É

I

LL.H E715C

IL CENTONE

DI

PROBA

E

LA POESIA GENTONARIA LATINA

STUDI

DI

FILIPPO ERMINI

ROMA

ERMANNO LOESCHER & C." (w. regenbbrg)

1909

ALLA SANTA MEMORIA DI MIO PADRE

•>

PREFAZIONE

Notevoli documenti ne' secoli quarto e quinto del- l' impero ci restano della letteratura centonaria latina, che, spesso imitazione erudita senza luce di fantasia e senza impeto d'affetti, non ha in certamente molto valore d'arte, ma serba pure un riposto significato sto- rico. È forse in essa V idtima solenne espressione di desiderio dei dotti verso V eredità augusta del passato, che nella mescolanza etnica dei popoli allora, col deca- dere della grande latinità, s'andava dileguando. Anche ne' centonisti cristiani una tale poesia rivela il conflitto tra il pensiero nuovo e l'antica forma, conflitto che ha caratteri così singolari, da poterne essere indagate con vantaggio le cause e le vicende.

Questo, insinuandomi nell'esame de' centoni latini, mi sono studiato di fare a ricomporre, se V opera non fu vana, una pagina poco nota della storia letteraria.

Roma, 10 aprile 1909.

F. E.

I.

Notizie sulla vita di Proba.

n cristianesimo nella sua famiglia. L'occasione

de' poemi e il fine morale

dell'opera letteraria.

Di Proba poetessa e autrice del centone vergiliano sul renesi e sugli evangeli ci sono pervenute scarse notizie, sicché lon è facile conoscere i fatti più notevoli della sua vita. Nel esto del poema ella stessa si nomina solamente Proba: « Arcana (t possi m vatis Proba ciincta referre » (1); e i codici manoscritti le' suoi versi per solito recano come titolo Versus Probae, Cento '^robae, Opus Probae matronae, Libe?' Cento Probae, Proba de (eptatico 0 heptateuco (2), senz' altra aggiunta dichiarativa, forse jerché son quasi tutti libri scolastici adoperati come testi nelle 'Cuole, quando Proba era autore ben noto agli studenti. Il iome Vetitia, che le appropriano alcuni codici (3), deve ritenersi ma corruzione della forma Anicia. E probabile tuttavia, se >'ha da argomentare dai nomi del padre e del fratello, che si chiamasse Petronia Proba, conservando il nome de' Petroni, innestatisi poi sul ceppo maggiore degli Anici, con cui più volte

(1) Probae cento recensuit et commentario critico instruxit C. Schenkl, in Corpus script, eccles. latinorum, voi. XVI, Poetae christiani minores, V. 12. Vindobonae, Tempsky, 1887.

(2) Cfr. Cod. Paris, lat. 7701 {già. 5519), f. 129'-140'; Palat. 1753, f. 62'; CaroliviU. 97, f. 41'-53'; Augien. 217, f. 158^-169'; Laudiin. 279, f. V-3\ V. anche C. Schenkl, Op. cit., pagg. 513-521.

(3) Cod. Yat. Eegina 1666, f. AV-W.

Notizie sulla vita di Proba.

77 cnstianesimo nella sua famiglia. L'occasione

de' poemi e il fine morale

dell'opera letteraria.

Di Proba poetessa e auti'ice del centone vergiliano sul Genesi e sugli evangeli ci sono pervenute scarse notizie, sicché non è facile conoscere i fatti più notevoli della sua vita. Xel testo del poema ella stessa si nomina solamente Proba: « Arcana ut possim vatis Proba cuncta referre » (1); e i codici manoscritti de' suoi versi per solito recano come titolo Versus Probae, Cento Probae, Opus Probae matronae, Liber Cento Probae, Proba de aeptatico o heptateuco {'2), senz' altra aggiunta dichiarativa, forse perché son quasi tutti libri scolastici adoperati come testi nelle scuole, quando Proba era autore ben noto agli studenti. Il nome Vetitia, che le appropriano alcuni codici (3), deve ritenersi una corruzione della forma Anicia. E probabile tutta^'ia, se s'ha da argomentare dai nomi del padre e del fratello, che si chiamasse Petronia Proba, conservando il nome de' Petroni, innestatisi poi sul ceppo maggiore degli Anici, con cui più volte

(1) Probae cento recensuit et commentario critico instnixit C. Schenkl, in Corpus script, eccles. latinorum, voi. XVI, Poetae christiaui minores, V. 12. Vindobonae, Tempsky, 18b7.

(2) Cfr. Cod. Paris, lat. 7701 i^à 5519), f. 129'-140'; Palat. 1753, f. 62'; CaroUvill. 97, f. 41'-53'; Augien. 217, f. 158'-169'; Laudun. 279, f. 1--3". V. anche C. Schexkl, Op. cit., pagg-. 513-521.

(3) Cod. Vat. Regina 1666, f. W-W.

Notizie di Pròba

si congiunsero in parentela (1). Nel codice palatino 1753 f. 62' del secolo ix o x, ricordato dal Reifferscheid (2), si legge : < Incipiunt indicula centonis Probae inìustrìs romanae, Aniciorum mater (tris?), de Maronis qui et VirgiìU Mantuani vafis libris praedicta Proba uxor Adelphy expraefecto urbis hunc cento(nem) religiosa mente, amore Christi, spiritn ferventi enucìiate defloravit*. Ma qui si confonde Proba, moglie di Adelfio, che fu appunto la poetessa, con la celebre Anicia Faltonia Proba, sua nipote, sorella di Olibrio, console nel 370, e moglie di Sesto Petronio Probo, console nel 371. A causa della fama di nobiltà e di morale grandezza di quest'ultima, lo stesso errore si ripete nel codice vaticano Regina 1666, che ha il titolo: Faltoniae Vetitiae Probae cìarissimae feminae vergiUocenton., ove i due primi appel- lativi si riferiscono all'altra Proba, lodata dai figli Anicio Pro- bino e Anicio Petronio Probo quale madre, figlia e moglie di consoli, quale ornamentum Anicianae famiUae serrandae, e Amnios, Pincios, Aniciosque decorans (3), detta dal primogenito Ermoge- niano Olibrio e dalla nuora Anicia Giuliana inliistrissima, san- ctissima et castissima (4), menzionata da Girolamo come omnium

(1) I nomi del padre Petronio Probiano e del fratello Petronio Probino inducono a pensare che anch'essa si chiamasse Petronia. Dopo Angusto la polinomia venuta di moda non fa rispettare gli antichi usi. Sebbene in generale derivasse nel terzo e nel quarto secolo dal padre il nome del primo figliuolo e dalla madre quello del secondo, qui il prenome Fai- toniiis, che ritorna nel figliuolo di Proba, non era forse ereditato da lei. Cfr. MOMMSEN et Marquardt, Manuel des antiquités romaines^ trad. p. G. Humbert, Paris, Thorin, 1892. La vie privée des Romains, t. I, pa- gine 28-29.

(2) A. Reifferscheid, Biblioth. patr. lat. ItaL, I, 307 e segg.

(3) Cfr. C. I. Z/., VI, 1755: « Aniciae Faltoniae Probae, fidei nobili- tatis antiquae, ornamento Anicianae familiae servandae ac docendae casti- tatis exemplo, consulum proli, consulum matri, Anicius Hermogenianus Olybrius v. e. consul ordinarius et Anicia luliana e. f. eius devotissimi filii dedicarunt »; e l'altra C. I. Z>., VI, 1754: « Aniciae Faltoniae Probae Amnios Pincios, Aniciosque decoranti, consulis uxori, consulis filiae, consulum matri, Anicius Probinus v, e. consul ordinarius, et Ani- cius Probus v. e. quaestor candidatus, filii devincti matemis meritis dedicarunt » .

(4) L' epigrafe è la seguente : « Aniciae Faltoniae inlustrissimae et sanctissimae, castissimae feminae Hermogenianus Olybrius v. e. consul ordinarius et Anicia luliana e. f. D. D. ». Cfr. C. I. L., VI, 1756.

Notizie di Proba

dìgnitatum et cunctae nohìlitatis in orbe romano, nomine inlustris (1), consigliata nelle sue lettere da Agostino, e di cui Ausonio esaltava il marito, perchè stirpis novator Amniae (2). E però i titoli d'iììu.sfri.s e di matrona, onde ne' codici è onorata 1' au- trice del centone per l' omonimia con la nepote, spettano invece a questa, che tuttavia anche nella dottrina storica di molti eruditi posteriori, perpetuandosi l'errore, andò contusa con la prima (3). A togliere però ogni dubbio giovano le parole d' Isidoro di Siviglia, che nel De viris ilhtstribm dice Proba uxo)' Adeìpliii proconsulis, foemina inter viros ecclesiasticos posita (4); e conferma nel De oì-igìnibiis che questa uxor Adelphii centonem ex Vergilio de fabrica mundi et evangeliis pienissime expressit (5). Ciò concorda con la notizia che si legge in alcuni codici del

(1) « Proba illa, omnium dignitatum et cunctae nobilitatis in orbe romano nomine inlustris, cuius sanctitas et in universos effusa bonitas, etiam apud barbaros venerabilis fuit, quam trium liboronim, Probini, Olybrii et Probi non fatigarunt ordiuarii consulatus ». Hiekonym., Epist., 54. Anche Ammiano Marcellino parla di questi Anici, parenti Proba, come di ambiziosi : tendentes ad avorum aemulationera satiari ìiunquam, Hist.^ 1. XVI, 8, 13.

(2) Carmina^ ep. X^^[, 2, 31 e segg. « Ad librum ut eat ad Probum » :

Qui Tincit aevi iniuriam, stirpis novator Amniae, paribusque comit infulis Aniciorum stemmata.

Più chiaramente Prudenzio dice del primogenito di lei {Cantra Symm., I, 554):

Olybriaci generisque et nominis haeres.

(3) Cfr. M. G. Vossius, De poetis lathìis, e. IV, f. 60 ; C. Baronio, Annales ecc/., t. IV, a. 396 ; I. Fontanini, De antiquiiatihus Hortae coloniae, Romae, 1708, 1. II, cap. 1 e segg. ; T. db Simeoni, Le due Probe in Gior- nale dei letterati di Modena^ a. 1692, pag. 247 ; M. Battelli, Dissertatio de sarcopJiago marmoreo Probi Anicii et Probae Faltoniae^ Romae, 1795. Cfr. anche Ephemeris eruditorum, Paris, a. 1694, e Mémoires de Trevoux^ a. 1708, pagg. 876, 1904 ; Giornale dei letterati d' Italia^ t. XXIV, 140 e segg. e I. A. Fabricius, Bibliotheca latina mediae et infimae aetatis, Florentiae, Barac- chi, 1858, t. I, pagg. 551-552. Anche I. Aschbach {Die Anicier und die rijmische Dichterin Proba, Wien, 1870, in Sitzungsberichfe der phil.-hist. klass. der k. Akad. der Wisseììschaft, LXIV) cade in errore sui prossimi congiunti della poetessa, e parimenti A. Ebert, Allgemeine Geschichte der Literatur dea Mittelalters im Abenlande, Leipzig, Vogel, 1877, voi. IL 2, e. 2.

;4) Hlsidori Hispal., De viris illustribiis, 22. (b) HisiDORi Hispal., De originibus, I, 39 (38).

8 Notizie di Proba

centone, che Proba fosse moglie di Alipio, scambiato senza dubbio con Adclfio. Ma una migliore designazione della persona si ha nelle parole premesse al testo del centone in un codice modenese del secolo x, ora perduto, proveniente dall'ab- bazia di San Benedetto di Polirone' presso Modena, che fu letto dal jMontfaucon e descritto nel suo Dlarium ifalicum. Ivi è detto : « Proba, uxor Adeìphii, mater Olyhrii et AUepii, cum Con- stantini (Constantii) hellum adversus Magnentium conscripsisset, comcripsif et hunc Jihrum » (1); con che sappiamo che Proba, moglie di Adelfìo, fu madre di Olibrio e di Alipio e che scrisse prima un poema sulla guerra di Costanzio contro il ribelle Magnenzio e poi il centone vergiliano, parafrasando alcune narrazioni della Bibbia e dei vangeli. E poiché i nomi del marito e dei figli sono noti nell'epigrafìa, è facile ricostruire lo stemma genealogico della famiglia.

Dalle iscrizioni s' apprende che Proba era nepote di Probo, console nel 310, figlia di Petronio Probiano, proconsole d'Affrica dal 314 al 316, prefetto del pretorio nel 321, console nel 322 e prefetto della città nel 331, e forse di Demetriade, che dalle parole di Girolamo, il quale la chiama proavia d' Olibrio, si può argomentare fosse sposa di Petronio (2), Era famiglia di grande cultura e di antica educazione classica, tanto che il nepote di Probiano, cioè Sesto Petronio Probo, potè dedicare a Teodosio i versi dell'avo, del padre e i suoi (3). L'atti- tudine ai buoni studi sembra ereditasse dagli antenati Proba,

(1) Diarum italicum, pag. 38. Cfr. C. Schenkl, Op. cit., p. ÒIB prooem.

(2) Cf. Symmach., Ep., 3, 31 ; C. I. L., VI, 1686; Chronogr., a. 329; Cod. Theod., IX, 42, 1 ; XI, 30, 5, 6. S. Girolamo parla di Olibrio con- sole « qui Demetriadis proaviae nobilitatem insigniorem reddidit Deme- triadis filiae perpetua castitate «, Hieron., Ep., 130, 3.

(3) Ci vien riferito da un epigramma che si legge nei migliori codici di Cornelio Nepote :

Ornentur steriles fragili tectura libelli : Theodosio et doctis carmina nuda placent. Si rogat auctorem, paulatim detege nostrum tunc domino nomen : me sciat esse Probum. Corpore in hoc manus est genitoris avique meaque : felices, domlnum quae emeruere, manus !

Vedi anche Bergh, Philolog.^ XII, 580 e 0. Seeck, Q. Aurelii Symmachi quae supersunt, in M. G. IT., VI, p. I, Berolini, Weidmann, 1883, pag. xcv, nota.

Notizie di Proba

la quale ebbe un fratello maggiore in Petronio Probino, console nel 341, prefetto della città dal 345 al 346, detto da Claudiano a titolo di onore avtis consulum, che sposò la sorella o la figlia di Amnio Manio Nicomaco Anicio Paolino (1). Marito della poetessa, che, pari al fratello, si chiamò forse, come avvertimmo, Petronia Proba, fu Clodio Celsino Adelfio, prima correttore o governatore dell'Apulia e della Calabria, poi proconsole e in fine prefetto della città nel 351. Secondo il Mommsen fu consolare in Numidia tra il 333 e il 337, e da Ammiano ci vien riferito che un certo Doro, già medicus scutariorum, al tempo di Magnenzio lo accusò in Roma di ambizione, ut altiora coopfantem (2). Di lui son ricordati tre figliuoli, Clodio Ermo- geuiano Olibrio, Faltonio Probo Alipio e Clodio Ermogeniano Cesario, detto anche Claudio, ma il terzo non sembra sia nato di Proba, perché nel codice modenese, osservato da IMontfaucon, son nominati come figli di lei soltanto i due primi, e però Ce- sario sarebbe stato fratello non germano, ma consanguineo degli altri due.

Il primo, Clodio Ermogeniano Olibrio, fu consolare di Cam- pania nel maggio 361, proconsole d'Affrica pure in queir anno, prefetto della città nel 368 e nel 369, prefetto del pretorio del- l'lUiria nel 376, prefetto del pretorio d'Oriente nel 378 e console nel 379; sposò Tyrrania Anicia Giuliana, fu padre dell'illustre Anicia Faltonia Proba e bisavo della vergine De- metriade (3). Dalla cronologia del suo ciu-sus honorum appa- risce chiaramente che Faltonio Probo Alipio dovette essere minore di lui per età, e invero occupò un ufficio, forse il vica-

(1) C. I. L., IX, 10; Cronograph., a. 354; Claudian., Panegyricus dic- fus Probino et Olyhrio considibus^ 29. Ausonio dice del figlio di Probo : « mixto resurgens sanguine, Probianoque atque Anicio », Ep.., XVI, 2, 83.

(2) C. I. Z/., IX, 1576 : « Clodio Celsino insigni et c[larissinio] v[iro], praestanti benivolentia auctoritate iustitia, corr[ectori] regionum duarum memorabili et praeteritorum iudicum exempla virtutibus omnibus supere- gresso, ordo splendidissimus Beneventane civitatis patrono dignissirao ». V. Chronograph., a 354 e C. I. L., VI, 1712: « Clodius Adelfius v[ir] c[la- rissimus], ex praefectis urbis uxori inconparabili et sibi fecit », Ammian., Hist., XXIII, 1, 4 e segg.

(3) C. I. L.. X, 6083, Fonuiis : « Quinto Clodio Hermogeni[ano] v. e. cons[ulan] Camp[aniae] ordo et popul[us] Formiatius patrono praest[an]- tissimo »; C. I. Z., VIII, 1860, Theveste, in arcu triumphali : « [Pro salutje

10

Notizie di Proba

riato d'Affrica, per cui aveva alla sua dipendenza il preside della Mauritania cesariense, nel 378, divenne prefetto della città nel 391 e fu padre di Probo, pretore nel 424 (1). Se si pensi che a persone di famiglia si illustre i maggiori uffici pubblici non dovevano essere contesi, specialmente in quel pe- riodo di decadenza, il trovarsi Clodio Ermogeniano fin dal 361 nelle maggiori magistrature, a cui Faltonio Probo Alipio non pervenne forse che nel 378, cioè diciassette anni più tardi, ci fa concludere che il primo era maggiore d'età dell'altro.

Da quanto abbiamo detto lo stemma genealogico di Proba può ricostruirsi nel modo seguente:

PROBUS consul a. 310

PETRONIUS PROBIANUS

consul a. 322 maritus Demetriadis (?)

PETRONIUS PROBINUS

consul a. 341

praef. urb. a. 346

SEX. PETRONIUS PROBUS

consul a. 371 maritus A. Faltoniae Probae

(PETRONIA) PROBA poetria

ANICIUS HERMOGENIANUS OLYBRIUS

consul a. 395

maritus Aniciae lulianae

DEMETRIAS (virgo)

ANICIUS PETRONIUS PROBUS consul a. 406

ANICIUS PROBINUS consul a. 395

d[oininomin] n[ostronim] Con[s]tanti ma[xi]mi vi[c]toris [semper Augusti et luliani] nobilissimi ac floren[tissimi Caesaris] Quintus Clodius Herm[o- g]en[ianus] Olybrius v. e. proc[onsul] p[rovinciae] A[fricae] v[ice] sfacra] c[ognosccns] patronu[s reipublicae] frorites duas a solo const[ruendas cu- ravit quae] infinitis ruderibus obplet[ae erant] »; C. I. L., Vili, 5334, Calamae: « [In]victissimo princi[p]i n[ostro] Claudio Iuli[an]o toto orbe tri[u]mfanti ampli(atori) [populi] Ro[mani] proconsuflatu] Clodi Hermo- [gen]i[a]n[i 0]ly[b]ri »; CI. L., VI, 1714, Romae : « Tyrraniae Aniciae lulianae e. f. coniugi Q. Clodi Hermogeuiani Olybri v. e. consularis Cam- paniae, proconsulis Africae, praefecti urbis, praef[ecti] praet[orio] Illyrici, praef[ecti] praet[orioJ Orientis, consulis ordinarli, Fl[avius] Clodius Rufus

V. p. patronae perpetuae ». Cfr. C I. L., VI, 1657,

(1) Cfr. SyjniACH,, Epist., VII, 66-71; Ambros., Epist., 80 e C. I. L.,

VI, 1185: « Domino nostro Fl[avio] Theodosio Augusto Faltonius Probus Alipius V. e. praef[ectus] urb[i]. V. 0. Seeck, Op. cit., pag. xcviii.

Notizie di Proba 11

Lo stemma genealogico del marito di lei è questo :

CLODIUS ADELPHIUS (?)

CLODirS CELSINUS ADELPHIUS duxit

!

I I

1 uxorem II (PETRONIAM) PROBAM

I

CLODIUS HERMOGENIANUS CAESARIUS

aut CLAUDIUS

praef. urb. a. 374

CLODIUS HERMOGENIANUS OLYBRIUS FALTONIUS PROBUS ALYPIUS coQsuI a. 379 praef. urb. a. 391

praef. urb. a. 368-9 |

maritus Tyrraniae Aoiciae lulianae PROBUS

I praetor a. 424

I I

ANICIA FALTONIA PROBA OLYBRIUS

consul Tusciae a. 370

Queste notizie circa i prossimi parenti di Proba ci danno modo di dedurre con sufficiente determinatezza l'età della colta donna. Pertanto se Clodio Ermogeniano Cesario, che è figliuolo di Celsino Adelfio, avuto non da Proba, ma da altra moglie, fosse, come crede il Seeck, il terzogenito della famiglia (1) e però più giovane di Ermogeniano Olìbrio e di Faltonio Alipio, sarebbe facile conoscere in quali anni Proba cessasse di vivere. Invero, Ermogeniano Cesario fu, come si rileva da un' epigrafe, proconsole d'Affrica e poi prefetto della città dal 374 al 375, cioè al tempo di Graziano imperatore (2). Or ammettendo che giungesse alla prefettura, che era ufficio pubblico insigne, tra i venticinque e i trent' anni almeno, sarebbe nato tra il 344 e il 349, quando Proba, secondo l'opinione del Seeck, doveva essere già defunta. Ma poiché essa scrisse il primo poema dopo la congiura di Magnenzio, cioè dopo il 353, e ancora più tardi il centone cristiano, tale ipotesi deve certamente rifiutarsi.

(1) Cfr. 0. Seeck, Op. cit., pag-g. xci, xc\aii.

(2) C. I. Z,., VI, 499, Romac : « Matri Deum magnae Idaeae summae, parenti Hermae et Attidi menotyranno invicto Clodius Hermogeuianus Caesariiis v. e. procons[ul] Africae, praefec[tusj urbis Romae, XVvir s[a- cris] f[aciiindis], taurobolio criobolioque perfecto xiiti kal. Aug. diis animae suae mentisque custodibus aram dedicavi!, d[onìino] nfostro) Gratiauo Aiig[ustoJ ter et Aequitio conss. >. V. 0. Seeck, Hermes, voi. XVIII, pag. 298.

12 Notìzie della famiglia

Si può al contrario meglio supporre che Ermogeiiiano Cesario fosse maggiore d' età di Olibrio e di Faltonio Alipio e frutto d'un matrimonio d'Adelfio, precedente quello con Proba. Ciò conferma l'iscrizione, da cui si deduce che Ermogeniano Cesario era di religione pagano e appunto uno dei XV viri sacris fa- ciundis, che era stato iniziato ai riti mitriaci del taurobolio e del criobolio e li aveva compiuti, tanroboìio crioboUoque per- fecto (1). Or è perciò facile credere che anche Celsino Adelfio, padre di lui, fosse da prima pagano e si convertisse al cristia- nesimo forse per l'esempio e per le esortazioni di Proba, sua seconda moglie, anch'essa di pagana divenuta cristiana (2). Un'altra epigrafe accenna all'erezione di un'ara e di una statua a Venere Placida per cura di Tyrrania Anicia, forse la moglie d' Ermogeniano Olibrio, e questo potrebbe essere avve- nuto 0 prima delle nozze di costei o prima almeno della con- versione di Proba (3). Sembra ad ogni modo agevole ammet- tere che il cristianesimo sia entrato nella famiglia di Clodio Celsino Adelfio per opera della poetessa, e perciò anche la certezza del paganesimo di Ermogeniano Cesario ci fa giusta- mente concludere che egli fosse il maggiore dei figli di Adelfio, nato cioè nel tempo in cui tutta la famiglia professava ancora il pohteismo. Se questo può ritenersi quasi accertato, a de- terminare l'età di Proba giova togliere argomento dalle ma- gistrature esercitate dal suo primogenito Clodio Ermogeniano Olibrio. Fin dal 361 egli entrò nel cursus honorum, forse con dispensa dalle magistrature minori, come consolare di Campania e proconsole d'Affrica, e per giungere alle pubbliche magistra- ture doveva aver superato l'età di diciotto anni, ossia esser nato almeno, per scegliere la data più bassa, nel 342 (4). An-

(1) C. I. L., VI, 499, ep. cit.

(2) Cfr. Cento, 8, 20-23.

(3) C. /. Z/., VI, p. V., 665: « Tyrrania Anicia aram et signiim Veneri Pla(cidae) sua pecunia dd. dedicavit xiiii k. lun. C. Claudio et M. Per- penna coss. ».

(4) Difficile è poter determinare con certezza nel secolo quarto quale sia r ordine delle magistrature esercitate da una persona e in quale età questa vi sia pervenuta. Le antiche leggi sul limite d' età e sull' ordo magistratuum non avevano allora che scarso valore a causa delle frequenti dispense. Al tempo dei primi imperatori della casa Giulia e Claudia

Il cristianesimo nella famiglia 13

che supponendo che la madre lo desse alla luce giovanissima, cioè di circa vent'anni, conviene sempre porre la nascita di Proba non dopo il 322. D'altra parte Clodio Celsino Adelfìo, come padre di Ermogeniano Cesario, doveva essere di non pochi anni maggiore della moglie, cioè nato circa il 310, e si può credere morisse circa il 379 perchè l' epigrafe sul sepolcro del figlio Clodio Ermogeniano Olibrio, che apparisce per 1' ul- tima volta nelle magistrature quale console appunto in quel- l'anno, e che forse cessò di vivere tra il 380 e il 385, è dedi- cata a lui non dal padre, ma soltanto dal fratello Faltonio Probo Alipio (1). Pertanto, se Ermogeniano Olibrio finì di

vivere circa il 385, e il padre Celsino Adelfio prima di lui, circa il 379 e il 380, è da concludere certamente che Proba, premorta al marito, che le dedica 1' epigrafe, quale uxori incon- parahiìi, e che circa il 360 componeva il centone vergiliano, cessasse di vivere intorno al 370 (2). Queste due date della nascita e della morte, 322 e 370, non sono del tutto certe, ma molto probabili, e si comprende da esse meglio come il libra- rius, che circa il 395 scriveva innanzi al centone la dedica ad Arcadie, ed il papa Gelasio che circa il 492 lo registrava tra i libri apocrifi, parlassero di Proba appena ricordandola quasi persona nota e celebre per i suoi scritti, ma di tempo già lontana (3). Senza dubbio, oltre il pregio dei versi e le cause

s'usò conferire il consolato a vent'anni ai principi destinati a succedere nel potere pubblico ; e più tardi le famiglie nobili ebbero di consuetudine la dispensa da tutte le magistrature inferiori o da alcune soltanto. Ad ogni modo prima dei diciotto anni non era possibile conseguirne. Cfr. Th. MoMMSENf, Z/C droit public rom,aìn, in Manuel ci' antiquités romaines, t. II, pagg. 224-240, ed. cit., Paris, Thorin, 1892.

(1) C. I. L., VI, 1713, Romae in Capicolio : « Q. Clodio Hermogeniano Olybrio v. e. fratri admirandae pietatis Faltonius Probus Alipius v. e. ».

(2) C. I. L. VI, 1712: « Clodius Adelphius v. e. ex praefectis urbis uxori inconparabili et sibi fecit », ep. cit.

(3) Cfr. in C. Schenkl, Cento ed. cit., pag. 568 e prooem.^ pag. 515; Gelasti, Decretum, in Mignb, Patr. lat. LVIIII, 162 e 179. Oggi il De- cretum è ritenuto spurio nella forma in cui ci è giunto. Cfr. A. Thibl, De recipiendis et non recipitndis libris, Brunsberg, 1866, e I. Friedrich, Ueber die Unechtheit der Dekretale « De ree. et de non ree. libris > d^.s* Pap- .ftes Gelasius I in Sitzungsberichte der k. buyer. Akad. der Wissenseh., Miinchen 1888, I. 54-86.

I-i // cristianesimo nella famiglia

che in seguito ne resero comune la conoscenza, la fama di Proba resistette al tempo anche per il grande nome che godeva la sua famiglia, nella quale, come scriveva Claudiano :

qiiemcumque requins hac de stirpe virum, certuni est de consule nasci (1) ;

e appunto per ciò il ricordo della nobiltà e della grandezza degli Anici si conservò fin oltre il tempo di Gregorio I, come attestano numerosi monumenti ne' vari fondi che essi posse- devano in Italia. L' opinione che Petronia Proba avesse i na- tali in Orte, appunto in uno di questi vasti tenimenti, non ci è dato poter accertare, riuscì a recar validi argomenti a prova di ciò il Fontanini, tutto inteso a rivendicare all'antica Horta colonia questo vanto.

Ma che la poetessa del centone fosse prima adoratrice dei numi e poi si rendesse cristiana sembra possa raccogliersi dalle sue stesse parole. Narra invero di nel prologo d' avere scritto un poema sulla congiura di Magnenzio, che le costò lunga fatica:

semper equos atque arma virum pugnasque canebam et studio incassum volui exercere laborem (2).

Era forse una narrazione epica di modello classico, divisa in più libri, con lusso d'erudizione e di stile, composta non sappiamo a favore di chi, per celebrare guerre crudeli, eserciti fratricidi e armi macchiate del sangue de' congiunti. Ella confessa d'aver errato correndo dietro a fiera musa e, do- lendosi della sua colpa, afferma che pur il ricordo basta ora ad affliggerla:

regnm crudelia bella cognatasque acies, pollutos caede parentum insignis clipeos nuUoque ex hoste tropaea,

(1) Panegyricus dictus Prob. et Olyhr. consulibus, 13,

(2) Cento, 48-49.

L'occasione dei poemi 15

sanguine conspersos tulerat quos fama triuraphos, innumeris totiens viduatas civibus urbes, confìteor scripsi : satis est meminisse malorum (1).

Da questi versi lo Schenkl argomentò opportunamente che, componendo il poema, Proba fosse ancora pagana, nondum sacra antiqua abiecerat (2). Pertanto il significato ne sarebbe che essa, piena la mente di glorie profane e abbagliata dalla grandezza dell'impero, aveva lodato in quegli esametri il va- lore delle armi romane ; ma poi, conosciuta la verità della fede cristiana, aveva compreso che l'ingegno umano deve elevarsi a cose più nobili, e del fallo s'era pentita. Si direbbe dun- que la sua una colpa di vanità. Tuttavia il senso può essere anche diverso, e Proba aver voluto esprimere o che l'avveni- mento di quella guerra di tradimenti e d'insidie dell'ambizioso Magnenzio contro i figli di Costantino non meritava l'onore dell' epopea, o che essa narrandola aveva parteggiato per l' usur- patore esaltando l' iniquità contro la giustizia e contro il diritto.

In qualunque modo s'intendano i versi, certo è che in lei tutto ormai è mutato nell' ispirazione e nel pensiero, e che gli argomenti profani non l'allettano più:

non nunc ambrosium cura est mihi quaerere nectar, nec libet Aonio de vertice ducere musas (3) ;

e chiama vano^ errore la religione antica e i suoi riti :

non mihi saxa loqui vanus persuadeat error laurigerosque sequi tripodas et inania vota iurgantesque deos procerum victosque penates (4) ;

ma è paga, senza cercar lucro e fama, rivestire co' versi di "Vergilio i doni pietosi di Cristo agli uomini, quasi fingendo

(1) Cento, 3-8.

(2) Ivi, prooem.^ pag. 514

(3) Ivi, 13-14.

(4) Ivi, 15-17.

16 II fine morale

che il poeta antico abbia prestata l'arte sua per alto argo- mento :

Vergilium cecinisse loquar pia muuera Chrìsti (1).

Anche un altro luogo del centone chiaramente accenna al rinnovamento cristiano di Proba. Dopo aver narrato il bat- tesimo di Gesù per opera di Giovanni sulla riva del Giordano, ella prorompe in un' esclamazione di gioia, e afferma con frasi evidenti che nel tempo passato non aveva speranza di rivedere l'antica patria, cioè il cielo, e d'acquistare la libertà e la sal- vezza. Ma il Signore ben rispose alle sue preghiere, ne puri- ficò V aetherium sensum, cioè l'anima, e la riammise nel cielo:

nec mihi iam patriam antiquam spes lilla videndi, nec spes libertatis erat, nec cura salutis. hic mihi responsum primus dedit ille petenti, concretam exemit labem purumque reliquit aetherium sensum meque in mea regna remisit (2).

Ed è tanto grata a Dio della fede, che continua con fervore, quasi profferendo un voto :

illum ego per fiammas agerem, si Syrtibus exul, per varios casus, per mille sequentia tela, quo res cumque cadent, unum prò nomine tanto exequerer strueremque suis aitarla donis (3).

Forse il ricordo del proprio battesimo ricevuto in que' giorni, quando la prisca fides accendeva il cuore de' fedeli nelle comu- nità cristiane, le ha ispirato questi versi di preghiera e di gratitudine, in cui palpita un vivo affetto, e si scorge l'imma- gine reale d'un fatto per lei caro e solenne.

(1) Cento, 23.

(2) Ivi, 417-421.

(3) Ivi, 422-425.

Il fine morale 17

Sicché sembra che il centone sacro sia stato scritto per fare ammenda del primo poema. Ma se il dire che ora non ricerca l'eleganza dell'antica musa, e il suo disprezzo dei miti e degli oracoli non basta a provare che rinunciasse al paga- nesimo da adulta, perchè potrebbero questi tratti accennare ad un'indifferenza o noncuranza religiosa, da cui si sarebbe poi riscossa, rivelano chiaramente la conversione morale i versi:

quae sitiens hausi sanctae libamina lucis hinc canere incipiam (1).

Siffatta sete della verità cristiana, sentita viva anche in mezzo all' errore del politeismo, e' induce a pensare che Proba non fosse istruita da bambina nella nuova religione, ma la conoscesse col fervore di neofita, quando l'età e la cultura della mente l'avevano già resa atta a comprenderne tutto il valore. Un sentimento di fede sincera anima in vero i versi, e nella frase vergiliana, sovente inopportuna, s' avverte la pro- fonda commozione della poetessa, sempre umile e trepidante d'aver toccato un alto argomento. alla sua modestia contraddicono le parole della seconda invocazione:

temptanda via est, qua me quoque possim

tollere humo et nomen fama tot ferre per annos (2) ;

scritte più per abitudine d'imitare che per proposito efficace, ma conferma invece l' interna ispirazione F ultimo tratto. Qui si prega Dio a consacrare con la sua presenza l'annua festa dell'ascensione al cielo, s'invitano i cristiani ad accorrere al rito sacro, e Proba conclude rivolgendosi allo sposo Celsino Adelfio e sperando che i nepoti suoi si manterranno fedeli alle leggi dei vangeli :

i, decus, i, nostrum tantarum gloria rerum, et nos et tua dexter adi pede sacra secundo

(1) Cento, 21-22.

(2) Ivi, 336-337.

18 II fine morale

annua, quao differre nefas. celebrate faventes huuc, socii, moreni sacrorum : hiinc ipse tenete, o dulcis coniunx, et si pietate mercmur, hac casti maneant in religione nepotes (1).

Gli ariani, allora potenti anche per la protezione del timido Costanzio, negando la divinità di Cristo, si rifiutavano di cele- brarne le feste commemorative. Ma la pia donna chiede fervidamente a Dio che il marito non si lasci adescare dalla falsa dottrina e si conservino puri dall' eresia dominante gì' in- nocenti nepoti. A dir vero, a giudicare dal fer\ido affetto, con cui sono scritti questi ultimi versi sull'ascensione, e dalle parole : celebrate hunc morem sacrorum, dirette ai i)arenti e agli amici, potrebbe sembrare che queUa festa e quel rito fossero particolarmente cari a Proba o perchè quel giorno era avve- nuta la conversione morale dell'animo suo, o perchè in quel giorno aveva ricevuto il battesimo. Ma l'allusione è si vaga, che sarebbe inutile congetturare oltre.

Il Seeck annotando i versi con cui il librarius dedica ad Arcadie il centone, trascritto da lui, osserva che ex his igitur versibus de Próbae aetaie nihil concludi potasi (2). Ma se non

da questi, dalle parole deUa' poetessa e dalla successione delle magistrature esercitate dai figiiuoU di lei è stato possibile di- mostrare in quali anni vivesse e componesse il centone la ce- lebre donna. Ricerca certamente non vana, quando si pensi alla fama dell'opera sua tra i contemporanei e tra gli studiosi del medio evo, e quando si ricordi che, rispetto a questa, il tempo può avere una singolare importanza letteraria, poiché Proba si trova tra que' primi poeti cristiani, che con ardita prova vol- lero che r arte antica recasse l' omaggio deUa sua bellezza alla religione nuova.

(1) Cento, 689-694.

(2) 0. Seeck, Op. cit., pag. xcvi.

II.

/ centoni neW antichità classica,

L' imitazione epica e gli omeristi latini. I centoni omerici.

Metrica e stilistica del centone. Le regole d'Ausonio. I centoni

latini, n culto di Vergilio ne' pnmi secoli dell'impero.

Esercitazioni vergiliane. I centoni vergiliani.

La parola cento, come in greco xsvxpwv e xévto'jxXov, ebbe nell'antica lingua latina e nell'uso del popolo romano significati diversi, i quali però piuttosto che alle cose, si riferivano al modo, sempre simile, con cui erano formate o composte. Da prima centone indicò una veste volgare e vile, cucita con liste 0 toppe di vari panni e di colore differente, di cui i poveri e i contadini solevano coprirsi (1). La ricorda Catone avvertendo che non poneva mente a quanto i servi potessero nascondere sub centone, e osserva che, quando ai servi rustici della cara-

(1) Cfr. SuiDA, in Lexicoti ad v. xsvcpcDv; Eustath., Ilias^ XXIII, 419, p. 1308, 60 e X^^I, 156, p. 1099, 51; Schol. Aristoph., Nub. 450; Etym. M. p. 503; Tzetzes, Chil. VIII, 118; X, 92; Forcellini-De Vit, Totius latinitatis lexicon., alla voce cento : « vestis strag-ula crassior et vilis ex variis pannis veteribus ac diversis coloribus consuta, qua pauperum lecti steniuntur et ipsique pauperes et rustici amiciuntur » ; Ch. Darem- BERG et E. Saglio, Dictionnaire des aìitiquités, Paris, Hachette, 1887; E. De Ruggiero, Dizionario epigrafico d'antichità romane.^ Roma, R. Accademia dei Lincei, 1886. V. anche G. Fontanini, De anfiquitafibus Hortae, ed. cit., e. 4 e 5. Significati diversi ebbe il centone ne' tempi posteriori: V. Du Gange, Glo.ssarium mediae et infimae latinitatis^ voc. cento, e E. A. Sophocles, Greek Lexicon of the Roman and Byzantine Periods, New York, Ch. Scribner's Sons, 1893; Paulys, Real-Encyclopiidie der classiscìien Al- tertumsivissenschaft, Stuttgart, Metzlerscher Verlag, 1899, VI, 1929 e segg.

20 I centoni neU' antichità classica

pagna si dava una tunica o un sago nuovo, prima s'obbliga- vano a restituire il vecchio per farne i centoni, unde centones fìant [\'). Che poi specialmente questi centoni, quali vesti spregevoli, fossero indossati dagli schiavi addetti ai lavori della campagna sembra rilevarsi dalle parole di Columella, che nota giovare le pelli con maniche fatte co' centoni o i sai col cap- puccio a guardar la fam'dia rustica dal vento, dal freddo e dalla pioggia (2). E perciò appunto una delle occupazioni dei servi, soprattutto nelle ville romane, era quella di mettere in- sieme i brandelli di stoffa, sarcire centones; e di cucirli, s-tiere centones (3). vSi chiamarono pure centoni le coltri o coperte dei letti, forse perché nelle case plebee erano fatte di avanzi o rita- gli di panni usati. Così Macrobio accennando ad uno scherzo ordito da Tremellio contro un villano, narra che egli pose il cadavere d'una scrofa sotto i centoni, su quali nel cubicolo la moglie sua riposava, sub centonibus collocai, super quos uxor cu- babat (4). Parimenti avevano nome di centoni le coperte o le stuoie che si gettavano sul dorso de' cavalli e de'muK a rendere più agevole il cavalcarli, o ad impedire l'attrito del basto sulla pelle, e che spesso erano imbottite di lana o di stoppa, come nota Vegezio, per le spedizioni militari. Non di rado ne usa- vano anche i pescatori a deporvi sopra la pesca (5).

Altro significato, che ebbe la parola, fu quello di tenda, che si lasciava cadere sulle porte per impedire il passaggio dell'aria, o che giungessero nella stanza i rumori; e Petronio a proposito dice che, giunti gi' invitati in un luogo più segreto della casa, una vecchia serva tirò la tenda, aniis urbana cento- nem reiecit; e in simile senso adoperano il vocabolo Marziale e Giovenale (6). Ma più notevole è il valore che acquista la pa- rola negli usi militari e presso gii scrittori di cose di guerra,

(1) De re rustica, 2, 10, 11, 59, 135 e in Festo alla voce prohibere.

(2) De re rustica. 1, 8: « Vestitam familiam magis utiliter, quam deli- cate habeat; munitamque a vento, frigore, pluvia; quae cuncta prohibentur pellibus manicatis, centonibus confectis vel sagis cucullis ».

(3) Cato, De re rustica, 2; Lucil., presso Nonio, 2, 818.

(4) Satumalia, 1. I, 6, 30; Senec, Ep., 80, 8; Iuvekal., Sat. VI, 121.

(5) Plin., Hist. natur., IX, 84; TiT. Liv., Hist., VII, 14; Veget., Vet., 11, 59, 2; Edict. Dioclet., VII, 51, 22.

(6) Satyricon, 7; Martial., Epigr., I, 35; Iuvenal., Sat., 1. e.

I centoni nell'antichità classica 21

per i quali centone è un vile drappo, formato di molte toppe d' altri panni e che s' adopera specialmente, se bagnato nel- l'aceto, ad estinguere il fuoco o ad allontanare il pericolo d'un incendio. Per tal guisa le poppe delle navi si ricoprivano di centoni, aceto madefacti; Cesare ricorda nelle sue guerre che si stendevano i centoni sui ripari per far si che i dardi lan- ciati dalle macchine non portassero danno; e Ulpiano numera tra i mezzi usati ad estinguere un incendio 1' acetum e i cento- nes (1). Sovente però i soldati si servivano di questi drappi a vario uso, ora foggiandone ^q' pilei o berretti, che mettevano sotto l'elmo per non essere molestati sulla pelle dal contatto duro del ferro, come narra Ammiano, ora cingendoli come cor- petti sotto la corazza allo stesso fine, o, dopo spogliata la co- razza, per refrigerarsi (2). Finalmente si disse centone anche un puJvinar o guanciale e un fiUriun che fosse composto di li- quori o d'erbe diverse (3). Lo stesso significato ha la voce cen- tunculus, diminutivo di cento, che sovente indica una veste o una coperta, e appunto nel teatro furono detti centuncuU quei mimi che erano vestiti d'una casacca a liste o toppe di vari colori, come Zanni o Arlecchino (4). Da cento si derivò cen- tonarius, o vestiarius centonaritis, il fabbricante o il venditore di centoni, qui centones vendi f ant consuit (5); e copiose epi- grafi ricordano simili commercianti in molte città d' Italia, i quali costituivano collegio e avevano ufficiali e militi. In alcuni luoghi erano associati co' fahri e co' dendropìiorij e ave- vano con essi la cura di spegnere gì' incendi (6) ; e non di rado si trovano anche nominati nella stessa categoria co' dolohrarii, con gli scalava e simili artigiani (7). Soltanto nell'Affrica e nella Britannia mancano i coUegia cenfona rioni m (8), e in una sola

(1) SiSENNA, presso Nonio, II, 177; I. Caesar., De bello civ., II, 19, III, 44; Vbget., De re mìL, IV, 15, 23; Ulpian., in Z%., XXIII, 7, 12. « Acetum quoque, quod incendii causa paratur, item centoues ».

(2) Hist., XIX, 8, 8; I. Caesar., De bello civ., III, U.

(3) Cfr. Du Gange, Glossariuìn , alla voce cento.

(4) Senec, Ep., 80.

(5) Codex theodos., XIV, 8, 1; X\^, 10, 20.

(6) E. De Ruggiero, Diz. ep. cit., alla voce centonarìus.

(7) Cfr. Stewech, Ad Verg., 167 o. p. 420; Orelli, Li.script., 4297.

(8) E. De Ruggiero, Diz. ep., 1. e.

22 / centoni dell'antichità classica

epigrafe sepolcrale, scoperta in Roma, ove si legge di Attalus cen- fonanm a turre Mamilia, si fa menzione del luogo in cui uno di questi commercianti aveva la bottega (1). Più conosciuti ancora erano i centonari, che seguivano con gli altri militi tecnici l'esercito in guerra, ai quali accenna il codice teodo- siano. A costoro era commesso di fornire e preparare i centoni a difesa delle gallerie d'assedio, delle macchine e delle navi.

Da questi vari significati reali la parola passò ad esprimere fatti morali; e poiché centone era una mescolanza o un com- plesso di cose cozzanti o diverse, spesso con esterno e sforzato vincolo d'unità, sarcire centones valse fin nell'antica commedia di Plauto quanto dir menzogne o infilar false storielle. Ma più tardi la stessa voce fu largamente usata a denotare un poema, in cui l'autore si proponeva di scrivere d'un suo argomento, adoperando solamente le frasi, le parole, gli emistichi o i versi d'un altro poeta, che per fama d'arte fosse degno d'essere imi- tato. Così i centonari, che erano venditori di cenci logori e di vesti dimesse, divennero una categoria di poeti. Tertulliano, toccando appunto de' centoni omerici, tanto di moda a' suoi tempi, scrive che erano poesie, composte di frasi del poeta greco, tolte qua e dalla sua epopea : « Homerocentones, qui de carminihus Homeri propria opera, rtiore centenario, ex multis hinc inde compositis, in unum Harciunt corpus » (2). E, dopo di lui, in età già tarda, Isidoro di Siviglia ripete il medesimo, os- servando che ormai la parola era da un pezzo accolta nella dottrina dai grammatici.

Ad ogni modo il centone deve considerarsi come una forma d'imitazione letteraria, anzi è la forma in cui l'imitazione si mostra più minuta e quasi accurata fino allo scrupolo. Ogni autore s'imita per appropriarsi in parte almeno que' pregi che la fama gli riconosce, e però un' attitudine simile d' ingegno, un'ammirazione affettuosa o un desiderio di partecipare alla sua gloria spronano sovente gli artisti minori su le tracce di chi con felice successo li precedette. Ma anche nell' imita-

(1) Cfr. Bollettino della Commissione archeologica municipale di Roma, 1888, p. 398.

(2) De praescript., e. 39.

/ centoni dell'antichità classica 23

zione si procede per gradi, e l'ingegno e il criterio artistico segnano certi confini; sicché altri s'appagherà di togliere al suo esemplare il pensiero o lo scopo civile, altri l'immagina- zione artistica e lo stile. Quando tuttavia la grande arte de- cade, e l'attctto agli artisti ammirati da tanti secoli non scema, non v' è più luogo a distinguere o a scegliere, e si rapisce al- l'antico tutta la ricca spoglia d'oro per coprirne il pensiero nuovo: d'onde l'origine del centone. Nella letteratura latina a questo termine non si giunse, a giudicare dai documenti che ci restano, che sul declinare del secolo secondo dopo Cristo; prima però che il centone divenisse forma comune, l'emula- zione degli epici maggiori non era mancata. Appena la cultura ellenica s'insinuò nella società romana, Omero, il poeta sovrano, fu innanzi agli altri, l'autore più conosciuto e imitato; di guisa che gli omeristi, già noti in Grecia come continuatori delle tradizioni omeriche e come declamatori dei versi dell'antica epica, s' introdussero presto nel territorio romano, e qui si dis- sero tali non solamente quanti ripetevano o declamavano versi 0 quanti rappresentavano da attori in teatro, saìtahant, i fatti e gli episodi dell'Iliade e dell'Odissea (1), ma anche tutti gli scrittori, che ispirandosi all'opera d'Omero, ne traducevano li- beramente in latino i luoghi migliori o lo imitavano nei loro poemi latini; sicché gli omeristi furono i precursori dei poeti centenari. Tra i primi, nel sesto secolo di Roma, degni di ri- cordo, Livio Andronico interpretò VOdyssaea, Cneo Matio scrisse V lìias e Cneo Nevio, un poema sull'impresa di Cipro, di cui ci giunsero scarsi frammenti (2). Più tardi anche Cicerone nella

(1) Macrob., Satur. II, 7 ; Apulei., Met. 10, 29.

(2) Di Livio Andronico narra Gellio, Noci. Attic.^ XVIII, 9, 5: «Of- fendi in bibliotheca Patrensi libriim verae vetiistatis Livii Andronìci, qni inscriptus 'OStioasia, in quo erat versus primus : virimi mihi, Caména, in- secé versùtum » . Di Matio lo stesso Gellio dice che era vir docfus {Noct. Attic, VII, 6, 5). Di Nevio efr. Pbrsii, Satyr., I, 50; E. Klussmann, Cn. Naevii poetae rom. vifam descripsif, carminum relUqiiias coUegit, poesis ratìmiem exposnit, lenae, 1843; Paulys, Real-Eucyclop.^ ed. cit., II, 2161 e seg-g. ; I. C. Wernsdorf, Homerìstae latini eonimque frogmenta, in Poetae latini minores^ Helmstadii, 1780-99, toni. IV, pp. .566-068 f. ; M. Scuanz, Geschichte der rdmischen Literatur bis zum Gesetzgebimgsiverk des Kaisers

24 L'imitazione epica

sua gioventù tentò saggi di poesia omerica e Attio Labeone tradusse in latino Omero, mentre Macro, ben diverso da Emilio Macro di Verona, attendeva ad un poema De hello Troiano, in cui narrò quanto aveva preceduto e seguito l'Iliade, e che fu noto col titolo anche di Antelioiìierica e Posthomenca (1). Ome- risti di fama, di cui fa cenno Ovidio, furono Camerino, autore d'un De rebus homerkis, o Antehomerica, e Largo, autore d' un poema Antenorea, che aveva per argomento la venuta d'An- tenore in Italia, ricordato anche da Vergilio, e Lupo, forse Ru- tilio Lupo, si rifece alla guerra troiana per narrare il ritorno di Elena e di Menelao dopo la caduta della città (2). Nel primo secolo dell' impero Tuticano e Antonio Rufo riprodussero in versi r Iliade, Levio compose un' Ilias Cypria, seguito da Verace e da altri, di cui non ci furono conservati i nomi (3). Poco ap- presso si provava ad un poema sull'incendio di Troia nel suo Trolae halosis Petronio Arbitro, forse in gara con Nerone stesso, che sperò fama poetica dal suo Troiae halosis in giambi o dal Troicon libri, che non sappiamo se fossero poemi diversi, o ti- toli e parti d'uno stesso poema (4). Anche Lucano da giovane volle farsi imitatore de' versi omerici e di lui andarono perduti V Uiacon libri, il Catacausmon libri e V Hectoris lyra ove era

lustiniaìis, Munchen, Bech' sche Verlag., 1890, I, 28 e sgg. ; I. Ch. Bahr, Geschichte der romischen Literatur, Carlsruhe, 1844, tom. I, § 94-95; W. S. Teltfel, Geschichte der romischen Literatur^ Neu aufl. bearbeitet L. Schwabe, Leipzig, Teubuer, 1890, II.

(1) Cic. de fin., 18, 49; I. C. Wernsdorf, Op.cit., tom. IV, p. 573 ff., p. 577 ff., p. 579; G. I. Vossius, De poetis latinis, ed. cit., cap. Ili; Ovid., Amor., Il, 18, 1; Ex Ponto, II, 10, 13; Tibul., Eleg., II, 6; Apulei., De orthographia, 18; I. Ch. Bahr, Op. cit., I, 94, n. 8. Cfr. anche R. Pi- CHON, Histoire de la littérature latine, Paris, Hachette, 1890, e. VIII, cap. 380.

(2) Ovid., Ex Ponto, IV, 16, 17, 19, 26 ; e I. C, Wernsdorf, Op. cit., pagg. 581-583.

(3) I. C. Wernsdorf, Op. cit., pagg. 584, 585 e segg.; W. Osann, Ana- lecta critica, pag. 35 ; A. Weichert, Poetarum, latinorum reliquiae, pag. 85.

(4) Petron., Satyricon, 89; Sueton., Nero, 38; Ritter, Specimen annotationum in Persii satyras, Marburg, 1833, Vili, pag. 84 ; 0. Jahn, Prolegomena ad Persium, pag. LXXVI e segg. ; e I. C. Wernsdorf, Op. cit., pag. 587.

