HARVARD SU NIV ESTIS Ye LIBRARY OF THE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY. 13,5 &0 oe + En — i | | j | | | | | AUG 9 1948 Internationale Monatsschrift für Anatomie und Physiologie. Herausgegeben von R. Anderson in Galway, C. Arnstein in Kasan, S. Ramön y Cajal in Madrid, C. Golgi in Pavia, S. Laskowski in Genf, A. Macalister in Cambridge, G. Retzius in Stockholm, E. A. Schäfer in Edinburg, L. Testut in Lyon. Redigiert von Fr. Kopsch und R.R. Bensley in Berlin in Chicago. Band XXXI. Mit 85 Textabbildungen und 20 Tafeln. ^ LEIPZIG 1915 Verlag von Georg Thieme. Vertretung für Amerika: The University of Chieago Press, Chicago, Illinois, U. S, A, N STRA BR S Sas Inhalt. Dr. Giovanni Basile, Sulle modificazioni dell’apparato reticolare ‘interno di Golgi nell’epitelio renale di animali nefrectomizzati. (Con Tav. I). c Dr. Augusto Stefanelli, Sui ipsimet microscopici MISTER sensi- bilita cutanea e nella mucosa orale dei Rettili. (Con 10 Figg.) David H. Dolley, Fatigue of Excitation and Fatigue of De- pression: A Comparison of the Reactive Effects of Func- tion and of the By-Products of Function on the Nerve Cell Dr. Massimo Chérie-Ligniére, Le vene del collo nell'uomo. (Con 23 Fig.) ; . Andrea Mannu, D a = morale dai Mammiferi. (Con 3 Fig.) Fr. Kopsch, Referat . 5 Dr. Angelo Cesare Bruni, Sullo SV mono del Tolo had dell’ipofisi negli Amnioti. (Con Tav. II—VI e 5 Figg.) Eug. Bujard, Description d'un embryon humain (Eternod-Delaf), de 20 somites, avec flexion dorsale. (Planche VII et VIII) E. V. Cowdry, The vital staining of mitochondria with janus green and diethylsafranin in human blood cells. (With Plate IX) : A LES Dr. F. Simonelli, Contributo aille Studio delle espansioni nervose nel derma della cute umana. (Con 15 Fig.) Fr. Kopseh, Referat : Osv. Polimanti, Ricerche len role foca. E cer- velletto. (Con 18 Figure nel testo) AES Dr. Leonardo Martinotti, Della corneificazione dolose o (Con Tav. X) LE oU TNT Tet Dr. Giovanni Vastarini-Cresi, Chiasma gustativo (periferico) nella lingua dell'uomo e di aleuni mammiferi. (Con 3 figure nel testo e la tavola XI) Seite Dr. Luigi Torraca, L’infuenza dei raggi ultravioletti sulla ri- generazione dell'apparato pigmentario della cute dei Tritone. (Con Tav. XII e 1 Fig.) Fr. Kopsch, Referate Dr. Arrigo Visentini, La i du: Bio a ses Laporte avec la pathogenese du Diabéte. (Avec Pl. XIII— XIX et 6 Fig.) Preston Kyes, The Di aa Dean i M c in Birds. (With Plate XX) . ps Ralph Hopkins and Gustav Mann, Heat- Coagulation of Muse: of Northern and Southern Frogs Fr. Kopseh, Referat Seite 411 434 437 545 552 560 Fr. Kopsch und R. R. Bensley ae a A t "Band OC, Heth jay et HOS URN . Mit 36 Textabbildungen und 1 Tafel. LEIPZIG 1914 Verlag von Georg Thieme. È Vertretung für S o. The University of Chicago Press, Chicago. Illinois U. S. A. D (5% de i, - . e nella mucosa o id H. Dolley, |Fatigu parison of the Rea _ of non) n the eine grössere FAY Noten dn Ve gshandlung au CSS Einsendungen in lateinischer, französischer, ital deutscher Sprache werden direkt an: Prof. Dr. Fr. Kopsch, ee 2, and für Amerika an Prof. R. R. ir I au" | Leipeiu, “Rabensleinplat 2, Germany. pe one Cani Bench. nee or aan should be | to. Prof. Dr. Fr. Kopsch, Wilmersdorf by Berlin, i 2 or ce Ameri PI RE Bensley; RE of P GEN. mae * Avis. Les auteurs des mémoires. insérés ‘dans ce journal qui. Les articles écrits en ith, en ee en 2 italien, en e ou en a doivent étre adressés à Professeur. Fr: a à. AR De a Berlin. MU Be Die bisher erschienenen Bande Ton p Vrae E V Bd. I .:. . .4 40—, $ 9.52. Bd VOUS = HT 50, $ RARA NER a ra A c WERTEN Hi QE ET Sa 65— Aa Re eva ec tte Aa 50, 1181 EX ud Ba ER TS DB n 17.44 ae NIXON N Tra ve Se pora 10d. ae © Hoy UO. TELI NOI a oe sa n DANS EM II IS Ad icc XE ites YT "Wo BON pos OR. DORE RI toD du AO SES x ROI B B a ud SP a 100.—. » 29:801 9 1 RR oe A ATTIRA RN ES Ay, 76.30, „18.16 du SER Ve ER N T ABS, . 22,2 RER gi 312 SUL "Ue RN OOOO, 22: DOTE e 4 sis BAL 7081. 549... 185,80 MONT PRAIA 10,10,:5 5 ABIT N re LW AR, LI. 50 PER ere EE DUC QNI SARA ET AR RES ne, ABI PRADA EE eee Bd. I—XXIX statt # 2000.—, $ 416.- — nur 4 1300. Pak js 309. 40 bar. x That American prices are net and subject vor an "additional charge for “postage. 48, 4 j Istituto Anatomico della R. Università di Catania diretto dal Prof. R. Staderini. Sulle modificazioni dell’apparato reticolare interno di Golgi nell'epitelio renale di animali nefrectomizzati !). Per il Dott. Giovanni Basile. (Con Tav. I.) Dopo le geniali ricerche del Golgi sull'apparato reticolare interno nelle cellule nervose, una serie di studiosi ha dimostrata tale fine particolarita di struttura in un numero oramai grandissimo di elementi cellulari normali e patologici. Le ricerche, svoltosi con febbrile atti- - vita in questi ultimi anni per opera della scuola del Golgi (e special- mente del Perroncito) hanno condotto a stabilire ben definite carat- teristiche attività vitali di questo organo costituitivo della cellula. Un nuovo orizzonte di studi istofisiopatologia cellulare si presen- tava agli studiosi con i reperti descitti dal Golgi nel 1909 melle cellule di rivestimento della mucosa gastrica ed intestinale, dove questo apparato presenta „delle modificazioni di forma e topografia in evidente rapporto colle modificazioni di forma e composizione degli elementi, legate con la loro metamorfosi mucosa“. Cambiamenti topografici e modificazioni di forma ha potuto anche facilmente ottenere il D'Agata, praticando delle semplici lesioni di continuo sulla mucosa gastrica del tritone. | Egli ha potuto osservare che l'apparato del Golei, dalla porzione distale della cellula, ove é normalmente posto, si porta, dopo l'atto !) I preparati istologici sono stati presentati alla VIIIa riunione della Società Italiana di Patologia nella seduta del 26 marzo 1913 a Pisa. Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI. 1 2 Giovanni Basile, operativo, verso la porzione basale della cellula stessa, presentandosi sotto forma „di filamenti, di solito fini, che intrecciandosi, costituis- cono come dei cestelli, dei calici, delle cupole, posti nella porzione basale della cellula e che, con la loro concavità, rivolta verso il lume della cavità gastrica, abbracciano il nucleo.“ Modificazioni dell’apparato reticolare (spezzettamento e disbocazioni) sono state messe in evidenza dal Marcora nelle cellule nervose del nucleo d’origine del nervo ipoglosso in seguito a strappamento di questo. Il Sangiorgi, provocando sperimentalmente una nefrite tossica acuta, ha potuto constatare nel rene di cavia che, con le alterazioni morfologiche delle cellule (tumefazione torbida, vacuolizzazzione) si accompagnano modificazioni da parte del rispettivo apparato endo- cellulare, il quale si spezzetta e si frammenta. * * Per meglio illustrare il comportamento dell’apparato reticolare interno in rapporto con i diversistati biologici della cellula (per es attività funzionale), ho creduto utile di praticare alcune ricerche su tale formazione endocellulare negli epiteli renali di animali nefrecto- mizzati. Oramai è noto che in questi animali non si hanno disturbi degni di nota, qualora il rene rimasto sia inalterato nella sua struttura, poichè questi esagerando la propria attività secretoria, supplisce ai bisogni dell'organismo. (A. Lustig e G. Galeotti.) TK x * Mi sono servito, come animali di esperimento, di cavie, le quali resistono benissimo all'atto operativo, mantenendosi sempre in floride condizioni di vita. L'apparato reticolare interno poi nell'epitelio renale di questi animali, si mette facilmente in evidenza. Gli animali sono stati sacrificati in diversi periodi di tempo dopo latto operativo, per potere cosi sorprendere i diversi stati biologici della cellula. Pezzi appena asportati, piccoli, fissati da una a sei ore nella Sulle modificazioni dell'apparato reticolare interno di Golgi ecc. 3 miscela all'acido arsenioso, sono stati in seguito trattati scrupolosa- mente secondo le norme dettate dal Golgi e successivamente colorati con la modificazione del Veratti. A tal proposito aggiungo che ho ottenuto i piü chiari preparati in quei pezzi che hanno subito la fissazione per due ore e mezza. Ho creduto utile fare dei preparati di controllo con pezzi fissati in Flemming, Zencker, e colorati con i soliti metodi e con ematossilina ferrica-rubino. ^ * * Ricordo che lapparato reticolare interno nelle cellule dei tubuli renali, gia descitto dal Brugnatelli, „ricorda perfettamente quello che è stato descritto nelle altre cellule epiteliali, specialmente per quanto riguarda la localizzazzione: esso è posto quasi costantemente tra il nucleo ed il lume del canalicolo*. Non si riscontra poi lo stesso sviluppo dell'apparato reticolare nelle cellule epiteliali di tutte le differenti porzioni di cui si compone il canalicolo renale. „Eiffettiva- mente, mentre che nei canalicoli retti, malgrado lo spessore più limi- tato, esso assume una grande nettezza ed una notevole ricchezza di filamenti, nei canalicoli contorti al contrario, esso si presenta piccolo molto semplice, quasi abbozzato.“ Gli identici reperti del Brugnatelli ho potuto riscontrare nei numerosi preparati di reni di cavie controllo normali (v. Fig. I e IIT) Sin dal secondo giorno dopo la nefrectomia unilaterale, si assiste a delle vere modificazioni specialmente per ciò che riguarda la sede dell'apparato reticolare del Golgi. Negli elementi cellulari, aumentati di volume, si osserva un vero spostamento dell’apparato reticolare che assume un aspetto diverso dal normale. Il ricco e svariato intreccio di filamenti viene a costituire come un calice, che in parte circonda il nucleo, in parte lo nasconde, presentando però la parte concava rivolta verso il lume del tubulo. Si osservano poi (e questo sino a 4—9 giorni dopo la nefrectomia) degli elementi cellulari in cui l'apparato reticolare occupa distintamente la porzione mediana della cellula, sì da costituire come un fuso che divide il nucleo in due, mentre la maggior quantità dei filamenti ten- dono sempre a confluire al disotto di questo. n 4 Giovanni Basile, Queste forme giustificherebbero l'ipotesi che tali elementi siano stati sorpresi nel momento in cui l’apparato reticolare si sposta da una porzione del protoplasma verso l'altra. Ma lo spostamento è poi veramente apprezzabile. dopo il decimo . eiorno dalla nefrectomia. Er A EMEN In quasi tutti gli elementi cellulari si osserva allora che l'apparato reticolare si é portato in modo evidentissimo nella porzione basale della cellula, conservando sempre quella: ricchezza di intricati filamenti che si modellano attorno al nucleo (Fig. II e IV). | | Tutte le modificazioni descritte si osservano tanto nelle cellule dei tubuli contorti quanto in quelle dei tubuli retti, anzi in queste ultime le modificazioni di sede dell'apparato reticolare sono piu evidenti, perché qui, come & note, l'apparato reticolare interno si presenta molto piü ricco di filamenti e molto piü elegante. Un fatto che non mi è stato difficile di osservare e che credo di un certo interesse dottrinale, è quello dato dalla constatazione della posizione topografica dei centrosomi nelle cellule renali di animali nefrectomizzati. In questi animali 1 centrosomi si riscontrano per lo piü nella | porzione basale della cellula renale, direi quasi nella zona dell'elemento occupata dallapparato reticolare del Golgi. Tale fatto verrebbe a dare una conferma allipotesi sostenuta anche ultimamente dal Barinetti alla società medico-chirurgica di Pavia, che l’apparato reticolare interno ed i centrosomi, pur essendo formazioni nettamente distinte, presentino un legame anatomico e funzionale. E I dati di fatto sopraindicati, che hanno stretta comunanza prin- cipalmente con le ricerche del Golgi e del D'Agata, mi autorizzano ad affermare che, negli elementi epiteliali del rene vicariante degli animali nefrectomizzati, è possibile assistere a cambiamenti di forma e posizione dell’apparato reticolare interno. Tale fatto credo intimamente legato alle modificazioni del proto- plasma cellulare, modificazioni, che nei preparati colorati con l’ema- Sulle modificazioni dell’apparato reticolare interno di Golgi ecc. 5 tossilina ferrica-rubino, si mettono in rilievo con una omogeinizzazzione del protoplasma stesso il quale nelle cellule dei tubuli contorti si intorbida come è noto, per laumento di grossezza e di numero nei eranuli o dei bastoncelli fuxinofili (Pizzini, De Giacomo), che si mettono in rilievo con opportuni metodi di tecnica. E certamente questo nesso intimo tra protoplasma in periodo di iperfunzione e modificazioni dell’apparato reticolare interno fanno pensare che questo normale costituente della cellula é realmente dotato di attività vitali proprie, squisitamente vivaci; concetto questo già affermato e sostenuto dal Golgi e dalla sua scuola. * * * Prima di finire sento il dovere di ringraziare vivamente l'illustre Profre Staderini, che mi ha messo in grado di eseguire queste ricerche, l’egregio Profre Cutore per il gentile interessamento avuto ed il chiarissi- mo Profre C. Golei per il suo autorevole giudizio espresso nell osservare i mici preparati istologici. Lavori eitati. Barinetti C., L’apparato reticolare interno e la centrosfera nelle cellule di aleuni tessuti. Boll. Soc. Med. Chir. di Pavia 1912. Brugnatelli E., Su una fine particolarita di struttura degli epiteli dei canalicoli renali. Boll. Soc. Med. Chir. di Pavia 1908 e Arch. ital. de Biologie Tom. 50, fasc. II. D'Agata, Sulle modificazioni dell'apparato reticolare interno nell epiteliodella mucosa gastrica. Boll. Soc. Med. Chir. di Pavia 1910. De Giacomo, Intern. Monatsschr. f. Anat. u. Phys. 1910. Golgi C., Intorno alla struttura delle cellule nervose. Boll. Soc. Med. Chir. di Pavia 1898 e Arch. ital. de Biologie. Tom. 50, fasc. I. — Sulla struttura delle cellule neıvose dei gangli spinali. Boll. Soc. Med. Chir. di Pavia 1898 e Arch. ital. de Biologie. Tom. 31, fasc. II. — . Di movo sulla struttura delle cellule nervose dei gangli spinali. Boll. Soc. Med. Chir. di Pavia 1900 e Cinquatenaire de la Société de Biologie (Vc- lume jubilaire) publié par la Société. Paris 1899. — Intorno alla struttura di cellule nervose sulla corteccia cerebrale. Ver- hand. d. Anat. Gesell, XIV. Versamml. Pavia 1900. — Di un metodo per la facile e pronta dimostrazione dell'apparato retico- lare interno delle cellule nervose. Boll. Soc. Med. Chir. di Pavia 1908. — Di una minuta particolarità di struttura della mucosa gastrica e intesti- nale di alcuni Vertebrati. Boll. Soc. med. Chir. di Pavia 1909. Lustig A., e Galeotti, G., Patologia generale. III edir. Marcora F., Di una fine alterazione delle cellule nervose del nucleo d’origine del grande ipoglosso consecutiva allo strappamento e col taglio del nervo. Boll. Soc. Med. Chir. di Pavia 1908. Perroncito A., Condriosomi cromidii ed apparato reticolare interno nelle cellule spermatiche. R. Ist. Lombardo de Scienze e Lettere, Ser. II, Vol. XLI fasc. XX, 1908. — Mitocondri cromidii e apparato reticolare interno nelle cellule spermatiche. R. Ist. Lombardo di Scienze e Lettere, Ser. II, Vol. XLII, fasc. XII, 1909. — Mitocondri cromidii ed apparato reticolare interno nelle cellule sperma- tica della Paludina Vivipara. Atti Ace. dei Lincei, Ser. V, Vol. 7, 1910. Pizzini, Intern. Monatsschr. f. Anat. u. Phys. 1907. Sangiorgi G., Sull’apparato reticolare interno di Golgi nell’epitelio renale in condizioni patologia-sperimentali. Giornale della R. Accad. di Medicina di Torino, Vol. 15, 1909. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Spiegazione delle figure. Sezione trasversa di tubulo retto di cavia normale. Obb. */,5 semi-apocr. imm. omog.-ocul. comp. 8 Koristka, Ridotta di !/, Sezione trasversa di tubulo retto di cavia nefrectomizzata dopo 12 giorn dall’atto operativo. Obb. !/,, semi-apocr. imm. omog.-ocul. comp. 8 Koristka Ridotta di 1}, Sezione longitudinale di tubulo contorto di cavia normale. Obb, 2/15 semi-apocr. imm. omog.-ocul. comp.:8 Koristka. Ridotta di !/,. Sezione longitudinale di tubulo contorto di cavia nefrectomizzata dopo 12 giorni dall’atto operativo. Obb. !/,; semi-apocr. imm. omog.-ocul. comp. 8 Koristka. Ridotta di !/, Cellule renali di cavia nefrectomizzata dopo tre giorni dall'atto operativo Obb. 4/1; semi-apocr. imm. omog.-ocul comp. 8 Koristka. Cellule renali di cavia normale («) e di cavia nefrectomizzata (3) dopo. 12 giorni dall'atto operativo (Centrosomi) ematos. ferrica-rubino. Obb. 1/1; semi-apocr. imm. omog.-ocul. comp. 8 Koristka. Sui dispositivi microscopici della sensibilita cutanea e nella mucosa orale dei Rettili. Ricerche del Dott. Augusto Stefanelli. (Con 10 Figg.) Per quanto i rettili sieno stati l'oggetto preferito nelle ricerche sulle espansioni nervose motrici, non altrettanto può dirsi per gli apparati nervosi di senso, specialmente se consideriamo le innumerevoli ricerche condotte intorno a quest’argomento nei vertebrati superiori, le quali hanno dato luogo a importantissime nozioni nuove circa detti apparati ed alla loro intima struttura. Neanche nei più recenti studı [7] si fa di essi alcun accenno nei rettili. Eppure molti problemi fisiologici e morfologici a quelli inerenti non potranno mai sufficientemente risolversi senza una nozione delle loro forme originarie nelle classi inferiori; perchè solo così possiamo renderci conto del gran numero di varietà di espansioni nervose negli alti vertebrati, le quali verrebbero ad esprimere solo un fenomeno di adattamento alle diverse strutture degli stromi in cui sono allogate, e non già a distinte condizioni funzionali. „Se il numero di esse“ espansioni, così si esprime il Duccesch [2], ,eccede di molto quello delle modalità sensitive, tal fatto dipende probabilmente da che alcuni tipi di espansione che oggi consideriamo come forme a sè non sono che varietà di uno stesso genere, specifico nel senso fisiologico“ (p. 329). Ora, se teniamo conto che alcune espansioni sensitive nella serie dei vertebrati compaiono tipicamente per la prima volta nell’organiz- zazione dei rettili per poi assumere in seguito un esuberante sviluppo, non parrà del tutto privo d’interesse il presente tentativo d’indagare Sui dispositivi microscopici della sensibilità cutanea e nella mucosa ecc. Q la maniera di disporsi e di espandersi dei nervi nello strato eutaneo di questa classe di vertebrati, nella speranza di poter portare un po’più di luce nella questione morfologica dei dispositivi microscopici della sensibilità cutanea. Il rettile, che meglio si presta per lo studio d’insieme dei nervi nella cute, è il Geco (Platydactylus mauritanicus), data lestrema sottigliezza e trasparenza di detta membrana in quest’animale: basta spellarlo ed immergere le spoglie così ottenute in una soluzione di acido formico al terzo per pochi minuti, dipoi nel cloruro di oro e successiva riduzione in acido formico secondo le preziose indicazioni del Ruffint [5], per ottenere dei preparati di mirabile chiarezza. Il connettivo sotto-cutaneo si colora debolmente in roseo, come uno sfondo sul quale fanno eccellente risalto i fasci nervosi, colorati più intensa- mente in violetto fin nelle loro estreme e molteplici ramificazioni in forma di plessi, reti e corpuscoli di senso. Altri rettili presi in esame sono stati Lacerta muralis, L. viridis, Chamaleon vulgaris, e gli ofidi Zamenis viridiflavus ed Elaphis qua- drilineatus. * Nella stessa maniera che nei vertebrati superiori, i nervi desti- nati alla sensibilità della cute provengono da un plesso cutaneo pro- fondo, corrispondente anche qui ad una rete vascolare profonda. Da esso prende origine un plesso cutaneo superficiale a rami piü sottili e numerosi, ma disposti in maniera assai regolare e caratteristica, direi quasi a scacchiera, dovuta al fatto che ogni maglia ha forma quadrangolare o romboidale, come recentemente ha figurato lo Schmidt |4| in Voeltzkowia mira, ed è di ampiezza pressocchè uguale a quelle vicine, con gli angoli corrispondenti al centro basale delle papille. Da questi punti, più raramente da piccoli rami qua e là origi- nantisi lungo il percorso dei fasci del plesso, alcune fibre si elevano in direzione perpendicolare verso uno strato piü superficiale, e li tanto si dividono e suddividono, da perdere la loro guaina mielinica, con- correndo cosi alla formazione di una bellissima rete espansionale assai 10 Augusto Stefanelli, caratteristica per le sue ampie e numerose maglie rettangolari; si estende uniformemente ad abbracciare lo strato sottc-papillare, ed é costituita di fili, che decorrcno come linee spezzate, non compiendo mai delle curve allorquando mutano direzione. Il loro calibro va facendosi sempre piü sottile via via che si ramificano, ed il loro aspetto è liscio; ma in alcuni punti sembrano come compressi e ritorti, spesso anche come sfenestrati a contatto delle cellule connettive, che vi lasciano delle impronte oblique, dove le fibre si colorano meno. Nei punti di ramificazione soltanto sono presenti delle ampie vari- cosita appiattite, stellate, di aspetto piuttosto granuloso, spesso contenenti uno o pit nuclei e in vario senso attraversate da sottili fibrille nervose. In generale puó dirsi della rete sotto- papillare che é la formazione nervosa che piü elettivamente si colora col trattamento al cloruro di oro, tanto che risalta all’ccchio anche ai piccoli ingrandimenti. Venuta in contatto delle papille vi penetra e si diffonde, anasto- mizzandosi con un’altra rete nervosa, disposta lungo i margini di esse, la quale, di aspetto alquanto diverso, si origina da alcuni tron- chicini nervosi partentisi sempre dai punti nodali del plesso super- ficiale. Questi si recano di qui direttamente in ciascuna papilla, ed appena giunti vi costituiscono dapprima un plesso a maglie poligonali e subrotonde assai strette e numerose, che si fanno più ampie e lasse a misura che si rendono più superficiali, finchè si risolvono in filuzzi amidollati che, fondendosi tutti alla superficie delle papille, finiscono per dare una bellissima e delicata rete sottc-epiteliale, la quale non manca alle volte per brevissimo tratto d’insinuarsi nell’epitelio stesso. Gran parte di quei filuzzi corre intorno alle cellule pigmentose, che estremamente sviluppate sono appunto nella sommità delle papille, e le involge come in un canestro nervoso; ma talmente i ramuscoli nervosi si mescolano con i prolungamenti ed i granuli di esse, da essere impcssibile poter seguire con sicurezza il loro ultimo decorso. Altri fili si distribuiscono intorno ai capillari sanguigni o liberamente sì sfioccano a contatto della membrana basale, mentre i più sembrano indipendenti da ogni elemento, costituendo nell’insieme una vera rete espansionale di senso. Sui dispositivi microscopici della sensibilita cutanea e nella mucosa ecc. 11 Coloro che hanno seguito e descritto il corso dei nervi nelle papille dei vertebrati superiori ammettono che ,alle papille arriva un doppio sistema di fibre, che provengono dal plesso cutaneo super- ficiale. Un primo gruppo comprende fibre nervose mieliniche (aventi cioé tuttora la guaina midollare) e fibre amieliniche, che hanno per- duto la midolla prima di entrare nella papilla: un secondo gruppo & ecstituito da fibre, che sono fin dalla loro origine prive di midolla ed hanno i caratteri delle fibre simpatiche ([5|, p. 348). Per quanto io ho potuto osservare nei rettili questo fatto non puó affermarsi con sicurezza; delle reti amieliniche senza dubbio pene- trano anche qui nelle papille cutanee, però per la maggior parte di esse é chiaramente dimostrabile la Icro origine da fibre midollate, perché provengcno dalla rete cutanea superficiale dianzi descritta. Alcuni fili di aspetto del tutto differente si accompagnano con i vasi fin dalla rete vasale profonda, e nelle papille minori rappresentano l'unica innervazione osservabile; il loro aspetto é cosi a dire verrucoso per frequenti granuli e sporgenze spinose lungo il contorno, che si colora irregolarmente e che tanto differenzia questi fili da quelli della rete sotto-papillare. Ma né con i vasi e neppure con altri elementi prendono essi rapporti intimi, e non danno mai origine a formazioni espansionali constatabili; si rassomigliano a quelli che sono nelle papille della lingua e si dispongono nei modi già indicati dal Ruffini |6], ed altri, nelle papille cutanee dei vertebrati superiori. Straordinariamente sviluppati sono per tutta l’estensione della mucosa boccale, dove com- pongono un mirabile reticolato, compenetrato da una rete corrispon- dente di capillari a maglie più ampie. Ora, per quanto ho potuto qui osservare, detti fili prendono origine anch'essi da fibre midollate, alle quali fili amielinici e cellule nervose gangliari si accompagnano, e sono in continuazione di un lungo strozzamento pre-espansionale, in maniera che tutta la rete, da essi costituita, assume l’aspetto di una unica ed ampia espansione. Riserbandomi di ritornare più innanzi a discutere della sua pro- babile funzione, debbo per ora concludere che non saprei come sicura- mente ammettere nella cute dei rettili da me presi in esame la esi- 12 Augusto Stefanelli, stenza di fibre simpatiche; il che € certo un dato di alta importanza, in relazione forse col fatto, che manchera in questi animali l'appari- zione spontanea di alcune sensazioni cutanee, dovute al manifestarsi di operazioni psichiche. Del resto neanche nei mammiferi inferiori é stato sempre possibile nettamente indicare questo sistema di fibre nervose, separandole da quelle midollate, perché ,. . . la separazione di questi tipi non è chiara, forse per il coesistere e mescolarsi delle due forme negli stessi punti* [7]. Ad ogni modo con questa deficienza va congiunto anche il fatto: che non ho potuto mai riscontrare nella cute dei rettili da me studiati disposizioni omologabili al Fadenapparat del Timofeew intorno ai cor- puscoli di senso. Questi si originano da alcune fibre midollate che, senza prendere parte alla formazione del plesso papillare, si rendono presto indipen- denti dai fasci che corrono a costituirlo, e, dopo di essersi più volte biforcate dicotomicamente, finiscono in semplici clavette, situate nello Spazio compreso tra le papille, o ripiegate sui bordi esterni di queste quasicché cercassero di venirne in contatto; assai di rado rimangono racchiuse nelle papille stesse. Appartengono allo strato più superficiale del connettivo cutaneo, tanto che alle volte sembrano toccare la membrana basale sotto-epiteliale, ed hanno forma cilindrica od affusolata alquanto allungata, spesso flessuosa. Le forme globose e sferoidali mancano, mentre sotto quest'aspetto abbon- danoinaltre regioni, assumendo un volumemaggioreemaggiori complicanze. Risultano essenzialmente costituite da una sostanza di sostegno finemente granulosa e da un cilindrasse centrale, che tutta la percorre, rimanendo generalmente indiviso e terminando alla sommità con un grosso bottone ovale e stellato; alle volte puö in questo punto bifor- carsi oppure ripiegarsi ad ansa. Quando la biforcazione raggiunge un forte angolo, allora é seguita anche da una biforcazione corri- spondente della sostanza granulosa, si che questa risulta quasi sempre percorsa, come nei classici corpuscoli di Pacini, da un'asta nervosa unica. Solo eccezionalmente la fibra assiale dà nascita a sottili fila- menti laterali, forniti di varicosità a bottoni dentro alla medesima massa di sostanza granulosa. Sui dispositivi microscopici della sensibilità cutanea e nella mucosa ecc. 13 Questa disposizione, in cui rimane sempre distinguibile un asse nervoso centrale, nonostante che alle volte si circondi di esili rami- ficazioni laterali, va considerata come primitiva. Tanto che dal- l'Hulanicka |5| recentemente sono stati riscontrati anche negli anfibi, e propriamente in Rana temporaria, .. . . dans le tissu conjonctif de l’appareil fixateur des corpuscules tactiles simples qui ressemblent aux corpuscules tactiles décrit par Krause. Ils sont formés d'une fibre axiale terminée par un renflement en bouton recouvert d’une mince capsule formée de tissu conjonctif. Un filament nerveux grêle qui provient de la fibre axiale, chemine a cóté de cette dernière en l'en- tourant dans sa partie moyenne à l’aide de ses anses et de ses si- nuosités; la fibre axiale donne ensuite encore une branche dans sa partie basale laquelle donne à son tour trois petits filaments terminés par des renflements ovoides* (p. 343). La sostanza granulosa di sostegno rappresenterebbe secondo lo Sfameni |9| „un agglomerato di cellule, con le quali si mette in rapporto l'espansione del cilindrasse; queste cellule devono essere con- siderate quali veri elementi tattili periferici, che risentono le impres- sioni del mondo esterno, le elaborano e le trasmettono al centro per mezzo del cilindrasse* (p. 237). Ma osservazioni posteriori han sempre più dimostrata erronea questa opinione, ed oggi a più ragione „nous croyons que la substance de soutien des massues de Krause, comme la massue interne des corpuscules de Pacini, est de nature conjonctive, avec des éléments cellulaires abondants^ (Ruffini [10], p. 512—913). Assai raramente è dimostrabile un rivestimento esterno connet- tivale; per lo più si possono notare dei piccoli nuclei chiari ed oblunghi, disposti perifericamente al contorno dei corpuscoli. Del resto di così semplificati sono stati descritti anche nello strato papil- lare del gatto dallo Sfameni. I nuclei periferici appartengono alla guaina di Henle, che accompagna spesso la fibra nervosa anche oltre lo strozzamento pre-espansionale, il quale perciò non viene a trovarsi mai allo scoperto. Il fatto adunque che clavette cosi semplici, come quelle dei rettili. sono state riscontrate anche nei mammiferi, dimostra che esse non sieno il risultato di una successiva riduzione da corpuscoli più com- 14 Augusto Stefanelli, plessi, ma invece, come ebbe a pensare il Krause fin dal 1884 [11| | rappresentino le forme originarie di questi. Cosi il Ceccherelh [12]: ,Esse debbono considerarsi come tipo originario che si modifica e si perfeziona sia a spese dello stroma connettivale che a spese della fibra pallida, giungendo fino ai corpuscoli di Herbst e di Pacini da un lato, ai corpuscoli di Krause e Golgi-Mazzoni dall'altro. Non bisogna adunque considerare . . . i corpuscoli di Krause come deri- vanti da una successiva modificazione dei corpuscoli di Pacini, ma piuttosto ambedue le forme come successiva evoluzione della forma primitiva di clavette semplici, che se da un lato si é fatto special- mente risentire sullo stroma di sostegno e sull'involuero capsulare, dall'altro lato si & fatto in prevalenza sull'espansione nervosa“ (p. 283). Se poi vogliamo considerare quanto avviene nella membrana nit- titante del Geco, dobbiam dire che la vera forma originaria della clavetta di Krause va ricercata anzi in quei cilindrassi, come qui si riscontrano, privi anche del rivestimento della sostanza granulosa e. terminantisi con un grosso rigonfiamento a bottone, liscio oppure più o meno stellato per sottili e brevi appendici oltre di esso. Questi cilindrassi ancora si mostrano raramente di calibro uguale nel loro ultimo tratto, ma prima del bottone finale risultano, come generalmente anche quelli delle clave di Krause, forniti di pit varicosità, che le impartiscono un particolare aspetto moniliforme. E tanto piü io credo giustificata questa opinione, perché nella membrana nittitante più spessa degli ofidî da me presi in esame, esistono già le classiche forme di clavette di sostanza granulosa per- corse da una fibra assiale nervosa, simile a quella che, nuda, trovasi nel geco nei medesimi punti dello stesso organo. Ad ogni modo, quale che sia la struttura e significato delle clave di Krause, certo importante è la loro disposizione intorno alle papille della cute, perché cosi facilmente possono venir stimolate ad ogni minima pressione esercitata sulla superficie cutanea, sulla quale le papille fanno sporgenza impartendole quel caratteristico aspetto verrucoso. In questo senso le papille sporgenti dei rettili assumerebbero lo stesso ufficio che nei vertebrati superiori compete ai peli tattili della superficie del corpo. | | | Sui dispositivi microscopici della sensibilità cutanea e nella mucosa ecc. 15 Fig. 1. Clave — sensi- tive con appa- rato di Timo- feew nel pene di Platydac- tylus mauri- tanicus. (* COMP Kor.) lis In complesso abbiamo dunque nella di- stribuzione dei nervi nella cute dei rettili un plesso profondo, ed uno superficiale a maglie romboidali, dal quale una rete si origina sotto-papillare a maglie rettangolari, ed un plesso papillare a strette maglie subrotonde questo da la rete intrapapillare, con rami- ficazioni nell’epitelio, e le clavette sensitive. Risulta quindi che in questa classe di vertebrati, almeno nelle specie da me esami- nate, tutta la sensibilità cutanea sembra de- voluta allo strato superficiale, il profondo assolutamente mancando di ogni forma di espansione nervosa. Di ciò va fatta però eccezione per quanto si osserva nel pene di questi animali, giacchè le clave sensitive rimangono qui sparse anche più profondamente. Esse si caratteriz- zano, oltre che per la loro posizione, anche per il fatto che sono più svi- luppate di quelle dello strato cutaneo sia in grossezza come in lun- ghezza, tanto che per que- stultimo carattere ve ne sono che attraversano tutto il campo ottico della preparazione già solo a mediocre ingrandimento; ancora si mostrano spesso riu- nite a gruppi assai stretti di cinque o sei, provenienti tutte da due o tre fibre midollate, > 16 Augusto Stefanelli, che corrono insieme. Con queste si accompagnano sovente delle fibre amidollate assai sottili che, giunte a livello delle clave, le involgono delle loro numerose ramificazioni, fornite di anelletti e bottoncini, e possono perfino inoltrarsi nella sostanza granulosa disponendosi a mò di rete (fig. 1); imitano così perfettamente gli apparati nervosi dal Timo- feew descritti intorno ai corpuscoli di senso nei genitali dei mammiferi. La presenza di altre forme di espansioni, alle quali accenneremo più innanzi, come la maggior complicanza assunta dalle clave sensitive, fanno di quest'orrano uno dei più sensibili nell’organizzazione dei rettili in rapporto agli atti della copula ed alla conseguente propa- gazione della specie. Ma non il solo, perchè anche quelle parti, che hanno da compiere una grande funzione per la conservazione dell'individuo, si mostrano straordinariamente ricche di espansioni sensitive; più ricche anzi per gli stimoli più complessi e più frequenti ai quali debbono rispondere i loro apparati sensibili, che di conse- guenza vengono a presentarsi sotto le forme più svariate e nelle più varie maniere di associazione. Nel pensare perciò, indipendentemente da altre considerazioni, che con le arcate mascellari si compie la presa degli alimenti, e per mezzo della mucosa boccale la scelta consecutiva ed ulteriore delle parti da ingerire, bisogna già a priori ammettere una notevole inner- vazione delle labbra e più ancora della mucosa boccale. I plessi e le reti nervose infatti divengono molto più serrati nelle parti cutanee in vicinanza dell'apertura boccale, e sui bordi delle labbra pigliano gia più immediato rapporto con gli apparati della sensibilità, assai numerosi e regolarmente disposti. I rami nervosi del plesso superficiale si recano qui direttamente e compatti nell'epitelio entro un grandissimo numero di organi della linea laterale, i quali „per il prolungamento conico delle loro cellule sensitive, sono organi tattili^ (Todaro [13], p. 113). | Dentro di essi dunque non penetrano delle fibre nervose isolate, ma veri fasci che, con le loro ultime ramificazioni, vi costituiscono come un intricato cespuglio cosparso d'innumerevoli bottoncini, per mezzo dei quali si mettono in immediato rapporto con la porzione basale delle cellule fusate. Sui dispositivi microscopici dell. sensibilità cutanea e nella mucosa ecc. im Penetrando ora nella mucosa boccale esaminiamo quel tratto di essa, che dal lato linguale si addossa alle arcate mascellari. Nelle mascelle inferiori questo tratto, facilmente distaccabile con gli aghi, o in seguito a deboli pressioni, si mostra percorso ai due lati da due grossi tronchi nervosi, che provengono dal fondo della bocca, cosparsi di piccoli gangli e cellule gangliari isolate. Avanzandosi verso la punta del labbro si vanno facendo sempre piü sottili per le numerose ramificazioni che inviano verso i lati mascellare e linguale. Queste contengono ancora qua e là dei piecoli aggruppamenti gangliari o cellule gangliari isolate, dopo di che s’in- viano fra loro numerosi rami anastomotici; e quelle ramificazioni che si diriggono al lato mascellare finiscono per risolversi in un ricchis- simo plesso, cosparso d'innumerevoli e svariate espansioni; mentrequelle del lato linguale vanno direttamente in caratteristici apparati sensitivi, fra 1 quali in prevalenza corrono i rami anastomotici. Il plesso della mucosa lungo le arcate mascellari é caratteristi- camente sviluppato in Lacerta murals e L. viridis, dove occupa una stretta zona, nella quale sono compresi lunghi zaffi epiteliali assai numerosi e paralleli fra loro. Esso è dato dal biforcarsi allo stesso livello di tutti i fasci nervosi in rami fortemente divergenti, e quindi nelle singole fibre, le quali corrono flessuose e per lungo tratto, spesso ripleeando verso il punto in cui si sono originate, e intrecciandosi in strati di diversa profondità in maniera da costituire un inestricabile aggrovigliamento, ancor più complicato per la presenza di un'egual rete di capillari sanguigni. Nello spessore stesso del plesso le fibre nervose, generalmente dopo di essersi pit volte su loro raggomitolate, finiscono per risol- versi in numerosissime espansioni arborescenti, fra loro direttamente connesse per l'esistenza di numerose fibrille ultra-espansionali: di tal che il tutto potrebbe considerarsi come un sol organo di senso. Nel caso pitt semplice dette espansioni appaiono come lassi gomi- toli, che occupano gli spazi compresi fra gli zaffi epiteliali e costi- tuiscono qua e là, a contatto di cellule speciali, dei grappolini di bot- toni; inviano ancora sottili fibre nell'epitelio stesso degli zaffi, dove danno pure numerosi bottoni sia a contatto di cellule che, di dimen- Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI. 2 18 Augusto Stefanelli, sioni maggiori delle altre, più intensamente si colorano, sia fra le cellule epiteliali stesse. Me Aulanicka |14) ha descritto cellule speciali lungo il decorso dei nervi nell’epidermide della Rana, con la denominazione di cellule tattili, dove „loin d’étre localisées, elles sont disseminees dans toutes les region de la peau . . .“ (p. 688), e differiscono da quelle dell’epi- dermide del Tritone, perchè queste „ne sont pas réunies en groupes, mais isolées; on les trouve rarement groupées par deux“ ([15] p. 403). Delle cellule identiche descrive ancora nella Rana, e propriamente nello strato superiore del derma delle prominenze tattili, ma quanto alla loro natura pensa che ,,ce sont des cellules differenciées du tissu conjonctif“ ([14] p. 689); come del resto fin dal 1887 pensò da noi il Mazzoni |16], il quale credè inoltre, circa alla loro funzione, che dette cellule fossero ,,deputate a servire qual mezzo di sostegno alle termina- zioni nervose nell’interno della papilla“ (p. 278). Recentemente la stessa Hulanicka [17] le ha descritte, pure con la denominazione di cellule tattili, nell’interno delle espansioni nervose della mucosa boccale di Crocodilus niloticus ed Alligator lucius. Ma dalle: nozioni che abbiamo fin qui sulla loro struttura e dai rapporti che assumono con l’elemento nervoso, dobbiamo piuttosto considerarle quali cellule di sostegno, e perciò non sembra giusta la denominazione loro attribuita di cellule tattili; oppure conserviamo per esse questo termine ormai classico, ma con altro significato. Altre volte, anzi il più delle volte, le espansioni nervose si mo- strano prive di simili cellule di sostegno, e ciò allorquando prendono una struttura più compatta ed il loro fondo, offuscato per la presenza di una finissima sostanza granulosa, appare attraversato da esili fibre comnettivali. In questo caso i fili nervosi danno un’innumerevole quantità di bottoni, non disposti in grappolini separati a contatto di cellule speciali, ma costituenti un’unica e compatta espansione grap- poliforme, nella quale la fibra midollata può penetrare dai più differenti punti, ma più generalmente da un’estremità (fig. 2). Fra questi estremi si riscontrano innumerevoli stadi intermedi, spesso dati dai varî rami di una stessa fibra midollare, i quali da semplici ramificazioni più o meno raggomitolate con poche varicosità lt De Sui dispositivi microscopici della sensibilità cutanea e nella mucosa ecc. 19 a bottoni, sparse, o parzialmente raggruppate in piccoli grappolini, man mano ci conducono alle più complesse e compatte infiorescenze, fornite anche di debole sostanza granulosa e fibre connettivali. La forma intermedia piü caratteristica & un'espansione a piastra, Fig. 2. sensitiva forme nella mucosa boccale grappoli- di Espansione Lacerta muralis. (*/,, Kor.) riposante sotto l'epitelio e tutta su di uno stesso piano (fig. 3), la quale dal Ceccherelli [18] fu denominata «a corimbo, per distinguerla da quelle altre che, occupando le tre dimensioni dello spazio, furono dal Dogiel [19] e Vitali [20] dette alberelli. Cosi il Ceccherelli descrive queste forme, e valgano le sue parole ad es- primere esattamente il nostro concetto: .... lespansione della fibra pallida negli alberelli ha una forma retico- lata, mentre ció non avviene nei co- rimbi; di piü, mentre in generale gli alberelli hanno tre dimensioni, 1 corimbi si estendono solo in superficie; mentre in corrispondenza degli alberelli vi è un addensamento di connettivo e di nuclei, questo manca assolutamente nei Fig. 3. Espansione nervosa a corimbo nella mucosa boccale di Lacerta Che. Kor.) DES viridis. 20 Augusto Stefanelli, corimbi; mentre gli alberelli sono situati più o meno profondamente nello spessore del corion, i corimbi sono superficiali al disotto del- l'epitelio . . . Credo che anche senza andare ulteriormente a sottilizzare, i pochi fatti accennati siano sufficienti a darci la convinzione della diversità di queste due forme di espansioni nervose, che furono in altri organi chiamati fino ad oggi colla stessa denominazione di al- berelli. Ed é appunto per questo che ho creduto necessario di chia- marle con un nome diverso, e, partendo dalla considerazione della loro struttura caratteristica, il nome di corimbi mi pare che corrisponda più di ogni altra a darne un'idea chiara e precisa“ (p. 326). Ora, tenendo conto che le diverse disposizioni si riscontrano spesso sulla stessa fibra midollata e che molti punti di passaggio esistono fra loro, rimaniamo dell’opinione del Ducceschi, che „tutte queste forme non sono altro che varietà dello stesso tipo“ ([27] p. 346). In- oltre, se teniamo conto che negli alberelli appare quasi sempre dimo- strabile un addensamento di connettivo a loro livello e la presenza di una sostanza granulosa, e che 1 rami, che costituiscono l'espansione sono disposti fra loro a mò di rete, dobbiamo pur riconoscere che, per quanto sforniti ancora di una capsula, sono detti alberelli che, secondo quanto ha già indicato il Vital, per successiva complicazione daranno i corpuscol del Ruffini nei vertebrati superiori. Ma dove ciò appare con maggiore evidenza si è nella mucosa boccale del Camaleonte, dove gli alberelli sembrano regolare i movi- menti cosi estesi della lingua; inoltre, essendo situati anche tra le guaine connettivali dei muscoli, sembrano eccitati dal cambiamento di forma della superficie di questi, nella stessa maniera riscontrata dal Ducceschi nella lingua di alcuni uccelli circa la disposizione dei corpuscoli del Ruffini [22]. Contribuirebbero dunque in questo caso tali espansioni ,a quella serie di sensazioni oscure e spesso sub- coscienti che si comprendono sotto la denominazione generica di senso muscolare“ ([25] p. 454). Nella mucosa boccale inoltre del Camaleonte possono seguirsi molti stadi di passaggio di dette espansioni, che da semplici e lasse reti giungono man mano a tale complicazione da dar loro apparenza di veri corpuscoli. Sui dispositivi microscopici della sensibilità cutanea e nella mucosa ece ) 9 Infatti lunghe e grosse fibre midollate a decorso rettilineo fini- scono nel caso più semplice con l'originare, dopo il solito strozzamento pre-espansionale, una specie di rete globulare sparsa di granuli e nodosità; gli stessi fili sembrano costituiti dall’allinearsi di un'infinità di sottili granulazioni fortemente ravvicinate fra loro (fig. 4). Ma per quanto semplici queste reti espansionali, pure non giacciono affatto tutte sullo stesso piano, ma occorrono diversi giri della vite micro- metrica onde poterle tutte abbracciare con lo sguardo. Fig. 4. Espansione sensitiva in forma di semplice rete nella mucosa boccale di Chamaleon vulgaris. (?/s, Kor.) Lo stesso avviene all’estremita di altre fibre midollate, o sulle differenti ramificazioni di una medesima fibra, le quali si espandono in reti simili; spesso perö in alcuni punti delle maglie comincia un maggiore addensamento di fili, si da formarsi come degli intrecci limitati a mo di chiazze, più o meno numerosi. Finalmente si giunge al caso nel quale tutta la rete ha assunto la struttura di un unico ed inestricabile aggrovigliamento di fibrille sparse di varicosita a bottone: si hanno cosi i caratteristici aspetti di cespugli o di gomi- toli, i quali possono assumere una forma rotondeggiante, ma spesso anche alquanto allungata in una delle direzioni dello spazio (fig. 5). Do Augusto Stefanelli, Qualunque sia peró la forma assunta dall’espansione, l'interessante si è sempre la disposizione a rete dei suoi fili nervosi, cosi come li ha ancora deseritti il Botezat [24] nel tessuto connettivo della lingua della Rana: „Il s’agit de terminaisons nerveuses ayant la forme de pelotons. Les fibres dont elles sont constituées proviennent des nerfs à myéline; elles perdent cette substance pour devenir des fibres axiales pouvues i E — 7 » Fig. 5. Espansione nervosa ad alberello con reticolo simpatico; mucosa boccale di Chamaleon vulgaris. (*/ Kor.) de nombreuses nodosités. Cet fibres se divisent et s'anastomosent pour former un réseaux de fibres minces* (p. 77). Pure importante é la presenza di numerosissime fibrille ultra- espansionali, che finiscono per dare all'espansione stessa il significato come di un punto nodale (fig. 4) a maglie piü serrate di una rete piü generale, che intimamente involge e compenetra il tessuto ove trovasi allogata. Nella mucosa del fondo della bocca possiamo dire anzi che la sensibilità è devoluta unicamente a questa rete espansionale diffusa, che si accompagna costantemente ai vasi capillari, SUE CETTE IPC CI Sui dispositivi microscopici della sensibilità cutanea e nella mucosa ecc. 23 Bisogna perció convenire che dapprincipio nella filogenesi non esistessero speciali espansioni nervose nell’organizzazione animale, ma solo reti diffuse, sulle quali posteriormente si ebbero dei punti di maggiore concentrazione per meglio localizzare gli stimoli nervosi periferici. Solo così verrebbe a darsi una più giusta interpretazione delle fibrille ultra-espansionali, le quali starebbero quali ultime rap- presentanti della rete diffusa originaria, testimoniata ancora dalla struttura reticolata delle espansioni. I cespugli ed i gomitoli, in altri termini gli alberelli di Dogiel, sono pure molto bene sviluppati nella mucosa del palato del Geco, dove sono assai numerosi e regolarmente situati in mezzo a maglie capillari, nei punti nodali del plesso nervoso che li origina; in Lacerta invece sono poco rappresentati essendo piuttosto allo stadio di ricche infiorescenze o grappoli, od ancora di semplici corimbi. Sia nel Geco come nel Camaleonte risultano sempre fusi fra loro per via di numerosissime fibre anastomotiche; anzi nel Camaleonte più alberelli possono direttamente fondersi fra loro, si da costituire um tutto omogeneo; sono però meno regolarmente disposti che nel Geco, ed inoltre si originano da fibre midollate incomparabilmente più grosse e lunghe e rivestite da un’ampia guaina di Henle (fig. 6). Esistono intorno a queste espansioni degli apparati omologabili a quello del Timofeew ? Osservando la fig. 5, si ha da vedere come una belissima espan- sione sensitiva della bocca del Camaleonte rimane avvolta da una sottile rete di aspetto simpatico, data la uniformità e delicatezza dei suoi fili e la presenza di nuclei nei punti nodali. Dico simpatico, perchè già il Ruffini [25] nel 1900 ebbe a caratterizzarlo per tale per le proprietà esposte, e dipoi lo Sfameni, il Dogiel ed altri accet- tarono, sempre per lo speciale aspetto dei fili della rete, del loro volume e la presenza di nuclei nel loro decorso. Stando così le cose a me sembra ravvisare una disposizione omologabile all'apparato del Timofeew nella rete rappresentata nella fig. 5 intorno all’espansione ad arberello. Anche nella zona già considerata di mucosa boccale, che in Lacerta si addossa alle arcate mascellari, mi è stato dato osservare 24 Augusto Stefanelli, un intimo rimescolamento nelle espansioni delle due specie di fili ner- vosi, di quelli cioé direttamente provenienti dalla fibra midollata, e di altri da fibre amidollate, che in fasci od isolate, accompagnandosi a quella, o in qualunque altro modo, all’espan- sione pervengono. Il che vale anche per le clave sensitive, che non scarseggiano in questa Fig. 7. Clave sensitive della mucosa boccale di Lacerta muralis avviluppate da infiorescenze Fig. 6. RISO s BR 7 Se provenienti da fibre amidol- Espansioni ad alberello fuse insieme nella mucosa A aun boccale di Chamaleon vulgaris. (3/, Kor.) late. (m Kor. ) zona, perché spesso rimangono involte in speciali e folte infiorescenze provenienti da fili amidollati (fig. 7). L’Hulanieka nel suo ultimo lavoro ha raffigurato un caso simile Sui dispositivi microscopiei della sensibilità cutanea e nella mucosa ecc, 25 nella bocca del Coccodrillo; ma sia qui che in Lacerta manca ogni criterio per potere azzardare una qualsiasi ipotesi sulla provenienza dei fili amidollati intorno alle clave. Rimanendo ancora nella zona fin qui considerata di Lacerta, tro- viamo che allo strato giacente più presso all’epitelio pervengono delle sottili fibre midollate, le quali, dopo lo strozzamento pre-espansionale, sinsinuano in una clava assai sottile e lunga di sostanza granulosa, priva di cap- ‘sula, dove si ramifica innumerevoli volte in rami esilissimi più volte fra loro intrec- ciati e forniti di varicosità a bottone. Alla punta si ramificano brevemente in pit direzioni ed in vicinanza immediata di anse capillari, dove vengono a fondersi con le ramificazioni simili delle clave vicine. Ne risulta un insieme di corpuscoli nervosi fra loro parallelamente situati e perpen- dicolarmente alla superficie epiteliale, i quali, presi singolarmente, assumono l'aspetto di quelle forme dal Crevatin e dal Ruffini descritte come di passaggio tra i corpu- scoli di Pacini e quelli di Golgi-Mazzoni (fig. 8); come questi non hanno una vas- colarizzazione speciale, ma sono solo in vicinanza di semplici anse capillari. Fig. 8. Ritornando ora un passo indietro se- Espansioni sensitive nella mu- cosa boccale di Lacerta mu- guiamo quei tronchi nervosi, che, nella mu- (ae (OR aes cosa della mascella inferiore, si diramano verso il lato linguale. Qui si recano nello spazio compreso fra le ghiandole dove, mentre alcune grosse fibre midollate finiscono a mò di lunghe clave, intorno ad esse tutte le altre fibre più sottili, midol- lari e amidollari, si aggrovigliano, assumendo spesso una disposizione a spirale, sì da simulare in certo qual modo le immagini elicoidi delle fibre nervose in rigenerazione. Altre specie di espansioni nervose sono disseminate qua e là 26 Augusto Stefanelli, intorno alle pareti dei vasi e nello strato piü superficiale del connet- tivo della mucosa boccale fin qui considerata: hanno l'aspetto di semplici ramificazioni libere, fornite oppur no di varicosita. Ve ne sono aleune, che richiamano in certo qual modo quanto avviene nel pene del Geco: vale a dire le fibre nervose si ramificano nel connet- tivo sotto-epiteliale in varie direzioni e per lungo tratto, dando origine sul loro percorso a rigonfiamenti a bottone piü o meno irregolari, oppure ad anelletti; e ció molte volte a livello dei nuclei sparsi nella trama del tessuto. i Ma nel pene del Geco si puó notare ancora come le ramificazioni non si terminano sempre con un bottone, o in altra maniera libera, giacché per lo pit si fondono fra loro, si da costituire come una sola ed estesa rete espansionale di senso, cosparsa d’innumerevoli bottoneini (fig. 9), direttamente proveniente da una rete sottostante di tronchicini nervosi Si insinua nei punti piu superficiali fra gli zaffi epiteliali, e non manca in alcuni punti d'inviare qualche esile filo anche nell'epitelio stesso; inoltre abbraccia le pareti dei vasi. Per tutto il rimanente della mucosa boccale si distende, con una rete di capillari, un foltissimo reticolato nervoso di fibre amidollate o con poca mielina. Abbiamo già ad esso accennato precedentemente per distinguerlo da quello cutaneo della superficie esterna del corpo, ed abbiamo ancora manifestata l'opinione che non sia destinato ai vasi, ma che sia di natura sensitiva. Non credo quest'opinione del tutto azzardata, tenuto conto che in nessun punto ho potuto mai riscontrare rapporti intimi con le pareti di quelli; ed inoltre perché, originandosi da fibre midollate, assai notevoli per calibro, dopo un lungo strozzamento pre-espansionale, abbracciano l'estensione maggiore della cavità boccale, dove non s'incontrano altre forme di espansioni sensitive. Per i caratteri i suoi fili completamente s'accordano con quelli che innervano le papille linguali, dove gia dal Crevatin [26] furono ritenuti di natura sensitiva, fondandosi sul fatto che non trovó oltre di essi altre formazioni nervose in parti abbastanza sensibili della cute: »... che le terminazioni papillari sieno con ogni probabilità terminazioni nervose sensibili io lo credo assai probabile, non solo Sui dispositivi microscopici della sensibilità cutanea e nella mucosa ecc. 27 perché in molte papille non si nota alcun rapporto stretto tra nervi