THE FIELD MUSEUM LIBR. DLL KIKIPAKU 3 5711 00015 1523 RR jon crERAR È (PERARICS 9 CHICAGO. via RT «da A, FR - NATURALISTA SICILIANO ORGANO DELLA SOCIETÀ SICILIANA DI SCIENZE NATURALI (GIÀ DEI NATURALISTI SICILIANI) ANNO VENTIDUESIMO NUOVA SERIE —VOL. II. PALERMO Stabilimento Tipografico Virzì GENN. - DIco, 1914 KA ANNO XXII 1914 Nuova Serie —Vol. 2°, N. |. IL NATURALISTA SICILIANO © _-_-----<--<<<{“ SECONDA NOTA SULLA SABBIA DEL DESERTO DI TRIPOLI. (SPECIE VIVENTI E FOSSILI) -—_r_n rm Nel 1894 pubblicai nel Naturalista Siciliano « Taluni appunti sulla sabbia di Cartagine e dei dintorni di Tripoli » e descrissi talune picco- lissime specie da me scoperte in mezzo alla sabbia. Le fig. 1-15 ripro- ducono le specie descritte in detta memoria. Nella occasione dell’ occupazione e conquista fortunata di Tripoli, pregai mio cognato il March. Parodi, capitano nel regio esercito di farmi avere dei campioni di sabbia dell'interno, e precisamente dai posti avan- zati di Ainzara nel deserto tripolino. Egli esegui gentilmente la mia commissione inviandomi per posta una piccola quantità di sabbia del deserto di Ainzara. Dei campioni ricevuti uno contiene mescolati all’ arena dei fram- menti più o meno minuti di gusci di conchiglie, l’altro ne è quasi del tutto privo. La sabbia ha un colore giallo alquanto rossiccio è formata di elementi piccolissimi e stritolati evidentemente dal vento. Il colore è omogeneo ed è quindi differente di quella osservata nel 1894 sebbene abbia con essa delle analogie. Probabilmente quella allora esaminata dovea provenire da località differente più vicina alla spiaggia. Ora tale pulviscolo è assolutamente identico a quello meteorico che suole cadere in Sicilia quando soffia a lungo e con veemenza lo scirocco. La polvere più fina viene evidentemente sollevata nelle alte regioni atmosferiche e trasportata a grandi distanze fino nel centro di Europa. Esaminando attentamente l’ arena con una forte lente o meglio con un leggero microscopio, si osserva che essa è composta di fram- menti piccolissimi di roccia cristallina trasparente che mi pare in mas- sima parte del quarzo. Strofinandola sul vetro lo scalfisce. Però tra i granuli quarziferi se ne trova (raramente) taluno scuro rossastro 0 color seppia forse dovuto a concrezioni humifere -sgretolate o a parti lore 422468 — De d celle di ossidi ferrosi. È precisamente senza dubbio dovuto a questi ultimi il colorito giallo rossiccio della sabbia. Contiene essa ben poche sostanze solubili. Sebbene è in massima parte quarzifera, contiene pure dei rari piccoli frammentini bianchi risultanti da frammenti minutissimi di gusci di conchiglie e di frammenti di rocce calcaree lontane. Però tale quantità di calce cosparsa nella sabbia è molto esigua, infatti l’ef- fervescenza sotto l’azione dell’acido cloridrico ha breve durata. Io credo che tale sabbia potrebbe essere utilizzata con molto van- taggio per ammendamento delle terre compatte, e per essere unita alla calce per la preparazione della malta. Forse potrebbe diventare un coef- ficiente di esportazione importante, di minimo reddito se l'esportazione fosse limitata, ma non indifferente se estesa. Da nessuno è stata sug- gerita tale proposta. Questa sabbia potrebbe anche essere utilizzata per la fabbricazione di grès. È noto come tale industria, nata da pochi lustri, abbia preso un considerevole sviluppo per la fabbricazione di tubi, doccioni ete. — Potrebbe anche essere adoperata in consociazione all’argilla per la pre- parazione del cemento idraulico. Evidentemente poi si presterebbe bene alla fabbricazione del vetro. Dall’esame, che ho io fatto così superficialmente, non mi pare che contenga sufficienti elementi /di fertilità. Però atteso la minutezza dei granuli e atteso la temperaturalelevata della regione, se fosse sufficien- temente irrorata dovrebbe facilmente coprirsi di vegetazione e dar luogo rapidamente alla formazione di humus, di cui ora non contiene che po- che tracce. Avendo eseguito un accurato esame microscopico ho rinvenuto ta- luni rarissimi piccoli gusci calcarei che sfuggono alla lente d’ingrandi- mento consueta, essendo di una dimensione molto minore di un milli- metro. Ho riconosciuto sei piccole specie di cui due (fig. 16-17) mi paiono fossili. Gli altri quattro (fig. 18-21) sono viventi. Ho osservato che la maggior parte dei granuli della sabbia sono frammenti a spigoli irregolari (fig. 25), paiono all'occhio di color giallo rossiccio, invece sono perfettamente vitrei e trasparenti. Il colore è do- vuto a polvere estremamente minuta di ossidi di ferro e di humus che li insudiciano o incrostano. Vi sì trovano però raramente anche dei granuli rotondi bianchi di dimensione maggiori degli altri (fig. 23-24). Questi paiono invece formati di sostanza calcarea. Ve ne sono taluni rari (fig. 24) lenticolari della forma di nummutili microscopiche. Taluno Mn invece ha la forma perfettamente sferica (fig. 23). Si possono fare delle congetture intorno alla loro origine; potrebbero essere resti di disfaci- mento di roccie pisolitiche, potrebbero essere anche frammenti di gusci di conchiglie o frammenti di rocce logore dallo strifolio della sabbia silicica e ridotti così in forma regolare; talune potrebbero essere anche delle foraminifere corrose. Ne ho trovato un granulo (fig. 22) che in- grandito ha l’ apparenza di un echino microscopico; si tratta con ogni probabilità di accidentalità e non di altro. In ogni caso bisogna tener conto della lunghissima e continuata azione di confricazione e di cor- rosione per le continue scalfiture prodotto dalia sabbia silicia. Atteso la piccola dimensione e la leggerezza dei gusci da me esa- minati, non è del tutto escluso che possano anche essere stati traspor- tati dal vento a distanza, sia dalle dune più interne del deserto, sia dal mare, ma con maggiore probabilità dallo interno. La conquista della Tripolitania offre un campo vastissimo non solo all’attività industriale italiana e alla sua espansione coloniale e com- merciale, ma anche un grande campo scientifico. Atteso il fanatismo dei suoi abitanti, le cattive comunicazioni, il clima inclemente, il pes- simo governo da cui è stata amministrata, è uno dei paesi meno esplo- rati dal mondo intero, sebbene così vicino ai maggiori centri di civiltà. L’ Italia ha assunto un grave compito. Gli scienziati italiani hanno da parte loro anche il dovere di cooperare non solo all’ esplorazione e il- lustrazione scientifica di questa grande regione, ma anche di dare dei suggerimenti per cercare di ritrarne il maggiore vantaggio con utili scoperte e applicazioni. Indubbiamente è per ora la parte agronomica che più bisogna tenere a cuore. Occorrerà tentare l'introduzione di nuove coltivazioni redditizie : il caffè, il cotone, la gomma elastica, la guttaperca, la gomma arabica, il tamarindo, il ramiè ete. L'acqua è il sangue della terra. Con macchine eduttrici dell’acqua del sottosuolo (che in molte regioni ne contiene in sufficienza) si potrà trasformare in breve tempo una landa desertica in giardino molto redditizio. La sab- bia ha una doppia utilità: da un lato impedisce l’evaporazione dell’acqua ammagazzinata nel sottosuolo contrastando con gli effetti della capilla- rità, e dall'altro si presta per la grande finezza dei suoi elementi a dar vita alle radici. Ciò che difetta è l’humus, ma questo è facile a for- marsi per il disfacimento delle foglie e dei detriti organici, perchè una volta che vi sia la possibilità di una irrorazione artificiale, con il calore subtropicale che vi domina, la vegetazione vien su rapidamente. Senza acqua, la sabbia resterà sempre sterile e infeconda. dubigiia To credo che in Tripolitania si potrebbero tentare con buon esito le pompe a foratina. Io ho visto in qualche sito nel Veneto che riescono stupendamente, ove il sottosuolo è ricco di acqua. Il metodo è il se- guente. Un tubo di ferro si salda con una punta conica di acciaro. La parte presso a detta punta (che è massiccia) è lateralmente forata da vari buchi che danno accesso all’ acqua. Il tubo si pianta nel suolo, si manda gradatamente giù invitandosi sopra altri tubi sino a che si rag. giunga presso a poco lo strato acquifero. Quindi s’invita superiormente una pompa aspirante. È naturale ehe la profondità non sarà maggiore di 10 metri, anzi in pratica non deve superare 8 metri. Bisogna per un certo tempo lavorare a tirar su l’acqua fangosa. Gradatamente si forma all’ estremità del tubo un vacuo ricolmo di acqua la quale viene poi aspirata dalla pompa sufficientemente pura. Ho appreso che tale metodo, che è così facile ed economico, è ora introdotto anche in varie contrade degli Stati Uniti. Io credo che nelle dune della Tripolitania potrebbe essere esperimentato con felice risultato e potrebbe rendere utilissimi servizi. Esso ha il doppio merito della praticità e della massima economia. In talune contrade potrebbero anche essere introdotte con felice risul- tato le norie di tipo siciliano. Queste per l’inaffiamento e per il facile uso sarebbero preferibili in molti casi, ma hanno due inconvenienti : uno è quello della necessità di un pozzo rivestito da muratura ove il suolo è sabbioso e quindi di una spesa non indifferente, l’altro è quello che l’acqua nel pozzo rimane scoverta e facilmente inquinabile. Però ove il sottosuolo è roccioso e ove l’acqua sia destinata a irrigazione le norie siciliane possono rendere servizi meravigliosi. In Tripolitania esi- stono dei meccanismi primitivi analoghi, ma non con trazione circolare, bensì ad andirivieni, il che produce sciupìo di lavoro e di tempo con- siderevole. Più che dai depositi di salgemma e da quelli di zolfo si potrà trarre profitto da quelli fosfatici che debbono trovarsi in buona copia special- mente dalla parte verso la Tunisia. Nè è punto a escludersi che si pos- sano trovare delle miniere carbonifere. Da taluni viaggiatori sono stati portati delle conchiglie dal Fezzan dei pressi di Murzuck che paiono debbano ascriversi al gen. Productus. Quindi è evidente che vi è la possibilità che là si possa trovare scavando qualche banco di carbon fossile. Dai beduini sono qualche volta vendute sul mercato di Tripoli delle sabbie aurifere secondo testimoniano vari antichi viaggiatori. Non è improbabile provenghino da regioni ancora più a sud di Murzuk, ove si trovino larghe regioni ove affiorano rocce cristalline paleozoiche. Ma è questa una mia semplice supposizione. ga La Cirenaica si presta più che la Tripolitania alla trasformazione agricola, essendo colà il clima più mite e la terra più ferace. Molti te- sori archeologici si scopriranno eseguendo degli scavi in quella regione un tempo così famosa. Certamente molto studio e molto danaro sarà assorbito dalla nuova terra italiana, ma, speriamo, con prospero risul- tato. Di ciò non è qui luogo a parlare; però avendo fatto cenno degli studi agronomici futuri, non so astenermi di far cenno della stupenda illustrazione della flora di Tripoli recentemente fatta dai signori Durand e Baratte (1910 F/lorae Lilycae prodromus Genève) con un cenno geolo- gico del mio illustre amico il prof. Stanislas Meunier. È un lavoro con- dotto con la massima cura e con grande dottrina ed erudizione, anche riguardo alla ricca bibliografia, però tratta naturalmente solo la parte meramente scientifica tassonomica e non quella agronomica. Uno degli esploratori della Tripolitania è il dotto Schweinfurth (il quale abita al Cairo) che ebbi il piacere dl conoscere personalmente qui in Palermo. Fui molto amico e corrispondente di due geologi preclari e tanto rim- pianti il prof. Beyrich di Berlino e il prof. Zittel di Monaco, i quali pubblicarono importanti lavori attinenti al deserto libico. Recentemente il sig. Leon Pervinquière ha presentato all'Istituto di Francia un interessante nota sulla geologia dell’estremità sud della Tu- nisia e Tripolitania di Ghadamés (Comptes rendus, Dic. 1911 pag. 153). Un lavoro molto largo e ben fatto è stato pubblicato dal sig. J. W. Gre- gory nel «Quaterly Journal Geol, Society » London N. 268, Nov. 1911, sulla Cirenaica i di cui risultati sono di grande interesse perchè frutto di lunga e accurata osservazione e perchè riguardano una regione ine- splorata. Percorrendo il detto lavoro mi son formato un’idea che le forma- zioni della Cirenaica devono moltissimo somigliare a quelle della pro- vincia di Siracusa, Noto, Pachino le quali s’ iniziano con il eretaceo e e salgono su sino al miocene senza « hiatus » e si continuano sino al pliocene e al postpliocene. Naturalmente le formazioni più recenti si trovano in lembi per le erosioni subite. Questa formazione si riscontra anche in Malta ed è costituita dalla serie creto-terziaria. Ciò che mi pare più caratteristico è questo: che a giudicarne dalle mie osservazioni nelle dette regioni di Sicilia si trovano raramente delle fratture ma non delle discordanze. I terreni poggiano l’uno sull’altro non solo in concordanza ma per lo più in senso orizzon- tale. È ciò spiegabile dall’ essere avvenute delle lentissime emersioni e sollevamenti e non per zone limitate ma per zone abbastanza vaste e AGI così parimenti gli sprofondamenti sono probabilmente avvenuti in modo gradato e continuo. La presenza della zona nummulitica in Cirenaica ha una grande importanza, tanto più per la identità dei tipi con quelli delle Alpi e dell’Italia. Ma non è qui luogo a trattenermi intorno a ciò ; passerò invece ora in rassegna le poche piccole specie viventi e fossili che ho potute rintracciare in mezzo ai campioni di polvere del deserto di Ain- zara di cui precedentemente ho parlato. Delle due tavole che accompagnano questa breve memoria, la prima non riguarda le specie in essa esaminate, ma riproduce le specie citate nella memoria precedentemente scritta e inserita in questo medesimo giornale della quale ho fatto sopra cenno, ed appartiene quindi alla suddetta, che ha per titolo: « Taluni appunti sulla sabbia di Cartagine e dei dintorni di Tripoli, 1894 ». La seconda tavola riguarda il presente lavoro. Conchiglie fossili e subfossili Phasianella sp.? Fig. 16. Un piccolo individuo lungo °/, di millimetro largo !/,. Non si può asserire se sia da ascriversi a conchiglia marina o terrestre. Nel primo caso potrebbe essere una Phasianella, nel secondo caso un Bulimus. Pare si tratti di specie fossile anzichè vivente, a giudicarne dal modulo interno. Odostomia sp. ? Fig. 17. Un piccolo esemplare lungo un millimetro e largo */,. Pare si tratti di conchiglia fossile anzichè vivente. Se marina potrebbe essere un’odo- stomia, se terrestre potrebbe essere un bdulimus. Conchiglie viventi Helix brocchiana Cale. Fig. 18. Benoit. Conch. Ter. Sic., p. 145, tav. 4, f. 10. Ho esaminato un esemplare che ha un diametro di un millimetro. Esso mi pare molto simile se non identico al tipo descritto da Benoit. Questo avea la dimensione di appena più di un millimetro (1 ‘/.) cioè presso a poco quanto il nostro. Helix sp. Fig. 19. È una piccolissima conchiglia di circa !/, millimetro, del tipo della H. Aspersa Mull e della Mazzulli Jan. però di dimensioni estremamente piccole. Io credo sia l'estremità di una conchiglia e che il resto sia stato asportato. Helix? ainzarensis De Greg. Fig. 20. Testa maxime parva, discoîalis, circiter 12 costis flavis praedita; apertura angusta. È una piccolissima conchiglia con un diametro di circa ‘'/, millimetro. Occorre una forte lente o meglio il microscopio per poterla osservare. A prima vista si potrebbe confondere con talune Rotaline di cui una spe- cie ho descritto nella mia prima nota nella sabbia di Tripoli. Ha un a- spetto molto caratteristico. Helix? sp. Fig. 21. x E una conchiglietta estremamente piccola, !/, di millimetro di dia- metro, lenticolare, schiacciata, appena convessa superiormente, con una apertura estremamente angusta. Io dubito si tratti di conchiglia em- brionale; somiglia a talune foraminifere (Amphistegina). SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE SR'AGVZINLIO SPECIE DI TRIPOLI Granuli di sabbia, ingr. circa 40 diametri. . Triloculina sp., ingr. 40 diam. . Quinqueloculina haveriana D’Orb., ingr. 40 diam. . Rotalina Partschiana D’Orb. aff. (var. Tripolensis), ingr. 30 diam, Eulimella acicula Phil. . Hadriana craticulata Broce., ingr. 30 diam. Bittium reticulatum Costa, ingr. 30 diam. . Cerithium sp., ingr. 30 diam. o 0 2 o Ut A Www . Odostomia conoidea Broce., ingr. 25 diam. — (©) . Odostomia rissoides Jeffreys, ingr. 25 diam, SARE 1]. Assiminea littorina Delle Chiaie, ingr. 25 diam. 12. Dentalina sp., ingr. 13. Toropneustes sp., ingr. 40 diam. 14. Cithere sp. (Tripolensis n. 8p.?), ingr. 40 diam. Tav. 2. SPECIE DI AINZARA Fig. 15. Phasianella sp.?, ingr. 50 diametri. 16. Odostomia sp.?, ingr. 20 diam. 17. Helix brocchiana Cale., ingr. 15 diam. 18. Helix sp., ingr. 40 diam. 19. Helix? Ainxarensis De Greg., ingr. 40 diam. 20. Helix? sp., ingr. 60 diam. 21. Granulo calcareo a forma di echino, ingr. 40 diam. 22. Granulo calcareo sferico, ingr. 7 diam. 23. Granulo calcareo lenticolare, ingr. 12 diam. 24. Granuli silicei, ingr. 50 diam. MARCH. A. DE GREGORIO. PROBLEMI GEOLOGICI E FISICO-TERRESTRI SECONDA NOTA (1) Cenni sulla genesi della dolomite delle nostre montagne e sulla lenta intima trasformazione di talune rocce. rr eee Tra le varie formazioni geologiche la dolomitica è una di quelle che più dà a pensare, perchè mostra in modo evidente quanto diverse erano le condizioni degli antichi mari da quelle dei mari attuali. I geo- logi hanno un bel dire asserendo che le cause modificatrici la scorza terrestre sono le stesse. L'unico esempio di formazione dolomitica con- temporanea si ha nell’isola corallica di Matea illustrata da J. Dana. Ma per quanto molto istruttivo, resta però questo un esempio sparuto ri- spetto alle grandiose ed estese formazioni dolomitiche dei tempi geolo- gici. Sono grandi masse per lo più non stratificate, sovente caotiche, (1) Vedi Nat. Sic., 1910, N. 11-12 Se gue talora cavernose pulverulenti, tal’ altra cristalline , rarissimamente la- sciano vedere dei fossili. Sono ben note le proprietà di sostituzione tra calce e magnesia; sono queste in tali rapporti mineralogici intimi e si trovano così sovente consociate da quasi far sospettare che l’una segui un grado di trasformazione dell’altra. La parte massiccia e per così dire la radice di molte delle monta- gne siciliane è dolomitica; tale roccia si segue lungo i fianchi delle Ma- donie fino ai monti di Palermo, acquistando in taluni punti una potenza grandissima. Uno dei punti più caratteristici è la « Portella d'a Rina » sopra Polizzi. Però il nostro Monte Cuccio ce ne mostra un esempio non meno imponente. Io ho sempre ritenuto che la maggior parte di tali formazioni sia triasica, tale è la mia opinione, ma aggiungo che ho dei sospetti che la parte basilare sia permiana. Anche d'altro canto ho delle buone ragioni per ritenere che talune rocce dolomitiche siano liasiche. In generale il carattere litologico della roccia ha poca importanza riguardo alla sincronizzazione. Però riguardo alla formazione dolomitica parmi che dia indizi relativamente più probabili. Infatti fu appunto du- rante il periodo triasico che si formarono i più estesi depositi dolomi- tici, la cui età fu constata paleontologicamente, L'antica ipotesi di de Buch che attribuiva l’ origine della dolomite ad azione endogena di vapori magnesiaci che avessero metamorfosato il calcare in dolomite, fu ripudiata da tutti i geologi, sì perhè non è verosimile una simile metamorfosi di uno strato di roccia che ha talora uno spessore maggiore di mille metri, come in Monte Cuccio, sì perchè molteplici osservazioni ci provano che si tratta di una roccia sedimen- taria. Tra le altre prove una ne abbiamo nello stesso Monte Cuccio Come è noto la dolomite consta di un’ unione di carbonato di calcio e carbonato di magnesio. Quella tipica ha 54,35 del primo e 45, 65 del secondo ; però tale proporzione cambia di molto anche in una stessa montagna. Sormontato il viottolo che fiancheggia il vallone d’ inverno fatto costruire dalla nostra sezione del Club Alpino sull’altipiano del Cuccio, se invece di volgere verso destra ed avviarsi al pizzo ultimale, si continua di faccia e si sale sul pizzo che prospetta su Bellolanipo, si osserva la roccia che diventa meno dolomitica e un po’ più calcarifera. In tal pizzo (Vuturi=Avvoltoio) si trovano dei blocchi proprio a guisa di lumachella. Io ne parlai già nell’opuscolo sopracitato (1894) e notai di aver trovato delle rAynconelle non dissimii di altre trovate da me sul pizzo Gibilfannu sopra Barzellino. Aggiungo che ho anche dei bloc- Il Nat. Sic., Anno XXII — Nuova Serie, Vol. II. 2 Zeno) È chi di rocce in cui è una terebratula (sensu lato) che somiglia molto a degli esemplari che ho trovato alla fine della prima via (prima rampa) di Montepellegrino (Ter. intersecta). E una specie di forma plastica che è talora orbicolare, tal altra trasversa con un solco stretto profondo me: diano tanto nella valva umbonale che nella criptumbonale, con un pic- colo deltidio, e con un umbone piccolo depresso, abbastanza adunco. Vi si trova raramente qualche terebratula di tipo liasico. Altri blocchi pos- siedo in cui invece non si trova che quest’ultima specie. Alle falde di Monte Cuccio a sinistra della via che da Passo di Rigano va a Bello- lampo, sotto il colle del Daino e precisamente sulle cave dolomitiche del fondo Pignatelli, un tempo di Mortillaro, nella dolomite bianca tipica si trovano rarissimi ma ben conservati fossili. Io posseggo qualche te- rebratula, qualche rAynchonella e qualche pecten che mi paiono liasici. La prima supposizione che sorge si è che gli strati siano subverti- cali e che procedendo da Bellolampo e precisamente dalla strada di Montelepre (Castellana) verso Monte Cuccio si succedano degli strati sempre più antichi. Intanto come in tal caso si potrebbero spiegare le dolomiti delle basi di monte Gibilmesi e quelle del Caputo? Io credo più verosimile l'ipotesi che la catena dei monti Gibilmesi, Montecuccio, Caputo si sia sollevata contemporaneamente, mentre si sprofondava la valle di Palermo e che deve quindi considerarsi come una ruga di com- pressione e che nel sollevarsi non si sia uniformemente sollevata. Secondo tale ipotesi scavando profondamente sotto le formazioni terziarie della valle di Palermo dovrebbe ritrovarsi infine la roccia do- lomitica triasica. Le variazioni di livello della nostra terra devono per lo più rico- noscersi come cansate da sprofondamenti prodotti dalla contrazione di essa per il raffreddamento e dalla conseguente riduzione di volume. Ve ne hanno anche che devono ascriversi a forza propulsiva interna che tenda qua e là a produrre dei sollevamenti. Però nella maggior parte dei casi la contrazione semplice può benissimo spiegare il sollevamento di esse; poichè le fratture e le compressioni laterali determinano neces- sariamente un sollevamento rugoso. Alla stessa guisa di quanto accade se facciamo raffreddare un globo di argilla che nel contrarsi si serepola formando delle rughe salienti. Disgraziatamente sulle rocce dolomitiche ben raramente si hanno dei segni di stratificazione il che darebbe un sospetto sulla attendibilità della ipotesi di De Buch se essa non fosse smentita dai fatti sopra ac- cennati. Però i geologi non sono concordi punto sulla spiegazione della IZ 1376 en genesi di tali formazioni e molti dubbi non sono stati ancora dileguati. Certamente guida nostra valida e sicura è l’esame dei fenomeni attuali, che si succedono sulla terra. Però non si può giudicare alla stessa stre- gua dei tempi andati specialmente di tempi così remoti in cui ben di- verse erano le condizioni climateriche e telluriche del nostro globo ter- raqueo. Contemplando l’immensa massa delle dolomiti tre questioni sorgono alla mente: Attesa la ormai non dubbia origine marina di tale depo- sizione nasce la prima domanda : tanto materiale magnesiaco donde provenne ? La seconda domanda è questa: come mai poterono deposi- tarsi tanti sali magnesiaci, qual processo chimico ebbero a subire ? La terza domanda è questa: perchè tali depositi si trovano per lo più non stratificati e generalmente privi di fossili ? La origine della materia prima magnesiaca credo evidentemente debba ricercarsi nel disfacimento di più antiche rocce feldspatiche; però non riesce sicuro indagarlo. I grandi progressi che ha fatto la geologia ci hanno chiarito taluni fatti che pareano prima enigmatici. Lo studio accurato dell’azione attualmente esercitata dalle soluzioni anche tenuis- sime di acidi e di sali (che si trovano più o meno in tutte le acque) sulle rocce sia pure le più resistenti ci ha rivelato una grande forza demolitrice e ricostruttrice. Tale forza per quanto lenta e in apparenza poco calcolabile, a poco a poco riesce a trasformare gradatamente la composizione e la struttura di qualsiasi roccia. Ma devo qui aggiungere una considerazione che io ho fatto credo pel primo. Bisogna tener conto non solo alla quantità dei tali elementi in soluzione che con ogni ve- risomiglianza erano in quei tempi in ben maggiore proporzione che a- desso, ma bisogna pure tener conto di questo che le rocce allora non erano certamente nello stato in cui sono adesso. Gli studi nuovi sulla attività per così dire vitale delle rocce e nella loro continua evoluzione ci addimostrano che ben diversa dovea essere la struttura e la compo- sizione di una roccia per esempio augitica alla fine del permiano di quello che è attualmente; sicchè se un geologo fosse esistito in quei tempi avrebbe trovato ben diversa una labradorite di quei tempi dalla labradorite attuale o per meglio dire quella di quei tempi non sarebbe stata una labradorite ma una roccia diversa. Io credo che certamente lo stesso granito ha subito una grande modificazione e che quello esi- stente appena eruttato dalla terra dovea avere dei caratteri ben diversi che adesso. Le roccie invecchiano come gli animali; nè ciò probabil- or mente si deve solo all’azione penetrante dell’acqua la quale del resto è la maggiore, ma ad una lentissima evoluzione molecolare. La materia ha subito una lentissima trasformazione dei micromovimenti di aggre- gazione molecolari sono stati constatati anche ai nostri giorni. Io ne ho parlato nel mio lavoro : « Une météorite tombé en Sicile 1897, An. de Geol., pag. 8) l'ho chiamato col nome di micromotus. Ho detto che così solo si possono spiegare talune aggregazioni di minerali interclusi nelle rocce e taluni speciali accantonamenti di minerali come le strie di Wid- mannstaetten delle Meteoriti. Così si può spiegare la cristallizzazione spontanea del gesso di cui parla il sig. Stanislas Meunier. Ho osservato che versando in una bacinella diverse tenui soluzioni di sali, che non abbiano azioni tra loro cioè che non formino unico composto, e se si la- scia lentamente evaporare l’acqua, si trovano poi in fondo ad essa delle deposizioni dentritiche di detti sali non punto caotiche e promiscue. Tale esperimento è molto istruttivo perchè mostra non solo una tendenza delle parti mineralogiche a ravvicinarsi tra loro secondo la propria spe- cie, ma anche ad aggregarsi in una determinata maniera. Tali fenomeni che dirò di subcristallizzazione sono mossi dalla stessa forza arcana che determina il micromotus. Certamente l’azione dell’acqua facilita immen- samente tali fenomeni per compirsi i quali senza il suo concorso occor- rerebbe un tempo estremamente lungo. Probabilmente alla cristallizza- zione naturale del diamante, che è soggetta attualmente a lunghe e difficili indagini, debbono avere influito come causa determinante le lente cause sopra notate più che le cause speciali di pressione e di tempera- tura dell'ambiente. Ad ogni modo tale congettura allo stato attuale delle nostre conoscenze è abbastanza prematura. Il mio illustre amico prof. Stanislas Meunier ha pubblicato un libro dotto e geniale: « Geolosie générale » nel quale sono registrati dei fatti che hanno analogia con quelli da me esposti. Chi ha un poco di pratica delle r:cce trova degli esempi ovunque. Presso noi i calcari secondari con noduli di selce che si trovano non di rado nelle basi delle stesse nostre montagne ne sono un esempio. In vari calcari come in quello dei Petrazzi, sopra Mortillaro, si. trovano delle vene di ossido di ferro. Quanto mai caratteristici sono i moduli silicei di conchiglie terziarie di Malta che si trovano in un calcare detritico leggiero. Il rimpianto mio amico prof. Zittel descrivendo il deserto di Sahara dice che vi sono luoghi ove il terreno è disseminato di noduli bruni di selce che contengono nell’ interno un nucleo di calcare nummilitico. In ITEM altri siti il suolo è cosparso di nummiliti che sono coverte da uno strato siliceo, mentre le nummiliti degli strati profondi sono calcarei e sprov- visti della crosta silicea. Il prof. Schweinfurth spiega tale fenomeno così che la rugiada e la tenue pioggia disciolga il cloruro di sodio che colà si trova e quindi discioglie successivamente l’acido silicico dei grani di sabbia formando un silicato alcalino che viene poi deposto sulle num- militi. Non è improbabile che ciò avvenga in tale guisa però anche in siti ove non si trova cloruro di sodio avvengono di tali trasporti. In rocce compatte si trovano dei noduli di selce la cui sostanza si ha ogni ragione di credere che primitivamente era diffusa nella stessa roccia. Se ciò dipendesse esclusivamente da una deposizione di soluzione, que- sta dovrebbe accadere in tutti i siti uniformemente e non essere accen- trata in dati siti. Bisogna necessariamente annettere dei centri di attra- zione variamente disseminati dipendenti forse al primo inizio da piccoli frammenti di minerale omogeneo. Questa speciale tendenza è ben ma- nifesta dai tipici accantonamenti dei minerali nelle gredi, minerali che cento ragioni ci convincono essere primitivamente diffusi nelle rocce stesse. Si possono citare infiniti esempi che non sarebbe qui il caso di enumerare per mostrare come taluni raggruppamenti di minerali evi- dentemente prima diffusi in una intera roccia e poi accantonati in un solo sito non ci furono trasportati unicamente dall’ acqua. Io sono di opinione che tale è forse l’ origine delle intercalazioni del solfo nativo in Sicilia. — Io vado anco più oltre: financo la struttura e la distribu- zione speciale dei componenti le rocce granitiche non credo abbiano in essa la sola causa in detto trasporto, ma bensi in una tendenza delle molecole dei corpi a raggrupparsi tra loro. Il magmo granitico dovea, io credo, avere preventivamente un aspetto e una struttura ben diversa che adesso forse non dissimile a quello delle lave. La sua struttura e composizione deve, io credo, essere stata molto influenzata e modificata dalle azioni reciproche di raggruppamento molecolare. Così solo parmi si possano spiegare i fenomenî strani di interclusione di altri strati os- servati da Barrois in Caulnes (Cotes-du Nord) di cui parla il dotto Haug (Traité de Geol., p. 188). Un esempio di questa serie di fenomeni e alla portata di tutti io posso citare nella diversa struttura delle malte. Generalmente si ritiene che. i granelli di sabbia (sia silicea, calcarea o dolomitica) che si me- scolano alla calce per la formazione della malta siano un elemento inerte. Invece se sono tali nei primi anni, poi gradatamente finiscono per lentamente fondersi e formare un tutto omogeneo col volgere dei Sac secoli. Il periodo storico è un lasso di tempo impercettibile che non si può menomamente paragonare alle ere geologiche. Però è utile consta- tare che la malta (anche a riparo dall’ azione dell’acqua, in luogo per- fettamente asciutto cambia sensibilmente di struttura e aggregazione molecolare nel lungo volgere dei secoli. Però se tali fenomeni sono della maggiore importanza e tali da of- frire una nuova palestra di studi e ricerche per il geologo, io sono ben lungi dal disconoscere la potentissima azione esercitata dalle acque e precipuamente da quelle che hanno in soluzione (sia pur debole) degli acidi dei sali degli alcali. Tra le varie sostanze in soluzione che determinano maggiori effetti modificatori della composizione e la struttura delle rocce è da annoverarsi l’acido carbonico il quale se ora è molto diffuso in natura lo era in quantità ben più considerevole nelle antiche epoche geologiche. Riguardo poi in particolare alle rocce dolomitiche, esso ha poi un’azione assoluta- mente demolitrice perchè trasformando il carbonato di calce in bicar- bonato lo rende solubile.e asportabile. Così avviene che ove le acque contengono tale acido in soluzione rendono la roccia più magnesiaca asportando via il calcare. È questa la ragione precipua per cui le rocce dolomitiche hanno sovente una struttura cavernosa e si mostrano prive di gusci di conchiglie, i quali come è noto sono quasi esclusivamente composte di calcare. Ho detto che verosimilmente i mari antichi che depositarono le rocce dolomitiche doveano essere con ogni certezza molto più ricchi di acidi e di sali che gli attuali. La origine di tali sostanze in soluzione e in sospensione sì deve attribuire al disfacimento e dissoluzione di an- tiche rocce feldspatiche. Ma non mi pare di escludersi del tutto che emanazioni endogene possano averli anche arricchite, specialmente di cloruri e di solfati. Si aggiunga che la temperatura probabilmente ele- vata dall’acqua potè favorire non poco l’azione di decomposizione delle rocce e di formazione di altri prodotti. Nè è ad opporre che in tal caso sarebbe impossibile la vita animale, perchè prescindendo da tanti altri fatti e innumerevoli esperienze, ho illustrato nel mio lavoro sui fanghi di Abano la microfauna di acque ad altissima temperatura e ricche di sostanze chimiche. Del resto anche ai giorni di oggi la salsedine del mare non è co- stantemente uguale in tutti i luoghi. Ove essa è più ragguardevole si può calcolare che su cento parti di sostanza solida disciolta, 77 è clo- ruro di soda, 10,8 di cloruro di magnesio, 4,7 solfato di magnesio, 3,6 solfato di calce, 2,5 solfato di potassa; piccola quantità di carbonato di calcio (0,3) e di bromuro di magnesio (0, 2). Ciò secondo gli studi di Dittmar sugli scandagli dello Challenger. Dunque sebbene con ogni pro- babilità le sostanze chimiche disciolte doveano essere centuple in quegli antichi tempi, pure anche ai dì nostri si trova la magnesia in quantità relativamente notevole noi nostri mari. Infine è a riflettere che i gas dell’aria (come è noto) si dissolvono nell'acqua. Tanto l’azoto che l'ossigeno e l’ acido carbonico dell’aria si trovano pure nell’acqua sebbene in diverse proporzioni. Di azoto se ne trova 65 e 35 di ossigeno, mentre, come è risaputo, del primo si trova 79 nell’ aria e 21 del secondo. Ora la composizione dell’aria dovea, in certo essere in molto maggiore quantità. Anche ciò dovea avere un’in- fluenza sui fenomeni da noi studiati. Tra le reazioni chimiche che numerose e complesse poterono con- tribuire alla formazione di tali rocce ne enumererò due che mi paiono tra le più importanti. Il cloruro di magnesio è solubile nell'acqua. Però quando la solu- zione è molto concentrata e si lascia evaporare, allora sviluppa acido cloridrico mentre si depone l’ossido di magnesio il quale poi per l’azione dei carbonati solubili si trasforma in carbonato di magnesio. Tra questi carbonati solubili probabilmente una parte importante è dovuta al car- bonato di soda che può essere stato prodotto dalla decomposizione delle rocce costituite di silicati. Uno degli altri agenti principali nella forma- zione di tali rocce parmi debba essere stato verosimilmente il solfato di magnesio il quale del resto si trova ancora in soluzione nei nostri mari. Il detto sale sotto l’azione di carbonato alcalino si precipita for- mando la così detta magnesia « alba » (che è un tricarbonato tetrama- gnesiaco). Di seguito per l’azione dell'acido carbonico si forma a spese della magnesia un bicarbonato di magnesia il quale è molto solubile. La soluzione evaporandosi lascia il carbonato neutro-idrato, e se ciò av- viene in un ambiente carico di anidride carbonica (come in quei tempi) si depone il carbonato anidro di magnesia Mg C0°. Delle due reazioni chimiche sopracitate la prima ci dà una chiave per la spiegazione della sostituzione della magnesia alla calce, fenomeno di grande importanza che è stato varie volte constatato. Dissi che men- tre l’acido cloridrico reagendo sull’ossido di magnesio forma il cloruro di magnesio Mg 0 +,HC1= H,0+ Mg CI* dando luogo ad una soluzione di quest’ ultimo, appena si fa evaporare tale soluzione, avviene subito una reazione inversa. Ora se supponghiamo che in un dato sito l’acqua ZO del mare sia satura di cloruro di magnesio e che si porti ad una tem- peratura un po’ più elevata determinandone l’evaporazione, si formerà subito l’ossido di magnesio e l’acido cloridrico. Se una corrente marina carica di tali sostanze, incontra delle acque che contengano dei resti organici composti di carbonato di calcio, l’acido cloridrico li decomporrà formando il cloruro di calce solubile e con ogni verosomiglianza l’ os- sido di magnesio entrerà nella combinazione sostituendo la calce. Con ogni verosomiglianza dovette essere così avvenuto quando i resti cal carei fossili furono sostituiti dalla magnesia. Il signor John Walther ha esaminato sul Sinai dei recinti corallici contenenti grande quantità di carbonato di magnesia. Si sono trovate delle grandi valve di Tridacna che contengono 43 °/, di dolomite, mentre tale conchiglia viva è invece formata di carbonato calcareo. Lo stesso dovette essere avvenuto per le conchiglie da me rinvenute nella dolomite di cui sopra ho fatto cenno. Ora studiando la dolomite tipica dal lato minerologico e chimico sorge un dubbio, se essa debba considerarsi quale un composto chimico o semplice mescolanza. È essa formata di carbonato di calce e carbo- nato di magnesio. Ha la formola Ca C0°—Mg. C0*. I detti due sali sono fra loro isomorfi, ma però è a notare che non sono punto isomorfi con la dolomite, perchè questa cristallizza diversamente. Addippiù essa non ha una densità media di entrambi, ma differente. Per questa ed altre ragioni, pare debba considerarsi quale un vero composto chimico. È però a dire che non tutte le rocce dolomitiche rispondono alla detta formola, e che dalla dolomite tipica si passa gradatamente al carbonato di calce e ciò anche in una stessa montagna. Certamente tutte le osservazioni fatte sui rapporti reciproci dei vari agenti chimici sono preziosi per la spiegazione delle antiche formazioni geologiche. Però quando ci si trova di fronte a depositi così potenti di una sostanza accumulati tutti in una data zona, non si può non rima- nere alquanto perplessi e non del tutto soddisfatti dei propri studi. In- fatti si può ben comprendere l’azione metamorfizzante e l’azione chimica di sostituzione in una roccia di limitato spessore; ma non così quando si tratti di rocce, che hanno uno spessore così immenso. Bisogna con la fantasia immaginare dei grandi mari con acqua a temperatura elevata, sovraccarichi di altri sali specialmente di cloruro di magnesio. Certamente lo studio dei fenomeni, che si succedono attualmente, ci è di grande luce per la spiegazione di quelli già succedutisi nell’immenso volgere dei secoli: ma non ‘bisogna tutto giudicare con la semplice fal- sariga attualistica. Bisogna por mente a delle cause importanti :che do- — sli vettero contribuire ad accrescere la potenzialità dei fenomeni: dico l’alta temperatura dei mari, il vario loro riscaldamento (che probabilmente dovea dar luogo a grandi correnti), la maggior quantità delle acque di cui una parte è stata assorbita dall’idratazione della litosfera terrestre, la maggior quantità di acido carbonico e altri elementi modificatori delle rocce. Riflettendo a tutto ciò non è a meravigliare se ai di nostri pochi esempi riscontriamo nei mari attuali di formazioni dolomitiche. Un fatto analogo avviene per le rocce fosfatiche di cui grandi depositi si trovano in America e in Tunisia, mentre invece attualmente solo presso Capo di Buona Speranza sono state segnalate dallo Challenger in via di for- mazione; nè la loro formazione è tuttora perfettamente chiarita, mentre da taluni si ritiene causata da decomposizione di antiche rocce di apa- tite, da altri invece e con maggiore verosimiglianza da decomposizione organica di animali uccisi dall'incontro di qualche corrente fredda. Anche alla formazione dolomitica potè forse contribuire una speciale decomposizione organica, per la quale le azioni chimiche diventano più complesse e più intense. Pare un’esagerazione supporre che possano an- che i microrganismi avere contribuito in composizioni e decomposizioni siffatte. Ma se le nostre conoscenze in proposito non ci permettono di asserirlo, non ci permettono neppure di negarlo. Costituiscono essi una grande leva che ha un'influenza non solo nel mondo organico, ma in quello inorganico. Uno degli esempi più istruttivi si ha nell’azione del Bacterium hy- drosulfuricum il quale reagendo sull’ albumina degli animali in decom- posizione nelle acque del Mar Nero (come ha provato il sig. Androussow e riferito al Congresso geologico di Pietroburgo cui ho avuto il piacere di partecipare) dà luogo alla formazione dell’ acido solfidrico. È dubbio se questo venendo alla superficie dell’acqua si ossidi per azione di altri batteri speciali (sulfobatteri), ovvero per altra ragione, nè è affatto op- portuno di divagare in tale questione. Però ho voluto semplicemente accennare a questi fatti perchè si- milmente è possibile che nei complessi grandiosi fenomeni della genesi delle rocce dolomitiche abbiano contribuito in concomitanza anche delle azioni prodotte da microrganismi la cui potenza va rivelandosi sempre più gigante in ogni evoluzione non solo della materia organica ma an- che di quella inorganica. Voglio infine richiamare l’ attenzione dei geologi sull’ azione delle sostanze radioattive. Gli studi dei fenomeni di questo importantissimo Il Nat. Sie., Anno XXII-Nuova Serie, Vol. II 3 WE ramo novissimo di scienza ha dischiuso un vastissimo campo di osser- vazioni, di esperienze, di investigazioni ed è riuscito a dei risultati stu- pefacienti e inattesi. Da molti indizi e anche da molte prove risulta che nei remoti tempi geologici tali sostanze erano senza confronto in maggior copia nel nostro pianeta; quindi le rocce che ne componeano la crosta non poteano non subirne la potente influenza trasformatrice. È una palestra nuova di utili indagini molto difficili e complesse solo ora appena iniziate. Ad ogni modo mi sembra non inopportuno accen- nare che anche nella formazione delle rocce dolomitiche e riduzione allo stato attuale, può avere contribuito validamente un’azione di simil ge- nere. MARCH. A. DE GREGORIO. Sulle pietre striate non glaciali re Tempo addietro l'illustre professore Stanislas Meunier ebbe a pub- blicare a riprese importantissimi articoli per provare che gran parte delle pietre striate, ritenute dai geologi come glaciali non lo sono punto e che le strie onde la loro superficie è traversata non sono state pro- dotte da stritolamento per la pressione e movimento dei ghiacciai, ma da altra causa. Egli anche lesse un’interessante memoria all'Istituto di Francia: « Contribution à l’étude du facies continental: les éboulis pa- Iéozoiques » nella quale dimostrò che le frane possono benissimo dare origine a pietre striate. Recentemente mi è occorso di esaminare taluni ciottoli in Sicilia che comprovano quanto ha scritto il mio illustre amico. Ho anzi da aggiungere talune riflessioni in proposito che mi pare siano importanti, perchè accennano all’ origine delle striature e dànno una diversa spie- gazione del fenomeno. Avviene non di rado che delle vene capillari di sostanza eterogenea attaccabile dagli agenti esterni traversino le rocce stratificate in senso parallelo. Ora i ciottoli non sono che frammenti di roccia più o meno rotolati, ovvero nuclei di roccia più duri e tenaci che resistono al di- sfacimento della roccia. Quindi nei ciottoli appartenenti a roccie sif- fattamente venate si trovano appunto delle sottili vene di sostanza eterogenea. Ora se questa viene disciolta dagli agenti esterni, le vene vengono sostituite da strie sottili. Così se delle vene finissime di car- bonato calcareo traversino un ciottolo siliceo o decorrino lungo un lato di esso, se agirà su di esso dell’acqua contenente dell’ acido carbonico, succederà che a poco a poco il calcare si discioglierà e sarà asportato e la superficie del ciottolo apparirà striata. Un'altra causa di equivoco può essere prodotta da « diaclase » pree- sistenti nella roccia di cui ripetono l’origine taluni ciottoli. È noto che per varie ragioni che io ho accennato nel mio lavoro sulle teorie oro- geniche e precisamente nel paragrafo sulla dilatazione progrediente si formano talora nelle rocce delle fenditure che talora sono così fini e delicate da sfuggire all’occhio le quali sono più o meno regolari tra loro, ma in senso trasversale rapporto alle giunture di stratificazione. Queste fenditure furono dette da Daubré « diaclase ». Esse talora sono grandi e presentano una vera frattura, tal’ altre sono appena accennate e sot- tilissime. In questo caso può facilmente avvenire che siano cimentate ossia rimineralizzate da sostanze che esposte agli elementi esterni si cor- rodano maggiormente che il resto della roccia. Avviene così che dei ciottoli possono mostrare delle striature che corrispondono a tracce di « diaclase » preesistenti. Da quanto ho esposto ne consegue che bisogna esser molto cauti nel giudicare se la striatura delle rocce o di ciottoli staccati provenga da azione glaciale ovvero da altra causa. Parmi che se ovvia e indi- scutibile è la grande invasione glaciale durante il frigidiano non è per nulla provato che altre invasioni sieno accadute durante il terziario e tanto meno poi nel secondario e ancor più tanto meno nel paleozoico. Mi sembra per verità affatto inverosimile che in questo periodo ne siano accadute, perocchè la terra conservava ancora tanto calore interno da non permetterlo. MARCH, A. DE GREGORIO 50) } Un caso di polidattilia in una bambina palermitana —= === Esposta in una bottega del corso Vittorio Emanuele di Palermo ho avuto occasione di osservare una floridissima bambina di circa un anno. La madre mi disse aver la suddetta il nome di Rosina Macrì, figlia di Lorenzo Macrì, che abita in Palermo, via Chiappara, N. 101. La bam- bina ha sei dita in ciascuna mano e sette dita in ogni piede, in tutto ventisei dita. Le dita sono ben fatte e mobili. Sono simmetriche e quasi del tutto uguali tra loro; non si vede alcuna distinzione di pollice, nep- pure un accenno. La forma della mano è d’ambo i lati simmetrica, ed altrettanto lo è quella del piede. La mancanza del divaricamento del pollice e la uniformità di tutte le dita di uno stesso arto fa sì che tanto le mani che i piedi acquistino una forma d’ ambo i lati simetrica, la linea esterna del carpo e quella del tarso formano un arco regolare, sicchè mani e piedi acquistano una forma piatta. La bambina è di ot- tima salute. Quantunque non sia molto raro il caso di dita sopranume- rarie nel piede e nella mano, mi è parso non del tutto inutile fare co- noscere questa anomalia, sì perchè in generale nel caso di polidattilia il numero delle dita della mano corrisponde a quello del piede (il che qui non si verifica), sì perchè per lo più suole accadere che le dita non siano punto simmetriche e non manchi il pollice nella mano nè l’alluce del piede, sia pure in abbozzo, mentre nella piccola Macrì le dita sono si- metriche, il pollice e l’alluce mancano e sono sostituiti da due dita, sì infine perchè nei casi di polidattilia suole verificarsi un riscontro atavico, mentre nella Macrì, secondo mi assicurò la madre di lei, ciò non si ve- rifica perchè nè nella discendenza materna nè in quella paterna si ri- cordano simili anomalie. MARCH. A. DE GREGORIO _———t_=0e=—t=—_ Intorno ad una noria probabilmente araba dei dintorni di Palermo (con 1 Tav.) Pochi anni addietro acquistai un podere a Bonriposo, che si estende dalla via omonima, sino al letto del fiume Oreto. Mancando di acqua, era io obbligato ad avvalermi, per l’irrigazione di quella che era edotta da un pozzo di un fondo limitrofo, ove era una macchina idraulica. Per economia di spesa e per dotare il mio fondo di un’ acqua propria, decisi di fare degli scavi. Or nel detto mio podere mi accorsi che dovea essere esistito un pozzo; infatti notai uno scavamento nella roccia lungo circa tre metri e largo poco più di un metro: però tale scavamento era quasi intera- mente coverto di terra. La prima idea che mi venne in mente fu que- sta: che gli antichi avessero colà fatto qualche tentativo per trovare acqua nel sottosuolo, e che non avendone rinvenuto avessero ricolmato il pozzo. Ciononostante decisi di verificare cosa si trovasse nell'interno di tale scavamento e constatare se realmente fosse un pozzo abbandonato. Immensa fu la quantità di materiale che estrassi di laggiù. Si trat- tava di un pozzo profondo scavato a regola di arte. Or qual fu la mia meraviglia, allorchè asportato il terriccio, che occupava uno spessore di più di 15 metri si cominciò a rinvenire una quantità immensa di cocci di creta frantumati! Feci torre su anche questo strato di detriti raccomandando agli operai di badare se rinvenissero delle stoviglie intere. E la mia previsione ebbe una felice conferma. Infatti furono rinvenuti vari vasi tutti simili tra loro. Evidentemente apparteneano ad un'antica noria, quasi sicuramente araba, la quale per un qualche incidente do- vette precipitarvi giù, essendosi rotta la catena. Dovea la noria essere formata da centinaia di vasi di creta che andarono frantumati tranne i pochissimi che ho raccolto e che trovansi ora in mia casa. Hanno tali vasi una forma subcilindrica con una leggiera gonfia- gione in mezzo. Nella parte superiore hanno un margine a cercine. Nella parte inferiore si restringono in uno strozzamento, formando una specie di breve sostegno massiccio che ha anche in giù un margine a cercine. Evidentemente doveano essere legati alla parte superiore e alla parte inferiore. Ciascun vaso può contenere circa tre litri e mezzo di acqua. Il diametro della bocca è di circa 10 centimetri, l'altezza totale 40; il diametro massimo 15 cent. La strozzatura massiccia di sostegno ha un diametro di 3 cent.; il margine basilare 5 centimetri. I detti vasi hanno dei solchi grezzi circolari, il che mostra eviden- temente che furono fatti nel piattello in movimento, come di consueto si fanno analoghe stoviglie. Il rinvenimento di questi resti, che io ascrivo all’ epoca araba, ha molta importanza, perchè finora, ch’ io sappia, non si è trovato nulla di simile in Sicilia e neppure nel Museo di Palermo se ne rinvengono. Da a Quel che è strano è questo: che avendo rinvenuta dell’acqua, in fondo al pozzo, vi collocai una noria a sistema moderno, ma non riuscii a fare abbassare il livello di essa. Di seguito vi apposi una macchina a vapore, che tira quasi quaranta metri cubi di acqua all’ ora. Così riuscii a fare abbassare il livello dell’ acqua, tanto da potere asportare quasi interamente il resto del materiale caduto nel pozzo, che ancora neppure del tutto è esaurito. Evidentemente da quei tempi ad ora devono essere di molto au- mentate le acque del sottosuolo, perchè con quella macchina primitiva sarebbe stato impossibile fare abbassare di tanto il livello delle acque da permettere le scavamento della roccia. Forse ha potuto influire a fare aumentare la lamina di acqua del sottosuolo la odierna estesissima coltivazione degli agrumi, che ha reso necessaria l’eduzione dell’ acqua del sottosuolo ritardandone il deflusso in mare e deviando e modificando le vene idriche sottostanti. i Non so che attendibilità possa avere questa spiegazione, certamente però se le acque del sottosuolo fossero state allora nella stessa copia che adesso, sarebbe stato assolutamente impossibile con quei mezzi pri- mitivi scavare il pozzo a tanta profondità. MARCH. A. DE GREGORIO. Nat Intorno a taluni Pecfer viventi a Siboga Amussium (sensu lato) Amussium (Propeamussium) Ceciliae De Greg. 1885 Amussium (Propeamussium) Ceciliae De Greg. Nuove Conch. mioc. Nat. Ste. p. 119. 1897 » Sacco I Moll. tert. Piem., p. 50. 1898 » De Gregorio, Etudes sur le genre Amussium, 19, tav. 4, f. 10-12 tipo. 1904 » Sibogai. Dautzenberg et Bavay. Deser. Amussium nouv. Journ. conch., p. 207-211, f. 1-4. 