbi tocca l’acqua, nella quale, se pur si vogli attuf- fare, dee essere salata di dovizia di sale, che così riuscirà più saporita e meglio s’ asciugherà e diseccherà. Tra tutte quelle poi che si cer- cano di conservare nel mele o nel zucchero, facendo un suolo di queste e uno d’ uve sfesse, sl posino l’ uve grosse et i zibibbi d'ogni sorte (8); ma tra quelle che si desiderano di conservar fresche sono le corbine e le ansorie; et a queste non cede la barbarossa, della qual n’ abonda la Lunigiana, et oltre a che per essere soda e di granelli radi fa buon vino, regge al dente et è (1) Altre ce ne ha, che, perché grosse sono, grosse si addo- mandano, le stampe. — (2) e massimamente al sole, manca alle stampe. — (3) e tutte le altre.... d’ ogni sorte manca alle stampe. 549 ottima al gusto; ma genera sempre pochi grap- poli e deboli capi, in piano riesce dissapita, in monte fa oltre a modo bene, e nell’ asprezza d’esso è saporitissima; conservasi tutto 1 anno con la sola cura d’ appiccarla capo pié, in stanza chiusa che sia asciutta. In Lombardia è lodata assai l'uva grop- pella che è simile, o quasi, a quella che si addo- manda gallazzone. Sono in pregio per far vino le voltoline, le schiave nere grosse di grana; e queste, spiccandole dalle viti a luna vecchia nel mezzodi, non molto mature, appiccate al palco capovolte bastano assai. Così fa il varano. L’ or- zese e ’1 sangiogheto son vitigni lodati per far del vino assai, si come le viti trebbiane che fanno i grappoli grandi e le corse bianche. I trebbiani sono fertilissimi o a terra o in per- gola, né mai fallano; e se ne truovano delle nere; ma le migliori sono le bianche, si come le lugliole, che son atte al cibo e primaticcie, alle quali seconde vengono le lugliole agostine, che son dette pisane, di grosso granello; alle quali è simile l’ uva franzese; le vernaccie si come le malvagie ne fanno poca, ma è il vin loro di polso buono; si come i buriani, e quelle bianche del contorno di Portercole, ove nasce un generosissimo vino di forza uguale al greco, ma di più gustevole e suave sapore. Il bergo che fa la verdea è vitigno apprezzatissimo come le pizzellute di Roma, et a Napoli l uva gloria o mela, perche è schiacciata come le mele. Sono ancora alcune sorte di moscadelli che fanno i granelli dell'uva minuti e serrati bene stretti insieme; e ’l1 vino fatto di questi, che sia mosca- 550 dello puro, riesce troppo fumoso e massima- mente dà alla testa il bianco; il nero meno assai. Ma lasciando i due terzi di vin bianco buono nella botte e mettendo ne l'altro terzo di questa sorte vitigno, farà il vino moscatel- lato; e così, come queste uve bianche dai gra- nelli ristretti insieme sono più delicate e sapo- rite a mangiare, così il vino che n’ esce è più gentile e piacevole, si come quello che si facesse di moscadellone grosse di Napoli ('). Ma tutti i vitigni, di qual si sia sorte d’uve, s' alterano secondo la qualità del paese, del sito e terreno; imperciò è bene cognoscere la natura loro e secondo quella andargli componendo e correggendo insieme. La verduschia, il mammolo nero e bianco fanno i grappoli piccoli e di gra- nelli ben fitti insieme, amano luoghi secchi, fuggon l umido e ‘1 piano. Il cesenese è vitigno che fa gran copia d’uve e di vino, richiede ter-. reni caldi e asciutti e non gagliardi né grassi, Le uve grosse bianche, se bene se ne può far vino, il quale non dura però anco molto, ché son facili a marcire, son più accomodate a seccarsi fesse che a far altro. Il ciriegiuolo dolce è un vitigno che ha i grappoli lunghi e radi, il gra- nello grosso, è più peloso ch’ altre sorte d’ uve che sieno; il sapor suo è dolce e odorifero, e così rende il vino; fa bene in paese e terre calde ove piove di rado, grasse et umide e ben difese da venti; vengono bene ne’ piani, perche rade volte marciscono; è bene mescolarle come le (1) Dalle parole Sono ancora alcune sorte fin quì, manca alle stampe. 55I moscadelle ('). Le uve che chiaman d’oro se ne truovano assai nei Bolognese, somigliando nell’ ingiallare le sancolombane mature smac- cate; et appiccate come mangiate son buone, si come fanno anche gustevol vino (°). Le uve grosse rosse fanno i ceppi delle viti alti; quelle che sono ben nere e grosse, come le lugliole; e n'è d’una sorte che maturano ancora di luglio, che le domandano premicie; le vespe le man- giano volentieri, e per questo stanno bene ove riseggano le pecchie; come le moscadelle, le quali sono ottime a seccarsi o al sole o nel forno, e fanno ordinariamente in ogni paese, sito e terreno, come ’1 trebbiano e la brumesta, cioè pergolese nera corbina, che non rifiuta alcun terreno. La cervelliera è un vitigno d’uva nera grossa rotonda e di gran grappoli; va volentieri sopra arbori, come tutte le uve bian- che e fa volentieri in piano grasso (*). Il vinoso nei racimoli somiglia il ciregiuolo alla lun- ghezza e grossezza; ama i luoghi asciutti; alcuni lo chiamano orzese; sta bene mescolato co ‘1 cesenese, conferendosi l uno all’altro assai (‘); fa buon dato vino e non fallisce quasi mai, come il sangiogheto. I vitigni del vino di San Martino (°), di Spagna e delle malvagie fanno i grappoli serrati e l'uva rotonda, ma se hanno buon terreno non nascono molto minuti; vo- (1) ove piove... le moscadelle, manca alle stampe. — (2) somi- gliano nell’ ingiallare le sancolombane mature smaccate, son buone in cibo e fanno gustevole vino, le stampe. — (8) e fa... grasso, manca alle stampe. — (4) ama i luoghi asciutti .... confe- rendosi l'uno ail’ altro assai... quasi... manca alle stampe. — (5) Z2 vitigno del vin sanmartino, le stampe. 552 gliono terreni grassi et asciutti e non umidi ('); e così tutte le sorte di vitigni che fanno il grappolo serrato e minuto rendono miglior vino che le contrarie a queste, si come miglior vino esce del cattivo vitigno posto in buon terreno, che di buon vitigno posto in cattivo. Ma sempre è da ingegnarsi in tutti i paesi di piantare buoni vitigni, perché questi sono che rendono sempre e per tutto il buon vino. E cavandosi magliuoli dalle viti che fanno il greco in Regno, non si deono porre come [quelli in luoghi piani, né sopra arbori, ché faran debolissimo vino, ma in poggi pietrosi e pendenti al sole e tenuti bassi, ché così faran greco recipiente (°). È una sorte d’uva chiamata irene, molto umida. Et ancora che le viti in terreno umido e grasso sieno sempre abbondanti d’ uve (*) più che in qual si vogli altro luogo, fanno meglio in pergola, sol- levandosi alte da terra e sfrondandosi, che 71 sole occupi 1 uve il più che si può, così facen- dole migliori e per consequente il vino assai più saporito. Le uve castigliane di Spagna e per vino e per uve (‘) sono celebratissime, e così in Portogallo le che fanno il vino di Riva d’Avia. L'uva palombina è negra e bianca e molto simile all’ irene bianca, in essere così lunghi i grappoli e radi; et anco in molte parti è chiamata libera nera; ama terreno come s° è (1) ma se hanno... minuti; e non umidi; manca alle stampe. — (°) perché questi sono.... recipiente, manca anch’ esso. Imoltrandosi al termine, vi sono ad ogni momento brani e periodi tralasciati dal- l'editore. Si vede la gran fretta di finire. — (3) più che in qual si vogli .... saporito, manca tutto alle stampe, meno la frase: fanno meglio in pergole. — (4, e per vino e per uve, manca alle stampe. — 555 detto amare il ciregiuolo dolce. All uva palom- bina fa (') gran nocimento il sole; e meglio maturano le coperte di pampani et in luoghi alquanto ombrosi; e però van bene in pergole, bronconi o arbori; e cosi fanno le pergolese bianche, delle quali n’ è copia a Corneto, dove in su la marina fanno saporitissime, avendo quell’ aere sopra l’acqua salata per proprietà di dar sapore ai frutti et all’ uve che gli sono d’ attorno; ond’ è che i vini che sono raccolti alla vista del mare son di più forza e di sapo- ritissimo sapore. E una sorte d'uva nera, e di questa sorte n’è della bianca, la quale fa i racimoli et i grappoli grandi e molto serrati e ristretti in- sieme, gli acini di grossezza mediocre, che è abbondantissima in fecondità, come il gallaz- zone, rafone e morgiano; e [a] piantarsi in lati grassi e di piano (°), se ne caricano tanto più; e in luoghi asciutti e di monte non se ne cari- cano tanto, ma fanno il vino più buono, come (8) più da durare. L' uve passerine nere di Coranto amano terreni asciutti et arenosi, si come elle desiderano di stare terragnole basse e senza palo in quel paese di Cipri e Candia ove elle abbondano, e qui fanno bene in pergola e bron- cone; seccansi al sole agevolmente; e seccate, pigliando con mano un grappolo intero e stri- sciandolo con l’ altro, si spicinano a granello a granello; e poste in cestino di giunchi minuti e sottili, ristrette e pinzate bene insieme, si con- (1) falle, le stampe. — (2) e però van bene.... di piano, eccetto qualche frase, tutto manca alle stampe. — (3) così le stampe. DDA servano, gettando con esse una gomma soave con loro al gusto e dilettevole; altrettanto fanno le