e vasi ma anche perché nelle papille cutanee delle dita del piede del- È iet Cw J P LI ^ VE ar (STATI ~, " SA. + nt Us ur Pot el e? Pay Espansioni sensitive costituenti ampi reticoli nel pene di Platydactylus mauritanicus. (/ Kor.) Vanitra non riscontrai altre forme di terminazioni se non 1 nervi papillari; e, se veramente altre non esistessero, jo credo pil ragionevole 28 Augusto Stefanelli, negare ai capillari nervi propri vasomotori che non a quelle parti della cute nervi sensibili“ (p. 98). | La presenza delle reti capillari anzi dovrebbe rafforzarci in quest'opinione, perché sappiamo che i punti piü sensibili, e le stesse : espansioni nervose, son quelli dove maggiormente abbondano i capil- lari sanguigni. E cid perché il funzionamento delle espansioni di senso è sottoposto peculiarmente all'influenza della vascolarizzazione. Cosi per esempio fra gli altri Vaschide [27] dimostró che nelle membra di un individuo sano l’iperemia, attiva, patologica o sperimentale, aumenta la finezza della sensibilità tattile, mentre l'anemia la dimi- nuisce. La sensibilità in conclusione ,parait étre sous la dépendance immediate de Virrigation sanguigne“ (p. 488). Una conferma solenne a questo fatto sono i ritrovati istologici sulla vascolarizzazione dei vari corpuscoli nervosi riscontrati nei vertebrati superiori, e, tanto per citarne alcuni, quelli del Pala- dino 128] e del Schumacher |29] sui corpuscoli del Pacini, ed inoitre quelli del Ruffini [50, 31] e del Crevatin [32] sui corpuscol di Ruffini. Il Paladino poté fin dal 1866 affermare in base ai suoi eccellenti risultati sui corpuscoli di Pacini, che il sangue ,servendo . . . alla nutrizione ed alle funzioni dei singoli organi, dove piü abbonda li é maggiore, sia il processo nutritivo che il funzionale. L’uno e l’altro poi devono essere notevolmente superiori negli organi di Pacini del- l'Uomo rimpetto a quelli del Gatto, e la destinazione quali moltipli- catori elettrici dei primi ne spiega altresì il perchè. Ed in vero i nervi, che sono gli strumenti di questo processo fisico, per le loro funzioni van soggetti ad un rapido movimento di riduzione e di re- integrazione. La rapidità è in ragione diretta dell’essenzialità di questo movimento per le funzioni ulteriori dei nervi, e la moltiplicità dei vasi nelle masse nervose soddisfa appunto a siffatto bisogno e prova da un altro lato la medesima cosa“. »Ora la complessità dei vasi nei corpuscoli di Pacini dell'Uomo è in ragione della funzione di tali organi. Ritenutili una volta quali moltiplicatori elettrici devono necessariamente essere la sede di un esteso movimento nutritivo, e questo si può compiere benissimo pel gran numero dei vasi che vi si diramano“ (p. 15). EN BITTO BRE. Nil. | 11 Sui dispositivi microscopici della sensibilità cutanea e nella mucosa ecc. 929 Ora, ammettendo anche il fatto che i capillari possano mutare il loro lume sotto Vinfluenza di stimoli nervosi, e indipendentemente dal concetto che possiamo farci sulla natura intima del processo ner- voso, a me sembra, per le ragioni piü su apportate, che alle reti descritte nella mucosa della bocca dei rettili meglio convenga attribuire funzione sensitiva, e non già vaso-sensitiva, o vaso-motoria. E ciò tanto più perchè lungo la rete non è raro incontrarsi in sottili granuli disposti in minuti grappolini, o più spesso lungo il contorno stesso delle fibre, dandole quello speciale aspetto a mò di nastrini irregolari a margini dentati e spinosi, che dal Crevatın furono descritti con la denominazione di strzscette nervose nel corio della congiuntiva. Ma più interessanti ancora sono i rapporti che le reti capillari vengono ad assumere con alcuni corpuscoli di senso nella mucosa orale degli ofidi. Sia nel palato inferiore, che nel superiore, la mucosa boccale, fiancheggiando dal lato interno le creste dentarie, si eleva in papille assai numerose, sì da assumere già ad occhio nudo aspetto di un margine finemente seghettato. All'esame microscopico ogni papilla rimane invasa da sì gran numero di capillari, che questi, disponendosi in rete a maglie concentriche, appaiono come veri glomeruli. Nello stesso tempo dei tronchi nervosi, così numerosi quanto le papille, sì elevano verso di queste da un plesso sottostante, e vi penetrano dopo di aver presi rapporti fra loro per via di fibre o piccoli fasci ana- stomotici. Raramente essi danno fili, che non si recano nelle papille per espandersi intorno ad esse a mò di tozze clave, o in altro punto superficiale; ma di regola penetrano compatti nelle papille, dove, nel punto culminante, si espandono in gran numero di clave sensitive, assai stipate fra loro (fig. 10) e racchiuse fra le maglie del glomerulo capillare. Anche il connettivo diviene più fibroso in questo punto è costituisce come un reticolo a maglie assai strette ed incurvate verso il centro del glomerulo, il quale rimane, immediatamente sotto alla membrana basale dell'epitelio, occupato da un foltissimo intreccio nervoso (fig. 10). Anche le clave sensitive coi loro apici finiscono per prendere contatto con detta membrana basale, e stanno disposte intorno al- Augusto Stefanelli, 30 Da quelle della superficie esterna della l’intreccio nervoso (fig. 10). cute si differenziano, perché sono di forma pit globosa e spesse volte AL Rs PITTI — 2 (aoy 9/, ‘snzoaurpruponb swjdpjg ut onrejuop 948919 e] ejuvrggeqouvg e[ero esoonur v[rep apprded ojpeu '(opeseq tutIquIewI wep 033€3uoo è oejueur -jeayueo r[gndsoo To; 'ejuoureonregtied eA'v[o) ‘eAIqrsues osoAou ruorsuwdso rp ourd rp vurroy € osse[duro;) ‘OT ‘SUA ^ SIR ment ^ cora per la disposizione, che vi assume il cilindrasse: ; ma piü an lobate infatti nelle prime questo rimaneva come una fibra assiale, quasi sempre indivisa e sormontata da un rigonfiamento ovale o stellato; Sui dispositivi microscopici della sensibilità cutanea e nella mucosa ecc. 3] nelle seconde invece si risolve molto spesso dentro alla sostanza granulosa in numerosi e sottili filuzzi, forniti di rigonfiamenti, si da imitare nell'insieme 1 corpuscoli nervosi, che facilmente possono riscon- trarsi nel pericondrio delle capsule articolari negli arti del Geco. Anche sui tendini del Camaleonte nel loro punto di attacco alle arti- colazioni esistono di simili corpuscoli, solo che qui una fibra può generarne fino a dieci, che hanno una forma alquanto più allungata e rimangono rivestiti di più capsule connettive molto evidenti. Nella mucosa boccale degli ofidi esistono ancora punti molto ricchi di espansioni sensitive a cespuglio, fuse direttamente fra loro per lunghissimo tratto. Volendo far ora qualche breve considerazione, dobbiamo innanzi tutto notare che la relativa uniformità e semplicità negli aspetti e distribuzione delle espansioni cutanee dei rettili rispetto ai vertebrati superiori, indicano certamente una varietà di adattamenti di gran lunga inferiore per i primi. Ma questi adattamenti si dimostrano però fondamentalmente della stessa natura, fondamentalmente identici essendo gli apparati della loro sensibilità; sì che basta ridurre in semplicità quelli dei vertebrati superiori per rappresentarci approssimativamente quelli dei rettili. In questi dunque troviamo le disposizioni fondamentali di corpu- scoli nervosi della sensibilità, e sono rappresentate dalle clave di Krause da una parte, e dai corimb? ed alberelli dall'altra. Le une raggiungeranno nello sviluppo filogenetico dei vertebrati l'aspetto di corpuscoli di Herbst, Pacini, Golgi-Mazzoni per l'aggiunta secondaria di nuovi accessorî, gli altri assumeranno la forma più perfetta e com- plessa di corpuscoli del Ruffini. Sembra dunque, in base a fatti sempre più accertati, che sia incondizionatamente da seguirsi l'interpretazione del Ruffini [35], il quale potè asserire che la ragione evidente del gran numero di forme e varietà di espansioni sensitive, esistenti nei vertebrati superiori, 32 Augusto Stefanelli, non va affatto cercata nel numero più o meno grande di sensazioni che un organo & destinato a ricevere, giacchè „le forme e le Varieta sono, in ciascun Organo esaminato, infinitamente piü numerose delle qualità di sensazioni che l'Organo stesso é chiamato a ricevere“ (p. 20); ma in fenomeni di adattamento delle espansioni stesse, giacchè „le estremità delle fibre nervose si adattano al tessuto ed all'ambiente, nei quali formano e si trovano le loro espansioni“ (p. 21). 10. 11. 12. 13. 14, 15. 16. Bibliografia. Schmidt, W. J., Studien am Integument der Reptilien. Zeitschr. wiss. Zool. 1912, Bd. 101, p. 139, Taf. 8—12. Ducceschi, V., Gli organi della sensibilita cutanea nei Marsupiali. 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(From the Pathological Laboratory of the University of Missouri). Fatigue of Excitation and Fatigue of Depression: A Comparison of the Reactive Effects of Function and of the By-Products of Function on the Nerve Cell. by David H. Dolley. Synopsis. Introduction . . . . . . . . 935 | Fatigue of excitation and fatigue Experimental data . 2 5.) NN 36 Old ePLESSION EE CN oh se cre The analysis of the experiments on The relatively greater importance the relation of the fatigue sub- of the effect of excitation than stances to functional activity . 39 that of depression . . 50 The distinction on anatomical The exhaustibility of the nerve asm 52 grounds between functional ac- Conclusions) aie an eS tivity and functional depression 44 Introduction. When one considers the important röle which toxins and toxic products are known to play in the physiology of the animal organism, it is not surprising that certain phenomena, unexplained or not thoroughly understood, are ascribed to their effect on grounds largely theoretical. Of nothing is this more true than of the anatomical changes which are associated with the functional activity of the nerve cell. Dating from the pioneer work of Hodge (1892), it has become to a greater or less degree recognized that this cell does undergo changes as a result of its functional manifestations. Long before Hodge’s time, workers in another field, of whom Ranke (1868) 3* 36 David H. Dolley, was the first, had studied the physiologic action of the products of cellular activity and had found them marked. It was thus most natural that the idea should arise that these coincident phenomena are in correlation. In the full development of this. idea, the fatigue substances are supposed to stand in a causal relation to the anatom- ical changes. It is true that it is not usually stated in so many words in the literature. It is rather suggested or to be inferred from the emphasis laid on the reaction of the waste products. That the idea is fre- quently uppermost in the minds of physiologists, however, the writer has become convinced as a result of conversations with several on his extension of Hodge’s work on functional activity. Invariably the first point raised was the relation of toxic waste products or the first question, „Have you tried the effect of lactic acid?“ The purpose of this paper is the presentation of the results obtained from administration of such substances, the conclusions based thereon in regard to the distinction between ‘functional activity and functional depression and, finally, the error which has resulted from the neglect of this distinction. The experiments, here originally presented, whose results eliminate the waste products as the cause of the changes peculiar to normal function will first be described and discussed. Experimental Data. Transfusions from fatigued animals. — The procedure here was to work a dog in the treadmill to a point which previous experience (1909c) had shown was associated with profound and widespread cellular exhaustion. With both this donor and the future recipient dog under ether anesthesia, the blood was first withdrawn from the recipient to accommodate the incoming blood from the fatigued donor. Transfusion was then made. After a short wait for thorough diffu- sion of the foreign blood within the recipient, the bleeding was repeated in order to get out as much original blood as possible and then a final transfusion was done. First in the series, a group experiment was performed, in which six puppies of the same litter, barely six weeks old, were used. Two Fatigue of Excitation and Fatigue of Depression etc. 37 of these, the largest and smallest, weighing 980 and 560 grams respectively, were killed without disturbance as controls (Experiment Normals 13 and 14). Of the others, two (Experiments 23 and 24 in the continuation of the Muscular Exertion series, 1909c) were trans- fused with the blood of fatigue, one (Experiment M.-E. 25) was trans- fused from the presumably normal blood of the mother as a control of the effect of the operative excitation and one (Experiment M.-E. 26) was treated intravenously with lactic acid. With these common points set forth, the details of each experiment may be given in brief. Experiment M.-E. 22. 'The donor. In the treadmill three hours and nine minutes, with work and rest alternating. Early exhaustion. Total working time one hour. Experiment M.-E. 23. First recipient. Anastomosis of carotid artery of Experiment 22 to jugular vein of Experiment 23 by means of Queirolo's cannula as adapted by Crile (1909) and Hitchings. Bled from the femoral artery to a failing pulse, transfused, which again was followed by a double repetition of both these consecutive procedures. Total time from beginning of anesthetic to removal from table was fifty-three minutes. Killed after six hours. Experiment M.-E. 24. Second recipient. Single repetition of bleeding and transfusion. Total time of operation, thirty minutes. Killed after three hours. Inside of one half hour both puppies were awake, walked around and no decided change in their behavior was noticeable. Experiment M.-E. 25. Control transfusion from normal mother. Previous experiments imitated. A final transfusion in excess caused respiratory and cardiac embarrassment which necessitated a final bleeding. Total time of operation fifty-seven minutes. This puppy received the most extensive operative handling of the three. Killed after six hours. Since very young puppies were found later to offer difficulties in comparison for reasons to be explained, the transfusion experiment was repeated on a known elderly dog. Experiment M.-E. 32. The donor. Weight 8 kg. In the tread- mill two hours, total work sixty-eight minutes. 38 David H. Dolley, Experiment M.-E. 33. The recipient. Weight 9,4 kg. Carotid- jugular anastomosis. The recipient was bled 300 cc. from the femoral artery and then transfused to the point of failing pulse of the donor. The donor was then given 300 cc. of normal saline intra- venously and the transfusion tube reopened to transfer all the thus diluted blood of fatigue possible, the animals being about the same size. Total time of operation thirty-five minutes. Killed after four hours. The recipient was uncommonly drowsy and stupid after the operation. Injections of lactic and paralactic acids and of mono-potassium phosphate. — The experimental progress of the dosage will be apparent. In the later amounts there can scarcely be any question in regard to the sufficient quantity. Only the experiments are recorded in which differential counts were made. The lactic acid used was of U. S. P. strength. The sarcolactic acid was prepared by Merck. Experiment M.-E. 26. The puppy from the transfusion litter. Weight 970 grams. It was given 1 ce. of a 1°/, lactic acid solution intravenously at one half hour intervals until seven doses were administered. After each dose there was an increase in cardiac and respiratory rate, followed by marked drowsiness which soon wore off. Total dose, approximately 0,1 cc. per kg of body weight. Killed two hours after the last dose. Experiment M.-E. 28. Puppy, three months old. Weight, 1,75 kg. Under chloroform anesthesia 70 cc. of a 2°/, lactic acid solution were administered intravenously. Dosage approximately 1 cc. of the full strength acid per kg of body weight. Following the drug the animal was drowsy, stupid, shivered and retched. Killed after nineteen hours. The effect had entirely worn off. Experiment M.-E. 29. Puppy, two months old. Weight 2 ke. Injected intravenously with 1 cc. of sarcolactic acid extracted by myself from the muscles of a fatigued dog. This was diluted with saline solution in the ratio of 1:50. There were no perceptible ill effects. Killed after six and one half hours. Experiment M.-E. 30. Puppy from the same litter as Experi- ment M.-E. 29. Weight 3,09 kg. Under ether anesthesia, intra- Fatigue of Excitation and Fatigue of Depression ete. 39 venous injection of 3 cc. of lactic acid diluted to 50 cc. was made. There was no apparent ill effect. Killed after six hours. Experiment M.-E. 31. Elderly collie dog. Weight 19,57 ke. Under ether, 350 cc. of a 5°/, lactic acid in warm saline were given intravenously. The total amount of full strength lactic was 17,5 cc. The animal was list- less, apathetic, almost comatose and vomited. As usual, the respiratory rate was initially increased. Killed after five and one half hours. On the basis of three experiments, the lethal dose of mono-potas- sium phosphate in cautious intravenous injection of a 1°/, solution was found to vary from 0,15 to 0,25 grams per kg of body weight. Death in each case was due to respiratory failure, following a marked initial excitation with subsequent spasmodic breathing. Experiment M.-E. 39. Old mongrel terrier bitch. Weight 5,58 kg. Under ether, 55,8 ce of a 1°/, solution of KH, PO, (0,1 gram per kg) and 55,8 cc of a 5°/, Merck’s sarcolactic acid (0,5 ce per kg, total amount 2,79 cc) were administered together intravenously. There was the usual marked symptomatic effect. Killed after six hours. This concludes the experiments on the possibility of exciting the changes of activity by fatigue products. Even in the more severe of these depression changes are instead recognizable. The further experi- ments of prolonged administration of sarcolactic acid and mono-potas- sium phosphate, which resulted in frank depression, are more suitably recorded elsewhere under that particular head (1913b). Briefly, the administration of these, both alone and in combination, was prolonged on three rabbits for a period of five to ten days. The Analysis of the Experiments on the Relation of the Fatigue Substances to Functional Activity. (Table 1.) The basis of the analysis is the differential counting of cells as set forth in Table 1 in summarized form. The advantages and detects of the method have been previously discussed (19096). It is invaluable in affording definite and concrete figures, although they are to a cer- tain degree approximate, partly from technical difficulties, partly trom natural variations of localization. In no case, however, have selected areas been chosen for the counting. Table 1 will be used to take 40 David H. Dolley. the place of detailed comparison and merely the general results will be indicated. The Purkinje cell of the cerebellum was again the type studied in detail and six hundred cells were diagnosed in each case, two hundred each from the worm, the uvula and the biven- tral lobe. Table I. Stages of Progressive Activity Ins strasse Number —— | Res- | Activity El Ex- Initial . | Seite) De of Ex- Upset of | Shrun- ting | All types | Cell sal periment sane N/P {ken hyper- hyper c lee f ao sted | relation. |chromatic| roma x ER Cells | tism. FECONES N. 13 1 148 174 60 a 140 | 0 0 N. 14 11 82 281 91 TI 58 0 0 M.-E. 23 || 4 100 268 59 79 90 0 0 24 23 124 215 102 59 77 0 0 25 10 90 313 76 64 47 0 0 26 5 64 329 106 28 68 0 0 28 3 60 217 217 66 37 0 0 29 0 114 168 247 48 23 0 0 30 5 127 105 206 an 80 0 0 30a 8 235 114 40 119 84 0 0 31 4 70 82 61 227 70 86 0 33 5 94 171 64 141 55 110 0 39 1 103 185 107 95 25 68 16 181) 40 273 89 47 79 72 ASA RESO 222) 18 407 418 144 13 0 0 0 123) 106. 269 179 46 0 — — == In comparing figures from different animals, the very wide varia- tions possible in the collective cellular states of outwardly normal ones must first be borne in mind. For example, Experiment 30a, an undisturbed control from the same litter as Experiments 29 and 30, shows a high state of functional activity, its cells in general being more advanced than either of the animals treated with the drugs. Yet no conclusions whatsoever of a negative effect of sarcolactic acid *) From Table II, Studies on Recuperation. Jour. Med. Res., Vol. 24, 1911. *) One thousand cells instead of six hundred were counted. ?) From Table I, Neurocytological Reaction in Muscular Exertion, Am. Jour. Phys., Vol. 25, 1909. Senile and recovery types not then identified. Known youth precludes excess of the former, while known absence of previous strain would make the latter unimportant, Fatigue of Excitation and Fatigue of Depression ete 41 in Experiment 29 or of lactic in Experiment 30 are permissible from these three experiments by themselves. The cell states of the animals so treated, though they are less active than their control, may repre- sent actually an excitation by the drugs used, over an unknown nor- mal proper to each individual. The only thing proved is the indivi- dual variation. To prove anything definite there must be a wide divergence from the normal general limits from broad experience in at least a majority of sufficient experiments. It is the lack of this divergence from the normal average cell state that appears conclusive in all the experiments at hand. If sarcolactic acid produced the anatomical changes of activity (and recovery from activity and senility), it would only be reasonable that after the blood of fatigue is transferred to a normal dog, that animal should show nearly the same degree of intensity of reaction after the same time as the cells of the dog which did the work and received the reactive stimulation. Or with complete willingness to make all allowance for partial transference of the blood of fatigue, the reci- pient, speaking roughly, should show one half or one third of the mass effect. Experiments 18, 22 and 2 were animals doing their own work in the treadmill, and their counts represent fairly the range of severity of change belonging to that degree of cellular activity (Compare Table 1, 1909c). It will only be necessary to refer to one point to show how they stand out by themselves in the counts, - namely, that over one half or nearly one half of their cells are in the groups of profound changes of upset of the nucleus plasma rela- tion and of exhaustion. In short, they are advancing rapidly to exhaustion. Comparing with these the adult dogs, Experiments 51, 33 and 39, after lactie acid, transfusion, and sarcolactic acid and mono-potassium phosphate respectively, the difference is most striking. Not only are the latter much less advanced in activity, but the cell pieture is that of an average elderly normal dog. For the stages of upset just specified, which are the test of activity, the percentages are not over 16?/, in the drug-treated animals as against 57°, and 42°), in Experiments 18 and 22 respectively. Even making allowance tor the-number of senile cells in Experiments 31, 33 and 39, which were 42 David H. Dolley, chosen for their age, the difference is little diminished. As a matter of fact, this is only apparent, for the senile cells here classed are resting cells, — an active senile cell would be classed with activity. There is absolutely no evidence that substances of fatigue excite to activity. After having given these results their proper emphasis, the experi- ments on the puppies may be analyzed. The idea in starting these was that such young sucklings would exhibit a comparatively quies- cent cellular state and hence would be particularly adapted for com- parison of possibly moderate degrees of change after experimentation. Though the idea was totally wrong, yet a wide field of possibilities in the study of the development of function and the effect of func- tional usage has been opened up. A brief reference to the table will show that the cells of the whole litter of six (Experiments 13 and 14, 23 to 26), at the age of six weeks, average considerably more active than the cells of the’ adults. It is also marked in Experiments 29, 30 and 30a, which are two months old puppies, and becomes least marked in Experiment 28, a three months old puppy. Outside study as well has convinced us that here is a truth. The cells of young does are more labile in reaction than the cells of adults. The same apparent stimulation produces a greater effect and collectively the cells are always more advanced in activity. It is obvious that such a condition renders the comparison of the different puppies more difficult and the conclusions, under certain limits of divergence, less sure. Wide variation above the normal average would afford proof of an excitatory effect but a lesser one would be on the same status as in the adult, a matter of individuality. While evidence of any transient initial excitatory effect, which is physiologically indicated, is thus overshadowed, granting that it does go to appreciable anatomical change, fortunately the essential point is definite. As before stated, the transfusion would be demanded to produce a decided effect, corresponding in some measure to the known activity of the donor (Experiment 22). There is no indication of such an effect. On the contrary, analyzing the counts in the first six experi- ments in every way, they come more nearly to being on a common Fatigue of Excitation and Fatigue of Depression etc. 43 plane. So far as there is any difference, one of the normals, Experi- ment 13, shows probably the highest degree of activity. The other normal, Experiment 14, is, if anything, more advanced than the lactic acid puppy, which is the least affected of the group, and the three transfusions appear to come between these extremes. There is no weighty difference between Experiments 23 and 24 of transfusion and their operative control, Experiment 25. There was no shock, as the normal controls indicate, and, throughout, the results correspond to the degree of operative stimulation, for the anesthetic was light, the manipulation superficial and the blood was rapidly removed and immediately restored. Finally, consideration of the points brought out leads to the same conclusion in the case of the three remaining Experiments 28, 29 and 30. The evidence is uniformly negative. To sum up, the treated animals not only fail to exceed the limits of their various controls but they do not come out of the nor- mal limits obtained. Neither the blood of fatigue nor the artificial products accepted as fatigue substances excite the nerve cell to the changes peculiar to function. They are thus thoroughly eliminated by experimental test as a causative factor. On rational grounds this was to be expected. Such substances are the result, a by-product of function, and a full appreciation of the significance of the changes described by Hodge and his successors as the changes of actual work could have assigned them only a secondary place. Their essential effect is to „depress“ cell activity, to inhibit it, not to excite it. If at the moment there arises a question in regard to the initial exci- tation, it will be shown to depend upon the two-fold nature of certain stimuli. If at the time of making these cxperiments I had known that waste products could go so far as to produce anatomical depres- sion, the labor of making them would have been saved. That they do this has since been demonstrated (Dolley, 1913b). This finding confirms the results of physiological experimentation on the action of such substances (Lee, 1907a and b) and by itself gives them their proper place in relation to activity. 44 David H. Dolley, The Distinction on Anatomical Grounds between Functional Activity and Functional Depression. By way of premise, then, for the conclusions which follow, sepa- rate and distinct changes in form and structure underlie the physio- logical conditions of activity and depression. The demonstration of that cytologically, as presented elsewhere in numerous papers, will be taken for granted. Richard Hertwig’s nucleus-plasma relation theory (1903), with its underlying idea of the reciprocal interchange of materials, holds for the nerve cell. Excitatory stimulation in all its mechanical, chemical, thermal, trophic and spontaneous forms sets in motion an identical mechanism in all nerve cells. Constant and pre- cise shifts of mass take place as a result of the absorption, elabora- tion, interchange and consumption of materials. The evidence supports the view of Hertwig, stated in 1902, as to the origin of chromatin. According to this view, the cytoplasm contributes pro-chromatic materials to the nucleus; through its nucleolar substance, the nucleus synthesizes these into chromatin; from the nucleus, chromatin as such or in modified form is returned to the cytoplasm. The chief though not necessarily the sole final synthetic product of the mechanism for the nerve cell throughout the ontogenetic and phylogenetic scale is in the opinion of the writer the chemical range of the chromatin substances. The extra-nuclear portion of these, which is functioning nuclear material, chromidial apparatus in the sense of Goldschmidt (1904) for the purpose of active function, has been heretofore known as the Nissl substance. Chromatin is the product of intracellular coordination and the immediate source of the outward display of energy. To its formation both the plasma and the nucleus contribute, though it comes immediately to the cytoplasm by way of the nucleus. Renewal of chromatin under continuous excitation depends on the functional hypertrophy of the plasma and the nucleus — an invariable combination. The cell comes to a point of exhaustion: chromatin disappears not alone from the outside of the nucleus but from within as well; the cell is dechromatinized; the nucleus-plasma balance is disturbed in favor of the cytoplasm. Yet after due rest, the chromatin all comes back, the cell is perfectly restored and ready to run its Fatigue of Excitation and Fatigue of Depression etc. 45 course of elaboration and consumption anew (Dolley, 1911a). These chromatin substances are identical in their primary and intrinsic constitution (1913b), though variations are superimposed for degrees of differentiation. Finally, there is identity in their specific purpose, which is to supply the energy of work. There is a unity in mechanism and purpose universally displayed upon which function fundamentally rests (1911b). Differentiation is a matter of relative quality of the chromatin, not of mode of reaction. On the other hand, depressant stimulation intervenes at any stage of activity, blocks the mechanism in a uniform and constant way, the product (chromatin) ceases to be formed and activity comes to a standstill. The evidence in support of this appears in the paper on functional depression (1913b). The genesis of the depression is to be found in the breakdown of the plasma in its reciprocal relation to the nucleus. This becomes complete, involving, on the one hand, the loss of power to synthesize its raw food material, on the other, the inability to resorb the chromatin substances from the nucleus (normally composing the chromidial apparatus) The failure of synthesis is ocu- larly demonstrated by the intracellular deposition of yolk material in excess and of glycogen. When synthesis fails, the cytoplasm can no longer contribute the pro-chromatic materials to the nucleus. As a result, chromatin formation gradually fails, though the nucleus stands revealed in its undisturbed or actually increased level of nucleolar substance as ready to continue to perform its share in the synthesis, thus proving the necessity of a reciprocal interaction. The failure of chromatin resorption is proved by the fact that both the residual chromatin and some little chromatin formed during the advance of depression remain stored within the nucleus, even finally with a most pressing need for it in the cytoplasm evident from its absolute ab- senee there. No more chromatin is supplied to the plasma and what has been supplied before the breakdown became complete is used up. In the excess of nuclear materials, complemented by the cytoplasmic breakdown, the nucleus-plasma balance is disturbed in favor of the nucleus. Depression is primarily the inhibition of chromatin formation To show how beautifully and harmonically this accounts for the 46 David H. Dolley, whole range of vital activities of the nerve cell, the results will merely be summed up in terms of the nucleus-plasma relation, as it has a physiological bearing. In terms of this relation, depression is anatomically an upset in favor of the nucleus. Activity, on the contrary, results in an upset in favor of ‘the cytoplasm. According to Verworn (1896), activity and depression are merely quantitative opposites, activity being an increase, depression a decrease in the intensity of vital phenomena. The quantitative opposites in Verworn’s physiological sense are just as much quantitative opposites as regards their reciprocal mass relations. Every phase of vital phenomena, from the lowest ebb to the fullest manifestation, has a corresponding manifestation in form and structure. For the sake of completeness, the intermediate group of stimuli which combine both excitation and depression must have mention. Between pure excitants, of which an example anatomically demonstrated as the primary factor is the mechanical excitation producing surgical shock (1910), and pure depressants, such as cold and hunger, there is an intermediate group whose anatomical picture is that of initial excitation and final depression. This corresponds to the well-known physiological distinction, first clearly stated by Verworn, of which the usually cited examples are increasing temperature and the anesthetics. This third group has been anatom- ically confirmed. While it is undoubtedly large, probably the most inclusive, it has been unquestionably identified anatomically after only three forms of stimulation, namely, of heat, of the drug caffeine in prolonged heavy dosage and of rabic infection. In the case of other stimulatory effects so far studied, such as the intoxication from intestinal occlusion, from ligation of renal blood-vessels and from the waste products of muscular fatigue, and the poisoning by morphine and the bromides, which on the basis of physiological knowledge belong here, depression alone, the final stage, has been produced. It is an entirely open question, however, as the experiments were directed solely to this aim and finer differentiation was beyond the scope of of the general study. The importance of these results deserves the emphasis in repetition here. „It becomes anatomically possible to a eri e Fatigue of Excitation and Fatigue of Depression etc. 47 determine the exact single effect in the case of any stimulus or to analyze its diverse effects (by proper adjustment of strength and time) with the exactitude belonging to that method, a valuable supplement to primary physiological study.“ It will only be said here that it depends upon the fortunate fact that the degree of previous activity and the depression which ensues to hold it at a standstill are inde- pendently diagnosticable in the same cell. The Distinction between Fatigue of Excitation and Fatigue of Depression. So far as confusion exists as to the cause of the anatomical changes of activity, as indicated in the introduction, it may be traced to the neglect of the distinction expressed under this section heading. Undoubtedly too much importance has been attached to the accumu- lation of fatigue substances in speculating on the process and results of functional activity. There. is nothing new in the distinction, for it was pointed out by Verworn nearly twenty years ago. To quote for the statement of it from the translation of his General Physiology, “Phenomena of fatigue are observed, on the one hand, when certain substances that are necessary to life are consumed during exhaustive ‚activity more rapidly than they are introduced or reformed; and, on the other, when certain substances that arise as decomposition pro- ducts during activity accumulate in such quantity that they produce a depressing effect." In short, there is one kind of depression due to waste products and another due to the consumption within the cell of substances necessary to life. It is not difficult to discern the explanation of the neglect of the distinction in physiological studies of the nerve cell. This is that the two different causes have one and the same ultimate effect on function, the external work. If carried to a maximum, both processes lead to a complete cessation of function. In the one case, it is be- cause function is blocked, in the other, it is because there is no more material to work with, so that the stoppage may be absolute in either case. Exhaustive activity then ends in depression. From this end re- sult, a progressive depression from the beginning as regards function- 48 David H. Dolley, al capacity would not only be expected but it can be traced cyto- logically, step by step. From the beginning of activity, as the case for the waste products needs no argument, there are two independent processes combining to handicap the cell in its further progress, namely, the reactive effect on the cell itself of its own waste pro- ducts and its progressive loss of substance. It is not only that so great are the reserve powers of the cell, as will be elaborated, that in ordinary experimentation of excita- tory stimulation, whether of nerve or muscle, the factor of consump- tion of substance is within considerable limits of time and degree of little moment and hence is missed. The point is that it must be missed for it is identical as regards functional display with the other factor of waste products. The proof of this is apparent from the anatomical interpretation. As the logical deduction from his fin- dings (1913b) in confirmation of R. Hertwig's (1902) theory of the origin of chromatin, this substanee is held by the writer to represent the essential, though not necessarily the sole source of energy. To its elaboration, as the chief type of final product, both nucleus and plasma integrate as the single response to any form of excitation. Waste products do no more than progressively inhibit its formation. Activity finally comes to use it up faster than it is formed. In either. case, though from diametrically opposite causes, it will be seen that the substance that supplies energy ceases to be available. Function is impeded or stops in both. In both cases, the phenomena of function disturbed by fatigue depend upon the state of the same substance and this substance tends toward the same state. This is why irritability is lowered in both with the progress of activity, for ir- ritability for the nerve cell depends upon the presence of its chro- matin. The only condition that may qualify this would appear to be that the chromatin formed during depression may be modified or deteriorated. The only difference between the effect of the factors as regards function is that total depression proper may intervene at any stage, while total exhaustion of excitation occurs only at a fixed limit, coming as a summation of endeavor. However handicapped, if it can Fatigue of Excitation and Fatigue of Depression etc. 49 function at all, it is obviously a characteristic of the nerve cell to struggle on through until its limit of capacity is reached. We must recognize for the nerve cell with Verworn, therefore, fatigue of excitation and fatigue of depression, of different genesis but identical effect. It may be said in explanation of the terms just used that one quickly becomes impressed with the need of an exact terminology to express this difference in the genesis of the kinds of fatigue. Ver- worn himself suggested that the phenomena of depression which re- sult from the consumption of necessary substances be called exhaustion, and those that result from the accumulation of waste products fatigue. There are, however, certain objections in regard to the aptness of these designatory terms. In the first place, their significance is not self-apparent. By common usage, fatigue and exhaustion rather re- present different grades of the same state, fatigue being preliminary and only less marked than the climax of exhaustion. In the second place, the use of the term exhaustion to represent the consumption of necessary substances does not recognize the different grades from zero to a maximum in that consumption. Even to an advanced state the cell, though affected, is entirely capable, and practically there is frequently advantage in a term which conveys this idea, as the word exhaustion does not. The states attended by consumption of substance have throughout their cause in excitatory stimulation, while depression is the common term to express interference with activity. To bring out this distinction, the terms “fatigue of excitation” and “exhaustion of exci- tation”, as oppused to “fatigue of depression”, are suggested. These terms preserve the more common use of the words fatigue and exhaustion, express grades of the first condition when it is important to express grades, state the genesis and are less cumbersome than the circumlocution that would otherwise be necessary. Cytologically there can be no exhaustion of depression, though functionally it amounts to that, for there appears no lack of primary materials for synthesis. In fact, certain of these are increased in depression (Dolley, 1913b, yolk material in the plasma, nucleolar substance of Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI. l 50 David H. Dolley, the nucleus). The final state of depression can be easily and perhaps more clearly expressed by the qualifying adjectives “complete” or “absolute” (fatigue of depression). These terms still harmonize with Verworn’s contrast between excitation and depression. Nor do the terms fail in the case of a stimulus belonging to the intermediate group of initial excitation and final depression, such as the anesthetics and certain narcotics. To the extent to which they produce exci- tation, they cause fatigue of excitation, for in the strict sense fatigue begins with work as well as progressing par? passw with it. The Relatively Greater Importance of the Effect of Excitation as Compared with tbat of Depression. Any argument on this point would indeed seem needless were it not that the importance of waste product fatigue has been unduly emphasized. Or, as it may be that the discrimination is more appa- rent than real, at least there has been the emphasis of one-sided investigation and discussion. Outside of the workers in the one field, there is evident a noticeable hesitation in accepting the con- clusions of those who would leave the inherent function of the nerve cell out of account in the genesis of fatigue, a natural hesitation, as this view falls so woefully short in breadth of adequate explanation. What it actually amounts to in blunt terms is the conception of the nerve cell as the butt of function rather than the worker of function. Thus Adami (1910), after giving due space to these views, questions: “Can we accept unreservedly Joteyko’s observations that stimuli may pass through a nerve cell without leading to its ex- haustion, to indicate that there is no such thing as nervous fatigue?” „Personal experience tells us that the mental activities are capable of being over-worked;..... even in the domain of pure reason the philosopher is apt to exhaust himself;..... there must be exhaustion of the cell and nuclear matter, which, beyond a certain point, makes itselrsrelt.z As a cell, the nerve cell has a fixed work of elaboration and storing of energy on the anabolic, to use Adami’s term, the bioplastic side, and of transformation and conduction of this stored energy on e — a EE ed ENT ABER Fatigue of Excitation and Fatigue of Depression etc. 51 the katabolic, the katabiotic. Out of the former comes its potential irritability; through the latter the kinetic manifestation of irritability and the subsequent conduction of the liberated energy which is secondary. This is its specialized work, its function, as conceived from anatomical interpretation. It has come to the differentiation peculiar to any organism to accomplish just that in best fashion. With apology for the truism, so far as relates to its sole part in the scheme of life, the nerve cell exists only to function. Its function is primordial and so also the anatomical phenomena associated with function are primordial. When one accepts the profound changes in size and shape, the fixed and constant upset of the nucleus-plasma relation and the gradual disappearance of chromatin as phenomena of activity itself, there is no less a physical basis for fatigue of excitation than for fatigue of depression. The only other factor from the functional point of view is the by-products of this function. These are purely secondary in their relation. While it is possible to conceive that under certain abnormal conditions the reactive effect of the by- products may become of first moment, it is impossible under normal conditions. For part of the evolutionary development of the organism has been directed to their ready and efficient removal. A circulating medium receives them, the lungs and kidneys dispose of them. No one doubts that they play a róle but it is a minor one. There is abundant evidence on the physiological side from the experiments here recorded to support the anatomical proof that these waste products are of secondary importance in the work of the cell. In the first place their effect in general was transitory and even after the largest doses the animal appeared quite normal after the lapse of some hours. Mosso's (1890) results are not at all contradicted but they are defined. To be compared with the transient effect on the transfused dogs is the actual inability of a dog doing just as much work but doing it himself in the treadmill to resume that work, not on the next day but on the second day (Experiment M.-E. 8, 19112). To ascribe that to muscular disability alone in the light of the changed nerve cell morphology would be narrow. In the second place, the findings give a strong impression that fe 52 David H. Dolley, waste products, such as sarcolactic acid and mono-potassium phosphate, are by no means highly efficient in producing anatomical depression. A single large dose gave the slightest possible change, if any change at all were morphologically perceptible. Repeated doses acting for some time are necessary. Severe depression in the case of other toxic factors came only with an obvious swamping of the organism. On the contrary, a highly specialized cell is most labile and sensitive to the effect of work. The results obtained by working dogs in the treadmill (Table 1, 1909c) indicate that and, further, exhaustion proceeds very slowly to recovery (1911a). It is this contrast which strengthens the impression that the waste products are a minor factor. Without further elaboration, the changes from excitation are primordial not only on a rational basis but are given the first place by experi- mental analysis. It now becomes necessary to discuss the error to which the neglect of Verworn's distinction between exhaustion of excitation and fatigue of depression, with the consequent undue prominence given to the latter, has led. While attention to this distinction would have minimized the - error, yet in a degree it cannot be regarded as an avoidable induction, for lack of knowledge of certain properties of the nerve cell reaction in its slow advance has contributed to its development. The error in question lies in predicating for the nerve cell an inexhaustibility which is not sufficiently limited to a relative inexhaustibility in respect to other parts. The undue emphasis which this relative inexhausti- bility has received is pregnant with superficial, even harmful deductions. So far from giving it a place, any vestige of an idea that there is anything approaching an actual inexhaustibility wil be combatted under the heading The Exhaustibility of the Nerve Cell. While for the most part this predicated inexhaustibility is plainly specified as one relative to the other elements in the neuro-muscular mechanism, yet the writer takes the ground that even speculation on - an extension of it has had a dangerous influence. Its outeroppings Fatigue of Excitation and Fatigue of Depression etc. 53 have already begun to show up in popular writings. To begin with, as it has already been expressed, this idea amounts not only to making the nerve cell a law to itself, an exception to the other- wise universal working of fundamental cellular principles, but in- deed it would come very close to ascribing to this cell an im- mortality only limited by the mortality of other types with which it is associated in the same organism or by the attack of disease against itself. While isolated citations are recognized as prone to be unfair, I shall venture the following to show the neglect of organic fatigue. Thus Woodworth (1901) says: “(We) may legitimately doubt that ordinary or even rather unusual amounts of work ever produce in the normal nervous system any actual exhaustion or paralysis of any groups of cells.” In discussing the possible objections, he grants the histological work, says that the changes represent wear and tear, but thinks that they are due to an extreme degree of fatigue and do not ‚indicate functional paralysis. The lesions of the chromatic substance are considered to be due merely to a consumption of reserve energy and not to affect the integral part of the cell, for, after the substance is used up, “the blood may still provide enough energy for a good degree of activity". For Woodworth, fatigue is a matter of sensation, a warning, but not organic, because if we disregard it, we can go on afterward as well as before. A statement from Hough (1901) shows the usual place ascribed to the waste products: “The one indisputable cause of ordinary fatigue thus far established is the presence of the waste produets of activity." Sherrington's (1904) well-known theory that the site of fatigue is located at the synapse needs no statement. For the comon efferent path, involved for example in the scratch reflex, it is sufficient to say that he only declares it *relatively unfatigable”. Joteyko's (1904) oft-quoted experiments have probably furnished the chief basis for wider deductions in regard to the non-fatigability of the nervous centres. That they prove a relative non-fatigability is not questioned. As will appear in a moment, the writer thinks also “qu’on peut admettre le principe de la grande résistance à la fatigue des centres nerveux médullaires". but Joteyko's biased view- 54 David H. Dolley, point is to the cytolcgist clearly defined in the single statement: “La chromolyse peut étre trés bien expliquée sans qu'il soit néces- saire d’admettre la conscmmaticn d'une substance.” That idea may fall of itself. La Me Lee (1906), after quoting Joteyko's ccnclusion in the werds “the . reflex mechanism of the cord is practically indefatigable”, says: “If this be true, why may not the same be said of the brain centres?” And again: “Moreover, the same results (namely, in favor of earlier fatigue of the muscular than cf the nervous mechanism) make it probable that the brain and spinal cord are, like the nerve fibre, resistant, and they throw a certain measure of dcubt cn all suppcsed proofs of central fatigue.” While he says: “We cannot deny fatigue to psychic centres,” yet for him it is largely a matter of sensation, peripheral in origin, and this and the waste products of activity therewith associated are apparently adequate to explain not only the subjective feeling of fatigue but essentially the fatigue itself. For. fairness, however, in another place he says: “Concerning a pcssible relation of the loss of other substances (namely, other than carbo- hydrates) to fatigue, our present knowledge permits us to say nothing.” Again, in a later paper (1909), in speaking of what he terms “pseudc- fatigue”, after direct stimulation of the tracts of the cord, he says: “One cannot help thinking that the fatigue of such an experiment, which follows a few contractions, is not genuine or complete fatigue at all, comparable to that resulting from the action of the toxic fatigue substances or the loss of substance essential to activity.” This is quoted for the final clause and the opinion of the resistance to fatigue more evidently relates to a relative one. Tissié and Blumenthal (1908) in their study of the effects of strenuous mountain climbing ascribe them solely to auto-intoxication, without even considering the pcssibility that certain of the nervous phenomena may be sui generis. 