1912 >» » » Les lamellibranches de l’expédition du Siboga, p. 31, tav. 28, f. 1-4. Paragonando i nostri esemplari a quelli figurati dal mio dotto amico sig. Dautzenberg, mi nasce il dubbio che si tratti della stessa specie. RE a Anche ammesso che appartengano a specie non perfettamente identica, esiste sempre una grande somiglianza tra le due forme il che è di una importanza grandissima. La varietà da me disegnata tav. 4, f. 13 somiglia assai all’Am. Weberi Dautz. (Les Lamellibranches, tav 18, f. 9-13) e pare quasi identica. Io avevo riferito tale esemplare come varietà del P. Ce- ciliae. La varietà da me riferita alla stessa specie (tav. 4, f. 14) pare in- vece corrisponda all’A. zoniferum Dautz., p. 33, tav. 28, f. 14-17. Pecten Cyclopecten translucens Dautz. Bav. Les Lamellibranches Siboga, p. 30, tav. 27, f. 5-6. Questa specie ha molta somiglianza con la var. pliocepleuronectes De Greg. Monogr. Amussium, tav. 6, f. 10-14. MARCH. A. DE GREGORIO. Seconda nota sull’ origine della differenzazione del sesso In questa rivista pubblicai una nota sulla origine della differenza- zione del sesso, problema di così grande importanza che è stato ed è obbietto degli studi di celebri fisiologi e che, sebbene pur troppo ancora non del tutto risoluto, comincia però a presentarsi meno enigmatico , onde è a sperare che tra non molto possa entrare nelle conquiste della scienza. Ora su tal soggetto devo richiamare l’ attenzione degli specia- listi anche su un lavoro recentemente inviatomi dal dotto V. M. Ste- vens (Studies in spermatogenesis, part. 1, 2) pubblicato in Washington negli atti della Carnegie Institution. Egli studia la questione da un altro lato, cioè dall’ influenza del- l’«accessory chromosome » sulla origine del sesso. È un punto di vista molto differente di quello intorno al quale io già mi intrattenni. Però ciò che sembra disparato e diverso può anche di fatto non esserlo. Sa- rebbe utile studiare gli effetti della ipernutrizione e della denutrizione sulla produzione dei « chromosomes ». =. Io non posso qui che limitarmi a tale breve cenno; occorrono ul- teriori studi ed esperienze. Meno attendibili mi paiono gli studi del signor Ern. Dòring (Leggi dell’eredità sessuale) di cui ha fatto una recensione il sig. Artur Jordan, Egli viene alla conclusione che il rapporto del sesso stia in rapporto al volume del cervello tra la donna e l’uomo; quando il cervello dell’uomo è poco differente di quello della donna si ha la probabilità che il sesso del nascituro sarà femmina, se abbastanza maggiore sarà maschio. Tale teoria mi pare insostenibile perchè contraddetta dai fatti e assurda; essa non presenta alcuna serietà. La diversità del sesso non si manifesta solo tra gli animali muniti di cervello, ma in tutti gli animali e anche nelle piante dioiche. MARCH. A. DE GREGORIO. ——_soo eil) dro Intorno a talune piriti della Tunisia Da un operaio che lavora in una cava di Sciuvigo presso Tebourba ho avuto mandato talune grosse piriti molto rimarchevoli. La struttura sezionale è raggiante somigliante a quelle delle stallattili. La loro forma è oblunga, subcilindrica , coralliforme. Simulano la forma di polipai. Sono lunghi 14 centimetri, hanno una sezione di circa 4 centimetri di diametro, dal lato opposto circa 3. Non ho alcun pezzo di ganga, però a giudicare di qualche minuto frammento di roccia attaccato ad una pirite, pare che si tratti di cal- care dolomitico. MARCH. A. DE GREGORIO. Marchese Antonio De Gregorio — Direttore resp. ANNO XXII 1914 Nuova Serie —Vol. 2°, N. 2.3. IL NATURALISTA SICILIANO PROBLEMI GEOLOGICI E FISICO-TERRESTRI —_——o +e Cenni sulla divisione del quaternario, sui piani Frigidiano e Calidiano e su taluni nuovi scandagli nel calcare di Palermo In vari miei lavori ho citato il piano « Frigidiano » da me proposto nel 1886 per denotare il postpliocene freddo cioè quello durante il quale si deposero i potenti calcari della valle di Palermo e di gran parte del liturale della Sicilia e della Calabria (Società Sc. Nat., Pisa 1886) che contengono una fauna molto simile e in parte identica a quella dei mari della Scandinavia. Tale periodo, come ho già varie volte osservato, anche ultimamente nello articolo: « Su taluni pozzi e sull’ antica oro- grafia di Palermo, Nat. Sic. 1908 » fu seguito, da un periodo di elevata temperatura durante il quale si deposero gli strati a Strombus Sferra- cavallensis (forma analoga se non identica al bubonius Lamk.). Tale pe- riodo io credo utile nominare « Calidiano » includendovi non solo i detti depositi, ma bensì quelli di acqua dolce dei pressi di Palermo, come pure i depositi di Elefanti e di Ippopotami. Nel citato lavoro parlai della grande potenza dei depositi del no- stro calcare i quali contengono la stessa fauna; però, come è noto, senza dubbio i siti più fossiliferi sono le argille di Ficarazzi (propriamente Ficarazzelli ove è la fabbrica di Puleo) e i calcari detritici delle falde di Montepellegrino (contrada Castellana e Acquasanta). Tanto gli uni che gli altri rispondono al Frigidiano tipo. Il detto periodo ebbe una lunga durata. Durante l’ultima epoca però si dovette il clima raddolcire, onde la fauna dovette ravvicinarsi maggiormente a quella vivente nel Mediterraneo. Eseguendo dalle ricerche fossilifere negli strati elevati, non ho rin- venuto specie tipiche, ma specie che non possono dar lume a tale que- stione. Predominano per esempio le ostriche che sono, come è noto, do- tate di grande adattalità al variare delle circostanze climateriche. Ad ogni modo se anche ciò rimane a chiarire, questo dubbio non infirma punto le osservazioni da me fatte e di cui ho dato un cenno. Il Nat. Sic., Anno XXII-Nuova Serie, Vol. II. 4 BR Je Parmi molto probabile che tale graduale raddolcimento di clima dovette essere abbastanza rapido, perchè altrimenti si troverebbero delle deposizioni fossilifere considerevoli, il che non è stato punto constatato. Quindi bisogna ammettere che il passaggio dal freddo al caldo non fu del tutto brusco, fu però molto rapido. Taluni paleontologi hanno voluto designare la formazione del no- stro calcare postpliocene con un nome speciale cioè col nome di « piano Siciliano » proposto dal prof. Doderlein; come ho io chiarito in molte- plici lavori, io trovo molto preferibile adottare il nome da me proposto e da vari geologi adottato; perocchè col nome di piano siciliano si dà un senso molto locale e ristretto mentre con quello mio si dà una ben maggiore estensione e vi si include il grande periodo glaciale che si riscontra in tutte le regioni della terra. È infatti evidente che lunghis- simo tempo dovette durare la deposizione del nostro « tufo calcareo postpliocenico », e che la temperatura era rigidissima. È quindi la cosa più naturale ed ovvia che durante lo stesso tempo si svolgessero nel continente europeo i fenomeni glaciali ben noti. Quindi a me pare utile di ritenere semplicemente il nome di « si- ciliano » come un « facies marino » del piano « frigidiano ». Io credo che in nessuna regione si possa studiare questo piano meglio che in Si- cilia per quanto riguarda la stratigrafia e la fauna marina. Il calcare postpliocenico di Palermo è stato obbietto degli studi di valentissimi paleontologi, anch'io ci ho messo il mio contributo. Come ho già osservato, è molto utile l'esame del materiale che si estrae per lo scavamento dei pozzi che si vanno facendo nel calcare suddetto. Ne ho fatto un cenno nel mio lavoro sopra citato pubblicato nel 1898. Ora devo fare notare una scoverta abbastanza interessante. Sono stati questo anno sprofondati dei pozzi in contrada Pietrazzi, taluni in un mio podere presso la casa di villeggiatura, altri alla parte di dietro di esso nei fondi limitrofi ad ovest. Tali pozzi già esistevano, ma a causa della siccità si è stati costretti ora ad abbassarne il livello del fondo. Or sotto il calcare postpliocenico, che ha colà una potenza di circa venticinque metri, si è trovato uno strato di argilla rossa marnosa, la quale ha tutta l’apparenza di un'antica terra vegetale. Disseccatasi, ac- quista una consistenza ragguardevole. Non si stempera facilmente nel. l’acqua, ma una volta stemperatasi si riduce in parti finissime impalpa- bili. Ho fatto minuziose e lunghe ricerche di resti fossili, perchè credo probabile che_tale strato debba contenere importanti resti ossiferi ter- ESSO), (e restri. Però non ne ho trovato finora alcuna traccia; solo ho rinvenuto qualche rarissimo modulo allungato, vuoto internamente, irregolarmente cilindraceo, che mi pare da ascriversi a impronta di radice o di ramo- scello. Ho infatti osservato che nelle formazioni subfossili e anche con- temporanee, se delle radici si trovino in siti ove si depone il calcare, questo forma delle concrezioni attorno ad csse, sicchè quando queste si disfanno rimane un cilindro cavo. Ignoro la potenza di questa argilla ocracea, ma ho delle ragioni per credere che debba avere un certo spessore, non credo però molto considerevole. Nella parte superiore della detta argilla nel pozzo Pietrazzi ho tro- vato uno straterello argilloso con minuscole conchiglie terrestri che de- scriverò in altro lavoro di cui altra volta parlai. Il calcare superiore non è troppo tenace, ma in taluni siti si pre- senta piuttosto fitto, specialmente nella parte superiore, invece è quasi terroso in taluni strati inferiori. A breve distanza dei pozzi, ove è il tunnel sotto la strada vicinale, si osserva uno spaccato con grosse ostri- che. Nel podere limitrofo inteso « Catania » sotto il tufo calcareo in un pozzo si osserva un importante deposito di sabbia con tutti i caratteri di spiaggia. Tale sabbia si osserva pure nei pozzi del podere Frangipane e an- che nei pozzi a Nord cioè verso il podere Mazzara. È evidente che quella era l’antica spiaggia nell’epoca precedente alla deposizione del postplio- cene, probabilmente partecipa della prima parte del postpliocene e del- l’ultimissima fase del pliocene, ma forse più del primo che del secondo. Suppongo sia da riferirsi al piano calabriano. È probabile che l’argilla ocracea di cui ho di sopra parlato rappre- senti una antica padule o un terreno acquitrinoso nelle vicinanze della spiaggia di cui sopra parlai, ovvero che il limo e l’argilla vi siano state portate dai monti vicini e che essa non si sia formata che a spese della terra vegetale antichissima che li copriva e che venne asportata giù dalle acque. Di seguito il litorale siciliano andò gradatamente abbassan- dosi, il mare si avanzò fino ai fianchi dei monti facendo in questi delle erosioni e scavando delle grotte e nello stesso”tempo deponendo il cal- care frigidiano soprastante nel quale appunto sono scavati ijpozzi. In contrada Borzellino, nel podere già di Genova ora De Gregorio e in quello di Gambino nella stessa località ho trovato "delle marne e e argille grigiastre che contengono dei frammenti di ligniti. Non sono = gg = lontano dal supporre che in detto sito si possono anche trovare dei re- sti umani o per lo meno quaternari e forse anche delle palafitte. È evidente che durante l’ ultima parte del periodo frigidiano il li- torale andò sprofondandosi, onde nell’antica spiaggia di cui sopra ho fatto parola, andò deponendosi il calcare e questo andò avanzandosi mano mano che avveniva la trasgressione marina verso le montagne, la radice delle quali fu flagellata dalle onde che vi scavarono una serie di grotte su per giù allo stesso livello; grotte che poi per il successivo sollevamento littoraneo e per la conseguente regressione offrirono comodo asilo ai mammiferi quaternari (principalmente elefanti, ippopotami, iene, cervi, bovi) e anche all'uomo. La temperatura subì allora un’ elevazione con- siderevole. È appunto a tale epoca che io riferisco la formazione super- ficiale calcarea di taluni banchi come quelli a Strombus Sferracavallensis (bubouius) e Patella ferruginea di Sferracavallo i quali strati sono stati trovati di recente in altri littorali mediterranei. La fauna marina del calcare del nostro postpliocene (frigidiano) è ben nota. Però sono molto importanti e non ancora sufficientemente studiati i passaggi alla fauna recente e alla pliocenica. Tra la recente attuale e la frigidiana è a notarsi la fauna del calidiano che ebbe mi- nore durata e quindi è rappresentata da pochi resti, come pure la fauna di passaggio al pliocenico la quale credo sia poco rappresentata perchè non fu di lungo periodo. Di tale fauna io non conosco che pochi resi- dui estratti dal pozzo di Sperlinga presso il giardino del comm. Giosuè Whitaker e del pozzo del Boccone del Povero presso il corso Calatafimi di Palermo. To ritengo che tali strati inferiori debbono con verosomiglianza a- scriversi al Calabriano De Stef. Che i depositi dei mammiferi delle grotte dell’antico littorale siano posteriori al frigidiano lo desumo da queste regioni: 1.) Essi si trovano ammassati nelle grotte che furono appunto scavate dal mare frigidiano; 2.) La fauna che contengono indica una temperatura elevata. Ho detto che tali depositi debbono essere probabilmente coevi al deposito degli strati a Strombus e cioè rappresentino il calidiano. Che siano molto più recenti del frigidiano si desume non solo dall'esame dei fossili, ma anche dalla posizione stratigrafica. Infatti è indubitato che la Sicilia andò emergendo durante la fine del frigidiano. Per conseguenza le acque si ritirano e gli ultimi depositi lasciati da loro doveano essere quelli più vicini alla spiaggia attuale cioè nel porto ultimamente oc- cupato. op. = Le mie deduzioni hanno avuto una convalida nei lavori del mio amico sig. Gignoux il quale ha fatto uno studio molto importante e lo- devole di ragguaglio delle varie faune del postpliocene dell’ intero ba- cino Mediterraneo e ha messo in rilievo l’importanza degli strati a Strombus. Certamente si possono fare molte distinzioni di piani e sottopiani come pure si possono studiare e raffrontare le faune succedentesi nei vari strati. Molte distinzioni di faune dipendono da cause puramente locali. Noi anche ai giorni nostri vediamo che la stessa fauna vivente mediterranea subisce delle modificazioni a secondo i vari centri di ac- cantonamento. Del resto è pure a considerare che non può pretendersi che durante il frigidiano stesso la temperatura sia stata rigorosamente costante. Queste modificazioni ossia variazioni si riscontrano anche nel- l'esame dei ghiacciai del quaternario. Però a me pare che per la sem- plicità e anche attendibilità giova considerare un piano nel suo insieme senza entrare in troppi dettagli. Io credo che sia meglio raggruppare tutto il quaternario in due grandi periodi, il frigidiano (includendovi il periodo glaciale nel suo massimo sviluppo) e il calidiano (strati marini a Strombus Serracavallensis = bubonius Lamk ?) ed anche depositi di mam- miferi Hyppopotamus Cervus, Hyena, EÉlephas. Io non sono punto del parere di quei paleontologi che intendono ascrivere i depositi marini del frigidiano (=siciliano) al pliocene su- periore. Di tal parere sono molti geologi francesi e mi pare a torto. La fauna frigidiana ha caratteri spiccatamente diversi di quelli dell’Astiano e anche stratigraficamente ne è differente. Or mi si dirà da taluno: perchè non adottare il nome di Saariano proposto da Mayer ? Il mio illustre amico di Zurigo avea proposto tal nome per l’epoca durante la quale il deserto del Sahara fu, secondo egli opinava, occupato dalle acque. Tale invasione o per meglio dire tale grande trasgressione riputava egli che avesse prodotto un forte abbas- samento di temperatura e dato origine a piogge torrenziali nel conti- nente europeo. Or ciò non è del tutto esatto. È probabile che il de- serto sia stato invaso dalle acque, ma mancano ì documenti necessari per provarne la totale invasione. Ma se ciò fosse stato, il che è proba- bile, non sarebbe stata certo questa una ragione per tale raffreddamento. L’epoca glaciale, come è noto, non è punto speciale dell'Europa ma ha riscontro in America e in tutto il mondo. Il nome di plistocene Lyell e pleistocene o più comunemente post- pliocene non denota punto esclusivamente il periodo in questione, ma N abbraccia anche i depositi posteriori cioè il quaternario ossifero e i ter- reni di alluvione recenti. Il nome di Siciliano non indica che un facies locale, un deposito importantissimo marino freddo. Non mi pare punto adottabile per deno- tare tutte le faune terrestri coeve della terra. Per tali ragioni ed altre che ho in vari miei lavori enumerato, parmi preferibile adottare il nome di piano frigidiano includendovi tutto quanto il quaternario freddo della terra, il quale in taluni siti è rap- presentato da un facies continentale, in altri da un facies marino (sici- liano), includendovi quindi tutti i fenomeni grandiosi glaciali. Dalle osservazioni generali dei depositi quaternari di Europa ri- sulta che questi furono preceduti da un clima non rigido, del quale fanno fede i depositi a Cyrena fluminalis e da continuate copiose piogge che alimentavano una lussureggiante vegetazione tale da dare abbon- dante mangime ai grandi e numerosi quadrupedi che popolavano al- lora le terre (Elephas antiquus, Hippopotamus major, Rhinoceros Mer- chi etc. Io credo che tali strati continentali possano corrispondere al Cala- briano del sig. Carlo De Stefani.— Continuando ad aumentare il freddo fu la Renna (Cervus) che prese l’assoluto predominio e la maggiore dif- fusione. Per quanto riguarda la Sicilia risulta evidente che il mare gla- ciale ebbe una lunghissima durata tale da permettere la deposizione di un potente strato di specie di mollassa calcarea che è generalmente in- dicata col nome di tufo calcareo (sebbene da molti si riserva il nome di tufo ai prodotti vulcanici), di argille, di sabbie. Ora è evidente che il livello del mare dovette per lunghissima serie di anni mantenersi co- stante, altrimenti non potrebbero spiegarsi le numerosissime e grandi grotte scavate nel calcareo compatto lungo tutto il littorale e allo stesso livello. Avvenuta la regressione, tali grotte furono occupate dai grossi mam- miferi (E/ephas antiquus e sue varie forme, Cervus elaphus, Bos trocho- cenus et primogenius, Hippopotamus Pentlandi, Hyena crocuta), talune grotte contemporaneamente o successivamente furono scelte per abita- zione dall’uomo. È evidente che da noi il periodo glaciale fu seguito da un consi- derevole elevamento di temperatura e da copiose piogge le quali dettero origine a lussureggiante vegetazione e anche a dei depositi di trasporto considerevoli. È appunto questo periodo che io ho chiamato Calidiano e — 51 — che credo corrisponda bene alla deposizione delle faune a Strombus Sferracavallensis o bubonius e a Tritonidea viverrata Kiener, sui quali strati il signor Gignoux ha pubblicato recentemente un dotto e magi- strale lavoro (1913 Les formations marines plioc. et quatern.). Questi non sono fatti d’indole locale ma assolutamente generali. Ciò che avvenne in Sicilia non può non avere avuto uno riscontro in tutto il mondo. Il periodo frigidiano dovette essere da per tutto seguito da elevamento di temperatura che determinò lo scioglimento dell’immensa calotta di ghiaccio che si estese per centinaia di miglia. Le copiose piogge dovettero ovunque produrre gli stessi effetti ed io ho molte ra- gioni per credere che molti depositi, che si attribuiscono dai geologi eu- ropei a fenomeni preclaciali, devono invece ascriversi al periodo post- glaciale e precisamente al calidiano. Riassumendo, io eredo, che dopo il pliocene astiano debba in serie cro- nologica collocarsi il calabriano che indica una fauna di passaggio alla fauna fredda. Succede il frigidiano (sensu lato) che in Sicilia si mani- festa col siciliano. Dopo questo accade un considerevole rialzo di tempe- ratura e così s' inizia il calidiano. MARCH. A. DE GREGORIO. — 00 one - Su taluni molluschi di acqua dolce di America (American fresh water shells of America) (con 10 tav. (3-12) PREFAZIONE Lo studio delle Najadi (Unionidae) dell'America, prescindendo del- l’importanza tassanomica, offre una grande attrattiva per la svariata e magnifica multiplicità delle forme. Anche a persone, che non attendono a siffatti studi, non può non arrecare meraviglia e ammirazione l'esame di questo sviluppo estraordinario di specie e di varietà. La natura ha dispiegato tutta quanta la sua potenza evolutiva in questa imponente serie di elegantissime forme, le quali si connettono e si ramificano mi- rabilmente tra loro. Appare strano che mentre in altri luoghi della terra questa fami- glia sia poco rappresentata, abbia poi invece in America raggiunto tale PE grado di sviluppo. A ciò deve contribuire senza dubbio una circostanza speciale facile a indovinarsi: cioè che le condizioni dell'ambiente sono colà molto favorevoli alla vita e sviluppo di queste specie. Un’altra considerazione poi rende ancora più interessante lo studio di questa famiglia: Quando si tratti di specie marine, si capisce come possano diffondersi in immense estensioni, perchè il mare offre un fa- cile mezzo di diffusione : le singole specie si accantonano nei vari centri, ma se non identiche, sono sovente rappresentate anche in lontane re- gioni. Ciò però riesce meno comprensibile per le specie di acqua dolce, le quali non possono avere necessariamente che un'estensione, sia pure ampia, ma sempre relativamente limitata. Or accade che esaminando lo sviluppo delle specie americane, si trova, che sebbene si presentino sotto forme speciali, però hanno sempre gli stigmati indelibili della fa- miglia cui appartengono. È appunto quanto d’ altronde si verifica in ogni famiglia animale, in ogni famiglia vegetale. Pare quasi che ogni gruppo abbia in sè e a sua disposizione la potenzialità di compire un ciclo di trasformazioni non solo per adattarsi alle diverse condizioni di vivenza nei vari am- bienti, ma anche per sviluppare la propria vitalità in varia stregua a secondo le fasi più o meno favorevoli allo sviluppo dei singoli caratteri. Una delle ragioni che maggiormente spiegano questo straordinario sviluppo di forme è inoltre la seguente: Talune specie di Unio si tro- vano ancora nello stadio plastico, intorno al quale mi sono trattenuto nella prefazione del mio libro: « Studi su talune conchiglie mediterra- nee viventi e fossili » (Soc. Mal. Ital.) alla quale rimando il lettore. Dopo ciò che ho detto, non è a meravigliare che molti malacologi americani si siano dedicati allo studio delle Najadi; e non è a meravi- gliare come tra tanto sviluppo di forme non sieno ben definiti, ma so- vente affatto confusi i limiti delle specie non solo, ma anche delle sin- gole varietà; non è neppure a meravigliare che anche tra malacogisti viventi vi siano delle controversie non poche e dispareri considerevoli, sia nella distinzione delle forme e delle varietà, sia anche nella tasso- nomia delle specie. Tra i vari scienziati che si sono interessati a questo studio, colui che ha il maggior merito è Lea il quale riuscì a pubblicare una serie imponente di memorie malacologiche illustrate da ottime tavole. Studiando il terziario di America e precipuamente l’eocene di Ala- bama e il miocene di Yorktown ho dovuto riscontrare anche vari libri malacologici riguardanti le faune viventi e tra questi anche di quelli —. Sp che si occupavano di conchiglie fluviatili e anche terrestri, però ciò na- turalmente molto di sghembo, essendo tali faune fuori l’ orbita dei miei studii. Però sopravvenne una circostanza delle più strane che si pos- sano immaginare e dirò anche romantica, Anni addietro venne a trovarmi un marinaio, di cui sconosco il nome (perchè egli non me lo dichiarò) con una grande cesta piena di conchiglie. Quando mi fu annunziato, supposi che si trattasse delle so- lite persone qui dei nostri paragi che sogliono portarmi delle conchiglie pescate nei nostri mari. Così lo feci salire su in casa mia senz'altro. Or qual fu la mia meraviglia nell’ osservare che la cesta conteneva delle specie esotiche bellissime, principalmente appartenenti alle Najadi / In- terrogai quell’individuo donde li avesse avuto. Egli mi disse che da molto tempo era emigrato e si era stabilito in Cincinnati dove era vissuto quasi dieci anni. Conoscendo per fama, per mezzo di suoi compatrioti, ch'io mi occupavo di scienze naturali e di conchiglie avea raccolte que- ste nel fiume di Cincinnati e ritornando qui in Palermo per rivedere la sua famiglia avea pensato di portarmele. Da prima dubitai della ve- ridicità di tale narrazione, ma avendolo interrogato, mi parve dicesse la verità perchè mi riferì molti dettagli della città e dei fiumi e delle campagne di colà , che mi convinsero che egli realmente veniva di quel paese. Gli domandai quanto ne richiedeva e siccome la sua richiesta non fu alta relativamente all'importanza della collezione, lo pagai senz'altro ed egli andò via subito. Appena ebbi tempo (dopo alquanti giorni) di esaminare la colle- zione e appena la ebbi disposta in un grande tavolo, mi avvidi che pre- sentava un interesse ragguardevole e sebbene mi trovassi ingolfato in molti studii di faune fossili ben diverse, fui sedotto e ammaliato dalla venustà e varietà delle forme e decisi di consacrare ai miei nuovi ospiti un certo studio. Comprai all’uopo varii libri tra cui ebbi la fortuna di averne uno estremamente raro, cioè il lavoro originale di Say con le ta- vole figurate, non che la seconda edizione di Binney. Ebbi poi tutte le opere di Lea tra cui la grande monografia in prestito da Berlino. Misi così insieme una sufficiente collezione di libri riguardanti le Najadi (Unio- nidae) di America, e anche una mediocre collezione di libri riguardanti i gasteropodi fluviali. Mi accinsi quindi al lavoro. Molta fu la mia sorpresa nell’esaminare l’ interno delle conchiglie; perocchè in moltissimi unizo e anodonta scopersi un piccolo numero scritto con la matita e, cosa più strana, tali numeri tutti nella valva destra, mai nella sinistra. Ciò mi fece sospettare che quanto mi avea raccon- Il Nat. Sic., Anno X.XSI — Nuova Serie, Vol, II 5 Sas — tato il sedicente marinaio fosse una falsità e che facessero parte di una collezione di qualche scienziato. Ma quel tale non mì disse affatto il suo nome nè il recapito, anzi mi avea fatto capire che sarebbe tornato in America. Quindi rinunziai a qualunque indagine su tal riguardo e mi misi al lavoro. Fu così che riuscii a compilare la presente memoria. Come si ve- drà di seguito moltissime specie non sono punto nuove, ma sono state già precedentemente descritte, però non poche presentano dei caratteri peculiari importanti. Vi ha qualche specie che a me pare non si possa riferire ad alcuna delle specie conosciute e descritte dagli autori. Ma la cosa più strana e romantica è quella che ora sono per nar- rare. Questo mio lavoro ultimato da tempo, rimase così tra altri miei manoscritti non ancora stampati. Or, trovandomi dopo qualche anno a passeggiare in Palermo in via Macqueda e precisamente presso la chiesa di S. Giuseppe, mi fermai qualche momento, come io solgo fare, per esaminare i libri vecchi usati che sogliono vendere taluni rivenduglioli sulla pubblica strada. Avendo tra gli altri visto un libro di Dara che io non possedevo : f« A_ system o Mineralogy second edition 1844, New-York and London dedicated to prof. B. Sillman » lo acquistai. Molta fu la mia meravigiia e il mio compiacimento nel leggere in una pagina del detto libro uno scritto autografo di Dana che regalava tale copia allo stesso prof. Silliman al quale appunto è dedicato il libro come si rileva dallo stampato della pagina quinta. Tale dedica di Dana è datata « New Haven 6 Aprile 1844» cioè lo stesso anno della pubbli- cazione e con probabilità nello stesso mese. — Intanto vi è nella stessa pagina un’altra dedica scritta dal prof. B. Silliman di New Haven del 7 Juny 1845 dalla quale si rileva che tale libro fu donato da costui al- l'ingegnere Spaca in Roma. Non si comprende come e perchè il profes- sore Silliman si privò di questa copia che dovea essere preziosa per lui per donarla ad altra persona. Ma la maggiore sorpresa la ebbi quando tornando in casa e sfo- gliando il detto libro vi trovai nel mezzo due fogli di carta manoscritti contenenti due elenchi di specie, uno di urionidae e uno di conchiglie terrestri e fluviali; il primo porta il titolo: « Catalogue of American Naiades from B. Silliman », l’ altro: « Catalogue of terrestrial and flu- viatile univalves from B. Silliman ». Il primo contiene 98 nomi, il se- condo 91. Or confrontando il catalogo delle Najadi e dei relativi numeri con | = Ge le conchiglie da me studiate portanti i numeri analoghi, mi son subito convinto che evidentemente tali cataloghi riguardavano la collezione da me acquistata. È chiaro adunque che quanto mi ebbe a raccontare il venditore era falso. Tale collezione dovette un tempo appartenere al prof. Silliman, il quale dovette con ogni probabilità regalarla all’ inge- gnere Spaca. Come e perchè quel tale mi spacciò quelle frottole mi rie- sce incomprensibile, nè so come egli abbia avuto tale collezione, nè co- nosco chi abbia comprato il libro di Dana in Palermo, in che modo e da chi. Tutto resta un mistero. Certo fu una felicissirma e strana com- binazione quella di capitarmi nelle mani, così casualmente e dopo tanto tempo, il catalogo della mia collezione! Ora confrontando tale catalogo con l'elenco da me indipendente- mente fatto, vedo che varii nomi coincidono perfettamente. Parecchi altri però ne discordano. Io ho fatto il mio lavoro con la maggiore ac- curatezza e credo che le mie osservazioni siano esatte. Di talune sono sicurissimo che ho ragione, perchè ho eseguito la verifica di controllo, di talune altre mi è impossibile di asserirlo perchè non ho più meco taluni dei libri che mi servirono per tale studio. Io ritengo però di ben appormi, perchè io ho cercato di essere più esatto che ho potuto. Ma del resto non sono infallibile, e questo mio lavoro esorbita alquanto dalla sfera dei miei studi. Esaminando e confrontando tutte le specie che possiedo, credo che buona parte della collezione catalogata è in mia possessione, però vi sono dei numeri che mancano, specialmente dei gasteropodi, segno che la collezione non è intera, ma vi sono delle mancanze. I nomi delle specie, le determinazioni delle quali corrispondono, cioè quelli che coincidono con quelli del catalogo del prof. Silliman li ho fatto seguire da un punto ammirativo (!). In ogni descrizione di specie ho aggiunto in calce il nome col quale le trovo designate nel catalogo, tranne in quelle identiche che (come ho detto) ho segnato con il punto (!). La località ossia la provenienza è indicata con l’ abbreviativo « Loc. ». Questa l’ho ricavato dal catalogo sopracitato che mi è stato per questo riguardo prezioso. Come si vedrà di seguito, la maggior parte degli Unio e delle Anodonta dalla mia collezione proviene da Sciota River (Ohio), poche da Cumberland River (Tennesee) un piccolo numero da Buck River Tennesee e da altre località. I gasteropodi fluviali e i terrestri che possiedo son relativamente po- chi. Non posso dare la provenienza perchè mancano i numeri, Ho però in fine di questo mio lavoro fatto stampare integralmente il catalogo di Silliman in cui è indicato. SORT Descrizione delle specie UNIONIDAE Unio ater Lea. 1829. Lea. Vol. I, p. 40, tav. 7, fig. 9 (Mississipì below Natchez). Non ne possiedo che un esemplare che pare identico al tipo. Ne differisce solo per la valva destra che ha un solo dente cardinale in- vece di due, l’altro rudimentale. Lea cita questa specie dal Mississipì il nostro esemplare credo pro- venga da Sciota R. Unio (Symphynota) tenuissimus Lea ! 1829. Lea. Vol. 1, p. 67, tav. II, fig. 21. Di forma il nostro esemplare è identico a quello figurato da Lea, solo ha un colorito giallastro e raggi verdi obliterati, mentre il tenwis- simus è verde. Questa dice Lea, è la specie più sottile e fragile delle Naiadi di America, invece la mia non è poi tanto fragile. Pare un Ano- donta. Di denti non ne ha che il cardinale nella valva destra (che con- siste in una piccola prominenza ottusa), e un dente laterale posteriore laminare assai teuue nella valva sinistra. Questa forma somiglia molto all’ Anodonta amazoniensis Lea e alla Spatha Natalensis Lea, Vol. X, tav. 10, f. 58, all’U. Paramettensis Lea, Vol. XI, tav. 20, f. 59, e alla Monocondylea Monhotiana Lea, Vol. XI, p. 69. tav. 21, f. 6-7. — all’Anodonta crepera Lea, Vol 7, pag, 56, t. 34, f. 117 di Bongabon (Philippines) e all’ U. Floridensis Lea, Vol. 5, p. 30, tav. 21, f. 31.— Loc. Sciota R. (Ohio). Unio patulus Lea. 1829. Lea. Vol. I, p. 55, tav. 12, fig. 20. Il nostro esemplare differisce pel colorito più scuro, per le zone rag- gianti verde-bottiglia, l’angolazione careniforme posteriore, l’umbone non decorticato, l'interno di color bianco rosso. Nel catalogo è riferito al possidens Lamk. — Loc. Sciota R. (Ohio). — 37 — Unio (Symphynota) alatus Say ! Say Nicholson’ s Encyclopedia (Am. Ed. Art. Am. Conch. pl. 4, f. 2) — La- mark, Barnes (Silliman’s Am Journ, Vol. 6, Swainson. Chenu, fig. 708), Lea, Vol. I, p. 62. Ne ho due esemplari molto somiglianti all’U. levissimus Lea (Vol. I, p. 57, tav. 13, fig. 23). Ne differiscono per due denti cardinali della valva sinistra. Somigliano molto all’U Huesi Lea di Siam (Vol. 6, p. 11, t. 23, fig. 3). Pare abbiano molta somiglianza con ) U. Poulsoni Conr. (Conrad, Nouv. 109, d’eau douce, trad. Chenu, p. 15, tav. 1, fig. T. Loc. Sciota R. (Ohio). Unio asperrimus Lea. 1850. Lea. Vol. I, tav. 5, fig. 43. I miei esemplari pel colorito e per la dimensione e per la forma dei tubercoli sono identici alla citata figura, ma per la forma del mar- gine dell’ umbone, e per i denti cardinali somigliano più al /acrymosus (Lea, Vol. I, p. 14, tav. 6, fig. 8, Chenu Manual, fig. 698). L’apice non è decorticato, ma manca della sola epidermide. Io ri- tengo che tali specie debbansi unire. Somigliano molto all’U. nobilis, pag. 297, tav. 27, fig. 2, 3 e credo anche al quadrulus e apiculatus che non conosco. Dei tre esemplari che ho, i due più piecoli gli somigliano dippiù. Il grande ha la cerniera di- stinta, la lamina cardinale, poco larga, i denti cardinali grossissimi pa- rallellepipedi. Nel catalogo è riferito al Zacrymosus Lea. —Loc. Cumber- land R. Var. U. — La cerniera è più simile all’ asperrimus, l’umbone pure, ne differisce per una fila di enormi tubercoli raggianti. Nel catalogo è riferito al metanevrus Raf. — Loc. Cumberland R. Unio pustulatus Lea, var. 1830. Lea. Vol. I, p. 89, tav. 7, fig. 9 (Ohio Tennessee). Differiseono i miei esemplari per la forma più allungata antero- posteriormente, e pel margine posteriore alquanto rostrato e subtroncato e per le numerose lineole scure raggianti. — Nel catalogo è riferito al cornutus Barn. — Loc. Sciota R. (Ohio). SAT Unio ebenus Lea, var. Lea. Vol. I, tav. 9, p. 4. Xi somiglia, se ne distingue per 1’ umbone lateralmente angolato e con liste verdi raggianti per l'interno le di cui sfumature sono blu e non rosse. Nel catalogo è riferito al pustulosus Lea. — Loc. Sciota R. (Ohio). Unio perplexus Lea! 1831. Vol. I, p. 122, tav. 17, fig. 42. Interessante specie affiliata al cornutus Barn. (che Lea scinde nel foliatus Hildr. e cornutus Barn., perplexus Lea). Ne ho un esemplare di sicura identificazione. Ne ho inoltre un esemplare piccolo che potrebbe appartenere a specie affine. — Loc. Sciota R. (Ohio). Unio propeverutus De Greg. Tav. III, fig.1 ac. Testa valde asymetrica, depressa solida , striîs concentricis accretionis ornata intus vinacea; umbo depressus; latus anticum paulo decorticatum. Valva dextera dente antico crenulato, posticoque ablongo valido praedita ; valva sinistra duobus dentibus cardinalibus crenulatis, duobusque dentibus la- minaribus posticis praedita. Affine al verutus Lea (Vol. 8, p. 17, tav. 52, f. 160 (1859) ne diffe- risce per la carena appena visibile assai avvicinata al margine poste- riore. Per la forma somiglia molto al Fisherianus Lea. (Vol. I, tav. 4, fig. 8) è però assai più solido, con cerniera più grossa ete.—Nel catalogo è riferito al gibbosus Barn. — Loc. Sciota R; (Ohio). Unio Muhlfeldianus Lea, var. plurimaffinis De Greg. Tav. III, fig. 2 a-d. Lea. Vol. 2, p. 61, tav. 12, fig. 36 (di Cumberland R.), tav. 17, fig. 35. Segno con tal nome una forma che ha molte affinità con varie al- tre. È una conchiglia elegantissima fragile tenue, internamente ornata di zone radianti gialle e verdi, internamente è argentea madreperlacea, presso il cardine macchiata di verde. L’impronta muscolare anteriore è e asgr— profonda, la posteriore affatto superficiale. La valva destra ha due denti cardinali di cui l’anteriore minimo e un dente laterale posteriore lami- nare. La sinistra ha due denti cardinali e due denti laterali posteriori laminari. Ha molta somiglianza con l’Unio planicostatus Lea (1860, V. 8, p. 36, tav. 5, f. 179) quasi non si distingue; assai somiglia pure all’ ZU. radians Lea. (1857, vol. 8, p. 19, tav. 23, f. 84), ha alquanta affinità con l’U. tener Lea (1840, -vol. 3, p. 36, tav. 10, p. 10). Ha poi grande somiglianza con VU. rutilans Lea (v. 6, p. 59, tav. 9, f. 41) di Othcalooga Crech Gordon County and Columbus, solo ha l’um- bone più indietro; i denti della valva destra sono due, uno grosso e uno piccolo. Ha qualche affinità con ) U. Muhfeldianus Lea, (vol. 2, tav. 17, f. 35); ne differisce però a colpo d’occhio per l’umbone meno sviluppato.—Ha infine molta affinità con l’U, regularis Lea, vol. 3, p. 91, tav. 25, f. 69. Infine somiglia assai all’U. Prevostianns Lea, vol. V, p. 25, tav. 19, f. 24 di Eubowah rives Georgia; differisce solo per la diversa colorazione e denti più grossi. Pel colorito e l’ornamentazione è assai simile all’U. missipiensis Conr. Descr. fresh water shells, tav. 38, f. 11.— Nel catalogo è riferito al radiatus Say. Tutte queste specie citate forse sono forme di unica grande specie. Io ho adottato il nome di MuA/feldianus non perchè più affine ad esso che agli altri, ma perchè il primo usato da Lea.—Loc. Connecticut. Unio pallescens Lea, var. Lea. Vol. 4, p. 54, tav. 7, f. 30. Se ne distingue per l'impronta muscolare anteriore più piccola, i denti cardinali più tenui. Lea la cita di Tuscaloosa. Ha analogia anco all’ U. Coloradoensis Lea (vol. 6, p. 34, tav. 29), ne differisce per non aver carena. Ha poi immensa somiglianza all’U. rosaceus Conr. (di Savannah ri- ves) Conr. (Conrad, Descr. of new fresh water and marine shells p. 275, tav. 38, f. 5). Ne differisce pel colorito un po’ più chiaro, e pei denti cardinali che non sono tre o due bifidi, ma due. — Nel catalogo è rife- rito al cariosus Say. — Loc. Connecticut. Unio tuberosus Lea, var. perlobatus De Greg. Tav. I. fig. 3. Vol. 3, p. 48, tav. 14, fig. 25 (Cany Fork and Cumberland Rivers). Molto simile; lo strangolamento posteriore è più risentito, l'impronta 40 = posteriore più grande e più simile a quella dell’U. asper Lea (v. I, p. 95, tav. 9, f. 15) da Atalama river. Ne è però distintissimo sì per la grande impronta muscolare posteriore che per lo strangolamento posteriore.—Nel catalogo è riferito all’ intermedius Conr. — Loc. Duck R. Tenn. Unio Wrigtii Lea, sp. aff. Vol. 12, p. 43, tav. 39,"fig. 97 (China). Molto simile al suddetto, però ha uno strangolamento posteriore ed è posteriormente radialmente rigato. Unio triangularis Barn., var. pergibosus De Greg. (Tav. 2, f. 4) e var. longiusculus (Tav. 2, f. 5). U. formosus Lea. Vol. I, p. 121, tav. 16, fig. 41.—Chenu Manuel, fig. 662. Posseggo tre belli esemplari dei quali il grande è simile al formosus che è riferito da Lea alla stessa specie. Chenu non è di tale parere. Io credo se non identica specie certamente varietà. Inoltre ho due esemplari di cui il maggiore var. pergibosus De Gr. e il piccolo var. /ongiusculus De Gr. — Detti tre esemplari sono riferiti nel catalogo, il primo al zigzag Lea, il secondo al triangularis, il terzo al zigzag.—Loc. Sciota (Ohio). Unio soleniformis Lea. 1830. Vol. I, p. 97, tav. 10, fig. 17. (U. monodontus Say) (Ohio). Differisce solo per esser posteriormente un po’ obliquamente troncato. Unio Emmonsii Lea, aff. 1859, Lea. Vol. 8, p. 60, tav. 2, fig. 203 (Roanokc R.). Diversi esemplari nella forma identica, la cerniera è un po’ diversa il che mi fa dubitare dell’identificazione. È però certo una specie molto aftine. Uno dei nostri esemplari var. A somiglia al soleniformis. Richiama inoltre l’U. ochmulgeensis Lea, vol. 8, tav. 16, f. 245. Unio elegans Lea! 1830. Lea. Vol. I, p. 93, tav. 9, fig. 13. — Chenu (Manuel), fig. 672. Entrambi le figure citate hanno qualche lieve diversità, ma non si = Hic può mettere in dubbio l'identità specifica. Ne ho tre esemplari. Uno è ‘quasi tipico, però ha la carena più prominente (come quella del trian- gularis) e i denti più prominenti. Dei detti esemplari nel catalogo uno è riferito al rubiginosus Lea. A me pare non si possa distaccare dall’elegans. Loc. Sciota. Var. elegantopsis De Greg. Tav. 4, fig. 6. La valva destra ha un dente cardinale piramidale e uno laterale laminare mediocre. Questa varietà differisce dall’ elegans tipo per essere più grande e per la mancanza di un dente lamellare posteriore nella valva sinistra; nell’ elegans ce ne sono due, in questa uno. — Loc. Sciota R. Var. magnelegans De Greg. Tav. 5, fig. 1 a-c. Raggiunge in questa varietà il massimo sviluppo. Si distingue per la forma orbiculo-triangolare. Ha le impronte muscolari profonde, quella anteriore profondissima. La valva destra ha un dente cardinale crenulato e un dente laterale posteriore laminare. La sinistra ha due denti cardi- nali subtriangolari e due posteriori laminari. — Loc. Sciota R. Unio zig-zag Lea! Tav. 4, fig.3 var. illius De Greg. 1829. Lea. Vol. I, p. 54, tav. 12, f. 19 — Chenu, fig. 670. Identico! differisce solo per la forma più bislunga, i raggi verdi che si trovano nella figura di Chenu ma non in quella di Lea. Un altro esemplare f.* iJlJius De Greg. differisce per esser più largo anteriormente e per l’ornamentazione meno a 279-249, ma a zone scre- ziate raggianti. La sua forma è quasi identica a quella del donaciformis. Lea. Vol. I, tav. 5, fig. 3.— Loc. Sciota R. (Ohio). Unio cilindricus Barn. Say! Tav. 4, fig. 1, var. propetipicus, fig. 2, var. acrispatus De Greg. Nich. Am. Art. Conch. Tav. 4, f. 3.—Say Am. Conch. Ed. Binney p. tav. f.3.—Lea, Vol. 19, p. 57.—Cheuu Manuel, fig. 689. Possiedo vari esemplari di questa specie di sicura identificazione- È Il Nat. Sic., Anno X.XII — Nuova Serie, Vol. II, 6 Serg gie citata dagli autori come proveniente da Columbus Ohio. La descrizione e la figura di Say sono pessime. Buona è la figura di Chenu. Io ho di- stinto due forme o varietà oltre di una terza varietà.. Dei denti nessuno degli autori parla. La valva destra ha due denti cardinali, uno piccolo alquanto anteriore presso il margine, uno dirim- petto l’umbone grosso con crenulazioni, uno laterale posteriore molto lungo e laminare. La valva sinistra ha due denti cardinali divaricanti con crenulazioni mediane, e due denti laterali posteriori laminari. Var. propetipicus De Greg. — È munita di carena®formata di cin- que grandi nodosità ondulose decrescenti verso l’umbone. Lo spazio post- carenale, è ornato di numerose coste irregolari rugose. L’umbone nella parte anteriore alla carena è tubercolata. Questa forma pare si avvi- cina molto al tipo della specie. — Loc. Sciota R. Var. acrispatus De Greg. — Manca delle coste e rugosità nello spa- zio postcarenale e dei tubercoletti dell’umbone. Ha una dimensione rag- guardevole. — Loc.fScieta R. Unio tuberculatus Barn! Am. Journ. Sc. Vol. VI, p. 125.—Chenu, Manuel fig. 693.—Lea, Vol. 10, p. 61. Ne ho un esemplare identico al tipo. Lea lo cita di Cincinnati, Ohio, e Columbus. — Loc. Cumberland Tenn. Unio tuberculatus Barn., var. supra speciosus De Greg. Tav. 6, fig. 2 a-d. Differisce dal tuberculatus Barnes per la forma più bislunga; dal- l’U. speciosus Lea (Vol. 9, p. 29, tav. 31, f. 276 del Colorado) per aver un diametro umboventrale assai più breve, e per i denti cardinali assai più grossi e prominenti, — e per il rostro posteriore. Meno si assomiglia all’U. atromarginatus Lea (Vol. 3, tav. 13, f. 21). Per la forma esterna somiglia quando è ;chiuso alla sMargaritana Vi- gnouana Bern. (Journ. de conch. p. 301, vol. 7, 1858), ma ne è assoluta- mente distinto per la cerniera. Nel catalogo è riferito al tuberculatus Barn.—Loc. Cumberland. R. Tenn. Unio undulatus Barn. Barnes Amer. Journ. Sc. Vol. 6, p. 120, tav. 2.'— Say Am. Conch., p. 16.— Lea, Vol. X, p. 56. — Chenu, fig. 704. Say dice che si trova nel fiume Fox confluente del fiume Wabash. Ce49, — Lea cita la località Columbus Ohio. Ne ho un magnifico individuo di sicura determinazione. Appartiene al tipo del trapezoides e multiplicatus Lea, plicatus Leseeur. È molto somigliante all’ U. Eightsii Lea, vol. 8, p. 49, tav. 64, f. 192. Forse queste due specie debbono unirsi e coll’ U. Lincecumti Lea, vol. XII, p. 12, tav. 99, f. 125 (Dallos Texas). — Allo stesso tipo appartengono l’U. latecostatus Lea, vol. IV, tav. 1, f. 2, atro costatus Lea, vol. IV, t. 2, f. 5, ma più lontanamente. Nel catalogo è riferito al plicatus Barn. — Loc. Sciota R. Unio verrucosus Barn! Am. Journ. Sc., Vol. 6, p. 123. — Lea, vol. X, p. 63. — Chenu, fig. 693. Ne possiedo quattro magnifici esemplari. Lea nota per habitat Co- lumbus—Loc. Sciota R. Ohio. Unio circulus Lea! 1829. Lea. Vol. I, p. 47, tav. 9, fig. 14. Ne possiedo degli esemplari di sicura identificazione. Lea cita questa specie da Cincinnati (Ohio) Pittsburg (Monongahela e Nashville (Tenne- see). I nostri esemplari sono di Sciota R. Ohio. Unio securis Lea! 1829. Lea. Vol. I, p. 51, tav. 3, p. 17. — Ohio, rara. Simile alla citata figura; solo le zone raggianti che in questa figura sembrano scure, nella mia sono verdi. — Loc. Sciota R. Unio pustulosus Lea! 1830. Vol. I, p. 86, tav. 7, fig. 7. La cita come habitat Ohio e Alobama R. —I miei esemplari pre- sentano d’ interessante delle larghe zone verdi raggianti nella regione umbonale. Hanno il color un po’ più chiaro e il dente della valva si- nistra più prominente; però la determinazione è sicura. — Uno degli e- semplari è riferito erroneamente al ./orsus Rafinesque. — Loc. I primi provengono da Sciota R., questo da Cumberland R. Tenn. Sg Unio pyramidatus Lea. 1831. Vol. I, p. 159, Tav. 16, fig. 39. Di quasi sicura identificazione. Ne ho tre individui che presentano però rimarchevoli differenze tra loro che mi fanno pensare che alla stessa specie debba unirsi 1'U. taitianus Lea, vol. I, tav. 4, fig. 11 di Alabama river. — Loc. (Ohio) Sciota R. Unio compressa Lea! var. lindus De Greg. Tav. 6, fig. 1 a-d. Il mio esemplare differisce dal compressus (Lea 1829. Vol. I, p. 64, tav. 12, fig. 22 dell’ Ohio e di Norman's kill presso Albany) per essere più bislungo , e posteriormente più obliquamente troncato, e pei denti della valva sinistra tre, non continuantisi. Di essi il mediano è il minore ed è crenulato ai margini, il posteriore (cardinale) è il maggiore.— Loc. Sciota. Unio Troostensis Lea! var. 1833. Lea. Vol. I, p. 71,_tav. 10, fig. 30. — Cumberland River. Differisce dal citato per il lato posteriore più obliquamente tron- cato e l’umbone un po’ più anteriore. Il colore dell’ umbone è un po’ più scuro; del resto identico. — Loc. Stone’s R. Unio pulcher Lea. 1834. Lear-Vol. 2, p. 6, tav. 3, fig. 6.—Near Nashville, Tenn. Il mio esemplare differisce dalla figura citata per esser un po’ più bislungo e pel colorito un po’ più chiaro; negli interstizi più chiari ci sono altre lineole verdi raggianti. Nell’interno verso la periferia ha pure zone raggianti bluastre. Ha molta somiglianza con l’U. ogeeehensis Conr. (Descr. fresh. water shells, tav. 37, fig. 3, 4. Ne differisce per le zone raggianti più verdi e e lineolate e pel dente anteriore più grosso. Io non credo che questa specie differisce dall’ occidens ed è perciò che la riferisco afuna?sua forma e varietà. Ha poi molte affinità coll’U. radians Lea. Vol. 7, tav. 23, f. 84 etc. Nel catalogo è riferito all’interruptus Lea.—Loc. Harpeth R. Tenn. ra Unio obscurus Lea. 1834. Lea. Vol. 2, p. 7, tav. 3, fig. 7 (near Nashville Tenn.). Identico solo posteriormente è un po’ più bislungo e ha una piccola troncatura al margine, é le lineole raggianti meno distinte. Nel catalogo è riferito al Nashvillianus Lea.—Loc. Stone’s R. Tenn. Unio arctior Lea, var. Fisheropsis De Greg. Tav. 5, fig. 3 a-b-c. 1834. Lea. Vol. 2, p. 10, tav. 4, fig. 10. Differisce dall’Unio arctior di Lea (1834. V. 2, pag. 10, tav. 4, f. 10) per i denti della cerniera più piccoli e meno prominenti. Ha molta af- finità al Fisherianus Lea, p. 8, tav. 4, f. 8, vol. 2.—Nel catalogo invece è riferito al confertus Lea.— Loc. Ogeecho Canal Georgia. Unio Stewardsonii Lea. 1852. Lea. Vol. 34, tav. 23, fig. 56 (Chatanooga R.) Var. Stewensoni De Greg. Tav. 6, fig. 3. Immensamente somiglia al capillaris Lea, vol. I, p. 29, tav. 2, f. 2 dell’Ohio tanto che dapprima lo avevo riferito ad essa; ne differisce per l’umbone il quale ha la forma dell'areeformis Lea e meno prominente. Somiglia immensamente allo Sfewardsonîi Lea, vol. 5, p. 34, tav. 23, f. 36 (di Chatanoga Jerin), ne differisce per esser meno compresso, per l’umbone più grosso e l'interno rosso. — Tutte queste specie apparten- gono ad unico tipo. La nostra varietà è dedicata all’illustre prof. John J. Stewenson di New York. Differisce dal propinquus Lea, vol. 8, tav. 5, fig. 212 principalmente per lo strangolamento che in questo è quasi ventrale mentre nel nostro è posteriore. Unio imperitus De Greg. Tav. 9, fig. 1. Testa ovata depressa inaequilateralis solida; umbo anticus minimus, valva dex- tera, dente cardinali triangulari praedita, dente laterali postico laminari erecto ; valva sinistra duobus dentibus triangularibus (ca quibus medio crasso) atque duobus dentibus laminaribus posticis praedita. Forma assai affine all’ U. phaseolus Hil. (Say Am. Conch. tav. 22) ne differisce solo per la forma più bislunga e la mancanza di lunula la quale si vede bene in un mio esemplare tipico c nella figura di Say. Assai affine all’U. Buckleyi Lea, vol. 4, p. 39, tav. 39, fig. 2 del Lake George and Lake Monroe (Florida) ne differisce pei denti più corti e più alti, 1 umbone non decorticato , colore giallo con zone verdi, cica- trice dorsale più bislunga. Appartiene al tipo del patulus Lea (Vol. 1, tav. 12 fig. 20).—Nel catalogo è riferito al phaseolus Hild.—Loc. Sciota R. Ohio. Unio viridulus Lea. 1863. Vol. XI, p. 14, tav. 3, fig. 7. Neux rives, mas Raleigh, North Carolina. Ne differisce per i denti cardinali più prominenti e sviluppati, e per aver non uno ma parecchi segni di accrescimento. Lea paragona questa specie al Zanceolatus, ma parmi più somigliante all’U. rostreformis Lea, vol. 6, p. 64, tav. 10, fig. 46 di Leift Creek nea Macon, Georgia. Dif- ferisce dal suddetto per esser colorito non tenebro-fusco, ma verde-scuro, con zone raggianti e per la più piccola dimensione. Ha analogia col nasutulus Lea, vol. XI, tav. 3 fig. 9. Unio consanguineus Lea. 1861. Lea. Vol. 8, p. 72, tav. 7, fig. 217. Secondo Lea si trova questa specie in Aowak Rives — Oostenaula River Georgia Cahaw ba rives Alabama. Il mio esemplare è assai simile al tipo, differisce appena per l’umbone un po’ più contorto anteriormente che determina una depressione posteriore e per le zone verdi e raggianti. Nel catalogo è riferito al clavus Lam.—Loc. Sciota R. Unio trigonus Lea. 131. Lea. Vol. 1, p. 120, tav. XVI, fig. 40 (Cincinnati e Louisville. È molto simile solo, ha l’umbone più prominente, il dente mediano cardinale, più staccato dall’umbone.—Nel catalogo è segnato rubiginosus Lea.—Loc. Sciota R. Unio calceola Lea! Ne ho un grazioso esemplare di probabile identificazione, non ne sono però sicuro.—Loc. Sciota Ohio. gg Unio brevidens Lea! 1830. Lea. Vol. 1, p. 85, tav. 4, fig. 6. È maggiore in dimensione ed ha molta somiglianza con VU. came- lus Lea (Vol. 2, t. 15, f. 45). Forse queste specie si debbono unire. Du- bito molto che l’Unio gibber Lea (Vol. I, pag. 35, tav. X, f.30 di Carry fork) sia un giovine esemplare del brevidens.—Loc. Cumberland R. Ten. Unio anodontoides Lea! 1830. Lea. Vol. I, pag. 91, tav. 8, fig. 11.— Mississipì Alolabama river Ohio. Differisce solo per la forma più lanceolata e però più stretta l’im- pronta palleale un pò più allungata posteriormente, quasi parallela- mente al margine, sicchè sporge al di là dell’impronta muscolare, men- tre nella figura di Lea non si avanza al di là di questa. Il colorito è giallo tendente al verde. L’identificazione pare sicura.——Loc. Cumber- land R. Unio subrotundus Lea. 1831. Lea. Vol. I, p. 127, tav. 18, p. 45. Ohio. Specie, dice Lea, « of extreme rarity ». Pare assolutamente identico, solo appena più obliquo. Lea lo dice intermedio fra l’ebenus Lea e l’un- datus Barnes; non conosco quest’ ultima specie. Nel catalogo è riferito al politus Say. — Loc. Sciota R. Unio capillaris Lea, var. 1831. Lea. Vol. I, p. 29, tav. 2, pag. 2 (Ohio). Differisce per esser più turgido, col diametro umboventrale sinuoso e con l’interno non bianco ma paonazzo. Unio rangianns Lea, var. 1837. Lea. Vol. 2, p. 95, tav. 17, fig. 56 (near Cincinnati Ohio). Interessante specie; i nostri esemplari sembrano identici, però son più grandi, la parte anteriore della conchiglia è molto meno sviluppata. CR La superficie è ornata di zone, verdi raggianti eleganti. Allo stesso tipo appartengono l’ U. deviatus, e sacculus Antony (Am., Journ. of Conch. Vol. I, pag. 156-57, tav. 12, fig. 2, 3), ma è diversa specie. Nel catalogo è riferita al perplexus Lea. — Loc. Sciota R. Unio Ochmulgensis Lea. F.* Dominus De Greg. Tav. 7, fig. a-c. 1861. Lea. Vol. 8, p. 99, tav. 14, fig. 2e 3 La valva destra di questa forma ha un dente solamente; esso è pri- smatico eretto; la valva sinistra ha due denti conici. Somiglia al duZlatus, differisce da esso e dal Ochmulgensis per i denti cardinali conici, e mancanza dente laterale posteriore. Di colorito è molto nero. L'impressione muscolare anteriore ha delle rugosità veni- formi prominenti. Somiglia all’ Emmonsit e al Roswellensis. — Nel cata- logo è riferito all’arcuatus Barn. — Loc. Connecticut. Unio plenus Lea, var. interduos De Greg. Differisce dal plenus per l’umbone un po’ più conforto anteriormente e per l'interno color paonazzo (non bianco iridescente). Per tale carat- tere, questa varietà interessante unisce il plerus al pyramidatus Lea. Non poco mi meraviglia che Lea descrivendo il plenus non citi, neppure come analogo, il pyramidatus, mentre sono due specie assai vi- cine che con la nostra quasi si immedesimano. Ha inoltre analogia col rubidus Lea (vol. 8, tav. 14 f. 244) ma più lontana. Ne ho due esemplari uno dei quali più grande di quello di Lea. Nel catalogo sono riferiti al pyramidatus Raf. — Soc. Sciota R. Unio emarginatus Lea. 1834. Lea. Vol. I, p. 62, tav. 9, fig. 22. È più tenue più giallo meno sinuoso del soleniformis. Differisce dal- l’emarginatus per esser più stretto nel diametro umboventrale e per l’umbone un po’ più sottile. Differisce dal micans Lea (1857, v. 8, p. 63, tav. 3, fig. 207) per il colorito più chiaro, per esser non decorticato, e per i denti cardinali più obliqui tenui poggianti su una lamina cardinale più stretta. Ha pure analogia coll’ U. Laosensis Lea, Vol. XI, tav. 21, fig. 61. — Loc. Sciota R.? Sgt Unio declivis Say. Vari 1830. syn. geometricus Lea. Vol. 1, p. 48, tav. 4, fig. 10. Molto simile ma più grande, più depresso col colorito meno scuro‘ l’umbone assai meno decorticato, quasi nulla. È molto simile e credo fa passaggio al soleriformis. Nel catalogo è riferito al geometricus Lea. — Loc. Altamaha Georgia. Var. 2. 1832. Syn. Unio geometricus Lea. Vol. I, p. 38, tav. 4, fig. 10 (Bayon Te- che, Louisiana). Una valva destra pare identica, però è solo più depressa e con co- lorito più chiaro e ha il lato anteriore più arrotondato. — Loc. idem. Var. 3. Molto simile alia varietà precedente si distingue da essa per essere un po’ più globosa e di colorito più scura. È però più slmile al declivis tipo per tali caratteri. Differenzia però da questo pel lato postcardinale meno divaricato. Ha analogia coll’U vicinus Lea di Swift Creck Macon Georgia (vol. 6, pag. 6, tav. 9, fig. 43). — Loc. idem. Unio Vaughanianus Lea. 1834. Lea. Vol. 2, pag. 5, tav. 3, fig. 5 (Sawney’s Creck Camoten) Sawney?s Crek (near Camoten). È identico, solo è meno scuro. Questa specie parmi molto somi- gliante all’U. divaricatus Lea all’Egitto, Vol. 2, tav. 9, fig. 24. Il carattere differenziale sta solo nel colore. Se questo è mutabile (come pare, il colore del nostro esemplare infatti non corrisponde a quello di Lea) le due specie dovrebbero unirsi; ma l’habitat è assai di- verso e lontano. Appartiene al tipo nasutus Say che non conosco. Unio coccinens Lea | 1834. Lea. Vol. 2, pag. 12, tav. 5, fig. 12 (Ohio R. Marietta, Mahoning R, Columbus). Il Nat. Sic., Anno XXII, —Nuova Serie, Vol. II. Ti pr Ne ho tre esemplari che ho distinto con le lettere A, B, C. A è più grande e più trapezoidale della figura di Lea. Nell’um- bone ha zone verdeggianti, di dentro bianco. B ha l’umbone più sviluppato, la forma più sinuosa per uno stran- golamento medio posteriore; di dentro è bianco; l’umbone è un po’ de- corticato. C quasi non ha strangolamento. Questa specie ha analogia con VU. plenus, VU. pyramidatus e 1’ U. Andorsonensis Lea.— Nel catalogo sono riferiti a tre specie; uno all’ un- datus Barn., uno al politus Say e un altro al coccineus Lea.—Loc. Sciota R. Unio Edgardianus Lea. 1840. Lea. Vol. 3, p. 52, tav. 15, fig. 38 (Holston R. Tennesee R. Florence). Un piccolo bello individuo giallastro zonato in verde scuro, molto simile e di probabile identificazione. Ha molta somiglianza coll’ U. tes- sulae Lea (Vol. XI, p. 44, tav. 15, fig. 39 di Nolachucky River, Tenn.) che io credo sia varietà dell’Edgardianus Lea nel descriverlo cita come affine l’ U. vareaeformis, ma non fa motto dell’Edgardianus! Ha molta differenza da quest’ultimo solo per l’umbone un po’ meno anteriore. È riferito nel catalogo al gracilis Barn. — Località Sciota R. Unio Tornhatonii Lea, var. Duckensis De Greg. Tav. 11, fig. 2 a-c. 1857. Lea. Vol. XI, p. 42, tav. 14, p. 36. Lea cita questa specie di Tuscumbia Alalama. La valva destra ha un grosso dente cardinale crenulato, due piccole escrescenze dentiformi sotto l’umbone, un dente lungo posteriore. La sinistra ha due grossi denti cardinali continuantisi, e due denti bislunghi posteriori di essi l’in- terno è maggiore. Le impressioni muscolari sono profonde; presso la impressione muscolare anteriore ve ne ha una piccola. Il nostro esem- plare si distingue del tipo solo per aver l’umbone più schiacciato e con- torto e il lato posteriore meno sviluppato e per l’epidermide non « rufo- fusca» ma gialla rossastra con zone raggianti verdi. Somiglia all’U. cor Conrad che non conosco.—-Ha analogia con 1 U. Andersonensis Lea, vol. 3, tav. 12, fig. 33. È riferito nel catalogo al tri gonus Lea che è diverso. — Loc. Duck R. pf — Unio anaticulus Lea, var. ohiensis De Greg. Tav. 10, fig. 3. 1861. Lea. Vol. 8, p. 96, tav. 13, fig. 240. Conchiglia molto asimetrica, con umbone anteriore prominente, con depressione nel ventre; con elegantissime zone verdi raggianti. La valva destra ha un dente mediano grosso e un dente posteriore laminare ; la valva sinistra ha due denti cardinali crenulati e due denti laminari posteriori. Le im- pronte muscolari sono molto profonde. Lea cita questa specie da Columbus. I miei esemplari differiscono per maggior dimensione, per larghe zone verdi raggianti. — Nel catalogo sono riferiti al clavus Lam.— Loc. Sciota. Ohio. Unio validus Lea, var. continuus De Greg. Vol. XIII, p. 10, tav. I, fig. 2 (Duck river Tenn.). Ne differisce per la mancanza di zone scolorate; per l’umbone più grosso, il dente cardinale anteriore più bislungo. Nel catalogo è riferito al rubiginosus Lea.—Loc. Sciota R. Unio Otcaloogensis Lea, var. 1877. Lea. Vol. 7, p. 74, tav. 14, fig. 54. È questa specie interessante per la rarità. Lea la cita di Othalooga. Il mio esemplare pare identico. Il colorito è scuro tendente al verde giallastro. Ha lontana somiglianza con l’U. uricolor (vol. 4, p. 18, tav. 10, fig. 4). — Nel catalogo è riferito al circulus Lea.— Loc. Sciota R. Unio Prattii Lea, var. 1858. Lea. Vol. 7, p. 24, tav. 24, fig. 88. È assai simile; differisce per il colorito che è giallastro con lineole verdi che si arrestano a */, dell’umbone, e per la grande decorticazione. Ha affinità col pumilus Lea, vol. 2, tav. 7, fig. 17, differisce pei raggi verdi e per l’umbone assai più decorticato.—Ha affinità col lenior Lea, vol. 3, tav. 12, fig. 18 e col divaricatus dell'Egitto, vol. 1, tav. 9, fig. 15. — hg Unio angustatus Lea, var. cuniculus Desf. Tav. 10, fig. 1. 1831. Lea. Vol. I, p. 124, fig. 143. Lea cita questa specie di Congaree Cooper Jouth Carolina. Il no- stro esemplare differisce dal tipo pel colorito che è verde bottiglia con raggi verdi, e per la mancanza della depressione posteriore. Per questo carattere e per la forma somiglia più all’ U. Duttonianus Lea, vol. 3, p. 74, tav. 22, fig.40 da cui differisce pel colorito, e per i denti cardinali assai più grossi, e umbone non decorticato. Ha rassomiglianza con l’U. iris Lea, vol. I, tav. XI, fig. 18. Nel catalogo è riferito al rectus Lamark. — Loc. Sciota R. Unio validus Lea, var. Vol. 13, p. 10, tav. I, fig. 2 (Duck R. Tenn.). Gli è molto somigliante, solo è più grande, ha il dente cardinale anteriore meno lungo. Il colorito è giallo bruniccio con liste raggianti più scure cancellate. Unio lanceolatus Lea, var. blandus De Greg. Tav. 8, fig. 2. Lea. Vol. I, p. 8, tav. 3, fig. 2. Ne ho un esemplare che somiglia al tipo di Lea che lo cita come proveniente del Tar river (Tarborough). È della stessa forma, ma è di- stintissimo per la cerniera più solida, e per zone gialle raggianti. La valva destra ha un dente prismatice anteriore e uno bislungo sublami- nare posteriore. La valva sinistra ha due denti cardinali conoidi e due denti laminari posteriori.— Nel catalogo è riferito al phaseolus Hildr.— Loc. Sciota. Unio rubiginosus Lea, var. 1829. Lea. Vol. I, p. 41, tav. 8, fig. 10. Differisce per l’umbone più largo e più curvo, la cerniera assai più solida, la carena più prominente.—Nel catalogo è riferito all’U. securis Lea. — Loc. Sciota R. peo e Unio Troostensis Lea. 1853. Vol. I, p. 71, tav. X, fig. 30 (Cumberland, Ohio). Gli è molto somigliante, solo è più piccolo, e meno rostrato. Unio obesus Lea, var. 1830. Lea. Vol. I, tav. 13, fig. 26 (York R.). Gli somiglia molto, ne differisce per esser assai più decorticato, per il colorito più bruno, il diametro umboventrale minore. — Nel catalogo è riferito allo splendidus.—Loc. Allamaha R. Unio fatuus Lea, var. Lea. Vol. 3, p. 39, tav. XI, fig. 14 (Hohton R. Tenn.). Differisce per l’ umbone non decorticato, per non avere le lineole raggianti, ma grandi zone verdi, anteriormente è giallastro ; 1’ umbone più anteriore, come il Fisherianus Lea, vol. V, p. 8.—Nel calalogo è ri- ferito all’ iris Lea. — Loc. Sciota. Unio fatuus Lea, sp. aff. 1840. Vol. 3, p. 39, tav. II, p. 14 (Holston R. Tennessee). Differisce per il margine ventrale un po’ più largo anteriormente, e pei denti lamellari posteriori meno prominenti, e per l’ umbone non decorticato. Unio compressissimus Lea F.a performosus De Greg. Tav. 5, fig. 2. 1830. Vol. I, p. 102, tav. 12, fig. 23. Testa oblonga transversa, persolida, depressa; umbones antici depressi, valva dextera, dente cardinali antico praedita ; cardo in medio subcomplanatus postice dente oblongo magno praeditus; valva sinistra duobus dentibus an- ticis parvis atque duobus dentibus laminaribus posticis praedita. Differisce dell’ YU. compressissimus Lea, vol. 4, p. 55, tav. 8, fig. 23 di Tuscoloosa e Coosawattee (Alabama) ne differisce per non esser de- ZICAIE pane corticato tranne appena nell’umbone e per la forma più bislunga e raggi verdi. Ha pure analogia con 1’ U. decisus Lea (1840, vol. 1, p. 102, tav. 12, fig. 23) ma se ne distingue per non esser troncato posteriormente, per la lamina cardinale per i raggi verdi e per la forma più compressa. Ha poi anche analogia coll’U. Dowieî Lea, vol. 7, p. 28, tav. 25, fig. 91 di Buck Lake Giorgia, ne è però distintissimo per essere assai meno ri- gonfio e non carenato nè depresso posteriormente. Ha molto affinità infine con VU. Buckey Lea, vol. 4, p. 34, tav. 39, fig. 2. Differisce per esser assai più depresso, per il lato posteriore più giallo, per la cerniera più larga. Nel catalogo è riferito al camelus Lea. Questa specie descritta da Reeve Cat. rec. shell p. 184) è totalmente differente. — Loc. Cumberland. Unio calceolus Lea. F.à Sciotincola De Greg. Tav. 9; fig. 3. 1827. Lea. Vol. I, p. 7, tav. 3, fig. 1. Ohio. Gli somiglia sulla forma e per la cerniera. Se ne distingue affatto per esser posteriormente assai angolato e gobbo, e per lo spazio post- carenale rugoso, e per il dente che è identico a quello del triangularis Barn. da cui si distingue per essere più sottile, per le rughe posteriori e la cerniera diversa. Ha qualche affinità con 1’U. contradens Lea, vol. 2, p. 75, tav. 18, fig. 58 ma è diverso affatto. — Nel catalogo è riferita alla Margaritina marginata Say. La descrizione monca e la pessima figura di Say (p. 53, tav. 71, fig. 5 ed. Binney) non permettono identificarla. Tali figure non si trovano piuttosto originale ma nella edizione po- steriore.—Loc. Sciota. Unio conradicus Lea. Lea. Vol. I, p. 63, tav. 9, fig. 23. Pare assai simile; ne differisce solo per l’umbone meno prominente e approssimato al lato anteriore e per il diametro umboventrale minore. Unio glaber Lea, aff. 1836. Lea. Vol. 2, p. 34, tav. X, f. 29. (Hulston R.). Ne differisce pel lato postcardinale meno divaricato, e però pel lato anteriore meno rostrato. I 550 Unio ellipsis Lea. 1827. Lea. Vol. I, p. 10, tav. 4, fig. 4. Tre esemplari molto simili alla figura citata ma non affatto identici; li considero varietà. Due di essi nel catalogo sono riferiti all’ebenus Lea, uno al politus Lea.—Loc. Sciota R. e Cumberland R. Unio irroratus Lea. 1827. Vol. I, p. 11, tav. 5, fig. 5, (Ohio). La descrizione e la figura del Lea non si riferisce che a una sin- gola forma delle molteplici forme sotto cui si presenta; io ce ne ho 8. To credo che il dromas Lea (vol. 1, pag. 70, tav. 10, fig. 29 di Cumber- land) non sia che una sua varietà. Nel catalogo sono riferiti al dromas Lea. — Loc. Cumberland R. Tenn. Unio Shepardianus Lea. F.*a Duttonianus Lea. (Ogechee Canal, Savannah, Georgia). È interessante varietà per le numerose analogie. È intermedia fra il Shepardianus Lea (vol. 1, p. 95, tav. 13, fig. 38 di Hopeton near Darien, Georgia) e il Grayanus Lea (vol. 1, p. 66, tav. 9, fig. 26 della China), ma più vicino al primo che a questo. Differisce dal primo per la carena più distinta, la dimensione minore, e qualche raggio verde. Maggiore analogia ha col Duttonianus Lea (vol. 3, p. 74, tav. 22, f. 50). Il nostro è solo un po’ più compresso con carena posteriore più di- stinta e raggi verde scuri. Io ho considerato anche « pro modo » il Dut- tonianus come forma del Shepardianus. Allo stesso tipo appartiene il fol- liculatus Lea. Grande analogia ha infine coll’ U. exacutus Lea, vol. XII, p. 49, tav. 15, fig. 43 di Savannat R, ed è quasi identico allo stesso, solo un po’ più stretto. -—- Nel catalogo è riferito fenuissimus Say. — Loc. Sciota R. Ohio. Unio Soweerbianus Lea! 1833. Lea. Vol. I, p. 180, part. 2, p. 68, tav. 10, fig. 28 (Tennessee). Ne ho due esemplari che hanno i solchi posteriori più rimarchevoli CENERE uno è di dentro roseo-lacca, l’altro giallo. Lea dice essere l'interno gial- lastro, ma intanto la sua figura lo ha rossastro. Quello giallo mio gli somiglia dippiù per la cerniera, mentre l’altro gli somiglia dippiù pel colorito esterno.—Loc. Cumberland R. Unio ebenus Lea, var. 1830. Vol. I, pag. 94, tav. 9, fig. 4. Ohio river. Gli somiglia molto, ne differisce però per la forma più sinuosa. — Ne ho due esemplari uno maggiore senza numero , l’altro più piccolo, il numero del quale nel catalogo corrisponde al coccîneus Lea. — Loc. Sciota R. Unio Northamptonensis Lea, var. 1861. Lea. Vol. 9, tav. 25, fig. 260. Identico; ne differisce pel colorito non a raggi verdi ma tutto rosso. Sono stato imbarazzato se dovessi riferire questa al Northamptonensis o al Roanokensis (Lea, vol. 2, p. 77, tav. 8, fig. 6 di Roanoke River (North Carolina). Il nostro esemplare differisce solo dal Northamptonensis per i denti cardinali più distinti e definiti; con l’umbone meno scorticato che nella figura citata. Somiglia allo squameus Lea (vol. 9 tav. 2, fig. 28, p. 269) del North Carolina da cui si distingue appena pei denti cardinali. Queste tre specie formano un gruppo naturale.—Nel catalogo è ri- ferito al complanatus. — Loc. Connecticut. Unio plenus Lea. 1840. Vol. 3, p. 29, tav. 14, fig. 26 (Cincinnati), È identico solo ha un diametro umboventrale minore e strie con- centriche più grosse e meno numerose. Del tipo di questa specie Lea descrive molte specie secondarie per es.: U. Tuscumbiensis, appressus radiosus etc. Sono specie distinte e ta- lune devono considerarsi quali forme. Nel catalogo taluni esemplari sono riferiti al Jorsus Rafinesque e uno all’ undatus Barn. — Loc. Sciota e Cumberland. Unio Tecomensis Lea, sp, aff. 1841, Vol. 3, p. 72, tav. 21, fig. 44. Tecomate River near Trocatolpam (Messico). Quasi identica; differisce per 1’ umbone più grosso e schiacciato, e pi meno decorticato ; per la cicatrice dorsale meno grossa; e pel colorito interno bianco. Nel catalogo è riferito al crassus Lamark.