bianche; e bisogna lasciarle ben matu- rare avanti che elle si mettino a seccarsi; e tutte sono meglio assai seccandosi al sole che col caldo del forno ('). Ecci lo abrostino o colore, prodotto dalla natura per supplemento di tutto quello dove mancassero le ignoranze degli uomini, e talvolta per coprire le malizie dei villani e dei loro padroni; e di vero si può dire che questo vizzato sia una tutela e con- serva a tutti i vini, perché non si guasta mai, et è sempre in aiuto a accrescer (°) colore e tirarlo di forza e di bontà; ma fu procreato e dato dalla natura per soccorso ai vini che ne hanno di bisogno, come il medico, 0, per meglio dire, la virtà dei semplici agli uomini che son cascati in alcuna indisposizione, o che, tutto che sien sani, hanno di purgarsi bisogno. Et in piano (3) servono ai vini: deboli e con poco co- lore, e valgono assai agli acquati e raspati (*); anzi il raspato fatto di questo vitigno solo è eccellentissimo, si come il vino semplicemente fatto con la sua uva senza alcun miscuglio; tanto che, come si dice, di un buon vino non bisogna tralasciar né meno l abròstino; del quale (*) se ne ritruova del bianco ancora, il quale fa il medesimo effetto al vin bianco, che fa il nero al nero. E la vera si è che chi non (1) e poste.... del forno manca alle stampe, che leggono Ecco l’ Ecci che segue. — (°) a acquistar, le stampe. — (3) Et în piano, non è nelle stampe. — (4) vale assai per gl’ acquati e raspati, le stampe. — (5) sì come il vino... labrostino; del quale, non è nelle stampe. 555 ne ha per le sue possessioni, ne pianti in ogni modo assai, non essendo il più utile e più pro- ficuo vitigno che (') questo, e lo mescoli in sul tino, pigiando insieme il tutto, chi non lo vuole serbarlo per farne acquerello o raspato. È buono ai contadini per far crescere e miglio- rare il vino. Ancora, averlo per le vigne sparso non fa che bene (°), ma il serbargli per dar colore ai vini e fargli coperti con dire che son vini polputi, non mi piace (3), perchè il vino coperto e carico di colore è grave, grosso e grasso e cattivo (‘), talché meglio è darlo spic- ciolato alle botti et in buona quantità, perché bollendo te lo farà scarico di colore, schiari- rallo, e lo farà conservare e stare in cervello. Si dee ancora sapere che i raspi triti, posti a bollire nell’ acqua o nel vino per porre in sul raspato, sono di più sapore e danno più raspo al vino che non gli altri raspi. Sonone di tre sorte, dolci, agri e di mezzo sapore; ma quelli agri et aspri sono i men buoni; i dolci sono assal più degli altri amabili et aggradevoli, e questi s' addicono più a migliorare, dar sapore et avvivare e far risentire tutte le sorte dei vini, e fanno più effetto o meno secondo la quantità; e [si possono] sopra spicciolare, perché ancora .... (#); e dandone un boccale per barile, gli acquisterà bastante colore e qualche poco di grazia al sapore (5). Ancora, sgranellando di (1) dopo, le stampe. — (°) chi non lo vuole.... non fa che bene, manca alle stampe. — (3) né mi piace il serbargli per dar colore a' vini per fargli coperti, le stampe. — (4) e cattivo, manca alle stampe. — (5) e fanno piu effetto .... perché ancora... manca alle stampe. — (6) di grazia e sapore, le stampe. 556 questa sorte abrostini, cioè dei dolci (perché gli aspri et agri s adoprano a far risentire certi vini grossi e grassi addormentati o morti) e ponendogli nel mosto che ha a far la mostarda, la renderà migliore e similmente la sapa ('). Sono alcuni che fanno notabil differenza dagli abròstini ai raverusti, ponendo quelli fra le domestiche uve e massimamente i dolci che son rari per lo più di granelli; e questi agri et aspri di più minuto acino e più serrato e fitto, quasi fra le salvatiche, come che si ritruovi in quantità fra le siepi e luoghi inculti e mac- chiosi (*). Come si sia, tutto si dee lasciar matu- rare bene, e poi colto e tenuto un poco al sole adoperarlo; e volendosi piantare e farne endica, conviene appostar terreno arenoso e fresco, e mandarlo in su gli alberi o bronconi, tenen- dogli sempre alti; e ne’ piani rende gran copia di frutto, piantandogli rasente le vigne, per il primo filare; benchè s° attacca e vien bene in ogni sorte di terreno; e per essere utilissimo vitigno se n’ ha a far sempre [grandissimo conto ] (3). La vite labrusca o lambrusca, cioè la vite salvatica, la quale nasce da per sé nei più folti boschi, massimamente delle maremme, è una sorte di vitigno che non conduce l uve a ma- turità, ma facendo il grappoletto formato, la conduce ai fiori, i quali sono odoriferi, di sito buono (‘); e quando più rendono odore, che si (') Ancora, sgranellando.... e similmente la sapa. Manca alle stampe. — (°) e fitto.... macchiosi. Manca alle stampe. — (3) Quest’ ul- timo periodo non è nelle stampe. — (4) di sito buono, manca alle stampe. DDT vede da per loro voglion cadere sparsi a terra ('), st deono cogliere e seccar all'ombra in sur un lenzuolo (*), poi sì conservano in vasi per dare odore al vino. Deonsi raccogliere che non abbino auto rugiada e sciorinargli per una volta al sole, poi con un crivello fittissimo, che quei granellini finissimi non possono passare, ma solo il fiore, così finiti di sommoscare e poi seccare all’uggia, si serbano o in vasi di vetro o di terra cotta invetriati. Altri gli serbano nel mele. Et imbottandosi sodo subito, si deono in buona quantità gettar sparsi per il cocchiume nella botte che sia piena di vino, et ancora parte che s' imbotta spargergli fra esso. Un’ altra sorte quasi anco parrà che facci... raspato, e di diverso sapore dall’ altro faranno i raspi .... bolliti o con il vino o con l'acqua in buona copia, postovi sopra di questa labrusca (*). Della quale n’ è un’ altra razza, che è propriamente la vite salvatica, che fa i fiori da prima odorati ancora essa, dipoi (‘) conduce l'uva sempre agrestina minuta rossiccia, la quale amano assai gli uccelli nella ragnaia; et il fiore di questa secco è buono al medesimi effetti; e di questa ragione se ne truova della bianca e della nera; (') che si vede... a terra, manca alle stampe. — (2) în sur un lenzuolo, manca. — (3) Deonsi raccogliere... di questa labrusca. Manca tutto alle stampe ed è sostituito da questo: « Ma « meglio sarà stillare a bagno maria detti fiori di viti lambrusche « e di quell'acqua ne darai una guastadetta per botte 1’ anno di « verno o quando vuoi manometterla, poco innanzi di qualche di, « che farà al vino come il liscio alle donne e meglio odore li darà « che non le mele appie, musco o ghiaggiuolo. Di questa lambrusca «n’è un’ altra razza, ecc. ». — (4) che fa i fiori..., ancora essa, dipoi.... manca alle stampe, 555 | et hanno le foglie bianche e peste et assai nodi e ’1 gambo suo con molta corteccia sfessa (*). È tenuta migliore assai la labrusca bianca della nera, a tutti gli usi; et è detta labrusca; perché nascendo appena tocchi et esca delle somme labbra della terra. Ne è copiosa tutta la Siria, ma ottime sono quelle che nascono nell’ isola di Cipri. Fassene un vino mescolando due libbre di questi fiori in un quarto di barile di mosto, che per essere di natura freddo rinfresca assais- simo, e st muta di vaso in trenta di. In Africa affermano alcuni passarsi per la vite l ulivo 0 per contrario, e far frutto dell’ uno e dell’ altro detto ubolema (*) Io ho provato in certi terreni salvatichi, aspri, magri, sassosi e cattivi a pian- tare di queste salvatiche viti, come in luoghi che s’ affanno alla lor natura ove elli nascono (8), e di poi il terzo anno c’ han preso piede, anne- statele del vizzato [che] ho voluto, e v' han fatto sopra bonissima riuscita. Resta a dire in che maniera sì possino man- tenere e conservar l’ uve, e staccate dalla vite et in su la vite lungo tempo, non ‘ prestando molta fede né più che tanto approvando lo che sì truova scritto, di Galieno imperadore, quale affermano per altro assai veraci autori che egli desse in un banchetto uve che eran bastate fresche tre anni interi; superflua ostentazione di cosa che non era punto necessaria; poiché le medesime che son durate un anno sono l’ istesse (1) e di questa ragione; et hanno le foglie.... corteccia sfessa. Manca alle stampe. — (2) Ubolima le stampe. — (8) come in luoghi .... ove elli nascono, manca alle stampe. Pr \» A 559 et ancora forse più belle di quelle di tre; le quali crederò agevolmente che tanto tempo elle si mantenessero salve in una brocca impeciata e cacciata nel fondo del pozzo, più che in alcuna altra maniera. Ma l uva veramente sì conserverà in su la vite assai, se tu abbi pian- tate le viti nel cortile della casa rasente alle loggie o finestre, accomodate si che i tralci con i grappoli le produchin sotto la loggia o che si tiri il sermento che n'è carico dentro alla stanza per la finestra; così resterà appiccata e fresca alle viti un gran pezzo; e se vespe o altri animali concorreranno a guastarla, turisi diligentemente attorno in cartocci (') di carta pecora o di panno lino incerato. Ancora, tirando d'una vite della vigna il sermento pieno d' uve e spampanatolo di tutti i pampani, si che vi sieno su soli i grappoli dell’ uva, e facendo una fossa a proporzione della lunghezza del ser- mento et accomodandovelo dentro in modo che i grappoli non tocchino né di quà né di là, e sl stiano sospesi nel mezzo della fossa, avendo ferma la vetta del sermento alla testa della fossa e di poi coprendo sopra con legni fitti a traverso che sì tocchino l'un l’altro, e gettan- dovi della terra sopra, acconciandola a comi- gnolo, si che l’acqua spiova e non possi pene- trare dentro alla fossa (*), la vi si conserverà quasi sino all’ altra di quell’ essere in che ell’ era quando ella vi si messe; e volendo stare più in su ‘l sicuro, faccisi fare una cassa di castagno (1) # cartocci, le stampe 1600, 1610, 1622; in cartocci la stampa 1734. — (2) e non possi... alla fossa, manca alle stampe. 