Gli omeristi latini 25

narrato l' incendio, la distruzione di Troia e la morte d' Et- tore (1). questo vezzo d' omereggiare in latino fu dopo di- menticato, come fa fede V Epitome Iliados HomeH, comi)endio verseggiato dell'Iliade, che spesso ne' codici si trova col solo titolo Homerus, e per errore è attribuito a Pindaro o al pseudo Pindaro. Il Wernsdorf e il Ruhnken lo giudicarono scritto da Pentadio, che poi si sarebbe alterato nel nome di Pindaro, o da Pesto Rufo Avieno (2) ; ma il Weytingh ne provò autore un contemporaneo di Giuseppe Iscano del secolo duodecimo, che a sua volta scrisse il De belìo Troiano libri sex, con evidente imitazione di Vergilio e d' Ovidio (3). Ultimo poema omerico notevole in latino fu il Troiltis di Alberto Stadense (4), cui ten- nero dietro, ne' tempi posteriori, numerose canzoni sui miti ome- rici nella lingua tedesca e nelle lingue romanze (5).

Ma se i poemi omerici e gli omeristi antichi furono frequenti anche nella letteratura latina, furono scarsi i centoni, o poemi in greco, tessuti con frasi e con emistichi tolti dai poemi d'Omero, spesso d' argomento storico, mitologico o genealogico, che ap- punto per somighanza di materia con V epica antica riuscirono più agevoli, e forse divennero comuni nel secondo secolo dell'era volgare, a quanto affermano Tertulliano e Girolamo (6). Resta anche memoria di poeti omerici, cioè della composizione di ó|irip'.xoì xévTpwves, nelle epigrafi, illustrate dal Letronne e dal Kaibel, in cui si nomina il poeta 'Apero? (7). Ma i centoni

(1) I. C. Wernsdorf, Op, cit., pag-g. 587-590; M. Sciianz, Geschichte der romischeìi Liferafur, ed. cit. I.

(2) I. C. Werxsdorf, Op. cit, pag-. 546, tom. V, part. II, pa-j. 677. Il poema ha anche l'altro titolo De bello Troiano o De destriictione Troiae e lo pubblicò H. Weyting e Th. van Kooteu (Lugduni Batav. et Amstelo- dami, 1809}.

(3) Cfr. I. A. Fabricius, Bibliotheca latina, ed. cit., 1, 114 ; e I. C. Werns- dorf, Op. cit., pago-. 594-596.

(4) Alberti Stadbnsis, Troilus, ed. Th. Merzdorf, Lipsiae, 1875.

(5) A. Koberstein, Grundriss der deiitschen NationalUteratur, § 46, pag. 50 ; RosENKRANZ, Geschichte der deutschen Poesie im Mittelalter, Halle, 1830, § 367, 368.

(6) Tertulliam., De praescript., e. 39; Hieron^-ji., Episf., 103, 7.

(7) Cf. EusTATH., Ilias, XXIII, 419, pag-. 1308, 60; A. Letronne, Fecueil d' inscriptions d' Égypte, II, 347 f . ; M. Kaibel, Epigram. graec, 649, 988 f., 1009.

26 I centoni omerici

omerici d' argomento cristiano, che ci sono pervenuti, s' inco- minciarono a scrivere assai tardi, non innanzi il secolo quinto e per imitazione del centone di Proba, che allora era già in si gran nome presso gii eruditi d' occidente (1). Non sap- piamo chi fosse il primo a tentare l' impresa per consacrar quasi con la nobiltà del soggetto nuovo l' antichissima musa epica, certamente però non ci è dato risalire più indietro dei tempi d' Eudossia imperatrice. Alla coltissima Atenaide, figliuola del sofista Leonzio ateniese, che, conquistato il favore dell' augusta Pulcheria nella corte bizantina e mutato il proprio nome in quello di Elia Eudossia, sposò il 7 giugno del 421 Teodosio II e fini poi di vivere piamente in Gerusalemme nel 460, i cronisti come Giovanni Tzetzes e Giovanni Zonara attri- buiscono i centoni omerici, gli SinrjpóxsvTpa che ci rimangono, in- torno alla storia biblica e alla vita di Cristo (2). Pare tutta- via, come afferma Zonara, che prima dell' imperatrice altri centonisti cristiani non fossero mancati, tra cui il vescovo Pa- trizio, padre di Proclo filosofo licio, il quale avendo lasciato l'o- pera sua incompleta, ebbe numerosi imitatori, studiosi persecu- tores, che ne usurparono in parte la fama (3). Ma perché nes- suno di essi pareggiò la gloria letteraria d 'Eudossia, i centoni cor- sero tutti per le mani dei lettori come fattura di lei. Alcuni, os- servò il LudAvich (4), confusero il vescovo Patrizio col patrizio

(1) 0. Bardenhewer, Patrologia con aggiunte bibliografiche di A. Mer- cati, Roma, Desclée Lefebvre, 1903, II, 188; W. Christ., Geschichte der griechùichen Literaturhis auf Zeit lustinians^ Nòrdlingen, Verlag Beck'schen, 1889, § 528, pag. 577.

(2) Cfr. Jo. Malalas, Chroìwgmph.^ 1. XIV, pag. 353, 7; 354, 12; Jo. Tzetzes, Chiliad.^ X, e. 306; Jo. Zonaras, Ann.^ XIII. e. 23: Socra- TES, HiHt. eccl., 1. VII, e. 46; Evagrius, Hist. eccL, t. I, e. 20, 21, 22; NiCEPHORUS Callistus, Hist. eccl.^ 1. XIV, e. 23, 27, 49, 50; Suida, s. v. KOpog : V. anche F. Gregorovius, Athena'is, Geschichte einer hyzantinischen Kaiserìu^ Leipzig, 1882, pag. 251.

(3) Eudociae Aiigustae carminum graecorum reliquiae ed. A. Ludwich, Leipzig, Teubner, 1897, in prooem., pag. 87; cfr. Krumbacher, Geschichte der byzantinischen Literatur^ Miinchen, 1891, pag. 47.

(4) Op. cit., praef., V. G. Cedrenus, Hist.^ I, pag. 621; Theophanes, Cronograph., a. C. 483: G. Fabricius, Bibl. graec.., Hamburgi, 1790, p. 552- 555 e segg.

/ centoni omerici 27

Pelagio, che visse al tempo dell' imperatore Zenone, di cui danno notizie Giorgio Cedreno e Teofane; tuttavia Pelagio fu forse piuttosto un raccoglitore e un divulgatore della poesia centonaria, sebbene i poeti di questa specie, secondo l' Olea- rius (1), prima e dopo d' Eudossia, furono numerosi.

Questi centoni omerici si pubblicarono più volte fin dal secolo dell' umanismo, ora nel testo greco con la versione latina a fronte, ora soltanto nella parafrasi latina. Le edizioni più notevoli sono quelle a cura di Aldo Manuzio del 1501 e del 1504, di Francoforte del 1541, a cura del Fabricius del L564, di Lione del 1577, a cura di Enrico Stefano del 1578, di Parigi del 1589, dello Cliapelet del 1609, a cura di L. H. Teucher del 1793, e finalmente quelle a cura di A. Ludwich nel 1893 a Koenisberg, e del 1897 a Lipsia (2). Fondamento delle edi- zioni migliori fu il codice 388 (supplem. graec.) della Biblioteca nazionale di Parigi, in cui innanzi ai vari centoni si legge un'introduzione, 'rnó^eoi^ -rcSv óiarjpoxévxpcov (3), che tratta dell'opera compiuta da Patrizio e da Eudossia, e vi s' accenna al fine didattico di simili esercizi poetici. Quanto all' importanza e alla forma letteraria, son brevi composizioni in esametri, sen- z' altro legame l' una con 1' altra, che non sia quello cronologico 0 della successione del tempo; e vi sono verseggiati con pa- role e frasi dell' Iliade e dell' Odissea i principali episodi biblici ed evangelici in modo narrativo e con stile scolastico, torse sulla scorta diretta, non della traduzione della Bibbia o del

(1) Dissertatio de poeMis graecìs^ Hamburgi, 1734, pagg. 158-9.

(2) Poetae chri.stiani^ apud Aldiim, Venetiis, 1503-1504 ; Homerocentra graeca et latina. Francofurti, 1541 ; Poetarum veteruin ecclesiasticorum opera Christiana et operum reliquiae et fragraenta, thesaurus diligentia et studio G. Fabricii Chemnicensis, Basileae, per I. Oporinum, 1564 ; Eudociae im- peratrìcLs homerocentones in Maxima Bibl. veter. patrum, VI, 1156-1174, Lugduni, apud Anissonios, 1577 ; Homerici centones excudebat Henricus Stbphanus, Parisiis, 1578; Homerocentra quae et centoiies in quibus prae- cipue historia evangelica et gesta Sei-vatoris exprimuntur, graece et latine in Bibl. Sanct. patrum, Parisiis, 1589, p. 238 sgg. ; Poetae graeci christiani una cum Homericis centonibus et sancforum patrum operibus collectio et utraque lingua seorsitn editi, Lutetiae Parisior. apud CI. Chapeletum, 1609 ; Homerocentra edidit L. H. Teuchbrus, Lipsiae, 1793.

(3) Si trova anche nell' Anthol. Palai. I, 119.

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testo evangelico, ma dei centoni latini precedenti (1). Ogni gruppo di versi, o breve centone, ha un titolo suo, ma sovente si sono uniti i versi d' un centone con quelli d' un altro sotto un titolo solo, 0 al contrario si sono divisi i versi, appartenenti in origine ad un centone, in due centoni distinti. Da ciò segue che, mentre in alcune edizioni si contano fin novanta- cinque centoni, altre ne contano solamente sessanta, altre qua- rantuno e ultimo il Ludwich ne numera cinquanta. Tra que- sti il primo si svolge sull' argomento del benigno decreto di Dio Padre e della missione del divino Figliuolo (nepì tf,? xoo Tiaipòg Eij5oy.£a5 y.a.1 ànoaxoXf/s zoo uioù) e l' ultimo, dell'assunzione della Vergine (nepì x^g àvaXi^ciJsws) (2), e comprendono in tutti 1743 esa- metri. Sicché gli avvenimenti che vi sono ricordati spettano quasi per intiero alla storia evangelica o al nuovo Testamento forse non perché mancassero d' esser tradotti in parole omeri- che anche i fatti biblici, ma piuttosto perché molti di questi centoni sono andati perduti. Per questa parte i centoni di Eudossia e di Patrizio, che ci sono giunti, differiscono alquanto dal centone di Proba, o meglio dai suoi episodi centonari; ma non credo si possa dubitare della dipendenza dei primi dai secondi. Innanzi tutto è affermato dagli antichi scrittori e ripetuto dagli eruditi posteriori (3) che V imperatrice bizantina seguì le orme dell' illustre donna degli Anici, quando il centone probiano era letto, ammirato e studiato ovunque. Ma una testimonianza particolare che fosse noto nella corte di Costan- tinopoli, e appunto al tempo di Teodosio II, si raccoglie dai versi di quel librarius, che avendo trascritto il centone lo de- dicò ad Arcadio circa il quattrocento e che gli raccomandava

(1) Eudossia non fu veramente scrittore originale, ma attinse ma- teria dei suoi versi spesso dai parafrasti e dai centonari, e non andò sce- vra di difetti, nella prosodia e nella metrica. V. A. Ludwich in Rhein. Museum f. Philolog. n. f. XXXVII. 1882, pp. 206-225.

(2) A. Ludwich, ed. cit. pp. 88-114.

(3) Cf. G. Fabricius, Bibl. graec. loc. cit. ; 0. Bardenhewer, Op. cit. p. 488. Nella prefazione dell' edizione aldina dei Poetae christiani di Pietro Candido monaco é detto di Proba rispetto ai centonari greci : « ut ego graecos in omnibus excelluisse semper multo intervallo nostros af- « firmem ». V. pp. 80-81.

Metrica e stilistica del centone 29

di farlo leggere al minor Arcadki.s^ che era il nascituro Teodo- sio (1). Se però 1' opera della poetessa latina, come in occi- dente, così ancora in oriente fu introdotta nelle scuole e giovò all' istituzione religiosa e didattica dell' imperiale fanciullo, nulla di più agevole è pensare che Eudossia, presa dalla fama di quel libro, s' ingegnasse co' versi del massimo autore greco rivestire il pensiero cristiano, al modo stesso che Proba aveva fatto co' versi di Vergilio, del massimo poeta latino (2). Oltre di che un facile raffronto tra gli episodi centenari latini e greci mostra l'evidente imitazione. Eudossia, adoperando Tesa- metro eroico con un fine etico e didattico, quello d' allontanare dalla lettura degli autori profani gli alunni delle scuole, por- gendo ad essi le stesse bellezze poetiche, come pensava, in ar- gomenti cristiani, ha seguito il metodo della patrizia romana, cioè in luogo di narrare per disteso fatti che tutti nella loro cultura e per la loro religione conoscevano bene, li compendia accennando e ricordando le parti più rilevanti, le massime più efficaci e gli ammonimenti più istruttivi. Pertanto, come usò Proba, non tutti i fatti evangelici sono rianimati ne' versi omerici, ma soltanto alcuni e quasi sempre gli stessi che nel centone latino, quelli appunto che parvero alla poetessa rac- chiudere un simbolo morale o prestarsi meglio all'insegnamento. Una tal forma, rapida e sobria di stile, suU' esempio di Proba e d' Eudossia, fu imitata poi sempre nel medio evo, quando il centone divenne mezzo comune d' esercizio retorico e di pra- tica declamatoria. Sicché, se prima d' Eudossia non manca- rono nella letteratura greca precedente centoni omerici di sog- getto profano, non può tuttavia dubitarsi che i centoni cristiani di versi omerici fossero composti dopo l' insigne prova del cen- tone vergiliano fatta da Proba, di cui l' imperatrice bizantina fu fedele seguace.

Se però i centoni omerici di argomento cristiano nel medio

(1) Probae Cento ree. C. Schbnkl in Poetae christiani minores, ed. cit. Vindobonae, Tempsky, 1887, pag. 568.

(2) Certamente la fama dei poemi d' Omero e l' imitazione dei versi omerici non fu minore di quella di Vergilio. F. G. Welcher, Der epische Cyclus oder homerischen Dichter^ Bonn, Weber, 1882, II, 85 sgg.

30 Metrica e stilistica del centone

evo furono etfetto dell' imitazione dal latino, ben maggiore im- portanza ebbero i centoni latini e specialmente vergiliani nella letteratura occidentale. Anche presso i retori e gli eruditi greci il centone era stato regolato con determinati precetti. Così Eustazio nel commento all' Iliade dice che, per la sua na- tura, deve nel centone conseguirsi la perfetta unione tra le varie parti, secondo il significato di syxsvxpc^siv, innestare sulle piante ramoscelli di altre piante, o cucire un drappo con bran- delli di colori diversi, dtdcpopot xp»»^ OcpaonàTcov ; e però ne' poemi i mezzi versi o le frasi poetiche devono incontrarsi felicemente, non come fanno certi vani oratori, ma come fanno i raccoglitori più esperti e i panegiristi (1). E Snida aggiunge che ca-

rattere proprio del poeta o dell'operaio centenario è porre in- sieme 0 congiungere parlando più cose : ix uoXXwv auveppaiiiiévo^ (2). Perciò osserva lo scoliaste d'Aristofane e Giovanni Tzetzes (3) cho si chiamavano centoni i drappi, che si stendevano sui dorsi degli asini, quasi sempre saldamente cuciti di vari brani di stoffa. Fra gli scrittori latini Girolamo, che parla con di- sprezzo degli homericentones e dei vergiìicentones, accenna an- ch'egli alla necessaria relazione delle parole, tolte qua e là, co' pensieri, ma giudica V esercizio cosa da fanciulli e simile al giuoco dei circoli : puerilia sunt haec et circulatorum ludo

(1) EuSTATH., Ilias, XXIII, 419 p. 1308, 60 ; « xoiouxou xsvxpou Ttapwwnov xal oi xsvxptoveg ol xe ^aTrxóiiSvoi xaì ol ypo'TÓnevoi, sxi xaì

ÈYXsvxp'l^s'.v ÈTil cp'jxójv, {iva waiiep syxsvxpf^siv èaxì èia^àXXsiv cp'jxcS xivt,

y.Xaòiaxov àXXofo'j 90x00, ooxto xaì xévxpojv painzòc, |ièv, cmsp (baavsl uapaxsv- xoùvxa'. S'.acpopo!, y^poai ó^aaiidxwv, ypoi.nxòz Ss, w TiapaxìS-svxai xoiouxou uapaxsv- XTj|iaxog o'XYjV [iépvj TLotYliidxwv Y.a.i ax(xwv òcXXoO-ev àXXà, ÒTioìa. xaì svxs59-sv xXrj8-évxa 6|iYipóxsvxpa, xouxsaxiv 01 6\iripiv.oi xévxpwvss olg 0|j,otoe yévoix' àv xaì éxépttìv TTOiYjXfòv, yjSy) ttou xaì ex irs^oXoYittJv, ènoloi axwcp^-iìaovxai, shoa |ìy] Ysvvwxs; (?) priropsioLC, oìxetag àXX' óìc, sìusrv XoyoaoXXsxxdSai. ovxee xaì 81' oXou oxspiioXoyoOvxss év èyxwiiìots ». E altrove, Ilias, XVII, 156 p. 1099, 51: « o'ùzm i-r\-i SrjjiTjYopCav xoò FXaóxou 6 710'.y)X7)s xévxpwvoj Sixvjv àizò svvoiwv àXXaxoù ^Y)9-S!.0(òv oovéppatjjs, xaxà uoxspov 6nir)póxevxpa » .

(2) SuiDA, Lcx. ad v. xévxpwv. « 6 ex uoXXéSv a'jvsppa|j,|j,svog sui xoiaòxa X0Ì5 07to^'JY''^-€ O'jppduxovxss xaXoùai xévxptova? » .

(3) SCHOL. Aristoph., NìàÌ).., 450. « xévxpwv saxt éutoaoaóiisvog, Toìs òvotg £x noXXwv xaì Siaiyópeov aoppacpèv aaxxìoov » . Cfr. TzETZBS, Chil. VIII, 118, X, 92.

Metrica e stilistica del centone 31

similia (1). Tertulliano ancora nel luogo già citato rilevava che il centone poetico ha per proprietà di .sarcire in unum corpus versi o locuzioni tolte hinc inde da Omero e da Vergi- lio ; e più tardi Isidoro di Siviglia (2), ripetendo quasi le pa- role di lui notava che centones apud gt-ammaticos vocarì solent qui de canìiinibun Homeri vel Ver gilii ad propHa opera more cento- nario in unum sarciuntiir corpuft ad facidtatem cuiusque mate- riae (3). Con le quali parole egli mostra che già era comune- mente accolto il centone tra le composizioni letterarie particolari, e forse allora più in voga.

Chi però di proposito volle largamente trattare della poesia centenaria, come nuova forma epica che aveva acquistato grande favore nella decadente letteratura imperiale fu Decimo Magno Ausonio, l'elegante prefetto delle Gallie e ufficiale della corte di Valeutiniano I.

Egli inviando con una lettera il Cento nuptialis al suo amico Paolo le regole da seguire nella poesia centenaria, secondo l'uso in voga (4). Afferma che una tal composizione poetica fu detta centone da coloro che primi ne tentarono per trastullo la prova. In verità il raccogliere insieme cose sparse e dar compimento a cose spezzate « sparsa coUigere et integrare la- cerata » è un faticoso lavoro di memoria più da schernire che da lodare. E però si scusa d'aver posto mano ad un cen- tone, quasi dolente d'aver cosi offeso la grandezza della poesia di VergiHo con un frivolo giuoco letterario « Vergiliani car- minis dignitafem tam ioculari dehonesfasse materia (5) ». Ma per un adulatore e per un cortigiano il cenno cesareo era scusa sufficiente; e appunto Valeutiniano, quel sanctus imperafor che al poeta pareva vir eruditus, avendo composto un epitalamio in forma di centone, gli aveva ordinato di scrivere anche lui un altro centone sullo stesso argomento, volendo gareggiare

(1) HlERONYM., Ep. 103.

(2) Tbrtullian., De praescript. 39, 1. e.

(3) IsiD., Orig. I, 38, 25.

(4) D. M. AusoNii, Opuscola ree. C. Schenkl, in M. G. H. Aucfores antiquis. t. v. p. post. Berolini, Weidmann, 1883, op. XXVIII, pagg. 140-141.

(5) Op. cit., pag. 140.

32 Metrica e stilistica del centone

insieme di destrezza letteraria, per sapere di quanto lo avan- zasse nell'arte: « e.rperiri volens qiiantum nostra contentione prae- celleret ». Rifiutarsi sarebbe stato impossibile, da che l'im- peratore stesso lo chiedeva, qui iuhere poterai. S'accinse cosi all'opera ingrata di dar significato di continuità ad idee scon- nesse, di dar unità a pensieri diversi, di rendere scherzoso il grave, proprio 1' altrui, obbligandosi a non costruire un verso, a non inserire una frase o una parola che non fosse tolta da Vergilio. Per tal modo da tratti poetici e da sensi differenti si viene a comporre un carme unico e di parti armonicamente congiunte : quaedam carminis striictura soUdatur. Ma, rispetto alla prosodia, il punto più arduo sta nell' innestare con certa varietà versi ed emistichi; e Ausonio avverte che si possono connettere insieme due versi troncati a metà, tanto da for- marne un sol verso, o pure si può congiungere il primo o il secondo verso troncato con l'altro mezzo verso : in unum ver- sum ut coeant aiit caesi duo, aut unus et sequens (medius) cum medio (1). Poiché introdurre nel centone due versi vergiliani di seguito sarebbe dar segno di poca abilità; introdurne poi tre, una vera sciocchezza, merae nugae. Quanto alle cesure, l'esametro centonario può aver tutte quelle del verso eroico; cioè la semiquinaria (TievS^iitiJtepiìs), al termine del primo membro dopo l'arsi del terzo piede; la semisettenaria (éq;0-r(|ii|jiEpY,s'i dopo l'arsi del quarto piede; la cesura dopo il terzo trocheo (xonii % y.<xx% zpizo^ xpoxaìov) dopo la prima breve del terzo piede, e forse anche la bucolica (Siaipr/ai? pouxoX'.-/.r,) dopo il quarto piede, seb- bene Ausonio non ne faccia espressa menzione (2).

Per simil guisa è grande la varia armonia di suoni che risulta dal verso centonario, e son cosi diverse e molteplici le combinazioni dei piedi e delle cesure che esso può paragonarsi al giuoco che i greci chiamano óa-coixaxiov, in cui ossicini o asti- celle di più forme geometriche, disposte diversamente, com-

(1) Op. cit., ivi.

(2) AusoN., Op. cit., pag. 140: « Diffinduntur autem per cesuras omnes, quas recipit versus heroicus ; convenire ut possit aut penthemime- ris cum reliquo anapaestico, aut trochaice cum posteriore segmento, aut septem semipedes cum anapaestico chorico ». V. anche F. Zajibaldi, Me- trica greca e latina^ Torino, Loescher, 1882, pag. 215-217.

Metrica e stilistica del centone 33

pongono figure d'clelanti, di Ciipri, d'oche, di mirmilloni armati, di cacciatori, di cani, di torri e di càntari. Del pari va trattato il centone, affinchè i significati diversi delle parole s'adattino al nuovo senso, e l'adozione sembri parentela: adoptiva quae sunty ut cognata cideantur. E però quando l'arte adoperata non lasci scorgere ciò che s'è tolto da altri, simuli bene le traspo- sizioni, non renda oscuri i concetti e non taccia apparire lacune di senso o di logica, si giungerà a comporre un centone per- fetto (1). Questo conchiude Ausonio se fatto da artisti provetti sembrerà una meraviglia, se da inesperti, sarà cosa ridicola: peritorum concinnatio miracithtm, impentorum ìunctura, ridicuìum. Ma queste norme retoriche, che egli crede qui necessarie al centone, alcun poeta centonario posteriore, egli stesso ha osservato con fedeltà, poiché è difficile giovarsi dello scarso dizionario d'un solo autore per esprimere pensieri nuovi da questo non espressi, che nel tormentoso lavoro, anche con la migliore volontà, i precetti sono di quando in quando trasgrediti. Ma anche se ciò non avvenisse, la specie arti- stica rilega il centone tra quelle forme letterarie che fioriscono in tempi di sfinimento e di decadenza, tra quelle dotte miserie, e quegli accorti giuochi di stile, che furono di moda nel pe- riodo della letteratura alessandrina. Va pertanto posto nella categoria degli acrostka, che usò fin dai primi tempi Ennio, in cui le iniziali de' versi componevano esse stesse un verso, o un nome, o un titolo del componimento; dei carmina aìphabe- tica, forse d'origine ebraica, in cui versi o strofe susseguentesi avevano per iniziali nello stesso ordine le lettere dell'alfabeto; dei versus recurrentes e sotadici che si leggevano da ogni parte conservandosi la quantità prosodica; dei versus intercalares, che erano ripetuti più volte e spesso a distanza simmetrica nella stessa poesia; dei carmina anacy elica, per solito, in serie di quattro distici in cui il secondo distico ha le stesse parole del primo in ordine inverso e letto a rovescio, cioè incominciando dall'ultima parola, riproduce il primo distico con gli stessi

(1) AusoN., Op. cit., pag'. 141: « dices me composuisse centouem ». Lo stesso giuoco òatofidxiov forse ricorda Svetonio, Aug. 83. Cf. H. Stb- PHANUS, Thesaur. graecae linguae, Parisiis, Firmin Didot, 1846.

34 Metrica e stilistica del centone

piedi ; del technopaegnion Carmen, usato da Ausonio, ove ogni verso finisce per monosillabo, dei versus- rhopalici, cioè composti di cinque parole, di cui ciascuna conta una sillaba di più, e dei carmina ver-mum pari numero, che non disdegnarono fin Vergilio e Orazio, cioè composizioni poetiche di ugual numero di versi e di uguale metro (1). Sono anche da aggiungere a questi dotti esercizi di tecnica i carmina figurata o poesie a figura, che dopo l'esempio degli alessandrini e di Simmia da Rodi che nel quarto secolo avanti Cristo ne fu il primo pro- pagatore, resero celebre Publio Porfirio Optaziano al tempo di Costantino (2). Questi intraprese per scherzo o per gara con altri poeti a scriver versi di misura e ampiezza varia, in tal guisa che rappresentassero le figure di un'ara, d'una fistula, d'una lira, d'un organo; e fu seguito da molti imitatori e spe- cialmente da Rabano e da Venanzio Fortunato, che predilesse a dar forma ai suoi versi le figure dell'altare e della croce (3). Frivole fatiche, che quando non erano richieste da ragioni religiose di canto o mnemoniche, come non di rado accadde nella gioventù de' popoli barbari, che accoglievano la latinità insieme col cristianesimo, ma soltanto da desiderio di novità e di varietà, son da considerarsi un disonore della poesia lu-

(1) L. MÙLLER, De re metrica poetar um latinorum, Lipsiae, Teubner, 1861, opusc. XII, pag. 459 e segg. Circa la poesia figurativa è da ri- cordare che Simmia adoperò i versi coriambici per cavarne fuori le fi- gure d'un bue, d'un uovo e d'un'aquila, mentre Optaziano preferi quelle dell'altare, della siringa e dell'organo. Una vera storia di questa poe- sia e delle combinazioni retoriche de' versi latini è ancora da fare, tut- tavia più volte gli eruditi hanno gettato uno sguardo su queste dotte mi- serie Cfr. il Caramuel, Metametrica, Rome, 1663, il Boissonade, Poesie fi- gurative in Journal de l'empire 18 nov. 1807 ; e con maggior ampiezza il Peignot, Amusem^nts philologiques^ Paris, 1842 e L. Lalanne, Curio- fdtés littéraires, Paris, Delahays, 1857. Quest' ultimo fa menzione an- che dei tardi imitatori degli acrostici, degli anagrammi, de' versi retro- gradi e figurati nella poesia francese, quali il Rabelais e il Panard.

(2) L. MùLLER, Op. cit,, pag. 465; M. Manitius, Geschichte der chri- stlich-lateinischen Poesie bis zur mitte des 8. lahrhunderts, Stuttgart, I. G. Gotta, 1891, pagg. 362, 449, 508.

(3; M. Manitius, Op. cit., pag. 449; cfr. HroJbani carmina in Poetae latini aevi carolini in M. G. H. II, 257.

Metrica e stilistica del centone 35

dihria arfis, come le disse il Miiller, che acquistano credito e sollevano il plauso, nel tempo in cui lo scopo civile dell'arte e la materia poetica difetta : quo gravior evenit materiae penuria, magis optimi it facetianun ac luòuum studium.

Nondimeno di tutti questi bizzarri trovati di stile e di verso il più complesso è il centone, in cui il pregiudizio este- tico, che vitti a tali composizioni, maggiormente si mostra e prevale. L'arte in vero, che di continuo si muta e trascende nel costume di popoli civili, fruga e ricerca il nuovo, anche quando la perfezione poetica è conseguita, e all'ingegno, ornai esausto, s'annebbia il profilo schietto e la visione integra della profonda bellezza. Sprezzando la sobrietà, che è regola di ogni forte espressione umana, si cade nello strano, nell'artifi- cioso e nel singolare, che si stimano elementi estetici, e si smarriscono anche i criteri, con cui deve giudicarsi ogni let- teratura. L'artista, chiunque egli sia, che non sa infondere più l'unità nell'opera sua, perchè non è mosso da una grande idea e non tende verso un alto scopo, s'ingegna di contemplare gli esemplari ammirati come aggregato di parti; e investigandoli a tratto a tratto e dismembrando prose e poemi, quasi membra disiecta, si persuade che la perfezione letteraria si possa rac- cogliere nell'inciso, nella frase e nella parola. Questo falso criterio o pregiudizio, che si diffonde in certi tempi come osti- nato contagio in tutte le letterature, ispirò forse anche la prima idea del centone, quando non essendo più possibile scrivere poemi di fama pari a quelli d' Omero e di Vergilio per cele- brarvi argomenti e persone nuove, che sono a cuore al poeta, questi spicca i fregi dagli autori antichi per costruire con quei mattoni e con quella Ciilcina preziosa il suo edificio poetico, dove di proprio non aggiunge che l'ordine e la disposizione dei vocaboli. E cosi spera di gareggiare co' sommi o con- ciliare a' suoi versi fama simile ai versi loro, quasi che la grande arte non derivasse da un' originale integrazione fan- tastica, cui partecipano la mente e l'animo, e da una suprema armonia ti'a parola e pensiero, che per una sola frase tolta o spostata sovente va scemata e distrutta, ma da un'astuta com- binazione di frasi e di forme; e il segreto della potenza dei grandi scrittori consistesse nel fornirsi d'una copiosa cultura lessicale. Perciò il centone reca seco un errore di concetto fin

36 Metrica e stilistica del centone

dall'origine, l'errore dei frasari, dei lessici e dei prontuari sti- listici, da cui si cerca trarre i mezzi dell'arte e gli elementi della bellezza, che è al contrario unica e semplice, non rifaci- mento o riunione di parti. Perchè in verità uno studio me- todico e paziente della lingua e dello stile non di uno scrittore solo, ma di molti scrittori può offrire tale mèsse di vocaboli, e cosi educare ed affinare il gusto, che chi tratta poi di cose nuove sembri parlare all'antica; dove appagandosi d'un autore solo ci muove l'ambizione di voler esser lui in argomento e in tempo diverso.

E quest'ambizione fu si potente in certe età e in alcuni periodi letterari che i centoni fiorirono e furono pregiati e am- mirati si nelle letterature antiche che moderne, nelle quali spesso si ridussero a frivolo lavoro di poesia aulica e corti- giana (1). Più notevoli sono i centoni latini antichi perchè mostrano una nuova direzione e un nuovo aspetto della lette- ratura del medio evo, e c'inducono ad investigare le ragioni dell'ammirazione di cui furono circondati alcuni scrittori come Omero e Vergilio, che si potè dire maestro di poesia e d'elo- quenza in tutti i monasteri d'occidente (2).

(1) F. Hasenbalg, Commentano de centonibus, Puttbus, 1846; Tableau de la littérature du centon chez les anciens et les Tnodernes^ Londres, 1875, e anche 1' opera del Delapierre, Revue analytique des ouvrages écrifs en centon depiiis les temps anciens jusqu 'an XIX siede par un hibliophile belge, Londres, Triibner, 1868. V. pure Lilius Grbg. Gyraldus, De poe- tarum historia in Opera omnia, Liigduni Batav., ap. Hackium, 1696, dial. I, pagg. 47-48.

(2) B. BoRGEN, De centonibus homericis et virgiliaìiis, Havniae, 1826 ; C. G. MiLBERG, Memorabilia virgiliana, pagg. 5-12. Tra i molti centoni, sul modello degli antichi, compilati con inutile pazienza nel rinascimento e nell'età moderna, son da notare VAeneis sacra di Stefano Pleurre (1618) su versi vergiliani, il Cento chrUitianus di Raoul Fournier (1644) su versi ovidiani e il Cento napoleonicus del lacquemard (1802), tolto pur da Vergilio. Anche in Inghilterra ebbe gran fama il Cicero princeps del Bellenden (1608) e in Germania la Lanx satura, cento in christogoniam del Morhof (1657). In Italia acquistarono nome co' loro centoni Lelio, Ippolito e Giulio Ca- pilupi, tra i quali del primo ebbero più ristampe il De vita m^onachorum, e gli altri In foeminas e In syphillim ; e Bernardo Ramazzinì col De bello Siciliae (1677) in lode di Luigi XIV. Il Lalanne giudica centone anche un Canticus de gratiarum actione in onore di Anna Musnier, del se- colo XII. Cfr. Op. cit, pagg. 12-13.

Il culto di Vergilio 37

Il culto letterario che s'ebbe per Vergilio fu vivo e dif- fuso fin dal secondo secolo dell'impero. Il mite poeta ac- quistò una grande autorità artistica e morale, tanto che le sortes veryiUanae sull'Eneide s'usarono fin dal tempo degli Antonini (1), e il poema di lui in seguito fu posto nel numero delle mas- sime opere della sapienza umana, quali Omero, i libri sibillini e la Bibbia (2). Gli scrittori con ogni zelo l'imitarono e l'a- marono: Silio Italico ne commemorava la nascita visitando il sepolcro; Stazio erigeva un temi)io in suo onore, e Marziale celebrava la festa sacra a Vergilio agli idi d'ottobre (3). Anzi, sebbene alcuni come Carbilio Pittore con V Aeneidomastix com- battessero i fautori di Vergilio, l'antico poeta trovò in Asconio Pediano e in molti altri, audaci difensori (4). Anche gl'im- peratori più colti lo ricordavano in ogni occasione, quantunque al tempo degl'imperatori siriaci lo studio delle lettere fosse divenuto quasi estraneo alla corte, sicché letterato e militare si intesero come termini contrari, e il favore imperiale si mostrasse di quando in quando maggiore per la letteratura greca (5). Cosi la parola vergiliana risonava sulle labbra di Alessandro Severo, che chiamò Vergilio il Platone dei poeti e ne conservava V im- magine nel larario domestico; Clodio Albino si compiaceva di averne studiate le opere. Gordiano il vecchio ne ripeteva i versi : cantahat saepe versus; Diadumeno rimproverava Macrino con frasi vergiliane, e ne usava parimenti Tetrico, scrivendo al suo emulo Aureliano ; co' versi dell' Eneide il senato chia- mava all'impero Tacito il vecchio, e Giulio Crispo v'esprimeva

(1) D. CoMPARETTi, Virgilio nel medio evo, seconda edizione, Firenze, Seeber, 1896, I, e. V, pagg. 63, 67.

(2) Op. cit., ivi. Notizie preziose raccolgono su ciò lo Zappert, Ver- gil im Miftelalfer, (Denkschrift. der Wien. Akad. j^hHos.-hisf. Klas. 2 bd. abt 2, pag. 17) e il Tunison, Virgil in the Middle Age, Cincinnati, 1889. V. anche M. Schanz, Op. cit., Der Vergil des Mittelalters, II, pag. 69.

(3) Plin., Epist., Ili, 7, 8; Stat., Sylv., IV, 54; Martial., Epigr., XII, 67.

(4) Cf. I. A. Fabricius, Bibliotheca latina, I^ipsiae, Weidmann et Reich., 1773, lib. II, cap. 13.

(5) D. Comparbtti, Op. cit., I, e. V, pagg. 66-67.

38 II culto di Vergilio

la sua ira, che gli fu fatale (1). Ma il luogo in cui l'anima di Vergilio pareva rievocarsi ogni giorno erano le scuole pub- bliche, dove, dopo l'esempio di Cecilie Epirota (2), le opere del poeta erano lette, commentate e mandate a memoria dai fan- ciulli e dai giovani, ai quali Vergilio, come Omero in Grecia, s' offriva come un modello ammirato del grammatico e del re- tore, come l'esemplare dell'uomo intellettualmente perfetto, nella cultura umana enciclopedico, quale lo disse Macrobio, nullius dificiplinae expers (3).

Quintiliano credeva ottimo consiglio ut ab Homero atque Vergilio ìectio inciperet; Orosio osserva che V Aeneae adventus era impresso nella memoria di tutti per la disciplina ludi lite- rarii, cioè per l'uso della scuola, e Agostino narra parimente che Vergilio, il poeta magnus omniumque praeclarissimus, cono- sciuto nella fanciullezza, teneris ebibitus animis, non si dimenti- cava più. Lo stesso Macrobio rammenta d' aver cantato in scuola l'Eneide con la guida del maestro, magistris praelegen- tibus ; Ausonio stimava buon retore soltanto chi sapesse spie- gare e commentare il testo vergiliano, arma virumque docens atque arma virumque peritus ; e l'ammirazione giunse a tal grado che Seneca non dubitò dire Omero e Vergilio benemeriti del genere umano (4).

Sicché più cause concorsero a rendere universale la fama di Vergilio, specialmente quando il cristianesimo predominò nel mondo romano e i nuovi credenti respinsero la dottrina e la morale politeistica. E tali cause furono oltre la bellezza intrinseca dell'arte del poeta, che nel medio evo . si stimò, se- condo la parola di Dante, la nostra maggior musa, l'ispirazione storica del suo canto, che a somiglianza del canto omerico, fu l'espressione epica della romanità, superstite anche alla caduta

(1) Lamprid., Alex. Sev., e. 30; Capitolin., Clod. Alb.^ e. 5; Gord. iun., e. 7, 20; Lamprid., Anton. Diadum., e. 8; Trbbell. Pollion., Tri- ginta tyranni, e. 24; Vopisc, Tacit., e. 5; Dio. Cass., Hist.^ e. 75, 10.

(2) QuiNTiLiAN., Inst. orai., I, 8, 5 ; Di Cecilio dice Svetonìo che Ver- gilium praelegere caepisse {Gramm. 16).

(3) In Somnium Scipionis^ I, 6, 44.

(4) Cfr. QuiNTiL., Inst. orai., I, 8, 9; Oros., Hist., I, 18; Augustin., De civit. Dei., I, 3; Macrob., Sat., I, 24, 5; Auson., Epigr.., 137, 1; Se- NEC, Consol. ad Polyb., 8, 2.

Esercitazioni vergiliane 39

dell'impero (1), il significato etico del suo verso, encomiatore della virtù e rispettoso del costume, tanto da apparir egli l'au- tore meno pagano tra gli antichi latini, e in fine l'interpreta- zione cristiana data all'ecloga quarta, scritta al contrario in onore di Salonino, figlio d'Asinio Pollione (2), che lo fece cre- dere un annunziatore profetico della religione nuova. Cia- scuna di queste cause e tutte insieme resero comune fin dal principio del medio evo lo studio di Vergilio; e mentre alcuni come Servio e Donato si sforzavano con gli acuti commenti di penetrare nel senso nascosto delle frasi e degli emistichi, altri si davano all'imitazione retorica e stilistica della poesia ver- giliana. Fusco forse per primo solehat multa ex Vergilio tra- here a suo vantaggio; Pollione, Giulio Igino, Giulio Modesto, Anneo Cornuto, Emilio Asper e Valerio Probo, seguendo Ce- cilio Epirota, ne allargavano i commenti (3). Arusiano nel quarto secolo introduceva nelle scuole gli exempla locutionum (4), togliendo dai versi di Vergilio brevi tratti a conferma e cor- redo di tutte le regole di grammatica perchè fossero ammirati dai discepoli; Tiziano e Calvo jjroponevano i themata vergi- liana (5), obbligando questi a rifare, con versi propri, episodi di passione e di guerra, in forma oratoria sull'esempio di epi- sodi simili del poeta; Agostino e Avieno ricordano le declama- tione-s' vergilianae (6), quando il giovane era chiamato ad am- pliare di sua fantasia favole o fatti storici, da Vergilio breve- mente accennati, o un suo verso con più versi; e finalmente

(1) Una ricerca sixlle vicende del poema di Vergilio nel medio evo fece F. Michel, Quae vices quaequae ìnutationes et Vergilium ipsum et eius carmina per mediam aetatem acceperint, Paris, 18i6 ; ne toccarono anche poi C. Regel, Quaestionum, Vergilian. criticarum specimen, Celle, 1866, e Pii. Sfitta, Quaestiones vergilianae, Gotting-en, 1867.

(2) Cfr, Haupt in Hermes, III, 223 ; Th. Crbizenach, Die Aeneis, die IV Eclqg. und die Pharsalia im Mittelalter, Frankfurt, 1864 ; D. Com- paretti, Op. cit., I, VII, pag. 134.

(3) Senec, Suas., 3, 5; cfr. W. Teuffel, Op. cit., II, 231.

(4) Servius, Ad Verg. Aen., X, 18.

(5) AuGUSTiN., Confession., I, 17 ; Serv., Ad Verg. Aen., X, 532. « Ti- tianus et Calvus, qui themata omnia de Vergilio elicucrunt et adforma- verunt ad usum dicendi ». Serv., Aen. X, 18.

(6) Se ne trovano frequenti nei Carmina codicis Salmasiani, v. F. Bue- CHBLER et A. Riese, Anthologia latina, fase. I, ed. cit., 1894.

40 Esercitazioni vergiliane

vennero di moda le recitatìones o letture pubbliche d' argomento vorixiliano, che orano ancora applaudite al tempo d'Aratore e di Venanzio Fortunato (1). Se tale era il desiderio d'accostarsi air antico poeta, ebbe ragione Tertulliano di scrivere che i versi di lui giovavano a ben differenti composizioni: « Vides liodie ex Vergilio fahulam in totum aliam componi (2) » . I versi rima- nevano intatti, ma l' intendimento de' nuovi verseggiatori ne mutava il senso. Tra tante l'imitazione più audace fu quella dei centoni, perchè il poeta si vincolava a non far uso di parole nuove, pur prendendo a trattare nuova materia. Di centoni latini s'ebbe forse gran copia, e come esercizio scolastico se ne tol- sero da Ovidio, da Lucilio, da Lucano, da Silio Italico e da Stazio; tra i minori tuttavia pare Ovidio fosse preferito, per- chè, poeta di vena abbondante, offriva al centenario più ricca mèsse di vocaboli, tanto che ci resta memoria in un' epigrafe di un poeta ovidiano (3). Ma senza dubbio più celebri furono i centoni vergiliani, che sembra s'incominciassero a scrivere per diletto o per esercizio di scuola nel secondo secolo. Tertul- liano in vero narra di Osidio Geta, vissuto poco prima, che aveva composto in versi vergiliani una tragedia dal titolo Medea : ex Vergilio pienissime exsuxit, e aggiunge che un altro poeta centonario aveva tradotto in simili versi il n(vag di Cebete; (4) più tardi, circa la metà del quarto secolo. Ausonio scriveva il Cento nujjtialis in gara, come avvertimmo, con Valentiniano, che aveva composto un altro centone sullo stesso soggetto; e forse centoni recitò a suo tempo anche Quinto Glitio Felice, che nel- r epigrafe è detto vergilianus poeta (5).

(1) Cfr. Arator, De ad. apost. praef. I. Arntzenii in Migne, Patr. lat. Lxviii, pag. 55 ; Yen. Fortunatus, Carminum, lib. Ili, 18, 7 :

« vis modo tara nitido pomposa poemata cultu audit Traiano Roma vercnda foro ».

E da ricordare anche nel sesto secolo la recitatio di Mavorzio, di cui al centone XV.

(2) Op. cit., e. 39.

' (3) I. A. Fabricius, Bibl. lat., I. e; C. I. L., X, 6271: « ovidianus poeta ».

(4) Op. cit., e. 39.

(5) Cfr. Orelli-Henzen, Inscript.., n. 1179.

Centoni vergiliani 41

Ma poeti centenari più noti, olti'c Proba, furono Luxorio vissuto in Cartagine sul termine del sesto secolo, durante il regno d'Ilderico e autore di più poesie e di due centoni; Pom- ponio, che suir esempio di Proba ne scrisse uno d' argomento cristiano, e Mavorzio, che improvvisava e recitava in pubblico i centoni e aveva il nome di Vergilio redivivo, Maro iunior. Pochi nomi, poiché della m.ìggior parte dei centoni che ci sono pervenuti, anteriori al secolo ottavo, ignoriamo gli autori (1).

Di questi singolari poemi, che assommano in tutto a sedici, la più grande raccolta la troviamo nel Codice Salmasiano, ora parigino 10318, che a giudizio del Duebner e dell' Haupt (2) sarebbe stato scritto nel settimo secolo o nel principio dell' ot- tavo, e a giudizio del Quicherat e del Delisle (3) apparterrebbe indubbiamente all' ottavo. Esso contiene dodici centoni, che vanno dal numero 7 al 18, di cui alcuni frammentari; e non vi sono compresi quello d'Ausonio e i tre i centoni cristiani di Proba, di Pomponio e il De verbi incarnatione. Questi centoni furono prima pubblicati, ma non interamente, da Aldo Manuzio e da Enrico Stefano (4), poi trovarono luogo nelle scarse col- lezioni del Fabricio e del Bineto (5) e nelle più copiose di Giu- seppe Scaligero e di Pietro Piteo (6), entrarono poi nell'^w^^o- logia latina del Burmann e del Meyer e finalmente in quella

(1) Il Fabricio registra molti nomi di centonari da Albertino Mas- saio fino a Giulio Roscio, a Cristoforo Steinmaun, ad Enrico Meibom e ai suoi contemporanei ; ma son per solito esercizi di versificazione e di stile, che non furono noti fuori del circolo accademico. Op. cit., 1. II, e. 12.

(2) Opusc. I, pag-. 218.

(3) Bibliothèque de l'école de chartes, s. Ili, t. I, p. 205; s. v. t. Ili, pag. 506.

(4) Poetae christiani veteres, Venetiis, 1502; Centones vergiliani in Te- stamenfum novum, Parisiis, 1578. Cfr. anche le altre edizioni citate, com- prendenti i centoni greci.

(5) G. Fabuicius, Poetartan veferum ecclesiasticorum opera Christiana et fragmenta, Basileae, 1562.

(6) los. ScALiGER, Catalecta poematia, Lugduni Bat. 1573, 1595, 1617 ; P. PiTHOEUS, Epigrammata et poematia vetera, quorum pleraque nunc prì- mum ex antiquis codicibus et lapidibus, alia sparsivi antehac errantia, iam undecunque coUecta einendatiora eduntui\ Parisiis, 1590; Lugduni, 1596, Genevae, 1619.

42 Centoni vergiliani

recente del Riese e del Buecheler (1) e nell' opera Poetae latini minores del Bithrens (2). I centoni estranei al Codice Salmasiano furono poi pubblicati a cura dello Schenkl negli Opuscula di Ausonio e nel volume dei Poetae christiani minores dell'Accade- mia viennese (3).

I. (7). [De panificio] (4).

Vi si descrive la faccenda dei pistores nel forno, che me- scolano la farina con l' acqua, impastano, ungono con l' olio i pani, li fanno cuocere, mentre il vapor ater volai ad auras gì' in- filzano agli spiedi e li accumulano ne' canestri, che ragazzi e fanciulle recano lungi.

È un centone frammentario di 11 versi, scritto con qual- che arguzia e con lievi mutazioni, a causa del metro, sul testo vergiliano, tra cui convolvens (v. 5). Sembra esercizio letterario di carattere idillico (5).

IL (8). De alea (6).

Dopo r invocazione a Minerva, di cui il poeta si propone cantare il donum exitiale, cioè una gara sanguinosa, incomincia la lotta tra i giovani atleti, animati da furore, da invidia e da brama di gloria. Alla presenza della folla, che gremisce il circo, si combatte duramente, con vera ansia degli spettatori, e, dopo lunga prova, al vincitore fortunato si la palma, mentre i vieti tristes mormorano e un miserabile vi perde la vita.

(1) P. BuRMANNUS Secundus, Aìithologta latina^ Amstelodami, 1759, 1773; H. Meyerus Tueicbnsis, Anthologia latina, Lipsiae, 1835; A. Riese et F. Buecheler, Anthologia latina sive poesia latinae supplementum, ed. cit., 1894, fase. I.

(2) Aem. Bahrens, Poetae latini minores^ Lipsiae, Teubner, 1879-1883, I-V.

(3) C. Schenkl, Op. cit. pagg. 609 e segg. Delle vicende e della composizione di alcuni centoni trattò anche P. Lbyser, Historia poetarum, et poematum medii aevi, Halle, 1721, p. I.

(4) BuRMANN, Anth. lat., I, 171; Meyer, A7ith. lat., 1608; Bahrbks, Poet. lat. min., IV, 191; Riese, Aiith. lat., I, 33-34.

(5) C. Schenkl, Op. cit. pagg. 531-32.

(6) Burmann, III, 81; Meyer, 1613; Bahrens, IV, 192; Riese, I, 34.

Centoni vergilìani 43

Il testo del centone, che conta 112 versi, deve giudicarsi in- terpolato e corrotto, tanto che in alcuni tratti il senso è oscuro o incomprensibile. Secondo lo Schenkl (1) ne sarebbe stato au- tore un uomo incolto ed ignorante di versificazione, come si mostra negli esametri mal connessi, nella sintassi vacillante e neir uso strano di alcune parole. Il componimento non è in- tiero e fu scritto forse nel quinto secolo in occasione d' una festa militare.

III. (9). Narcissus (2).

Nella selva il giovane bellissimo nella sua prima giovinezza, mosso dalla passione, sosta ad ammirare la sua immagine ri- flessa nello specchio delle acque del fiume. E tosto, preso da un subitaneo impeto d'amore, fa tre volte per abbracciarla, ma invano : ter conatus erat, nec, quid sperarsi, Tiabebat.

Sono 16 esametri, in cui non mancano frasi oscure e li- cenze poetiche soverchie, e sebbene i versi siano vergiliani, forse l'imitazione è dal greco.

IV. (10). Mavorti. ludicium Paridis (3).

Mentre Paride è intento a guardare la gregge, ecco le tre dee, cui egli domanda se gli portino pace o guerra. Giunone risponde promettendogli ricchezze, potenza e vita lunga e lieta; Pallade le glorie della milizia e Venere, male numen amicum, mostrandosi nella svelata bellezza, le nozze con una donna di Sparta. Il pastore, preso alle sue lusinghe, aggiudica il pomo alla terza dea, do quod vis, me tamen urit amor ; e rapisce Elena Ledèa.

Centone frammentario di 42 versi, forse mancante del prin- cipio e della fine, in cui, secondo lo Schenkl, poche variazioni si osservano dal testo vergiliano, ma non pochi sono i difetti

(1) C. Schenkl, Op. eit., pag-g-. 532-34 « ab homine rudi artisque ex- perti compositum esse nemo non videt. ».

(2) BuRMANN, I, 146; Mbyer, 669; Barhbns, IV, 197; Ribsb, I, 38; cfr. C. Schenkl, Op. eit., pag. 534.

(3) BuRMANN, I, 147; Mbyer, 282; Bahrens, IV, 198; Ribse, I, 39.

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Centoni vergiliani

45

. (12). IJ e ul e s et Antaeus (1).

Arrivato ^>cole nella Libia arenosa, cercando eroiche av- Dture, s' inontra nel gigantesco Anteo, che, ricordando le sue sta, sente c^scersi le forze e s'affronta con lui. Ma Alcide lo Ueva dal sulo, gì' impedisce di muoversi, e senza chela ma- e Terra pesa soccorrerlo, lo scuote e lo fa ricadere giù, to- iendogli la ita.

Breve caiposizione di 16 versi mal disposti, è opera di rittore poc< colto del quinto secolo ; ha forma epigrammatica sembra coi pendio o sunto di poema più ampio, forse pre- 3sto come sgomento al poema stesso.

IL (13). Ptngne et Ph ilo mei a (2).

La ronOiL' spazia ne' vuoti portici e a primavera li riem- ie dei suoi imenti, come pure Filomela canta mestamente gni giorno. Causa di tanto male fu una donna, donde un cru- de amore, ii fanciullo sciagurato e l'odio del tiranno. Essa »er vendicali, complice la sorella, uccise il bambino e ne of- ri le membr al re sulla mensa. Ma mentre il padre se ne dba, le due colpevoli petierunt aethera pinnis, si tramutano in iccelli.

Lo Sch(\l giudica questo centone di 24 versi rude e foe- lum, tanto < i- nella maggior parte de' versi resta dubbio ciò 3he il poeta abbia voluto significare. Forse è posteriore di óempo agli itri, ed ha l'aspetto d'un esercizio di scuola su tema di rnitiugia (.3).

Vm. (14j. hiropa (4).

Giove, peso d'amore, scende in forma di toro nel mare, e si presenta ila fanciulla, che, ignara di tutto, si trastulla sul

(1) BuRMiSN, I, 45; Meybr, 581; Bahrens, IV, 205; Riese, I, 47; C. ScHENKL, 0. cit., pag. 538.