—Loc. Sciota. Unio fumatus Lea. 1857. Lea. Vol. 6, p. 88, tav. 18, fig. 68. (Chattaoochee River, near Colum- bus (Georgia), Hospaliga Creek, Alabama). Di molto probabile identificazione; somiglia pure al giber (Lea, v. 2- tav. 10, fig. 30, e allo stonensis (Lea, vol. 3, tav. 3, fig. 5 e al zedding, stanus (vol. 3, tav. 2, fig. 15).--Nel catalogo è riferito al congareus Lea. — Loc. Savannah R. Unio pullatus Lea, var. majusculus De Greg. Tav. 8, fig. a-d. Vol. 6, p. 57, tav. 8, fig. 39. Testa oblonga, transversa, magna intus perlacea, extus nigra laevigata striis accretionis ornata; umbo depressus, anticus, decorticatus; lamina cardinalis angusta; valva dextera, dente cardinali parvo ornato, dente posteriori ob- longo depresso praedita; valva sinistra, dente cardinali arcuato, dente po- steriori laminari praedita. Il mio esemplare differisce dal pu/Zatus per esser più grande, più bi- slungo e obliquamente troncato posteriormente. È intermedio fra esso e il Roswellensis Lea. Ha l'impressione muscolare anteriore più grossa che in entrambi e si avvicina ancora più allo sguameus Lea, vol. 9, p. 32, tav. 28, fig. 269 del North Carolina da cui si distingue per la linea pal- leale più larga; l’impressione muscolare anteriore più piccola. È poi molto somigliante internamente all’ Ochmulgensis Lea var. Lea dice che il pu/latus si trova a Crecks, presso Columbos. — Nel catalogo è riferito al complanatus Lea. — Loc. Connecticut. Unio castus Lea, var. mirus De Greg. b 1860. Lea. Vol. 8, p. 31, tav. 57, fig. 174. Al tipo di questa specie sono molto vicine le 5 specie seguenti : Unio lens Lea, V@belba psi 00 Ev e it IU glans Lea, » 92 8 12 castaneus, Lea, » 101 11 21 nux Lea, 5 39 24 453 Johannis, Lea, 8 25 55 168 Il Nat. Sic., Anno XXII, —Nuova Serie, Vol. II. 8 Ana re Il nostro esemplare è intermedio fra lens e glans affine al castaneus e al nua. Differisce solo da castus per non aver umbone decorticato e l'interno color paonazzo.—Nel catalogo sono i miei esemplari riferiti al- lU. glans Lea.—Loc. Duck. Tenn. Unio varicosus Lea! Var. 1830. Vol. 1, pi 100, tav. X, fig. 20. Ohio Pel colorito e la cerniera e la forma somiglia molto all’ U. elipsis Lea, vol. 1, tav. 4, fig. 4. Differisce per l’umbone più prominente e meno scorticato, pel dente cardinale anteriore più piccolo, e per avere esternamente qualche protuberanza larga e piatta subtubercolosa. Per tale carattere e per la forma si avvicina pure all’ U. grandidens (Lea, vol. 9, tav. 40, fig. 274). Però i tubercoli in questo sono assai numerosi e piccoli, mentre nel nostro non solo 2 0 3 e larghissimi; dippiù la cer- niera nel grandidens è grossissima ma nel nostro piccolissima. Somiglia pure assai al varricosus Lea, vol. 1, tav. 1, fig. 20, ha la cerniera più piccola, l’umbone più prominente. È perciò una specie promiscua, però più che ogni altra si avvicina a quest’ultima specie cui l’ho riferito. Questa specie è assai vicina all’ U/. esopus Green che io non conosco, ha analogia coll’U. tortuosus Lea (vol. XII, tav. 39, fig. 98). Ne ha pure moltissima poi con | U. Tientsinensis Crosu et Debeaux (di Tient-tsin (China)). « Note sur quelques espèces nouv ou connues ». Journ de con- chyol., vol. XI, 1863. p. 257, tav. 90, fig, 1.— Nel catalogo sono i miei esemplari riferiti al varicosus Lea.—Loc. Cumberland Ten, Unio Roswellensis Lea. 1858. Lea. Vol. 7, p. 23, tav. 24, fig. 87. — Chattahoochee River (at Roswell) Cobb County, Georgia. I miei esemplari sono identici al tipo. Credo si connetta allo stesso al pullatus. Gli U. obnubilus Lea, U. catawbensis Lea e U. salebrosus apparten- gono allo stesso tipo e probabilmente devono considerarsi quali sue modi- ficazioni.— Nel catalogo il mio esemplare è riferito al complanatus Sol. — Loc. Connecticut. ho) e Unio occidens Lea. 1829. U. multiradiatus Lea. Vol, 1, p. 48, tav. 9, fig. 15 — idem occidens, p. 49, tav. 10, fig. 6. Ho 4 esemplari; il più grande è assai simile all’ U. occidens Lea (vol. 1, p. 49, tav. 9, fig. 15) anzi identico. Io non so dividere questa specie dal mu/tiradiatus, perocchè non vi è distacco tra esse. — Il mio esemplare differisce dall’ occidens solo per le zone verdi raggianti assai più strette e anteriormente più angoiate. Il secondo in grandezza ha molta somiglianza con l’ U. ogucheensis Conr. (Descr. of fresh wate and mar shells, p. 295, tav. 37, p. 3 di Ogee- river Georgia). Ne ho un altro che appartiene al tipo; il colorito suo è però iden- tico a quello dell’occidens. Ho ritenuto il nome di occidens invece che multiradiatus perchè rap- preseuta il massimo sviluppo delle specie. Nel catalogo due dei miei esemplari sono riferiti, uno all’U. multi- radiatus Lea e l’altro all’ovatus Barn. — Loc. Sciota R. Unio iris Lea. Lea. Vol. I, p. 52, tav. II, fig. 18 dell’Ohio. Ne ho un esemplare molto elegante. Differisce dal tipo per esser lordato di giallo al margine, per avere il fondo del colorito giallo e i raggi verdi. Parmi abbia molti rapporti all’occidens Lea. Unio phaseolus Hild! 1830. Say. Min. Conch. tav. 22.—Ed. Binney, p. 171, tav. 22. Ne possiedo un esemplare di sicura identificazione. —Loc. Sciota R. Unio ochraceus Say ! Tav. 11, fig. 1 @-d. 1830. Say. Am. Conch. — 2* Ed. Binney, p. 51. Ne ho un bello esemplare che corrisponde alla descrizione di Say, cita la tav. 2, fig. 8; ma tanto nella edizione originale quanto nella ri- stampa la tavola 2 riproduce altra specie. È evidentemente un equivoco. — Loc. Savannah R. = Unio propecoelatus De Greg. Tav. 8, fig. 1 a-d. Conchiglia spessa, subellittica, con una compressione o avvallamento mediano, ornata di strie concentriche di accrescimento , molto profonde e di coste raggianti irregolari, le quali mancano dal lato anteriore. Esse sono irre- golari e interrotte dalle pieghe di accrescimento, sicchè la superficie appare subgranulosa; nel lato posteriore le coste sono più distinte e più regolari. IL colorito è bruno. L’umbone è rotto anteriormente e scorticato. L'interno è bianco irridesci nte. Le impressioni muscolari sono profondissime. In ogni valva vi sono due grossi denti cardinali e due laminari posteriori. Nella valva destra vi è inoltre un piccolo dentino anteriore. Questa forma pare molto analoga al coclatus Conrad. New fresh wat sh. of Am. tav. 3, fig. 4. Reeve Rec, Sh. p. 175, ma per molteplici caratteri se ne distingue. — Loc. Duchriver (Tenn.). Unio propesulcatus De Greg. Tav. 10, fig. 2. Conchiglia molto spessa, molto obliqua non beante con gli umboni proprio vi- cini al lato anteriore,con interno perlaceo rosso. Nella valva destra vi è un dente cardinale centrale molto robusto, uno piccolo laminare triango- lare anteriore, uno grande laminare oblungo posteriore. Nella valva sini- stra vi sono due grossi denti cardinali, di cui lo anteriore è più piccolo, e due denti grossi laminari oblunghi paralleli posteriori di cui quello più vicino la cerniera è meno sviluppata.—Il colore della conchiglia è seppia. Anteriormente vi è qualche tenue solco raggiante. Ne ho un solo esemplare che somiglia al sulcatus Lea (Say. Am. Conch. tav 5, Ed. Binney p. 154). Ne differisce per la forma più tra- sversa, la superficie senza strie verdi, l'impressione muscolare anteriore profondissima, più della posteriore che è pure marcata —Loc. Cumber- land river (Tenn.). Unio donacopsis De Greg. Tav. 10, fig. 5 a-d. Graziosa piccola conchiglia depressa di color olivaceo, sublevigata con umbone molto piccolo e sottile appena marcato, rivolto anteriormente. L’ interno è bianco leggermente ceruleo. Le impressioni muscolari sono molto pro- fonde. La valva destra ha tre denti cardinali centrali e due laminari po- = ile —- steriori. Dei 3 punti cardinali uno è piccolissimo, cioè il posteriore. La valva sinistra ha due denti’, uno ‘cardinale triangolare e uno laminare posteriore. Questa forma ha molta somiglianza con l’U. trossulus Lea, vol. 9, tav. 40, fig. 6. Nel catalogo ho trovato il nome di U. lapillus Say. Ma questo non l’ho$trovato in nessun libro, deve essere forse un equivoco o una specie”non descritta. — Loc. Sciota river (Ohio). Unio pertennis De Greg. Tav. 6, fig. 4a-d. fig. e dente cardinale della valva destra, fig. f denti cardinali della sinistra. = phaseolus Lea non Hildr. È una conchiglia piccola, sottile, bruna, ellittica, cilindracea, molto fragile. Nella valva destra vi è un dente laminare sottile triangolare eretto. crenulato , isolato e un dente laminare posteriore tenue appena crenulato.— La valva sinistra ha due denti cardinali piccoli eretti, triangolari di cui l’anteriore crenulato, addippiù due denti posteriori laminari oblunghi minimi. Questa forma è molto analoga anzi identica all’ U. phaseolus Lea (Lea, vol. 6, tav. 26, fig. 11), ne differisce appena per l’ornamentazione. Il nome proposto da Lea non si può usare perchè già adoperato da Hil- dreth (Say Am. Conch. tav. 22) per una specie molto differente. Credo che per errore di stampa sia scritto phaselus invece di phaseolus nel la- voro di Lea. Nel catalogo manoscritto è segnato U. parvus Barn. Però confron- tando la descrizione di Barnes non mi pare le si attagli bene. —Loc. Unio subteritus Say! var. purchreornatus De Greg. Tav. 9, fig. 2. Say. Am. Conch., tav. 15. Possiedo un magnifico esemplare che risponde bene ai caratteri de- scritti da Say, però si distingue per le seguenti ragioni: Il colorito è diverso : il nostro è giallastro ornato di zone verdi raggianti che man- cano nella figura originale di Say. La valva destra ha un dente cardi- nale conico e un dente laterale posteriore laminare eretto. La valva sinistra ha due denti cardinali conici e due denti laminari” posteriori i quali sono meno lunghi che nella figura di Lay.— Loc. Duck R. Tenn. ga Sayunio. Propongo questo genere per gli Unio del tipo della specie seguente che partecipa dal gen. Unio e del gen. Anodonta. Le valve sono beanti anteriormente e posteriormente, i denti quasi nnlli. Unio (Sayunio) dehiscens Say! var. oriensopsis. Tav. 7, fig. 2 a-b e Tav. 10 fig. 4 a-d. 1829 ? Say Disseminator Eiseful knowledge, p. 308. 1830. Say Americ. Conch. tav. 24. L’identificazione di questa specie è fuori di dubbio; però il nostro esemplare ha un'importante differenza: manca del tutto dei raggi verdi, di cui parla Say, e che si credono bene nella sua figura originale. Il colorito del nostro esemplare è color di oliva. Addippiù il nostro esem- plare ha il bordo ventrale parallelo alla cerniera, è meno slargato an- teriormente. L’ impronta muscolare posteriore della valva destra è al- lungata cordata. Somiglia molto all’ Arodonta oriens Lea, V. 1, p. 83; tav. 6, fig. 5; però in questa sono distinti i denti e l’umbone è decorticato. Somiglia molto, ma meno, all’Iridina coelestis Lea, vol. 2, p. 82, tav. 32, fig. 20. Lo spessore della conchiglia è minimo; essa è beante tanto ante- riormente che posteriormente. La cerniera è priva di denti, però guar- dandola attentamente di trasverso si osserva nella valva destra un lieve rialzo dentiforme cardinale che corrisponde ad un minimo avvallamento nella valva sinistra. Loc. Sciota river Ohio (Say dice che si trova nel fiume Wabash). Anodonta subcilindracea Lea. 1838. Lea. Vol. 2, p. 106, tav. 24, fig. 115. Riferisco a questa specie un esemplare che somiglia assai alla fi- gura citata; è però posteriormente un po’ più bislungo e più obliqua- mente troncato; ne differisce pure per qualche tenue zona verdeggiante. Lea cita come habitat Oak Creek, Orleans county N. York.—Nel numero del catalogo è segnato 239 A. arcolata Lea.—Loc. Sciota R. (Ohio). LEM Var. propexilis De Greg. Tav. 12, fig. lac. Riferisco a questa importante varietà un esemplare che differisce dal precedente per il bordo cardinale più esile, gli umboni decorticati, meno prominenti. Il colorito è intinto di seppia e di verde, l’ interno bianco ceruleo. Differisce dall’A. exilis Lea (1836, vol. 2, p. 68, tav. 22, fig. 6) per esser più gonfia. Rassomiglia quindi all’A. Holtonis Lea, vo- lume 6, p. 36, tav. 32, f. 31 da cui differisce solo per l’ umbone meno prominente e non angolato e per le strie di accrescimento più marcate. Di specie analoghe potrei citare l’A. Amazoniensis Lea, v. 10, tav. 46, p. 300; la gracilis Lea (vol. 7, p. DT, tav. 34, fig. 119), VA. Kemnerlyi Lea (vol. 8, p. 114, tav. 18, fig. 256) della quale differisce solo per non esser troncata anteriormente e per il colorito non giallo ma verdastro. Il mio esemplare porta il numero 230 ed è riportato nel catalogo sotto il nome di A. subdcylindracea Lea. — Loc. Raritan R. New Jersey. Anodonta incerta Lea. 1832. Lea. Vol, 1, p. 46, tav. V, fig. 16. Mi pare non vi sia dubbio sull’ identificazione delle quattro valve che possiedo. Le lineole concentriche dell’umbone sono più marcate che nella figura di Lea, nella quale l’ umbone è chiaro. Nei miei esemplari portano i N. 235, 236, 237 e sono segnati nel catalogo A incerta.—Loc. Ohio presso Cincinnati. Anodonta foliopsis De Greg. Tav. ll, fig 4c. Testa maxime subtilis, transversa elliptica, zonis radiantibus viridis favisque ornata, intus alba leviter coerulea, umbones parvuli conici lateri antico potius adpropinquati ; cardo dentibus omnino carens, subtilis, rectus cum sinuositate in medio. Sottilissima conchiglia molto elegante trasversa ellittica con zone raggianti verdichiare e gialle, con interno bianco leggermente ceruleo. Gli umboni sono piccoli conici piuttosto avvicinati al lato anteriore. Il lato cardinale è del tutto privo di denti, è sottile, diritto con una lieve si- nuosità di riscontro all’umbone. | — bi — È vicina alla A. tetragona Lea (Vol. 4, p. 56, tav. 8, fig. 28); se ne distingue pel colorito l’umbone non decorticato etc. Porta il N. 244 che risponde nel catalogo all’A. edentula L., ma questa specie è diversa per-. chè non ha zone raggianti ma un colore oliva scuro ed ha una specie di dente obsoleto in una valva. (Alasmadonta edentula Say, Reeve Cat., p. 218). —Loc. Sciota R. (Ohio). Anodonta Ferrusaceana Lea, var. incertopsis De Greg. Tav. ll, fig. 5. a Lea. Vol. I, parte 5, p. 45, tav. 6, fig. 15. Ha un colorito intermedio tra la Ferrusaceana e la incerta più scura della prima più chiara della seconda. È di un colorito verde giallastro con zone concentriche scure. Ha l’umbone più prominente della prima, un po’ meno che nella seconda. Ha somiglianza con l’ovata Lea, vol. 2, tav. 2, fig. 2 e più ancora con l’A. Holtonis Lea, vol. 5, p. 36, tav. 32, fig. 31.—Loc. Sciota R. (Ohio). Anodonta phalena De Greg. Tav. 11, fig. 3 a-c. Testa tenuissima, fragilis, parva, subcomplanata laeviter viridis, prope umbo- nem subflava; umbo compressus subnullus ; cardo linearis rectus dentibus omnino carens, Sono stato esitante a chi riferire questa conchiglia elegante e fra- gilissima, ma non ho saputo a chi riferirla. Nella Wardiana Lea (vol. 2, p. 46, tav. 14, fig. 42) gli umboni sono prominenti, mentre in questa sono nulli. Nella edentula i lati anteriore e posteriore sono rotondi men- tre nella nostra è rotondo solo il lato anteriore. Somiglia alla Symphy- nota bialata Lea (vol. 1, p. 59, tav. 14, fig. 24), ma se ne distingue per varii caratteri specialmente per la mancanza di dente cardinale. Diffe- risce dalla foliopsis per esser molto più compressa e per il margine car- dinale lineare retto senza sinuosità. Il mio esemplare pare portasse il numero 240 che però sembra can- cellato e dubbio. Nel catalogo tale numero è segnato col nome di War- diana.—Loc. Sciota R. (Ohia). Nayadina n. s.-gen. Propongo questo sottogenere per le Anodonte con un piccolo dente crenulato non cardinale ma sul bordo posteriore che forma una piccola escrescenza non un vero dente. 5 Ri Anodonta (Nayadina) venusta De Greg. Tav. 12, fig. 2. Testa magna, el'iptica! paulo inffata, striis accretionis valde ornata ; postice laeviter radiatim unisulcata; umbo subnullus complanatus; cardo linearis dentibus carens sed postice în valva sinistra denticulo postico praedita. Diam. ant.-post. 12°m Umboventr. 6 4/,. Appartiene al tipo della subdorbdiculata Say (Am. Conch. tav. II), ma ha la forma diversa; esternamente si assomiglia alla Symphynota discoidea Lea, vol. 1, tav. XI, fig. 33. Ne differisce per la forma più ellittica e bislunga e per la cerniera diversa. Si assomiglia molto all’Anodonta Brig- desiîù Lea, vol. 22, tav. 42, fig. 104; che differisce per essere assai più complessa e meno gonfia ete.—Ne ho un solo esemplare (valva sinistra). Non ha numero; credo probabile sia stata riferita alla plana Lea che è differente ovvero alla /uviatilis Lea. Però la nostra mi pare molto diversa di entrambi. Riguardo alla forma in generale si assomiglia alla A. subangulata Ant. (Ant. Descr. sp. N. Am. Union. 1866 Journ. Conch., vol. 2, p. 158, tav. 13, fig. 1. Ma però è molto diversa per essere questa molto più gonfia e con gli umboni assai prominenti etc. — Loc. Sciota R. (Ohio). Gasteropodi terrestri e fluviatili Planorbis sp. Ha molta somiglianza al PI. Traskii (1856 Lea, vol. XI, tav. 23, fig. 70 di Hern Lake Tulan County California), ma ha l’apertura assai più larga e divaricata. Margaritana Vondenbuschiana. 1840. Lea, vol. 3, p. 60, tav. 18, fig. 39 (Monocondyloca vondenbuschiana) di Java. Il nostro esemplare pare quasi identico solamente posteriormente è più rostrato. Il Nat. Sic., Anvo XXII — Nuova Serie, Vol. II. 9 SIA Angitrema armigera Say. 1865. Am. Journ. of Conch. Vol. I, p. 323, fig. 12-14 (p. 324) (Wabash River Ind. Ohio river ky; Tenn.). Di certa identificazione. Angitrema geniculata Hald. 1865. Am. Journ. Conch. Vol. I, p. 322 (fig. 2, p. 324) Tenn. Pare identico. Differisce solo pei tubercoli più bislunghi costeformi. Angitrema verrucosa Raf. aff. 1865. Tryon Mon. terr. moll. Am. Journ. of Conch. Vol. I, p. 323 (fig. 22-26, p. 325) (Wabash river Ind., Ky., Tenn., N. Ala). Due individui molto simili alla citata figura. Però ne differiscono per aver il primo cingolo dei tubercoli assai più grosso e sviluppato, carineforme. Helix (xolotrema) elevata Say. 1867. Am. Journ. Conch. Vol. 3, p. 48, tav. 9 fig. 1 (Western New York to west Virginia and westward to Missouri). Di certa identificazione. Helix Mesodon) albolabris) Say. 1867. Tryon Mon. terr. moll. Am. Journ. of Conch. p. 44, tav. 7, fig. 5-7. (From Canada to South Carolina and westward to Ackansas and Webraska). Due individui identici. Helix (Mesodon thryoides) Say. 1867. Tryon Mon. terr. moll. Am. Journ. Conch. p. 41, tav. 8, fig. 1. (The country east of the Rocky Mountains, rare in Wew England). Pare identico. Helix (Pomatia) aspersa Mull. aff. Un esemplare del tipo dell’ aspersa. Questa specie è segnalata da Tryon (1866, vol. 2, Journ. Conch., p. 322, t. 6, fig. 16) in New Orleans Charleston etc. — (Ri — Helix (Ulostoma) profunda Say. 1867. Tryon Mon. terr. moll. Am. Journ, Conch. p. 35, tav. 7, fig. 3. (Wes- stern New York to Virginia, and eastwards to Nebraska). Identico. Ha affinità con l’H. Guillaimi Petit del Madagascar (Journ. de Conch., vol. 1, p. 169, tav. 7, fig. 3). Helix (Mesodon) multilineata Say. 1867. Tryon Mon. terr. moll. Am. Journ. Conch. p. 45, tav. 8, f. 8, (Western and Nard Western States). Esemplari identici. Helix Anguispira alternata Say. 1866. Trion Mon. terr. moll. Am. Journ. conch. p. 261, tav. 4, f 47. (Whole country eastward of Rocky Mountains). Tre identici. Helix Aglaja sp. Un magnifico esemplare scuro seppia del tipo della Agl. infurnata Gould. (Am. Journ. Conch. vol. 2, p. 310, tav. 5, fig. 6; però è diversa specie, Jo nodosa Lea, aff. 1861. Lea, Vol. 9, p. 168, tav. 39, fig. 212 (Tennesee River. Ne differisce solo pei giri nel mezzo non canaliculati, ma con cin- goletto che alla parte posteriore è fiancheggiato da un piccolo solco. Ha moltissima somiglianza con la Pleurocera Thortonii Lea (Am. Journ. Conch. Vol. I, p. 305 (1865) Ala. Ten.). Jo robusta Lea. 1861. Vol. 8, p. 168, tav. 39, fig. 213. (Tennessee River). Pare identica; solo l’apertura è anteriormente meno allungata. So- miglia alla Tripanostomota Lesleyi Lea, vol. 102, tav. 25, fig. 59 di East Tennessee, ne differisce pei giri più larghi, l’ apertura meno schiac- ciata etc. SSIBreE Jo modesta. 1861. Vol. 8, p. 170, tav. 39, fig. 216 (Tennessee river (Alabama ?)) Molto simile. Anculosa formosa Lea. 1860. Vol. 8, p. «6, tav. 35, fig. 61 (Coosa river, Shelly, Alabama). I due esemplari che possiedo paiono similissimi alla citata specie. Anteriormente sono meno allungati. Anculosa gibbosa Lea. Un individuo che corrisponde alla fig. 90-92 Tryon (1866 Journ. Conch., vol. 2, pp. 128, 133. Paludina georgiana Lea. 1834. Vol. 2, tav. 19, fig. 85. Dei due esemplari che ho, uno è piuttosto chiaro, bianco-giallastro l’altro è verde-oliva con qualche lineola spirale, segni di accrescimento obliqui, assiali distinti posteriormente alquanto insenati. Questa specie somiglia molto alla P. tainesiana Lea, vol. XI, p. 72, tav. 22, fig. 6 di Siam ed è quasi identico alla P. subpurpurea Say. Paludina decisa Say. Say, tav.. 70, fig. 6. Ne ho due belli esemplari identici al tipo, cioè alla citata figura. Nel lavoro di Say vi è figurato un esemplare (tav. 10, fig. 2) che ha delle diversità. Paludina subpurpurea Say. Say, tav. 30, fig. 2. Un esemplare di sicura identificazione. Paludina ponderosa Say. Say, tav. 30, p. 1. Un esemplare molto somigliante al tipo sebbene non perfettamente identico; richiama nella forma il Bulimus gibbonius Lea (tav. 23, f. 99). Ds Gor—= Paludina vivipara Say. Say, tav. 70, fig. 5. Un esemplare ben identificato. Lymnea umbrosa Say. Say, tav. 31, fig. 2. Un esemplare di sicura identificazione. — Loc. Ohio. Limnea reflexa Say. Say, tav. 31, fig. 2. Un esemplare di sicura identificazione. Lymnea elodes (Jan.) Say. Say, tav. 31, fig. 3 (per errore dodus nella spiegazione delle tavole). Un esemplare di sicura identificazione. — Loc. Ohio. Goniobasis (aequalis Hald). sp. aff. Somiglia alla specie citata (Tryon 1866 Am. Journ. Conch. vol. 2, p. 18, fig. 49 in pag. 44; però ne è abbastanza distinta. Goniobasis Boykiniana Lea, var. Ne ho un esemplare che somiglia molto alla figura di Tryon Am. Journ Conch., vol. 2, p. 42, fig. 26). È questa una specie molto variabile. Pleurocera filum Lea. Tryon, Am. Journ. Conch. vol. 1, p. 304, fig. 26-31. Un individuo che pare quasi identico. Goniobasis virginica Gmelin, var. bilirata De Greg. Come dice Tryon (1866, vol. 2, Journ. Conch., p. 39, fig. 286-290). è una specie variabilissima. Nel mio esemplare vi sono negli anfratti due carene biriformi elongate una presso la sutura anteriore, l' altra presso la sutura posteriore. L’ultimo giro ne ha 3 (oltre di quella presso la sutura) e addippiù è anteriormente spiralmente solcato. Say. AT Planorbis trivolvis Say. tav. 54, fig. 2. Ne ho tre esemplari di certa determinazione. Say lo cita di North West territory and Falls of Niagara e Council Bluff. Questa specie ha somiglianza con il P?. Hornii Tryon (Am. Journ, Conch., vol. I, tav. 22, fig. 16) ma è distinto. Ne ho un quarto esemplare che differisce dal tipo per avere le strie di accrescimento dei primi giri alquanto varicose.— Loc. Ohio. —_—-cesooc-—T_ CATALOGHI MANOSCRITTI Dopo avere passato in rivista tutti gli esemplari della mia colle- zione, trovo utile pubblicare integralmente i due cataloghi manoscritti da me casualmente trovati dei quali ho parlato nella prefazione. Catalogue of American naiades from B. Silliman. Unio Rectus Lam. Sciota River. Ohio. Phaseolus Hild. » » » Cylindricus Barn. » » » Camelus Lea. Cumberland Riv.Tenn. Gracilis Barn. Sciota River. Ohio. Ebenus Lea. Cumberland Ri ver. Ten. Politus Say. Sciota River. Ohio. Jorsus Raf. Cumberland River. Tenn. Arceformis [fem.] Lea. Cumberland River. Tenn. Crassidens Lam. Sciota River. Ohio. Lachrymosus Lea, Cumberland River. Coccineus Lea. Sciota River. Ohio. Pustulosus » » » » Pyramidatus Raf. » » » Cornutus Barnes » » » Rubiginosus Lea » » » Parvus Barnes » » » Gibbosus » » » » Compressus — » » » Undatus Barnes.» » » Multiradiatus Lea » » » Metanevrus Raf. Cumberland R. Ten. Perplexus |male.] Lea. Sciota River. Ohio. Unio Parplexus [fem.] Lea. Sciota R, Ohio. » [young] » » » » Ovatus Barnes » » » Orbicalatus [fem.] Hild. Sciota Ri- ver. Ohio. Luteolus Lea. Sciota River. Ohio. » [fem.] » » » » Sulcatus [male.] Lea. Cumberland River. Tenn. » [female] Cumberland River. Tenn. Multiplicatus Lea. Cumberland Ri- ver Tenn. Cooperianus Lea. Cumberland Ri- ver. Tenn. Plicatus Barn. Sciota River. Ohio. Verrucosus » » » » Circulus Lea » » » Clavus Lam. » » » Brevidens [fem.] Lea.Cumberland R. Tenn. » [male] Lea. Cumberland Ri- ver Tenn. Perdix Lea. Cumberland. R. Tenn. Anadontoides Lea. » » » Unio Troostensis » » » Say. Ston’s River. Nitens [fem.] » Big. Vigby Creek. » [male]» » » » Confertus Lea. Ogeche Canal. Georg. Subtentus Say. Duck River Tenn. - Sciota River. Ohio. Interruptus Lea. Harpetti R. Tenn. Radiatus Say. Connecticut. Cariosus » » Deelivis » Intermedius [m.] Con.Duck R.Teenn. Foliatus [male] Hild. » » » » [fem.] » Complanatus Solander Connecticut. » » »d Shepardianus Lea. Alt. R, Georgia, Esopus Green. Cumberland R. Tenn. Crocatus I.ea. Savannah R_ Georgia, Splendidus Lea. Altamaha River. Ochraceus Say. Savannah River. Edgarianus Lea. Tennes. R. Tenn. Obscurus Lea. Duck River Celutus Conr. Duck River. Tenn. Glans Lea. » » » Haysianus Lea. Cumberland R. » Capseformis[m.] Lea. Duck » » » [fem.] » >» >» >» Trigonus OSIO Sorwerbianus Lea. Cumberland R. Altamaha R. Geor. Ogeeche Canal » Congaraeus Lea. Savannah R Geor. Pusillus » » > Geometricus_ » Fisherianus » Nashvillianus Lea. Stone’s » » Conradicus > Duck » » Alatus Say. Sciota R. Ohio. Securis Lea >» >» » Crassus Lam. » » » Unio Triangularis Barn. Sciota R. Ohio. » » [fem.] » » » » Zigrag Lea. » » >» Elegans >» » DID Dehiscens Say. » » » Tenuissimus » » » >» Cicatrosus Lea. Cumberland » Tenn. Tuberculatus Barn. » » » Dromas Lea » » » Irroratus » » » » Iris » Sciota R. Ohio. Lapillus Say » » >» Dolabreformis [fem.] Lea. Altamaha R. Georgia. Spinosus Lea. Altamaha R. Georgia. Margaritina Rugosa. Lea. Sciota R. Ohio. Anodonta » » Arcuata Barn. Connecticut. Undulata Say » Complanata Barn. Sciota R. Oh. Marginata Say » » » Calceola Lea » » » Turreryana Lea. Duck R. Tenn. Plana Lea. Sciota R. Ohio. Subeylindracea Lea. Raritan River New-Jersey. Ferrusaceana Lea. Sciota R. Oh. Pluviatilis Lea. Ogeechee Canal Georgia. Cooperiana Lea. Ogeechee Canal Georgia. Incerta Lea. Sciota R. Ohio. Areolata » » » » Wardiana » » » » Edentula » » » » Imbecilis » » » » Catalogue of terrestrial and fiuviatilis from B. Sillman. Melania Provima Say. Ohio Simplex » » Virgimica » » Canaliculata » » Semicarinata » » Fuliginosa Lea. Tennessee Catenaria Say. Georgia. Melania Semicarinata [Old.] Say. Alabama Florentiana Lea. » Virginica [var.] Say. Virginia Exrcurvata Say. Tennessee Duttoniana Lea » Castanea » » Nuperia Say. » Melania Calebrosa Conr. Tenn. » Armigera Say. » Polygyra Troostiana Lea » Caracolla Helicoides » » Helix Scabra » » » Arboreus Say. Ohio » Hirsuta » Tennessee » Perpectiva » » >» Glaphyra » » » Palliata » Ohio » Inflecta » » » Fulchella » » » Multilineata » » » Profunda » » » Albolabris » » » Thyroidea » » » Zaleta » » » Elevata » » » Solitarea » » » Alternata » » » Tridentata » » » Concava » » » Clausa » » Melania Undulata » » Paludina Magnifica — Conrad. Melania Troostensis Lea. Tennessee » Sayùi. — Ohio » Virginica Say. » » depygis » » » Semicarinata » » Paludina Ponderosa » ‘Georgia » Decisa » Ohio » Rufa » » » Subcarinata » » » Ponderosa » » » Lustrica ) JAPAN » Vivipara [var. Georgina of Lea] Say. Ohio. Physa Eterostoopha Say. Ohio » Asculans Haldeman. Mexico La Physa Aurea Say. Ohio » » Ancillaria » » Ellyptica » » Lymnea Umbrosa » » Attenuata » Mexico Umilis » Ohio. Decidiosa » » Elodes » » Catoscopium » » Caperata » » Refllexa » » Umbrosa [young] Say. Ohio Decidiosa » » Anculosa crassa Hald. Ohio » Prerosa Say. Tenn. » [Old.] Say. Ohio. Subglobosa » » Dissimilis » » Trilineata [var.] Say. Ohio Subglobosa » Tenn. Dilatata Conrad. Ohio Lithasia Geniculata Hald. Ohio Fusus fluvialis [Say] [ Jo Spinosa [Lea.] Amnicola Porata » » Tennessee. Say. Ohio. Limosa » » Attenuata Hald. » Planorbìs Trivolvis Say. » » Armigeris >» » » Corpulentus » » » Bicarinatus » » Succinea Obliqua » » Pupa Corticaria » » Cyclostgma Lapidaria — >» Valvata Tricarinata — Cyclas Rhomboidea Say » “ % Partumeia » » Ampullaria depressa of Say. Hopetonensis Lea. Altamaha R. Georgia. MARCH. A. DE GREGORIO, Ù Marchese Antonio De Gregorio — Direttore resp. H= 0 ID Si hh 0 w wr SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE RAV a-c Unio propeverutus De Greg., p. 38. , a-c » Muhfeldianus Lea., var. plurtmaffinis De Greg., p. 38. » tuberosus Lea, var. perlobatus De Greg, p. 39. Tav. 4. Unio cylindricus Say, var. propetipus De Greg., p. 4l. >» » var. acrispatus De Greg., p. 4l. xigzag Lea, var. dlius De Greg., p. 4l. triangularis Barn., var. pergibbosus De Greg. » var. longiusculus De Greg. elegans Lea, . var. elegantopsis De Greg., p. 41. TAV. Di a-c Unio elegans Lea, var. magnelegans De Greg., p. 4l. compressimus Lea, var. performosus Dè Greg., p. 33. arctior Lea, var. Misheropsis De Greg., p. 45. Tav. 6. a-d Unio compressus Lea, var. lindus De Greg., p. 44. tuberculatus Barn., var. supraspeciosus De Greg., p. 42. Stewardosoni Lea, var. Stewensoni De Greg., p. 45. pertenwis De Greg. Fig. a-d le quattro valve, fig. e dente cardinale della valva destra, fig. f dente costante della valva sinistra, p. 61. Tav. 7. a-d Unio Ochmulgensis, Lea F° dominus De Greg., p. 48. a-d » ad » a-d » a-b » a-f » a-b » (Sayunio) dehiscens Say! (anche tav. 10 fig. 4 a 6), p. 62. Tav. 8. a-d Unio propecoelatus De Greg., p. 60. » » lanceolatus Lea, var. blandus De Greg. p.5?. pullatus Lea, var. majusculus De Greg., p. 57. Fig. Fig. 1a-c DI 3 > 0 29 -— (©)] Uh Du a-d a-d Tav. 9. Unio imperitus De Greg., p. 45. » subtontus Say, var. puchreornatus De Greg., p. 61. » calceolus Lea, var. Scesotincola De Greg., p. 54. Tav. 10. Unio angustata Lea, var. cuniculus De Greg., p. 52. » propesulcatus De Greg., p. 60. » anaticulus Lea, var. Ohiensis De Greg., p. 51. » Sayunio dehiscens Say, var. oriensopis De Greg. (anche tav. 5, fig. 2), p. 62. » donaciformis De Greg., p. 60. Tav. ll. Unio ochraceus Say., p. 59. » Thorntonii Lea, var. Duckensis De Greg., p. 50. Anodonta phalena De Greg., p. 64. » pholiopsis De Greg, p. 63. » ferrusaceana Lea, var, incertopsis De Greg., p. 64. Tav. 12. Anodonta subeylindracea Lea, var. properilis De Greg., p. 63. * (Nayadina) var. venusta De Greg., p. 65. THE JOHN CRERAR LIBRARY ) RANE CRERAB È THE Ha À ; Jo N a \AIBBARY TAVIVI. e ES = = = = ZE i JOHN CRERAR Pr pa < es: (e) Sk soli Z6 ui TAV. VII REI PIU i VI M- Li poteri he TAV. X. ian TAV.XII Vedi Vol. XXI, pag. 173 Abies Nebrodensis, fig.1 foglia grand. naturale fig. 2, idem ingran- dita, fig.3 foglia con mucrone pagina inferiore molto ingrandita, fig. 4 idem pagina superiore, fig. 5 dettaglio pagina inferiore. Vedi N. 1, Vol. XXII, pag. 20, Una noria araba. . ANNO XXII 1914 Nuova Serie —Vol. 2°, N.4-5. IL NATURALISTA SICILIANO Società Siciliana di Scienze Naturali RIENFDI CONI Per la temporanea sospensione della pubblicazione del Naturalista Siciliano, non si sono potuti pubblicare per vari mesi i rendiconti. Però non per questo la vitalità della Società ha punto languito. Numerose sono state le proposte di cambi degli atti e rendiconti pervenuteci dalle più rinomate società e accademie del mondo. Gli scien- ziati dei vari paesi hanno fatto buon viso alla costituzione del nostro sodalizio che rappresenta anche la continuazione della Società dei Na- turalisti Siciliani, che con esso si è fusa e ha trovato nuova vita. Il Consiglio Direttivo si è radunato molte volte in casa del profes- sore L. Giuffrè e ultimamente in casa del Comm. Giuseppe Whitaker e ha discusso su vari soggetti e preso opportuni provvedimenti. Ha ade. rito a nominare membri della Società i signori prof. Antonio Carruccio Presidente della società zoologica Italiana, Direttore dell’ Istituto zoolo- gico dell’Università di Roma, il prof. Francesco Saverio Monticelli, Di- rettore dell'Istituto zoologico dell’Università di Napoli e il prof. Giovanni Guastella, Direttore in Scienze Naturali, della Scuola Tecnica di Ca- nicatti, prof. Comm. Aless. Portis dell'Istituto Geologico di Roma e il sig. Serafino Cerulli-Irelli (idem). Quindi all’ elenco dei soci pubblicato nel Vol. XXI pag. XI, bisogna aggiungere quello dei soci nominati po- steriormente , cioè Vol. XXI, N. 9-10, p. 1, e questi cinque. Laonde i membri della società fino ad oggi sono centodieci. Il Consiglio ha dato incarico al Marchese Antonio De Gregorio di mandare in cambio alle società scientifiche (che hanno mandato i loro rendiconti o bullettini o memorie) il Naturalista che è 1’ organo della Società Siciliana di Scienze Naturali. Inoltre il Consiglio Direttivo, avuto riguardo alle splendide pubbli- cazioni offerte dall’illustre prof. Stanislao Meunier di Parigi alla nostra Società, e tenendo conto dei meriti non comuni dell’ insigne scienziato, che ha reso immensi servigi alla scienza e principalmente allo studio genetico delle rocce e a quello delle meteoriti, lo ha designato quale I Nat. Ste., Anno XXII,—Nuova Serie, Vol. II. 10 CRAS membro onorario e l'assemblea dei soci il giorno 12 febbraio scorso ha approvato con plauso tale proposta. Addippiù il Consiglio avendo deciso di prender parte attiva al Con- gresso Nazionale di zoologia in Palermo, i soci De Gregorio e Montero- sato lo hanno rappresentato. Infine la Società ha bandito un concorso per la compilazione di un catalogo generale delle specie più comuni e più caratteristiche della fauna e della flora siciliana coi nomi scientifici e con i corrispondenti siciliani e con un indice alfabetico di questi ultimi. Il termine utile per la presentazione dei lavori è il 15 novembre 1914. Nella prima settimana di gennaio 1915 sarà conosciuto l’esito del concorso e sarà conferito al vincitore un diploma di onore. Il lavoro da presentarsi al concorso consterà di quattro parti : 1.) Catalogo sistematico della fauna indigena (nomi scientifici con i corrispondenti siciliani) delle specie più comuni e caratteristiche pos- sibilmente con l'habitat e con un'appendice contenente l’elenco degli ani mali domestici ed acclimati; 2.) Catalogo sistematico della flora spontanea (nomi scientifici coi corrispondenti siciliani) delle specie più comuni e caratteristiche e pos- sibilmente con l’habitatfe con un'appendice delle piante coltivate. 3.) Catalogo alfabetico delle specie (animali e piante) coi soli nomi scientifici con corrispondenza ai numeri dei due cataloghi; 4). Catalogo generale alfabetico dei nomi siciliani (animali e piante) coi corrispondenti nomi scientifici e italiani. Non è punto vietato di presentare un solo catalogo riguardante la fauna ovvero uno solo riguardante la flora e possono anche conferirsi due diplomi invece che uno solamente. Però se lo stesso autore presenterà entrambi i cataloghi nel modo indicato e ben fatti, avrà la preferenza. Tale avviso di concorso fu pubblicato nel N. 50 del « Giornale di Sicilia » (19-20 febbraio). S. E. il Ministro Credaro ha chiesto per tele- gramma chiarimenti e informazioni riguardo ai concorsi indetti dalla nostra Società e glien’ è stata data comunicazione. Finora tutta la corrispondenza, archivio e libri della Società tro- vansi in casa del Marchese Antonio De Gregorio che ha dato gratuita- mente il locale, come gratuitamente ha messo a disposizione della Società il Naturalista Siciliano per l’ inserzione delle memorie e dei rendiconti, Però ora sono state bene avviate delle pratiche per un locale proprio, e si spera di poter dare presto ai soci una buona notizia su tal riguardo. N.B.— Il disegno dei diploma pei soci è stato affidato all’illustre prof. Lentini di Palermo ed è riuscito veramente splendido. Il cliché è stato eseguito dal rinomato sta- bilimento Danesi in Roma; la tiratura dall’ottima litografia Visconti di Palermo. 9 = Nuove teorie cosmogoniche, sull'origine della materia, e sulla costituzione fisica della luna PREFAZIONE Già nel 18 dicembre 1892 presentai alla R. Accademia delle Scienze, Lettere e Arti di Palermo un mio lavoro sulla cosmogonia. La mia co- municazione portava il titolo: « Su taluni nuovi strumenti fisici e me- teorologici, certe azioni molecolari dei liquidi, taluni fenomeni tellurici e sulla più probabile origine del nostro sistema solare ». Tale mio lavoro fu pubblicato negli Atti dell’Accademia e anche a parte nel 1893. In esso esposi una nuova teoria cosmogonica, che dà una spiega- zione molto verosimile dell’origine del nostro sistema solare. Essa è una modificazione di quella celebre di Laplace e di quella di Faye. Con essa si riesce a dare non solo una spiegazione del movimento retrogrado dei pianeti e del movimento stesso del sole (al che non si riusciva con le citate teorie), ma anche della causa prima della gravitazione; problema gravissimo che da gran tempo ha tormentato e tormenta ancora la mente degli scienziati. Parlai anche del contenuto dello spazio attraversato dal- l'etere che io chiamai col nome di fluido cosmico. Esposi le mie idee forse timidamente, sebbene con convinzione. A molti parvero troppo ardite; da altri furono accolte con qualche diffi- denza. Si suol dire volgarmente «il tempo è galantuomo » : i grandi pro- gressi, che in questi ultimi anni ha fatto la scienza nello scrutare l’in- tima compagine della materia, mi hanno reso completamente ragione. Se occorre qualche inevitabile ritocco a quello che io esposi e che potea allora parere asserzione gratuita, molta parte di esso ricevette la con- validazione e la conferma dimostrativa scientifica. Specialmente per quanto riguarda l’origine della gravitazione è stato da vari scienziati ammesso il mio concetto; il quale collima perfetta- mente con quello recentemente esposto dal celebre astronomo Guglielmo Meyer direttore dell’ osservatorio Urania di Berlino (Berlino, novembre 1897, Universo Stellato), e precisamente nell'ultimo capitolo « Storia del- l'evoluzione dell’universo » (1890, traduzione Ott. Zanotti Bianco). Targa Ciò che allora nella mia mente era solo una forte congettura, è divenuto adesso una convinzione. Però sì per le scoperte fatte in questi ultimi anni dalla scienza, sì per la naturale maturazione del pensiero, sì per le ulteriori osservazioni da me eseguite, devo aggiungere non solo taluni chiarimenti a quanto esposi, ma anche talune rettifiche e anche altre nuove considerazioni che ne sono la naturale conseguenza. Certa- mente non sono io un cultore di astronomia, ma di geologia, quindi tale compito esorbita dalla cerchia dei miei studi, nè si può da me troppo pretendere. Però è a tener conto che la geologia riandando la forma- zione del nostro globo terracqueo e sprofondandosi a contemplare le an- tiche vicissitudini ed evoluzioni di esso necessariamente viene ad inva- dere il campo dell’astronomia. È così che tale studio strappandomi temporaneamente dalla con- templazione degli strati terrestri, mi ha sollevato in alto alla contem- plazione grandiosa dell’infinito e alla investigazione suggestiva dell’ in- tima essenza della materia. Siccome in ogni fatto umano e in ogni avvenimento sia materiale che psichico vi ha, oltre di una causa prima, anche l’occasione imme- diata, la quale è spesso fortuita e di poca importanza (alla guisa di lieve peso che fa trabboccare il piattello di una bilancia), così anche alla pub- blicazione di questo mio breve lavoro è stata occasione l’avere io assi- stito alla caduta di una meteora luminosa, per meglio dire di una stella cadente, più splendida che di ordinario, trovandomi di sera occasional. mente nella via della Libertà in Palermo. Come l’astro fuggevole andò solcando rapidamente la lunga distesa del firmamento, così il mio pen- siero fugacemente andò trasvolando sulla costituzione dell’universo. Questa mia breve esposizione rispecchia e riproduce le considera- zioni e le meditazioni di quel momento. Potranno forse le mie interpe- trazioni parere a taluno troppo ardite, ma ciò non mi fa impressione alcuna. L’intuito può cagionare delle lusinghevoli e abberranti allucina- zioni, ma quando è suffragato da conoscenza e disamina accurata dei fenomeni e riesce a dare di essi una logica e plausibile spiegazione, può riuscire di utile guida allineandoci nella investigazione e interpetrazione degli stessi fenomeni e aiutandoci a scoprire ascose verità. Ciò che de- vesi ripudiare e condannare è l’apriorismo, tanto quello che tende a farci accettare supinamente delle osservazioni e delle teorie che non si sor- reggono, perchè contrastanti coi ritrovati dell'esperienza e non resistenti al controllo della logica, tanto quello che tende a scartare e dare l’ o- stracismo ad ogni nuova teoria, sol perchè urti con quelle che sono state già accettate dal pubblico. LU Una meteora luminosa a Palermo. Il giorno 22 febbraro scorso (1914) circa alle ore 18 trovandomi in Palermo in via Libertà vidi una stella cadente di splendore maggiore dell’usato. Il suo diametro apparente era quasi un quinto di quello ap- parente della luna e perciò la sua grandezza apparente circa ‘/,, di essa. Apparve nel cielo al di sotto della stella Procione e percorse rapida- mente in direzione Sud-est un arco di circa trenta gradi spegnendosi ra- pidamente senza scoppio alcuno come le vere stelle cadenti. Devo fare una breve parentesi per la nomenclatura. Gli studi re- centi, particolarmente quelli eseguiti dall’illustre prof. Stanislas Meunier, hanno dimostrato la diversità assoluta tra le stelle cadenti (filanti dei francesi) con le meteoriti dette anche in Italia « aeroliti ». Però non è ben definito il senso della parola « bolidi ». Taluni adoperano tale vo- cabolo come sinonimo di quelle, altri come sinonimo di questi. Io credo che bisogna distingnere e definire il significato della parola bolide de- stinandola a designare le meteore luminose in forma globulare che la- sciano una traccia luminosa dietro e che procedono obbliquamente quasi orizzontalmente. Tali meteore hanno uno splendore molto più vivo delle stelle cadenti, percorrono una traiettoria molto meno distante dalla su- perficie terrestre e sovente dànno luogo a un rumore sordo come se scoppiassero, onde hanno una certa somiglianza con i fulmini globulari, sebbene di diversa origine. È probabile che debbano contenere della materia molto più densa di quella delle stelle cadenti, ma non solida come quella delle meteoriti. Taluni astronomi attribuiscono tali diversi fenomeni alla varia di- stanza dalla terra e dicono che essi sono simili alle stelle cadenti, le quali sono tacite appunto per la grande altezza. Ma ciò è assurdo, per- chè se i bolidi arrivano più vicino a noi e producono tali fenomeni, de- vono necessariamente avere una differente natura. La stella cadente da me veduta avea in certo modo l’apparenza di un bolide per lo splendore, che del resto non era eccessivo, ma però superiore a quello delle ordinarie stelle cadenti, però si dissipò evane- scente e si estinse alla guisa delle vere stelle cadenti. Ho fatto un calcolo approssimativo della sua velocità. Avendo im- piegato circa due secondi per percorrere un arco di circa trenta gradi a 80 chilometri di altezza, calcolo che la velocità dovea essere di circa 45 chilometri il minuto secondo, velocità estraordinaria tenuto conto SB Ca: della resistenza superata cioè del ritardo prodotto dall’ atmosfera ter- restre. Ho poi fatto anche un calcolo approssimato del diametro di tale stella cadente in un modo facile e originale seguendo un metodo sem- plicissimo che credo non sia stato fatto da altri. Tenendo presente che la distanza dalla luna alla terra è di 384,400 chilometri, calcolando la distanza approssimativa della stella cadente 80 chilometri, e considerando che approssimativamente mostrava un diametro ‘/, di quello della luna mi pare evidente che se essa fosse stata alla stessa distanza della luna il diametro che appariva '/. sarebbe apparso evidentemente secondo la proposizione inversa 384,400: 80:: '/, : a cioè ax = della luna. sos 24025 Essendo il diametro della luna 3480, il diametro sarebbe “i cioè circa 145 metri. Sebbene si tratti di un piccolissimo volume deve riflettersi che se esso è minimo rapporto a quello della luna, è però sempre abbastanza ragguardevole tenendo conto specialmente alla grande frequenza di si- mili piogge di stelle cadenti. Cenni sulla penetrazione delle stelle cadute nell’atmosfera. Io sono ben lontano di volere abbordare e trattare anche somma- riamente quanto si è discusso sull’origine delle stelle cadenti. Ormai non si tratta più di semplici congetture e di semplici ipotesi. Gli studi clas- sici di Schiapparelli sono stati seguiti e perfezionati da cento astronomi. Si sono studiati i punti radianti principali (Perseo, Lira, Leone, Orione, Andromeda, Gemelli), le altezze che generalmente si calcolano da 80 a 150 chilometri. Recentemente il sig. Filippo Brach ha calcolato che la accensione sovente accade a 130 K. e lo spegnimento a 90 K. la traiet- toria 70 K. Si è studiata pure la loro composizione chimica per mezzo dello spettroscopio. Che se tale studio è disagevole per le stelle cadenti, è molto più facile per le comete. Solamente io vorrei richiamare l’attenzione degli astronomi su tre fatti importanti dei quali non si è tenuto troppo conto. 1° L'effetto che produce nella terra la loro caduta; 2° la differenza delle traiettorie ; 3° gli effetti calorifici dell’attrito; 4° gli effetti sulla luna. Vel L’americano Newton ha dimostrato che cadono sulla terra in un’ora da trecentomila a quattrocentomila stelle cadenti, cioè, circa dieci mi- lioni in un giorno. Or per quanto possa ciascuna di esse avere un peso relativamente lieve, non può tale caduta non produrre un aumento sia pure lievissimo della massa terrestre. Io non voglio considerare tale conseguenza, ma un’altra ancora più importante, cioè l’alterazione della composizione del- l’ atmosfera. Certamente atteso la combustione delle sostanze contenute nella meteora è facile supporre che principale effetto sia l'ossidazione e quindi il consumo di ossigeno e la formazione di pulviscolo meteorico che rimane vagante dell'atmosfera e lentamente si depone nella super- ficie della terra. Ma però deve anche ragionevolmente credersi che ri- mangano anche dei gas in eccesso, nè è assurdo pensare che anche si possa formare del vapore acqueo. Così vi sarebbe un certo compenso non solo allo sciupio degli elementi principali dell’atmosfera, azoto e os- sigeno, ma anche agli altri gas che si sono recentemente scoperti e an- che un certo compenso al consumo dell’acqua causata dalla idratazione delle rocce. Al che anche un certo modo contribuisce il vapore emesso dei vulcani. A tale ipotesi vi è però una serie opposizione : Se le stelle cadenti apportassero dei gas nell’atmosfera dovrebbero tutti gli altri pianeti es- sere muniti di atmosfera, e (senza tanto allontanarci dalla terra) la stessa luna dovrebbe essere provvista di aria, perchè necessariamente anche essa deve essere bersagliata da stelle cadenti. Intanto la luna è provato che ne è quasi totalmente sprovvista; solo ora pare se ne sia scoverta qualche limitatissima traccia. Un'altra considerazione importante riguarda la traiettoria delle stelle cadenti. Certamente per lo più si dipartono da tratti speciali del cielo di cui ho di sopra detto; onde si è venuti alla deduzione che siano de” gli sciami di materia gassosa che percorrino delle determinate traiettorie paraboliche o ellittiche e che incontrino la terra sia casualmente sia in determinate posizioni. Penetrando nell’ atmosfera (sia pure nelle zone più elevate e rare- fatte) devono subire un arroventamento , prodotto dalla resistenza per il quale devono infiammarsi; addippiù venendo in contatto i gas che le compongono con quelli della nostra atmosfera, avvengono delle combu- stioni sia spontanee, sia provocate dall’elevazione delia temperatura. Deve riflettersi inoltre che alle accennate cause, le quali influiscono a fare elevare la temperatura bisogna aggiungerne un’altra potente, cioè l’at- PON — trito della rotazione terrestre la quale pei due movimenti di rotazione e di traslazione deve esercitare un fortissimo strofinio alle sostanze pe- netranti negli strati di aria. Deve appunto esser dovuto all’ azione del movimento terrestre il fatto che le stelle cadenti tutte indistintamente percorrono delle traiettorie oblique e non perpendicolari alla super- ficie della terra. Però per tale azione parrebbe che dovessero assumere una traiettoria, se non comune e uniforme, almeno molto simile, e coor- dinata. Perchè se si tratta (come pare) di sciami di brandelli di materia gassosa, riesce difficile concepire che essi siano spinti in direzioni dissi- mili. Però bisogna pur dire che in generale esiste una certa analogia di movimento tra quelli che partono dallo stesso punto radiante. Devo aggiungere che si è osservato da Riessl e da altri che nel no- stro emisfero o più propriamente in Europa il punto di arresto delle stelle cadenti in autunno è più in alto che in primavera. Il detto autore in quello ne misurò la distanza in 63 chilometri e in questa 45 chilo- metri. Guglielmo Meyer osserva che questa è la ragione per cui in pri- mavera si osservano meteore detonanti il che fu constatato da Newton di Newhawen. Il detto Meyer crede che la causa di tale maggiore pe- netrazione in primavera anzichè in autunno è dovuta alla maggiore ve- locità di quelle di primavera le quali per il maggiore attrito s’ incen- diano e si consumano più rapidamente e perciò a maggiore distanza della superficie terrestre. Tale spiegazione non mi pare punto convin- cente. Considerando la loro estrema tenuità riesce poco comprensibile come possano mantenere per un lungo tratto la loro estraordinaria velocità traversando rapidamente tanta parte di atmosfera. Però bisogna tener conto che l’atmosfera terrestre in regioni così lontane è di una rarefa- zione massima e quindi offre ben poco ostacolo. Ben diverso è il com- portamento delle meteoriti le quali, essendo formate da sostanze solide e attratte potentemente dalla terra, si precipitano con estraordinaria veemenza. Devo fare menzione di un fatto che non si attaglia del tutto alle circostanze da noi esaminate, ma che pure è istruttivo. Mi narrava un ufficiale di una fortezza marina italiana, che facendo dei tiri con grossi cannoni sull’acqua del mare, la palla non si sprofonda punto giù nelle profondità, ma rimbalza, e non va più giù di un metro, (il che parrebbe inverosimile) e accade anche di vederla più volte rimbalzare. Un feno- meno simile non potrebbe lontanamente ammettersi per un corpo pe- sante che s'introduca nell’ aria; può però invece accadere nel caso di Sn una corrente di gas estremamente rarefatto che vi penetri con grande velocità. Un fenomeno alquanto analogo si ha nei bolidi così detti sal- tellanti che volgarmente da taluni si nomano capre saltellanti. Ma voglio infine accennare ad un più grave argomento il quale interessa non solo i fenomeni prodotti dalla penetrazione delle stelle ca- denti nella nostra atmosfera ma anche la loro origine e costituzione. Ormai nessuno mette in dubbio la relazione intima tra le comete e le stelle cadenti. Dopo i noti fatti dell'incontro con la cometa Biela e le classiche osservazioni di Schiapparelli continuate e ampliate da cento altri che lo hanno dimostrato in modo ineccepibile, nessun serio scien- ziato si nega a riconoscere nella costituzione delle materie delle stelle cadenti una natura cometaria. Ma due importanti problemi non sono punto risolute nè per essi è stata emessa alcuna ipotesi. Quale è l’ori- gine delle comete delle stelle cadenti? Quale è la loro costituzione in- tima? Sono due questioni gravissime l’una con l’altra connessa. Esporrò brevemente le mie idee in proposito, che dànno una plausibile ragione del fenomeno. Sull’origine delle stelle cadenti, delle comete e delle nebulose e sul contenuto dello spazio. Tenendo dietro agli studi recentissimi sulla costituzione della mate- ria, sulla trasformazione dei corpi (ritenuti semplici) in altri corpi, sulla natura dell’ elettricità e sulla materia radiante parmi non si possa più ammettere l’esistenza del vuoto assoluto. Si era ritenuto come assioma che tre fossero gli stati della materia : solido, liquido, e aeriforme ossia gassoso. Però bisogna ora ammettere un altro stato della materia nel quale questa cessa di essere ponderabile. Anzi io stimo più probabile che non sia un solo lo stato imponderabile ma multiplo, cioè che esi- stano vari stati successivi. Fra il ponderabile e l’imponderabile esiste uno stato speciale per cui ho già proposto il nome di critico. Io credo che a tale stato debba probabilmente riferirsi 1’ emanazione del radio che quindi si trasforma in elio. Parimenti è stato recentemente osservato che tra lo stato di vapore saturo e lo stato liquido può «esistere uno stato intermedio. Que- st’ ultimo fatto è stato recentissimamente dimostrato da De Broille. Lo stato imponderabile corrisponde a quello che dagli astronomi si denota con l’appellativo di etere e da taluno con quello di elemento dinamico (Hirn). Però nell’etere fluttua della materia allo stato critico e tale ma- Il Nat. Sic., Anno — XXII Nuova Serie, Vol. II. 11 = goin teria si manifesta con le stelle cadenti, con le comete da cui queste dipendono, e forse anche con la luce zodiacale. La formazione della materia o per dir meglio il passaggio dello stato imponderabile al ponderabile o più propriamente dallo stato imponde- rabile allo stato critico dipende precipuamente secondo me dalla ten- sione dell'etere che ha molto rapporto con la temperatura, con lo stato cinetico dei superatomi, dei quali dirò di seguito. Nello spazio regna, come è noto, la temperatura -zero assoluto; il calore in eccesso dei raggi che lo traversano tende a fare alterare tale temperatura, però viene alquanto assorbito dalla materia che si trova allo stato critico ed essa torna imponderabile. D’ altro canto l’ elevamento di temperatura tende ad aumentare la tensione dell’etere la quale determina il passaggio della materia dallo stato imponderabile col ponderabile. Così tutte e due gli effetti si combinano variamente. È questa, io credo, la causa precipua della fluttuazione della luce ‘ nelle comete, del quale fenomeno nessuno ha potuto dare ragione. A tale causa si deve probabilmente attribuire la sparizione della cometa del Brorsen. Le grandi fluttuazioni che furono osservate in questa cometa, specialmente da Schmidt, devono, credo, siffattamente spiegarsi, come anche la fluttuazione della luce delle altre comete, la quale se in parte può essere apparente e dipendere dalla varia riflessione della luce so- lare, non può però unicamente attribuirsi a questa. Lo studio spettroscopico delle comete ha rivelato una somiglianza con la luce degli idrocarburi e di ossidi di carbonio. Nella cometa di Wells si è scoperta la luce del sodio. È strano che allontanandosi dal sole si sono viste scomparire le linee del sodio. Il prof. Bemporad di Catania ha fatto importanti osservazioni sulla variabilità della luce della cometa di Brooks. I lavori importantissimi di Henriot hanno provato che il potassio e il rubidio nel vuoto ema- nano radiazioni. Esperienze analoghe furono fatte da Thompson le quali consolidano quanto ho più volte esposto. A tale ordine di fenomeni, sebbene in portata molto maggiore credo possa anche in parte collegarsi il subito riaccendersi di astri oscuri e quindi l’apparizione di nuove stelle. Io non dico già che questa ne sia la sola e unica causa. La spiegazione più verosimile sta nell’evoluzione stessa dell’astro in formazione. È ormai indiscusso che le stelle seguono attraverso il corso delle miriadi di secoli le vicende che ha subito la terra, la quale a causa della irradiazione e dispersione del calorico si spense e venne ricoverta ST da valida corteccia. Or si ritiene dagli astronomi che il subìto riaccen- dersi di un astro oscuro possa dipendere dalla caduta e dall’urto di un altro corpo che ne squarci la corteccia. Ma questa è una supposizione che mi pare non trovi molta attendibilità. Più verosimile è pensare che gli squarci della crosta possano e anzi debbano accadere spontaneamente per azioni endogene e che tali astri debbano subire le stesse fasi della nostra stessa terra, la quale quando ancora la crosta era da poco ini- ziata e che il nucleo interno subiva ancora delle fluttuazioni dovette più volte squarciarsi e subitamente riaccendersi. Ma vi ha anche a ri- flettere che la materia ponderabile non deve punto considerarsi come inerte, ma apparentemente in riposo. All’apparenza è dessa del tutto in- differente all’azione dell’ immenso oceano dell’ etere, e sembra per così dire in uno stato neutro; invece la materia deve considerarsi come una forza accumulata e che ha in sè ammagazzinata una grande energia cinetica. Essa non è indipendente ma in stretta relazione e rapporto con l’ambiente e quindi con lo spazio etereo. Deve considerarsi la ma- teria come una condensazione dell’etere che assuma dei caratteri appa- renti di passività, ma che invece possa secondo le circostanze modificarsi. Sorge l’idea di paragonarla a dei cristalli in una soluzione satura ; se cambia la temperatura, essi aumentano o diminuiscono. Il paragone non è punto esatto perchè essa dipende non solo dalla temperatura, ma dalla tensione e da altre circostanze che s’indovinano e da altre che ci sfuggono. Certamente però la materia, che come tale si presenta per così dire allo stato neutro, passiva ed inerte, può subire una grande trasformazione. Onde se un astro si trovi in uno spazio siderale ove il fluido etereo sia deficiente può subitamente rompere l’ equilibrio della sua intima costituzione e fornire allo spazio la parte deficiente di fluido. Ne è ad opporre che la parte occupata dalla materia è minima, perchè sebbene relativamente minima è la parte occupata, pure la quan- tità di etere condensato è estremamente grande. Or se tale scambio av- venisse rapidamente e per circostanze subitanee e speciali potrebbe darsi che desse luogo ancora una volta ad una subita conflagrazione e riac- censione temporanea dell’astro. Un fenomeno simile è più facile che ac- cada nei primordi della formazione di un astro, cioè quando i materiali che lo costituiscono non abbiano ancora subito tutte le ulteriori modi- ficazioni, quindi prima che la sua evoluzione ciclica sia molto progredita e che la struttura della composizione molecolare dei corpi onde è costi- tuito abbiano attinto una maggiore relativa stabilità. — Viceversa se un astro spento si troverà in uno spazio sidereo ove è eccesso di fluido, que- PEA sto naturalmente verrà assorbito dall’astro sino alla saturazione, e, av- venuta questa, non potendo l'eccesso di fluido rimanere in eccedenza dovrà materializzarsi dando origine a delle formazioni di sostanze le quali ne esalteranno il valore e l’attività costituzionale. Del potere as. sorbente e condensante che esercita la materia sul fluido imponderabile etereo ne abbiamo tra le altre una prova nello scoppio delle meteoriti le quali arrivano nel nostro pianeta cariche di energia condensata. — Non mi pare infatti verosimile che i fenomeni, cui esse dan luogo, siano esclusivamente e semplicemente prodotte dalla penetrazione nella nostra atmosfera. A quanto ho sopra accennato si oppone in parte l'osservazione dei materiali della crosta terracquea del nostro pianeta, i quali non mo- strano di avere subito influenza di sorta, e ripugna il pensare che delle fluttuazioni intorno alla loro intima costituzione siano accadute nel corso delle miriadi dei secoli scorsi. Però è da tener conto che tali fluttua- zioni hanno affettato il sole, che è il centro del nostro sistema e ove fa capo tutto il movimento, quindi è in esso che si sentono tutte le riper- cosse. Ma sebbene non palese, avvengono sempre delle influenze d’oltre terra sul nostro pianeta. Le aurore boreali tanto sulla terra che su Ve- nere coincidono con una maggiore attività solare. Utile è poi osservare la relazione intima che corre fra le perturbazioni magnetiche e la forma- zione delle macchie solari le quali d’altro lato si è provato che coinci- dono con un accrescimento della lucentezza di Giove la quale forma una specie di dualismo con quella del sole. È probabile che 1’ interno del nostro pianeta abbia subìto e subisca ancora influenza dalle correnti eteree. Certamente studiando gli strati della scorza terrestre facilmente si vede che la deposizione loro e la loro conservazione attraverso così remoti periodi è stato poco influenzata da cause estra terrestri. È prin- cipalmente il calore che è stato causa della loro deformazione; ma l’in- terno della terra è tolto alla nostra osservazione e se gli studi sismici e geologici ci danno un concetto verosimile e appena indiziale di quello che ora è, siamo tanto meno ben lungi di conoscere quello che fu. Ai fenomeni di cui ho fatto sopra parola parmi debbano ascriversi le strane luminosità che si osservano sulle Ande chilene e che sono state descritte da Pedro Santinez. Ad essi pure io credo debba forse collegarsi