560 o d’'arcipresso o d’olmo e s° accomodi nella fossa col tralcio carico d'uva dentro, e poi si ricuopra sopra di piote di terra a scolo, di modo che l'acqua non possa penetrarvi, né meno l’aere, e basterà meglio et assai più; ancora, impeciando i piccolli del grappolo e tirando il sermento al coperto, si che sia dall'acqua e dall’ aere difeso, durerà (');} e cacciando grap- polo per grappolo ciascheduno in boccale impe- ciato e rivolto sotto sopra, si vi manterrà (?) dentro. Ancora, una vite bassa intera con i suoi pampani, ch’ abbi molti grappoli d'uva, con tavole commesse bene insieme e che entrino attorno attorno in terra, avendola fatta quadra da tutte quattro le bande, e gettandovi sopra della terra assai, si manterrà sino al muover della vite tuttavia fresca, come quando sotto la vi sì messe. Ma, a far così questo come l’altro detto di sopra, conviene eleggere vitigni che faccino uve da durare, come pergolese, sanco- lombana, trebbiano, paradisa e tutte altre, dure e sode da bastare. Et a far crescere e restare (*) in un fiasco spogliato della veste o altro vaso di vetro (‘) un grappol d'uva matura, piglierai il fiasco o guastada o altro, e vi metterai dentro il grappolo dell’ uva nel tempo che le viti sono in fiori e che l’agresto sotto a quelle cominci a apparire, e gentilmente lo metterai in detto vaso sì che e’ non patisca; e fa che detto vaso o fiasco sia con la bocca volta verso terra e (1) sopra di piote.... durerà, non è nelle stampe. — (2?) si vi mantien, le stampe. — (3) e restare, manca alle stampe. — (4) 0 altro vaso di vetro, manca anch’ esso. Tr rr = || | | è II WI II ITA TSO TETTE 56l legato alla vite di sorte che e’ non possi ca- dere ('); o veramente accomandandolo a un palo (*), si che venendo vento non lo possi scuotere né fracassare. Cosi, lasciato stare, s' andrà ingrossando dentro e si maturerà (*). E volendo conservarlo per un pezzo, tura il vaso con pece senza guastare il piccollo (‘), o coprilo con una cassetta di legname che suggelli bene per tutto (?), e basterà assal; e massimamente il zibibbo sodo e la paradisa. Ma a voler ben conservare l uve colte; bisogna, con gran diligenza (5) et avvertenza, dai venti d'agosto ai dieci di settembre nei luoghi temperati e caldi, nei freddi un poco più tardi, a luna scema spiccarle dalle viti e corle asciutte et in sul mezzodì; e lasciate stare al sole per tre di, difendendole dal sereno della notte, riporle su la paglia a giacere, st che V un grappolo non tocchi l'altro, in una stanza in palco, secca et asciutta, che abbi le finestre e le porte doppie nella grossezza del muro, sî che aprendo una si chiugga sempre l’ altra, e chiusa questa l altra si apri, affinché non v' entri punto d’ aere ("), e coperta bene di pampani che se li secchino addosso; e non vi s' entri dentro sempre con lume (5). Si può ancora farvi un gran letto di pampani, et assettarle sopra esso, (1) 0 altro; e che l’'agresto.... non patisca; 0 fiasco; manca alle stampe. — (?) 0 vero accomandalo, le stampe. — (3) e si ma- turera non è nelle stampe. — (4) il picciuolo, la stampa 1734. — (5) o coprilo.... per tutto, non è nelle stampe. — (%) diligenza manca alle stampe. — (7) che abbi le finestre... punto d’ aere, eccettuata l’ ultima frase, tutto manca alle stampe. — (8) e non vi s'entri.... con lume, manca alle stampe. 36 562 come s' è detto; e di poi far un gran suolo che gli cuopra bene di sopra; e non s' apra mai questa stanza, se non quando tu le vuoi; e non le tener cavate, perché le si cambieranno; ma vogliono essere portate fuori e mangiate subito, che così parranno colte allora (*). Si conserve- rebbero ancora in un gentilissimo e sottile fieno, ricoperte da esso sotto e sopra, riposte in una così ordinata stanza come s’ è detto (*); ma sia il fieno ben trito e scosso dalla polvere. E desiderando che le vi bastino assai (*), bisogna corle sane, non punto maculate o malmenate, e che le non sieno fuor del dovere mature, né anco agrestine; e che sieno di ragione dolci, dure e sode di scorza (‘); e se qualche volta ve n'è qualche grano o grappolo che sia guasto o magagnato, separisi dall’ altra incorrotta e sana; e siano colte avanti la pioggia, o vero dopo che ella sia seguita di qualche di, e spic- chinsi in di chiaro e sereno et in tale otta, che sia finita la guazza o rugiada; e se si dia d’otto di innanzi una storta al grappolo dell’ uva che s ha a serbare, nel piccollo, s' appassirà al sole e scemerà dell’ umore che la fa corrompere. E la qualità dell’ acino (*) non sia né molto grosso ne molto minuto, e di vigna, di terreno asciutto; et essa [uva] bene asciutta, di scorza dura, et il grappolo lungo e raro. Ancora di terreni arenosi è più atta a bastare che de’ contrarii a questi. Così, colte semplicemente e tenute al sole per (1) ma vogliono .... allora, manca alle stampe. — (?) riposte... come s’ è detto, manca alle stampe. — (3) e desiderando .... assai, manca pure. — (4) e che sieno.... di scorza, manca, — (5) L’ acino, le stampe. 568 tre di, fuggendo ’1 sereno ('), s' attacchino al palco a coppia a coppia capo piè (?), cioè le- gando i grappoli per la punta, in stanza che sia ben chiusa et asciutta, che non v° entri aere, né per spiragli vi possi penetrare il vento (*); e vogliono essere appiccati in modo (*), che lun grappolo penda all’ ingiù più dell’ altro, di modo che l’ uno non tocchi l'altro; et in quella stanza bisogna avvertire che non vi sia altra sorte di frutte insieme, perché agevol- mente le farebbono guastare. Ancora, appiccati sopra 1 granai pieni di grano, dureranno assai ; e sotterrati con destrezza nei monti d’ orzo, si che lun grappolo non tocchi l altro (?). Cavato il pane dal forno, quando intiepidisce, vi si ponga su della paglia e sopra la paglia l’ uva, e lasciavela stare per un’ ora più o meno, tanto che 1 appassisca; o veramente ponvela sopra asse o graticcio di ginestre verdi, dagli poi un tuffo nel mosto, e ponle al sole, tanto che elle s'asciughino; dipoi appiccale in luogo asciutto. Ancora puoi metter l' uve alquanto incotte al sole nel mosto bollente, e come elle abbino auto un altro tuffo, al sole; riponle al solito e saran perfette. L’ uve state stese al sole si con- servano nella sabbia, ponendovele che la sia stata rasciutta e ben fatta secca al sole. Di più, cogliendo una gran quantità di pampani e ponendogli a seccare al sole, e più appresso, (1) colte semplicemente... fuggendo ‘I sereno, non è nelle stampe. — (?) co piè o co’ pié, le stampe. — (3) în stanza che sia .... il vento; manca alle stampe. — (4) e voglionsi appiccare in guisa, le stampe. — (3) si che l'un grappolo non tocchi l’altro, non è nelle stampe. 564 facendo una gran distesa d’ essi alta quattro diti in su l’ammattonato in stanza in palco, e coprendole poi con altrettanti pampani, si man- terranno bene; e nelle pentole di sapa, di mosto e di mele, faranno il medesimo ('). Ancora, su- bito vendemmiate le uve che tu vuoi per appic- care (°), cioè spiccati subito i grappoli e tagliati, dà loro nella tagliatura uno sprazzo di pece strutta e pongli nella stanza asciutta con paglia sopra e sotto; si conserveranno lungo tempo. In qualunque vaso ancora che tu le caccerai, che dentro non vi si tocchino lun l'altro i grappoli, serratolo bene in bocca con pece, che non vi possi penetrar l’ acqua, posto in fondo del pozzo, vi basteranno per un pezzo, e più fresche e più belle e più intere e sane che in altra parte; ma quando le se ne cavino, è di mestieri distribuirle in quel di, perché subito visto l’ aere, elle si guastano. Et in oltre, per conservarle in su la vite, faccisi fare un vaso di terra cotta largo e lungo a guisa di caldaia con due manichi uguali, e sia da ogni banda serrato e chiuso; ma prima che si cuoca sia spaccato per il mezzo con un filo di rame in due parti, dipoi si metta a cuocere nella for- nace, e cotto e freddo che sia, non si stia molto che riscaldato un poco s' impeci bene, disten- dendo bene di dentro e di fuori con pece nera [intorno] le commessure, eccetto che a dove entra il picciuolo del grappolo, che non vuole toccare (1) Stese sopra una gran quantità di pampani già secchi al sole e coperte di