1 Burridge (1910) in his study of the chemical factors of fatigue says in introduction: „Thus there is return to the older view that fatigue is peripheral and that normal fatigue is rather a condition in which the stimuli sent out from the central nervous system, in all Fatigue of Excitation and Fatigue of Depression etc, 55 probability of undiminished intensity (italics mine), tend to be blccked in the passage from nerve to muscle.” Is it too much to say that only the caution of deference to the old, old idea of susceptibility of the central nervous system to fatigue is the main restraining factor in the way of leaving it entirely out of account? One is led to feel that in the ideas that have resulted from Weichardt’s (1904) claim of the discovery of a specific toxin of fatigue. It becomes a question of immunity! Thus Stadlinger (1908) says: “.... es konnte keinem Zweifel mehr unterliegen, dass ,Er- müdung‘ und ‚Erholung‘ zum grossen Teile auf einer Wechselwirkung von Ermüdungstoxin und Ermüdungsantitoxin beruhen.” The endurance from training rests upon the development of a power of resistance to the toxic fatigue substances, in other words, an immunity. Then where does the cell come in, with its functional growth and over- growth? Let us come back to it. Far be it from me to deny the existence even of very specific fatigue by-products or that the body is perfectly capable of neutralizing them and of increasing that power. Still, is it strange that when in analogy with true immunity the power should have reached its height, from weeks and months of accustomance, there occurs the “nervous prostration" and the athlete goes stale? The proof of the nerve cell’s exhaustibility must be anatomical, being a matter of the unit, and is conclusively afforded. For the details of the development of this proof the reader is referred to its appropriate place of discussion. Here only certain salient features will be mentioned and the discussion will be devoted mainly to the reasons for the lack of appreciation from the physiological side. No other evidence of the exhaustibility is really needed other than that the process of activity ends with an absolute dechromatinization of the cell. By this is meant not merely the total consumption of the Nissl substance, extra-nuclear functioning nuclear material though it be instead of a food material as by some lowly estimated. The chromatin of the nucleus, chromatin in its strietest, most conventional sense, disappears from the nucleus as the last phase of activity. NO one could deny that this represents a climax of organic disturbance 56 David H. Dolley, whatever the place one wishes to assign to the nucleus in the cell. To deny it would be to deny that the neuron concept is only another term for of mass the cellular concept. The cytoplasm and the nucleus are the elements which originate the energy and transform it in the nerve cell as in all cells. If it is not true here, the deepest, the most far-reaching significance of the cell theory goes down. The only evidence, however, does not he in the denuding of chromatin. The marked upset of the nucleus-plasma relation in favor of the plasma which brings about the dechromatinization gives proof in terms of mass of the nuclear exhaustion. Though the balance of capa- city remains with the cell body, its approach likewise to exhaustion is shown quantitatively by its great size, its loss of substance, edema and final dechromatinization. So the limit of immediate capacity is reached, though, after adequate chance for recuperation, the cell becomes restored to run its energy supplying course anew. The complete cycle of activity is from rest to exhaustion, then from exhaustion by recovery to the same starting point. While so far as one can see, recovery in a young and virile animal may be complete after exhausting overstrain, yet over-severe effort leads after continuance beyond a certain point for each individual to premature senility, the exact counter part cytologically of normal old age. Here is the principal demonstration of a qualitative deterioration which sooner or later is inevitable. This demonstration complements the quantitative exhaustion of a single cycle of excessive work. The explanation why the exhaustibility or even the fatigue of the nerve cell has not appeared as a factor in physiological experi- mentation is not difficult to the cytologist. The reasons are many. In the first place, they have dealt principally in their experiments with the less differentiated types of spinal cord or ganglion. These are resistant, difficult to exhaust. Such a primitive cell as found in the crayfish for example (Dolley, 1914a) requires days, even weeks of continuous stimulation in order to be driven to its limit. The lower cells of vertebrates retain this more primitive characteristic in marked degree, as is evident from the work of Hodge, Mann, Lugaro and the early workers who dealt with such types. On the contrary, the Fatigue of Excitation and Fatigue of Depression etc. 57 highly differentiated cell of cerebrum or cerebellum may un- doubtedly run its course in a matter of hours under continucus stimulation. In the second place, physiological experimentation deals with the collective action of groups of cells. The exhausticn cf even many units which appears anatomically need nct hinder the response of those less affected. In such an organ as the cerebellum, it takes an extraordinary effort to call all cells into play. Indeed it is very definite that progressive degrees of intensity and duration of work call more and more resting types into activity, in such a way that there is something very suggestive of a relay action. Reserve nervous power depends upon cells in reserve as well as the reserve power in the individual unit. A glance at the widely varying degrees of activity in any so-called nerve centre gives this a general application. It receives a side-light also from another point of view. Without saying that we possess more nerve cells than we actually need — which by analogy with other tissues is not impossible — the organism can function fairly well with a diminished number. Hcdge’s (1894) claim of a reduction of 25°, in his man of ninety-two does not appear in the writers experience an extreme exception, so that it is questionable if functional capacity fails in direct ratio to the decrease in cells. It appears then that in ordinary effort we do not use all the cells we possess. The reserve power in the individual unit is the third consider- ation, in respect to the relative nervous inexhaustibility, and the predominant factor. Sufficient has been said to indicate in terms of time how enormous this power is. It will only be added that the cell goes through all grades of functional hypertrophy to accomplish its purpose. What makes it doubly efficient is its continuity of reaction. No one following the cytological pictures can doubt that it is the characteristic of the cell to continue to respond until ex- haustion calls a halt. So long as excitation reaches it, response will follow. Such is its differentiation. Incidentally this explains why we can drive ourselves through fatigue until we can go no farther, until collapse. 58 David H. Dolley, The nerve cell then is exhaustible, easily exhaustible in its highest differentiation. But in relation to other elements in the mechanism of the body which are associated as its instruments, its varied reserve power may be deep enough to render it comparatively much less exhaustible. So far from denying this, its power of reserve must be insisted upon. As a cytologist, therefore, I have no criticism of the general results of physiological experimentation. Under circum- stances proper to each, the muscle may be depressed totally before its controlling centre, the end-plate may cease to make the connection or the connection may break at the synapse, as Sherrington thinks, though impulses continue. Going no farther than the anatomical facts at hand, there appears no incompatibility. But this relatively difficult exhaustibility is quite another thing from an absolute condition of inexhaustibility. Absolute exhaustion can occur, mentally it does too frequently occur. Yet it has been neglected, disregarded, over- ridden. One cannot believe otherwise than that due appreciation of it will exert a modifying influence on physiological theories of fatigue. Organic fatigue is primordial. It is this organic fatigue which is the cause of the premature breakdown -— the neurasthenia in the actual sense of the word, it is the root of old age, the reaction of a wide range of diseases. Mosso it was, I believe, who said: “Genius is fatigue.” Nothing could be apter than this aphorism for mental processes in general if we admit to that category those who have the capacity for taking pains. Hodge broadened its scope when he wrote: “Old age is of the nature of final fatigue.” Yet if one should attempt in an aphorism to express the full biological significance, it could be nothing less inclusive than “Life is fatigue.” It is the power of recuperation that conserves it. Conclusions. Transfusion of the blood of fatigue into normal animals and injection of artificial fatigue substances, such as lactic acid, sarco- lactic acid and mono-potassium phosphate, are eliminated by experiment Fatigue of Excitation and Fatigue of Depression etc. 59 as the cause of the changes described as peculiar to function in the nerve cell. Instead, if administered in sufficient amount and over sufficient time, they produce anatomical changes of depression, which disposes of them in harmony with physiological knowledge. Activity and depression, which are held to be merely quantitative opposites in the physiological sense by Verworn, are also quantitative opposites as regards their reciprocal mass relations. Activity finally results in an upset of the nucleus-plasma relation in favor of the cytoplasm, depression produces an upset in favor of the nucleus. The whole possible range of the vital activities of the nerve cell is in these phases or in their combination fully accounted for anatomically in harmony with the possibilities of stimuli. From anatomical analysis, stimuli conform to the recognized physiological division into pure excitants, pure depressants and an intermediate group which first excite then later depress. There is a separate anatomical basis both for fatigue of excit- ation and for fatigue of depression. ‘The former is the organic and substantive fatigue of the dissipation of energy in normal function, the latter results from the by-products of this function. Each may lead to a total cessation of function. The outward phenomena of these two forms of fatigue must be in the main identical. In exhaustive activity, chromatin formation fails, in depression its formation is inhibited — in both cases the phenomena of function disturbed by fatigue depend upon the state of the same substance, which in both ultimately reaches the same state of total deficiency. For the same reason, irritability is prcgressively lowered in both prior to the total cessation of functicn. Between the two opposite phases, activity and depression, activity, incited by excitatory stimulation and ending in organic fatigue, is primordial and plays the vaster röle in health and disease. The neglect of this is conducive to error as exemplified in the speculative idea of the inexhaustibility of the nerve cell. Any nerve cell is capable of absolute immediate exhaustion, without interference with its power of recuperation, provided ex- citation be continued sufficiently long. 60 David H. Dolley, Fatigue of Excitation and Fatigue of Depression etc. There are three reasons why this exhaustibility has not appeared as a prominent factor in physiological experimentation: the resistance of the less differentiated or primitive cells principally dealt with as opposed to the lability of cortical cells; the existence of cells in reserve; and, preéminently, the reserve power of cells. There is no incompatibility with the relative difficulty of exhaustion. References to Literature. Adami, J. G., Principles of pathology, vol. 1, p. 400, 1910. Burridge, W-, An inquiry into some chemical factors of fatigue. Jour. Phys., vol. 41, p. 283, 1910. Crile, G. W., Hemorrhage and transfusion. Appleton, N. Y. p. 289, 1909. Dolley, D. H., The pathological cytology of surgical shock I. Jour. Med. 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Ricerche di Anatomia del Dott. Massimo Chériè-Ligniére, libero docente di Anatomia topografica. (Con 23 Fig.) Nell’intraprendere le ricerche delle quali qui espongo i risultati, mi sono prefisso di studiare la disposizione delle grosse vene del collo nell’uomo per tentare di stabilire fra i vari tipi il più frequente e fare una statistica delle variazioni. I cadaveri che studiai furono 50 (dei quali 39 di adulti da 20 a 86 anni, uno di bambina di anni 10, 10 di bambini da un giorno di età a sel mesi) e in ciascuno esaminai le vene dai due lati, sicchè le mie osservazioni ammontano a 100. Per quanto riguarda il sesso, deeli adulti 23 eran maschi e 16 femmine, dei bambini 4 maschi e 7 femmine. Da ultimo aggiungo che dei 23 maschi adulti 5 proveni- vano dalla Casa di reclusione di Parma. Per eseguire i preparati ricorsi dapprima all'iniezione delle vene del collo con una massa ceracea a caldo, ma successivamente potei farne a meno ed usare la semplice dissezione. * 5 * A. Vena giugulare esterna (V. jugularis externa). I? Mancanza. — La possibilità della mancanza della vena giugu- lare esterna venne segnalata gia dagli Autori. Secondo Hallet (in Romiti) mancherebbe una volta su 3 casi; Charpy |4] si limita ad affermare che manca raramente. 64 Massimo Chérié-Ligniére, Nei miei preparati l’assoluta mancanza della vena giugulare esterna si riscontra 16 volte, e cosi 8 volte a destra ed altrettante a sinistra, — 6 volte la maneanza era bilaterale (percentuale di mancanza della v. giugulare esterna — 16°/,). “29.1 MG. ee Hole Modo di origine della vena giugulare esterna. g.e. = vena giugulare esterna; ¢.s. = vena temporale superficiale; m.i. = vena ma- scellare interna; ¢.m.=tronco temporo- mascellare; r.g.a.=ramo che si getta nella vena giugalare anteriore; r.g.?. = ramo che si getta nella vena giugulare in- - terna; . c. — ramo cutaneo; v.sc. = vena scapolare; gh.p. — ghiandola parotide; m.tr. = muscolo trapezio; m.s.c.m. — muscolo sterno-cleido-mastoideo. II° Origine. — Secondo Luschka [15] la giugulare esterna nella grande mageioranza dei casi si origina nell'uomo a livello della scis- sura di Glaser, dove nel feto e negli animali esiste il foro temporale, attraverso al quale essa riceve tutto o quasi il sangue refluo dalla circolazione intracranica. (Foramen jugulare spurium.) EEE WED VU En den As A UOTE BE Dia dat an yov > ur | i | Le vene del collo nell’uomo. 65 Nei miei preparati la v. giugulare esterna si orieina 60 volte dalla confluenza della vena temporalis superficialis colla v. maxillaris interna (30 volte a destra e 30 a sinistra [fig. 1 — A]); una volta, a destra, dalla confluenza di queste due vene e di una terza abbastanza voluminosa proveniente dalla ghiandola parotide. Altre volte la v. giugulare esterna si origina bensì dall'unione della v. temporalis superficialis colla maxillaris interna, ma non così semplicemente. —- In questi casi le due vene ora ricordate formano un tronco che chiamerò temporo-mascellare, il quale ben tosto si divide in due rami, uno dei quali non è altro che la giugulare esterna, mentre l’altro o si getta nella giugulare anteriore (5 volte, 1 a destra e 4 a sinistra) oppure, dopo avere descritto una curva ed essersi approfondito sotto il muscolo sterno-cleido-mastoideo, nella giugulare interna (ancora 5 volte, 1 a destra e 4 a sinistra) (fig. 1 — B— C). Altre volte ancora il tronco temporo-mascellare, anzichè semplice- mente biforcarsi, si divide in tre rami, uno dei quali è la giugulare esterna, un secondo si continua colla giugulare anteriore, mentre il terzo si apre nella giugulare interna. Ciò si osserva due volte, una a destra, l’altra a sinistra (fig. 1 — D). Finalmente vidi 3 volte, a destra, la giugulare esterna continuare semplicemente la sola v. temporale superficiale, e 4 volte (due a destra e 2 a sinistra) originarsi dal convergere di alcuni rami ghiandolari estinsecantisi dall'estremo inferiore della parotide (fig. 1 — E — £). Nei casi fino ad ora descritti l’origine della giugulare esterna era data da rami profondi e si trovava sopra o a livello dell'angolo mandi- bolare. Può però osservarsi che la giugulare esterna incominci ad un livello più basso sia da un ramo cutaneo scendente dalla regione sopraclavicolare (1 volta a sinistra), sia da due (una volta a destra) o anche da tre, provenienti dalla regione mastoidea (una volta a destra) (fig. 1 — G — H — I). Da ultimo una volta osservai a destra la giugulare esterna, rap- presentata solo nel suo tratto terminale, originarsi dall’unione di due vene scapolari, le quali, estinsecatesi dal margine anteriore del muscolo trapezio, decorrevano medialmente, parallele alla clavicola (fig. 1 — Z) Tipo Normale. — Puó considerarsi normale l'origine della giugu- E Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI, 9 66 Massimo Chérié-Ligniére, lare esterna dalla convergenza delle vene temporalis superficialis e mazillaris interna, che avviene sopra il livello dell'angolo della mandi- bola (60°/,). III? Direzione e rapporti. — La vena giugulare esterna contrae rapporti molto variabili col muscolo sterno-cleido-mastoideo. Talvolta non appena uscita dalla ghiandola parotide segue per un certo tratto, più o meno breve, il margine anteriore del muscolo, poi, cambiando bruscamente direzione, volge indietro e in basso, si da incrociarne piü o meno acutamente la superficie laterale e portarsi nella fossa sopra- clavicolare (89 volte 20 a destra e 19 a sinistra). — 93 volte, 11 a destra e 12 a sinistra, la vena segue il margine anteriore del muscolo solo per breve tratto; nelle rimanenti 16 — 9 a destra e 7 a sinistra — lo segue sino a metà altezza del muscolo stesso (fig. 2 — A). Altre volte invece la vena, raggiunto il margine posteriore del muscolo, lo circondava per portarsi profondamente ad esso (6 volte, due a destra e 4 a sinistra) (fig. 2 — B). — Un'altra volta ancora, a destra, la vena giugulare esterna, dopo aver incrociato la faccia laterale del muscolo, continua il suo percorso in dietro fino ad attra- versare tutta la fossa sopraclavicolare e raggiungere il margine an- teriore del muscolo trapezio, quindi volge in avanti e, con decorso quasi parallelo alla clavicola, attraversa ancora la fossa sopraclavico- lare per passare sotto il margine posteriore del m. sterno-cleido-mastoideo (fig. 2 — F). In 29 casi (14 a destra e 15 a sinistra) si osservó che la vena non seguiva il margine anteriore del muscolo sterno-cleido-mastoideo, ma, appena estrinsecatasi dalla parotide, incrociava ad angolo molto acuto la superficie laterale del muscolo stesso e quindi si portava nella fossa sopraclavicolare (15 volte, 6 a destra e 9 a sinistra) (fig. 2 — C) o girava attorno, circondandolo, al margine posteriore del muscolo (fig. 2 — D). Una volta, a destra, la vena giugulare esterna scorreva applicata alla superfieie laterale del muscolo, descrivendovi delle curve e non labbandonava che qualche millimetro sopra la clavicola per raggiun- gere la fossa sopraclaveare (fig. 2 — H). In un preparato (a destra), nel quale si osserva la vena giugu- Le vene del collo nell’uomo. 67 Fig. 2. | Rapporti della vena giugulare esterna col muscolo sterno-cleido-mastoideo. |^ €. — vena giugulare esterna; v.sc.— vena scapolare; m.s.c. m. — muscolo sterno-cleido-mastoi- deo; m.tr.= muscolo trapezio, 5* 68 Massimo Chériè-Ligniére, lare esterna divisa in due tronchi per gran parte della sua estensione, Si nota la seguente disposizione: il tronco posteriore incrocia il muscolo sterno-cleido-mastoideo quasi trasversalmente, quindi ne segue il mar- gine posteriore; il tronco anteriore invece segue il margine anteriore del muscolo fin presso l’inserzione inferiore, e solo allora l'abbandona per incrociare a sua volta la superficie laterale e raggiungere l'altro tronco al quale si unisce (fig. 2 — 7). Quando la giugulare esterna si origina da ramuscoli superficiali serpeggianti sulla regione sterno-cleido-mastoidea, dopo aver incrociato il muscolo omonimo, puó o portarsi nella fossa sopraclavicolare (1 volta a destra) (fig. 2 — L) o circondare il margine posteriore, girandogli attorno (1 volta pure a destra) (fig. 2 — M). Nel solo caso (a destra) nel quale la giugulare esterna non era presente che nella sua estremità inferiore, essendo originata dall'unione di rami scapolari, essa non contraeva alcun rapporto col muscolo sterno-cleido-mastoideo (fig. 1 — L). Riassumendo: tranne in questo caso, in tutti gli altri la v. giugu- lare esterna contrae rapporti col m. sterno-cleido-mastoideo. Prescindendo dai pochi soggetti nei quali la giugulare esterna si origina sotto l'angolo della mandibola, essa o segue il margine ante- riore del muscolo per un certo tratto più o meno lungo (da pochi cm. sino a meta l’altezza del muscolo stesso) incrociando poi lo sterno-cleido- mastoideo (46 volte, 23 a destra e altrettante a sinistra), oppure scende verticalmente in basso incrociando la superficie laterale del muscolo ad X molto allungata (29 volte, 14 a destra e 15 a sinistra). Alla sua estremità inferiore, la vena giugulare esterna o scorre nella fossa sopraclavicolare oppure gira attorno al margine del muscolo, situandosi profondamente ad esso. La prima disposizione è di gran lunga la più frequente. Tipo Normale. La vena giugulare esterna, estrinsecatasi dal- l'estremità inferiore della parotide, scende dapprima costeggiando il margine anteriore del muscolo sterno-cleido-mastoideo, quindi incrocia la superficie esterna di questo muscolo e raggiunge la fossa sopra- clavicolare 1). !) Ho insistito sui rapporti della vena giugulare esterna col muscolo sterno-cleido- Le vene del collo nell'uomo. 69 Oltre che collo sterno-cleido-mastoideo, la vena giugulare esterna contrae rapporti col muscolo omo-ioideo. — Di solito i rapporti fra i due organi sono mediati e quali si descrivono comunemente nei trat- tati di Anatomia. Talvolta però essi si fanno più intimi e tali che meritano, mi pare, una speciale menzione; ció che osservai Fig. 3. Rapporti della vena giugulare esterna col muscolo omojoideo. g.€. — vena giugulare esterna; g.i. = vena giugulare interna (punteggiata); m.s.c.m. — muscolo sterno-cleido-mastoideo; m.o.j. = muscolo omojoideo; f.c. m. = fascia cervicale media. 4 volte. Il primo caso si riferisce ad una donna di 57 anni nella quale a destra la v. giugulare esterna dopo aver incrociato il muscolo sterno-cleido-mastoideo e raggiunto la fossa sopraclavicolare, arrivata a 2 cm !/, sopra il margine superiore della clavicola, cambia direzione volgendo medialmente e perfora la fascia cervicale superficiale. Rag- mastoideo per l’importanza che essi possono avere nella pratica chirurgica, come fanno notare Duval (9—10—11), Mauclaire (25), etc. 70 Massimo Cherie-Ligniere, giunge cosi il margine laterale del ventre inferiore del muscolo omo- ioideo, sotto il quale si insinua per raggiungere, dorsalmente alla fascia cervicale media, la vena giugulare interna, nella quale sbocca (fig. 3 — À). Il secondo caso, osservato dal lato sinistro in un giovane di 25 anni, è in tutto simile al precedente, se non che la giugulare esterna termina nella vena succlavia (fig. 3 — 2). La terza osservazione riguarda una donna di 52 anni: Dal lato destro, la v. giugulare esterna, dopo aver raggiunto il margine late- rale del muscolo sterno-cleido-mastoideo a metà circa della sua altezza, lo circonda per aprirsi nella giugulare interna nel punto stesso nel quale questa è incrociata dal tendine intermedio dell’omoioideo (fig. 3— C). L'ultimo caso é quello di un uomo di 51 anni nel quale la v. giu- gulare esterna di destra, arrivata 3 cm. sopra il margine superiore della clavicola, si sdoppia in due rami, dei quali l’anteriore passa ventralmente al ventre inferiore del m. omoioideo, mentre l'altro sca- valea il margine laterale di esso ventre muscolare per decorrere dorsalmente ad esso ed alla fascia cervicare media. Il ventre inferiore del m. omoioideo è pertanto abbracciato da un anello venoso. Quanto ai due tronchi nei quali si divide le porzione prossimale della vena giugulare esterna, essi si aprivano isolatamente nella vena sueclavia, essendo il primo situato lateralmente al secondo (fig. 3 — D). IV? Sdoppiamento. — Charpy [4] afferma che la vena giugulare esterna può sdoppiarsi: io ciò notai 18 volte (9 a destra e 9 a sinistra). Nei casi più semplici la giugulare esterna in un punto del suo decorso si divide in due tronchi, i quali, dopo un certo tratto, si . riuniscono di nuovo, così da circoscrivere un occhiello (7 volte a destra e 4 a sinistra. — Questo è situato ad un livello più o meno alto a seconda dei casi; puó trovarsi subito sopra la clavicola, e deve allora considerarsi come forma di passaggio tra gli sdoppiamenti posti nel percorso della vena e quelli interessanti solo la sua estremità prossi- male. — L’altezza dell’occhiello iscritto fra i rami di divisione può variare tra un minimum di mm. 14 e un maximum di mm. 66. Talvolta i due tronchi in cui la vena si & sdoppiata decor- Le vene del collo nell’uomo. 71 rono giustapporti (fig. 4 — A), tal’ altra si allontanano piü o meno (fig. 4 — B — C). In qualche caso seguono l'uno il margine anteriore, l'altro il posteriore del m. sterno-cleido-mastoideo (fig. 2 — 7). Fra i due tronchi poi possono esistere dei rami anastomotiei trasversali 0 quasi (una volta a sinistra ne esistevano due) e questa Fig. 4. Sdoppiamento della vena giugulare esterna. g.e. = vena giugulare es- terna; v.s = vena succlavia. disposizione pare rappresentare la forma di passaggio agli sdoppia- menti multipli (fig. 4 — D). La giugulare esterna puó peró biforcarsi anche al suo estremo prossi- male in due tronchi, aprentisi isolatamente nella vena succlavia, cosa già notata da Gruber [15] e interpretata da Lachi [20] come forma di transizione fra la disposizione normale dell'uomo e quella della scimia. Questa particolarità osservai 7 volte (3 a destra e 4 a sinistra). Il punto di biforcazione era situato ad un’altezza variabile da 37 a 20 mm. sopra il margine superiore della clavicola. 72 Massimo Chérié-Ligniére, I due tronchi talvolta erano di uguale calibro, tal’altra uno superava l'altro. Una volta, come già si disse, fra essi era compreso il ventre inferiore del muscolo omoioideo. Essi poi sboccavano sempre nella vena succlavia uno di lato all'altro (fig. 4 — E), tranne in un caso nel quale l'uno dei tronchi si apriva nella parte superiore della suc- clavia e l'altro nella superficie ventrale della stessa vena (fig. 4 — ^). Ma può notarsi una disposizione più complicata quando si tro- vino due sdoppiamenti o entrambi lungo il percorso del vaso (due volte a destra) (fig. 4 — G) o l'uno sul percorso e l'altro all'estremità prossimale (1 volta a destra ed una a sinistra) (fie. 4 — .H). Tipo Normale. — La vena giugulare esterna non si sdoppia. V? Terminazione. — La v. giugulare esterna nel maggior numero dei casi (78 volte, 39 a destra e 39 a sinistra) termina sboccando nella venna succlavia. La disposizione piü frequente (57 volte, 24 a destra e 33 a sinistra) ad osservarsi & la terminazione della v. giu- gulare esterna nella vena succlavia per mezzo di un solo sbocco, senza unirsi ad alcuna altra grossa vena del collo (fig. 5 — A). Ma può anche avvenire (12 volte, 10 a destra e 2 a sinistra) che la vena giugulare esterna, pure terminando con un solo sbocco nella vena suc- clavia, riceva la v. giugulare anteriore dello stesso lato!) (fig. 5 — B). Già si vide come la vena giugulare esterna possa biforcarsi presso la sua terminazione e aprirsi con due sbocchi separati, situati quando in un piano frontale (3 volte a destra e 3 a sinistra), quando nel piano laterale (1 una volta a destra). Orbene in un caso si osservò la vena giugulare esterna aprirsi nella vena succlavia con due tronchi separati, nel mediale dei quali a sua volta si apriva la vena giugu- lare anteriore dello stesso lato (fig. 5 — C). Finalmente in un preparato, a destra, osservasi che la vena giu- gulare esterna, aprentesi per un solo sbocco nella vena succlavia, riceve pochi millimetri sopra la sua terminazione la vena giugulare anteriore dello stesso lato e subito sotto un tronco formato dalla v. giugulare esterna e dalla v. giugulare anteriore del lato opposto (fig. 5 — D). ') E' da notarsi che questa disposizione la riscontrai su 39 adulti solo 5 volte a destra, mentre nei 10 bambini esisteva 5 volte a destra e 2 a sinistra. Le vene del collo nell'uomo. 73 Gia parlando della direzione della v. giugulare esterna e dei suoi rapporti col m. sterno-cleido-mastoideo si osservó come l'estremo prossi- male di essa vena si comporti in modo diverso, attraversando talora la fossa sopra-clavicolare, insinuandosi tal'altra sotto il muscolo stesso. Da ció si intuisce come debba variare la situazione del punto di sbocco: per fissare questo punto eseguii delle misurazioni prendendo con un compasso la distanza tra l'estremità superiore dell'interlinea articolare sterno-clavicolare e la confluenza della v. giugulare esterna ge 0 Fig. 9. Terminazione della vena giugulare esterna. g.e. — vena giugulare esterna; g.e.0. — vena giugulare esterna (del lato opposto; v.s. — vena succlavia; g. a. = vena giugulare anteriore (dello stesso lato) g.a.o = vena giugulare anteriore (del lato opposto); g.i. = vena giugulare interna; f.bc.— tronco brachio-cefalico venoso. colla succlavia, che le è situata lateralmente, tenendo naturalmente distinti gli adulti dai bambini. I risultati che ottenni in tale guisa sono i seguenti: Negli adulti, allorchè esisteva un solo sbocco, la distanza massima riscontrata fu di mm. 77 (prescindendo dal caso in cui la v. giugulare esterna, pre- sente solo nel suo tratto prossimale, derivava dalla unione delle due vene scapolari e distava — nel punto di sbocco — dall’interlinea articolare sterno-clavicolare mm. 90); la minima di mm. 24, cadendo 74 Massimo Chériè-Ligniére, la media seriale fra mm. 51 e 60. — Nei bambini la distanza massima invece fu di mm. 25, la minima di 10 con una media seriale fra 20 e 25 mm. | Nell’unico caso (adulto) nel quale la v. giugulare esterna si divi- deva presso la terminazione in due tronchi aprentisi separatamente nella succlavia l'uno ventralmente all'altro, la distanza dal loro sbocco dal solito punto fisso risultó di mm. 60. Negli altri casi, nei quali dividendosi la vena giugulare esterna in due tronchi questi sboccavano l'uno di lato all'altro, si ebbe la distanza dello sbocco del tronco mediale dall’interlinea articolare com- presa fra 35—55 mm., e quella della stessa interlinea dallo sbocco del tronco laterale compresa fra 45 e 80 mm. Ciö negli adulti. Che nell’unico caso di sdoppiamento terminale della v. giugulare esterna riscontrato in bambini, la distanza dei due tronchi dal solito punto fu rispettivamente di mm. 12 e 10. Talvolta peró la vena giugulare esterna puó terminare nella vena siugulare interna (5 volte, 3 a destra e due a sinistra) peró sempre senza sdoppiarsi presso la terminazione. La confluenza puó essere situata a varie altezza: in un caso (a destra) era posta sopra il punto nel quale la vena giugulare interna è incrociata dal m. omoioideo (fig. 3 — C) e in un altro caso (pure a destra) si trovava subito sotto questo punto (fig. 3 — À). Nei rimanenti tre casi (uno a destra e 2 a sinistra) lo sbocco della v. giugulare esterna nella interna avveniva poco sopra il con- fluente di quest'ultima colla v. sucelavia (fig. 5 — E). — Da ultimo osservai una volta che la v. giugulare esterna di sinistra passava sotto le inserzioni inferiori del muscolo sterno-cleido-mastoideo per unirsi alla giugulare anteriore di sinistra; formando cosi un tronco unico che, attraversando lo spazio aponeurotico soprasternale, si gettava nella v. giugulare esterna di destra, la quale a sua volta si apriva nella v. succlavia (fig. 5 — D). Tipo Normale. — La v. giugulare esterna sbocca senza dividersi e indipendentemente da altri grossi tronchi della v. succlavia dello stesso lato, in un punto che nell’adulto é posto 51—60 mm. lateral- mente all'estremità superiore dell'interlinea articolare sterno-clavicolare. Le vene del collo nell’uomo. 75 V9 Vene affluenti. — Il numero dei rami collaterali che mettono capo alla v. giugulare esterna varia a caso a caso. Si può avere così la mancanza assoluta di rami collaterali (5 casi, 2 a destra e 3 a sinistra), come la presenza di 5 rami (un caso a destra) e, fra questi estremi, tutti i casi intermedi, e così: un solo ramo collaterale 34 volte (14 a destra e 20 a sinistra); due rami 28 volte (13 a destra e 15 a sinistra); 3 rami 15 volte (11 a destra e 4 a sinistra); 4 rami una volta (a destra). I rami che si osservavano aprirsi nella v. giugulare esterna sono i seguenti: a) Ramo scapolare (fig. 6 — À — V. sc). E! quello che si osserva con maggiore frequenza (71 volte, 36 a destra e 35 a sinistra). Pro- viene dalla nuca, decorre nella regione laterale del collo parallelamente o quasi al margine superiore della clavicola, poco al disopra del quale è situato, e sbocca nella superficie laterale della v. giugulare esterna. Talvolta in luogo di un solo ramo scapolare ne esistono due, i quali convergono fra loro e si uniscono in un punto più o meno prossimo allo sbocco nella v. giugulare esterna. Una volta in un bambino di 10 giorni osservai a destra che la v. scapolare riceveva un tronco relativamente voluminoso, che, originatosi dai tegumenti della regione pettorale, saliva incrociando nella sua parte di mezzo la superficie ventrale della clavicola. In una donna di 52 anni notai una volta a sinistra che la v. giugulare esterna, giunta nella fossa sopraclavicolare, sembrava dividersi in due tronchi, dei quali il più esile seguiva il solito decorso della v. giugulare esterna; mentre l’altro, voluminoso, si dirigeva posteriormente, per raggiungere la nuca (fig. 2 — G). b) Vena facciale (fig. 6 — A — v. fc... — Segue per frequenza al ramo scapolare, essendosi trovata 25 volte (13 a destra e 12 a sinistra) — L'essere essa affluente della v. giugulare esterna avrebbe significato reversivo secondo Charpy [4]. In 6 casi (3 a destra e 3 a sinistra) la v. facciale sboccava nella giugulare esterna senza unirsi ad altre vene. ancora 6 volte (3 a destra e 3 a sinistra) vi si gettava dopo essersi unita ad un 76 Massimo Cherie-Ligniere, ZN! b. N ee r5.c.m--{f Y N Fig. 6. Vene affluenti dellavena giugulare esterna. g.e. = vena giugulare esterna; v.s. — vena succlavia; 2. s. = vena temporale superficiale; v. sc. — vena scapolare; v. fc. — vena facciale; r. c. d. — ramo ceivicale discendente (punteg- giato in parte); v.o. = vena occipitale: v. l. = vena linguale; v. fr. = vena faringea; T.S.m. — ramo sottomentale; 7.s.c.m. = ramo delm. sterno-cleido-mastoideo: r. £r. = ramo del m. trapezio; r.pv. — ramo pre- vertebrale (punteggiato in parte); r. m. = ramo cutaneo mastoideo; r7.s.d. = ramo sopracromiale; r.c/í. = ramo cervicale tras- verso; 7.pl. = ramo cutaneo pettorale; v. C. b. — vena cefalica del braccio; cl. = clavicola; m.s.c. m. = muscolo sterno- cleido-mastoideo; m. tr. = muscolo trapezio; m.oj. = muscolo omo-joideo; f. cm. = fascia cervicale media; m.dt. — muscolo deltoide; m.g.pt = muscolo grande pettorale; gh.s. m — ghiandola sottomascellare; c.t. = corpo tiroide. Le vene del collo nell'uomo. 77 ramo cutaneo proveniente dalla regione sopra-ioidea, ed una volta a destra in unione a questo ramo e ad un ramo faringeo. Nei casi fino ad ora ricordati la v. facciale si gettava intera- mente nella giugulare esterna; puossi per altro osservare la vena facciale, decorrente o isolata (9 volte, 6 a destra e 3 a sinistra) o unita presso la terminazione a un ramo ioideo (3 volte a sinistra), dividersi in due rami, dei quali uno si apre nella v. giugulare esterna, l'altro in altra delle grosse vene del collo. c) Ramo cervicale discendente. — Si osserva con discreta frequenza (12 volte, 9 a destra e 3 a sinistra) aprirsi nella v. giugulare esterna una vena di volume piü o meno cospicuo, che, discendendo sulla faccia ventrale del muscolo scaleno anteriore, si fa superficiale in corrispon- denza del margine laterale del m. sterno-cleido-mastoideo. Questo ramo puó farsi tanto voluminoso da uguagliare il volume della stessa vena giugulare esterna. Cid osservai una volta in un uomo di anni 25. In questo caso il grosso ramo discendente decorreva dietro il fascio nerveo-vascolare del collo e riceveva delle vene emananti dalla superficie ventrale dei corpi vertebrali, quindi girando attorno al margine laterale del muscolo sterno-cleido-mastoideo si apriva nella v. giugulare esterna. In tal modo il muscolo ora ricordato era avvolto da un'ansa venosa di cospicuo volume (fig. 6 — A — r. c. d.). d) Vena occipitale (fig. 6 — A — v. 0). Sl apriva nella vena giugulare esterna 6 volte (4 a destra e 2 a sinistra); in 3 casi lo sbocco era situato sopra l'angolo della mandibola, negli altri 3 casi tra l'angolo della mandibola e il punto medio della v. giugulare esterna. e) Vena linguale (fig. 6 — A — v.1. — v. fr). — Solo una volta a sinistra (in un bambino) si notava che si apriva nella vena giugu- lare esterna dopo essersi unita ad un ramo faringeo. Secondo Charpy [4] come per la v. faeciale, lo sbocco della v. linguale nella giugulare esterna ha significato reversivo. f) Ramo sottomentale. — Corrisponde all’arteria sottomentale (Bertelli [1] il margine superiore della ghiandola sottomascellare (fig. 6 — 5 — r. s. m.). , decorre sotto la fascia cervicale superficiale, contornando 9) Rami muscolari. — I rami muscolari che si riscontrarono aprirsi nella vena giugulare esterna sono: 78 Massimo Chérié-Ligniére, a) Un ramo masseterino, che, sorto dal muscolo massetere presso la sua inserzione craniale, sbocca a livello del condilo della mandibola (due volte, una a destra e l'altra a sinistra nello stesso individuo). p) Un ramo del platisma mioide, abbastanza voluminoso (una volta a destra). y) Un ramo del muscolo sterno-cleido-mastoideo estrinsecantesi dal margine dorsale del muscolo omonimo (una volta a destra) (fig. 6 — B — r. S. €. m.) dò) Un ramo del muscolo trapezio, emanante da questo e decor- rente trasversalmente in senso ventrale (una volta a sinistra) (fig. 6 — B — r. tr.) ce) Un ramo prevertebrale (fig. 6 — C — r. pv.), abbastanza volu- minoso, proveniente dai muscoli prevertebrali, scorre dorsalmente al corrispondente lobo laterale della ghiandola tiroide, passa dietro il fascio nerveo-vascolare del collo, incrocia la superficie laterale del m. scaleno anteriore e termina nel tronco piü profondo di divisione del- l'estremità prossimale della v. giugulare esterna. (Una volta a destra.) h) Rami cutanei che possono aprirsi nella giugulare esterna sono: a) Un ramo mastoideo (fig. 6 — 5 — r. m.), proveniente dagli strati superficiali della regione mastoidea (una volta a destra e due a sinistra). B) Un ramo sopra acromiale (fig. 6 — B — r. s. a.) che sale dalla regione deltoidea per aprirsi 2 cm. sopra il margine superiore della clavicola (due volte, una a destra e l’altra a sinistra nello stesso individuo). 7) Un ramo cervicale trasverso (fig. 6 — 6 — r. c. t.) (una volta a destra): originato a metà circa del collo sulla, linea mediana decorre lateralmente nel cellulare sottocutaneo e termina all’unione del terzo inferiore coi due terzi superiori della v. giugulare esterna. 0) Un ramo genieno, proveniente. dalla cute della guancia a livello dell'angolo. della mandibola (una volta a destra). é) Un ramo pettorale (fig. 6 — B — r. pt.) si origina dai tegu- menti della regione pettorale, incrocia la superficie ventrale della clavicola per gettarsi nella giugulare esterna presso l'estremo inferiore di essa (una volta a destra). | { } f | | Le vene del collo nell’uomo. 79 i) Vena cefalica del braccio. — L’aprirsi nella v. giugulare esterna della v. cefalica del braecio costituisce un fatto di una certa impor- tanza poiché richiama la disposizione normale dei lemuridi e delle scimie, nei quali animali Fiealbi [72] osservó costantemente che la v. giugulare esterna, giunta alla clavicola, si divide in due rami dei quali uno passa davanti, l’altro dietro quest’osso per poi unirsi di nuovo in un tronco comune che sbocca nella v. succlavia: nel ramo anteriore di questo anello venoso si apre la v. cefalica. Lachi [20] nel descrivere un caso nel quale esisteva una anasto- mosi tra la v. giugulare esterna e la v. cefalica del braccio mediante un tronco che denomina giugulo-cefalico, dice essere indubitabile che tra le due vene esista come condizione embrionale una comunicazione, la quale può assumere un certo sviluppo dando luogo ad una anomalia per inversione di sviluppo (Sappey), però aggiunge che oltre alla spiegazione embriologica della anomalia, bisogna stabilirne anche il significato, che egli trova nella disposizione ancestrale riscontrata da Ficalbi. Esistono pertanto delle forme di passaggio fra la disposizione seimiesca e la normale dell'uomo, e queste forme sono rappresentate dallo sdoppiamento del tratto prossimale della vena giugulare esterna (di cui gia ho trattato) o da quello dell’estremita distale della v. cefa- liea, di cui ha riportato un caso Lachi, e rappresentano quasi un conato di anastomosi fra i due vasi. Ad esse é da assegnare il caso di Salvi [20], nel quale la v. giugulare esterna si divideva a 3 em. dalla clavieola in due rami, i quali alla loro volta incrociavano quest’osso passandogli uno dorsalmente l’altro ventralmente, riunendosi successivamente al disotto per formare un brevissimo tronco, che si apriva nella v. succlavia. Lo sbocco nella v. giugulare esterna di tutto o di una parte della v. cefalica è nell'uomo assai raro secondo Gegembaur |/4| Lachi |20], Krause, Thane [24] etc. sarebbe invece frequente secondo Charpy [+]. — [o l'osservai soltanto due volte. Il primo caso (fig. 6 — D) ho osservato in un uomo di 37 anni dal lato destro: la v. giugulare esterna, originatasi dall'unione della . V. temporale superficiale, colla v. mascellare interna, scendeva assai 80 Massimo Chérié-Ligniére, voluminosa e riceveva un vaso cutaneo a livello dell’angolo della mandibola, un ramo cervicale discendente e un ramo scapolare. Sotto a questo, un cm. sopra la clavicola, riceveva la v. cefalica del braccio, la quale, situata come di norma nell’interstizio deltoideo-pettorale continuava il suo decorso in alto senza dare alcun ramo sboccante nella v. ascellare, e passava sulla superficie ventrale della cla- vicola. Il secondo caso (fig. 6 — £) si riferisce ad un uomo di 74 anni (lato sinistro) Qui la v. giugulare esterna, formata dal confluire della v. temporale superficiale colla v. mascellare interna, riceveva sopra l'angolo della mandibola un ramo occipitale, quindi incrociato il muscolo sterno-cleido-mastoideo e raggiunta la fossa sopra-clavicolare si sdoppia a in due tronchi che si univano di nuovo solo al loro punto di sbocco nella succlavia, a livello del margine craniale della clavicola. — Nel tronco dorsale si apriva la v. scapolare, nel ventrale uno dei rami di biforcazione del tratto prossimale della v. cefalica. — Questa infatti, situata nel solco deltoideo-pettorale si divide al mar- eine inferiore della clavicola in due tronchi, dei quali il superficiale incrocia la faccia ventrale della clavicola e si apre nel modo or ora descritto nella v. giugulare esterna, mentre il profondo termina sboc- cando nella v. ascellare. Quest'ultimo caso è in tutto simile a quelli descritti da Nuhn e da Lachi [20], con in pit lo sdoppiamento della v. giugulare esterna, ciò che l'avvieina ancora maggiormente alla disposizione scimiesca. Tipo Normale. — La v. giugulare esterna riceve nella sua super- fieie laterale un solo ramo collaterale, la vena scapolare che, prove- nendo dalla regione della nuca, decorre nella regione sopra-clavicolare parallelamente o quasi al margine craniale della clavicola, poco al disopra del quale è situata (71°/,). VII? Anastomosi. — La v. giugulare esterna puó contrarre delle anastomosi colle altre grosse vene del collo: queste anastomosi si fanno o direttamente mediante speciali tronchi decorrenti fra l'una e laltra grossa vena, oppure indirettamente a mezzo di rami collaterali che, dividendosi in due o piü tronchi sboccanti uno nella v. giugulare Le vene del collo nell'uomo. 81 esterna, gli altri in un’ altra delle grosse vene, permettono al sangue di percorrere l'una piuttosto che l'altra via. Si possono perció distinguere delle anastomosi dirette e delle anastomos? indirette. a) amastomosı dirette — la v. giugulare esterna può contrarre delle anastomosi dirette: «) colla v. giugulare anteriore dello stesso A ge- VS. UMS. Fig. 7. Anastomosi dirette della vena giugulare esterna colla vena giugulare anteriore. g.e.==vena giugulare esterna; g.a.= vena giugulare anteriore dello stesso lato; g.a.o. = vena giugulare anteriore del lato opposto; v.s. = vena succlavia. lato — ) colla v. giugulare anteriore del lato opposto — 7) colla v. giugulare interna dello stesso lato. a) Prescindendo dai casi già descritti nei quali si ha confluenza dei due vasi presso la loro terminazione, la v. giugulare esterna si anastomizza colla v. giugulare anteriore in 13 casi (9 a destra e 4 a sinistra) mediante tronchi quando a direzione trasversale (fig. 7 — A), quando obliqua (fig. 7 — 5), quando ad S rovesciato (fig. 7 — C). Una volta il tronco, unico del punto in cui si staccava dalla v. giugulare Internationale Monatsschrift f, Anat. u. Phys. XXXI, 6 89 Massimo Chériè-Ligniére, anteriore, si biforcava ben tosto per aprirsi con due sbocchi nella v. giugulare esterna. — In due casi (a destra) nei quali la v. giugulare esterna era sdoppiata, il ramo anastomotico si apriva nel tronco mediale. Riguardo al livello al quale l’anastomosi avviene, in 5 casi (8 a destra e 2 a sinistra) il tronco anastomotico era situato all'al- tezza del margine craniale della cartilagine tiroide; in 3 (tutti a destra) nel terzo medio del collo, in 5 (9 a destra e.2 a sinistra) nel terzo inferiore. p) L'anastomosi della v. giugulare esterna di un lato con la vena giugulare anteriore del lato opposto si presentó delle mie ricerche due volte in soggetti nei quali mancava la v. giugulare anteriore dello stesso lato. X In un caso (fig. 7 — D) era la v. giugulare esterna di destra che si anastomizzava colla v. giugulare anteriore di sinistra, mediante un ramo che formava un'arcata a concavità inferiore e attraversava la linea mediana passando cranialmente all'osso ioide. Nel secondo caso (fig. 7 — E) si osserva il fatto opposto, ossia è la v. giugulare esterna di sinistra che si anastomizza con la v. giu- gulare anteriore di destra. Ciò avviene per un tronco che, originatosi nella parte alta di quest'ultimo vaso, forma un arcata a concavità caudale, abbraeciante l'osso ioide, quindi, attraversata la linea mediana volge in basso per unirsi alla v. giugulare esterna nel suo terzo inferiore. y) La comunicazione fra la v. giugulare esterna e linterna a mezzo di un tronco anastomotico esisteva nei miei preparati 3 volte, sempre a destra. — Trattavasi in tutti i casi di un tronco che, ori- ginatosi dalla v. giugulare esterna — una volta in corrispondenza dell'angolo della mandibola, le altre subito sotto questo livello — volgeva medialmente e profondamente, descrivendo un arco che ab- braciava il muscolo sterno-cleido-mastoideo (fig. 8). b) Anastomosi indirette: — La comunicazione della v. giugulare esterna colle altre grandi vene del collo può farsi «) mediante il tronco temporo-mascellare, 9) mediante la v. mascellare interna, y) mediante la v. facciale, Le vene del collo nell'uomo. 83 a) Secondo Gegembaur [74] e Thane [54] il tronco temporo- mascellare (v. facciale posteriore) si divide normalmente presso l’angolo della mandibola in due tronchi, uno dei quali si dirige in avanti passando sopra o sotto i muscoli stiloioideo e digastrico per gettarsi nella v. facciale (v. facciale anteriore) e formare la v. facciale comune, mentre l’altro, dice Thane, si dirige attraverso il margine posteriore del m. sterno-cleido-mastoideo (?) per formare colla v. auricolare poste- riore l’inizio della v. giugulare esterna. — Avverte però VA. che come variazione puó aversi il calibro dell'uno o dell'altro dei rami di divi- sione del tronco temporo-mascellare notevolmente ridotto, e talvolta di tanto che uno dei due rami puó scom- parire del tutto, ed in allora il tronco si continua precipuamente o interamente colla v. giugulare esterna in una serie di casi; colla v. giugulare interna (a mezzo della v. facciale comune) in una serie di altri. Dalle mie ricerche invece risulta che la disposizione or ora ricordata come nor- male deve ritenersi di eccezione, perchè solo 17 volte (5 a destra e 12 a sinistra), Fig. 8. potei osservare una suddivisione del tronco -1N@stomosi diretta frala vena giugulare esterna e la vena temporo-mascellare, la quale stabiliva così giugulare interna. una comunicazione indiretta della v. giu- g.e. = vena giugulare esterna: d : 1. a. = tronco anastomotico; gulare esterna con la v. giugulare ante- m.s.c.m. — muscolo sterno- riore, o con la v. giugulare interna, o con cleido-mastoideo. entrambe contemporaneamente. E, venendo a più minuti particolari, dirò che 8 volte (2 a destra e 6 a sinistra) il tronco temporo-mascellare si divideva a livello del- l'angolo della mandibola in due rami, dei quali il laterale rappresen- tava l’origine della v. giugulare esterna, e il mediale si portava alla v. giugulare anteriore (fig. 9 — A). In sei casi (1 a destra e 5 a sinistra) il tronco temporo-mascel- lare si comportava nel modo ora descritto, senonché il ramo mediale risultante della sua divisione, dopo un decorso rettilineo 0 a curva con concavità laterale, si apriva, invece che nella giugulare anteriore, 6* 84 Massimo Cherie-Ligniere, nella giugulare interna, sia aprendovisi direttamente, sia sboccando in uno dei suoi affluenti (fig. 9 — B). Accade pure talvolta che il tronco temporo-mascellare si divida presso l'angolo della mandibola in tre rami (1 volta a destra) oppure in due, dei quali il mediale si biforea a sua volta dopo breve tratto (1 volta a sinistra) si da aversi in tutti i casi tre rami dei quali il Fig. 9. Anastomosi ‘indirette della vena giugulare esterna colle vene giugulari anteriore ed interna ) vie mediante il tronco temporo-mascellare. g.e. = vena giugulare esterna; g. a. = vena giugulare anteriore; g. 4. — vena giugulare interna; t.s. = vena temporale superficiale; m.i. = vena a 7.3. mascellare interna; Z. m. — tronco temporo mas- cellare; v. fc. = vena facciale. laterale forma la v. giugulare esterna, quello di mezzo va alla v. giu- gulare anteriore ed il mediale si getta nella v. giugulare interna (fig. 9 — C). In un caso a destra poi .le cose erano ancor più complicate (fig. 9 — D). Il tronco temporo-mascellare a livello dell'angolo della mandibola si divideva in due rami. Il laterale formava la v. giugulare esterna, il mediale invece descriveva un ampio arco di cerchio e si gettava nella v. giugulare esterna poco al disopra della clavicola. Quest'ultimo ramo a livello del margine craniale della cartilagine tiroide riceveva dalla sua parte mediale, convessa, la v. facciale, Le vene del cello nell'uomo. 85 mentre da la sua parte laterale concava partiva un ramo che andava a gettarsi nella v. giugulare interna. Alquanto piü sotto, dalla parte convessa emanava un altro ramo a decorso trasversale, che stabiliva una comunicazione colla v. giugulare anteriore. 5) In un preparato, a sinistra, vidi una anastomosi indiretta fra la v. giugulare esterna e l’interna dovuta alla sdoppiamento della v. mascellare interna in due rami, dei quali il laterale si univa alla v. temporale per formare il tronco temporo-mascellare, mentre il mediale raggiungeva la v. giugulare interna (fig. 10). y) La divisione della v. facciale, in un punto situato tra il margine anteriore della mandibola e il margine superiore della cartilagine cricoide, in due tronchi, dei quali uno si apriva nella v. giugulare esterna e l'altro nell'anteriore, fu riscontrata in 5 casi (4 a destra ed uno a sinistra) — Il livello poi nel quale il ramo destinato alla v. giugulare esterna si apriva in quest'ultima si dimostró molto variabile, essendo situato tra quello dell Fig. 10. Anastomosi ‘indiretta craniale della clavicola (fig. 11 — B). Nei 5 della vena giugulare preparati ora ricordati, 3 volte (2 a destra e 1 esterna colla vena giu- gulare ‘interna medi- ante la vena mascellare osso ioide (fig. 11 — A) e quello del margine a sinistra) la facciale decorreva isolata (fig. 11 — A), mentre negli altri 2 (a destra), prima di interna. biforcarsi riceveva un ramo faringeo ed un ramo 9° = Vena giugulare | esterna; g.i. = vena sottomentale (ig. 11 — B — v. fr. — r.S. M). giugulare interna; f. s. In un caso si notò una maggiore complicazione: —venatemporale super- ficiale; m.4. — vena mas- entrambi i rami di divisione della v. facciale, dM Ed suddividevano a lor volta in due rami. — Se ne avevano°in tal modo quattro, dei quali due sboccavano nella v. giugulare esterna, e due nell'anteriore. | Finalmente si osservó pure due volte (una a destra e una a sinistra) la v. facciale, divisa in due rami, col laterale gettarsi nella v. giugulare esterna e col mediale nella v. giugulare interna (fig. 11 — C). c) Mancanza di anastomosi, — La mancanza di qualsiasi anasto- 86 Massimo Cherie-Ligniere, mosi, tanto diretta che indiretta, sia colla v. giugulare anteriore che col linterna, si osservò in 38 casi (15 a destra e 23 a sinistra). Riassunto delle anastomosi della v. giugulare esterna colle altre quattro vene del corpo: Appare evidente dalla seguente tabella: Fig. 11. Anastomosi indirette della vena giugulare esterna colle vene giugulari interna mediante la vena facciale. g.e. — vena giugulare esterna; g.a. = vena giugulare anteriore; g.i. = vena giugulare interna; v.s. = vena succlavia; temporale superficiale; m.7. = vena mascellare interna; v.fc. = vena facciale; v.fr. = vena faringea; r.s.m.=ramo sotto-mentale. anteriore ed t.S. = vena A. La vena giugulare esterna si anastomizza Destra Sinistra Totale colla v. giugulare anteriore a) direttamente n | ate nie tee rM 19 b)endizeitamente 5 4 5 5 al 338 27 B. La vena giugulare esterna si anastomizza colla v. giugulare interna a)üimeltamenucm go hh alo a 3 b) indirettamente Oo 25. 