e da essi dipendere la manifestazione della luce cinerea osservata nella Luna e in Venere. Per la luna si è in parte cercato spiegarla con il reverbero della luce della terra, ma per Venere tale spiegazione non può sussi- stere; essa fu osservata prima da Derham poi da Weinecke e nel 1877 da Franz e Lamp. — 35 — I fenomeni luminosi osservati dal capitano Gahe nel 1909 nello stretto di Malacca (Nautical Meteor. Almanac) sono forse da ascriversi a causa analoga. Come forse anche le luminosità che sono state vedute in vari terremoti. Questi però è secondo è stato provato dal celebre si- smoloco Milne non corrispondono affatto con le macchie solari. In natura la vita di ogni corpo percorre un ciclo :‘essa si alterna con la morte. Ciò deve pure accadere nel mondo inorganico. Questo pensiero suggerì all’illustre Stanislas Meunier l’idea nell’invecchiamento degli astri che egli ha così bene esposto. Tale invecchiamento sarebbe prodotto principalmente dalla idratazione. È un’osservazione molto istrut- tiva e un’idea molto geniale. Ma ripugna il pensiero che un astro resti morto e disfatto senza che possa risorgere e che perduta resti l’ opera e l'energia accumulata. Secondo il mio concetto anche un astro spento può dar luogo allo sviluppo di una forza cinetica immensa; e ciò quando l'equilibrio tra la tensione dell’etere libero e di quello materializzato in esso sia disturbato. Questo può essere il caso della nebulosa della Lira, la quale si presenta con una forma stupefaciente ad anello. Nel mezzo tutto è scuro però sin dalle osservazioni di Denza e di Schneider si scoverse nel mezzo un punto centrale che esercita un’ azione attinica considerevole. È quindi a supporre che vi si trovi della materia ch’emetta raggi ultravioletti. Ciò potrebbe spiegarsi riconoscendo in essa un astro in formazione a causa della precipitazione delle sostanze materializzate. Ma si può ciò anche bene interpetrare nella dissociazione ed eterizza- zione della materia di un astro spento, che emani da esso sotto forma eterea e poi vada in regioni più lontane a materiarsi di nuovo trapas- sando allo stato critico e dando luogo alla formazione di lontani anelli concentrati che al volgere di lunghi secoli si trasformeranno in altret- tanti astri. Le meteoriti quindi non sarebbero forse che antiche reliquie di astri demoliti dalla natura e dalla lunga vicissitudine degli eventi e non completamente trasformate in etere nè ancora dissociate. Sotto que- sto punto di vista la materia delle stelle cadenti potrebbe riguardarsi tanto come un prodotto di materializzazione dell’etere, quanto come un residuo di dissociazione di meteoriti. Però è più ragionevole mantenere la prima ipotesi, date le condizioni di stabilità dei materiali del nostro sistema solare e i rapporti di equilibrio cosmico della regione del cielo ove questo si trova. Gli studi recenti sulle sostanze radioattive, che hanno dischiusi nuovi meravigliosi orizzonti, sono una conferma di quanto ho esposto. Tali fe- nomeni che sino a pochissimi anni addietro si credeano esclusivamente pg ee dipendenti dall’uranio, dal radio, del torio, ora si è luminosamente pro- vato che si riscontrano in tutte le rocce della terra. Nulla è stabile, la nostra terra lentissimamente si modifica. Un'importante questione è su questo soggetto impostata. È stato dimostrato che il radio che esiste nella terra non può avere un’età maggiore di 2500 anni. Ora la terra, secondo irrefutabilmente è provato data da più centinaia di milioni di anni. Nasce quindi la domanda: da cosa è originato ? Si dice sia originato dall’uranio la cui durata è immensamente più lunga. Secondo la nuova teoria da me accennata, invece i fenomeni radioattivi non dipendono esclusivamente dalle proprietà intime della costituzione dei singoli corpi, ma anche dalle relazioni tra essi e gli effluvi di etere o più specificata- mente dallo stato dei superatomi dell’etere. Da quanto di sopra son venuto esponendo risulta che l'origine della materia delle comete e anche*fdelle nebulose devesi ricercare nello spa- zio e considerare come il primo stadio dell'evoluzione della materia do- vuta alla sopratensione dell’ etere causata dall'azione calorifica o lumi- nosa e radioattiva e in una parola dall’azione cinetica dei soli e anche dei pianeti del firmamento. La spiegazione da me data è diversa affatto di quella dei vari autori. Infatti per citare i più noti, Lagrange credeva che le comete derivassero dallo scoppio di un pianeta. Laplace le attri- buiva a resti di nebulose , il nostro grande Schiapparelli credeva che fossero sciami di corpi vaganti di conserva col nostro sistema solare, Faye ritenea fossero derivate dalla stessa materia del nostro sistema so- lare. Un interessante studio fu pubblicato dall’ illustre prof. Zanotti in Torino su tale questione. In quanto a me credo per verità di aver colto nel segno, perchè la teoria da me esposta mi pare la più verosimile e conforme agli ultimi progressi della scienza. Aggiungo però a quanto ho di sopra esposto che se vi sono comete originate dal nostro stesso sistema solare, per esse l'ipotesi più attendi- bile è quella da me esposta a pag. 162 del citato lavoro, cioè che siano stralci della parte esterna della primitiva nebulosa, cioè al di là di Nettuno. Origine del movimento delle comete. Sono note le controversie se il movimento delle comete sia esclusi- vamente parabolico o vi siano comete che percorrino una iperbole. Si conosce però che talune sono state captate dal nostro sistema solare e quindi il loro movimento è ora ellittico. Senza involucrarmi in tale a- gr strusa questione dirò che emerge nitidamente da quanto ho esposto che ammessa la mia teoria, devesi ricercare l’origine del movimento nella esplicazione della grande legge della gravitazione. Formatasi la materia nello spazio, deve naturalmente muoversi non verso un dato astro (tranne il caso inverosimile che ciò accada in prossimità di esso) ma verso il centro di gravità ossia di attrazione del sistema degli astri meno lontani, o cioè verso il centro di gravità dei vari sistemi solari più vicini. Naturalmente poi approssimandosi ad un sistema solare col progresso del movimento verrà ad essere attratto verso il centro di gravità del detto sistema solare a preferenza degli altri e potrà anche rimanere captato. Causa della luce delle nebulose. La causa dello sviluppo della luce nelle stelle cadenti è evidente, perchè diventano luminose penetrando nella nostra atmosfera. Meno comprensibile è la causa che determina la luce delle nebulose, le quali sono formate di sostanze gassose così estremamente rarefatte e attenuate da trascendere il limite dell’ umana concezione e occupano degli spazi così estraordinariamente grandi da superare anche gli estremi limiti dello spazio occupato da tutto quanto il sistema solare. E appunto io credo ciò ad ascriversi allo stato critico della materia la quale deve essere dotata, allo stato nascente di forza cinetica nei superatomi (ado- pero questa espressione per evitare confusione con gli atomi ponderabili materializzati). Ma di questo parlerò in un altro mio opuscolo sulla co- stituzione della materia che fa seguito a questo mio lavoro. Causa del calore ed energia solare. Sorge anche un’altra questione di altissima portata che si connette con quanto ho accennato. Quale è la causa del calore e della energia solare ? È inutile ricordare tutte le ipotesi che si sono messe avanti su tal riguardo. Recentemente si è ricorso alla proprietà delle sostanze ra- dioattive che sarebbero accumulate nel sole, ma tale ipotesi non ha ve- rosimiglianza atteso l’elevamento straordinario di temperatura, nè si com- prende da qual fonte tali sostanze possano attingere il calore. Un'altra ipotesi è basata sulla trasformazione del moto in calore e precisamente sull’ urto di meteoriti cadenti sulla superficie solare. È questa affatto inverosimile perchè, anche ammesso che una grande quantità di meteo- IR riti si precipitassero, non è verosimile che potessero sopperire a tanto spreco di calore; nè del resto lo spazio è traversato da tanta quantità . di meteoriti. La ipotesi più valevole è quella di Helmholtz che attri- buisce a fonte di calore la diminuizione progressiva del diametro solare. Tale ipotesi mi pare abbia un grado maggiore di attendibilità, ma non sia meppure convincente, perocchè non potrebbe rendere ragione della immensa antichità del sole nei tempi geologici. Tutti gli astronomi considerano il sole come una forza attiva, una immensa energia che, per quanto grande, deve attraverso il lungo corso dei secoli gradatamente esaurirsi. To dico che la energia solare dipende in parte dal fluido cosmico e viene alimentata da esso. È al sole che affluisce l’ immenso turbinio dell’ etere ed è a questo che esso deve il rinnovamento e rifornimento di energia. Le irradiazioni che emanano dal sole e che si espandono determinano un aumento di tensione dell’etere la quale determina una materializzazione di esso e per conseguenza una corrente e un continuo rovesciamento (verso lo stesso sole) di sostanze le quali sì per l’azione chimica, sì per l’azione fisica della pressione e dell’ arresto di velocità e della contrazione, devono rinfocolarne potentemente il calore e l’atti- vità cinetica. Inoltre le stesse immense vampe che si appalesano in guisa di « protuberanze » (Come son chiamate dagli astronomi) devono trascinare a grandi distanze dall’astro non solo grande quantità di gas e di vapori, ma dar luogo ad una completa decomposizione e dissociazione delle parti costitutive e quindi ad una eterizzazione della materia. Ma tale materia eterizzata o, per meglio dire, tali potenti correnti di etere non potranno mantenersi tali allorquando saranno state proiettate in luogo lontano dalla superficie irradiante del sole ed ove la temperatura è più bassa e l’azione decomponente del sole minore e minore la tensione. Dovranno allora evidentemente necessariamente di nuovo materiarsi e quindi soggiacendo alla grande legge della gravitazione dovranno ro- vesciarsi furiosamente di nuovo giù sullo stesso sole contribuendo non poco ad attivarne l’energia ed il calore. Nessuno ch’io sappia ha intuito e tracciata questa grande vicenda che deve succedersi incessantemente nel sole, la superficie del quale si appalesa al teloscopio tormentata da così potente turbinio di confla- grazioni. Devo anzi aggiungere su tale riguardo un’osservazione che mi pare abbia molto peso. Le protuberanze arrivano ad una smisurata Jonta. = (99, — nanza della superficie del sole. Il dotto ungherese sig. Fenyi calcolò la elevazione di una fiamma del sole a cinquecentomila chilometri e la velocità di trasmissione della stessa a 350 chilometri il minuto secondo; cioè una velocità straordinaria. Or tale grandioso fenomeno parmi si possa meglio spiegare come un fenomeno di eterizzazione di materia e di materiazione di etere che si trasmetta dal globo incandescente a di- stanza, anzi che una vampa nel senso che ordinariamente si dà a questa. Così anche viene spiegata la forma a nastro di talune protuberanze le quali, come risulta dalle numerose fotografie eseguite, hanno sovente tale la forma; e così si spiegherebbe il fenomeno della ricaduta di loro in sostanze materiate sulla fotosfera. Il sole secondo questo concetto non deve adunque considerarsi come una fonte di energia indipendente dello spazio e indipendente dal fluido cosmico ma intimamente connessa con questo che gli dà vita e che nello stesso tempo la riceve di ricambio. Il calore, che è la prima esplicazione dell’energia solare, esercita e deter- mina la eterizzazione della materia la quale a distanza ricompare allo stato critico e si riprecipita per la gravitazione riattivando il calore e restituendo in buona parte l’energia di esso. Il consumo inevitabile è in parte compensato non solo dalla reazione dell’ etere, ma dall'energia cinetica dello spazio che aumentando in tensione determina altra mate- riazione di etere che si precipita pure sul sole riattivandone la potenza. Effetto dell’azione solare nello spazio. In questo campo elevato e importantissimo di speculazioni, se si arriva a trovare la spiegazione di un fenomeno e se quella che se ne dà ha una sufficiente attendibilità, subito sorge un altro problema che ci lascia nuovamente perplessi. Quale è l’effetto dell’azione solare nello spazio ? Nulla in natura va disperso ed ogni fenomeno ha necessaria- mente il suo effetto. Gli effetti più palesi dell’azione solare sono calore e luce; ma l’ effetto di molte irradiazioni deve certo sfuggire al nostro esame. I raggi che incontrano la terra e che sono raccolti da essa pro- ducono numerosi effetti, dei quali molti sono evidenti, molti solo si indovinano. Ma i raggi che sono raccolti dalla terra e dagli altri pia- neti sono una ben piccola frazione di quelli che si disperdono nell’ im- mensità dello spazio; appena la duecentotrentamilionesima parte sono arrestati dalla terra e da tutti i pianeti. Anche quelli stessi che rag- giungono i pianeti hanno già traversato lo spazio interposto. E quello I Nat. Sic., Anno XXII,—Nuova Serie, Vol. II. 12 — 90 — che riguarda i raggi calorifici è anche ad intendersi ai raggi luminosi. Per la luce si è ritenuto dai più grandi fisici moderni che la teoria delle vibrazioni riesca mirabilmente a spiegarne tutti i fenomeni. Ma recen- tissimamente da elettissimi scienziati si è messa in forse, ripristinando quella della emissione newtoniana. Sia che tali fenomeni si vogliano considerare semplicemente come speciali vibrazioni dell’ etere, sia che si vogliano considerare come estremamente sottili emanazioni, sia che si vogliano considerare nel modo come io chiarirò nell’articolo sull’ener- gia cinetica, non si può astenersi dal pensare che debbono dare origine ad un effetto, perchè non si può ammettere nè concepire un fenomeno che non produca nulla. Così nasce spontanea l’idea che la irradiazione del calore e della luce nello spazio (sia o non sia collegata ad emana- zioni) non rimanga senza effetto e che aumenti la tensione dell’ etere rinvigorendo la forza cinetica dei superatomi di esso (di cui ho detto di sopra). L'aumento di tensione deve ripercotersi sull’equilibrio intimo della costituzione dell’etere e contribuire alla materializzazione di esso, e quindi al primitivo formarsi delle comete e anche delle nebulose. Però l’effetto del calore sarebbe opposto; perocchè come per il passaggio dallo stato solido al liquido e da questo all’aeriforme si suppone un assorbimento di calorico reso latente, così è verosimile, per analogia, che per passare la materia allo stato disgregato di etere debba assorbire molto calore; onde è a considerare che i superatomi siano dotati di una forza cine- tica immensa. Così però parrebbe che il calore irradiato nello spazio tenda a eterizzare piuttosto che a materiare. Ma deve riflettersi ancora che la tensione dell’etere aumentandosi per l'incremento della forza ci- netica dei superatomi deve contrabilanciare l’azione eterizzante e influire indubbiamente nel far materiare l'eccedenza dell’etere. Dai calcoli importantissimi di Langley sulla lunghezza di onde di luce che ha l’ effetto maggiore sullo spettro, si rileva che la superficie del sole ha una temperatura di 6 mila gradi, secondo i lavori recentis- simi di Miiller 6332 gradi, secondo Arrhenius raggiunge nel centro ben sei milioni di gradi. Le polveri solari che sono state studiate da Vogel, da Arrhenius, da Newcomb e da molti altri si ritiene che siano dei corpuscoli con un diametro di quindici diecimillesimi di millimetro che a guisa della pol- vere di fumo dei camini siano trasportate dai raggi calorifici solari a distanze incalcolabilmente lontane e ne sia piena la nostra atmosfera. A ciò si è stati condotti dai recenti studi sulla pressione che esercitano i raggi calorifici. Tale spiegazione non mi pare punto accettabile, perchè — LI non è verosimile che un corpo, per quanto estremamente ridotto , sia lanciato a così smisurate lontananze. Invece appunto in tale polvere meteorica deve con maggiore verosimiglianza riconoscersi una materia- lizzazione di fluido etereo. Il quale fenomeno intimamente si collega con . quello che abbiamo adesso considerato e che è verosimilmente causa della luce zodiacale. Aggiungo che i recenti studi di Maxwell e di Bar- toli hanno pure provato che non solo il calore ma anche la luce eser- cita una pressione sui corpi che incontra, per quanto tenuissima. Questo è anche un argomento in favore della emanazione; ma di ciò non è qui luogo a parlare. Voglio però semplicemente accennare ad un’altra esplicazione di forza, finora non sospettata. Hale con la torre teloscopio di 50 metri è riuscito a fare delle importantissime osservazioni sul magnetismo solare. È noto che ad alta temperatura i metalli perdono ogni proprietà ma- gnetica. Tale temperatura critica varia secondo i corpi; per il ferro è a 785. Ora atteso la grande elevazione di temperatura del sole, si ri- tenea che il magnetismo non potesse manifestarsi nel sole. Invece Hale ha trovato che vi si manifesta analogamente come sulla terra: il polo nord magnetico è presso al polo Nord di rotazione. Egli ne dà una spie- gazione che non mi persuade punto, cioè che sia prodotto da vortici at- torno ai fori solari. Però la scoverta ha una grande importanza. Io già nel citato lavoro (1893, a p. 164, 165) ne avevo dato un cenno. Però le teorie esposte nel presente lavoro e nell’ opuscolo che lo segue sui su- peratomi dànno una nuova luce sulla origine e gli effetti di tale feno- meno sul quale però non ogni nebbia è diradata. Cenni della formazione del sistema solare Accettandosi tale grandiosa teoria della disintegrazione della ma- teria e della materiazione dell’ etere dello spazio si chiarisce stupenda- mente la vicissitudine infinita del firmamento; si chiarisce agevolmente l’origine delle nebulose (alludo naturalmente alle vere nebulose non alle pseudo nebulose che sono ammassi stellari). Come dalle nebulose sì for- mino i sistemi solari ho dimostrato nel mio lavoro sopracitato. (Nuovi strumenti fisici e sulla più probabile origine del sistema solare. Accade- mia delle Scienze, Palermo 1892) al quale rimando il lettore. In detto lavoro provai come si possa benissimo spiegare la formazione di un pianeta per il distacco di una porzione di spira, e riuscii a spiegare in modo attendibilissimo da che possa essere originato il movimento retro- PERapi e grado di un pianeta, come anche un altro fatto importante cioè come possa avvenire che la velocità angolare di un satellite possa superare quella della pianeta da cui dipende. Nè io ho qui nulla ad aggiungere alla teoria da me svolta che ha trovato l’approvazione di insigni astro- nomi perchè la più attendibile. Però con la nuova teoria che ho accennato in questa memoria si può anche dimostrare come l’esistenza di un sole possa determinare successivamente la formazione di pianeti. Infatti con- siderando il sole come un gran centro di attività del fluido cosmico ma- teriato e come una grande fucina di materiamento etereo e considerando la grande fluttuazione di etere che emana da esso e che si rimaterializza a distanza, sì viene a spiegare come un tal centro di attività possa dare origine ad un anello di sostanza materiale rarefatta che andrebbe con- densandosi e individuandosi in un astro da quello dipendente. Lo stesso processo verrebbe anche a riprodursi nel caso che un astro si trovasse in uno spazio del firmamento nel quale sarebbe obbligato di cedere ad esso parte dell’'immensa riserva eterea ammagazzinata. — Così si spiega anche la grande infinita vicenda della vita degli astri e del meravi- glioso ciclo della loro esistenza, formazione e dissoluzione. Ora bisogna noi considerare che la materia allo stato estremamente sottile o critico che si forma nello spazio non certo rimane inerte: essa tende necessariamente a risentire gli effetti della gravitazione. Quindi dovrà acquistare un movimento di traslazione che sarà con la mag- giore probabilità una traiettoria parabolica la quale potrà poi trasfor- marsi in ellittica attorno ad uno degli astri più vicini, sia un sole sia un astro subordinato ovvero formando forse un anello come quello di Sa- turno. Però un’altro punto è a chiarire, su cui nessuno astronomo ch’io sap- pia si è fermato, neppure lo stesso See e tanto meno lo stesso Darwin (il quale studiò egregiamente ma parmi esagerando l’effetto delle maree) alludo all’azione materiale delle irradiazioni del calore, della luce e delle emanazioni radioattive. Si è provato che contrariamente a quanto sino a pochi anni addietro si ritenea, oltre degli effetti chimici e dirò asta- tici, esercitano esse, per quanto estremamente tenue, anche un’ azione materiale di urto che in questo caso sarebbe di repulsione. Or se si ha riguardo alla grandezza della superficie e al decorso immenso dei secoli, parmi che questa azione sommata siffattamente non diventi più del tutto trascurabile. E ciò tanto più quando si rifletta che tali azioni, specialmente le radioattive, dovettero con ogni verosimiglianza essere nelle epoche geologiche ben più attive che adesso. Devono tali azioni considerarsi come semplicemente una tenuissima attenuazione degli Resigo = effetti della gravitazione ovvero come un’azione disparata? Non voglio nè posso indugiarmi a tentare di risolvere tali importanti questioni, Mi basta averle semplicemente accennato. Cattura di astri. In aggiunta però a quanto già esposi nel citato lavoro e a quanto son venuto chiarendo nel presente articolo, devo anche osservare che recentemente da vari illustri astronomi quali il See, si è manifestata l'opinione che taluni degli astri del nostro sistema solare non siano stati punto originati da esso, ma sieno stati catturati. Le ragioni addotte sono: il movimento retrogrado di taluni di loro, la non coincidenza del piano di talune orbite, la varia inclinazione dell’asse di rotazione e finalmente il moto accelerato di rotazione non rispondente a quello dell’ astro cui sono subordinati. Certamente è questa un'ipotesi attendibile. Però lo svol- gimento della teoria come è da me concepita parmi risponda bene a talune di queste obbiezioni. Per verità il movimento retrogrado di Urano e di Nettuno si spiega facilmente nel modo da me spiegato (1892 Acc. delle Scienze, Palermo. Nuovi strumenti fisici, p. 155) e anche benissimo si può spiegare il movi- mento retrogrado del nono satellite di Saturno cioè di Febeo, che è il più lontano recentemente scoverto, mentre Temi, ch’è il decimo, lo ha diretto come pure gli altri; però è davvero impacciante il movimento retrogrado di Melotte uno degli otto satelliti di Giove recentemente scoverto. Altro valido argomento favorevole alla cattura si adduce nel movimento di rivoluzione rapido di Phobos uno dei due satellite di Marte, il quale sa- tellite la compie in 7 ore e 39 minuti mentre la rivoluzione di Marte si compie in 24 ore e 37 minuti come anche il fatto che la parte in- terna dell’anello di Saturno ruota più veloce che Saturno stesso infatti essa ruota in circa 5 ore e Saturno in circa 10 ore. Però la maggiore velocità di Pholos e dell'interno dell’ anello di Saturno si può spiegare agevolmente per la contrazione rapida della parte esterna della nebu- losa o dell’anello che riducendosi a rotare in un'orbita molto più angusta e conservando l’antica velocità sia riuscita a superare quella dell’astro stesso da cui dipende con il quale roteava prima concordemente. Anche lo studio della costituzione fisica della luna tanto diversa di quella della terra e degli altri pianeti sembra militi in favore di un’ origine estra- terrestre. Io ho già spiegato come possa essere stata formata anche nel nostro sistema (1892-93. Nuovi strumenti fisici) ma avendone di recente — 94 — studiato accuratamente col teloscopio la struttura, sono di parere che possa piuttosto essere stata captata. Un altro argomento che si adduce in favore della cattura è l’ in- clinazione del piano dell'orbita di taluni satelliti sul piano dell’equatore solare. Tale obliquità è specialmente rimarchevole per Melotte di Giove (148°) Febeo di Saturno (140) e il satellite di Nettuno (142) ma vera- mente si nota in tutti più o meno una inclinazione. Ciò però sì può spiegare anche da questo che tali sistemi di satelliti non dipendono di- rettamente dal sole ma dai rispettivi pianeti che vengono a formare come delle individualità a parte sebbene dipendenti dallo stesso sistema solare. — Ora ammettendo la teoria da me svolta, la quale suppone la possibilità che la materia si formi nello spazio, riesce anche meno inve- rosimile, la cattura, la quale verrebbe a spiegare agevolmente molte a- nomalie. Fu la luna captata ? Io già nel mio lavoro (1992 Nuovi strumenti fisici e sulla più pro- babile orig. del sistema solare, pag. 165) detti una spiegazione del come potè la luna essere originata dal nostro stesso sistema. Tale mia teoria, tra tutte quelle proposte dagli scienziati, credo sia l’ unica accettabile nel caso sì ammetta che essa appartenga al nostro sistema. Essa riesce anche a dare ragione della differente conformazione del nostro satellite. Io rimando il lettore a quanto esposi nel citato mio lavoro. Però avendo posteriormente eseguito molto studio sulle fotografie lunari e avendo anche fatto delle reiterate e accurate osservazioni col teloscopio sulla superficie lunare, mi son convinto che non è punto da scartarsi l’idea che possa essere stato il nostro satellite captato dalla terra. Ne è punto da escludersi che esso sia pervenuto da regioni lontanissime e che sia stato per lunghissimo tempo tormentato dalle fluttuazioni eteree che ho di sopra accennato. Ma non conviene ingolfarci in ipotesi troppo eva- nescenti nella grande caligine della possibilità. Certamente ancora denso dubbio permane non solo intorno all'origine ma anche alla costituzione del nostro satellite. L'ipotesi di Darwin la quale fu da prima accettata è stata dal più degli astronomi repudiata; nè certo migliore esito potrà avere quella recentemente emessa da Pickerin, il quale crede riconoscere nell’avvallamento dell’oceano pacifico la cicatrice lasciata dalla luna nel distaccarsi dalla terra (1907 The place of moon) Se non si riconosce nella luna un astro captato, l'ipotesi da me enunziata mi pare tra tutte PESO 1; OSS la più accettabile. Con essa faccio risalire la individualizzazione della luna ai tempi arcaici quando la terra occupava un volume incompara- bilmente maggiore che adesso. Avvenuta la contrazione dell’ anello di materia che la circuiva e quindi la formazione del globulo lunare, sic- come la parte centrale di esso arroventata facea distaccare tutto l’invo- lucro di gas e di vapori tanto da farlo rientrare nella zona di attra- zione preponderante terrestre, dovette tutto quanto 1° involuero di gas e di vapori rovesciarsi sulla terra restando nudo il nodulo infocato lunare. Costituzione fisica della luna. Era questo in riassunto il meccanismo teorico da me proposto che rie- sce anche mirabilmente a spiegare perchè le lave lunari hanno un carat- tere havayano. Devo aggiungere che la mancanza di acqua e la man- canza quasi totale di gas sulla superficie lunare si possono in parte anche spiegare (secondo le nuove vedute enunziate in questo lavoro) oltre che come un effetto di idratazione delle rocce anche come un effetto di eterizzazione. Però, come vedremo di seguito, dall’ esame ulteriore da me fatto risulta che con ogni probabilità l’acqua ha mancato nella luna. Lo studio fisico ulteriore del nostro satellite mi ha condotto a ricono- scere tanta diversità nella sua struttura che mi pare anche accettabile l'ipotesi che sia stata la luna catturata in tempi remotissimi. Ma lasciando insoluta la grave questione dell’origine e sorvolandola, se ci limitiamo ad uno studio superficiale sommario della costituzione deila luna, quantunque la vicinanza del nostro astro ci metta in con- dizioni felici per studiarlo quali non possiamo avere per qualunque altro astro (è distante da noi solo circa 585 mila chilometri), nondimeno per taluni riguardi dobbiamo limitarci a delle congetture più o meno proba- bili. Io non voglio menomamente ingolfarmi nel riportare le varie opi- nioni. Darò -solo un cenno brevissimo riassuntivo delle mie osservazioni. 1.) La luna ha senza dubbio un’origine eminentemente plutonica. È formata per intero da rocce ignee. Schmidt calcola di aver contato quasi trentatre mila crateri egli dice che con un forte ingrandimento si arriverà a vederne 100 mila. E bisogna tener conto che la superficie visibile della terra è poco più della metà dell’intiera luna e che la su- perficie di essa è 153,4 volte di meno di quella della terra. Però i così detti crateri non sono veri crateri, ma completamente diversi dei crateri dei vulcani terrestri. 2.) Non è impossibile che esista qualche traccia di aria, ma in quan- RSA tità così infinitamente piccola da essere paragonabile al vuoto massimo delle macchine pneumatiche. La temperatura (come è noto) raggiunge 250 gradi e discende a —100, perchè durante 14 giorni nessun punto è esposto al sole e per altrettanti ne manca, quindi se vi fosse acqua do- vrebbe alternarsi l’ ebollizione e il ghiacciamento. Non esiste alcun indizio di aria; solo in qualche raro punto eccezionalmente è parso di discernere temporaneamente qualche velo di nebbia. Ma non se ne è sicuri. 3.) Esaminando la conformazione geografica e orografica parmi potere asserire che la luna non solo manca adesso di acqua, ma acqua non ve ne è stata mai. Percorrendo col teloscopio la superficie lunare come pure le carte fotografiche, non ho trovato alcun vestigio di roc- cia nettunica nè di antiche tracce di fiumi, di delta, di torrenti, nè di abrasioni prodotte dall'acqua, nè di deposizioni sedimentarie. 4.) Le esperienze che molti scienziati hanno fatto con masse di sostanze liquefatte e lentamente raffreddate che acquistano nel raffred- darsi e consolidarsi un’ apparenza analoga alla superficie lunare sono istruttive ma sino a un certo punto e non bisogna esagerare. Il paragone da tanti astronomi ripetuto dello scoppio delle bolle di aria sorgenti dall'interno di una massa raffreddata, è di una disparità così grande che mi pare quasi puerile il citarlo. 5.) La massa della luna è formata di una specie di lava, la quale nel modo di comportarsi ricorda quella delle isole Hawai. Sarebbe as- surdo fare delle induzioni sulla composizione chimica, che del tutto ci sfugge, ma quello che pare provato è che non conteneano masse di vapore e di gas. La forma di molti crateri, a guardarsi col teloscopio, sembra affatto esplosiva, sul genere del Krakatoa; taluni coni con crateri (spe- cialmente quelli dentro i grandi circhi) paiono simili a crateri terrestri. Però è un'illusione: sì perchè le dimensioni sono incomparabilmente più grandi (nè si possono concepire crateri di cento chilometri), sì perché non si vedono nè colate di lava, nè tracce di vapori e di acqua. 6.) I così detti mari della luna non sono, secondo me, che dei laghi di magma liquido che si è raffreddato più lentamente e ha per- durato ad essere liquido quando il resto della crosta lunare era raffred- dato. Le esperienze di Fouqué hanno dimostrato che i silicati nel soli- dificarsi diminuiscono di volume. Si aggiunga che indipendente anche di questo fatto, è noto che un corpo raffreddandosi si contrae. Ora av- venuta la solidificazione di parte della crosta (sarebbe stato impossibile che tutta si fosse solidificata contemporaneamente) rimasero talune re- eng — gioni invase dal magma ancora liquido. Questo perdurò tale, perchè la parte della luna coverta dalla crosta facea uno schermo protettivo alla irradiazione calorifica dell'interno ed era mantenuto liquido anche dalle reazioni chimiche interne e dallo stesso effetto della contrazione. Però con l’andare del tempo anche la parte meno superficiale andò raffred- dandosi e contraendosi. Fu appunto per tale causa che il livello del magma liquido venne ad abbassarsi gradatamente perchè esso andò sopperendo alla perdita di volume del resto. La mancanza di forti ru- gosità e di montagne e Ja superficie relativamente pianeggiante dei così detti mari è adunque da attribuirsi appunto all’essere questi rimasti li- quidi molto più a lungo del resto. 7.) Quanto ho detto riguardo ai così detti mari si applica anche in certo modo ai circhi. Questi sembrano di ben differente costituzione quando si guardino nei limiti estremi; ma se si contemplano nei loro passaggi intermedi si vede che quasi non vi è distacco e non sono che una riduzione dello stesso fenomeno. Per esempio se si paragona il circo Maginus della parte centrale della calotta australe con il mare Crisium della regione occidentale, non si trova una gran differenza. I circhi mi- nori hanno una diversità, sebbene naturalmente nei limiti si confondono. Infatti i bordi di essi si elevano più o meno considerevolmente mentre in mezzo e in fondo ad essi si trova per lo più un rilievo a cono come l'estremità di un cratere sprofondato. Questi circhi i di cui bordi si ele- vano talora a grandissime altezze, corrispondono ad antiche convessità di crosta sprofondate. Dopo lo sprofondamento, in fondo ad essi dovea rimanere una massa di magma liquido che successivamente si andò sprofondando per la contrazione dovuta al raffreddamento. Così si for- marono delle ripide scoscese a gradini come in Copernico. Questo carat- tere a scaglioni si riscontra anche nel Mare Humorum, Nectaris, Crisium e in altri. Lo sprofondamento del magma e della larga e spessa cupola del circo dovette contribuire a spingere in su il margine di esso dando luogo ad una corona dei monti circolari. Esiste anche qualche circo en- tro stesso a taluni così detti mari; esso però dovette formarsi quando il magma del così detto mare già si consolidava.—Vi sono poi dei cra- teri profondi con orlo non molto elevato e che paiono specie di enormi pozzi e danno l’apparenza di crateri esplosivi, come io dapprima li avevo classificato. Di essi è disseminata quasi tutta la luna, però abbondano in certi siti, difettano in altri. Io ritengo che essi rispondono ai focolai ove il calore era maggiormente riconcentrato. La forma più o meno Il Nat. Sic., Anno — XXII Nuova Serie, Vol. II. 13 SENO) — circolare delle manifestazioni fisiche della litosfera lunare indica chia- ramente che il magma primitivo sì centralizzò e accantonò in ispeciali focolari con centri multipli d’irradiazione. Questo dovette accadere nella seconda fase ossia nel secondo periodo nel quale cominciò ad accadere un primo raffreddamento e relativa contrazione e coordinazione dei ma- teriali del magma. Periodi geologici lunari. Io credo che si possano con verosimiglianza riconoscere quattro di- versi periodi : 1."° Periodo in cui tutta la superficie era liquida e mobile. 2.4 Periodo in cui una parte cominciò a solidificarsi e raggrin- zarsi. Durante questo periodo rimase il fuoco liquido solo nei così detti mari. La contrazione produsse l'abbassamento della superficie del magma dei mari. Il magma della crosta iniziata andò solidificandosi, però rimase liquido in vari centri accantonati che dettero luogo a dei circhi, i quali quindi non differiscono dai mari che per la dimensione minore. È a questa causa esclusivamente da attribuire la forma arrotondata la quale del resto si constata anco nei piccoli mari come nel Mare Crisium, che è intermedio tra i circhi propriameute detti e i così detti mari. Dei cir- chi quello che parmi più si rassomigli a un mare, e quindi maggior- mente si avvicini al mare Crisium, è il Tolomeo il quale è nella parte centrale. Quindi in questo periodo, oltre dei mari di fuoco, esistevano una gran quantità di bocche di fuoco, ossia di piccoli laghi di fuoco che andarono lentamente sprofondandosi. Taluni di loro rimasero ben defi- niti, altri crollarono e si confusero e unificarono con altri vicini. 5.:° Periodo in cui si solidificò la superficie dei laghi e di mari di fuoco formando una crosta continua. In questo periodo continuò an- cora il lavorio di contrazione che dette luogo alla formazione di solchi e fenditure le quali attraversano per vari lunghi tratti la superficie lu- nare, specialmente il mare Tranquillitatis, mare Imbrium, mare Nubium, mare Procellarum etc.. Quello delle Alpi lunari è lungo ben 150 chilo- metri ! 4.!° Periodo dal quale continuò ancora la contrazione e il raffred- damento. Nei mari e nei laghi già solidificati, continuando la contra- zione accaddero altre spaccature e si formarono delle buche o pozzi profondi che simulano tutti i caratteri di crateri esplosivi. Non si pos- sono però considerarli tali, sì per la dimensione troppo grande, si per 2g 9 la mancanza di depositi delle lave eruttate e del materiale esploso, si per la mancanza di vapore acqueo necessario per l'esplosione. Non è del resto impossibile che talune di queste cavità cilindriche sì sieno formate per esplosione, ma ritengo più probabile che tali buche si siano formate per esservisi il fuoco mantenuto liquido più lungamente. Ho accennato a questi quattro diversi periodi che hanno qualche somiglianza ma discordano con quelli proposti dall’ illustre mio amico sig. Sacco nel suo interessante: « Essai schématique de Sélénologie ». Si tratta di vari apprezzamenti e discutibili opinioni. Parmi però che la interpetrazione da me data alle osservazioni fatte col teloscopio e con le carte fotografiche, debba essere accettata, perchè ha la maggiore ve- resomiglianza. Circhi radianti lunari. Una questione gravissima io non ho potuto risolvere; questione grave che interessa molto lo studio della costituzione fisica e dirò an- che evolutiva della luna. Alludo a così detti circhi radianti. È noto che su taluni circhi si vedono confluire molte linee o raggi bianchicci al- quanto splendenti alla luce del sole. Tali raggi sono più o meno per di- ritto. Da taluni circhi come da «Tycho» da «Copernicus» « Keplero » etc. ma specialmente da Tycho si prolungano per tratti lunghissimi circa mille chilometri. Or, quello che è importante è questo: che essi decorrono indipen- denti dalle valli, delle montagne, dei mari. Nasmyth e Carpenter co- struirono una sfera di vetro, la riempirono di acqua e la immersero nell’ acqua calda. Quella di dentro dilatandosi determinò lo scoppio e si fermarono dei raggi molto somiglianti a quelli di Tycho. Tale fi- gura fu riprodotta da Guglielmo Meyer nel suo dotto libro « Universo Stellato ». Bisogna pur dire che avvenimenti così grandiosi come quelli lunari non si possono paragonare a piccole esperienze di gabinetto, ove sono in gioco ben altre forze, ben altri elementi e di incompara- bilmente diversa portata. Di sicuro si può asserire che è assoluta- mente impossibile che l’ origine di tali raggi sia dovuta ad un feno- meno accaduto durante i periodi in cui si formarono i circhi e i crateri. Le due ipotesi possibili sono due: o che rimontino ad antichissima epoca e interessino profondamente la costituzione della litosfera, ovvero che siano affatto superficiali e dipendenti da fenomeni relativamente recenti, perchè altrimenti non potrebbero essi modellarsi rigorosamente sulla TOTO superficie lunare. Nel primo caso bisogna ammettere che dai grandi e profondi circhi, ove era condensata maggiormente l’attività endogena, si irradiassero delle correnti speciali determinate o da azioni elettriche o magnetiche o chimiche o di altro genere, e quindi poi, avvenuto il raf- freddamento e la solidificazione, lasciarono le tracce visibili della loro esistenza; ovvero. si tratta di sostanze forse pulverulenti cadute poste- riormente alla formazione ultima della litospera. Il prof. Sacco (Ess. sechématique de Sélénogie, p. 41) è di quest’ultima opinione e richiama la formazione delle cosidette nubi ardenti come quelle del Monte Peleo alla Martinica nel 1902 descritte da Lacroix. L’ idea del prof. Sacco è verosimile e geniale però a me sembra che vi sono delle obbiezioni. Essendo la luna priva del tutto di aria (o quasi total- mente), sebbene la gravità è molto minore sulla luna che sulla terra (circa !/,) è inconcepibile come un getto di polvere o cenere possa ri- manere sospeso nel vuoto e dilungarsi formando delle strisce così enor- memente lunghe. (Pickering, dall’osservatorio del Perù osservò che l’at- mosfera lunare non può essere maggiore di ‘/.,oo, della nostra). Dovreb- bero ammettersi delle fortissime correnti per spiegarlo, ma non si ca- pisce come possano distendersi a fasce piuttosto che :a guisa di nebbia circolare ad alone, il che sarebbe la cosa naturale. Certamente tali raggi non sono punto rilevati sulla litosfera e sono indipendenti della sua configurazione, quindi l’ipotesi dell’illustre prof. Sacco ha molta ve- rosimiglianza. Potrebbe supporsi che la luna in precedenza fosse circuita da uno strato di aria o piuttosto di vapore che fosse poi stato di seguito assorbito dalla litospera e ciò è possibile e anche verosimile. Ma anche in tal caso bisognerebbe anche pensare all’ azione della rotazione e ri- voluzione della luna che avrebbe dovuto anche influire sulla direzione delle polveri, nè si comprende e concepisce una corrente di larghezza limitata che percorra in aria mille chilometri per diritto. Bisognerebbe parmi supporre l’ intervento di azioni magneto-elettriche o di altra na- tura che ci sfuggono. Tutto considerato forse è più verosimile che tali raggi rimontino ai primordi della formazione della litosfera e siano allora stati delle spaccature piene di magma liquido che abbia naturalmente subìto una evoluzione chimica alquanto diversa della roccia incassante. Se tale fu la origine dei raggi dovette essa accadere in tempo remotissimo molto prima che la litospera lunare fosse tormentata dal lavorio di contra. zione e di corrugamento, Così si spiegherebbe il fatto che i raggi de- corrono indipendenti dalla forma orografica della superficie. Io non so quale ipotesi accettare perchè non ho elementi sufficienti. — 101 — Devo infine notare un fatto importante che non so se sia stato da altri osservato: Molti dei raggi di Tycho non si dipartono dal circo ossia dal grande cratere, e non confluiscono ad esso non essendo diretti al suo centro, ma mettono capo al grande avvallamento che circuisce il circo. Questa mi pare un’ osservazione molto importante perchè dimo- stra che tale sistema di raggi non provenne dall’attuale Tycho, ma da un cratere immensamente più grande e dovettero essere originati quando Tycho avea circa tre volte il diametro attuale. Il maggiore enigma, che mi si è presentato in questo studio sele» nologico, è la interpetrazione di questi raggi. Rigidità lunare. È strano che un astro di natura così eminentemente plutonica non dia segno alcuno di attività endogena e si mantenga in uno stato di perfetta rigidita. È vero che qualche tenuissima modificazione è stata osservata sui crateri Linneo, Posidonio e Hyginus; ma si tratta di fatti isolati, minimi, e da molti contradetti e infirmati. Certo se mutazioni fossero accadute, sarebbero state facilmente avvertite da tanti astronomi che da secoli tengono vigili i loro teloscopi puntati sulla sua superficie. È impossibile che un fenomeno notevole sia loro sfuggito. Ciò fa tanto maggiore meraviglia che anche ammesso che il magma lavico interno della luna non contenga vapore acqueo, e ammesso che il vapore ac- queo, se anticamente ne esistea , fosse stato completamente assorbito dalla litospera e consumato dalla sua idratazione, certamente l’azione delle maree prodotte dalla confricazione attrattiva dalla terra deve ma- nifestarsi molto considerevole nella luna e dovrebbe quindi dar luogo ad una fluttuazione del materiale fluido interno da generare anche qual- che manifestazione allo esterno. Potrebbe darsi che l’interno sia com- pletamente raffreddato e solidificato, potrebbe darsi anche che lo spessore della litosfera lunare sia abbastanza spesso per non soffrire menoma- mente dei possibili movimenti dello interno. Certamente se la luna avesse la stessa età della terra, atteso il suo volume molto minore (circa !/, della terra) e minore la densità (la terra ha una densità di 5, 6 e la luna di 3, 4) e naturalmente anche la massa minore (circa ‘/,, di quella della terra), avrebbe dovuto raffreddarsi prima che la terra e il calore interno dovrebbe essere molto minore che nella terra. — 102 — Nuovo metodo per lo studio dell'interno della luna. Se ci è ignoto e misterioso l’interno della terra parrebbe che molto più misterioso ed enigmatico debba essere per noi quello della luna. Noi per mezzo dello studio della propagazione delle onde sismiche, per mezzo delle osservazioni termiche sui trafori a grandi profondità, per mezzo delle osservazioni magnetiche e anche per mezzo delle osservazioni del- l'intensità della gravità abbiamo potuto fare delle deduzioni molto istrut- tive riguardo ai caratteri fisici dell'interno della terra. Però nonostante tali valevoli mezzi, limitate sono le nostre conoscenze: poche sono ve- ramente acquisite, molte sono induttive, altre semplicemente ipotetiche. Riguardo all’ interno della luna non possiamo limitarci che a semplici congetture. Solo a noi nota è la massa, la densità relativa e quindi la forza di gravità. Però io credo di potere suggerire un metodo affatto nuovo per mezzo del quale possiamo forse pervenire a conoscere dei particolari che certo neppure potremo augurarci di conoscere dello interno del nostro globo. Io adunque ho pensato di usufruire dei raggi Ròntgen ossia i raggi x per lo studio dell’interno della luna e anche dei raggi y. Bisognerà co- gliere l’occasione di un ecclissi di sole, cioè quando la luna intercetterà i raggi del sole, il che avverrà il 21 dell'agosto prossimo. È impossibile che dal sole non emani una potente emissione di raggi x. Se essi fossero refratti da qualche sostanza, si potrebbe benis- simo costruire una lente speciale per convergerli e anche ingrandirne l’immagine. Ma finora non si sono scoverte di tali sostanze. Essi pro- cedono in linea retta non si riflettono nè punto si rifrangono ; bisogna quindi rinunziare a tale idea. Sono, come è noto, arrestati o affievoliti dalle masse dei corpi proporzionatamente alla loro densità. È quindi a supporre e anche a temere che la massa della luna possa arrestarli completamente. Però atteso la grande intensità della sorgente del sole, io spero che abbiamo tanta potenza penetrante da potere dare un’im- magine la quale naturalmente verrebbe a riprodurre qualche dettaglio dello interno. Certamente però arriveranno a noi molto affievoliti, tanto più che dovranno anche traversare l’ atmosfera terrestre che è abba- stanza spessa. Per riprodurre l’effetto desiderato bisognerà costruire una piccola camera oscura con sostanza che intercetti completamente la pe- netrazione dei raggi i quali non possono arrivare che molto affievoliti, per esempio con lastre di ferro o di piombo praticando un piccolo foro — 103 — in alto di prospetto al sole e mettendo nel detto foro una laminetta che interrompa completamente i raggi luminosi, ma non i raggi Ròntgen, per esempio un fogliolino di carta nera, ovvero una laminetta di allu- minio. Dirimpetto al foro e di prospetto al sole, cioè nella sua direzione dovrà collocarsi una lastra fotografica molto sensibile (se se ne desidera la fotografia) ovvero uno schermo fluorescente ricoverto di platino cia- nuro di bario. Si potrebbe fare lo stesso esperimento per Mercurio il quale passerà il 7 novembre avanti il disco del sole. Nel foro dalla parte interna va collocato un diaframma di ferro ad iride che si possa restringere in modo che si possano intercettare i raggi della corona del sole e limitare quindi esclusivamente la visuale al di- sco lunare.—La piccola camera oscura o per meglio dire la calotta su- periore di essa deve essere mobile ed ossere in dipendenza di un can- nocchiale collocato internamente o esternamente il quale mantenga la direzione della luna. Si potrebbe invece adoperare un apparecchio ad orologeria. Ma trattandosi di un esperimento non stabile ma di occa- sione, crederei più economico adoperare un cannocchiale collimatore, il quale si può benissimo anche collocare al di fuori per evitare di fare la camera troppo grande. Aggiungo che siccome l’immagine sullo schermo fluorescente con tale disposizione sarebbe piccola, si potrà esaminarla con una lente e anche fotografarla con un apparecchio d'ingrandimento. Col metodo sopra descritto si potrebbe avere anche un'impressione dei raggi radioattivi. Si sa che il radio oltre dell'emanazione caratteri- stica emette tre sorta di raggi. I raggi « sono facilmente arrestati da uno schermo, I raggi # hanno una certa penetrazione. Invece grandis- sima penetrazione hanno i raggi y i quali somigliano ai raggi x. Questi raggi possono benissimo cooperare coi raggi x nello renderci palese qualche particolare dell’interno della luna. Aggiungo che se evidente- mente non si può contare sui raggi «, forse si potrebbe ottenere anche qualche risultato con i raggi f. Anzi a tal uopo voglio annunziare una mia idea: I raggi«ei raggi y sono indifferenti all’azione di un campo magnetico e elettrico, mentre invece i raggi f sono molto sensibili, essi deviano a secondo l’azione del campo magnetico ed elettrico. Ora fa- cendo passare la radiazione entro un breve tubo magnetico o elettrico che dia origine ad un campo circolare, questo tenderà evidentemente a far deviare i raggi in sensi opposti e quindi farà l’effetto di una lente divergente. Con tal mezzo da me proposto si ottiene una dispersione e quindi un ingrandimento dell’ immagine dei raggi f il che non si può — 104 — ottenere nè coi raggi x nè coi raggi y che non sono influenzati nè dal campo elettrico nè dal magnetico. Però è molto più verosimile che per- vengano nella terra e possano utilizzarsi i raggi y piuttosto che i raggi f. Siccome nel sole si è seoverto per mezzo dello spettroscopio l’ elio in grande abbondanza, anzi fu in esso che fu trovato prima che nella terra e siccome è noto che l’ emanazione del radio dà come ultimo ri- sultato appunto l’ elio, è a presumere che nel sole vi sia una grande quantità di radio. Quindi col mio nuovo metodo non solo i raggi x ma anche i raggi y radioattivi possono con ogni probabilità svelare delle interessanti parti- colarità della costituzione dell’ interno della luna e di altri pianeti che passano davanti il disco solare cioè durante gli ecclissi. Possono forse anche per avventura scovrirsi altri raggi penetranti attraverso la luna. Certo l'ostacolo e la resistenza di essa è immensa, ma immensa è la po- tenza dell'attività solare. Non si può garentire l’esito di una simile espe- rienza, ma il tentarla non costa gran cosa; riuscendo, potrebbe dare dei preziosi risultati. Possibile osservazione dell’interno del primo satellite di Giove. Col metodo da me proposto si potrebbero forse anche fare altre in- dagini molto utili; per esempio è stato osservato che quando il primo satellite di Giove passa avanti di esso , il disco del satellite mostra of- fuscarsi. Ora siccome tanto Giove che il satellite hanno la stessa luce inviata dal sole, ciò non dovrebbe avvenire , quindi è a inferirne che Giove ha anche una leggera luce propria onde il disco del pianeta per la differenza di luminosità appare oscuro. Potrebbe forse tal fenomeno attribuirsi alla riflessione dei raggi solari maggiore in Giove per le dense nubi che lo avviluppano; ma vi sono molte ragioni per ritenere che ha esso una luce propria. Ora io ritengo che tale luce sia piuttosto di na- tura attinica e che possa contenere dei forti fasci di raggi y, onde si potrebbe avere l’ imagine del satellite al platino-cianuro di bario. Però atteso la minima dimensione occorrerebbe un buon apparecchio d’ in- grandimento per aiutarne la visione. Cenni sulla causa della gravitazione. Vengo ora ad abbordare un argomento della maggiore importanza e che si collega intimamente con quanto son venuto esponendo ; cioè — 105 — come bisogna intendere la gravitazione universale. Sembra pur troppo inverosimile come la scienza, la quale ha tolto il velo ai più astrusi misteri, non abbia ancora spiegato la causa prima della gravitazione e quindi della gravità stessa. Essa ha spiegato nel modo più ammirevole tutte le leggi che ne regolano la esplicazione, ma non ne ha scoperto la causa. Resta arcano il perchè la materia attrae la materia. L'uomo che ha disvelato tanti misteri, non ha saputo ancora con evidenza chiarire il perchè egli stesso materialmente sia attratto dalla terra e possa cam- minare sulla sua superficie. To già nel dicembre 1892 feci una comunicazione alla R. Accade- mia delle Scienze, Lettere e Arti, nella quale partecipai le mie idee in proposito (1892 Nuovi strumenti fisici, p.177 181). Esposi allora un mio concetto che potè allora parere troppo ardito. Lo manifestai come una mia congettura frutto però di lunghe indagini e lunghi studi. Non ero però del tutto sicuro nè scevro di esitazione. Però col progresso della scienza, si ha avuto una piena conferma a quanto io asseriva. Io infatti dissi che l’etere è da riguardarsi come un vero fluido cosmico il quale occupa lo spazio non solo, ma compenetra tutti i corpi. La materia non è che una speciale manifestazione e per così dire condensazione di esso. Io dissi che la gravitazione non è che un effetto della tensione del- l’etere, il quale non è altro che la materia stessa in un quarto stato. Inoltre chiarii con semplice metodo il meccanismo della gravitazione concepito in simile stregua. Voglio adesso, riandando quanto dissi, svol- gere ancor più il mio concetto. Accettando quanto ho di sopra esposto e considerando la materia come una manifestazione dell’ etere, bisogna ammettere che esso eser- citi una tensione considerevole nello spazio. È questo il risultato preci- puo delle mie osservazioni. Che un fluido imponderabile possa generare una forza e quasi tra- sformarsi in essa è pienamente provato dalle azioni delle correnti ma- gnetiche ed elettriche. Or se supponghiamo,in uno spazio immenso oc- cupato dal fluido cosmico, una massa materiale perfettamente isolata, non subirà essa alcun movimento, poichè le opposte pressioni sarebbero l'una dall’ altra neutralizzata. Però se supponghiamo che invece di una massa unica ve ne siano per esempio due di prospetto, in tal caso dovrà necessariamente l’una risentire l’effetto della presenza dell’altra. Deve considerarsi un corpo nello spazio come se fosse legato da un numero immenso di fili tesi da ogni lato. Tale trazione esercitata Il Nat. Sic., Auno — XXII Nuova Serie, Vol. II, 14 — 106 — da esso corpo dipende appunto dalla materia stessa, la quale non è punto inerte, ma tende a condensare e per così dire, assorbire l’etere. Siccome però vi è un limite e siccome ogni azione ha contraria la reazione, così è che l’etere esercita una resistenza proporzionale la quale dipende ap- punto dalle condizioni, dai rapporti e dirò quasi della viscosità dei su- peratomi onde esso è formato. Io per verità nel lavoro da me citato (pag. 181) mi ero manifestato proclive ad ammettere la mancanza as- soluta di atomi nell’etere, ma però avuto riguardo ai grandi fenomeni di elasticità, onde esso ci si manifesta animato (per la trasmissione della luce, del calore etc.), sono ora di parere che non si tratti di fluido ri- gorosamente continuo, ma composto anch'esso di punti imponderabili estremamente minuti di condensazione del fluido stesso infinitamente più piccoli degli atomi e che io ho chiamato superatomi.—Ora se con- sideriamo due corpi sospesi nello spazio e di prospetto l'uno all’ altro facilmente ci convinciamo che debbano tendere ad avvicinarsi, peroc- chè il fluido dello spazio interposto tra essi sarà maggiormente teso che quello esterno, perchè esso subisce la trazione di entrambi i corpi. Se supponghiamo due sfere provviste d’infiniti fori alla superficie, im- merse in un liquido che ininterrottamente si versi in esse perchè aspi- rato per mezzo di due tubi che imbocchino dentro le due sfere, queste tenderanno ad avvicinarsi tra loro, mentre se al contrario si inspirasse dentro di loro il liquido invece di aspirarlo, tenderebbero ad allontanarsi. Addippiù se al di sotto della superficie di un liquido, per esempio dell’acqua, immediatamente al disotto dello strato superficiale, per mezzo di un tubo capillare, si soffia un po’ di aria, e si dà origine a due bol- licine ravvicinate, lo strato superficiale farà una tensione su di esse (pe- rocchè esse lo sposteranno in su formando una convessità sulle stesse), e tale strato teso di liquido per la pressione laterale tenderà a farle rav- vicinare tra loro, onde facilmente si riduranno in una sola. Così anche se si mettono in un liquido due piccole palline di legno galleggianti e che siano da esso bagnate, se sì mettono a non grande distanza, esse si ravvicineranno l’ una all’ altra. Questi paragoni, sebbene riguardanti un ben differente obbietto, si attagliano in certo modo all’azione dell’ etere stesso come fluido dinamico determinante appunto la gravitazione. Se nello spazio vi sia resistenza. Voglio anche accennare ad una grande questione che si riattacca con quanto di sopra abbiamo svolto, cioè alla resistenza del fluido dello spazio alla rotazione degli astri. Certamente atteso la sua imponderabilità, la sua — 107 — elasticità, e la sua penetrabilità per la quale i corpi sono per esso tra- sparenti e tendono efficacemente ad assorbirlo, non può esso menoma- mente opporre alcuna resistenza per quanto tenue. Ciò è stato dimo- strato da cento astronomi ein particolare dal celebre Hirn. Però quanto ho disopra esposto cioè che il fluido stesso viene a trasformarsi in ma- teria allo stato critico e quindi in materia estremamente sottile, può nascere il dubbio che una resistenza per quanto assolutamente minima debba esistere. Ora recentemente il celebre astronomo americano J. J. See di Montgomery (Missouri) ha pubblicato importanti memorie per dimo- strare l’esistenza di un « resisting medium » e ha emesso delle istruttive teorie. Egli dal Naval Obsenatory di Mare Island (California) pubblicò un lavoro in gennaro 1909 (On the cause of the remarkable circularity of orbits of the planets). Di seguito pubblicò molti altri lavori nei reso- conti della American Philosophical Society della quale mi onoro di far parte. Egli ha cercato di dimostrare l’esistenza di un mezzo resistente nello spazio con molteplici argomenti. Fra le sue riflessioni la più im- portante mi pare questa: che la resistenza del mezzo tende a far sì che i pianeti descrivano un'orbita sempre più circolare, mentre l’attrito per la confricazione delle maree tende a fare allungare l’ asse dell’ ellissi dell’orbita, quindi due effetti opposti. E la materia unica ? In questo rapido volo attraverso le eccelse vette ancora non esplo- rate dei grandi misteri della natura, un altro enigma, s’intravvede ma non si discerne. È unica l'essenza della materia? Io già fin dal 1880 (Prefazione della illustrazione della fauna eocenica di san Giovanni Ila- rione) ne feci un cenno. Quello che io avevo intravveduto ha ricevuto la conferma nelle ultime esperienze sulla potenza delle sostanze radiattive, per mezzo delle quali si è pervenuti a trasformare un corpo ritenuto semplice in altro corpo pure ritenuto tale. Io ero stato indotto a tale supposizione dallo studio dei rapporti dei pesi molecolari e i calori ato- mici dei corpi. Studiando il sistema così detto periodico e la classifica- zione dei pesi di combinazione dei corpi (sul quale soggetto molti chimici si sono fermati e tra tutti primo il Mendelejeff) si riesce a formare una serie molto ordinata ed eloquente dei corpi; tanto che dalle lacune che sì trovano, si perviene anche a prevedere la scoperta di corpi ancora ignoti, alla stessa guisa che dalle perturbazioni di un pianeta si è arri- vati a indovinare la presenza di altri, come dal rinvenimento di una — 108 — specie fossile con caratteri marcatamente differenti di un’altra, si può indovinare l’esistenza di altra specie con caratteri intermedi. Ora questa serie ordinata e gradata di corpi semplici, se non è una prova, è però valido indizio che tutti i corpi sieno da considerare quali manifestazioni ossia differenti fasi di evoluzione della stessa materia. Certamente è questo un sospetto molto fondato, non è però una verità acquisita e del tutto dimostrata. Vi sono anche molti argomenti contrari che non è qui luogo ad enumerare. Dirò solo che l'esame accurato spettroscopico degli astri ha rivelato in essi la presenza di tutti o quasi tutti i corpi terrestri oltre anche a taluni nuovi corpi di cui taluni si sono trovati successivamente nella terra (e prima di tutti l’ elio). Lo studio chimico della composizione delle pietre meteoriche lo ha confermato. Se anche molti dei corpi ritenuti semplici risultano (come per taluni di loro si è constatato) da una trasformazione di altri corpi, questo non si può asse- rire per la grande massa dei corpi. Tutto però c’induce a credere che in un lontano avvenire ci si perverrà. Ma anche guadagnata questa meta ben altri misteri cì resterebbero a scoprire. Quali sono le ragioni di queste tappe di evoluzioni della materia? Questione analoga a quella che ci si affaccia, allorquando esaminiamo le atomicità dei corpi, le equivalenze, e le ragioni delle varie e successive combinazioni di esse. In questa suggestiva misteriosa sfera di investigazione della intima essenza della materia entra anche lo studio delle varie numerose radiazioni dei corpi. Molti dei fisici moderni spiegano la diversità degli effetti per mezzo della diversa forma, spessore e andamento delle onde di vibrazione e danno dei varì appellativi ai vari raggi. Ciò potea accettarsi quando non si conosceano che pochissime radiazioni, ma ora non si può disco- noscere che in vari casi si tratta di vere emanazioni di materia tra- sformata o eterizzata o ridotta allo stato critico del quale sopra ho parlato. È unico lo stato d’imponderabilità ? Esiste una nuova grande sorgente di forza utilizzabile dall’umanità ? Ne consegue infine un ultimo problema che è forse il più importante pei risultati pratici e per l’interpetrazione dei fenomeni più palesi delle misteriose forze della natura: Sia che si ammetta che i vari corpi risultino da varie forme e manifestazioni della stessa materia (il che è probabile) sia che si riconosca, risultino da disparata sorgente nell’un caso e nel. l’altro bisogna ritenere che la manifestazione materiale possa ridursi mercè speciali condizioni imponderabile, cioè non soggetta alla legge di —. 