(2) BuRMAN, I, 168; Mbybr, 689; Bahrens, IV, 206; Riese, I, 48.

(3) C. ScBNKL, Op. cit., pag. 539: « pessime coriflatuni est hoc Car- men, versibus ueptissime effictis ».

(4) Burman, I, 14; Meyer, 575; Bahrens, IV, 207; Riese, I, 49.

44 Centoni verg Ulani

di senso e di sintassi. Autore ne è Mavorzio, celebre poeta centonario, vissuto nel sesto secolo. Fu creduto una sola per- sona con Vettius Agorius Basilius Mavortius, che fu console nel 527, ma il Riese opportunamente ne dubita, perchè gii sembra che quasi tutti i poeti dell' Anthologia, che fanno gruppo con lui, siano affricani di patria o almeno di residenza (1). Visse forse nella società cui appartennero il grammatico Calbulo, il refendano Pietro, Ottaviano e Catone.

V. (11). Hi pp od a mi a (2).

Invocata Giunone e Tesifoue, per accennare ad un amore crudele, il poeta viene a narrar la storia d' Ippodamia. Molta gioventù accorreva alla città per provarsi alle corse de' cocchi e aspirare alle nozze della vergine, piuttosto curando la gloria che la vita. Ma vinti dal padre di lei, pagavano Y audacia con la morte. Finalmente un giovane, mentre si celebrava il sa- crificio e presso il genitore era la fanciulla, si offre alla gara della corsa. Il re tenta rimoverlo dal suo proposito, ma egli affidandosi alla fortuna va incontro alla morte, e Ippodamia, presa d'amore per lui, ordisce un inganno col mezzo di Mirtilo, cocchiere del padre, che procura la vittoria del giovane preten- dente. Quegli, quando però vede il suo re vinto e il fortunato vincitore allato aUa fanciulla passare applaudito nel circo, confessa la sua colpa ed è gettato nel mare, che tolse il nome da lui.

Il testo comprende 162 versi, spesso mal connessi e si oscuri, che in più luoghi non s'intende il pensiero del poeta. Frequenti vi sono anche gli errori di prosodia nella quantità e negl' iati (3). Nulla di certo può affermarsi circa il tempo e l'autore, quantunque sia probabile spetti anche questo cen- tone al secolo quinto.

(1) C. ScHENKL, Op. cit. 534-35; Riese, praef. XXVI-XXIX, F. La- TENDORD, Fleckeisens. lahrb. 103, pag. 861.

(2) BuRMANN, I, 170; Meyer, 1607; Bahrens, IV, 199; Riese, I, 41.

(3) C. SCHBNKL, Op. cit., pagg. 537-38.

Centoni vergiliani 45

VI. (12). Hercules et Antaeus (1).

Arrivato Ercole nella Libia arenosa, cercando eroiche av- venture, s' incontra nel gigantesco Anteo, che, ricordando le sue gesta, sente crescersi le forze e s'affronta con lui. Ma Alcide lo solleva dal suolo, gi' impedisce di muoversi, e senza che la ma- dre Terra possa soccorrerlo, lo scuote e lo fa ricadere giù, to- gliendogli la vita.

Breve composizione di 16 versi mal disposti, è opera di scrittore poco colto del quinto secolo ; ha forma epigrammatica e sembra compendio o sunto di poema più ampio, forse pre- posto come argomento al poema stesso.

VII. (13). Progne et Ph ilo mela (2).

La rondine spazia ne' vuoti portici e a primavera li riem- pie dei suoi lamenti, come pure Filomela canta mestamente ogni giorno. Causa di tanto male fu una donna, donde un cru- dele amore, un fanciullo sciagurato e l' odio del tiranno. Essa per vendicarsi, complice la sorella, uccise il bambino e ne of- frì le membra al re sulla mensa. Ma mentre il padre se ne ciba, le due colpevoli petierunt aethera pinnis, si tramutano in uccelli.

Lo Schenkl giudica questo centone di 24 versi rude e foe- dum, tanto che nella maggior parte de' versi resta dubbio ciò che il poeta abbia voluto significare. Forse è posteriore di tempo agli altri, ed ha l'aspetto d'un esercizio di scuola su tema di mitologia (3).

Vin. (14). Europa (4).

Giove, preso d'amore, scende in forma di toro nel mare, e si presenta alla fanciulla, che, ignara di tutto, si trastulla sul

(1) BuRMANN, I, 45; Meyer, 581; Bahrens, IV, 205; Riese, I, 47; C. Schenkl, Op. cit., pag-. 538.

(2) BuRMANN, I, 168; Meyer, 689; Bahrens, IV, 206; Riese, I, 48.

(3) C. Schenkl, Op. cit., pag. 539: « pessime conflatum est hoc Car- men, versibus ineptissime eflfìctis ».

(4) BuRMANN, I, 14; Mbybr, 575; Bahrens, IV, 207; Riese, I, 49.

46 Centoni vergiliani

lido con le altre vergini tirie. Ma le compagne fuggono ed ella rimane sola avanti al divino animale, che ricopre di fiori e in- corona. Come poi la Plioenissa gli s' adagia sul dorso, il toro scende nel mare, mentre le onde son tranquille, tacciono i venti e le ninfe scortano il passaggio del nume, che perfidus alta petens, per via non solita si porta seco la dolce preda.

È uno dei centoni migliori, sebbene di soli 34 esametri, per armonia di emistichi e per eleganza d'immagini, lo detur- pano errori di prosodia. Si può supporre sia la leggenda ap- posta ad una pittura del mito d' Europa, quale si vede raffigurato sovente negli affreschi anche pompeiani, o pure un epigramma descrittivo sulla pittura stessa. Poche variazioni di parole o di lettere il poeta ha fatto sul testo vergiliano ; forse manca un verso, il 26, a compiere il senso.

IX. (15). Al cesi a (1).

Un giovane di beli' aspetto e le nozze di lui il poeta ha in animo di cantare. Il re Pelia, già vecchio, aveva una sola figliuola, che molti bramavano sposa, ma era prescritto che essa non apparterrebbe che a quell' ardito, che sapesse com- battere co' leoni e dar la caccia ai cinghiah. Un giovane si presentò al re e, invocato Apollo, custode del Soratte, con r aiuto del nume ottenne la vittoria e le nozze della fanciulla. Passato qualche tempo, ecco la morte e il decreto delle Parche minacciare lo sposo, che sente scemare le forze vitali. Rivol- tosi ad Apollo, questi risponde che la ianua Ditis chiede una vit- tima, che il fato inesorabile non muta e che uno in sua vece, se egli vuol essere salvo, deve morire. Il disperato Admeto prega il vecchio padre a dar la vita per lui, ma invano ; e allora la moglie Alcesta, udita la cagione delle sue lacrime, accetta con eroico sacrificio d' amore, di porsi in suo luogo. Gli raccomanda la fedeltà, la bontà, l'affetto ai figliuoli, bacia questi, si congeda dolcemente da tutti e muore : dilapsus color atqìie in ventos vita recessit.

(1) BuRMANN, I, 172; Meyer, 1609; Bahrens, IV, 208; Riesb, I, 50; C. ScHENKL, Op. cit., pagg. 540-543.

Centoni vergiliani 47

In questo centone di 1(52 versi, con una breve lacuna, si narra 1' antico mito di Alcesta, che già era stato argomento di una tragedia d' Euripide. Non mancano certamente tratti oscuri e versi difficili e dissonanti, come pure è da deplorare la scarsezza di nomi ad indicare persone e cose ; ma non mi sembra giusto il giudizio dello Schenkl, che lo dice in tutto simile al centone Hippodamia, che è dovuto a mano inesperta, e che ci è giunto molto interpolato e viziato nel testo. Qui il poeta, forse italico, da che nomina Apollo custos Soractis, pro- segue una favola narrativa che ha ordine e disposizione di parti : e dai versi traluce spesso l' affetto e 1' eleganza dello stile.

X. (17). Hosidii Getae. Medea (1).

Mentre Medea invoca il Sole e la Terra a confortar lei e a far vendetta de' suoi oppressori, e il coro delle donne della Colchide prega Griunone e Diana ad assisterla, Creonte le im- pone d' abbandonare il paese, in cui s' è rifugiata, e di mettersi in mare, minacciandola di morte se si trovi ancor in quel luogo alla nuova aurora. Le donne la inducono a rivolgersi ai numi, non nascondendo il timore di gravi danni futuri, e anche la nutrice sopraggiunta consiglia lungamente la tuga.

Ma ecco Giasone, che si meraviglia di vederla e che non comprende, dopo i malefìci magici, come essa non tema i pericoli. Medea lo rimprovera a lungo della fede tradita, delle promesse fallite e delle nuove nozze, che egli si prepara a celebrare ; e quando s' avvede che lo sposo la disprezza e la scaccia da sé, arde di furore e medita la vendetta, che è pre- sagita dal coro. Poco appresso giunge il nunzio, pieno di spa- vento, ad avvertire Creonte che la terribile donna uccide i suoi figliuoli, e lo stesso Giasone, appreso il delitto, impreca contro di lei, che il saevus amor ha spinto a tanto oltraggio e che s' invola alla pena.

Questa tragedia centonaria di 461 versi, tra esametri e trimetri giambici, s' estende per undici scene, che sono le se-

(1) BuRMANN, I, 178; Meybr, 235; Baurens, IV, 219; Riese, I, 81.

48 Centoni vergiliani

guenti : Medea Chorus cholchid arimi Creon, Medea. Vox de ìntus, Chorus Medea, Nutrix lason, SateUes, Medea. Chorus Xuntius, Creon Nutrix, Medea. Medea, Filii, Umbra Apsyrti lason, Niint'ms, Medea ah alto. La dispo- sizione della favola drammatica e la distribuzione delle parti è simile a quella della tragedia d' Euripide, ma somiglianza mag- giore s' avverte con la stessa tragedia di Seneca, come provò il Burmaun, affermando che Osidio, salvo il verso centonario, fu un imitatore fedele di lui, appunto nel tempo, quando queste tragedie avevano acquistato nell' impero la massima fama.

Quanto al valore letterario, lo Schenkl dice il centone rude et omnique arte destitutitm, neque ulta in eo conspicitur venustas et elegantia, e accusa l' autore di tratti oscuri, di violazione delle regole grammaticali e metriche e di controsensi e pleona- smi, tanto che spesso non si ascolta che inanis verhorum copia et strepitus (1). Non mi sembra tuttavia da negare ad Osidio una certa esperienza poetica e una sufficiente cultura, che si mostra nell' aver egli superato, con agevolezza, difficoltà di pen- siero e di forma, costretto all' imitazione del soggetto, già trat- tato da altri, e al lessico vergiliano.

Di Hosidius Geta, che non va confuso con queir Hosidius, che combattè nel 42 di C. contro i Mauritani, con l'altro che fu console surrogato con L. Vegelleio nel 47, non sappiamo altro che visse sul finire del secondo e al principio del terzo secolo e fu coetaneo di Tertulliano ; caetera omnia ignoramus, come scrisse il De Vìt. Soltanto dalle parole dell' apologista si può dedurre che vivesse in Affrica e forse in Cartagine, e che s'acquistasse molta fama di poeta, se le parole pienissime exsu- xit, suonano, come pare, una lode. Della tragedia diede una edizione P. Scriverlo ne' Collectanea veterum tragicorum (2).

(1) C. Schenkl, Op. cit., pagg. 549-552.

(2) V. De Vìt, Onomasticon, ed. eit.; Burmann, I, 178; Meyer, 235; Bahrens, IV, 219; Tertull., De praescr., e. 39 cit. P. Scriverius, Coli, vet. trcig. Lugduni Bat. 1620, pagg. 187 e segg.

Centoni vergiliani 49

XI. (18). Epithalamlum Fri di a Luxorio viro ci aris- simo et spec tubili dictum centone (1).

Venere, la candida dea, tra le aeree nuvole, splendida di ornamenti sta sul Campidoglio, osservando la terra con Giu- none e le Oreadi ; mentre nella gran casa s'affollano i giovani che devono assistere alle nozze. Allora la dea prega Amore ad eccitare la passione in una fanciulla matura viro, di grande stirpe, che essa vuol dare sposa a Frido marito. Amore accon- sente e il rito nuziale si compie con la speranza di duplice prole e di copiosa discendenza.

Certamente in questo centone, di 68 esametri, non appa- riscono quelle doti poetiche che Lusorio ha negli altri suoi carmi ; sembra una poesia languida e senz' arguzia, per le nozze di Frido, diretta imitazione del centone nuziale di Ausonio, che dalle evidenti analogie si può concludere l'autore avesse in- nanzi gli occhi poetando. Non mancano versi mal disposti e mal formati, ma il difetto dell'esametro 33 si deve al trascrit- tore e non al poeta.

Di Luxorius o Lisorius, che è detto vir clarissimus et spe- ctabilis e che perciò dovette occupare alti uffici politici, sappiamo che visse in Cartagine nel sesto secolo sotto i re vandali Ilde- rico e Geliraero (2); e il primo loda come benefico, ricordando anche Bonifazio, il ministro di Gelimero, che chiama Eutico (3). Egli si' trattenne lungamente in Affrica, fino cioè alla conquista di Belisario, che restituì quella provincia all'impero greco; e, quantunque presso barbari, senti vivamente la romanità, tanto che di frequente ne' suoi versi tende ad avvicinare Roma a Cartagine, Romulidas et Tyrias manus, per poter gloriarsi cit- tadino della città eterna (4). Scrisse molte poesie, dedicate al grammatico Fausto (5), che si trovano in gran parte raccolte nel-

(1) BuRMANN, Luxorius, 84; Meyer, 382; Bahrens, IV, 237; Riesb, I, 79.

(2) Cfr. RiESE, Anth. lai. praef., XXV-XXVIII.

(3) Op. cit. ivi, carm. 341.

(4) Op. cit. ivi, carni. 203.

(5) Op. cit., e. 203-209; 287-375.

50 Centoni vergilìani

Y Anthologia. brevi e di colorito storico o satirico^ più epigram- matiche che narrative, alla maniera di Marziale, e di queste fece da vivo due edizioni, che gli procurarono gran fiima. Fu anche uomo eruditissimo, come è detto in una lettera a lui del poeta Coronato, suo amico, compose trattati di grammatica e special- mente d' ortografia, e la sua parola ebbe molto autorità nelle scuole (1). Notevoli tra i suoi epigrammi son quelli per la morte d' una figliuola di Euagees, fratello di Hoamero e cugino di Ilderico, di sapore cristiano, e la parafrasi delle sentenze dei sette sapienti (2).

XII, D . Magni Au sonii . Cento nuptialis (3).

Vi si narrano in brevi quadri le nozze sontuose di due giovani patrizi, d' antico sangue e di grandi ricchezze, e il poeta s' intrattiene sulla cura nuziale, sul corteo della sposa, sui doni offerti a lei, canta l'epitalamio e descrive l'ingresso nel cu- bicolo e il coricarsi degli sposi. I titoli dei singoli quadri sono i seguenti : Cena nuptialis, Descriptio egredientis sponsae, Descriptio egredientis sponsi, Ohlatio munerum, Epithalamium utrique, Ingres- sus in cubiculum^ Irnminutio.

Il centone è di 137 versi e si fa ammirare per facilità, armonia e mirabile concordanza ne' significati trasposti. Forse in nessun altro componimento poetico di questa specie lo scrit- tore ha mostrato altrettanta grazia e agilità di stile. Vi si accenna ad un vero matrimonio, e però l' occasione della poe- sia è reale, lo sposo è spes altera Eomae, flos veterum virtutis, la sposa, secondo il verso vergiliano, è matura viro, iam plenis

(1) H. Keil, Gramm. lai. IV, pag. 4; Cocl. lust., XII, 15, 1; Riese, Anth. lai., praef., XXVI, nota.

(2) A. Ebert, Geschichte der lai. Ut., cit. 1. Ili, cap. 11, pag. 412; W. Teuffel, Op. cit., Ili, 476, 3 n,: L. Mììller, Fleckeis. lahrb., 95, pa- gine 783-786; Schubert, Qiiaestiones de anth. cod. Saltn., Weimar, 1875. Sulle condizioni della letteratura e della civiltà in Affrica, durante il do- minio vandalico v. anche W. Poetzsch, Viktor von Vita und die Kirchen- verfolgung im Wandalenreiche, Dòbeln, 1887, e. 1, 2.

(3) D. M. Ausonii Opuscula, ed. cit., Berolini, Weidmann, 1883 in M. G. H., Auct. antiq. t. v. part. post. XXVIII, pagg. 140-146.

Centoni cristiani 51

nubilis annis, persone dunque presenti e note nella corte. Ma non manca pure in Ausonio il desiderio di gareggiare con l' im- peratore, e di costringere Vergilio, poeta pudico, ad un carme osceno. Di questa offesa alla morale egli si scusa, ricordando le parole di Giovenale e di Plinio, e dice all'amico:

Contentus esto, Paulo mi, lasciva, Panie, pagina : ridere nil ultra puto (1).

Tuttavia la sua coscienza non è tranquilla, e, dopo aver addotto vane scuse a difesa, conclude chiedendo che il centone non si legga, o si dimentichi o si perdoni. « Igitur cui Me ludus noster non placet, ne legerit, aut cum legerit, obliviscatur , aut non ohìitus, ignoscat ». Fu composto circa la metà del quarto secolo e però errò il Burmann nell' affermare che non s' avevano carmi centenari più antichi di quello d'Ausonio (2).

XIII. P ompon i i . Versus ad g r a t i am Domi n i .

È un dialogo, a somiglianza delle ecloghe vergiliane, tra Titiro, un vecchio, ben istruito ne' misteri della tede cristiana, e Melibeo, un giovane, che desidera apprendere la verità da lui. All'invito di questo, Titiro dice di non cantare le incerte pro- fezie degli antichi vati, ma le promesse di Dio, sommo domina- tore delle cose. Melibeo l'invidia, perchè la fede può condurre lui ad alti destini; e l'altro soggiunge che la fiducia nel cielo ci fa operar bene a vantaggio dell'anima, la quale dopo l'ul- timo giorno, priva del corpo, vive immortale nel cielo, secondo i suoi meriti. E poiché al giovane quest' immortalità reca grande gioia, Titiro consente a soddisfare il suo desiderio am- maestrandolo sulla necessità d'una vita morale lontana dal lusso e dalle ricchezze e narrandogli poi la creazione del mondo, degli astri, degli animali e delle piante, dell' uomo, la prevari- cazione d'Israele e la redenzione con la venuta di Cristo al mondo, per mezzo della Vergine, che Dio elevò a sua madre.

(1) Op. cit., pag. 146.

(2) Anth. lat., ed. cit. praef.

52 Centoììi cristiani

Il centone di 132 esametri, fu prima pubblicato da C. Bur- sian sul codice palat. ITòo del secolo IX o X in Sìfzun(jsberìchf der Mtiììchener Aluid. phiìosop. phiìoìog. hi.<f. Jcl. 1878, voi. II, I, pai:, -i^ e scì^ìt., e poi da C. Schenkl nel volume Poetne chri- stiaui minores {D: e l'uno e l'altro avvertirono che il poema non è completo, ciò che spiega in parte come Titiro mal cor- risponda alle domande di Melibeo, sebbene a volte l'obbligo della parola vergiliana gì' impedisca anche d' esprimersi chiara- mente.

Per l'eti'ì del codice, il centone deve essere anteriore al settimo secolo, ma forse deve ritenersi composto poco dopo quello di Proba, di cui sembra essere imitazione. Circa l'autore, il Bui'sian per primo ricordò a proposito di questo poema il tratto d' Isidoro, dove dice che. a somiglianza di Proba, anche un certo Pomponio aveva composto un centone sotto il nome di Titiro : « Sic quoque et quidaìu Poinponius Inter cetera sui stili otia lift/rum in Chri^ti honorem composuit similiter et Aenei- dos ». (^Orig. I, 39, 26). Per l'analogia del titolo possono dunque ritenersi i Verstts opera di Pomponio, poeta cristiano forse del quinto secolo, che componeva per diletto poesie di vario stile, e di cui ignoriamo l'età precisa e la patria (2).

XIV. De verbi i n e a r ìì at i o n e.

Il Signore, avendo finalmente compassione degli uomini, mandò in terra il suo divino Figliuolo, e Dio apparve allora nel mondo. La Vergine, di nobile stii'pe e d'intemerata fede, fu resa feconda per virtù dello Spirito e le fu annuziato dal- l' angelo che un ordine stabilito nel cielo si compiva in lei. Temendo, essa volle scusarsi, credendosi indegna di tanto onore, poi piegò il capo al volere divino, e Cristo s' incarnò. Cosi Dio chiamò il Figliuolo sua potenza e suo amore, e lo invitò a di- scendere ; nascita, che la stella annunzia ai magi. Segue, dopo una lacuna, il discorso di Gesù, in cui si raccomanda agli uo-

(1) Op. cit., pagg. 609-615 e praef., pag. 560-61. {2) A. Ebert, Op. cit., 1. in, e. 11 ; M. Manitius, Op. cit., pa- gine 127-128.

Centoni cristiani 53

mini la preghiera, il culto della religione, l' operar con giustizia, e si promette dopo morte ai buoni il premio del paradiso, della città beata, ove son preparate le delizie all' anima. Pronunziate queste parole, egli si leva in aria e nasconde il capo tra le nuvole, tornando cosi al cielo.

Di Ili versi con una lunga lacuna, fu edito la prima volta da E. Martène in Ampi. CoUect. IX, p. 125 e segg., che lo attribuì a Sedulio; lo pubblicò di nuovo l'Arevalus nell'edizione di questo poeta p. 384, il Riese nell'Antol. lat. 719, l'Huemer nell'edizione di Sedulio, pag. 310, e in fine lo Schenkl nell'opera cit., pag. 615-620, Certamente non può attribuirsi a Sedulio, perchè il codice, lo stile comprovano essere il centone di quest' autore. Si riscontrano nel testo reminiscenze evange- liche (^Luc. I, 26-38) e di Giovenco d, 52-79i, ma soprattutto una palese imitazione del poema di Proba nella chiusa, ove, dopo aver accennato l' autore all' ascensione di Cristo, ripete quasi gli stessi versi della poetessa, augurando a e alla sua famigUa il favore di Dio :

Ex ilio celebratus honos, laetique minores servavere diem, atque haec pia sacra quotannis matres atque viri, pueri inmiptaeque puellae canninibus celebrant, paterisque altana Ubant. Ast ego qui cecini ma^um et mirabile numen, haec eadem gentique meae generique manebunt (1\

Sicché l'autore fu forse un imitatore di Proba e compose nel quinto secolo, attratto dalla fama di lei, quando molti cen- tonari, di cui i versi sono andati perduti, s' ingegnavano di seguirne le orme (2).

XV. (16). Mar 0 r t i . De ecclesia.

Un tempio augusto dalle cento colonne, come le prime ba- siliche, il Signore scelse per sé, ospizio acconcio alla sua re- ligione, ove fanciulli e madri cantano le lodi sacre e levano gli occhi al cielo, ove sono esaudite le loro voci e le loro pre- ghiere. Ivi il sacerdote parla ai fedeli raccolti : Rispettate la

(1) C. Schenkl, ed. cit. v. 106-111.

(2) M. Maxitius, Op. cit., pagg. 127-129.

54 Centoni cristiani

giustizia, come Dio prescrisse, che venne nel mondo e prese carne umana nel seno d' una Vergine. Alcuni che non cre- dettero in lui saranno puniti nelU estremo giudizio ; poiché egli veramente conversò con gli uomini, fu condannato e cro- cifisso, e, mentre il cielo per la sua morte s' oscurava, discese neir inferno a liberarne le anime degli antichi padri, e risorse. Di un tal prodigio si sparse la fama per la città, tutti stupi- rono e Giuda, il traditore, s'uccise al laccio. Gesù comparve in mezzo ai suoi, li consolò e loro ordinò di predicare la buona novella e di battezzare i popoli. Dopo di ciò ascese al cielo e s'involò agii sguardi dei discepoli . Profferite queste parole, prosegue il sacrificio sull'altare, il sacerdote benedice gli astanti e dispensa 1' eucaristia, di che tutti partono per le loro case lieti e confortati.

Mentre il poeta recitava il centone narrando, la folla, am- mirata de' suoi versi, applaudi chiamandolo nuovo Marone o Marone giovane: cumque abortio clamaretur « Maro iunior ! ■» , ad praesens hoc recitavi ; egli stesso aggiunse una chiusa ringra- ziando, e dicendosi indegno del paragone :

Ne, quaeso, ne me ad talis inpellite pugnas ! namque erit ille mihi semper deus, ille magister. nam memini neque iam ignari sumus ante malorum: fonnonsum pastor Phoebum superare canendo dura cupit et cantu vocat in certamina divos, membra deo victus, ramo frondente pependit (1).

Il centone di 116 versi con tre lacune, attribuito a Ma- vorzio, fu pubblicato sul manoscritto di Leida da W. H. D. Suringar (2), dal Riese, dal Bahrens e in fine dallo Schenkl. Quanto all' autore, si disse prima di Mavorzio, credendosi che abortio fosse una corruzione del nome del poeta, ma il Bahrens e lo Schenkl lessero ab auditorio, ab ostio o abituro e intesero che la folla acclamasse il recitatore, mentre era per allonta-

(1) C. Schenkl, ed. cit., v. 111-116.

(2) Cfr. W. H. D. Suringar, AnQnymi cento vergilianus de ecclesia^ Traiecti ad Rhenum, 1867; Riese, 16; Bahrens, IV, 214 e segg.; Schenkl, Poetae chrisHani minores, ed. cit., pag. 621; Quicherat in Bibliothèque de l'école des chartes^ I, 2, 130 e Riese, Op. cit., pag. 61.

Centoni cristiani 55

narsi, finita la lettura del carme (1). Tuttavia al Riese que- st' interpretazione non parve sicura, ed egli e altri continuarono a ritenere opera di Mavorzio il centone e data a lui la lode di Vergilio redivivo. Nella lezione accettata dal Riese: Cumque Mavortio clamaretur, hoc recitavit, il nome proprio può ritenersi opportuno, perchè in persona d' un narratore anonimo, ma nella lezione dello Schenkl : hoc recitavi, men sarebbe probabile che il poeta, in prima persona, avesse nominato se stesso ; e dovrebbe forse rifiutarsi la sostituzione del luretus, che lesse Ma- vortio. Ad ogni modo, questo famoso poeta, Maro iunior, chiama dio Virgilio, mostrando per lui un culto affettuoso, e teme- rebbe la sorte del pastore Marsia, se fosse ardito paragonarsi a tanto vate. Il carme, come risulta dal testo, si riferisce ad una solenne cerimonia ecclesiastica e il sunto dell' omelia del vescovo o del sermone catechistico del sacerdote. Fu re- citato in pubblico, e ci porge cosi un esempio di quelle letture pubbliche sacre, che rimasero di moda anche nei secoli sesto e settimo. E i centoni particolarmente dovettero recitarsi in oc- casioni solenni a dar l' illusione al popolo che poeti simili a Vergilio vivevano ancora ne' tempi tristi della cadente roma- nità. Circa il testo, lo Schenkl nota anche qui versi male connessi e oscuri, cesure non osservate e alcune frasi disa- datte al significato nuovo (2).

Tutti questi centoni, salvo quello di Proba, che è il decimo- sesto della serie, e che mi propongo esaminare con cura, hanno caratteri letterari e metrici simili, poiché le difficoltà, contro cui hanno conteso i compositori, sono le stesse, più lievi nei centoni d'argomento pagano e più ardue in quelli d'argomento cristiano, che la parola di Vergilio poteva a stento significare. La soverchia concisione nelle locuzioni e ne' periodi, le ripe- tizioni frequenti dello stesso pensiero e la prevalenza dello stile descrittivo e dei discorso diretto son caratteri, dovuti al- l' imitazione obbligata d' un autore, che era più facile imitare ne' tratti generici e comuni, men prossimi cioè alla favola del suo poema.

(1) Vedi anche Riese, Aiith. lai., 173, 1,

(2) M. Manitius, Op. cit., pagg. 129-130; A. Ebert, Op. cit., 1. Ili, e. 11 ; W. Teuffbl, Op. cit., 41, 1216, 17, 28.

IH.

// « Cento Probae ».

La fama presso i contemporanei

e nelle scuole del medio evo. I codici

e h edizioni. Esame dell'argomento.

Episodi biblici ed evangelici.

Tra i centoni cristiani ricordati, superiore senza dubbio agli altri per la grande fama che lo seguì e per la migliore arte nella combinazione fraseologica e nell'adattamento della locu- zione al senso nuovo, è quello di Proba. Veramente essa ne scrisse due, che corrispondono forse a due periodi diversi della sua vita; il primo, perduto, narrava, già notammo, la guerra di Costanzio contro il ribelle Magnenzio, e dalle notizie che ce ne restano, si può dedurre che fosse composizione intessuta di reminiscenze mitologiche eleganti di fregi retorici, secondo il gu- sto del tempo. Si pensò, interpretando i versi stessi di Proba, in cui dice d'aver peccato, che lo scrivesse quando non era ancora cristiana, e primo il Roselo dagli ultimi tre esametri volle anche concludere che il marito Adelfìo soltanto in vec- chiezza si rendesse cristiano (1); ma son xjarole, che, come s'è detto, possono avere ben altro significato. Del primo centone, quanto al tempo in cui fu composto, poco è dato accertare, se non forse che dovette la poetessa attendervi negli anni della guerra civile o tosto avvenuta la disfatta dell'usurpatore. Al contrario, del secondo meglio si può determinare il tempo. In

(1) Cfr. I. FoNTANiNi, De antiquitatibua Hortae, ed. cit., lib. II, e. 4, pag. 235.

Il « Cento Probae > 57

una dedicatoria, che si trova ne' manoscritti premessa a questo centone, di quindici esametri, e che il Riese riferì come un Carmen (1), l'amanuense dirigendosi ad Arcadio imperatore, che nomina ed adula quale Romulidu/n dtictor, .spe,s orbis fratrisque decus, afferma che 1' augusto gli aveva commesso di trascrivere in bella forma il celebre poema, che perciò glielo dedica, ed esorta lui a leggerlo e a farlo leggere, aggiungendo: tradasque minori Arcadio (2). Or questo minor Arcadiuti, osservò acu- tamente il 8eeck, (3), non esser altri che Teodosio II, non an cor nato e di cui Eudossia era allora incinta, che perciò il poeta chiama con felice augurio dal nome del padre. Se però Teodosio non era ancor nato, dovendosi di necessità porre la nascita di lui tra il 385 e il 401 di Cristo, è chiaro che Proba molto prima compose il poema, senza dire che, se come fa fede l'epigrafe, la poetessa finì di vivere innanzi al marito Clodio Adelfio, cioè intorno al 370, prima di questo tempo deve averlo scritto. Ma l'altro termine per la data di composizione ri- sulta dal raffronto col centone antecedente, ove, come si legge nel codice notato dal Montfaucon, si narrava epicamente la guerra Consfanfinì {Constantii) adversus Magnentium (4). La

congiura di Magnenzio fu ordita, a quanto fa sapere Idazio, il 18 gennaio del 350, ma la guerra che combattè Costanzio con- tro r usurpatore finì, dopo varie vicende, con . la battaglia di Monte Seleuco tra Die e Gap nell'agosto del 355 ; e perchè quel fatto potesse prendere alquanto nella fantasia di Proba le mo- venze eroiche dell' epopea dovette certamente correre qualche anno. Perciò si può ritenere che il primo centone, anche se incominciato a scrivere durante la guerra, non fosse compiuto prima del 355, ovvero del 356. Per assegnare poi il minor intervallo possibile ad un'evoluzione psicologica e ad una con- versione morale, che non fu certo repentina nell'animo della

(1) A. RiESB, Anthologia lat., ed. cit., pag. 735; e C. Schenkl, Probae cento, ed. cit., pag:. 568. Il Comparetti crede il carme diretto ad Onorio, e non ricorda che si riferisce al centone di Proba. Virgilio nel medio evo, ed. cit., p. I, e. VII, pag. 131, nota.

(2) Carmen in Riese, Op. cit., 13-14.

(3) Q. Aurelii Symmachi qiiae supersunt, ed. cit., pag. XCVI.

(4) Cfr. pag-. 8.

58 II « Cento Próbae »

nobile donna, e perchè essa stessa ricordi il primo poema come cosa antica, scritta da un pezzo, iamdadum, di cui prova dis- gusto, satis est memìni.sse maìorum, non dovette intraprendere di nuovo a far versi, se non dopo il 360. Perchè infine s'è posta la morte della poetessa come avvenuta intorno al 370, tra queste due date, 360 e 370, si può credere sia stato il centone cristiano scritto e pubblicato.

Il testo del Cento Próbae, quale ci è pervenuto, consta di 694 esametri di varia struttura per qualità di piedi e disposi- zione di cesure, e si mostra diviso in due parti quasi uguali e simmetriche, delle quali la prima, che comprende la narra- zione dei fatti del Vecchio Testamento, s'estende sino al verso 332, e r altra, che narra i fatti della vita di Cristo, è conte- nuta ne' 362 versi rimanenti. Che le due parti siano chia- ramente distinte si rileva dal doppio titolo, che si legge in quasi tutti i manoscritti, dalla nuova invocazione, che si fa al principio della storia evangelica, e dalle parole di congedo che la poetessa scrive al verso 331 :

cetera facta patrum, pugnataque in ordine bella praetereo, atque aliis post me memoranda relinquo (1).

Ma chi osservi che nella prima parte, quantunque Proba non si proponga di dir tutto, manca il cenno di fatti e di figure storiche notevolissime, che in un'opera didattica, quale ella ha in animo, certamente non poteva trascurarsi; e chi ricordi an- che le leggi retoriche della poesia centonaria, che prescrive- vano una rigorosa simmetria esterna, si persuaderà facilmente che da principio il centone dovesse avere ugual numero di versi per ciascuna delle due parti. Sembra improbabile che in un'età, quando l'artificio aveva tutto regolato e soggiogato, quando la retorica s' era resa moderatrice imperiosa d' ogni scritto letterario. Proba si credesse libera da ogni freno. Forse essa ebbe in pensiero di rappresentare parimenti i due aspetti o le due parti della storia cristiana, l'antica di preparazione e la nuova di compimento, e volle che i versi che le narravano

(Ij Cento, 331-332.

Il « Cento Probae » 59

fossero pari di numero e di misura. Ciò si rende manifesto anche considerando il modo di composizione ; perchè il centone non è un tutto organico di pensiero e di stile, ma, al contra- rio, è formato da una serie di diverse narrazioni episodiche, l'una separata dall'altra. Or di queste narrazioni ne entrano circa quattordici nella prima parte, e diciotto nella seconda. Se Proba, come agevolmente si può congetturare, scelse tra i molti un numero pari di fatti da narrare nella storia biblica e nella storia evangelica, si potrebbe concludere che quattro nar- razioni episodiche facciano difetto nella prima parte per pa- reggiare il numero delle narrazioni della seconda parte, che, essendoci giunta integra, ne conta diciotto. E perchè ogni narrazione s'estende in generale per otto o dieci versi, i trenta versi, che sono in più nella seconda parte, sarebbero sufficienti forse a contenere i quattro episodi, che son andati perduti nella prima. In verità, di lacune tra i versi nella prima parte si trovano alcuni indizi ; e una lacuna vera e propria è tra il verso 233 :

Ille sub haec : tua me, genitor, tua tristis imag-o ;

e l'altro :

his posuere locis : memi nec deprecor, iuquit.

Lo Schenkl, raffrontando il tratto con un luogo dell'Eneide (VI, 696), crede sia qui perduto un sol verso, e forse è in er- rore, perchè, anche a compiere il senso, non uno, ma più se ne desiderano. Altre lacune e trasposizioni sono tra i versi 38 e 42, bastano pochi emistichi a riempirle (1). Si può pen- sare che alcuni versi nella prima parte siano stati soppressi a causa della condanna di papa Gelasio I, e chi sa non sareb- bero stati tolti appunto que' versi in cui il concetto cristiano era in maggior contrasto con la parola vergiliana ; ma è una questione che non possiamo risolvere per mancanza di prove.

Appena compilato, il centone fu conosciuto e ammirato dai

(1) C. Schenkl, Probae cento, ed. cit., prooem., pag. 524.

60 La fama tra i contemporanei

contemporanei, e salì in tanta fama presso i posteri, che lo riputixrono quasi un perfetto modello per le poesie di argo- mento cristiano. Di ciò fa fede il cwmen che in molti co- dici, come nel codice di Reicheuau CCXVII, ora nella biblioteca di Carlsruhe, in quello di Zurigo che si trova nella Biblioteca civica C. 68, e nel laurenziano XXIII, 15, si legge unito col poema di Proba, mentre in altri codici come nell'angelico V, 3, 22, nel marciano ci. XII, cod. 7 e nel cod. 18628 della bi- blioteca di Monaco, che illustrò 1' Huemer (1), si legge per er- rore innanzi ai versi di Seduho, perchè appunto il poema di questo era commentato nelle scuole insieme con quello di Proba, a cui fu però congiunto. Or ecco i quindici esame- tri del Carmen :

Romulidum ductor, clari lux altera solis, eoa qui regna regis moderamine iusto, spes orbis fratrisque decus : dignare Maronem mutatum in melius divino agnoscere sensu, scribendum famulo quem iusseras. hic tibi mundi principium formamque poli hominemque creatum expediet limo, hic Christi proferet ortum, insidias regis, mag'orum praemia, doctos discipulos pelagique minas gressumque per aequor, hic fractum famulare iugum vitamque reductam unius crucis auxilio reditumque sepultae mortis et ascensum pariter sua regna petentis. Haec relegas servesque diu, tradasque minori Arcadio, haec ille suo semini, haec tua semper accipiat doceatque suos augusta propago (2).

Ad un uomo esperto nella calligrafia, ad un librarius, dun- que era stato commesso dall'imperatore Arcadio di trascrivere il testo del centone, e questi, che voleva darsi vanto di lette- rato, aveva pensato di premettere alla scrittura una dedicatoria, simile in tutto aU' altra, che il libraio Dicuilio prepose ad un codice scritto da lui e donato a Teodosio II, appunto il figliuolo

(1) I. Huemer, Sedulii Opera omnia in Corpus s. e. l., voi. X, Vin- dobonae, apud C. Geroldi fllium, 1885, pag. XXXII e LI. Cfr. anche C. ScHENKL, Probae cento^ ed. cit., prooem. pag. 515.

(2; A. RiESE, Anth. lat., 1. e.

La fama tra i contemporanei 61

d'Arcadio, che qui non essendo ancor nato, come s'è detto, è indicato col nome del padre, il piccolo Arcadio (1). E poiché egli nacque tra il 385 e il 401, in quegli anni, o poco innanzi, dovette offrire il suo omaggio l'umile trascrittore. Che poi s'accenni qui al poema di Proba si rileva chiaramente dal quinto verso e dai seguenti, ove è in breve, sebbene con ma- nifesto artificio di frasi, ricordato l'argomento scelto dalla poe- tessa. E tanto sembra all' anonimo amanuense pregevole l'opera di lei, che si fa ardito d'invitare l'imperiale signore d'oriente a leggerla, a conservarla, a donarla al figliuolo, a trasmetterla ai nepoti, in modo che tutta la stirpe cesarea, au- gusta propago, vi possa attingere la celeste dottrina. Ciò che afferma non solamente la diffusione del libro di Proba pur in oriente, ove il passo al latino era contrastato dal greco, ma anche la sua destinazione didattica, quasi fosse il miglior modo di far conoscere ai fanciulli imperiali le verità della fede in- segnarle loro con le parole di Vergilio.

Ma oltre il carmen, ci attesta la fama del centone 1' uso e r imitazione che ne fece il papa Damaso ne' suoi epigrammi, che è evidente, da mostrare in quanto credito il pontefice l'avesse, e come la sua pietà non trovasse rimprovero per la musa della patrizia e la sua autorità ne confermasse la meri- tata rinomanza (2). Sicché si può pensare che la lettura del centone doveva essere nel quarto e nel quinto secolo frequen- tissima, e ciò richiamò l'attenzione di Gelasio I, pontefice dal 492 al 496, il quale, forse non scorgendo troppo fedele l' inter- pretazione della Bibbia e dei vangeli nelle frasi vergiliane, o forse sembrandogli, come pareva a molti, che adoperare i versi d'un poeta pagano ad esprimere cose divine fosse una profa- nazione, emanò un decreto, nel concilio romano, in cui il cen- tone di Proba era posto nell'elenco de' libri apocrifi : « cenfime- tì'iim^ de Christo, vergillanìs compagina funi ver.slhus, apocryphuni (3) ». Or il dichiarare un libro apocrifo significava vietarne ai fedeli

(1) A. KiESE, Anth. laf. 724; Bahrens, Poet. lat. min.^ V, 48.

(2) Damasi, Epigram,mata, ree. M. Ihm, Lipsiae, Teubner, 1895, pro- oem. e W. Teuffel, Op. e 1. cìt.

(3) MiGNE, Patr. lat. LVIIII, 162 e 179.

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Lm fama tra i contemporanei

contemporanei, e salì in tanta fama presso i posteri, che lo riputarono quasi un perfetto modello per le poesie di argo- mento cristiano. Di ciò fa fede il carmen che in molti co- dici, come nel codice di Reichenau CCXVII, ora nella biblioteca di Carlsruhe, in quello di Zurigo che si trova nella Biblioteca civica C. 68, e nel laurenziano XXIII, 15, si legge unito col poema di Proba, mentre in altri codici come nell'angelico V, 3, 22, nel marciano ci. XII, cod. 7 e nel cod. 18628 della bi- blioteca di Monaco, che illustrò F Huemer (1), si legge per er- rore innanzi ai versi di Sedulio, perchè appunto il poema di questo era commentato nelle scuole insieme con quello di Proba, a cui fu però congiunto. Or ecco i quindici esame- tri del Carmen :

Romulidum ductor, clari lux altera solis, eoa qui reg'iia regis moderamine iusto, spes orbis fratrisque decus : dignare Maronem mutatum iu melius diWno agnoscere sensu, scribendum famulo quem iusseras. hic tibi mundi principium formamque poli hominemque creatum expediet limo, hic Christi proferet ortum, insidias regis, magorum praemia, doctos discipulos pelagique minas gressumque per aequor, hic fractum famulare iugum vitamque reductam unius crucis auxilio reditumque sepultae mortis et ascensum pariter sua regna petentis. Haec relegas servesque diu, tradasque minori Arcadio, haec ille suo semini, haec tua semper accipiat doceatque suos augusta propago (2).

Ad un uomo esperto nella calligrafia, ad un librarius, dun- que era stato commesso dall'imperatore Arcadio di trascrivere il testo del centone, e questi, che voleva darsi vanto di lette- rato, aveva pensato di premettere alla scrittura una dedicatoria, simile in tutto all'altra, che il libraio Dicuilio prepose ad un codice scritto da lui e donato a Teodosio II, appunto il figliuolo

(1) I. HuEìiER, Sedulii Opera omnia in Corpus s. e. l., voi. X, Vin- dobonae, apud C. Geroldi filium, 1885, pag. XXXII e LI. Cfr. anche C. ScHENKL, Prohae cento, ed. cit., prooem. pag. 515.

(2; A. RiESE; Anth. lat., 1. e.

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d'Arcadio, che qui non essendo ancor nato, come s'è detto, è indicato col nome del padre, il piccolo Arcadi o (1). E poiché egli nacque tra il 385 e il 401, in quegli anni, o poco innanzi, dovette offrire il suo omaggio l'umile trascrittore. Che poi s'accenni qui al poema di Proba si rileva chiaramente dal quinto verso e dai seguenti, ove è in breve, sebbene con ma- nifesto artificio di frasi, ricordato l'argomento scelto dalla poe- tessa. E tanto sembra all' anonimo amanuense pregevole l'opera di lei, che si fa ardito d'invitare l'imperiale signore d'oriente a leggerla, a conservarla, a donarla al figliuolo, a trasmetterla ai nepoti, in modo che tutta la stirpe cesarea, au- gusta propago, vi possa attingere la celeste dottrina. Ciò che afferma non solamente la diffusione del libro di Proba pur in oriente, ove il passo al latino era contrastato dal greco, ma anche la sua destinazione didattica, quasi fosse il miglior modo di far conoscere ai fanciulli imperiali le verità della fede in- segnarle loro con le parole di Vergilio.

Ma oltre il Carmen, ci attesta la fama del centone l'uso e r imitazione che ne fece il papa Damaso ne' suoi epigrammi, che è si evidente, da mostrare in quanto credito il pontefice l'avesse, e come la sua pietà non trovasse rimprovero per la musa della patrizia e la sua autorità ne confermasse la meri- tata rinomanza (2). Sicché si può pensare che la lettura del centone doveva essere nel quarto e nel quinto secolo frequen- tissima, e ciò richiamò l'attenzione di Gelasio I, pontefice dal 492 al 496, il quale, forse non scorgendo troppo fedele l' inter- pretazione della Bibbia e dei vangeli nelle frasi vergiliane, o forse sembrandogli, come pareva a molti, che adoperare i versi d'un poeta pagano ad esprimere cose divine fosse una profa- nazione, emanò mi decreto, nel concilio romano, in cui il cen- tone di Proba era posto nell'elenco de' libri apocrifi : « cenftme- trum de Christo, vergilianis compaginatum vernihus, apocryphum (3) ». Or il dichiarare un libro apocrifo significava vietarne ai fedeli

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(1) A. RiESE, Atith. lat. 724; Bahrens, Poet. lat. min.^ V, 48.

(2) Damasi, Epigrammata, ree. M. Ihm, Lipsiae, Teubner, 1895, pro- oem. e W. Teuffel, Op. e 1. eit.

(3) MiGNE, Patr. lat. LVIIII, 162 e 179.

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contemporanei, e salì in tanta fama presso i posteri, che lo riputarono quasi un perfetto modello per le poesie di argo- mento cristiano. Di ciò fa fede il carnien che in molti co- dici, come nel codice di Reichenau CCXVII, ora nella biblioteca di Carlsruhe, in quello di Zurigo che si trova nella Biblioteca civica C. 68, e nel laurenziano XXIII, 15, si legge unito col poema di Proba, mentre in altri codici come nell'angelico V, 3, 22, nel marciano ci. XII, cod. 7 e nel cod. 18628 della bi- blioteca di Monaco, che illustrò V Huemer (1), si legge per er- rore innanzi ai versi di Sedulio, perchè appunto il poema di questo era commentato nelle scuole insieme con quello di Proba, a cui fu però congiunto. Or ecco i quindici esame- tri del Carmen :

Romulidum ductor, clari lux altera solis, eoa qui regna regis moderamine iusto, spes orbis fratrisque decus : dignare Marouem mutatum in melius divino agnoscere sensu, scribendum famulo quem iusseras. hic tibi mundi principium formamque poli hominemque creatum expediet limo, hic Christi proferet ortum, insidias regis, magorum praemia, doctos discipulos pelagique minas gressumque per aequor, hic fractum famulare iugum vitamque reductam unius crucis auxilio reditumque sepultae mortis et ascensum pariter sua regna petentis. Haec relegas servesque diu, tradasque minori Arcadio, haec ille suo semini, haec tua semper accipiat doceatque suos augusta propago (2j.

Ad un uomo esperto nella calligrafia, ad un librarius, dun- que era stato commesso dall'imperatore Arcadio di trascrivere il testo del centone, e questi, che voleva darsi vanto di lette- rato, aveva pensato di premettere alla scrittura una dedicatoria, simile in tutto all'altra, che il libraio Dicuilio prepose ad un codice scritto da lui e donato a Teodosio II, appunto il figliuolo

(1) I. Huemer, Sedulii Opera omnia in Corpus s. e. l., voi. X, Vin- dobonae, apud C. Geroldi filium, 1885, pag. XXXII e LI. Cfr. anche C. ScHENKL, Probae cento, ed. cit., prooem. pag. 515.

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d'Arcadio, che qui non essendo ancor nato, come s'è detto, è indicato col nome del padre, il piccolo Arcadio (1). E poiché egli nacque tra il 385 e il 401, in quegli anni, o poco innanzi, dovette offrire il suo omaggio l'umile trascrittore. Che poi s'accenni qui al poema di Proba si rileva chiaramente dal quinto verso e dai seguenti, ove è in breve, sebbene con ma- nifesto artificio di frasi, ricordato l'argomento scelto dalla poe- tessa. E tanto sembra all' anonimo amanuense pregevole l'opera di lei, che si fa ardito d'invitare l'imperiale signore d'oriente a leggerla, a conservarla, a donarla al figliuolo, a trasmetterla ai nepoti, in modo che tutta la stirpe cesarea, au- gusta propago, vi possa attingere la celeste dottrina. Ciò che afferma non solamente la diffusione del libro di Proba pur in oriente, ove il passo al latino era contrastato dal greco, ma anche la sua destinazione didattica, quasi fosse il miglior modo di far conoscere ai fanciulli imperiali le verità della fede in- segnarle loro con le parole di Vergilio.

Ma oltre il carmen, ci attesta la fama del centone l'uso e r imitazione che ne fece il papa Damaso ne' suoi epigrammi, che è si evidente, da mostrare in quanto credito il pontefice l'avesse, e come la sua pietà non trovasse rimprovero per la musa della patrizia e la sua autorità ne confermasse la meri- tata rinomanza (2). Sicché si può pensare che la lettura del centone doveva essere nel quarto e nel quinto secolo frequen- tissima, e ciò richiamò l'attenzione di Gelasio I, pontefice dal 492 al 496, il quale, forse non scorgendo troppo fedele l' inter- pretazione della Bibbia e dei vangeli nelle frasi vergiliane, o forse sembrandogli, come pareva a molti, che adoperare i versi d'un poeta pagano ad esprimere cose divine fosse una profa- nazione, emanò un decreto, nel concilio romano, in cui il cen- tone di Proba era posto nell'elenco de' libri apocrifi: « centime- trum de Christo, vergilianis compaginafum verslhiis, apocryphtim (3) ». Or il dichiarare un libro apocrifo significava vietarne ai fedeli

(!) A. RiESE, Anth. lat. 724; Bahrens, Poet. lat. min., V, 48.

(2) Damasi, Epigrammata, ree. M. Ihm, Lipsiae, Teubner, 1895, pro- oem. e W. Teuffel, Op. e 1. cit.

(3) MiGNE, Patr. lat. LVIIII, 162 e 179.

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62 La fama fra i contemporanei

la lettura e ricouosceiio non immune da errori, apocrypha quasi non hagiogmpha. Tuttavia non era una vera condanna che ag- gravasse una colpa sul capo degli autori o dei possessori delle opere ; e sant' Agostino avverte che tali erano que' libri, che, dopo un esame accurato, erano soltanto tolti dal commercio dei cristiani e de' quali era proibita la lettura pubblica: « Quod nomine apocryphonim, auctoritate canonica, diligenti examinatione remota sunt (1) ». Forse il decreto più che contro il centone di Proba fu pubblicato ad impedire si diftbndesse il costume tra i cristiani di travestire con frasi di autori pagani i pensieri cristiani. Lo stesso san Girolamo, pur così dotto nella let- teratura classica antica, riprova con sdegno, in una lettera a Paolino, la moda della poesia centenaria per propagare le ve- rità della fede, notando che molti non sentivano più il desiderio di conoscere nel testo genuino i profeti e gi' insegnamenti de- gli apostoli, ma, giovandosi de' centoni, adattavano alla poesia gli antichi fatti, come se fosse un'arte grande e non una con- suetudine viziosa avvilire i detti de' sapienti e sforzare a pro- prio piacere la Scrittura che vi ripugna. E soggiunge, con evi- dente cenno al poema di Proba : « Quasi non legerimus home- rocentones et virgiliocentones, ac non si etiam Maronem, sine Chri- sto, possimus dicere christianum » (2). Si potrebbe anche dubi- tare che nel decreto di papa Gelasio la locuzione centimetrum de Christo, alquanto impropria per un poema che traeva il suo argomento tanto dalla storia biblica quanto dall' evangelica, e forse non mai usata da sola ne' codici, si riferisca anzi che al centone di Proba, ad uno degli altri centoni cristiani ; ma ac- certano il divieto le parole d'Isidoro di Siviglia, che loda Proba come la sola donna che abbia un seggio d'onore tra gli scrit- tori ecclesiastici per avere scritto il centone in lode di Cristo, e di lei non ammira l'arte, ormai condannata, ma loda l' inge- gno : « Proba, uxor Adelphii proconsulis, femina idcirco inter viros ecclesiasticos posita sola prò eo, quod in laude Christi versata est, componens centonem de Christo, vergilianis coaptatum versiculis, cu- ius quidem non miramur studium, sed laudamus ingenium. Quod

(1) De civitate Dei, 1. Ili, 15.

(2) Epist. LUI, 7.