16 41 12 15 Le vene del cello nell’uomo. 87 C. La vena giugulare esterna non si anastomizza, Destra Sinistra Totale con aleun'altra delle grosse vene del collo 15 23 38 Tipo normale. — La v. giugulare esterna contrae normalmente delle anastomosi colle altre grosse vene del collo, talvolta diretta- mente, tal'altra indirettamente mediante divisione di rami collaterali (54,7°/,). Mentre le anastomosi colla v. giugulare anteriore sono frequentissime (48,8°/,) quelle colla v. giugulare interna sono relativa- mente rare (17,8°/,)’). * * * B. Vena giugulare anteriore (Vena jugularis anterior). I? Mancanza. — Nei miei 100 preparati la v. giugulare anteriore mancava 11 volte (4 a destra e 7 a sinistra. In 3 di questi casi (2 a destra e 1 a sinistra) si notava pure la mancanza contemporanea della v. giugulare esterna. In un bambino di un mese la mancanza della v. giugulare anteriore associata a quella della v. giugulare esterna era bilaterale. In questo caso tutte le vene del collo termina- vano naturalmente nelle v. giugulari interne. II? Origine. — La v. giugulare anteriore puó originarsi: a) da un solo ramo (63 volte, 34 a destra e 29 a sinistra), b) della convergenza di due rami (24 volte, 12 a destra e 12 a sinistra), c) della convergenza di tre rami (due volte a sinistra). a) Origine da un solo ramo. Più di frequente si osserva la v. 7) Il fatto di avere osservato solo con una certa rarità anastomosi sia dirette che indirette fra la v. giugulare esterna, e la v. giugulare interna ha importanza sia perchè la generalità degli Autori descrive dette anastomosi come costanti (Cruveil- hier (5)) o quasi, sia per le considerazioni e deduzioni che certi Anatomici francesi. hanno voluto trarne. Ammettono costoro (Sebileau e Demoulin (31), Launay (21)) che le vene giugulari esterne ed anteriori non siano altro che canali di derivazione e tutto al più collettori del sangue degli strati superficiali, mentre i tronchi venosi corrispondenti alla diramazione dell'arteria carotide esterna sì aprirebbero nella v. giugulare interna o in totalità o mediante quelle che ho chiamato anastomosi in- dirette, e così parlano di una vena carotide comune (porzione prossimale della v. giugulare interna), di una vena carotide interna (porzione distale di detta vena), di una vena carotide esterna (confluenti della v. giugulare interna) (Launay). Questo modo di interpretare il significato morfologico delle vene del collo non può però essere accettato oltre che per le ragioni di embriologia e di anatomia comparata esposte da Charpy (4), anche perchè in effetto solo eccezionalmente si trovano nel cadavere quelle disposizioni anatomiche che lo rendono possibile. 88 Massimo Chériè-Ligniére, giugulare anteriore originarsi da un ramo, che, sorto nella regione sopraioidea, decorre in basso a lato della linea mediana fra il m. pel- licciaio del collo e la fascia cervicale superficiale, ció che avviene 42 volte (21 a destra e 21 a sinistra) Segue per ordine di frequenza (9 volte, delle quali 5 a destra e 4 a sinistra) una disposizione in tutto simile alla precedente tranne che il ramo di origine della v. siugulare anteriore appare solo caudalmente all'osso ioide. 9 “Ya. VIC. Fig. 12. Modi di origine della vena giugulare anteriore UE con un solo ramo. — g.a. — vena giugulare anteriore; g.i. = vena giu- gulare interna; v.fc. — vena facciale; 0. J. = 0850 joide; m.dg. — muscolo digastico. In 17 preparati (15 a destra e 2 a sinistra) si osserva un ramo, che estrinsecandosi dal margine inferiore della ghiandola sottomascel- lare, costituisce l'origine della v. giugulare anteriore (Vena della ghian- dola sottomascellare). Tre volte (1 a destra e 1 bilateralmente nello stesso individuo) si osservò che la v. giugulare anteriore non si originava con un ramo proprio, bensi da un tronco che, dipartitosi da un affluente della v. giugulare interna, si faceva superficiale passando sotto il margine mediale del m. sterno-cleido-mastoideo e si disponeva successivamente a lato della linea mediana (fig. 12 — A). Una volta sola (a sinistra) vidi la v. giugulare anteriore origi- Le vene del collo nell'uomo. 89 einarsi da un ramo di biforeazione della v. faeciale, mentre l'altro ramo di questa si gettava nella giugulare interna. Da ultimo una volta, a destra, la v. giugulare anteriore derivava da un tronchicino A Aa Sm. D B tfe Fig. 13. Modi di origine della vena giugulare anteriore (da due rami). g. à. = vena giugulare anteriore; 7. s. m. — ramo sottomentale; v.fc. = vena facciale; v. 1. — vena linguale ; gh. sm.— ghiandola sottomascellare; o./. = osso joide; mmn. — mandibola. profondo, che, sorto nella regione laterale del collo, decorreva sotto e parallelamente al ventre posteriore del muscolo digastrico per poi farsi superficiale in corrispondenza del tendine intermedio di questo muscolo e assumere un decorso verticale (fig. 12 — C). b) Origine da due rami. Si osservò 24 volte (12 a destra e 90 Massimo Chérié-Ligniére, 12 a sinistra). In 6 casi (5 a destra ed uno a sinistra) dei due rami di origine della giugulare anteriore, il mediale, sorto dai tegumenti della regione sopra-ioidea, decorreva in basso a lato della linea mediana, mentre il laterale, proveniente del margine inferiore della ghiandola sottomascellare, si spingeva in basso e lateralmente per unirsi col- Valtro ramo in punto che una volta trovavasi nella regione sopra- ioidea, due volte a livello dell’ioide, una volta in corrispondenza del margine superiore della cartilagine tiroide e finalmente due volte al- l'altezza della cartilagine cricoide (fig. 13 — A). In 5 casi (1 a destra, 4 a sinistra) i due rami di origine pro- venivano: il laterale dai tegumenti della regione sopraioidea, il mediale da quelli della sottoioidea. In questi casi il punto di convergenza si trovava costantemente in basso, nel terzo inferiore del collo, sicche in essi la v. giugulare anteriore appare doppia per buon tratto della sua estensione (fig. 13 — 5). Succede per ordine di frequenza l’origine della v. giugulare an- teriore da due rami tegumentali, entrambi sopraioidei (4 volte, 2 a destra e 2 a sinistra) (fig. 13 — C) o sottoioidei (4 volte, 3 a destra e 1 a sinistra) (fig. 13 — D). Nella prima disposizione i due rami si univano tra loro due volte a livello dell'osso ioide, due volte in corri- spondenza della cartilagine cricoide. Nella seconda varietà il ramo mediale decorre verticalmente, il laterale segue il margine mediale del m. sterno-cleido-mastoideo, e la riunione dei due rami avviene sempre pochi centimetri sopra il margine craniale dello sterno. Finalmente abbiamo le speciali disposizioni che si presentarono una sol volta per ciascuna, e sono le seguenti: Origine, a destra, da un ramo mediale tegumentale della regione sottololdea e da un ramo proveniente dal margine inferiore della ghiandola sotto-mascellare, convergenti fra di loro pochi centimetri sopra il margine craniale dello sterno (fig. 13 — Æ). Origine, a destra, da un ramo tegumentale sopraioideo situato medialmente, e da un ramo voluminoso laterale che, sorto dai tegu- menti della faccia, passa nel collo in corrispondenza dell'angolo della mandibola, e, seguendo il margine mediale del m. sterno-cleido-masto- Le vene del collo nell'uomo. 91 ideo, si congiunge all’altro ramo poco sopra il margine craniale dello sterno (fig. 13 — F’). Origine, a sinistra, da un ramo mediale, proveniente dal margine inferiore della ghiandola sottomascellare, a da un ramo laterale pro- veniente dai tegumenti della regione parotidea e scendente lungo il margine mediale del m. sterno-cleido-mastoideo. Il punto di unione dei due rami è poco al disopra del manubrio dello sterno (fig. 13 — G). Origine, a sinistra, dalla v. sottomentale, che, sorta sulla linea mediale, descrive un arco a concavità inferiore abbracciante il margine superiore della ghiandola sottomascellare, e dalla v. facciale, che scende verticalmente in basso. I due rami si uniscono a livello dell'osso ioide (fig. 18 — A). A me B | Fig. 14. Modo di origine della vena giugulare anteriore (da tre rami) g.a.= vena giugulare anteriore; gh.sm. = ghiandola sottomascellare; o.j. == osso joide; m.s. c. m. = muscolo sterno- cleido-mastoideo. 0J-- Origine, a destra, dall'unione a livello dell'osso ioide della v. fac- ciale colla v. linguale (fig. 13 — 7). c) Origine da tre rami. — Questa disposizione si osservö solo due volte a sinistra. Una volta la v. giugulare anteriore era formata da 3 rami tegu- mentali, dei quali il mediale scendeva verticalmente dalla regione sopraioidea, mentre i due laterali provenivano dalla sottoioidea, scen- dendo obbliquamente all'interno. L’unione avveniva nel terzo inferiore del collo (fig. 14 — A). Nell'altro caso (fig. 14 — B) a costituire la giugulare anteriore concorrono un ramo cutaneo mediale, sottoioideo, volto obbliquamente all'esterno, un ramo verticale mediano, proveniente dal margine infe- riore della ghiandola sottomascellare') e un ramo laterale, sorto dai 1) Nei trattati di Anatomia, parlando della ghiandola sottomascellare si dice soltanto che le venuzze da essa emananti si aprono nelle vene vicine, ma, per quanto 99 Massimo Chérié-Ligniére. teeumenti della regione parotidea e scendente lungo il margine mediale del m. sterno-cleido-mastoideo. L’unione dei tre rami avviene a livello . della cartilagine cricoide. Tipo Normale. — La v. giugulare anteriore si origina da un ramo solo che decorre caudalmente di lato alla linea mediana, tra il muscolo platisma mioide e la fascia cervicale superficiale (70,7 °/,). III° Direzione. — La v. giugulare anteriore, sorta nel modo che si è esposto, decorre in basso ai lati della linea mediana, più o meno vicina ad essa, e cosi arriva sino presso il margine craniale dello sterno: qui cambia direzione, quando descrivendo un arco di cerchio più o meno ampio, quando formando un vero angolo, e ciò special- mente in rapporto alla presenza o meno di un ramo anastomomico colla corrispondente vena del lato opposto (arcus venosus anterior di Luschka [25] e su questo punto tornerò parlando delle anastomosi. Cambiando direzione la v. giugulare anteriore si dispone talvolta tra il muscolo platisma e la fascia cervicale superficiale, tal'altra in uno sdoppiamento di quest'ultima, tal'altra ancora si fa pvofonda e penetra nello spazio soprasternale, e, passando per la porta spatu intraponeurotici suprasternalis penetra nel saccus coecus retrosternalis (Gruber [76], Taguchi [52)). Quando la v. giugulare anteriore deriva da due rami che si mantengono indipendenti per un percorso piuttosto lungo, essa natural- mente appare sdoppiata, e dei suoi due tronchi il mediale di solito ha direzione verticale, il laterale invece segue comunemente il margine mediale del m. sterno-cleido-mastoideo. Per quanto il punto di unione sia posto caudalmente, non lo é peró mai tanto che detti rami pene- trino indipendenti nello spazio aponeurotico soprasternale. almeno io sappia, non si accenna mai ad una vera vena della ghiandola sottoma- scellare, con decorso abbastanza lungo e determinato. — Da quanto sono invece sino ad ora andato esponendo intorno ai rami di origine della v. giugulare anteriore, si é visto come fra essi esista con una certa frequenza (14 casi) una vena estrinsecantesi dal margine inferiore della ghiandola sottomascellare e che chiamerei appunto vena della ghiandola sottomascellare. — Essa parmi doversi considerare omologa alla ar- teria della ghiandola sottomascellare, descritta come anomalia rarissima da Pardi (28) in una donna di 45 anni e da lui considerata in base a ricerche su Equus caballus e su Camelus dromedarius come vestigio di una disposizione tuttavia esi- stente in aleuni mammiferi. > Le vene del collo nell'uomo. 93 Interessante, specialmente per la parte chirurgica (Blandin [2]), e la presenza di una vena mediana del collo, la quale, per il suo de- corso davanti alla laringe ed alla trachea, puó ostacolare le operazioni che si praticano sopra questi organi, specialmente se essa raggiunge un calibro considerevole (Demarquais |7] che può fino uguagliare quello della v. giugulare interna (Notta |27)). Nei miei preparati riscontrai solo due volte la presenza di un ramo venoso sulla linea mediana del collo e sempre si trattava di un vaso di modesta dimensione. Il primo caso (fig. 15 — A) si riferiva ad un uomo di 50 anni: A Fig. 15. Vena mediana del collo. g.a.d. — vena giugulare anteriore destra; g.a.s. = vena giugulare anteriore finistra; g. e. = vena giugulare esterna; /. m. = tronco temporo-mascellare; v. m. c. = vena mediana del collo; 0.7. = osso joide; /. ==laringe; gh.sm. = ghiandola sotto- mascellare. in esso sono presenti e ben sviluppate le vene giugulari anteriori d'ambo i lati: quella di sinistra peró giunta nello spazio soprasternale devia medialmente per gettarsi mediante l’arco venoso del giugulo, assai ben sviluppato, nella corrispondente vena di destra. Il ramo mediano, vena mediana del collo, si origina profondamente fra 1 mus- coli sottoioidei e l'angolo della cartilagine tiroide e scende, addossata alla laringe ed alla trachea, per aprirsi nella parte di mezzo dell'arco venoso del giugulo. La seconda osservazione (fig. 15 — 4) feci in una donna di anni 57. Mancava in costei la v. giugulare anteriore di destra, e quella di sinistra (esile e originata da due rami sopraioidei, situati ai lati 94 Massimo Chériè-Ligniére. della linea mediana e riunentisi a livello dell’osso ioide) decorreva esattamente sulla linea mediana del collo, finché, raggiunto lo spazio soprasternale, deviava a sinistra, dopo essere notevolmente aumentata di volume in causa dello sbocco in essa di un ramo di biforcazione del tronco temporo-mascellare. Ai due casi ora riferiti sembrami che debba darsi diversa inter- pretazione: nel primo trattasi di una vera vena mediana del collo, mentre nel secondo non si ha che una vena giugulare anteriore, la Fig. 16. Terminazione della vena giugulare anteriore. g. a. = vena giugulare anteriore; g.i. = vena giugulare interna; v.s. = vena suc- clavia; t. bc. = tronco venoso brachiocefalico. quale, mancando la corrispondente del lato opposto, si é situata sulla linea mediana. | IV9 Terminazione. — Nel maggior numero dei casi da me stu- diati, (67 — 33 a destra e 34 a sinistra) la v. giugulare anteriore termina aprendosi nella v. succlavia, senza prima unirsi ad altre vene (fig. 16 — A). | Il punto di sbocco puó essere situato pit o meno lateralmente, e, misurando la sua distanza dall'estremità superiore dell’interlinea articolare sterno-clavicolare, si trovava posto lateralmente ad essa da un maximum di mm. 55 a un minimum di mm. 17, con una media seriale | di 27 casi nei quali detta distanza era di 31—40 mm. Ciò negli Le vene del collo nell'uomo. 95 adulti, ché nei bambini invece si ebbe una distanza massima di mm. 22, una minima di mm. 6, con una media seriale di 15 —20 mm. osservata in 5 casi. In 10 preparati (8 a destra e 2 a sinistra) si vide la v. giugu- lare anteriore aprirsi nella v. succlavia a lato e medialmente alla v. giugulare esterna (fig. 16 — 5). In un altro preparato, a destra, dopo aver incrociato verticalmente la v. giugulare interna si apriva nell'an- solo laterale formato dalla confluenza di quest'ultimo colla v. succlavia (fig. 16 — C). Un'altra volta, pure a destra, la v. giugulare anteriore terminava nel tronco venoso brachio-cefalico, sboccandovi 35 mm. medialmente all'estremo cefalico dell’interlinea articolare sterno-clavicolare (fig. 16 — D). In tutti i rimanenti casi la v. giugulare anteriore terminava get- tandosi in un’altra delle grosse vene del collo: e così: 5 volte (3 a destra e 2 a sinistra) nella v. giugulare esterna dello stesso lato al terzo inferiore del collo (fig. 5 — Be C); una volta (a sinistra) nella v. giugulare esterna del lato opposto attraversando lo spazio aponeu- rotico soprasternale ed unendosi prima alla vena omonima di destra (fig. 5 — D), 4 volte (sempre a sinistra) nella vena giugulare anteriore del lato opposto, passando per lo spazio sopra-sternale (fig. 16 — £). Tipo normale. — La v. giugulare anteriore termina nella v. su- clavia indipendentemente dalle altre grosse vene del collo e quindi anche dalla v. giugulare esterna (76,5°/,)1). Il punto di sbocco è nel- ladulto situato 35—40 mm. lateralmente all'estremità cefalica dell’in- terlinea articolare sterno-clavicolare. V? Vene affluenti. — Dai rami che possono affluire nella v. giugu- lare anteriore sono da distinguersi quelli che vi terminano totalmente senza essersi divisi e quelli che, dopo essersi suddivisi, vi si aprono con uno solo dei loro rami terminali. 7) Non sembra pertanto giustificata la descrizione che ne dà qualche Autore (Theile (35)) il quale comprende le vene giugulare anteriore e giugulare esterna sotto la comune denominazione di vena jugularis externa, distinguendo poi in essa un ramo giugulare esterno posteriore o cutaneo del collo (v. jugularis externa posterior, v. cutanea colli posterior) e un ramo giugulare esterno anteriore o v. cutanea anteriore del eollo (v. jugularis anterior, v. mediana colli, v. cutanea colli anterior). 96 Massimo Cherie-Ligniere. Ai primi appartiene in primo luogo una vena cutanea ascendente dalla regione sternale, (fig. 17 — A — r. c. st.) che si apre nel punto nel quale la v. giugulare anteriore da verticale si fa orizzontale (9 volte, 4 a destra e 5 a sinistra) Detta vena cutanea una volta assumeva un calibro relativamente cospicuo e tale da determinare un notevole aumento nel volume della v. giugulare anteriore (fig. 17 — B — r.c. st)" | Una volta, a destra, la v. giugulare anteriore riceveva la v. me- diana del collo, sulla quale gia mi sono intrattenuto; un’altra volta, ancora, ma a sinistra; un ramo a direzione ascendente proveniente dei A Fig. 17. i Vene affluenti nella vena giugulare anteriore. g.& — Vena giugulare ante- riore; v. s. — succlavia; 7. c. st. = ramo cutaneo sternale; r.c.m.= ramo cutaneo mam- mario ; 7.c.l. = ramo cutaneo laterale; 7. a.s.c. = ramo articolare sterno -clavicolare; v.tr. = vene tiroidee; st. = sterno; cl. = clavicola; c.t.= corpo tiroide. g2- US-- tegumenti della regione mammaria (fig. 17 — A — r. c. m.) e da ultimo, in un caso, ancora a sinistra, un ramuscolo cutaneo, proveniente dalla regione laterale del collo ed incrociante il m. sterno-cleido-mastoideo (fig. 17 — A — r.c.l.. I rami fino ad ora elencati sono tutti superficiali; ma possono aversi anche dei rami profondi sboccanti completamente nella v. giugu- lare anteriore, e questi sono: un ramo ascendente proveniente dall'ar- ticolazione sterno-clavicolare (1 volta a sinistra) ed aprentesi dove la vena cambia direzione (fig. 17 — A — r. a. s. c), e due vene tiroi- dee che, proveniendo dal polo inferiore del corpo tiroide, decorrono in basso per raggiungere lo spazio aponeurotico soprasternale, e di poi deviano lateralmente per aprirsi nella v. giugulare anteriore nel punto ove questa fa gomito (fig. 17 — A — v. tr). Allaltra categoria (rami che dopo essersi divisi si aprono nella Le vene del collo nell’uomo. 07 giugulare anteriore solo con uno dei loro tronchi di divisione) appar tengono: il tronco temporo-mascellare (11 volte, 4 a destra e 7 a sinistra); il tronco temporo-maxillo-linguo-facciale (8 volte, 7 a destra e 1 a sinistra); la vena facciale (15 volte, 9 a destra e 6 a sinistra); il tronco tiro-linguo-faringo-facciale (5 volte, 1 a destra e 4 a sinistra); il tronco tiro-linguale (una volta a destra); il tronco faringo-linguale (2 volte a sinistra); la vena tiroidea superiore (una volta a destra); un ramo sotto ioideo (una volta a sinistra). Ma poichè questi vasi sboccando contemporaneamento nella v. . giugulare anteriore ed in un altra delle grosse vene del collo stabili- scono delle anastomosi indirette, così di esse parlerò nel seguente capitolo. Tipo Normale. — La v. giugulare anteriore non riceve normal- mente, oltre ai rami che la originano, alcun altro ramo collaterale. "VI? Anastomosi. — Come per la v. giugulare esterna si possono distinguere le anastomosi dirette dalle indirette. — a) Anastomosi dirette. — La v. giugulare anteriore può anasto- mizzarsi direttamente: @) con la v. giugulare anteriore del lato op- posto — $5) con la v. giugulare esterna — y) con la v. giugulare interna. a) Anastomosi dirette delle vene giuguları anteriori di un lato con quelle dell'altro. — Prescindendo dai 4 casi nei quali la comunicazione fra le due giugulari anteriori avviene per il fatto che la sinistra ter- mina sboccando unita a quella di destra (e di questi già si è parlato), in 28 preparati riscontrai un tronco venoso che decorreva dall’uno all’altro vaso. Questo tronco anastomotico una volta si trovava situato cranialmente all’osso ioide (fig. 18 — A); 6 volte fra questo e lo spazio aponeurotico soprasternale, 16 volte nello spazio stesso. In 5 casi poi esistevano due tronchi anastomotici nello stesso soggetto, il cra- niale posto sotto l’osso ioide, il caudale nello spazio soprasternale (fig. 18 — B e C). Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI. -1 98 Massimo Chériè-Ligniére. Nel caso di anastomosi sopraioidea, il tronco anastomotico era disposto obliquamente dall’alto al basso e da sinistra a destra Quando lanastomosi avveniva in quel tratto di collo che à posto tra l'osso ioide e lo spazio aponeurotico soprasternale, il tronco anastomotico decorreva talora trasversalmente (fig. 18 — PB), tal'altra ad arco (fig. 18 — C) tal’altra ancora a foggia di lettera S. (fig. 18 — D). Nello spazio Fig. 18. Anastomosi dirette delle due vene giugulari anteriori fra loro. g. a. — vena giugulare anteriore; v.s. = vena succlavia; gh. sm. = ghiandola sotto- mascellare; o./. = osso joide; st. = sterno. soprasternale le anastomosi fra le due giugulari anteriori avvengono mediante quel tronco che Theile [35] chiama vena cutanea inferiore del collo (v. cutanea inferior, v. colli superficialis inferior); Luschka [25] areus venosus anterior, His [18] arcus venosus juguli. L'areo venoso del giugulo può assumere un notevolissimo sviluppo e misurare un'ampiezza persino di 1 cm., come riscontrai in un caso : che verrà più innanzi descritto, nel quale il sangue della v. giugulare Le vene del collo nell’uomo. 99 interna si scaricava in gran parte nella v. giugulare anteriore, e tale condizione di cosa può difficolare gli interventi chiurgici sulla trachea; specialmente nella tracheotomia inferiore. Per ció che riguarda la direzione, il tronco in parola puó essere orizzontale (fig. 18 — C) ricurvo colla concavità rivolta cranialmente (fig. 18 — 5), ad angolo aperto in alto. Quest'ultima disposizione riscontrai una volta in un soggetto nel quale il tronco, partendo dalla eiugulare anteriore di un lato, si spingeva per quasi un cm. sulla superficie ventrale dello sterno, per poi ripiegarsi ad angolo acuto e risalire fino alla giugulare anteriore del lato opposto (fig. 18 — E). Osservai il tronco anastomotico disposto traversalmente sul pro- lungamento della porzione orizzontale delle due vene giugulari ante- riori, mentre i tratti verticali si continuavano con esso ad angolo retto, sicché in tal caso sembrava esistere un tronco orizzontale, teso dall'una all'altra vena succlavia, nel quale si aprissero le due vene giugulari anteriori, verticali. Questa disposizione però è rara ed io non la incontrai che una sola volta (fig. 18 — 7). L’arco venoso del giugulo scorre talvolta nel connettivo che riempie lo spazio intraponeurotico soprasternale, altre volte invece è applicato al margine craniale dello sterno. Gia dissi che in un caso scendeva sulla superficie ventrale di quest’osso. Solo 12 volte nei casi nei quali le vene giugulari anteriori esi- stevano nei due lati, esse decorrevano senza anastomizzarsi diretta- mente tra loro. B) Anastomosi dirette della vena giugulare anteriore colla v. giu- gulare esterna. — Di esse si è già trattato a proposito di quest’ul- tima vena, sicchè non è il caso di ritornarvi sopra. y) Anastomosi dirette della v. giugulare anteriore colla vena giugulare interna. — Si osservarono in 8 casi (3 a destra e 5 a sinistra) Il tronco anastomotico in 7 casi si apriva dal lato della v. giugulare anteriore nella porzione verticale (fig. 19 — C), in un caso nel tratto orizzontale (fig. 19 — D). Talvolta detto tronco ana- stomotico è di piccolo o medio calibro, ma in due casi lo vidi acquis- tare tale volume da assumere grande interesse dal punto di vista chirurgico, (* 100 Massimo Chérié-Ligniére, Il primo (fig. 19 — A) è quello di una donna di 56 anni, nella quale la giugulare anteriore di destra, gia voluminosa fino dai suoi inizi, ricevendo essa una gran parte del tronco linguo-farineo-faceiale, subito sotto losso ioide riceve pure un tronco anastomotico legger- mente obbliquo in alto e in dentro, di calibro cospicuo (mm. 9), dopo di che aumentata considerevolmente di volume (mm. 15), scendeva per raggiungere lo spazio soprasternale, e di qui, cambiando direzione, la A C 4g 2-7 Fig. 19. Anastomosi dirette delle due vene giugulari anteriori colla vena giugulare interna. g.a. = vena giugulare anteriore; g.i. = vena giugulare interna. vena succlavia. In questo preparato la v. giugulare interna manteneva pressoché lo stesso calibro per tutto il suo percorso. La seconda osservazione (fig. 19 — B) la potei fare in un uomo di anni 51, nel quale, a sinistra, un grosso tronco (calibro mm. 11) si diparte dalla vena giugulare interna (a livello dell'osso ioide e, con decorso aleun poco obliquo internamente e in basso, viene a metter - 8 Le vene del collo nell'uomo. 101 capo nella vena giugulare anteriore. Subito sotto al punto di origine del tronco anastomotieo la vena giugulare interna diminuisce di volume, si da passare da un calibro di mm. 13 a uno di mm. 6. — Per tal modo sembra che il tratto soprastante della v. giugulare interna si continui piuttosto colla v. giugulare anteriore, che colla restante por- zione della v. giugulare interna) Quando lanastomosi diretta fra la v. giugulare anteriore e l'in- terna corrisponde alla porzione verticale della prima, essa si fa me- diante un tronco ad arco con convessità craniale, disposto in piano orizzontale o leggermente obliquo, nel quale frequentemente si apre una vena tiroidea. Nell'unico caso già ricordato nel quale il tronco anastomotico mette capo dal lato della vena giugulare anteriore alla porzione oriz- zontale di questa, esso era non molto voluminoso e con decorso verti- cale, partendo dalla giugulare interna, scendeva per gettarsi nella v. giugulare anteriore appena questa usciva dallo spazio intra aponeu- rotico soprasternale. b) Anastomosi indirette, — Vari sono 1 rami che dividendosi alla loro terminazione possono stabilire delle anastomosi fra la v. giugulare anteriore e le altre grosse vene del collo. a) Il tronco temporo-mascellare può dividersi in due rami, (8 volte, 2 a destra e 6 a sinistra): uno mediale che sbocca nella v. giugulare anteriore, l'altro laterale che va nella v. giugulare esterna, oppure in tre rami (9 volte, 2 a destra e 1 a sinistra), destinati: il mediale alla v. giugulare interna, quel di mezzo alla v. giugulare anteriore, il laterale alla v. giugulare esterna. Sopra questi casi non aggiungeró altro avendone già parlato nel capitolo della v. giugulare esterna. B) Il tronco temporo-mascellare può anche dividersi in due rami, sboccanti l'uno nella v. giugulare anteriore, l'altro nella v. giugulare interna (9 volte, 8 a destra e 1 a sinistra); peró in tal caso prima di dividersi riceveva o la v. facciale (una volta a destra), oppure le 1) Alla possibilità di trovare a sinistra questa disposizione accenna anche Charpy (4). — Il significato è quello di varietà reversiva di tipo animale. A questo proposito debbo ricordare che l’individuo che presentava questa anomalia mori nel Reclusorio di Parma ove era in espiazione della pena di anni 3, mesi 8 e giorni 15 per reato di furto. 102 Massimo Chérié-Ligniére, vene facciale e limguale unite assieme (7 volte a destra e 1 a sinistra). Con maggior frequenza il tronco temporo-mascellare si divideva a V rovesciato, e in tali casi il tronco destinato alla v. giugulare anteriore era assai voluminoso, sicche questa subito sotto la anastomosi aumen- tava improvvisamente e notevolmente di volume (5 volte, 4 a destra e 1 a sinistra) (fig. 20 — A). Nei restanti casi il ramo destinato alla v. giugulare interna era di molto superiore in volume a quello della anteriore e in allora esso decorreva ad arco o a lettera S allungata (fig. 20 — B). Fig. 20. Anastomosi ‘indirette della vena giugulare anteriore colla vena giugulare interna (mediante il tronco temporo-mascellare). g.a.= vena giugulare anteriore; g.?. = vena giugulare interna; Z.s. = vena tem- porale superficiale; m.?. == vena mascellare interna; #. m. = tronco temporo mas- cellare; v.fc. = vena facciale; v. 7. = vena linguale. y) Anche la v. facciale, mantenendosi indipendente, si divide tal- volta in due tronchi, in modo da stabilire una comunicazione tra la vena giugulare anteriore e l'esterna, oppure linterna. La prima mo- dalità ricorse in 5 casi (4 a destra e 1 a sinistra) e di essa si è detto a proposito delle anastomosi della v. giugulare esterna. — La seconda disposizione si presentò 9 volte (5 a destra e 4 a sinistra): la comunicazione avveniva sempre tra la v. giugulare anteriore e l’in- terna dello stesso lato, tranne in un caso in cui si faceva tra la v. giugulare anteriore di destra e linterna di sinistra, ed ecco come Le vene del collo nell’uomo. 103 stavano le cose: la v. facciale di sinistra; oltrepassato il margine in- feriore della mandibola si divide in due rami: il destro decorre obbli- quamente in fuori e si getta nella v. giugulare interna, il sinistro volge medialmente, oltrepassa la linea mediana del collo e si apre nella v. giugulare anteriore di sinistra (fig. 21 — D). La divisione della v. facciale nei suoi due rami terminali avveniva sempre appena oltrepassato il margine inferiore della mandibola, tranne in un caso in cui si faceva a livello del margine craniale della carti- lagine tiroide. I due tronchi provenienti dalla biforcazione talvolta si allontavano tra loro ad angolo piü o meno ottuso, tal'altra forma- ve... Fig. 21. Anastomosi indirette della vena giugulare anteriore colla vena giugulare interna (mediante la vena facciale). g.a.==vena giugulare anteriore; g.i. = vena giugulare interna; g.a.d. = vena giugulare anteriore destra; g.i.s. = vena giugulare interna sinistra; v. fc. = vena facciale, gh.sm. = ghiandola sotto-mascellare. vano un’arcata a concavità inferiore, circondante il margine superiore della ghiandola sotto-mascellare (fig. 21 — À). 0) La v. facciale può comportarsi nel modo ora esposto dopo essersi però prima unita ad altri rami e così alle v. linguale, faringea, tiroidea, per formare un tronco che si divide a livello dell'osso ioide in due rami sboccanti l'uno nella v.giugulare interna, l'altro nell'anteriore (4 volte, 3 a destra e 1 a sinistra. Quest'ultimo una volta aveva un decorso molto obbliquo, sicchè si apriva nella porzione orizzontale. — In un altro caso a sinistra la v. facciale costituiva un tronco unico con due rami ioidei, e un ramo della ghiandola sotto-mascellare: Anche questo tronco si biforcava subito sotto l’osso ioide. &) Si vide pure la v. linguale unirsi ad un ramo faringeo (due 104 Massimo Chérié-Ligniére, volte a sinistra) o alla v. firoidea (una volta a destra) e dividersi successivamente in due rami che stabilivano al solito modo una ana- stomosi indiretta fra la v. giugulare anteriore e linterna. C) Una volta a destra era una v. tiroidea che, biforcandosi, si comportava nel modo piü volte ricordato. c) Mancanza di anastomosi. — La v. giugulare anteriore di un lato non si anastomizzava con quella del lato opposto 12 volte sopra 90 casi nei quali era presente bilateralmente. — La v. giugulare an- teriore non contraeva alcun rapporto anastomotico né colla vena giugulare esterna né coll’interna in 8 casi (3 a destra e 5 a sinistra). assunto delle anastomosi della v. giugulare anteriore colle altre grosse vene del collo. — Risulta dalla seguente tabella: A) La due vene giugulari anteriori si ana- StomIZzanogtrar ORO) NERO er eee KC cT] B) Le due vene giuguları anteriori non con- traggono rapporti anastomotici . . . . 12 casi )) La vena giugulare anteriore si anastomizza colla v. giugulare esterna: destra sinistra totale a)edıretiamenben a ee ASIE) 6 25 b)eindmertamenten E MENS 8 16 27 14 41 D) La v. giugulare anteriore si anastomizza colla v. giugulare interna: A)adirettamenter u. TT 3 8 l) finduretta mente SORA 2 % 4. LS 12 30 23 15 38 E) La v. giugulare anteriore non si anasto- mizza né colla v. giugulare esterna, nè COMIMNBETNAR ANA IR O ees es 5 8 Tipo Normale. — La v. giugulare anteriore si anastomizza normal- mente (70°/,) con quella del lato opposto mediante un tronco che nel maggior numero dei casi è situato nello spazio intraponeurotico sopra- sternale (arcus venosus juguli. — Cosi pure normalmente contrae delle anastomosi, sia dirette che indirette, colle altre grosse vene del Le vene del collo nell’uomo. 105 collo (piü frequentemente colla v. giugulare esterna, meno spesso con la interna). * x * C. Vena giugulare interna — (V. jugularis interna). I° Mancanza. — Non venne mai riscontrata l'assenza della v. eiugulare interna. II? Origine. — La v. giugulare interna si originava costantemente al foro lacero posteriore, dal seno laterale col quale si continuaya. III? Direzione e rapporti. — La direzione della v. giugulare in- terna non si allontava mai nei miei preparati da quella tipica che viene descritta nel trattati. Quanto ai rapporti solo due volte osservai della anomalie nella situazione in confronto col nervo vago, in due uomini rispettivamente di anni 75 e 59, e in entrambi i casi dal lato sinistro. In questi il vago, posto in corrispondenza della base cranica nell'angolo diedro dorsale formato dal mutuo avvicinamento della v. giugulare interna e dell'arteria carotide interna, una volta giunto al punto di biforcazione dell’arteria carotide comune si insinua fra quest'ultima e la vena per raggiungere la superficie ventrale dell'arteria stessa, incrociarla e di- sporsi medialmente ad essa, lungo il margine laterale del lobo corri- spondente del corpo tiroide. La disposizione ora descritta è considerata assai rara: nella lette- ratura anatomica i soli casi simili che trovai descritti sono: due (en- trambi a destra) di Dubreuil [8], uno (a sinistra) di Cruveilhier [5], quattro di Henle [17]. — Malgaigne [24], Cuneo [6], ecc. si limitano ad accennare alla possibilità di questo anomalo rapporto senza pero portare aleun contributo di nuovi casi. Ricordo poi che in un preparato precedentemente descritto la v. giugulare interna per mezzo di un tronco anastomotico diretto si scaricava in gran parte nella v. giugulare anteriore, sieché il suo calibro, che cranialmente alla anastomosi era di mm. 13, scende im- provvisamente sotto questa a mm. 6, per aumentare nuovamente solo dopo aver ricevuto il sangue delle vene tiroidee (fig. 19 — B). IV9? Sdoppiamento..— In 28 casi (15 a destra, 13 a sinistra) la 106 Massimo Chérié-Ligniére, v. giugulare interna si sdoppiava in due tronchi per un tratto piü o meno lungo. — Il modo di comportarsi dei due tronchi provenienti dallo sdoppiamento variava notevolmente da caso a caso. Cosi una volta, a sinistra, i due tronchi erano di ugual calibro, decorrevano siustapposti e non ricevevano aleun ramo collaterale (fig. 22 — A). Di solito peró si osserva che i due tronchi hanno un volume diffe- rente; il maggiore continua la direzione della giugulare interna mentre il minore, situato medialmente, se ne allontana piü o meno per de- scrivere un arco e tornare a congiungersi più caudalmente col primo G GIA Fig. 22. Sdoppiamento della vena giugulare interna. g.i.= vena giugulare interna; c.j. = confluente joideo; c. à. = confluente accessorio ; f.m.= tronco temporo-mascellare; v.fr. — vena faringea; v.l. = vena linguale; v.tr. = vena tiroidea. assumendo così l'aspetto di un vero e proprio canale di derivazione (fig. 22 — B — C). Per ció che riguarda il punto craniale di sdoppiamento, diró che esso era situato 5 volte (2 a destra e 3 a sinistra) fra la base del cranio e l'angolo della mandibola, due volte (a destra) fra l'angolo della mandibola e l'osso ioide, 8 volte (4 a destra e 4 a sinistra) a livello dell’osso ioide, 13 volte (Y a destra e 6 a sinistra sotto quest'osso). La lunghezza poi dello sdoppiamento é compresa fra un minimum di mm. 10 (una volta a destra in un bambino) ed un maximum di mm. 60 (una volta a destra) mentre la media seriale cade con 10 casi fra 31 e 40 mm. Le vene del collo nell’uomo. 107 Quel tronco proveniente dallo sdoppiamento della giugulare in- terna e che chiamai di derivazione assume frequentemente rapporti col confluente ioideo: infatti 16 volte (8 a destra e 8 a sinistra) la sua origine corrispondeva al punto di sbocco di detto confluente (fig. 22 — B), e 3 volte (2 a destra e 1 a sinistra) invece vi corri- spondeva la sua terminazione (fig. 22 — C). Una volta poi a sinistra lestremo cefalico del canale di derivazione coincideva collo sbocco nel- la v. giugulare interna del confluente ioideo e Vestremo caudale collo sbocco del confluente accessorio (fig. 22 — D). Inoltre i canali di de- rivazione ricevono vasi collaterali ad eccezione di 4 casi (due a destra e due a sinistra) (fig. 22 — E). E così in 15 casi (8 a destra e 7 a sinistra) ricevono un solo ramo (vena tiroidea — 12 volte, 7 a destra e 5 a sinistra: vena faringea — 2 volte, una a destra e una a sinistra: ramo cutaneo sottoioideo — una volta a sinistra); in 4, tutti a sinistra, due rami (2 vene tiroidee — vena tiroidea e ramo ioideo — vena linguale e vena faringea — vema facciale e vena linguale: una volta per cia- scuna disposizione); in due, a destra, quattro rami (vene faringea, linguale facciale e della ghiandola sotto mascellare in un caso, tronco temporo-mascellare, vena faringea, vena linguale, vena tiroidea nel- l’altro). Come si può vedere da quanto ora ho esposto, la vena che si apre con maggior frequenza nel tronco di derivazione è la v. tirordea, osservandosi questa disposizione in 16 casi (10 a destra e 6 a si- nistra). Tipo normale. — La vena giugulare interna nel suo percorso normalmente non si sdoppia né emette tronchi di derivazione. V? Terminazione. — In tutti i casi la v. giugulare interna ter- minava unendosi alla v. succlavia per formare il tronco brachio- cefalico. Il punto di terminazione della v. giugulare interna venne deter- minato misurando col eompasso la distanza intercedente fra l'estremo craniale dell’interlinea articolare sterno-clavicolare ed il lato mediale della vena al suo sbocco. 108 Massimo Cherie-Ligniere. In un solo caso, a destra, sopra gli 80 di adulti, lo sbocco della vena era esattamente situato dorsalmente all'artieolazione. — Negli altri la distanza misurata come sopra ho detto poteva al massimo raggiungere i 4 cm. — La media seriale peró (32 casi) era compresa fra 30 e 35 mm. — Nei bambini si ebbe in 6 casi una distanza minima di mm. 5 ed una massima di 18 con una media seriale di 12 casi, nei quali era compresa fra 6 e 10 mm. Tipo normale. — La v. giugulare interna confluisce colla v. su- clavia per formare il tronco venoso brachio-cefalico in un punto che MP à MÄR B v Ih 6 Ml VC. gl VERS. Fig. 23. Vena giugulare interna-Confluente joideo. g.i. = vena giugulare interna; c.j. = confluente joideo; v.fr. = vena faringea; v.l. = vena linguale; v.ir.s. = vena tiroidea superiore; v.fc.= vena facciale; t. m.= tronco temporo mascellare. è situato negli adulti 30—35 mm. e nei bambini 6—10 mm. lateral- mente all’estremità cefalica dell’interlinea articolare sterno-clavicolare. VI® Vene affluenti. — Varia assai da individuo a individuo il numero dei rami collaterali della v. giugulare interna. In un caso (a destra) non ne riceveva alcuno, in 17 preparati (9 a destra e 8 a sinistra) si notava un solo ramo, in 41 (18 a destra e 23 a sinistra) due, in 32 (16 a destra e 16 a sinistra) tre, in 7 (5 a destra e 2 a sinistra) quattro, in 2 (uno a destra e uno a si- nistra) cinque. a) Confluente ioideo. — Con questa denominazione intendo in- dicare quel tronco che gli Autori chiamano vena facciale comune (v. facialis comunis), tronco tiro-linguo-facciale: preferisco la denomi- nazione di confluente vordeo perchè il termine di v. facciale comune non parmi esatto in quanto spesso a formarlo concorrono altre vene Le vene del collo nell’uomo. 109 che nulla hanno a che vedere colla v. facciale e quello di tronco tiro- linguo-facciale (Farabeuf) non sempre risponde alla realtà dei fatti!). Il confluente ioideo è il ramo collaterale della v. giugulare interna che si riscontra con maggior frequenza (95 volte, 47 a destra e 48 a sinistra). Il numero dei vasi venosi che concorrono a formare il confluente ioideo varia da un minimum di 2 ad un massimo di 6 (fig. 23). a) Confluente vordeo, formato da due rami: si osserva in 33 pre- parati (18 a destra e 20 a sinistra) nel modo seguente. 1. v. linguale ed una v. faringea . 19 volte, 8 a destra e 11 a sinistra Dv Mlanealesesvertaccraler dec dee ue n. NS Eur 3. v. linguale e v. tiroidea sup. DOS BD DS NEGRA e zataccialere vertiroideaesupr MANIERE TON ED Sure pmascellaretesv tacciale ae Os 6. due grosse vene faringee. [xe ln sU 8) Confluente ioideo, formato da tre rami: notasi 28 volte (16 a destra e 12 a sinistra). 1. v. linguale, v. faringea, v. tiroi- (SIP xc volte, Ca destrase d'assimistka DO < none ya tarnaea, veracaale 2 pod 3. v. linguale, v. facciale, v. tiroi- GEARS Up era poen ncmpe De a az 4. v. linguale, v. facciale, tr. temp.- mascellare an le eke To a 5. v. linguale, v. faringea, tr. temp.- HAS COLOR RME een hw. nde mere ceu 6. v. linguale, v. facciale, ramo sopra- 1610180 acce NRA e amen Op Ment NS AN 7. v. faringea, v. facciale, ramo so- DATE OR rectc ur e TE 8. v. facciale, tr. temporo mascellare, moo E29 01deo resa vc ios ee 1) Launay (21) lo denomina anche confluente inferiore in contrapposizione al confluente superiore (parotideo), col quale nome designa l'anastomosi fra la v. giugu- lare esterna ed interna, alla quale, come gia si disse, attribuisce una grande impor- tanza nell’interpretazione del significato della vene giugulari superficiali. 110 Massimo Chérié-Ligniére, y) Confluente roideo formato da quattro rami: Riscontrata in 20 casi (12 a destra e 8 a sinistra): 1. y. linguale, v. facciale, v. faringea, v. tiroidea sup. . . . . . . volte, 4 a destra e 3 a sinistra 2. v. linguale, v. facciale, v. faringea, tr. témp-mascellares em ae oso does cb MN 3. v. linguale, v. facciale v. tir. sup., ramo; sopraioideo. Wye I an ala, ee EUN MM 4. v. linguale, v. facciale, v. tir. sup. tre temp.-mascellarer nr ccce MON aeq) NN 5. v. linguale, v. faringea, v. tir. sup., te. temp -mascelldke Tee RA 6. v. linguale, v. facciale, tr. temp.- mascellare, ramo>sopraioideo RR eee 7. v. linguale, v. facciale, v. tir. sup., ramo-sopraioideo «sse ze ul nn) AD a 8. v. linguale, v. faringea, v. tir. sup., ramossopraloideos,. . enc EC ae 9. y, facciale, v. tir. sup., tr. temp.- mascellare, ramo"sopraioideor ssl NI lee 0) Confluente ioideo formato da cinque rami. Trovasi in 10 casi (4 a destra e 6 a sinistra): 1. v. linguale, v. faringea, v. facciale, v. tiroidea superiore, tronco temporo-mascellare — 3 volte, 1 a destra e 2 a sinistra. 2. y. linguale, v. faringea, v. facciale, v. tiroidea superiore, ramo sottoloideo — 2 volte, 1 a destra e 1 a sinistra. 3. v. linguale, v. faringea, v. facciale, tronco temporo-mascellare, ramo sottoioideo — 4 volte, 1 a destra e 3 a sinistra. 4. v. linguale, v. facciale, v. tiroidea superiore, tronco temporo- mascellare, ramo sopraioideo — una volta a destra. é) Confluente ioideo formato da sei rami. Osservasi in 4 casi, due a destra e due a sinistra. 1. v. linguale, v. faringea, v. facciale, v. tiroidea superiore, tronco temporo-mascellare, ramo sopraioideo, Le vene dell collo nell’uomo. 111 Per quando riguarda il livello del punto di sbocco del confluente ioideo nella v. giugulare interna, esso puö corrispondere all’osso ioide o essere più craniale o più caudale. ; Si notó pertanto lo sbocco situato cranialmente in 10 preparati (5 a destra e 5 a sinistra), e cosi in 6 casi (due a destra e 4 a sinistra) la distanza dall’osso ioide era inferiore ad un cm., negli altri 4 (3 a destra ed uno a sinistra) era compresa fra uno e due cm. — Lo sbocco a livello dell’osso ioide si osservò in 38 casi (14 a destra e 24 a sinistra. — Finalmente lo sbocco caudalmente all'osso ioide esisteva in 47 soggetti (28 a destra e 19 a sinistra). — In 20 casi (11 a destra e 9 a sinistra) la distanza era inferiore ad un cm., in 14 (10 a destra e 4 a sinistra) era fra uno e due cm., in 8 (5 a destra e 3 a sinistra) era fra due e 3 cm. e finalmente in 5 (due a destra e 3 a sinistra) fra 3 e 4 cm. b) Confluente accessorio. Accade talvolta che taluni rami tribu- tari dalla v. giugulare interna si uniscano tra loro per formare un unico tronco ed aprirsi caudalmente al confluente ioideo: è questo il tronco che chiamo confluente accessorio: losservai nei miei preparati 13 volte (7 a destra e 6 a sinistra). La distanza del punto di sbocco del confluente accessorio al confluente ioideo va da un minimo di 1 e 1|, cm. (2 casi, uno a destra e uno a sinistra); ad un massimo di 5 cm. corrispondendo però la media seriale a mm. 15—20 con 4 casi (3 a destra ed uno a sinistra). — Già dissi dei rapporti che può contrarre con i canali di derivazione. Il confluente accessorio risultava formato dalla confluenza di due, tre o quattro rami, combinati nel modo seguente: a) Confluente accessorio formato da due rami (6 volte, 3 a destra e 3 a sinistra): 1. v. facciale e ramo sottoioideo . 1 volta, 1 a destra e 0 a sinistra Ceveeracciale entr) cemp.-mascellare 1, 2,22. Qu Sn taccialedery tiroider 41/92: lke = 02 dna ced (ena a Pave virokdeaxesvsslinpuale u... qoc cec. ON 5. v. tiroidea e ramo sopraioideo . 2 „ 0, ne Say B) Confluente accessorio formato da tre rami (3 volte, 2 a destra e 1 a sinistra): 112 Massimo Chérié-Ligniére, 1. y. facciale, v. tiroidea, tronco temporo-mascellare 1 volta a destra 2. v. facciale, v. tiroidea, ramo sopraioideo . . . 1 5; , sinistra 3. v. faringea, v. linguale, v. tiroidea . . oa ra cade sia] y) Confluente accessorio formato da quattro rami (4 volte, due a destra e due a sinistra). 1. v. facciale, v. tiroidea, tronco temporo-mascellare, ramo sopra- - ioideo — 2 volte (1 a destra e 1 a sinistra). 2. v. facciale, v. tiroidea, tronco temporo-mascellare, ramo sotto- ioideo — 2 volte (1 a destra e 1 a sinistra). c) Rami isolati. I rami che possono aprirsi isolatamente nella v. giugulare interna sono i seguenti: a) Vena tiroidea media‘). É la vena che con maggiore frequenza si apre isolatamente nella v. giugulare interna, riscontrandosi essa 51 volte (30 a destra e 21 a sinistra). p) Vena tiroidea superiore — 18 volte (7 a destra e 11 a sinistra). 7) Vena tiroidea superiore accessoria — 14 volte (7 a destra e 7 a sinistra). 0) Vena faringea — 22 volte (10 a destra e 12 e sinistra). e) Vena facciale — 4 volte (3 a destra e 1 a sinistra). D Ramo scapolare — 5 volte (3 a destra e 1 a sinistra) — In un caso esistono a destra 2 rami scapolari indipendenti. n) Ramo sopraioideo — 3 volte (2 a destra e 1 a sinistra). 3) Tronco temporo-mascellare — una volta (a sinistra). Tipo normale. La v. giugulare interna riceve normalmente due rami collaterali che sono il confluente ioideo (95°/,) e la v. tiroidea media (51°/,). VII? Anastomosi. Le anastomosi, sia dirette che indirette, della v. giugulare interna colle altre grosse vene del collo vennero già descritte a proposito di queste, onde mi limiteró qui ad esporre il riassunto di esse: Riassunto delle anastomosi della v. giugulare interna colle altre grosse vene del collo: !) Per quanto riguarda le vene tiroidee, mi sono attenuto alla classificazione e denominazione di Wolfler, accettata e riportata da Gaudier, (13). Le vene del collo nell'uomo. JUL) A. La vena giugulare interna si anastomizza con la v. giugulare esterna: destra sinistra totale aludhrettamenter re en 3 0 3 b)eindizettamente us ye 4 8 12 7 8 115) B. La vena giugulare interna si anastomizza con la v. giugulare anteriore: direttamente ar ran 5 3 8 b)Rindirettamenter en re 12 30 23 15 38 C. La vena giugulare interna non contrae anastomosi nè colla v. giugulare esterna ner collkanterionene mare 20 27 47 Tipo Normale. La vena giugulare interna contrae normalmente apporti anastomotiei colle altre grosse vene del collo (539/,). oo Internationale Monatsschrift f. Anat. und Phys. XXXI. 19. 20. Opere citate. . Bertelli D., Il condotto mentale mediano. L’arteria sottolinguale-L’arteria sottomascellare. Archivio Italiano di Anatomia e di Embriologia Vol. VL-Fasc. I. 1903. . Blandin, Anatomie des regions. 1834. . Chabbert L., Memoire sur les veines de la face et du cou. Paris MDCCC LXXVI. . ; . Charpy, Systeme veineux. In Traité d'Anatomie humaine publié sous la direction de Paul Poirier. Paris. . Cruweilhier Y. Traité d'Anatomie descriptive. IV Edition. Paris. 1867. . Cuneo B. Nerfs craniens. In: Traité d'Anatomie humaine publié sous la di- rection de Paul Poirier. Paris. . Demarquais, Anomalie veneuse-Bulletin dé la Societé Anatomique de Paris. 19 me. Année (1844). . Dubreuil, Des Anomalies arterielles. Paris 1847. . Duval M., Veines jugulaires superficielles. 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Broek |1] Si occupa diffusamente del sistema simpatico cervicale dei Mammiferi, prtando un notevole contributo alla morfologia del Simpatico nei Vertebrati. Venni a conoscenza di questo lavoro appena pubblicate alcune mie ricerche sullo stesso argomento [2], ed & scopo di questa nota prendere in esame i risultati delle ricerche dell’Autore de me invo- lontariamente trascurati. Il Broek esaminó molte Specie nei vari Ordini di Mammiferi. La descrizione che fa di ciascuna specie é concisa ed esatta, né io mi fermeró su questa; prenderó in esame piuttosto la parte generale, nella quale sono riunite le più importanti disposizioni osservate. Gangli — Nella porzione cervicale del cordone simpatico si presentano tre gangli: cervicale superiore, medio, inferiore. Il G. eerv. inferius é per lo più fuso con uno o più gangli tora- cici, e forma perciò una massa unica che si chiama G. stellatum. (Questa é la denominazione seguita da Krause, Chauveau ed altri; io nel mio lavoro sul simpatico cervicale, ho dato invece questo nome al Ganglio cervicale medio, per le ragioni esposte a suo tempo.) Eccezionalmente si ha una riduzione nel numero dei gangli: ció Osservazioni sul simpatico cervicale dei Mammiferi. 117 puó verificarsi in Echidna, Cuscus, e Lepus cuniculus. In Echidna, l’unico ganglio cervicale corrisponde apparentemente al G. cervicale superius e medium, mentre in Cuscus, secondo il comportamento dei nervi spinali, puó rappresentare una fusione del G. cervicale medium con linferius. I Gangli possono presentarsi in aumento solo nei Primati; ed é verosimile ritenere che rappresentino porzioni separate del G. cervic. medium. Il Ganglion cervicale superius presenta forma e rapporti già noti. Due volte si presentava fuso col vago (in Mustela v. e Ursus spec.), caudalmente peró al Ganglion nodosum; negli altri casi il vago-sim- patico originava sempre caudalmente al G. cerv. superius. E’ anche degna di nota la disposizione riscontrata in Phascolartos cinereus, dove l'arteria carotide interna penetrava nel ganglio e lo divideva in due parti. Sono variabili nelle diverse specie i rami di comunicazione tra il ganglio cervieale superiore e il IX, X, XII paio dei nervi cere- brali. Una comunicazione tra l'Accessorius e il ganglio non esiste. Variabile pure é il numero dei Rr. comunicanti dei nervi cervi- cali non solo tra le diverse specie di animali, ma anche fra individui della stesa specie. Il limite inferiore puó essere indicato dal 4. nervo cervicale. Fra i rami che escono dal ganglio VA. descrive come parte cerebrale del simpatico, il ramo o i rami che corrispondono al Nervus caroticus internus, e dà brevi cenni dei rami alla carotis (communis e externa) e alla Glandula intercarotica. Riscontrö ancora in alcune specie una unione tra il Ganglion cerv. sup. e il Nervus laryngeus superior. Nelle anastomosi col laringeo trova verosimile che si possano trovare gli elementi costitutivi del Nervus depressor. Fra le disposizioni descritte dall’Autore, e che ho brevemente esposto, é rimarchevole anzitutto la situazione che presenta in Echidna il ganglio cervicale, il quale si trova situato cranialmente alla suc- clavia, a livello dell'emergenza del 7. nervo cervicale. Questo ganglio | riceve i rami comunicanti dei primi cinque nervi cervicali, e si pro- | lunga, con la sua estremità superiore, in un cordone nervoso che 118 Andrea Mannu, penetra in due fori della base del cranio. Sebbene sembri apparente- mente che questa unica formazione ganglionare debba rappresentare il ganglio cervicale medio, avuto riguardo al comportamento dei nervi spinali, crede l'A. che si possa pensare ad una fusione del G. cerv. superius col G. cervicale medium. Per quanto sia verosimile questa opinione, non mi pare si debba dimenticare, che puó mancare, in qualehe caso (Lemur m., Mustela v.), il ramo comunicante dei primi nervi cervicali, pure essendo presente il ganglio superiore, e che questo comprende anche una porzione cerebrale, la quale, ammettendo Vipotesi di v. Broek, dovrebbe trovarsi anch'essa nell’unico ganglio vieino alla succlavia. Queste considerazioni dovrebbero lasciare dei dubbi sulla interpretazione che il ganglio superiore possa in questo caso essere fuso col medio. L'A. asserisce giustamente che è variabilissimo il numero dei rami comunicanti coi nervi cerebrali IX, X, XII, e nega i rami ana- stomotici con l’accessorio. A questo proposito devo far notare che ho riscontrato talvolta nelle mie ricerche connessioni del ganglio cer- vicale superiore con l’accessorio, tanto per mezzo di ramuscoli che stabilivano un rapporto diretto, quanto per mezzo del N. jugularis, in esemplari di Equus caballus, Eq. asinus e Bos taurus. Ho riscontrato in pareechie Specie anche un nervus jugularis molto sviluppato, che ho descritto nel modo seguente: „Non è costante come tronco nervoso di considerevole spessore. Nei casi peró dove apparentemente manca, e rappresentato da esili filamenti, che, o partendo dal Ganglio cer- vieale superiore o dal Nervus caroticus internus, si anastomizzano con tutti i nervi giugulari o con parte di essi, e spesso anche con l'ipo- glosso. La sua variabilità è tale che non riesce possibile definire il tipo costante. E’ rappresentato da esili filamenti nei Roditori e Insettivori. Nei Perissodattili, non ammesso dagli Anatomici Veterinari, è formato in molti casi da un tronco cospicuo che spesso si anastomizza con - l’ipoglosso, in altri da sottili filamenti. Può presentare un ganglio nel suo decorso (Cavallo, Asino). Nel Cane è un ramo abbastanza cospicuo. Nel Gatto e nel Leone manca. (Quest’assenza è da considerare come disposizione individuale.) ne Osservazioni sul simpatico cervicale dei Mammiferi. 119 Nell'Uomo é normalmente un tronco unico che si divide in parec- chi filamenti alla sua terminazione, ma puó essere costituito, come in altri Mammiferi, da piü rami (Varieta).