109 — gravitazione e capace di penetrare i corpi solidi i quali diventano ad essi permeabili e per’ così dire traslucidi. Sorge quindi spontaneo il pensiero: esistono forse in questo mede- simo stato di imponderabilità diverse fasi ossia diverse tappe di evolu- zione e di manifestazione diverse alla stessa guisa che allo stato di ma- teria si presentano i corpi in tre stati differenti? — Ovvero esistono in- vece diverse essenze di costituzione? Forse non sarebbero ad attribuirsi a tali condizioni speciali le multiple manifestazioni dell'elettricità e del magnetismo? Non sarebbero forse da ascriversi a questa sfera di evo- luzione le manifestazioni misteriose dei raggi catodici, dei raggi x, dei raggi canali, dei raggi uranici? Certamente le modernissime teorie elet- troniche, con le quali gli scienziati di oggi giorno spiegano in modo sottile ed ingegnoso molti fenomeni, riescono mirabilmente a chiarirli; ma mi sembra che non generino ancora nell'anima quella acquiescenza serena che è frutto della piena convinzione. Mi sembra che non siano scevre di artifizio. Per conto mio dirò che passando in rivista le mera- vigliose esperienze dei moderni fisici sono venuto nella convinzione che bisogna ormai ammettere degli atomi imponderabili (superatomi) e modi- ficare di molto la teoria cinetica di essi e anche il modo di concezione degli atomi materiali, ma di ciò tratterò brevemente nell’articolo che fa seguito al presente lavoro. Io non posso però prima di chiudere queste pagine astenermi da un augurio. Possa nel secolo nostro l umanità dirimere altri ascosi veli in questa sublime palestra di studi e non solo per poter ammirare ancor meglio la grandiosa venustà del creato, ma per ricer- care altre inattese ben augurate sorgenti di forza, da sopperire allo sviluppo sempre crescente della civiltà e ai bisogni sempre crescenti dell’industria, del grande lavoro mondiale! Gli occhi degli scienziati sono attualmente intenti a scrutare e avi- damente indagare la potenza dell’energia atomica che ci si rivela sempre maggiore Un grano di radio secondo Salamons produce ben 175 mi- lioni di calorie: Gustavo Le Bon calcola che la disintegradazione di un grammo di rame corrisponderebbe alla forza di parecchi milioni di ca- valli vapore. Sembra tale cifra esagerata, ma grandi scienziati per vie diverse sono pervenuti a risultati analoghi. Kelvin calcola che la diso- ciazione di un grammo di bronzo equivarrebbe alla forza di settecento- cinquantacinque mila cavalli vapore durante un'ora. Ma per demateria- lizzare la materia anche in infinitesima parte occorre coi mezzi attuali un immenso titanico lavoro, sicchè non vi è adesso nessuna lontana pos- sibilità di usufruirne. Speriamo però che nell’avvenire possa l’uomo dalla — 110 — forza integratrice e disintegratrice della materia e dell'etere attingere una forza incommensurabilmente grande , fino a pochi anni addietro affatto insospettata. —scoc———— INDICE Prefazione . a ò o 2 6 ; é 5 " so bag; Una meteora luminosa a Palermo . - 3 . x E " » Cenni sulla penetrazione delle stelle cadute nell’atmosfera . * : » Sull’origine delle stelle cadenti, delle comete e delle nebulose e sul contenuto dello spazio + o c 3 - . : » Origine del movimento delle comete , f i 3 - 3 » Causa della luce delle nebulose ; 3 2 3 Ò , 3 » Causa del calore ed energia solare > t : 3 : : » Effetto dell’azione solare nello spazio 5 s : 2 : ; » Cenni della formazione del sistema solare 5 . 5 : ° » Cattura di astri » Fu la luna captata? . 2 ; 5 5 o a ò È >» Costituzione fisica della luna . x o , 5 = > > » Periodi geologici lunari 3 : - - x 5 » Circhi radianti lunari . o - o - . 5 - c » Rigidità lunare . . - . . . ; . : : » Nuovo metodo per lo studio dell’interno della luna . c 5 " » Possibile osservazione dell’interno del primo satellite di Giove . 3 » Cenni sulla causa della gravitazione , G - : 7 5 » Se nello spazio vi sia resistenza . 5 > - 3 3 : » E la materia unica? . È 6 - 2 . 3 3 5 » È unico lo stato d’imponderabilità ? Esiste una grande sorgente di forza utilizzabile dall’umanità? . 3 7 3 o : è » 73 Tu 78 81 86 87 87 89 91 93 94 95 98 99 101 102 104 104 106 107 108 MARCH. A. DE GREGORIO. = SUPERATOMI (nuova teoria della costituzione della materia e dell’energia cinetica). Lo studio della integrazione e disintegrazione della materia e lo svolgimento delle nuove teorie da me proposte nel precedente lavoro, riguardo all'origine della materia delle comete e della materia in gene- rale, come anche dell’azione degli astri nello spazio, mi ha spinto a pe- netrare in un fecondo campo di utili investigazioni: a scrutare , per quanto è possibile, una delle più astruse e feconde sorgenti, onde si e- splica la vita intima della materia nelle sue più potenti e misteriose manifestazioni. Alludo alla forza cinetica dei superatomi. Io ho proposto per il primo tale nome per indicare gli atomi imponderabili. Facendo una revisione dei concetti attualmente accettati dai più grandi fisici moderni, trovo che sebbene le recentissime teorie spiegano in modo impressionante molti fatti altrimenti misteriosi, non convincono esaurientemente. Ripugna infatti il concepire come possano esistere tante forme di raggi vibratori e con effetti e diportamenti affatto dissimili; ripugna pure come tali radiazioni raggiungano delle velocità inconcepibili; ripu- gna il pensare come gli atomi materiali componenti i corpi (mentre questi sono allo stato d'inerzia), siano dotati di un movimento vertiginoso su sè stessi. Invece con la teoria da me proposta la spiegazione riesce più facilmente attendibile e persuasiva. La teoria è diversa, ma i calcoli, le osservazioni, i postulati non vengono punto infirmati. Essa è basata sopra due fenomeni dipendenti reciprocamente l’uno dall’altro: Come i corpi materiali sono costituiti di un aggregato di molecole, formate da raggruppamento di atomi, così bisogna ammettere anche l'esistenza di molecole e di atomi imponderabili che ho chiamato superatomi, e su- permolecole. L’etere risulta da un aggregato di superatomi, è desso che ho chia- mato « fluido cosmico ». I superatomi si dispongono in super molecole quando nello spazio la tensione si aumenta ovvero quando avviene una specie di sovra saturazione, onde la tensione non possa più equilibrarsi con la pressione; l’etere si integra in materia prima allo stato critico e quindi in uno stato relativamente stabile. La materia ha la proprietà — 112 — di condensare l'etere come molti corpi (specialmente pulverulenti), hanno la proprietà di condensare e assorbire più o meno i gas. Sono noti gli esperimenti del vetro triturato che assorbe l’aria, il carbone che assorbe l'anidride solforosa e l’ammoniaca, la spugna di platino che assorba l’i- drogeno con tanta avidità che si arroventa, Ma voglio citare le espe- rienze recentissime di immensa importanza di J. J. Thompson che ha provato che il gas «,, l’elio e il neon sono contenuti nel ferro, nichel, rame, piombo e platino e sono fissi in tali metalli con tanta veemenza che occorre siano bombardati dai raggi catodici per esserne separati. L’ etere che passa dentro la materia, ci resta accantonato e condensato in modo che dentro alla stessa i superatomi si aggregano in supermo- lecole. Secondo tale concezione le varie manifestazioni elettriche magne- tiche, luminose, calorifiche e le varie manifestazioni di radiazioni devono considerarsi come stati diversi di aggregazione sopra molecolari dell’e- tere. Le combinazioni chimiche debbono considerarsi non come un ef- fetto della varia tendenza degli atomi e delle molecole materiali, ma come un effetto dell’azione e raggruppamento dei superatomi e super- molecole. Così vengono anche a spiegarsi taluni fenomeni importantis- simi chimici, dei quali la scienza non ha dato finora esauriente spiega, zione; alludo alle molteplici combinazioni atomiche per le quali vengono i corpi completamente trasformati per la diversa aggregazione degli ele- menti costitutivi. Ciò si verifica nei composti inorganici ma vieppiù nei composti organici. Così anche vengono a spiegarsi quegli effetti e quei fenomeni che sono sovente considerati come semplici .aggi vibratori. I raggi e le correnti vengono infatti a spiegarsi in modo affatto di- verso, sebbene rimangono governate dalle stesse leggi esplicative. Sono da considerarsi come rapidissime e fulminee combinazioni e perturbazioni superatomiche. Supponghiamo un aggregato di supermolecole AB. AB. AB. AB, se per un'azione determinata, si toglie A a sinistra, resterà all’ estre- mità della catena, libera B +«« A. BA. BA. BA. B | ««A— infatti le supermolecole si ricomporranno mutuamente, lasciando a de- stra libera B che attrarrà dall'ambiente a destra ove si trova un flusso di aspirazione di A, cioè un flusso negativo. — 113 — Lo stesso accadrà in sistemi più complicati. ABC. ABC. ABC. ABC. Se si toglie A a sinistra, accadrà pure un richiamo di A a destra +« A. BCA. BCA. BCA. BC. | ««A— Fenomeno analogo e inverso accadrà se invece di torre A si ag- giunge A, infatti »> A. IRAMNIB'ASNNIBA Si formerà IABIMBABRVABII|M5SSBEE cioè resterà libera B, cioè un flusso positivo. Nel caso di aggiunzione a sinistra di BC »> BC ABC. ABC. ABC. Si formerà BCA. BCA. BCA. | »-BC+ Per ciò si forma un flusso di BC a destra positivo. Quindi se si toglie qualche cosa si formerà una corrente per così dire negativa; se si aggiunge si formerà positiva. Con tale teoria si spiega anche egregiamente quella della forza elettromotrice della pila. Le com- binazioni chimiche molecolari e atomiche non sono, che un effetto e non una causa, esse derivano dalle azioni superatomiche e supermolecolari. La generalizzazione di questa teoria alla luce e al calore parrebbe che si urti coi fenomeni di interferenza e di diffrazione i quali sono e- saurientemente e dirò anzi splendidamente spiegati con la teoria della vibrazione. Però rifacendo i calcoli sotto questo altro punto di vista non si riesce a risultati dissimili. Studiando le sostanze radioattive e precisamente i raggi « si trova che essi danno origine a raggi f e anzi in parte si trasformano in essi; questi poi alla loro volta dànno origine e in parte si trasformano in raggi y. Recentemente il sig. J. Chadrwick e il sig. Gray hanno dimo- strato che i raggi f del radio E e del radio € cadendo sopra una so- stanza qualunque danno origine a dei raggi y secondari. Così anche si spiegano i fenomeni tanto noti eppur tanto sugestivi e misteriosi del magnetismo e delle forze del campo magnetico. Il Nat. Sic., Anno X.XII,—Nuova Serie, Vol. II. 15 — lid — Ora nel caso della radioattività non tutti i raggi devono considerarsi come trasmissioni di combinazioni superatomiche; perocchè in taluni casi pare avvenga realmente un proiettamento di atomi. Questo deve natu- ralmente accadere quando gli atomi sviluppati eccedono la saturazione dei limitrofi. Allora si verifica una disintegrazione che dà luogo ad ema- nazione ovvero a un proiettamento di atomi. Come esistono delle non dubbie analogie tra i raggi y e # così dando un occhio anche fuggitivo alle importantissime e maravigliose azioni dei raggi ultravioletti, non possiamo non riconoscere che esiste un’intima somiglianza tra questi e i raggi radioattivi. Se poi ripassiamo nella nostra mente i fenomeni di jonizzazione , sorge spontanea l’idea che non debbano spiegarsi che come manifestazioni analoghe di eterizzazione di materia. Se pei fenomeni dei raggi radiottivi e dei raggi Roòntgen e ultra- violetti la esplicazione da me data è la più verosimilmente esatta; deve anche essa considerarsi estensibile al magnetismo e all’elettricità e forse anche al calore e alla luce. I fenomeni d’irradiazione sarebbero prodotti non da vibrazioni ma da reazioni soprachimiche e sopratomiche;i raggi che traversano i corpi non penetrerebbero punto attraverso gli atomi come molti fisici ritengono, nè passerebbero tra gl’intervalli degli atomi e delle molecole come opinano altri fisici, ma invece agirebbero per trasmissibilità di reazione dei superatomi o delle supermolecole, Taluni importantissimi e insospettati fenomeni come quelli studiati da Kerr e da Hall sull'azione della forza magnetica sulla luce, possono con questa nuova teoria molto più agevolmente spiegarsi. La teoria calorifica offrirebbe una grave obbiezione, perchè le me- ravigliose osservazioni della non dubbia anzi evidente trasformazione del moto e quindi dell’ energia in calore pare infirmino questo nuovis- simo concetto e siano la più splendida prova della teoria vibratoria mo- lecolare. Però anche tale teoria può riprendersi sotto questo nuovo punto di vista, nè si avrebbero risultati discordi sebbene da premesse molto dissimili e in contrasto. Se tale teoria si dovesse infatti estendere alla calorifica, si dovrebbe ritenere che, se per esempio, un gas si trovi alla temperatura al di sopra del zero assoluto, debba avere assorbito e tenere condensato un certo numero di superatomi calorifici, i quali abbiano naturalmente una certa tensione che si equilibri con quella esterna. Se l’ambiente ha una tem- peratura minore e quindi una tensione minore, essi in parte sfuggiranno, sino a ridursi in equilibrio. Una delle ragioni che militano in favore di tale teoria è il potere — 115 — coibente che hanno talune sostanze. Si fabbricano dei recipienti speciali nei quali si può conservare impunemente un liquido caldo per ore in- tere. Il potere coibente delle lave e la lunghissima durata della loro alta temperatura si potrebbero anche citare come una conferma. Ora tali superatomi calorifici tendono a disgregare le molecole e gli atomi materiali, ma non possono penetrare dentro agli stessi. Essi for- mano un inviluppo attorno alle molecole e tendono anche ad avvilup- pare gli atomi; però contro di loro lotta la coesione materiale atomica materiale. Avviluppando le molecole esercitano una forza tra esse di distacco ed è perciò che i corpi aumentano di volume e possono pas: sare dallo stato solido al liquido e quindi all’aeriforme. Se poi la quan- tità dei superatomi calorifici è tanto grande da bilanciare e vincere la forza di coesione atomica molecolare, allora il corpo sarà disgregato e gli atomi materiali di esso lasceranno l'aggregazione molecolare e così il corpo sarà decomposto. Se le molecole di esso saranno formate di pa- recchi atomi di diversa natura e di diversa coesione, il corpo non sarà ridotto in atomi isolati ma le molecole perderanno prima gli atomi che aveano minore forza di coesione. Così si spiega la varia decomposizione Che può subire un corpo, per esempio un sale, se è sottoposto a tempe- ratura gradatamente crescente. La teoria superatomica da me proposta riesce a dare anche una facile spiegazione della trasformazione del calore in moto e viceversa e nulla viene da essa modificato alla teoria meccanica da tutti accettata, salvo che nella spiegazione della genesi. Essa riesce pure a dar ragione dello sviluppo di forza termo-elettrica di due metalli in contatto di cui parlerò nel seguente capitolo. Restano naturalmente inalterate tutte le leggi che sono dimostrate dal calcolo e dall'esperienza. Del resto tale teoria non suppone punto la impossibilità che delle vibrazioni e delle ondulazioni accompagnino i fenomeni superatomici, il che sembra ormai constatato. Però, mentre in essa teoria tali feno- meni, se e quando accadono, non sarebbero che delle manifestazioni del fenomeno e semplici effetti di esso, nella teoria attualmente imperante sono invece non solo integranti, ma costituiscono l’essenza del fenomeno. Quindi in quella sarebbero un possibile effetto, in questa la causa e l’es- senza del fenomeno stesso. I fisici moderni che hanno studiato la costituzione dei corpi ritengono generalmente che le molecole materiali di essi siano dotate di movimento e attribuiscono a ciò la diffusione dei liquidi e degli aeriformi. Riten- gono che le molecole nei solidi si muovono analogamente agli astri dello ine — spazio e in maniera rapidissimo ma coordinato e che invece le molecole nei liquidi si muovono in modo vagante, e che negli aeriformi invece sono libere e in continuo turbinio determinante dalle collisioni e urti vicen- devoli. Secondo invece questa nuova teoria le molecole e gli atomi sono in uno stato per così dire di passività e di inerzia. Sono invece i supera- tomi e le supermolecole che le avviluppano che unicamente sono dotate di energia cinetica e che determinano il movimento delle molecole nella diffusione dei gas. Se le molecole dell’idrogeno hanno per esempio una velocità molecolare di 1843 (che è veramente sorprendente) ciò si deve all'impulso dei superatomi e non direttamente all’azione delle stesse molecole materiali. È ad essi che devono attribuirsi non solo i fenomeni di coesione, di elasticità, di dilatazione, ma anche quelli di movimento Browniano e di fluttuazione delle sostanze colloidali e ben più ancora quelli di affinità che dànno origine alle combinazioni chimiche. Le mo- lecole e gli atomi sono inattivi, finchè si mantengono in tale stato; ma possono benissimo trasformarsi sia anche parzialmente in superatomi e dar luogo a grande sviluppo di forza. Quindi io li considero non come una energia cinetica, ma come un’energia potenziale. Questa nuova teoria da me enunziata tende a rivoluzionare comple- tamente il concetto fondamentale teorico della costituzione della materia e delle sue esplicazioni, però non infirma menomamente le leggi onde è governata e che il progresso meraviglioso della scienza moderna ha in gran parte discoverto. MARCH. A. DE GREGORIO Utilizzazione delle correnti termo elettriche Il consumo sempre crescente del carbon fossile e la necessità im- pellente di nuovo impiego di energia per i bisogni e lo sviluppo della civiltà preoccupano grandemente quanti hanno a cuore il progresso del- l’umana famiglia. Fortunatamente si sono andati scovrendo nuovi ingenti depositi di carbone in varie regioni del mondo e finora si è sufficiente- — 117 — mente sopperito agli aumentati bisogni. Se differito ad un’ epoca di là da venire, non è però scongiurato l’ esaurimento dei depositi, il quale pur troppo accadrà fatalmente un giorno. Si è cercato di migliorare le macchine facendo sì che il calore sia maggiormente utilizzato e che lo spreco sia il minore possibile. Per le piccole industrie si sono adottate con ottimo esito dei motori a gas povero. Si è anche ora utilizzato l’olio pesante, ma anche questo finirà per esaurirsi. Si è ottenuto un risparmio anche per mezzo dell’unificazione: del lavoro per mezzo di grandi mac- chine che trasmettono e suddividono la forza con corrente elettrica evi. tando così lo sciupio del funzionamento di molteplici macchine di piccola portata. Ma bisogna dire che il maggior vantaggio si è ottenuto indi- scutibilmente dall’utilizzamento delle forze idrauliche con relativo tra- sporto della forza elettrica. Questo è stato un vero benefizio per l'umanità, perché si è riusciti a trarre un vantaggio considerevole da cosa che non producea nulla, mettendosi in valore una sorgente grandissima di forza che andava completamente perduta. Bisogna pur dire, a lode del vero, che se negli Stati Uniti si sono ottenute con tal metodo delle fonti di energia potenti, non è restata punto addietro al progresso mondiale \’T- talia, specialmente la Lombardia la quale ha dato prove di alta poten- zialità industriale. Però disgraziatamente questa grande risorsa non si trova ovunque: poche sono le regioni privilegiate che possono prendere da essa la forza necessaria alle industrie e ai bisogni locali della civiltà. Ove non ci sono cascate nè corsi di acqua, manca naturalmente ogni possibilità di tale applicazione. Pur troppo le regioni di tal fatta non sono un'eccezione ma la generalità. Io credo che le maree e forse anche in taluni paraggi anche le correnti marine potranno essere utilizzate come fonti di forza, ma non certo si è da ripromettersi gran che da queste. Probabilmente sarà dalla forza cinetica della dissociazione atomica che potrà forse l’ umano ingegno un giorno attingere una grande sor- gente di utile energia, dalla forza stessa evolutiva della materia e dalle sue imponenti manifestazioni. Tutto questo sarà forse per un lontano avvenire. Intanto però dall’ utilizzamento delle forze che vengono alla terra dallo spazio e principalmente dal sole e dalle forze stesse che sono ammagazzinate nell'interno di essa, io credo si possano trarre utili aiuti per sospingere la leva ponderosa dell'umano progresso. A tal uopo io ri- tengo che vi sia a trarre notevole profitto dalla nota proprietà delle saldature metalliche che è stata obbietto di molteplici studîì e osserva- zioni, ma che non è stata utilizzata se non per esperienze limitate di ga- binetto, — 118 — È noto che la forza elettromotrice di una coppia termoelettrica di- pende non solo dalla natura dei metalli ma anche dalla differenza della temperatura delle saldature; essa è proporzionale al numero delle cop- pie, è indipendente della dimensione delle saldature; essa non varia se due metalli, invece di essere in contatto, sono separati in un circuito, da altri metalli alla stessa temperatura ; quindi è indifferente che i me- talli siano o nò saldati. Sono note le esperienze di Becquerel il quale pubblicò un interessante quadro delle varie sostanze, in cui ogni metallo è negativo quando è in relazione con un metallo che segue, e positivo con quello che precede. La causa dello sviluppo della corrente elettrica credo che dipenda dalla forza elettromotrice sviluppata dal contatto. L'antico principio di Volta era stato contrastato e demolito dallo studio dell’azione chimica della pila. Però gli studi recentissimi hanno provato che realmente due metalli in contatto, anche senza azione chimica, svi- luppano una certa forza elemotrice che però resta latente e non può esser palese e attiva che col movimento del contatto e del distacco, che im- plica naturalmente una spesa di lavoro. Così riesce a rendersi ragionevole il principio voltiano, che altrimenti sarebbe assurdo, non potendosi con- cepire un continuo sviluppo di energia senza qualche cosa che la sup: plisca (sebbene del resto nel fatto delle sostanze radioattive si avrebbe appunto un tale apparente assurdo). Ad ogni modo io credo che è appunto in tale proprietà che dexa ricercarsi la causa dello sviluppo delle correnti termoelettriche, e che bisogna in certo modo considerare la varia distribuzione del calore come una forza che tenda non solo ad eccitare ma a determinare lo sviluppo della forza elemotrice, come se le particelle costituenti due metalli in contatto si avvicinassero e distaccassero alternativamente. Così è a rite- nere che una parte del calore o per meglio dire la differenza calorifica dei due metalli viene trasformata in energia elettrica, sicchè se si ese- guisse un’accurata e minuta osservazione sulle calorie assorbite e irra- diate dai metalli siffattamente disposti, e degli stessi diversamente di- sposti in modo da non dare sviluppo ad elettricità, dovrebbe riscontrarsi un consumo maggiore di calorie nel primo caso. Se a tale teoria si ap- plica quella dei superatomi che io ho svolto in altro articolo, la spie- gazione riesce ancora più chiara. Ma non voglio qui indugiarmi in tale discussione. Le correnti termoelettriche scoverte primieramente da Seebeck non sono state ch'io sappia utilizzate che per la termoelettrica di Nobili (con coppie di bismuto e antimonio) la quale è un ottimo strumento ma — 119 — non valevole che per delicatissime esperienze e per le pinze termoelet- triche di Peltier e il pirometro di Chatelier che ha un uso limitatissimo. Nissuno ha pensato a utilizzarle e ciò per due ragioni: Le correnti termo- elettriche hanno una debole intensità, suppongono un consumo di ca- lore che non sarebbe compensato in modo soddisfacente dal lavoro. Ora bisogna tener conto che se le coppie si moltiplicano considerevolmente e se la fonte calorifica non è dispendiosa, si potrà avere un risultato soddisfacente e pienamente remunerativo. A tal uopo si può benissimo profittare del calore solare e anche di quello delle profondità terrestri. La differenza della temperatura può ottenersi dalle piccole profondità, cioè nelle zone sotterranee che risentono meno dell’azione del sole e che sono ancora non tanto profonde da risentire l’ influenza del calore in- terno. Invece di disporre i metalli in coppie limitrofe in contatto, si dovrebbe avvalersi della proprietà sopra indicata, cioè di unire le sal- dature per mezzo di un filo conduttore in modo che esse restino a re- lativa distanza; le saldature fredde del sottosuolo verrebbero così in co- municazione con quelle calde di sopra da un lato e dall’altro con quelle più calde della parte più profonda. Un grosso fascio di coppie superfi- ciali umite con altrettanti fili a quelle sottostanti deve necessariamente dar luogo alla produzione di una buona corrente. Con disposizione ana- loga si può anche mettere a profitto lo squilibrio di temperatura tra le zone coverte di ghiaccio nei paesi freddi e le parti profonde calde del sottosuolo delle stesse località; si può pure così mettere in valore il caldo infocato delle regioni equatoriali e la temperatura relativamente mite del sottosuolo delle stesse regioni cioè delle cavernosità e delle per- forazioni nella roccia delle stesse regioni. Si può anche infine usufruire della differenza della temperatura delle alte regioni di una montagna e di quella delle valli sottostanti, come anche la differenza dalla tem- peratura dell'interno delle miniere e di quella dell'ambiente esterno. Con tale sistema si può anche trarre profitto dalla irradiazione ca- lorifica che va ordinariamente dispersa.dai camini, dalle macchine a vapore e anche dalle sorgenti termali. Certo per ottenere un effetto rimarchevole non si dovrà limitarsi ad un ristretto fascio, ma occorrerà moltiplicare di molto le dimensioni e la portata degli elementi; però una volta collocato l'apparecchio, po- trà poi funzionare ininterrottamente senza il sussidio e lo spreco di com- bustibile e senza la cooperazione di alcuna forza dispendiosa. Intorno alla scelta dei metalli si potrebbero fare varie scelte. L’an- timonio e il bismuto danno ottimi risultati, forse però per un apparec- — 120 — chio in grande sarebbe da preferirsi una lega di rame e zinco come metallo negativo, le quali leghe furono adottate da Marcus per il suo piccolo apparecchio. Bunsen adoperava la pirite di rame e il rame. — Becquerel adoperava placche di solfuro di rame e fili di rame. Ma le loro esperienze non si limitavano che a piccole esperienze di gabinetto. Nis- suno a mia conoscenza ha pensato di utilizzare siffattamente le correnti termo elettriche. Delle sorgenti calorifere che potrebbero essere utilizzate dall'uomo primissima tra tutte è quella solare. Per mezzo del piroeliometro, Pouillet calcolò con molta esattezza che il sole manda sulla terra tanto calore da fondere in un anno uno strato di ghiaccio di trentun metri avvilup- pante il globo, supponenendo che fosse uniformemente distribuito. Però naturalmente una certa parte di calorico ('/,) viene assorbita dall’atmo- sfera, sicchè ne arrivano °/,. Se si riuscisse a porre in valore tale grande energia, le regioni e- quatoriali si troverebbero evidentemente in circostanze privilegiate rap- porto alle altre. Whitney studiando la quantità di calore che riceve un centimetro quadrato della nostra terra durante un minuto primo (cioè la costante solare) su un picco di Terra Nevada trovò un valore di 2,8 piccole calorie, cioè 28 grandi calorie per metro quadrato. Bartoli fa- cendo degli esperimenti sull’ Etna ottenne un valore di 32 calorie per metro quadrato. Si sono fatti dei tentativi per costruire dei motori che prendano la forza da questa fonte di energia. Però nissuno ch'io sappia ha mai pensato di usufruire delle proprietà delle correnti termoelettriche. MARCH. A. DE GREGORIO Marchese Antonio De Gregorio — Direttore resp. ANNO XXII 1914 N. Serie —Vol. 2°, N. 6 a 12. IL NATURALISTA SICILIANO O T-X £©-<.rrx- Rendiconti della Società Siciliana di Scienze Naturali (già dei Naturalisti Siciliani) —-*--—& La Società Siciliana di Scienze Naturali, si è radunata il giorno otto Giugno in casa del Comm. G. Whitaker nella Villa Amalfitano. Già nella precedente seduta il prof. Dott. Liborio Giuffrè avea dichiarato che i gravi incarichi e le molteplici sue occupazioni gl’ impedivano di tenere la presidenza; il M.se Antonio De Gregorio pregò caldamente il Consiglio di non accettare tali dimissioni. Nella adunanza però del- l'otto Giugno il prof. Giuffrè ebbe a dichiarare nel modo più esplicito e formale che era nella assoluta impossibilità di continuare a tenere la presidenza non avendo alcun tempo disponibile da consacrare alla nostra istituzione. Egli però con nobili parole dichiarò che pur non tenendo tale posto, avrebbe sempre e ugualmente avuto a cuore l’ incremento della Società. Passandosi alla votazione fu eletto ad unanimità presidente il Marchese Antonio De Gregorio. Il professore Liborio Giuffrè venne pregato da tutti di tenere la vice-presidenza la quale implica minore responsabilità e richiede molto minor tempo. Alle reiterate preghiere il prof. Giuffrè accondiscese, non avendo tale carica degli obblighi incompatibili con le sue occupazioni e così venne eletto ad unanimità alla vice-presidenza. Il Consiglio espresse un voto di plauso al prof. N. Ziino per Vl’ ot- tima riuscita del disegno e della incisione del diploma che fu eseguito sotto la sua direzione dallo illustre prof. Lentini. Il Consiglio infine, dietro presentazione, ascrisse tra i suoi membri ordinari il prof. Filippo Silvestri benemerito direttore della R. Scuola superiore di Agricoltura di Portici; il prof. Dott. Giovanni Cosentino Direttore della Clinica Ginecologica di Palermo; il prof. Henry L. Viereck (Entomological explorer) di Sacramento (California) e il prof. A. Berlese Direttore della Stazione Entomologica di Firenze, i quali per lettera Il Nat. Sie., Anno XXII.—Nuova Serie, Vol. II. 16 — 122 aveano fatta richiesta di essere ascritti alla Società, firmando anche lo Statuto. Il Consiglio protrasse il termine di presentazione ai lavori da pre- sentarsi al concorso bandito il giorno 12 Gennaio 1914 sino al 31 Maggio dell’anno prossimo (1915). Finora la Società non ha avuto un locale proprio, le adunanze sono state tenute in vari siti; l’archivio in casa del De Gregorio. Però sono ora avviate delle pratiche con il Municipio di Palermo per la conces- sione di un locale proprio e tutto fa sperare che tali pratiche sortiranno un buon risultato rispondente ai desideri di tutti. La nostra Società è stata in questi ultimi mesi rattristata per la perdita di tre suoi illustri membri: il Dott. Giuseppe Riggio, professore di scienze naturali al Liceo Vittorio Emanuele di Palermo, esimio zoo- logo, dotto e modesto lavoratore, il Dott. Adolfo Venturi insigne pro- fessore di Geodesia alla Università di Palermo, amato e stimato da tutti, uomo retto, erudito e geniale quanto mai, noto in tutto il mondo per i lavori sulla gravitazione, il Dott. G. B. Guccia celebre matematico professore all’Università di Palermo, autore di numerosissime importanti pubblicazioni, elettissimo, munificente Mecenate, fondatore del Circolo Matematico di Palermo, che mercè l’opera sua è a dritto considerato il primo del mondo; la scomparsa di lui è stata una vera perdita per la scienza. Essendo scoppiata improvvisamente la guerra e travolta l'Europa in un oceano di sangue, è accaduto naturalmente di rimbalzo un arresto e un ristagno nella vita artistica e scientifica del mondo ; e anche la nostra Società ne ha sofferto le conseguenze. Gli scienziati amanti del progresso, della civiltà e dell’ affratella- mento umano, non possono non guardare con raccapriccio e con orrore tanto sterminio, tanta devastazione, tanto lutto. Il presidente Marchese De Gregorio ha procurato (per quanto limitata possa essere la sua sfera di azione) di contribuire in favore della pace promovendo un’agitazione collettiva presso le maggiori società e accademie scientifiche dei prin- cipali stati belligeranti perchè fosse espresso un voto in tal senso ai rispettivì governi. Non è qui luogo a giudicare chi sia responsabile di questo orrendo misfatto, che è una vera onta per l umanità intera; ma dalla vasta corrispondenza avuta con alte personalità dei vari paesi, il presidente della nostra Società si è dovuto persuadere che tutti, anche coloro che hanno alta mente e vasta cultura, sono attualmente convinti di due principii assurdi: Ciascuno erede ed ha coscienza piena ed assoluta che il proprio paese è stato assalito dagli stranieri e fa la guerra per semplice difesa. Nessuno dei belligeranti infatti riconosce di essere ag- gressore, ma invece pensa di essere vittima dell’ aggressione altrui e perciò combatte tenacemente, accanitamente, a tutta oltranza, perchè è convinto di farlo per legittima difesa. È ,evidentemente impossibile e assurdo, che tutti siano aggrediti! Pur troppo è questo un frutto della furba ipocrisia di coloro dei governanti che per nascondere la loro colpa e la responsabilità, hanno esagerato, svisato e falsato i fatti e dominando la stampa e con essa l’opinione pubblica, sono riusciti ad aizzare i popoli a lacerarsi tra loro come i gladiatori nelle antiche lotte. L’ altra convinzione, ancora più nefasta, è questa: che la guerra debba essere continuata sino al completo annientamento del nemico, in modo da potere avere una pace duratura. Sulla prima idea è poco utile discutere in questo momento e non gioverebbe : la storia poi giu- dicherà. Sulla seconda però è non solo utile, ma necessario interloquire, perchè tale ‘convinzione è assai perniciosa. Le nazioni non si schiac- ciano, nè si distruggono; nè questo sarebbe il mezzo di ottenere una lunga pace. Prescindendo che ciò nell’attuale stato di cose non sarebbe verosimile, nè possibile, nè augurabile, bisogna pur dire che quand’anche avvenisse per una delle due parti una gravissima sconfitta, più difficile sarebbe allora il concludere la pace. Infatti una grande nazione non vorrà mai stipulare una pace umiliante e disonorante, e quindi più a lungo sarà trascinata la guerra. Se poi fosse costretta a chiederla e accettarla , lo farà solo riserbandosi negli anni venturi ad agguerrirsi e rinforzarsi per avere la rivincita cioè con il fermo proponimento di ri- prendere ciò che ver avventura le sarebbe stato strappato. La Germania in questo momento si trova in Europa in condizioni molto migliori delle altre nazioni; invece ha perduto molte colonie e continua a perderne. Quindi adesso tutto si bilancia e sarebbe appunto opportuno concludere al più presto una pace decorosa per tutti, una pace lunga e duratura che rinfrancasse i popoli esausti da tante perdite, prostrati da tanto sciuplo di forze, funestati da tante sciagure. Forse più che le altre, la Germania stessa potrebbe e anzi dovrebbe farsi iniziatrice di tali accordi preli- minari, sì perché essa fu la prima a dichiarare la guerra, sì perchè sì trova ora in condizioni più vantaggiose. Ma tutte le nazioni avreb- bero lo stesso obligo, lo stesso imperioso dovere. Nel mondo vi ha posto per tutti. Nessuna nazione è depositaria della scienza e della civiltà; nessuna nazione ha il privilegio di dominare ag ; Ki; PUOI na BE aio e SR ne o E Su) LORO: op Ù pio vi Se — 124. l'industria e il commercio ; nessuna nazione ha il dritto di invadere e d’impossessarsi di regioni che geograficamente, etnograficamente e tra- dizionalmente non le appartenghino, tranne che si tratti di colonie da civilizzare o di imprescindibili necessità per la vita e prosperità della nazione stessa. È strano e deplorevole che ciascuna delle parti belligeranti, o per orgoglio, o per scusa e pretesto coonestante alla guerra, si arroghi il vanto di essere rappresentante della civiltà del mondo ed osi tacciare la parte avversa di narbarie e di oscurantismo! Se non tutte le nazioni europee sono adesso allo stesso livello di coltura e di progresso, ciò dipende da circostanze locali e mutevoli, e non da loro stesse. Tutte sono destinate ad ascendere verso lo stesso ideale che non è riserbato ad alcuna pri- vilegiata. Nobile e proficua per la civiltà e per il possesso umano è la gara nell’arte, nell’industria, nell’agricoltura, nel commercio. Essa costituisce ed esplica tra i popoli un benefico mezzo di selezione naturale. Ma dis- sanguatrice e letale è la gara degli armamenti fomentata dal militari- smo che carezza e attizza gli odi delle razze adescando le moltitudini con tentatrici visioni di predominio e di egemonia. Vieppiù funesta è ancora poi l’immane lotta distruggitrice di progresso e di civiltà che si è scatenata improvvisamente in Europa, lotta che esaurisce le risorse dell'umanità e distrugge le più nobili energie. Dalla storia saranno bol- lati d’infamia non solo i dirigenti che perfidamente la suscitarono e vi cooperarono, ma anche quelli che potendolo non fecero il possibile per scongiurarla. I presidenti delle varie società e accademie scientifiche, in corri- spondenza con la nostra Società e quindi con questa rivista, farebbero cosa sommamente utile a propugnare e diffondere tra i membri dei vari Istituti scientifici tali evidenti verità procurando di convincere anche i rispettivi governi che non è viltà nè segno di debolezza o di paura il mostrare desiderio di intavolare le trattative di pace, ma bensì un semplice dovere di umanità, chè anzi vilissimo è colui che o per tronfio orgoglio e per timore di essere reputato da meno degli altri, ovvero per sentimento malnato di vendetta, sia restio e rifugga dal fare il possibile per far cessare quest’ orrendo flagello che insanguina e devasta l'Europa. — e * _ — 125 — Caratteri e Biologia del CArysomphalus dictyospermi Morg. auctorum (an potius Aspidiotus agrumincola De Gres.?) e del suo parassita distruttore Aphe- linus chrysomphali Gar. Merc. Var. Silvestri De Greg. con cenni di due ragni submicroscopici (Li- cosa). — Tav. XV-XXIV. Caratteri e Biologia del Chrysomphalus dictyospermi Morg. auctorum (an potius Aspid. agrumincola De Greg. ?) Tav. XV-XVIII, XXI-XXII. Prefazione. Da pochissimi anni questo esiziale diaspide ha fatto la comparsa nell’agro palermitano producendo gravissimi danni. Fortunatamente non ha ancora invaso tutti i nostri agrumeti, ma tende pur troppo a diffon- dervisi sempre più. Uno dei primi giardini che ho visto affetti da questo parassita è stato quello di Villa Igiea. In contrada Acquasanta e alle Falde di Monte Pellegrino dietro Altavilla, e in contrada Molo è molto diffuso. Ora ha invaso vari poderi di contrada Olivuzza. Io non ho fatto ricerche sulla estensione che esso ha attualmente nell’agro palermitano; però siccome infestò un grande poderedi mia sorella in contrada Acqua- santa e uno mio piccolo in contrada Molo e siccome le numerose irrora- zioni con poltiglia solfocalcica eseguite secondo le note formule mi è parso che non abbiano avuto buon esito (del che ho fatto cenno nel mio lavo- retto Su un nuovo Aphelinus pubblicato il 20 Ottobre scorso nei Nuovi Annali di Agricoltura), mi son dato a ricercare se per avventura potessi scoprire qualche parassita o predatore dello stesso insetto, in modo da iniziare una lotta naturale contro di esso. Fortunatamente vi sono riuscito oltre le mie speranze. Ho già dato la descrizione sommaria del prezioso Aphelinus nel lavoro citato, e ne darò di seguito in apposito paragrafo più particolareggiati ragguagli e più complete descrizioni. Il micidiale CARrysomphalus ha una grande diffusione nel mondo: in varie provincie di Spagna, in Giammaica, nelle isole Fiji a Demerara, in Francia ove fu studiato da Marchal (Bu2?. Soc. Ent. France, p. 247, — 126 — 1904). In Italia è stato ritrovato a Firenze, in Liguria, nel Napolitano e in Sicilia. In Ispagna è molto diffuso col nome di piojo rojo o anche poll-roig che corrisponde al nome nostro di pidocchio rosso. Il sig. Mar- chal dice che il Chkrysomphalus ficus, di questo sinonimo, si trova in Australia, Giappone, Sud Est degli Stati Uniti; Green lo cita di Ceylan, Leck lo cita di Algeri. Marchal parlando della forma minor Berlese dice che è piccola, di colore più chiaro, di aspetto multiforme e con le ap- pendici pettinate del pigidio. Egli dubita che sia una degenerazione del Chr. dictyospermi. Dice che corrisponde al Pou de San Jose dei francesi, mentre il CAhr. ficus corrisponde al Red scale degli americani. Ciò nella nota 1899 Bu2. Soc. Ent. France, p. 290; nella nota del Bu. S. E. P., 1904, p. 247 dice che Cockerell indicò questa specie col nome di Aspi- diotus (Chrysomphalus) dictyospermi var. jammaicensis, poi la chiamò col nome di Chrysomphalus dictyospermi var. pinnulifera. Un mio amico en- tomologo di California mi diceva che questa specie colà è molto diffusa. È assai probabile che essa sarà scoverta in molte altre regioni del mondo. Non è quindi a dire di quanta utilità possa riuscire il rinvenimento e la diffusione di un parassita ad essa nefasto. Per noi ha poi uno speciale interesse per la diffusione che ha già in Palermo non solo, ma in molte contrade di Sicilia, come per esempio nel Messinese. Recentemente ho inteso che si è sviluppato anche a Campofelice. Esaminando questo pernicioso diaspide mi è accaduto di fare delle osservazioni che altri non hanno fatto sì riguardo ai suoì caratteri spe- cifici, sì riguardo alla biologia. Io non ripeterò in questo mio lavoro quanto fu scritto dai vari autori. Non intendo qui ripetere quello che altri hanno detto, nè intendo neppure criticarlo. Preferisco invece esporre le mie osservazioni originali sulle quali non mi rimane dubbio di sorta. Certamente è a meravigliare come pochi entomologi si siano occupati di questo insetto e quelli che lo hanno fatto non hanno dato che pochi cenni riportandosi spesso vicendevolmente e senza osservazioni originali a citazioni di altri. Colui che con maggior cura lo ha studiato è il si. gnor Leonardi, ma egli stesso non ne dà che pochi ragguagli e pochis- sime e scarse figure. Egli dà solo il contorno della pupa femmina e la figura di due follicoli e riproduce il pigidio dato dal prof. Berlese per il Chr. minor. Questo parassita ha assunto pur troppo in vari giardini di Palermo una diffusione allarmante. Le foglie ingiallis‘ono, deteriorano, le frutta s'immiseriscono e perdono tutto il loro valore. Anche l’albero ne soffre e perde quasi totalmente la vigoria vegetativa, non arriva però a dis- seecare. Fortuna che le circostanze climateriche e più ancora i parassiti di questo parassita e principalissimamente l’ Aphelinus, di cui dirò in appresso, lottano contro di esso. Quest'ultima specie pare riuscirà presto a sterminare completamente il Chrysomphalus. Ciò sarà utile principal mente per gli agrumeti che maggiormente ne soffrono e che sono i ve- getali più utili e più produttivi. Non sono però gli agrumeti i soli a soffrirne. Il Chrysomphalus danneggia anche moltissime piante. Il sig. Leo- nardi dà una numerosa lista di piante che ne subiscono gli effetti, però tale lista non è punto completa. Ho osservato in un giardino, in cui le aiuole sotto i limoni erano coltivate a varie specie di ortaglie, che queste ne erano tutte infette; anche il Nereum oleander era vittima del perni- cioso aspide, quasi tutte le piante portavano qualche follicolo dello stesso. Però è sugli agrumi (limoni, melangoli, manderini) che la sua vita è più prospera e duratura; è in essi il vero focolare d’infezione d’onde si di- rama anche sulle altre piante. Infatti ove decresce negli agrumi, spa- risce nelle piante vicine e sottostanti. Evidentemente le larve traspor- tate dai venti o accidentalmente cadute dalle foglie degli agrumi si sviluppano e si fissano anche sulle altre piante vicine, però non vi pro- sperano a lungo come in quelli per molteplici generazioni. La causa della rapida e straordinaria diffusione di questo insetto non era finora nota perchè la grande prolificità e anche la tenuità delle larve non potea spiegarla essendo si dagli studi del Marchal che da quelli del Leonardi e dall’esperienza risaputo che le larve appena schiuse si fissano sulle foglie; quindi non si capiva come potessero così diffon- dere, tanto più che si tratta di individui atteri. Però dalle esperienze da me fatte (delle quali parlerò di seguito) irrifiutabilmente risulta la straor- dinaria vitalità delle larve per la quale riesce facilmente a spiegarsi la diffusione a distanza. Io credo che il mezzo migliore di lotta contro il parassita sia senza dubbio la diffusione dell’Aphelinus da me scoverto; però, per coloro che vogliono adoperare la poltiglia solfocaleica, dirò che l’illustre prof. Sava- stano, direttore della stazione sperimentale di agrumicoltura di Acireale, consiglia le seguenti proporzioni per la formazione della poltiglia: calce chil. 1, zolfo chil. 2, acqua litri 10. Si riscalda ‘/, dell’acqua in una cal- daia di ferro (non di rame); quando l’acqua è tepida si versa la calce. Quando 1’ acqua con la calce comincerà a bollire si versa il zolfo ben triturato badando però che la calce non abbia già assorbito tutta l’acqua nel qual caso il zolfo potrebbe infiammarsi, Con un mestolo o con un bastone qualunque si agita continuamente la poltiglia e vi si va ver- — 128 — sando gradatamente il resto dell’acqua cioè gli altri “/, continuando a rimescolare. Poi si lascia bollire per un’ora o poco più e la poltiglia sarà bella e pronta. Il prof. Savastano calcola che duecento litri di poltiglia vengono a costare L. 12. Il prof. Leonardi consiglia tre formule, una per le irrorazioni invernali (zolfo 3, calce 3, acqua 100), un’ altra pure per le irrorazioni invernali (zolfo 3.800 in polvere, calce in pasta 3.500, soda caustica 2.200, acqua 2 200), la terza formula per le irrorazioni pri- maverili ed estive (zolfo 5, calce viva 8, acqua 200) È evidente che le irrorazioni bisogna farle con pompe di ferro e non di rame il quale fa- cilmente sarebbe intaccato. Come ho già detto nel mio lavoro preventivo sull’Aphelinus Silvestri (1914, Nuovi Ann. di Agric.),è poco utile agire durante la primavera e l’està, a meno che non si vogliano ripetere continuamente le irrorazioni, coprendo con esse interamente le foglie, perchè le nascite avvengono inin- terrottamente. Più utile sarebbe eseguirle negli ultimi di Agosto e nei primi di Settembre, perchè durante l’està l’aspide si riproduce per par- tenogenesi, e nascono sempre femmine mentre in tale epoca nascono sempre i maschi come vedremo di seguito; onde volendo per risparmio di spesa limitare le irrorazioni e quindi effettuarle nell’ epoca più pro- pizia parrebbe si debba scegliere questa per poter distruggere i maschi i quali sono naturalmente indispensabili alla conservazione della specie. Aggiungo però che siccome la poltiglia agisce meglio sulle larve che sui follicoli o sugli insetti perfetti, l’ epoca più utile per la irrorazione corrisponde alla nascita delle larve dei maschi; perciò bisogna anticipare alquanto. Per tale considerazione a parer mio sarebbe più consigliabile la metà di Agosto. La rinomata ditta « The Grasselli Chemical Comp. » di New York (80 Maiden Lane) vende una « soluzione soiforica di calce» bella e pre- parata. Me ne ha mandato un saggio per esperimentarla in Sicilia in- sieme con altri reattivi chimici usati in America anche contro altre specie parassitiche. Ne farò esperienza e ne darò poscia relazione detta- gliata nei Nuovi Annali di Agricoltura. Va (Ceto Considerazioni generali sul genere Chrysompha/us e sull’interpetrazione delle forme d/cfyospermi, pinnulifera, minor, ficus e se debbano considerarsi come sinonimi o varietà. Accingendomi ad esporre gli studi da me fatti sulla biologia di questo diaspide così dannoso agli agrumi e pur troppo così diffuso in Europa e quindi generalmente noto, mi sono imbattuto in difficoltà affatto in- sospettate. Io non -sono ancora convinto del nome scientifico che gli spetta, nè sono sicuro della identità degli esemplari delle varie regioni. Io ho trovato difficoltà a decidere prima di tutto il genere cui appar- tiene, perchè sebbene dalla più parte degli agronomi e entomologi sparsi per il mondo è conosciuta sotto il nome di C7rysomphalus dictyospermi var. pinnulifera, io non posso asserire che tal nome sia esatto pei nostri esemplari. Il genere Chrysomphalus Ashm., secondo osserva il prof. Sil- vestri (1911, Dispense, p. 169) e anche il sig. Berlese (1896, Nota di A. Berlese e G. Leonardi, Diagnosi Cocc. nuove Riv. pat., p. 346) è ba- sato precipuamente sulla presenza delle parafisi. Già il sig. Berlese lo avea citato come sottogenere (1895, Riv. Pat. Veg., p.- 112) però di se- guito riconobbe che era da considerarsi quale genere. Io trovo citato’ dal prelodato signore Chrysomphalus Riley. Invece dal prof. Silvestri lo trovo citato CArysomphalus Ashm. Il prof. Leonardi poi mi ha scritto che il prof. Morgan nel 1889 per il primo ha titolato questa specie C&ry- somphalus dictyospermi. Così nasce il sospetto che sia stato Morgan a creare tale genere. Io non so chi per il primo propose questo genere. Ma se esso è stabilito precipuamente sulla presenza delle parafisi, non si può assolutamente ascrivere ad esso la nostra specie perchè nelle migliaia di esemplari che ho esaminati, non ne ho trovato traccia. Del senso delle parafisi parla anche il prof. Silvestri (Dispense, p. 168). L’u- nico dubbio che potrebbe sorgere è che le parafisi compariscano solo in una delle varie generazioni e poi spariscano. Ma ciò pare inverosimile. Si aggiunga che, come vedremo in seguito, non si osservano taluni ca- ratteri riportati dagli autori e invece altri caratteri si manifestano. Per tali considerazioni io per verità crederei più prudente adottare il nome di Aspidiotus sensu lato, ovvero il nome di Diaspis. Però come mai può accadere che eminenti entomologi siano di diverso parere e che le mie osservazioni non collimino punto con quelle di loro? Anche il dotto si- gnor Ricardo Garcia Mercet al congresso di Valencia (1910, La plagas del naranjo en Valencia) ha descritto tali caratteri che nei nostri esem- Il Nat. Sic., Anno — XXII Nuova Serie, Vol. II. 17 RR TIRES ARAN 00. MENTA CSO n, : n d so, PR RA È — ‘130 — plari fanno difetto. Bisogna aggiungere che tutti indistintamente gli au- tori figurano il pigidio copiandolo dal disegno dato dal sig. Berlese per il Chr. minor il quaie è ritenuto da molti autori come sinonimo del CQr. dictyospermi var. pinnulifera. Volendo sincerarmene ho scritto in propo- sito all’ illustre prof. Berlese direttore della scuola superiore agraria di Firenze per conoscere la sua autorevole opinione e anche per giudicare se i miei esemplari corrispondessero a quelli da lui esaminati. Egli con grande cortesia mi ha dato i seguenti schiarimenti che io trascrivo dalle sue lettere: « Non ho finora pubblicato alcuna memoria sul Ckrysomphalus dictyo- « spermi (lettera del 23 Nov. 1914). Alla sua domanda circa la sinonimia « del Chrysomphalus, io non posso rispondere, perchè non ho gli esem- « plari tipici del Maskell e so per pratica che, in fatto di pigidi di dia- « spiti, il confronto si deve fare sugli esemplari piuttosto che sulle figure «o descrizioni. Per me dunque sta la certezza della identità della forma « ora comune sugli agrumi in tutta Italia col CArysomphalus minor Ber- «lese e Leonardi; di altro non posso garantire. Duolmi non possedere « la memoria del Maskell ch’ella mi chiede (lettera 5 Dic. 1914). « Per soddisfare la sua domanda ho fatto trascrivere dalla memoria « del Leonardi e dalla mia la descrizione del CArysomphalus minor ed « ho fatto copiare il disegno del pigidio che è il medesimo per tutte due «le. memorie suddette (lettera 15 Dic. 1914) » Il disegno del pigidio fatto dal sig. Berlese è riprodotto tal quis dai vari autori Garcia Mercet, Leonardi, Silvestri etc. etc. ed è qui inu- tile descriverlo. Esso differisce essenzialmente da quello da me esaminato, perchè nei nostri mancano le parafisi e le spine: in quanto poi alle ap- pendici laterali lanceolate, sono nei nostri esemplari lisce e non dentate. Siccome i lavori del sig. Berlese ove è descritto il CAr. minor non sono alla portata di tutti voglio qui riferire testualmente la descrizione da lui data. Nella nota Diagnosi di cocciniglie nuove, iv. di patol. Veg., V. 4, p. 346, 1896, di Berlese e Leonardi così è descritto il Chrysomphalus minor Berlese: « Foemina lutea, obpyriformis, postice subacuta; Trul- «larum fabrica Chr. ficus subsimilis. Pectina post tertii paris trullas, « peculiaris fabricae, basi latiora, denique laminulam cultriformem lon- . » 1913 >» » i 7 ara dl Berlese e Leonardi, » Diagnos. coccin, nuove, iv. patol- veg., V. IV, p. 346 47. Cockell cheeck list coccidae, Bull. Bllin. Nat. Hist. U. linoîs, V. IV, p. 334. Cockell, The San Jose Scale and nearest allier U, St. Dep. Agr., p. 30. Cockell, Idem, p. 23. Leonardi, Riv. pat. veg., VII, p. 214. Leonardi, Generi e specie di Dia- spiti, Aspiodotus, p. 169. Green, Ind. Mus. Notes, V, p. 2. Cockell, Ent. Mont Mag., XXX, VI, p. 157. Marchal, Sur les. Chr. ficus et minor. Bull. Soc. Frane. p. 190. Marchal, Sur la biologie, Bul. Soc. Ent. France, p. 247. Leonardi, Su due cocciniglie, Boll. Scuola Sup. Portici, N. 4, L. IV. Garcia Mercet, Las plagas de Naranjo en} Valencia, As. Esp. Prog. Se. Congr. Ent. pag. 5. Silvestri, Dispense di Eht. A. graria rac. Grandi, p. 177, Di Stefano, Int. alcuni insetti d. agrumi, p. 33. Come ho detto nel precedente capitolo ho dato qui una bibliografia sinonimica del Cr. dietyospermi sensu lato. Devo però confessare che buona parte delle superiori citazioni le ho avute comunicate amichevolmente dal prof. Leonardi, poche altre le ho aggiunte io stesso. Nella disposi- — ‘134 — zione della bibliografia ho usato il metodo primitivamente da me pro- posto in Paleontologia e ora adottato da tutti i più accurati bibliografi cioè di scrivere in precedenza l’anno e citare il nome della specie con quello. dell’ autore senza mai scompagnarla nelle citazioni come fanno alcuni per evitare la dupla ripetizione. Tale bibliografia riguarda il dictyospermi sensu lato però come ho esposto in questo mio lavoro, stante la quasi assoluta mancanza di figure e la monca descrizione degli autori, e il non. possedere io tutte le pubblicazioni in essa citate, non posso avere la piena convinzione che si tratti realmente di unica specie. Però se la grande distanza degli habitat farebbe dubitare che si tratti di varie specie e non di una sola, d’ altro lato la resistenza e la plasticità e la grande adattabilità dei diaspiti rende non solo possibile ma probabile che si tratti realmente di un’unica specie. Se devono considerarsi gli esemplari di Palermo come tipici o varietà del d/ctyvospermi e con quale nome disegnarsi. Come ho precedentemente detto le figure del pigidio date dal si- gnor Leonardi e anche dal sig. Grandi (Dispense, Silvestri), le quali figure sono una riproduzione di quella del sig. Berlese per il Chrysomphalus minor, trovo che presentano delle anologie ma anche molte differenze. Nella figura data dai detti autori si vedono distintamente le parafisi che io non ho trovato in nessuno dei tanti esemplari da me esaminati, inoltre le appendici laterali bislunghe in detta figura sono denticolate e sono quattro per lato, mentre nei nostri non sono quasi mai denticolati e per lo più tre a lato, raramente due, ancora più raramente quattro; in' un esemplare ho solo trovato un principio di dentellatura (tav. XXII) nella figura suddetta tra le palette vi sono dei pettini, mentre nei nostri vi sono ordinariamente dei cilindretti di vario numero, ordinariamente due nell’intervallo mediano, due o più ci due negli intervalli laterali; rara- mente tali cilindretti sono appuntiti e con un ingrandimento di cinquecento diametri e più non mostrano segni di pettini, e si presentano come le figure della nostra tavola 16. Però esaminando un pigidio adulto con un fortissimo ingrandimento, cioè di quasi 1500 diametri ho scoverto dei pettini ben distinti. Il pigidio è rappresentato nella tavola XXII con molta esattezza. È a notare che non si vede punto alcuna parafisi nè alcuna spina. Intorno ai caratteri del pigidio e alla sua variabilità par- lerò a suo luogo. I OE TT e n CEI | PRETE e OT I° Me e o, 1, ai — 135 — La pupa dei nostri esemplari ha in generale una forma analoga a quella figurata del sig. Leonardi (Su due cocciniglie, f. 15) e riprodotta da vari autori, ma il pelo succhiatoio fissativo in detta figura ha una radice bifida, il che non ho mai osservato. Invece nei nostri esemplari spesso si biforca non alla base ma in senso inverso, e talora anche si biforca due volte come si può osservare nella nostra tavola XVI. Dice il sig. Leonardi che la vulva è circondata da 4 gruppi di dischi 3-4 3-4 2-3) 21° potuto verificare ciò nè punto nè poco, perchè non mi è affatto riuscito di discernere la vulva. Nei diaspidi, dicono gli autori, che la vulva si presenta come una fessura trasversa nel pigidio dalla parte inferiore e l’ano in forma rotondeggiante sul dorso cioè sulla parte superiore. Per verità a me non è stato possibile notare nelle pupe di questa specie nè lano nè la vulva sebbene abbia esaminato. migliaia di esemplari con svariati ingrandimenti e con illuminazione di varia intensità e di varia direzione e anche con vari reattivi chimici. La forma poi e i caratteri del follicolo non corrispondono. Le figure che dà il sig. Leonardi hanno i contorni esterni simili ai nostri, ma l’interno diverso. Infatti la fig. 17 4 del lodato autore è assolutamente dissimile , perchè ha uno schiaccia- mento attorno alla papilla centrale e uno spigolo acuto che attornia la detta concavità differente che nei nostri. Anche la fig. 17 5 che rappre- senta il follicolo maschile ha molta diversità. La descrizione però che- egli dà dei follicoli corrisponde. Un altro carattere importante diverso ho riscontrato. Lo stelo fissatoio che è prolungamento del rostro, nelle figure riportate dal sig. Leonardi (nel suo lavoro fig. 15 e dal sig. Grandi Silvestri, Dispense, p. 177, f. il) mostra una diversità abbastanza note- ciripari variabili di numero secondo le formule Io non ho vole, perchè esso alla base si divide in due, come se avesse doppia radice mentre nei nostri esemplari ciò mai si verifica; invece al contrario non di rado si biforca superiormente. Io ho notato molti caratteri importanti non citati dagli autori, come si vedrà in appresso; ciò potrebbe dipen- dere dall’ essere sfuggiti a loro, onde da tale omissione non potrebbe punto inferirsi di doversi ascrivere ad altra specie o varietà. Ma però l’osservare che taluni dei pochi caratteri descritti dagli autori non cor- rispondono con quelli dei nostri, mi spinge a credere che sia più oppor- tuno designare gli esemplari nostri con un nome speciale sia pure da ritenersi quale varietà. Io non posso per le ragioni esposte riferirli alla var. pinnulifera nè alla minor, che è un sinonimo di questa socondo il parere di vari autori. Perciò se adotto il nome di dictyospermi nel senso — 136 — più largo, trovo giusto designare i nostri esemplari in modo come una: forma di questa grande specie e mi pare che il nome di agrumincola, cioè incola — abitante sugli agrumi) possa essere adottato. Così si avrebbe una forma sufficientemente definita e chiaramente descritta e figurata come guida per orientamento. Che se poi ulteriori studi proveranno che in nulla si distingue dal dictyospermi tipo, si sopprimerà del tutto. Se poi sì troverà che è distinta dal dictyospermi e che rientra nel ciclo della pinnulifera o in quella della minor, si emenderà il senso di questi due nomi e si passerà il mio in sinonimia. Se poi si troverà una diversità costante di caratteri, si eleverà a titolo di specie. Per decidere su ciò bisogna studiare molto accuratamente gli esemplari sui quali furono pro- poste tali specie e confrontarne i caratteri con i nostri. Prolificità e diffusione. Le cause per cui questa specie ha una rapidissima diffusione sono molteplici, alcune generalmente note, talune da me scoperte. 