La fama tra i contemporanei 63

tamen opu.scuìum ìegitur Inter apocryphas scripturas insertum * (1). Ma mentre qui la lode, tributata alla poetessa, è alquanto tem- perata nella distinzione tra studinm e ingeniuin, che pare una riprovazione dell'arte centenaria, e ciò forse per rispetto al di- vieto del concilio, altrove lo stesso Isidoro non risparmia l'elo- gio e si compiace dell' opera della patrizia osservando che essa il centone da Vergilio pìenÌHsime expressit, e che era riu- scita ad una perfetta concordanza della materia e dei versi : « materia composita secundum versus et versihus secundum mate- riam concinnatis » (2). Il giudizio d' Isidoro, che è giudizio di retore e d' erudito, fu quello dei più, poiché senza conside- rare il plauso e l'ammirazione che seguirono il poema non si comprenderebbe facilmente, come, non ostante la condanna, continuasse ad esser letto nelle scuole claustrali del medio evo. Anzi acconciamente rileva lo Schenkl, che la stessa proibi- zione gelasiana mostra la diffusione e la rinomanza del cen- tone : « Xam egli scrive nisi cento iìle eodem modo quo Itivenci et Sedulii carmina, in decreto tantis laiidihus cumulata, omnium lectione celd)ratus esset, nullo pacto Gelasius quique ade- rant in concilio eum inter libros non recipiendos retttdissent » (3), Tuttavia, oltre queste testimonianze più antiche e di scrittori prossimi a Proba e a suoi tempi, giova a mostrare quanto fosse letto, studiato, trascritto e usato neUe scuole il centone, il tro- varsene numerose copie negli archivi de' monasteri del medio evo. Pertanto il poema si leggeva nel codice di Gorbia, ora di Pietroburgo F. XIIII, 1, del secolo ottavo, allato al Sim- posio e agli Enigmi d' Aldelmo (4) ; nel codice di Cluny (5), ne' due codici del monastero di Reichenau, in quello della chiesa di San Richario di Centula, allato agli epigrammi di

(1) De vins illustr.^ 1. e.

(2) Orig., 1. e.

(3) Prohae Cento, ed. cit., prooem., pag". 516.

(4) F. Leo, Veiiantii Fortunati carmina prooem., p. \TLII segg. e G. Be- cker, Catalogi bibliothecarmn antiqui, Bomiae, ap. M. Cohen, 1885, 136, 170.

(5) L. Delisle, Le cabinet des manuscrits, II, 459, segg. e R. Pbipbr, Aldini Aviti Viennensis Opera quae supersunt in M. G. H. Aucf. antiquis.^ Berolini, 1883, VI, 2, prooem., p. LVIII.

64 La fama tra i contemporanei

Prospero (1) nel codice della chiesa di Bec allato alle Quae- stiones naturaìes di Seneca (2) e finalmente nel codice di San Ve- dasto d'Arras (3). Tutti questi esemplari del testo di Proba sono ora perduti, ma anche dai molti codici che ce ne re- stano, anteriori al secolo decimo, si può argomentare la larga fama del centone. Cosi si trova nel codice latino della

Biblioteca nazionale di Parigi 13048, proveniente dall' abba- zia di Gorbia, dei secoli ottavo o nono, in minuscola longo- barda, allato ai Cannina di Venanzio Fortunato (4) ; nell' altro codice latino pur di Parigi 7701, che fu già di Claudio Pu- teano, del secolo nono; ne' due codici di Laon 279 e 273, del secolo nono, insieme coi Carmina d' Ilario, Cipriano, Dra- conzio e Alcimo Avito (5), e nel codice latino di Parigi 14758, già di San Vittore, del secolo XIII (6). Speciale importanza ha per la storia del centone il codice palatino 1753, prove- niente dal monastero di San Nazario Laurissense dei secoli nono 0 decimo (7), in cui questo si legge aggiunto all' Ars di

(1) Cfr. Becker, Op. cit., 6, 606 e 607.

(2) Cfr. Becker, Op. cit., 11, 182. G. B. De Rossi ricorda un [epi- gramma del secolo XII, che precede in un codice di Gorbia:

Et prior Aldhelmus simphosius est secundus, Ultimi Virgilium cecinisse docet Proba Christum.

Cfr. Inscript. Christian, urbis Eomae, II, p. I, 73, e L. Delisle, Recherckes sur l'ancienne bibliothègue de Corbie in Mémoires de l'Academie des inscript., XXIV, p, I, pag. 67. Parimenti l'Huelsen osserva che fu imitatore di Proba l'autore del Laterculus imperat. roman. ìnalalianus dell' anno 573. Egli deriva la sua cronaca da Giovanni Maiala di Antiochia, ma ha se- gTiito la poetessa in più luoghi. Chronica minora, edid. Th. Mommsen

in M. G. H. Berolini, Weidmann, 1894, pag. 425. Cfr. anche L. Traube in Sitzungsberichte der Munchener Akad., 1891, h. 3, pag. 423 ; I. B. Pitra, Analecta sacra et classica, 1888, pag. 127, e F. Gustafsson in Acta Socie- tatis scient. Fennicae, Helsingfors, t. XXII, n. 3, pag. 17.

(3) Cfr. G. Becker, Op. cit., 125, 18.

(4) Cfr. A. RiESE, leepii Claudian., op. cit., II, pag. 190, e F. Leo, Op. cit., p. Vili.

(5) Cfr. R. Pbiper, Op. cit., p. LVI.

(6) Cfr. R. Peiper, Op. cit., p. LVIIII.

(7) A. Rbifferscheid, Op. cit., I, 307 e segg.

La fama tra i contemporanei 65

Mario Vittorino, alle Regulae metrorum e agli Aenigmata d' Al- delmo, e che ricorda nell'epigrafe, già riferita, che Proba hunc centoneni religio.sa niente^ amore CJirls'ti, spirifu ferventi prudenter emicliate defloravit et legendum popuUs omnibus chHstianis tradi- dit, Oòtendens quia et alienigeni vates, vera ohscuHs involventes, in alia mente ìegem domini et adventum, passionem et ascensionem vel cetera ante adventum domini inspirato praedixerunt. Queste pa- role ci attestano l'universale conoscenza del centone presso i popoli latini d' occidente, da che si credeva che Proba avesse scritto per tutti i cristiani, legendum populis omnihus christianis tradidit, e inoltre ci svelano lo scopo nel comporre, se non di lei, almeno che a lei s' attribuiva, cioè di mostrare che i versi di Vergìlio erano acconci ad esprimere gli avvenimenti del cristianesimo, perchè il poeta latino era stato tra quei privi- legiati che, vera ohscuris involventes, avevano presagito con ispi- razione divina, inspirato praedixerunt. Tale ragione morale in quei secoli di fervore religioso, non v'ha dubbio, deve aver reso più accetto e gradito il centone.

Degli altri codici il poema si conserva in quello di Cars- rulie, già di Reichenau CCXVII, del secolo nono, allato ai poemi di Giovenco e Sedulio; in quello della biblioteca ur- bana di Zurigo, or citato, C. 68, già di San Gallo, del princi pio del secolo decimo (1); e di manoscritti posteriori al decimo, nei vaticani della biblioteca Regina 251 e 1666 del secolo XI, in quello di diarie ville 97 del secolo XII, ove è detto che il centone è nirgilianis versibus compactus, e in fine in quello del Collegio della Trinità di Cambridge 0. 7, 7, allato alle opere di Bernardo Silvestre, d'Ovidio e di Seneca (2).

Per tal guisa, chi osservi bene, nella maggior parte dei codici più antichi il centone si trova insieme con gli Aenigmata d' Aldelmo, con l' Ars metrica di Mario Vittorino, il Carmen e r Opus paschale di Sedulio, i poemi di Giovenco e di Cipriano, gli Epigrammata di Prospero e i Carmina di Venanzio Fortu-

(1) Cfr. I. HuEMER, Sedulii Opera, ed. cit. iu prooeiu., pag-g. XI, XII e segg. Vedi pure, Bandini, Catalogus codd. lat. Biblioth. laur. I, 720 e segg.

(2) Cfr. R. Peiper, Op. cit., p. LVIIII e R. Ellis, Ibis Ovidii, p. LIIII.

66 La faina nelle saiole del medio evo

nato, in somma con tutti libri che, per ras^ioni diverse di sogijetto 0 di forma, ebbero accoglienza e favore nelle scuole vescovili e monastiche del medio evo, da cui i codici de- rivano. Sicché non si può dubitare che il centone fosse adoperato come un libro didattico ne' monasteri, sia perchè con esso s' insegnava ai giovani la storia biblica ed evangelica in versi, ciò che era sussidio non lieve alla memoria, sia per- chè que' versi, tolti dal più grande poeta latino, che fu sti- mato profeta, avevano fama d'essere eccellenti, e però mezzo efficace per addestrare i discepoli alla perfezione dello stile.

A questa fortunata condizione deve il poema dell' antica patrizia la sua ampia e diffusa rinomanza ne' secoli del me- dio evo.

Il favore straordinario che il centone aveva acquistato nelle scuole e il pregio della latinità classica dell'opera sua ne man- tennero viva la fama negli ultimi storici ed enciclopedisti del medio evo e ne' primi umanisti. Pertanto Onorio d' Autun fece menzione Proba nella sua storia, come di persona mi- rabihnente saggia, Vincenzo di Beauvais ad onore di lei riferi le parole d' Isidoro, e Giovanni Boccaccio, scrivendone l'elogio, dopo aver detto che questa egregia foemina, uxor Adelphii, voluit labore suo opus composifum vocari centonam, osserva che aveva tutti i versi vergiliani nella memoria e che compilò il poema con profondo artificio, da lasciar pensare che Vergilìo stesso fosse stato un profeta o un evangelista (1).

Ma nel tempo posteriore, quando il centone non lesse più in pubblico e frequente, gli eruditi, poco severi ne' giu- dizi e avvezzi a raccogliere alla rinfusa notizie del passato, professano alla poetessa una vana, inconsiderata, iperbolica ammirazione, non frutto della conoscenza diretta de' suoi versi, ma piuttosto di consenso alla fama più antica. Pertanto En- rico Stefano, che la confonde con l'altra Proba, la crede degna d'emulare i migliori poeti: audet viris concurrere virgo (2); Marco

(1) HoKOR. AuGusTODUN., Histor., 1. Ili, e. 5; Vincent. Bellovacbn- sis, Speculum doctrinale, l. Ili, e. 141 ; J. Boccaccius, De claris mulieri- bus, e. 95.

(2) Exempla centonum et parodiarum selecta et illustrata, ed. cit., p> 75.

La fama nelle scuole del medio evo 67

Antonio Sabellico disse pio il suo carme, piiun opus (1); Lilio Giraldo vide in lei il modello della colta matrona di Roma, matronae ronianae imago (2); Giuseppe Scaligero atfermò che dalla gloria del poema le derivò il soprannome di Centona, e che ne seguirono le orme l'imperatrice Eudossia e Olimpia Fulvia Morata ne' loro centoni omerici (3); Sisto da Siena la lodò come la Saffo cristiana (4); Fihppo da Bergamo la pose tra le più illustri donne italiane, che di Vergilio familiaris est effecfa (5), e Gaspare Barth non dubitò chiamarla divina (6). Anche il Baronio nominò la poetessa come uno degli autorevoli scrittori ecclesiastici, e ne rilevarono i meriti civili e letterari il Vossio (7), il Glandorpio (8), l'Oudin (9), il Possevino (10), il Tritemio (11) e ultimi tra i vecchi eruditi, il De Simeoni (12) e il Fontanini (13), i quali, sebbene in parte emendassero le opinioni de' precedenti circa la confusione tra la prima e la seconda Proba, non andarono scevri da errori sul nome, sulla genea- logia e sulla patria di lei. A causa appunto di questa sorte singolare, fu il centone uno degli scritti latini della decadente letteratura deU' impero, fino all' età moderna, più spesso stam- pato e divulgato.

Le edizioni, se se n'eccettua l'ultima curata dallo Schenkl, furono quasi tutte preparate seguendo uno, due, o al più, tre

(1) Enneades ab orbe condito, Venetiis, B. Verceller, 1504, VII, 1. IX.

(2) Poetarum histor., Op. cit., dial. V, f. 214.

(3) Poefices libri VII, Parisiis, 1561, 1. I, e. 43.

(4) Bibliotheca, Neapoli, 1742, 1. IV, f. 293.

(5) De mulieribus illustribus, Parisiis, 1521, e. 129.

(6) Adversariorum. commentariorinn libri LX, Francofurti, 1624, 1. XV, e. 15.

(7) De poetis latinis, Op. cit., e. IV. f. 60.

(8) Onoincuiticon historiae romanae, Francofurti, 1589, e. 371.

(9) De scriptorib. eccles. a Bellarmino omissis, Parisiis, 1686. {10) Apparai US sacer, Venetiis, 1606, f. 102.

(11) De scriptorib. ecclesiasticis. Proba, an. 430.

(12. Hisforica dissertatio romano-ecclesiastica de tollenda pene gravissi- mos scriptores inolita ambiguitate et confusione inter duas antiquas roma- nas matronas etc, videlicet An. Faltoìiiam Probam et Valeriam, Faltoniam Próbam, Bononiae, Ant. Pisarii, 1692, pagg. 71 e segg.

(13) Op. cit., e. m e IV.

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66

La fama nelle scuole del medio evo

nato, in somma con tutti libri che, per ragioni diverse di soggetto o di forma, ebbero accoglienza e favore nelle scuole vescovili e monastiche del medio evo, da cui i codici de- rivano. Sicché non si può dubitare che il centone fosse adoperato come un libro didattico ne' monasteri, sia perchè con esso s" insegnava ai giovani la storia biblica ed evangelica in versi, ciò che era sussidio non lieve alla memoria, sia per- chè que' versi, tolti dal più grande poeta latino, che fu sti- mato profeta, avevano fama d' essere eccellenti, e però mezzo efficace per addestrare i discepoli alla perfezione dello stile.

A questa fortunata condizione deve il poema dell' antica patrizia la sua ampia e diffusa rinomanza ne' secoli del me- dio evo.

Il favore straordinario che il centone aveva acquistato nelle scuole e il pregio della latinità classica dell'opera sua ne man- tennero viva la fama negli ultimi storici ed enciclopedisti del medio evo e ne' primi umanisti. Pertanto Onorio d'Autun fece menzione di Proba nella sua storia, come di persona mi- rabilmente saggia, Vincenzo di Beauvais ad onore di lei riferi le parole d' Isidoro, e Giovanni Boccaccio, scrivendone l'elogio, dopo aver detto che questa egregia foemina, uxor Adelphii, voluit labore suo opus composifum vocari centonam, osserva che aveva tutti i versi vergiliani nella memoria e che compilò il poema con profondo artifìcio, da lasciar pensare che Vergilio stesso fosse stato un profeta o un evangelista (1).

Ma nel tempo posteriore, quando il centone non si lesse più in pubblico e di frequente, gli eruditi, poco severi ne' giu- dizi e av^'^ezzi a raccogliere alla rinfusa notizie del passato, professano alla poetessa una vana, inconsiderata, iperbolica ammirazione, non frutto della conoscenza diretta de' suoi versi, ma piuttosto di consenso alla fama più antica. Pertanto En- rico Stefano, che la confonde con l'altra Proba, la crede degna d'emulare i migliori poeti : audet vii'is concurrere virgo (2) ; Marco

(1) HoNOR. AuGUSTODUN., Histor., 1. Ili, c. 5; Vincent. Bellovacen- sis, Speculum doctrinale, 1. Ili, e. l-ll ; J. Boccaccius, De claris mulieri- bus, e. 95.

(2) Exempla centonum et parodiarum selecta et illustrata, ed, cit., p. 75.

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La fama nelle scuole del medio evo

67

Antonio Sabellico disse pio il suo carme, pium optis (1); Lilio Giraldo vide in lei il modello della colta matrona di Roma, matronae romanae imago (2); Giuseppe Scaligero aftermò che dalla gloria del poema le derivò il soprannome di Centona, e che ne seguirono le orme l'imperatrice Eudossia e Olimpia Fulvia Morata ne' loro centoni omerici (3); Sisto da Siena la lodò come la Saffo cristiana (4); Filippo da Bergamo la pose tra le più illustri donne italiane, che di Vergilio familiaris est efjfecta (5), e Gaspare Barth non dubitò chiamarla divina (6). Anche il Baronio nominò la poetessa come uno degli autorevoli scrittori ecclesiastici, e ne rilevarono i meriti civili e letterari il Vossio (7), il Glandorpio (8), l'Oudin (9), il Possevino (10), il Tritemio (11) e ultimi tra i vecchi eruditi, il De Simeoni (12) e il Fontanini (13), i quali, sebbene in parte emendassero le opinioni de' precedenti circa la confusione tra la prima e la seconda Proba, non andarono scevri da errori sul nome, sulla genea- logia e sulla patria di lei. A causa appunto di questa sorte singolare, fu il centone uno degli scritti latini della decadente letteratura dell' impero, fino all' età moderna, più spesso stam- pato e divulgato.

Le edizioni, se se n'eccettua l'ultima curata dallo Schenkl, furono quasi tutte preparate seguendo uno, due, o al più, tre

(1) Enneades ab orbe condito^ Venetiis, B. Verceller, 1504, VII, 1. IX.

(2) Poetarum histor.^ Op. cìt., dial. Y, f. 214.

(3) Poetices libri VII, Parisiis, 1561, 1. I, e. 43.

(4) Bibliotheca, Neapoli, 1742, 1. IV, f. 293.

(5) De midieriòus illustribus, Parisiis, 1521, e. 129.

(6) Adversariorum commeìitariormn libri LX, Francofurti, 1624, 1. XV, e. 15.

(7) De poetis latinis, Op. cit., e. IV. f. 60.

(8) Oìiomasticon historiae romanae, Francofurti, 1589, e. 371.

(9) De scriptorib. eccles. a Bellarm,ino omissis, Parisiis, 1686.

(10) Apparai US sacer, Venetiis, 1606, f. 102.

(11) De scriptorib. ecclesiasticis. Proba, an. 430.

(12) Historica dissertatio romano-ecclesiastica de follenda pene gravissi- mos scriptores inolila ambiguitate et confusione inter duas antiquas rcmia- tuis matronas etc, videlicet An. Faltoìiiatn Probam et Valeriam Faltoniam Probam, Bononiae, Ant. Pisarii, 1692, pagg. 71 e segg.

(13) Op. cit., e. Ili e IV.

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od tÀ'Mi.rMmium rjiterv! w^KvpJi^, T/tadaMumii vpmKmkmmt,

i\i<A(m\sktt\ Girardini, Veneti^ 1472, in 1 /V/>6«^ /''«//y/w£a« zirfjilif/tjffntf»^ cara lo^ianrns Flnlii^ de

m'iuft emù or.ri-r^r'>'f> Phflippi cuìiisdaiii domemcaxó, Romae.

1481, in a: l'r(^M*t (Jtmtona*', t-Àarvfifima*: *^f:'^r:r-j. t yiarf/mii carmùmAm» tfm-

ffculum in Tractatvjf ffoiernnis *d utili.* FbiUppi ^^cnli ardiais

prafid. in 4* (senz'anno e luogo . l'rhho.f, J''ah:oniae Virf/ilifjfjmtOy per Gerbardam Le<mis. Antwer-

pia/r, Hi ve In Oppido Mercuriali Anfwerpiae, 1489. Prhhak (Jenf//nae clarìinnmati ff^eminae excerptum a Marmùs

nit/UM ad teatirri/miurn zdteris noriqne Testamemtì

Venetiis, apud Bemardinum Benalinm, in 4* (senr anno . Prohae Cenffmae darismmae foeminae ecc. opmsetdtum Brìxiae,

14%, in fi/' Prohae Falconiae cento et Sulpitii Severi historia, edidit Aldos Ma-

nutius senior, Venetiis, 1501, in 4-'* Prohae Falrymiae CentronUf in Poeiae chrigtiani teterts, edidit Al- dus ManutiiLs, Venetiis, 1502, in 4.**

(1) Cfr. Proba/i cento., ed. cit. prooem. pag^. 522: < Praeter hanc, aK- cuius est momenti editio antiqua, typographi. qua locos et annos signì- ficatur, nota non insignita, quae extat in bvbliotheca universitatis Làp- siensis, hoc siglo : Poet. lai. lo^"- instructa ».

(2) Prohae cento, ed. cit. prooem., pag. 523.

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68 Le edizioni del centone

manoscritti, senza criterio o esame di derivazione e d'impor- tanza. Poclie perciò oggi hanno per noi valore a farci co- noscere il testo, come la veneta del 1472, l'altra senza luogo e data che si conserva nella Biblioteca universitaria di Lip- sia (1), e le edizioni di G. Roselo e di H. Meibom. Da que- ste infuori, le rimanenti parvero al dotto critico trascurabili: nìhil omnìno me lucrari posse intellexi (2). Tuttavia perchè molti manoscritti del centone sono andati perduti, da cui alcune stampe derivano, e anche a mostrare quale ampia diffusione abbia avuto il poema è opportuno riferir qui tutte le edizioni note, in ordine cronologico. Pì'ohae Falconiae cento vivgillaniis (in caratteri gotici) Basileae,

cura Mich. Wensler [1475?]. Probe Centone dm^ssime foemine excerptum e Maronis car minibus ad tesfinionium veteris nomque Testamenti opusculum, cura Bar- tholomaei Girardini, Venetiis, 1472, in f. Probae Falconiae virgiliocento^ cura lohannis Philipp! de Ligna- mine cum opusculis Philippi cuiusdam domenicani, Romae, 1481, in 4." Probae Centonae clarissimae excerptum e Maronis carminibus opu- sculum in Tractatus solemnis et utilis Philippi vSiculi ordinis praed. in (senz'anno e luogo). Probae Falconiae Virgiliocento, per Gerhardum Leonis, Antwer-

piae, sive in Oppido Mercuriali Antwerpiae, 1489. Probae Centonae clarissimae foeminae excerptum a Maronis carmi- nibus ad testimonium veteris novique Testamenti opusculum, Venetiis, apud Bernardinum Benalium, in (senz'anno). Probae Centonae claHssimae foeminae ecc. opusculum Brixiae,

1496, in 8.° Probae Falconiae cento et Sulpitii Severi historia, edidit Aldus Ma-

nutius senior, Venetiis, 1501, in 4." Probae Falconiae Centronis in Poetae christiani veteres, edidit Al- dus Manutius, Venetiis, 1502, in 4.°

(1) Cfr. Probae cento^ ed. cit. prooem. pag, 522 : « Praeter hanc, ali- cuius est momenti editio antiqua, typographi, qua locus et annus signi- ficatur, nota non insignita, quae extat in bybliotheca universitatis Lip- siensis, hoc siglo : Poet. lai. 152" instructa » .

(2) Probae cento, ed. cit. prooem., pag. 523.

Le edizioni del centone 69

Pì'ohae Faltoniae cento, edidit Richardus Pafràet, Daventriae,

1505, in 4'\ Pi'obae Falconiae cento l'irgiliamis, Parisiis, a})ud Ioannem Peti-

tum, 1509, in 4." Pì'obae Falconiae vatis clarissimae a divo Hieronymo comprohatae

centonam de fìdei nostrae niysteriis e Maroni.s carnùniìm.s ex-

cerptum opuscidum et Poemata Bapt. Mantuani, Lugduni, apud

Stephanum de Basignana, Gorgoni carmelite, in offic. F. Le-

scuyer, 1516. Prohae Centonae vatis cìarissimae ecc. centone^; Oppenlieimii, 1517. Pì'obae vìrgiUocento, in Homerocentra graeca et latina, Francofurti,

apud P. Brubachium, 1541, in 8.** Prohae Falconiae vatis clarissimae a sancto Hieroni/mo comprohatae

centones, Parisiis, apud Frane. Stephanum, 1543, in 8." Prohae Faltoniae cento, cura Margarini Bignei in Bihliotheca pa-

trum, t. V., Parisiis, apud Mieli. Sonnium, 1575. Piìohae Falconiae virgiliocento cum Eudociae honierocentonihus, cura

H. Stephani, Parisiis, 1578, in 12.<* Prohae Falconiae virgiliocentones et alionim, cura H.' Meibomii,

Helmstadii, 1579, in 4.° Prohae Falconiae centones ex recensione lulii Roscii Hortini vul-

gavit Damiauus Grana veronensis, Romae, ex Tj^p. Sanctii,

1588, in 16.-^ Prohae Falconiae cento, cura Margarini Bignei in Bihl. sanct. pa-

trum, ed. sec, t. Vili, p. 599, Parisiis, 1589. Prohae virgiliocentones, edidit Ioannes Platearius, Coloniae, apud

Ioannem Gymnieum, 1592, in 8.° Prohae Falconiae virgiliocento, Coloniae, 1601, in 8.° Prohae cento in Poetae graeci christiani, Lutetiae Parisiorum, apud

CI. Chapeletum, 1609, in 8." Prohae Falconiae cento in Elegantes variornm virgilio-ovidio-centones

de opifìcio mundi, Christo deo, deique maire ecc. Monachi,

1617, in 8." Prohae Falconiae cento in Bihliotheca patrum, t. Vili, pag. 708,

apud Aegidium j\[orellum, Parisiis, 1644. Prohae Falconiae cento in Bihliotheca patrum, t. V, pag. 1219,

Lugduni, apud Anissonios, 1677. Prohae Faltoniae foeminae clarissimae e Virgilii carminihus opuscu-

lum, in Historica dissertatio romano-ecclesiastica, op. cit., auct.

70 Le edizioni del centone

Thoniii de Simeonibus, Boiioniae, Ant. Pisarii, 1692, pag. 71 e segg. Probae Falconiae cento virgilianus historìam veteris et novi Testa- menti complexus, edente I. H. Kromayer, Halae Magdebur- gicae, 1719, in 8.° Probae cento in Homerocentra edidit L. H. Teuclierus, Lipsiae,

Teubner, 1793. Valeriae Faltoniae Probae centones virgiliani in Patrologia latina

del Migne, voi. XIX, pag. 803-817. Probae cento recensuit C. Schenkl in Corpus script, eccles. latino- rum, voi. XVI, Poefae latini minores, Viudobonae, Tempsky, 1887.

appagò ancora i tardi ammiratori di Proba la copia delle edizioni dell'opera di lei, perchè a renderne più agevole la notizia e la lettura si tentarono anche i commenti e le tra- duzioni specialmente in italiano e in francese, e alcune, seb- bene inutile impresa, riuscirono fedeli ed eleganti di stile (1). Ma giova, ad accertarne il merito morale ed artistico, in- trodursi neir esame dell' opera poetica di lei. Dopo avere ne' primi otto versi ricordato il suo antico poema sulla guerra di Magnenzio, essa si volge a Dio per l' invocazione d'uso e lo prega a ricevere l'offerta del centone, dono del suo animo cri- stiano, e a darle vigore di mente e ispirazione per condurlo a termine. Di qui s'apre la via ad una fiera condanna del paganesimo, che combatteva allora la battaglia suprema, e, disprezzando le favole, impreca al picco Aonio, alle muse, ai tripodi laureati e alle follie degli dèi : si direbbe una compiuta

(1) Ricordo le due migliori : Amas chrétien, ou extrait de la poesie de Virgile accommodez au Vieti et Nouveau Testamenti reduiz en deux livres par Proba Fauconie, /emme d'Adelphus romain, par le Noniophile Marchois (Pardoulx Du Prat, Marchois), Lyon, Jean d'Ogerolles, 1557, in 8", e : Opu- scule sur le mt/slère de notre foi, colligé des Carmes de Virgile, reduits en ordre par Proba Falconia, femme hien recommandée en la poesie, approuvée de Saint Hiérosme, trad. en francoys par Richard Le Blanc, Paris, R. Mas- selin, 1553, in 16°. Trattò anche della fama della poetessa nei secoli XV e XVI Lorenzo Legati, cremonese, nelle P/Ym^/^ae mM6•e^ jooefrmntm, Bono- niae, 1668. Cfr. pure J. C. Brunet, Manuel du libraire, Paris, Firmin Di- dot, 1861; suppl. 1880.

Esame dell'argomento 71

palinodia, che si chiude con l'espressione di quel pensiero, che era ormai dominante nell'animo della poetessa:

Vergilmm cecinisse loquar pia munera Christi (1).

Dio s'invoca con le stesse parole con cui Venere si rende propizio Giove: o hominum rerumque aeterna potestas; e il fi- gliuolo divino, il verbo, che è patns vigor et caeleatis origo, è detto nova progenies per facile reminiscenza dell'ecloga quarta, cui già s'attribuiva, come ho notato, quel senso cristiano, che trasformò Vergilio nella figura del mago e del profeta. Oc- corre poi un'allusione a Museo, il poeta greco dell' età mitica che cantò

quae sint, quae fuerint, quae mox veutura trahantur (2).

E Proba lo invidia, come invidia i sapienti che con l'as- siduo studio ricercarono le ragioni delle cose, e torna perciò a considerare stessa e la propria vita per concludere che è meglio

pandere res altas terra et caligine mersas, (3)

piuttosto che dedicare l' ingegno ai fatti eroici, alle armi e alle guerre gloriose. La nobile missione poetica, che s' è prescritta, le infiamma la fantasia, m,ens agitai, e allo stesso modo come Enea narrava nel convito della regina l'eccidio di Troia, s'ac- cinge ad esporre col solenne latino epico la storia biblica:

ore favete omnes ; laetasque advertite mentes, matres atque viri, pueri innuptaeque puellae (4).

(1) Cento, 23.

(2) Ivi, 29, 32, 36, 37.

(3) Ivi, 51.

(4) Ivi, 54, 55.

Esame dell'argomento

Ma, dopo quest'esordio, s'entra in argomento con un verso disarmonico e dimesso:

principio caelum ac tcrras caniposque liquentes; (1)

e mentre si dice che Dio statiiit il cielo, la terra, il mare, la luna e i soUsque lalìores, riesce inopportuno rivolgersi al sole e alla luna con l'apostrofe vergiliana : « o darissima ìnundi lu- mina » (2). Il primo versetto del Genesi nel suo mirabile la- conismo avanza di gran lunga questo tratto, perchè ivi la con- cisione si congiunge alla chiarezza: ^ In principio creavit Deus caelum et ferram » (3); mentre lo statuii, pose, non significa l'a- zione vera di Dio, il creare, ma sembra un traslato improprio. Cosi la frase solisque ìahores in luogo di sol, oltre che sa di scuola, è un errore, perchè il pensiero non s'afferra tosto, e perchè il termine dell'azione creativa essendo il punto, in cui si raccoglie l'attenzione, deve essere espresso con precisa con- venienza scientifica e non involuto in perifrasi retoriche. La Bibbia, pur nella traduzione latina, adopera lo stile migliore, perchè la grandezza dei fatti ha consigliato allo scrittore una sobrietà di locuzione, che afferma e dichiara senza inutiU ag- giunti : con un fìat, un factum, un fecit e un creavit è tutto com- piuto il primo capitolo. E se pure i dar issi ma mundi lumina sembrano corrispondere ai luminaria magna, l'apostrofe resta sempre fuor di luogo e non s'accorda al bisogno dello stile e alla schiettezza narrativa. Il verso elegante, la frase forbita e riflessa, il sentimento gentile e quasi malinconico di Vergilio, vissuto in un periodo d'arte e di civiltà rigogliosa, mal poteva convenirsi al racconto della creazione, che avrebbe dovuto con rude efficacia esprimere cose magnifiche e straordinarie. Per- tanto anche i due versi:

aera dimovit tenebrosum et disptdit umbras

et medium luci atque umbris iam dividit orbem (4),

(1) Cento, 56.

(2) Ivi, 58, 59.

(3) Genesis, I, 1, 2, 16.

(4) Cento, 65, 66.

Esame dell' argomento 73

accennano a troppe idee e ripetono le stesse cose, ciò che, se è opportuno in un'ampia descrizione poetica, qui, ad indicare soltanto la divisione tra il giorno e la notte, pare dannoso e superfluo. Lo scrittore latino, come tanti altri, quando con una voce poetica d'ombra e di tenebra vuol dire che si fece giorno, non insinua nella mente de' suoi lettori una nozione che non avevano, ma per esser la cosa comune, si trova in piena libertà e forse in necessità di mutare o d'ornare il concetto con varietà fantastica. Quando al contrario l'attenzione di chi ascolta deve raccogliersi sul fatto stesso, che nel primo caso era quasi una parte accessoria, e questo fatto acquista una sin- golare importanza, o è nuovo addirittura, allora la locuzione deve essere più semplice e chiara. « Et divisit lucem a te- nebrìs » dice il Genesi, affermando nettamente quanto avvenne; e poiché l'arte qui doveva far rilevare il pensiero, senza ador- narlo, era sufficiente appagarsi dell' aera tenebrosum dimovit, perchè il disjmìn umbras è un'inutile ripetizione. Ho sempre pensato nell'esaminare il centone di Proba che, se si dovevano togliere a prestito da uno scrittore tutte le parole, sarebbe stato meglio preferire a Vergilio, Ovidio, poeta verboso, di fa- cile vena, cui non manca la copia delle frasi e dei sinonimi. ]\Ia che Proba scrivesse un centone ovidiano nel sSi^olo quarto non è possibile pensare : imitando i versi del corrotto cortigiano d'Augusto, chi avrebbe salvato lei dai rimproveri dei religiosi parenti e dal grido della sua stessa coscienza di neoiìtaV

Il creatore è descritto intentos volvens oculos, in un atteg- giamento che non si conviene alla grandezza di lui, perchè la passione, che forse v' è significata, non sembra dignitosa, spe- cialmente quando sosta mirando sldera labentia caelo (1). Poco appresso le parole: « Dixit autem Deus: Fiant luminaria in fir- mamento caeli et sint in signa et tempora et dies et annos » (2), son rese così:

omnipotens fecit temporibus parem diversis quattuor annum, aestusque, phiviasqxie et agentes frigora ventos (3).

(1) Cento, 67, 68.

(2) Gen., I, 14, 16.

(3) Cento, 71-73.

74 Gli episodi biblici

Ma qui, ove l'amplificazione non era un gran male, è fatta con aperto disprezzo della retorica, perchè, se le stagioni sono quattro, nel verso che segue, in cui si rappresentano ne' loro effetti, ne son menzionate soltanto due, l'estate e l'inverno; e se pure il pluvias accenna all' autunno, manca sempre un ri- cordo per la migliore delle stagioni, la primavera. E pari- menti nel verso 84 il durare solum, che è tolto dalle Georgiche e si riferisce ad un lavoro contadinesco, non può indicare la dÌAÌsione delle acque dalla terra. « Appareat arida » or-

dina Dio nel Genesi, e il sacro scrittore è contento umilmente di soggiungere : « Et factum est ita » (1). Ma qui il congre- gentur aquae in locum unum si traduce nella locuzione :

et discludere Nerea ponto incipit ; (2)

dove, senza osservare l'infelice immagine, qwéìV incipit distrugge l'atto creativo istantaneo, come potenza di chi opera, 1' attimo di tempo, in cui la volontà e la voce del creatore si mutava in un fatto, poiché V incipit inchiude una continuazione neces- saria.

Il primo apparire degli animali acquatici, cioè il punto nel quale la virtù divina fecondò le acque, è espresso nella Bibbia cosi: « Creavit Deus cete grandia-et omnem animam viventem at- que mutabilem, quam produxerant aquae in species suas; » (3) ove la locuzione e lo stile, come si scorge, non accennano che al nudo fatto, spoglio d' ogni allusione poetica ; e cantando lo stesso avvenimento in due esametri, la poetessa s'eleva certo sul versetto biblico per eleganza di parola e valore fantastico, ma la descrizione è soverchia:

et variae pelagì facies immania cete

aequora verrebant caudis aestumque secabant (4).

il) Gen., I, 9.

(2) Cento, 84-85.

(3) Gen., I, 21.

(4) Cento, 86-87.

Gli episodi bìblici 75

La vivezza della rappresentazione nella parola fa quasi vedere il fatto in movimento e pone l'aspetto naturale innanzi gli occhi. In vero que' versi son tolti da una descrizione nel libro ottavo dell'Eneide delle imprese scolpite sullo scudo di Enea, esimio lavoro di Vulcano. Ivi Vergilio, che compone liberamente, ha introdotto secondo opportunità il tratto poetico, ma non si doveva far uso delle sue frasi per narrare la crea- zione degli acquatici ; oltre di che, se le balene e i delfini ver- rehant aequora, erano stati già creati. Le locuzioni bibliche ben poco ritengono di colore artistico, e nella traduzione latina antica, che Proba ha usato, non si nota altro che il fatto sto- rico e non sempre con proprie ed elette parole. Che giovava l'arte di scuola per significare i pensieri magnifici e le azioni trasumane di quella nuda e semplice epopea del mondo? Nella creazione delle piante il testo biblico: « Germìnet terra herbam vivenfem et facientem semen » (1), è espresso con l'augurio che Melibeo rivolge a Dafni nell'ecloga nona;

fimdit humus flores et frondes explicat omnes (2);

dove si osserva che, se il concetto rimane integro, manca però il facientem semen, che si riannoda alla grande paiola: crescite et multiplicamini, che il creatore pronuncia sulla natura. Quasi la stessa osservazione può valere per gli altri versi:

avia tum resonant avibus vii-gulta canoris et liquidas corvi presso dant gutture voces, nec gemere aéria cessavit turtur ab ulmo (3).

La descrizione idillica dell'ecloga non si confà punto con la storia della creazione, tanto che il solo inciso: « avesque mulfi- plicentur super terram » può apparire più eloquente di tutto il resto. si pensi che leggendo il centone, senza porne le singole parti in paragone colla Bibbia, la sconvenienza cessi o

(1) Gcn., I, 11.

(2) Cento, 92.

(3) Ivi, 96-98.

76 Gli episodi biblici

sia minore, perchè Proba si tiene quanto può stretta a quel dettato e la cura della verità religiosa è sempre a danno del- l'arte classica, tanto che giunge perfino a noverare ad uno ad uno i giorni della creazione. Or come può essere permesso al poeta scambiare un' idea primaria con un'altra accessoria, e per indicare il popolarsi che fece il mondo d'uccelli riferirsi al canto loro, alle ìiquidas voces, doti non necessarie di alcuni tra essi? Il gemere delle tortore sugli olmi si collega alle fantasie pastorali di Teocrito e di Vergilio e lascia pensare nel fondo le valli lombarde e i colli d'Arcadia; senza pur avvertire che il non cessavit è modo falso e in contrasto col senso. An- che i versi, in cui si narra l'opera creativa del quarto giorno, peccano di molti difetti ; la frase pecus educit silvis, se di buono stile, rimpiccolisce il pensiero, e farne uso qui per il producat animam viventem in genere suo è un errore. E 1' aggiungere

poi, come fa la poetessa, che quest' omnigemon pecus era sine custode desta il riso, quando si pensi che l'uomo non era an- cora stato creato. Cosi l'indole fiera e crudele delle belve, quali ora vivono sulla terra, descritta nel centone, s' oppone alla parola biblica, mentre gli animali mansueti attorniavano Adamo felice nel paradiso terrestre, e solamente dopo la colpa di lui, secondo il Genesi, cangiarono natura. Oltre di che, il nominare il leone e la leonessa in un'enumerazione d'esem- pio è cosa fuor di luogo, e stona l'introdurre tra gii animali creati, anzi quasi tipo di essi, il drago mitologico squamosusque draco, che la scienza non conosce (1). Poco più appresso, nella creazione dell' uomo. Iddio secum volutat e delibera di crearlo sol perchè neu segnes iaceant terrae, ciò che riuscirebbe a poco onore del creatore e della creatura. Il versetto del libro sacro suona ben altrimenti : « Formami igitur Dominus Deus hominem de Urna terrae et inspiramt in faciem eius spira- culum vitae » (2); dove, come agevolmente si scorge, il concetto si manifesta con netta determinazione e nella sua eloquente brevità non lascia dubbio sul modo e suU' importanza dell'azione compiuta, anzi il cenno fugace sembra ritrarre la sublime so-

(1) Cento, 100-101, 103.

(2) Gen., II, 7.

Gli episodi biblici 77

lennità dell' atto. Proba al contrario lo rende in questi

termini :

felicemque trahit limum, lingitque premendo pingue solum primis extemplo amensibus anni (1).

E qui, se l'idea è chiara, il secondo verso turba e con- fonde, introducendo quale parte sostanziale quello che non ha relazione col fatto. Ad ogni modo in tutto questo tratto di poesia, dal verso 116 al verso 132, la fedeltà al testo s'ac- concia cosi bene all' efficacia della locuzione vivace, da far apparire il luogo quasi originale. E solamente da questi tratti ci è possibile conoscere l'ingegno di Proba, che dove la diffi- coltà artistica era minore, ha dato movenza e vita al verso e alla parola dell'antico poeta.

Dio prende il limo, che si dice felix, e lo intorma, fingit, come nel racconto biblico, ma non erano in Vergilio locuzioni che valessero lo spivacidum vifae inspiravit in faciem eius, l'istante mirabile, in cui il fango muto e inanimato incominciò a com- muoversi e balzò nella fragile argilla l'anima:

iamque inproviso tantae pietatis imago procedit nova fonna viri pulcherrima primiim OS umerosque dee similis, cui mentem animumque maior agit deus atque opera ad maiora retnittit ("i).

Q^iieW inproviso rappresenta in parte nel suo vigore il pen- siero che è taciuto, quantunque la fantasia ricorra al modo e alla qualità del fatto, piuttosto che al fatto stesso; ma il resto è limpida descrizione che gareggia in evidenza col racconto sacro. S'osserva nel Genesi che Adamo, passando innanzi a tutti i vjventi, non scorgeva chi gli stesse a pari : « Adae vero non inveniebatur adiutor similis eius » (.8), che è come l' esordio

(1) Cento, 116-117.

(2) Ivi, 118-121. (4) Gen., II, 20.

78 Oli episodi biblici

alla creazione della donna; e Proba riferisce con cura, poco aggiungendo di suo :

quaeritur hiiic alias, iiec quisquam ex agmine tanto autlct adire virum, sociusqiie la regna vocari (1).

La timidezza quasi supposta negli animali nel credersi in- feriori all'uomo e nel non osare di pareggiarsi a lui è senti- mento nuovo che nella Bibbia non si rileva, senza poi notare che il sociusque in regna vocari, oltre a rendere leggiadro il pen- siero, lo specifica con chiarezza.

Così il sonno che Dio infonde in Adamo, ritratto nella jjìacidam quiefeni, che egli dat per membra iuveni e il declinare lumina (2) di questo, che ò una perla vergiliana, è espresso come nel versetto: « Immisit ergo Dominus Deus soporem in Adam » (3). Soltanto si può avvertire che allato all'azione: tulit unam de costis eius, che chiaramente dimostra e significa, il nudai è inopportuno ed errato per un uomo che non era ve- stito. Tuttavia Proba descrive liberamente, e, accennata la creazione con Veripuit unum laterum, viva parola e migliore del tulit, soggiunge lieta: « Oritur mirabile donum » (4). Or il

considerare la donna quasi un dono di Dio all'uomo non è una frase poetica nuova, ma un pensiero derivato dal detto biblico che l'uomo solo non bonum erat ; mentre è merito della poetessa aver associato le più graziose immagini vergiliane a raffigu- rarci sugli occhi la dolce creatura testé formata. Nel dissidio tra r ingegno e l'artificio, a cui s'era obbligata, sono i versi più nobili che un centonista potesse scrivere:

claraque in lace refulsìt

insignìs facie et pulchro pectore virgo,

iam matara viro, iam plcnis nubilis annis (5).

(1) Cento, 122-123.

(2) Ivi, 124-125.

(3) Gen., II, 21, 23.

(4) Cento, 129.

(5) Ivi, 130-132.

Gli episodi bìblici

La donna, la più bella donna, uscita allora di mano al creatore, Proba l'ha veduta nella fantasia, rifulgente di grazia e di venustà, candida e giuliva levarsi come in mezzo ad un vivo chiarore, presso Adamo dormente. Il colore vergiliano dona agli esametri quasi l'eleganza dell'idillio. Dimora dei progenitori è il paradisum voltiptatis, simile ad una delle ìsole fortunate, ove albergano in eterno gli eroi, e il nltentia eulta s'addice acconciamente a quegli orti amenissimi, ove le sedes heatae fortunatonim nemoi'um traducono bene la parola biblica. Il Signore con amorosa sollecitudine guida Adamo ed Eva al- l'ingresso del paradiso e gl'invita a godere di quei beni, men- tre trema la terra, s'appiana il mare e tace compreso di ri- spetto il creato. Ivi egli facendo ammirare quella divina bel- lezza di vegetazione, ricorda loro esser quella sede il luogo di riposo : padroni d'ogni cosa, avranno impero su tutti i \iventi e piena libertà di scegliere qualunque sorta di cibo. Per lun- ghi anni la terra non dovrà esser rotta dall'aratro, la falce dovrà troncare le male erbe sui campi ; gli uomini stessi non sottriranna vecchiaia: ma al punto di proibire ai primi padri di stender la mano ai pomi dell'albero fatale, se avevano cara quella florida felicità, la poetessa osserva che V arhos feìicihus raìiii-s, come Tenedo, est in conspectu,

qiiam neque fas igni cuiquam, nec sternere ferro religione sacra uumquam concessa moveri (1).

E tutto ciò, richiamando alla memoria un rito pagano, di- scorda dalla parola del divieto divino ; Adamo si sarebbe accinto mai a far legna dell' albero, questo negava Dio. Ma il rivolgersi, eh' egli fa, a discorrere prima all' uomo e poi alla donna per distoglierli da quell'atto è buon mezzo di stile, perchè quasi accenna alla colpa e alla trasgressione. Nella Bibbia si legge soltanto : « Si in quocumque die comederis ex eo, morte moHeris » (2), e la minaccia oscura che s'aggrava sul capo d'Adamo, racchiusa in brevi parole, vale molti esametri

(1) Cento, 149-150.

(2) Gen., II, 16.

80 Gli episodi biblici

del centone. Soprattutto in questo luogo, in vero, si doveva lasciar presentire quanto avverrebbe, senza dichiarare innanzi ogni tatto ; ma la descrizione al contrario del paradiso procede colorita ed elegante, come poteva aspettarsi da chi aveva fa- miliarità con Vergilio. Certamente Proba, introdottasi nel- l'argomento, spesso è costretta a toccare appena il senso, ad interpretar male^, perchè non trova nel suo autore una frase acconcia, ma quando le è dato di allargare il pensiero, lo fa volentieri e con splendore di forma, che qualche volta riesce non opportuno. Anche qui la descrizione, che vien fuori tes- suta di molti versi dell'Eneide, acquista un'agile grazia :

devenere locos, ubi mollis araaraeiis illos floribus et dulci adspirans couplectitiir umbra (1).

A questi due esametri, tolti dal libro primo del poema vergiliano, dove si narra di Venere, che addormenta Ascanio e lo depone ne' boschi idalii, mentre Amore con le sembianze di lui partecipa al convito di Didone, ne seguono altri dell'e- cloga nona :

hic ver purpureiim atque alieuis meusibus aestas, hic liquidi fontes, hic caeli tempore certo dulcia mella premunt, hic candida populus antro imminet et lentae texunt umbracula vites (2).

Gli altri versi, uniti con questi. Proba li trasse dal libro quarto delle georgiche :

Invitant croeeis halantes floribus horti inter odoratum lauri nemus ipsaque tellus omnia liberius, nullo poscente, ferebat (3).

Perciò, se non la vaga mollezza del verso e la moderata ve- nustà, almeno la facile connessione fantastica è pregio non

(1) Cento, 161-162.

(2) Ivi, 163-166.

(3) Ivi, 167 169.

Gli episodi bìblici 81

lieve di Proba. I centonisti, ove siano forniti di vivo inge- e^no, non lo mostrano nella composizione inventiva, ma nel sa- pere ritrovare l'affinità ideale e stilistica tra il loro pensiero e il pensiero espresso nella parola del loro autore. La mag- giorana che cresce rigogliosa in quel giardino e prodiga om- bra e fiori, cioè frescura e odore, ci l' immagine d' una verde ed alta spalliera che giri intorno, come usavasi nelle antiche ville romane. Ma, determinato l'aspetto esterno del luogo ameno, l'ordine delle idee comporta che se ne descriva r interno. E qui la primavera è purpurea, quasi a signifi- care il lusso mirabile dei colori, onde si veste la terra ; l'estate vi domina negli altri mesi, perchè il vario e il dilettevole in natura pare che non si possano procurar meglio che nel te- pore primaverile o nello splendore estivo della campagna (1). Tuttavia perchè quella lunga estate non rechi un senso di fa- stidio all'animo del lettore, la poetessa s'affretta a soggiungere che nel paradiso scorrono limpidi ruscelli, che il miele cola giù dagli alberi, il pioppo spande la sua chioma sull' ingresso d'un antro e le viti intrecciandosi offrono il refrigerio dell'om- bra. Ma il giardino, i colli, i chiusi e freschi viali sono una parte solamente dell' Eden; in altra parte i prati olezzano di crocei fiori, verdeggia un boschetto d' alloro e il suolo tutto rende frutto senza fatica d'aratro. La pittura di colori classici è elegante che ricorrono facilmente al pensiero le mèssi, i vi- gneti, gli olivi e gii orti, sebbene non vi si accenni espressa- mente. Dall' idillio descrittivo si passa a narrare del ser- pente, che non avrebbe nociuto all' uomo, */ mens non laeva fuisset, e che s'avanza come il draco che investe Lacoonte:

septem ingens gyros, septena volumina traxit (2).

La Bibbia trascura tutto ciò, e dopo aver notato che il serpe erat calUdior cunctis animantihus , accenna tosto il fatto : « Qui dixit ad muUerem: dir praecepit vohis Deus ut non come- deritis de omni Ugno paradisi f » {S). Al contrario Proba, che

(1) Gen., II, 6, 10.

(2) Cento, Ili.

(3) Geìi., Ili, 1, 6, 7.

82 Gli episodi biblici

si propone anche un fine estetico, mostra il serpente salito sul- l'albero, che pendendo giù da un ramo frondoso, viperea ni spi- rat ani mani, poi si drizza sulle squame e a lungo ricerca i mezzi più acconci alla seduzione :

ne quid inausiim

aiit intemptatum scelerisve dolive relinqiiat (1).

]\Ia nelle parole che Satana rivolge ad Eva, come avvertii dianzi, richiamandosi a memoria il concetto d' una cosa invio- labile e sacra, scema V importanza del fatto, come se non il contraddire alla voce di Dio, ma il cogliere un frutto dall' al- bero, che per virtù e qualità sua era inviolabile, costituisse il peccato, che fu disobbedienza e non sacrilegio. E se può lasciarsi di notare quel vana stiperstitlo in bocca al serpente, quasi vocabolo che discorda, perchè si riferisce ad idee e ad istituti civili, diviene però sconveniente la proposta ch'egli fa ad Eva :

extruimusque toros, dapibusque epulamur opimis (2),

dove sembra d' udir parlare un compagno famelico d' Enea. In verità il solo stender la mano ad un pomo è atto d' un istante e può conservare quella naturale franchezza d'un'azione inconsiderata, che attenua la colpa, mentre occorre non poco tempo, quando si vuole imbandire la mensa per mangiarvi i pomi. Oltre di che, non sembra che sia proprio chiamare il frutto degli alberi dapes opimae, il serpente, che già ha colpito di meraviglia la donna, perchè parla linguaggio umano, può sedurla invitandola a mensa. Ciò è falso in arte e de- riva dal desiderio e dalla necessità di stringere addosso a Ver- gilio vesti che non gli si adattano, tanto che spesso un orlo se ne sdruce e di sotto si scopre l'artificio del centonista. Cosi si giudichi del contactuque omnia foedant, attribuito al convito d'Eva e del serpente e tolto dal terzo dell' Eneide, ove si ri-

Ci) Cento, 180-181. (2) Ivi, 196.

Gli episodi biblici 83

cordano le arpie, che insozzarono le tavole ai poveri troiani. Il Genesi narra con sobria evidenza : « Et tulit de fructu illius et comedit, dedifque viro suo, qui comedit » (1). Proba riferisce il fatto modificandolo con eleganza, ha un'espressione di com- patimento per Adamo e attribuisce una collera furiosa ad Eva, fino a dire che Dio stesso, hominum rerumque reperto)', sapeva bene furens quid femina posset (2). Ma questa frase, efficace se riferita a Bidone, qui altera il senso storico, da che qualità d'Eva sono appunto la debolezza d'animo e l'ambizione. La vergogna però del peccato, accennata nel versetto settimo del Genesi, è indicata acconciamente ne' suoi elfetti:

continuo nova hix oculis effulsit; afc illi

terrentur visu subito, nec plura morati

corpora sub ramis obtentu frondis inumbrant (3).

Al nuovo sentimento, che affatica l'animo dei progenitori, al pudore, tien dietro la paura, e poi a questa, quasi effetto, la fretta del coprirsi, che è quanto doveva in quel momento accadere. La voce di Dio irato : « Procul, o proctiì es-te,

profani » (4), che è quella della sibilla cumana nell'Eneide, s'adatta anche al divieto d' entrare nel paradiso, sebbene ri- chiami alla memoria la superstizione degli oracoli. E il rim- provero di lui perviene ad auras post meridiem, e però Proba fa che il genifor per auras adìoquitur, dopo essersi mostrato pre- sente col suono dei passi. Così il visus adesse sonitus pedum traduce il deamhulans in paradiso della Bibbia, e se il pensiero è per metafora involto in un verbo troppo volgare, qui il di- fetto è maggiore, perchè si determina un effetto dell'azione, dove l'azione stessa disconviene al soggetto. Parimenti l'au- stera grandezza dell'interrogazione: Uhi es?, scema tradotta in una serie di domande retoriche, che accennano a furor, de- menfia, insania e cupido. A ciò s'aggiunge una drammatica

(1) Geli., Ili, 6.