altrettanti pampani si conservano bene; e nelle pentole di sapa ecc., le stampe. — (2) Subito colte l’uve che tu vuoi serbare, le stampe. * 565 dentro da banda alcuna; e quando l’ uve comin- ciano a maturare, mettinsi i grappoli per di sopra senza tagliargli; poi tornisi a ricongiun- gere insieme il vaso bene, e legarlo e turar bene, intassellando con pece le commettiture, avver- tendo, come s'è detto, che il grappolo non percuota in cosa alcuna. E di più a quello che di sopra si disse, sotterrando i sarmenti dell’ uva in una fossa accomodata in modo non v° entri acqua, ricopertala bene, avendo messo nel fondo per tutto un palmo alta l arena fresca e sopra i sermenti pieni d’uve, foglie verdi di gigli; e così acconcie vi basteranno sino all’ aprile. Ancora, più tardi matureranno le uve sulle viti, se quando le sono in agresto se gli spun- teranno i sermenti. Ancora, intaccando un poco il sermento che sia carico di grappoli rasente il gambo della vite, tirandolo poi al coperto e acconciandolo che resti sicuro dalla pioggia e dal vento, basterà assai. E colta l'uva e posta al sole per tre di o quattro, riponghisi poi a giacere sopra foglie di lupino con i suoi gambi e foglie di fave e lenti et altri legumi o paglia d’ orzo, si che l'un grappolo non tocchi l'altro; in luogo asciutto si conserveranno ('). Alcuni bollono la cenere de’ fichi salvatichi o delle istesse viti nell'acqua, nella quale attuffano i grappoli; e raffreddati gli mettono tra ’l fieno trito o segatura d’abeto o farina di miglio. Alcuni avanti a questo li cacciano nell’ acqua marina bollente. E rivoltandosi [a]i granai, (1) Et in oltre per conservarle.... si conserveranno. Manca alle stampe. 566 i l'uva appiccatavi sopra piglia gran manteni- mento dalla polvere che vi si sollieva. Cotta l’acqua piovana, si che ella scemi i due terzi, e lasciata al sereno per una notte, la porrai in un vaso Impeciato e vi metterai dentro l'uva con graspi più sani e saldi che si ritruovino, e con l acqua [che] va sopra loro; e ve le serrino dentro diligentemente con il coperchio gessato et impeciato, mettendole in luogo ombroso che il sole non v' arrivi, ng fuoco; e dureranno assai ('). Ancora, appiccati i grappoli con filo, attaccati a canne poste sopra i tini del mosto si che non lo tocchino, impregnati di quel fumo, messi. poi con le medesime canne in lato asciutto, dureranno lungamente. Ancora, intridendo una poltiglia con il loto de’ for- nacial (*) ben pesto e sbattuto, dandovi con i grappoli un tuffo dentro, e poi appiccandogli in luogo asciutto, vi sì conserverà l'uva assai tempo (*). E se con sugo di porcellana gli spruz- zerai intorno, si che ogni granello ne senta uno sprazzo, appiccandole poi in lato asciutto, si manterranno lungo tempo. Ancora, béstano nel vino adacquato, accomodando i grappoli in modo che vi pendino dentro sospesi, ma coper- tati tutti da esso (‘) Ma dandogli un tuffo nel- l’acqua calda, che vi sia mescolato dentro del- l’allume, acquisterà virtù di mantenersi assai. Si conservano l’ uve ancora, ponendole si che le (1) E rivoltandosi .... dureranno assai. Manca alle stampe. — (2) col loto della fornace, le stampe. — (3) e volendo mangiarle si lavino coll’ acqua fresca, tuffandole tanto ch’ elle si nettino, aggiungono le stampe. — (4) Ancora... da esso, manca alle stampe. 567 non si tocchino, in vasi o pignatte di terra cotta, ben turati di sopra con pece o stucco fatto di calcina viva e chiara d’ uova, un grap- polo per pentola o vaso, grandemente si con- serveranno ('); e volendo meglio assicurarle, vi si circondino di vinacciuoli (*). Ancora, i grap- poli d’ uva ricoperti nel mosto, da conservarsi nel modo detto di sopra, turando il vaso d’esso, vi dureranno sin che si voglino mangiare. Ancora, ponendo [l' uve] in un vaso grande o di terra cotta invetriata o di legname posto in luogo asciutto, mettendovi un suolo di vinac- ciuoli, poi di mano in mano un suolo di grap- poli d'uva a giacere, si che non si tocchino l'un l’altro e venghino da essi ricoperti, così seguendo sino alla cima, si manterranno lunga- mente, non coprendo di sopra il vaso, pur che sia colmato di vinacciuoli {*). Ancora, quando sta la luna sottoterra, taglisi il sermento pieno d'uva da serbare, e s' attacchi steso in luogo asciutto senza scuoterlo; pur che fra essi si vadin sempre levando le [uve] corrotte e le guaste, senz’ altra manifattura si manterranno a dilungo. E di più, nelle casse, impeciando i fessi o coperchi, si che non vi possi penetrare aere, tramezzando i grappoli di sfrondature d’ abeto, di picea o di pioppo, o veramente sotterran- dovegli di farina di miglio, basteranno sino all’ altre. Mescolando la salamoia col vino e tenendovi dentro per due ore, essendo calda, (1) e durano lungamente, le stampe. — (2) e co’ medesimi vinacciuoli si acconciano in altri vasi grandi a suolo a suolo, aggiungono le stampe. — (3) Ancora, i grappoli d’ uva .... colmato di vinacciuoli, manca alle stampe. 568 le uve da serbarsi, dipoi stese sopra la paglia d’orzo, staranno nel loro essere tempo assai. Alcuni le rinvoltano nella cenere delle viti. Alcuni le attuffano nel ranno caldo fatto con cenere di fico salvatico, asciugandole al sole, dipoi le appiccano; et affermano che le si man- tengono lungo tempo, come quando le si spicca- rono dalla vite. E nell'acqua cotta, si che scemi la terza parte avvinata, vi si manterranno, rico- perte da essa, comodamente. Ma sopra tutto, ogni sorte d’ uva che s' elegga per conservarsi, bisogna avvertire che ella si maneggi con destrezza, si che ella non s' infranga, macoli 0 malmeni punto, perciocche un granello solo che vi sia acciaccato, è atto a corromperla e guastarla tutta, e se per sorte la resterà punto nel portarla da luogo a luogo pigiata o pesta, lascisi stare e se n’ elegga dell’ altra; e non sia mai né troppo acerba né troppo matura. In una botte cerchiata e di buon seto si conficchino dalla metà in su dei chiodi che con la punta, per le doghe bucate, con fori lon- tani un palmo l’un dall altro, fitti rieschino dentro alla botte, ai quali la punta s' attorca a uso d’uncino; e quivi s attacchi l'uva a coppia a coppia, si che lun grappolo trapassi l’altro, e così non si tocchino insieme. Questa disposizione si dee fare, avendo cavata la parte dinanzi del mezzùle alla botte; et accomodate che elle vi sieno dentro, chiugghisi la botte e conducasi in palco in lato asciutto; e si càveran fuori dopo lungo tempo le medesime. Et altret- tanto avverrà, acconciandole al coperchio d’ una cassa, e poi mandato giù, serrandola bene per 569 tutto e calafatandola con la pece. Ancora, impiastrate di loto da far vaselli, alla grossezza come se fossero strofinate di mele, il che sarà intignendovele dentro, e di poi attaccandole al palco; e volendo mangiarle, sì lavino con l’acqua fresca, tuffandovele tanto che le si nettino. Ancora, si facci buona provvisione di succhio di porcellana, con porne sotto allo strettoio, colta che ella sia con gambi e foglie, così fresca tagliata come ella si truova, e posta in un vaso invetriato, quivi dentro si attuffi il grappolo dell’ uva da serbare; e vi durerà appiccata di poi al palco lungamente; et un anno intero basteranno, se avanti che le s’attacchino in lato asciutto, saranno state per un poco affo- gate in acqua disfatta con l’allume di rocca, fredda ('). E per conservare l'uva secca buona, che gli antichi passa chiamavano, conviene pigliare 1 grappoli dell’ uva grossa bianca che sia di dolce sapore e con acini radi a luna scema e tempo asciutto, scossa e consumata la rugiada; e pianamente si distendano su le tavole, che lun grappolo con il peso di se stesso non aggravi l’altro, né si percuotino insieme (*); dipoi abbiasi un paiuolo a fuoco pien di ranno, fatto di cenere di sermenti, e come sia al primo bollore vi s' affondino dentro tre o quattro grappoli legati insieme e vi si lascino stare un pochetto sino a che l'uva prenda di colore (*), (1) Dalle parole E di piu nelle casse impeciando i fessi fin qui, salvo qualche breve periodo preso qua e là, nulla è nelle stampe. — (2) ch' e’ grappoli non si noino lun l’altro, le stampe. — (3) perda di colore, le stampe. 