1. La difesa che presenta lo scudo ossia il follicolo agli agenti esterni, alle intem- perie, agl’ insetti, al sole, alla pioggia, e anche ai reattivi insetticidi i quali riescono inefficaci quando le larve non sono dischiuse e vaganti sulle foglie. Perchè un’ irrorazione fosse veramente efficace dovrebbe penetrare attraverso il follicolo sino alla pupa in modo da ucciderla. I follicoli sono appena aderenti alle foglie e impediscono che esse ar- rivino a danneggiare la pupa. Però quando le larve cominciano a schiu- dere, il follicolo si distacca gradatamente. 2. La piccola dimensione delle larve fa sì che facilmente sono trasportabili dagli uccelli, dagli in- setti grossi e dall’ uomo. 3. La prolificità è tale che una sola femmina può partonogenicamente produrne un immenso numero. A ciò influisce anche la dolcezza del nostro clima. Io credo che per lo meno potranno aver luogo cinque generazioni. Le uova non schiudono contemporanea- mente ma successivamente e ininterrottamente si può dire senza esa- gerare che ogni giorno avvengono delle nascite. Ciò fa sì che le irro- razioni insetticide non diano risultati soddisfacenti perchè dovrebbero ripetersi continuamente. Ho osservato in Maggio già delle larve e fino agli ultimi di Novembre ho continuato a vederne (sebbene in Agosto se ne vede il maggior numero) cioè per sei mesi. Non ho eseguito in in- verno accurate osservazioni ma dubito che nei giorni caldi invernali possano benissimo accadere delle nascite. Quindi non esagero punto di- cendo che qui da noi devono avvenire non meno di cinque generazioni e forse più. a — 137 — Riguardo poi al numero delle uova dirò che è variabile. Dalle mie osservazioni risulta che può variare da 24 a 34 per ogni pupa. Più di sovente sono 30. Ora è chiaro che vivendo tutti i nati, in tal guisa un individuo dopo cinque generazioni si può ridurre a 30° cioè settecento ventinove milioni. La generazione avviene e si succede per partonoge- nesi durante l’ està. Solamente in fine dell’està cominciano a nascere i maschi però in molto ristretto numero. Ma quello che però maggiormente determina la grande e rapida dif- fusione è la grande resistenza e vitalità delle larve. È vero che esse si fissano sulle foghe dopo breve tempo che son nate; però possono benis- simo vivere relativamente a lungo senza soffrirne. Io ho messo degli individui in un tubetto e dopo ventiquattro ore erano ancora vivi. Ciò rende possibile il trasporto a distanza per mezzo alieno. Ma anche con i propri mezzi possono percorrere delle distanze notevoli. Calcolo che una larva può spostarsi in un minuto di due centimetri. Quindi in un’ora ne percorrerà 120 e in 24 ore potrà percorrere più di 24 metri. Il sig. Mar- chall dice che il Chr. dictyospermi pinnulifera si fissa dopo un'ora. Ciò mi pare esagerato, ma certamente rimane poco tempo libero. Aggiungo che per lo più la larva non esce dal follicolo appena nata, ma vi si tiene rincantucciata un certo tempo. Infatti distaccando i follicoli avviene so- vente di trovare delle larve presso le pupe. Esse non forano punto i follicoli; ma questi da se si sollevano distaccandosi un pochino dalla foglia. Ma le larve non solo resistono al digiuno, ma ho osservato che re- sistono alla pioggia quando questa non è copiosa e violenta da trasci- narle seco! Le larve dell’Icerya Purchasi non resistono affatto all'acqua, muoiono tosto, forse perchè restano impigliate dalle lunghe setole. Invece quelle del CArysomphalus resistono. Io ho osservato che camminano anche benino sulle foglie bagnate il che non potrebbe fare del tutto l’Icerya della quale parlerò in altra comunicazione. È evidentemente per questa ragione che mentre quelle del CRrysomphalus camminano e si fissano for- mando i follicoli sulla pagina superiore delle foglie, quelle dell’/cerya si tengono sulla pagina inferiore e limitrofe alla costola mediana ove sono più a riparo dalla pioggia e anche dall'umidità appiccaticcia. Larve. Ho detto precedentemente della nascita delle larve come e quando avviene; aggiungo che esse, appena nate per lo più non emigrano tosto dal follicolo, ma ci rimangono rincantucciate per un certo tempo; talvolta Il Nat. Sic., Anno — XXLI Nuova Serie, Vol. II. 18 ue forse anche un intero giorno. Avviene anche che si fissino appena ap- pena uscite fuori dal follicolo. Talvolta invece cominciano a vagare per le foglie con una relativa celerità; così anche quando dal vento son distaccate dall’ albero e gettate per terra o sulle piante sottostanti. A me pare che le larve, dopo nate, hanno talvolta un certo bisogno di rimanere alquanto in riposo per mettere in vigore tutti gli organi o per completarne la loro formazione intima; dirò talvolta perchè invece ho altre volte osservato al contrario che appena nate si mettono subito all’opera. Ciò credo dipende anche dalle vicissitudini dell'atmosfera. Ho precedentemente detto che ho constatato che possono benissimo vivere per 24 ore in un tubetto di vetro. Le larve appena nate sono piccolissime ‘/, di millimetro, sfuggono all’occhio non armato di lente. È perciò che riesce molto difficile esa- minarne i caratteri, perchè occorre un fortissimo ingrandimento per 0s- servarli, la quale difficoltà si accresce anche per i movimenti rapidi e l’agilità dell’insetto. Occorre quindi molta pazienza per fare tale studio. La forma dell’insetto è quello di un piccolo colcottero. Ho detto nel precedente paragrafo della loro nascita. Dirò brevemente dei loro ca- ratteri. Hanno le larve una forma ovolare, una superficie levigata ci- trina unicolore, cioè un colorito uniforme, senza alcuna macchia, color di limone ben maturo quasi giallo oro. Quando però si guardano in tra- sparenza sotto il vetrino del microscopio, facendo che siano traversate da un forte fascio di luce, il colorito diventa naturalmente disuguale e si notano dei segni più o meno chiari che corrispondono evidentemente all’interna struttura. Si vedono così dei dischi o placche o più propria. mente dei segmenti in circa 10 che sono limitati da una zona per lato la quale nelle giovani larve (fig. 2, tav. XV) dimostra uno strangola- mento, corrispondente alla regione cefalotoracica, ma questo scompare nelle larve adulte e già fissate (fig. 7-8, tav. XV). L’esame dei caratter; in trasparenza non è sicuro, perchè varia l’azione della luce per le varie condizioni degli organi interni e per la posizione di essi rispetto ai raggi che li traversano e anche secondo le fasi di sviluppo. Nelle figure della tavola XV sono riprodotte le sfumature date dalla trasparenza dei ca- ratteri interni (fig. 2-8). Le antenne sono molto sviluppate, guardate con le lenti di ingran- dimento usuali appaiono semplici e uniformi. Ma con fortissimo ingran- dimento mostrano dei caratteri importanti. Però atteso la grande pic- colezza dell'insetto occorre molto studio e pazienza per sceverarne i ca- ratteri e bisogna disporre di potenti strumenti di ingrandimento e di "A $ ( — 139 — molta luce. La difficoltà è accresciuta dalla grande mobilità dell’insetto. Le antenne sono terminate in due setole bislunghe quasi uguali di cui una è un po’ più lunga dell'altra. Gli articoli delle antenne paiono sei. Il primo è più grosso dei quattro che seguono. Tali cinque articoli sono cortissimi subglobosi; il quinto è minimo e sfugge all’occhio o qualche volta pare non si distingue. Il sesto articolo che forma la clava è molto più esile degli altri ma molto blslungo, è uguale in lunghezza circa a tutti e cinque gli altri presi insieme, pare che tale clava abbia nell’in- terno alla sua volta qualche tenue sepimento, ma non mi pare possa considerarsi come articolata, Gli articoli più visibili o per dir meglio meno invisibili sono cinque cioè i primi quattro articoli e la clava. L’an- tenna è munita, oltre delle due lunghe setole anteriori, da vari peli late- rali. Ho osservato che questi in taluni inlividui non si trovano che nella sola clava e mancano nei primi articoli (fig. 10, tav. XV). Invece in altri si trovano pure nei primi articoli (fig. 9). La clava negli individui adulti si fa più spessa e dello stesso diametro degli articoli precedenti e pare sia articolata guardata attentamente (fig. 11). Nei giovani individui l'antenna è conica. Guardando il margine della larva si osserva che anteriormente, cioè nella parte anteriore centrale cefalica, tra le antenne vi sono due piccoli peli divergenti, si trovano questi costantemente in tutti gli individui. Fra questi due peli centrali e le antenne si notano in taluni individui adulti due peli uno a lato più piccoli e divergenti in senso inverso (fig. 5) tav. XV). Dietro le antenne a non grandi distanze ma non troppo vicino si nota una piccolissima protuberanza che ritengo sia l'occhio. Si tratta di cosa così estremamente piccola che con fortissimo microscopio si vede appena. Dietro ancora a tale protuberanza e intermedia a questa e alla prima zampa, si nota per ogni lato un’ altra piccola protuberanza che dubito sia un altro occhio. In modo che tra l’ antenna e la direzione della zampa (la quale naturalmente è più in giù inferiormente) vi sono da ogni lato due piccole protuberanze puntiformi (tav. XV, fig. 3, 4, 5), che con probabilità sono occhi. In qualche rarissimo esemplare mi è parso di notarne tre (tav. XV, fig. 2). In uno ne ho notato quattro. Però generalmente sono due protuberanze puntiformi. Nell’ orlo marginale posteriore sono due lunghe setole divergenti impiantate su due bitorzoletti. È interessante osservare che il detto orlo marginale posteriore ha una grande analogia con il pigidio delle pupe. Esso è provvisto di protuberanze o palette ed altre escrescenze che va- riano alquanto secondo gl’individui e più ancora secondo l’età. In gene- — 140 — rale lateralmente ai detti bitorzoli vi sono tre bitorzoletti per lato cioè palette. Se ne osservano però talora 4 ovvero anche di più. Tra i due bitorzoletti centrali si trovano sovente due piccole prominenze e tra le palette laterali una o due prominenze in ogni intervallo (fig. 5, tav. XV). In qualche individuo specialmente in principio di està si trovano (fig. 14, tav. XV) due palette in mezzo ai due tubercoli posteriori e tre per lato; negli intervalli delle palette di dietro vi sono due prominenze punti. formi. Negli intervalli laterali ve ne è una o due prominenze puntiformi. Negli individui che sono per fissarsi o che sono già fissati questa vege- tazione del margine addominale si fa più notevole; le palette sono in- frammezzate con piccole pelosità sporgenti (fig. 15, tav. XV). Le palette negli individui fissati (fig. 6, 7, 8, tav. XV) sono ben marcate. È interessantissimo osservare un fenomeno da me scoverto. Le larve, quando sono per fissarsi, emettono dal margine dei vari e sottilissimi fili che si appiccicano poi alle foglie. Tali fili non si discernano che con grandissimi ingrandimenti (fig. 5, tav. XV) anche mentre le larve cam- minano. Tale fenomeno lo ho osservato nell'autunno. Forse si verificherà pure in està. Tali filamenti si fanno più marcati nel momento di fissarsi (fig.6, tav. XV) e quindi si allungano, aderiscono alla foglia (fig. 7, tav. XV); ma come vedremo in appresso, non servono all'animale che precariamente, per brevissimo tempo. Le zampe sono relativamente robuste e mobilissime. L’anca è bre- vissima e robusta; il troncatore non è discernibile, la coscia è bislunga e ben tornita, la gamba è meno sviluppata e relativamente corta, Il tarso (fig. 12, tav. XV) è composto di due articoli, occorre molta osser- vazione per distinguerlo; in qualche individuo mi è parso di notare una terza articolazione ma deve essere stata una illusione ottica. A me ri- sulta generalmente che è formato da due articoli. Ora nel secondo ar- ticolo si trovano tre appendici bislunghe di cui due più robuste finite con una enfiagione globulosa a guisa di ventosa, le quali sono collocate dalla parte esterna quando l’animale cammina, la terza appendice, che è dalla parte interna, pare non abbia tale enfiagione o la abbia picco- lissima. Tali tre appendici sono cilindriche e articolate con il secondo articolo del tarso. Si possono considerare come tre dita o tre falangi, ovvero anche come tre articolazioni del tarso , in tal caso le articola- zioni del tarso sarebbero cinque. Però a me pare più ragionevole con- siderarsi come tre dita o tre falangi, perchè esse non hanno carattere nè di palpi nè di setole, ma di veri organi di locumozione. Devo aggiungere un’ altra osservazione importante: Guardando la PRE LTT ni ba © VI ws SOS \ se bi = 141 — gamba con forte microscopio e in trasparenza si vedono delle trabecole interne (tre, quattro o cinque, è difficile contarle), le quali sembrano simili alle articolazioni del tarso. Io però ho diviso e distinto solo il tarso per questo che esiste una palese ripiegatura articolare tra l’uno e l’altra (fig. 13, tav. XV). Poco dopo fissate, le larve cominciano ad as- sumere una forma più globulare e meno bislunga e specialmente dai margini addominali laterali posteriori vengono emessi dei fili estrema- mente sottili e bislunghi che aderiscono alla foglia (fig. 37). Sono questi però così estremamente minuti che spesso sfuggono anche al microscopio. I fili suddetti già si vedono in taluni esemplari adulti prima ancora di fissarsi, ma poco prima di fissarsi (fig. 5, tav. XV). Poi appena si fissano tali fili, si appiccicano alla foglia e si prolungano e aderiscono (fig. 6). Dopo breve tempo la forma della larva assume l’aspetto di pupa (fig. 7), si gonfia tende all’articolare le antenne e le zampe quasi si atro- fizzano. In tale stato, a guardarsi di sopra, per lo più non si vede la zampa mediana (tav. XV, fig. 7). Talvolta, ma più di rado, le antenne sì mantengono diritte, l’insetto si fa cuoriforme (tav. XV, fig. 8). Le di- visioni interne, a guardarsi in trasparenza, si mostrano come la citata figura, che riproduce con esattezza un individuo giovanissimo già fissato. Però guardando l’insetto con illuminazione superiore, si vede che il co- lorito è uniformemente giallo e non ha nessuna macchia. Pupa femmina. Già nel paragrafo precedente feci un cenno dei primordi della fase pupale. La prima fissazione avviene, ripeto, per mezzo di fili estrema- mente fini. Dopo comincia la formazione dello scudo o follicolo larvale e quindi la formazione e individualizzazione del pigidio. Per mantenere la vita e alimentare lo sviluppo si forma subito un organo speciale (al- lungamento del rostro) succhiatoio-fissativo che consiste in uno stelo che s'impianta nel tessuto della foglia di cui dirò di seguito. Cominciando l’insetto a ingrossarsi spariscono subito i tenui fili di cui dissi di sopra. Rimane la pupa fissata per il detto organo. La forma della pupa è, come vedremo, molto variabile sia per diversità sporadica da individuo ad individuo, sia per l’età. Però nell’insieme vi è una relativa costanza di contorno che è subovata suborlicolare, talora piriforme o a ventaglio. Il follicolo viene formato, secondo a me risulta, dalla cuticola larvale ali- mentata dal pigidio. Ho constatato che uno o più fasci di peli del pi- gidio si uniscono al follicolo e gli danno vita. Ciò si osserva bene nelle — 142 — giovani pupe (tav. XV, fig. 16, 17), si osserva pure nelle figure del pi- gidio (tav. XVI, fig. 39, 41, 42) di giovani esemplari. In qualche raro individuo ho trovato tra i fili che uniscono il pigidio al follicolo qualche filo speciale un po’ grosso che guardato con forte ingrandimento appare munito di sepimenti (trabecole) come se fosse articolato (tav. XVI, fig. 42). Negli individui molto adulti il follicolo rimane quasi sempre com- pletamente staccato dal pigidio, però avviene qualche rarissima volta che qualche filo permane. Esso acquista una leggerissima aderenza alla foglia e custodisce bene la pupa interna. Però, crescendo in età, questa s’ingrossa tanto che fa staccare il follicolo dalla foglia. Ciò avviene anche forse per lo stesso sviluppo del follicolo e della foglia stessa. Del resto l'aderenza era ben poca o quasi esclusivamente di contatto. Le uova si formano dentro il corpo della pupa; sono dapprima quasi ialine, in mezzo un liquido giallo, poi si colorano vieppiù di so- stanza giallastra. La schiusura di esse non avviene contemporaneamente ma successivamente, sicchè di sotto allo stesso follicolo continuano a sortire fuori larve durante molti giorni. Nello stesso giorno per lo più non ne scovano più di tre, talora di meno, talvolta di più. La durata dello sviluppo e quindi della vita della pupa credo varia a secondo le stagioni e il calore. Non credo essere lontano dal vero dicendo che qui da noi debbano per lo meno succedersi cinque generazioni, come ho già detto e sempre per partenogenesi. I maschi sono rari, compaiono per lo più in fine stagione. Poichè (come ho detto) da esemplare a esemplare vi sono differenze per le ragioni indicate, mostrerò taluni esemplari tipici. La figura 18 (tav. XV) rappresenta una pupa in formazione, la quale non ha ancora l'aspetto definitivo, è in uno stadio passaggero di evoluzione larvale, è un individuo appena appena fissato. La fig. 19 invece mostra una pupa nei suoi primordi. Il pigidio è già formato; la forma è slargata, ha tre lobi ai lati e in ogni convessità un pelo e più anteriormente due peli vicini divergenti. La fig. 7 (tav. XV) come ho detto di sopra, indica una larva che fissandosi emetta dei fili, questi già sono iniziati anche negli ultimi momenti quando l’animale ancora si muove (tav. XV, fig. 5-6). In altre pupe giovani sono 5 lobi lateralmente, con attrettanti peli sulle connessità. Le forme delle pupe adulte variano abbastanza. Sono più o meno circolari, piriformi, talora cordate. Il contorno è più o meno lobato; i lobi sono però poco pronunziati, essi sono più accentuati nel lato poste- riore. In prossimità del pigidio si vedono dei segmenti alquanto irregolari — 143 — più o meno avvicinati Juno all’altro per lo più da 4 a 6 più di sovente cinque. In taluni individui si trovano anteriormente due strangolature (tav. XV, fig. 16, tav. XVI, fig. 21 bis, 24, 26). Talora (raramente) la pupa assume una forma addirittura cordata; il pigidio si restringe, le due parti laterali si prolungano ad ala (tav. XVI, fig. 26 bis). Ho trovato taluni esem- plari parassiti su frutta di manderino (tav. XVI, fig. 27 e tav. XXI, fig. 85) che hanno una forma diversa cioè bislunga, subovolare con 4 lobi laterali, sulla gibbosità di ciascuno di questi vi sono due peli diver- genti; sulla faccia dorsale si notano tre solchi piuttosto larghi e pro- fondi. Parrebbero quasi specie diversa, ma certo appartengono alla stessa essendo identico il follicolo e tutti i caratteri culminanti. Dipende la sua forma dal sito ove aderisce. Come ho detto la forma varia secondo l’età e anche gli individui. La figura 23 (tav. XVI) rappresenta un esemplare molto adulto. La fi- gura 22 un individuo adulto visto in trasparenza, vi si notano delle divisioni interne come sono riprodotte incertamente. L’ esemplare 26 è un esemplare adulto con forma ovolare bislungo. La forma più consueta è quella degli esemplari 22 e 23. Le forme 27, 26 bis e 85 (tav. XXI) sono anormali, ma appartenenti indubbiamente alla stessa specie. Il tipo 26 bis è si può dire identico alla forma aoridum L. (= ficus Asm.) Silvestri, Di- spense, pag. 176, f. 1. Però il follicolo pare diverso. Ho trovato anche delle forme intermedie ma è superfluo notarle. La fig. 21 bis tav. XVI, rap- presenta una pupa giovane il di cui pigidio è riprodotto dalla fig. 21; ha tre palette a lato; è notevole per avere anteriormente in ogni lato due peli divergenti. La pupa fig. 25 ha uno stelo fissatoio doppio, è un esemplare adulto. La figura 86, tav. XXI ha un triplo stelo. È questa un’anomalia di grande importanza. Non è raro che lo stelo si biforchi, ma è ben raro che tale biforcazione avvenga:-all’inizio e che lo stelo sia duplo è però assai più raro che lo stelo sia triplo. Io l’ ho riscontrato in un solo esemplare. Tale pupa è piuttosto giovane, di forma tipica. Le forme 27, tav. XVI, 85, tav. XXI si riscontrano non di rado, mai però sulle foglie, ma sulle frutta del limone e del manderino. Presen- tando queste una superficie non piana, avviene, come ho detto, che la pupa trovi posto in un avvallamento e si rannicchi. In generale la forma della pupa è ovata piriforme alquanto slargata e inuna parola reniforme. Sono più o meno turgide, ma tale turgescenza è minima quando sono giovani, un po’ più accentuata quando sono adulte. La enfiagione si fa un po’ irregolare quando sono per schiudere le uova, pare allora che avvenga una contrazione dal lato marginale — 144 — anteriore, Si notano alla periferia lateralmente, principalmente dalla parte posteriore delle prominenze che parrebbe dovessero rispondere a dei segmenti che di fatto non esistono, per lo più sono cinque. Però dalla parte posteriore e in prossimità del pigidio si notano delle ripiegature più o meno irregolari come se fossero di segmenti contratti e ravvici- nati tra loro che per lo più sono contratti sulla parte mediana come nelle figure 24, 23, 21 (tav. XVI) e fig. 86 (tav. XXI). Per lo più ogni prominenza lobale è provvista di un pelo; qualche volta di due peli, in tal caso i peli sono divergenti come nella fig. 85 (tav. XXI). Il colore della pupa è giallo citrino, quello del pigidio è un po’ più scuro, tale differenza di colore è piccola, ma talvolta è più notevole. Il pigidio è di forma copica, rappresenta sovente un tronco di cono, compresso , più o meno subtriangolare. È desso chitinoso con elementi sottili bislunghi interiori che paiono sottili linee alquanto sinuose. Tali specie di fili chitinosi sono irregolarmente, ma confusamente distribuite, però sono in certo modo a fasci longitudinali raggianti, non si vedono che in trasparenza e con forte ingrandimento. L’ingrandimento fig. 92, tav. XXII, lo riproduce esattamente. L’estremità marginale posteriore del pigidio ha dei caratteri pecu- liari importanti che non sono però rigorosamente costanti nei dettagli, ma lo sono nello insieme, Il pigidio somiglia alquanto a quello schema- tico disegnato dal prof. Berlese e Leonardi, però il Chr minor che poi dal Leonardi è stato riferito al Chrysomphalus dictyospermi var. pinnu- lifera, (minor) Leonardi su due cocciniglie fig. 16, Silvestri Grandi, Di- spense, pag. 177, fig. 172. Ma ne differisce spiccatamente per la man- canza di parafisi, la mancanza della dentatura delle appendici laterali, la mancanza di spine, i quali caratteri di armatura si vedono nel pigidio disegnato dal prof. Berlese e da loro riprodotto, ma non esistono in realtà in quello dei nostri esemplari. In quanto ai pettini, in generale mi pare che nei nostri manchino veri pettini, ma in qualche esemplare li ho riscontrato. Un pigidio tipico è rappresentato dalla figura 92 della tavola XXII. La figura è esattissima. Devo aggiungere un particolare, che gli autori parlando della pupa femminile (Silvestri, Dispense, pag. 168) dicono che si osservano l’ ano e la vulva, l’ano sul dorso rotondeggiante e la vulva a forma di fessura sul ventre presso il pigidio nel mezzo dell’ ultimo segmento (Leonardi, loc. cit.) con 4 gruppi di dischi ciripari. Ora io ho fatto esatte e repli- cate indagini e osservazioni e non ho potuto affatto discernere nelle pupe nè ano nè vulva, tanto con microscopio e con forte e varia illumina- _ Patata bel An =. ‘da — 145 — zione non ho potuto discernere tali parti. Io credo giusto per sincerità dir questo, perchè o non esistono nei nostri esemplari ovvero occorrono dei reattivi chimici speciali per porli in evidenza, ovvero tali organi mancano in molte fasi della pupa e solo si manifestano in qualche ge- nerazione speciale delle tante durante l’anno. Però avendo io reiterate le osservazioni, finora non ne ho scoverto traccia dì sorta. Non mi resta a parlare che del rostro o per meglio dire dell’organo fissatore. Esso non è affatto sempre uniforme e costante di forma come generalmente si ritiene, Per lo più esso consiste in uno stelo lungo ar- cuato, impiantato sopra una piccola protuberanza (tav. XVI, fig. 22, 24, 26, 28, 29) il quale ha varia lunghezza e varia contorsione secondo lo sviluppo della pupa e secondo lo sviluppo e la consistenza del paren- chima della foglia ove è impiantata. Però se questa è la regola generale avvengono pure non di rado delle importantissime modificazioni. Esse sono riprodotte da vari individui dalle figure 25, 28 o 34. Lo stelo sue- chiatoio è per lo più semplice e curvo fig. 28 e 29. Qualche volta è bifide (tav. II, fig. 34). Guardato con fortissimo ingrandimento oppure provvisto di qualche pelo. Talvolta non solo è bifido ma una delle ra- mificazioni si suddivide pure in due (tav. XVI, fig. 31) ciò lo ho osser- vato da una parte solamente, però accade anche raramente tale bifor- cazione in tutte e due (tav. XVI, fig. 30). Qualche volta lo stelo è diritto (fig. 33), pare non abbia la curvatura, ciò potrebbe anche dipendere da rottura, ma qualche rara volta pare realmente non vi sia curvatura. Infine ho osservato in qualche raro caso (tav. XVI, fig. 32) che lo stelo è duplo cioè che la biforcazione avviene fin dalla base; allora però ho osservato che dei due steli uno è più lungo l’altro più breve. In un in- dividuo rappresentato dalla fig. 86 (tav. XXI) lo stelo è triplo; non è una biforcazione ma sono realmente tre steli che si dipartono da unica radice. Devo infine osservare che la protuberanza in cui è impiantato lo stelo fissatoio a guardarsi con forte ingrandimento (tav. XVI, fig. 31, 33, 34) appare pelosa. Intorno all’ azione di tale stelo suechiatoio sulla foglia ne parlerò in un paragrafo speciale. In rarissimi esemplari (tav. XVI, fig. 34) ho osservato che lo stelo è munito di piccolissimi peli. Pigidio femminile. Il pigidio ha forma subtriangolare, è compresso lateralmente. È for- mato di sostanza chitinosa, guardato in trasparenza vi si vedono dei filamenti non molto lunghi ma sottili, nerastri, disposti irregolarmente, Il Nat. Stie., Anno XXII.—Nuova Serie, Vol. II. 19 — 146 — ma per lo più alquanto allineati. Pare che la materia sia condensata in miriadi di filamenti , taluni di questi sono un pochino curvi e legger- mente sinuosi. Il pigidio è più o meno sviluppato, non solo secondo l'età degl’individui, ma anche varia da individuo a individuo. Non è affatto costante nella grandezza, però nella forma ha una relativa costanza. Al margine posteriore esso ha un frastagliamento speciale che costituisce la così detta armatura. L’armatura del pigidio costituisce uno dei carat- teri più importanti studiati dagli specialisti della famiglia dei Diaspidi. Ora avendo studiato attentamente parecchie centinaia di pigidi di questa specie, posso asserire che l’armatura disegnata e riprodotta in vari lavori relativi al Chrysomphalus dictyospermi var. pinnulifera Mask. e minor Berl. non corrisponde a quello dei nostri esemplari sebbene abbia delle anologie. Io ho fatto cenno delle differenze. Darò ora i caratteri dell’ar- matura dei nostri esemplari. Come ho detto l'armatura ha una certa variabilità. Dirò prima del. l'aspetto che essa presenta con un ingrandimento di circa 500 diametri. 1 caratteri, che così esaminata presenta, sono generalmente i seguenti : due protuberanze, ossia lobuli, ossia palette centrali simetriche, da ogni lato tre altre palette, però tale numero, come vedremo, può essere minore. Al di |A di queste palette si trovano tre o quattro appendici strette lanceolate. Negli interstizi delle palette si trovano due o tre piccole ap- pendici, negli interstirzi delle appendici lanceolate si trovano talora degli esili cilindretti aculeati. Per dare un’ idea più concreta passerò breve- mente in rivista i principali tipi o per meglio dire le principali varietà e fasi di sviluppo dell’armatura del pigidio. La figura 35 (tav. XVI in su) rappresenta il pigidio di un esemplare di pochissimi giorni; ha quattro palette, nell'intervallo mediano vi sono due piccole protuberanze o pa- lette secondarie molto piccole, negli intervalli delle laterali ve ne ha una solamente. Lateralmente alle quattro palette, da un lato e l’ altro vi sono varie piccole prominenze. La figura 36 rappresenta un giovane pigidio; vi sono quattro palette in ogni interstizio di esse vi sono due piccole prominenze cilindroidi ravvicinate l'una all’altra. Lateralmente da un lato e l’altro vi sono cinque piccole prominenze e poi tre appen dici bislunghe lanceolate. La figura 35 (in giù) rappresenta il pigidio di una giovanissima pupa; ha le palette in tre intervalli mediani, vi è in ciascuna un’appendice ad aculeo; nell’intervallo laterale ve ne è tre; se. guono due appendici lanceolate. La figura 38 rappresenta un giovane pigidio con quattro palette in ciascuno intervallo dei quali vi è un’ap- pendicetta, per ogni lato ve ne ha poi tre piccole appendicette e poi tre > — 147 — appendici e poi tre appendici lanceolate. Vi sono molti fili che uniscono il pigidio al follicolo. La fig. 20 (tav. XV) rappresenta un pigidio con 8 palette, nell’intervallo mediano vi sono due appendici spiniformi, negli intervalli laterali ve ne sono tre. Questo fatto di trovarsi 8 palette è molto raro, la regola è che se ne trovano 6, alle volte 4. Per lo più le due palette centrali sono un po’ più grandi. La fig. 39 mostra un piccolo pigidio con quattro palette e circa 10 fili che uniscono il pigidio al folli colo. Talora il pigidio giovane ha un’armatura come la fig. 40 cioè sei palette, negli intervalli delle quattro mediane vi sono due piccole appen- dici, nell'intervallo laterale cioè tra 1’ ultima e la penuitima paletta vi sono 4 appendicette appuntite. Dopo l’ ultima paletta vi è una piccoia appendicetta, poi 4 appendici lanceolate di cui due maggiori, le ultime due minori. La figura 41 (tav. XVI) rappresenta un giovane pigidio con 4 palette, le altre restano nascoste da numerosi fili che uniscono il pi- gidio al follicolo. La figura 42 mostra un pelo armato che unisce il pi- gidio al follicolo; dico armato, perchè non so come chiamarlo. È un pelo più grosso degli altri che guardato al microscopio mostra in trasparenza essere formato di compartimenti con sepimenti equidistinti a trabecole. Fin qui ho parlato delle armature di pigidi giovani e giovanissimi. Dirò ora brevemente dei principali tipi adulti. Talora si presentano nei quasi adulti con 6 palette, nell’ intervallo mediano vi è un’ appendice angusta, nei due intervalli laterali un’ appendicetta, negli ultimi inter- valli tre appendicette appuntite; ie appendici lanceolate laterali sono tre di cui due più grandi (fig. 41 bis). Un altro tipo è il seguente sei pa- lette e sei appendici lanceolate (tre a lato); nell'intervallo mediano tre appendicette, in quello laterale seguente un’appendicetta, nell’intervallo laterale seguente tre appendicette; negli intervalli tra le appendici lan- ceolate una piccola appendicetta (fig 42 bis). Si notano taluni fiocchi di peli che uniscono ancora il pigidio al follicolo, il che non suole ac- cadere negli esemplari adulti. Un pigidio non tanto comune è quello rappresentato dalla fig. 43 (tav. XVI), nel quale nell’intervallo delle due palette centrali vi sono due appendici con una contorsione e strangola- mento speciale; negli intervalli laterali vi sono due appendicette; le ap- pendici lanceolate laterali sono quattro, due grandi e due piccole. Un interessante pigidio di esemplare adulto caratteristico è riprodotto dalla figura 44. Sono le palette quattro e non sei come sogliono essere. Nel- l'intervallo mediano sono due appendici appuntite, negli altri intervalli vi sono tre appendici appuntite un po’ curve e rivolte verso l’asse; le appendici lanceolate sono tre. Il pigidio di esemplare adulto più carat- ty dmn NR * è i tube È L POSTATI, db a ARTE MTA St “ REI — 148 — teristico e che segna il massimo sviluppo è rappresentato dalla fig. 45. Vi sono sei palette, nei tre intervalli mediani vi sono due appendicette rotondeggianti, nell'intervallo laterale che segue vi sono quattro appen- dicette appuntite, Le appendici lunghe laterali lanceoalate sono tre a lato negli intervalli delle quali vi è una piccola e tenue appendicetta. Le appendici lanceolate suddette hanno in punta una piccola espansione caratteristica (fig. 46). Il pigidio negli individui molto vecchi, nelle pupe che già emettono le uova è rastremato. Si può ridurre talora l’armatura come quello dell’ individuo (fig. 47); esso ha quattro palette principali nell'intervallo mediano vi sono tre piccole appendici appuntite, nell’in- tervallo laterale vi è un’appendice piccola rotondeggiante. Finora ho descritto i pigidi esaminati con un forte ingrandimento di circa 500 diametri. Ho studiato anche un pigidio guardato con un ingrandimento di 1500 diametri. Per non accrescere di troppo la mole di questo lavoro, mi limito all’ esame dell’ armatura di un esemplare piuttosto giovane. La figura 92 (tav. XXII) lo riproduce esattissimamente. Si notano sei palette. In ogni intervallo si trovano due appendici den- tate che rappresentano dei pettini maniformi. Tali pettini sono nell’in- tervallo centrale ben diritti, nei laterali volti in fuori simetricamente da una parte e l’altra. Seguono lateralmente tre protuberanze dentate corte che paiono grossi pettini, da ognuna di esse si staccano due ap- pendici una stretta dalla parte che volge all'asse e una lanceolata bis- lunga. Tali appendici lanceolate non sono punto dentate ma coi bordi lisci, però l’ultima ba tre o quattro dentini alla base. Segue infine late- ralmente un’altra piccola protuberanza coniforme che forse rappresenta un altro apparato analogo rudimentale in formazione. Potrebbe darsi che talune delle appendicette intermedie alle palette che ho notato in tal modo perchè esaminate con forte ma non fortissimo ingrandimento, ac- ‘ quistino l'aspetto pettiniforme, guardate con un ingrandimento straordi- nario come quest’ultimo esaminato. Ma io non lo credo. Importante è poi esaminare la struttura del pigidio in trasparenza, con tale fortissimo ingrandimento. Le palette e i pettini mostrano una struttura semplice e trasparente. Il resto del pigidio ha una struttura risultante da immenso numero di righe alquanto irregolari (tav. X.XII, fig. 94). Or tale struttura dirò così fibrosa si protende maggiormente alla base dei pettini che alla base delle palette come lo mostra la figura, mentre alla base di questa non ve ne è che qualche lieve traccia. La struttura fibrofilosa è accentuata lateralmente e si mostra divergente cioè in direzione dei margini laterali. Un’ ultima osservazione devo io — 149 — fare, cioè che nelle strisce del pigidio rispondenti agli intervalli delle palette cioè in direzione dei pettini, si vede la superficie alquanto oscu- rata come se fosse più densa ovvero come se la superficie fosse ondu- lata e in detta striscia fosse più bassa e in quella rispondente alle pa- lette più sollevata. Da ciò che ho diffusamente detto si rileva, che, anche ammessa la presenza di pettini, resta però una differenza grande nei nostri esem- plari risultante dalla mancanza di spine e di parafisi come sono dise- gnate dall’illustre prof. Berlese per la minor e quindi per la pinnulifera secondo Leonardi. Follicolo maschile e femminile. La forma del follicolo di questa specie è costante, quando si trova nelle stesse circostanze. Però presenta qualche differenza quando variano le condizioni di vivenza. Ho per esempio notato che i follicoli che si trovano sulle frutta dei manderini sono ancora più sottili e depressi che di consueto e un po’ più aderenti sulle foglie. Sono note le differenze di forma dei follicoli maschili e femminili. Sono essi stati varie volte figurati dagli autori, sono anzi i soli distintivi sessuali figurati dagli autori, però con ben pochi altri dettagli. Il follicolo femminile ha una forma molto diversa di quello maschile: è più largo e rotondo mentre quest’ ultimo è più piccolo ed ellittico. È inoltre per- fettamente simetrico mentre il maschile è asimetrico , perchè la parte elevata, ove è l’ esuvie larvale, è disposta presso uno dei fuochi dell’el- lissi e quindi discentrato. La esuvie larvale primitiva, che si forma sul dorso delle larve appena fissate, è bianca ma subito si spessisce e di- venta color seppia chiara. La figura 70 (tav. XVI) riproduce un follicolo minutussimo appena formato conilcentro bianco. Il colorito dei follicoli femminili e maschili poco differisce, è nello insieme color seppia chiaro, detto anche color badio, però aggiungo che non di rado il follicolo ma- schile assume un colore alquanto più scuro di quello femminile. Il fem- minile ha un diametro poco maggiore di un millimetro, il maschile minore. Un’ altra importante differenza non notata da nessuno, eppure molto visibile è questa, che il follicolo maschile ha nell’ interno un cercine aperto, una specie di costa curva a ferro di cavallo che cir- cuisce la pupa e si modella e adatta ad essa dalla parte della testa e dai lati, lasciando aperta la parte posteriore. Ciò si vede bene nella figura 63 (tav. XVII) che rappresenta un follicolo con la pupa maschile a E CI id al — 150 — visto di sotto; e nella figura 68 (tav. XVIII) che rappresenta un folli- colo maschile visto dalla parte interna. Le figure 66, 67 (tav. XVIII) rappresentano un follicolo maschile ingrandito visto di lato e di sopra. Interessante è osservare il follicolo maschile in trasparenza cioè con illuminazione tale da potersi rendere visibile la struttura. Questa si mo- stra affatto spugnosa, formata di minutissimo affastellamento di esili fili o fibrosità disposte caoticamente. Guardando il follicolo siffattamente in trasparenza, si vede che la prominenza si mostra a guisa di un punto scuro circuito di un anello giallastro citrino il quale alla sua volta è circuito da un anello scuro più largo, seguito da un anello giallastro e quindi da uno stretto anello scuro al quale segue la massa generale del follicolo che appare sotto il microscopio in trasparenza di un colore seppia tendente’ al rosso, cioè un colore diverso di quello che mostra quando è illuminato di sopra e ad occhio nudo. Guardandolo in trasparenza si vede pure benissimo l’armatura a ferro di cavallo nella quale viene per così dire a ingastare la pupa. Tutti questi caratteri ben si distin- guono nella figura 68, che rappresenta un follicolo maschile molto in- grandito. Il follicolo femminile (fig. 71) è come dissi rotondo e forse appena appena più sottile di quello maschile. È formato pure di sostanza spu- gnosa sericea ma alquanto coriacea come il maschile; nella parte cen- trale ha una piccola cupoletta mammillare un poco elevata. Guardandolo con forte ingrandimento e in trasparenza si notano pure i vari colori ad anello, però il centro scuro non tanto si vede, la parte centrale è chiara ed è circuita da un anello scuro, il quale alla sua volta è cir- cuito da un largo anello giallo citrino limitato da un cerchio scuro. Come ho detto di sopra, il colorito del follicolo visto di sopra con l' il- luminazione di sopra appare color seppia tendente al vinaceo. È poco prominente. La esuvie larvale si eleva alquanto come un bitorzoletto. Dò ora la descrizione di un piccolo follicolo femminile, figura 72, (tav. XVIII) con fortissimo ingrandimento. Si vede nel centro una cu- pola a forma di capezzolo rosso-vinacea, A BC limitata da un cerchietto nero lineare. Tale cupola con fortissimo ingrandimento si vede essere così fatta: nel mezzo vi è una cupoletta elevata, rotondeggiante, davanti alla quale vi ha da un lato solo un fregio rilevato consistente in una costoletta, che ha un'insenatura determinante la figura di due virgole. Più oltre vi è un cerchio a costoletta rilevato che forma una bordura; tale cerchio a cercine ha pure un’insenatura dirimpetto a quella sopra- descritta. Segue la superficie levigata rossastra conoide che in giù è — 151 — limitata da un sottile anello scuro non rilevato. Segue una zona color giallo citrina FED BC nella quale si nota qualche raggio di sostanza rossastra non a spazi regolari, tale zona non è limitata da un anello di sostanza rossastra. Segue una zona di colore seppia chiara. Tali caratteri che io ho descritto non sono punto generali per tutti i follicoli; i raggi di cui ho parlato non si trovano punto in tutti ma solo in taluni, come pure la cresta rilevata nella cupoletta che ho descritto è sovente affatto semplice come la figura 71 a d. Il carattere più costante è quello di una zona giallo citrica attorno alla cupoletta rosso vinacea. . La figura 87 (tav. XXI) rappresenta un altro follicolo piccolissimo, giovanissimo. La parte centrale A è giallo rossastra compresa la parte centrale; in detta parte A si nota un cerchietto scuro mediano attorno al quale sono due cerchietti scuri interrotti cioè aperti. Attorno allo spazio A si trova una zona scura formata dall’ addensamento dei cor- puscoli bacilliformi nella quale si distinguono due cerchi più scuri in- terrotti in un lato, cioè due cerchietti aperti come quelli interni. Segue lo spazio M che è colore leggermente cinereo violaceo. Tali caratteri si notano in trasparenza. Dirò ora di un altro tipo di follicolo giovanissimo e piccolissimo. È rappresentato dalla figura 8% (tav. XXI). Lo spazio interno centrale AA è giallo rossastro; vi si nota in mezzo un cerchietto con attorno un altro cerchietto rotto ad un lato. Questo spazio giallo rossastro è cir- cuito da un cerchio nero $ il quale poi va diradando di colore verso interno. Questi due tipi sopra descritti appartengono ad esemplari immen- samente giovani; parlerò ora di altri due tipi di individui adulti. L’esem- plare 91 (tav. XXI) ha il centro scuro circuito da un cerchietto A an- cora più scuro; segue una zona rossastra circuita da un cerchio nero (£), segue una zona gialla citrina circuita alla sua volta da un cerchietto nero €; tra il detto cerchio C e Vl altro cerchio B vi sono due ramifi- cazioni che si uniscono. Tra il cerchio € e il margine D il colore è vinaceo cinereo. L’ altro esemplare adulto è rappresentato dalla fis. 90 (tav. XXI). Ho desso di particolare quanto segue: il cerchio B è piriforme, esso limita la parte rossastra centrale mentre il cerchio Cl limita la parte gialla citrina interna. Ora tale cerchio ha da un lato un’insenatura ossia una ripiegatura in dentro con una ramificazione che va ad unirsi col cerchio B. Detto cerchio C' ha nell'interno una duplicatura che però non arriva ad unirsi ma che forma un ferro di cavallo. Segue poi lo spazio D che è vinaceo cinereo. — 152 — La struttura del follicolo è raffigurata dalla figura 89 (tav. XXI) con un fortissimo ingrandimento. Si vedono dei corpuscoli neri bacilli- formi variamente disposti. Tali corpuscoli neri hauno l’ apparenza di bacilli ossia di piccoli e fini filamenti più o meno tortuosi. Essi in taluni siti si addensano, in altri sono più rari. Ove maggiormente si addensano si formano dei cerchi, anzi i cerchi neri di cui ho detto di sopra non risultano che da questo fatto cioè dall’addensamento dei detti corpuscoli. Pupa maschile. È strano che tutti gli autori descrivono la femmina, ma del ma- schio non dicono nulla o solo un fuggitivo accenno. Qualcuno parla della forma del follicolo, ma nessuno che io sappia si diffonde a descrivere i caratteri del maschio. Forse dipende anche ciò dalla maggiore difficoltà a trovarlo e dalla rarità, perchè come accade in molti Diaspidi, i maschi sono rari. I follicoli maschi mancano in principio d’està; non escludo che pos- sano trovarsene, ma io non ne ho rinvenuto, quelli che si trovano sulle foglie sono rimasugli disseccati dell’ anno scorso. In Giugno non ne ho trovato e neppure in Luglio. In Agosto si cominciano a vedere, special. mente negli ultimi di Agosto e primi di Settembre. In tale epoca hanno in talune foglie la prevalenza sulle "femmine. Il follicolo è più piccolo di quello delle fermmine e ha una forma diversa, mentre quello della femmina è rotondo e simetrico, quello del maschio è ellittico, asimetrico, il suo colore è simile però sovente un pochino più scuro. Or è da no- tare che molti dei follicoli maschili si trovano vuoti, perchè facilmente si atrofizzano le pupe maschili. La pupa si distingue facilmente quando è sviluppata ma meno age- volmente nei primordi. La forma da principio è alquanto simile , però nel maschio tende più al cilindrico ed è più stretta. Anteriormente si cominciano gradatamente a formare due piccole enfiagioni di colore un poco più scuro. Tutta la pupa è gialla citrina, ma mentre questo colore perdura nella femmina, nel maschio è un po» meno chiaro. In taluni individui tende alquanto al rossiccio. Ciò pare prodotto da sostanza spe- ciale che per breve tempo si diffonde in tutta la pupa, però tale so- stanza sì va concentrando rapidamente nelle due macchie anteriori le quali prima sono appena accennate ma rapidamente per la condizione di tale sostanza si vanno facendo più scure e diventano nettamente color seppia protuberanti. Avviene però qualche rara volta che il colore ros- — 153 — siccio perdura nella pupa. Il colore rosso pure si condensa in una fascia dorsale interalare. Il resto della pupa è di color giallo citrino e anche quando avea precariamente acquistato una tinta rossastra, questa dispare ‘e ridiventa giallo citrino. Col progresso del tempo queste due macchie sì spostano alquanto e si, scindono nettamente ciascuna in due. Due pro- tuberanze nerastre procedono sulla parte superiore e s’individuano net- tamente arrotondandosi. Esse diventano sporgenti e alquanto più distac- cate l’ una dall’ altra più di quanto lo sono quelle del lato inferiore e vengono a formare i due occhi dorsali. Le altre due si ravvicinano for- mando i due occhi ventrali. Ne parlerò quando di seguito descriverò il maschio adulto. Le modificazioni che subisce la pupa maschile sono maggiori di quelle della femminile ed è naturale, perchè mentre questa finisce per perdere i caratteri distintivi e si distrugge con la nascita delle larve, quella maschile invece si trasforma in un insetto perfetto. Ora studiando la pupa e seguendone lo sviluppo, ho fatto varie osservazioni importanti riguardo ai suoi caratteri, i quali naturalmente si modificano con l’età e rapidamente. Guardata in trasparenza con forti illuminazioni presenta varie modificazioni dipendenti dalle stesse ragioni accennate parlando della pupa femminile, cioè le varie fasi di sviluppo degli organi interni i vari effetti di luce, etc., però è sempre uno studio molto istruttivo e che può fornire interessanti particolari deli’ interna struttura. Sebbene naturalmente le modificazioni avvengono successivamente e gradual- mente, pure io per semplicità distinguo quattro fasi: la prima durante la quale si vede bene il pigidio, la seconda in cui si vede ancora il pigidio e già si nota distintamente l’inizio delle antenne, la terza in cui si vedono iniziate le zampe o per meglio dire l'involucro di queste e si notano due prominenze dietro; questa fase ha, come vedremo, qualche enigma, la quarta fase è quella nella quale il processo di trasformazione appare più inoltrato e in cui tutti gli organi sono già abbozzati e for- mata già l'estremità posteriore che deve dar luogo al canale fecondatore. Gli esemplari figurati 48-51 (tav. XVII) rappresentano la prima fase. Le figure 48, 49 rappresentano due individui di forma diversa; l'esemplare 48 è più largo con circa 7 segmenti, ha dei vari peli ante- riormente, due macchie; l’ esemplare 49 tende più alla forma subcilin- drica, i segmenti sono più visibili, quattro macchie anteriormente, i segmenti sono 9,i quattro segmenti anteriori hanno i peli duplicati, gli altri un solo. Detta figura è esatta però vi è una macchia bianca ante- riore che è un errore litografico. L’ esemplare 50 visto a trasparenza Il Nat. Sic., Anno — XXII Nuova Serie, Vol. II. 20 — 154 — mostra delle divisioni interne come sono riprodotte; il pigidio ha un’ar- matura sviluppata di cui parleremo di seguito. L’ esemplare 51 mostra una struttura interna diversa, ha 4 peli retti per lato, il pigidio con 6 palette; per un errore litografico vi è una fascia bianchiccia. Gli esemplari (55-56, 57-58 (tav. XVII) rappresentano la seconda fase, in cui la parte anteriore cioè la cefalica appare contornata da una appendice che è quella che poi formerà le antenne. L’ esemplare 57 è figurato dal dorso, il 58 dalla parte ventrale è disegnato in trasparenza e lascia vedere la struttura interna distintamente. Esso mostra uno stadio un po’ più progredito che l’esemplare fig. 55, 56. La terza fase è caratterizzata dalla formazione di due appendici posteriori presso il pigidio a forma di setole; dò la figura di due inte- ressanti esemplari. Quello rappresentato dalla figura 59 (che per equi- voco nella tavola è scritto 52 in giù) è notevole, perchè le due appen- dici, che daranno origine alle setole, sono attaccate al pigidio e non ancora completamente individualizzate ; è notevole altresì per essere munito di continuate contrazioni che sono ben visibili sotto il micro- scopio; il quale carattere è molto importante, perchè non si verifica nelle pupe. L'esemplare rappresentato da due facce fig. 60-61 è ancora più interessante, esso segna un ulteriore sviluppo , le setole sono stac- cate dal pigidio: si osserva sotto il microscopio una continua fluttuazione di materia gialla che ritmicamente si sposta dalla parte anteriore verso la posteriore e da questa poi ritorna alla parte anteriore con l’intervallo di 15 secondi. Tale fenomeno importantissimo constatato con grande esattezza durante un quarto d’ ora non l’ ho osservato in nessun altro esemplare. Nel detto esemplare da un lato (fig. 60) si vedono due mac- chie nerastre ravvicinate grosse e due piccole lungo il margine anteriore, nell’altro esemplare (fig. 61) due macchie grandi anteriori, due piccole vicine posteriori insieme a un orlo con quattro piccole prominenze. La parte posteriore è segmentata. La quarta fase dalla completa sparizione del pigidio, e formazione dello stelo fecondatore (fig. 62-64). Nell’esemplare 62 si vedono già ab- bozzati i caratteri principali. L’esemplare fig. 63 è ancora attaccato al follicolo, si vede la prominenza a ferro di cavallo che lo difende. L’e- semplare fig. 64 è un po’ più sviluppato, ha nell’addome due solchi di- vergenti che partono dallo stilo fecondatore. — 155 — Pigidio maschile. Il pigidio della pupa maschile ha una durata limitata come ho detto precedentemente. Esso del resto ha minore sviluppo che in quella fem- minile. Però la sua armatura ha dei caratteri importanti. Essa ha qualche analogia con quella femminile, ma è più semplice ed ha una delle di- versità secondo l’ età e secondo individui come abbiamo osservato nel femminile. Il carattere comune più importante è quello di quattro pic- cole palette simetriche di cui naturalmente due centrali; talora se ne contano sei. L’esemplare fig. 54 (tav. XVII) ha 6 palette e circa 12 ap- pendicette, cioè 6 a lato, nell'intervallo mediano vi ha un’appendicetta. L’ esemplare fig. 52 ha set palette e lateralmente a queste una setola da un lato e l’altro. L’esemplare fig. 53 ha 4 palette delle quali le me- diane più grosse; negli intervalli delle palette laterali ve ne sono 3; al di là dell’ultima paletta da un lato e l’altro ve ne sono 9. Nel pigidio fig. 53 bis vi sono 4 palette. Nell'intervallo mediano vi sono due ap- pendicette secondarie ; negli intervalli laterali ve ne ha due; oltre l’ul- tima paletta ve ne ha 6 a lato. Da queste osservazioni facilmente si detegge che si trovano delle differenze da esemplare ad esemplare come ne avvengono pure nei pigidi femminili. Però i pigidi maschili hanno maggiore semplicità, e minor numero di palette. Maschio adulto. Avevo detto che è strano che nessun entomologo ha conveniente- mente descritto e tanto meno figurato il maschio di questa specie così dif- fusa, e che a ciò devono concorrere due circostanze : la rarità e la picco- lezza dell’animale; dico rarità perchè sebbene i follicoli maschili non sono punto rari in certe epoche dell’anno pure sono sovente vuoti essendo le pupe atrofizzate. Così io avevo detto. Se non che proprio mentre il presente lavoro sì trova sotto le stampe e mentre ho in mano le bozze di stampa, mi perviene un interessante opuscolo del dottissimo entomo- logo specialista sig. G. Ric. Garcia Mercet di Madrid (Las plagas del Naranjo en Valencia) dove sono descritti taluni caratteri del maschio di questa specie ed è data una mediocre figura. Lodevole è il detto lavoro ma non rende punto inutile questo mio che ha più vaste proporzioni e contiene più numerosi ragguagli corredati da numerosissime figure. Durante la stagione estiva sono senza confronto più numerosi i fol- — i56 — licoli femminili. I maschili invece si vedono numerosi,in fine di està. Questo aspide, come molte specie analoghe , si moltiplica per parteno- genesi. La fecondazione del maschio avviene in fine dell’està; nè io sono sicuro che in tale epoca una generale fecondazione avvenga. Infatti io ho osservato in detta epoca molti follicoli maschili con insetti bene svi- luppati; ma mentre ho tante volte osservato l’ Aphelinus Silvestriî De Greg. che punzecchia con l’ ovopositore i follicoli, non ho visto il ma- schio dell’aspide compire alcuna eiaculazione. Ciò deve essere in parte causato dalla grande agilità e rapidità di volo dell'insetto, che all’ ap- pressarsi dell'osservatore subito sparisce. Bisogna confessare che se pernicioso e nefasto è questo insetto, ha però una forma elegantissima. Quello che più colpisce a prima vista è la straordinaria lunghezza e relativa robustezza delle antenne e anche l'ampiezza delle ali. Le antenne sono composte di nove articoli cilin- drici, circa il doppio lunghi che larghi, coverti di peli. Il primo articolo cioè lo scapo, è più breve e più grosso degli altri e più definito. La lun- ghezza dell’antenna è uguale press’a poco alla lunghezza dell’insetto non comprendendovi l’opositore. Le antenne si vedono bene negli esemplari figurati 73, 78, 83, 84. Gli occhi sono quattro come nella Diaspis per- tagona (Silvestrii, Dispense, pag. 182). I dorsali sono molto grossi, con- vessi e sporgenti in vicinanza dello scapo, i due occhi centrali sono situati lateralmente in giù, sono nerastri grossi, però meno convessi e meno sporgenti di quelli superiori. Guardandosi con fortissimo ingran- dimento mi è parso discernere un dettaglio degli occhi come la fig. 82 tav. XVIII. Gli occhi dorsali e ventrali sono visibili nell’esemplare fig. 78, tav. XXI, anche nell’ esemplare fig. 83, tav. XVIII, si vedono perchè quelli di sopra si vedono per metà. Negli esemplari 73, tav. XVIII e 84 tav. XXII si vedono solo quelli superiori. Dispiacevolmente nel tiraggio litografico queste ultime figure che erano esattissime negli originali sono state abbastanza sciupate. La regione cefalica è abbastanza più stretta della regione toracica. Sulla fronte, cioè sulla parete anteriore della regione toracica, si osser- vano dei peli, sono essi visibili nella figura 73, tav. XVIII e 78 tav. XXI. L’anca è breve e piuttosto robusta ma non molto; è di color giallastro. Il troncatere è arcuato, breve ma non molto, la coscia posteriormente finisce ad angolo, dal lato inferiore è arcuata. Nel troncatere e nella coscia vi è qualche raro pelo; nell’anca non ne ho osservato. La gamba è più lunga e provvista di molti peli. Il tarso si continua con le gambe in modo che in talune posizioni non si distingue bene e ciò anche a A È. — 157 — causa dei folti peli di cui è provvisto. Il tarso ha una figura conica a fiocco; pare formato da due parti una cilindrica-ovoidale-conoide, e un’altra anteriore molto più sottile. Pare esso non articolato; però guardando attentamente molti esemplari si deve giudicare che è composto di tre articoli: i primi due formano la parte posteriore più gonfia, l’altro la parte anteriore sottile, la quale spesso quasi si smarrisce in mezzo allo sviluppo dei peli. Ma vi ha di più: all’ estremità anteriore il tarso è provvisto di due appendici a guisa di dita o falangi finite in un rigon- fiamento a ventosa e in un'altra appendice senza rigonfiamento opposto ad esse, che talora acquista la forma di un uncino. Quindi sono tre ap- pendici analoghe a quelle della larva. Le zampe di dietro sono alquanto più robuste di quelle anteriori. Tali caratteri si vedono negli esemplari 73, 78, 83 tav. XVIII, 84 tav. XII, ma più ancora negli ingrandimenti 76, SO tav. XVIII. Sul dorso, dietro il torace, esiste una fascia ben definita ad anello di un bel colore rossastro che spicca sul colore citrino dell’insetto. Essa è visibile nell’esemplare figurato 84, tav. XXII. Le ali sono due, grandissime, pellucide, della forma di quelle del- l’Aspidiotus hederae Vallot. Dietro ad esse si vedono due appendici come nella specie citata (Grandi, Silvestri, Dispense, pag. 160) che a me pare siano resti delle seconde ali atrofizzate, sono delle brevi appendici biar- ticolate cilindro-ovate, che sono terminate in due brevi setole disuguali, una delle quali ha talora una piccola enfiagione a guisa di bottoncino (fig. 74, tav. XVIII); tale enfiagione però talora manca e l’appendice è isolata cioè non articolata (fig. 81, tav. XVIII). Il tipo dell’ appendice fig. 74 (tav. XVIII) appartiene all'esemplare fig. 73. Il tipo dell’ appen- dice 81 appartiene all’ esemplare fig. 78 (tav. XXI). Tale appendice si vede pure nella figura del Diapsîs pentagona data da Silvestri (Dispense, pag. 180). Le due ali, come ho detto, sono molto grandi. È importante osservare che l’insetto può muoverle con indipendenza l’una dall’altra. Quando esso è in riposo le ali sono disposte come la fig. 73 (tav. XVIII), però nella prima epoca, cioè quando è appena sortito dal follicolo l’ho visto anche quasi sovrapposto come nella fig. £3 (tav. XVIII), ma gene- ralmente sono come nella fig. 73 (tav. XVIII), quando l’individuo vola si dispongono come nelle figure 78 (tav. XXI), 84 (tav. XXII). Le alì sono formate dì un tessuto trasparente quasi spugnoso trasparente, sono provviste di una costa che si biforca. A guardarsi con fortissimo ingran- dimento si vede che dai fianchi di essa si dipartono delle lineette come piccolissime spine non erette ma giacenti lungo la stessa ala. Si vedono pini — 158 — nella figura 78 (tav. XXI) e ancora più nel dettaglio ingrandito fig. 75 (tav. XXII). Il corpo a guardarsi di fianco come nella fig. 78 (tav. XXI) mostra un aspetto diverso, di sopra è alquanto gibboso. Lo stilo è lunghissimo e sottile. È impiantato nella parte posteriore, la quale si restringe a cuneo come nella fig. 73 (tav. XVIII). Presso l’inizio dello stilo si notano talora due setole (fig. 73, 74). Qualche volta se ne vedono quattro, perchè oltre delle due setole se ne vedono due più piccole più ravvicinate allo stilo (pag 79, tav. XVIII). In un individuo (fig. 78, tav. XXI) ho di- stinto presso la radice ossia presso il punto d'impianto dello stilo una piccola protuberanza come un oculeo. Queste non l’ho visto che in un individuo, o ciò avviene di rado, ovvero sembra manchi, perchè è dif- ficilissimo a vedersi; essendo una protuberanza minima e dello stesso colorito dell’insetto, è facilissimo che sfugga all'occhio anche armato di forte microscopio. Tale piccolo aculeo deve agire come un punto di ar- resto dello stilo quando questo penetra dentro i follicoli e le pupe per fecondarle. Devo infine far notare che l’estremità posteriore dell'addome lateralmente allo stilo ha due protuberanze da ciascun lato (figura 79, tav. XXI) nella prima vi è un piccolo pelo sulla parte più prominente. Sviluppo del follicolo e azione dell’insetto sugli alberi. Ho detto che i maschi sono rari; nel principio e nel mezzo della stagione mancano affatto o quasi; i follicoli maschi che si vedono in principio della stagione sono rimasugli sterili della passata stagione. Verso la fine di Agosto si osservano invece molti follicoli maschi. Però non tutti hanno le pupe, in buona parte sono queste atrofizzate. È un fenomeno interessante e nuovo, perchè mentre sotto i follicoli femminili si trovano sempre le pupe in istato florido, sotto invece quello maschile spesso la pupa manca o è morta e raggrinzita. Io ho detto che nei pri: mordi, sino alla prima fase di sviluppo del follicolo, questo è alimentato dai fili con cui è unito al pigidio della pupa. Così mentre nella primis- sima fase il follicolo tanto dei maschi che delle femmine è costituito da una specie di culotta bianca che viene in certo modo secreta dalla larva o che si distacca da essa, nella prima (cioè la fase che segue la pri- missima fase) il follicolo acquista la forma e i caratteri essenziali tanto di forma che di struttura. Ora in questa prima fase il follicolo rimane attaccato al pigidio per mezzo di uno o più fasci di fili sottili (fig. 39, 41, 42 bis, tav. XVI). Ho scoperto anche qualche filo (fig. 42) che ho — 159 — detto armato che è più grosso degli altri ed è munito di sepimenti. Tale genere di fili indica maggiormente la intimità e relazione di sviluppo tra i primordi della pupa e quelli del follicolo, e mostra pure la dipen- ‘> denza di questo da quella, cosa che da altri non è stata osservata. Ac- crescendosi di poi il volume della pupa e del follicolo, la vita di entrambi diventa assolutamente indipendente. Così si spiega come i follicoli pos- sano continuare a svilupparsi ulteriormente anche quando la pupa è morta, atrofizzata. Così anche si spiega il fatto che quando la pupa viene parassitata dall’Aphelinus del quale ho già parlato in una nota preven- tiva (De Gregorio, Nuovi Annali dì Agricoltura, 1914) e del quale parlerò di seguito in apposito articolo , il follicolo continua a svilupparsi nello stesso modo come se contenesse una pupa viva e sana. Dopo quanto ho sopra esposto, nasce la questione, da che cosa at- tinge la vita il follicolo quando è interrotta la comunicazione col pigidio, cioè appena dopo la prima fase di sviluppo? Aumentando infatti in di- mensione, deve per necessità attingere ulteriori sostanze, per la vita e per sopperire all’accrescimento. Il follicolo tocca la superficie della foglia, ma non aderisce ad essa; sorge nondimeno il dubbio che possa dal mar- gine che tocca la foglia assorbire dei succhi della foglia stessa. Però ciò parmi da repudiare per due ragioni: sì perchè tale margine non lascia sulla foglia un'impronta ben definita, sì perché in tal caso la strut- tura del follicolo vista al microscopio dovrebbe rivelare dei canalicoli o degli organi di struttura speciale adatti a tale scopo il che manca as- solutamente. Dunque deve evidentemente ritenersi che la vita e l’ ac- erescimento del follicolo deve essere sostenuta dall’assorbimento dei gas traspirati dalla foglia stessa. In fatti la leggera aderenza che esso pre- senta sulla pagina della foglia basta per trattenere la traspirazione di questa. La traspirazione della foglia dentro il follicolo è la stessa che fuori del follicolo? Esercita esso un’azione per quanto tenue di ‘ventosa? Pare di no, attesa la sua tenuità. Ma ancora più importante è studiare l’ azione del succhiamento esercitata dallo stelo rostrale della pupa e quindi dell’azione dell’insetto sulla vita vegetativa della foglia e quindi dell’ albero. Ciò che si vede palesamente è l’ ingiallimento delle foglie nella parte coverta dal follicolo. Questo potrebbe essere semplicemente attribuito alla deficienza di clorofilla per la formazione della quale è necessaria l’ azione della luce, la quale è impedita dallo schermo del follicolo. Però l’ ingiallimento può essere prodotto più verosimilmente anche da altre ragioni. Si osserva che le foglie maggiormente parassi- tate finiscono poi per ingiallire anche nelle parti non coverte di follicoli — 160 — e a deperire atrofizzandosi. Dunque non è solo la mancanza di luce che determina l’ ingiallimento sotto i follicoli. Del resto ormai è noto che l’ azione clorosante può essere determinata sulle piante da varie cause tra cui principalmente la deficienza di azoto e la deficienza di ferro. Di questo argomento io ho trattato in una memoria a parte (Nuovi Annali di Agricoltura). Deve ritenersi che lo stelo fissatoio dell’aspide non eser- cita sulo un’azione di sostegno ma anche di assorbimento. Ora se l’azione fosse solo a questo limitata non potrebbe prodursi che un semplice im- poverimento delle sostanze contenute nel parenchima e nel tessuto delle foglie. Non è dunque affatto probabile che |’ azione si limiti a questo. Sino a pochissimi anni addietro si ritenea che l’ azione delle barbole delle radici fosse esclusivamente di assorbimento. Ora però si è costatato che le radici anche secernono dei succhi di rifiuto. Se ciò si verifica nelle radici vegetali, tanto più deve verificarsi in un organo quale è quello da noi studiato ed è naturale che siano appunto questi succhi tossici secreti della pupa che debbano influire al deperimento delle foglie influendo anche indirettamente anche sul deperimento degli alberi. E deve appunto attribuirsi a tali tossine che i frutti parassitati dall’aspide rimangono poco rigogliosi e (quando ne sono molto infestati) affatto ra- chitici, altrimenti questo fatto non potrebbe spiegarsi. Tale spiegazione che io ho per il primo data mi sembra la più verosimile e che debba essere accettata. Sarebbe però utile che si facessero ulteriori studi in tale importante argomento. È evidente che 1’ aria interposta tra il fol- licolo e la foglia subisce l’influenza della trasudazione della pupa e della porzione della foglia su cui si esercita l’azione dell’organo fissativo suc- chiatoio sopramenzionato ed è appunto in tali condizioni che il follicolo può dalla pagina inferiore di esso assorbire degli elementi giovevoli e necessari al suo sviluppo. Si aggiunga anche questo che all’ aumento della dimensione del follicolo deve anche influire l’assottigliamento del suo spessore sopperendo esso stesso in tal guisa anche con il fornimento dei suoi stessi materiali costitutivi. Il danno che produce questo aspide è gravissimo, non solo perchè affetta la produzione, ma la vita stessa dell’albero. Perchè quando mag; giormente si moltiplica e quasi copre la superficie delle foglie , queste non resistono più e come ho di sopra detto, ingialliscono, immiseriscono e cadono, sicchè i tronchi rimangono quasi brulli. Molto raramente o quasi mai per fortuna tale caduta di foglie determina il totale dissec- camento dell’albero, perchè le nuove che spuntano ridanno un certo vi- gore alla vita vegetativa, però presto o tardi finiscono queste alla loro — 161 — volta per essere invase, se le condizioni dell’ ambiente non ostacolano la riproduzione e la vita dell’insetto. Ho detto già nella prefazione della relativa utilità dell’ irrorazione solfocalciche e ho accennato anche alla | fortunata scoverta di un prezioso Aphelinus col quale si può vittoriosa- mente ingaggiare la lotta naturale. Io pubblicai il 20 Ottobre un opu- scolo intorno a tale scoverta. Però darò nel seguente articolo una de- serizione particolareggiata di questa specie provvidenziale. Caratteri distintivi del Chr. dictyospermi Morg, tipo, priorità del Chr. ficus (Ril.) Comst. e distintivi della forma agru- mincola De Greg. Ho detto a p.