(2) Cento, 212.

(3) Ivi, 206-208.

(4) Ivi, 213.

84 Gli episodi biblici

tenzone di rimproveri e di scuse, in cui manca però la risposta da parte di Adamo, che confessa di tremar tutto e conclude: Merui. nec depreco)', » incolpando del fatto la donna:

illa dolos dirumque nefas sub pectore versaus insoutem iufando indicio, moritura puella, dum furit, incautum crudeli morte peremit (1).

Eva è ritratta quale non era; e se il pomo dell'albero ac- cese la passione dei sensi, non è da paragonare ad una be- vanda venefica. Qui sembra migliore la schietta ed eloquente discolpa del Genesi : « Mulier, quam dedisfi mihi sociam, dedit 7ììihi de Ugno, et comedi: > (2) ove si contiene un'ingenua di- fesa, consigliata dalla paura e dalla confusione. Il tratto, ben condotto nel dialogo, mostra un supremo sforzo della poetessa per indurre Vergilio al suo pensiero, mentre il castigo inflitto da Dio all'uomo è indicato con le parole del racconto biblico, salvo che Adamo soltanto risponde, ed Eva e il serpente tac- ciono. Il decreto divino s'annuncia funesto col verso:

accipite ergo animis, atque haec mea fìgite dieta; (3)

e al tentatore s'intima di ritrarsi e nascondersi: « cede locis »; ad Adamo, che si chiama miserandus piier, si comanda di lavorare la terra per vivere, e, ciò che è più strano, di cacciar gli uc- celli di rapina scuotendo il batacchio delle campane : « sonitu terrebis aves > . Proba, che ha tolto quel verso didattico dalle Georgiche di Vergilio, ove si tocca degli uffici del contadino, non s'avvide che introdurlo qui era inopportuno, come pure è indecoroso e vano che il Signore in un momento tanto solenne parli del cardo, deUa lappa officinale e de' triboli, quasi un vecchio agricoltore. In somma generalmente il difetto è duplice : sostare soverchiamente nella descrizione dei particolari, ciò che sconviene coi fatti che si narrano, e guardar poco ai criteri letterari. Ma l'enumerazione è ordinata: la terra ingrata farà

(1) Cento, 238-240.

(2) Gen., Ili, 8, 9, 12.

(3) Cento, 245.

Gli episodi biblici 85

isterilire i fiori del frumento e del farro, l'uomo sarà costretto a cibarsi di ghiande, e gli sopravverrà poi la vecchiezza e la morte. Ad Eva il rimprovero ò rivolto in frasi generali e solo le si attribuisce l'epiteto di saevissima coniunx {V), vizio non suo. La donna della Bibbia qui s'è trasformata: è una mi- stura d' improvvisi furori e di astute colpe, finché, a sembianza compiuta, ci si mostra crudelissima. Di più, nel Genesi Dio si volge a lei, tosto che ha lanciato la maledizione sopra Sa- tana, e prima di volgersi ad Adamo, come certamente si ri- chiedeva, perchè più colpevole, mentre Proba fa rimproverare da lui Adamo e lo fa punire prima d' Eva, senza anche accennare alle miserie, cui dovrà questa sottostare: i dolori del parto e la soggezione all'uomo. Sono inezie, che ella forse ha avvertito, ma non ha potuto evitare. A meraviglia è ritratta l'uscita dal paradiso fatale:

haiit mora, festinant iussi, rapidisqiie feruntur passibus, et pariter gressi per opaca viai'iim corripiunt spatium medium limenque relinquunt, flentes et paribus curis vestig-ia figunt (2).

Tutto concorderebbe, ma Q\}xé\ì' opaca- viarum è immagine errata e per il tempo e per il luogo. Il testo biblico al con- trario non fa parola della partenza; soltanto ricorda che Dio emisit de paradiso voluptatis e vi pose a custode dell'ingresso il cherubino con la spada flammea e versatile. Ed ecco già l'uomo, bagnato di sudore, affaticarsi per le selve e conten- dere i frutti alla terra, che ha perduto tutta quella ridente fio- ritura, di cui faceva pompa. Eva, che soffre i disagi della gravidanza, dopo dieci mesi la vita al genere umano, du- rum gemis, e intanto l'industria del lavoro continuo fa rinverdire i prati dissodati e l'arte e l'esperienza ammaestra l'uomo nella coltura dei campi. Qui la reminiscenza dell'età dell'oro, cantata da Virgilio, parve a Proba acconcia all'argomento, e

(1) Cento, 263.

(2) Ivi, 272-275.

86 Gli episodi biblici

accenna anch'essa al subitaneo mutarsi della natura e degli animali, ai serpenti divenuti venefìci :

timo genitor virus serpentibus addidit atris (1),

al miele, che non cola più dalle foglie, ai lupi fattisi voraci, ai fiumi, che non corrono più vino, e alla fuga d'Astrea dalla terra. Ma poco appresso l'imitazione classica tradisce il pensiero nuovo, perchè la dura egestas non spingerà certamente Adamo e il suo primogenito a far uso di taglie e laccioli e a cacciar gli uccelli col visco:

tum laqueis captare feras et fallere visco in ventura (2).

Un solo verso notizia del fratricidio di Caino, che era pure un fatto memorabile e tale da accrescere colorito e movenza epica al poema, che procede al contrario sulle orme della cro- naca:

.... furor iraque mentera praecipitant : gaudent perfusi sanguine fratrum (3).

E si passa tosto a narrare del diluvio, con cui l' Eterno coni- mottis vuol punire i viventi; e quell'avvenimento, che nella Bibbia si compendia in pochi versetti del capitolo sesto e nel decimosettimo del capitolo settimo, nel centone è riferito con frasi enfatiche e con evidente esagerazione. Della grave sentenza del creatore: « Poenitet me fecisse hominem > (4), non si fa menzione, ma si descrive la terra, coperta dalle acque :

tellurem effundit in undas, diluvio miscens caelumque in Tartara solvit (5);

(1) Cento, 290.

(2) Ivi, 296-297.

(3) Ivi, 303-304.

(4) Gen., Ili, 14 e segg. Cfr. anche III, j6, 17, 23.

(5) Cento, 308-309.

Gli episodi biblici 87

i campi arati, sepolti, le valli, ricolme dell'acqua dei fiumi straripati, gli animali che muoiono e con un mirabile cìictu s'ac- cenna a Noè, che Dio enpuit leto perchè servantissimus aequi. E a lui, uscito dall'arca, il Signore leggi e impone di go- vernare la nuova società umana:

diluvio ex ilio patribus dat iura vocatis oranipotens : magnis agitane sub legibus aevum (1);

sebbene sia improprio chiamar leges e tura le primitive costu- manze de' patriarchi, quasi si trattasse delle astute costituzioni del codice imperiale. Poi con facile artificio la poetessa av- verte il lettore che le sembra inutile continuare la narrazione per ricordare le guerre, i duci, l'Egitto, la peregrinazione, il ritorno e la sconfitta del faraone, e chiude la storia biblica per venire alla storia evangelica:

caetera facta patrum, pugnataque in ordine bella praetereo atque aliis post me memoranda relinquo (2).

La seconda parte del centone è una nuova epopea con invocazione e proposizione, secondo i precetti della retorica. La natura stessa del componimento letterario impediva si con- seguisse una vera unità; e però manca un'idea o un fatto pri- mario, intorno a cui tutta l'azione epica si raccolga, e non si scorge un vincolo logico tra le descrizioni e gli episodi che li faccia apparire parti di un'unica opera. Proba segue passo passo la storia, che adorna di belle immagini e di eleganze stilistiche e verbali, e trascura di coordinare e tace non solo ciò che crede superfluo a conoscersi, ma anche ciò che la pa- rola vergiliana, con cui s'è obbligata a parlare, le vieta d'es- primere. Spera di se tollere humo e vuol provarsi a verseg- giare sulla vita del Redentore:

quom femina primum vìrginis OS habitumque gerens, mirabile dictu, nec generis nostri puerum nec sanguinis edit (3).

(1) Cento, 317-318; e Gen., IX, 1, Exod., I, 9, XIII, 18.

(2) Ivi, 331-332.

(3) Ivi, 340-342.

88 Gli episodi evangelici

L'evangelista narra semplicemente : « Factum est autem qutnn essenf ibi, implefi sunt dies ut parerei » (1). Qui la frase vergiliana si presta alla traduzione fedele:

lamque aderat promissa dies, quo tempore primum extulit OS sacrum, divinae stirpis origo missus in imperiixm ;

e a significare l' umanarsi del verbo di Dio non è meno poe- tico il verso che segue:

raixta deo (2),

venitque in corpore virtus,

che ci fa sempre più accorti che al colto e virile ingegno di lei non faceva difetto quella viva potenza di fantasia, che im- prime e rileva delle cose l' aspetto più notevole e più proprio. Dato poi un cenno sulla nascita di Cristo, cari genitoris imago, senz'altro vi soggiunge che agnovere Deum proceres, frase che nulla rileva della storia dei magi, mentre i proceres possono dirsi i capi o i principi del paese. E se questo la parola significasse, sarebbe singolare che aspettassero l' annunzio della stella per essere avvertiti di un fatto, che avviene presso di loro. Proba pensa che sia a conoscenza di tutti la narra- zione evangelica e che basti un lieve richiamo alla mente de' suoi lettori. I proceres compiono tre azioni : agnovere deum, repente munenbus cumulant, e poi sanctum sidus adorant, dove, se si guarda il verso, sembrerebbe che il nume da essi ricercato sia appunto la stella. E se pur si legge senza troppo andare per il sottile, l'adorazione della stella è sempre un'idolatria fuor di luogo, molto più perchè l'onorano di un culto dopo avere offerto i doni, quando cioè la missione del viaggio era compita. Fra questi j^ensieri vaghi e indefiniti non si riesce a veder chiaro, e si è ben lungi dalla nitida esposizione del capo secondo della prosa di san Matteo. Parimenti par con-

(1) Lue., II, 6.

(2) Cento, 346-349.

Gli episodi evangelici 89

tnirio alla verità che i magi conoscano Cristo dai tsigna decoris vulhis, come Eurialo, e non da un sentimento nuovo, che la presenza di quel prodigioso bambino aveva potuto eccitare loro nell'animo. L'evangelista continua a dire: « Audiens autem Herode.s rex Uirhatus est et omnis Hlerosolynia cura ilio » (1), ma Proba non poteva nominare Erode, perchè quel vocabolo non si rinviene in Virgilio, e però il suo rea:, sebbene mens ma- gno fervore, ha ben poca importanza morale ed epica. Ordi- nata da lui, si descrive per trenta versi la strage degl' inno- centi, in cui ricorrono le immagini dell' wrey-e flammis e dèi prae- cipitare stirpeni et genus omne futuvuìn, impropria la prima e vanamente iperbolica la seconda riferita ad un piccolo paese. Veramente belli sono tuttavia questi esametri :

Continuo aiiditae voces, vagitus et ingens infantumque animae flentes : ante ora parentum corpora natoriim sterniintur limine primo (2) ;

ove la mirabile pittura dell'eccidio infantile spicca sulla mo- notonia narrativa. Il timore della famiglia di Gesù, che per Matteo è destato dall'avviso dell'angelo, qui si desta per i ge- miti che ascolta la Vergine, la quale perciò exterrita reddit in- fantem ad praesepia, e lo nutre lattandolo sotto un povero tetto di contadini. Qui il racconto si tronca a mezzo per parlar del suo passaggio nelle città popolose e dell'accoglienza che la folla gli faceva :

ut primum cessit furor et rabida ora qiiierunt (3) ;

e toccato appena del lungo apostolato del Salvatore per medias urhes, che lo salutavano figliuolo di Dio, s' accenna al batte- simo sul Giordano in presenza di un popolo innumerevole.

(1) Matth., II, 3.

(2) Cento, 369-371.

(3) Ivi, 381.

90 Gli episodi evangelici

San Giovanni, che è chiamato vafeò% scorgendo approssimar Gesù da lungi, esclama fervidamente:

. . . Deus, ecce Deus cui uiaxima rerum verboruinque tìdes. Tu nune eris alter ab ilio, fortunate puer, caeli cui sidera parent. (1).

E prosegue invitandolo come un Dio disceso tra gli uomini, eh' egli conobbe leggendo nel futuro e profetò e che le genti per lunghi secoli aspettavano ansiose. Son versi di buona forma, sebbene la ser\ile imitazione le faccia mutare la sacra cerimonia in un bagno romano: fluvio mersare salubri ; perchè, senza ri- cordare la luce improvvisa, la voce dal cielo e gli altri feno- meni straordinari, che con schietto stile raccontano gli evan- gelisti, si descrive soltanto una colomba, che in vece di di- scendere dal cielo caput a.^tiUt, radif iter liquidum e par sorgere dalle acque. È una mista reminiscenza dell' ecloga prima e del libro quinto, ove il poeta latino rammenta i giuochi funebri, celebrati in memoria del padre Anchise. Se si esamina poi la contenenza e il senso delle parole, che si fingono udite dal cielo e profterite da Dio, anche qui il tratto si mostra di so- verchio prolisso, rompendosi per tal modo la naturale verisi- miglianza della voce prodigiosa, che deve esser breve e concisa, non argomentare e persuadere. L' improprietà viziosa delle appellazioni pagane meae tires, mea magna potentia travia il concetto teologico, e più in basso si cade, quando l'Eterno ri- pete al figliuolo:

tu regere imperio populos, matresque virosque (2),

come Anchise nelF inferno, ove la correzione peggiora e con- fonde e par riguardare un eroe da apoteosi. Se qui F artificio centonistico danneggia più che altrove la trasformazione poe- tica del vangelo, che era negl'intenti di chi scriveva, l'affetto religioso non s'attenua certo, e la storia s'interrompe a questo

(1) Cento, 390-392.

(2) Ivi, 409.

m

Gli cpiso(fi evangelici 91

punto, perchè la patrizia cristiana, commossa dei fatti che narra, ha bisoiiiio d'etTondere, pur con le parole del poeta iirediletto, la pietà e la poia dell'animo suo:

umini prò uoinine tanto cxcqxieror strueremque suis altaria donis (1\

E promette di voler seguire la legge divina per fìa,„„ni>, per varios casu.^, per niiUe seguentia tela, e perfino si Si/)'fibuf< e.rul. Spento però questo nobile fervore, si torna alla storia per trovare il i^erijeufis furiale maìum, cioè la tentazione di Cristo nel deserto. Presso san Matteo (2) Satana ha in questo epi- sodio due soli nomi, fenfafor e diaholus, era possibile in vero che il tentatore prendesse di nuovo la forma di serpente, in cui s'era cangiato per sedurre la donna. Il Signore non è, se- condo Proba, digiuno da quaranta di, vive nel deserto, ma si mostra tendens per gramina, quando il serpente lo interroga, richiedendolo della stirpe e della famiglia e invitandolo a te- nergli dietro. Oltre di che la prima proposta di Satana, quella di mutare in pane le pietre, non è ricordata; la seconda, quella di gettarsi da un'altura, sicuro dH soccorso degli an- geli, che, essendo ignoti a Vergilio, son di necessità convertiti in zeffiri :

voea zephyros et labere piunis

ardua tecta petens ausus te credere caelo,

si modo qiiem memoras pater est, cui sidera parent.

Migliore per etficacia è la risposta di Gesù, che gli oppone il classico cede Deo, per cui egli

fronte prerait terrara et spumas agit ore cruentas (3).

La determinatezza dell'idea, donde procede chiarezza ed efficacia, è ben diversa da quella che s'ammira nel racconto

(1) Cento, 424-4-25.

(2) Matth., IV, 1 e segg., IV, 1 e segg'. ,3) Cento, 443-445, 454.

92 Gli episodi evangelici

evuniJTclico. Con un solo interea, tempore non alio si fa men- zione diin altro avvenimento e si legaiio insieme cose disparate, che la poetessa viene tratteggiando. Le turbe commosse e ra- jiite dalla fama di Cristo s'addensano sul suo passaggio ed egli parla al popolo con un discorso largo e complesso, in cui si compendia il meglio della dottrina nuova. Tra le classiche reminiscenze son utili consigli morali, cenni dei dommi e delle pratiche religiose, minacce di pene ai peccatori e un'orribile descrizione dell' inferno :

sed fugit, interea fugit inreparabile tempus, flammarumque die,s et vis inimica propinquat (1).

Il terrore del giudizio e della combustione finale del mondo, che traspare in queste parole, è eccitato da un fanciullo, puer, che ha le stesse bellezze d'Eurialo:

ora pner prima signans intonsa inventa (2).

I capitoli degli evangelisti Matteo, Luca e Marco riferi- scono solamente il lungo discorso, rivolto da Gresù alle turbe, che Proba con arte eletta raccoglie e accresce di particolari. L'avventura del giovanetto, che si presenta ai discepoli, è ben narrata, quantunque le frasi vergiliane di lode cortigiana : « O decus, 0 famae merito pars maxima nostrae » non tradu- cano l'umile domanda al Signore: « Magister bone, quid boni faciam ut habeam vitam aeternamf, » e più che improprio sembri il fiupplex tua numina posco, rivolto nell'Eneide da Venere ad Amore. In vero l' appellativo magister conviene a chi lo pro- nuncia e al luogo, ma le locuzioni scelte nel centone si direb- bero r esordio d' un' orazione o di una recitazione epica innanzi ad un'udienza. Il giovane accerta Gesù di conoscere bene le sue dottrine, animo mecum ante peregi, si lamenta con lui della triste condizione in cui si trova: eripe me malis, e gli chiede con fiducia la fede, daque fidem; e Cristo, che è chia-

(1) Cento, 495-496.

(2) Ivi, 506.

Gli episodi evangelici 93

mato heros con difetto di verlsimiglianza, risponde ripetendo i precetti del decalogo, che con qualche stento di locuzione sono pure chiaramente riprodotti. Ma il consiglio : da pmiperihtiti, che al ricco sonò male, come narra l'evangelista, è taciuto con danno della fedeltà storica e per necessità di non uscir fuori dal dizionario del poeta antico. Poiché torna più facile a Proba descrivere i fenomeni della natura o 1' aspetto del cielo e della campagna, che non esprimere un fatto morale. Cosi, più indietro ricordando i monti che, quasi sensibilmente com- mossi, cantano, secondo il concetto biblico, le lodi del Signore, e le valli che risonano dell'eco, scrive versi che nella veste vergiliana rivelano l'intenso sentimento della neofita:

huius in adventum tantaniin in munera laudum,

ipsi laetitia voces ad sidera iactant

intonsi montes : respondent omnia valles (1).

E parimenti la fantasia di lei s'illumina nel narrare della tempesta, cui sul lago era in preda la barca dei discepoli nel- r assenza di Gesù. I naviganti, perduta la vista delle sponde, sono confusi e timorosi della propria vita, mentre nell'alto ba- lenano i lampi e sotto, i flutti romoreg^Iano e ingrossano. I versi, tolti dal libro quinto dell' Eneide, sono con squisito arti- ficio congiunti e intercalati ; soltanto il sopravvenire del reden- tore, che intrepido passeggia sulle acque, mal si comprende dagli esametri:

par levibus ventis et fulminis ocior alis prona petit maria et pelago decurrit aperto (2).

Sul finire, sebbene il racconto proceda con chiarezza a si- gnificare che il mare s'appiana e i venti tacciono, quando il Signore è al timone, non si trovano parole per il più grazioso episodio evangelico, quello di san Pietro che annega.

(1) Matth., XIX, 16 e segg. Cento, 426-428.

(2) Cento, 547-548.

94 Gli episodi evangèlici

Senz'altro poi, con un solo tnnc, la fantasia si porta all'en- trata irloriosa in Gerusalemme :

. . . cui plurima cireum matres atque viri pueri velamina nota subiiciiint tunemque ninnii cojiting'ore g'audent (1).

Ma quale differenza tra Proba, costretta a soffocare il suo sentimento nelle frasi altrui, e Teodulfo, che canta a voce spie- gata r inno della festa delle palme, nell' impeto fervoroso della fede rinnovellata, tra il coro di tutto il popolo che lo seconda ! Osservazioni simili possono farsi circa l'espulsione dei mer- canti dal tempio, ove Cristo

horrescit visii subito infremuitque flagello (2),

perchè il fatto, privo di particolari, si rappresenta languido e monco; circa il convito sul campo, per herham, dopo il quale Gesù vuole instaurare honores genitori, come il pius Aeneas ; e circa r istituzione dell' eucaristia, ove il nominare patera e sa- crorum, come il dir proceres gli umili' discepoli, guasta il senso e toglie ogni convenienza. Oscuro è il motto : nemo non donatus ahìhit, e lo studio d'esprimersi e di non poterlo fare acconcia- mente si rileva di continuo. Nel passare da un luogo ad un altro della narrazione epica si toglie ad artifìcio di stile un fe- nomeno atmosferico o un' allusione mitologica, sia il sole che discende dall' Olimpo, sia l' aurora che lascia 1' oceano ; ciò che non pare opportuno specialmente quando maggiore è la gravità e la dignità dell' argomento. I sacerdotes e i patres, come se anche in Palestina sedesse il senato romano, studiano il modo d' aver nelle mani Gesù e fertur per agmina murmur. Donde la morte, che s'apprende appena, quando si narra che il po- polo tumultua, assalta la sacram effìgiem per legarla ad una quercia, decisis undique raniis, cioè alla croce, che non si poteva nominare. Per tal modo la pietosa scena del Calvario, tanto

(1) Cento, 563-565.

(2) Ivi, 572.

ixLi episodi evangelici 'òb

cara alla pietà dei primi cristiani, IMaria, le pie donne, i ladri crocifissi, la plebe, il centurione romano, tutta in somma la di- vina passione è dimenticata, e sembra che s' appresti un sacri- ficio da cannibali. Nessuno che non conoscesse il fatto riu- scirebbe ad intendere da questi versi di Proba la grande storia della crocifissione ; e non reca però meraviglia che a taluni con- temporanei il centone apparisse una sconveniente profanazione. In lode di Gesù non occorre che un magro epiteto impavidm ; e frattanto il cielo s' ottenebra, la terra trema, fuggono le fiere e uno spavento agghiaccia i cuori. I compagni dell' ucciso s' occultano, node teguntiir opaca, si consultano a vicenda, e un vecchio lamenta la morte del Salvatore, disperando di trovar più pace e guida al bene :

tum senior tales referebat pectore voces

multa putans : « ubi nunc nobis deus ille magister?

quem sequimur? quo ve ire iubes, ubi ponere sedes?

o dolor atquc decus, tantarum gloria rerum !

iam iam nulla mora est : et nos rape in omnia tecum

oranius teque adspectu ne subtrahe nostro » (1).

Non erano tuttavia trascorsi tre giorni:

tertia lux gelidam caelo dimoverat umbram (2) ;

e il sepolcro si trova scoperchiato e in rovina :

. . . avulsaque saxis saxa vident (3),

la terra si scuote, e sorge fuori dell' antro il Signore trionfante, vulnera gerens, che lasciatosi scorgere dai discepoli esclama : « Corani quem quaeritis adsum », S'intrattiene poi ad esor- tarli alla concordia, alla pace, alla preghiera, e, his demum exactis, ascende al cielo. L' ultimo tratto si mostra una prolissa

(1) Cento, 642-647.

(2) Ivi, 649.

(3) Ivi, 653-654.

9G Gli episodi evangelici

e debole parafrasi del versetto di san Luca : < Recessit ab eis et ferehatur in caelum » (1), ove il ferehatur è mirabilmente effi- cace per un senso d' indefinita incertezza. Cristo tronca a mezzo il discorso che teneva agli apostoli:

atque illum solio stellantis regia cadi

accipit aeternumque tenet per saecula nomen (2).

E con la dolce preghiera, con cui la patrizia, rinnovata nella fede cristiana, raccomanda a Dio sé, il marito e i suoi, il centone si chiude.

(1) Lue, XXIV, 51.

(2) Cento, 685-686.

mi.

L' arte di Proba.

Cnteri e mezzi della narrazione epica.

La copia descrittiva e gli episodi prescelti. Il valore

poetico. L' imitazione da Lucano. Variazioni

prosodiche e linguistiche. La fraseologia

vergiliana e il significato nuovo.

Con siffatto argomento e con tale fattura di poema, quale abbiamo esaminato, gli avvenimenti a disagio potevano disporsi in quella unità narrativa, che pare perciò solamente risulti dalla forma esterna e dai confini retorici, che la poetessa s' è pre- scritta. Proba scorrendo con occhio da artista quel!' im- mensa vicenda di fatti, onde s' intesseva la storia biblica e r evangelica, ha diviso, come avvertii, il centone in tanti episodi con legame tra essi più spesso sintattico, che logico. Scorgeva innanzi a due serie di fatti da colorire con la fantasia poetica, alcuni necessari, e che non avrebbe potuto trascurare, perchè parte primaria del soggetto epico, altri d'importanza più lieve e quasi accessoria. Accettati i primi, v' acconciò la frase vergiliana il meglio che le venne fatto, ma tra i secondi trascelse quelli che le sembrarono più atti ad essere narrati e rappresentati con le parole dell'antico poeta. Da ciò è derivato che ne' primi, quando il fatto era ben lungi dal senso vergiliano. Proba ha sforzato e travolto il pensiero; cosi nel narrare la nascita di Cristo e la fuga di ]\Iaria in Egitto, s'è appagata del cenno ai piena praesepia e agli angusti fastigia tecti; nell'ultima cena, anzi che toccar della notte tra- scorsa nell'olivete, si dice che Gesù riposò tranquillo; e la cattura, gli scherni sofferti e la crocifissione, in modo strano

98 L'arte di Proba

e oscuro son ricordati col cerfanfque inludere capto, e con V in- gentetn quercum comtituunt. Altre volte il significato si rende oscuro e ambiguo per la viziosa brevità della locuzione, come quando si riferisce che uno dei gemini fratres, Caino, obtruncat ad patria^ aras, V altro, Abele, e per descrivere il diluvio s'af- ferma che Dio effiindit in undaft la terra. Veramente ò da no- tare che anche gii altri poeti cristiani nell' esporre in versi la storia biblica, quantunque non legati all' imitazione d' un clas- sico, si mostrarono d'una rapida brevità nel racconto (1); e ciò avvenne perchè non scrivevano con lo scopo di far intendere 0 di diffondere la notizia di fatti ignorati, ma soltanto di rive- stirli di belle parole e d'armonia metrica a farli meglio gu- stare e ad imprimerli con più efficacia nella memoria. E in vero Giovenco, Sedulio, Cipriano Gallo, Aratore e quanti s'accinsero a quest'impresa, sapevano bene che i testi del vec- chio e del nuovo Testamento erano tanto famihari ai fervorosi cristiani dei primi secoli, che 1? leggevano e meditavano con cura da fanciulli e di continuo li rammentavano da adulti, che sarebbe stato vano narrarne i fatti diffusamente. Tuttavia la concisione delle frasi in essi non appare mai si strana e inop- portuna, come in più luoghi del centone.

Non di rado poi abbondano in esso descrizioni o parole inutili ed oziose, che introdotte a render più elegante lo stile, quo grandius sonant osserva lo Schenkl, eo magis aures of- fendunt (2). Tali ci si mostrano le descrizioni del paradiso

(1) Cfr. St. Gamber, Le livre de la Génèse dans la poesie latine du V siècle, Paris, 1899, I.

(2) C. Schenkl, Op. cit., prooem., pag. 555. Per ciò che riguarda il testo è da tener conto delle più notevoli varianti di alcuni codici. Già Cristoforo Amaduzi, descrivendo un codice del centone conservato nella Biblioteca Angelica, appartenente alla collezione Passionei, avvertì le va- rianti dal testo comune ai versi 5, 6, 7, 19, 42, quantunque alcuni di que- sti esametri siano interpolati da altri centoni :

Conveniunt vitamque volunt prò laude pacisci, postquam altos ventum in montes aeterna potestas iura dabat legesque viris, operuinque lahores edocet, humanis quae sit fiducia rebus, admonet, immiscens cari praecepta parentis ; spemque dedit dubiae mentis, curasque resolvit, conspicit ecce alios, dextra, laevaque frequentes. V. Christ. Amadutius, Anedocta literaria e manuscriptis codicibus eruta, voi. II, Romae, ap. A. Fulgonium, 1773.

L'arte di Proba 99

terrestre, degli effetti del primo peccato, del serpente insidia- tore e della tentazione nel deserto, e parimenti le frasi primis esctenipìo a mensibus anni o tanfarutn gloria rerum, che sembrano scritte senza alcuna convenienza logica, e solamente con lo scopo di compiere l'esametro.

Così pure alcune parole, quali tempus al verso 890, hattstus al 108 e saucius al 435 e l'aggiunta di ferox e di voce superba attribuita al serpente, cui nulla doveva riuscire inaspettato, sono superflue e turbano lievemente il senso del fatto. Proba s'avvede Che qualche volta nel contorcere le membra di Vergilio cade perfino nel ridicolo, come nel narrare che ras- serenatosi il cielo dopo il diluvio, Dio dat iura, avendo raccolti gli uomini, patribus vocatis, quasi s' indicasse un' adunanza del senato romano, o nell' attribuire a Cristo la locuzione flagrantis dei, che nell'Eneide si riferisce al vultus d'Amore.

Ma se ciò deve giudicarsi rispetto all'interpretazione del- l' idea cristiana ne' fatti che la poetessa è stata costretta, come necessari, a riferire, ben diverso è il giudizio della sua poesia ne' fatti accessori, che ha trascelto di suo gusto. In questi, in cui il pensiero docilmente s'adagiava nella frase, r arguto e sagace ingegno di lei ha saputo lottare vittoriosa- mente contro le dure regole impostesi, e la buona riuscita de' versi ci fa fede a che arte fosse temprata e che, senza i pregiudizi di scuola e il miserabile artificio della poesia cen- tonaria, si sarebbe levata ben più in alto. Negli episodi spe- cialmente, che spettano alla vita di Gesù, pare che uno spirito poetico avvivi gli avvenimenti, e Proba abbia la fantasia più alacre e vigorosa, la mano più agile e sia signora del suo esame- tro. Tale ci si rivela nel rappresentare la strage degl'innocenti, il battesimo nel Giordano e l'ingresso delle palme a Gerusa- lemme. Per tal modo il centone ha l'apparenza d'una ca- tena d'oro, d'oro vergiliano, i cui anelli or piccoli, or grandi, or lucenti e ora rugginosi non bene s'allacciano gli uni con gli altri. L' anello lucido e forbito desta l'ammirazione, l'anello stridulo e rugginoso straj)pa un rimprovero. INIa dove la qua- lità dell'artificio doveva soffocare 0 estinguere il generoso sen- timento cristiano nel cuore della donna, questo s'è conservato segretamente quando la frase tiranna ne ha impedito l' espres- sione, e avviva come fuoco nascosto i versi aridi e grevi. Poi-

100 La narrazione epica

che senzta dubbio, pur avendo iu pieno possesso tutta la poesia di Vergilio, da scrivere forse senza ricorrere al testo, la re- torica centenaria, quando un gentil senso religioso s' è svegliato neir anima dell' artista, di rado ha concesso si rivelasse o tras- parisse leggermente nella locuzione.

Ma neir eleggere la migliore tra più frasi, che significa- vano uno stesso pensiero o pensieri simili, l'ispirazione poe- tica può aver avuto gran parte, e a noi è concesso avvisarvi quel fiato animatore, che sovente dietro il tessuto fulgido delle spoglie altrui fa dileguare l'impronta della persona del poeta latino nella parola fervida e spirituale di Proba. Non si può certamente affermare che -il sentimento vivo fecondi e com- muova da un capo all'altro il poema, mentre dove la storia versificata gelidamente non è che un tenue tessuto di cose, le membra dell' epico d'Augusto si scorgono sparse e disanimate ; ma, al contrario, altrove i versi s'innestano e s'associano a meravigha; e col progredire del racconto grati ricordi scuo- tono e avvivano, tanto che l'impressione affettiva più calda e recente si tramuta in una forma artistica. Per questa causa nel prologo del centone, in cui parla di e de' suoi nuo\à propositi, nella seconda invocazione e sul termine, la poetessa si studia con la parola altrui manifestare gli affetti suoi, e vi rie- sce. Non contiene far di lei la stessa stima di molti altri poeti cristiani, spesso barbari guadagnati alla nuova religione, i quali per un entusiasmo subitaneo e con scarsa preparazione di cul- tura, ci hanno lasciato versi espositivi di lieve valore. D' au- dace intelletto e d'amplissima erudizione, ella pur nell'anima rinnovata sente il fascino lusinghiero di tutta l'antichità clas- sica, quasi eredità di famiglia, e s' affatica a congiungere in- sieme due ideali, da cui le sembra non potersi separare : ecco perchè si piega indocile a scrivere dietro la maschera di Ver- giho.

Chi riguardi in complesso la composizione del poema, s'av- vede che, se è vero che tra ordini diversi di fatti il poeta inclina a scegliere quelli che più si prestano a ricevere una forma artistica, non è men vero che, senza un più intenso la- voro d'immaginazione non è dato, quando sia necessario, tra- sformare poeticamente quelli che sembrano a prima vista non significabili in espressione fantastica. Or, se anche Proba

La narrazione epica 101

avesse ricusato il tristo artificio, a cui s'è sottomessa, non so se avrebbe potuto con frutto e con buon successo adoperar r ingegno intorno ad un argomento, che torse non era del tutto acconcio all'epopea. Ad ogni modo però, anche preferita quella storia ampia e diversa, le era d' uopo lasciare un po' indietro la guida degli evangeli e senza alterare gli avvenimenti nel- r integra verità, architettare e levar su una grande macchina di poema. E però non tutto riferire, non con ordine preciso e nella successione del tempo, anzi raccogliersi in un episodio più che in un altro, e di osservare il resto quasi da una vetta, allargar l'azione giovandosi di quanto le tradizioni e le leggende, allora fresche su la bocca del popolo, avevano accu- mulato sulle figure della Vergine, di Cristo e degli apostoli e disporre infine la materia poetica con un graduale svolgimento di valore rappresentativo, in cui la passione, la descrizione, la polemica, l'apologia e la preghiera avrebbero conferito all'unità epica la più grata varietà artistica. La vita di Cristo non po- teva, se non a disagio, essere innestata alla storia del mondo, tuttavia, ove vi si fosse dovuta congiungere, era opportuno vi fosse connessa con unico pensiero ordinatore, non per succes- sione cronistica di fatti. Ma poteva Proba a' suoi giorni quando l'eresia rampollava in ogni grande città dell'impero, quando s' accendevano gagliarde le dispute degli scrittori eccle- siastici contro i novatori, e le condanne dei concili colpivano chi avesse alterato d'un sol verbo la lezione evangelica, po- teva, dico, una fervente e sincera poetessa pari a lei, libera- mente immaginare, come richiedeva l'arte? Se lo stesso suo centone fu relegato tra i libri apocrifi, si può pensare qual sorte peggiore gii sarebbe stata riservata, quando fosse stato composto con ogni libertà di fantasia. E però essa fu costretta a tenersi al Genesi e alla narrazione evangelica, senza mutare, se non lievemente, e abbigliando quasi con vano sforzo di stile, fatto per fatto, frase per frase, quella prosa magra e succinta. Oltre di che, esprimere quegli avvenimenti co' versi di Vergilio nota a ragione lo Schenkl absurdissiminn est (1).

(1) C. Schenkl, Op. cit., prooem., pag. 554.

102 L' i>n/f(t::ione da Lucano

Proba ili vero iiell' antico poeta, che aveva cantato la leggenda troiana, la coltivazione de' campi e l'allevamento degli ani- mali, e aveva scritto carmi bucolici, dovette ritrovar sempre l'espressione più efifìcace e più affine a rivestire un concetto nuovo per condurre innanzi faticosamente quel misero lavoro sul lirande epico latino, di mutarlo in melms; come suona la parola ambiziosa della dedica ad Arcadio. E quantunque fosse magna jjoefica rirtute instrucfa (1), fu ben triste la condi- zione di lei, obbligata a non allontanarsi mai dal pensiero d'una rigida storia e a negar l' ingresso nelle sue pagine ad ogni pa- rola che non fosse vergiliana; sicché le fu chiusa la via ad ogni larga ispirazione poetica e così si ridusse a compiere un opus vermkidatum, ossia un lavoro quasi meccanico e indu- strioso di trasporto e d'intarsio.

Al paragone di queste gravi difficoltà esterne, da isterilire qualunque accesa fantasia, giova dar giudizio dell'ingegno po- tente di Proba, che dotata di mirabili disposizioni all' arte, pur nel centone, in cui l'unità epica, la distribuzione delle parti, l'eroico umano e il pathos difettano, seppe dare un'armonia facile e spontanea ai versi e innalzarsi non di rado a tale al- tezza d'immagini nuove che pare detti un'opera originale.

Se ciò può osservarsi intorno all'argomento e alla compo- sizione del poema, non men rilevanti ne sono la versificazione, la lingua e lo stile poetico. Fu osservato già per primo dal Roscio che, sebbene la materia onde gh esametri s' intessono sia tutta vergiliana. Proba nella protasi ha avuto innanzi gli occhi i versi con cui s' inizia la Farsaglia di Lucano, o almeno, se l'imitazione non è diretta, non è riuscita a liberarsi da un ricordo a lei familiare. Basti riferirli:

Bella per Emathios plus qiiam civilia campos, iusque datum sceleri canimus, populumque potentem in sua victrici conversum visee^a dextra, cognatasque acies, et rupto foedere regni certatum totis concussis viribus orbis in commune nefas (2).

(1) C. ScHENicL, Op. cit., prooem., pag. 554.

(2) De bello civili libri decem edidit C. Hosius, Lipsiae, Teubner, 1892.

i

Variazioni prosodiche 103

Or ([Ili il bella cirìlia che ritorna nel regum crudelia bella del centone, il foedei'a pacis nel foedere regni, e il cognatasque acies invariato, e l'armonia quasi pari tra il totis- viribus orbis e il tofiens cicibu.s urbe.s rivelano la somiglianza dei due tratti poetici e lasciano pensare che i casi della guerra di Magnenzio s'offrissero alla fantasia di Proba tanto comparabili a quelli della guerra di Cesare, che essa abbia voluto ad arte accen- narvi con le parole dell'epico più antico.

Le regole date da Ausonio nella lettera da lui premessa al Cento nupfialis non furono a rigore rispettate da lui, dagli altri poeti centenari : forse era un ideale dottrina metrica per un centone perfetto, e che in pratica liberamente si violava con le licenze dei singoli scrittori. In tal guisa sovente si trascurarono le cesure tra i piedi del verso, e tre o quattro versi dell' autore preferito s' inserirono di seguito. I cento-

nari vergiliani, che furono i più numerosi e più autorevoli, qualche volta lasciarono a mezzo quegli esametri che appunto si leggono incompiuti nel testo di Vergilio, come ad esempio son quelli riprodotti noìV Anthologia latina Vili, 39, 63; XVII, 103, 254, 335, 348, 402, 456 (1); ma altre volte li compirono con parti di altri esametri, come nei versi 11, 95 e 96; 15, 14, dello stesso centone; e il loro esempio seguì Proba, che ne' versi 449 e 508 terminò gli emistichi vergiliani, imitata in ciò quasi costantemente da Pomponio e dagli altri centenari cristiani. Nel formare poi i versi più spesso ne compose due fram- menti, senza tener conto delle cesure in principio, come negli esametri 85, 155, 227, 273, 275 e 551, in fine, come negli altri 206, 218, 240, 321, 446, 466, 639; ma anche non rado di tre o quattro frammenti ben connessi, come ne' versi 35, 101, 128, 129, 331, 371, 428, 564, 595.

Quale perizia mostrasse nella metrica sembra allo Schenkl che apparisca meglio dai primi versi 1-28, ne' quali più pro- fonda è l'impronta del suo stile. In questi V as di tripodas al V. 16 per l'arsi é lunga, mentre al contrario Y us del geni- tivo spifltus al V. 11 é breve, secondo 1' esempio d'altri poeti (2).

(lì Si trovano ne' due centoni De alea e nella Medea d'Osidio Gota.

(2) Sedulii, /'aschalis canninis libri quiìique in Opera omnia ree, I. Huemer in Corpus .s. e. Z., voi. X, ed. cit., Viudobonae, 1885, I, 292, 295; II, 239. Cfr. C. Schenkl, Op. cit., prooem. 554 e seg-g-.

102

L

-«Mk.

Proba in vero nelF antij

troiana, la coltivazioi

mali, e aveva scritto

l'espressione più effld _

nuovo per condurre ii.aitói

sul grande epico lati

parola ambiziosa d'

fosse magna lìoefka '

zione di lei, obbligai,

rigida storia e a neii. 1 iuf-

rola che non fosse •'''

ogni larga ispirazioi

opus vermiculatum, o- i un

strioso di trasporto <■ 'intar- Al paragone di ((iste gr qualunque accesa fan sia, ui tente di Proba, che <1 ata di mi nel centone, in cui Inità epir: l'eroico umano e il tthos difci facile e spontanea ai ersi e inn tezza d'immagini un- e che pai Se ciò può ossei irsi intoni' sizione del poema, men rih\ la lingua e lo stile ittico. l Roselo che, sebbene i. materia oh> sia tutta vergiliana, 'oba nella pr occhi i versi con eii >' inizia la Fai se l'imitazione non diretta, non <■ ricordo a lei tamil i. Basti rif<

volte, ne' versi

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i ta in mirataque

7 n iMnisa iucenis al

corta e diligente

ì cui gravi già

- scrittori,

-'■'onza

•e, quando ^mente

eUa

Bolla per Iv.ii lios phis quani civì' ixisque (latiun -fiori caninius. popi in sua victri» onversiim viscefa ù cognatasque les, et rupto foedcn certatum toti oncussis viribus or' in fomnmno fas (2).

(1) C. ScHBNKL, <> cit., prooeui., pag. .-•

(2) De bello civili W decej» edidit C. Hosiu.-^

Varìaziora \

■ihe

105

i

256. Sfurgef. un titur (circumcohifi iiegaref) 30- 36. accipiat "4. reddr if-jlere iinf/f»' 45><. telit (re 'rìdi-

21Ò. figunt (figif) 285. adolent (adoìef) ^it effundat) 309. sol- "42. edit (eduntj 365. 408. cidebis (cide- 441. accipe (perdpe) 461. exultantque (exid- 476. n ^eref {manebat) 480. c/enf ?erref iservaf) ,549. <fw-

'.pient

6.54- vident {videa)

669. ^«. •/ ^pararif 675. orafe oni: 40. wr- (mrfe) 61. «€f (ef) 11 s.

'j:. /?ec z/*:-^/

435. ac (at)

6S't

llK.

trr - , non sono richiesti dalle

u cioè nec, drcumteì-fitur

del verso 243 ; e forse

bbe tra mani (1). In

-òlio con una diversa,

isse al V. 77 atra per

'^cisifima per aanctùffima,

per Romanae, al 383

'Umina, al 451 perìture

Spesso anche senti

inzioni ed avverbi a

e cosi al V. 76 so-

r a 2?^/c?^ al 267 nunr a

al 306 nec 1 awf, al 346 iarnque ad

al 377 ^/c ac ^?, al 43c^«f a nam, al

^ ^e/m ad et, a )05 A^p r?<aw, al 563

/?<fl^ce ad «'" ^ iazionì sono

introdotte a ^^ e armonia

owné ) rd)us per

"' f5 per uni-

listichi d iam, al j?i

1

104 Variazioni linguistiche

Nel resto del centone Proba lasciò l'iato dieci volte, ne' versi 131, 155, 283, 325, 414, 484, 510, 594, 608, 673, e soltanto nel verso 260 questo può scusarsi per la lettera h, che ha valore di consonante; come pure nel v. 201 la sillaba ta in mirataque per il qiie che segue, ma non son degni di scusa iùvenis al V. 519, patria al 604, e exanimc al 652.

In generale tuttavia essa può ritenersi un'accorta e diligente verseggiatrice, specialmente rispetto al tempo, in cui gravi già erano gli errori di prosodia nella maggior parte degli scrittori, e la quantità delle sillabe andava dileguandosi dalla coscienza musicale del popolo. Difetti d' allitterazioni, di disarmonie, d' iati, di asprezze son pochi e lievi^ e son da perdonare, quando il pensiero nella frase obbligata è chiaramente e felicemente espresso.

Modificazioni più frequenti al contrario introdusse nella lingua. Non abusò di locuzioni soverchie, trascelse con pru- dente saggezza, tralasciò le grandi metafore e dimenticò tutto ciò che poteva destare una reminiscenza mitologica, tanto che, tolto un ricordo dell' Aurora e dell' Olimpo, non e' è parola nelle sue pagine che rammenti la religione antica. Ma spesso, quando anche qua e il verso vergiliano conveniva al pensiero, non conveniva nel periodo la morfologia grammaticale, e allora fu necessario mutare il caso del sostantivo, il genere del pronome, il tempo del verbo, l'avverbio e la congiunzione per chiudere il verso e soddisfare la metrica e la sintassi, come può scor- gersi nelle seguenti mutazioni o sostituzioni morfologiche:

Nomi: 49. ìaborem (labores) 60. aether {aethra) 141. haec domus (hic d.) 150. sacra (sacraé) 151. sacros (sacrum) 173. anguis (angues) 243. manu (manum) 276. victum (vichi) 491. mortalive {mortaline) 502. ruinam {mina) 507. florens (florentem) 577. patres (patrum).

Pronomi: 149. quam (quem) 161. illos {illum) 2A1. quem (quam) 250. ipse {ipsaé) 286. alter {alterum) 345. qui (quae) 355. ipsi (ipse) 373. ipsa (ipse) 384. illuni (il- lani) 614. cunctique (cunctisque) 597. me (te).

Verbi: 48. canébam (canebat) 98. cessavit (cessàbit) 116. tra- hit (frahunt) 165. premunt (premes) 167. invitant (in-

vitent) 195. ei'o (eram) 207. morati (moratus) 255. hor-

Variazioni linguistiche 105

rébit {horreret) 256. surget {surgit) 275. figunt (figit) 278. circumvertitur {circumvolvitur) 285. adolent (adolet)

295. negahat (negaret) 308. effundit (effundat) .309. *o?- vit (solvat) 336. acclpiat (exclplat) 342. erfi# (edunt) 365. mòef {iuhent) 374. reddit (reddunt) 408. videbis {vide- bunf) 412. adgredere {ingrederé) 441. accipe (percipe) 454. rt^r/Y (rt<7e<) 458. ^7e/^^ {velim) 461. exultantqiie {exul- tatqué) 467. «;M^ (r/rf/) 476. maneret (manebat) 480. c/en^ (cief) 487. obducta (obtenta) 526. servet (servaf) 549. c?i«- tof {distant) 601. imphnt (implet) 654. vident (vides) 662. invenit (invenio) 669. paravi (pararif) 675. orafe (orare). Avverbi e congiunzioni: 40. ?mc?e (mc?e) 61. set (et) 118. iamqiie (namque) 152. wec iìiequé) 435. «e (af) 637. fwm (cum).

Di tutti questi vocaboli tre soltanto non sono richiesti dalle regole della grammatica e della prosodia, cioè ??eC;, drcumvertitur e obducta, a cui si può aggiungere «ròor del verso 243 ; e forse Proba li trovò nel testo vergiliano ch'ebbe tra mani (1). In altri luoghi essa mutò la parola di Vergilio con una diversa, ma che aveva lo stesso suono: così scrisse al v. 77 atra per alte, al 254 terram per herbam, al 263 saevissima per sanctissima, al 314 terrii^ per Teucris, al 347 divinae per Romanae, al 383 graditur per agitur, al 437 Umina per flumina, al 451 periture per moriture, al 541 pontum per portimi. Spesso anche sentì il bisogno di scambiare pronomi, congiunzioni ed avverbi a meglio congiungere gli emistichi dei versi; e così al v. 76 so- stituì ac ad et, all' 86 et a iam, al 211 ef a quid, al 267 w?mc a gwiw^ al 280 /«c?e a quale, al 306 7iec ad aut, al 346 iamque ad er^o, al 375 ^/c a quid, al 377 ^ic ad at, al 439 a?<f a nam, al 475, wam ad aut, al 478 f?<m ad et, al 505 ^aec a quam, al 563 cm" a quam, e al 574 quaeve ad atque. Le variazioni sono anche non raramente introdotte a maggior proprietà e armonia dei versi, come nel v. 107 omne per aurae, nel 109 rebus per votis, nel 163 purpureum per adsiduum, nel 221 auras per «»i-

(1) C. SCHENKL, Op. cit., prooem., pag. 560.

106 " Variazioni linguistiche

brain, nel 223 adloquifur per adfata est, nel 240 peremlt per sodalis, nel 241 enlm per equos, nel 244 .v/c per rex, nel 307 a& per et, nel 338 3«o(f i)er nos, nel 445 meniovas per perhihes, nel 455 immiscuit per condidit, nel 456 voUtans per Libyae, nel 595 nostro per matrum e nel 674 ordine per corpora. Queste mu- tazioni generalmente non si seguono con frequenza, ma qualche volta se ne leggono due o tre nello stesso esametro, come ad esempio ne' versi 62, 97, 127, 164, 229, 238, 316, 329, 353, 358, 444, 533, 570; mentre altrove, in vece di mutar la parola, si sono aggiunte o soppresse preposizioni e congiunzioni e qualche volta pur nomi e verbi, come ne' versi 605, 532, 126, 157, 387, 284, 489, 490 e 640.

Le trasposizioni di vocaboli, al contrario, s'osservano sol- tanto in cinque versi, cioè al 106 nec nec desimi per non non derunt, al 205 atqtie aggiunto e que tolto, al 265 heu perdita nescis per nescis heu perdita necdum (1), al 586 dat undas per dant undae, e al 602 que tolto e serpitque mutato in ferturque. Ma più che queste lievi negligenze delle leggi del centone son da rilevare qua e difetti di struttura e di sintassi, quali al V. 316 revocetur per revocaret, al 326 ruebant per ruerint, al 98 cessarit per cessai, al 314 un et e un que superflui, al 602 un que mancante, e al 553 un vero che lo Schenkl giudica addi- rittura permrsum (2). Alcune di queste mende, e forse non poche, si devono attribuire piuttosto che a Proba, al codice vergiliano eh' essa ha usato, simile al mediceo e in gran parte discorde dalla lezione più comune dei testi vergiliani.

L' importanza primaria però dell' opera non può intendersi con l'esame analitico dei criteri artistici osservati, e deve ri- levarsi per mezzo della considerazione del fine e delle condi- zioni, in cui il centone fu immaginato e composto. Or la prova d' adattare le parole di Vergilio alla dottrina dommatica e alla morale cristiana per dare a questa la bellezza d'una forma perfetta a vantaggio soprattutto della scuola, ove l'antico poeta era su gli altri autori latini ammirato e imitato, soddisfece un vivo bisogno in quel tempo e conferì perciò fama larghissima

(1) Cfr. Anth. lai., XVII, 199.

(2) C. Schenkl., Op. cit., prooem., pag. 556.

La fraseologia vergiliana 107

e duratura al centone. Ne avvenne forse che fosse opinione comune nessuno aver espresso le cose e le idee cristiane meglio di Proba, che le aveva significate con le frasi del poeta elet- tissimo. E però la tradizione di retorica e di cultura classica, che dal secolo quarto discese viva e feconda nelle scuole ve- scovili e monastiche del medio evo, considerò il centone della poetessa come un esemplare di perfetta poesia; e i poeti con- tinuarono a nominare quanto apparteneva alla storia e alla teologia cristiana con le frasi trovate prima e adattate da lei. A dimostrar chiaramente ciò, a dimostrare in somma che da Proba deriva tutta una tradizione lessicale e fraseologica, fa- miliare ai poeti epici e lirici, che le tennero dietro, da essi gelosa- mente conservata, ho ricercato quali frasi e vocaboli vergiliani, specialmente se volti nel centone a significato cristiano, siano stati imitati e adoperati nello stesso senso o in senso simile e affine da poeti posteriori, e specialmente da quelli che scris- sero per la scuola, per la chiesa e per il popolo. E qualche volta ho avuto cura di riferire non soltanto locuzioni di simile senso, ma le locuzioni stesse adoperate in senso diverso, quando in particolar modo erano tradotte a significato mistico o spi- rituale.