570 nè di nuovo vi sì rimettino, perché si cuochino affatto, sendo di bisogno in ciò d’ una moderata discrezione e temperamento ('). Auto ch’ elle hanno un tuffo nel paiuolo, cavinsi e si assettino sui graticci, si che le non s' urtino luna l’altra; e dopo tre ore ciascheduno grappolo d'esse si rivolti in modo che non si rimetta al lato me- desimo, perchè l umore scolatone non la cor- rompa. La notte è necessario coprirle dal sereno e dalla pioggia (*). Come poi le sì veggon secche quasi affatto, allora in vasi di terra cotta inve- triati (*) s hanno a riporre, turandogli senza pece, ma ingessatagli la bocca. Sono alcuni che le mettono in conserva fra le foglie di vite o di fico o di platano, a suolo a suolo accomo- date ne’ vasi; et alcuni altri sono, che, presi molti fascetti di fave, gli abbruciano ; e di quello che ne rimane fattane lisciva, tengono l’ ordine di sopra detto, aggiugnendovi olio e sale, l uno e l’altro in non molta quantità, e meno olio i due terzi che sale (‘), sendo cosa certa che un poco d'olio all’uve secche aggiunga grazia, sapore e colore. Altri, e questo è meglio di tutto, l’uve grosse sfendono con coltello e ne cavano 1 fiocini, et in su asse di legno distesele, le seccano al sole, e secche bene le compongono, intrise tutte di mele un poco caldo, in vaso di (1) în ciò... temperamento. Manca alle stampe. — (?) Così cavate s’ assettino su’ graticci, si che le non s’urtino l’una l’altra, e dopo tre ore si rivolti in modo che i grappoli non si rimettano al lato medesimo, che l’umore scolatone non la cor- rompa, difendendole la notte dal sereno e dalla pioggia, le stampe. — (3) si ripongano in vasi invetriatissimi, le stampe. — (4) Et a’cuni altri... i due terzi che sale; le stampe ne mancano. DII vetro o di terra cotta invetriata, e altri con zucchero e anici ve l assettano; e questo mede- simo facendosi a tutte le sorti d’ uve secche, le rendono (') al gusto più piacevoli et al corpo più sane. Ma l uve secche ordinarie, sono molti che prima che le ponghino fresche al sole, gli danno un tuffo nell’acqua calda, e di poi ve le mettono a seccare; et andando tempi contrarii, le cacciano sopra i graticci nel forno, mezzanamente a questo effetto scaldato, poi le ripongono senz’ altro in luogo asciutto. L’ uve passerine di Coranto, così le nere come le bianche, sempli- cemente poste al sole, si seccano acconciamente. Ritornando alla conservazione dell’ uve fre- sche, sono alcuni altri, che, colte stagionate per serbarle, prima che le attacchino al palco, gli danno un tuffo nell’ acqua salata, dipoi le appen- dono al palco. Accostumano i Turchi fare una spoltiglia d’acqua salata entrovi della senapa, cacciandovene tanta che la facci corpo; poi in quell’ intriso tengono l'uva per un poco, rivol- tolandovela tanto che per tutto arrivi e cuopra l’imbratto; accanto, l’attaccano in luogo asciutto; e quando la vogliono mangiare, la lavano dili- gentemente con acqua calda, et è come colta allora; e (*) non avendo acqua salata di mare, (1) Ze renderà, le stampe. — (?) Fra le prime otto linee di questa pagina (car. 312 verso) sta scritto, in carattere più minuto, ciò che segue: « Pigliando del legno di sorbo, mettilo dentro alla botte circa a tre libbre in un pezzo; et il sorbo dee essere verde; e tura poi la botte con il farmento, cioè lievito che si fa il pane; e sarà aceto fortissimo ». « E per conservare il vino che non si guasti, piglia menta salvatica detta mentastro, maiorana, radice di cyparo; poi fa bol- lire un poco di vino e mettilo nella botte caldo, turandola bene, che non si guasterà per parecchi anni. Et è cosa sperimentata ». 972 serve la salamoia medesimamente, fattone im- piastro con la senapa. In oltre, così 1’ acqua che esce dal tronco della vite, o dai sarmenti sca- pezzi, beuta prima o poi, ripara all’ ubbria- chezza. Similmente l’acqua che si cava dai pampani freschi stillati, posta in un vaso capace di più grappoli d’' uve, acconcivi dentro in modo in essa, che non si toeshino lun l'altro, vi si conserveranno lungamente. Ma più lungamente basteranno, mettendoli che li non si tocchino attraverso a una canna, accomodatavi dentro in coppia, che penda più un grappolo la lun- ghezza dell’ altro, in un otro di capra gonfiato turato bene in bocca, si che non ne possi più uscirne l’ aere condensatovi dentro; e questo modo credono alcuni che tenesse Galieno impe- ratore a quelle [uve] che io dissi di sopra, e che egli diede in un convito, conservate di tre anni a dietro. Così, come ancora l uve spruzzate d'’ olio con la bocca non saranno tocche dalle vespe, così impiastrate di calcina sì conserveranno più del solito in su la vite, e non saranno tocche dai viandanti, se elle siano bene impiastrate, ancora che elle si ritruovino in su le strade maestre. Si conservano ancora le uve intera- mente sotterrate nel mele, il quale si distriga loro d’ addosso con l acqua tiepida ('). Et a voler fare l’ uva secca buona, darai una storta al grappolo della miglior uva che sia nella vigna, nel picciuolo d’ esso, e seccato su la vite lo metterai all’ombra appiccato; o stesi [i grappoli] fra i pampani secchi, si mettono (1) Dalle parole poi le ripongono senz’ altro tin qui, tutto è inedito. 973 in un vaso che stia in lato asciutto. Ancora si spicciolano e si mettono [le uve] ammassate e ristrette insieme (') fra pampani legati con scorza di rogo, gettandovi dentro, quando si fasciano, un poco di strutto mele. Trasceglievano gli antichi l uve per con- servarle, o sospese o nelle piscine riposte o nel- l’anfore o ne’ vasi o ne’ dogli (*) pieni di vinaccia. E si come le genti barbare e sopra tutti gli Sciti per fortificar le membra ai lor figliuoli, tosto che erano usciti del ventre delle lor madri, gli attuffavano tre o quattro volte alla fila nei fiumi grandi dell’ acque fredde, per indurire le membra loro (*), somigliantemente Licurgo ordinò che si lavassero, tosto venuti in luce, col più gagliardo vino che si trovasse, per fortificarli ; al che fa bonissimo effetto il greco e la malvagia, il vin di Cipro e tutti i più grandi. [Finisce così, secondo tutte le stampe, nel retto della car. 313, la Coltivazione delle Viti; il verso della carta istessa è bianco. Ma nessuno degli editori ha tenuto conto di altre otto carte di precetti vimeoli, le quali seguono immediatamente (car. 314-321), e dovevano presentare anche in antico gravissime difficoltà di trascrizione ; per cui furono tralasciate e sono inedite. Ora poi che per le corrosioni del- l'inchiostro ogni carta è diventata un crivello, le parole non si leggono, ma 5’ indovinano e spesso non si capisce nulla affatto]. (1) si mettono insieme, le stampe. — (°) 0 ne’ dogli, manca alle stampe. — (3) per indurire le membra loro, manca alle stampe. DI È openione dei più che l’ uve nere faccino il vino potente, e le bianche più debole, le gialle dolce e giocondo. Maturata non di manco l’uva benissimo, o bianca o nera, colta col sermento, [si] lascia bollir solo quattro di nel tino pigiata bene; il quinto si tramuta, perché in principio comincia a schiarirsi, bollendo poco; ponvisi dentro della raschiatura di barbe di malva- lischio per farlo gagliardo, e da quella via s' im- botta, chiudendo con pece, che non sfiati il cocchiume; e ponendovi poi del succhio di ca- volo se paresse troppa, se gli leverà la possanza; ché a lasciarlo bollire i dieci, quindici o venti di, quanto più, diventa debole, insipido e fosco... E volendo fare il vino gagliardissimo, si mettono nella botte i grappoli interi quanto ve ne cape, empiendo di vin vecchio buono o mosto di buone viti, chiudesi il cocchiume, e aggiugnen- dovi tuttavia vino, sin che sia finito di bollire. Alcuni usano questa sorte di vino di travasarlo a mezzo novembre in botti pulite ben nette; e, turato bene, cominciarlo a primavera et all’ estate a bere. Farassi ancora un vino appe- titevole e da piacere, mettendo la quarta parte 515) d’acqua alla misura del vino che può rendere il tino; e lasciato bollire meno d’ otto di, s' im- botta e tura con diligenza. Et amando di far vin dolce piccante, si deono scerre l uve ben mature; e pigiatele bene mentre bolle su ‘1 tino, mettervi dell’ origano in quantità, che bolla insieme; e bollito che abbi quattro di, sì dee imbottare. Ancora, scelta simil uva e tenuta al sole due di, poi pigiata, bollito men di otto di s' imbotta; e, perche tenga il razzente col dolce, durasi otto di a tramutarlo ogni di in vaso buono; poi non più. Sopra un tino che renda quaranta barili di vino, mentre bolle, ponendone dieci d’acqua, reggerà due o tre volte avanti finisca, imbottato che sia, a cinque barili d’acqua per volta. Ma conviene che sia colato il vino che vi s'ha a mesturare l’acqua detta. È piglando uva della più buona e spicciolandola et empiendone tutta la botte, vi si getti sopra un barile di vin vecchio maturo e possente, poi riempi la botte d’ acqua, quanta ve ne cape, che sia bollita rovente; lascisi stare si che non bolla più; et a voler che abbi buona possanza turisi col cocchiume, e sopra vi s'accomodi con puntello pontato al palco per diritto; e tosto che sia finito di bollire e raffreddato, sì può bere. E volendo mantenerlo bene un pezzo, che sia medesimamente gagliardo, quando se ne cava per la cannella, se ne rimetta per il coc- chiume del vin buono nuovo o vecchio; et anche riempiendo, tuttavia che se n’ attigne, d’acqua, sino a un certo che, non sarà cattivo. Et a fare un vino artefiziato che sì possi bere, pigliasi un barile di vin buono e [si versa] in 976 una botte; di poi pigliasi tre barili d’acqua, e, partita in tre parti, metti in una caldaia a bollire un barile d’ essa con tre libbre di zibibbo spicciolato di levante et uva schiava, con un mezzo limone e mezza melarance, minuzzato sottile e spremuto in quell’ acqua con le cor- tecce; aggiungavisi un po’ di pepe intero; e scemata l acqua, bollendo, un