“ Sono importanti le osservazioni dell’A. sul tronco simpatico e vago-simpatieo, e sulla situazione topografica di questi due nervi, siano essi riuniti in un solo tronco oppure separati. Né da me, né, credo, da altri Osservatori, fu mai visto il tronco vago-simpatico iniziarsi dal ganglio superiore, come avviene negli esemplari di Mustela e Ursus descritti dall'Autore. Non posso esser d’accordo con JA. quando indica come limite inferiore del Vagus-sympathicus il Ganglion cervicale medium, perché solo in Dasypus, fra le specie esaminate, la separazione avveniva piü in alto. Dalle mie osservazioni sui Perisso- dattili e Artiodattili risulta infatti che molto prima del G. cervicale medium, i due nervi si rendono indipendenti, e tale disposizione m’in- dusse anzi a dividere il tronco simpatico di questi animali in tre: segmenti: due estremi liberi, e un segmento medio, più o meno esteso, aderente al vago. Solo nel Cane non esisteva un segmento inferiore libero. Ganglion cervicale medium. — Secondo le ricerche dell’A., questo ganglio normalmente esiste, e le discussioni sopra la sua presenza sono dovute alla variabilità della sua posizione. Generalmente é unico, ma puó aumentare di numero in Orang, Cynocephalus, Gorilla, Uomo. Manca in Lepus cuniculus e Cuscus Maculatus. Nel primo ani- male è evidente che trattasi di fusione del ganglio medio con l’in- feriore, ma che lo stesso si possa affermare per il secondo, come crede lA. io metto in dubbio, perché il comportamento dei nervi spinali non é cosi diverso da quello di altre Specie, pure dello stesso Ordine, nelle quali esiste il ganglio, da poterei autorizzare ad ammettere tale fusione. Per quanto riguarda la situazione topografica del ganglio cer- vicale medio, questo è situato generalmente al di sopra dell’arteria succlavia. Tale disposizione fu da me osservata e messa in evidenza in quasi tutti gli esemplari esaminati, l'Uomo compreso, come si rileva dalle mie figure 1, 5, 6, 20, ed altre. L'importanza di questa situa- zione é data dal fatto che l’arteria succlavia, per il suo decorso tras- 120 Andrea Mannu, versale, si oppone alla migrazione caudale del ganglio medio che ten- derebbe ad unirsi all’inferiore. In base alle mie ricerche sui Perisso- dattili, io richiamo anche l'attenzione sull'arteria vertebrale, che, tanto per il suo volume embrionale superiore alla stessa succlavia, quanto per la situazione sua, puó opporsi al congiungimento dei due gangli. Nei Perissodattili infatti, come si rileva dalle mie figure del lavoro citato, i due gangli, medio e inferiore, si trovano piü distanti nel senso-antero-posteriore che non lungo l'asse sagittale; il ganglio infe- riore è anche situato ad una certa distanza dorsalmente alla succlavia. Il vaso che s'interpone ai due gangli non è quindi la succlavia ma la vertebrale, la quale comprime anche il cordone simpatico inter- posto, ‘che presenta, per effetto di tale compressione, la forma di un nastro più o meno largo. Quest’ufficio importante dell'arteria verte- brale, negli animali presi in considerazione, è confermato anche dalla “mancanza, normalmente, dell’Ansa Vieussenii, segno questo che non si sono verificati quei rapporti messi in evidenza da Hochstetter [5] per la formazione dell’ansa stessa, mentre può esistere (fig. 4 del la- voro citato) una bene sviluppata Ansa vertebralis; ciò che sta a di- mostrare verosimilmente che l'arteria vertebrale è penetrata nella massa cellulare del primitivo cordone nervoso, dividendolo in due metà ineguali. E? da supporre che lo stesso meccanismo di formazione del- l’Ansa vertebralis si produca nell’Uomo, dove io ho riscontrato e de- scritto un anello vertebrale con contemporanea formazione di un’Ansa Vieussenii (confr. la fig. 20 del lavoro citato). Richiamo anche l'at- tenzione sopra la disposizione che ho rappresentato nella fig. 12 del mio lavoro, dove, nello stesso piano del Gang. cerv. medium, si trova un ganglio vertebrale unito al medio e all’inferiore. Im questo caso tra il ganglio vertebrale e il medio era interposta l’arteria vertebrale; tra il medio e l’inferiore, la succlavia. A proposito ancora dei rapporti tra il simpatico e i vasi san- guigni, mi pare non debba dimenticarsi che frequentemente al di sopra della curva dell'arteria tiroidea dell’Uomo, può esistere un gan- glio che questo vaso separa da altri gangli che eventualmente possono trovarsi al di sotto della stessa arteria. E’ questo il caso che io avevo riprodotto nella fig. 20 del mio lavoro e che ora qui di nuovo Osservazioni sul simpatico cervicale dei Mammiferi. all riporto (fig. 1). E? lecito anche qui pensare che, come la succlavia e la vertebrale, anche l'arteria tiroidea, col suo segmento trasversale, possa opporsi al congiungimento delle varie parti cellulari del cordone simpatico in una formazione unica. Tale occorrenza dev'essere anche abbastanza frequente, se aleuni Autori descrivono come ganglio medio, appunto quello da me indicato come Ganglio tiroideo. Se consideriamo inoltre che talvolta, l'arteria tiroidea inferiore puó attraversare un oechiello formato dal suddividersi del tronco simpatico (Drobnik), tro- viamo in questi casi la probabilità che anche quest'arteria, come la Fig. 1. ( Uomo.) GI — Ganglio intermediario (tiroideo). AT = Arteria tiroidea inferiore. RT = Nervo tiroideo. AV = Arteria vertebrale. AS = Ansa subclavia. CM = Nervo cardiaco medio. Gil = S 5 inferiore. NV = Nervo vertebrale. C;, Cr, C, = Rami comunicanti 5., 7., 8. cervicali. succlavia e la vertebrale, penetri attraverso il primitivo cordone sim- patico ancora cellulare. Riguardo alla unione del G. cerv. medium coi nervi spinali cer- vieali l'Autore trovó che essa si presenta solo in Echidna, Ornitho- rhyneus e Homo. Non mi dilungo a dimostrare, perché l'ho fatto am- piamente nel corso del lavoro, che tale assenza di connessioni può essere solo apparente, e bastano a provar ció i casi da me osservati e descritti di Nervus vertebralis (nervo, che anche l'A. ammette rap- presenti la riunione di vari rami comunicanti) che in Equus asinus termina nel tronco simpatico intergangliare (tra il medio e l'inferiore) dividendosi in due rami, uno dei quali va al ganglio medio e l'altro 122 Andrea Mannu, all’inferiore (fig. 2). Anche nella figura 3 si vedono le fibre del nervo vertebrale dirigersi direttamente, come fascio compatte, al G. cery. medium, e solo una parte, riunite lassamente a plesso, vanno al gan- glio inferiore. Ganglion cervicale inferius. — L’Autore ha potuto riconoscere, nelle osservazioni fatte, che questo ganglio dev’essere considerato come la riunione di due o più gangli. Esso infatti può essere diviso da un soleo in due parti ineguali: la metà superiore comprende il punto di entrata del rami comunicanti dei nervi cervicali; la metà inferiore, più piecola, rappresenta la parte che si unisce coi nervi toracici. Fig. 2. (Equus asinus.) TS = Truncus sympathicus. NV = Nervus vertebralis. NV — Nervus vagus. RrC = Rami cardiaci inferiores. GS = Ganglion stellatum. C, = Ramo communicante 7. cervicale. Gil= y cervicale inferius. Ge 5 8. di CM = Nervus cardiacus medius. CES i 1. toracico. Tale particolarita risulta anche dalle mie ricerche in animali non esaminati dall'A. (es. Equus as). Osservo perd che io ho riscontrato piü piccola la metà superiore del ganglio. Il numero dei rami comunicanti è variabile. Termina nel ganglio il Nervus vertebralis. L'A. discute lungamente sulle due teorie opposte che possono spiegare la natura di questo cospicuo nervo: se cioé rappresenti la riunione dei Rr. comunicanti di un certo numero di Osservazioni sul simpatico cervicale dei Mammiferi. 123 nervi cervicali, oppure, al contrario, un ramo del Gang. cerv. inferius che accompagna l’arteria vertebralis. L’A. espone le ragioni che lo inducono ad accettare la prima opinione, che é anche quella da altri e da me sostenuta; che essa corrisponda al vero é dimostrato dalle mie ricerche, avendo io potuto preparare in animali di grande mole (Equus eab.) rami isolati del ganglio che si distribuivano alle arterie Ing.-9. ( Equus asinus.) V = Nervus vagus. NV- TS = Truncus sympathicus. GS = Ganglion stellatum (me- dium). AV = Ansa subclavia. CM = Nervus cardiacus medius. Cl =. 5 ^ inferior. GV = Ganglion vertebrale. GI= » cerviale inferius. NV = Nervus vertebralis. C, = Ramo comunicante 8. cervicale. (ORE ss à toracico. Cu-- A sueclavia e vertebrale. Ho già ricordato i casi in cui il N. verte- bralis non apparteneva al ganglio inferiore, ma al cordone inter- gangliare. Quanto all’omologia del N. vertebralis col cordone apofisario degli Uccelli (che io accettai), l'A. è propenso ad ammetterla, ma solo per una parte di questo cordone, basandosi sopra lo sviluppo delle due formazioni. Perd fa osservare che manca nel nervo vertebrale la unione col Gang. cervicale superius, e che esso non possiede gangli nel suo decorso. Tale assenza di gangli fu messa in evidenza anche 124 Andrea Mannu, da Thebault. A questo proposito perd le mie ricerche sono decisive in senso contrario all’affermazione dei due citati Autori. Io ho descritto infatti un ganglio simpatico annesso al N. vertebralis, riscon- trato in sezioni di nervo e arteria vertebrale di Coniglio, nel punto in cul un nervo comunicante cervicale (non potuto precisare) si get- tava nel nervo vertebrale. Altre ricerche piü numerose ed estese ad altri Mammiferi, potranno in seguito accertare, nel canale trasversario, il numero e la costanza di tali formazioni. Un altro esempio di ganglio vertebrale interposto nel decorso del nervo vertebrale, ma al di fuori del canale trasversario, é quello che ho rappresentato nella fip. 12. Che si tratti realmente di un ganglio vertebrale e non di sanglio medio o inferiore doppio, risulta evidente, come ho descritto diffusamente nel lavoro citato, dalla sua ubicazione, dalla contempo- ranea presenza dei gangli medio e inferiore, con la loro situazione e 1 rami normali, dal continuarsi distalmente con un tronco nervoso che va ad unirsi tanto al ganglio medio che all'inferiore (disposizione simile a quella osservata nel nervo vertebrale di un altro esemplare della stessa specie). L’esame microscopico ha anche dimostrato la natura ganglionare simpatica di questa formazione. Nel mio lavoro ho anche ricordato che Blainville affermó che lungo il plesso vertebrale dell'Uomo esistono quasi altretanti piccoli gangli quanti sono i nervi cervicali, ma nessuno finora ha potuto confermare tale asserzione. Mi sembrano degne di considerazione su questo argomento, anche le disposizioni descritte dall'A. in esemplari di Lemur macaco e di Ateles ater, riprodotte nelle figure 18 e 19. Nel primo, il N. verte- bralis & formato dalla riunione dei Rr. communicantes dei nervi cervi- cali 4—8, e presenta nella sua parte inferiore, tra i rami comunicanti del 7. e 8. nervo cervicale, un piccolo ganglio rotondeggiante (g. v.), che VA. considera come porzione del. ganglio cervicale superiore: „Vielleicht haben wir auch hierin ein Teilstück des G. c. inferius zu erblicken, das dann, im ganzen aufwärts geruckt, teilweise in die Bahn des Halsgrenzstranges, teilweise in die des N. vertebralis ein- gelassen wäre.“ Io non solo ritengo giustificato il lieve dubbio espresso dall’A. con la parola „forse“, ma sono propenso ad ammettere css a ee eee C ae Osservazioni sul simpatico cervicale dei Mammiferi. 125 che questo piccolo ganglio rappresenti un vero e proprio ganglio an- nesso al Nervus vertebralis, come nel mio caso di Equus asinus. Se si trattasse infatti di una semplice porzione del G. cervic. inferius, esso dovrebbe trovarsi, non nello spessore del nervo vertebrale ma in uno dei due rami dell'Ansa subelavia, rami che costituiscono la conti- nuazione del tronco simpatico, né sarebbe facile intendere d'altra parte il suo spostamento nella posizione che occupa lungo il decorso del N. vertebralis, non esistendo, fra questo nervo eil ganglio medio, aleuna connessione. Mi sembra ció sufficiente a dimostrare come questo piccolo ganglio non appartenga alla catena ganglionare continua del Truncus sympathicus, e ad ammettere, come nel mio caso di Equus asinus, che si tratti di un ganglio annesso al nervo vertebrale, che forse, e in questo potrei esser d'accordo con l'A. non ha potuto, con- giungersi al G. cervicale inferius. In Ateles ater, manca un proprio G. cerv. medium nella sua situazione normale. Il tronco simpatico, subito al di sopra dell'arteria succlavia, s'incurva e volge lateralmente, distribuendo parecchi rami. Dal punto in cui sincurva (dove manca cioè il ganglio medio), manda un ramo che in parte si anastomizza col vago, in parte si distribuisce al cuore (Nervus cardiacus medius). Dalla convessità della curva parte un ramo anastomotico col N. recurrens, e subito dopo il cordone simpatico si divide in due rami: uno si porta al ganglio inferiore scorrendo ventralmente all’arteria scelavia (ramo anteriore dell’Ansa Vieussenii); l’altro termina in un ganglio, il quale, sebbene con situazione diversa, „vielleicht als G. c. medium (g. c. m.) aufgefasst werden darf, oder als Produkt von diesem Knoten und einem Teile des G. c. inferius“. Il ganglio è aderente alla colonna vertebrale, all'altezza dell'8. vertebra cervicale. Nella sua estremità craniale penetra il Nervus vertebralis, che esce dal canale trasversario tra la 5. e la 6. vertebra, ed è formato dai rami comunicanti dei nervi cervi- cali 3., 4., 5., 6. — Oltre questo nervo vertebrale, ne esiste un’altro formato dai rami comunicanti dei nervi cervicali 6. (in parte), 7. e 8. (in parte); decorre lateralmente all’arteria vertebrale, poi dorsalmente all’arteria succlavia, e termina nel ganglio inferiore, avendo prima dato un ramo al ganglio medio. 196 Andrea Mannu, Osservazioni sul simpatico cervicale dei Mammiferi. Tanto la descrizione, come la figura 19 annessa, m’inducono a pensare trattarsi anche qui, non di un ganglio cervicale medio, ma di un ganglio interposto nello spessore del nervo vertebrale. - Se lo confrontiamo con la stessa formazione che io ho descritto dell'Asino, noi troviamo una identità quasi perfetta. In Ateles non esiste perd un ganglio medio, e quindi, ad una osservazione superficiale, potrebbe quasi essere giustificato interpretare questo ora descritto come tale, ma spostato dorsalmente. E° noto però che il ganglio medio, sebbene sia da ammettere come formazione costante normalmente, puó anche mancare in tutte le Specie di Mammiferi; in questo caso poi non si capirebbe per quale meccanismo possa essersi spostato non solo dorsal- mente, ma, come risulta dalla figura, anche un po’ cranialmente. Io credo perciò molto più probabile che si debba trattare di un Ganglion vertebralis, e che il nervo vertebrale si continui nel tronco nervoso che partendo dall'estremità caudale del ganglio, termina nel ganglio inferlore. E’ difficile infatti, a parer mio, considerare il tronco nervoso che collega questi due gangli (medio dell'A. e inferiore), come il ramo dorsale dell’Ansa subelavia; tale affermazione lascia implicitamente supporre che il nervo vertebrale abbia termine nel ganglio cervicale medio, ciò che VA. non ammette in alcun caso, e che il descritto tronco simpatico che unisce i due gangli, sia la continuazione di quel ramo di biforcazione, che con una curva a concavità in alto, si continuava nel ganglio supposto medio, penetrando nella stessa estre- mità inferiore del ganglio, per la quale dovrebbe ancora continuarsi caudalmente, formando in tal guisa, i due segmenti del medesimo tronco nervoso, un angolo acuto aperto in: basso. Cid a me pare poco verosimile, e sono propenso a ritenere piuttosto che la conti- nuazione almeno principale del tronco simpatico, sia quel ramo che passa ventralmente all’arteria succlavia, e che il ganglio medio dell’A., da me indicato vertebrale, si continui caudalmente con due rami: uno, che costituisce la sua continuazione, passa dorsalmente alla suc- clavia; l’altro, che si unisce al tronco simpatico intergangliare con direzione verso il ganglio medio, in questo caso assente. Che tale biforcazione del Nervus vertebralis, con o zenza ganglio annesso, sia Andrea Mannu, Osservazioni sul simpatico cervicale dei Mammiferi. 127 possibile, é dimostrato dalle mie descrizioni e relative figure, special- mente in esemplari di Perissodattili. Sono perfettamente d'accordo con l'A. per le sue brillanti conside- razioni sul parallelismo fra il territorio di distribuzione dell'Arteria intereostalis suprema e il numero dei hr. communicantes che si por- tano al ganglion cervicale inferius. Parma, dicembre 1913. Bibliografia. 1. A. J. van den Broek. Untersuchungen über den Bau des sympath. Nerven- systems der Säugetiere. Morphol. Jahrb. Bd. XXXVII, 1907. 2. Mannu. Ricerche anatomo-comparative sul simpatico cervicale nei Mammiferi. Intern. Monatsschr. Bd. XXX, 1913. 3. Hochstetter. Über die Entwickelung der Arteria vertebralis beim Kaninchen, nebst Bemerkungen über die Entstehung der Ansa Vieussenii. Morphol. Jahrbuch, Bd. XVI, 1890. Referat. Von Fr. Kopsch. Die Kultur der Gegenwart, ihre Entwicklung und ihre Ziele III. Teil, 4. Abteilung, 2. Band: Zellen- und Gewebelehre, Morphologie und Entwicklungsgeschichte. IL Zoologischer Teil, bearbeitet von E. Gaupp, K. Heider, O. und R. Hertwig, F. Keibel, H. Poll, 8°, VIII und 538 Seiten. 413 Figg. Leipzig 1913. B. G. Teubner. geh. Mk. 16,—; in Leinen M. 18.—; in Halbfranzb. Mk. 20,—-. Das genannte Buch ist ein Teil des auf 61 Bände berechneten Riesenwerkes, von dem ungefáhr schon der dritte Teil erschienen ist! Der vorliegende von O. Hertwig redigierte Band enthált: von R. Hertwig behandelt „die einzelligen Organismen“, welche überall in der Natur in zahlreichen verschiedenen Arten vertreten sind und zum Teil sehr bemerkenswerte Lebenserschei- nungen zeigen. H.Poll gibt eine kurze Darstellung der Zellen und Gewebe des Tier- körpers. Ein besonderesKapitel „Allgemeine und experimentelle Morphologie und Ent- wicklungslehre der Tiere“ von O. Hertwig bearbeitet, enthält die Befruchtung und Furchung des Eies sowie die Darstellung einiger entwicklungsphysiologischer Ver- suche. Die „Entwicklungsgeschichte und Morphologie der Wirbellosen“ bearbeitet K.Heider, „die Entwicklungsgeschichte der Wirbeltiere* F.Keibel. Von E. Gaupp ist ein Kapitel „Morphologie der Wirbeltiere.^ Den Schluß macht ein Sachregister Die Bearbeiter der einzelnen Kapitel, erfolgreiche Vertreter ihrer Gebiete, haben ihr Thema in klarer, leicht verständlicher Weise behandelt. Die zum großen Teil aus bekannten Lehrbüchern und Monographien übernommenen zahlreichen Abbil- dungen erleichtern das Verständnis in hohem Maße. Jedem Abschnitt ist eine kurze Literatur-Uebersicht angefügt. Der Preis ist in Anbetracht des Umfanges und der Ausstattung recht mäßig. Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto) in Leipzig. über ie | d heim Menschen hen | TE med, Lù. Ruifede. Spezialanzi für sean in à Leipzig. i Band I: Die Zeugung beim Menschen. Mit Anhang: È Die künstliche Zeugung (Befruchtung) beim Menschen. | Brosch. M. don geb. M. 8.—. : Band IL: Die Zeugung unter Blutsverwandten. | Brosch. M. 4.20, E M. 5.—. x Band Tt: Die Funktionsstórungen der Zeugung beim Manne. (Samenflüsse, Impotenz, Sterilität.) Brosch. M. 5.80, geb. M. 6.80. Band iv: Die libidinösen Funktionsstörungen der Zeugung beim Weibe. | Brosch. M. 2.80, geb. M. 3.60. Münchener mediz. Wochenscheit: Das ganze Buch ist eine hochinteressante und Dauenge wissenschaftliche Lektüre. Qui Wochenschrift: Rohleder hat mit dem vorliegenden . Werke geradezu erschöpfend ein Gebiet behandelt, das für die Aerzte ebenso . Wichtig ist, wie es ihnen unbekannt zu sein pflegt. Alle 4 Bände zusammen gebunden 21Mark. \ Unter Mitwirkung von Karl Basch (Prag), Gustav Bayer a ay _L. Borchardt (Königsberg), Rud. Ehrmann | (Berlin), Artur Foges (Wien), M. Höfler (Bad bis SE; Se Tölz), Alfred Kohn (Prag), Friedr. Pineles — 1. ee (Wien); Julius Wagner von Jauregg Vals dirt DN. * Li - 2 LI 2 * ‚herausgegeben von ot: RER ^ Hoira Prot Dr. T Wagner von daureg Wien | und i i ; Pubs Dr. Gustav Bayer, BUE erar. Mit 82 Textabbildungen. M. 13.—, geb. M. 14.—. — Morphologische Grundlagen À der Organotheranie — 3 Prof. Dr. Alîr. Kohn, Prag. .— Sonderabdruck aus „Lehrbuch der Organotherapie‘. Mit 35 Textabbildungen. i | M. 1.60. Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto) in Leipzig. i Internationale Monatsschrift Anatomie und Physiologie Herausgegeben von R. Anderson in Galway, C. Arnstein in Kasan, S. Ramón y Cajal in Madrid, C. Golgi in Pavia, S. Laskowski in Genf, A. Macalister dn ne G. Retzius in Stockholm, E. A. Schäfer in Edinburg, L. Testut in Lyon. Redigiert von Fr. Kopsch wad R. R. Bensley in Berlin in Chicago. Band XXXI. Heft 4/6. * Mit 20 Textabbildungen und 8 Tafeln. © LEIPZIG 1914 Verlag von Georg Thieme. Vertretung für Amerika: The University of Chicago Press, Chicago, Illinois, U. S. A. 2 Dr. Aneel es Bruni, ; Amnioti. (Con Tay. I | Eug. Bujard, Description d’u avec flexion dorsale... ( E. iA Cowdry eviti ) AUS of m «025 diet GENIS i human | blood cell: Dr. F. Simonelli, :Contri tibuto ‘allo. studio dell della cute umana. (Con 15 Fig.) eae Fr. a Referat | ee oe te ‘an < ‘ eine grössere [MENT uS die a auf ee zu | Frankierte. Einsendungen in lateinischer, französischer, italienische deutscher Sprache werden direkt an: Prof. Dr. Fr. Kopsch, Wilmersdor | Kaiserpat 2, ‚and für Amerika an Prof. R. Ri Bonn, Vandal of DE Leipzig, Rabonsicinplate 2, Germany. none (late, French, Italian, English or German) shou to Prof. Dr. Fr. Kopsch, Wilmersdorf by Berlin, a 2, or for Prof. E R. Bensley, sy of Do : Avis. Les auteurs des mémoires insérés uw ce e journal qui dé ^^ 50 tirages à part de leurs articles, les obtiendront à des prix modérés en s à M Gore Thieme, libraire- éditeur, MR pul 2, Alena ay Les articles écrits en ides en frangais, di italien, en ei ou en allemand RN: | doivent être adressés à Professeur Fr. Kopsch à Wilmersdorf prés de Berlin Pie 2, ou pour l'Amérique à M. R. R. Bensley, Nas of en d. 3 : Die bisher erschienenen E kosa sia od. A: 40.——, $ 9.2. | Bd. XVI. o 5. #7 70.50, ET Cit ER o j n » MA 02 e no XVII uU qe dus od 65. ont igo à aa quU TRE IND Iu QUEE i it Eu HN Sido Uy TO et de 17.14. RD TUE EE DUE : rus NE ig OS s ln ARE Re 99.—, n OL Loo. v. TIBUS daa» RAD ee MET ; Dou qM M DC edi o e de ue. ni JOVIS om. pe n 4007 Sa XXIII M ug » D EI) n Lin» | 005 830,57 1838. Dame SaL ceo oif cossQ Dian cu d Ru spur en. : (uc M M NUM ipud LM T cr 3 n gal RR xD, o SU eae POM S 20.1 en MN TR ee 5 SAY 02120 14880 LOO. rm or e Re eae ee Bd. I—XXIX statt .4 2000.—, $ 476.— nur .# 1300. — 8 309. 40 bar. E That American prices are net and subject to an additional charge for postage. D m Tstituto Anatomico della R. Universita di Torino (Diretto dal Prof. R. Fusari). 9 Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dellipofisi negli Amnioti. Ricerche di organogenesi comparata pel Dr. Angelo Cesare Bruni, Assistente e lib. docente. (Con Tav. II—VI e 5 Figg.). Nel mese di luglio di quest'anno, ebbi occasione di presentare alla R. Accademia di Medicina di Torino una serie di ricostruzioni plastiche della regione faringoipofisaria di embrioni di rettili, uccelli e mammi- feri. Da queste si puó rilevare molto agevolmente come, nelle due classi superiori dei vertebrati, l'entoderma concorra con un contributo notevole alla costituzione del cordone epiteliale, che tiene unito per un certo tempo il corpo ghiandolare dell'ipofisi all'epitelio della faringe, ed alla costituzione dell'ipofisi stessa. Nel presente lavoro intendo di esporre tutti i dati che mi fu possibile raccogliere sullo sviluppo del lobo ghiandolare dellipofisi e sulla evoluzione ed involuzione del peduncolo ipofisario, corredandoli di opportune figure illustrative. Ripartirò la materia nei seguenti capitoli e paragrafi: I. Stato attuale delle conoscenze sullo sviluppo della porzione ghiandolare dell’ipofisi. II. Descrizione delle osservazioni personali. A) Embrioni di Gongylus ocellatus (Rettili). B) Embrioni di Gallus domesticus ed esemplari di Gallus dom, e di Passer domestieus adulti (Uccelli). Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI. 9 130 Angelo Cesare Bruni, C) Embrioni di Mus decumanus (albinus) e di Mus mus- culus (Mammiferi). D) Fett umani. III. Riassunto e discussione dei reperti. A) Sviluppo dell'ipofisi (porzione ghiandolare) nei Rettili. B) Sviluppo dellipofisi (id.) negli, Uccelli. C) Sviluppo dell’ipofisi (id.) nei Mammiferi.. 1. Sviluppo dell’ipofisi cérebrale. 2. Appunti sullo sviluppo dell’ipofisi del canale cranio- faringeo e dell'ipofisi faringea. D) Considerazioni general sullo sviluppo dellipofisi degli Amnioti. IV. Conelusioni. I. Stato attuale delle conoscenze sullo sviluppo della porzione ghiandolare dell’ipofisi. Poichè la letteratura sullo sviluppo dell’ipofisi è raccolta accurata- mente, oltrechè in trattati e riviste, anche in molti lavori speciali (di Valenti, Caselli, Gemelli, Rossi, Sterzi, Kohn, Poppi, Tilney, Soyer, per ricordarne alcuni fra quelli degli ultimi quindici anni), basterà che io riassuma in questo capitolo i principali fatti assodati, e le principali questioni che si agitano o si sono agitate in proposito. Non tenendo conto nel nostro studio del lobo nervoso, si può dire che tutti gli embriologi sono concordi nel ritenere, che il corpo epiteliale ghiandolare dell’ipofisi trovi il suo primo abbozzo in una infossatura angolare dell’ectoderma, la quale, negli amnioti, è situata nell'interno del seno boccale, subito rostralmente alla membrana faringea, in corrispondenza della inserzione dorsale di questa. Tale infossatura, che ebbe da Mihalkovics il nome di angolo ?pofisario, affondandosi, col progredire dello sviluppo, si trasforma in un canale — canale ipofisario di Mihalkovies — a forma di tasca, il quale si dirige dorsalmente verso la regione del pavimento cerebrale, ove si svilupperà il processo infundibolare, e termina a fondo cieco. | Per verità gia Zathke (1838-39) aveva descritto questa tasca nei vertebrati superiori ritenendola annessa allintestino anteriore, Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell'ipofisi negli Amnioti. 131 essa viene perciò anche chiamata tasca di Rathke; Luschka, Micklucho- Maclay, W. Müller ne avevano confermata l'esistenza tanto per altri vertebrati superiori, quanto per gli inferiori. Spetta a Mihalkovies il merito di aver dimostrata l’origine ecto- dermica della tasca, come spetta a Goette il merito di aver dimostrato che e di origine ectodermica la gemmazione piena costituente il primo abbozzo dell'ipofisi degli anfibii. Dopo questi lavori, aleune antiche opinioni sulla origine della porzione epiteliale dell’ipofisi, come quella enunciata da v. Baer, che derivasse dal cervello, e quella enunciata da Reichert ed appoggiata anche da His, che derivasse dalla estremità craniale della corda dor- sale, vennero definitivamente abbandonate, mentre una schiera di ricer- catori confermò per tutti i vertebrati le nuove vedute dell’origine ectodermica (Seessel, Dohrn, Kraushaar, Sasse, His, Haller, Tour- newr e Soulié [per l’uomo], Corning, Economo, Reighard, Gemelli, Rossi, Staderini, Kohn, Tilney, Herring, Bolk ed altri). Non mancarono tuttavia oppositori, i quali ritennero che l'ipofisi abbia piuttosto un’origine entodermica, o, per io meno, si costituisca con la partecipazione dell'entoderma (Hoffmann, Orr, Ostrumoff, Kupffer, Valenti, Nusbaum, Collina, Orrà, Caselli). Seguendo per ora l’opinione generale, che cioé il lobo ghiandolare dell’ipofisi provenga direttamente ed esclusivamente dalla tasca di Rathke, ci è noto che il fondo di questa tasca, modificando la sua forma, tende a separarsi dall’epitelio faringoorale. Cid avviene in seguito ad uno strozzamento della parte ventrale, più vicina alla faringe, della tasca stessa, determinata dall'accrescimento del connet- tivo e dalla modificazione di esso durante la costituzione della base cranica. Questa porzione strozzata della tasca di Rathke, che si sapeva destinata a persistere a lungo od anche per tutta la vita in molti pesci (Micklucho- Maclay, Waldschmit), si credeva invece fosse destinata ad obliterarsi ed a scomparire più o meno rapidamente durante la vita fetale nei vertebrati superiori. Peró in questi ultimi anni i lavori sistematiei di Civalleri, di Haberfeld, di Citelli, di Pende, di Arena, i quali venivano anche a dare maggior valore a precedenti osservazioni di Killian, di Erdheim, 9% 132 Angelo Cesare Bruni, di Arai, dimostravano nell'uomo la persistenza per tutta la vita di un tratto del peduncolo faringoipofisario, situato fra la base cranica e lepitelio faringeo e la sua organizzazione in un corpo ghiandolare più o meno simile per struttura alla porzione ghiandolare della ipofisi cerebrale. D’altro lato veniva anche constatata in alcuni mammiferi la presenza costante o almeno frequente di una ipofisi faringea, o di residui della tasca di Rathke nella mucosa faringea, infatti una vera | ipofisi faringea venne trovata da Leche nel riccio e riscontrata abba- stanza frequentemente da Ara? e da Haberfeld nel gatto; Tourneux F. e Tourneux J. P. trovarono che nel cane si conserva fino alla nascita, e suppongono che resti per tutta la vita, una formazione vescicolare, paragonabile secondo loro all’ipofisi faringea. Nel gatto Ara? ed anche Haberfeld notarono sovente l’esistenza di un canale a fondo cieco, rivestito di epitelio vibrattile, aperto nella cavità della faringe, che per la posizione si deve interpretare come un residuo della porzione più ventrale della tasca di Rathke. Oltre a questo ci è noto, ancora per le ricerche di Ara, la possi- bilita della presenza, in alcuni mammiferi, di porzioni di ghiandola . ipofisaria in un canale che talvolta attraversa in direzione dorso- ventrale la base cranica in corrispondenza del pavimento della sella turcica (canale craniofaringeo). Un tale fatto fu occasionalmente constatato anche nel bambino (Suchannek). Queste importanti osservazioni inducono chi oggi si aceinga allo studio dello sviluppo dellipofisi a porre una speciale attenzione alle modificazioni subite dal peduncolo faringoipofisario, come del resto spinsero gia a ricerche embriologiche speciali, come quelle di Frazer e dei Tourneux, i quali AA. raccolsero specialmente dati sulla posizione della ipofisi faringea dell'uomo in alcuni periodi della vita fetale. La parte distale della tasca di Rathke, quella destinata a progre- dire più attivamente nel suo sviluppo ed a trasformarsi nella por- zione ghiandolare della ipofisi cerebrale, ha dapprineipio la forma di una vescicola, le cui pareti sono costituite da epitelio a cellule alte. La forma vescicolare secondo Haller è primitiva anche nella filogenesi. Dalle ricerche anatomocomparative (aller, Sterzi, Gentes) apprendiamo come in tutti i vertebrati la parte di ipofisi, che deriva da questa Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 133 vescicola, tenda a dividersi in due porzioni, le quali presto diventano differenti specialmente pei caratteri istologici: una caudale, addossata al lobo Nervoso, che pel modo di reagire delle sue cellule alle sostanze coloranti vien chiamata cromofoba, una rostrale, che per la stessa ragione vien chiamata cromofila (Sterzi, Gentes). La parte cromofoba tende a farsi più piccola dai vertebrati inferiori ai superiori, mentre si fa progressivamente più grossa la parte cromofila (Sterzi, pienamente confermato da Gentes). Sterzi aggiunge che a questa legge fanno eccezione gli uccelli, nei quali la parte cromofoba è più piccola che nei mammiferi. i Una modificazione di forma, la quale pare manifestarsi assai presto nella vescicola ipofisaria di tutti i vertebrati, certo poi in modo evidente in quella degli amnioti, è dovuta alla formazione dei così detti lobi laterali. Scoperti da Gaupp nei rettili, furono da questo A. descritti come due diverticoli, che apparirebbero sui lati del diverticolo ipofisario ectodermico mediano indipendentemente da esso. Salvi attribuì ai diverticoli laterali il significato di estroflessioni branchiali ectodermiche, destinate a mettersi in relazione con le cavità premandibolari, le quali sarebbero le corrispondenti estrofiessioni branchiali entodermiche. La presenza dei lobi laterali fu presto constatata anche nei mammiferi (Chiarugi, Weber, Bolk)!) e negli uccelli (Rossi, Economo); in questi vertebrati però essi non appaiono come formazioni primitive, . indipendenti dalla tasca di Rathke, ma appaiono invece come modi- ficazione dei margini di quest'ultima. Solo Dolk nei primati vide un triplice abbozzo primitivo come quello dei rettili; Staderini però ebbe a dimostrare che anche nei rettili la relativa indipendenza dei lobi laterali dalla tasca ipofisaria non è primitiva, perciò è maggiormente probabile l’omologia di queste formazioni in tutti gli amnioti, messa in dubbio da Weber. Soltanto pare che i lobi laterali dei rettili abbiano un modo di sviluppo affatto particolare, avendo le ricerche di Gaupp 1) I lobi laterali, descritti da Weber nei chirotteri, non corrispondono a quelli descritti da Chiarugi nella cavia: infatti quelli di Chiarugi sono due spor- genze che appaiono tardi, quando la tasca è già peduncolata, nella parte anteriore ed inferiore della tasca stessa; quelli di Weber invece, corrispondono alle due metà laterali della tasca, divise in corrispondenza del fondo da una incisura, nel modo in cui le descrisse Rathke fin dal 1838. 134 Angelo Cesare Bruni, e di Staderini dimostrato,. che essi per un certo tempo fanno corpo con la massa della ghiandola ipofisaria, che si va svilup- pando, ma poi tendono a farsene indipendenti, e se ne separano, acquistando e conservando anche nell’adulto (Sfaderini) uno speciale rapporto con la parete cerebrale. Staderini ne riassume l'evoluzione in quattro stadii: nel primo essi sono a distanza dalla superficie ence- falica e fanno ancora parte dell'abbozzo ipofisario principale; nel secondo prendono forma di clava diretta lateralmente; la parte sottile tiene unita al rimanente dell’ipofisi la porzione ingrossata o testa, mentre quest'ultima si pone in contiguità col cervello; nel terzo la testa comincia a penetrare nella pia madre, dalla quale viene divisa in due lobuletti secondarii, situati uno all’interno, l'altro all’esterno; nel quarto infine la testa, fattasi libera, è in rapporto molto intimo col tessuto nervoso limitrofo. Gaupp ci dà un'ottima descrizione del modo di stabilirsi della forma definitiva della porzione ghiandolare dellipofisi nei rettili. L’abbozzo, dapprima trilobato, risultando composto del lobo medio e dei lobi laterali, diventa quadruplice per l'elevarsi di un /obo anteriore dalla volta faringea, a guisa di vestibolo situato innanzi alla parte di ipofisi già prima abbozzata. Le cavità primitive scompaiono pel collabire delle pareti: si conserva vescicolare soltanto la sommità del lobo medio, che è in rapporto coll'infundibolo. Questo lobo medio dà poi un diverticolo, che si dirige cranialmente ed ha intimo rapporto con il cervello, essendo interposto fra questo e la parte craniale della ghiandola. Questo diverticolo accennato e figurato da Gaupp, fu descritto da Staderinı col nome di lobo anteriore. Mihalkovies distingue nella formazione della ipofisi degli uccelli, come in quella dell’ipofisi dei mammiferi, quattro periodi: 1°. forma- zione dell'angolo ipofisario nel foglietto esterno pel ripiegarsi del cra- nio in corrispondenza della regione sfenoetmoidale; 2?. trasformazione dell'angolo nella tasca ipofisaria, dopo la rottura della membrana faringea; 3°. separazione della tasca dalla lamina epiteliale della volta faringoorale; 4?. formazione dei tuboli ghiandolari. ^ Negli uccelli, avvenuta la separazione della tasca ipofisaria dall'epitelio bucco- : faringeo, le pareti della tasca, costituite di epitelio cilindrico, proli- - | Sullo sviluppo del Jobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 135 ferano in proporzione uguale, restringendo la cavità. Æconomo da una descrizione un po' diversa del modo di formarsi della porzione ehiandolare dell'ipofisi nel pollo e nel piccione, in quanto non sarebbe la porzione distale della. tasca di Æathke quella che diventa ipofisi, ma lorgano si formerebbe da una gemma (gemma ipofisaria) originan- tesi dalla parte pit distale della parete anteriore della tasca. La parte prossimale della gemma e la stessa tasca di Rathke formerebbero il dotto ipofisario (peduncolo faringoipofisario) Il modo di partirsi della gemma dalla tasca spiegherebbe perché ancora al 10° giorno di incu- bazione il dotto ipofisario presenti uno sperone diretto caudalmente. Nei mammiferi la vescicola ipofisaria, appena iniziata la sua separazione dall’epitelio faringoorale, si divide, secondo Æathke, in due metà laterali di forma ovale, unite prossimalmente. L/estremità prossimale o ventrale della vescicola poi, secondo Mhalkovics, si ripiega cranialmente e dorsalmente diventando solida. Cosi l'abbozzo dell’ipofisi prende una forma semilunare; la concavità della semiluna viene riem- pita da cordoni emananti dalla parete anteriore della vescicola e dalla specie di prolungamento stabilitosi in corrispondenza della estremita inferiore di essa; Salzer aggiunge che in alcune specie, ad esempio nel maiale, si forma ancora in avanti di questo prolungamento ante- riore una gemma, a forma di lamina quadrilatera, unita per un breve collo al prolungamento anteriore. Quanto al punto di partenza dei cordoni o dei tuboli ghiandolari sì può dire che tutti gli AA. concordano nel ritenere che essi proven- gano dalla parete anteriore, compreso il suo prolungamento, e dai margini laterali della vescicola (W. Müller, Kraushaar, Salzer, Gemelli, Frazer, Tilney etc): Weber nei chirotteri trova che dalla vescicola primitiva si formano una cresta mediana e, per modificazione dei margini laterali, i lobi laterali; questi ultimi soli darebbero origine alla massa ghiandolare. Secondo Bolk Vipofisi dei primati si svilup- perebbe in modo facilmente paragonabile a quello, secondo cui essa si sviluppa nei rettili. La parete posteriore della vescicola ipofisaria dei mammiferi con- serva molto più a lungo che l'anteriore la struttura primitiva. Questa 136 Angelo Cesare Bruni, parete, che sta in rapporto col lobo nervoso, é quella che gli viene a costituire il cosi detto mantello o strato epiteliale; considerata insieme al residuo della primitiva cavita della vescicola, essa é comune- mente indicata col nome di zona intermedia. Questa zona intermedia mostra una. notevole tendenza ad involgere tutto il lobo nervoso ed anche il suo peduncolo (Luschka, Lothringer, Rogowitsch, Salzer, Orrü, Gemelh, Sterzi, Marro, Perna, Frazer, Tilney, Bolk). Cid permette di comprendere come, sebbene spesso lo sviluppo del lobo nervoso impedisca l’accrescimento o provochi la regressione della parte ghian- dolare avvolgente, si possano trovare nell’uomo ed in altri mammiferi adulti (ad esempio nel gatto) dei lobuli ghiandolari accessorii lungo il peduncolo, come quelli che vennero recentemente descritti da Marro, da Joris, da Staderini, da Perna, da Tilney. Fin qui abbiamo detto brevemente del lobo ghiandolare dell’ipofisi, considerato come un organo di origine puramente ectodermica. Ad un'origine puramente entodermica pensó Valent: (1895) pei rettili, nei quali l'orrano si abbozza solo dopo che é scomparsa la membrana faringea (Hoffmann, Valenti), mentre, quando la membrana faringea è ancora integra, è ben evidente un diverticolo entodermico del fondo cieco dell'intestino cefalico in immediato rapporto con la radice dor- sale della membrana (Valenti, Gemelli, Rossi). Questo diverticolo costituirebbe il primo abbozzo dellipofisi. Tuttavia lo stesso Valent nel 1898 pare che abbia modificate le sue opinioni al riguardo. Tutt’altro che scarsi invece sono i dati raccolti dagli AA. in … favore di una partecipazione piü o meno considerevole dell'entoderma alla costituzione dell'ipofisi, avente il suo abbozzo principale di origine ectodermiea. Ma prima di passare questi. dati in rapido esame è indispensabile rendersi conto per quanto piü esattamente é possibile | di alcune particolari disposizioni dell'estremità craniale dell'intestino | cefalico. Nel 1877 Seessel dimostrò che nel pollo, dietro all'abbozzo ipo- fisario, verso il quarto giorno di incubazione, si trova un diverticolo dell'intestino a forma di tasca, che cresce durante il quinto giorno, mentre il suo lume va man mano restringendosi per ispessimento delle sue pareti epiteliali. Al settimo giorno come residuo della tasca di Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 137 Seessel si trova un ramo del cordone ipofisario (cioè del peduncolo faringoipofisario). Tale ramo non sarebbe peró propriamente il residuo della tasca formatasi nel quarto giorno, ma bensi il residuo di una evaginazione derivata dalla tasca, la quale appare già solida al quinto giorno. I fatti constatati da Seessel trovarono piena conferma nei lavori di Bawden e di Economo: basta confrontare le figg. 8a di Seesel, 3a di Bawden e 6a (Tav. Il.) di Economo per persuadersene. Molto diversa invece ne fu linterpretazione. Infatti sappiamo già che per Æconomo lo sperone del peduncolo faringoipofisario, ancora visibile nel pollo al decimo giorno di incubazione non é altro che un residuo della primitiva tasca di Æathke, e non avrebbe quindi nessuna relazione con la tasca descritta da Seesse/, di cui non ci sarebbe pit traccia nel sesto e settimo giorno. Bawden descrive una tasca che si comporta esattamente come quella di Seessel usando peró per indi- carla la denominazione di tasca faringea di Selenka. Se VA. ha con- fusa la tasca di Seessel con quella di Selemka & caduto in un errore, contro il quale aveva messo in guardia lo stesso Selenka. Infatti la tasca palatina scoperta da quest'ultimo A. nell’opossum .e confermata poi in molti altri vertebrati (Selenka, Kann, Keibel) non sarebbe altro che l'estremità craniale della corda, la quale acquista forma di tasca con lobulazioni cave prima di isolarsi totalmente dalla parete dorsale dell'intestino anteriore; anzi secondo Prenant si tratte- rebbe di una forma degenerativa della porzione estrema anteriore della corda. E lo stesso Selenka (1887—88) si sofferma lungamente a paragonare la sua tasca con quella di Seessel, venendo alla con- clusione che quella di Seesse/ non è altro che una insenatura trasver- sale dell'epitelio intestinale, il cui margine anteriore corrisponderebbe all'inserzione della membrana faringea. Essa non avrebbe nessun significato morfologico speciale: si produrrebbe per cause meccaniche, come la piegatura del cervello e la rottura della membrana faringea. Lo sperone del peduncolo faringoipofisario si produrrebbe durante la regressione del peduncolo stesso in causa di questa regressione. Gli AA. che si occuparono dello sviluppo dell’intestino anteriore e della regione faringoipofisaria dopo Selenka, chiamano tasca di Seessel l’insenatura, notevolmente estesa in senso trasversale, cui accenna 138 Angelo Cesare Bruni, Selenka, insenatura che dapprima si identificherebbe con lo stesso vertice dell'intestimo anteriore (fis). Che formazioni analoghe alla tasca di Seessel, cosi intesa, si riscontrino in tutti i vertebrati & facile constatare, ma non é altrettanto facile stabilire delle vere omologie; non poche confusioni si fecero in proposito. A queste ha cercato di porre riparo Salve. Il citato A. trovö che nel pollo durante lo sviluppo si succedono quattro regioni diverse dell’intestino anteriore a costituirne il vertice. Cid avviene essenzialmente a cagione degli incurvamenti della testa, che succedono allo stabilirsi della plica cefalica. Questi incurvamenti agiscono anche sulle pareti dorsale e craniale dell'intestino cefalico facendo si che il tratto, che costituisce il vertice in uno stadio prece- dente, viene spinto ventralmente, mentre un nuovo tratto della parete dorsale viene ripiegato a formare il nuovo vertice. La tasca di Seessel secondo Salvi non é altro che il terzo vertice; quello esistente verso lepoca della rottura della membrana faringea. Ma la constatazione più importante di Sa/vi è che dei vertici temporanei alcuni, e preci- samente il primo ed il terzo, non scompaiono subito, ma, riducendosi a masse epiteliali solide per ispessimento degenerativo delle loro pareti, si conservano per un tempo pit o meno lungo con la loro forma originaria, e poi, più o meno modificati, si possono trovare anche dopo che si sono succeduti parecchi nuovi vertici; cosi ad esempio, annessa al terzo vertice (tasca di Seessel), si trova per un po’ di tempo una massa epiteliale solida, che ha particolari rapporti con la tasca di Rathke e che non è altro che il residuo del primo vertice (intestino preorale). Con questo Salvi viene ad eliminare la confusione, fatta da His prima e da molti altri AA. dopo, della tasca entodermica preorale o intestino preorale di Kupffer con la tasca di Seessel. E noto come la tasca di Kupffer sia stata descritta nell'ummocoetes e nell’aceipenser come un diverticolo dell’intestino, che giunge cranial- mente fino all’abbozzo dell’ipofisi, essendo in rapporto con le cavità premandibolari. Questo diverticolo sarebbe destinato ad isolarsi dal- l’initestino; solo la porzione iniziale di esso, quella che resta, anche dopo il suo isolamento, in rapporto con lintestino corrisponderebbe alla tasca di Seessel. Le osservazioni di Aupffer trovarono in massima Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amuioti. 139 la loro conferma nelle ricerche di Chiarugi in torpedo. Chiarugi però dice più chiaramente che la tasca di Seessel non è la tasca preorale, ma un diverticolo che si forma nel luogo, in cui questa si distaeca dall'intestino. Anche Rossi, come Salvi, si è occupato in particolare della tasca di Seessel ricercandone specialmente il significato morfologico. Crede egli trattarsi di una formazione omologa al canale neuroenterico an- teriore delle ascidie. : Quanto al destino dei diverticoli in questione, si ammette general- mente che essi siano destinati ad obliterarsi per ispessimento del- lepitelio ed a scomparire; secondo alcuni però (Kupffer, Saint- Remy), la tasca di Seesse! avrebbe tendenza a produrre delle gemmazioni e ad acquistare, almeno temporaneamente, un aspetto ghiandolare. Quanto all’opinione espressa recentemente da R. Meyer e confer- mata da Radford, che la tasca di Seessel nell'uomo pei suoi rapporti con la corda dorsale sia da considerarsi come borsa faringea embrio- nale, non fu accettata ne da Tourneux J. P. né da Huber, ed il fatto era già stato esplicitamente negato da Av/lian. Ricorderd a propo- sito della borsa faringea che, caduta ben presto per opera di Dursy di Ganghofner, di Froriep, di Suchannek, di Schwabach, di Kilian e di altri l'antica opinione di Zuschka, che si tratti di un residuo della tasca di Rathke, la teoria che incontra maggior favore è quella di Froriep, secondo la quale la borsa si formerebbe per trazione meccanica. Infatti, nel luogo in cui non costantemente si sviluppa la borsa, esiste nei giovani feti umani una dilatazione cellulare della corda dorsale, la quale aderisce all’epitelio della volta della faringe. La trazione si manifesta durante l'accrescimento della parte posteriore del cranio, accrescimento che procede più rapido di quello della parte anteriore. Link tenta di conciliare questa teoria di Æroriep con quella di Aulam, secondo la quale la borsa dipenderebbe da un pro- cesso formativo attivo. Dobbiamo ancora accennare che dietro alla tasca di Seessel in rettili, uccelli e mammiferi, secondo le ricerche di Prenant, Dorello, Nicolas, Staderini, Rossi, sorgono in stadii più o meno tardivi dello sviluppo una o più gemmazioni sagittali mediane, che, secondo 140 Angelo Cesare Bruni, Prenant e Nicolas rappresenterebbero l’ipocorda nei vertebrati superiori, ma il cui significato resta per altro molto oscuro. Ricordarle è necessario, inquantoché quasi certamente alcuni AA. le hanno confuse con la tasca di Seessel. Senza riassumere le pure considerazioni sulle quali si appoggiano Ostrumoff, Orr, Orrù, Caselli ed altri per ammettere una partecipa- zione dell’entoderma alla costituzione dell’ipofisi, e premesso che una tale partecipazione viene recisamente ed esplicitamente negata da molti AA. (ad esempio da His, da Corning, da Gemelli, da Sterzi, da Rossi), veniamo a raccogliere i fatti conosciuti, che parlerebbero in favore di essa. Hoffmann in tropidonotus avrebbe visto che lipofisi si abbozza, dopo scomparsa la membrana faringea, laddove l’epiblasto e l’ipo- blasto si incontrano; sarebbe anche riuscito a distinguere le cellule entodermiche piü chiare, da quelle ectodermiche piü eranulose e piü scure. | Kupffer ritiene che siano costituenti normali dell'ipofisi l'abbozzo ectodermico, una gemmazione entodermica, ora cava ora solida, forma- tasi dietro alla membrana faringea ed infine una gemmazicne del pro- cesso infundibolare. Non tutte queste gemme concorrerebbero in proporzione uguale nei diversi vertebrati, potendo anche mancare l'una o laltra. Il contributo entodermico, ad esempio, sarebbe ben mani- festo, anche in stadii abbastanza avanzati, in rana fusca; nei mam- miferi mancherebbe, sebbene la tasca di Seessel nella pecora dia una gemmazione che giunge fino alla corda. Ricorderò che secondo Saënt- Remy e Rossi cid che Kupffer considera come gemma della tasca di Seessel è la branca discendente della estremità craniale della corda dorsale. Vulenti fu il primo a richiamare l'attenzione su uu ponte epiteliale che verso l'epoea della rottura della membrana faringea si stabilisce fra la tasca di Seessel e la tasca di Rathke, per poi scomparire dopo una breve esistenza. Egli affermò anche l'omologia di questo ponte epiteliale coll'intestino preorale di Kupffer, fatto, del quale Salvi diede poi la dimostrazione. La presenza di questa disposizione negli ammioti fu confermata da Economo, da Manno, da Gemelli. Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti, 141 Col ponte epiteliale descritto da Valenti sotto il nome di fusione ecloentodermica si identifica molto probabilmente un canale di comuni- cazione fra le tasche di Rathke e di Seessel, veduto da Saint-Remy verso la 70° ora di incubazione nel pollo, la cui durata è effimera. Secondo Guerri, confermato da Rossi, non uno, ma tre di questi canali si vedrebbero formarsi per canalizzazione di tre fusioni ectoentoder- miche, successive per la loro epoca di comparsa. Devo però notare che le figure di Guerri, con le quali A. vuol dimostrare il suo asserto, non tolgono interamente il dubbio ch’egli sia stato tratto in inganno da residui della membrana faringea. Che si tratti appunto di residui della membrana faringea crede Gemelli, il quale annette al suo lavoro (1903) molte figure perfettamente paragonabili con quelle di Guerri. Oltre alla fusione ectoentodermica Valent: vide ancora, nel pollo, un altro più voluminoso contributo dell’entoderma in un diverticolo, che compare, poco dopo la scomparsa della predetta fusione, tra la tasca di Rathke e la tasca di Seessel. Questo diverticolo verrebbe ben presto a far parte della primitiva tasca di Rathke costituendone quasi tutta la parete posteriore. Anche nei rettili poté constatare la presenza di questo diverticolo. che invece non vide nei mammiferi. Non mi risulta che altri AA. vi accennino, se non si tratta della stessa formazione che videro Nicolas e Weber nell'anitra fra la 60* e la 94? ora di incubazione, e che essi descrivono come una gemmazione, la quale, partendo dal cul di sacco dell’intestino anteriore, ed essendo in relazione con le cavità premandibolari, si mette in intimo rapporto con l’abbozzo dell'ipofisi Questo reperto è paragonabile con quello ottenuto da Chiarugi in torpedo, ove una proliferazione dell'intestino anteriore, in rapporto con le cavità premandibolari, prende fugace, intimo contatto con la tasca di Rathke. I dati di Valenti, sebbene in forma alquanto oscura, furono pienamente confermati da Collina. Nusbaum ritiene che nel cane, nell’80°/, dei casi, ed anche in altri mammiferi la tasca di Seessel, in stadii alquanto tardivi (embrioni di cane di 14 mm), prenda uno sviluppo maggiore di quello che general- mente si ritiene normale. Essa giungerebbe a porsi in contatto con lipofisi; avendo forma di cordone con tratti vescicolari; in seguito 142 del Angelo Cesare Bruni, scomparirebbe spezzettandosi. Woerdemann vede una conferma della possibilità che si stabilisca un contatto fra estremità dorsale della tasca di Seessel e parte ventrale della faccia caudale dell’ipofisi, secondo quanto afferma Nusbawm, nel fatto che in giovani embrioni di sus scrofa la tasca di Seessel dirige costantemente il suo apice verso un punto, in cui la corda tocca la tasca di Rathke e nel quale pare che le tre formazioni tendano ad unirsi, senza che la tasca di Seessel, secondo le proprie osservazioni, vi pervenga. Economo esclude che nel pollo e nel piccione la tasca di Seessel partecipi alla costituzione dell’ipofisi. Ammette però che essa concorra, perdendo la sua parete craniale, ad allargare la parte inferiore, della tasca di Rathke; questa porzione dilatata diverrebbe la parte della faringe, che riceve sui lati lo sbocco delle tube, cioè l’infundibolo tubario. Anche Chiarugi dice che in torpedo „coll’atrofia del lembo dorsale della membrana faringea è probabile che la parete posteriore dell’ipofisi in basso si ingrandisca leggermente a spese dei residui della parete posteriore della primitiva tasca di Seessel“ esclude però che tal contributo possa avere una grande importanza. Dal punto di vista teorico l’incontro di una formazione ectoder- mica — la tasca di Æathke — con una formazione entodermica — la tasca entodermica preorale o la tasca di Seessel —, incontro che avverrebbe nella regione ipofisaria in un periodo precoce dello sviluppo, ha fatto pensare alla possibilità che l'ipofisi dei vertebrati rappresenti una bocca più antica di quella che funziona in essi attualmente come tale. Questa teoria del paleostoma riconosce in Beard il suo fondatore. Beard vi giunse paragonando il reperto di Dohrn, che nei petromi- zonti un diverticolo dell’intestino anteriore va incontro al diverticolo ipofisario ectodermico, senza però raggiungerlo, con il modo di svi- luppo della bocca secondaria dei vermi. La teoria ebbe in Kupffer il suo propugnatore, nè bastarono le critiche mosse ai reperti favore- voli di Kupffer a farla cadere, poichè essa trovò un nuovo appoggio validissimo. nella scoperta della fusione ectoentodermica di Valenti (Valenti, Salvi) ed in quella del canale di comunicazione di Saint- Remy. (Juasi tutti gli AA. che si occuparono dello sviluppo e della evo- Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 143 luzione delle tasche di Rathke e di Seessel, si occuparono anche dei rapporti di queste formazioni con la corda dorsale, rapporti che in qualche epoca dello sviluppo sarebbero abbastanza intimi. Per ció che si riferisce ai rapporti diretti della estremità craniale della corda dorsale con la tasca di Rathke, di fronte a Bawden, a Prenant, a Sasse, che non ne riscontrarono negli embrioni da loro esaminati, abbiamo Dursy, Kölliker, Romiti, Valenti, Economo, Salvi, Rossi, Tourneux J. P., Woerdemann, che ne poterono constatare. È tuttavia opinione generale che questi rapporti siano secondarii. Dursy, Romiti, Salvi ammettono che laderenza della corda all’ecto- derma negli stadii precoci possa costituire una condizione meccanica favorevole per l'affondarsi della tasca di Rathke; tale azione mecca- nica è invece negata esplicitamente da altri AA., per esempio da Keibel. Parlano di rapporti intimi fra corda dorsale e tasca di Seessel in uccelli e mammiferi Economo, Grünwald, R. Meyer, Radford: questo ultimo A. perd confonde la tasca di Seessel con quella di Selenka, poiché la identifica con la estremità anteriore della corda. Prenant ritiene che nei rettili la corda aderisca all’epitelio farmgeo un poco dietro alla tasca di Seessel; Bonnet si limita a dire che la corda dei mammiferi nelle condizioni normali termina in corrispondenza della tasca di Seessel o dell'intestino preorale; per Tourneux J. P., per Tour- neux J. P.e Faure e per Woerdemann la tasca di Seessel non ha contatto con la corda dorsale, sebbene si diriga verso il punto di contatto fra corda e tasca di Rathke. Comunque sia, anche per la tasca di Seessel si ritiene generalmente che i rapporti diretti con la corda, se anche esistono, siano secondaril. II. Descrizione delle osservazioni personali. Il materiale che servi alle mie ricerche consta di diverse serie di embrioni: embrioni di Gongylus ocellatus per la classe dei rettili embrioni di gallus domesticus per la classe degli uccelli; embrioni di mus decumanus (albinus) e di mus musculus per la classe dei mam- miferi.. Ho utilizzato all'uopo anche alcuni feti umani!) e pochi esemplari di gallus domesticus e di passer domesticus adulti. ?) Degli esemplari di mus:e dei feti umani alcuni appartengono alle collezioni 144 Angelo Cesare Bruni, Essendo mio scopo precipuo quello di vedere i rapporti dell’ab- bozzo ipofisario coi derivati dell’intestino anteriore, gli embrioni, con- venientemente colorati in toto ed inclusi in paraffina, furono sempre scomposti in serie di sezioni sagittali. Siccome perd il semplice esame delle sezioni, per quanto accurato, ed eseguito metodicamente su tutte quelle di una serie, non mi parve sufficente a dare un concetto esatto di tutte le particolarità, cosi ho creduto oltreché utile anche neces- sario ricorrere, nella maggior parte dei casi, alla ricostruzione, dando la preferenza ai comuni e ben noti metodi di ricostruzione solida con lamine di cera. I modelli così ottenuti, riproducono in tutto o in parte, all'ingran- dimento che verrà indicato a lato di ciascuna osservazione, la lamina epiteliale della volta faringoorale, coll'abbozzo epiteliale dell'ipofisi e delle altre formazioni vicine, derivate dall'intestino cefalico. Lo studio di ricostruzioni ebbe gia a dare ottimi risultati a Gawpp per le sue ricerche sullo sviluppo dei lobi laterali dell'ipofisi dei rettili ed a Weber pel suo lavoro sullo sviluppo dell'ipofisi dei chirotteri. Alcune ricostruzioni della regione faringoipofisaria nell'em- brione sono descritte e figurate in altri lavori speciali (Salzer, Valenti, Tilney) ed in alcuni trattati. * * * Per agevolare la lettura delle pagine seguenti, faró ancora prece- dere alla descrizione dei singoli casi un cenno sulla nomenclatura, che intendo seguire. Trattandosi di embrioni di specie diverse ed a grado diverso di sviluppo, per la differente curvatura cefalica è alquanto difficile l’im- dicazione esatta ed uguale per tutti della posizione degli organi. Io chiameró sempre rostrali le formazioni o le parti di esse, che guar- dano verso l'estremità rostrale dell’embrione, cioé verso il luogo, in cui si apre l'insenatura boccale. Cosi ad esempio nella tasca di Rathke distingueremo una faccia rostrale (volta verso l'apertura boccale), una del Chiarmo Prof. AK. Fusari, mio Maestro, al quale desidero di porgere i miei sinceri ringraziamenti pel costante ed illuminato aiuto. Cosi pure sento il dovere di dire la mia riconoscenza agli egregi colleghi Prof. 4. Bovero e Dr. A. Civalleri, che mi fecero dono di una parte dell'altro materiale già opportunamente fissato. pO Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 145 faccia caudale (lopposta), un fondo dorsale (diretto verso il vertice del capo), una apertura ventrale (quella che fa comunicare la cavità della tasca con quella della faringe). Quanto agli organi, avendo io studiata la sola porzione ghiando- lare dell’ipofisi, userò il termine öpofisi anche per indicare questa sola porzione. Pel cordone cellulare cavo, o solido, il quale unisce per un certo tempo l’ipofisi alla volta buccofaringea, userò la denominazione di peduncolo faringoipofisario, in luogo di quelia di peduncolo ipofisario adottata da parecchi AA., essendo quest’ultima più comunemente riservata al peduncolo dell’ipofisi dell'adulto, che appartiene alla porzione nervosa. Indicherò come tasca di Rathke, o tasca ipofisaria il diverticolo ectodermico, che sta rostralmente alla membrana faringea, prima che questa si rompa; come vescicola ipofisaria la stessa tasca, dopo che ha cominciato ad isolarsi dalla faringe; come tasca di Seessel l'insenatura trasversale, residuante dal terzo vertice dell’intestino, che percorre la volta della faringe da un lato all’altro, caudalmente alla membrana faringea. Col nome di fusione ectoentodermica (di Valenti) indicherò il ponte epiteliale scoperto da questo A. fra le tasche di Rathke e di Seessel, come chiamerò canale di comunicazione (di Saint-Remy) Vunione epiteliale canalizzata fra le due tasche descritta dal Saimt-Remy. Col nome di diverticolo medio, avendo soltanto riguardo alla posizione, designerò il diverticolo, che fu descritto da Valenti fra le due tasche, come abbozzo entodermico dell’ipofisi, indipendente dalla fusione ectoentodermica. A) Embrioni di Gongylus ocellatus (Rettili). Oss. I. Diametri del disco, costituito dall’embrione avvolto su di se, mm. 3,52«9. L'embrione forma un giro e un quarto ed è torto a spira, volgendo il capo a sinistra e la coda a destra. Il processo frontale tocca l’abbozzo del cuore: larto anteriore ha forma di cercine. La membrana faringea è già scomparsa. Fissazione: Zenker. — Colorazione: picrocarminio Monti. — Sezioni sagit- tali di 8 4 ciascuna. Venne eseguito il modello della lamina epiteliale della volta farin- goorale, con le sue dipendenze, all’ingrandimento di 250: 1. La fig. 1 riproduce il modello, visto di profilo dal lato sinistro. Procedendo in senso rostrocaudale (da sinistra a destra nella figura) SI osserva prima una sporgenza molto accentuata (A), diretta dorsal- Internationale Monatsschrift f. Anat. und Phys. XXXI. 10 146 Angelo Cesare’ Bruni, mente, che corrisponde alla tasca di Rathke'). Questa è notevolmente estesa in larghezza (192 4), più che in altezza (67 u) e permette di distinguere una parte mediana più alta delle parti laterali. Contiene una cavità, che riproduce esattamente la forma esterna. La parete rostrale della tasca è più spessa che la caudale. Caudalmente alla tasca di Rathke, nel profilo del modello appaiono due altre rilevatezze, meno alte. Di queste la più caudale e meno elevata (S) è la tasca di Seessel, poichè corrisponde ad un solco fron- tale, che attraversa tutta la superficie interna della volta faringea; tale solco è limitato verso la tasca di Rathke da un labbro — la piega faringea o velo del palato primitivo. L’altra rilevatezza (M), interposta fra le due tasche corrisponde al diverticolo medio ed è poco estesa in senso trasversale (64 4). Essa possiede una piccolissima cavità, aperta nella cavità della faringe; infatti osservando il modello dalla superfice ventrale, corrispondente alla volta faringea, il diver- ticolo medio si presenta come una piccola escavazione del margine libero della piega faringea. Dall'esame diretto delle sezioni si rileva che l’epitelio cubico semplice del seno boccale diventa prismatico alto nella parete rostrale della tasca di Rathke, si abbassa gradatamente nella parete caudale di questa stessa tasca e nella parete rostrale della tasca di Seessel; caudalmente alla tasca di Seesse/ è di nuovo cubico. Nessun rapporto diretto è visibile fra l’estremità della corda dor- sale e le formazioni che ci interessano. La parete rostrale della tasca di Rathke è in rapporto con la parete cerebrale; non è ancora accennato linfundibolo. Oss. II. Diametri del disco mm. 43,5. L'embrione, meno strettamente avvolto del precedente, forma un solo giro. La torsione spirale è poco pronun- ciata, il capo volge a sinistra, la coda a destra. Il processo frontale non tocca il cuore. È iniziata la formazione della lente cristallina, comincia a formarsi la pa- letta dell’arto anteriore. *) Se accanto al numero della figura non è esplicitamente notato che essa è del testo, si intende che si tratta di figure delle tavole. Cosi per le riproduzioni dei modelli è esplicitamente indicato se sono più grandi o più piccole degli origi- nali, quando non v'è speciale indicazione si intende che nella riproduzione non fu alterata la grandezza dell’originale. Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell'ipofisi negli Amnioti. 147 Fissazione: Zenker. — Colorazione: pierocarminio Monti. — Sezioni sagittali di 8 « ciascuna. Venne eseguito il modello come per l'oss. precedente all'ingrandi- mento di 250: 1. ES fig. 2a riproduce ridotto alla meta circa il modello visto di profilo dal lato sinistro. Rispetto all'esemplare prima descritto notiamo la scomparsa del diverticolo medio. Le tasche di Rathke e di Seessel appaiono separate da un soleo profondo. La prima & cresciuta notevolmente in altezza (100 u) ed in larghezza (224 u): inoltre la parte mediana, come è dimostrato dal profilo, spicca molto nettamente perché é sormontata da un diverticolo, che merita il nome di /obo medio, il quale pare sollevarsi piuttosto dalla parete rostrale della tasca, verso il fondo, che non proprio dal fondo. I margini laterali della tasca sono grossi ed arrotondati, cosi che possono già a ragione essere indicati col nome di lobe laterali, tanto più che anche la cavità della tasca ora non è più uniforme, ma presenta una parte principale e tre propaggini ben distinte, corrispondenti rispettivamente al lobo medio ed ai lobi laterali. La tasca di Seesse/ ed il labbro che la separa dalla tasca di Rathke sono un poco più alti che nello stadio precedente; sul labbro non c'è più la piccola escavazione del diverticolo medio. L’esame delle sezioni non ci manifesta modificazioni notevoli rispetto a quanto abbiamo trovato nell’oss. I. Oss. III. Diametri del disco mm. 4,5><4. L’embrione è più strettamente avvolto di quello dell’oss. II: un giro è fatto dal tronco, un giro e mezzo dalla coda che si avvolge sull’arto posteriore. La torsione spirale è poco manifesta, la | lente cristallina è ben sviluppata; è ben distinta la paletta dell’arto anteriore. Fissazione: sublimato. — Colorazione: picrocarminio Monti. — Sezioni sagit- | tali di 8 « ciascuna. Non venne eseguito alcun modello. Questo esemplare presenta una maggior distinzione dei tre lobi \ della tasca di Rathke, specialmente dei lobi laterali, che appaiono (come dilatazioni vescicolari della estremità dorsale dei margini laterali (della tasca. Inoltre si è iniziato lo sviluppo dell’infundibolo. Questo è in rapporto con la parete rostrale del lobo medio. 10* 148 Alei ‘Angelo Cesare Bruni, Dobbiamo infine notare che modificazioni del tessuto connettivo del pilastro medio del cranio preludono alla condrificazione nel distretto della futura cartilagine sfenooccipitale. Oss. IV. Diametri del disco mm. 5><3,5. L'embrione & in tutto simile al precedentemente descritto. i Fissazione: sublimato acetico. — Colorazione: picrocarminio Monti. — Sezioni sagittali di 8 « ciascuna. Venne eseguito il modello della lamina epiteliale della volta farin- goorale e delle sue dipendenze all’ingrandimento di 250:1. La fig. 3 riproduce, ridotto ai ?/ circa, il modello, da un punto di vista caudale e un po’ dorsale. Appare molto netta la lobazione della tasca di Rathke, la cui forma esterna è ripetuta esattamente da quella della cavità. Un solco profondo, cui corrisponde verso la cavità della faringe la piega faringea, separa la tasca di Rathke da quella di Seessel, più elevata che negli stadii precedenti, specialmente in corrispondenza del piano mediano, ma tuttavia sempre poco spor- gente. Nella fotografia non appare distinta una rilevatezza conica che si solleva caudalmente alla tasca di Seessel, un po’ a sinistra della linea mediana, nel luogo segnato =. | L'esame delle singole sezioni ci dimostra, che T'epitelio prismatico semplice decresce gradualmente di altezza procedendo caudalmente dalla parete rostrale della tasca di Rathke; appare pluristratificato solo in corrispondenza della parte piu sporgente della tasca di Seessel e del cono epiteliale <. Non vi ha nessun rapporto diretto della estremità craniale della corda dorsale con le formazioni che ci interes- sano. L'infundibolo è in rapporto con la faccia rostrale del lobo medio. E iniziata la condrificazione nel campo sfenooccipitale, non in quello sfenoetmoidale. Oss. V. Diametri del disco mm. 5><4,5. L'embrione & avvolto su di sé meno strettamente dei due precedenti. Nell’arto anteriore sono ben distinti due segmenti: la paletta ed il tratto unitivo. Nell’arto posteriore non è ancora distinta la paletta. Fissazione: Zenker. — Colorazione: picrocarminio Monti. — Sezioni sagittali di 8 4 ciascuna. VISTA Venne eseguito il modello come per l'esemplare IV all’ingrandi- : mento di 250:1. Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 149 La fig. 2b riproduce il modello nel profilo sinistro .ridotto alla metà circa; la fig. 4a lo riproduce visto da destra e dalla parte rostrale. Rispetto al modello dello stadio precedente ci appare come sola differenza notevole la delimitazione di un’ area dell'epitelio della cavità farin- eoorale, la quale continua ventralmente e rostralmente la parte rostrale della tasca di Aathke. L’epitelio in quest'area è più spesso, e l'area stessa e sollevata sul piano epiteliale circostante, come specialmente appare dalla figura 2b. Il solco, o meglio lo scalino poco profondo, che serve a delimitare l’area predetta, si continua caudalmente col solco delimitante la tasca di Rathke da quella di Seessel, cosicchè in questo esemplare abbiamo già nettamente delimitata tutta quella porzione dell'epitelio faringoorale, con le formazioni da esso dipendenti, che diventerà ipofisi, e che perciò si può chiamare zona ipofisaria. Il fondo della tasca di Rathke appare sempre nettamente trilobato. L’esame delle sezioni ci apprende, come modificazione: rispetto agli stadii precedenti, che l’epitelio, più spesso, tende a farsi pluri- stratificato. L'epitelio boccale mostra uno strato profondo di cellule cilindriche ed uno superficiale, sottilissimo, di cellule pavimentose; verso il limite craniale della zona ipofisaria le cellule diventano più alte, prismatiche anche nello strato superficiale e gli ordini di cellule si fanno più numerosi. L'altezza degli elementi ed il numero degli ordini cellulari si riducono nella parete caudale della tasca di Rathke e progressivamente nella parete rostrale e poi nella caudale della tasca di Seessel, per tornare a due ordini, cubico il profondo, pavimen- toso il superficiale, caudalmente a quest’ultima tasca. Invariati sono i rapporti con la corda e con l'infundibolo: la con- drificazione è avviata solo nella regione sfenooccipitale. Oss. VI. Diametri del disco mm. 6,5><5. L’embrione è alquanto raddrizzato rispetto a quello dell’oss. V. Si distinguono la piega nucale ad angolo retto e quella del bacino molto pronunciata; la coda è avvolta su se stessa; è già formato Il collo. Nell'arto anteriore è comparsa la piega del gomito, nell'arto posteriore si è formata la paletta. Fissazione: sublimato acetico. — Colorazione: picrocarminio Monti. — Sezioni sagittali di 8 4 ciascuna. Venne eseguito il modello come per gli embrioni precedenti al- l'ingrandimento di 187:1. 150 : A Angelo Cesare Bruni, La fig. 4b rappresenta il modello veduto dalla parte destra e rostrale e ridotto a poco piü che metà. : Questo modello fu fotografato accanto a quello dell'esemplare precedente e dal medesimo punto di vista per dimostrare come il peduncolo faringoipofisario (p. f. è), ora evidente, si sia formato pel pronunciatissimo affondamento del soleo che prima delimitava la zona ipofisaria. Oltre che profondo il solco è anche molto largo epperciò la zona ipofisaria, che ora può esser chiamata senz'altro ipofisi, è notevolmente allontanata in direzione dorsale dall’epitelio faringeo. La forma dello stadio precedente, malgrado le importanti modificazioni avvenute, è ancora facilmente riconoscibile; il lobo medio ed i lobi laterali, per uno spostamento a bilancia dell’organo, si sono fatti , P 5 , ; caudali, mentre la parte primitivamente rostrale e ventrale della zona ipofisaria ha preso ora una posizione nettamente rostrale e costituisce un nuovo lobo, il Jobo rostrale o anteriore. Abbiamo dunque a questo stadio una vescicola ipofisaria con una cavità, la cui forma corrisponde alla forma esterna dell'organo, con quattro lobi: un lobo medio (dorsale e caudale), due lobi laterali (caudali e laterali) ed un lobo rostrale. Il margine dorsale del lobo - medio presenta un’ineisura, per accogliere l'infundibolo. Il grosso peduncolo, che unisce Vipofisi alla volta della faringe, è cavo. Della tasca di Seesse/ non si trova più alcuna traccia. Caudal- mente al peduncolo ipofisario ed a notevole distanza, a sinistra della linea mediana, troviamo un cono epiteliale pieno (cui corrisponde sulla superficie interna dell’epitelio faringeo una piccola insenatura) simile a quello notato nell’esemplare dell’oss. IV. Coll'esame delle sezioni, e particolarmente di una sezione sagittale mediana (fig. 29), notiamo che l’epitelio più spesso e composto di un maggior numero di ordini cellulari che negli stadii precedenti, ha il massimo spessore in corrispondenza della parete rostrale del peduncolo faringoipofisario, decresce poi gradatamente di spessore nella parete caudale dello stesso peduncolo e nella parte dell’epitelio faringeo che sta subito caudalmente. L'infundibolo è sempre in rapporto col lobo medio; poco tessuto | connettivo separa il lobo anteriore dalla parete cerebrale. Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 151 E iniziata anche la condrificazione della cartilagine sfenoetmoidale. Oss. VII. Diametri del disco mm, 7,5><5,5. L’emhrione è strettamente av- volto; la coda fa un giro e mezzo intorno all’abbozzo dell’arto posteriore sinistro. Nell’arto anteriore & ben evidente la piega del gomito, nell’arto posteriore quella del ginocchio. Le palette degli arti, molto larghe presentano il margine libero festonato. Fissazione: Zenker. — Colorazione: picrocarminio — Sezioni sagittali di 8 « ciascuna. Non venne eseguito il modello della regione faringoipofisaria, tuttavia dall’esame delle sezioni esattamente seriate, si rileva con sicurezza che la forma generale della vescicola ipofisaria é ancora quella dello stadio precedente, peró il lobo anteriore, con la sua estremità rostrale volge dorsalmente, di modo che la faccia dorsale della ghiandola si presenta incavata a concavità dorsale. Uno stretto canale del peduncolo faringoipofisario fa ancora comunicare la cavità della vescicola con la cavita della faringe (fig. 30). La modificazione più importante consiste nel fatto, che dalla superficie esterna del lobo anteriore e particolarmente dalla faccia dorsale di esso partono delle gemmazioni epiteliali piene (fig. 30,7) ad elementi poliedrici. Le pareti della vescicola sono sempre costituite da epitelio prismatico stratificato, che si riduce di altezza, diventando cubico, in corrispondenza del peduncolo faringoipofisario. Oss. VIII. Diametri del disco mm. 10><7,6. Lunghezza del capo mm. 6. Non si vedono ancora le squame cutanee. L'occhio non & pigmentato; le dita sono abbozzate alle estremità. Fissazione Zenker. — Colorazione: picrocarminio Monti. — Sezioni sagittali di 8 & ciascuna. Non venne eseguito il modello della regione faringoipofisaria. Notiamo rispetto allo stadio precedente la riduzione della cavità della vescicola ipofisaria, che è ora molto ristretta in corrispondenza del lobo anteriore. Gemmazioni epiteliali molto numerose partono ora da tutte le parti della superficie esterna della vescicola, le cui pareti si sono molto ispessite e constano di elementi poliedrici. Troviamo i caratteri primitivi conservati soltanto nella parte caudale e special- mente nel lobo medio, che ha ancora l'aspetto di una vescicola con epitelio prismatico stratificato. Il peduncolo faringoipofisario è ora un cordone solido a direzione dorsoventrale; esso è in relazione per 152 Angelo Cesare Bruni, lestremità dorsale col lobo anteriore dell'ipofisi; con la sua estremita ventrale.si confonde coll'epitelio della mucosa faringea. Seguendo lateralmente la serie delle sezioni interessanti il corpo dell’ipofisi, si può vedere (pur trattandosi di sezioni sagittali poco favorevoli a questa ricerca) il particolare comportamento dei lobi laterali, che si sono allungati dirigendosi lateralmente e dorsalmente, e sono gia penetrati nell’involucro piale del cervello con la loro estremità distale rigonfiata (3° stadio del loro sviluppo secondo Staderini). Oss. IX. Lunghezza totale dell'embrione (misurata col nastro) mm. 41 — lunghezza del capo mm. 7. Cominciano ad essere visibili le squame cutanee; l’occhio appare anche macroscopicamente un po’ pigmentato. Fissazione: Zenker. — Colorazione: picrocarminio Monti. Sezioni sagittali di 8 « ciascuna. La fig. 31, che riproduce una sezione sagittale mediana della regione ipofisaria, ci mostra la modificazione più notevole di questo stadio, che consiste nell’apparire di un diverticolo del lobo medio già accennato nella fig. 30 diretto in senso caudorostrale, di modo che esso viene a coprire un notevole tratto della superficie dorsale del lobo anteriore, interponendosi fra questo e l’infundibolo, che si dirige caudalmente. La cavità ipofisaria persiste soltanto nella parte caudale della ghiandola e nel lobo medio. L'epitelio che la delimita consta di cellule più basse che nello stadio precedente. | La fig. 31 dimostra anche il residuo del peduncolo faringoipofisario nella sezione, in cui esso ha maggiore lunghezza. E ormai indipen- dente dalla ipofisi, è diretto verticalmente in senso dorsoventrale e termina nell'epitelio della mucosa faringea. In questo esemplare i lobi laterali dell'ipofisi hanno raggiunto il 49 stadio di Staderini essendosi la loro testa resa indipendente ed avendo essa letteralmente compenetrato il tessuto nervoso. Oss. X. Lunghezza totale dell'embrione mm. 44,7. Lunghezza del capo mm. 7,8. Sono ben visibili le squame cutanee ed il pigmento dell'iride. Fissazione: Zenker. — Colorazione: picrocarminio. Sezioni sagittali di 14 « ciascuna. Rispetto allo stadio precedente notiamo una maggiore riduzione del peduncolo faringoipofisario, tale che esso appare solo come una Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 153 sottile asticina verticale in una sola sezione. Notiamo inoltre, specialmente nel lobo anteriore, la comparsa di gruppi di cellule, il cui protoplasma si colora piü intensamente di quello delle cellule vicine, e la tendenza di tutte le cellule, che non delimitano una cavità, a disporsi in cordoni. I lobi laterali hanno la loro posizione definitiva all'interno della pia madre; si seguono nelle sezioni sagittali per uno spessore di 90—100 u. Essi sono del tutto indipendenti dal corpo principale della ghiandola. B) Embrioni di Gallus domesticus ed esemplari di Gallus domesticus e di Passer domesticus adulti (Uccelli). Oss. I. Embrione di 63 ore di incubazione. Fissazione: Bouin (formolo picroacetico). — Colorazione: picrocarminio Monti. — Sezioni sagittali di 6 « ciascuna. La membrana faringea di questo embrione & ancora integra. Subito rostralmente al suo luogo di inserzione, nel tetto del seno boccale si affonda in direzione caudale e dorsale una incavatura ango- lare, notevolmente estesa in senso trasversale; è l'angolo ipofisario di Mihalkovies. Caudalmente alla membrana faringea troviamo il fondo cieco dell'intestino anteriore, la cui parete dorsale si ispessisce gradata- mente in direzione caudocraniale, a partire da un livello corrispon- dente al margine caudale del primo arco branchiale, e presenta anche delle gemmazioni, delle quali & evidente il rapporto con la estremità craniale della corda dorsale. Notiamo anche la presenza dei due diverticoli della estremità craniale dell'intestino cefalico descritti da Valenti, da Gemelli e da Rossi, uno ventrale, addossato alla membrana faringea, l'altro dorsale, situato piü caudalmente, evidentemente determinato della piegatura cefaliea del vertice. Oss. II. Embrione di 74 ore di incubazione. Fissazione: Maximow. — Colorazione paracarminio Mayer. — Sezioni sagittali di 8 « ciascuna. | Venne eseguito il modello della lamina epiteliale della volta faringoorale, con le formazioni da essa dipendenti, all’ingrandimento COORTE La fig. 5 riproduce il modello, di poco ingrandito, visto dalla parte sinistra e craniale. Procedendo in senso rostrocaudale (da sinistra 154 Aj Angelo Cesare Bruni, a destra nella figura) troviamo dapprima la sporgenza, molto accen- tuata, della tasca di Rathke (KR), vera tasca per la sua forma, assai larga in senso trasversale (248 x), discretamente alta (198 «) e molto appiattita in senso rostrocaudale (84 4), con una cavità esattamente corrispondente per la sua forma alla superficie esterna, aperta ventral- mente nel cavo faringoorale. Caudalmente alla tasca di Rathke si nota nella figura un'altra eminenza molto meno accentuata (S), che è la parte più sporgente di una cresta attraversante in direzione frontale tutta la superficie esterna della volta faringea epiteliale, ed a cui corrisponde sulla superficie interna della faringe un solco. Questa formazione è quella che si suol designare col nome di tasca di Seessel, sebbene il termine di tasca non si adatti esattamente nep- pure alla sua parte mediana piü alta (90 u circa). Uno guardo alla fig. 5 è sufficiente per comprendere come la tasca di Seessel sia il residuo del vertice dell'intestino cefalico esistente nello stadio precedente. Fra la sommita della tasca di Seesse/ e la parete caudale della tasca di Rathke si vede un ponte epiteliale della larghezza di circa 30 u. Si tratta della fusione ectoentodermica di Valenti, che tocca la tasca di Aathke a livello dell'unione tra il suo quarto prossimale ed i tre quarti distali. Sulla superficie interna della faringe, fra le aperture di sbocco delle due tasche notiamo una piega sporgente, & la pzega faringea o velo del palato primitivo. Dall’esame delle sezioni, per essere ancora visibili in quelle più laterali dei residui della membrana faringea, ricaviamo l’assoluta cer- tezza che la tasca di Rathke deriva dall'angolo ipofisario dello stadio precedente e che essa è una formazione esclusivamente ectodermica. Cosi la tasca di Seessel ci appare come una formazione certa- mente entodermica, derivata dal fondo cieco dell’intestino anteriore. Quanto alla struttura, essa è semplicissima. Nella cavità boccale abbiamo un epitelio di rivestimento stratificato, con un ordine pro- ondo di elementi cubici ed uno superficiale di elementi pavimentosi. Questo epitelio diventa prismatico stratificato, di spessore gradatamente maggiore passando dalla parete rostrale alla caudale della tasca di Rathke e da questa alla parete rostrale della tasca di Seessel. De- Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 155 grada poi nella parete caudale della tasca di Seessel e nella mucosa faringea ove riacquista l'aspetto ch'esso ha nella mucosa boccale. Le cellule della fusione ectoentodermica sono poliedriche. La regione infundibolare del cervello (l'infundibolo non è ancora abbozzato) é in rapporto con la parete craniale della tasca di Rathke. La corda non ha rapporti diretti con le formazioni che ci interessano, sebbene termini molto vicino all'estremità distale della parete caudale della tasca di Rathke. Oss. III. Embrione di 82 ore di incubazione. Fissazione: Bouin. — Colorazione: picrococciniglia. — Sezioni sagittali di 10 « ciascuna. Venne eseguito il modello delle formazioni epiteliali della regione faringoipofisaria all'ingrandimento di 50:1. La fig. 6 ne riproduce, poco ingrandito, il profilo sinistro. Notiamo rispetto allo stadio precedente il considerevole innalza- mento della tasca di Rathke (484 u, per 330 « di diametro trasver- sale), il cui fondo cieco, diretto dorsalmente, lascia ora distinguere la parte mediana da quelle laterali, perchè la prima è sormontata da un diverticolo, che, partendo dall’estremità distale della parete craniale, piuttosto che dal fondo della tasca, si dirige dorsalmente ed un po’ rostralmente. Il fondo della tasca ha così un aspetto leggermente trilobato e si può già parlare di un lobo medio e di due /ob; laterali, formati dagli spigoli distali un po’ arrotondati. Anche più notevole è l’accrescimento in altezza della tasca di Seessel, che in corrispondenza del piano mediano misura ora 217 u ed ha veramente la forma di una tasca. L’accrescimento riguarda soltanto la parte mediana, quella che nello stadio precedente era. già la più elevata. Coll’innalzamento della tasca di Seessel, anche la piega, che, sulla superficie interna della faringe serve a separarla dalla tasca di Rathke, cioè la piega faringea, si è fatta più sporgente. Essa è liscia ed uniforme. E scomparsa la fusione ectoentodermica. Dall’esame delle sezioni si rileva che la struttura € ancora a un dipresso quella dello stadio precedente: l'epitelio, alto nelle pareti e 156 Angelo Cesare Bruni, nel fondo della tasca di Rathke, si abbassa nella piega faringea, per farsi di nuovo alto in corrispondenza della tasca di Seessel. I rapporti col cervello sono invariati, la corda termina un po’ più distante dalla parete posteriore della tasca di Rathke. Oss. IV. Embrione di 92 ore di incubazione. Fissazione: Bouin. — Colorazione: picrocarminio. — Sezioni sagittali di 10 « ciascuna. Venne eseguito il modello delle formazioni faringoipofisarie epi- teliali all'ingrandimento di 50:1. La fig. 7 lo riproduce lievemente ingrandito e fotografato da sinistra ed anche da un punto di vista un po’ caudale e ventrale. Riguardo alla tasca di Aathke dobbiamo solo notare un differenziamento un po' maggiore dei lobi (fig. 11a) e la comparsa di una piccola gemmazione mediana della parete caudale a livello dell'unione del terzo dorsale coi due terzi ventrali di questa parete. La tasca è cresciuta notevolmente in altezza (750 u); si è invece un poco ridotta in senso trasversale (300 u). Ma le modificazioni piü degne di attenzione rieuardano la tasca di Seessel ed i suoi rapporti con quella di Rathke. Essenzialmente dalla figura 7 vediamo come la tasca di Seessel, perduta la sua parete rostrale e la sua individualità, faccia ora parte della parete caudale della tasca di Rathke. Cid che appare sulla superficie esterna del modello, appare anche meglio su quella interna; infatti nella fig. 27 rileviamo una profonda interruzione della piega faringea nella sua parte mediana. Per questa interruzione della piega faringea, la tasca di Rathke in corrispondenza della sua parte ventrale e mediana viene ad essere molto ingrandita, ed a comprendere anche la parte mediana, cioé quella piü alta e veramente foggiata a tasca, della tasca di Seessel. L'esame delle sezioni, per quanto accurato, senza il sussidio della ricostruzione plastica, non permetterebbe facilmente di farsi un'idea chiara della importante modificazione ora descritta. Esso ci dimostra che non è modificata la struttura delle varie parti rispetto agli stadii precedenti. Quanto ai rapporti, la corda, piegandosi ad uncino termina a breve distanza dall’apice della tasca di Rathke; di questa tasca è il lobo medio quello che sta in intimo rapporto con la regione infun- dibolare del cervello. La formazione dell'infundibolo non é ancora iniziata. Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 157 Oss. V. Embrione di 106 ore di incubazione. Fissazione: Bouin. — Colorazione: picrococciniglia. — Sezioni sagittali di 10 « ciascuna. Venne eseguito il modello, come per le osservazioni precedenti, all'ingrandimento di 50:1. : La fig. 8 ne riproduce un po’ ingrandito il profilo sinistro. Nella tasca di Rathke notiamo un considerevole allungamento del lobo medio che, visto di fronte, ci si presenta arrotondato (fig. 11b) e visto di profilo non mostra piü una direzione differente da quella della parte ventrale della tasca. Le differenze principali rispetto allo stadio precedente sono date dall'essere sorta una gemmazione epiteliale in corrispondenza dell'apice della primitiva tasca di Seessel (S'), ed un'altra gemmazione (M) dalla lamina epiteliale formante il tetto della porzione di tasca di Rathke, che si è allargata a spese della tasca di Seesse/. Questa porzione, considerata dalla faccia interna della faringe ci appare come una larga cavità, che sta sopra alla volta faringea, aprendosi in essa. Propongo per essa il nome di vestibolo farıngoipofisario (v. f. i.) perchè essa è interposta tra la faringe e tre diverticoli o gemmazioni: la tasca di Rathke, il diverticolo medio, e la gemma dell’apice della tasca di Seessel, le quali, come vedremo, partecipano tutte allo svi- luppo dell'ipofisi. A questo stadio la sola tasca di Rathke & tutta cava; le altre due gemmazioni presentano soltanto alla loro base una traccia di cavità. Nelle sezioni non troviamo modificazioni riguardanti la struttura; sono invariati i rapporti della corda dorsale, comincia a differenziarsi l'infundibolo, come una evaginazione, diretta caudalmente, della parete ventrale del terzo ventricolo cerebrale. Oss. VI. Embrione delle fine del 5? giorno di incubazione (120 ore). Fissazione: Bouin. — Colorazione: picrocarminio Monti. — Sezioni sagittali di 8 « ciascuna. Venne eseguito il modello, come per gli esemplari prima descritti, all’ingrandimento di 63:1. La fig. 9 ne mostra il profilo sinistro un po’ rimpicciolito. La 158 | Angelo Cesare Bruni, tasca di Rathke & ancora cresciuta in altezza (835 u) specialmente per l'allungamento in direzione dorsale del lobo medio, che ora ha una forma nettamente trilobata, perché sono ben distinti il suo apice appuntito, e le sue parti laterali arrotondate. Anche il volume e Vindividualizzazione dei lobi laterali sono aumentati. Il vestibolo faringoipofisario, tanto considerato dalla sua super- ficie esterna, quanto dall’interna, conserva l'aspetto, che esso aveva nello stadio precedente. Esso ha una forma cubica, con una parete rostrale, una parete caudale, due pareti laterali una parete dorsale. La parete ventrale manca poiché abbiamo al suo posto la larga apertura quadrilatera del vestibolo nella faringe. Dalla parete dorsale partono: in avanti, la tasca di Rathke (meglio la parte di questa tasca che non è stata impiegata nella formazione del vestibolo), aperta nel vestibolo per una larga fessura trasversale; in addietro, una grossa gemmazione (8°) cava alla base, solida all’apice, la quale non è altro che la gemma dell'apice della tasca di Seessel, considerevolmente aumentata di volume. Quanto al diverticolo medio dello stadio precedente (M) lo ritro- viamo, cavo esso pure alla base ed ingrossato, in una posizione un po’ più rostrale, a ridosso della parete caudale della tasca di Rathke, come se vi fosse stato spinto dalla medesima forza strozzante che ha determinato la formazione del leggero, ma ben evidente solco p. v. 2. che si vede nella fig. 9. Questo solco, essendo diretto obliquamente in senso dorsoventrale e caudorostrale, indica bene sulla porzione rostrale della parete dorsale e sulla porzione dorsale della parete rostrale del vestibolo il limite ventrale di ció, che costituisce l'ab- bozzo dell'ipofisi cerebrale. Questo abbozzo comprende una porzione dorsale e rostrale del vestibolo, la porzione non vestibolare.della tasca di Rathke ed il diverticolo medio. Collesame delle sezioni possiamo mettere in rilievo alcuni rap- porti atti a spiegarci la formazione del solco p. v. ?. della figura 9. È iniziata bilateralmente la formazione di un breve ramo arterioso trasversale, che parte dalla carotide e tende, portandosi medialmente, a congiungersi con quello del lato opposto, senza peró pervenirvi. Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 159 Questo vaso è precisamente situato fra la gemmazione della tasca di Seessel e la tasca di Rathke. Esso è l’abbozzo di un ramo comuni- .cante delle carotidi, che negli uccelli prende uno sviluppo notevole. D’altro lato notiamo tanto rostralmente quanto caudalmente alle forma- zioni ipofisarie un addensamento del tessuto connettivo, che prelude alla formazione della cartilagine sfenooccipitale caudalmente e della sfenoetmoidale cranialmente. Non abbiamo in questo stadio modificazioni importanti riguardo alla struttura; la corda termina sempre, ripiegata ad uncino, ad una certa distanza dall'apice del lobo medio della tasca di Rathke: la faccia craniale dell'apice di questo lobo è in intimo contatto coll'in- fundibolo. Oss. VII. Embrione di 5 giorni e 7 ore di incubazione. Fissazione: Bouin. — Colorazione: picrococeiniglia. — Sezioni sagittali di 10 « ciascuna. | Venne eseguito il modello come per gli esemplari precedenti all'ingrandimento di 50:1. La fig. 10 ne riproduce il profilo sinistro un po’ rimpicciolito. Il vestibolo faringoipofisario, molto ampio è modificato rispetto allo stadio precedente solo in quanto esso è ora molto più appiattito in senso trasversale, cosicchè il suo sbocco ci appare come una larga fessura diretta in senso rostrocaudale (fig. 28). L’appiattimento trasversale interessa specialmente la parte rostrale del vestibolo ed è evidentemente dovuta all'approfondarsi ed all'allar- garsi del soleo p. v. i. dello stadio precedente, che delimita. ventral- mente labbozzo dell’ipofisi cerebrale. Ora questo abbozzo è molto nettamente distinto, poiché lo strozzamento é tale da determinare la formazione di un peduncolo cavo, abbastanza sottile, che unisce la parte non vestibolare della primitiva tasca di Rathke al vestibolo faringoipofisario, e che si può chiamare peduncolo vestiboloipofisario. L'abbozzo dell'ipofisi è rappresentato da un corpo vescicolare, il cui aspetto, pure essendo ancora ben riconoscibile la lobazione primitiva (fig. 11c), è molto modificato per la comparsa di un gran numero di piecole gemme emananti da tutta la superficie esterna. La cavità della vescicola, già alquanto ridotta, per mezzo del canale del pedun- 160 Angelo Cesare Bruni, colo vestiboloipofisario, comunica con la cavità del vestibolo e per mezzo di questo con quella della faringe. La gemma della tasca di Seessel è cresciuta in altezza ed è cava per un tratto considerevole nella sua porzione ventrale (fig. 28 8”). Il diverticolo medio, poco evidente nella fotografia (fig. 10, M) è perfettamente riconoscibile nel modello in corrispondenza della parte mediana, prossimale e caudale, dell’abozzo ipofisario; esso ha dato origine, come il resto delle pareti della vescicola a gemme secondarie. Le sezioni dimostrano come tutte le pareti della vescicola ipo- fisaria diano origine a gemmazioni solide, all'infuori dell'apice e della parte più dorsale della parete rostrale del lobo medio; quest'ultima è a diretto contatto coll'infundibolo, piccolo diverticolo cerebrale diretto caudalmente. I rapporti della corda dorsale non sono modificati: il ramo co- municante delle carotidi, che era abbozzato nello stadio precedente & ora pienamente sviluppato e stabilisce una considerevole anastomosi tra le carotidi interne dei due lati, essendo situato tra la gemmazione della tasca di Seessel, che gli sta caudalmente e la parte ventrale dell'abbozzo principale dell'ipofisi che gli sta rostralmente. È iniziata ed abbastanza progredita la condrificazione della carti- lagine sfenooccipitale; pure iniziata, sebbene meno progredita, quella della cartilagine sfenoetmoidale. Oss. VIII. Embrione di 5 giorni e 17 ore di incubazione. Fissazione: Bowin. — Colorazione: picrocarminio Monti. — Sezioni sagittali di 10 « ciascuna. Venne eseguito il modello, come per gli esemplari prima descritti all’ingrandimento di 100:1. La fig. 12 lo riproduce ridotto ai due terzi circa, visto da destra e un po' caudalmente. Il vestibolo faringo- ipofisario ci appare rimpicciolito in tutte le direzioni Siccome a questo stadio comincia a differenziarsi la porzione tubarica della faringe e si riconosce già l'abbozzo dell'infundibolo tubario, possiamo stabilire che l'apertura del vestibolo avviene appunto nella parete dorsale di questa porzione della faringe. Il peduncolo vestiboloipofisario, che parte dallo spigolo dorsale rostrale del vestibolo & molto allungato, si é fatto sottile ed ha in Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell'ipofisi negli Amnioti. 161 parte perduta la sua cavità particolarmente noteremo che é chiuso il suo sbocco nel vestibolo. La gemma della tasca di Seessel ci appare più grossa, più tozza, ma meno alta che nello stadio precedente. Possiamo tuttavia supporre che la minore altezza sia apparente, perchè ora essa è tutta solida, e la parte primitivamente cava avrebbe potuto, dilatandosi, entrare a far parte del vestibolo. Nella vescicola ipofisaria riconosciamo ancora agevolmente i lobi laterali ed il lobo medio (di cui la fotografia non riproduce la parte più distale) ed inoltre un ben distinto lobetto caudale, che pel para- gone con le disposizioni riscontrate nei precedenti stadii si può ritenere derivato dal diverticolo medio (M). La direzione della vescicola ipo- fisaria è anche modificata, in quanto l'estremità superiore dorsale tende a portarsi ventralmente e caudalmente, mentre tende a portarsi dorsalmente la porzione ventrale. Oltre a questo spostamento a bi- lancia si ha una vera ripiegatura, come ci vien dimostrato dalla forma della cavità, che consta ora di un segmento ventrale verticale e di uno dorsale tendente a farsi orizzontale in direzione rostrocaudale. Dalle sezioni rileviamo come, all'infuori dell’apice del lobo medio, che è in rapporto coll’infundibolo, tutte le pareti della vescicola ipo- fisaria siano notevolmente ispessite, cosicchè la cavità è anche molto ridotta. Esse dànno origine, dalla loro superficie esterna, a cordoni cellulari, nei quali non si distingue un lume; i cordoni cominciano ad anastomizzarsi scarsamente fra di loro. Molti vasi capillari sanguiferi sono inclusi nel tessuto connettivo posto fra i cordoni. Le cellule limitanti la cavità della vescicola sono prismatiche alte; quelle dei cordoni, poliedriche. Pochi strati di cellule prisma- tiche abbastanza alte costituiscono le pareti del peduncolo vestibolo- ipofisario, il cui lume è occluso verso le due estremità. Lo stesso aspetto hanno le cellule delle pareti del vestibolo. I rapporti sono ancora quelli dello stadio precedente, anzi la condrificazione delle cartilagini sfenooccipitale e sfenoetmoidale è meno avanzata. Il ramo comunicante delle carotidi ha preso un grande Sviluppo. Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI. 11 162 a M Angelo Cesare Bruni, Oss. IX. Embrione di 5 giorni e 21 ore di incubazione. Fissazione: Maximow. — Colorazioni doppie e triplici varie. — Sezioni sagit- tali di 8 « ciascuna. Non venne eseguito alcun modello. Dall’esame delle sezioni: di questo embrione rileviamo che la forma del vestibolo faringoipofisario e delle altre formazioni che ci interes- sano è identica a quella riscontrata nell’embrione dell'oss. VIII. Pare soltanto che la gemma della tasca di Seessel abbia uno sviluppo maggiore. Noterò un reperto, che non è esclusivo di questo esemplare, e che ha una certa importanza: esso é chenon sono scarse le cariocinesi né nel pedun- ‘colo faringoipofisario né nella gemmazione della tasca di Seessel. Dirò subito che questo fatto, come del resto anche l'aspetto delle cellule, non permette di considerare queste formazioni come organi in degenerazione. Oss. X. Embrione di 6 giorni ed 1 ora di incubazione. Fissazione: Bowin. — Colorazione: picrocarminio Monti. — Sezioni sagittali di 10 x ciascuna. Venne eseguito il modello delle formazioni epiteliali faringo- ipofisarie. Della vescicola ipofisaria è modellata solo la parte mediana. L’ingrandimento del modello è di 100:1; la fig. 13 ne dà il profilo destro un po’ rimpicciolito. Le modificazioni principali riguardano il vestibolo faringoipofisario. Questo. si è talmente ridotto in senso trasversale da misurare soli 50 «, sicchè la sua cavità è ridotta ad una fessura profonda e stretta. Notiamo inoltre uno strozzamento che ne interessa specialmente la parte più prossimale e caudale (st. 2), così disposto che nel profilo del modello vediamo una profonda incisura situata ventralmente alla gemmazione della tasca di Seessel. Ventralmente all’incisura st. 2. la lamina epiteliale costituente lo spigolo dorsale caudale dell’infundibolo tubario ricorda pel suo aspetto la tasca di Seessel, quale essa si pre- senta subito dopo la scomparsa della membrana faringea. Non ci sono altre differenze notevoli nè di forma, nè di struttura, nè di rapporti, se si fa astrazione da una gemmazione accessoria del- l'estremità distale del peduncolo vestiboloipofisario, diretta caudalmente. Questa gemmazione (M) potrebbe rappresentare il diverticolo medio degli stadii prima descritti, ma è questa una pura ipotesi. Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 163 Oss. XI. Embrione di 6 giorni e 17 ore di incubazione. Fissazione: Bouin. — Colorazione: pierocarminio Monti. — Sezioni sagittali di 10 « ciascuna. Venne eseguito il modello del peduncolo faringoipofisario e di un tratto di lamina epiteliale della volta della faringe, all’ingrandimento di 100:1. La fig.14 ne riproduce il profilo sinistro un poco rimpicciolito. Il vestibolo faringoipofisario appare un poco meno ridotto nel senso trasversale che nello stadio precedente: lo è di più in senso craniocaudale. Dalla figura si vede chiaramente come la gemmazione della tasca di Seessel (S’) degli stadii precedenti, notevolmente allungata, sia ora accollata alla parte prossimale del peduncolo vestiboloipofisario. L'esame delle sezioni, e particolarmente di quella riprodotta nella fig. 32, ci dimostra come la fusione della gemma della tasca di Seessel col peduncolo, ancora in parte cavo, sia molto intima, così che non è in alcun modo visibile il limite fra le due formazioni. Desidero richiamare l’attenzione sugli spazii v., i quali per la loro posizione, controllata sulle sezioni vicine, si devono considerare come traccie di lume della gemma della tasca di Seessel, e non come spazii conser- vatisi tra questa ed il peduncolo. Da parte della vescicola ipofisaria non notiamo modificazioni di forma: i cordoni derivati dalle gemme emesse dalla superficie esterna sono lunghi e riccamente anastomizzati; la loro parte assiale è più chiara, ma soltanto perchè i nuclei sono disposti regolarmente alla perfieria, non perchè si formi un lume. Il ramo comunicante delle carotidi (fig. 32, e. e) situato ora dorsalmente all’apice della gemma della tasca di Seessel è voluminoso. La condrificazione è molto avanzata; il peduncolo vestiboloipo- fisario e la parte dorsale del vestibolo sono rinserrati in una finestra ipofisaria assai ristretta, e questo pare essere la causa dell’accolla- mento della gemma della tasca di Seessel al peduncolo. Oss. XII. Embrione di 6 giorni e 21 ore di incubazione. Fissazione: Maximow. — Colorazioni doppie e triplici varie. — Sezioni sagittali di 8 « ciascuna. Non venne eseguito alcun modello. 112 164 Angelo Cesare Bruni, Il vestibolo faringoipofisario è ormai scomparso, cosicchè un pedun- colo faringoipofisario unisce ora direttamente l’ipofisi all'epitelio della volta faringea. Il peduncolo non conserva altro che traccie del suo lume: consta di cellule poligonali molto addossate e piccole, identiche a quelle che costituiscono la gemma della tasca di Seessel, addossata al peduncolo. La lunghezza di questa gemma è pari ad un quarto circa di quella del peduncolo, e le due formazioni non sono così inti- mamente fuse come nell’esemplare dell’oss. XI, infatti in corrispondenza delle due estremità prossimale e distale è interposto un sottile strato di tessuto connettivo. ; La parte piü ventrale del peduncolo faringoipofisario non si im- pianta perpendicolarmente sull'epitelio della faringe, ma obliquamente descrivendo una curva a concavità rostrale. | La vescicola ipofisaria contiene ancora una cavita, ridotta a sem- plice fessura, ma non interrotta. La sua forma é quella di una pera, con la grossa estremità rostrale. L’asse della cavità non è rettilineo, ma costituisce un arco, presentando una porzione craniale diretta verticalmente in senso ventrodorsale, ed una porzione caudale, diretta … orizzontalmente in senso rostrocaudale. La cavità & nettamente deli- mitata da uno strato epiteliale a varii ordini di cellule alte. Dalla superficie esterna di questo strato partono i cordoni ghiandolari, pieni, anastomizzati fra di loro, separati da scarso connettivo, molto ricco di capillari sanguigni. I rapporti sono ancora quelli dello stadio precedente: l’infundibolo tocca lapice della ghiandola; la parete dorsale di questa è in rapporto colla parete ventrale dell'encefalo nel tratto che sta tra Vinfundibolo ed il chiasma dei nervi ottici. La condrificazione è molto avanzata tanto nel campo della carti- lagine sfenooccipitale, quanto in quello della cartilagine sfenoetmoidale. Oss. XIII. Embrione di 7 giorni ed 1 ora di incubazione. Fissazione: Bowin. — Colorazione: picrocarminio Monti. — Sezioni sagittali di 10 « ciascuna. Venne eseguito il modello del peduncolo faringoipofisario e di un tratto dell'epitelio faringeo, con cui esso si unisce, all'ingrandimento qut ONU TU EN EN SOIT REI Jed ER NN EINER EIN Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 165 La fig. 15 ne riproduce il profilo destro. Abbiamo in questo esem- plare uno scarsissimo sviluppo della gemmazione della tasca di Seessel, che forse è riconoscibile in due piccole eminenze simmetriche (S’) poste subito caudalmente al peduncolo faringoipofisario, sui due lati del piano mediano. In questo esemplare è interessante notare, come subito cranial- mente al luogo, in cui il peduncolo faringoipofisario prende contatto coll’epitelio della mucosa faringea, del tessuto connettivo, insinuandosi nello spessore dell'epitelio faringeo, dal lato destro, tende a sollevarne e distaccarne una striscia in guisa tale, che questa viene a rappresen- tare come la continuazione ventrale rostrale del peduncolo faringo- ipofisario. Nella figura è segnato con asterischi il solco tra la stri- scia epiteliale in questione ed il resto dell’epitelio faringeo. L'esame delle sezioni ci apprende che del lume primitivo del peduncolo persiste soltanto una traccia nella parte media di esso. Nel corpo della ghiandola ipofisaria troviamo ancora la forma e la struttura dello stadio precedente; la cavità comincia ad interrom- persi nella parte media. La condrificazione avanzatissima fa sì che la finestra ipofisaria sia relativamente ristretta; il vaso di comunicazione delle carotidi rinserrato in un vero canale obbliga l'estremità distale del peduncolo faringoipofisario a descrivere una curva a concavità caudale, opposta a quella formata dalla estremità prossimale. La corda dorsale a questo stadio termina precisamente a contatto del luogo in cui vengono a toccarsi l'infundibolo e l’apice della ghian- dola ipofisaria. Oss. XIV. Embrione di 7 giorni e 5 ore di incubazione. Fissazione: Zenker. — Colorazioni doppie e triplici varie. — Sezioni sagit- tali di 8 « ciascuna. Non venne eseguito alcun modello. Rispetto alla osservazione precedente dobbiamo solo notare che la gemmazione della tasca di Seessel è ben evidente, come un lungo bastoncino epiteliale, situato subito caudalmente al peduncolo faringo- ipofisario e contenente degli spazii accennanti alla formazione in esso di una cavità. 166 - Angelo Cesare Bruni, Il peduncolo faringoipofisario si impianta obliquamente sull’epitelio della mucosa faringea, descrivendo nella sua estremita ventrale un arco a grande raggio, con concavita aperta rostralmente. I rapporti della corda dorsale con l’ipofisi sono uguali a quelli dell'osservazione precedente. Oss. XV. Embrione di 7 giorni e 19 ore di incubazione. Fissazione: Mingazzini. Colorazioni doppie e triplici varie. — Sezioni sagittali di 8 & ciascuna. . Non venne eseguito alcun modello. In questo esemplare non si vedono derivati della tasca di Seessel. Il peduncolo faringoipofisario si impianta obliquamente sull’epitelio faringeo descrivendo un’ampia curva a concavita rostrale. Non abbiamo altro a notare allinfuori di uno spostamento nei rapporti tra corda ed ipofisi in quanto ora la corda tocca Vinfun- dibulo poco dorsalmente al luogo di contatto fra questo e l’apice del lobo ghiandolare. Oss. XVI. Embrione della fine dell’ 8° giorno di incubazione. Fissazione: Müller-formolo. — Colorazione: paracarminio Mayer. — Sezioni. sagittali di 8 « ciascuna. Venne eseguito il modello del peduncolo faringoipofisario e delle formazioni epiteliali annesse all'ngrandimento di 125: 1. La fig. 16 ne riproduce il profilo sinistro lievemente ingrandito. Essendo invariate tutte le altre condizioni notiamo solo che la gemma della tasca di Seessel appare come un bastoncino accollato molto intimamente alla faccia caudale del peduncolo faringoipofisario, conser- vando peró libero un tratto discretamente lungo della sua estremità dorsale. La lunghezza della gemma della tasca di Seesse/ corrisponde ad oltre un terzo della lunghezza del peduncolo, il quale si impianta sull'epitelio faringeo meno obliquamente che negli esemplari prima descritti. Oss. XVII. Embrione della fine del 9? giorno di incubazione. Fissazione: Müller-formolo. — Colorazione: picrocarminio Monti. — Sezioni | sagittali di 8 « ciascuna. Venne eseguito il modello del peduncolo faringoipofisario all’in- grandimento di 63:1. La fig. 17 ne riproduce il profilo sinistro a: grandezza naturale. Essa dimostra meglio di ogni descrizione i rap-'| Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell'ipofisi negli Amnioti. 