La mia ricerca s' estende dai contemporanei di Proba fino ai poeti del secolo settimo, poiché indagare più oltre, penso, sarebbe forse stato vano. Ma pur riferendomi ai continuatori e agli imitatori, non ho trascurato que' poeti cristiani di qualche anno precedenti, i quali già avevano, per parte loro, iniziato su Vergilio quel lavoro d' adattamento fraseologico, che la poe- tessa ampliò e proseguì felicemente, e dei quali mi sembrò coi singoli luoghi del centone non spregevole V accurato paragone. A questo proposito è da notare che minor importanza hanno quelle voci o quelle frasi alle quali, pur di conio vergiliane, Proba ha concesso un valore più ampio e di consenso comune, come quando ha chiamato Olympus il cielo, mortbunda membra il corpo umano, campi ìiquente.s l'oceano, genito)' Dio, poiché può esservi stata mossa da una facile relazione fantastica; ma acquistano un pregio speciale in questa indagine quelle altre, in cui un concetto religioso o un fatto biblico é per la prima volta adombrato in una forma vergiliana. Cosi la redenzione é detta pia muneva Christi, il giudizio finale, mox ventura, Eva,

108 La fraseologia vergiliana

virgo insignis facie, il paradiso terrestre, gloria divini ruris, V al- bero, venerabile liqnum, Erode, fi/rannn.s, pari ai proconsoli e ai presidi del tempo della persecuzione, Cristo, pmr nec generis nostri nec sanguinis, Giovanni il battista, vates, i magi, proceres, gli apostoli, sodi, i discepoli, comites ; e nell'ordine spirituale, con mens laeva s'indica la volontà peccaminosa, con profani, i peccatori, con caeìestia dona, le grazie celesti, con crudelis mors, il peccato, con aetherium sensum, l'anima, con aeterna potestas, la potenza divina, con furiale malum serpentis, la tentazione. Quanti scrittori vissero poi, non dimenticarono 1' audace prova d' esprimere in frase classica il cristianesimo ; e però la lingua vergiliana della patrizia degli Anici alletta per lungo tempo i poeti e si fa autorevole tradizione di fraseologia nuova (1).

(1) Indichiamo qui per ordine di tempo gii autori latini e le opere ci- tate neir analisi fraseologica del centone. PoMPONii, Versus ad gratiam Domini, ree. C. Schenkl in Poetae christiani

minores del Corpus script, eccl. lat., Vindobonae, Tempsky, 1887,

pagg. 609-615. De verbi incarnatione ree. C. Schenkl, ed. cit., pagg. 616-620. De ecclesia ree. C. Schenkl, ed. cit., pagg. 621-627.

C. Yettii Aquilini Iuvenci, Libri evangeliorum IIII recogn. C. Marold,

Lipsiae, Teubner, 1886. Cypkiaki Galli, Heptateuchos (Genesis, Exodus, Leviticus, Numerus, Deu-

teronomium, lesu Nave, ludicumj ree. R. Peiper, in Corpus s. e. l.,

voi. XXIII, Vindobonae, Tempsky, 1881. Incerti, De Sodoma, De Iona propheta, ed. cit., pagg. 212-226. Cypriani, Ad senatorem. Ivi, pagg. 227-230. S. HiLARii, Li Genesin, ed. cit., pagg. 231-239. HiLARii, De martyrio Maccabaeorum, ed. cit., pagg. 240-254. HiLARiT, De evangelio, ed. cit., pagg. 270-274. Damasi, Epigrammata ree. M. Ihm, Lipsiae, Teubner, 1895. AuRELii Prudentii Clementis, quae extant carmina, (Cathemerinon, Apo-

theosis, Hamartigenia, Psychomachia, Contra Sgmmachum, Periste-

phànon, Dittochaeon), ree. A. Dressel, Lipsiae, Mendelsshon, 1860.

D. Magni Ausonii, Opusc2da ree. C. Schenkl in M. G. H. Aux^t. Antiq.

t. V. p. post. Berolini, Weidmann, 1883. Sedulii, Opera omnia (Paschalis carminis libri quinque cum hymnis), ree. I.

Huemer in Corpus s. e. l., voi. X, Vindobonae, ap. C. Geroldi fi-

lium, 1885. Sancti Pontii Meropii Paulini Nolani, Carmina ree. et commentario

critico instruxit G. Hartel, in Corpus s. e. l., voi. XXX, Vindobonae,

Tempsky, 1894.

La fraseologia vergiliana 109

8. meminisse mal a rum, ricordarsi delle colpe o dei difetti mo- rali. Non ignari malorum, De eccl. 113.

10-11. septemplicis ora spiritus , l'influsso dello Spirito set- tiforme. Septemplex caelum. Iuvenc, Lib. evang. i, 356; spi- ritus domini, Cyprian., /wrf. i, 148, 301; discedit spiritus orae, Damas., Ep. 34, 69; septemplicis caeli princeps, Prud., Cath. vii, 36; sodata sacro spiritu, AusoN., Opusc. mi, 42; septemplex coeliim, Paul. Nol., Carni, xviii, 235; spiritum cacio refudit dehitum, mystico spiramine, Ambrog., In. iv, 3, i, 10; septem- plicis axis motus, M. Vicr., Aleth. ii, 190; caelum septemplex, Merob., Reliq. i, 5; spiritus aetheriae aulae, Beda, Carni. 578 D,

Sant'Ambrogio, vescovo di Milano, Inni sinceri e carmi^ illustrati da

L. Biraghi, Milano, Besozzi, 1862. Paulini Petricokdiae quae supersunt (De vita Martini), ree. M. Petsche-

nig in Poetae latini minores del Corpus s. e. L, Viudobonae, Tempsky,

1887, pagg. 1-190. Paulixi Pellaei, Eucharisticos ree. G. Brandes, ed. cit., pagg. 263-334. Orientii, Carmina (Commonitorium^ Carmina tributa)., ree. Rob. Ellis, ed.

cit., pagg. 191-261. Claudi Marii Victoris, Alethia ree. C. Schenkl, ed. cit., pagg. 335-510. C. SoLLius Apollixaris SiDOSivs^i Carmina), ree. P. Mohr, Lipsiae, Teub-

ner, 1895. Alcimi EcDicii Aviti Yiennensis episcopi, Opera quae supersunt (Poemata)

ree. R. Peiper in M. G. H. Auct. Antiq. t. VI, p. post. BeroUni,

Weidmann, 1883. Fl. Merobalt)IS, Reliquiae, Blosii Aemilii Dracontii Carmina, Ei'Gexii

ToLETANi episcopi Carmina et epistulae, edidit Fr. Vollmer, in M. G.

H. Auct. Antiq. t. XIV, Berolini, Weidmann, 1905. Aratoris, De actibus apostolorum in Migne, Potrai, lat., voi. LXVIII,

pagg. 45-252. Magxi Felicis Exnodii, Opera omnia (Carmina), ree. G. Hartel in Corpus

s. e. l., voi. VI, Vindobonae, apud C. Geroldi filium, 1882. Rustici Helpidit, In historìam Testamenti veteris et novi carmina in Mi-

gne, Patrol. lat., voi. LXII, pagg. 543-548. Venantii Honorii Clementis Fortunati, Opera poetica (Carmina, Vita

Martini), ree. et eraend. F. Leo, in M. G. H. Auct. Antiq. t. IV p.

prior, Berolini, Weidmann, 1881. Sancti Aldhelmi Schireburnensis episcopi, Poemata (De laudibus virgi-

num) in Migne, Patrol. lat., voi. LXXXIX, pagg. 237-280. Venerabilis Bedae anglosaxonis presbyteri, Carmina (Vita metrica sancti

Cutlìberti, Pa.^sio sancti lustini, Hymni), in Migne, Patrol. lat.,

voi. XCIV, pagg. 575-638.

110 Tjiì fìnttsmdogia verfOiaMta

12. a rea ma cmncta rrftrrty i niisTieri della fede cristiana. Per ctiMcta fViàfMif», Ctprias., Xww, o8?: arca»o partm^ Damas.. Ej*. fiS-, itJrrama peroni, Sjix>x. Apolux., Ocrn», n, 86; aroamms fjrif$u:, AviT., i\>fM. TI. Mo: arcamo muda baptismì-, Mekob., Bdif, IT. 2>tJ; angami, \esxst. Fort.. Orrw, ni. 23, 9: arcoiMr f^ttmri^ Aij>HKUf ., Df L r. 249 C. ; Iktmimì «wyAi amama. Beva. Oatm, 5SS D.

IS. vtrbii ejrtfmdfrt famarnuy la giorìa Tana del mando. ^v wwwo mùmim*^ Irrssc, L&, evamg. ir. 601: faima gmrgUif, Se- do,.. Aook. oorw, n, 160, 212, IS; famta per aròem, Ai.r I>f /, r. 266 D.

21. Àa««i «ancfae lìbamima ìmcis, le Terità de* Tang<di. fSdem, Imr Chri^L Imjc riAaie, Iutesc, Lib. fvamg. ni, . n. 640. in, lo, rv. 37: ìibamista pnomens^ Ctpbiax., /«!. -Virr. 277, 515»; ì»cif pamdia, Damas.. -E^. 70; ìmr dmcihtr. Pkcd,, Per. x, 575; ISnamtma rifiu. Ars.. Opmsc. nn, -45; ia»cta l&amima, Paul. Xol.. Ckrrm. xwn. 405; hamsi auram riitàis Iwmimif, Vjjtl. Pell-. JEwcfc, 9; libami fto APeeraiMfa, Arat.. A<i. ap. n. 276.

:^. pia MVNfra Ck risii, il dono £»tto ag^ nomini, la reden- zione, l>iver9a mttmia. Il \ tace, £<r^. evoM^. rr. 166: HuiMeTTa ì<cnidis, dìgma mmmera Chriiii^ Dasìas., £]p. 76. 98: «oncCa CkHstL, Ars., Opawc Tnn, 1; CkH^tì mmjmera, Ambsog.. J». i, 1: di- rimi miMa»era domL. Paul Pet:bic.. I>e r. JT. n, 634: Christì mtmr- merCy ditimo ■rarjMre, Paitl. Pell.. JEiicA. 151. 227. 112, 325; da- tai de mmmere rir&i, ^dox. Apolux.. Oithì. Tn. 125; lege rp- c^tì mmmeris. Iìesbob., Rdiq. Ckr. 21; mumere piemos, Asat.. Afi. ap. I. 477.

26-27. ioio *€ corpore mtiscet fpiritmf. l'ispirazione diTina Del cristiano. Saitchum spiroamem. Ilvkxc.. Lib. ^oamg. i. 215, S41. IT, Tì>6; amimia coqpta spiramime, Pbcd.. Apot. 871; mus- cmii Ckrifimf cdmmm Demmt^ Paul. Xol., Carm. n, 35: ■uaoerv tmmmlim. PaO- Peteic. Df r. M. n. 579; samctus ommia com- ploctems spinimi, Draooxt.. Carm. i. 601 ; fpiriJhif wis, Arat., Ad. ap. L, 243: foca- spirtìms ore. Ersnc. Help., Carm. Tm: fpiribu igme mùcamSj, Vevast. Fost.. Carm. t. 5. 126.

2B. ierremi hebetamt ariuf moribundaque membra, lepaitL del corpo e le memlva mentali aTTiliscono l'anima immortale. Pi'MPoy.. Verf. 36; terremmm corpms, cietmm, Ictexc, Ub. ecamg. TL lì*ò: m. 175; kébeiai mtems, Ctpsiax., Demi. 187; hébébat ÌMXy Prto.. C. S. I. 421: wumòris Ckristi cesrtamr. Sedo— Page. OMrm. T, 292: terrema propaga, kébel senna, Paul. Xol.. Carm.

e il significato nuovo 111

vini, 64, XXXI, 206; artus perfadit pallor, Paul. Pf:TRic., De

V. M. Ili, 198; terrenis opibus, Paul., Pell. Euch. 441; modo terreno, Orient. Comm. i, 1.37; co mmor tua membra, AviT., Poem.

VI, 183; membra moribunda, Dracont., Garin, v, 284; terreno pectore, Merob., Reliq. e. i, 20; terrena sub lege, Arat., Act. ap. II, 179; terrena aequora, Ennod., Carm. ii, 78, 11; terrenis usibus, Venaxt. Fort., i, 10, 8; moribunda membra, pallida mem- bra, Beda, Carm. 594-95 D, 583 A.

29. 0 pater, aeterna potestas, Dio padre. Pompon, l'ers. 11; pater aeternus, Iuvenc, Lib. evang. ni, 203; summa potestas, Damas., Ep. 57; pater superus, Prdd., Cath. in, 95; omnis po- testas, Seoul., Pasch. carm. ii, 195 ; omnipotens genitor, cui summa potestas, Paul. Nol., Carm. iv, 1 ; potentia tua, Am- BROG., In. I, 4; pater aureo sese solio locai, Sidon, Apollin., Carm. vii, 38-39; cuncta jjotestas, Avit., Poem. u, 56; ipse pater, Arat., Act. ap. i, 922; honor et potestas, Beda, Carm. 602 D.

32. nate, patris summi vigor, Cristo. Pompon., Vers. 38; mundi vigor, Hilar., Gen. 79; rerum vigor, pater potentis gra- tiae, Ambrog., In. xvi, 1, xii, 11; vigor crescens, Paul. Pell., Euch. 51; virtus patria (di Dio) M. Vicr., Aleth. in, 734.

34. nova progenies, omnis quem credidit ae^as, il figliuolo divino, arnunciato nell' ecloga quarta di Vergilio. De v. in- car. 60; De eccl. 21, 113, credere fidem, Paul. Nol., Carm. xv, 139; constitit aetas, Ennod., Carm. ii, 5, 5.

35. volvens monumenta virorum, leggendo le antiche carte. Sacras figuras, veterum monumenta, Paul. Nol., Carm. xxvin, 170; monumenta patent, Arat., Act. ap. i, 13; veterum monu- menta, Venant. Fort., Carm. n, 15, 13; veterum monumenta virorum, veterum monumenta, Aldhem., De l. v. 242 D, 245 C.

36. Musaeum ante omnes cecinisse per orbem. Indica Mu- seo, cioè gli oracoli sibillini, a lui attribuiti, per accennare alla scienza antica suU' origine del mondo e sul suo destino. Altri lessero Moseum, o Moyseum, che forse non può convenire con vestrum, rivolto ai pagani. Iuvenc, Lib. evang. n, 218 ; Mo- sen, HiLAR., De martyr. Mac. 324; Musseos nomen, Cyprian., Exod. 75; typicus Moyses, Seoul., Pasch. carm. in, 208; fama vulgante per orbem, Paul. Petric, De v. M. vi, 441; per orbis culmina, Paul. Pell., Euch. 36; scrinia legiferi Moysis, M. Vict. Aleth. prec. 106; Christi cedriere diem, Arat., Act. ap. n, 208.

37. quae sint, quae fuerint, qua e mox ventura trahan- tur . Forse la cosmologia, la storia e la catarsi o 1' epirosi tinaie,

112 La fraseologia vergiliana

ricordate negli oracoli. E però al verso 35, sembra più oppor- tuno al senso legg^ere monumenta sacrorum, che non virorum. Pompon., Vers. 31; saeculorum proniissa trahere, Iuvenc, Lib. evang. i, 308; quae mox ventura ferantur, Cyprian., Gen. 1419; trahere ima vitae, Paul. Nol., Carni, xv, 315; quae venturo in tempore, Paul. Pell., Euch. 99.

39. rerum cognoscere causa s, le supreme ragioni delle cose, cioè la creazione per opera di Dio. Lo Sclienkl nota qui una trasposizione di versi e due lacune dal 38 al 42 ; e in verità vi si parla degli ammali prima degli elementi e di questi si nomi- nano due ignis e aer, mentre in Vergilio quattro. Oltre di che, il verso 42 non ha giusta prosodia ed è formato forse di due emi- stichi tìnali, di due versi mutilati. Può restituirsi il tratto così:

39. felix qui potuit rerum, cognoscere causas, 42 et liquidi simul ignis

et caelì mobilis hmnor,

38. omnia et ipse tener mundi concreverit orhis,

40. unde hominum lìecudumque genus vitaeque volantum

41. et quae marmoreo fert monstra sub aequore pontus.

Ch. ScHENKL, Op. cit. prooem. 524. Pompon.; Vers. 21; cogno- scere lumen, Christum, Damas., Ep. 2, 6, 33; suam ordine cau- sam, Paul. Nol., Carni, xxi, 583; fidei causa, Paul. Pell., Euch. 547; rerum credas dementa, SiDON. Apollin., Carni, ii, 11; substantia rerum, Arat., Ad. cip. i, 495; ìnens anxia rerum, Venant. Fort., Carm. xi, 25, 2.

40. unde hominum pecudumque genus, la razza umana e degli animali. Pompon., Vers. 95-96; hominum genus, Cy- prian., Gen. 245; pecunie animai, Sedul,, Pascli, carm. i, 162; pecudumque genus, M, Vicr., Aleth. ii, 173; genus hominum, im- mortale genus, Dracont., Carm. i, 524, ii, 108; tnortale genus, Arat., Act. ap. i, 424; pecudumque genus, Rustic. Help., Carm,. vi; genus humanum, humuni generis distantia, Aldhem., De l. V. 254 D, 240 B.

44. hahuisse tenorem, l'ordine vero della creazione, secondo la Bibbia. Flandi tenorem, Prud., Apot. 832.

45. mai or nascitur or do, un argomento maggiore degli usati dai poeti epici, quasi l'epoca del mondo e di Cristo. Pompon., Vers. 86; ordo saecli, saeculorum, Iuvenc, i, 412, 489, ii, 826; ordinata saecula, Prud., Cath. xi, 25 ; laboriosus ordo vitae, Paul. Pell., Euch. prooem. 5 ; aureus ordo, Venant. Fort., Carm. viii, 7, 11.

e il significato nuovo 113

51. re^ alias terra et caligine viersas, nascoste dalla terra o perdute nell'oblio del tempo. Pacem ab altis, Cyprian., Exod. 125; caligine tectus, Cvprian., Gen. 208; caligo scissa, ìnerso sole, Prud., Cath. ii, 3; v, 3; proferri caligantia, Aus., Opusc. XXV, 1, 6 ; mersì(s giirgite, Sedul., Pascli. Carni, mi, 231; alta mundi, Paul. Nol., Carni, xxiiii, 460; aequore mersus, Dracont,, I, 678; alta sequens, Venant. Fort., Carni, v, 10, 3.

54. ore farete omnes, il silenzio per la solennità dei fatti. De V. incar. 72.

54. laetasque ad ve ri ite nientes, ascoltate con gioia. De

eccl. 13; advertite mentihns aures, Paul. Nol., Carni, xviii, 63; mentes fessas allevet, Ambrog., In. xvii, 7; advertere ani- nium, Paul. Pell., Euch. prooem. 4.

56. camposque liquentes , il mare diviso nella creazione dalla terra. Pompon., Vers. 92-93; liquentia flumina, Cyprian., Gen. 19; canipum aequoreum, Gen. 304; polus liquens, Prud., Per. I, 88; liquentes latices, Sedul., Pasch. carm. ii, 159.

57. solìsque labores, il giro del sole. Pompon., Vers. 93; la- bores patrios, Cyprian., Gen. 1323; soles venturi, Prud., Ham. 914; suetos labores, Sidon. Apollin., Carm. v, 294; lumina so- lis, Aldhelm., De l. v. 268 A.

58-59. clarissim,a mundi lumina, il sole, la luna e le stelle, in quanto create per l'uomo. Lucida sidera, Iuvenc, Lib. evang.' iv, 470; lumina solis, dierum, Cyprian., Gen. 273, 1486; lumina solis, Damas., Ep. 9; recepto luniine, Ambrog., In. vi, 17; sereno lumine, Dracont., Carm. ii, 663; divino piena sereno, Venant Fort., Carm. i, 9, 19.

60-61. astrorum ìgnes et lucidus aether, i fuochi degli astri e l'aria lucente. Pompon., Vers. 88; astrifer olynipus, Iuvenc, Lib. evang. iii, 225; fuscata aethra, Cyprian., Exod. 416; aetlira siderea, Prud., Ham. 816; ignis comarum, Aus., Ojnisc. ii, 33; aetherius lionor, Paul. Nol., Carm,. xii, 9 ; astrorum globos, Ambrog., In. ii, 2; erat aethera, M. Vicr., Aletìi. i, 154; agmina astrorum, Dracont., Carm. u, 211; aetherea de parte, Arat., Act. ap. i, 36.

61. nox polum bigis subvecta tenebat, l'oscurità primitiva del caos. De eccl. 48 ; Pompon., Vers. 89 ; poli artificem,

Damas., Ep. 68; solvei polum caligine, Ambrog., In. vi, 10. lustrare polum, Sedul., Pasch. carm. i, 251; sereni porta poli, niens spatians polum, nox veda polum, Paul. Nol., Carni. xxxiii, 124, XV, 190; xviii, 355; lumen nox spirai novum, Am- brog., In. i, 30.

114 La fraseologia vergUiana

63. aetherium caelì Olyìnpum, il paradiso, la sede de' beati, in contrasto con umbrae, V inferno. Cadi culmen, vertex, lu- VENC, Lib. evang. v, 65, i, 590, 614: Olympus per cielo, Cy- PRIAX., Kiod. 044. 114^: Deut. 39; Olympi re.v, Gen. 922: piir- pitreus Olympus. Acs., Optisc. xviii. 2, 13; aethereum regnum, Seoul., Pasch. carm. iv. 308; suum calcarei Olympum, Paul. XoL., Carm. xviiii, 92: aeiheriam urbem, aetherias ad aras. Beda, Carm. 584 B, 589 D.

64. rerum suiuma pofestas. Dio. Pompon., Vers. 11: omuis potestas, Sedul.. 1. e: opifcc rerum, Arat.. Acf. ap. i. 472; cult US rerum. ExxoD., Carm. i, 4. 11.

65. aera teuebrosum, la tenebra del caos. Pompon., Vers. 91: cor teiìebrosum '. Prud. Apot. 127: fides tenebras nesciat, Ambrog., In. XVII, 19: cinxerat luce tenebras. Avrr., Poem. v, 518.

6iò. medium luci atque uinbris dividit orbem, la separa- zione che fa Dio della luce dalle tenebre. Pompon., Vers. 97 : umbrona lu.i\ Paul. Xol., Carm. xxiii. 146 : lux noctis limes et umbris, Dracoxt., Carm. i. 120: fotum per orbem.. Arat.. Ad. ap. I, 80.

68. calores austrinos. il calore delle regioni equatoriali. Ca- lorem noxiuiu, Ambrog., In. xv. 6: luce caloraus. M. Vict., Aleth. in, 550.

70-71. postquam cuncta videi caelo constare sereno, siellis numeros ei nomina fedi, diede il nome agli astri e li numerò. Pompon. Vers. 94 : De v. incar. 2 ; se- reno confìszis caelo, Paul. Xol.. Carm. xvi. 39-40: caeli pro- piore sereno, M. Vicr., Aleih. ii. 19 : divino piena sereno. Ve- NAXT. Fort., Carni, i. 9. 19.

72. temporibus parem di versi $ quoti u or annum. stabilì l'anno, diviso in quattro stagioni. Pompon., Vers. 98; tem- pora mutando, Ctprian., Gen. 18: tempora lustrai. Sedul., Pasch. carm. i, 210; certo tempore, Paul. Pell.. Euch. 199; diversi temporis aeias, Dracont.. Carm. ii, 94.

74. certis discere signis. i vari indizi delle stagioni dell" anno. Positis signis, Hilak,, De evang. 81.

75. gen Italia semina poscunt, la seminagione che feconda i

solchi. geniiatia arva, moenia, Iuvenc, Lib. evang. jv. 465, i, 236; genitale solum, Cyprian.. Exod. 933: verbique in se- mina fusum, Damas , Ep. 69 : genitalis sedes, stirps, Prud., Cath. X, 167, Ham. 573 : genitalis domus, terra, Paul. Xol., Carm. xxi, 597. 451: gignentia. Orient.. Comm. ni. 11: geni-

e. a significato nurrvo 1 15

tfdia mmiera hoIìm, arKO, M. Vkjt., Aleth. i, 135, il, 7; eloquium genitale, Arat., Act. aj>. ri, 371 ; genitali^ cauna, Venan'T. Fobt., Carm. x, 4, 3.

77. varioH ponit fetus, i pomi e le frutta dell' autunno. Dul- cem ponere frurtum, Icvenc, Uh. evang. iv, 283; fetifer Apri- lis, Aus., Opvsc. V, 2, 4; trepidae fetae, Skdl'l., Pasfch. carni, il, 113; moverit in fetus varioa, M. VicT., Aleth. rr, 167; crmversto prominit Hnecula fetu, SiDO.v. Apollix., Carm. ii, 104; fetU/us eductis, Dracon't., Carm. i, 268; turgescunt fetu, Ar>DfrELM., De l. V. 268 B.

80-81. aether alit magno commixtuH corpore fetìin, l'aria si congiunse alla terra per la produzione delle piante. Xuhila alens, Sedul., Paach. carm. ii, 81 ; aerù et pelagi fetuH., Dra- CONT., Carm. i, 403.

85. rerum sumere formas, le forme delle cose, che la luce colora la prima volta. Formas superas rerum. luvEXC, Lib. evang. il, 211; sumere solacia, Cyprian., Gen. ÒHI; sumere Christum, fi- nem, Paul. Xol., Carm. x, 161, xxi, 734; terreni sumere for- mam corporis, Aeat., Act. ap. i, 167-168; sumere dona, dant caelestia formam, Abat., Act. ap. i, 679, ii, 563; summa rerum, En'nod., Carm.. i, 1, 35; spectacula rerum, Aldhelm., De l. v. 250 A.

88. vasti gens umida ponti, gli animali marini, creati da Dio. Umida dant vitam (ponti), Avit., Poem. i, 37.

89-90. rebus luce retectis, rorem dispergit amarum, diguaz- zano i pesci nell' acqua al tornar della luce. Pompon., Vers. 90; rarem fontis, Pkud., Cath. vi, 127; neb'ulas rorans, Aus., Opusc. V, 17, 13; ros e.riguus, Paul. Nol,, Carm. xvnn, 360; san- guineum spargens rorem, Paul. Petric, De v. M. iii, 476 ; flu- xerunt de rori cibi, Arat., Act. ap. ii, 1000; sitientia pectora rorans, Venant. Fort., V. M. i, 131 : roraret nubibus aether, Aldelm., De l. v. 243 B.

94. non rastris, hominum non ulli ohnoxia curae, la terra, che prima del peccato, produce i frutti senz' essere lavorata dal- l'uomo. Cura Dei, rd, Prud., Ps. 622, C. S. ii, 1021; cura pareìitum, laboris, Paul. Pell., Euch. 62, 233; curarum flucti- bus, SiDON'. Apollix., Carm. vii, 335; tellus rastris iussa cla- mari, Dracont., Carm. i. 449: an:cia curi.i, Aldhelm., De l. v. 274 A.

96. resonant afihus virguLta canoris, la creazione degli uccelli nel terzo giorno. Canorus David, Iuvenc, Lib. evang. i, 149, II. 590; re.^onat sistro, Prud., Ps. 435; oda.^ resonare, Seoul.,

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\M. 2, 49: oniii^-

ifftìus aeqHomm,

Mìin^. Arat., id.

«r*/ mutai

e il signi fidi! iiuovo

117

127-129. omnipotens genitor ìi pagibus artis eripuit, la sta d'Adamo. Pompon., Vers. omnipotens genitor, Hilar., Geh PRIAN., Gen. 1140; omnipollens media conpage cohaerent, Paul. genitor deus, Dracont., Carili, ii Act. ap. I, 18 ; pater omnipofen,< De l. V. 239 C A.

130-132. Clara in luce refulsi iam matura viro, la donna incar. 60, 11; De eccl. 50, 77; . suhnixa pectore, Ambrog., In. l\ Aldhelm., De l. v. 276 A.

135. dextramque amplexus , in' eccl. 88; inhaerere solitis, Prud., Paul. Pell., Euch. 388; conte Carm. ii, 77; amplexibus haerC' Carm. vi, 60, x, 264 ; voto ampi Carm. vili, 2, 5.

137. premit placida aequo r a aspettando la parola di Dio. Ili, 605; aequor cereum, Aus.. Paul. Nol., Carm. xii, 20; pon XI, 14 ; aequora turgida fpremitj

139-140. vivite felices inter ci rum, sedesque beatas , il par; 67 ; De v. incar, 100, 81 ; beat < 120; barbara eulta, Cyprian., 1 PRIAN., les. Nav. 236 ; felice,^ o Prud., Per. vi, 97, ii, 529 ; bean II, 160 ; retinendum sede beata, beatam carpere, beata tempora, In XIII, 13, X, 12; virtute beabat, M lus et aures, Sidon. Apollin., Dracont., Carm. iii, 753. 1. haec patria, requies labv Pompon., Vers. 65 ; labores patri< vit patriam, Damas., Ep. 46 ; i 2, 4 ; labores aggrederis, Sidon. - . non rastros patietur huv terra non sarà coltivata co' ras ti

(im unam laterum con- •azione della donna dalla co- '■ ; De V. incar. 1 ; De eccl. 41 ; S ; artat linea sanguinis, Cy- *eus, Prud., Ham. praef. 19; )L., Carm. xviiii, 635 ; p^ws i)4; omnipotens parat, Arat.,

riinipotens genitor, Aldhelm.,

pulchro pectore virgo, -^lla e in età nubile. De v. tore valido, Damas., Ep. 71; 1 5 ; darà cum luce coruscans,

' esit, s'unì alla donna. De . S. II, 368 ; haerentia agmina,

tus haesit, Sidon. Apollin., , aff'ectus inhaeret, Dracont.,

lite cohaesit, Venant. Fort.,

ntiis, il mare si tranquilla, rt vitae, Iuvenc, Lib. evang. 'lise. 114, 13 ; aequor ponti, mitescunt freta, Ambrog., In. ldhelm., De l. V. 252 D. fa fortunato rum nemo- I so terrestre. Pompon., Fe?'s. iteni, Iuvenc, Lib. evang. i, ., 219; nemorosa cubilia, Cy- iiiae, terque quaterque beatus, amam, Sedul., Pasch. carm. vuL. Nol., xxvii^ 34; vìtam Il beatam, Ambrog., In. ii, 16, •/iCT., Aleth. I, 8 ; felices ocu- rm. XII, 12 ; sedesque beatas,

nm, sicuro possesso e riposo.

Cyprian., Gen. 1323; muta- es requie, Aus., Opusc. xiii,

OLLIN., Carm. v, 551.

s, non vinca falcein, la

con le falci. Falx torva,

ti

8

I

116 La fraseologia vergìlìana

Pascli, carm. i, 24 ; resonare Christum, resonant durai, avia rura mulcent, Paul. Petric, De v. M. v, 456 ; voce canora (avium), Dracont., Carm. i, 251.

99. va r i a r u m monst r a r a r u m , gli animali creati nel quarto giorno. Monstra tristia, Iuvenc, Lih. evang. in, 298; mon- st ruosa Idola, Prdd., Per. ii, 7.

100-101. omnigenum peciis, educit silvis mirabile visu, la meraviglia dell'istantanea potenza divina. Pompon., Vers. 113; omnigenas tribus, Iuvenc, Lib. evang. iv, 154; omnigenas pecudes, Cyprian., Gen. 246; omnigenae partes, Prud,, C. S. ii, 514; trigenus omnigenum, Aus., Opusc. xxvi, 2, 49; omnige- num pecus, Paul. Nol., Carm. xviii, 380; genus aequoreum, Dracont., Carm. ii, 383 ; properat genus omne, Arat., Act. ap. II, 257 ; omne genus vincit, Venant. Fort.^ Carm. ix, 1, 104.

105-106. pascuntur virides per herbas armenta, nec gre- gibus liquidi fontes desunt, le erbe verdi, l'alimento degli animali e le acque. De v. incar. 96; se pascere Ugno, Hilar., Gen. 160; armentale pecus, pascere cruces, Paul. Nol., Carm. XX, 389, XXXI, 572; in liquidis aquis, Arat., Act. ap. i, 779.

108. virtutis opus divina e mentis et haustus, Dio osserva l'opera della sua mano. Pompon., Vers. 33, 44; virtutum fi- nis, Cyprian., Exod. 772; vorare haustibus, Prud., Cath. iv, 45; haustum parvum, Sedul., Pasch. carm. tv, 226; non sine mente dei, haustus roris precor, Paul. Nol., Carm. xxxi, 149, xv, 44; opus stupent, Ambrog. In. iii, 13; virtutis opus, Paul. Petric, De v. M. u, 539; opus pietatis, Paul. Pell., Euch. 60; apex virtutis, M. ViCT., Aleth. pr. 19; pietatis opus, Dracont., Carm. ii, 50; divina virtus, Arat. Act. ap. i, 11; pietatis opus, dignum opus, Venant. Fort,, Carm. ii, 8, 32, iv, 11, 17.

112-113. secumque volutat qui omni dicione tenerent , lungamente pensa chi governerà la terra. Pompon., Vers. 120 \ volutat dieta, Iuvenc, Lib. evang. i, 95; volutat flammas, Cy- prian., Gen. 130; ditione coercere, Prud., C. 8. ii, 639; volu- tare maiora, Paul. Nol., Carm. vi, 109, 263.

119-120. nova forma viri pulcherrima cui mentem ani- mumque, la bellezza del primo uomo. Pompon., Vers. 130; pulcherrima virtus, Iuvenc, Lib. evang. in, 542.

123. in regna vocari, chiamare al cielo. De v. incar. 5; ca- piunt caelestia regna, Arat., Act. ap. i, 707; f elida regna, Ru- stic Help., Carm. iii; regna sequens, Venant. Fort., Carm. x, 9, 44; caeli per regna vocandi fpoiouli), Beda, Carm. 582 B.

e il significato nuovo 117

127-129. omnipotens genitor Iinruvi imam latericni con- pagihus artis eripuit, la creazione della donna dalla co- sta d'Adamo. Pompon., Vers. 11; Dev. incar. 1; De eccl. 41; omnipotens genitor, Hilar., Gen. 8; artat linea sanguinis, Cy- PRiAN., Gen. 1140; omnipollens Deus, Prud., Ham. praef. 19; media conpage cohaerent, Paul. Nol., Carm. xviiii, 635; pius genitor deus, Dracont., Carm. ii, 104; omnipotens parat, Arat., Ad. ap. I, 18 ; pater omnipotens, omnipotens genitor, Aldhelm., De l. V. 239 C A.

130-132. darà in luce refulsit p ut diro pectore virgo, iam matura viro, la donna bella e in età nubile. De v. incar. 60, 11; De eccl. 50, 77; pectore valido, Damas., Ep. 71; suhnixa pectore, Ambrog., In. ix, 15; darci cum luce coruscans, Aldhelm., De l. v. 276 A.

135. dextramque amplexus , inhaesit, s'unì alla donna. De eccl. 88; inhaerere solitis, Prud., C. S. ii, 368; haerentia agmina, Paul. Pell., Euch. 388 ; conterritus liaesit, Sidon. Apollin., Carm. ii, 77; amplexibus liaerens, aff'edus inhaeret, Dracont., Carm. vi, 60, x, 264; voto ampledente cohaesit, Venant. Fort., Carm. viii, 2, 5.

137. premit placida aequo r a pontus, 11 mare si tranquilla, aspettando la parola di Dio. Aequora vitae, Iuvenc, Lib. evang. Ili, 605; aequor cereum, Aus., Opusc. 114, 13; aequor ponti, Paul. Nol., Carm. xii, 20; ponti mitescunt freta, Ambrog., In. XI, 14 ; aequora turgida (premit) Aldhelm., De l. v. 252 D.

139-140. vivile felices inter eulta fortunato rum nemo- rum, sedesque bea tas, il paradiso terrestre. Pompon. , Vers. 67; De v. incar. 100, 81; beat gentem, Iuvenc, Lib. evang. i, 120; barbara eulta, Cyprian., lud., 219; nemorosa cubilia, Cy- PRiAN., les. Nav. 236 ; felices animae, terqus quaterque beatus, Prud., Per. vi, 97, ii, 529 ; beare famam, Sedul., Pasch. carm. Il, 160; retinendum sede beata, Paul. Nol., xxvii^ 34; vitam beatavi carpere, beata tempora, luxiem beatam, Ambrog., In. ii, 16, xiii, 13, X, 12; virtute beabat, M. Vict., Aleth. i, 8; felices ocu- lus et aures, Sidon. Apollin., Carm. xii, 12 ; sedesque beatas, Dracont., Carm. in, 753.

141. haec patria, requies laborum, sicuro possesso e riposo. Pompon., Vers. 65; labores patrios, Cyprian., Gen. 1323; muta- vit patriam, Damas., Ep. 46 ; vices requie, Aus., Opusc. xiii, 2, 4; labores aggrederis, Sidon. Apollin., Carm. v, 551.

144. non rastros patietur humus, non vinca fai ceni, la terra non sarà coltivata co' rastri e con le falci. Falx torva,

US La fraseologia vergiliana

Sedul., Pasch. carm. v, 156; fessa vineta (falce) Paul. Pell., Eiich. 196 ; vita rigavit humum, M. ViOT., Aleth. i, 18 ; vinea Christi, Arat., Act. ap. i, 598; incurvam falcem mìUatis, Beda, Carm. 584 D. 145. at genus immortale man et, gli uomini saranno immortali. Pompon., Vers. 37; immortale animae, M. Vict., Aleth. i, 395; immortale genus, Dracoxt., Carm. ii, 108.

147. animis advertite vestris, chiudetelo nell'animo. Ani- mus pellere, Paul. Nol., Carm. xxxi, 168 ; animum advertere, Paul. Pell., Eudi. 1. e; anìinam secuta, M. Vict., Aleth. ii, 103.

148. est in conspectu arhos, l'albero della scienza del bene e del male. Magis conspectior, Cyprl\n., Gen. 1126.

151-152. qui decerpserit fetus morte luet merita, chi car- pirà i frutti morrà. Decerpere tempus, Iuvenc, Lib. evang. IV, 136 ; humanam luem, Damas., Ep. 101 ; aetatis meritis, Aus., Opusc. XVII, 34 ; decerpit umbras nostras, Paul, Nol., Carm. xviiii, 230; mortem asperam, Ambrog., In. vìi, 20; prodere fe- tus, Ennod., Carm. ii, 150, 6; decerpere j^omum, Rustic. Help., Carm, i ; decerpant raros flores, Aldhelm., De l. v. 241 B.

154-156. liceat te voce moneri, manet divini gloria ruris, la bellezza eterna del paradiso. Pompon., Vers. 69 ; De v. incar. 19, 99; gloria ventorum, De lon. 35; rura peragrans, Sedul., Pasch. carm. iii, 24; erit divini gloria ruris, M. Vict., Aleth. Ili, 615.

158. conposuit legesque dedit, ordinò il mondo. Pompon., Vers. 103; componere vitam, Iuvenc, Lib. evang. iv, .851; com- ponere sedes, Cyprian., Gen. 462; propriis legibus, Sidon. Apol- LiN., Carm. v, 552.

160-161. sub limi n a solis et ortus devenere locos, i campi posti tra levante e ponente. Limina lucis, Iuvenc, Lib evang. Il, 652, III, 314; lumina solis, Cyprian., Gen. 273; limes terrae, Sedul., Hymn. ii, 2; limen prim,um retroacto lumine solis, Paul. Nol., Carm. xx, 323, xxii, 130; limen vitae, M. Vict., Aleth. Ili, 327; limes non sinit misceri j^^rtes, Avit., Poem. iii, 294; Zimma moriés, Dracont., Carm. ii, 537; limina vitae, AhBiL'ELM., De l. V. 248 D : limina sacra occurrens, Beda, Carm. 591 C.

165-166. populus antro imminet et texunt umbracula vi- tes, i pioppi e i pergolati del paradiso terrestre. Antrum saxi, Iuvenc, Lib. evang. iv, 723; umbracula ficus. Ivi ii, 115; lignorum antro texerat, Cyprian., les. Nav. 42 ; antrum pecto- ris, Prud., Ps. 6, 774; vitea brachia, Paul. Nol., Carm. xviiii, 414; vultumque texerat ìnanu, Ambrog., In. iv, 29.

e il lignificato nuovo 119

167. crocei^ halantes floribus horti, i giardini odorosi di fiori. Pompon., Vers. 66; sedes et horti, CrPRiAN,, Gen. 72; croceus vespe/', halantis aniniae figmentum, Prud., C. S. ii, praef. 4, 215; florea rura, Paul. Nol., Carm. i, 38.

169. omnia nullo poscente ferehat, produceva tutto senza le cure dell'agricoltore. Fosccbat tnunera, Iuvenc, Lib. evang. II, 381; quo poscat die caput, Sidon. Apollin., Carm, ii, 346; si sua dona ferat, Arat., Act. ap. i, 142 ; poscens oracula, Al- DHELM., De l. V. 249 C.

170. si mens non la èva fui ss et, se Eva non avesse peccato. mente conciderat totuvi, Paul. Nol., Carm. xviiii, 687; mens sobria, Ambrog., In. xvii, 16; laeva fama, Paul. Pell., Euch. 255 ; mentibus instai amor, Arat., Act. ap. i, 147.

171. docuit post exitus ingens, le conseguenze della colpa. Pompon., Vers. 105; rerum exitus ingens, Paul. Nol., Carm. XXI, 423.

173. inimicus afrox, immensis orbibus anguis, il serpente

tentatore. Anguis antiqui venenum, Paul. Petric, De v. M.

VI, 192 ; ab angue mori nescit, Arat., Act. ap. ii, 1176 ; efferus

anguis, Beda, Carm. 583 C. 176-177. vipeream spirans animam , l'anima infernale, cor-

rompitrice. De eccl. 116; viperea gens, Iuvenc, Lib. evang.

i, 328 ; in spiras lubricai angues, Cyprian., Gen. 21 ; spirare

maiora, Prud., C. S. ii, 480; spirare vitam, Sedul., Pascli, carm.

I, 41; vipeream sobolem, spirare magna, Paul., Nol., Carm.

villi, 53, xxvii, 321 ; vipereo fumante gelu, Arat., Act. ap. ii,

1170. 179. tot se se vertit in ora, il rivolgersi, indizio della seduzione.

Solum caelo vertit, Paul. Nol., Carm. xv, 82. 180-182. ne quid inausum aut intemptatum relinquat, nulla

tralascia d' osare e di tentare. De eccl. 105 ; grande ausum,

Paul. Nol., Carm. xviiii, 395; ausa nefas, Arat., Act. ap. i, 2. 187. cael estia dona, le grazie di Dio. De v. incar. 30; caele-

stia munera, Iuvenc.^ Lib. evang. iv, 83 ; dona vitalia, Paul.

Pell., Euch. 103; donatio culpae, M. Vict., Aleth. i, 470; cae-

lestia regna, Avit., Poem. vi, 302. 189. causas templare latentes , conoscere cose nascoste, il frutto

proibito. Permixtae causae, Cyprian., lud. 588; piae latebant

hostiae, Ambrog., In. vi, 5. 190-191. vana superstitio. qtio vitam dedit aeternam?, il

fine della vita umana. Pompon., Vers. 121-122 ; De v. incar.

78; vita perpetua, Iuvenc, Lib. evang. ni, 502; ducere vicem

120 La fraseologia vergiliana

ifortis humanae,^vUam, Prud., CatJi. vii, 214, llam. 933 ; aeter- num suedi, animam torquebit oeternum, Paul. Nol., Carm. x, 180, XX, 279; vana superstitio, Paul. Petric, Dev.M. ii, 163; aeternae munera vitae, Arat., ad. Ap. i, 591. 197-198. quod lege tene tur, suhiciunt epulis venerabile li- gnum, banchettano co' frutti deiralbero, secondo l'uso. Pom- pon., Vers. 51; venerabile templum, Iuvenc, Lib. evang. ii, 166; componere epulas, Cyprian., Gen. 673; venerabiliter recor- detur, Aus., Opusc. xv, 1. 7; venerando pado, Paul. Nol., Carm. xxv, 11, exempta famis epulis , Paul. Petric, De v. M. Ili, 109; veneranda vetustas, Sidon. Apollin., Carm. xiii, 1.

199. contactuque omnia foedant, col contatto della bocca, gu- stando. Contagia noxae, Cyprian., Exod. 1288; contadibus naturavi induere, Prud., Apoth. 935.

200. in f eli X pesti devota futurae, la donna, che ne porterà la pena maggiore. Pestis saevissima, Iuvenc, Lib. evang. in, 40; devotus agit, Cyprian., Deut. 134; nodosae pestes, Aus., Opusc. mi, 55 ; sentii futurum, Dracont., Carm. i, 531.

202. summo tenus attigit ore, il gustare del frutto. De ecd. 106; summa aure intélligere, Prud., C. 8. ii, 1036; panditur ore, Venant. Fort., Carm. v, 14, 9.

205. animum subita dulcediìie movit, lo alletta e persuade con le lusinghe. Subitum animam rapuit, Paul. Nol., Carm. XXXI, 33 ; omnia movent, M. Vict., Aleth. i, 198.

207. terrentur visu subito, lo spavento dopo il peccato. De ecd. 93; terrifico visu, Cyprian., Gen. 690; terrificis rumoribus ferire, Paul. Nol., Carm. xxvi, 30; territus poenae metu, Am- BROG., In. VII, 9; terrentur visu, Paul. Petric, De v. M. in, 313.

210. hom,inum rerumque repertor , Dio. Pompon., Vers. 29; repertor caeli terraeque, Iuvenc, Lib. evang. i, 35; repertor or- bis, Prud., Cath. iv, 9; audor et attor rerum hotninumque, Paul. Nol., Carm. xxi, 774; rerum conditor, novi repertor muneris, Ambrog., In. XI, 1; vi, 2; rerum, creator, audor, Arat., Ad. ap. i, 2, 285; hominum salus, Eustic Help., Carm. xxii.

212. furens quid f emina posset, Eva da forsennata, da pazza. furiis incensus, Prud., C. S. ii, 864; femina culpa vinxit, Sidon. Apollin., Carm. xvi, 53.

213. procul, 0 procul este, profani, perchè 11 paradiso era sa- cro e non dimora di colpevoli. Sabbata profanent, Iuwesc, Lib. evang. ii, 576; profanator, Prud., Apoth. 118; prof anus pater, Seoul., Hymn. i, 71; profani (gentilesj, Paul. Petric, De

e il significato nuovo 121

V. J/. mi, 2G2 ; quicquam prof'nnum, M. ViCT., Aleth. i, 408, ii, 368; profanatus latro fdiabolus), Avrr., Poem. in, 422; ritua profanos, Aldhelm., De l. v. 277 D.

216-218. ì'uentes diffugiunt et concava saxapetunt, cor- rendo si ritagliano nelle caverne. Ruentes' mentis languore, luvENC, Lib. evang. u, 4; l'tiere in f'acinus, Prud., Cath. ni, 132; riiit mors, Paul. Nol., Carni, xxxi, 189; ruentes, Paul. Petric, De V. M. vi, 64; rnit et tristia fata commendai, Sidon. Apollix., Carni, vii, 252-253.

220-221. creber ad aures visus adesse pedum sonitas, le orme di Dio, che sopraggiunge a punire. Pedibus consistere, Sedul., Pasch. carni, v, 28 ; crebrum coruscare, Paul. Nol., Carni, xviiii, 421 ; pervenit ad aures, Paul. Petric, De v. M. II, 204; aures adgreditur, Dracont., Carni, i, 470.

223-225. animum dementia cepit, quis furor novus.^ Quale follia e quale furore strano v' ha traviato ? De eccl. 5, 26 ; furores sedare, Prud., Ps. 697.

228. maturate fugam, totoque absistite luco, fuggite tosto e allontanatevi dal paradiso. Abstare longe parentem, Cypriax., Gen. 1440; tribuni, absistite, Prud., Per. i, 64; maturate fugam valida vi, Paul. Nol., Carm. xxvi, 38; fuga daemonis, Oriext., Carni, in, 32.

229-230. nec revocare graduine est licitum, non v' è permesso tornare. Pompon., Vers. 43; De eccl. 70; revocare, prof erre grculum, Cyprian., Gen. i, 355, les. Nav. 126; revocate cada- vera vitae, Sedul., Pasch. carni, in, 164; graduni capere, Paul. Nol., Carni., xv, 109; revocare gradimi, Paul. Pell., Euch. 554.

234. memi nec deprecor , le parole d'Adamo pentito. Meruit puer, Cyprian., Gen. 1177; speciem meruit, Aus., Opusc. xv, 30, 3; tua merear, Paul. Pell., Eucli. 7; aliquid meruisse mali, M. ViCT., Aleth. i, 314; veniam meruisse, Merob., Reliq. 577.

239-240. moritura puella, duni furit, crudeli morte pe- re mit, Eva, che da folle andò incontro alla morte. De eccl. 25; peremptor concidit, Prud., Hani. praef. 19; infelix socio pe- ritura marito, RusTic. Help., Carm. i.

241-242. mal US abstulit error, il grave peccato mi nocque. Pompon., Vers. Ili; De v. incar. 43; error lubricus, noxius, Damas., Ep. 69, 103; errorum vias, Paul. Pell., Euch. 472; plébis quod scinderei error, Venant. Fort., Carni, n, 15, 5.

252-253. prò tali bus ausis omne aevum ferro teritur, por tale audacia soffrirà in ferrea età. Terébat vitam, Cyprian., Exod. 264; nobiles barbarici ausus, Damas., Ep. 93, 83; vias terere,

122 La fraseologia vcrgiliana

Prud., C. 8. II, 880; piange prò talibiis ausÌ!<, Seoul., Pascli. carni, v, 351-52; om7ie per aevum, Paul. Nol., Carni, xiiii, 90; culpam ab aevo, Ambrog., In. xiii, 12; onine gladiis conciditur aevum, M. Vicr,, Aleth. in, 452; prò talibus ausìs, Aldhelm., De l. V. 270 C.

254. terram insectabere rastris, lavorerai la terra co' rastri. Sectari iter, Prud., C. S. ii, 45.

255-256. horrehit in arvis carduus , la terra non darà frutti, ma inutili erbe. Horror spinarum, Iuvenc, Lib. evang, ii, 789; surget carduus, Cyprian., Gen. 121; qrva petens (horrentia) SiDON. Apollin., Cai'm. v, 506; arva premit, Venant. Fort., Carm. ix, 2, 18.

258-259. triticeam in messem exercehis humum, coltiverai il frumento. La scarsezza de' frutti ò un effetto della pena. Tri- ticeus nitor, Iuvenc, Lib, evang. ii, 805; creavit triticeas messes, Cypriax., Deut. 220, Gen. 120; triticea seges, Prud., Ham. ii, 218; levai messes, Sedul., Pasch. carni, in, 203; exercere gaudia, Paul. Pell., Euch. 189; fetat humus, Dracont., ii, 223; triti- ceam, fidem, Arat., Ad. ap. i, 369.

262-263. dura e rapii inclementia mortis. La morte, la mas- sima pena, anche in senso spirituale. De v. incar. 44; incle- meniia mortis, Iuvenc, Lib. evang. iv, 26; rapiunt animam, Damas. Ep., 86; inclemeniia gentis, Paul. Nol., Carm. vi, 167.

264. non ignara, caput ho rum et causa «laZorwm, la donna per il peccato. Caput esse christicoUs, Prud., Per. xi, 80; ignaris succurrere, Paul. Pell., Euch. 4:4:5', non ignarus miseris succurrere tempio, Orient., Comm. i, 405; aggredere ignaros, SiDON. Apollin., Carm. v, 270; mens ignara, caput om,ne ma- lorum, Dracont., Or. 271, Carm. i, 460; mens ignara boni, Arat., Ad. ap. ii, 1172; ignara mente, Rustic Help., Carm. xxii.

268. nec iam mutata loco sententia cedit, la sentenza è im- mutabile. Pompon., Vers. 57; De v. incar. 45; te sententia mutet, Cyprian., Ad sen. 48; sedisse sententia visa est, Paul. Nol., Carm. x, 178.

269. iuvenem circumsietii horror: deriguere oculi, l'uomo compreso d' orrore alle minacele divine. Horror subii, Prud., Per. X, 961; horror peccatorum, Paul. Nol., Carm. xxvii^ 623; deriguere arius, Paul. Petric, ii, 407; atirahit horror, M. Vict.^ Aleth. Ili, 665; dirigui mihi conscius, Sidon. Apollin.^ Carm. x\i, 85.

272-273. festinani lussi rapidisque feruntur passibus , s'affrettano e s'allontanano rapidamente. Festinus cedere terra.

e il significato nuovo 123

Cyprian.^ Gen. 1434; rapida mole, Seoul., Pasch. carm. i, 74; festinus adesto, Paul. Nol., Carm. xx, 182, aegvis gressibus, SiDON. Apollin., vii, 48-49.

273. gres si per opaca via rum, Adamo prova vergogna e si na- sconde. Per opaca, Cyprian., Exod. òli-, figit gressus, Arat., Act. ap. 1, 160; sinuare gressum, Ennod., Carm. ii, 44, 1.

276-277. victum in silvis dant rami, ralimento si chiede agli alberi nelle selve. Praebebant victum facilem silvestria mella, Paul. Nol., Carm. \i, 233; sternuntur silvis, M. Vict., Aleth. Ili; 10; promit raìuos, Avit., Poem. v, 71; dulcia carpunt ali- menta de ramis, Aldhelm., De l. v. 244 D.

279. mairi tulerunt fastidia menses, il concepimento di Cristo. De v. incar. 59; fastidia (praegnantis) Prud., Cath. XI, 54; fastidii furor, Sidon. Apollin., Carm. v, 98.