dito per traverso, la metterai nella botte, e così farai agli altri due barili di prima, dischiumando sempre, quando bolle la caldaia, con diligenza; et empiuto il vasello, lascisi così per ‘nove di; e sarà fatto per potersi bere non disgustevole. Al tempo dell’ estate si può farne con more di pruni o di moro o di pruni salvatichi, come s’ è detto altrove, o con i fiori maturi dell’ ebbio o del sambuco. Pigliando ancora cinquanta libbre d’ uva passerina, e mettendole in una botte che tenghi dodici barili, o a tua discrezione, secondo che sì desideri peggiore o migliore, fa bollire in una caldaia d'acqua mezzo barile o più d'aceto forte, e lascia così per ore ven- tiquattro. Dipoi, fatte bollire altre tre caldaie d’acqua al modo medesimo, si getti una per volta nella botte tanto che s' empia, e sei o otto di lasciatolo riposare, si bea; cavandone un boccale per volta, se ne può rimettere d’acqua altrettanto per un pezzo. Et a far vino di prugnoli in altro modo oltre il detto, piglisi uno staio di questi quando son maturi, e se sono acerbi falli stare due giorni al sole, tanto che s’ appassiscano moderatamente; poi mettili in un vaso da vino, e gettavi sopra quattro fiaschi d’acqua bollita, et accanto dodici grap- i î i ita nn [diete] DI d poli d’ uva mezz’ agrestina, non troppo matura, bene ammaccata; accanto aggiugnivi trenta fiaschi d’acqua e lascia così per tre o quattro di; poi si può bere; e se vuoi le prugnole mu- tare, mettile nel vaso con l’acqua prima calda, e poi il resto dell’acqua et uva acerba come di sopra; e così si può fare all’ altre susine senza mutarle, che perdon sapore. Il vino sì farà garbo, se sl piglino l’uve acerbe e mettendovi gesso molle maturo o foglie di bossolo o foglie o radici di malva o cenere di vite, quando bolle. Se ’l vino è razzese o piccante, per mantenerlo così, avanti che tu lo tramuti dalla botte bisogna dal cocchiume girando soprali con un bastone nella botte [mescolarlo], e cavato così torbido rimbottarlo, che in tre o quattro di sarà chiaro. Se vuoi che il vino di nero diventi bianco, met- tivi del siero che avanza alla ricotta fatta, o un boccal di latte, con un’ oncia d’allume di rocca ben macerato, e tutto per ogni due barili di vino; poi dal cocchiume rimesta bene con un bastone il mesticato vino; e questo farai al vin nuovo in sul finir di bollire. E se farai cenere di vite domestica rossa nel vin bianco, diventerà rosso, e cosi per contrario. La polvere delle more rosse fa diventare il vin bianco rosso. L' artemisia erba, tritata bene e posta nel vino imbottato di fresco, quando ancora bolle, gh dà colore, sapore, e lo conserva e vieta 1’ in- forzare; e se ne dee mettere a discrezione. E pigliando di mandorle amare, di mele.... un’ oncia per una, tre oncie di liquorizia e tre oncie di fiori di spigo.... e d’ aloé patico pesto oncie due, e tutto insieme legato in pezza lina, si facci 37 578 pendere a mezza botte di vino che bolle, dal cocchiume, diventerà come vecchio e saporito. La polvere dei pinocchi col guscio, scossa e raccolta, posta nel vino lo schiara, di torbido, e quella di gesso tira al fondo ogni feccia; e chiaro di torbido lo fa quella d’ allume di rocca, mesticata co ‘1 vino. Tante coppie d’uova quante sono le coppie dei barili del vino, battute bene co ’l guscio con un mestolino.... però levata via prima quella pellicola che è sotto il guscio, lo fan chiaro in due o tre di, massimamente mu- tandolo prima di quel vassello dove è, in un altro; e se è torbidissimo, raddoppia l uova. Et una mezza oncia di sale aggiungendovi per barile, et ancora un limone sfesso, con due pugni di ghiaia ben lavata per ogni due barili di vino, e tutto mescolato posto nella botte, in quattro di lo fan chiaro. Un quarto di libbra di mele per barile di vino farà il medesimo in più di, e così il mosto. Il zucchero mesticato con allume di rocca posto nel vino a discre- zione farà questo istesso. Se un pome salvatico o una locusta o una cicala staranno a galla nel vino, sarà schietto senz” acqua. Mettendo ’1 vino in una pignatta nuova, che sia adacquato, stando sospesa, darà fuori a gocciola a gocciola tutta l’acqua che vi sia; e mettendovi tal vino caldo dentro, tenendolo all’ aere, se vi è acqua, s in- forzerà. La calcina al vin pretto sì restrigne, all’’adacquato si disfà. Se vuoi separare l acqua dal vino, metti nel vaso del vino l allume liquido, e di poi con una spugna piena d'’ olio tura il cocchiume e lascia che alquanto penda in giù, ché dove penderà, di quivi uscirà 579 l’acqua. Bagna una spugna nuova nell’ olio e frega la bocca del vaso intorno intorno; e se vi sarà acqua, s appiglierà nella spugna; la medesima pruova si fa nell’ olio, per vedere se vi è dentro acqua. Empi un arancio o un cedro, tutto imputato ('), di garofani interi e fallo pen- dere dal cocchiume turato, st che non tocchi il vino; et arà quell’ odore. E la radice di ginepro tagliuzzata, così il legno santo, e la polvere delle coccole di mortella poste nel vino, tanto luna quanto l’altra, di per sè gli danno delicatissimo odore; e tanto farà il fregare l’orlo della botte con foglie di pino o di cipresso ; et intorno al cocchiume una ghirlanda fatta di polo o d’ origano lo difenderà dal cattivo odore. I fiori della labrusca o vite salvatica seccati all’uggia, colti quando sono in fiore e posti in un sacchetto lino dentro del cocchiume, a mezza botte di vin vecchio o nuovo, gli danno odore di moscadello; altri gli metton nel tino quando bolle, facendo mazzetti di schiava fresca o secca; et acconciandoli, come si disse del cedro, gli daran grazioso odore, turando bene il coc- chiume. Ancora i fiori della schiava, seccati all’uggia e posti in un secchio, con attaccarvi una pietra che lo tiri al fondo dal cocchiume legato a un filo, poi turato bene e lasciato stare nove di o dieci, poi cavato, gli darà odore di moscadello. Preso il vino dal mezzo della botte e fatto bollire e raffreddato, assaggian- dolo in tale stato che sia allora, il vino sì man- terrà di sapore; e se 1 fiori che facci il vino (') Il testo legge così; credo che voglia dire amputato, tagliato. 580 saran rossi o bianchi, durerà; neri o gialli, il contrario. Se nella botte sì sente il vin caldo, non è bastabile; e massimamente di primavera, se sarà primavera secca, durerà, se umida, sì guasterà. Messo un bastone forato nel fondo della botte piena di vino per il cocchiume, secondo che si sente l’ odore, sarà il vino per l'avvenire. I vini che nascono nei luoghi grassi et umidi si deono tramutare a luna scema di marzo. Gli altri, di contrario lato, di marzo tra- mutandogli quando cresce la luna, portan peri- colo di diventare aceto. Né sì tramutino mai quando fioriscon le rose e le viti istesse, perché [il vino] s indebolisce e perde. La state dee il vino stare in lato fresco e lontano dal caldo. Si tramuta il vino a luna scema, perché si come il sole nella prima stagione veste le piante, nella seconda produce i frutti, nella terza gli matura e nella quarta gli sfronda, così la luna nel primo quarto è potente di ammorbidare, nel secondo a fruttare, nel terzo a maturare, nel quarto et ultimo a conservare. Il vino tra- mutato in quattro di torna in suo essere. La cenere fatta di vitalba conserva il vino che non inforzi; e che non pigli il fuoco, un vetro pieno d’acqua fresca che sia lungo mezzo brac- cio, cacciato dal cocchiume e ritto quivi dentro al vino, lo proibirà. E l'olio posto di sopra e la chiara d'uovo battuta con mele a discre- zione posta nel vino, lo conserva dall’ acetosità. Il vino che comincia a inacetire, passato per una sporta piena di sabbia o di terra, ben sec- cata al sole, sì sanificherà; et a far che l'aceto torni vino, mettasi nella botte semente di porri, 5SI o sopra il pertuso del cocchiume foglie di vite, spesso mutandole, con una pietra grossa posta sopr’ esse foglie. Fatto ancora un bossolo di cera e pieno di mele, messo da un sito soste- nuto, ma pure che vadi presso al fondo per il cocchiume, farà l effetto medesimo. Preso un legno di salcio e bucandolo tutto di quà e di là, si che non passino i buchi da un lato al- l’altro, et empiendogli di mele e zucchero e fasciando il legno con un panno lino che non possi uscire, poi messolo per il cocchiume alla grossezza d’ esso... e larghezza della botte, lasciandovelo stare tre di, poi cavandolo, lo farà ritornare come egli era prima. Ancora, preso il legno del salcio verde e levatagli la buccia e messo nella botte che a un palmo non tocchi il fondo, così in pochi giorni diventato buonissimo, si leva il legno. La radice del ca- volo pesta e messo nell’ aceto lo ritorna in vino. Ponendo del ferro sopra i cocchiumi delle botti e intorno a dove egli si mette, ossivero facen- dovi un cocchiume di ferro mesticato, e circon- dando ancora la botte di lauro, né i tuoni né le saette, le quali non passan mai più che... a far danno, gli daranno noia; e il lauro abbatte le saette, e il ferro è contrario ai tuoni. Il sale arso, gittato nel vino vecchio che non si guasti, e le