167 porti fra derivato della tasca di Seessel (S’) e peduncolo faringoipo- fisario (p.f.?.). Confrontandola con la figura 16, dobbiamo pensare che Vestremita ventrale della gemma della tasca di Seessel si sia cosi intimamente fusa col peduncolo faringoipofisario, che non é piü possi- bile distinguere le due formazioni Ma invece la parte dalla gemma, che era già libera alla fine dell 8? giorno, lo è anche ora e forma come uno sprone diretto caudalmente e terminato da un rigonfiamento cavo, vescicolare. La parte ventrale del peduncolo si attacca molto obliquamente all'epitelio faringeo. Essendo riprodotti nella figura i cordoni piü ventrali dell'ipofisi, e evidente come la gemma della tasca di Seessel si trovi ora a metà cirea dell'altezza del peduncolo. Subito dorsalmente ad essa, vi e il ramo comunicante delle carotidi, più piccolo, ma con pareti molto più spesse che negli stadii precedenti. Quanto alla struttura, notiamo un grande aumento del tessuto connettivo fra i cordoni ghiandolari dell’ipofisi, per cui essi vengono ad essere molto allontanati gli uni dagli altri. Inoltre appaiono nei cordoni stessi delle cellule e dei gruppi di cellule, che si tingono molto intensamente. È iniziata Vossificazione allintorno del canale craniofaringeo. Oss. XVIII. Embrione di 12 giorni e 7 ore di incubazione. Fissazione: Zenker. — Colorazione: picrocarminio Monti. — Sezioni sagit- tali di 8 « ciascuna. Da una ricostruzione grafica del peduncolo faringoipofisario (fig. 33) eseguita all'ingrandimento di 63:1, si rileva che il peduncolo stesso è interrotto soltanto in vicinanza della mucosa faringea. Però non è più visibile nulla che ci ricordi la tasca di Seessel degli stadii precedenti. L’ossificazione, notevolmente avanzata, ha trasformata la finestra ipofisaria in un canale craniofaringeo relativamente stretto. Non troviamo modificazioni notevoli di struttura nell’ipofisi. In- vece nel peduncolo, e particolarmente nella metà distale di esso, notiamo la risoluzione del materiale cellulare, che lo compone, in cordoni, e vediamo inoltre comparire delle cavità, simili a cisti microscopiche, limitate da cellule molto appiattite (fig. 34). 168 Angelo Cesare Bruni, Oss. XIX. Embrione della fine del 13° giorno di incubazione. | Fissazioue: Bouin. — Colorazione: picrocarminio Monti. — Sezioni sagittali di 10 « ciascuna. Questo esemplare, pel quale non venne eseguito alcun modello è molto simile al precedente. Solo vi è anche più ristretto il canale craniofaringeo, per essere l'ossificazione più avanzata, ed il peduncolo faringoipofisario appare in gran parte degenerato e sostituito da un denso fascio di tessuto connettivo ricco di cellule, che sono probabil- mente cellule epiteliali più o meno alterate. Oss. XX. Esemplare di passero, che ha appena abbandonato il nido. Fissazione: Bowin. — Colorazione: picrocarminio Monti. — Sezioni sagittali di 20 « ciascuna. Lo studio di una sezione sagittale mediana, quale è quella rappre- sentata nella fig. 35, ci apprende che il corpo dello sfenoide è attra- versato da uno stretto canale craniofaringeo, il quale, come viene provato dall’esame delle sezioni vicine, è anche perfettamente continuo, e diretto in senso dorsoventrale ed anche un po’ rostrocaudale. I cordoni ghiandolari dell’ipofisi costituiscono un corpo, che in sezione sagittale ci si presenta in forma di triangolo quasi isoscele coi due lati più estesi dorsale e caudale uno, ventrale e craniale l’altro, con la base caudale e ventrale, cogli angoli basali molto arrotondati e con l’apice, rostrale e dorsale, molto appuntito. Dallafaccia caudale e ventrale del corpo ghiandolare parte un prolunga- mento, che scende nel canale craniofaringeo, conservando una struttura identica a quella della massa ghiandolare. Esso consta infatti di cordoni pieni, anastomizzati fra di loro e separati da connettivo molto vasco- larizzato. Questo prolungamento si segue fino quasi alla estremità ventrale (faringea) del canale craniofaringeo, e circonda tanto rostralmente quanto caudalmente il ramo comunicante delle carotidi. Esso riempie tutto lo spazio lasciato libero dai vasi venosi, che numerosi percorrono il canale craniofaringeo, presentando la stessa struttura in tutte le sue parti. Oss XXI. Esemplare di pollo adulto. Fissazione: Bouin. — Colorazione: picrococciniglia. — Sezioni sagittali di 30 « clascuna. Oss. XXII. Esemplare di pollo adulto. Fissazione: Zenker. — Colorazione: paracarminio. — Sezioni sagittali di 30 « ciascuna. . Sullo sviluppo del lobo ghiaudolare dell’ipofisi negli Amnioti. 169 Il canale craniofaringeo, relativamente largo, decorre in senso dorsoventrale, descrivendo una larga curva aperta rostralmente. Esso è quasi interamente occupato da un plesso venoso, o meglio da un tessuto cavernoso, il quale mediante un setto connettivo è diviso in due parti, una rostrale più piccola, una caudale più grande. Verso lestremità dorsale del canale craniofaringeo troviamo il ramo comunicante delle carotidi: il setto connettivo sta rostralmente a questo ramo. La fig. 36 ci dimostra la forma dell’ipofisi in sezione sagittale, e ci dimostra inoltre, nello spessore del setto connettivo del canal cranio- faringeo, un ammasso epiteliale, nel quale è facilmente riconoscibile la struttura dell’ipofisi. Del resto in sezioni vicine è visibile la con- tinuità di questo ammasso con la parte principale della ghiandola ipofisaria, della quale l'ammasso pare un prolungamento distaccantesi dalla faccia rostroventrale. Si tratta evidentemente di un residuo del peduncolo faringoipo- fisario, che ventralmente non si estende oltre la metà del canale cranio- faringeo. Però, anche nella porzione ventrale del canale, si trovano gruppi di cellule epiteliali. Tanto nel corpo principale dell’ipofisi, quanto nella porzione acces- soria del canale craniofaringeo si trovano dei cordoni e dei gruppi cellulari molto colorabili, mentre altri cordoni ed altri gruppi cellulari hanno un protoplasma, che quasi non si colora. C) Embrioni di Mus decumanus (albinus) e di Mus musculus (Mammiferi). Oss. I. Embrione di mus musculus della lunghezza vertice-coccigea di mm. 6 circa (appartenente alla collezione del Ch.mo Prof. R. Fusari). Sezioni sagittali di 10 «. Venne eseguito il modello delle formazioni epiteliali annesse alla volta faringea all’ingrandimento di 63:1. La fig. 18 ne da il profilo sinistro ingrandito di una volta ed un terzo. Dalla volta della faringe, procedendo in senso craniocaudale vediamo elevarsi tre eminenze. Di queste la più rostrale (A&) ha forma di tasca non molto alta (110 «), poco estesa in senso rostro- caudale (50 4), notevolmente estesa invece in senso trasversale (140 x): 170 Angelo Cesare Bruni, è facile riconoscere in essa la tasca di Rathke. La più caudale (S) corrisponde alla parte mediana, pit elevata, di una cresta, che attra- versa tutta la volta della faringe, ed é determinata da un solco della superficie interna; è quindi la tasca di Seessel. La: terza (M), posta fra le due ora ricordate, & il diverticolo medio. Osservando il modello riprodotto nella figura, su quella faccia che corrisponde alla superficie interna della faringe, troviamo che il diverticolo medío si presenta come una insenatura del largo margine libero della piega faringea posta fra le due tasche ed inoltre che lo stesso diverticolo appertiene tutto all'entoderma, perché in corrispondenza del margine craniale della sua apertura di sbocco nella faringe sono ancora inseriti dei residui della membrana faringea. Dall’esame delle sezioni rileviamo che l'epitelio si fa man mano più alto a partire dalla parete craniale della tasca di Rathke, e torna a farsi basso caudalmente alla parete caudale della tasca di Seessel. Non si osserva nessun rapporto diretto della corda dorsale coi diver- x ticoli della faringe. Non vi è ancora traccia dell'infundibolo. Oss. II. Embrione di mus decumanus albinus della lunghezza v. c. di mm. 9 (lunghezza nucale mm. 7. altezza del capo mm. 5.) Fissazione: Bouin. Colorazione: picrococciniglia. Sezioni sagittali di 10 x ciascuna. Venne eseguito il modello della lamina epiteliale della volta faringea e della parte mediana della faringe all'ingrandimento di 200: 1. La fig. 19 lo riproduce, ridotto ai due terzi circa da destra e dall'indietro. Questo stadio è molto avanzato rispetto al precedente: abbiamo già una vescicola ipofisaria, unita all'epitelio faringeo per una parte ristretta. La vescicola, di cui si vede nella figura solo la parte mediana, ha forma di lente concavoconvessa, disposta trasversalmente e con la concavità rostrale. Più che all’incurvarsi della vescicola la concavità rostrale è dovuta al fatto che la parte ventrale della parete rostrale (c) é rigonfiata. Il margine dorsale presenta una incisura mediana; la parete caudale nei tre quinti ventrali e nella parte mediana è considerevolmente più spessa che la parete rostrale. L’istmo che unisce la vescicola all’epitelio della volta faringea, considerato sulla superficie esterna del modello, lascia distinguere due Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 171 parti, di cui la caudale (S’) appare come accollata alla rostrale. La forma di questa parte caudale, cava nella sua estremità ventrale, piena nella estremita dorsale, e specialmente il fatto che essa lateral- mente si continua con una cresta, cui internamente corrisponde un solco trasversale della faringe, non lasciano dubbio che si tratti di una produzione, di una gemmazione della tasca di Seessel, identica a quella che abbiamo trovato nel pollo, ed indicata col nome di gemma della tasca di Seessel. Ci persuadiamo anche pit di questa corrispondenza osservando la faccia del modello, che corrisponde alla superficie in- terna della volta faringea. Vediamo infatti che nella parte culmi- nante della volta si apre per un largo foro quadrilatero una cavità cubica, le cui pareti laterali presentano ancora le traccie evidenti di una piega (la piega faringea) Tra i residui della piega faringea e la parete caudale della cavita, si inizia il solco, che si prolunga poi lateralmente nella volta faringea e che abbiamo gia ricordato, identi- ficandolo con la tasca di Seessel. Non può esservi dubbio che la parete craniale della cavità in questione corrisponda alla porzione pit ventrale della parete rostrale della primitiva tasca di Rathke, tutta la cavità, perció, corrisponde esattamente a quella, molto simile, che abbiamo de- scritta nel pollo col nome di vestibolo faringoipofisario. Dalla parete dorsale del vestibolo si eleva caudalmente la gemma della tasca di Seessel; cranialmente, mediante una fessura trasversale, la parete dorsale dà adito ad un breve canale, schiacciato in senso rostrocaudale, che porta nel lume della vescicola ipofisaria. Il canale deve essere consi- derato come appartenente ad un brevissimo peduncolo vestiboloipofisario. L’esame di una sezione sagittale quasi mediana (fig. 37) ci dà una nuova dimostrazione dei fatti sopra accennati, e contemporanea- mente ci dimostra la struttura delle formazioni ipofisarie ed 1 rapporti di esse coll'infundibolo, che ora è abbozzato, e sta in contatto con la parte media del margine superiore e dell'estremità dorsale della parete caudale della vescicola. Oss. III. Embrione di mus decumanus albinus della lunghezza v. c. di mm. 8 (lunghezza nucale mm. 7. altezza del capo mm. 4,5). Fissazione: Bouin. — Colorazione: picrococciniglia. Sezioni sagittali di 8 x ciascuna. 172 Angelo Cesare Bruni, Venne eseguito il modello dell’ipofisi e di un tratto di epitelio faringeo annesso all’ingrandimento di 250:1. La fig. 20 lo riproduce visto da destra e caudalmente, ridotto cirea alla metà. Rispetto all'oss. precedente notiamo delle differenze specialmente nel comportamento della gemma della tasca di Seessel (S"). Infatti si è ora stabilito uno strozzamento nella parte ventrale del vestibolo faringoipofisario, reso manifesto dalla presenza di un solco (st. 2) abbastanza profondo nella parete posteriore. Per laffondarsi di questo solco, la parte più dorsale della gemma della tasca di Seessel viene accollata alla porzione mediana e piü ventrale della parete caudale della vescicola ipofisaria, sulla quale spicca abbastanza bene, perché rimane rilevata. La fig. 21 riproduce il modello fotografato nel suo prospetto rostrale e ridotto a poco più della metà. Appare bene la forma lenticolare della vescicola, coll’incisura del margine dorsale; non abbiamo in questo differenze dallo stadio precedente. La figura ha essenzialmente lo scopo di dimostrare lo speciale aspetto della estremità ventrale della faccia rostrale della vescicola (c), ove si è formato un cercine trasversale, che termina sui due lati con estremità arrotondate. ‘Tenendo presente la descrizione data dal Chiarugi dei lobi laterali dell'ipofisi dei mammiferi, mi pare che siano precisamente queste estremità arrotondate del cercine rostrale quelle che si debbono indicare come lolz lateral. La fig. 38 ci mostra le particolarità di struttura della parte ven- trale della vescicola ipofisaria e del peduncolo faringoipofisario in una sezione non esattamente mediana. Non ho scelta una sezione mediana perché, data lintima fusione della gemma della tasca di Seessel con le formazioni poste ad essa rostralmente, la stessa gemmazione appari- rebbe meno distinta. Richiamo l'attenzione specialmente su tre punti: 1°) sulla identità di struttura fra l'epitelio faringeo, derivato dal- lectoderma (rostralmente alle formazioni ipofisarie) e quello derivato dall'entoderma (caudalmente alle dette formazioni); Vepitelio faringeo, tanto nella porzione di origine ectodermica, quanto in quella di origine entodermica, contiene dei grossi grannli colorabili, che mancano nel protoplasma delle cellule dell’abbozzo ipofisario; 2°) sul comporta- mento e sulla struttura della gemma solida della tasca di Seessel (8°), Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 173 la cui estremità dorsale é ancora (almeno nelle sezioni non esattamente mediane) ben distinta dalla porzione ventrale della parete caudale della vescicola ipofisaria, alla quale é adossata; 3°) sul modo di formarsi del cercine rostrale: notiamo che un ordine regolare di cellule alte ne occupa la superficie esterna, mentre cellule più basse e non ordinate ne costituiscono la parte interna e limitano il lume della vescicola, che si spinge nel cercine con un breve prolungamento. Pei rapporti rileviamo dall'esame delle sezioni, che l’infundibolo, molto progredito nello sviluppo, si dirige caudalmente ed è in rapporto con la parte mediana della parete caudale della vescicola fin quasi a metà della sua altezza. La parete rostrale della vescicola ha rapporto meno immediato con la porzione di parete ventrale del cervello, situata tra l'infundibolo ed il chiasma dei nervi ottici (lamina postottica). La corda non ha rapporti con le formazioni che ci interessano; nè si nota alcuna traccia di condrificazione nel mesenchima della base dal cranio, sebbene questo si sia considerevolmente addensato. Oss. IV. Embrione di mus decumanus albinus della lunghezza v. c. di mm. 8,7 (lunghezza nucale mm. 7, altezza del capo mm. 5). Fissazione: Bouin. — Colorazione: picrococeiniglia. — Sezioni sagittali di 8 « eiascuna. Non venne eseguito alcun modello, l'esame delle sezioni peró basta a persuaderci che non vi ha alcuna differenza dall'esemplare prima descritto. Oss. V. Embrione di mus decumanus albinus della lunghezza v. c. di mm. 8,5 (lunghezza nucale mm. 7, altezza del capo mm. 5). Fissazione: Bouin. — Colorazione: picrococciniglia. — Sezioni sagittali di 8 « Le] 5 i clascuna. Venne eseguito il modello di un tratto della volta faringea epiteliale, con una porzione ventrale e mediana della vescicola ipofisaria all’in- erandimento di 250: 1. La fig. 22 riproduce il modello visto da destra e un po' caudal- mente, ridotto ai tre quinti circa. Abbiamo ancora disposizioni in tutto identiche a quelle dei due esemplari precedenti; notiamo in pit caudalmente ed a breve distanza dalla tasca di Seessel (di cui si riconosce ancora la sporgenza, ventralmente al solco sf. 2) la presenza di una cresta mediana sagittale abbastanza elevata (x), che, come vien 174 Angelo Cesare Bruni, dimostrato dall’esame delle sezioni, si affonda nel mesenchima, esatta- mente sotto alla corda dorsale, rimanendo perd molto distante da questa e non contraendo con essa 0 con la sua guaina nessuna rela- zione anche indiretta, mediante ispessimenti connettivali. Oss. VI. Embrione di mus decumanus albinus della lunghezza v. c. di mm. 8,5 (lunghezza nucale mm. 7, altezza del capo mm. 5). Fissazione: Bouin. — Colorazione: picrococciniglia. — Sezioni sagittali di 10 4 ciascuna. Venne eseguito un modello simile a quello costrutto per l'esem- plare ultimo descritto all'ingrandimento di 200: 1. La fig. 23 ne riproduce il profilo sinistro. Rispetto alle oss. IV V e VI dobbiamo notare che la gemmazione della tasca di Seessel (S^) è evidente solo nella sua estremità distale, che tocca un punto più dorsale della parete caudale della vescicola ipofisaria. Anche il solco st. 2 si è molto allargato in senso ventrodorsale. E ancora visibile ventralmente ad esso il rilievo della tasca di Seessel (S), cui corri- sponde sempre un solco trasversale della superficie interna della volta faringea. Il vestibolo faringoipofisario è ridotto ad un peduncolo an- cora pervio. us Dall'esame delle sezioni rileviamo che la porzione, ancora distin- guibile nel modello, della gemma della tasca di Seessel rispetto alla vescicola ipofisaria é meno nettamente delimitata che negli stadii precedenti. I rapporti sono invariati. Oss. VII. Embrione di mus musculus della lunghezza v. c. di mm. 9 (appartenente alla collezione del Prof. À. Fusari). Sezioni sagittali di 14 y. Venne eseguito il modello di un tratto della volta faringea e della parte mediana delle formazioni ipofisarie annesse, all’ingrandi- mento di 63:1. La fig. 24 ne dà il profilo destro ingrandito di una volta ed un quarto. La cavità ipofisaria occupa solo i due terzi distali della vesci- cola; non si riconosce più traccia della gemma. della tasca di Seessel) ne del vestibolo faringoipofisario. La condrificazione della cartilagine sfenooccipitale è appena iniziata, quella della cartilagine sfenoetmoidale non lo è ancora. La cosa piü degna di considerazione in questo embrione é che Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 175 una eminenza epiteliale conica mediana, posta caudalmente.al peduncolo faringoipofisario, si continua dorsalmente con un ispessimento del connet- tivo di aspetto legamentoso giungente fin quasi a contatto della parete caudale della vescicola ipofisaria a livello dell’unione fra la meta dorsale e la meta ventrale. Nel connettivo vi sono cellule che si potrebbero considerare come elementi epiteliali più o meno degenerati. La fig. 39, che illustra questa disposizione, serve anche a dimostrare la struttura dell'ipofisi e del suo cercine rostrale, che. consta ancora di cellule alte, radialmente disposte, sulla superficie esterna, di cellule poligonali al centro. Oss. VIII. Embrione di mus decumanus albinus dela lunghezza v. c. di m mm. 8,5 (lunghezza nucale mm. 7, altezza del capo mm. 5). Fissazione: Zenker. — Colorazione: picrococciniglia. — Sezioni sagittali di 8 4 ciascuna. Venne eseguito il modello di un tratto dell’epitelio della volta faringea e della porzione mediana dell'ipofisi all'ingrandimento di 250: 1. La fig. 25 ne dà il profilo destro ridotto a metà circa. Notiamo anzitutto la riduzione grandissima del peduncolo faringo- ipofisario di cui è scomparso il lume. Non vi è più alcuna traccia «nè della tasca di Seessel nè della sua gemma. Il cercine rostrale fa una notevole sporgenza; il peduncolo faringoipofisario parte da questo cercine. Quanto alla struttura, il peduncolo faringoipofisario consta di cel- lule poliedriche molto stipate, parecchie delle quali hanno il nucleo picnotico, o con altri segni di degenerazione. Delle pareti della vescicola la caudale, spessa nella sua metà ventrale, sottile nella metà dorsale, che sta in rapporto coll’infundi- bolo, consta di varii ordini di cellule prismatiche alte, disposte radial- mente intorno alla cavità. La parete rostrale si ispessisce gradata- mente in senso dorsoventrale e consta pure di varii ordini di cellule prismatiche radialmente disposte. Questa parete rostrale con la sua estremità dorsale è in rapporto non immediato con la regione pre- infundibolare del cervello; ventralmente essa termina col cercine rostrale, la cui struttura non è modificata. La condrificazione è avviata nella cartilagine sfenooceipitale; nella regione sfenoetmoidale c’è solo un addensamento molto notevole del mesenchima, ma non ‘tessuto cartilagineo. 176 Angelo Cesare Bruni, Oss. IX. Embrione di mus decumanus albinus della lunghezza v. c. di mm. 10,5 (lunghezza nucale mm. 7,7, altezza del capo mm. 5,5) Fissazione: Bouin. — Colorazione: picrococciniglia. — Sezioni sagittali di 10 «. ciascuna. Non venne eseguito alcun modello. Abbiamo per altro condizioni molto simili a quelle dall’embrione dell’oss. VIII; ci limitiamo a notare una mageior riduzione della porzione ventrale della cavità ipofisaria. Oss. X. Embrione di mus musculus della lunghezza v. c. di mm. 10 (appar- tenente alla collezione del Prof. E. Fusari). Sezioni sagittali di 14 « ciascuna. Venne eseguito il modello dellipofisi e di un tratto dell'epitelio della volta faringea all'ingerandimento di 63:1. La fig. 26 lo riproduce fotografato da destra e un po’ cranial- mente e lievemente ingrandito. Le disposizioni osservate nell’embrione dell'oss. VIII (fig. 25) ci permettono di comprendere quelle che troviamo in questo embrione, le quali a primo aspetto potrebbero parere molto diverse. Tutto si riduce a questo: mentre il peduncolo faringoipofisario si assot- tiglia e si rompe, il cercine rostrale (c) si delimita molto nettamente dal resto della vescicola ipofisaria, costituendo un lobo quasi indipen- dente ed unito per un colletto alla parte piu ventrale della parete rostrale della vescicola. Questo lobo ha forma di una spessa lamina quadrilatera rettangolare, col maggior diametro trasversale; con esso è in rapporto di continuità il peduncolo faringoipofisario. La vesci- cola (ves. costituente ora un vero lobo a sé (lobo caudale) ha ancora la forma primitiva di una lente, col margine dorsale incavato e la parte mediana della faccia caudale depressa, pel rapporto coll'infundi- bolo. Peró la lente non appare piü concava, ma bensi convessa, nella sua faccia rostrale, perché la concavità negli stadii precedenti era particolarmente dovuta alla presenza del cercine rostrale, che ora si é reso indipendente. | Per cid che riguarda la struttura, non abbiamo modificazioni importanti: parecchi ordini di cellule alte costituiscono i tre quarti dorsali della parete caudale ed il quarto dorsale della parete rostrale della vescicola; nella porzione ventrale della vescicola solo le cellule esterne, disposte in un solo ordine regolare, sono alte, le interne sono Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell'ipofisi negli Amnioti. UTR poliedriche; di cellule poliedriche, non disposte in cordoni risulta costi- tuito anche il lobo rostrale. Oss. XI. Embrione di mus decumanus albinus della lunghezza v. c. di mm. 10. Fissazione: Zenker. — Colorazione: pierocarminio Monti. Sezioni sagittali di 10 «. ciascuna. Non venne eseguito alcun modello. Questo esemplare deve essere ricordato accanto a quello ora descritto, perché dimostra in mus decu- manus le stesse disposizioni deseritte in mus musculus, ad uno stadio di sviluppo identico. Abbiamo anche qui il lobo proveniente dal cer- cine rostrale; esso è benissimo delimitato rispetto alla parte vescicolare dell'ipofisi (lobo caudale) e costituito da una lamina quadrangolare meno appiattita in senso rostrocaudale che in mus musculus. In rapporto di continuità con la parte mediana del margine ventrale di questa lamina é un esilissimo peduncolo, ridotto a poche cellule, interrotto in vicinanza del suo attacco all'epitelio faringeo. La condrificazione è molto avanzata nella regione sfenooccipitale, attivamente avviata nella regione sfenoetmoidale. Oss. XII. Embrione di mus decumanus albinus della lunghezza v.c. di mm.15. Fissazione: Bouin. — Colorazione: picrococciniglia. Sezioni sagittali di 10 «. ciascuna. Non venne eseguito alcun modello. La fig. 40 permette di vedere come la porzione vescicolare dell’ipofisi circondi le faccie caudale e dorsale della porzione non vescicolare. Se si paragona il profilo del- l'ipofisi, rappresentato da questa figura, col profilo del modello del- l'oss. X (fig. 26) si rileva che in questo stadio la parte non vescicolare dell'ipofisi non corrisponde soltanto al lobo derivato dal cercine rostrale (che tanto nella fig. 26 quanto nella fig 40 si vede unito per un colletto al rimanente della ghiandola), ma comprende anche una note- vole porzione interposta fra il detto lobo e la porzione vescicolare e derivante da quella parte ventrale della vescicola ipofisaria, che nello stadio dell'oss. X non era piü costituita da cellule alte, ma bensi da cellule poliedriche. Per lidentità della struttura possiamo ora chiamare lobo rostrale od anteriore tutta Ja parte non vescicolare dell’ipofisi, riservando il nome di prolungamento rostrale (0 linguale) alla porzione derivata dai cercine rostrale. Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI. 12 178 Angelo Cesare Bruni, Dalla figura 40 vediamo come, essendo ormai molto avanzata la condrificazione della base del cranio, esista in questo esemplare un canale craniofaringeo abbastanza ampio. La porzione rostrale del canale è occupata da un cordoncino epiteliale, che continua ventral- mente il prolungamento rostrale dell'ipofisi e termina in corrispondenza dell'apertura faringea, ventrale del canale. Per le particolarità di struttura, basterà accennare che la cavità vescicolare è tutta circondata da varii ordini di cellule alte, radial- mente disposte, e che il lobo anteriore, come anche il peduncolo, con- sta di elementi poliedrici, che tendono a disporsi in cordoni. Pei rapporti, troviamo che l’infundibolo, diretto ora caudalmente, è in rap- porto con la parete dorsale della vescicola; il prolungamento linguale del lobo anteriore si estende sotto il cervello verso il chiasma. Oss. XIII. Embrione di mus musculus della lunghezza v. c. di mm. 18. Fissazione: Zenker. — Colorazione: picrocarminio Monti. — Sezioni sagittali di 8 &. ciascuna. Non venne eseguito alcun modello. In questo esemplare non vi ha traccia di canale craniofaringeo; la ghiandola ipofisaria riposa sulla faccia interna della base del cranio cartilagineo. All'infuori della mancanza del prolungamento ventrale del lobo anteriore, costituito da un residuo del peduncolo faringoipofisario, non abbiamo modificazioni rispetto all'esemplare ultimo descritto. Abbiamo conservati la stessa struttura e gli stessi rapporti pel lobo anteriore e pel lobo caudale; il prolungamento linguale é molto sviluppato. Oss. XIV. Embrione di mus musculus della lunghezza v. c. di mm. 24. Fissazione: Zenker. — Colorazione: picrocarminio Monti. — Sezioni sagittali di 14 4. ciascuna. Non venne eseguito aleun modello. Questo esemplare & interes- sante perché la ghiandola ipofisaria è topograficamente distinta in due porzioni; una riposante sulla superficie interna della base cranica cartilaginea, l'altra in parte contenuta in un canale craniofaringeo molto ampio ed in parte situata ventralmente a questo. Per la porzione endocranica non abbiamo nulla da dire; la forma ed i rapporti sono identici a quelli della ghiandola normale delle oss. XIII e XII. La porzione ventrale intracranica occupa in direzione trasversale ben Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 179 784 u (56 sezioni); in direzione rostrocaudale misura invece soltanto 117 u. Possiamo perciò dire che Vipofisi di questo embrione si con- tinua ventralmente con una lamina disposta in senso frontale. Subito sotto allo sfenoide la dimensione rostrocaudale aumenta. La posizione di questo abnorme prolungamento ventrale non & mediana; esso sta a sinistra e la sua estremità ventrale é in rapporto indiretto con la tuba auditiva di sinistra. La fig. 41 riproduce una delle sezioni in cui è visibile la porzione craniofaringea dellipofisi. Colpisce subito il fatto che la parte caudale ha lo stesso aspetto della porzione vescicolare della ipofisi endocranica e la parte rostrale ha lo stesso aspetto del lobo anteriore. Le cellule della parte rostrale tendono a disporsi in cordoni, separati da tessuto connettivo ricco di capillari. D) Fett umani. Oss. I. Embrione della lunghezza v. c. di mm. 16,4 1) Fissazione: formalina 10°/,. — Colorazione: picrocarminio Monti. — Sezioni sagittali di 8 4 ciascuna. La conservazione è appena mediocre ed inoltre è guasta la regione ipofisaria. Per quello che può interessare al nostro argomento rileviamo soltanto che vi ha una borsa faringea molto profonda, situata nel piano mediano, nella parte più caudale della volta faringea. L'apice di questa borsa è in rapporto evidentissimo con la corda dorsale e più precisamente con una dilatazione cellulare, che questa presenta in corrispondenza del canale cordale posteriore della cartilagine sfeno- occipitale, ove la corda fuoriesce dal condrocranio, per poi rientrarvi più cranialmente, dopo aver percorso un certo tratto in posizione antibasilare (secondo la definizione dei Tourneux). Oss. II. Feto della lunghezza v. c. di mm. 40. Fissazione: Formalina 10?/,. — Colorazione: picrocarminio Monti. — Sezioni sagittali di 14 x. ciascuna. La fig. 1 del testo riproduce a debole ingrandimento (10 d. circa) una sezione sagittale mediana della base del cranio, con le annesse parti molli, in corrispondenza della regione faringoipofisaria. Essa ha lo scopo di dimostrare la topografia dell’ipofisi faringea e la forma 1) Le misurazioni dei feti umani vennero eseguite col compasso di spessore 12* 180 Angelo Cesare Bruni, della parete rostrale della porzione nasale della faringe, la dove questa è data dal setto nasale. Troviamo a questo proposito, che si passa dalla volta della faringe al margine caudale del setto nasale, e poi alla faccia dorsale del velo mobile, seguendo un arco a raggio breve. In due punti perd (segnati nella figura conx) l’arco si deforma, per la presenza di un angolo. Il pit dorsale di questi punti corrisponde al luogo in cui l'epitelio della mucosa faringea comincia ad allon- tanarsi dalla cartilagine del setto per portarsi sul velo; quello piü ventrale seena il luogo in cui veramente comincia la faccia dorsale del velo mobile. L'ipofisi faringea aderisce all'epitelio della faringe precisamente Per la spiegazione ved. „Indicazioni comuni a tutte le figure.“ in corrispondenza dellangolo dorsale segnato +. Essa ha la forma di un bastoncino, piegato ad uncino nella estremità rostrale ventrale, cosicchè si possono distinguere due porzioni: una parallela alla faccia ventrale della cartilagine sfenoetmoidale (porzione orizzontale di Citelli — p. 0.), l'altra rappresentata dal becco delluncino e diretta in senso craniocaudale (porzione verticale di Ciftell—p. v.) La prima porzione misura mm. 1.169, la seconda mm. 0,184, lo spessore massimo è di mm. 0,083. L'estremità caudale si trova molto rostralmente al luogo in cui si dovrebbe avere lo sbocco ventrale del canal eraniofaringeo, se questo esistesse; l'estremità rostrale viene a confondersi intimamente con -l'epitelio faringeo. La ghiandola è tutta situata nello spessore della mucosa della faringe. Data la fissazione mediocre, non é possi- Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 181 bile raccogliere dati precisi sulla sua struttura; perd non pare che le cellule epiteliali che la costituiscono abbiano uno speciale ordinamento. La porzione ghiandolare dell'ipofisi cerebrale presenta una parte vescicolare (lobo caudale) addossata caudalmente e dorsalmente ad una parte solida (lobo anteriore). Dalla parte vescicolare emanano un prolungamento mediano, ventrale e due prolungamenti laterali, piü dorsali, che dirigendosi caudalmente tendono ad involgere la porzione nervosa. Questi prolungamenti sono in parte solidi in parte cavi. Anche in questo esemplare esiste una borsa faringea nella sua posizione tipica; non è determinabile il rapporto della borsa con la corda dorsale. In corrispondenza di essa esiste anche il fascio connet- tivo legamentoso descritto da Froriep. Oss. III. Feto della lunghezza v. c. di mm. 50. Fissazione: Müller-formolo. — Colorazione picrocarminio Monti. — Sezioni sagittali di 14 «. ciascuna. La fig. 2 del testo fu eseguita come la 1 allo scopo di dimostrare le modificazioni sopravvenute nella forma della parte mediana della parete anteriore della faringe. Essendosi notevolmente allargato l'angolo che prima esisteva fra la faccia ventrale della cartilagine sfenooccipitale e la faccia ventrale della cartilagine sfenoetmoidale, la mucosa faringoorale si è adattata alla nuova disposizione del piano scheletrico, e Varco costituito dal profilo della volta della faringe e dal margine caudale del setto nasale, ha un raggio molto più grande che nello stadio precedente; lareo però termina bruscamente incontrando la faccia dorsale del velo, con la quale forma un angolo acuto nel punto segnato +. Questo angolo corrisponde a quello più ventrale dei due segnati nello stesso modo nella fig. 1, ciò almeno pare probabile, se si tiene presente che in detta figura si vede all’angolo più dorsale corrispondere il punto di terminazione dell’ipofisi faringea sull’epitelio della mucosa. L'ipofisi faringea, anche in questo esemplare, giace nello spessore della mucosa e presenta una porzione orizzontale, più breve che nell’oss. IT (mm. 0,334) e dello stesso spessore (mm. 0,083), ed una porzione verticale, lunga mm. 0,200, se non si tiene conto della por- zione aderente all’epitelio faringeo, che ha un particolare comporta- mento. Dalla fig. 2 del testo, e meglio dalla fig. 42 delle tavole vediamo 182 Angelo Cesare Bruni, che l'estremità rostrale dell'ipofisi faringea entra in una specie di gavocciolo sporgente nell’interno delcavo faringeo; che quivi, assotiglian- dosi gradatamente e ripiegandosi, segue in senso caudorostrale tutto l'epitelio del gavocciolo, essendovi addossata, ma rimanendone distinta per una specie di membrana limitante, e che termina sottilissima, confusa coll’epitelio faringeo subito in avanti del gavocciolo. Una tale disposizione in quest’epoca dello sviluppo non deve essere rara, poiché ho potuto vederla in un altro feto dello stesso stadio, Fig. 2. Per la spiegazione ved. „Indicazioni comuni a tutte le figure“. sezionato frontalmente, appartenente alle collezioni del Prof. A. Fusarz La struttura dell’ipofisi faringea è già alquanto complicata, poichè gli elementi non sono più uniformemente distribuiti. Nell'ipofisi cerebrale sono invariati i rapporti tra il lobo caudale e quello anteriore; i processi avvolgenti hanno un maggiore sviluppo; la parete della vescicola costituente lo strato epiteliale del lobo nervoso consta di cellule prismatiche alte disposte in pochi ordini. Manca la borsa faringea. Oss. IV. Feto della lunghezza v. c. di mm. 65. Fissazione: Müller formolo. — Colorazione: picrococciniglia. — Sezioni sa- gittali di 20 x. Per la forma della volta della faringe e per la maggior parte delle altre particolarità questo esemplare non differisce da quello Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 183 dell’oss. precedente. Notiamo che l’ipofisi faringea non presenta una porzione verticale; é un bastoncino lungo mm. 0,560, spesso mm. 0,100, che, mantenendosi nello spessore della mucosa, termina rostralmente nell’epitelio ad una certa distanza dell’angolo fra il margine caudale del setto nasale e la superficie dorsale del velo. Neppure in questo esemplare si trova la borsa faringea. Oss. V. Feto del 3? mese di lunghezza imprecisata (appartemente alla colle- zione del Prof. R. Fusari). — Sezioni sagittali di 30 w. ciascuna. Anche questo esemplare non differisce da quello testé descritto per particolarità notevoli. L'ipofisi faringea ha la stessa topografia; consta di cellule poligonali non ancora ordinate in modo speciale. Nell'ipofisi cerebrale appare ridotta la parte vescicolare, in quanto essa copre solo la faccia caudale del iobo anteriore. La buona fissa- zione permette di vedere che l'epitelio di rivestimento della vescicola porta un orletto con brevi cilia pescanti nella cavità. Sono ben sviluppati i prolungamenti avvolgenti, che presentano un certo numero di cavità simili per struttura alla cavità principale della vescicola, la quale ora non è più unica, ma suddivisa in cavità secondarie. Manca la borsa faringea. Oss. VI. Feto della lunghezza v. c. di mm. 90. Fissazione: formalina 10°/,. — Colorazione: picrococciniglia. — Sezioni sagit- tali di 20 «. ciascuna. L’ipofisi faringea di questo esemplare, notevolmente più lunga che nelle oss. precedenti (mm. 1,319) e di poco più spessa (mm. 0,100), termina rostralmente allo stesso punto in cui termina quella degli esemplari delle oss. III, IV e V, caudalmente invece si spinge fuori della mucosa nel pericondrio dello sfenoide cartilagineo, avendo la sua estremità caudale in un piano frontale passante per la parete anteriore della sella turcica. Non v'è una porzione verticale. Le cellule sono disposte a cordoni e follicoli. | Nell'ipofisi cerebrale troviamo che, per lo sviluppo acquistato dai prolungamenti avvolgenti, il lobo nervoso ha un manicotto ghiandolare quasi continuo, che si estende anche sul peduncolo. La parete della vescicola, appoggiata al lobo nervoso (strato epiteliale) è ispessita; delle cellule che la costituiscono soltanto quelle limitanti immediatamente 184 Angelo Cesare Bruni, le cavità sono prismatiche, le più esterne sono basse e tendono ad ordinarsi in cordoni. Inoltre la cavità della vescicola forma delle estroflessioni, che penetrando nello strato epiteliale ed isolandosi vi formano delle cavita secondarie. Abbiamo in questo esemplare nel piano mediano, all'estremità cau- dale della volta faringea, una borsa faringea molto ben sviluppata simile a quella dell'oss. II. Oss. VII. Feto della lunghezza v. c. di mm. 100. Fissazione: Kleinenberg. — Colorazione: picrococciniglia. — Sezioni sagittali di 20 « ciascuna. L'ipofisi faringea molto lunga e sottile (mm. 0,050) consta di una porzione orizzontale (mm. 1,536) e di una breve porzione verticale (mm. 0,119). A differenza di quanto notammo negli esemplari delle oss. precedenti, essa termina cranialmente in corrispondenza dell'angolo fra la faccia dorsale del velo ed il margine caudale del setto nasale. La porzione verticale si impianta sull'epitelio della mucosa faringea rigonfiandosi. La ghiandola é tutta situata nello spessore della mucosa. La fig. 43 dimostra a piccolo ingrandimento in una sezione un po laterale i rapporti dei prolungamenti avvolgenti col lobo nervoso e col suo peduncolo; notiamo come questi prolungamenti (costituenti un manicotto continuo) contengano propageini della cavità della ve- scicola, che per la maggior parte si sono rese indipendenti. Lo strato epiteliale è molto spesso. Nel lobo anteriore, in cui le cellule sono disposte a cordoni e follicoli, é nettissima la distinzione di elementi e gruppi di elementi pit intensamente colorabili degli altri. Esiste nella posizione tipica la borsa faringea, col legamento di Froriep. Essa parte da un recesso faringeo. Oss. VIII. Feto della lunghezza v. c. di mm. 140. Fissazione: Müller-formolo. — Colorazione: picrococciniglia. — Sezioni sa- gittali di 20 4. ciascuna. L’ipofisi faringea ha forma di pera lunga mm. 1,169; il suo spes- sore massimo è di mm. 0,334. Essa è situata nella mucosa faringea, più vicino all’epitelio che al periostio della base cranica; dista egual- mente dal piano frontale passante per l’angolo tra velo e setto e da quello passante per la parete rostrale della sella turcica; consta di Sullo sviluppo del lobo ghiandolare deil'ipofisi negli Amnioti. 185 cordoni cellulari pieni con elementi molto colorabili ed altri poco colorabili. La sua estremità rostrale non è più confusa coll’epitelio della mucosa. Nell’ipofisi cerebrale le cellule del lobo anteriore — cromofile e cromofobe — sono ordinate a cordoni e prevalentemente a follicoli. Lo strato epiteliale del lobo nervoso consta di cordoni prevalentemente cromofobi e di vescicole, derivate dalla vescicola principale. la quale, pei numerosi di verticoli della cavità ha una forma molto irregolare. Esiste un recesso faringeo, ma non una borsa. Oss. IX. Feto a termine. Fissazione: formalina 10°/,. — Colorazione: picrococciniglia. — Sezioni sagit- tali di 20 «. ciascuna. Fu sezionata soltanto la mucosa della volta faringea col periostio della base cranica. L’ipofisi faringea, situata parte nel periostio, parte nella mucosa, é nastriforme e si estende dal margine rostrale della tonsila faringea fino ad una certa distanza dall’angolo tra setto e velo; si perde quivi nel tessuto linfoide della mucosa. Consta di cordoni pieni disposti longitudinalmente in modo assai regolare. Molti erossi vasi capillari sono frammisti ai cordoni ed hanno essi pure una direzione prevalentemente longitudinale. III. Riassunto e discussione dei reperti. A) Sviluppo dell'ipofisi (porzione ghiandolare) nei Rettili. Per quanto mi risulta dalle ricerche in gongylus ocellatus posso asserire che il primo abbozzo della porzione ghiandolare dell’ipofisi è dato dalla tasca di Rathke. Poichè nello stadio più precoce da me preso in esame la membrana faringea è già scomparsa, e d’altro lato pare dalle ricerche degli AA. che Vipofisi dei rettili cominci ad ab- bozzarsi dopo che è rotta la membrana faringea (Hoffmann, Valenti), non è facile dare la prova tangibile, che quella che io ho indicato come tasca di Rathke sia di origine ectodermica; è tuttavia questa una questione che si può ritenere risolta, essendovi al riguardo pieno accordo fra gli AA. La forma dell’abbozzo ipofisario, sorgente dalla faringe, è dunque in origine quella di una vera tasca appiattita in senso craniocaudale, 186 | Angelo, Cesare Bruni, che ci appare quadrilatera nel suo prospetto rostrale, notevolmente più estesa in senso frontale che in altezza. | Dietro alla tasca di Rathke Vepitelio forma una insenatura tras- versale, che percorre tutta la volta faringea. Questa insenatura della superficie interna, cui corrisponde una sporgenza della superficie esterna della lamina epiteliale, viene comunemente indicata col nome di tasca di Seessel, sebbene la profondita sia sempre cosi scarsa, che la forma non corrisponde a quella di una tasca. Sulla sua pertinenza all’ento- derma, cioè all’intestino cefalico non vi è dubbio, specialmente se teniamo presente l’asserzione di His che il margine caudale dell’aper- tura di sbocco della tasca di Rathke nella faringe, segna il luogo di inserzione della membrana faringea scomparsa. Perforatasi la membrana faringea, fra le tasche di Rathke e di Seessel lepitelio forma una piega sporgente nell’interno del cavo faringoorale, la piega faringea o velo del palato primitivo. Ora il margine libero di questa piega nella sua porzione appartenente all'ento- derma secondo il concetto di His, in stadii precoci dello sviluppo del- l’ipofisi presenta a sua volta una insenatura, che si manifesta sulla superficie esterna della lamina epiteliale buccofaringea come un diver- ticolo medio, essendo situato fra le tasche di Rathke e di Seessel Nella fig. 1 abbiamo visto i tre diverticoli (tasca di Rathke, diverti- colo medio, tasca di Seessel) contemporaneamente presenti. Di essi il piu rostrale (tasca di Rathke) & destinato a dare tutta o almeno la massima parte della ghiandola ipofisaria; del diverticolo medio non ho potuto seguire sistematicamente il destino, è certo però che in breve non se ne distingue più alcuna traccia (fig. 2a), sebbene per le considerazioni che esporremo nel paragrafo D una sua partecipazione alla costituzione dell'ipofisi non si possa escludere a priori; la tasca di Seessel si conserva e si fa anche gradatamente più profonda, fino all’epoca in cui l'abbozzo ipofisario comincia ad isolarsi dalla volta della faringe (fig. 4a), poi scompare, appianandosi, senza lasciare traccia (fig. 4b) e senza partecipare in modo alcuno alla formazione dell’ipofisi. L’abbozzo ectodermico, procedendo nello sviluppo acquista una forma trilobata caratteristica. Dei tre lobi il medio, destinato a Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 187 mettersi in rapporto col processo infundibolare del cervello appena questo si forma, origina come un diverticolo dalla parte più distale della parete rostrale della tasca di Rathke (fig. 2a) dirigendosi rostralmente e dorsalmente, cosicchè il suo asse forma un angolo coll'asse della tasca. Intanto i margini laterali della tasca, special- mente verso il fondo, si arrotondano e si rigonfiano costituendo i lobi laterali. La posizione del lobo medio si modifica presto, inquanto- ché il suo asse viene a disporsi sul prolungamento dell'asse della tasca di Rathke (fig. 2a e 2b) ed i lobi laterali acquistano una indi- pendenza mageiore, formando due vescicole sferiche ai lati del lobo medio. A questo stadio si può veramente avere l'impressione che i lobi laterali si siano formati indipendentemente sui lati di un diverti- colo ipofisario mediano, come Gaupp ha sostenuto. L'abbozzo trilobato dell'ipofisi del gongylus si cambia in un ab- bozzo a quattro lobi e nello stesso tempo comincia ad isolarsi dal- l’epitelio della faringe in un periodo dello sviluppo, che coincide esattamente con la condrificazione delle cartilagini sfenooccipitale e sfenoetmoidale. Nello stadio rappresentato dalle figure 2b e 4a la | cartilagine sfenooccipitale è già formata, e nel campo della futura cartilagine sfenoetmoidale è molto prossima la condrificazione. A quest'epoca vediamo sollevarsi ed ispessirsi un tratto di epitelio della volta faringoorale ventralmente alla parete rostrale della tasca di Rathke. Il solco poco profondo che delimita quest'area, unendosi al soleo che delimita caudalmente la regione della tasca di Jathke, viene con esso a circoscrivere molto nettamente ciò che si può chiamare zona ipofisaria della lamina epiteliale faringoorale. Ed infatti coll'iniziarsi della condrificazione nel campo della cartilagine sfenoetmoidale, questa zona viene a farsi molto più elevata ed il soleo che la delimita si approfondisce considerevolmente. Allora la zona ipofisaria resta unita alla lamina buccofaringea per una por- zione strozzata, un peduncolo cavo — il peduncolo faringoipofisario (fiv. 4a e 4b). Con questo lipofisi ha raggiunta. nelle linee generali, la sua dis- posizione definitiva. Essa consta di un lobo medio, che conserva sempre il suo rapporto coll’infundibolo ed ha una posizione dorsale e 188 Angelo Cesare Bruni, caudale rispetto agli altri; di un lobo anteriore (rostrale), che & quello formatosi per ultimo rostralmente alla tasca di Rathke; di due lobi laterali, che hanno anche una posizione caudale nel corpo della ghiandola. Nell’ulteriore sviluppo il lobo medio, cavo, emette un diverticolo a dito di guanto dalla sua parete rostrale; il diverticolo, cavo pur esso, si interpone fra la porzione di cervello situata fra l’infundibolo ed il chiasma dei nervi ottici e la parte rostrale della ghiandola ipo- fisaria. Il lobo anteriore perde la cavità, mentre emette gemmazioni dapprima della sua faccia dorsale, poi dalle altre faccie. La scom- parsa della cavità procede poi in senso rostrocaudale risparmiando solo la sommità del lobo medio ed il suo diverticolo. Intanto la lobazione si va facendo sempre meno evidente, tanto più che i lobi laterali, perduta anch’essi la loro cavità, si allungano in direzione laterale, facendosi peduncolati, fino a raggiungere la parete cerebrale, che compenetrano intimamente, attraversando la pia, mentre si isolano . dal resto della ghiandola per riduzione totale del loro peduncolo. Il peduncolo faringoipofisario riduce man mano il suo diametro ed il suo lume. Quando comincia l’ossificazione nel campo delle carti- lagini sfenooccipitale e sfenoetmoidale, esso, che era già ridotto ad un sottile cordone cellulare solido, comincia a perdere la sua continuità col corpo dell’ipofisi. Si conserva più a lungo, pur facendosi alquanto più sottile, la sua porzione prossimale, ventrale. Nello stadio più avanzato da me preso in esame, ne persiste ancora un residuo come un’asticina verticale, che si innalza per breve tratto sull’epitelio faringeo. Quanto alla struttura, l'abbozzo dell'ipofisi, finché consta di forma- zioni cave, è fatto di epitelio prismatico, semplice dapprima, poi stratificato, che delimita le cavità. Questa struttura persiste laddove persiste una cavità (sommità del lobo medio, suo diverticolo rostrale). Dove la cavità scompare, gli elementi si fanno poliedrici e tendono a disporsi in cordoni, come quelli che costituiscono le gemme emananti dalla superfice esterna dell' organo. Nell’esemplare più avanzato nello sviluppo da me preso in esame pare anche iniziato il differenziamento degli elementi eromofili e cromofobi. Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 189 In nessuno degli stadii ch'io ebbi opportunità di studiare la corda dorsale ha rapporti diretti con le formazioni che ci interessano. Paragonando ora questi risultati delle mie ricerche in gongylus con quelli ottenuti dagli AA. che mi precedettero nello studio dello sviluppo dell’ipofisi dei rettili, mi limiteró ad accennare ai punti più controversi, o pei quali è più necessaria una conferma. 1°) Posso confermare l’esistenza di un diverticolo medio, posto fra le tasche di Rathke e di Seessel, nei primi stadi dello sviluppo dell’ipofisi, poco dopo la scomparsa della membrana faringea. A questo riguardo abbiamo un'unicà osservazione di Valent; in un embrione di lacerta agilis della lunghezzà di mm. 3,5 (1898, fig. 9). Del proba- bile significato di questo diverticolo discuterò più avanti (paragrafo D). 25 Secondo me la formazione dei lobi laterali non è primitiva ed indipendente dalla formazione del diverticolo ipofisario mediano (tasca di /athke), ma secondaria, dovuta ad una semplice modifica- zione di forma dei margini laterali della tasca di Rathke, che è l'ab- bozzo primitivo unico dell'ipofisi. Vengo così a confermare l'opinione di Staderini contro quella di Gaupp. 3°) Per il modo di formazione del lobo craniale ed in genere per lo stabilirsi della forma definitiva dell’ipofisi, i risultati delle mie ricerche appoggiano quelli ottenuti da Gaupp con lo studio di altri saurii. Noterò al riguardo che la descrizione del lobo anteriore data da Staderini non concorda con quella data da Gaupp essenzialmente pel fatto che Staderini dà il nome di lobo anteriore al diverticolo rostrale del lobo medio, la cui esistenza, già accennata da Gaupp viene da me confermata. 4°) Per l’evoluzione dei lobi laterali, così come per la loro ori- gine, non ho nulla da aggiungere alla esattissima descrizione di Staderini. 