284. udoque docent inolescere libro , coltivano la canna del papiro. Udus funis, Prud., Cath. vii, 107; semina amoris

ìnolesti, Aus.; Opusc. yiu, 18, 6.

287 - 288. consanguinitate pr op inquum patrias obtruncat ad aras, il fratricidio di Caino. Aram Domini, Damas.,

Ep. 58; propinquo merito, Paul. Nol., Carm. xvi, 36.

290. virus ser pentibus addidit atris, dar il veleno ai ser- penti. Ater daemon, Iuvenc, Lib. evang. n, 437, 614; viroso fomite, Cyprian., Num. 536; atri sectores, Paul. Nol., Carm. xvi, 88.

292. praedarique l up o s poni u m qiie m overi , Dio ordinò i lupi e il mare a danno degli uomini. Constratus ponto, Aus., Opusc. xxvii, 13, 10; aestuat motus (ponti) Avit., Poem. \, 386.

296. laqueis captare feras et fallere disco, i mezzi della caccia, senza di che non sarebbe possibile nutrirsi degli animali. Laquei erroris, Iuvexc, Lib. evang. in, 12, 402; fallacia pomi. De Sod. 138: captator lupus, Prud., Per. v, 19; laqueatus homo, Paul. Nol., Carm. xxiii, 79.

298-299. curis acuens mortalia corda, le angosce, le pene mo- rali. Pompon., Vers. 100, 108; acuii maledicta, Cyprian., Xum. 65 ; mortalia corda, Damas., Ep. 68 ; nec dat cura quietem, Paul. Nol., Carm. xviii, 341 ; cordis ima, cordis alta, Ambrog., In. xvii, 13, 26; cura acuii animos, M. Vict., Aleth. ii, 149; anhela curis, Merob., Reliq. vi, 21; bellica corda, Ennod., Carm. II, 43, 4; hominum pectora fìnduntur curis, Beda, Carm. 586 C.

301. belli rabies et amor h abendi, la ferocia guerresca e la brama di possedere. Pompon., Vers. 109; amor habendi, Prud., Ps. 478.

1:24 La fraseologia vergiliana

803-304. furor iraque mentem praecipitant, le passioni che agitano il cuore umano son considerate come pene o effetti della colpa. Hìnc furor, Damas., Ep. 48; ira implacabilis , Prud., Per. X, 867; dai ira furorem, Dracokt., Carni . iii, 475; mens alma, Ennod., Carm. ii, 20, 8; furor impius atri daemonis, Beda, Cariìì. 593 B.

304. gaudent per fusi sanguine f rat rum , i delitti che furon causa del diluvio. Sparsum corpore sanguem, Hilar., Gen.

140; inansi a discrimine sanguis, Paul. Nol.^ Carm. xxi, 376: gaudent sanguine fuso, perfusum sanguine fratris, Dracont., Carm. iii, 152_, ii, 305; sanguine fuso, Arat., Ad. ap. i, 192; fuso sanguine, Beda, Carm. 576 C.

307-308. commotus ab alto aethere se mittit, venne dal cielo. Pompon., Vers. 122, De v. incar. 56; De eccl. QQ, 44; poscit ab altis, Cyprian., Exod. 125; aetheris alta, Damas., Ep. 30, 91; rex vidit ab alto, Paul. Petric, Dev. M. un, 326; pro- spexit ab aethere terras, Sidon. Apollin., Carm. vii, 17; com,- motus eris, Dracont., Carm. ii, 706; aetherea ah aula descen- dens, Arat., Act. ap. i, 119.

308. tellurem effundit in undas, il diluvio biblico. Effun- dere fetus, Cyfrian,, Exod. 39; tellus cruenta, Sedul., Pascli, carm. i, 51; effundit cruorem,, Dracont., Satisf. 211.

310. sternit saia la et a hovumque lahores, il danno ai campi seminati e arati. Sator credentium, Prud., Cath. iv, 11; ster- nuntur passim, Sidon. Apollin., Carm. y, 421; praecepta labo- ris, AviT.^ Poem. mi, 294.

314. servantissimus aequi, Noè. Servator insti, Iuvenc,

Lih. evang. i, 2; servantissimus insti, Aus.^ Opusc. i, 1, 20; iuris servantissimus aequi, M. Vict., Aleth. iii, 391.

317. patribus dat iura vocatis, la pace tra Dio e gli uomini dopo il diluvio. Iura condere, Prud. Cath. x, 115; iura de- bita reddi, Paul. Nol.^ Carm. xvi, 272 ; iura gubernat, Sidon. ApollinT, Carm. ii, 480; iura vetusta pcdrum, Arat., Act. ap. Il, 1033.

318. magnis agitant sub legibus aevum, le nuove leggi della primitiva società umana. Agitare laborem, vitam, Iuvenc, Lib. evang. iv, 296, 520; agitare mentem, Aus., Opusc. xvi, 16, 15; lex veteris facti, Ennod., Carm. ii, 8, 5; integris servantem legibus aevum,, Aldhelm., De l. v. 244 A.

319. infandas caedes et facta tyranni, i fatti che seguirono nelle lotte tra popoli. Contra dieta tyranni, Paul. Petric, De V. M. I, 151; tyrannis Ubertas, M. Vict., Aleth. iii, 153; fera

e il significato nuovo 125

regna tyranni, Dracont., Carni, lu, 330; praecepta tyranni, Al- DHELM., De l. V. 243 B.

321. Aegyptum viresque orientis, la schiavitù in Egitto. Pompon., Vers. 112. Anche in senso allegorico: Aegyptus Chri- sti, Prdd,, Cath. xii, 203; bonus exitus ab Aegypto, Paul. Nol., Carm. xxvii, 630; intrat in Aegyptum, M. Yicr., Aleth. ni, 369; Aegyptum cupiens, tellus Aegyptia, Arat., Act. ap. i, 269; ii, 43,

326-327. prò liberiate ruebant, i difensori della libertà d'Israele. Pompon., Vers. 106; ruere in facinus, Prud.^ Cath. iii, 132; ru^yi- tes, Paul. Petric, De v. M. vi, 64; iuncta quos mole ruentes, M. VicT., Aleth. I, 289.

333. ad te et tu, a consulta revertor, torno a te e alle tue ispi- razioni. Consultor patriae, Prud., Apot. 452.

334. mai US opus moveo, tento cose maggiori, verseggiare i van- geli. Pompon., Vers. 87, 1; Dev. incar. 44; De eccl. 27; opera nmiora, Damas., Ep. 96; ecclesiae sublimai opus, divinum opus, Arat., Act. ap. i, 669, 1058; opus divinum, Rustic. Help., Carm.

IX.

335-336. quamvis angusti ter min us aevi accipiat , mi stringa il tempo. Pompon., Vers. 35; terminus instai, 'Pyìujì.^ Praef. 4; terminus aevi, Dracont., Carm. ii, 362; legibu^s aevi, Arat., Act. ap. i, 308; angusta vitae tempora, Ennod,, Carm. I, 18, 1.

336-337. qua ine possi m t oli ere humo, acquistar fama a causa dell'alto argomento. Pompon., Vers. 76; sustulit plebem hosti, Cypriax., Exod. 371.

338. progenies caelo descendit ab alto. Cristo, il messia aspet- tato. Caelo demissus ab alto, Paul. Nol., Carm. xxvii, 62; caelo descenderit alto, M. Vict., Aleth. in, 251.

340-341. f emina virginis os habituìnqite gerens, la Vergine madre. De eccl. 19; gerens hominem Deus, Prud., Cath. iii, 139; virgo parens, virginitatis honor, Sedul., Pasch. carm. v, 322, II, 67.

342. nec generis nostri p rum, nec sanguinis, di stirpe, di sangue umano. Cui sanguis hinc, Prud., Per. iv, 179.

343. terrifici cecinerunt carmina vates, i profeti. Pom- pon., Vers. 128; terrificus clangor, Iuvenc, Lib. evang. iv, 157; terrifici sonitus, tubae, Cyprian., les. Nav. 145, Num. 178; ter- rificae catervae, Prud., Ham. 419; terrificis rumoribus, Paul. Nol., Carm. xxvi, 30; terrificis turmis, Sidon. Apollin., Carm. vii, 327 ; manifesta cànunt miracula, canunt oracula vatum,

126 La fraseologia vergiliana

Arat., ah. ap. I, 276, ii, 71; cecinit cannine vates, rudem va- tes, Aldhelm. De l, v. 271 D, 253 B ; supplex vatis, Beda, Carm. 579 B.

315. semine ab ae the rio, qui occupet orhem, la potenza so- vrannaturale di Cristo. Pompon., Vers. 131; De v. incar. 7; netherius honor, Paul. Nol.. Carm. xii, 9; aetheris vigor, Me- ROB., Keliq. IV, 4; aethereos triumphos, Arat., Ad. ap. i, 165.

317. quo tempore extulit os sacritm divinae stirpis origo, la nascita del Redentore. De eccl. 77 ; efferre se sideribus,

Prud., C. S. II, 480; carpit origo, Seoul., Pasch. carm. ii, 10; statuto tempore, Paul. Pell., Euch. 475; deus origo, pater unus origo, lux lucis origo, Dracont., Carm. i, 696, ii, 654, iii, 1 ; nova origo, Arat., Ad. ap. i, 127.

350-351. haut mora stella ducens cum Iti e e cucurrit , la stella che guidò i Magi. De v. incar. 55, 62 ; nec inora, Cy- prian., Gen. 743.

352. agnovere deum proceres , munerihus cumulant, i Magi riconoscono Dio e gli ofiFrono i doni. De eccl. 23 ; cu- mulata plébs, luvEXC, Lib. evang. i, 207; agnoscimus solum deum, Cyprian., les. Nav. 562; tanto cumulavit munere, Paul. Nol., Carm. xxxi, 3; ledi proceres, Paul. Petric, De v. M. ili, 71; egregii proceres, SrooN. Apollin., Carm. ii, 129; procerum mens, Merob., Reliq. poet. 107; muneribus cumulantur, Dra- cont.. Or. 380; iuris apostolici proceres, Arat., Ad. ap. ii, 214.

353. sanctum sidus adorant, la stella propizia al viaggio. Si- dits num,inis alti, Hilar., De evang. 21; adorata puella, Prud., Per. IV, 38.

354-355. manifesta fides dar umque pater nae nomen e rat virtutis , si riconosceva figliuolo di Dio. De v. incar. 12; nova sidera, Damas., Ep. 26; paternae gloriae splendor, Am- brog.. In. XII, 1; manifesta fides, Paul. Petric, De v. M. v, 112; ad honoris maximi nomen, Merob., Reliq. 2 A 3; facti manifesta fides, Arat., Ad. ap. i, 261 ; pulchra, reda fides, Ru- STic. Help., Carm. xx, xxi; fida fides, Venant. Fort., Carm. vi, 2, 78; fìdei venerabile donum, Beda, Carm. 581 D.

356. flagrantisque dei signa, \ segni dell'ardente Dio. Si- gnum, domini, De lon. 104; magis flagrans hymnus,, Damas., Ep. 71; flagrantiam sedare, Prud., Per. x, 734; flagrifer (deus), Aus., Opusc. xiiii, 10; unguento flagrante, Sedul., Pasch. carm. IV, 71; spiritus flagrans, RusTic. Help., Carm. ii.

357-358. ad regem fama volat incenditque animum , Erode è informato dell' arrivo dei Magi. Volans vita, Prud., Praef.

e il significato nuovo 127

22; cupiens accendere dictis, Paul. Petric, De v. M. in, 157; impie rex, Dracont., Carm. x, 436.

360-3G1. il la ha ut n esc la rerum praesensit, la Vergine con- sapevole di quanto avviene. Nescios ritus, Cvprian., lud. 404; nescia inortifi, Damas., Ep. 92; nescia caeli mens, Prld., C. S. II, 875; nescire prorsus omnia, (i misteri), Ambrog., In. XVIII, 15; praescius futuri, Beda, Carm. 582 A.

362-363. furtim mandar at alendum, la Vergine aveva prov- veduto per il pericolo imminente Furtim petit, Dracont., Carm. x, 183.

364-365. stirpe in et genus omne futurum praecip ilare iu- bet, ordina la strage dei bambini. Spes incerta futuri, Cy- PRiAN., Num. 216, 624; gentes populique futuri, SiDON. Apol- LiN., Carm. vii, 310; mortale genus, Dracont., Carm. i, 40; genus omne ferarum, Rustic. Help., Carm. v.

366. mittit viros qui certa reportent, manda spie a scoprire il reo. Sub cm-de reportant, Seddl., Pascli, carm. v, 432.

368. magnis urbem terrò ribus inplent, le grida e l'orrore della strage in Gerusalemme. Implevit lacrimis, Seddl., Pa- scli, carm. iv, 278; terrore saeculi, Ambrog., In. x, 9; terror praecordia tetigit, Beda, Carm. 585 D.

371. cor por a nato rum sternuntur limine prim,o, sono uc- cisi i bambini, appena nati. Sternuntur pectora liminibus, Paul. Xol., Carm. xiiii, 39; sternuntur aitarla, IVI. Vict., Aleth. Ili, 9; limina mortis, Dracont., Carm. ii, 524.

372-373. mater non frustra exterrita turbante tumultu, non invano presa da spavento. Turbante tumultu, M. Vict., Aleth. Ili, 415; vasto tumultu, Aldhelm., De l. v. 265 B.

374. infantem, fugiens piena ad praesepia reddit, lo ri- porta in luogo sicuro. Concurrat ad praesepia, Prud., Cath. XI, 86; praesepe magos duxeris, Amrrog., In. ii, 11.

376. nutribat teneris immulgens ubera labris, allattandolo dolcemente. Tenerum lac, Prud., Cath. iii, 70; candenti lacte (nutribat), M. Vict., Aleth. ii, 124; mulgere ubera, Dracont., Carm. vili, 414.

377. hic libi, puer, fundent cunabula flores, la natura lieta orna il luogo di fiori. Fundit ager, Prud., Cath. in, 51; servare puerum (Christum), Paul. Pell., Euch. 96; fiorea fluunt, Venant. Fort., Carm. app. 5, 10.

381. cessi t furor et rabida ora quierunt, finita la persecu- zione d'Erode. Rabiosae linguae, Cvprian., Num. 242; ra- bidas iras, Damas., Ep. 81 ; furores sedare, Prud., Ps. 697 ;

128 La fraseologia vergiliana

rabidae irae, Seoul., Pascli, carm. iii, 40; ora tersit nubila, Ambrog., In. VI, 22; rabido ore, Paul. Petric, De v. M. ii, 551; demens furor, Merob., Reliq. poet. 96; quisnam movit fu- ror, Arat., Act. ap. I, 634-35.

382-83. caelestis origo, per media s urbes graditur , Cristo s'avanza nella città tra le feste del popolo. Pompon., Vers. 38; iter gradìor, Venant. Fort., Carm. vii, 14, 1; oì-igo mundi, Al- DHELM., De l. V. 25 A. C.

384. omnis tectis agrisque effusa iuventus , i giovani ac- corrono sui tetti delle case e ne' campi. Eff'usae turmae, Prud., Ps. 178; sodata iuventae, Paul. Pell., Euch. 173; dif- fuso ili limite; Arat., Act. ap. I, 23.

388-389. vates ut jyrocul e gelido secretum flumine vidit, Giovanni il battista gli si rivolge, invocandolo, dal Giordano. Flumineum lavacrum, Seoul., Pascli, carm. il, 166 ; flumine fiere, Paul. Nol., Carm. xxxi, 424; secretus, Paul. Pell., Euch. 528; ignea cutn gelidis, Dracont., Satisf. 60.

390-391. deus, ecce deus cui maxima rerum verhorumque fides, le parole di Giovanni. Mystica verba (fidei) ; Venant. Fort., Carm. viii, 3, 8.

394. expectate venis, spes et sol a ci a nostri, giungi aspet- tato, speranza e conforto nostro. Solatia lenta, spes qua spe- ramus, Pruo., Ps. 233, Cath. i, 47, 48; ante expectatum, Aus., Opusc. i, 49, 10; solator lacrymarum, Paul. Nol., Carm. xxxi, 393; ad solacia nostra, Paul. Pell._, Euch. 512; conquirens so- latia, Paul. Pell., Euch. 293; vitae spem, Avit., Poem. un, 293.

395-396. f Invio mersare salubri a e mollibus extulit un- dis, lo ricevette al battesimo. Mersant in sanguine, Cyprian., Exod. 402; mersare facillimum, Pruo., C. S. ii praef. 59; wer- sus gurgite, Seoul., Pasch. carm,. iv, 231; currere mollibus un- dis, Paul. Nol., Carm. xii, 27; inebriari flumine, Ambrog., In II, 18; in viscere mersit, Paul. Petric, De v. M. v, 95; merse- rat undis, Dracont., Or. 803; mersa sopore, Arat., Act. ap. il, 763; extulit egregius, Venant. Fort., Carm. x, 6, 88.

399. radit iter liquidum celeris, nec commovet alas, la colomba vola ad ali tese. Liquida vox, liquitur vis, Pruo., C. 8. i, 637; Per. v, 231; sulcavit iter, Seoul., Pasch. carm. IV, 294; tractibus lentis iter secare, Paul. Nol., Carm. xxiiii, 867.

402. genitor natum dictis conj^ellat ami ci s, lo chiama con benigne parole. De v. incar. 34; genitor aequaevus, Damas., Ep. 69; dictis erat finis, Seoul., Pasch. carìn. iv, 104; genitore

e il significato nuovo 129

micas, SiDOX. Apollin., Carm. ii, 68; genitor (Deus), Rustic. Help., Carm. xi. 403. Nate, meae vires, mea magna potentia, la divina po- tenza, il figliuolo divino. Rerum vires, Deus rerum vigor, Ambrog., In. XV, 2, xvi, 1; jjro tempore vires, Arat., Act. ap. II, 372.

408. omnia sub pedibus vertique regìque videbis, si volge e si governa sotto i tuoi piedi. De v. incar. 41-43; reget orbem, Paul. Nol., Carm. v, 28; potens per omnia, Ambrog., In. xvii, 31; spiritus regit, Paul. Petric, Vis. nep. 76.

409. regere imperio populos. Cristo, signore del mondo. Me- gere sceptra, Cypriax., Exod. 91; affari populos, Damas., Ep. 68; leprosos populos, Seoul., Pasch. carm. iii, 253; gentibus et populis, Dracont., Carm. ii, 654.

411. ignarosque viae mecum miseratus , hai compassione degl'ignoranti. Via credendi, Prud., Ps. praef. 1; miserator

tribuit gentibus, Paul. Nol., Carm. xviiii, 314; miserata lobo- rum, Paul. Petric, De v. M. ii, 379; gnarus minari, Paul. Pell., Euclì. 362; carpunt viam (ignari), Avit., Poem. v, 587.

416. si parva licet conponere magnis, la sua conversione alla fede, rispetto alle alte cose che narra. Pompon., Vers. 56; magna parvis conferre, Paul. Nol., Carm. vi, 207.

417. mihi patriam antiquam spes ulla videndi, non avevo speranza nel paganesimo di salire al cielo. Spes perempta, Paul. Nol., Carm. xviii, 242.

418. nec spes l ibertatis erat nec cura s aluti s, non di li- berarmi dal peccato, di salvarmi. Cura tenit dominum; salutes mundi, Cyprian., Exod. 869, Hilar., De evang. 18; sa- lus fChrisfus), salutis dona, Damas., Ep. 67, 4; curam rei, Prud., C. S. ii, 1021; prima salus (Deus), Avit., Poem. ii, 98; spes hominum (Deus), Dracont., Carm. ii, 31.

420-421. purumque reliquit aethereum sensum, rese pura l'anima. De v. incar. 104, 105; aetheriam lucem, Damas., Ep. 53; sensa somniantum, Prud., Cath., vi, 41; aethereum regnum, Sedul., Pasch. carm. iv, 308; innoxium sensum, Ambrog., In. XIII, 6; sensu malori, Orient., Comni. i, 85 ; divini nuntia sen- .<ius, M. Vict., Aleth. ni, 86; porrige sensus, Avit., Poem. u, 195; sensibus aethereis, Dracont., Satisf. 116.

425. strueremque suis aitarla donis, recherò i doni vo- tivi per ringraziare. Struere convivio, Iuvenc, Lib. evang. Ili, 53; cumulai aitarla donis, Damas., Ep. 32; altaris ara, Prud. Cath. VII, 203; strtiere aures clamoribus, Paul. Nol., Carm.

130 La fraseologia vergiliana

XVI, 218; instrueret mcnsas, Paul. Petric, De v. M. mi, 371; altana sacra, Paul. Pell., Euch. 476; donatur honore (altare), SiDOX. AroLLix., Carm. vii, 241.

42G-428. huius in adventum tantarum in munera laudum voces iactant montes, all'arrivo di Cristo o al suo svelarsi agli uomini. Pompon., Vers. 14-15; De v. incar. 31; De eccl. 89; laiules debitas, Ambrog., In. x, 3; debita munia, Paul. Pell., Eìich. 589; aeterna laude, Sidox. Apollin., Carm. xvii, 481; gloria, honor laudis, Dracoxt., Satisf. 206; Merob., Reliq. poet. 119; caelesti munere, munera larga, Aldhelm., De l. v. 242 A, 2<ò& B ; sacra carmina laudis, Beda, Carm. 579 A.

430. serpevi is furiale malum, la tentazione nel deserto. Fu- rialia arma, Prud., Fs. 551; furialia limina, vota, Paul. Pe- tric, De V. M. V, 319, vi, 225; furialia murmura, Merob., Reliq. poet. 85; furiale nefas, Dracont., Carm. in, 266.

432. con pel lare virum et veniendi s cere causas, chia- mar Cristo e ricercar le cause della sua venuta. Compellat maritum, Cyprian., Gen. 1204; mystica causa, Arat., Act. ap. i, 118.

433. tendentem adversum per gr amina, che veniva attra- verso i campi. Graminei tori, Iuvenc, Lib. evang. ni, 84; herbarum gramina, Hilar., Gen. 101; tendere litoreis saxis, Se- oul., Fasch. carni, in, 55; tendere cantra, Paul. Peric, De v. M. i, 243; tendentibus horis, M. Vict., Aleth. iii, 650.

434. subsistit infremuitque ferox, il tentatore si fermò e fremette. . De v. incar. 18; infremit accusatio, Iuvenc, Lib. evang. iv, 595; fremant leges, Cyprian., Exod. 91; ferox ingenii, Prud., Fer. ni, 32; vellet adire ferox, Aldhelm., De l. v. 257 D.

436. veram facies, verus nuntius adfers? qui genus? sei apportatore di verità? Ferturbant nuntia, Seoul., Fasch carm. II, 75; unde domum vel qui genus, Paul. Nol., Carm. xvi, 18; obviat in faciem, Venant. Fort., V. M. i, 488.

440. iussit adire domus, pacique imp onere morem.^ chi t'ha introdotto nella mia casa per opera di pace? Facifìca verba, Cyprian., Exod. 1321; pace salutantis, Sedul., Fasch. carm. v, 377; veterum more parentum fpacis), Sidon. Apollin., Carm. n, 383.

441. non equid em invideo, miror magis, non t'invidio e piuttosto mi meraviglio. Miretur onine saeculum, Ambrog., In. i, 7.

443-444. voca zephyros et lab ere pinnis, ardua teda petens, i venti ti sosterranno, se sei figlio di Dio. Ardua

e. il significato nuovo 131

gens, vocibus arduis, Cyprian., Exod. lOOo, 519; subitis pinnis, Aus., Opusc. mi, 7, 9; ardua, Sedul., Paach. carni, i, 835; ar- dtius conditor, Paul. Nol., Carm. xxi, 230; turgescit zephyris, SiDON. Apollix., Carm. v, 404.

446. olii subridens, sedato pectore, fatur, rispose secondo le profezie. Sedantur membra, Cyprian., Exod. 849; a pectore fugare, Ennod., Carm. i, 11; sub pectore fervei anhelo, Aldhelm., De l. V. 583 A.

447. haut vatuni ignarus venturique inscius aevi, cono- sceva bene i profeti e il futuro. Aevi fallacia, Iuvexc, Lib. evang. iv, 69; maximus veteris aevi, Paul. Nol., Carm. vi, 308.

449-450. opta ardua pinnis astra sequi clausumque cava te condere terra, tenteresti d'alzarti a volo, mentre sei chiuso nell'abisso. Son parole di Cristo. Pompon., Vers. 18, 51; ad astra viam., Damas., Ep. 85; visa astra sequi, Prud., Per. iii, 163.

452-453. cede deo, loto proiectus corpore terrae, cedi a Dio, destinato a strisciar sulla terra. Pompon., Vers. 52; De eccl. 2; proiectius, Prud., Per. x, 153; proiecta iaceant, Seoul., Pascli, carm. v, 259; cedere divitibus, Paul. Pell., Euch. 558.

454. f r onte 2^ re ini t t erravi et spumas agit ore cruentas , V effetto dell' ira. Spumea mulctra, spumeae salivae, Prud., Cath. Ili, 6G, Per. i, 101 ; spumosa oscula, spumeum iter, Paul. Nol., Carm. xviii, 43, xxiiii, 44.

455. caecis se immiscuit umbris, s' allontanò nella notte. Caeca fauce, caeca potestas, Seoul., Pascli, carm. ii, 19, iii, 303; caecum career, periculum caecum, Paul. Nol., Carm. xv, 195, xxiii, 155; turgescentibus undis, Alohelm., De l. v. 261 D.

456. volitans magnas it fama per urbes, trascorre la fama per le città. Volans vita, Prud., praef. 22; vaga fama per oras, Paul. Nol., Carm. xxvi, 29.

460. concurrunt fremitu denso stipantque frequentes , il popolo per ascoltar Cristo s'addensa intorno al monte. Con- currit tempus, Iuvenc, Lib. evang. ii, 344; densare populum, Cyprian., Num. 553; densare congeriem, Prud., C. S. i, praef. 21; fremitusque cucurrit concilio, Sidon. Apollin., Carm. vii, 599-600.

461-462. medium plurima turba liunc habet, il Signore era nel mezzo del popolo. Hos Inter medius, Paul. Petric, De v. M. ih, 75.

463-464. aeterna potestas tura dabat legesque viris se- creta parentis , il discorso del monte. Pompon., Vers.

182 La fraseologia vergiliana

125; De eccl. 94; iura condere, Prud., Cath. x, 115; pater ipse parentis, Seoul., Pascli, carni, i, 308; omnia iura, Paul. Pell., Eiich. 424, intemerata iura, Sidon. Apollin., Carm. vii, 296; iura superna regis, Arat., Act. ap. ii, 790; solio dat iura, En- NOD., Carm. i, 9, 50; sola potestas, RusTic. Help., Carm. xv.

467-468. confertos audere in proelia vidit divinum in- spirai amorem, predicò la verit<\ ai violenti e ai litigiosi. De V. incar. 3; De eccl. 104; inspirans rationis opus, M. ViCT., Aleth. pr. 84; inspirans pectus, Adhelm., De l. v. 240 A.

469. discite iustitiam 'ino ni ti succurrite fessis, la giusti- zia e il soccorso alla sventura. De v. incar. 77; De eccl. 15; dicite iustitiam, Paul. Nol., Carm. viii, 24; spes vicina fes- sis, Paul. Petric, De v. M. ii, 297.

471-472. meliora sequamur , qiioque vocat vertamus iter, seguiamo la virtù e avanziamoci ove Dio chiama. Pompon., Vers. 63; De eccl. 17; melior consiliis, Prud., C. S. ii, 322; me- liora sequamur, Arat., Act. ap. i, 666.

473. intemerata fides et mens sihi conscia recti, la fedeltà e la rettitudine. Pompon., Fers, 63; intemerata salus,luv'&tic., Lib. evang. ii, 355; conscia sermonis, Cyprian., Gen. 396; in- temerata puella, Prud., Cath. iii, 145; fìdes teneri nescia, Am- BROG., In. IV, 12; tuta fides, Paul. Petric, De v. M. mi, 591; mens conscia sensus, Paul. Pell., Euch. 51; bene mens sibi con- scia, Orient., Comm. ii, 261; insinuante fide, Avit., Poem. vi, 31 ; intemerata fides, Dracont.^ Carm. iii, 439 ; indubitata fides, Arat., Act. ap. i, 953; indubitata fides, Ennod., Carm. ii, 37, 2.

'474-475. divitiis incubuere repertis , i ricchi gelosamente cu- stodi del danaro. Pompon., Vers. 70; De eccl. 63.

477. pulsatusve parens et fraus innexa clienti, le ofifese ai genitori e le frodi nella professione. Pulsare caelum, lu- VENC, Lib. evang. i, 266, iii, 172; pulsant viros, Cyprian., Deut. 131; cliens lapidum, Prud., Per. iii, 82; stirpes fraudium, Aus., Opusc. vili, 16, 15; pulsans annos, M. Vicr., Aleth. ni, 626; decepti fraude clientes, Dracont., Carm. ii, 317.

478-479. frigida mors anima seduxerit, artus inclusi poenam expectant, la morte che abbatte anche le membra. Pompon., Vers. 39; De eccl. 58; frigente metu, Cyprian., Gcìi. 96; praemium mortis, Ambrog., In. xvi, 7; complectitur artus, Paul. Petric, De v. M. i, 330; poenam expectabunt clausi, Orient., Comm. ii, 273; inficit artus, Dracont., Carm. i, 342.

481-482. aia sub gurgite vasto, infectum eluitur scelus aut exuritur igni, le pene dell' acqua e del fuoco ardente

e il significato nuovo 133

ncir inferno. Infectaa sordes, Cyprian., E.rod. 733; gurges

avaritiae, mortis lavacris elutam, Prud., Ham. 255, Per. v, 362; locupleti gurgite, Paul. Nol., Carm. ii, 4; gurgite vasto, Paul. Petric, De V. M. vi, 76; gurgites aequorei, Dracont., Carm. I, 705; de guì-gite mundi, Arat., Ad. ap. ii, 1125; in glauco gurgite, Aldiielm., De l. v. 239 A.

484. aestuat atque imo harathri eructat harenam, i vul- cani infernali. Aestuans culpa, in barathrum conicit, Prud., Cath. IV, 23, Per. v, 249; torrens arena, Ambrog., /7i. v, A, per- fundit harenas, Paul. Petric, Dev. M. vi, 385; harena maris, Dracoxt., Carm. ii, 655; aestibus Oceani, Exnod., Carm. ii, 69, 6; vilis arena, Venant. Fort., Carm. ii, 14, 22; sermonibus aestuet ardor, Beda, Carm. 575 C.

485-486. saeva sonare verbera, tum stridor ferri trac- t aeque catenae, le crudeli sferze, lo stridere del ferro e il suono delle catene. Verbera vibrant, Cypriax., Exod. 740;

verbera carnificis, Damas., Ep. 32; sonare castos modos, Paul. Nol., Carm. xxi, 93; cum verbere saevo, M. Vict., Aleth. ii, 538.

488. animi s advertite v estris, chiudetelo nel cuore. Ani- mum advertere, Paul. Pell., Euch. l. e.

490. religione, truncis et robore nata, la superstizione ido- latrica primitiva. Religionibus foedis, Prud., C. S. i, 513; longa verendus religione, Avit., Poem. vi, 510.

492. liaec repetens iterum monebo, ricordate il vero. De eccl. 50; corda repetunt, M. Vict., Aleth. in, 86.

495. fugit inr e par abile tempus, il tempo che non torna. Tempus mutai, Cyprian., Ad sen. 76; mortalia tempora (fugitmt) Avit., Poem. i, 2; mortalis tempora vitae, Dracont., Carm. Ili, 249.

496-497. flammarumque dies et vis inimica adtonitis a ni mi s, il giorno del giudizio finale. De eccl. 60; fiamma ultima, flammae, Iuvenc, Lib. evang. praef. 5, i, 526, 530, iv, 284; flammatum lumen, Cyprian., Lev. 224; flammantes equi (iu- dicii) Paul. Nol., Carm. vi, 78; attonitis stupuere animis, Paul. Petric, De v. M. iii, 125; in flammas ignisque globum, M. Vict., Aleth. I, 97; adtonitas curas, Avit., Poem. vi, 73; flammae dies, Dracont., Satisf. 3.

498-499. maius miseris viortalibus aegri s iudicium ca- nit, la parola di Dio giudice agli uomini. Mortale tormentum gerunt, Cy'PRIAN., les. Nav. 156; aeger corruptelis animus, Prud., Per. XI, 177; iudicium de fine lime, Arat., Act. ap. i, 443.

500. venturum ex ci dio et vasta convulsa ruina, l'epirosi

10

134 La fraseologia vergiliana

universale. Pompon., Vers. 105; paribus cooperta ruinis, Cy- PRiAN., les. Nav. 366; vetus ruina, Seoul., Pasch. carm. iv, 73; crebras ruinas, Paul. Petric, De v. M. ii, 663; veterum ruinas, M. ViCT., Aleth. I, 406; cladis ruina, Avit., Poem. v, 143.

.')02. palantes steli as caelique ruinam, l'cpirosi e la fine del mondo. Palantes Gemini, Prud., Apot. 623; palantia ag- ìnina, Paul. Petric, De v. M. ii, 588; ruinas veteres, Paul. Pell., Elicli. 580; moenia caeli, Dracont., Carni, i, 3; patet ruinis, Arat., Act. ap. ii, 765.

503-504. cunei is insinuai pavor. il timore di quanto avverrà. Insinuans praeconia, Iuvenc, Lib. evang. i, 436; insinuare morum instrumenta, Paul. Pell., Euch.&Z; auribus insinuata, Oriext., Comm. ii, 143; insinuai dulce m^ori, M. Vict. Aleth. II, 28.

.506. ora puer prima signans intonsa iuventa, l'episodio del giovane che chiede pietà a Cristo. Intonsi dumi, Cyprian., lud. 381; signa ferentes, Rustic. Help., Carm. iii.

510-511. palmas utrasque tetendit et genua amplectens, in atteggiamento supplichevole. De eccl. 41 ; sanctas palmas, Iuvenc, Lib. evang. i, 497; palmas tendere, Prud., Cath. iv, 52; tendere brachia, Sedul., Pasch. carm. iii, 55.

512. o decus, o famae par maxim.a nostrae. Cristo. Sanc- tum decus, Damas., Ep. 40; decus im,perii, Dracont., Satisf. 32.

513. supplex tua numina posco, la tua potenza divina. Do- minum poposcit, Cyprian., Gen. 1023; supjilex posco, Damas., Ep. 32, 36, 44; supplex famulus, Sidon. Apollin., Carm. xiii, 21.

515-516. e ripe me malis, quid ve sequens tanto s possim superare labores, a e cip e daque fidem, liberami dai mali morali e dammi modo di vincere le avversità della vita. Pompon., Vers. 59, 26; eripe me his malis, Cyprian., Gen. 1032; acceptaque dataque fide, Paul. Pell., Euch. 384.

518. paucis reddidit heros, rispose brevemente Cristo. He- ros excellentiae, Prud., Per. x, 52; pjaucis retexam, Sidon. Apol- lin., Carm.-Y, 353; legif'er heros, Avit., Poem., v, 67; heros, Venant. Fort., Carm. ii, 14, 12.

520. nec te paeniteat, non ti doler di pregar sempre. Non erit in culpa quem paenitet ante fuisse, Cyprian., Ad sen. 85; paenitet commixta, agnoscens paenituit, Paul. Nol., Carm. vi, 263.

522. disce contemnere opes et te dignum finge deo, ap- prendi a disprezzar le ricchezze e imita il Signore. Fingere

e il significato nuovo 135

fìguram, Prud., Caih. xil. 184; virhUis opes, '^EDVL., Pasch. carni, v, 1; digniis ad munia, Paul. Nol., Carni, x, 44; inopes sHììt opes, Ambrog., In. vii, 26; discit consiiescere (opes), Avit., Poem. II, 133; ficta dei proles, Dracoxt., Carni, in, 230; serva- hat opes, Arat., Ad. ap. i, 675.

523. qua e sìt poteris rognose ere virtus, qual valore abbia la virtù. Pompon., Vers. 79; virtutem, Damas., Ep. 11, 63, 67; virtiitum signa, Sedul., Pasch. carni, i, 95.

524. da dextrani misero et fratrerti ne desere frater, soc- corri il povero e non abbandonare il tuo fratello. De eccl. 64; deserit iras, Cypriax., Gen. 844; deserit fragilis aetas, Paul. Nol., Carm. xxv, 189; sacris debita dextris, Arat., Act. ap. i, 406; dat dextram miseris, Rdstic. Help., Carm. xx.

526. casta pudicitiam servet domus, i precetti al giovane. De V. incar. 14; pudihunda pudicitia latet honos, Prud., Per. ih, 153.

527. rumpe moras, rebusque veni non asper egenis, affret- tati nella vita e fa partecipe il povero de' tuoi beni. Rum- pere vincida, Prud., Cath. i, 98; rumpis gaudia, Aus., Opusc. XV, 13, 13; mora noctis rumpitur, Paul. Nol., Carm. xiiii, 52; recepit queréllas, M. Vict., Aleth. in, 215; incidunt moras, Avit., Poem. II, 364.

529. qua modis attollens pallida miris, col volto mirabil- mente pallido. Mira fides, Iuvenc, Lib. evang. i, 113 ; mi- rificis modis, Cyprian., Exod. 1083; mira laudum, Prud., Per. X, 4; miris in partibiis, M. ViCT., Aleth. ni, 202.

531-532. d ed Ite un t socii navis tranquilla per alta, la tem- pesta nel lago. Denarrat in altis, Cyprian., Exod. 322; al- luni profundum. Paul. Nol., Carm. ii, 6.

533. ali US trahit umida lina, le reti. Trahere vitam, ima vitae, Paul. Nol., Carm. xii, 11, xv, 315; trahere sonum, Orient., Comm. i, 324; huniida lina trahens, Arat., Act. ap. i, 993.

535-536. altum tenue re rates, ne e ampli us ullae occur- runt terrae, gli apostoli s'allontanano dalla riva. Rate de- bili, Prud., C. S. i, praef.

538. consurgunt venti et fluctus ad sidera tollunt, i venti sollevano le onde. Ventosae undae, Cyprian., Exod. 1030 ; fluctus frangitur, Prud., Per. vii, 128.

539-540. gelidus formidine sanguis diriguit, s'arrestò per lo spavento. Rigescunt corda, Hilar., Gen. 167 ; diriguit

astrologus pernox, Prud., Apot. 617 ; deriguit sceleris sui coni-

136 La fraseologia vergiliana

merda, Sedul., Pascli, carm. v, 117; diriguit sacerdos, Paul.

NoL., Carm. vi, 86; formìdo eventi, Paul. Pell., Euch. 279. 542. spemque metumque in ter diihii, incerti tra la speranza e

il timore. Metus hominum, Paul. Nol., Carm. xxi, 609 ;

gravi solvit metu, Amrrog., Li. hi, 7; dubii culpae adscribere,

M. ViCT., Aleth. I, 341 ; casibus in dubiis, Sidon. Apollin..

Carm. v, 118. 545-546. magno misceri murmure pontum, eTnissamqite

hiemem sensit, ribollire il mare e fremere la tempesta.

Pompon., Vers. 11 ; De eccl. 68 ; excitam hiemem, Prud., Apot.

663; insanum hiemet mare, Aus., Opusc. il, 5; m,urmura mi-

scet, Paul. Nol., Carm. x, 121 ; magno turbante tumultu, M.

ViCT., Aleth. IH, 415; murmure diro, Arat., Act. ap. lì, 1156;

murmura blanda, Ennod., Carm. ii, 66, 8; murmure multivago,

Venant. Fort., V. M. iii, 432. Ò4J. par levibus ventis et fulmini s odor alis, simile al

vento e piii veloce del fulmine 1' effetto della potenza divina.

Levis halitus, Cypiran., Exod. 1123; fulminei caeli, Sedul.,

Pasch. carm,. i, 184; fulmineo rutilans igne, M. Viot., Aleth.

i, 282. 552. altos tetigit fluctus et ad aequora venit, salì sulle

onde e le appianò con V aspetto. Extabat in aequore, Paul.

Nol., Carm. xviiii, 557; tetigit reverentia caeli, M. Vict., Aleth.

Ili, 287. 555. collectasque fugat nubes, la tempesta imminente. 8cin-.

duntur nubes fuga, Paul. Petric, De v. M. v, 568; nubes ma-

lorum, M. ViCT., Aleth. ii, 193 ; recolligit, Avit., Poem. i, 279. 557. socios incedens per ijjsos, tra i discepoli nella nave. So- date (in Christo) Damas., 61; sociale membrum, sociale corpus

(christianorum) Paul. Nol., Carm. xxiii, 193, xxv, 23; sodi

iuris, M. Viot., Aleth. ii, 374. 560-561. vela cadunt laeti notae advertuntur harenae,

tornano salvi alla sponda. Laeta vultu, Ambrog., In. iv, 14;

vela cadunt, Paul. Petric, De v. M. v, 758. 564-565. velamina nota subiciunt , funemque contingere

gaudent, tutti a gara festeggiano Cristo entrante. De eccl.

8; velamine setis, Iuvenc, Lib. evang. i, 323; corpus contingere

gaudent, novo velamine, Paul. Nol., Carni, xviii, 126; xvii, 293. 566-568. templumque vetustum, antiqua e cedro centum

sublime colutnnis ingreditur , il tempio di Salomone. De

eccl. 58; templum Domini, Damas., Ep. 84; tollere in sublime,

Prud., Per. x, 697; servata vetustas, Paul. Pell., Euch. 70;

e il significato nuovo 137

tempia, pectora nostra, Sidon. Apollix., Carvi, i, 30; tempia petendo, Vexant. Fort., Carm. i, 9, 46.

572. horrescit visu subito insonuitque flagello , s'adira contro i profanatori del tempo. Deprehens liorrescunt, Cy-

PRIAN., les. Nov. 251; flagella cucurrit, Damas., Ep. 71; hor- rifico vultit, Prud., C. S. i, 225; sero citat flagello, SiDo:^\ Apol- LiN., Carm. xvii, 403.

574-575. qua e scelerum facies, qua ève aera mìcantia Caesaris et nomen'?, quali delitti in nome di Cesare? Mu- crone micans, Cyprian., les. Nav. 125; scelus dictu, Prud., Apot. 822; aereae fìgurae, Sedul., Pasch. carm. i, 47 ; tanto prò nomine M. Vict., Aleth. iii, 17; amor scelerum, scelerum pro- pago, Arat., Act. ap. II, 987; scelerum facinus, Aldhelm., De l. V. 240 D.

578-579. obstipuere animi gel idusque per ima cucurrit ossa tremar , un gelato spavento alle parole di Cristo. De eccl. 71; tremore raucisono, Cyprian., Gen. 805; gelidus venter, Sedul., Pasch. carm. i, 110; quem tremant cuncta, Paul. Nol., Carm. xxii, 93; obstipuere animi, Paul. Petric, De v. M. ii, 633.

581. tum, victu revocant vires, ristorano le forze. Pompon., Vers. 107.

582-583. dapibus mensas onerant et cu la ponunt, l'ul- tima cena con gli apostoli. De eccl. 11 ; ponit fructum, lu- VENC, Lib. evang. iv, 283; onerantur saxa, Cyprian., les. Nav. 360; dapes mysticae, Prud., Cath. v, 108; ponere horas, Paul. Nol., Carm. xxii, 127; pocula libans, M. Vict., Aleth. in, 70; pocula porrigit, Venaxt. Fort., F. M. ih, 260.

584-585. genitori instaurai honores, la preghiera a Dio. De V. incar. 102; honoratis precibus ambit, Cyprian., Num. 582; instaurano est, Prud., Apot. 1070; honor pompae mortalis, Sedul., Pasch. carm. iv, 293; religionis honor, Arat., Act. ap. ii, 180; honore gradus, Venant. Fort., Carm. i, 15, 70.

586-587. dat manibus fruges dulcesque e fontibus undas, i mplevitque mero pater am, il pane, l'acqua e il vino per r istituzione dell'eucaristia. Undanti ex fonte, Cyprian., Gen. 56; modicam undam, Sedul., Pasch. carm. iv, 224; undosum salum, Paul. Nol., Carm. xvii, 177.

589. proceres, spes discite vestras, apprendete quali siano le vostre speranze. De eccl. 15; per proceres laudata, Cyprian., Gen. 439; proceres canentes, Sedul., Pasch. carm. i, 359, il, 218; ledi proceres, Paul. Petric, De v. M. l. e; procerum ho-

138 La fraseologia vergiliana

ììor, Paul. Pell., Euch. 26(5; mcìior spes accipit. Avit., Poem. v, 127.

590-591. ne ma m ih i non donatus abibit, tutti parteciperanno alla mensa divina. De eccl. 34; clonare, Seoul., Pasch. carm. IV, 246 ; donas vivere, Paul. Nol., Carm. x, 243.

594. un US erit in me exitiumque meorum , il tradimento di Giuda. Exitialis dies, Prud., C. S. ii, 5G8.

598. unum prò niultis dabitur caput. Cristo si sacrifica per gli uomini. Caput christicolis, Prud., Per. xi, 80.

601. sacerdotes late loca questibus implent, i sacerdoti gri- dano e accusano Cristo. Implevit lacrymis, Sedul., Pasch. carm. iv, 278.

603-604. quod genus hominum, quaeve tam barbara mo- re m permittit patria, quale genìa e quale barbara patria permette ciò? De eccl. 38; bai-bara gens, Prud., Apot. 194; barbara vulnera, Sidon. Apollin., Carm. vii, 262.

605. undique collecti, la plebe mista. De v. incar. 74; un- dique turba, Paul. Pell., Euch. 386.

607-609. subito acciri omnes populusque patresque expo- scunt farique iubent, si adunano e chiedono notizie di Cristo. De eccl. 46; exposcit amicum, Cyprian., les. Nav. 322; accitu ipsius, Aus., Opusc. i, 44, 5; j)opulis incumbere, Paul. Pell., Euch. 352.

613, raptis concurrunt telis, accorrono armati da ogni parte. Tela ingeniì, Prud., C. 8. ii, 762.

614-615. tollitur in caelum clamor, corripuere sacram effigiem, tra le grida altissime imprigionano Cristo. Effi- giare Jiominem, animam, Prud., Cath. x, 4, Apot. 807; tollitur clamor, Paul. Petric, De v. M. ii, 79.

616. ingentem quercum constituunt , la croce. Sacrum in- fantem constituere, Paul. Nol., Carm. xxi, 315.

619-620. triste ministerium , ausi immane nefas, ausoque j) otiti, compiono il grande delitto. Pompon., Vers. 72; De eccl. 108; nefas arripere, Paul. Nol., Carm. xviii, 451; triste ministerium, Paul. Petric, De v. M. v, 281; largo furore po- titus, Avit., Poem. mi, 74; fit commune nefas, Arat., Act. ap. i, 420. 621. quo vincla nectitis, inquit, perchè legarmi? le parole di Cristo. Vincla laboris, Iuvenc, Lib. evang. iii, 696; vincla saecli, corporis, Prud., Per. ii, 584, praef. 44; sacri nectit cu- stodia iuris, M. ViCT., Aleth. i, 332. 623. paena commissa luetis, pagherete il fio. Pompon., Vers.

e il significato nuovo 139

117; commissa paenitet, Paul. Nol., Carni, vi, 263; immunes paena, Paul. Pell., Euch. 320.

624. tali a me mora ns fixusque m,anebat, era crocifisso al co- spetto di tutti. Fixus supplicio, Prud., Cath. vi, 64; defixus rex, Merob., Beliq. pros. 2, B 24.

625-626. magno misceri m,urmure caelum, gli effetti del dei- cidio. Murmurat aether, Hilar., Gen. 179; murmurare Chri- stum, Prud., C. S. i praef. 36; murìnura miscet, Paul. Nol., Carm. x, 121.

630. dai teli US gemitum et caelum tonai, il rombo sotter- raneo e il tuono. Deus tonans, Iuvenc, Lib. evang. ii, 795; tonaììs dominus, Seoul., Pascli, carni, i, 27; deus tonans, Paul. Nol., Carm. xxii, 149.

631-632. Èrebi de sedihus imis umbrae tenues, le anime ri- sorte. Sedibus istis, Damas., Ep. 84; regnare Èrebo, Prud., C. S. I, 360; supernis sedibus, Beda, Carm. 623 C.

63o. sistunt amnes, terraeque dehiscunt, si fermano i fiumi e s'apre la terra. Pompon., Vers. 42; regnum dehiscat, Iu- venc, Lib. evang. ii, 611; sistatque locetque, Cyprian., Gen. 885; rubruni salum dehiscere, Prud., Per. v, 482.

635-636. sol caput obscura ferrugine texit, l'ottenebrarsi del sole. De eccl. 57; ferrugo lugubris, Prud., Cath. ix, 79.

638. diffugiunt comites, la fuga dei discepoli. Comites (fi- dei), Comes patris, Damas., Ep. 12, 23, 69; iuventum comitem, Paul. Pell., Euch. 315; comitem participemque negai, Dracont., Satisf., 202.

643. ubi nunc deus ili e magisteri Le parole d'un vecchio alla morte del Signore. De eccl. 112; magister (Christus), Orient., Carm. ii, 3; magister exemplum, M. Vict., Aleth. ii, 178; novit magister, ore magistri, Arat., Ad. ap. ii, 329, 134.

646-648. nos rape in omnia tecum, prendici con te. De eccl. 39; se rapii, Paul. Nol., Carm. xx, 417; dum rapii, Ve- NANT. Fort., V. M.. i, 344.

651. ante oculos ingenti mole sepul chrum, il sepolcro nuovo, in cui fu deposto il corpo. Tantae molis spectacula, Iuvenc, Lib. evang. iii, 326; molis contacia sepulcliri, Paul. Petric, De e. M. II, 182; immensa mole, Dracont., Carm. ii, 33; immensa mole, Dracont., Carm. ii, 33; molem terrae, Beda, Carm. 621 B.

653-654. avulsaque saxis sax a vident, la risurrezione e lo scoperchiarsi della tomba. Scuxicolae culiores, Paul. Nol.,

Carm. xviiii, 168.

140 La fraseologia vergiliana

656. horror, sìinul ipsa sii enti a terreni, il timore improv- viso delle scolte. Silentia clamatura nefas, Paul. Nol., Carm. xviiii^ 563; exterret animos niger horror, Ì\I. Vict., Aleth. ni, 376.

659. pulsuque peci uni tremit excita tellus, il Signore an- nunzia il suo venire con etfetti straordinari. Pulsìun addunt rotis, Cyprian., Exod. 432; excitus in furias, Prud., Per. iir, 96; pedis pulsu, Aus., Opusc. xxi, 2, 9; pulsu mobile corpus, pulsibits mentis, Paul, Nol., Carm. xv, 275, xxvii, 629; terra tremit, Dracont., Carm. il, 154.

661. ingentem comitum adfluxisse novorum invenit nu- merum, l'apparire improvviso ai discepoli. Numeri (pò pulì) virtute potentis, Paul. Nol., Cariai, xxvi, 127.

663-664. vicit iter durum pietas et vivida virtus, l'amore per voi e la potenza vinsero la morte. De eccl. 78, 79 ; pietas ad caelum vexit, Damas., Ep. 31 ; pidvereum iter, Seoul., Pascli, carm. iv, 211; vicit iter durum amor omnia Christi, Paul. Nol., Carm. xiiii, 80; pietatis affectus, Paul. Pell., Euch. 252; vir- tus sacra, M. Vict., Aleth. pr. 64, i, 8, 15; placuit pietas. Si- don. Apollin., Carm. vi, 32; iter pietas reseravit, Dracont., Or. 65; negavit iter, Arat., Ad. ap. i, 272; pandit iter laetum, Beda, Carni. 570 C.

665. timor omnis abesto, siate tranquilli, perchè il Signore è presente. De v. incar. 67 ; omnes timor accijnt, Avit., Poem. VI, 617.

668-669. prò laudibus istis praemia posse rear solvi, il premio promesso ai buoni. De eccl. 18; prò laude precatur, Cyprian., Gen. 1392; solvere curas, Prud., Ps. 729; redde prae- mia, Ambrog., In. XVIII, 8; cupiens in praemia, Arat., Act. ap. I, 597 ; caelestis praem,ia regni, Adhelm., De l. v. 273 B.

670. acci p ite ergo animi s, chiudete nel cuore. De v. incar. 71 ; accepta dei praecepta, Dracont., Carm. ii, 342.

673. vosmet rebus servate secundis, alle speranze immortali d'oltretomba. Secundare cuncta, Paul. Nol., Carm,. xvii, 45; coepta secundes, Paul. Pell., Euch. 5.

675-676. pacis solum inviolabile pignus , il beneficio della pace dell' anima. De v. incar. 74-76 ; pacis signacula, Paul.

Petric, De V. M. ii, 632; vitalia p)ignora, sancto iam pignore, M. Vict., Aleth. i, 140, in, .347 ; pacis pignus, Merob., Reliq. poet. 142.