mandorle dolci postevi lo conservano lungo tempo. L’' uve passerine cavatogli...., e così l’uve fresche ordinarie messevi dentro lo man- tengono. L'arena bagnata di mosto o sapa lo fa grasso e durevole, ponendosi nel vino; è di tanta utilità che lo conserva molto, il fico greco seccato al sole, e questo gettato nel vino. Alcuni 582 ammorzano nel vino le fiaccole accese o il ferro arroventato, e cosi lo conservano. Altri vi get- tano il frutto del cedro arso con la guscia arrostita, e così fan che duri. Tanto fa l’ incenso pontico arso et abbruciato, e la cenere dei sar- menti messa nel vino e delle ghiande arse. Seme di appio con semola d’orzo e foglie di lauro e cenere di sarmenti di viti con finocchio pestato, la farina della vezza bianca, posti nel vino, lo mantengono mirabilmente. Il latte e il mele mescolati insieme e posti nel vino fresco, il medesimo. La cenere dell’ ostriche, cappe e con- chiglie, lo conservano. Le radici delle viti poste nel vino fanno il medesimo. L' elleboro nero e bianco, postone un pezzo nel vino, lo purga e fa durare; giova a chi l’usa perché purga. Le radici nere arrostite et acciaccate fanno questo e parimente.... e la sapa mesticata col vino lo conserva... Il tartaro, cioè. gomma di botte, pestato e vagliato minuto, gettato nel vino lo fa bastevole.... E l allume di rocca tempera e leva la sua asprezza. Il ferro trito con sale arso lo fa durare, e la teda e ’1 seme di cece e la quercia ancora. Il vino cotto.... posto con bianco vino lo fa durare; e la ragia di pino, l’ erba [santamaria] ridotta in polvere, quando ha finito di bollire, lo rende.... Se metterai tre oncie di buona acqua di vite che sia di quattro cotte per ogni mastello di vino nella botte, lo con- serverai et accrescerà il sapore. E se in mastelli sei di vino si metterà due libbre d’argento vivo in una ampolla di vetro, chiusa con cera rossa o verde.... calata. sino a mezza la botte con uno spago accomandato al pertuso del coc- DS3 chiume, turando bene la botte, e secondo che il vino si bee, vedrai, calando l’inguastada di modo che stia sopra al modo del vetro, si con- salverà con maraviglia, per la freddezza del- l'argento vivo; e si può adoprare ogni anno et è sempre buono. Se quando lo [si] svina dal tino se ne prenderà due secchi, e si metteranno al fuoco in una caldaia, con una libbra di sale e cinque cotogni mondi interi e poi netti e tagliati sottilmente, e si faranno bollire si che levisi la schiuma schiumando bene; e poi levato dal fuoco si metterà nella botte così caldo, mezza secchia per botte di mezzo carro, e di un carro una secchia; e non venendo piena la botte, la si empierà del vino della tina e sì turerà bene, sì conserverà senza pari; et un fiasco di acqua di vite sopra un barile gettato lo conserverà. E quattro pugni di fiori di rame- rino, netti, pesti in quattro barili di vino, gli daranno un odor suavissimo, turando bene il cocchiume che non sfiati. Bollito che abbia il vino tre di, [se] imbottandolo vi si metta una libbra di sale per barile, sì farà più saporito e buono. E da avvertire che la maggior parte dei vini che si vogliono conservare, si tramutano nel fine della luna di marzo e poi si dà loro quella concia che altrui vuole per farlo bastare; o sale o acquavite o altro. Si può ancora anticipare il tempo, facendolo per San Martino, travasan- dolo dalla feccia dove [sta]. Il vino che sta per guastarsi o che si guasta o è.... si de’ tramutare in vaselli netti e di buon odore; ma il vino che sarà nero diventando da per sè bianco, in niun modo si risanerà. Ora ponendo.... al cocchiume 584 di una botte; quanti vi sono barili di vino dolce, filo.... spago, si che arrivino al fondo a un palmo, lasciatovi stare .... poi cavato, lo ridurranno che si potrà bere. Il vino che sia guasto o per gua- starsi, quando egli è guasto affatto, tramutalo in botte buona, poi mettivi ciriegie marasche secche in buona quantità, che lo faran bollire; e dopo questo o quando non bolle più e sia chiaro, tramutisi di nuovo in botte buona e sana. Ancora, raggirandolo dal cocchiume con un bastone, assai si correggerà. Indugiando assai a rischiararsi il vin bianco, mettinvisi dentro chiari d’ uova a discrezione, battuti bene insieme con sale; e nel nero i tuoni, le pietre bianche dei fiumi, fatte cacciare nel forno roventi che crepino, ridotte in polvere, risaneranno il vino. [Al] offeso da troppo caldo ponesi in fondo cenere fatta di sermenti di viti abbruciati; e fatta massimamente con granelli di finocchio spicciolato, lo sana. La sabbia tira la siccità al fondo e lo fa chiaro. Piglinsi foglie di .... mor- tella, fien greco, coccole di ginepro, orminio e gallitrico, e tutto bollito insieme con acqua, sì risciacqui la botte, poi vi si metta dentro il vino e sarà più qualificato. Posto un boccale di latte insalato nella botte di dieci barili, lo riduce e sana. L’allume di rocca, la calcina, il solfo, fatti in polvere, tutti risanano il vino; e postovi dentro polvere di tiglio azzurro vieta che non facci male. . Prendi per ogni mastello di vino muffato un...., mondalo e fendilo in mezzo levando via i semi, et infilza in spago con un sasso che lo affondi legato al cocchiume, e serrisi bene, che andrà via o [scemerà il| cat- 585 tivo odore. Le foglie e coccole d’ alloro, cotte in vino, messe nella botte, il vino lo faran buono. Pomi cotogni cotti alquanto e fessi in quantità pari, si che si tenghino insieme appic- cati al cocchiume, che non tocchino il vino, tireranno a sé tutta la muffa in pochi di. E dodici nespole sfesse, cacciate in un fazzoletto, che pendino dal cocchiume a mezzo il vino, tireranno a se la muffa; hanno a essere le nespole mature nella paglia e sfesse in quattro parti, e s hanno a lasciare ricoperte tutte dal vino per lo spazio d’ un mese, poi cavate; et ancora 1 nespoli acerbi, infilzati in quattro spaghi e posti nella botte, si che stiano ricoperti dal vino, faranno il medesimo in capo a un mese intero. Prendasi ancora tanto finocchio legato insieme, quanto possi entrare per il cocchiume, et attacchisi a uno spago, appendendovi una pietra, la quale lo tiri giù sopra la feccia un palmo, e turato il cocchiume che non traspiri; lasciato così per otto di, di poi cavato, non saprà più di muffa e acquisterà seto buono. Le coccole d’ alloro mature, bollite con vino in una pignatta e poste con questa nella botte, lo libe- rano dalla muffa in tre o quattro giorni; come ancora un sacchetto di foglie di salvia, messò dentro alla botte che non tocchi il vino, tura- tala bene, gli leva la muffa in poca d’ otta. Le botti non basta asciarle nelle doghe, ma bisogna fra lun convento e l’altro scavare di quà e di là il legno, facendone canali, sî che si levi via tutto ’1 sappiente di muffa; accanto, si facci fiamma nella botte ad abbrustolarla, e più appresso vi sì cacci dentro cenere di sermenti 586 con le sue bracie, e si rimescoli benissimo, poi vi sì metta acqua bollente, turando bene il cocchiume e rivoltolandola; e vi stia tutto, tanto che si raffreddi; dipoi si lavi bene tutta con acqua salata calda, e sanerassi dalla muffa. E tanto si può fare ai tini, coprendoli di sopra di panni grossi e stuoie. Ancora, abbrustolata che sia la botte e ripulita, vi si metta dentro cal- cina viva stemperata con l acqua, e rimescola- tala bene, si che scorra e vada per tutto, turato bene il cocchiume, si lasci fare la presa dentro, poi si risciacqui e lavi bene con. altra acqua calda, che lascierà la muffa et ogni cattivo seto. E di più empi la botte d’acqua pura e lascia- vela stare due di; poi cavatala, leva un fondo e raschia dentro bene tutto con ferro tagliente; fagli accanto rinchiusa una cenerata con acqua e cenere bollentissima, fregando per tutto con una granata; si cava ’l fondo e volta l’ aperta al sole per tre o quattro di, si che 1’ asciughi per tutto; poi piglia dei raspi scossi ben dal. l’uve fresche, et empila con essi e rimettigli il fondo, e per quattro di voltalo al sole; rimetti poi il fondo e gittavi dentro dell’ aceto bollen- tissimo, forte rotolando la botte, che vadi per tutto; poi cavalo; et in capo a quattro di empila al sicuro di vin buono, che sarà quivi senza difetto. Ancora, empiendo una botte d’acqua, et ogni due di mutandola tanto che lasci il cattivo odore, sì potrà poi similmente imbottar di vino. Facendo una bevanda con fortissimo aceto di salvia, rosmarino e garofano, e gettan- dola bollente nella botte, turando e rivoltolan- dola si che raffreddi cavata, gli lascierà buon È 587 seto e sarà dalla muffa sanata, avendola dopo ben risciacquata con acqua fresca salata. Ma nulla cosa è meglio a questi cosifatti difetti, che aver le doghe delle botti grosse et asciarle bene; o veramente, senza questo, vendemmiarvi due o tre volte dentro. Le botti si conservano benissimo, quando, sendosi beuto il vino, aprendo i conventi, allargando le doghe e sturando il cocchiume ..... avendo ben lavato tutto con l’acqua bollente salata, e lasciando star così in lato aperto fuor della volta al tramontano, sin