-131 che reputavo necessario consultare il lavoro ori- ginale di Alberto Morgan, nel quale egli propose il nome di dictyospermi, per giudicare con ponderatezza della sua identità e della referenza dei nostri esemplari allo stesso, ma che non mi era stato possibile avere tale memoria. Infatti avevo invano cercato di averla in Italia dai miei cor- rispondenti e dai librai, in prestito, o in vendita. Neppure avevo potuto averlo dalla rinomata casa Friedlinder di Berlino, sicchè mi era ras- segnato a rinunziarci, tanto più che pur troppo la guerra rende ora dif- ficili le comunicazioni con l’ estero. Ma insperatamente ho potuto tro- varla e comprarla in Londra dai signori Gurnen e Jackson e mi per- viene proprio adesso quando già il mio lavoro è stampato. Sono però in tempo a darne ragguaglio. Essa è inserita nel N. 302 Tbe Entolog. Monthly Magazine V. XXV August 1889; e porta il titolo « Observations on Coccidae ». La specie in questione è descritta a pag. 252, N. 10 sotto il nome di Aspidiotus dictyospermiî, perchè è una specie parassita del Dictyospermum album di Demerara. Vi è nella stessa pubblicazione la figura di un pigidio (tav. V, f. 2). Ora percorrendo la descrizione data da Morgan, trovo che quan- tunque indubbiamente gli esemplari di lui hanno delle analogie con i nostri, non mi pare si possano questi riferire alla stessa specie; per far ciò occorrerebbe riunire alla stessa specie molte altre ritenute diverse. Egli nota infatti taluni caratteri spiccatamente distinti. Dice che « il IN follicolo del dictyospermi è grigio bianco e di forma ovato elongata pei .quali due caratteri si distingue dall’ Asp. ficus che ha il follicolo rotondo e quasi nero ». Ora la forma del follicolo dei nostri esemplari è rotonda e il colore vinaceo, nel mezzo un po’ giallastro nei bordi tendente al seppia. Ma vi ha dippiù; egli dice che le due palette (ossia lobi) cen- trali sono nodose nel margine esterno, il che si vede bene anche nella Il Nat. Sie., Anno XXII.—Nuova Serie, Vol. II. 21 PET fizura che egli ne da. Tale carattere non si verifica nei nostri esem- plari. Egli dice che il pigidio ha tre paia di palette, delle quali le ul- time, cioè l’ultimo paio ha il margine dentato; ora a me non è mai toc- cato di osservare delle palette dentate dei nostri esemplari nè nelle fi- gure del pigidio riportato dai varii autori. Egli dice che le appendici lanceolate (long plates), sono due a lato e sono seghettate. Egli dice che i margini laterali del pigidio cioè le porzioni interposte tra i segmenti e l'armatura del pigidio sono finamente dentati il che non si verifica affatto nei nostri esemplari. Egli dice che vi sono 4 gruppi di dischi ciripari (ventral glands) i due gruppi anteriori di tre o quattro, i gruppi posteriori di due. Sarebbe 3-4 3- : quindi la formula o: A la quale formola è su per giù analoga a quella data dagli autori. L’ano, egli dice, è situato nel pigidio in prossimità delle due palette centrali e così è indicato nella sua figura. Nei miei esemplari non he potuto distinguere nè ano nè dischi ciripari. Però nessuno degli autori parlando del dictyospermi dice che l’ano è così vicino alle palette centrali. Egli dice che il pigidio è provvisto di quattro spine. Nei miei esem- plari non ho visto vere spine, ma nella figura data dal prof. Berlese per il minor ve ne ha un maggior numero. Egli non parla di parafisi, però queste si vedono nella figura che egli ne dà, e somigliano a quelle della figura data dal prof. Berlese per il Chr. minor. Tra le palette si vedono nella figura data da lui due o tre appen- dici appuntite, in ogni intervallo, come nei nostri esemplari. Egli non descrive il maschio, ma non dà che una breve descrizione della ninfa femina. Atteso l’importanza di essa e perchè non vi sia alcun ulteriore equivoco, trovo utile riprodurre testualmente la descrizione di Morgan : «E Scale greyish weite, with exuviae in the centre, depressed, an « elongate oval shape, abouth 1-2 mm. longest diameter. The centre of « the larval skin is of a dark orange colour, whihl the exuviae are of «a light yellow. Insect has three pairs of lobes. The median pair is the « largest, rotched on the outer lateral margin, the second lobe is simi- «lar to the first in shape but smaller, and the third lobe is stili smaller, « with the outer lateral margin serrated. Two simple plate betwen the « median lobes, two betwen the first and seconde and three betwen the «second and third. The third lobe is followed by two long plate ser- « rated on the outer lateral margin. Anterior to the last plate the mar- « gin îs serrated up to the commencement ot the. next visible segment. « The lateral margins of the first and second lobes are thickened at the — 163 — « base. Four small spines situated as usual. Four groups of ventral glands, < the anterior group consisting of three or four and the posterior of two « glands. The anus is situated just above the base of the median lobes. « There is a considerable similarity betwen this species and A. ficus, « but the plates are different, the one 0val greyish-white and flat, the other « almost black, convex and cireular». Found on Dictyospermum album from Demerara. Da quanto ho precedentemente detto e dalla lettura di questa de- scrizione si rileva evidentemente che si tratta di una forma di chry- somphalus che ha dei rapporti vicini con quella di Sicilia, però le diffe- renze sopra notate e precipuamente la forma dei follicoli (cioè degli scudi) non rotonda ma ovato-oblunga e il loro colorito bianco grigio e i margini laterali del pigidio dentati mi fanno considerare il dictyospermi come specie diversa. Si potrebbe da taluno prendere il nome di dictio- spermi «sensu lato » includendovi le varie forme. Ma se si volesse as- sumere un nome dando una vasta significazione, non comprendo perchè non si dovrebbe con maggiore ragione adottare il nome di C%rysom- phalus ficus. Infatti tale specie ha la priorità sul dictyospermi. Fu infatti il sig. Comstock che la propose nel 1880 (Aspi4iotus ficus (Riley) Comst. Rep. Un. St. Agr. Depart. p. 296). Il detto Comstock la descrisse rife- rendo avere avuto il nome manoscritto da Riley, il quale non la de- scrisse. Quindi il nome dovrebbe essere così indicato : Aspidiotus (Chry- somphalus) ficus (Riley) Comst. Ho fatto le precedenti riflessioni e con- siderazioni leggendo il volume XXV Ent. Mont. Mag., p. 350. Io però non possiedo il lavoro originale di Comstock per poter giudicare con oculatezza e convinzione dei limiti di quest'ultima specie citata, nè co- nosco se sia sufficientemente descritta dall'autore nè se sia consigliabile adottare tal nome elargando i limiti della specie. Ho dato commissione per l’acquisto di tal libro e ne parlerò a suo tempo. Posso però intanto fin da ora asserire che il nome di CArysomphalus ficus (1880) ha il di- ritto di priorità su tutti gli altri nomi proposti e che il tipo del Chry- somp. dictyospermi descritto da Morgan non corrisponde agli esemplari si- ciliani. Però il Cr. ficus (col nome abbreviato di Asnm.) da molti au- tori, tra cui dal prof. Silvestri, si ritiene sinonimo del Ckr. aonidum L. il quale nome, avrebbe quindi la priorità su tutti. Claus ascrive l' ao- nidum allo Pseudococcus sottogenere del genere Coccus (Zool. descr. pa- gina 588). Dalla figura data dall’ egregio prof. Berlese e riprodotta an- che da Silvestri (Dispense) risulta che è provvisto di parafisi. Ulteriori studi e confronti tanto di altre specie che di varietà, co- me pure l’esame e la lettura di libri che ora mi mancano mi potranno ti, < RAG Aloe AI — 164 — in appresso forse persuadere diversamente; ma allo stato attuale, io non credo biasimevole indicare i nostri esemplari col nome precedentemente da me proposto di Aspidiotus (Chrysomphalus ?) agrumincola e indicare pure con lo stesso nome quelli identici che infestano anche la Califor- nia, i quali, come ho accennato di sopra, secondo l’autorità di un valente entomologo americano sono identici a quelli di Sicilia che io in questa memoria diffusamente ho descritto. Caratteri e Biologia dell’Aphelinus (Prospaphelinus) chry- somphali Garc. Merc. Forma Silvestrii De Greg.—Tav. XIX. XX, XXIII. Prefazione. Nell’Ottohre 1914 pubblicai una mia nota preventiva su un « Nuovo Aphelinus parassita del Chrysomphalus dictyospermi » nei Nuovi Annali di Agricoltura in Palermo. Dissi che non avendo avuto un esito com- pletamente soddisfacente l’irrorazione con le note poltiglie solfocalciche, mi ero dato a tutt'uomo a ricercare se per avventura nei nostri limo- neti più infestati di Crysomphalus si trovasse qualche specie predatrice o parassita di questo, che potesse distruggerlo o per lo meno renderlo meno esiziale. Il risultato del mio studio superò le mie speranze. Dap- prima rinvenni due specie piuttosto benefiche o poi ne ritrovai una che se non lo distrugge interamente, riesce vittoriosamente ad arrestarne lo sviluppo; io credo anzi che presto arriverà a esterminarlo completa- mente. Le prime due specie sono: un coleottero cioè il C'hilocorus bipu- stulatas L. (Grandi Dispense Ent. Agraria di Silvestri, p. 325, f. 1-3) che è un ben noto utile predatore; l’altra specie è un ragno la Lycosa rapida De Greg. di cui parlerò in seguito in apposito paragrafo descrivendo anche un’altra forma affine. Ma queste specie non arrecano che molto limitata utilità e non valgono affatto ad arrestare lo sviluppo e la diffusione. La specie provvidenziale è invece un calcidide, un aphelinus, il quale, come vedremo, vive a spese del chrysomphalus distruggendolo quasi completamente. Come ho di sopra accennato, ho descritto questo importantissimo Aphelinus come nuova specie dedicandola all’illustre professore Silvestri. Però, proprio mentre sto correggendo le bozze di stampa di questo mio lavoro, mi arriva una memorietta molto importante del signor Garcia Mercet: « Un parassito del po/2-r0îg » nella quale è descritto un aphe- linus (A. chrysomphali) il quale è molto somigliante ai nostri esemplari sebbene però non tutti i caratteri confrontino. BERO — Tenute presenti tali differenze e le analogie con altri Aphelinus tra cui principalmente il diaspidis, parmi non si possa identificare. Però è a considerare che la detta specie è stata trovata parassita sullo stesso coccide ed è pure a considerare che il sig. Garcia non figura tutto l’iu- setto ma un’antenna e le ali, quindi mi pare prudente pro-modo consi- derare i nostri esemplari come una forma o varietà della stessa specie salvo a considerarla come specie distinta dopo ulteriori paragoni con esemplari spagnuoli ovvero con figure o descrizioni degli stessi. Certa- mente le differenze esistono e da un lato sarebbe forse preferibile atte- nersi a considerare i nostri esemplari come diversi, perchè altrimenti dovrebbero considerarsi come forme di unica specie anche l'A. diaspidis How. e l'A. aonidiae Garcia Mer. (Los Calcididos parasitos de Coccides, Boll. R. Soc. esp. Hist. Nat. Madrid 1911). Dall'altro lato però nello stato attuale delle conoscenze di tali spe- cie, io considero più prudente attenermi a considerare gli esemplari di Palermo come una varietà speciale o forma della specie deseritta dal sig. Garcia Mercet, che ha il dritto di priorità essendo stata pubblicata nel Boll. Soc. Hist. Nat. Espanola 1912. Sul nome del genere Ap/he/inus e del sottogenere Prospaphelinus. Parmi non vi sia alcun dubbio sull’esattezza del genere Aphelinus, al quale ho riferito i nostri esemplari. Il complesso dei caratteri, tra cui precipuamente la costituzione dell’ antenna e i caratteri delle ali, rendono la determinazione sicura, specialmente il carattere della zona + dell’ala anteriore, nuda di peli, che è molto distintivo di questo genere. Però vi sono taluni caratteri alquanto speciali, che mi pare autorizzino la proposta di un nuovo sottogenere. Questi consistono principalmente nelle papille tubolari subspinose degli occhi che, come lo dimostra la figura 56 (tav. XXIII), sorgono simetricamente in ogni interstizio e che formano una custodia all'occhio; come anche le due setole bifide della parte posteriore dell'addome (una a ciascun lato). Tali due caratteri ri- chiamano molto il genere Prospaltella, Il prof. sig. Silvestri (Dispense, p. 435) dice infatti che il genere Aphelinus ha gli occhi nudi. Per tali ragioni io credetti proporre il sot- togenere di Prospaphelinus nel mio lavoro sopracitato (1914. Nuovo A- phelinus parassita del Chrisompholus, N. An. Agr.). Può darsi che io ab- bia torto, ma se è vero quanto dicono gli autori, ho ragione. Per po- terne essere sicuri bisognerebbe però studiare e confrontare meglio i — 166 — caratteri di altri Aphelinus, il che io non posso fare avendo molti altri studi per mano e non essendo uno specialista. Sul nome della specie (Chrysompha/i Gare. Merc.) e della forma (Silvestrii De Greg.). Leggendo superficialmente la descrizione data del sig. Garcia Mer- cet per l’Aphelinus chrysomphali pare si tratti della stessa nostra spe- cie. Però confrontando i caratteri e precipuamente le figure che egli dà, si scoprono subito le differenze. Le figure, che egli dà, sono tre: l’an- tenna e le due ali. Non può negarsi che l'insieme dei caratteri corri- sponde, ma vi sono differenze notevoli, tanto da giustificare la creazione di una specie nuova; tanto più che tali differenze sono anche maggiori di quelle che corrono tra la detta specie e queile affini. Però, siccome si tratta di una specie con i caratteri biologici identici, parassita della stessa specie, è più prudente considerarla come una forma della mede- sima. A ciò anche m’induce la seguente considerazione : si tratta di un insetto così esile che è facile prendere qualche abbaglio ; le figure poi date dall'autore non sono che tre solamente. Potrebbe darsi che se l’in- setto fosse figurato più ampiamente dal sig. Garcia, si ridurrebbe una maggiore differenza o anche una più probabile identificazione; ma que- sta non è che una mera supposizione. Dirò ora delle precipue differenze osservate tra i miei esemplari e quelli del sig. Garcia, almeno a giudicarne dalle figure. L’antenna ha molte analogie; vi sono differenze che potrebbero in parte dipendere dal disegnatore, ma lo scapo nei nostri esemplari è più angusto e sprovvisto di peli; il penultimo articolo è un po’ più lungo di quello di Garcia. L’estremità della clava di quest’ultimo è meno appuntita, che nei no- stri e quasi mozza. L’ ala anteriore ha pure delle differenze notevoli. I peli ossia aculei nei nostri esemplari sono più rari. Il sig. Garcia Mercet dice che il pterostigma è claviforme; nei nostri non ci è un vero pte- rostigma, ma una semplice curvatura della costa marginale; nella fi- gura che egli ne dà infatti si vede un pterostigma individuato e distinto, mentre nei nostri non esiste che una semplice contorsione della costa. Addippiù nei nostri esemplari esiste in detta ala un rinforzo nell’inizio di essa (dalla parte interna) tortuoso e breve che si vede nella nostra figura 44 tav. XXIV e manca in quella di Mercet. Riguardo poi alla piccola ala cioè alla posteriore, dirò che nei' nostri esemplari (diversamente che nella fig. 3 del sig. Garcia) la costa non alter — decorre sul margine ma come si vede figura 42, 43 dalla parte della concavità della costa si continua l’ala per un tratto senza spine (poli). Inoltre all’ estremità anteriore della costa nei nostri esemplari vi è un pelo o spina più pronunziata degli altri mentre in quello del sig. Garcia vi è un gruppo di peli. Or se si tiene conto delle piccole differenze che separano l’ Ap. chry- somphali dall’A. aoînidiae Garcia e da altri aphelinus, parrebbe dover es- sere autorizzati a riconoscere nei nostri esemplari una specie diversa. Ma per le considerazioni da me precedentemente esposte ritengo pru- dente considerare i nostri esemplari come una varietà o forma, cioè come una varia manifestazione locale della stessa specie). x E una specie ectofaga ovvero endofaga ? Si ritenea da prima che tutti gli Aphelinus fossero endofaghi, però i più distinti dei moderni entomologhi tra cui il valente specialista si- gnor Garcia Mercet ritengono che siano ectofaghi. Di questo parere è pure il prof. Silvestri e me ne ha scritto in proposito. Nella memorietta da me pubblicata (1914 Nuovo Aphelinus N. An. Agric.) dissi che la specie da noi studiata nei primordi mi sembra endofaga e che subito dopo diventi ectofaga. Infatti a me è parso che l’insetto non solo fori il follicolo con il suo ovopositore ma anche la parte superficiale della membrana della pupa e che la larva si nutra primitivamente dalla pupa stessa nella parte superficiale, ma prestissimo s’individui e si tra- sformi in larva eminenentemente ectofaga, la quale invece che interna alla pupa, viva esternamente addossata ad essa e succhiandone grada- tamente gli umori. Io ho esposto tale mia osservazione, la quale è an- che collaborata dal ragionamento, perchè parrebbe quasi inverosimile che possano delle uova così estremamente minute vivere e scovare senza assorbire un alimento e più ancora che le larve appena schiuse pos- sano avere tanta forza da succhiare gli umori della membrana avvol- gente la pupa. Ma ciò non è punto impossibile che avvenga, anzi accade per altre specie; dunque è a escludersi la inverosimiglianza. È questione di fatto. Io non posso asserire con sicurezza quanto dissi e non so con- fermarlo con certezza; ma neppure sono convinto che non avvenga quanto io dissi e solo posso limitarmi a dire che la larva durante quasi tutta la vita è ectofaga, ma che ho dei sospetti, che mi paiono fondati, che nei primordi della sua vita sia endofaga, se non sempre, sovente. A ciò sono condotto dalle osservazioni che qui in seguito farò conoscere — 168 — e anche dal ragionamento, perchè anche non tenendo conto di quanto sopra esposi, riesce difficile a spiegare come possa l’ estremità aguzza dell’ovopositore forare sempre il solo follicolo senza forare la membrana della pupa, la quale vi è annidata e in contatto, e possano le uova essere deposte nello spazio intermedio. Ciò può accadere qualche volta, ma è inverosimile che talora non accada anche che la punta dell’ovopositore penetri anche la membrana della pupa la quale non è più resistente del follicolo ma meno. Ora se un uovo viene deposto dentro la pupa o per meglio dire sotto la sua cu- ticola è verosimile che debba svilupparsi più rapidamente che all’esterno assorbendo gli umori della pupa. Sviluppata la larva, questa deve as- sorbire in breve tempo gli umori della pupa e individuarsi. Negli studi scientifici non è certo utile vagare con il raziocinio, ed è molto preferibile stare alle osservazioni dei fatti. Or attenendomi a queste non posso inconfutabilmente asserire che nei primordi della vita della larva sia questa ectofaga nè che sia en- dofaga. Le molteplici osservazioni mi hanno però dato indizio che nei primordi sia endofaga, se non sempre, sovente. Ma non sono osserva- zioni di cui ho completa sicurezza, le esporrò qui appresso dando anche delle figure. Però anche ammesso che ciò avvenga, bisogna dire che durante tutto o quasi tutto il corso della vita questa specie è indub- biamente ectofaga. Devo ‘aggiungere a corroborare quanto ho detto che ho osservato migliaia di larve libere addossate alle pupe e succhianti le pupe e quindi ectofaghe; però tali larve erano tutte di una dimensione relativamente rimarchevole, per quanto minuta, e che le pupe erano in buona parte corrose ; ma anche con potenti microscopi non ho osservato mai delle larve piccolissime nei primordi della vita addossate alle pupe. Spero nell’anno prossimo continuare le mie osservazioni per poter giudicare in modo sicuro in proposito. Dirò adesso delle osservazioni alle quali ho superiormente fatto al- lusione. Mi è accaduto di osservare qualche rara pupa con un’enfiagione bianchiccia o per meglio dire con una zona ovale allungata ellissoide nella quale il liquido interno citrino ha un colore un po’ più chiaro del resto della pupa e la superficie esterna più lucida. La fig. 1 (tav. XIX) riproduce tale fenomeno, come anche la fig. 2 della stessa tavola e la fig. 5. Ciò mi ha dato il sospetto che si tratti di una larva che si stia sviluppando e individuando, senza averne però la certezza, perchè avendo assoggettato la pupa a trattamenti chimici e coloranti non ho potuto — 169 — fare attendibili constatazioni. La fig. 6 mostra una larva addossata alla pupa, larva non completamente sviluppata che non ho potuto staccare dalla pupa. Un fatto di una grande importanza è riprodotto dalla fig. 4 della tav. XIX. La detta figura riproduce una pupa sulla quale vi è una spe- cie di squarciatura, dentro la quale si vede una specie di grossa cellula piriforme, da un lato appuntita. In detta estremità appuntita vi è una specie di piccolissima cellula ellittica, dentro la quale vi è un. corpic- ciolo scuro, il quale è in continuo movimento e fa un andirivieni con- tinuo e incessante da un’estremità all'altra di detta piccola cellula. Que- sto fenomeno è reso ancor più visibile dalla figura 3, la quale ripro- duce con fortissimo ingrandimento la cellula piriforme, di cui ho parlato, portante ad un'estremità la piccola cellula ellittica, dentro alla quale si muove il corpicciolo scuro. Un atto fatto di grande importanza è riprodotto dalla fig. 12 (ta- vola XIX). Mi pare evidente che indichi una larva di Aphelinus sviluppata dentro una pupa. L’ esemplare riprodotto visto sotto il microscopio di- mostra continue contrazioni. Il colore è giallo citrino, se non che la parte anteriore è più chiara in una zona ben limitata come avviene in tutte le larve dell’Aphelinus da noi di seguito descritte Tale corpo ha delle contrazioni, pure come le hanno queste. I fatti più rilevanti sono due: la detta larva ha posteriormente un resto dell’antico pigidio deformato e porta sul dorso ancora lo stelo fissatoio dell’ antica pupa del chrysom- dhalus il quale è composto di due diramazioni di cui una bifida ana- logamente alla figura della pupa del chrysomphalus come nella tav. XVI. Io credo che questi fenomeni non si possano spiegare altrimenti che con l’ammettere che la larva dell'Aphelinus si sia sviluppata dentro la pupa del Chrysomphalus e che non si sia ancora completamente sbarazzata dei resti della vecchia pupa. Dai fatti sopra osservati parmi bisogna trarne che la larva dell’Aphelinus nei primordi di sua vita, se non è sempre endofaga, lo è però qualche volta. Larva. Ho notato nel precedente paragrafo taluni fatti rari o anormali da me osservati , dirò ora della larva, la quale potrebbe forse dirsi pseu- dolarva, perchè non ha dei caratteri delle larve consuete, ma ha dei caratteri affatto peculiari e istruttivi. Si presenta essa come una cellula ovale che ha continue contrazioni, specialmente quando si tocca. Occorre Il Nat. Sic., Anno — XXII Nuova Serie, Vol. II. 22 — 170 — naturalmente il microscopio per distinguerle. Essa resta attaccata alla pupa del crysomphalus siffattamente che pare quasi formi unico corpo con essa, È visibile principalmente per il colorito meno giallo e più bianchiccio e per la lucentezza della superficie. Si può distaccare con garbo dalla vecchia pupa che essa continua a succhiare aderendovi. Distaccata e isolata può continuare a vivere più o meno a lungo, an- che per più di un giorno a nudo sul vetrino del microscopio. Però na- turalmente sì per la mancanza di alimento sì per l’ evaporazione delle sostanze, tende naturalmente a disseccarsi e a perire; perchè non è più protetta dal follicolo, nè può più attingere nulla dalla trasudazione delle foglie o dalla pupa. Però se la larva era già innanzi nello sviluppo, quando fu distaccata dalla sua dimora, può anche vivere isolata e può iniziare la trasformazione in pupa come io ho constatato sotto il microscopio seguendone durante tre giorni la lenta trasformazione. La figura 7 mostra una larva attaccata alla pupa e in parte di- staccata. Le figure 8 e 9 della stessa tavola XIX mostrano una larva che ho io distaccata dalla pupa (9)la quale è già in gran parte corrosa. La larva offre dei fenomeni degni di molto interesse, subendo gra- datamente delle modificazioni che si possono seguire con il microscopio, ripetendo le osservazioni più volte durante ii giorno. Si presenta prima in forma di una grossa cellula ovoidale piena di un liquido bianco-gial- lastro di colore meno carico di quello della pupa ma molto simile. Suc. cessivamente il liquido più bianco si circoserive anteriormente con una specie di protuberanza delimitata abbastanza come nelle figure 8, 10, 18 e 20 (tav. XIX). La sostanza interna meno chiara che si trova all’interno, ha delle fluttuazioni e presto si dirama per tutto l’interno, formando degli anelli o segmenti. È molto interessante studiare al microscopio tale fenomeno. La larva si contrae continuamente, ma limitatamente. I segmenti si formano per l’addensamento della sostanza, ma non in modo stabile; pare quasi che si formino e si dissolvino o per lo meno si modifichino considerevolmente. È meraviglioso seguire i movimenti di questa materia, che tende misteriosamente a disporsi in un dato modo speciale e simetrico. Le figure 15, 16, 17, 19 (bis in giù), 23, mostrano tale fenomeno. Qualche volta gli anelli acquistano una larghezza rela- tivamente maggiore (f. 17), qualche volta sono più densi. Gli anelli, os- sia i segmenti, successivamente vanno obliterandosi, mentre la sostanza interna pare si faccia omogenea e scompariscono; talora restano visibili ancora verso la periferie f. 21 (tav. XIX). La fig. 14 rappresenta una — 171 — base successiva dello stesso individuo figurato (fig. 15) dopo pochi giorni. Della fase di sviluppo successivo si può avere anche un’idea dalle fi- gure 18, 19 bis, 20, tutte vicine nella stessa tavola dalle quali la prima rappresenta una larva staccata dalla pupa, la 19 la stessa dopo 12 ore, la f. 20 la stessa dopo tre giorni. Dissi che la larva è ovoidale, e da un’ estremità si fa un po’ più bianchiccia; da tal parte si formerà poi la testa della pupa e poi la testa della larva. L’altra parte invece si fa conoide più angusta e pro- venienfe e corrisponde alla parte anale della larva. È appunto da detta estremità anale che vengono emessi i cacarelli. La sostanza eliminata ha una forma rigorosamente ellittica ovoidale, un colorito giallo-scuro quasi seppia o anche nerastro; per lo più proprio color seppia. Io dap- prima nel ritrovare sotto dei follicoli vuoti questi corpiccioli ovoidali nerastri, non sapevo a cosa attribuirli, nè potevo immaginare che fos. sero dei cacarelli. Ma ebbi poi a esaminare degli individui (Come quello figurato (fig. 15 tav. XIX) nell’atto di emettere un cacarello, così anche l’individuo riprodotto dalla fig. 19 bis. I cacarelli, come appunto in que- sta figura, rimangono presso la larva e successivamente anche da presso pupa (tav. XX. fig. 29) e dopo formatosi l’ insetto e volato via, riman- gono sotto il follicolo ove questo permane. I cacarelli si vedono talora in trasparenza anche dentro la larva sotto il microscopio, dalla parte posteriore. Il foro anale è piccolissimo e invisibile però con la compres- sione del cacarello si apre e acquista una sufficiente distensione per dare uscita ad esso. Le continue contrazioni della larva parmi sieno precisamente causate dal bisogno e dallo sforzo per eliminare la sostanza di rifiuto. La sostanza che è più scura del resto del liquido che è con- tenuto nell’animale e che è concentrata nella parte mediana, si va a poco a poco individuando in cacarelli che vengono successivamente eli- minati. La detta estremità anale è semplice, conica, sublevigata, e però con fortissimo ingrandimento mi è riuscito in qualche raro esemplare di distinguere qualche piccolissima papilla. Di queste nella fig. 18 se ne vedono due; nella fig. 17 se ne vedono 4 due a lato. Ora siccome la larva guardata da varie parti e rivoltata ne lascia vedere sempre due a lato, mi nasce la supposizione che tali anguste pa- pille debbano essere numerose ed essere disposte in due cerchi concen- trici come la figura schematica f. 18 (tav. XIX), se no non si potrebbe spiegare il fatto sopra notato, cioè che girando la larva si vedano sem- pre quattro appendicette. Questo fenomeno non l’ ho osservato che in un esemplare. Dalla parte della testa invece non si trovano appendi- — 172 — cette. Solo in un esemplare (tav. XIX, f. 19. bis) si vedono due appen: dicette antero-laterali che parrebbero due occhi. Può darsi però che ciò si debba attribuire a piccole escrescenze accidentali. Infatti guardando il contorno cioè il lembo con forte microscopio si vede che la super- ficie, che sembrava levigata, non lo è. Si notano infatti delle lievi ru- gosità e anche talora delle appendicette irregolari e minutissime. Ag- giungo infine che la parte cefalica rimane per lo più inalterata durante le contrazioni. Però qualche rara volta mi è accaduto di vedere che dalla detta parte la. pupa si contrae in dentro, In tal caso si mostra la larva come avente anteriormente una depressione conica-concava crateriforme. Ciò però avviene temporaneamente e tosto si riforma la. prominenza come nella f. 18 e le altre. Ora nasce una questione alla quale non so .per ora rispondere. Come si nutre la larva e come assorbe i succhi della pupa ? È forse per l’aderenza e indistintamente attraverso la superficie dell’ animale ovvero essa succhia da un determinato sito ? Verosimilmente parrebbe naturale che ciò accadesse dalla parte cefalica e che precisamente eser- citasse un’ azione come di ventosa analogamente al fatto ora segnalato degli individui 22, 23. Ma io non posso punto asserirlo perchè non l’ho constatato. Io ho solo osservato tali contrazioni in due soli esemplari (fig. 22, 23) tra le migliaia di esemplari studiati. Quindi non posso dare con sicurezza il mio giudizio. Esaminando però la parte cefalica non ho potuto discernere nessun carattere nè alcun fenomeno che mi desse indizio di una possibile azione di succhiamento tranne il fatto superiormente descritto a proposito de- gli esemplari 22, 23. Devo però notare, iu contradizione a questa sup- posizione, che se così fosse, le larve dovrebbero aderire alla pupa per la parte anteriore ; invece si trovano per lo più situate come le fi- gure 8, 9 in cui la fig. 9 rappresenta la pupa cioè per lungo, ovvero come la f. 2 cioè trasversalmente. Dunque pare doversene inferire che l’assorbimento avvenga attraverso la membrana avviluppante. Tale azione deve in ogni modo essere determinata dalle contrazioni dell’ individuo che aderendo alla pupa e distaccandosene un pochino per certe parti, eserciti l’azione come di ventosa determinando la trasudazione delle sostanze interne. Sono queste però delle semplici probabili congetture; occorrono ulteriori osservazioni di controllo. Devo però aggiungere, an- che a prova di quanto ho detto, che sebbene la superficie della larva appare di consueto molto levigata, quando si sottopone a. fortissimi in- grandimenti (1000 diametri) ho osservato che si notano qua e là delle — 173 — irregolari minute appendici sporgenti che potrebbero essere ‘effetto di tale trazione ovvero anche collaborare al succhiamento. Nell’esemplare f. 19 (tav. XIX) se ne vedono due anteriormente simetricamente dispo- ste quasi fossero due occhi rudimentali, contrattili. Ma in nessuno altro esemplare li ho osservato; bensì, come ho detto ho scoverto qualche appendice irregolare molto esile disseminata sulla superficie, Passerò ora in rivista gli altri esemplari figurati nella tavola XIX dei quali del resto ho già fatto cenno superiormente dandone altri rag- guagli: La fig. 10 rappresenta una larva appena distaccata dalla pupa; : è bianchiccia con sostanza gialla addensata nel mezzo; mostra ad una estremità una globosità limitata da una linea, la quale verrà a for- mare la parte cefalica della futura pupa, tale parte è più bianchiccia del resto; la sostanza giallastra interna si muove continuamente e tende a disporsi ad anelli. L’ esemplare figurato 13 ha forti contrazioni, è pure giovanissimo forse ancora più giovane del 12; dubita che per esso si debba supporre quanto esposi precedentemente a proposito dell’esemplare 12. La fig. 15 mostra una larva nell’atto di emettere un cacarello. Essa fa molti sforzi per cacciarlo fuori. I cacarelli sono ovoidali, regolari, con la estremità un poco appuntita. Talora ad una estremità hanno come un breve piccolo filo che è costituito da sostanza esile accumu- lata; talora sono emessi regolarmente e quasi a catena. Le zone sono costituite da segmenti di sostanza subfluida attenuata bianca e scura; ciò però a guardarsi in trasparenza al microscopio; tali zone sono circa dieci. Le figure 16, 17 rappresentano due larve con contrazioni e con segmenti. La loro forma varia secondo le contrazioni e le fasi di svi- luppo. Nella figura 16 si nota anteriormente (cioè al basso della figura ove è il sito della testa un cerchietto. L’esemplare (f. 18) è interessante perchè all’estremità anale ha due piccolissime appendicette laterali una a lato simetricamente poste, il che non ho osservato in altri esemplari. Però, come ho detto di sopra, av- viene che con forte ingrandimento si distingua qua e là sulla superficie della larva qualche tenue appendice o prominenza irregolare. Dell’ esemplare (fig. 17) ho detto precedentemente che è rimarche- vole per avere le appendicette attorno ad un’ estremità’ disposte sime- tricamente. Esse pare debbano essere disposte come la figura schema- tica 18. Tale esemplare è pure rimarchevole per avere gli anelli (seg- menti) più larghi che di consueto. — 174 — Le figure 18-20 (tav. XIX) sono molto istruttive; esse rappresentano le varie fasi di sviluppo dalla stessa larva; la figura 18 rappresenta il primo stadio dopo distaccata dalla pupa; la larva ha della materia gialla densa concentrata nella parte mediana. Si vedono tracce lievi di seg- menti in formazioni e si vede il liquido più bianchiccio concentrarsi ove deve formarsi il capo. La figura 19 bis (che è allato della figura 18) rappresenta lo stesso individuo dopo 12 ore. Ha desso emesso molti cacherelli; si osserva che si sono formati molti anelli o per meglio dire che la materia interna si è disposta più o meno regolarmente ad anelli. La materia densa centrale si va elaborando: una parte serve per gli anelli, una parte viene espulsa coi cacarelli. L’espulsione di questi continua, sparisce la materia densa centrale e vanno anche sparendo gli anelli e dopo tre giorni la larva acquista un aspetto omogeneo come la figura 20. Degli esemplari rappresentati dalle figure 22,23 ho detto di sopra. L'esemplare fig. 21 è molto rimarchevole, perchè gli anelli in esso assumono ai margini l’aspetto di lobi abbastanza grossi e distanziati; è rimarchevole altresì perchè l’estremità anale è più stretta e più acuta che di ordinario ed è pure segmentata. Osservandolo buona pezza al microscopio, ho visto che emetteva dei cacarelli. Pupa. La trasformazione della larva in pupa avviene piuttosto rapida- mente. Esaminerò di seguito vari individui in diverse fasi di sviluppo. Devo però avvertire che non tutti i caratteri sono visibili a guardarsi dal di sopra, anche con forte ingrandimento. Occorre una forte illumi- nazione attraverso la pupa stessa per potere in trasparenza vedere i mutamenti e le vicissitudini dei caratteri interni. Ho quindi seguito lo stesso metodo che nello studio della pupa del CArysomphalus. Sebbene non possa rigorosamente considerarsi alcuna fase nella evo- luzione della pupa, perchè questa continuamente si modifica, pure io così, per semplicità, distinguo quattro fasi. Nella prima non si vedono punto gli ccchi, nella seconda si distinguono le macchie scure che for- meranno gli occhi, nella terza si vedono gli ocelli rossi, nella quarta si notano già le ali. Gli esemplari fig. 24-26 (tav. XX) rappresentano la prima fase. L’e- semplare fig. 24 segna la prima fase. Si vede la testa in certo modo abozzata; tutta la pupa è circuita di un orlo da cui poi s'individueranno LT le antenne, gli arti, le ali. L’ estremità posteriore finisce in due picco- lissime punte che limitano una piccola infossatura triangolare. Poste- riormente tra il margine e l’orlo si vedono piccole interruzioni come di traforazioni. Tale carattere si riscontra non di rado anche in altre fasi; credo ciò dipenda dal distacco parziale di sostanza che tende a formare gli arti. L'esemplare fig. 25 è notevole perchè in trasparenza mostra un di- segno simetrico come risulta dal disegno. L’ esemplare 26 mostra una linea simetrica con un lobo centrale. La seconda fase è rappresentata dalle figure 27-29. In tutte e tre gl’ individui si vedono benissimo le macchie scure oculari. L’ esem- plare 27 è più breve, più tozzo e posteriormente più conico. L'esemplare f. 28, visto in trasparenza, mostra dei segni e delle macchie simetriche. L’orlo anteriore laterale della testa darà origine all’antenna, gli orli la- terali del torace e dell'addome agli arti e alle ali. Si nota la parte po- steriore genitale appuntita. L’ esemplare 29 (al di cui fianco ancora si vedono gli antichi cacarelli della larva) mostra posteriormente ai fian- chi delle soluzioni di continuità e aderenze all’orlo indicanti un avviato procedimento. La figura 30 rappresenta un follicolo visto di sotto con entro una pupa di Aphelinus nella seconda fase con i resti degli antichi cacarelli della larva. La terza fase è rappresentata dagli esemplari fig. 31, 33, di cui il primo è notevole non solo per gli ocelli già visibili, ma per un disegno interno visto in trasparenza. Si vedono gli arti distinti uno dall’ altro, tozzi cilindrici, come se fossero avvolti in una membrana. L’ultima fase cioè la quarta è rappresentata dall’esemplare 32, nel quale si vede già l’insetto quasi costituito. Già fin dalla 3? fase si vede l’insetto ritrarsi dalla parte posteriore dando luogo alla formazione delle ali, ma questo fenomeno è ancora più pronunziato nella quarta fase. Le antenne si mostrano come un’unica ripiegatura che contorna il capo la quale poi si scinde. È strano che mentre nell’ esemplare 32 si vede un prolungamento dell’addome abbastanza pronunziato e cilindrifor me, nell’esemplare 31 non è visibile. Tali diversità dipendono non solo da fase di sviluppo, ma da di- versità di esemplare ad esemplare e anche talora da effetti di illumi- nazione, perchè infatti si tratta di esemplari microscopici illuminati per traverso in un modo o in un altro. Una questione importante devo chiarire , per la quale ho dovuto Pe r a e 4 "Ob dA TO — studiare molto. L’Aphelinus depone le uova solo dentro i follicoli fem- minili ovvero nei maschili ? Dalle mie lunghe e minuziose ‘osservazioni inconfutabilmente risulta che se per regola generale esso si sviluppa nei follicoli femminili parassitando le rispettive pupe del chrysomphalus fe- mina, si trova talvolta indubbiamente anche nei follicoli maschili. Le pupe fig. 25, 33 (tav. XX) sono appunto da me trovate dentro a follicoli sicuramente maschili. Insetto perfetto. Io non posso qui descrivere che l’insetto femina, perchè finora non ho potuto trovare il maschio. L’insetto adunque ha una forma abba- stanza elegante; è di forma bislunga subcilindroide, di colore citrino. È lungo circa un millimetro. Salta rapidamente da un punto all’altro della foglia quando si tocca ovvero salta e quindi vola via. Cammina piut- tosto velocemente ma non eccessivamente. Per lo più non fa che correre da un follicolo all’ altro, lo tasta, l’osserva e passa avanti, forse per convincersi se contiene una pupa di chrysomphalus atta ad essere parassitata. Quando si convince dell’ op- portunità, vi sì ferma e configge l’ovopositore sul follicolo per deporre uno o due uova all’interno. Come io ho detto, gli autori ritengono che l’uovo sia deposto sotto il follicolo e sopra la pupa ma non dentro la pupa. Dalle osservazioni mie che ho diffusamente esposto di sopra risulta che (se non sempre) avviene però che talora sieno deposte dentro la pupa stessa. Però la larva, se anche è endofaga nei primordi, poi diventa ectofaga. Ma su ciò ho sufficientemente parlato. La deposizione dell’ uovo dura pochi se- condi forse circa venti secondi o meno, e subito l’ insetto si avvia per altro follicolo. Esso non depone che uno o al più due uova, più di so- vente uno; infatti in un follicolo si trova per lo più una sola larva o al più due mai ne ho trovato più di due. Dissi che il colore è giallo citrino. È questo un carattere costante che ho riscontrato in migliaia di esemplari. Ho visto però qualche rarissima volta qualche esemplare isolato di tinta un po’ cinerea, ma non l’ho potuto carpire perchè mi è sfuggito. Non so quindi se si tratti di varietà o specie diversa ; più probabilmente si tratta di rarissima varietà, della quale non posso quindi qui parlare. Il capo è ellittico globoso come la figura 34, tav. XX, però talora viene retratto in modo che il collo non si vede e viene ad acquistare hi . Nic ? in DS DOTTI — un aspetto come la fig. 40 tav. XXIII quasi fosse in continuazione con il torace. Visto dalla parte della bocca, un po’ a sghembo appare qua- drato globoso come la fig. 39 (tav. XXIII) Dalla parte interna, cioè dalla prospiciente il torace, è subpianeggiante alquanto concavo e guar- dato con fortissimo ingrandimento si mostra ornato di striature come nella figura 41; tali striature sono simetricamente disposte attorno alla parte d’inserzione con il torace; dall’ angolo dello spigolo si dipartono sei peli, tre a lato come nella citata figura. Il capo, guardato dal dorso e di fianco con forte ingrandimento, si addimostra ornato di qualche raro piccolo pelo, come nella figura 40, tav. XXIII. Sull’orlo periferico dell'angolo antefiore del dorso, col microscopio si vede che è ornato di una serie di piccoli peli situati in senso inverso cioè curvi alternativamente come nella figura 39: i quali, forse per tale disposizione, paiono bifidi. Talora veramente paiono incrociati, qualehe volta paiono realmente bi- fidi. Esaminando sempre un fortissimo ingrandimento l'angolo del capo a fianco delle antenne dal dorso, si vede che in prossimità alle antenne, tra esse e gli occhi si trovano due peli corti piuttosto grossi rivolti in fuori come nella figura 38. Tale presenza e disposizione di peli la ho riscontrata in molteplici esemplari. Però devo aggiungere che qualche volta ho osservato delle variazioni. Devo poi aggiungere che tale os- servazione è molto difficile atteso la grande piccolezza dell’ animale (che richiede fortissimi ingrandimenti al microscopio) e il calorico uni- forme che ne difficilita la visione. Gli occhi sono grandissimi, multipli e si vedono da tutti i lati, per chè sono situati agli angoli anteriori e si estendono in su in giù e di lato, sicchè sono visibili da ogni parte. Sono essi formati di un gran- dissimo numero di piccoli occhietti come di consueto. È interessante os- servare che il colore degli occhi ha diverso effetto a secondo la luce, l'ingrandimento e secondo il senso del come s’intraguardano. Ora ap- paiono come macchie nere, ora come macchie color seppia, ora come macchie scereziate giallastre. In generale, quando si guardano di pro- spetto, di poco differiscono del colore citrino del resto dell'animale; ma guardandoli di sghembo appaiono scuri, nerastri; guardati con fortis- simo ingrandimento appaiono’ rossastri. Occorre una lunga e accurata osservazione per formarsi un’idea esatta del come sono essi formati e composti. Gli occhietti sono numerosissimi: ogni occhio ne contiene per lo meno 9 serie di 12, cioè per lo meno un centinaio. Essi sono disposti in serie alternata; hanno una forma rotonda con tendenza spiccata allà forma esagonale, come la figura 56 (tav. XXIII). Il Nat. Sic., Anno XXII.—Nuova Serie, Vol. II. 23 — 178 — È interessantissimo osservare che nel mezzo di ogni interstizio vi è un’appendicetta a forma di pelo o piuttosto a forma di papilla tubu- losa, eretta, molto prominente di colore bianchiccia. Tali appendici erette riflettono molto la luce e sotto il microscopio appaiono lucenti. Gli oc- chietti appaiono scuri quando si guardino un po’ di traverso e io du- bito che ciò dipenda in parte dall’ ombra. Gl’ interstizi sono citrini. I peli papillosi sono bianchicci citrini. Gli ocelli sono tre come di consueto situati triangolarmente sul dorso anteriore del corpo, simetricamente, coincidendo quello anteriore con la linea mediana delle antenne. Sono molto eleganti, di colore giallo- rossastro, ma più tendenti al rosso che al giallo. Io non so se per azione di riflesso della luce, ma mi è sembrato, a guardarli con forte ingran- dimento, che nel centro di essi vi sia un punto nero. Nell’ ocello ante- riore di un individuo mi è parso che invece di un punto nero si scor- gessero due punti neri. Sono queste osservazioni troppo delicate ed è facile rimanere ingannati dalle varie azioni della luce; tanto più che (come ho osservato parlando degli occhi multipli) al microscopio i pic- coli fori visti di fianco appaiono neri. A ciò contribuisce questo fatto, che per osservare bene tali caratteri è necessario un fortissimo ingran- dimento e trattandosi di un corpo opaco occorre un forte fascio di luce di trasverso per le relative osservazioni, per ottenére il quale ho do- vuto far uso di lenti convergenti. Le antenne sono rimarchevolissime, impiantate presso la bocca; sono composte di 6 articoli compreso lo scapo. Questo è relativamente sottile e abbastanza allungato, in parte resta in contatto con il capo, perchè è impiantato in giù non lontano della bocca, mentre poi le antenne si dispiegano in su e come di consueto ad angolo divergente. Il pedi- cello è molto più grosso e molto più corto dello scapo; è subcilindroide. Il funicolo è composto di quattro articoli due dei quali formano la clava. I due primi articoli sono brevi e subglobosi. Il terzo è più grosso e più bislungo dei due primi; esso è più unito all'ultimo che al terz’ ultimo) infatti è il terzo e il quarto i quali formano la clava; la divisione tra loro è talora quasi confusa come nella figura 43. In detta figura si vede che i due articoli mediani del funicolo hanno sovente un diametro un pochino minore. La clava è bislunga formata dei due ultimi articoli, l’ultimo è più grosso del penultimo ed è circa il doppio in lunghezza. Tutta l’antenna è cosparsa di aculei in forma di scagliette inbricate le quali sono numerosissime e talora così appoggiate l’una all'altra da quasi celare la presenza degli articoli. Tali caratteri dell'antenna sono visibili ‘TRANI I, — 179 — nelle nostre figure (tav. XX, f. 34, tav. XXIII, f. 38-41), ma principal- mente dalla fig. 45. L’antenna è relativamente robusta e un pochino tozza; non è facile ad osservarsi, perchè l’ animale nel morire, per lo più la contrae e contorce in modo da non potersi più riconoscere. Importante , ma molto difficile, è osservare la bocca dell’ animale atteso la estrema piccolezza e la difficoltà a osservarla con il micro- scopio, essendo un corpo opaco, ed essendo l’animale esilissimo, e quasi evanescente. Io sono riuscito ad osservarla e ne do un disegno (tavo- la XX, f. 37) che mi pare piuttosto fedele, ma non so se sufficiente- mente esatto; in giù si vede il labbro di color citrino, piuttosto promi- nente che è finito in queste prominenze triangolari. Lateralmente si ve- dono due appendici per lato, cioè quattro in tutto. Sono esse di un bel rosso, sono retrattili, e mobili, subcilindriche , piuttosto solide, le quali sì raggiungono reciprocamente quasi ingranandosi. Io non so con sicu- rezza se alla base siano unite due a due in modo da potersi conside- rare due bifide o quattro isolate il che è il più probabile. Io credo che siano veri organi di masticazione e non semplici palpi; ma potrebbe taluno considerarli come tali. A me paiono quattro piccole mandibo- lette; ma io non sono punto un entomologo di professione e potrei an- che ingannarmi. Io per tali li notai nel mio opuscoletto preliminare. (Nuovo Aphelinus). Il torace e l'addome non hanno una distinzione speciale, formano una continuità cilindroide dello stesso colore. Guardando sempre con forte ingrandimento si nota qualche raro pelo sul dorso; più di sovente sono disposti i peli come nella fig. 34 (tav. XX) tre a lato dalla parte prospiciente la testa dei quali il pelo più vicino al collo è più breve degli altri; sul dorso si vedono quattro peli come nella citata figura. L’addome posteriormente è conoide e finisce in punta, cioè nell’ovopo- sitore, la estremità del quale è breve ma acutissima a forma di freccia. Lateralmente posteriormente è provvisto di due lunghe setole per lo più bifide simili a quelle di talune Prospaltella. Questo carattere si vede tanto nella fig. 34 che nelle figure 35, 36. Presso l’estremità dell’ovopositore, ma non proprio alla punta, un po’ dietro di questa, si trovano quattro pic- coli peli, due a lato come si può constatare sulle figure 35 36. In quello di questi due esemplari rappresentato dalla figura 36 sono inoltre 4 peli a lato, nell’esemplare 35 ve ne ha di più. Questo non è un carattere costante, perchè infatti in un altro esemplare (fig. 55, tav. 23) molto ingrandito se ne trovano tre a lato e non ve ne bha alcuno vicino l’ e- stremità. — 180 — Guardando l’addome attentamente e con forte ingrandimento e in trasparenza, cioè con illuminazione di sotto, si osserva l’interna struttura. L’esemplare f. 35 (tav: XX) lascia vedere una specie di fascia o canale mediano, decorrente sino all'estremità dell’ovopositore e di segni lineari a guisa di fili paralleli trasversi subregolari (circa 12). L’ esemplare fi- gura 36 ha lo stesso canale mediano fiancheggiato pure da fili lineari, però in maggior numero del primo. Paiono essi dei rinforzi o sostegni del canale che corrisponde all’ovopositore. Addippiù si nota una figura delineata da una linea trasversa rimarchevole, finita e. congiungentesi all'estremità precisamente con due linee, una a lato, ciascuna delle quali poi si biforca. Pare che tali linee sieno come di rinforzo al canale cen- trale. Devo far conoscere un fatto di molta importanza che è riprodotto dalla f. 55, tav. XXIII. Ho messo sul vetrino del microscopio un insetto che avea subito una piccola compressione e parea un po’ schiacciato ma ancora ben vivo. Ora osservai un fatto strano. Ad ogni breve intervallo di tempo emetteva costantemente un uovo. Le uova erano legate tra loro da una specie di filamento mucoso, in modo di prendere l’ aspetto di una pic- cola catena a rosario, all’estremità della quale si vedea una minutissima punta a lancia, forse stata disvelta dall’ovopositore per la compressione subìta. Durante circa dieci minuti primi continuò incessante l'emissione delle uova. Devo aggiungere che l’estremità dell’ovopositore si mostrava con due punte un pochino divergenti; forse dipendea ciò dallo schiac- ciamento che è la cosa più facile, ovvero anche da un fenomeno con- nesso all'emissione delle uova. Le ali sono quanto mai caratteristiche, sono ialine, trasparenti, for- mate da una membrana estremamente delicata. Le due ali anteriori, quando l’animale cammina, coprono interamente l’animale e celano le due alette posteriori completamente, come nella f. 34 (tav. XX) e f. 40 (tav. XXIII) Però, guardando l’animale con una forte lente, si vedono trasparire le ali posteriori. Le ali grandi anteriori sono ovato-oblunghe cosparse di piccoli aculei o piccole setoline che nel punto d’impianto hanno una base un po’ slargata a guisa di un punto nero di diametro maggiore. Tali aculei sono disposti in serie piuttosto irregolari; mancano però in una zona trasversa corrispondente alla ripiegatura della vena marginale come in tutti gli Aphelinus. Inoltre vi è una serie di aculei più angusti disposti in unica fila parallelamente al margine e molto ravvicinati tra loro. Tale fila di acu- LÌ — 181 — \ lei non è impiantata nel margine ma un po’ internamente secondo è esattamente disegnata nella nostra figura 44 (tav. XXIII). Tale fila di aculei vista con ingrandimento non fortissimo , ha l’ apparenza di una costoletta; ma con un forte ingrandimento si vede che manca di costa, tranne sino alla zona nuda, ove come diremo in appresso , esiste una costa. Devo aggiungere però che tra la detta fila e il margine esiste una leggera nubecola giallastra che è poco discernibile e che sì arresta prima di arrivare là ove si assottiglia l'ala. Tale nubecola è tenuissima e spesso quasi non si vede affatto, neppure con forte ingrandimento. La fila di aculei, di cui ho detto di sopra, nella parte più stretta dell’ ala cede posto ad una specie di costoletta sinuosa, formata da due lineette nere tortuose che paiono due veno nervi. Dal lato esterno invece presso il margine nella prima porzione dell’ala, esiste un ispessimento che è li- mitato da due linee piuttosto scure e ornato di aculei che formano un filare in continuazione a quello di sopra descritto e ve ne ha anche un secondo di aculei meno sviluppati e volto all’interno. Tale ispessimento costituisce una vera costa e serve come tale per dare solidità all’ala e forse anche come vena per dare ad essa vitalità. Tale costa finisce bru- scamente distaccandosi dal margine e volgendosi un po’ verso l’interno dell'ala e precisamente ove è la zona nuda di aculei. Ciò si vede bene nella citata figura. La detta costa, dalla parte del principio dell’ ala, cioè ove più si restringe, dà luogo ad una specie di corda spirale che forma come tanti cerchietti moniliformi decrescenti. Le ali posteriori o piccole ali hanno una struttura simile, ma una forma molto diversa, che io non descrivo riportandomi alla figura; sono molto più anguste e lanceolate come nella figura 42 (tav. XXIII) Sono come le anteriori cosparse ugualmente di aculei che sono pure slargati all'impianto. Dal lato ove il margine è convesso, hanno un filare di aculei molto lunghi a forma di setole, i quali non si dipartono dall’e- stremità dell’ orlo del margine, ma da una linea prossima ad esso. Il margine, dal lato ove è convesso, è semplice e lineare. È pure lineare e pure orlato di aculei nella parte anteriore dell’altro lato; ciò però fino all'angolo mediano. In questo si trova un anello un po’ più marcato degli altri. Segue un ispessimento a forma di costa abbastanza notevole che è tortuosa e caratteristica quanto mai. 