678. populataque pectora ferro, le piaghe del costato. Pec- tore robusto, luvENC, Lib. evang. ni, 672; pectora Iota, Prud., Ps. 366; pectora prisca, Merob., Reliq. poet. 90.

e il significato nuovo 141

682. spirantes dimovet auras, s' innalza agitando l'aria. Spi- rantum quos f'ovet aura, Cypriax., Exod. 1282; spiramine coepta anima, spirare maiora, Prud., Apoth. 871, C. S. ii, 480; spi- rante vita, Seddl., Pasch. carni, i, 41; dilapsus in auras, Paul. Petric, De V. M. ni, 409; spirante ventos, spirabiles aures, M. ViCT., Aleth. Ili, 204, ii, 129; crebri spiraminis auras, Avit., Foem. I, 127.

683-684. caeloque invectus aperto, mortales visus medio in sermone reliquit, elevandosi verso il cielo, lasciò gli spettatori stupiti. De v. incar. 10; invectus caelo, Damas.,

Ep. 84; apertus vultus, Prud., Apoth. 335; invectum ritum, Paul. Pell., Euch. 179; in medio sermone, M. ViCT., Aleth. in, 681; lumine visus acuto, Avit., Poem. ii, 132.

685-686. illuni sol io stella n ti s regia caeli accipit, giunse nel regno celeste. De v. incar. 106; regia, Iuvenc, Lih. evang. i, 482; stellata astra, aethenae aulae, Cyprian., Num. 340, Gen. 961; regia caeli, Damas, Ep. 10, 12, 21, 49; stellantibus saji'is, Prud., Ps. 856; caelestis aula, Ambrog., In. x, 7; regia culmina, Paul. Petric, De v. M. in, 71.

688. servavere diem, iam labentibus annis, ricordarono il giorno dell'ascensione. De v. incar. 107 ; et labentibus annis, Paul. Nol., Cann. x, 299; diem sacravit saecidi, Ambrog., In. VII, 2; hunc celebrare diem, Arat., Act. ap. i, 272.

690. tua adi pede sacra secundo annua, favorisci quest'an- nua solennità. Sacra 'gentium, Prud., Praef. 40; sacramenta tua, Paul. Pell., Euch. 477; sacra munera, sacraria mentis, M. ViCT., Aleth. II, 70, in, 101; sacra mysteria verbi, Avit., Poem. VI, 307; mystica sacra, Merob., Reliq. e. i, 20.

691-692. celebrate faventes morem sacrorum,, celebrate con favore di Dio questo rito. De v. incar. 65; celebrare, celebra- tur, Damas., Ep. 1, 17, 84; sodi celebretis honorem, Paul. Nol., Carni, xxvii, 224.

694. casti maneant in religione nepotes, i discendenti e i posteri. De v. incar. 69.

V.

Proba e i poeti del tempo. I verseggiatori

delia Bibbia e dei vangeli. L' epica dei martiri e degli

eroi cristiani. Il cristianesimo e la letteratura

classica. Significato e importanza

storica del centone.

Un' opera d' arte, di qualunque ispirazione e di qualunque occasione e tecnica, non s' intende a pieno nel suo valore etico ed estetico, se non considerata nelle condizioni sociali e nelle vicende della cultura del tempo in cui fu prodotta ; e però, a giudicare bene del centone di Proba, occorre idealmente ri- condurre la poetessa nella famiglia letteraria a cui appartenne. Neil' agonia triste dell' impero romano, al secolo quarto, sem- brava che r arte antica dovesse perire con esso, e i pagani ostinati accusavano i cristiani come rei anche di quest' offesa alla civiltà. E questi, che volevano astenersi dalla poesia classica, macchiata di brutture e d' errori, ne sentivano fin tra le ruine de' fòri e delle basiliche l' irresistibile malìa. I numi, che da prima accompagnavano 1' uomo dalla nascita al sepolcro, e dal larario domestico, dai compitalia della contrada e dai templi dello stato ne moderavano l'operosità della mano e dell' intelletto, allora sparivano ; e l' istruzione con la gram- matica e la retorica nelle scuole e nelle case patrizie, come pure r oratoria nel foro e la drammatica in teatro, congiunte saldamente ai miti e al culto politeistico, in cui l'arte era sa- lita alla perfezione della sua forma, dovevano di necessità rin- novarsi. Questa fu la missione degli scrittori cristiani, in- tenti a purificare le colpe nell' espansione universale della ca- rità e insieme segreti adoratori di quella grande letteratura.

/ poeti del tempo 143

a cui rinunciare pareva il più doloroso sacrificio che la mo- rale nuova potesse richiedere alla romanità. Da prima gii scrittori cristiani si mostrarono quanto mai ostili verso la cul- tura e l'arte antica, verso que' simulata et superutltio-sa figmenta, come apparvero le opere migliori dell'ingegno greco e romano al giudizio d'Agostino e di Girolamo (1). E però soltanto per necessità si permetteva ai giovani di frequentare la scuola di un grammatico o d'un retore pagano, nella quale l'educazione intellettuale si formava interamente classica, e con essa il paga- nesimo entrava nel cuore e nell' immaginazione dei cristiani delle classi colte. Il pericolo sugli esordi parve grave, che lo stesso Girolamo nel suo rude fervore volle sostituire ai clas- sici antichi la letteratura ebraica e affermare che i salmi va- levano quanto la lirica greca e che i seguaci di Cristo avevano in David il loro Pindaro (2). Allora Atanasio insinuava l'asti- nenza dai libri dei gentili, e Apollinare traeva fuori dal testo dell'antico Testamento i temi di composizione oratoria. Ma ben presto il partito dei più fieri oppositori dovette piegare; e sebbene nel quarto secolo la famiglia cristiana non avesse altra tradizione che quella dei vangeli, si pensò che gii anni della adolescenza, trascorsi nella scuola di retorica, non potessero contaminare la verità appresa nella chiesa. Per tanto Ago- stino osservò che l'eloquenza era una preparazione a cose più alte, che fortificava lo spirito e che, se si trovasse da cogliere il buono negli scritti de' pagani, non dovesse disprezzarsi, non aspeniendum (3). Oltre di che poi abbandonare quella lettera- tura, che era principio d'ogni pregio civile, liftemfura quae om- nium virtutum maocima est (4), era quanto perdere la memoria

(1) AuGUSTiN., De doctrina Christiana, II, 60, 61. Cfr. anche Ch. Da- niel, Les etudes classiques dans la société chrétieìuie, Paris, Lanier et C, 1853, e. III.

(2) Ep. LUI ad Paulinum. Cfr. A. Pubch, Prudence, étude sur la poesie latine chrétienne aii IV siede, Paris, Hachette, 1888, Introduct., pa- gine 8-11.

(3) De doctr. cfiri^t., IV, 4; Socrates, Hist. eccL, III, 26; G. Bois- siER, Lm fin du paganisme, étude sur les deniières luttes religieuses en Oc- cident au IV siede, Paris, 1891, I, 1. 2, pag-g. 176, 216, 234 e segg.

(4) Cod. Theod. XIV, 1, 1.

144 ^ poeti del tempo

della propria infanzia; e se ciò fosse avvenuto chiedeva Liba- nio con ambascia che ci resterebbe per distinguerci dai bar- bari? (1). Accogliere il cristianesimo senza respingere la bel- lezza letteraria ed artistica delle opere antiche fu dunque dif- ticile impresa e la causa dell' affannoso cimento delle coscienze. Sicché la storia che conosce il numero dei morti in una battaglia sotto la spada delle legioni vittoriose, non sa quante atroci tre- pidazioni costasse la battaglia dell' animo di tanti uomini colti e gentili e di tanti fervidi poeti in quella angosciosa crisi del- l' umanità. Era una contesa crudele. In Roma, mentre si levava vanto dell' erudizione di Simmaco, e i novatori e i con- servatori del senato, diviso in fazioni, osteggiavano il cristiane- simo, come una novità pericolosa; mentre Agorio Pretestato implorava di mutar fede a prezzo, l'aristocrazia vana e superba, aveva chiesto all'erudizione Macrobio, alla poesia di Rutilio Namaziano e di Claudiano, un ditensore vigoroso del vecchio partito, di cullar sugli esametri le sue voglie decrepite. Ma dalla scuola, dalla basilica, dal fòro il risorgimento della co- scienza cristiana, che s'impadroniva di tutte quelle reliquie di tradizione, di costume, di scienza e d' arte, che non contrad- dicevano alle sue dottrine, irrompeva. Le turpitudini del- l' Olimpo potevano rifiutarsi, pur accogliendo l' arte con cui erano narrate ; i vecchi numi potevano abbattersi come realtà, pur restando come parvenze artistiche, utili all' educazione del bello. . Come d'altra parte disprezzare la grammatica e la re- torica, che compivano allora il ciclo degli studi comuni?, come abbandonar l' eloquenza che era il fondamento della cultura, per la quale, affermava Seneca, s'apre la via a tutte le arti, facile ab hac ad omnes artes discursus? (2) Ma tra il rifiutare e r accoghere da principio la scelta fu quanto mai penosa, poiché que' timidi poeti della fede nuova si mostrarono da un lato rigidi nel gettar via tutto ciò che potesse offendere l'intelletto e l'a- nimo, e da un altro, amorosi cultori della latinità classica, non volevano nulla trasandare che potesse serbarsi. Così il loro studio fu cernita aspra tra pensiero e frase, tra idea ed imma-

(1) Epist. 872.

(2) Controv. II, praef.

I verseggiatori della Bibbia 145

gine, che li costrinse spesso a sopprimere un nome, a dimenti- care un epiteto, a spezzare a mezzo una metafora, a mutare il senso d' una perifrasi o d' una similitudine. E Proba tra essi volle persuadere stessa che l' intima poesia degli an- tichi g'reci e latini fosse quasi una corteccia alla superfìcie dei loro versi, da poter rapire agevolmente; e cosi togliendo via il mito troiano per surrogarvi la storia evangelica, si sentì forse felice di aver resa cristiana l' Eneide e d' averla cosi salvata dalla proscrizione dei canoni. Fu serena illusione, poiché r impresa di riconciliare il cristianesimo con 1' arte non riusci alla poesia didattica di Commodiano, di Paolino di Nola, di Prospero e d' Agostino, all' epica dei centonisti, ma soltanto alla lirica, che ebbe sorti più alte e più liete. P] pure in maggior numero i poeti nuovi attendono all' epica, in cui conservano tutta la tecnica antica di Vergilio, variando soltanto d' argomento. In verità 1' epica, come poesia dei fatti, allettava meglio l' ingegno loro, perché appunto i fatti nuovi della Bibbia e dei vangeli dovevano sostituirsi nell'opi- nione comune alle favole delle vecchie teogonie, perché que' fatti era d' uopo rendere familiari al popolo, che an- cora non li conosceva a pieno e che meglio li avrebbe ap- presi con la lusinga armoniosa del verso. Sicché tutta questa schiera di epici cristiani, a cui Proba appartiene, muove nella sua poesia da un nobile fine educativo d' istru- zione e d' apostolato ; e se cede a volte agli artifici della forma, secondo la moda degli stilisti e de' retori, vi si lascia andare non per frivolo desiderio di fama, ma per adescar i lettori, e aspersa di soave licore, insinuare nell' animo la dottrina.

Uno dei primi a tentare la prova fu Caio Vettio Aquilino Griovenco, prete spagnolo di grande famiglia, nobilissimi generis Hispanus, (1) vissuto nel tempo felice della pace costantiniana, e però di pochi anni forse più giovane di Proba. Scrivendo il suo poema dal titolo Libri evangeliorum quatuor, e non già Historia evangelica come credette l'Arevalo, egli s' attenne al racconto di san Matteo, salvo sul principio dove segue gli evangelisti Luca e Giovanni, e usò l' antica traduzione della

(1) HiERONYM., De viris illustribus, e. 84.

14G / verseggiatori dei vangeli

Bibbia, spesso ponendo a confronto il testo coli' originale greco (1). Ma la condizione dell' animo, tutto giocondo in quella primavera della chiesa nascente, e il fine morale del- l' istruzione cristiana, che si proponeva poetando, lo spronarono a far sentir la sua voce pur nell' austerità epica dei fatti che narrava :

Haoc mihi pax Christi tribuit, pax haec mihi saccli, quam foret indulgens terrae regnator apertae Constantinus (2).

Il prologo annuncia i suoi intendimenti. Nulla resta nel mondo e il mondo stesso sarà un giorno preda delle fiamme, ma nel lungo correre dei secoli molti uomini si renderanno celebri per azioni virtuose. I poeti accrescono il pregio di queste azioni co' loro versi, e la gloria di Vergilio e d'Omero vive eterna. Ma se i poemi, in cui la menzogna si mescola alle opere dell' eroismo umano dispensano una tal gloria, la verità immutabile, la certa fides, ci procurerà un'aureola im- mortale ; e però egli canterà le gesta di Cristo in terra con sincerità di storico e di credente. E tosto l'epopea s'inizia col regno d'Erode e la nascita in Bethlem per terminare col di- scorso alle turbe ; e gli episodi evangelici vi sono espressi or con maggiore or con minore ampiezza, secondo che indicava l'opportunità didattica. Giovenco, che raccoglie in tutta la letteratura cristiana del tempo, sebbene sacerdote, è cosi penetrato della cultura classica, che concede ai massimi poeti antichi l'immortalità della fama. Tuttavia consiglia ai cri- stiani di rifiutare la poesia viziosa e la mitologia seguendo solamente la verità; e perciò congiunge il racconto evangelico co' versi mirabili di Vergilio, che imita :

versibus ut nostris divinae gloria legis ornamenta libens caperet terrestria linguae (3).

(Il F. Arevalus, Juvenci Historia evangelica. Romae, 1792 ; C. Ma- ROLD, C. V. Aquilini Juvenci Libri evangeliorum IIII, Op. cit., 188fi. (2,1 Evang., IV, 805. (3j Evang., IV, 803.

/ verseggiatori della Bibbia 147

E in somma in lui lo stesso fine poetico che in Proba : illeggiadrire con la spoglia della poesia antica la verità nuova; donde molte locuzioni improprie, come chiamar Dio mmmus tonans, leti vieto)', mentis perspectov ; e Cristo proles tonantÌJi, lucis- que parens, mentre l' esempio del dettato evangelico gli con- siglia uno stile semplice e chiaro e versi facili e scorrevoli, che resero popolare il poema fino ai tempi carolini (1).

Non si sa se prima o dopo Giovenco fosse composta un'al- ti'a poesia intitolata De laudihus Domini, che fu a torto attri- buita a lui. Sono 148 esametri d'elegante fattura e con pa- lesi reminiscenze d' autori classici, in cui si loda il Signore come creatore del mondo e redentore degli uomini, e dalla bellezza delle creature s'argomenta la potenza di Dio. Forse per i frequenti cenni a luoghi della Gallia deve giudicarsi, come parve al Bnindes, opera di un retore d'Autun (2).

Parimenti incerto è il poeta del De Sodoma e del De Iona, due scritti in esametri del quarto secolo, di cui il primo deri- vato dal Genesi (1-29) narra in 167 versi la sorte riservata a Sodoma, la città corrotta sulle rive del Lago Asfaltide, una della tetrapoli cananea, e l'altro, tolto dal libro di Giona, riferi- sce in 105 versi le parole del profeta su Ninive, quando invi- tava gli abitanti della città a far penitenza. Che i'due poemi abbiano un intimo legame e che siano dovuti alla stessa per- sona apparisce dal prologo del secondo, che è incompleto e che forse si chiamerebbe meglio col titolo De Ninive. E fu lo scrittore un uomo di libero ingegno, che pur cedendo alla consuetudine letteraria di recare in bei versi latini la Bibbia, per difendere dall'accusa di barbarie la letteratura cristiana, adornò l' opera di descrizioni poetiche, come quelle del Mar morto e della tempesta, di narrazioni originali, fuor d^gli schemi retorici, d'immagini mirabili e di metafore di conio moderno.

(1) Cfr. M. Manitius, Op. cit., 42, 43 ; I. T. Hatfibld, A Sfinii/ of Iiivencus, Bonn, 1«90; F. Vivona, De luvenci poetae ampli ficationihus, Panormi, 1903 praef. ; C. Maroi.d, Ueher das Evaiigelienbuch des luvencus in seiìicm VerhaltnLs zum Bibeltext in Zeitschrift fiìr Wisseiischaftl. Theol. XXXIII, 1890.

(2) V. MiGNB, Patr. kit., XIX, 379-386; W. Brandbs, Ueber das friihchristliche Gedicht Laudes Domivi, Bninswich, 1887.

148 / verseggiatori dei vangeli

Oltre di che, si manifesta seguace del simbolismo, e s' ingegna di travestire col simbolo i fatti dell'antico Testamento, per cui r incendio di Sodoma ritrae le pene dell' inferno e Giona che esce dalla balena, la risurrezione di Cristo, come appunto ne' sarcofagi cristiani e nelle pitture cimiteriali dei primi secoli (1). Lavoro senza dubbio di maggior mole, e tale da lasciar supporre che fosse in animo all' autore versificare quasi tutto r antico Testamento, ci si mostra l' Heptateuchos di Cipriano Gallo, che fu per errore attribuito a Giovenco, mentre diffe- risce dal modo di poetare di questo nella forma narrativa, nello stile e nella metrica. Cipriano, vissuto certamente in Gallia, come provò il Miiller e all'esordio del quinto secolo, chierico o laico, retore o giureconsulto che fosse, studiò e conobbe i migliori poeti latini, primo tra tutti Vergilio, e si giovò della familiarità con essi a comporre esametri ed endecasillabi d'ele- gante bellezza. Il poema, che traveste i più notevoli tratti dei libri storici della Bibbia si divide in Liber Geneseos di 1498 versi, Exodus di 1333, Leviticus di 309, Numerus di 777, Deu- teronomium col Canticmn Moysi di 288, lesu Nave di 585, ludicum di 760, oltre a pochi frammenti* degli altri libri (2). Se il poeta si propose exornare arte le gravi pagine del racconto bi- blico, pur attenendosi con diligenza al testo, ciò gli riuscì a meraviglia, tanto che egli s' innalza di gran lunga per copia d' immagini e larghezza descrittiva sui panegiristi e sui para- frasti del tempo. La locuzione, tra vergiliana e volgare, perchè i fanciulli vi sentissero 1' eco della scuola e non sdegnassero la lettura nella chiesa, rese accetto il poema, sicché i verseg-

(1) Da prima furono posti tra gli scritti spuri di Tertxilliano nell' edi- zione dell' Oehler, Leipzig, 1851, II, 769-773, e di Cipriano dall' Hartel, in Corpus script, eccl. lat.., Vindobonae, 1868, III, 289-301; li ripubblicò nel voi. XXIII dello stesso Corpus, Cgi^riani Galli j^oetae Heptateucos., Vin- dobonae 1891, pagg, 212-226. Vedi anche St. Gajmber, Le livre de la Gé- nèse dans la poesie latine du V. siècle, Op. cit., 1899.

(2) Dell'opera di Cipriano si conobbero da prima 165 esametri, poi E. Martène pubblicò tutto il Liber Geneseos (Migne, Patr. lat., XIX, 283, 288) e I. B. PiTRA gli altri libri {Spicilegiian solesmense., Parisiis, 1852, I, 171-258; Analecia sacra et classica, Parisiis, 1888, I, 181-207), ma li ri- pubblicò meglio R. Peiper, Cypriani Galli poetae Heptateuchos, ed. cit.

/ verseggiatori della Bibbia 149

giatori che gii tennero dietro, e alcuni illustri, come Mario Vittore e Alcimo Ecdicio Avito, lo imitarono in più luoghi, e seb- bene Cipriano avesse seguito della Bibbia la versione prege- ronimiana, che nel sesto secolo sparve dall' uso dei cattolici, la sua versificazione, che soddisfaceva un bisogno degli uomini colti, restò autorevole e pregiata nelle comunità cristiane e ne' monasteri (1).

Si pensò appartenesse a Cipriano anche il carme Ad quem- dam senatorem ex chnstiana religione ad idolorum servitutem con- versum di 85 esametri, scritto al contrario poco innanzi il quinto secolo, da un retore non di Gallia, come stimò il Pei- per (2). Quivi, sebbene s' esaltino i fatti e le glorie della reli- gione cristiana, si mira soprattutto a rimproverare, anche con gli scherni, un senatore, che dalla fede di Cristo era passato al culto d' Iside e di Cibele. E parimenti hanno carattere polemico e non narrativo il Carmen adversus paganos, di 122 esametri, forse composto sul cadere del quarto secolo, quando dopo la vana prova d' Eugenio e del prefetto Nicomaco Fla- viano a favore del politeismo, questo assalito dai cristiani, minava e l' idolatria era ovunque disprezzata (3) ; e l' altro De providentia divina, creduto a torto di Prospero d'Aquitania, e che si deve invece ad un pelagiano d' età alquanto più tarda. In questo secondo poema, che oltre l'introduzione conta 875 esametri, V autore, un fervente sacerdote della Gallia meridio- nale, vuol confutare i dubbi sulla provvidenza di Dio, destatisi ne' timidi fedeli ai giorni dalle invasioni dei Vandali e dei Goti; e a compiere il suo disegno si rifa, sulle tracce del Genesi, aUa creazione del mondo e dell' uomo, alla storia ebraica fino all' uscita degi' israeliti dall' Egitto, alla redenzione di Cristo

(1) Cfr. H. Ph. Best, De Cypriani quae feruntur metris in Heptateu- cìium, Marburg-, 1891 ; e St. Gambbr, Le livre de la Génèse da7is la poesie latine V siede, ed. cit.

(2) Op. cit., 227-230. Cfr. anche Tbufpel, Op. cit., 1121; e M. Ma- NiTius, Op. cit., 146.

(3) La pubblicò L. Delislb nella Bibliothèque de fècole des chartes, s. VI, III, 297-303, poi Th. Mommsen in Hermes IV, 350-363. V. G. Dob- BELSTBiN, De Carmine christiano codicis Parisini 8084 cantra fautores pa- ganae superstitionis ultimos, Lovanii, 1879.

11

150 / verseggiatori dei vangeli

e alla sua missione sulla terra. Così per altra via dall' in-

tendimento polemico e didattico si torna alla narrazione epi- sodica dei parafrasti (1).

Ma chi con lo stesso fine di Proba e de' centonisti suoi alunni, continuò a verseggiare di materia biblica fu Ilario col carme In Gene.sin ad Leonem papam in 204 esametri, che riproducono con ordine e fedeltà la storia della creazione fino al diluvio e al ripopolarsi della terra. Il poeta, a giudizio del Peiper, non deve confondersi con Ilario di Poitiers, col vescovo d'Arles, a cui l' attribuì Sisto da Siena ; fu uomo di minor fama, cui forse era stata commessa l' opera a vantaggio d' un clero o d' una scuola (2). Ed é pur dubbio se a lui spetti 1' altro carme De evangelio, di 114 versi, in onore di Cristo, cui omnia festa niteni, frammischiato di voci ebraiche, che celebra la vit- toria di lui suir inferno e i benefici arrecati all' uomo (3) ; e quello più ampio di 394 esametri, dal titolo De martyrio Mac- cahaeorum. Quest' ultimo parve da prima scritto di Mario Vittorino, il famoso grammatico affricano, ma il Peiper lo disse d' Ilario, o almeno d' un poeta gallico del q^iinto secolo. I cinque fratelli Maccabei muoiono per la fede quasi a gloria deUa madre, che infiamma di continuo l'ira del tiranno e sprona i figliuoli ad affrontarla animosi. In lei, che parla come un' eroina di Seneca, predomina 1' amore della gloria secondo il pensiero pagano ; e i lunghi discorsi rivolti ai giovani e la divisione del poemetto in sette parti per narrare in modo si- mile la morte di ciascuno, fanno palese il gusto d' un retore, che lungi dalla diligenza scrupolosa di Cipriano e di Proba, deforma per gli effetti artistici il racconto biblico, pur man- tenendosi vergiliano di lingua e di stile (4).

Visse pur circa la metà del quinto secolo Claudio Mario Vittore, che Gennadio lodò come orator o rhetor Massiliensis e che intessè intorno all' argomento del Grenesi un vasto poema

(Ij A. Ebert, Op. cit. I, 316-320; M. Manitius, Op. cit., 170-180. V. anche A. Boucherie, Mélanges latina et bas-latins, Montpellier, 1875.

(2) S. Hilarii in Genesin in Corpus .s. e. L voi. XXIII, 230-239, e in prooemium XXVIII-XIX.

(3) Ivi, 270-274.

(4) Ivi, 241-269, 0. BardExNhewer, Op. cit. II § 87.

I verseggiatori della Bibbia 151

dal titolo greco Alethia, in tre libri (1). Dopo aver nella prcfLizionc innalzato un inno a Dio creatore e a Cristo reden- lore, il poeta conduce il racconto del Genesi nel primo libro sino all' espulsione dei progenitori dal paradiso terrestre, il secondo fino alla morte di Noè, il terzo fino alla ruina di So- doma ; e forse doveva seguirne un quarto, fino alla morte d'Abramo. In questo tessuto narrativo egli non s' appaga, come gli altri che abbiamo nominato, di riprodurre in versi il testo, ma vuol quasi interpretarlo e commentarlo ; donde di- gressioni di scienza, questioni teologiche sul fatalismo, sul po- liteismo e sulla condizione d'Adamo, e immagini poetiche di modello classico, alquanto discordi dal senso biblico. E ciò mostra, come osservò il Gamber, che ormai, perduto il rigore primitivo e cessato il timore riverente di recar offesa al senso della scrittura, la musa cristiana si muoveva più libera a far opera d' arte e di retorica secondo i precetti del tempo.

Tra Mario Vittore e Giovenco, affine ad essi di pensiero poetico e di vita va posto Celio Sedulio, poeta del quinto se- colo, che dopo essersi lasciato adescare dagh studi profani con- sacrò a Dio il cuore infiammato e si diede alla poesia religiosa per mostrare le vittorie della dottrina cristiana ed esortar tutti alla verità. Dirigendosi al prete Macedonio, suo amico, in- via a lui il Paschale Carmen, un' epopea in cinque libri e un prologo, in cui afferma aver prescelto la forma poetica non per spontanea ispirazione, ma perchè molti, che si lasciano lu- singare dalla dolcezza de' versi e disprezzano la prosa, jjer poeticas delicias et carminum voluptates avrebbero appreso la scienza divina (2). Uno scopo dunque didattico, che si ma-

(1) A. BouRGOiN, De CI. Mario Vietare rhetore christiaiio quinti sae- culi Parisiis, 1883; St. Gamber, Un rheteur chrétien au V. siècle, Mar- seiUe, 1881; e anche Le livre de la Génèse dans la poesie latine du V. siècle ed. cit. L' edizione migliore délV Alethia la diede C. Schenkl C. M. V. Ale- thia in Corpus s. e. l., voi. XVI, Vindobouae, Tempsky, 1887. Cfr. H. Maurbr, De exemplis quae CI. M. V. in Alethia secutus sit, dissert. inaiig. Marburg, 1896.

i2) I. HuEMER, De Sedala poetae vita et scriptis comvientatio, Vindo- bonae, 1878 ; C. L. Leimbach, Patristische Studien I. Caelius Sedulius und sein Carmen Paschale, Goslar, 1879.

1;>2 / verseggiatori dei rangeli

nìfesta anche nella narrazione epica, ove dopo aver nel primo libro tatto cenno di prodigi reiristrati nell' antico e nel nuovo Testi\mento. da Àbramo a Cristo, nel secondo ricorda la vita de' proi::enitori nel paradiso terrestre, i tatti del Redendore tino alla vocazione degli ai>ostoli. nel terzo i miracoli e le pa- rabole di lui. nel quarte la dimora in Giudea e V ingresso trionfale in Gerusalemme e nel quinto la passione, la morte, la risurrezione e 1' ascensione. Sedulio in somma si riferisce allo stesso argomento degli altri poeti, ma narra solamente i mirabilia della storia evangelica, e anzi più che naiTare, indaga il significato e interpreta il simbolo. Uscito anch' egli dalla scuola di Vergilio. conosce i segreti dello stile e del verso, ma un certo fervore ecclesiastico m>/!^fica ^'ignan.^ lo sprona ad istruire e ad accender gli animi, e gli ta considerare V arte un mezzo prezioso a servigio della fede. E questo desiderio d* apostolo d' ammaestrare e di commuovere si palesa anche maggiore nel Commoniforittìu di Orienzio, forse vescovo d'Auch in Gallia e coetaneo di Sedulio. un carme in 418 esametri, in cui i tatti s'annebbiano e si perdono e il monito a condurre vita cristiana e la preghiera a Dio per la conversione degli ostinati occupa 1' animo dell' autore (1\ ]\Ieglio s' appressa al contrario alla scuola epica e didattica Blossio Emilio Dra- couzio. d'agiata famigha affricana, il quale sul finire del quinto secolo incorse nell'ira del re vandalo Guutamondo, che poi tentò invano placare con la Safi.'ifacfio. E nel carcere maturò il suo poema Lainle-^ dei in tre libri, che celebrano la grazia di- vina mesticatasi nella creazione, le opere della creazione stessa. parafrasi dei primi capitoli del Genesi tino al tallo d'Adamo e alle pene conseguenti, la conservazione del mondo, la missione di Cristo e i suoi miracoli e la gloria di Dio. che pagani e cri- stiani con fatti memorabili hanno attestato nella storia. Cosi Draconzio. pur restando scrittore didattico, mescolò alla storia la lirica, e pianse e pregò per la sua liberazione nel tempo

1^1) Cfr. R. Ellis. Orienta Coìumonifonuin in Corpus s. e.l. voi. XYl, Vindobouae 1SS7. 191-261. L. Havet, Orietìtiana in Bevue de phUologie XXVI, 1902, 146-157: M. Maxitius, Op. cit. 192-201: R. Ellis, The Oìm- monitorinm of Orientine. Oxford. 1903.

/ verseggiatori della Bibbia 153

Stesso che effondeva versi la viva tede e la pietà del suo cuore (1). Ben lontano in ciò da xUcimo Ecdicio Avito, ve- scovo di Vienna in Gallia, al principio del sesto secolo, che nel De ^piritalis hisiorìae ge^is, riprendendo la tradizione dei pii espositori degli evangeli, trattava, ad erudizione del po- polo, in cinque libri, de origine mundi, de originali peccato, de ^ententia dei, de diluvio mundi, de transitu mari» rubri, sostando di proposito a commentare que' fatti, o reali o simbolici, che meno il volgo intendeva, con rigida chiarezza di maestro e con alata fantasia di poeta. Parve all'Ebert l'opera poetica più notevole sul testo biblico che vantasse l' antica poesia cri- stiana. E veramente la creazione dell' uomo, le nozze d'A- damo, l'inondazione del Nilo, il diluvio, la favola della fenice, la vita deliziosa nel paradiso, la morte effetto del peccato, son le pitture poetiche originali, che nell' unità compositiva mo- strano la potenza dell'ingegno d'Avito, che domina da signore la difficile materia (2).

Di Rustico Elpidio. che è ignoto se fosse il diacono amico d' Ennodio e medico di re Teodorico, morto in Spoleto nel .>33, o Elpidio Donnolo, amico di Sidonio Apollinare, o finalmente, come parve al Brandes e al Manitius, un discendente della Éa- miglia italica dei Flavi Elpidii. ci giunse un poemetto in 149 esametri De Christi Ie.ni heneficiis, che canta le lodi di Cristo in forma di panegirico, narrando della nascita, dell'adorazione dei magi, dei miracoli e della risurrezione in modo rapido e concettoso, e maggior concisione si nota anche ne' suoi venti- quattro epigranmii di tre versi ciascuno, In hi^oriam Te^a- menti ceteris et nom carmina, apposti forse come leggende sotto

1 F. V. Dlhìi. DrcLcontii carmina minora, Lipsiae. 1873. 80-90; F. Arevalo, Drac. Laude» Dei, Bomae, 1791, 117-3*56; W. Meter. Die Berliner Centone» der L. D. des Dracontius ne' SitzungsòericAte der kgl. preuss. Akad. der WisseTisch., Berlin. 1890, 257-296; I. B. Pitra. Aìia- lecta sacra et classica ed. cit. I, 176-180.

(2) Cfr. R. Peiper, Alcimi Ecdieii Aciti Viennensis episc. opera, in Mon. Germ. hi.st. ed. cit.. Berlino. 1883 ; e U. Cbevaukr, Oatvres complètes de St. Avit écéque de Vienne, Lion, 1890. A. Ebbrt. Op. cit. I, 376 e segg. ; M. Charaux, Saint Acite. érèque de Vienne, sa urie, ses oeucres, ihèse. Pa- ris. 1876.

154 / verseggiatori dei vangeli

quadri a fresco ; indizio questo, che ormai la grande corrente di poesia epica cristiana, che discendeva da Giovenco e da Proba, nel sesto secolo, per la diffusa conoscenza della scrit- tura e delle dottrine della chiesa, si disseccava, e i fatti noti ormai e ripetuti agli orecchi dei fedeli venivano appena ac- cennati nelle strofe della lirica o ne' brevi distici degli epi grammi (1). Tale si raccorcia la storia biblica ed evangelica nei Carmina di Sidonio Apollinare e nel Carmen paschale attri- buito a Claudiano Mamerto, prete di Vienna. Ma non si ste- rilisce perciò la narrazione apologetica, che ha in Paolino di Polla un singolare poeta. Nato in questa città di Macedonia nel 376, ove risiedeva il padre, prefetto dell'Illirico, fu da bam- bino condotto in Cartagine, poi in Bordeaux, patria de' suoi antenati e ivi chiudendo nelF animo la brama di consacrarsi a Dio, si diede tutto alla vita mondana. Sopraggiunta la morte del padre e l'invasione dei Goti sotto Ataulfo, perdette il pa- trimonio e nel dolore ricevette il battesimo e si volse all'asce- tismo. Questo sentimento nuovo gì' ispirò V Eucharìstichos deo, un poema di 616 esametri, in cui, dileguatisi i fatti evangelici dalla memoria del poeta egli intreccia le vicende della propria giovinezza alle vicende della comunità cristiana e della chiesa e ne vapora un senso mistico d'abbandono a Dio, una fiducia inebriante nella provvidenza e una speranza viva nella sere- nità del domani, quel senso e queir aspirazione che dovette germogliare nel!' animo dei popoli dell' impero percossi dal furore dei barbari, e che trasfigurato si perpetua nel medio evo come desiderio verso 1' eredità d' oltretomba (2).

Per tal modo, il ciclo della poesia epica d' argomento bi- blico ed evangelico, che s' era aperto con Proba e co' cento- nisti, si compie, senza che nessuno dei molti poeti che si sono accinti all' impresa, s' innalzi troppo per la difficoltà intrinseca del tema, su i versi della patrizia.

(1) Edizioni recenti delle opere di Rustico diedero H. Mueller, Got- tinga, 1868, e W. Brandes, Brunswich, 1890. Cfr. A. Ebbrt, Op. cit. I, 414, e M. Manitius, Op. cit. 380.

(2) W. Brandes, Paulini Pellaei, Eucharisticoa deo ephemeridis meae textu in Corpus s. e. L, ed. cit. 1887. I. Rocafort, De Paulini Pellaei vita et Carmine^ Bordeaux, 1890.

Le condizioni dell'epica 155

E in verità, oltre i freni imposti dalle leggi della poesia centonaria la svariata storia biblica e più la vita di Cristo tra- scendevano i confini dell' epopea. Nessun fatto dell'esistenza nostra e escluso da questa, a condizione che sia fantastica- mente trasformato e che l' azione si rappresenti perfetta non per convenienza morale, ma per apparenza e splendore di fe- nomeno. Il fatto, che è fondamento dell' epica, deve perdere i caratteri della specialità e della causalità e diventare, come afferma il Taine, una gran pagina della storia dell' essere, am- mirata nel fervore del sentimento e della fantasia. Or, se tra tutti i fatti che si offrono alla mente e cilla memoria del poeta alcuni più facilmente che altri si rivestono di forme ar- tistiche, non è però mai possibile rivestirne quelli che non sono umani, cioè che si compiono fuori della visione del mondo esterno e fuori del regno delle iiostre immagini. Poiché l'inge- gno più alacre e 1' animo più desto non riusciranno mai a render poetici pensieri astratti, teorie scientifiche, spiriti soprannatu- rali, a cui non s' addicano i colori dell' apparenza sensibile, che sola può produrre 1' epopea. Ma appunto nel quarto se- colo, quando l'antica materia epica dei miti ellenici cadeva in dispregio, perchè priva del consenso degli uomini colti e non commoveva più, il Genesi e la vita di Cristo, sostituiti come argomento nuovo, trascinavano il poeta in un mondo che non era epico, perchè sovrumano, e gì' impedivano di conseguire la creazione artistica originale. Per tal causa i poemi, che allora furono composti sul racconto biblico ed evangelico non iniziarono 1' epica cristiana, ma furono prove fallite, come pure riuscirono vani ne' secoli posteriori gli ardimenti del Dubartas con la Semaine, del Tasso con le Sette giornate, del Milton col Paradise ìost, del Vida con la Christias e del Klopstock con Der Messias, ritornati per altre vie sull'arduo soggetto. Spet- tava a Dante, libero dai rigori di discliplina, che vietavano d' alterare nulla nel testo sacro, mescolare 1' umano e il divino e render poetica la speculazione teologica nelle cantiche della Commedia.

Se tuttavia Dio creatore e Cristo redentore superavano gli apici della fantasia umana, restava largo campo ai fervidi poeti cristiani d'esaltare ne' versi gli apostoli, i discepoli, i martiri della fede, cioè i propagatori e gli eroi, che con in-

156 L'epica degli eroi cristiani

vitta virtù avevano insegnato, combattuto e sofferto nell' età delle persecuzioni precedenti. Sentì quest' ispirazione tra i primi Damaso, che pontificò dal 366 al 384, e ne' tituli o iscri- zioni sepolcrali metriche, che il calligrafo Furio Dionisio Fi- localo incise con rara perizia, eternò la gloria dei martiri che dormivano nelle catacombe del suburbio di Roma (1). Una vi- sita alla città eterna parimenti, poco appresso, porgeva occa- sione ad Aurelio Prudenzio, forse il maggiore poeta cristiano, di scrivere il Pendephànon, una raccolta di quattordici inni in onore dei campioni della fede di Spagna e d'Italia (2). Ma una poesia di carattere narrativo ci offrono meglio i Carmina na- talicia di Meropio Paohno, il dolce amico d'Ausonio, che for- mano quasi un'apologia poetica, una serie di quattordici canti laudativi sul sepolcro di san Felice in Nola, eh' egli con la moglie Terasia s' era condotto, come suo patrono, ad onorare. Anche un'ampiezza maggiore, senza sentimento lirico, acquista la narrazione delle gesta d' un uomo nella Vita sancii Martini di Paolino di Petricordia, vissuto nel quinto secolo, scritta per consiglio del vescovo di Tours, Perpetuo, e che è versificazione epica, a volte dimessa, a volte elegante, della storia di Sulpi- cio Severo (3). S'allontanò da questi poeti agiografi nel sesto secolo Aratore col De actihus apostolorum, un poema dedicato a papa Vigilio e letto al popolo pubblicamente in San Pietro in Vincoli, che si mostra una larga parafrasi vergiliana degli Actus, in cui all' esposizione storica dei fatti si congiunge l' in- terpretazione allegorica, la typica ratio del testo. Ma torna ben presto a prevalere la moda di raccogliere azioni d' uomini insigni in brevi poesie ad ammonimento e a ricordo, come s' osserva nelle epigrafi di Sidonio Apollinare, nei Carmina di

(1) M. Jhm, Damasi epigrammata, ed. cit., Lipsiae, 1895; cfr. M. A- MEND, Studien zu den Gedichten des Papstes Damasus, Wiirburg, 1894.

(2) A. Dressel, Aurelii Prudentii Cleinentis quae extant carmina^ ed. cit., Lipsiae, 1860; cfr. F. Maigret, IjC poète chrétien Prudence in Science catholiqiie, XVII, 219-227, 303-313.

(3i W. Hartel, Sancii Pontii Meropii Paulini carmina^ ed. cit. Vin- dobonae, Tempsky, 1894, M. Petschenig, Paulini Petricordiae quae super- sunt^ ed. cit. Vindobonae, Tempsky, 1887. V. anche G. Boissiek, La fin du paganisme, ed. cit. II, 57-121.

L'epica degli eroi cristiani 157

Ennodio di Pavia, e in quelli or elegiaci ed ora storici di Ve- nanzio Fortunato (1). Giunti però a lui, la narrazione agiogra- fica in versi perde quasi ogni valore diretto, scema di veracità e d' ordine, e quando non si riferisce a persone e a fatti re- centi, diviene ne' tempi carolini mezzo di gare letterarie e d'eser- cizio scolastico.

Ma per le cause, cui abbiamo accennato, e per le doti del suo spirito, tutto commosso ne' fervori della conversione cristiana. Proba non potè rifarsi alle gesta dei martiri, e pre- scelse in vece la storia evangelica, con cui fece ammenda delle anteriori poesie profane, e giovò insieme all' educazione dei giovani nella fede. Che fosse ciò nell'animo suo, oltre che dai versi che chiudono il centone :

et si pietate meremur, hac casti maneant in religione nepotes,

che più che un voto è l'espressione d'un fine, che destinava il libro a pubblica lettura, si mostra dall' osservare che anche i codici più antichi, in cui si trova trascritto il poema, come già avvertii, sono libri didattici o manuali di scuola. Sicché fin da principio, forse perchè tosto fu nota l'intenzione della pia donna, il libro entrò nelle scuole e vi dominò, commentato e imitato universalmente fin quasi al secolo decimo. Anzi a renderlo accetto a questi nepotes, cui Proba lo affidava, cooperò il pregio intrinseco e l'efficacia morale del centone, poiché, ove si consideri la difficoltà superata, ben più grave che non quella affrontata da Ausonio, s'è indotti a concludere che non poteva riuscire migliore. Se 1' ordine distributivo dei fatti è manchevole, se un unico pensiero che predomini si cerca in- vano, se il nesso tra un episodio e V altro si perde ne' bruschi

(1) Aratoris, De actìbus apostolorum, ed. cit., Patr. lat., voi. LXVIII; C. L. Leimbach, ijber den Dichter Arator in Theolog. Studien und Kritik. XLVI, 225-270. Cfr. anche P. Rasi, Saggio di alcune particolarità nei di- stici di s. Ennodio, in Rendiconti del r. Istituto lombardo di scienze e let- tere, II, s. XXXV, 335-353; Fr. Leo, Venantius Fortunatus in Deutsche Rundschau, XXII, 414-426.

158 II centone e la poesia classica

e improvvisi passaggi di stile, pure senza lusso di ornamenti retorici e senza reminiscenze di mitologia, un vivo sentimento interno s'affatica a rianimare i versi inerti e spezzati. L'arte si sveglia con l'ispirazione e si rivela nella parola spontanea, ma qui la sua espressione è si fieramente contrastata dalla tecnica centonaria, che si direbbe quasi si lasci scorgere ap- pena senza apparire. Tuttavia bastano questi scarsi indizi di potenza poetica, sia che Giovanni esclami verso Cristo:

Deus, ecce deus, cui maxima rerum verborumque fldes ;

sia che la natura s'inviti a cantar le lodi del Signore:

ipsi laetitia voces ad sìdera iactant intonsi montes ;

o che finalmente Proba stessa, pentita delle colpe, si volga con tenera fiducia al cielo :

quae sitiens hausi sanctae libamina lucis

bine canere incipiam, praesens, deus, erige mentem ;

a farci consapevoli che attraverso la frase vergiliana essa per virtù d'ingegno giunge a manifestare un sentimento vero di nuova fede e di nuova pietà. Ecco perchè il medio evo la scelse a maestra ne' suoi chiostri, ecco perchè, pur adoperando l'artificio de' centonari, essa si segnalò con lungo intervallo nella schiera degli scrittori pagani contemporanei. Questi in vero, quando l'ellenismo alessandrino predominò e l'imita- zione greca e orientale nel costume e nelle lettere sopraffece la letteratura latina, non ne schivarono i difetti ; e si mostrano ingombri di vana erudizione, seguaci d'uno stile falso e po- sticcio, formato d'epiteti preziosi e d'immagini strane, e ricer- catori inopportuni d' aneddoti, di sentenze e d' allusioni sconve- nienti. vSon uomini educati da grammatici e da sofisti, che perduta ogni grande idea, dopo aver raccolto fatti e giudizi diversi spigolando, danno un ordine alla collezione, si dirigono ad un simulacro d'eroe e volgono in eroismi le imprese voi-

I cristiani e la letteratura classica 159

gari della giornata. Nulla anima più la parola scritta; la scuola si perde negli esercizi di composizione su temi proposti, che poi risonano declamati nell'aula del principe. Son nar- razioni, confutazioni, elogi, paralleli, interpretazioni di leggi. Il commento arguto e sofìstico, l'esame del libro, la soggezione alla lettera d'un testo, l'esegesi bizzarra e sterile divengono metodo primario nello studio della retorica, e quel metodo che domina poi ne' tempi posteriori (1). Cosi l'arte che faceva an- cora pompa di ne' romanzi di Petronio e d'Apuleio, nelle prose di Frontone, ne' libri eruditi di Macrobio e di Gelilo e ne' versi di Claudiano, sembra inferma e incolora e, senza ombra d'idea- lità, diventa mezzo all' ambizione e cespite alla ricchezza. Nel secolo quarto i poeti s'erano adunati in una setta chiusa e neir indcigine impaziente del nuovo accrescevano le difficoltà d' un' estetica, che aveva V unico scopo di meravigliare. Ma il cristianesimo, che con la mite dolcezza delle liriche, con la schietta evidenza de' sermoni popolari, con la dottrinale sempli- cità dei catechisti scendeva potente nel cuore come forza be- nefica che risana, parve a Proba atto a salvare a nostro vantaggio quella poesia, che, quale prezioso legato del mondo antico, poteva sopravvivere ancora, e sentì perciò crescere il disprezzo per la fatua retorica e l'ipocrita falsità dei versi. Sicché ella possiede quel che manca ai contemporanei: una buona intenzione, un nobile scopo e i migliori sentimenti per conseguirlo. Lo Schenkl, che accuratamente esaminò il testo del centone, dice di lei che era in vero fornita di facoltà poetica e che per questo avanzò gli altri centonisti, e 1' Ebert, che giudica l'opera un mosaico mal riuscito, ove il senso è oscuro e la dizione anfibologica, avverte però che dovette al- lora quel verso parlare agli animi e che in breve acquistò un alto valore morale (2). Questo notava anche il Bàhr, rile- vando quanta predilezione i primi scrittori cristiani nutrissero per Vergilio, accolto anche dagli uomini di più timida coscienza, come il poeta casto e sincero, per mezzo del quale Proba, 8e-

(1) M. Roger, L'eìiseigìiemeìit des lettres classiques d' Ausoiie à Alcuin, Paris, Picard et f. 1905, eli. I, 9-18.

{2) Op. cit. voi. I, 1. 2, e. 2, 120-121.

U>0 Significato storico del ceAitone

dulio e Giovenco non sdegnarono cantare le cose più nobili delia vita (1). La profonda conoscenza della storia biblica ed evangelica e l'incomparabile cultura vergiliana, secondo l'opinione del Manitius, destarono un'ammirazione singolare, tanto che lo stesso decreto di Gelasio fu dimenticato e il cen- tone entrò trionfando nella scuola (2). Il dissidio che pareva aver aperto un abisso senza fondo tra il classicismo pagano e il rigore dei donimi e dei fatti del cristianesimo, era composto, e il pensiero della verità spirituale si congiungeva, come suona più tardi V efficace parola di Cassiodorio, con l' arte : « linde et anima susciperet aetemam salutem et casto atque purissimo eloquio pdelium lingua comeretur », che fu il sospiro costante e spesso inappagato di tutta la scuola del medio evo (3).

In ogni decadenza civile, mentre la forma letteraria s'im- porpora, vien meno il pensiero; e però, se fu dannoso alla letteratura cristiana lo svolgersi in tempi di tumulto politico e di disordine sociale, la schiera illustre de' suoi scrittori, che divulgano e difendono la religione nuova innanzi ad un popolo avvilito e corrotto e che s'appropriano la lingua e l'arte già sterile e sfiorita per ravvivarla con un alto pensiero, è un esempio notevole nella storia. Negl'inni di Prudenzio i mar- tiri muoiono raggianti di letizia, nell'Ottavio di Minucio i filo- sofi disputano con l'ardore d'una dialettica vigorosa, e negli scritti di Lattanzio, d'Ambrogio e d'Agostino gli storici si ren- dono conto de' grandi avvenimenti, che si compivano, inten- dendoli stupiti. Apologisti, polemisti, poeti, retori, oratori, che si dicono campioni di Dio, s'affollano nelle province del- l'impero e contrastano con la mollezza degli eclogisti e dei romanzieri e con l'oscenità dei pantomimi sui teatri. Il sentimento fiero loro l'audacia con cui afferrano il lembo estremo della lingua classica e ne trasformano la parola: Ci- cerone, Livio, Ovidio e Vergilio saranno purificati e costretti a

(Ij Op. cit. I, 230-231, nota.

(2) Op. cit. pag-g. 124-128.

(3) R. PiCHON, Hist. de la littérat. latine^ Op. cit. 1898, osserva: < Gomme l' evangile et la poesie classique ne se rassemblant guére, il est assez difficile d' imposer au premier les formcs habituelles de la seconde » , pag. 879. Cfr. anche M. Schanz, Op. cit., IV, 197-199.

Significato storico del centone IGl

significare i pia mimerà Christi. Or, se può parer insolito il culto letterario al centone di Proba, meglio che a tanti altri poemi, per chi giudichi senza penetrare nel segreto delle cause, la meraviglia cessa, se queste cause s'intendono a pieno.

Le parole vivono quando in qualunque modo portino segnata r impronta profonda dell' animo ; e la poetessa tale impronta r ha lasciata nel suo lavoro. Poiché per quante censure pos- sano rivolgersi ad essa, nessuno l' accuserà mai d' aver durato la folle fatica vergiliana per ambizione o per trastullo. E questo poema, che significa nella sua muta e arida unità la lotta tra la retorica classica e il pensiero cristiano e tra due letterature diverse, questo poema, dico, che toglie la forma dall'antica e l'idea dalla nuova, perchè l'una aveva eccellente la forma e l'altra sincera l'idea, è un singolare monumento, nella storia letteraria, della battaglia che angosciava nel quarto secolo tutte le anime colte e del desiderio de' cristiani d'esprimere la nuova dottrina con un'arte pari all'antica.

Proba aveva precorso i tempi : aveva creduto ingannandosi che fosse tosto necessario dare al pensiero suo una bella forma, in cui potesse riplendere ; gliela volle dare uscendo dalla lingua, che le sembrò vile e abbietta, e già infarcita di volgarismi provinciali della sua età, e tornò indietro, al più sacro affetto, al più dolce ricordo forse della sua adolescenza di patrizia, alla più cara eredità degli avi suoi coltissimi, che dormivano con- soli negli avelli. Tornò indietro felice della colpa, e tra i sensuali poeti pagani, pittori di mollezze e di peccati, e pur am- mirati per r arte, e la purezza del domma cristiano, tese le brac- cia al suo Vergilio, che, quale a Dante nella selva, le apparve un salvatore; mentre avrebbe dovuto aspettare affinchè più tardi sul vecchio ceppo dell' aureo latino fiorissero gi' idiomi popolari e fiorisse con essi la lirica e l' epica nuova. Il dolore dell' ab- bandono della poesia classica, che la morale cristiana vietava e insieme l'amore per essa e l'accesa brama che il cristiane- simo ne trionfasse, la stimolò al cimento vano. Ma è pur vero che a volte un dubbio tormentò le anime, che passarono sulla terra nelle agonie chiuse della coscienza di credente e nei na- scosti e spesso contrari affetti di poeta; e le tormentò in guisa, da indurle anche a cedere all'artificio ignobile e meschino della poesia centenaria.

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INDICE

pag.

I. Notizie sulla, vita di Proba. Il cristianesimo nella siia fa-

miglia. L'occasione dei poemi e il fine morale dell'opera letteraria ...........

II. I centoni nell' antichità classica. L' imitazione epica e gli omeristi latini. I centoni omerici. Metrica e stilistica del centone. Le regole d'Ausonio. I centoni latini. Il culto di Vergilio ne' primi secoli dell' impero. Esercitazioni ver-

giliane. I centoni vergiliani » 19

III. Il « Cento Probae ». La fama presso i contemporanei e nelle scuole del medio evo. I codici e le edizioni. Esame dell'argomento. Episodi biblici ed evangelici ...» 56

IIII. L'arte di Proba. Criteri e mezzi della narrazione epica. La copia descrittiva e gli episodi prescelti. Il valore poe- tico. L' imitazione da Lucano. Variazioni prosodiche e lin- guistiche. La fraseologia vergiliana e il significato nuovo. » 97

V. Proba e i poeti del tempo. I verseggiatori della Bibbia e dei. vangeli. L'epica dei martiri e degli eroi cristiani. Il cristianesimo e la letteratura classica. Significato e impor- tanza storica del centone ........ 142

Finito di stampare il SO giugno del 1909

dalla Unione Tipografica Cooperativa

in Perugia.

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