al vin nuovo. Ancora si può votar tutta e risciacquare con buon vino, cavarlo, e ben turata dalla cannella e cocchiume, lasciarla stare. Altri mantengono il buon sito con lasciare nel fondo sino all’ altezza della cannella il buon vino che vi sia, e turato bene il cocchiume sin che si rimbotti, lasciar star così; e pol votata, et imbottando, leva il fondo alla botte, e radila benissimo con raditura di ferro, nettando con uno scarpéllo atto a ciò fra le doghe; poi abbrustola con fiamma di fuscelli secchi, e favvi poi vendemmiar dentro, in modo che l' uva avanzi al mosto ben di sopra; poi, come sarà svinato, rimettasi il fondo alla botte, e seccato et asciutto che sia, mettivi della calcina di galla stemperata con acqua, e rivolta la botte girandola attorno e dall’ uno e 1 altro fondo rivolgendola, sicché vadi per tutto e s' attacchi per ogni doga e tavola ..... facendovi dentro una buona crosta, la quale s° ha a lasciar sec- care et accanto empierla di buon vino; et in questo modo si canserà ogni cattivo odore di muffa, secco, o altro. Le botti avvezze a tenere 988 il greco, piene poi di un bianco naturale, lo migliorano e manterranno bene; e perché non si possono sfasciare, lasciandovi il fondigliuolo del vino buono, si manterranno. Altrettanto si faccia a quelle della malvagia et ai suoi botti- celli, ne’ quali forzando il vin bianco o la verdea che si fa, [riuscirà] una bevanda buona; o [riuscendo] aceto, si farà l’ aceto fortissimo; e senz’ altra cura non inforzerà ogni ..... bianco che dentro vi si metta, benchè la verdea e la vernaccia son pronte all’ inforzare, se già non si tenghino i botticelli di due, tre o quattro barili al più, e si tramutino almeno tre volte, due torbide et una chiara, nei vasselli della medesima tenuta, i quali s hanno a rivedere spesso e tener sempre pieni; e massimamente se siano i vasselli di legname nuovo, che ne succia assai. I vini forestieri gagliardi, grechi, malvagie, vin secco di Spagna e simili, non patiscono di star scemi..... Imperciò conviene, non avendo da riempiere le botti, attignerne almeno due o tre bicchieri il di, non volendo por tutta la botte a mano ..... et in questo assai più patisce ogni [vino] bianco che nero. Il pol- mone di capra arrosto, ..... prima, leva ‘1 noci- mento del vino; i cavoli crudi, 1 torsi e man- dorle amare, mezzo bicchiere d’olio beuto prima, e portar in capo una corona di zafferano, fa venire a fastidio il bere; le così) il darne a bere di quello ove sieno state anguille vive che vi abbin lasciato dentro le lor guaine, e l’ acqua che lacriman le viti tagliate mescolata co ‘1 vino, et i becchi delle rondini abbeverate ridotti in polvere, mescolati con quella di menta; e 989 così sì divezzano i Mori dal berne, e chiunque sì vogli generare nausea et abbominazione, mas- simamente non lo sapendo, chè ciò bisogna avvertire. Et a volere che un ubbriaco ritorni in se stesso, gettisigli all’ improvviso, comin- ciando dalla testa, una gran secchia d’ acqua fresca addosso, o vero dandogli bere dell’ aceto fortissimo; et i torsi di cavolo composti..... Gio- verangli ancora le grillande in testa posteli di varii fiori. Ma più di tutto, quello sopra [scritto], gettatogli sul capo scoperto che non se n° av- vegga; si come legando un matto al passar d’un ponte che passi sopra un torrente di nota- bile altezza, e gittandolovi dentro a un tempo che non possa pensarvi, talora lo guarisce dalla pazzia, se sia angolare e non circolare, perché quella la causano gli umori melanconici e questa una perpetua smania. È la vite di quasi perpetua vita, poiché del suo legname fu ritrovata in Popolognia una statua che avea più d'un migliaio e mezzo d'anni, et in Egitto fu una vite di grossezza quale avessero potuto due uomini aggavignare; né si può far botte di legname più accomodo a conservare il vin buono bene, che far le doghe di viti ben compaginate insieme; e ciò è pro- vato et approvato ('). Farassi in un prato et (1) Questa pagina che è la penultima, è compiuta colla ricetta seguente, scritta in carattere più minuto: « La gomma delle botti di buon vino massimamente fa cuocere le civaie, s' adopra a vernicare i piatti. Prendasi di aceto, di mel purgato cioè schiumato, uva passa 0 zibibbo o uva secca o cotta a. libbre 3; tartaro polverizzato 3. vi.; si fa bollire in acqua alla quantità d’ un barile, finché sia crepato il zibibbo e l’ acqua fatta rossa; lasciasi freddare; poi prendasi un altro barile di vin 590 r in un luogo umido una vigna in questo modo... da levante a ponente a dirittura .... disegnando il luogo e scavando .... e più profondo che tu potrai, discoste l’ una dall’ altra ugualmente, con lontananza di quindici piedi e le .... di nove; et il terreno che se ne caverà ammon- tisi tra lo spazio che sia dall’ una all’ altra fossa, accomodandolo in modo che la piegatura di questa collinetta fatta con mano sia verso mezzodì; quivi si piantino le viti, che reste- ‘anno sanificate dall’ umido. Per il contrario in un colle arido farai il prato in questo modo: [scavera1] una fossa lunga che non abbi pendio, ma che l acqua vi si fermi nella più alta parte, con gli argini pareggiati e posti in piano con la livella; et in questi condurrai l’acqua ove più viene, o da fontane o dagli scoli dei monti, e da quelli s' attuffi et inumidisca [il prato et ogni] cosa atta alla qualità del terreno che vi sia. E nei luoghi paludosi, volendo che cresca rosso, aggiugnendo tant’ acqua chiara, quanto basta a farlo suave; poi se gli fa la concia, pigliando tre uova et un pizzicotto di sale; si sbatta con acqua in un secchio con la scopa, si che facci gran schiuma; la quale subito si mette nel barile, con mescolarlo sempre. Questa sarà buona bevanda da durare la state venti di, il verno un mese. Ancora, prendasi delle radici di tormetilla, di bistorta, di vicetossico, di dittamo bianco, di cinque foglie, di ridoanica aî. dramme due e mezzo scordio manip.: mezzo bolo arm. oncia mezza, seme di acetosa, di coriandri. Preparasi di basilico aî. dramme 3, seme di cedro mondo dramme una e mezza, fronde di cardo santo dramme due, canfora dramma mezza, zafferano scropolo mezzo. L’erbe sì tagliano e l’ altre cose si pestano grossamente, e legate in tela di lino sottile candida e monda, s' infondano in otto libbre di buon vin bianco chiaro et odorifero per due di continui; poi levato il bottone e colato il vino, gli si gettan sopra sei once di sciroppo d’ agro di cedro; e si mescoli bene finché tutto s’ incorpori, e si serbi a berne un bicchiere per mattina contro alla peste ». «vm. TTo—— 591 una selva, lavorerai il terreno di estate ai gran caldi, estirpando ogni cespuglio dalle radici, et a primavera spargerai ghiande di rovere; dei quali [le] barbe asciugheranno quell’ umore, suc- ciandone il nutrimento; e resterà la selva sana, piena di quelle. Et ancora, adacquando quei luoghi con acque torbide pur che vi sì fermino, faranno una crosta sopra l’ altre acque che vi son sotto da sanificare il terreno e poter pian- tarvi. Quando si pianta una barbata, poni fra le sue radici assai elleboro bianco e nero, sotter- rando fra esse tutta la pianta; e fatta vite, darà l’uve solutive. Sono in Corsica alcune sorte di uve che si seccano in su le viti, ottime a man- giare; ma conviene, quando sono mezze mature, torcer loro il gambo del grappolo; et è zibibbo. E per far mosto corso alla greca, piglia mosto di uva bianca, fallo bollire fino a che manchi il terzo, dipoi metti a bollire a fuoco lento; piglia farina fine e mettila di sopra a poco a poco, mestando sempre il mosto a ciò che non s' appigli in giro; e mettivi tale farina quanta ti pare a bastanza, con anici dolci, cannella, spezie e simili spezierie; et anche sarà buono mettere in detto mosto cotogne a cuocere, a ciò che gli dia quel sapore; e quando ti parrà tutto cotto, mettilo in piatti, ché si assoda come . cotognata. E lo puoi serbare quanto ti piace. Ut Vedi Ai I COGI TIMIDI pet fo P7 e M9 Da SX Ù \ Dita h. 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Errata-corrige del trattato di Tea Lettera dell’Ab. Ubaldo Montelatici sull’ ir tura del Soderini . ia ORE Agricoltura del Sig. Giovan Vettorio Soderini Compendium de agrorum corporumque dimensione Petri Mariae Calandri ; Trattato della Coltivazione delle Viti e “aot frutto che se ne può cavare di Giovan Vettorio Sode- rini gentiluomo fiorentino br D4T ‘ DI ALTE i “MNT firmi Neg IL ode Job ogia Da NE Honivadi 4 Stili la adivtano PIRATE BRITA IT RR Aa Vulagpo) MI Asta - Sho? ofrottav sornnitt) <; Velino de dorsi. Mat Di . . ti x » i an » ie » * v AAA, Pu al mi, La iaimbhoB lei para ui Ph Re ; sei i 1 se Atenea lat caiglo i (483) ile invia RIS ILLE MISTE Lia (SA NSSET AO LRD OSS SOI) sold fab 0: oigrini RT, MICA: PLEASE DO NOT REMOVE CARDS OR SLIPS FROM THIS POCKET o —_ _T ee” UNIVERSITY OF TORONTO LIBRARY li i nn pioMed a pig a. 5 seri er vi afratite, ti $ die Hi p54 i OS A atri TAL ALivgtA siti e Divide poerdaie,t #0 8 ; SÙ! 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