'l'ale costa nella. parte con- cava s’interna, nell’ala lasciando il margine il quale si torna a vedere; esso ivi è reso palese dall’orlo che sembra un filo isolato perchè in tale intervallo non vi sono aculei. Tale importante carattere si vede nelle nostre figure 42, 43 (tav. XXIII). La costa alla estremità della contor- — 182 — sione ha un aculeo molto più grosso e tozzo come nelle figure ora citate. Guardando la costa con fortissimo ingrandimento si osserva che dalla parte posteriore è inunita di spazietti bianchi in mezzo, come di piccoli vani trasparenti limitati da una specie di linea nera che forma come una vena centrale; tale porzione nella parte più stretta dell’ala cambia di struttura dando luogo ad una porzione più chiara e meno spessa in cui si vede una corda rettamente spirale come un solenoide da un lato, e dall’ altro una, formata di un filare di punti. Ciò si vede bene nella figura 43 (tav. XXIII). Le zampe sono piuttosto lunghe e robuste. Si vede nella figura 3 (tav. XX) 40 (tav. XXIII) e meglio ancora fig. 46,47,48. L’anca è molto breve, quella della zampa posteriore è un poco più robusta di quella delle altre; non si vedono aculei. !l troncatere è brevissimo; mi è parso che sia più breve nella zampa posteriore che nelle altre è pure nudo come l’anca. La coscia è abbastanza robusta specialmente nella zampa poste- riore; è provvista dalla parte convessa di aculei scariosi; questi però non si vedono che nel detto lato solamente. La gamba è più lunga della coscia e tutta quanta coperta dai vari lati di piccoli aculei scariosi. Alla giuntura di essa con il tarso è situato posteriormente lo sprone il quale è pure coverto di aculei scariosi; lo sprone della zampa mediana- è un po’ più allungato di quello delle altre ; lo sprone della zampa an- teriore è un po curvo ad uncino, ma questo carattere non è molto pro- nunziato e non in tutti gli esemplari si osserva. Il terzo offre la mag- giore difficoltà a studiarsi. È desso cilindroide tutto interamente coverto di aculei squamoso-imbricati. In generale non è possibile discernere al- cuna articolazione; le scagliette, che lo ricoprono, sono uniformi e uguali come nella fig. 54, (tav. XXIII). Ho qualche rara volta osservato che da un lato del tarso vi sono taluni aculei squamosi, irti e molto più sviluppati come appunto suole accadere in prossimità della giuntura delle articolazioni del tarso; è strano che ciò accade da un lato solo; io ho contato il numero di tali aculei irti, ne ho trovato dieci; la f. 49 riproduce questo interessante fenomeno che è raro ma non rarissimo. Altra volta però, pure di rado, ho osservato che tali aculei irti e prominenti sono invece quattro e non da un solo lato, ma da tutti e due i lati come nella figura 553 e 50. Essi denotano la presenza di quattro giunture e quindi di cinque arti- coli. Infatti tanto nell’esemplare 53 che in quello 50 si vedono cinque articoli. Talvolta infine molto di rado si osservano cinque articoli del — 183 — tutto sprovvisti di aculei irti e prominenti, ma uniformemente aculeati ciò è riprodotto dalle figure 51, 52. Si vede in queste due figure , che riproducono due rarissimi esemplari, che il primo articolo del terzo è quasi il doppio degli altri. Ho voluto fare conoscere queste mie osservazioni perchè mi pare abbiano molta importanza. Però come ho detto, riesce per lo più non solo difficile ma impossibile discernere i vari articoli del tarso e questo pare del tutto intero. Devo ancora aggiungere che in qualche rarissimo esemplare si trova all'estremità del tarso una piccola enfiagione globu- losa come la fig. 49 (tav. XXIII). Ciò potrebbe essere casuale o pro- dotta da sostanze agglomerate, ma ad ogni modo da me è stata più volte osservata. Mi sono diffuso in tanti minuti particolari nel descrivere quest’ in- setto sì perchè è desso veramente prezioso per l’ agricoltura siciliana, sì perchè esistono varie specie affini e non sufficientemente descritte dagli autori onde riesce non agevole cosa sceverarlo atteso anche la grande parsimonia o assoluta deficienza delle figure degli autori, sì per- chè ho avuto occasione di scoprire e constatare dei caratteri biologici molto importanti. Io ho descritto solo la femmina; non il maschio, ma certo è questa quella che presenta maggiore interesse. Non ho potuto ancora rinvenire il maschio; ma questo non è un fatto nuovo, perchè tanto nei calcicidi che nei coccidi sono i maschi per lo più molto rari e non si presentano sovente che in determinate fasi di sviluppo genera- tivo; la riproduzione avviene per varie generazioni per partenogenesi, sicchè non sono facili a rinvenirsi. Cenni di due ragni submicroscopici (del genere L/cosa 2) che molestano il CArysomphalus. Licosa rapida De Greg. Tav. XXIV fig. 1-5. 1814. De Gregorio. Nuovo Aphelinus parassita ete. Nuovi Annali Agric. Descrivendo l’Aphelinus Silvestri nel lavoro sopracitato dissi di a- vere scoperto in Palermo (Molo e Acquasanta) un ragno estremamente piccolo ordinariamente '/. di millimetro, il quale esercita un'azione be- nefica per quanto limitata, contro il Chrisomphalus, perchè s’ introduce pe . 4 Pi MIN * a SIRIO o: AEM RT preti IM MEL. pesi — 184 — dentro i follicoli scostandoli dalla foglia (il che. accade più di fre- quente) o anche forse qualche volta forandoli. Però, come sopra ho notato, l’azione di tale insetto è molto limitata e non riesce punto esi- ziale al diaspide che continua a svilupparsi a suo bell’agio. Il piccolis- simo ragno si trova più di frequente ove sono dei follicoli semistaccati e con le pupe in gran parte atrofizzate, ma si rinviene pure in altre foglie ove i follicoli e le pupe sono allo stato normale. Io l'ho chiamato « rapida » per la velocità con la quale continua- mente si muove. Però quando essa si accorge di essere guardata e ha, timore, cerca di nascondersi subito sotto qualche follicolo. Perciò è molto difficile ghermirla. Si aggiunga poi che attesa la sua velocità, occorre per poterla prendere, agire con prestezza e quindi con una certa forza. L’ animale intanto è così piccolo tenue e fragile che riesce molto dif- ficile non schiacciarlo nel ghermirlo. È colore bianchiccio quasi traspa- rente. Guardandolo con buono microscopio e in trasparenza assume ta- ora un certo colore alquanto citrino. Io ne ho figurato tre esemplari : tipici 1, 2, 3 tav. XXIV. La loro forma in essi varia in quanto che varia la proporzione tra la porzione cefalotoracica e addominale. Però tutti i caratteri sono identici. Ho figurato pure un esemplare più grosso cioè quasi '|, millimetro (fig. 6) con gl’ingrandimenti 4,5 il quale pare rappresenti lo stato massimo di adulto. Io ho considerato tale esem- plare come una varietà maiuscola. Ne parlerò in appresso. I caratteri precisi di questa specie consistono nella forma e disposizione delle quat- tro zampe cilindriche, arcuate, munite di specie di articolazioni. Si no- tano sei articolazioni, cioè un primo articolo piuttosto grosso, un. se- condo molto più lungo, due articoli seguenti brevi, un quinto. articolo più lungo, il sesto esile e finito ad uncino. Tali caratteri sono ben rap- presentati dalla figura 4. Così gli articoli sarebbero sei, calcolando come tale anche l’uncino ultimo. Però devo notare che osservazioni fatte sopra altri individui mi hanno dato un risultato alquanto indifferente. Infatti esaminando in essi il secondo articolo cioè quello più lungo, ho scoverto che è suddiviso in tre, sicchè gli articoli diventano otto includendovi l’e- stremità uncinata. La figura 5 raffigura appunto tale zampa articolata co molta esattezza; però non so come non furono in essa raffigurati i peli che di fatto esistono. Sono questi piuttosto radi, ma notevoli. I due palpi (ossia antenne raccorciate le quali sporgono una per lato anterior- mente presso la bocca) sono brevi, cilindrici, mobilissimi provvisti al- l'estremità di due appendici tattili. come due minutissime falangi. Alla parte posteriore dell'addome si osservano quattro. setole due per lato, (fig. 3) o più sovente sei setole tre per lato (fig. 1, 2). — 185 — Var. majuseula De Greg. Tav. XXIV, fig. 6. Ho esaminato un solo esemplare che non saprei se si debba ascri- vere alla stessa specie e considerarlo come la fase del maggiore svi- luppo di essa, ovvero come varietà, ovvero come specie differente. La dimensione è maggiore, perchè mentre ordinariamente la specie tipica ha una lunghezza !|. di millimetro, questo è di ‘/, di millimetro. Il co- lorito è decisamente color citrino, mentre la forma tipica è bianca quasi ialina con sfumature citrine. La forma è più tozza e ben riprodotta dalla figura nostra. Posteriormente non è rotondata ma finita con una prominenza conoide fiancheggiata da .due piccole protuberanze. Poste- riormente vi sono quattro setole e due rudimentali. Atteso la corrispon- denza della maggior parte dei caratteri con la precedente ho creduto considerarla quale sua varietà. Licosa celegantula.De Greg. Tav. XXIV, fig. 7. Ho trovato in Palermo al Molo un solo esemplare di questa specie la quale pure si annida sotto i follicoli del Chrysomphalus. Essa ha dei caratteri molto simili a quelli della specie precedente ma ne ha pure de- gli altri distinti, talchè mi pare giusto considerarla come diversa. Però trattandosi di animali così fragili, tenui e di una dimensione così pic- cola e quasi microscopica ('|; di millimetro) riesce difficile fare un esame accurato ed è facile prendere abbagli. Questo piccolo ragno è subtra- sparente bianco citrino. È di forma ovato-piriforme, anteriormente co- nico; alla parte posteriore rotondo, munito di una piccola setola nella parte centrale e di quattro piccole setole due a lato. Queste setole sono arcuate parallelamente volte in dentro impiantate in una piccola escre- scenza. Anteriormente si notano due cilindretti addossati l’uno all’altro della parte inferiore dei quali sorte una prominenza a fiocco. Lateral- mente si trovano due piccole antenne palpiformi, pelose. Le quattro zampe sono molte bislunghe, provviste di peli; alle estremità sono prov- viste di tre brevi articoli tarsifor mi. I Nat. Sie., Anno XXII.—Nuova Serie, Vol. II. RA SSNIR6 — SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE (*) —— tor. —_ TAV. XV. Chrysomphalus Dictyospermi Morg. auetorum (an Aspid. agrumincola De Greg. ?). 1- 4 Larva. 5- 6 Idem che ha già emesso i fili per fissarsi. 7 Idem fissata. 8 Idem alquanto deformata. 9-11 Antenne. 12-13 Zampa. 14-15 Contorno posteriore. 16-19 Giovani pupe. ‘ 20 Pigidio di pupa giovanissimo. 21 Pigidio di pupa alquanto sviluppato. TAV. XVI. Idem. . 22 Pupa femmina adulta, vista in trasparenza. 23 Massimo sviluppo. 24-25 Varie pupe. 26 bis Forma anomala. 27 Pupa fissata in un frutto di manderino. 28-34 Stelo fissatoio semplice, 28-29, bifido 34, due volte bifido 30, dop- pio 32, peloso 34, sua base pelosa 31, 33, 34. 35 (in su a sinistra) Pigidio giovanissimo. 35 (in giù) Idem meno giovane. 36-44 Varie forme di pigidio delle quali talune giovani hanno dei fili che si uniscono al follicolo. Fig. 42, un pelo che ha dei sepi- menti (armato) Fig. 44 esemplare adulto tipico. Fig. 41 esem- plare molto giovine. Fig. 46 raro caso di appendici lanceolate con ingrossamento all’estremità. (*) Tutte le figure sono eseguite con forte ingrandimento che varia da duecento a 1000 e più diametri. Fig. Ere — TAV. XVII. Idem. 48-51, 55-62, 64 Pupa maschio nelle varie fasi descritte nel testo. Nelle figure 48-51 vi sono macchie bianche occasionali litografiche. Talune pupe, come la 50-58, sono disegnate in trasparenza. Gli esemplari 60-61 mostrano un andirivieni continuo di materia avanti-indietro. 52-53 Pigidio pupa maschio. 63 Pupa maschio ancora nel follicolo. TAV. XVIII. Idem, . 66-69 Follicolo di pupa maschio visto da vari lati e in trasparenza, 70-71 Follicolo di pupa femmina da vari lati e in trasparenza. 73 Maschio perfetto nell’atto di caminare. 83 Maschio appena tratto da un follicolo prima di volare via. 76-80 Zampa. 74-81 Moncone di ala abortita. 79 Orlo posteriore dell’insetto molto ingrandito. SRI Aphelinus var. Silvestrii De Greg. Eig- 1-2-5-6 Pupa feminafdi Chrysomphalus nella quale probabilmente si svi- ” luppa l’Aphelinus v. Silvestri De Greg. 3- 4 Idem con corpuscolo mobile interno (forse aphelinus) descritto nel testo. 7 Larva di Aphelinus che succhia gli umori di una pupa di Chry- somphalus. 8- 9 Larva di Aphélinus e pupa di Crysomphalus corrosa da essa. 12-13 Larva di Aphelinus con resti della pupa di Chrysomphalus svilup- pantesi dentro la pupa. 14-23 Larva di Aphelinus?v. Silvestri De Greg. in varie fasi (Fig. 18 dettaglio ingrandito di un raro esemplare, parte anteriore). L’e- semplare f. 19 (in giù) ha emesso molti cacarelli; ha eccezional- mente due piccolissimi appendici esterne, L’ esempl. 21 è nella forma disegnata con la parte anale in giù. L’ esempl. 15 emette un cacarello. Gli esemplari 22-23 sono ‘disegnate nell’ atto che si contraggono internamente determinando una concavità, il che accade rarissimamente. — 188 — TAV. XX. Idem. Fig. 24-33 Pupa dell’Aphelinus nelle sue varie fasi vista in trasparenza. Fi- gura 30 pupa dentro un follicolo. Fig. 25 pupa idem in traspa- renza già dentro un follicolo maschio di Chrysompalus. Fig. 33 pure dentro un follicolo maschio. Fig. 28 estratta da un follicolo femina. DIN34 Aphelinus F.® Silvestri De Greg. visto dal dorso. » 35 Parte posteriore molta ingrandita. » 37 Bocca molto ingrandita. TAV. XXI. Chrys. dietyospermi Morg. auctorum (an Asp. agrumincola De Greg. ?) Fig: 78 Insetto visto di lato. » 85 Pupa femmina in un frutto di manderino. » 86 Pupa femmina con tre steli fissatoi. » 87,88,90,91 Follicolo femmina in trasparenza. » 89 Dettaglio dello stesso follicolo in trasparenza. TAV. XXIII. Idem. Fig. 84 Ad ali spiegate, dal dorso. » 75 Dettaglio dell’ala. » 92 Pigidio di una pupa con forte ingrandimento. TAV. XXIII. Aphelinus For.a Silvestri De Greg. Fig. 38,39,39,41 Capo visto di sotto e di sopra. Fig. 41 visto dalla parte in- terna cioè dalla parte di prospetto al torace, » 40 Insetto visto di lato. » 49 Tarso con 10 aculei irti da un lato. » 50 Idem 4acauleiirti da un lato (5 articolazioni). » 53 Idem con aculei irti da due lati (5 articolazioni). » 51-52 Idem con 5 articolazioni senza aculei irti. - — 189 — 54 Idem senza alcun segno di articolazione, 42-43 Ala posteriore Fig. 453 dettaglio molto ingrandito. 44 = Ala anteriore. 46-48 Tre zampe f. 46 l’anteriore, f. 47 la media, 48 la posteriore.. 56 Occhi multipli. Dettaglio con fortissimo ingrandimento. 55 Ovopositore nell’atto di cacciar fuori le uova (individuo preceden- temente alquanto schiacciato). TAV. XXIV. Fig. 1-3 Licosa rapida De Greg. con forte ingrandimento. 4-5 Idem zampe molto ingrandite. 5 Idem var.. majuscola De Greg. 6 Idem elegantula De Greg. gr MI A — 190 — INEDALC.E del lavoro sul Chrysomphalus Caratteri e Biologia del Crysomphalus dictyospermi Morg. aucto- rum. (an potius Aspid. agrumincola De Greg ?) . - *WEapn Prefazione . ; : - È » Considerazioni generali sul genere Gig cnphalue e saline: preiestcoa delle forme dictyospermi, pinnulifera, minor, ficus e se debbano considerarsi come sino- nimi o varietà . è > . 5 3 » Bibliografia e sinonimia del Oli mphalua TIMOR, Morg. 5 - » Se devono considerarsi gli esemplari di Palermo come tipici o varietà del aloe spermi e con quale nome disegnarsi . È : - 5 ; E » Prolificità e diffusione. 5 : x - 2 s È « ; 5 » Larve. e 5 È ; : ; : ; ; x : È x » Pupa femmina . 6 ; , È . : 2 6 ; : x » Pigidio femminile ; È : È : È 3 3 3 È » Follicolo maschile e femminile . , : - , : 3 : ‘ » Pupa maschile . 5 3 . È : - . È : , : » Pigidio maschile ; i - 5 - : - c - - - » Maschio adulto . È : c : ; . È » Sviluppo del follicolo e azione dell’insetto sugli seri s » Caratteri distintivi del Chr. dietyospermi Morg. tipo, priorità del Che. ficua il) Comst. e distintivi della forma agrumincola De Greg. . è » Caratteri e Biologia dell’ Aphelinus (Prospaphelinus) preme Gare, Merc. Forma Silvestrii De Greg. È A a è ù » Prefazione . ; ° ” - c . » Sul nome del genere ipa e del La lunedi Piospapheliiatà ; » Sul nome della specie (Chrysomphali Gare. Merc.) e della forma Gilvestrii De Greg.). - È z È - È 5 . » È una specie ectofaga ovvero suidotagati : ; 5 - ; _ . » Larva. : 5 È : S - 7 : 5 5 E ° 5 » Pupa. - ; 5 ” s È c 3 : - : È » Insetto perfetto . î . i ° x . . x . È - » Cenni di due ragni submicroscopici (del genere Licosa ?) che mole- stano il Chrysomphalus 8 B 5 . È 3 : - » Licosa rapida De Greg. . : ” - È 5 ° c 5 - » Var. majuscola De Greg. . . ; - 5 . ; : c » Licosa elegantula De Greg. : ; 5 - : 5 È È : » Spiegazione delle tavole . : 7 5 5 ; - - È È » MARCH. A. DE GREGORIO. — 191 — Criteri sulla sincronizzazione dei terreni La sincronizzazione degli orizzonti geologici si basa su tre elementi principali : l'esame mineralogico e strutturale della roccia, la stratigrafia, i resti organici interclusi. Quando la conoscenza delle faune e delle flore paleontologiche era ancora rudimentale, l’ esame delle rocce era, e con ragione, la sola guida nell’interpetrazione cronologica degli strati terrestri. Non tardò molto perchè i geologi si persuadessero della poca attendibilità di tale metodo, il quale conduceva facilmente all’ equivoco essendo basato su caratteri labili e mal sicuri tanto più che in quei tempi lo studio chimico e microscopico delle rocce non era che all’inizio. Sebbene l’elemento stratigrafico offra talora dei criteri indiscutibil- mente esatti, presenta anch'esso però degli inconvenienti non lievi. A parte che talora certe formazioni non hanno un’apparente stratificazione o che questa rimane nascosta dall’ incassamento laterale del terreno, a parte che sovente accadono dei capovolgimenti degli strati, degli spro- fondamenti, e anche degli « Riatus» prodotti da emersione temporanea, prescindendo da ciò, anche nei siti ove meglio e più felicemente si può esaminare la stratigrafia di una formazione geologica, la sincronizza- zione di un singolo strato di essa con altri di lontane regioni non può non presentare delle gravi difficoltà, perchè i rapporti di conguaglio riescono incerti e spesso semplicemente congetturali. Senza dubbio la guida più sicura, e dirò così maestra, è quella fornita dall'esame paleontologico che fornisce una norma di orientamento solidissima nella sincronizzazione delle formazioni. Però bisogna sog- giungere che anche questo può dare degli insuccessi o lasciare dei dubbi. Lo studio stratigrafico non sempre, ma in certe regioni speciali può fornire un cospicuo e attendibile aiuto nella sincronizzazione delle formazioni. Quello litologico dal quale prima non si poteano attingere che vaghi criteri, con il progresso meraviglioso che ha fatto la micro- scopia e la geognosia delle rocce e la biologia della loro evoluzione, porge ora al geologo una ricca messe di feconde e istruttive osserva- zioni. — Dicevo che la guida paleontologica, sebbene è la più dritta e sicura, presenta anch'essa in singoli casi delle incertezze. Talune faune accantonate in un dato sito o per forza evolutiva sporadica o per cir- costanze speciali dell'ambiente o per prolungato isolamento, subiscono — 192 — delle alterazioni e assumono delle fisonomie speciali, onde non riesce molto facile il rapporto con altre coeve, le quali in siti anche non molto discosti assumono un « facies » molto diverso. Questo fatto si riscontra più nelle epoche remote che nelle più prossime al quaternario, sebbene anche in questo ha uno riscontro come pure nelle faune viventi. Le australiane viventi hanno per esempio un tipo ben diverso delle altre coeve e sopravvivono ad epoche remote; se si trovassero fossilizzate, facilmente potrebbero venire erroneamente cronizzate. Un’ altra fonte più grave di equivoci nel conguaglio dipende dalla varia distribuzione del calore sulla terra, dalla varia profondità della deposizione, e dalle mutazioni di temperatura e quindi di clima delle varie zone terrestri. Questo inconveniente non ha tanta influenza negli antichi tempi geologici, durante i quali tutto c'induce a credere che la diffusione del calore sulla terra, se non era perfettamente uniforme, lo era assai più che non adesso, ma vie maggiormente si verifica nelle epoche più vicine a noi e precisamente nell’ ultima fase del terziario e nel quaternario propriamente detto. Così noi osserviamo che talune specie caratteristiche del crag (1) dell'Inghilterra come il Fusus (Neptunea) contrarius si trovano poi nel postpiocene (frigidiano) di Sicilia, che è posteriore di questo; alla loro volta molte specie di tipo artico delle nostre formazioni, si riscontrano identiche viventi nell’alta Scandinavia e nei mari polari. È evidente adunque che nel conguaglio sineronico bisogna tener presente (specialmente nelle formazioni recenti) la varia distribuzione del calore sulla terra e le mutazioni dei climi che hanno determinato anche delle emigrazioni delle faune in siti talora lontani e disparati, come anche la batimetria della deposizione. Sia per le ragioni sopra accennate, sia per limitata conoscenza ed erudizione di taluni paleontologi, sì per loro riluttanza ad esporsi alla critica, è avvenuto che nella illustrazione monografica di una data fauna qualche volta non si trovi sul titolo di essa indicato l’ orizzonte cui di fatto appartiene, ma si trova indicata con titoli generici solo la località o il gruppo di rocce da cui è estratta. È questo un grave inconveniente e uno scoglio per lo studio di raffronto delle faune paleontologiche, perchè nel fiume immenso di pubblicazioni moderne riesce, se non im- (1) Con il più vivo interesse ho esaminata la nuova opera di HARMER (The plioe. mollusca 1914 Pal. Soc.) che forma seguito al lavoro notissimo di Woop. È una splen- dida continuazione e rettifica della monografia fossilifera del erag corredata da magni- fiche tavole. — 1939 — possibile, malagevole tener dietro a tale classifica; onde può accadere che qualche interessante pubblicazione sfugga anche a un solerte e co- scienzioso paleontologo. È per questo che non è mai troppo a racco- mandare a coloro che fanno di simili pubblicazioni e si trovino imbaraz- zati nel determinare l’orizzonte preciso geologico di una fauna, che in- dichino almeno l’epoca « sensu lato » e il periodo a cui essa si riferisce. Riassumendo, il primo e più sicuro criterio per la sincronizzazione dei terreni è fornito dai dati paleontologi ; la stratigrafia della forma- zione può dare talora delle profittevoli delucidazioni; in singoli casi anche l’esame petrografico e mineralogico può essere di ausilio in tale disamina. MARCH. A. DE GREGORIO CENNI DELL’ARGONAUTA ARGO L. dei mari di Palerimo __eo_—Te ==-< Lo studio delle forme e varietà di una specie così diffusa in tutto il mondo ha un interesse di prim’ ordine. Linneo (Syst. Nat. 1758) ci- tando questa specie dice: majorem inter et minorem limites non attingo. Ben poche specie possono vantare una così immensa sfera di diffu- sione, dal Mediterraneo al Capo di Buona Speranza, al Giappone! L’argonauta argo è inoltre importantissimo, perchè è uno dei pochi superstiti dei cefalopodi con conchiglia. Il tipo fossile più vicino è forse l’Arg. Sismondai pliocenico. Non so se la causa della grande rarità di forme fossili dipenda dalla fragilità della conchiglia ovvero dall’ essere questo tipo di cefalopodo un’ ultima manifestazione di cefalopodi conchi- gliati, di cui il nautilus rappresenta uno dei tipi più persistenti attraverso il mondo geologico fino ai nostri giorni. Però l’organizzazione dell’ argonauta è così dissimile che rende poco verosimile tale ultima ipotesi. Sebbene i caratteri biologici di questa specie siano stati oggetto di accurato studio di insigni malacologi, molti dubbi ancora permangono. Riguardo ai caratteri della conchiglia, il mio illustre amico il Marcnese di Monterosato , conoscitore dottissimo della fauna malacologica mediterranea, ha recentissimamente pubblicato una importante memoria : Sur les Argonauta de la Méditerranée (Journ. conch, Il Nat. Sie., Anno — XXII Nuova Serie, Vol. II. 25 — 194 — Paris 1914). Egli distingue le seguenti specie: Argonauta argo var. me- diterranea, Arg. Sebae Val., A. cygnus Monter., A. Farusaci Val. — La sua nota è corredata di buone figure. La lettura di essa mi ha indotto a esaminare gli esemplari della mia collezione e a dare il resoconto di tale esame. Evidentemente si tratta di forme della stessa specie cosmo- polita che si presenta sotto vario aspetto a seconda delle condizioni dell'ambiente. È però molto utile che tali manifestazioni siano accura- tamente studiate, come ha fatto il prelodato autore. Esaminando i miei esemplari, io li ho raggruppato in due tipi ossia due forme: Forma mediterranea Monter. Ne possiedo dei magnifici esemplari, uno dei quali raggiunge una dimensione di ben 15 centimetri, cioè su- periore a quella indicata dall’ autore. Devo osservare che la curvatura dell’orlo columellare, o per meglio dire del margine interno che fa capo all'angolo dell’apertura, si addimostra molto più accentuata e più ravvi- cinata all’ asse, che non quello della figura 2, tav. X dell’ autore, e si addimostra ancora più contorta e divaricata della figura 1 tav. X, tal chè guardando con retta visuale la conchiglia di faccia, la spira rimane in gran parte nascosta. Questo carattere parrebbe importante e potrebbe far sospettare che si tratti di specie differenti. Invece opino che sia do- vuto a semplice apparenza ; infatti ho ragione di credere che le figure della tavola citata non rappresentino gli esemplari visti rigorosamente di faccia come si suole, ma alquanto inclinati a sbieco in modo da mostrare il resto della conchiglia. Io possiedo inoltre qualche piccolo esem- plare di tre centimetri che ha gli angoli dell'apertura molto diraricati; li ha ben più divaricati che gli adulti. Io li ho notato con il titolo var. /a- tiuscula, perchè se la conchiglia aderisse all’ animale potrebbe supporsi che venisse di seguito modificata o forse anche riassorbita; ma non ade- rendo riesce difficile concepire come possa essere modificata con l'età. Forma Ferrussaci Val. I miei esemplari rispondono bene alla figura di Monterosato tav. XIII, uno di essi è identico. Ha solo la dimensione un po’ maggiore, misurando ben 16 centimetri. Di questa forma possiedo magnifici esemplari tipici, possiedo inoltre un bello esemplare che rap- presenta una varietà che ho detto elegans. I due caratteri che distin- guono questa varietà consistono : 1° nella forma dei labri dell'apertura che nel Ferrussacî sono ad angolo come nella figura di Monterosato e non curvi e senza angolo come nel mio; 2° nell'avere il dorso poste- riore color seppia ; tale tinta scura si estende un poco ai fianchi posteriori in prossimità del margine carenale. Il resto della conchiglia è bianca come lo è in tutti gli altri esemplari. i MARCH. A. DE GREGORIO. — 195 — TIPI UMANI DELL’ANTICO QUATERNARIO Accingendomi a illustrare il materiale dei resti di crani umani prei- storici da me raccolti in Sicilia, (tra i quali è molto importante quello di Carini già da me descritto in apposito lavoro) mi riesce importante la lettura della descrizione dei resti fossili scoverti a Piltdown da C. Dawson e A. Smith Woodward (1914 Quot. Journ. Geol. Soc., London, N. 377). È una scoverta interessante sì perchè tale deposito rimonta al vero quaternario, essendo consociati tali ossa a resti di /inoceros etruscus (pag. 92) e di Castoro, sì perchè il canino inferiore, che è maggiormente studiato dal sig. Smith Woodward, presenta dei caratteri molto singolari, talchè, tenendo conto che il mascellare (fig. 4 tav. XV) è fratturato, potrebbe nascere la supposizione che i canini descritti ap- partenghino ad altra specie. Però l’ autorità indiscutibile dell’ autore ci induce a dare ogni credito alle osservazioni da lui fatte. Egli nominò tale forma umana Eoantropus Dawson. L’illustre autore descrive le par- ticolarità craniali, e presenta a pag. 88, 89 delle figure craniali rico- strutte. Certo vi sono dei caratteri rilevanti, ma il maggiore interesse parmi risulti dalla forma del canino inferiore che richiama molto il canino da latte dell’uomo attuale più di quello degli antropomorfi. Questo sviluppo del canino inferiore non è stato finora affatto riscontrato da me nelle forme umane quaternarie di Sicilia, che anzi in esse ho trovato i canini poco sviluppati, forse meno che nell’ epoca attuale, il che è indizio evidente di un regime erbivoro. Le mie osservazioni sono con- validate dalla importantissima scoverta della mascella umana fatta da Schoetensack ad Heidelberg (1908 Der Unterkiefer de Homo, Leipzig 1908), della quale molti si sono interessati tra cui Laloy (Naturalist 1909, N. 527, Paris) e Mac Curdy, il quale ha pubblicato un’ importantissima memoria (Rec. discov. antiquity man Smithsonian Inst., 1909-1910), nella quale egli con molta competenza parla delle più recenti investigazioni e ricerche su tale argomento. Ora l’ esame di tale mascella, riferita dall’ autore all’Homo heidelbergensis, mi convince che apparteneva a un tipo eminentemente erbivoro. Io credo che tra le mascelle umane più antiche finora trovate, queste due sopra citate siano le più impor- tanti. Quest’ ultima ha però dei caratteri ancora più ragguardevoli di quella, per essere molto massiccia, sprovvista di mento e principalmente — 196 — per le due apofisi laterali molto grosse e divaricate. Io non ho trovato mai tale carattere così pronunziato in altre mascelle umane. Riguardo alla mancanza di mento devo bensì aggiungere che è vero che questo carattere sembra alquanto scimiesco, pero a me è accaduto di esami- nare il mascellare di una donna tuttora vivente in Palermo assoluta- mente priva di mento. La bocca di lei è vicina al margine inferiore, l’osso della mascella si volge verso il collo in dentro, per nulla dissimile della mascella di Heidelberger. Il caso da me esaminato non rappresenta che un’assoluta anomalia, ma non per questo è poco importante. Il carattere della mascella di Heidelberger così massiccia e così lateralmente diraricata dà un’appa- renza affatto singolare all’ esemplare; esso richiama gli esemplari di Spy che sono senza dubbio interessanti ma meno di questa di Heidel- berger che ha un’importanza di prim'ordine. Essa ha molta analogia, in quanto ai denti e alla forma della cavità della polpa dentaria con quelli di latte dell’ uomo vivente. È questo un carattere ontogenico di molto peso, perchè mostra una concatenazione atavica con l’uomo attuale, il quale si collega con tal tipo assai più che con gli antropornorfi attuali che sono distinti. Citai di sopra la caverna di Spy, che è una delle più interessanti che si siano scoverte, perchè quivi furono rinvenuti resti umani insieme a Mammuth e a Rinoceronti appartenenti a dei tipi intermedi tra l uomo attuale e quello di Heidelbergen appartenenti al tipo Mousteriano. Nel 1899 il prof. Gorjanovic scoperse in Kramberger presso Krapina dei resti umani molto analoghi a quelli di Spy. Recentissimamente è stata pubblicata un'interessante nota sul Dryo- pithecus Fontaine Lart (1914 Smith Woodward Lower jaw of an antro- pod. Quart. Journ. p. 316, Tav. 44, N. 279 che ha analogie tanto con i mo- derni Antropoidi quanto con l’Homo heidelbergensis e 1 Eoanthropus dawsoni. L’autore dice che proviene dal miocene superiore di Lerida (Spagna). Senza dubbio queste ultime scoperte sono di grande importanza ed è molto probabile che saranno seguite da altre; esse hanno sfatato completamente l’ipotesi che gli attuali antropormorfi siano a considerare come antenati dell’ uomo, la di cui origine si collega con tipi molto di- versi da questi. Però atteso il numero esiguo dei resti, verosimilmente preumani, finora trovati e atteso anche le abberrazioni e anomalie che tuttora si riscontrano nella specie umana, e al suo potere di plasticità e di adattabilità dell'ambiente, occorre andar cauti e attendere ulteriori scoperte e conferme prima di avventurarsi in deduzioni di larga portata. MARCH. A. DE GREGORIO. — 197 — Aitra anomalia nelle nespole del Giappone (Tavola 25) — te Già nel 1894 (Nat. Sic.) feci noto un fatto anormale da me osservato in contrada Petrazzi presso Palermo, cioè due frutti di nespolo del Giappone, le quali aveano due grosse gemme, che aveano dato luogo allo sviluppo di talune foglioline. Dissi che tale fatto, in apparenza di poca importanza, ne ha invece di molta, fornendo un'altra prova in favore dell’opinione divisa da molti botanici e propugnata da Schleiden che l’epicarpio, nel quale aveano esse inserzione e sviluppo, non rap- presenti punto un organo foliaceo, ma un organo dell’asse non faciente parte del sistema floreale. Dopo tanti anni, mi è dato adesso di segnalare un fatto analogo del mio podere di Bonriposo presso Palermo. Due nespole portano due gemme benissimo sviluppate che hanno prodotto due veri rametti, com- posti ciascuno di tre grandi foglie, oltre la gemma centrale. I ramoscelli hanno inserzione, come nel caso precedentemente esaminato , nell’ epi- carpio. La polpa del frutto all’interno delle nespole niente presenta di anormale. In Bonriposo io ho un ricco e rigogliosissimo nespoleto che produce grandi quantità di frutta. Mai avevo osservato un simile fenomeno, il quale ha un perfetto riscontro con quello già osservato ai Pietrazzi. Ho voluto non trasandarlo, perchè non bisogna lasciare sfuggire le oc- casioni di enumerare anche le singole anomalie, perchè esse, quantunque talora meramente casuali, possono anche aiutare a dar luce e spie- gazione di importanti fenomeni biologici della vita animale e vegetale. I due esemplari, dei quali ho fatto cenno, sono stati da me con- servati in una bottiglia con alcool; sono riprodotti dalla tavola 25. MARCH. A. DE GREGORIO. — 198 — Sul Troctes divinatorius Mill (Tavola 26) e o Esaminando taluni insetti di /cerya Purchasi che avevo da qualche tempo conservato in uno scatolo, trovai tre esemplari di questa specie che è così dannosa alle collezioni degli insetti. I miei esemplari corri- spondono ai caratteri dati dall’ egregio prof. Silvestri (Grandi, Dispense Ent. Agraria, p. 60, fig. 48) hanno però qualche lieve carattere diffe- renziale. Io li ho esaminato attentamente e posso darne una figura dalla quale si ricavano interessanti particolari, che in altre figure non sono punto visibili, nè dagli autori sono stati notati. Le antenne sono di 15 articoli compreso lo scapo e il pedicello. Lo scapo è cilindrico abbastanza più grosso del funicolo. Il pedicello è più grosso dello scapo, è di forma ovata. Il funicolo è composto di 13 ar- ticoli sottili cilindrici, il primo articolo è un po’ più breve degli altri ; l’ultimo articolo è terminato con due piccole punte o aculei molto brevi. Ogni articolo è munito anteriormente di un piccolo aculeo. La parte anteriore del capo è munita di piccoli peli irti. I due palpi anteriori sono formati di quattro articoli di cui il primo breve, il secondo lungo, subcilindrico , il terzo suborbicolare, il quarto bislungo, ellittico, più grosso degli altri. Questi due palpi anteriori costi- tuiscono in certo modo due antenne supplementari. Gli occhi sono piccoli, appena prominenti, situati lateralmente nel mezzo del capo. Occorre una forte lente per distinguerli. L’anca e il troncatere sono brevi, la coscia robusta, la gamba sub- cilindrica più o meno pelosa. I tarsi sono tre, però il primo è molto distinto, gli altri due sono quasi unificati ed è poco visibile la sutura. La coscia della zampa posteriore è più robusta delle altre due, quasi fosse atta al salto. Però mi risulta che questa specie non salta, almeno a giudicarne dai miei esemplari; il tarso della detta zampa è terminato in due cuscinetti; ha pure due piccoli aculei in punta, ma di poca en- tità. La zampa mediana ha la coscia meno grossa delle altre zampe; ha però la gamba munita di maggior numero di peli; l’ultimo tarso è finito da un uncinetto adunco. La zampa anteriore ha la coscia di grandezza media, tra la prima e l’ultima; ha il tarso terminato con due piccolissimi uncinetti divaricati. i Ta e © n “ mlt 8 PRESTO] ne Bla A h: Ù é — 199 — L’addome ha circa sette o otto segmenti. Questi alla periferie late- rale sono accusati da una depressione; sul dorso non si vedono che in trasparenza e sono affatto lineari. L’ estremità posteriore è munita di circa otto setole. > Questa specie ha un colore oliaceo, corre piuttosto rapidamente. Atteso la sua piccolezza, la sua fragilità, non è facile osservarne i ca- ratteri. Ha una grande vitalità. I tarsi paiono due, la divisione più distinta è quella tra il primo e il secondo, sì per l’intaccatura, sì perchè vi è in fine del primo il consueto accenno degli aculei. Invece la divisione tra il secondo e il terzo è appena accennata e poco visibile, né vi sono i noti segni carat- teristici, sicchè a prima vista pare che i tarsi siano due e non tre. Il prof. Silvestri dice giustamente a pag. 59 (Dispense) che il gen. Troctes ha le antenne con 15 articoli. Invece il Claus nel suo ottimo trat- tato di zoologia dice che il gen. Troctes di Burmeister ha dieci articoli. Egli cita il pu/satorius L. che vive nelle collezioni d’insetti e il 7. fu- tidicus L.—Ignoro le differenze tra il divinatorius Mill e il pulsatorius non essendo io punto un entomologo, specialista. Ho però creduto non superfluo descrivere i caratteri di questa specie perchè, sebbene comune e nota, non è stata finora, ch'io sappia, descritta con tanti particolari. MARCH. A. DE GREGORIO. Pf ___—__ Sulla trazione dell’ aria dall’ atto e sull’ azione della luce ultra violetta nella cura della tisi polmonale. —»_m-4 Il respirare un’aria esente di germi di qualsiasi natura, ma special- mente pura di germi patogeni è senza dubbio una condizione immen- samente utile alla salute e un efficacissimo mezzo per combattere le malattie dell'apparato respiratorio, precipuamente la tubercolosi polmo- nale. Da tempo è stata riconosciuta l’ utilità di lunghi viaggi in alto mare, perchè appunto quivi naturalmente l’aria non è inquinata, Ma il viaggiare è disagevole agli infermi e offre altri inconvenienti che non è qui luogo ad enumerare. Un’aria perfettamente asettica può arrecare grande utilità nelle ma- lattie bronchiali. I germi malefici annidati nel polmone non solo si nu- aid LEGIONE trono delle sostanze del corpo stesso ma anche di quelle ispirate dal- l’aria infetta. Questa, viziando indirettamente il sangue, rende i tessuti più favorevoli all'inquinamento e meno resistenti, diminuendo la forma benefica di fagocitosi della linfa. ; Devo anche osservare che l’ individuo ammalato tende inconsape- volmente, sia con la tosse, sia con la semplice respirazione e trasuda- zione ad emettere ed espellere continnamente delle sostanze tossiche e più o meno cariche di spore e germi malefici, perchè gli organi infetti tendono naturalmente e provvidenzialmente a liberarsene. Però con la inspirazione di parte dell’aria già respirata, una parte di tali sostanze viene anche di nuovo immessa nell'organismo dando luogo a nuovi auto- quinamenti. Per ovviare a tale inconveniente credo non sia difficile combinare un apparecchio per cui l’ aria espirata non venga a confon- dersi con l’aria inspirata. Si può all’ uopo adoperare un apparecchio a valvole ovvero più semplicemente un semplice tubo ove fluisca conti- nuamente dell’aria, la quale passando porti via l’aria respirata dal pa- ziente, che vi tiene appoggiata la bocca in un foro speciale con una cu- stodia di gomma che si adatti con esattezza alle guance e al naso. Nel 1886 presentai alla R. Accademia di Scienze Lettere e Arti di Palermo una memoria sulla utilità delia trazione dell’ aria dall’alto. È ben noto come negli strati inferiori dell’ atmosfera l’aria sia invasa da un numero immenso di spore e di germi tra i quali non pochi pato- geni. È perfettamente superfluo richiamare qualcuna delle prove ele- mentari che lo addimostrano. La ragione precipua, per cui le stazioni climatiche sorgono per lo più sulle alture, è precisamente questa. L’ aria è colà non solo più os- sigenata, ma meno impura; essa non solo non contiene germi patogeni, ma contiene un molto minor numero di germi che, se anche non pato- geni, arrecano però un grave nocumento col continuo processo di deposito nei polmoni i quali esercitano un’azione di assorbimento e dirò quasi di filtro. Dissi che per trovare un’ aria veramente pura bisogna elevarsi ab- bastanza sul livello del mare. Però il soggiorno nelle grandi altezze non è punto igienico, sì per la rarefazione dell’aria sì per il freddo e le in- temperie che vi dominano. È strano come a nessuno sia venuto in mente di costruire un aspiratore dell’aria delle grandi altezze. Si costruiscono giornalmente e ovunque doccionati per il trasporto dell’acqua potabile, ma nessun tubo è stato costruito per aspirare dal- l’alto l’aria pura. Io dissi che dalle alte montagne si potrebbe benissimo Eolo — tirar giù l’aria nelle vallate, ove i sanatori sarebbero più opportuna- mente costruiti, anzichè negli alti piani sui quali la rarefazione produce effetti nocivi alla respirazione e alla circolazione. Per mezzo di valvole di immissione e di espulsione si potrebbe benissimo in determinati edi- fizi regolare il flusso dell’aria costruendo anche degli AbposHi ,apparec- chi per le celle degli ammalati. Nè esclusivamente potrebbe essere giovevole aspirare l’aria dalle grandi altezze, anche da piccole altezze per scopi più modesti potrebbe essere di molta utilità. Per esempio dalla torre Eiffel si potrebbe richia- mare in giù per l’ospedale di Parigi un bel flusso di aria, certo più pura di quella che vi penetra dalle finestre. Io non so come ad alcuno non sia balenata tale idea. Ma senza anche ricorrere a tale espediente, io credo che si potrebbe anche ottenere un ottimo risultato seguendo un’altra via. È questa una mia nuova proposta che credo possa arrecare grande vantaggio terapeutico. Essa consiste nell’ applicazione di una delle mo- dernissime scoverte scientifiche per mezzo della quale io penso che si possa facilmente sterilizzare completamente l’aria; alludo all’ azione dei raggi ultra violetti. La luce solare è ricca di raggi ultra violetti, ma questi vengono assorbiti dall'alta atmosfera e quindi arrivano alla terra quasi del tutto smorzati. Si sono fatte molte esperienze sull’azione di tali raggi sulla vita dei piccoli esseri. Le migliori riùscite sono quelle con la lampada a mercurio composta di vapore di mercurio con lente di quarzo, per mezzo della quale si può ottenere la formazione di una quantità considerevole di luce ultravioletta. Essa fu utilizzata con splendido risultato da Jules Courmont (1911 Revue génér. des Science appliquées, p. 232-838, Courmont e No- gier Stérilisation eau potable Acadèm. des Sciences Fèvrier, 1909) per sterilizzare l’ acqua potabile; tanto che il resoconto fu riprodotto nel- l’An. Report Smith. Institution 1912 di Washington. È noto che il quarzo è trasparente per la luce ultra violetta. Si sono ottenuti meravigliosi risultati per la sterilizzazione dell’ acqua in- quinata immettendo questa in apposite vaschette, nelle quali era im- mersa una lampada di tal genere. Condizione integrante, perchè tale ap- parecchio funzioni bene, è che non si trovino nell’acqua sostanze colloi- dali (come nel vino, nel brodo, nella birra, etc.), perchè tali sostanze assorbono molto i raggi ultravioletti, sicchè questi non possono penetrare nello interno del liquido stesso, Ò si n ini: f (LO L'azione sterilizzante dei raggi ultravioletti è tale, secondo risulta dagli esperimenti dei signori Courmont A. e Nogier, che 60 litri di ac- qua infetta di soli bacilli (un miliardo di bacilli per centimetro cubo) Usa in un minuto primo furono perfettamente sterilizzati sotto l’azione della lampada. È stato verificato che uguale azione è esercitata sui bacilli ti- fici anche sul Bacillus mesentericus ruber le spore del quale resistono. benissimo all’ ebollizione anche per diverse ore e che invece sotto tale azione furono rapidamente del tutto sterilizzate. Disponendo un sistema di lampade a vapore di mercurio dentro un tubo per il quale passi una corrente di aria, si può evidentemente ste- rilizzarla completamente; rendendo ingerminabili le spore in essa vaganti e uccidendo tutti quanti i germi. Riguardo poi alle tossine di cui l’aria può anche eventualmente contenere delle frazioni, (il che dal resto , è meno facile, e non provato) deve ritenersi che anche esse debbano ren- dersi innocue. Infatti è stato provato che l’azione della luce ultra vio- letta non riesce a rendere innocua un’acqua ricca di tossine, perchè for- mano queste un ambiente non trasparente ad essa; però per piccoli strati, cioè fin dove essa può penetrare, le tossine vengono rese innocue. Ora se nell'aria ve ne hanno, non possono non subire l’azione benefica di questa luce misteriosa dalla quale in tal guisa io reputo si possano trarre provvidenziali vantaggi. MARCH. A. DE GREGORIO, Sulla cattura di un airone (Ardea purpurea) e di un gab- biano (Larus ridibundus) provvisti di un anello in Sicilia e sul passaggio delle rondini. Il giorno 1 Aprile furono uccisi in Contessa Entellina, e precisa- mente in Realbate, proprietà del sig. Luigi trenovese, tre aironi (Ardea purpurea = russeddu szc) uno dei quali avea in un piede un anello di alluminio con la seguente indicazione: Ornità. Kozpont Budapest 798. Essendone stato io informato scrissi subito al sig. Otto Herman in Budapest (11 Debròi ut 15) il quale gentilmente mi dette i seguenti rag- guagli: « Tale uccello era stato marcato a Dravastoroc il 26 Giugno 1910 « cioè quattro anni prima. Durante il 1914 furono messi gli anelli a cin- «quemila uccelli tra i quali a 115 aironi rossi. L'istituto suddetto fun- « ziona fin dal 1998. Da tale epoca fino ad ora sono stati presi in Sicilia A _— 203 — «20 aironi di quelli marcati dall'istituto di Budapest dei quali parecchi «a Messina e Taormina. Gli aironi tornano in Ungheria per la cova ». Io non credo che essi (salvo rare eccezioni) vengano a svernare in Si- cilia, ma sono qui di passaggio e si fermano qualche volta forse per intemperie o perchè stanchi. È probabile che prima si fermassero proprio per svernare qui da noi, e che offrendo essi facile bersaglio ai caccia- tori sieno stati distrutti, sicchè abbiano perduto l’ abitudine atavica di fermarsi qui. Anche a tempi miei, quando ero fanciullo, mi accadea qualche volta d’ incontrare di tali uccelli anche nelle vicinanze di Pa- lermo. Ora mai più uno. La caccia sfrenata tende pur troppo a spopo- lare completamente la campagna non solo delle specie indigene, ma anche delle emigranti. Lo studio intrapreso dal « Bureau Orinthologique central de Hon- grie », è dei più utili e più geniali. Per mezzo di piccoli anelli di allu- minio fissati al piede degli uccelli migranti, si sono potute seguire con assoluta esattezza le vie tenute da essi. Tale sistema fu adottato sotto larga scala nel 1908, dopo vari tentativi ben riusciti eseguiti preceden- temente. Si sono fatti molti esperimenti principalmente con le cicogne, e anche con gli aironi, i gabbiani, le rondini. Nel solo 1912 ben 32 ci- cogne portanti l’ anello furono uccise in Africa, oltre a chi sa quante altre di cui non si seppe alcun ragguaglio. Queste 32 cicogne furono uccise nel Natal, nel Transvaal, al Capo, nell’Orange. Il sig. Iacob Schenk di Budapest pubblicò un interessantissimo lavoro presentato al congresso ornitologico di Berlino (Das Experiment in der vogelzugsforschung) nel quale con molto discernimento si parla dell'emigrazione degli uccelli e specialmente delle cicogne, del tracciato dei loro viaggi e dell’influenza del clima e delle stagioni etc. Il lavoro è accompagnato da tre tavole geografiche nelle quali sono segnato i punti ove ciascun uccello è stato primitivamente preso e anellato e quello poi ove è stato ucciso, con la relativa linea traiettoria. Proprio mentre si trova in via di composizione questo articolo ap- prendo che il 10 Gennaio 1915 il sig. Vincenzo Broggi, figlio dell’inge- gnere Carlo Broggi, trovandosi a cacciare in contrada Pantano a due chilometri da Siracusa, a circa tre chilometri dal mare, uccise un grosso gabbiano (mowuette franc., seamew ingl.) con una fascia rossa sotto 1’ ala sinistra e al piede destro un anello con la seguente iscrizione: N. X. Er- with Kospont Budapest N. 3240. Pare che nell’ala destra avesse un pic- colo filo attaccato. Otto giorni prima ne fu ucciso un altro dal sig. Bu- fardeci. RIN OS o ue > pena Il giorno 14 Gennaio, è stato ucciso nel porto di Palermo un zione: M. K. Drmitk Kospond Budapest 10184. tate Avendo chiesto informazioni al « Bureau Central d’Ornithologie B. H. ile in Budapest (11 Debròi ut 15) ho appreso che il gabbiano che avea if ® numero 3240 era stato anellato a Dinnyès nel lago di Velencze il 3 Giu- gno 1913 e l’altro col numero 10784 era stato anellato nello stesso lago a 60 chilometri da Budapest. L’epoca in cui fu anellato quest’ultimo la i ignoro perchè mi si scrive dal « Bureau d’Orn. » che l’impiegato dell’uf- ficio è ora alla guerra. Con l’istessa lettera del « Bureau d’ Ornithologie » ho appreso con vivo rincrescimento la morte del benemerito Otto Herman, presidente del Comitato Ornitologico avvenuta il 27 Dicembre 1914. Io ritengo che d’'immensa utilità potrebbe essere un lavoro analogo sui pesci, intorno alla biologia dei quali molto resta a conoscersi. Anche di specie comuni e di grande mole come il tonno, poco si conosce del tracciato che seguono nei mari e misteriose sono le loro annuali appa- rizioni e emigrazioni. Certamente gli esperimenti sui pesci oftrirebbero delle gravi difficoltà, perchè l'imposizione degli anelli o di altri contras- segni dovrebbe farsi dentro la stessa acqua, o almeno mentre le bran- chie dell’ animale siano immerse, ma i risultati che potrebbero aversi sarebbero molto istruttivi e compenserebbero largamente dei fastidi e delle cifficoltà affrontate. Siccome osservazioni, anche a prima vista di ben poca entità, pos- sono essere di qualche vantaggio per lo studio biologico degli animali, avendo in questa nota fatto cenno dell’emigrazione degli uccelli, voglio segnalare taluni dati sul passaggio consueto delle rondine (Mirurdo wr- bica L.) di questo anno. Durante il 30 Aprile, il 1 e il 2 Maggio fu vista passare dalle nostre contrade qui in Palermo qualche rondine. Però il 4 Maggio verso le dodici arrivarono degli stormi numerosissimi di ron- dinelle, le quali si diffusero folleggianti in immenso numero nel cielo di Palermo per ripartire poi dopo breve apparizione. MARCH. A. DE GREGORIO, Taluni autorevoli giudizi sulle nuove teorie cosmogoniche esposte nei N. 4-5 di questa rivista. Sono lieto di far conoscere che molti dei più grandi astronomi hanno accolto favorevolmente le nuove teorie cosmogoniche e il nuovo metodo per tentare di scandagliare la costituzione dell’interno della luna da me proposto. L’ improvviso scoppio della grande guerra perturbò siffatta- mente l'Europa che non fu assolutamente possibile eseguire qualsiasi esperimento il 21 agosto, quando accadde l’ ecclissi solare. Spero che calmatosi il funesto uragano di sangue , che pur troppo ancora imper- versa nel mondo, si potranno eseguire tali importanti osservazioni. Molte lettere di autorevolissimi scienziati mi autorizzano a sperare; citerò tra gli altri, per la grande competenza, quella del direttore del laboratorio chimico fisico dell’ Istituto del Radio di Londra (The Radium institute 16 Riding house street), il quale così mi scrivea nello scorso giugno : «I thank you for your extreme kindness in sending me a copy of. Il Naturalista Siciliano, which I have read with great interest. I think it probable that further research on the lines indicated in the article woold lead to very interesting results ». L’illustre astronomo V. Cerulli, che è una gloria italiana, in data dell’11 giugno tra l’altro scrivea: « Ho letto già pochi capitoli dell’ o- pera e vi ho riscontrato idee nuove che precorrono ai progressi effet- tivi dell'astronomia scientifica e forse da tali progressi potranno in se- guito venir confermati. In quanto alla proposta di fotografare l’interno della luna mediante i raggi X del sole durante l’ ecclissi, mi pare che non ci sia in teoria nulla da obiettare. Dubito però sia praticamente ottenibile un'immagine nei pochi minuti che dura la totalità dell’ecclissi ». Anche il dotto astronomo dell’ Osservatorio romano sig. G. Millosevich scrivea il 9 giugno : « Sono ammirevoli gli spiriti come il suo che cer- cano col sussidio della fisica moderna di raggiungere qualche finalità cosmogonica. Parmi che pur ella che suggerisce di usufruire i raggi X per lo studio dell'interno della luna durante i brevi intervalli di un ec- clissi di sole dubiti dell’ esito, a me parrebbe fondato il suo dubbio ». Il celebre astronomo di Mare Island T. J. J. See il 25 giugno così seri- vea: « Your theory is of great interest. The new method you outline È; SA ni on p. 102 is of much interest. I have now proved that universal gra- vitation is an electrodynamie phenomenon and when my paper is finishe I believe it will open up large possibilities of progress ». Il chiarissimo prof. Stanislas Meunier dell'Istituto di Francia, che è socio onorario della nostra società, così mi scrivea in data del 16 giugno: «Quant & votre théorie cosmogonique je la trouve propremente grandiose et votre idée. sur la capture de la lune est digne de faire penser et j ai apprecié la. précision avec la quelle vous décrivez les diverses époques successives. de son développement géologique. L’intervention des rayons X comme d moyen d’étudier la condition interne de notre satellite est extrémemen ingénieuse ». «tai Durante l’anno 1915 sarà difficile fare degli esperimenti per lo stu- dio dell’interno della luna col metodo da me proposto, sì per le condi- zioni disastrose di conflagrazione guerresca in cui si trovano le nazioni, sì perchè questo anno non potrebbero effettuarsi che alle isole Awai il 13 Agosto. Ad ogni modo, se non questo anno, confido che si esegui- ranno nel 1916. ; MARCH. A. DE GREGORIO. (NIDECE — Cenni sulla genesi della dolomite delle nostre montagne e E sulla intima trasformazione di talune rocce. A 3 Dia 9, CE _ Un caso di polidattilia in una bambina palermitana o DUNE —_ Intorno ad una noria probabilmente araba dei dintorni di È È Palermo . CIR 7 ; : è : . >» 20 _ Intorno a taluni Pecten viventi a Siboga o : : » 22 na w — Seconda nota sull’origine della differenzazione del sesso. » 23 “COSTE a — Intorno a talune piriti della Tunisia . : o È » 24 n — Cenni sulla divisione del quaternario, sui piani Frigidiano yo b) » fi: Calidiano e su taluni nuovi scandagli nel calcare di Pa- È È: i lermo. ; : ; 5 3 : : : 6 » 26 d — Su taluni molluschi di acqua dolce di America (American 2 PA fresh water shells) .. . . ; ; È Se al «0 % _ Rendiconti della Società Siciliana di Scienze Naturali . » 73 È p È _ Nuove teorie cosmogoniche, sull’origine della materia e sulla pr: dl p* costituzione fisica della luna. E x ) 3 » 75 i R _ Superatomi (nuova teoria della costituzione della materia e dell’energia cinetica) . È ; ° È ò x » lil _ Utilizzazione delle correnti termo elettriche . : - » 116 —_ Rendiconti della Società Siciliana di Scienze Naturali . » 121 De Gregorio A. — Caratteri e Biologia del Chrysomphalus : dictyospermi Morg. auctorum (an Hisp. agrumincola e del suo na parassita distruttore Aphelinus chrysomphali var. Silvestri | De Greg. con cenni di due ragni submicroscopici a (Licosa) P. Caratteri e biologia dell’Aphelinus f.8 Silvestri De Greg. » Cenni di due ragni submicroscopici (Licosa) . : n Indice del detto lavoro . , ; ; È Criteri sulla sincronizzazione dei terreni È Ù Cenni dell’argonauta Argo L. dei mari di Palermo Tipi umani dell’antico quaternario ; SV Altra anomalia delle nespole del Giappone Sul Troctes divinatorius Miill. È È ò È Sulla trazione dell’aria dall’alto e sull’azione della luce ultra violetta nella cura della tisi polmonale 6 3 È » Sulla cattura di un airone (Ardea purpurea) e di un gabbiano (Laurus ridibundus) provvisti di un anello in Sicilia e sul pas- saggio delle rondini . ; h SATANA da RE Taluni autorevoli giudizi sulle nuove teorie cosmogoniche esposte nei N. 4-5 di questa rivista . JANE 5 VI pus 1 gen 9) ue — D, so A f $ î ; i i H MS RIA *TAV.XIX. SIA pote] TAV.XXII. ANCO H ; ‘ i i : H i li i ‘isso = nie mere) ERRE O pn A n I NI » RR 3 pala: Ah Î VARA Pd Tae SSA > Sesto TE 4497 Aa rn e a Sla E eur n Dea Ze R$: x > SOFERAMCANE RO SOA o A ‘ vi Nn in li Meli PE ONT . Gennaio 1914 (Nuova. __ (fovaSer) N 1, N. 1. NATURALISTA SICILIANO Organo della Società Siciliana di Scienze Naturali (già dei Naturalisti Siciliani) ILKLILEFICKCEKCITTLE i Abbonamento annuale (12 fascicoli) Italia . . eo VR, ra Li A » » » ISEETO TA E MI URI LI UE DOME Gli abbonamenti cominceranno dal 1° di Gennaio di ogni anno. Indirizzare tutto quello che riguarda la Redazione al Sig. Marchese Antonio De Gregorio in Palermo, Via Molo, 132. —_—— te TT n et, La responsabilità d’ogni qualunque idea espressa negli articoli del periodico spetta esclusivamente al suo autore. Sommario del N. 1. TTT De Gregorio A.— Seconda nota sulla sabbia del deserto di Tripoli (con 2 tavole) pag. . 1 = — Cenni sulla genesi della dolomite delle nostre montagne e nella lenta intima E trasformazione di talune rocce. . . Ve TENERA, N È E — Un caso di polidattilia in una bambina palerililina ERO SAEDIALO E — Intorno ad una noria probabilmente araba dei dintorni di i tecn 1 tav.) » 20 E — Intorno a taluni Pecten viventi a Siboga. . .. °°... 0...» 22 IE — Seconda nota sull'origine della differenzazione del sesso . . .... » 23 6 — Intorno a talune piriti della Tunisia. . . .. 0.0.0... » 24 "i E d: E —-DEreataope , E E da = AE PALERMO STABILIMENTO TIPOGRAFICO. VIRZÌ 1914 iii iii iii iii ui E E E i éééFWéWWFWWWWFWWWFWFWFWFWFWFWFWFéFWWéFWWFéFWWFWWFWWFWFWFWWWchcKKK ttt mn TOO È ARES. pieni RAZZI fit atei Toe li ie n marzo 1914 (Nuova Serie) N. 2-3. NATURALISTA SICILIANO Organo della Società Siciliana di Scienze Naturali (già dei Naturalisti Siciliani) Abbonamento annuale (12 fascicoli) Italia . . do apice fois arcoli, date » epIO: » RISTEROnE: + SNA Re da Gli abbonamenti cominceranno dal 1° di Gennaio di ogni anno. Indirizzare tutto quello che riguarda la Redazione al Sig. Marchese Antonio De Gregorio in Palermo, Via Molo, 132. —_ deo. La responsabilità d’ogni qualunque idea espressa negli articoli del periodico | Spetta esclusivamente al suo autore. Sommario dei N. 2-3. L: De Gregorio A. — Cenni sulla divisione del quaternario, sui piani Prigidiano e SPABILIMENTO TIPOGRAFICO VIRZÌ 1914 Calidiano e su taluni nuovi scandagli nel. calcare di Palermo . pag. 25 — Su talunî molluschi di acqua dolce di America (American fresh water sheills of America) (con 10 tavole) ./././.0/....... » 31 E 8° E — dareste E] = E = E E PALERMO E Fi RATIO TITLITIKIILELIEKK VIII ERRE TERI RIRKEBRAERRI TRANI KINI ARIA INNALIRI{LIRIA REI ARA LANKA RABITARAI SI ILRARKELERIRIALIBARKREREVAENENRELIVITIELKLERRRANEKRA RA RARA RANK LILK( (RK gKK(gRKAKKKKKERKR RANK AVI (KKKK TRN NKRARERE RENI RI RK ANIA VI (I {EL IR RR BREA RR VI vIRIAI Mimastio 1914 (Nuova Serie) N. 4-5. IL NATURALISTA SICILIANO Organo della Società Siciliana di Scienze NAGIRl (già dei Naturalisti Siciliani) # è È Abbonamento annuale (12 fascicoli) Italia . . PR a LL ca Vea E 8 » » MAI ESCOLO TRO n IO Gli abbonamenti cominceranno dal 1° di Gennaio di ogni anno. . Indirizzare tutto quello che riguarda la Redazione al Sig. Marchese Antonio De Gregorio in Palermo, Via Molo, 132. : —__ deo. La responsabilità d'ogni qualunque idea espressa negli articoli del periodico spetta esclusivamente al suo autore. Sommario dei N. 4-5. Società Siciliana di Scienze Naturali — Rendiconti. . /... .. 0. pag. 73 De Gregorio A.— Nuove teorie cosmogoniche, sull’ origine ME materia, e sulla costituzione fisica della luna. . .. È Da STO — Superatomi (nuova teoria della costituzione della materia e dell energia COREUICONE te RITI E MRO RICE e VOL i) Doge eli — Utilixzaxione delle correnti Dova elettr De CETRIARI CRA oe TRILLO, a E CRAGIE ì . 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Società Siciliana di Scienze Naturali — Rendiconti. . pag. 121 De Gregorio A. — Caratteri e biologia del Chr ysomphalus dieti yosper: mi Mor ‘g —_ Caratteri e biologia dell’Aphelinus f.è Silvestrii De Bro SEA — Cenni di due ragni submicroscopici (Licosa) —_ Criteri sulla sincronizzazione dei terreni -_ Cenni dell'argonauta Argo L. dei mari di Palermo —_ Tipî umani dell’ antico quaternario . È i Altra anomalia delle nespole del Giappone . — Sul Troctes divinatorius Mill. . — Sulla trazione dell'aria dall'alto e sull'azione della luce ultra violetta nella cura della tisì polmonale È —_ Sulla cattura di un airone (Ardea purpurea) e di un ; gabbiano (Lar us ridibundus) provvisti di un anello in Sicilia e sul passaggio delle ron- dini. . » 198 —_ Taluni autorevoli giudizi ‘sulle nuove. teorie cosmogoniche esposte nei > V “ vs UU vr n (0 0) Vel “ (on o) (51 N. 4-5 di questa rivista 3 SRO NAZIARZO TT ra RO] Indice delle materie contenute nel presente DAME TE Se EI E SION PALERMO STABILIMENTO TIPOGRAFICO VIRZÌ 1915 n No] (>) iii FK JJ i gb ., rIIkikikkkWÉÉ..ÀÌÀKÌKÒÀIÉIKTK..ITITTRR TTT... 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