5°) Finalmente debbo rilevare che in gongylus e verosimilmente in tutti i rettili, contrariamente a quanto vedremo succedere in amnioti più elevati, non pare che l'entoderma prenda parte notevole allo svi- 190 Angelo Cesare Bruni, luppo dell'ipofisi. Cosi per questo saurio confermo l'opinione sostenuta dala grande maggioranza degli AA. per tutti i vertebrati. B) Sviluppo dell'ipofisi (porzione ghiandolare) negli Uccelli. Nell’embrione di pollo, poco prima che sopravvenga la rottura della membrana faringea, si osservano due grandi diverticoli nella volta faringoorale. Uno sta rostralmente alla membrana, è quindi certamente ectodermico e costituisce l'angolo ipofisario di Mihalkovies; l’altro: sta caudalmente alla membrana e non è che il fondo cieco dell'intestino cefalico. Questo a sua volta presenta due diverticoli minori, uno più rostrale dovuto al passaggio dell’epitelio della volta dell’intestino sulla membrana faringea, l’altro più caudale, dovuto all'influenza della piegatura cefalica del vertice. | Rottasi la membrana faringea, troviamo al posto dell'angolo ipo- fisario la tasca di Rathke ed al posto del fondo cieco dell'intestino anteriore la tasca di Seessel, rappresentata da un solco, che attraversa in senso frontale tutta la volta faringea. Tra le due tasche vi € una piega, sporgente nella cavità farin- goorale — la piega faringea o velo del palato primitivo. Della tasca di Seessel è più elevata la parte mediana, la cui sommità è allacciata alla parete caudale della tasca di Rathke da un ponte epiteliale — la così detta fusione ectoentodermica di Valenti (fig. 5). La fusione ectoentodermica ha un'esistenza effimera; presente in- fatti in un embrione di 74 ore di incubazione non è più visibile in uno di 82 ore. Crescono invece molto attivamente in altezza le tasche di Rathke e di Seessel, che si vedono alla 82? ora indipendenti e separate sulla superficie esterna della lamina epiteliale faringoorale da un soleo profondissimo, sulla superficie interna da una piega faringea molto alta (fig. 6). Ma in embrioni pitt avanzati di una decina di ore, le due tasche hanno di nuovo fra di loro dei rapporti intimi, molto piü intimi, anzi, di quelli che erano prima stabiliti dalla fusione ectoentodermica. In- fatti, essendosi interrotta nella sua parte mediana la piega faringea, la tasca di Seessel è entrata a formare un tutto solo con la porzione più Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 191 ventrale e mediana della tasca di Rathke, e la parete caudale della tasca di Rathke passa direttamente nelle pareti laterali e nell’apice della tasca di Seessel (fig. 7 e fig. 27). Cosi si viene man mano a stabilire sulla sommità della volta faringoorale una cavità di forma cubica, la cui parete rostrale € data dalla parte pitt ventrale della parete rostrale della tasca di Rathke; le pareti laterali sono date dalle pareti laterali della tasca di Æathke (rostralmente) e della tasca di Seessel (caudalmente), continuantisi direttamente le une nelle altre; la parete caudale è data dalla parete caudale della primitiva tasca di Séessel; la parete dorsale è data dall’apice della primitiva tasca di Seessel e dai residui, continuantisi luno nell'altro, della porzione mediana ventrale della parete caudale della tasca di Rathke e della parete rostrale della tasca di Seessel. La parete ventrale finalmente manca, essendovi al suo posto l'apertura di sbocco quadrilatera della cavità in questione nel cavo faringeo. Per la formazione ora descritta mi pare adatta la denominazione di vestibolo faringotpofisario. | Appena il vestibolo é costituito, dalla sua parete dorsale e preci- samente dalla porzione caudale di essa, di origine entodermica, dietro alla porzione non vestibolare della tasca di Rathke, sorgono due gemme, che facendosi cave alla base acquistano anche l'aspetto di diverticoli: una caudale, per essersi formata sull'apice della primitiva tasca di Seessel, si può chiamare gemma della tasca dà Seessel, l'altra, per la sua posizione fra la tasca di Rathke e la gemma della tasca di Seessel, si può chiamare diverticolo (0 gemma) medio (fig. 8). La tasca di Rathke e le due gemmazioni hanno tutte parte nell'ulteriore sviluppo dell’ipofisi. Mentre avvengono così importanti modificazioni nella parte ven- trale, prossimale, della tasca di Rathke, che si fonde con la tasca di Seessel, nella parte distale di essa, cioè nel suo fondo, si svolgono altre modificazioni, che per altro già si erano iniziate quando la tasca di Rathke era ancora del tutto indipendente da quella di Seessel. Queste modificazioni corrispondono esattamente a quelle che abbiamo visto in gongylus ocellatus e che portano alla costituzione di un lobo medio e di due lobi laterali. Anche qui il lobo medio si forma come 192 Angelo Cesare Bruni, un diverticolo della estremita dorsale della parete rostrale della tasca ed i lobi laterali si formano per arrotondamento ed ingrossamento dei margini laterali della tasca, verso il fondo. Anche nel pollo poi, il lobo medio, formatosi in modo da avere in principio una dire- zione diversa da quella della tasca, viene in seguito a prenderne la stessa direzione, come appare paragonando le figure 6, 7, 8 fra di loro. Nello stadio in cui il vestibolo faringoipofisario porta sulla parete dorsale i tre diverticoli situati a distanza pressoché uguale fra di loro (1062 ora di incubazione, fig. 8), la parte distale della tasca di Rathke presenta evidenti i lobi laterali ed un lobo medio; quest'ultimo, molto alto e coi margini laterali arrotondati (fig. 11b), è situato nella stessa direzione della rimanente parte della tasca. Intorno a quest'epoca (5° giorno di incubazione) si iniziano da parte di organi scheletrici e vascolari, circostanti alle formazioni in questione, delle modificazioni, che evidentemente esercitano una influenza meccanica sull’andamento dell'ulteriore sviluppo dell’ipofisi. Le modi- ficazioni consistono nello stabilirsi di ispessimenti localizzati del mesenchima, che preludono alla condrificazione delle cartilagini sfeno- occipitale e sfenoetmoidale e nella formazione di una anastomosi molto considerevole fra le due carotidi interne destra e sinistra, subito dorsalmente all'apice della gemma della tasca di Seessel, tra questa ed il diverticolo medio. Il primo effetto delle modificate condizioni degli organi circostanti si manifesta verso la fine del 5° giorno di in- cubazione, e consiste in un grande avvicinamento del diverticolo medio alla parete caudale della tasca di Rathke. e nella comparsa di un lieve solco, che, continuando la profonda e larga incisura fra gemma della tasca di Seessel e diverticolo medio, forma un anello il quale strozza in un piano obliquo una porzione dorsale e rostrale del vesti- bolo faringoipofisario, interessandone la parte più rostrale delle pareti dorsale e laterali, e la porzione piü dorsale della parete rostrale (fig. 9). L'affondarsi del soleo ora descritto, dovuto al procedere della condrificazione nel campo dello sfenoide ed al grande sviluppo man mano acquistato dal ramo comunicante delle carotidi, fa si che si Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 193 formi un vero peduncolo, pel quale ho ritenuta appropriata la deno- minazione di peduncolo vestiboloipofisario. Formatosi il peduncolo viene ad essere isolata dalla volta faringea la vescicola ipofisaria, che consta percid di una grande porzione ecto- dermica, derivante dalla tasca di Aathke, nella quale si conserva abbastanza evidente la distinzione dei lobi, e di una piccola porzione di origine entodermica, proveniente dal diverticolo medio, che per un tempo abbastanza lungo si riconosce nella porzione piü ventrale della parete caudale della vescicola. Dopo il 5° giorno di incubazione tutte le pareti della vescicola ipofisaria emettono dalla loro superficie esterna delle gemme piene (fig. 10), che presto diventano cordoni anastomizzati fra di loro. Solo lapice del lobo medio, che conserva 1 rapporti già prima contratti col processo infundibolare, non partecipa a questa attività produttiva e conserva i caratteri primitivi. La vescicola nel suo insieme cambia di forma, perché la sua porzione dorsale si ripiega, formando con la porzione ventrale un angolo aperto caudalmente e ventralmente (fig. 13). La cavità si riduce man mano e scompare. Quanto alla struttura, abbiamo dapprima, come in gongylus, un epitelio prismatico alto, cogli elementi disposti radialmente, intorno alle cavità; man mano poi che le cavità si riducono, le cellule, a cominciare dalle piü esterne, si fanno poliedriche come quelle dei cor- doni. Verso il 9? eiorno di incubazione si possono distinguere cellule cromofile e cromofobe. Il peduncolo vestiboloipofisario, dopo formato, continua ad allun- garsi in relazione coll’aumentata distanza tra la faccia endocranica dello sfenoide e l'epitelio della mucosa faringea. I suoi rapporti col vestibolo faringoipofisario e con la gemma della tasca di Seesse/ rimangono inalterati per tutta la durata del 6? giorno di incubazione, durante il quale periodo il vestibolo faringoipofisario si restringe in tutte le direzioni e particolarmente in direzione trasversale, mentre la porzione della faringe in cui esso sbocca si modifica per lo svi- luppo delle tube eustaechiane, diventando l’infundibolo tubario. A cominciare dal principio del 7° giorno il restringersi della finestra ipofisaria del cranio per l’avanzare della condrificazione agisce più Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI. 13 194 Angelo Cesare Bruni, sensibilmente sul vestibolo faringoipofisario obbligando, da un lato, il vestibolo a ridursi anche in senso craniocaudale e, dall’altro, la gemma della tasca di Seessel ad accollarsi al peduncolo vestiboloipo- fisario. Dapprima pare che l’influenza del restringersi della finestra ipofisaria sia sentita soltanto dalla parte piü ventrale del vestibolo, che si strozza come appare nella fig. 13, mentre la gemma della tasca di Seessel è probabilmente impedita di accostarsi al peduncolo vesti- boloipofisario per la presenza del grosso vaso anastomotieo fra le carotidi. Ma, di pari passo coll’allungarsi del peduncolo, procede Vinnalzamento del vaso; allora la gemma della tasca di Seessel si accolla al peduncolo, che va intanto perdendo il suo lume, mentre il vestibolo faringoipofisario scompare come tale ed il suo residuo, costi- tuendo la continuazione ventrale del peduncolo vestiboloipofisario, viene con esso a formare il peduncolo faringoipofisario. Malgrado la compressione subita dagli organi epiteliali nella finestra ipofisaria, diventata canale craniofaringeo, i detti organi per un certo tempo non presentano segni di degenerazione, e troviamo in essi un discreto numero di cariocinesi, inoltre la gemma della tasca di Seessel cresce abbastanza rapidamente in altezza. Vediamo infatti che, mentre nella seconda metà del 7° giorno essa aderisce tutta al peduncolo vestiboloipofisario, alla fine dell’ 8° giorno il suo apice è libero, ed alla fine del 9° l'apice libero ne è l'unica porzione ricono- scibile, essendo però situato molto più in alto che negli stadii prece- denti; giunge infatti a metà altezza circa del peduncolo faringo- ipofisario (fig. 14, 16, 17). L'ultimo residuo nettamente distinguibile della gemma della tasca di Seessel, che io abbia potuto osservare, ha la forma di uno sperone del peduncolo faringoipofisario, diretto caudalmente e terminato da una dilatazione vescicolare cava. Con questo non è detto che nel peduncolo faringoipofisario degli uccelli non si conservino elementi entodermici. Nel pollo è vero che oltre il 10° giorno non si distingue più lo sperone entodermico; non possiamo però ammettere che non resti nulla della porzione di gemma della tasca di Seessel che si fonde col peduncolo faringoipofisario, mentre è certo che questo peduncolo si evolve ed acquista una particolare struttura formando cordoni e Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 195 cavita circondate da epitelio basso, e che inoltre rimangono di esso dei residui non trascurabili nel canale craniofaringeo dell’animale adulto. Nel passero poi è anche più probabile che la gemma ento- dermica partecipi alla costituzione di quei cordoni ipofisarii, che, in numero ragguardevole, occupano una gran parte del canale cranio- faringeo, notevolmente ampio anche dopo la nascita. Nei tratti, in cui il peduncolo faringoipofisario scompare, esso viene sostituito da un fascio di tessuto connettivo. Abbiamo detto fin qui della evoluzione normale del vestibolo faringoipofisario e della gemma della tasca di Seessel. La loro scom- parsa però può essere notevolmente più precoce: sono da ricordarsi a questo riguardo le oss. XIII e XV, riferentisi ad embrioni dell’ 8° giorno di incubazione, nelle quali trovammo le formazioni in questione affatto rudimentali (oss. XIII), od assenti (oss. XV). Scomparso il vestibolo faringoipofisario, nel pollo si osserva abbastanza sovente che il peduncolo faringoipofisario anzichè attaccarsi all’epitelio faringeo perpendicolarmente, si prolunga in direzione rostrale, decorrendo per un tratto più o meno lungo parallelamente all’epitelio faringeo stesso ed a breve distanza da esso. Ora è lecito supporre, in base a quanto si è visto accadere nell’embrione della oss. XIII. che la porzione di peduncolo, che decorre parallela all’epitelio faringeo, si formi ex novo, sollevandosi dall’epitelio faringeo stesso in uno stadio abbastanza tardivo dello sviluppo — Pei rapporti della corda dorsale con le formazioni che ci inte- ressano ricorderò che quanto abbiamo potuto constatare nella oss. I, che cioè gemmazioni della parete dorsale del fondo ceco dell'intestino cefalico raggiungono la corda dorsale, conferma i reperti di Nicolas. Più tardi la corda non ha più rapporti con le tasche di Rathke o di Seessel fino al 7° giorno di incubazione. Durante questo giorno, invece, l'estremità craniale della corda dorsale tocca l'abbozzo del- lipofisi vicino al punto di contatto fra il lobo medio della porzione ghiandolare e l'infundibolo: peró il punto preciso in cui la corda tocca lipofisi pare spostarsi dorsalmente col progredire dello sviluppo, cor- rispondendo prima alla porzione ghiandolare poi a quella nervosa. Cid prova, da un lato che non si tratta di un'intima fusione, dall'altro 13* 196 Angelo Cesare Bruni, che probabilmente il fatto è puramente occasionale, dovuto special- mente all’ingrossarsi dell’ipofisi. = * Prescindendo dalla fusione ectoentodermica di Valenti, che appare come una formazione transitoria, e non tale da portare nell'ipofisi un apprezzabile contributo di entoderma. vediamo che contributi meno trascurabili e molto evidenti sono portati dal diverticolo medio alla ipofisi cerebrale, e dalla gemma della tasca di Seessel al peduncolo faringoipofisario. Inoltre la stessa tasca di Seessel viene a far parte di questo peduncolo. Circa al comportamento del diverticolo medio confermo pienamente lopinione di Valenti che esso venga a far parte della parete caudale della tasca di Rathke, pur senza ammettere che formi quasi tutta questa parete. Quanto alla fusione della gemma della tasca di Seessel col pedun- colo faringoipofisario, confermo i dati di Seessel specialmente in quanto egli dice che il ramo del peduncolo faringoipofisario da lui veduto nel pollo di 7 giorni d’incubazione non è direttamente la tasca da lui pel primo descritta, ma una evaginazione di questa tasca, che al 5° giorno apparirebbe gia piena. I cenni dell'A. in proposito sono peró molto sommari; degli AA. che ne confermarono i reperti, Dawden non aggiunge nulla, confondendo anzi la tasca di Seessel e la relativa gemma con la tasca di Selenka; Economo dà un’interpretazione affatto diversa. Egli infatti, avendo osservato esattamente che il lobo medio si forma non dal fondo, ma dalla estremità distale della parete rostrale della tasca di Rathke, viene poi a concludere che questo lobo, da lui chia- mato gemma ipofisaria è il punto di partenza di tutta la porzione ghiandolare dell’ipofisi cerebrale e non di una parte soltanto, come in realtà avviene. L’errore è giustificabile, se si considera che il lobo medio della tasca di Rathke, poco dopo formato, per l'arrotondarsi ed il rigonfiarsi dei suoi margini dà origine a due sporgenze laterali, che possono venir confuse coi veri lobi laterali (fig. 11b e c, S’). Esso però ha portato l'A. a considerare come derivato dalla tasca di Rathke, e quindi di origine ectodermica lo sperone che anch'egli vide Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 197 partire dal peduncolo faringoipofisario nel 9° e 10° giorno di incuba- zione. Æconomo ritiene razionale la sua interpretazione, che del resto espone in modo molto chiaro, anche perchè durante il 69— Y? giorno di incubazione non avrebbe trovato nulla che ricordi la tasca di Seessel od i suoi derivati. Evidentemente nelle sue osservazioni su embrioni di questo periodo si imbatté soltanto in casi costituenti eccezioni, come quelli delle mie oss. XIII e XV. Io dello stesso periodo ho esaminato 6 embrioni (oss. VII a XII) ed ho visto sempre la gemma della tasca di Seessel molto sviluppata. I due casi di eccezione da me riscontrati si riferiscono ad embrioni dell’ 8? giorno; anche di questo periodo peró ho descritti due esemplari, in cui la gemma della tasca di Seessel era evidentissima. Probabilmente il procedere piü attivo della condrificazione od altre cause meccaniche, in aleuni casi, fanno si che la gemma della tasca di Seessel o si fonda più presto che di norma col peduncolo faringoipofisario, o sia costretta a ridursi ed a scomparire. L'aecollarsi del diverticolo medio all'abbozzo dell'ipofisi cerebrale, e l'aecollarsi della gemma della tasca di Seessel al peduncolo faringo- ipofisario sono, come già si disse, il risultato di azioni meccaniche. In un primo tempo si ha l'accollamento del diverticolo medio in rela- zione specialmente con lo sviluppo del vaso anastomotico fra le carotidi, i| quale contemporaneamente impedisce che la gemma della tasca di Seessel, pel restringersi della finestra ipofisaria, venga spinta contro il peduncolo faringoipofisario. In un secondo tempo avviene l’accolla- mento della gemma della tasca di Seessel, perché il canale di comunica- zione fra le carotidi si sposta dorsalmente e non è più di impedimento. E lecito supporre che una modificazione delle condizioni meccaniche possa impedire od alterare gli accollamenti in questione. Ma quand’anche non avessimo i due contributi. entodermici sui quali ci siamo ora intrattenuti, lipofisi del pollo e specialmente il suo peduncolo faringeo conterrebbero egualmente elementi entodermici in più che discreta quantità. Questo accade per il particolare modo di fondersi della tasca di Seesse/ e della porzione più ventrale della tasca di Rathke in una formazione unica — il vestibolo faringoipofisario. Le azioni meccaniche, cui abbiamo sopra accennato, agiscono anche 198 Angelo Cesare Bruni, sul vestibolo, strozzondone in un primo tempo la porzione dorsale e rostrale, in un secondo tempo la porzione ventrale, e poi tutto il rimanente fino a ridurlo ad un cordone. Noi sappiamo che del vesti- bolo é di origine ectodermica la meta rostrale, di origine entodermica la metà caudale. Ora, il primo strozzamento del vestibolo (fig. 9 e 10), che determina lisolamento della vescicola ipofisaria con la formazione del peduncolo vestiboloipofisario, fa si che il tratto della parete dorsale del vestibolo, portante il diverticolo medio e situato caudalmente alla tasca di Rathke, quindi entodermico, venga a costituire una piccola parte ventrale della parete caudale della vescicola e tutta la parete caudale del peduncolo vestiboloipofisario. Quando, per lo stabilirsi del secondo strozzamento, il vestibolo faringoipofisario è ridotto a formare la porzione piü ventrale del peduncolo faringoipofisario, questa porzione del peduncolo é necessariamente costituita di ectoderma nella sua metà rostrale, di entoderma nella sua metà caudale. Nessun A., per quanto io mi sappia, ha finora minutamente de- scritto il vestibolo faringoipofisario, e tanto meno gli ha attribuito l’importanza che in realtà mi pare esso abbia. Tuttavia non è sfuggito, e non l'arrebbe potuto, data la sua evidenza, ad alcuni ricercatori. Dursy infatti accenna che nel pollo l'apertura imbutiforme nella faringe del peduncolo faringoipofisario é ancora presente, quando gia il pedun- colo ha perduto il suo lume. Æconomo dichiara che nel pollo e nel piccione la tasca di Seessel é assorbita nell’allargamento della parte ventrale della tasca di Rathke formando la parete caudale della in- senatura della volta faringea, nei lati della quale si aprono le tube auditive !). Nicolas e Weber dicono molto chiaramente che nell’anitra, scomparsa la membrana faringea, la parte ventrale della parete caudale della tasca di Rathke viene formata dell'entoderma. Per ciö che riguarda lo stabilirsi della forma definitiva della porzione ghiandolare dell’ipofisi degli uccelli, le mie ricerche mi por- tano a confermare quanto é gia noto per le ricerche di varii AA, sia sul modo di formarsi dei lobi (Æconomo, Rossi), sia sul modo di !) In realtà il vestibolo faringoipofisario non & l'infundibolo tubario, peró esso si apre nella parete dorsale di quest'ultimo, e non si puó senz'altro escludere che con la sua parte più ventrale concorra anche a formarlo (Fig. 12.) Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 199 proliferare delle pareti della vescicola (Mihalkovies), sia sulla estrema piccolezza della porzione di vescicola che, stando in rapporto col- Vinfundibolo, conserva i caratteri primitivi (Sterzi). Mi limiterò a ricordare il modo di ripiegarsi della vescicola, formando un angolo aperto caudalmente e ventralmente, perché differisce da quello che si riscontra negli altri amnioti. C. Sviluppo dell'ipofisi (porzione ghiandolare) nei Mammiferi. 1. Sviluppo dell'ipofisi cerebrale. Lo studio dello sviluppo dell'ipofisi è molto meno agevole pei mammiferi che per gli uccelli, da un lato per la maggior difficoltà di procurarsi gli stadii opportuni, dall'altro per la rapidità con la quale aleuni processi si svolgono, sempre grandissima, ma non uguale nei vari individui, ragione per cui di due esemplari quello che si trova ad un grado di sviluppo generale piü avanzato puó presentare uno stadio meno progredito dello sviluppo dell'ipofisi. i La serie di embrioni di mus che ha servito alle mie ricerche non si può considerare senza lacune, è tuttavia sufficiente a permetterci di ricostruire nelle linee generali l'evoluzione dell'organo che ci interessa, tanto più poi se teniamo presenti le disposizioni osservate nel pollo tutte perfettamente comparabili con quelle riscontrate in mus. Nello stadio più precoce da me preso in esame vediamo elevarsi dalla volta della faringe tre diverticoli: la tasca di Rathke, la tasca di Seessel ed un diverticolo medio, che si presenta come una evagi- nazione della cavità faringea nel margine smusso del velo del palato primitivo (fig. 18). Possono servire a colmare la lacuna esistente nelle mie osserva- zioni fra questo stadio ed il successivo, quelli rappresentati da Rossi (1906) nelle sue figure 32 e 33 (T. v) nelle quali vediamo anche ele- varsi tre diverticoli dalla volta faringea. In questi esemplari è appena iniziata la formazione dell’infundibolo, mentre non lo è ancora nella mia oss. I. La tasca di Seessel nelle citate figure di Rosse appare molto alta. Tra lo stadio illustrato da Rossi nella fig. 33 e quello illustrato nella fig. 34 vi sono delle differenze molto profonde. Para- 200 Angelo Cesare Bruni, gonando tuttavia la fig. 34 dell’A. con le mie 19 e 37, credo di potermi associare all’opinione di Rossi, che una traccia di quello che io chiamo diverticolo medio, sia ancora riconoscibile nella specie di gobba (M) che la porzione mediana della parete caudale della vescicola ipofisaria, ispessendosi, costituisce ventralmente all’apice del processo infundibolare. Nella stessa fig. 34 di Rossi è anche evidente, sebbene l'À. non vi accenni, la formazione indicata con 8’ nelle mie figure 19 e 37. L'abbozzo dell’ipofisi, a questo stadio, ha gia presa una forma vescieolare. La vescicola, schiacciata in senso rostrocaudale, ha forma di lente concavoconvessa, di cui la faccia concava è la rostrale ed il polo dorsale si presenta inciso pel rapporto coll’infundibolo (vmeisura infundibolare). Essa tende ad isolarsi dalla volta della faringe, alla quale é riunita per una parte molto ristretta. Le ricordate figure 19 e 37 mostrano molto chiaramente come questa parte ristretta, cava, consti di un piccolo vestibolo (vestibolo faringoipofisario), aperto nella cavità faringea, il quale con la sua parete dorsale dà origine cranial- mente ad un brevissimo peduncolo, che passa poi nella vescicola ipo- fisaria, cavo anch’esso (peduncolo vestiboloipofisario), e caudalmente ad una gemmazione piena. Che la parte craniale del vestibolo derivi dalla tasca di Rathke non ha bisogno di essere dimostrato; che la parte caudale derivi dalla tasca di Seessel è sufficientemente provato del fatto che essa si continua direttamente sui lati col solco della parete dorsale della faringe rappresentante appunto questa tasca. La gemmazione piena che si eleva dalla parte caudale del vestibolo corrisponde perciò certamente alla gemma della tasca di Seessel del pollo, e merita lo stesso nome. Questa gemma (fig. 19, S") è intimamente addossata alla parete caudale del peduncolo vestiboloipofisario ed alla porzione più ventrale della parete caudale della vescicola ipofi- saria; poiché l'epitelio che la costituisce ha intima aderenza coll’epitelio delle formazioni dette e non ne è distinguibile per particolarità di struttura, ne viene che essa può attirare l’attenzione solo quando se ne considerino la forma complessiva ed i rapporti in una ricostruzione plastica. Nel topo adunque, come nel pollo, si formano in periodi abbastanza precoci dello sviluppo: a) un vestibolo faringoipofisario ectodermico nella 2nd Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 201 porzione rostrale, entodermico nella porzione caudale; 5) un peduncolo vestiboloipofisario, che nella sua parte caudale contiene con tutta pro- babilità elementi del diverticolo medio; c) una gemma della tasca di Seessel entodermica; d) infine una vescicola zpofisaria, esclusivamente ectodermica nella sua parete craniale, contenente con tutta probabilità elementi entodermici del diverticolo medio nella parete dorsale. Quasi appena formata, la vescicola ipofisaria subisce una lieve ripiegatura a concavità craniale del suo asse verticale, dorsoventrale, e sopratutto si ispessisce nella sua parte piü ventrale specialmente nella parete rostrale, formando un cercine trasversale, le cui estremità laterali tendono, rigonfiandosi, a farsi sporgenti, costituendo i lobi laterali di Chiarugi. Nell’ulteriore sviluppo vediamo che il restringersi della finestra ipofisaria durante l'evoluzione del cranio primordiale, produce uno strozzamento del vestibolo faringoipofisario, il quale comincia a mani- festarsi nella parte più ventrale di questo e si estende poi dorsalmente, facendo sì che tutto il vestibolo si riduca ad un semplice peduncolo faringoipofisario, prima cavo e poi solido. Intanto la gemma della tasca di Seessel, che nel frattempo cresce in altezza (fig. 20, 22, 23), cessa di essere distinguibile nella sua porzione più ventrale e per un certo tempo rimane visibile solo nella sua estremità dorsale, accollata alla porzione più ventrale della parete caudale della vescicola ipofisaria. Più lentamente procedono le modificazioni di questa ultima, che ha ancora la forma descritta nei primi stadii, allorquando il peduncolo faringoipofisario è già un cordone cellulare pieno e la gemma della tasca di Seessel è già confusa con la sua parete caudale. Vero si è che i fenomeni ora accennati si svolgono così rapidamente che troviamo lo stadio iniziale e lo stadio finale in embrioni della stessa lunghezza, anzi l'embrione dell’oss. II, misurato dal vertice al coccige, è più breve di quello dell’oss. VIII. Soltanto quando comincia a rompersi il peduncolo faringoipofisario in vicinanza dell’epitelio faringeo, la forma della vescicola si modi- fica, essenzialmente perchè il cercine rostrale, ventrale viene ad ac- quistare una certa indipendenza e costituisce un vero lobo a sè, unito alla porzione caudale della ghiandola per una parte strozzata (fig. 26). 202 Angelo Cesare Bruni, Il peduncolo faringoipofisario appare sempre dipendente da questa porzione rostrale della ghiandola come lo appariva prima dal cercine rostrale ventrale. Con lo svolgersi delle modificazioni successive vediamo che quello da nol ora descritto come un lobo rostrale non rimane da solo a costituire il lobo rostrale (anteriore) definitivo, poiché caudalmente ad esso dalla porzione rostrale e ventrale della parte vescicolare dell'ipofisi si differenzia della sostanza ipofisaria identica per struttura a quella costituente il predetto lobo, ed é questa che costituisce la massa prin- cipale del lobo anteriore definitivo, mentre la parte derivata dal cer- cine diventa il cosi detto prolungamento limguale. Se peró persiste un residuo del peduncolo faringoipofisario, questo residuo appare ancora dipendenza diretta del prolungamento linguale (fig. 40). | Contemporaneamente la parte della vescicola non adibita a formare il lobo anteriore definitivo, si ripiega in modo che, mentre la sua porzione ventrale resta addossata alla faccia caudale del lobo ante- riore, la sua porzione dorsale si adagia sulla faccia dorsale di det- to lobo. Fin qui abbiamo detto delle modificazioni successive di forma. Quanto alla struttura abbiamo dapprima cellule prismatiche disposte in varii strati, le quali differiscono dalle cellule pit basse dell’epitelio del cavo faringoorale, oltre che per l'altezza, anche pel fatto che esse non contengono particolari granulazioni protoplasmatiche grosse, tingibili con la picrococciniglia che si trovano tanto negli elementi ectodermici, quanto negli entodermici del cavo faringoorale (fig. 38). Quando Vipofisi ha preso forma vescicolare e si è formato il cercine rostrale, in quest'ultimo le cellule centrali si presentano di forma poligonale, mentre quelle periferiche sono ancora prismatiche (fig. 39); questo ci indica che l'accrescimento del cercine si fa per produzione di nuove cellule dalla periferia verso il centro. Quando si manifesta una notevole indipendenza del cercine rostrale dalla porzione vesci- colare dell’ipofisi (fig. 26), quest'ultima porzione presenta dappertutto cellule prismatiche a disposizione raggiata intorno alla cavità. Fa eccezione la porzione rostrale e ventrale, ove sono prismatiche le sole cellule periferiche, regolarmente disposte in un unico strato, mentre Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 203 le pitt interne sono poligonali; le cellule del cercine sono gia tutte poligonali, ma non ancora disposte a cordoni. Noi sappiamo che il cercine diventera il processo linguale del lobo anteriore, la cui porzione principale vien prodotta dalla parte ventrale e craniale della vescicola, modificata nel modo ora detto. Vediamo che nel suo insieme il lobo anteriore si produce per due proliferazioni successive della stessa porzione ventrale della parete craniale della vescicola ipofisaria, ambedue caratterizzate da un particolare modo di accrescimento centripeto, il quale ha per effetto che la superficie esterna dei centri di proliferazione si mantiene liscia per tutto il tempo, in cui dura questo modo di accrescimento. Quando anche tutte le cellule periferiche sono diventate poligonali, il materiale cellulare del processo linguale e del lobo anteriore si dispone a cordoni pieni per l’insinuarsi in esso di tessuto connettivo e di vasi. A quest'epoca avviene il ripiegamento della porzione con- servatasi vescicolare sul lobo craniale. In nessuno degli stadii dello sviluppo del topo da me presi in esame sono evidenti rapporti diretti della corda dorsale con le forma- zioni che ci interessano. In questo riassunto dello sviluppo dell’ipofisi nei Mammiferi non ho tenuto conto fino ad ora del materiale umano da me esaminato, perchè esso, riferendosi a stadii piuttosto avanzati, non può contribuire alla soluzione dei principali problemi relativi all’origine ed alla prima formazione dell’ipofisi. È invece utile per lo studio degli stadii tar- divi, tanto più che Vipofisi di un feto umano di 40—50 mm (lunghezza v. c.) per forma e struttura corrisponde abbastanza bene a quella di un feto di topo di 18 mm. (oss. XIII). Come sola differenza notiamo una più manifesta tendenza della parte vescicolare ad involgere anche lateralmente e caudalmente il lobo nervoso ed il suo peduncolo. Questo processo di avvolginento parte da tre punti della ghiandola, due laterali, uno mediano ventrale, con la formazione di tre prolungamenti avvol- genti (fig. 43 p. a. m., p. a. L). Ben presto i tre prolungamenti, formando un tutto solo, costituiscono alla porzione nervosa ed al suo peduncolo un vero manicotto. Nel frattempo il lobo craniale aumenta il numero e la complessità dei suoi cordoni, alcuni dei quali si fanno cavi e si 204 Angelo Cesare Bruni, rompono in follicoli; in un feto di 140 mm. si distinguono gia cellule aventi un grado diverso di tingibilita. ; Anche la parte vescicolare si modifica considerevolmente in quanto la cavita, penetrante nei prolungamenti avvolgenti, si suddivide in ca- vita secondarie, ed i processi avvolgenti si rompono in un gran numero di vescichette chiuse da epitelio prismatico. La parete della vescicola principale, che sta in rapporto con la porzione nervosa, ‘si ispessisce e forma delle propageini, contenenti dei prolungamenti della cavità, che compenetrano la porzione nervosa stessa. Le cellule di questa parete, non limitanti direttamente le cavità, diventano poligonali, e costituiscono al lobo nervoso quel rivestimento ghiandolare che viene comunemente indicato col nome di mantello o strato epiteliale del lobo nervoso. ES T * Nei mammiferi, ammettendo che le disposizioni fondamentali osser- vate nel topo siano ripetute negli altri rappresentanti di questa classe, abbiamo veduto che esiste uno stadio abbastanza precoce dello sviluppo dell’ipofisi, durante il quale, fra la tasca di Rathke e la tasca di Seessel si solleva un diverticolo medio. Rossi figura questo stadio, non parla peró di diverticolo medio, poiché spiega la disposizione riscontrata nei suoi esemplari, mettendola in relazione con la formazione del processo infundibolare, il quale deprimerebbe la parete dorsale dalla tasca di Rathke in modo che nelle sezioni sagittali il fondo di questa verrebbe a presentare due diverticoli uno craniale e l'altro caudale alla depressione. Io voglio qui ricordare che nella mia oss. I in mus, nella quale vi è il diverticolo medio, non esiste ancora traccia del processo infundibolare del cervello; la formazione del diverticolo e quindi certamente indipendente dalla azione meccanica dell'abbozzo della porzione nervosa dellipofisi sulla. tasca di Rathke. Potrebbe darsi che il diverticolo medio dello stadio da me descritto fosse desti- nato a scomparire, e che si stabilisse indipendentemente la disposizione figurata da Rossi, ma ció mi pare poco probabile, dato che eli stadii rappresentati nelle fig. 32 e 33 di Rossi sono molto vicini a quelli della mia oss. I, e data sopratutto la grande analogia con quanto si puó dimostrare in modo esauriente nel pollo. Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell'ipofisi negli Amnioti. 205 Cosi stando le cose, il diverticolo medio non solo si forme- rebbe anche in mammiferi, ma verrebbe ancora a fondersi con un tratto abbastanza considerevole della parete caudale della tasca di Rathke. La prova della sua natura entodermica è data dal fatto che subito rostralmente ad esso potei trovare dei residui della membrana faringea. Ma un contributo entodermico più importante all'abbozzo ipofisario è portato a mio avviso dalla tasca di Seessel. Due AA. soli, che io mi sappia descrissero pei mammiferi una partecipazione dell'entoderma alla costituzione dell’ipofisi: Valenti e Nusbaum. Nusbaum ritiene che molto frequentemente la tasca di Seessel prenda uno sviluppo tale da venire a toccare intimamente, con la sua estremità dorsale, l'abbozzo ectodermico dell’ipofisi. Io dissento pro- fondamente dalle vedute di Nwsbawm, pure giungendo alla conclusione, che la tasca di Seessel non solo frequentemente, ma costantemente nei mammiferi si fonde coll'abbozzo ipofisario. La discordanza dipende essenzialmente da questo, che Nusbaum dà il nome di tasca di Seessel ad una formazione che non le corrisponde. Senza ripetere qui quanto già dissi sull'evoluzione della tasca di Seessel, mi limito a ricordare il fatto essenziale, che la gemmazione da essa derivata, col progredire dello sviluppo, si addossa sempre piü intimamente al peduncolo faringo- ipofisario ed alla vescicola ipofisaria, mentre la tasca propriamente detta, dopo un breve periodo di tempo scompare senza lasciar traccia. Ora la fig. 2 di Nusbaum (1896) si riferisce ad un embrione di cane di 14 mm. e rappresenta il peduncolo faringoipofisario gia cosi ridotto che certamente non si può più vedere la gemma della tasca di Seessel addossata ad esso, e la tasca deve già essere anche scomparsa. La formazione epiteliale relativamente molto distante da questo peduncolo, indicata dall’A. come tasca di Seessel è molto probabilmente una di quelle gemmazioni epiteliali della volta della faringe, che si sviluppano in rettili, uccelli e mammiferi caudalmente alla vera tasca di Seessel, e che furono molto accuratamente descritte da Prenant, da Dorello (vet- tili), da Staderini(mammiferi), da Rossi (uccelli e mammiferi). Di queste pro- liferazioni, il cui significato è tuttora oscuro, dice Staderini (1900) 206 Angelo Cesare Bruni, p che la pitt craniale è sempre la più sviluppata: Io poi voglio qui richiamare i cenni descrittivi dati a proposito della mia oss. IX in mus ed illustrati dalla fig. 39. Questa figura ci dimostra come caudal- mente al peduncolo faringoipofisario e ad una discreta distanza da esso si elevi un cono epiteliale, il cui apice si continua in un fascio connettivo denso, che pel suo aspetto lascia anche supporre che con- tenga elementi epiteliali in via di degenerazione. Il fascio giunge quasi a contatto della parete caudale della vescicola ipofisaria. La disposizione rappresentata in questa mia figura 39 mi pare ricordi abbastanza bene quella della fig. 2 di Nusbaum già ricordata. Qualunque ne sia l’importanza essa non ha nessuna relazione con la tasca di Seessel e con la maggiore o minor partecipazione di questa alla costituzione dell'abbozzo ipofisario. Valenti ammette nei mammiferi la partecipazione dell'entoderma alla costituzione dell’ipofisi più per i fatti importantissimi da lui messi in rilievo in altri vertebrati, che per osservazioni dirette. Accenna però a caratteri differenziali fra le cellule di origine ectodermica ed entodermica, caratteri differenziali che a me non fu dato di scorgere nelle cellule dell’abbozzo ipofisario. I fatti da me descritti riguardo alla evoluzione della tasca di Seessel e della sua gemmazione nei mammiferi non trovano dunque riscontro nella letteratura. Per ciò che riguarda lo stabilirsi della forma definitiva dell’ipofisi le mie ricerche confermano in massima quelle di Wihalkovics, Kraus- haar, Lothringer e molti altri, e particolarmente quelle di Salzer. In nessuno stadio dello sviluppo dell’ipofisi del topo ho trovato l’abbozzo così evidentemente trilobato, come esso viene descritto da Weber nei chirotteri e da Bolk nei primati. Quanto alla tendenza che la porzione ghiandolare manifesta ad involgere la porzione nervosa nei mammiferi e particolarmente nell'uomo, confermo in linea generale quanto già ci è noto per le ricerche condotte al proposito in questi ultimi anni da Marro, da Frazer, da Perna, da Staderini, da Tylney, le quali a loro volta richiamano le osservazioni meno recenti di Lethringer, di Royowitsch, di Salzer, di Orru, di Sterzi, di Gemelli e di altri. Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 207 2. Appunti sullo sviluppo dell'ipofisi del canale craniofaringeo e dell'ipofisi faringea. Poiché non ebbi a disposizione embrioni di mammiferi nei quali sia normale la presenza di tessuto ipofisario nell'interno e al disotto della base del cranio ed i feti umani da me presi in esame apparten- gono a periodi relativamente avanzati, non mi e possibile fare qui la storia dello sviluppo dell'ipofisi faringea, ma debbo limitarmi a qual- che considerazione sui fatti isolati, che potei constatare. Essendomi occorso di trovare un canale craniofaringeo, contenente tessuto ipofisario in due embrioni di topo, nei quali era già molto avanzata la condrificazione dello sfenoide, comincieró dalle considera- zioni che mi vengono suggerite dall'esame di questi casi. General- mente si ritiene, che il tessuto ipofisario del canal craniofaringeo derivi da ulteriore anomalo sviluppo del tessuto epiteliale costituente il peduncolo faringoipofisario. Ora, se cid vale per alcuni casi, ad esempio per quello da me descritto nell'oss. XII (mus dec. di mm. 15) non vale per altri. Rimando il lettore alla descrizione dell'oss. XIV (mus muse. di mm. 24). Mentre in un esemplare della stessa specie di mm. 18 non vi @ traccia di canale craniofaringeo, in questo vi ha un canale craniofaringeo molto ampio, attraversato da un nastro molto voluminoso di sostanza ipofisaria, il quale termina ventralmente alla base cranica. Questo caso è interessante perché la sostanza ipofisaria a sede anomala presenta, come la porzione ghiandolare dell'ipofisi cerebrale due parti facilmente distinguibili per struttura: una rostrale, costituita da un ammasso cellulare solido, una caudale, costituita da una vescicola, delimitata da cellule prismatiche, disposte radialmente intorno alla cavità. Credo che basti uno sguardo alla fig. 41 per convincersi che qui non si tratta di anomalo sviluppo del peduncolo faringoipofisario, ma bensi di uno spostamento dei rapporti tra vescicola ipofisaria e sfenoide cartilagineo, per cui la parte ventrale della vescicola ipofisaria è venuta ad esser compresa nello spessore dello sfenoide, ed una parte é persino venuta a trovarsi ventralmente a questo. Il mio caso ne ricorda molto bene uno riscontrato nell'uomo da Klinkosch, riportato da Rathke (1839) e puó forse gettare nuova luce su quello 208 Angelo Cesare Bruni, molto più recentemente descritto da Staderini (1900) in un embrione di coniglio di 38 mm., nel quale VA. trovò nel canale craniofaringeo e ventralmente ad esso una considerevole massa di tessuto ipofisario, divisa molto nettamente in due porzioni, una rostrale, solida ed una caudale, vescicolare. Questo caso di Staderini differisce dal mio solo in quanto le due masse ipofisarie erano isolate l'una dall'altra mediante tessuto connettivo. Una condizione favorevole allo sviluppo di anomalie di questo genere deve essere la breve distanza che nel topo, nel coniglio e probabilmente anche nell'uomo in periodi precoci dello sviluppo esiste tra l'epitelio della faringe e la parete ventrale della vescicola ipofisaria. Pare invece originarsi per ulteriore sviluppo del peduncolo faringo- ipofisario l’ipofisi faringea dell'uomo. | Se, come & probabile, il piano fondamentale dello sviluppo del- Vipofisi dell’uomo corrisponde a quello del topo, lipofisi faringea non dovrebbe essere una formazione puramente ectodermica, bensi l'ento- derma dovrebbe concorrervi largamente. Peró, nei casi che mi vennero in esame, questo contributo non è più dimostrabile in alcun modo e l'ipofisi faringea si presenta come un cordone, che, conservando la sua posizione nel piano sagittale mediano e dirigendosi obliquamente in senso dorsoventrale e rostrocaudale, si estende dal connettivo sottostante allo sfenoide ad un punto dell'epitelio della mucosa faringea pit o meno vicino all’angolo tra il margine caudale del setto nasale e la faccia dorsale del velo palatino. Secondo le mie osservazioni si puó concludere che le cellule costituenti l'ipofisi faringea si dispongono a cordoni ed a follicoli solo in stadii abbastanza tardivi quando la vescicola ipofisaria ha gia raggiunto la disposizione fondamentale definitiva (feto di 90 mm.), ma di certo si notano al riguardo notevoli differenze individuali. In un feto di 140 mm. si possono già distinguere cellule che si colorano piü inten- samente, da altre che si colorano meno intensamente. A quest'epoca l'estremità rostrale dell’organo non si confonde più coll'epitelio della faringe, come accade ancora in un feto di 100 mm. In tre casi, su otto utili al riguardo, ho potuto constatare, come Citelli, che la ghiandola consta di due porzioni: una quasi orizzontale, Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell'ipofisi negli Amnioti. 209 caudale, ed una piü breve, craniale, quasi verticale. "lutto questo conferma quanto ci è noto per le poche precedenti osservazioni sul- Vipofisi faringea fetale di Avian, Levi, Endheim, Arai, Haberfeld, Frazer, Tourneux J. P.; ricorderó solo, riguardo alla struttura, che questa é sovente assai diversa e variamente progredita, indipendente- mente dal grado di sviluppo generale nei varii individui: l'asserzione di Haberfeld che nell’ipofisi faringea del feto le cellule siano ordinate sempre solo a cordoni e non mai a follicoli mi pare esagerata, dal momento che cordoni e follicoli ben distinti potei già vedere in un feto di 90 mm. (oss. VI). Una questione di una certa importanza e quella dello spostamento dell'estremità ventrale del peduncolo faringoipofisario durante le prime settimane dello sviluppo dell'uomo, per cui tale estremità verrebbe a trovarsi in corrispondenza della inserzione del velo palatino. I Tourneux e specialmente Frazer si occuparono di questo argomento. Secondo i Tourneux si tratterebbe di uno spostamento reale, attivo del punto di partenza della primitiva tasca di Rathke dall’epitelio della faringe per abbassamento del processo frontale durante lo sviluppo della faceia. ‘Secondo Frazer oltre che di uno spostamento reale, dovuto all'ac- crescimento delle masse mesenchimali, dei vasi e dei nervi della faccia, si tratterebbe anche di uno spostamento apparente, dovuto alla modi- ficazione della posizione delle coane. Io non ebbi opportunità di esaminare embrioni e feti abbastanza giovani, in numero adeguato per dare un giudizio in proposito; desi- dero però notare che la modificazione di posizione delle coane e del margine caudale del setto nasale ha una notevole importanza per la topografia dell’ipofisi faringea anche in feti abbastanza avanzati. Cosi nelle figg. 1 e 2 del testo (pagg. 52 e 54) ove sono riprodotte le dis- posizioni di due feti di 40 e di 50 mm., si vede come alla modifica- zione di forma e di direzione del margine caudale del setto, corri- sponda una notevole, apparente differenza nel luogo di terminazione craniale dell’ipofisi faringea. Questa infatti nella fig. 1 pare terminare nel punto di passaggio dal setto al velo, nella fig. 2 molto pit caudalmente. Si direbbe che verso la metà del terzo mese l’ipofisi faringea, che prima aveva spostato rostralmente la sua estremità Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI. 14 210 Angelo Cesare Bruni, ventrale, la sposta di nuovo in senso inverso. Nell'un caso e nell’altro lo spostamento sarebbe piü apparente che reale. Voglio anche richiamare l’attenzione sul particolare modo di ter- minare della estremità ventrale dell’ipofisi faringea, osservata nel feto di 50 mm. (oss. III, fig. 2 del testo e 42 delle tavole), ed in un altro feto di età corrispondente. In questi casi l’ipofisi faringea, parallela e vicinissima all’epitelio faringeo, immediatamente prima di confon- dersi con esso, viene a far parte di una eminenza emisferica, formata dalla mucosa faringea, che ricorda assai bene il cône saillant descritto dai Tourneux in alcuni feti relativamente avanzati di varii mammi- feri e particolarmente di cavallo, nel qual mammifero il cono conter- rebbe pure un residuo del peduncolo faringoipofisario. Anche questa disposizione mi pare possa esser messa in rapporto col cambiamento di forma della volta e della parete craniale della faringe nasale. In- fatti quando si allarga l'angolo fra le cartilagini sfenoetmoidale e sfenooccipitale (figg. 1 e 2 del testo) la mucosa faringoorale ed il connettivo interposto fra questa e la base del cranio sono obbligati a seguire il movimento della cartilagine ed è allora che l’angolo molto ottuso, in corrispondenza del quale l’epitelio passa sulla faccia dorsale del velo (il più ventrale dei due segnati « nella fig. 1) si fa acutissimo. L'ipofisi faringea, nella zona limitata, in cui aderisce al- l’epitelio, costituisce probabilmente un ostacolo a che questa zona par- tecipi allo spostamento generale, e determina così il formarsi della sporgenza in questione. Se questa corrisponde veramente al cône saillant dei Tourneux, non mi pare esista alcun dato per supporla un residuo della piega faringea, come fanno tali AA.; essa sarebbe semplicemente una formazione secondaria, che alla piega faringea corrisponde a un di presso per la sua posizione. Nel feto umano è anche frequente la presenza di una borsa faringea. Io Y ho trovata in 4 casi su 9 con aspetto e rapporti tali, che debbo associarmi alla falange di AA. i quali han- no confermato le vedute di Æroriep riguardo alla sua origine (V. cap. I). Dato il destino della tasca di Seessel nei mammiferi, mi credo autorizzato a negare recisamente che detta tasca debba considerarsi Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. DIL come borsa faringea embrionale, opponendomi così alle opinioni di R. Mayer e di Radford. D. Considerazioni generali sullo sviluppo dell'ipofisi degli Ammioti. Paragonando il piano di sviluppo della porzione ghiandolare del- ipofisi del gongylus, del gallus e del mus ci colpisce immediatamente il fatto che nei rettili questo piano è alquanto più semplice che negli uccelli e nei mammiferi. ; Schematicamente possiamo dire che a formare lipofisi degli Amnioti, prescindendo dalla parte d'origine nervosa, concorrono le seguenti formazioni: 1°) la tasca di Rathke, che & senza dubbio la parte principale dell’abbozzo ipofisario, ma non l'abozzo ipofisario unico, come generalmente si crede; 29) la tasca di Seessel; 3°) il diverticolo medio, evaginazione della volta faringoorale, interposta fra le tasche di Rathke e di Seessel, 4°) una gemmazione solida della tasca di Seessel. Di queste formazioni le prime tre sono evidenti in tutte le tre classi, la gemma della tasca di Seessel manca, od ha uno sviluppo minimo nei rettili. Inoltre nei rettili la tasca di Seessel non partecipa in modo apprezzabile allo sviluppo dell'ipofisi, mentre essa e la sua gemmazione prendono parte alla costituzione dell'abbozzo ipofisario negli uccelli e nei mammiferi. Cronologicamente i primi ad apparire dei costituenti dell'abbozzo ipofisario sono le due tasche di Rathke e di Seessel. Le ricerche di Valenti, Saint- Remy, Economo, Guerri, Manno, Gemelli, Rossi, Salvi, prima delle mie, hanno dimostrato che in periodi precoci dello sviluppo nel pollo si stabilisce una nnione temporanea fra le due tasche, me- diante un ponte epiteliale (mediante tre ponti comparenti in epoche successive, secondo Guerri e Rossi), solido (canalizzato secondo Saint- Remy, Guerri e Rossi), il quale ebbe da Valenti il nome di fusione ectoentodermica. Gemelli ne ha confermata l’esistenza nei rettili (fig. 7—8 Tay. I del suo lavoro [1903], Valenti lo trovò anche nei mammiferi. La fusione ectoentodermica esiste adunque in tutti gli amnioti, ma per la sua fugacità ha l'apparenza di un ricordo atavico, piuttosto che di una disposizione atta a portare un contributo entodermico nella 14* 212 Angelo Cesare Bruni, costituzione della tasca di Rathke. Valenti e specialmente Salvi, con la dimostrazione che il ponte fra le due tasche non é altro che il residuo del primo vertice dell’intestino anteriore, cioè di quello che si forma con lo stabilirsi della plica cefalica, hanno chiaramente dimo- strato che la fusione ectoentodermica rappresenta il rudimento di una bocca più antica dello stomadaewm; certamente abbiamo qui il caso di una insenatura ectodermica — la tasca di Rathke — che si mette in diretto contatto coll’estremita craniale dell’intestino. Se ricordiamo che l’invaginazione omologa alla tasca di Rathke nel petromizonti si forma al di fuori dello stomadaeum dobbiamo riconoscere che il reperto di Valent? a ragione puó essere invocato a favore della nota teoria del paleostoma ipofisario di Beard, Dohrn e Kupffer. Quando la tasca di Rathke e la tasca di Seessel sono bene in- dividualizzate, essendo sopravvenuta la rottura della membrana faringea, compare il terzo dei costituenti dell'abbozzo ipofisario, cioè il diverti- colo medio. Il primo a descriverlo fu ancora Valenti, il quale non solo ne dimostró l'esistenza nel pollo e nella lucertola, ma, nel pollo, dimostrò che esso viene a fondersi con la parete caudale della tasca di Rathke. Valenti non potè osservare il diverticolo nei mammiferi; anche in questi amnioti pero esso esiste, come vien dimostrato dalla mia figura 18. Anche questa formazione, adunque, si riscontra in tutti eli amnioti, di pitt certamente negli uccelli, quasi certamente nei mammiferi, forse anche nei rettili (sebbene per questi ultimi mi manchino dati atti a dimostrarlo), essa viene a fondersi con la parete caudale della tasca di Rathke. Ho già detto come il diverticolo medio appartenga all'ento- derma; dove manca la prova diretta, che potei avere pel topo (oss. I), basterebbe a provarlo il fatto che esso si forma nel margine libero della piega faringea, caudalmente al margine caudale dell'apertura della tasca di Rathke (His). Valenti nota giustamente come esso non abbia nessuna relazione genetica o di altro genere con la fusione ecto- entodermica. Alcune osservazioni di Nicolas e Weber mi paiono utili a chiarire il significato del diverticolo. I detti AA. ebbero opportunità di con- statare che nell’anitra durante il 4° giorno di incubazione (l’epoca Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 213 appunto in cui nel pollo si vede il diverticolo) prende rapporto con la tasca di Rathke una gemmazione epiteliale che, partendo dal fondo del cul di sacco dellintestino cefalico, è anche in relazione con le cavità premandibolari. A me non fu possibile constatare rapporti fra il diverticolo medio e le cavità premandibolari in nessuno degli animali studiati, tuttavia sono convinto della stretta parentela tra il diverticolo medio e la gemmazione, di cui parlano Nicolas e Weber, quest'ultima infatti non solo è presente alla stessa epoca in cui è presente il diverticolo medio, ma, perduta la sua relazione con le cavità premandibolari, si comporta poi allo stesso modo rispetto alla tasca di Rathke. Altri fatti ancora, constatati in altri vertebrati, mi confermano nella mia ipotesi. Senza rifare qui la storia delle ricerche sulle cavita premandibolari e sui loro rapporti coll'entoderma e col- l'abbozzo ipofisario, desidero ricordare come Corning in lacerta e Dorello in seps abbiano veduto uno stadio nel quale esiste un'insenatura dell'entoder- ma che sta in rapporto con le cavità premandibolari, senza peró mettersi in relazione collipofisi, e come Staderini (1900) e poi Salvi (1901—02) abbiano invece notato un rapporto diretto tra ipofisi e cavità pre- mandibolari in gongylus di un periodo di sviluppo corrispondente a quello in cui esiste il diverticolo medio. Anche in vertebrati più bassi (torpedo) Chiarugi ebbe occasione di vedere disposizioni perfetta- mente comparabili con quelle descritte da Nicolas e Weber nell’anitra. In mancanza di prove di fatto più positive, non mi pare fuori proposito, in base alle conoscenze odierne, formulare l'ipotesi che il diverticolo medio corrisponda al tratto di intestino cefalico, da cui prendono origine le cavità premandibolari; sarebbero opportune nuove ricerche al riguardo. Potrebbe nascere il dubbio che il diverticolo medio fosse da identificarsi con quello situato piü ventralmente dei due diverticoli descritti da Valenti e confermati da Gemelli e da ossi esistenti nel fondo ceco dell’intestino cefalico dei rettili, prima della scomparsa della membrana faringea. Il dubbio non ha ragione di sussistere se si considera l'evoluzione del diverticolo ventrale, quale potè essere accuratamente seguita da Gemelli. Esso e dato dal ripiegarsi del- l’entoderma in corrispondenza della membrana faringea, dove l’ento- 214 Angelo Cesare Bruni, derma passa in questa membrana dalla parete dorsale dell’intestino, e prende uno sviluppo sempre maggiore, mentre si va riducendo il diverticolo dorsale, dovuto semplicemente alla influenza della piegatura del vertice sulla parete dorsale dell’intestino; allorquando si rompe la membrana faringea i due diverticoli, il dorsale, molto ridotto, ed il ventrale, molto sviluppato, vengono insieme a costituire la tasca di Seessel. Il diverticolo medio si vede più tardi, quando la membrana faringea è del tutto e da un po’ di tempo scomparsa. Mentre si forma il diverticolo medio (pollo) o poco dopo (topo) si osserva in uccelli e mammiferi una fusione della tasca di Seessel con la parte ventrale della tasca di Rathke, che non si verifica nei rettili. Infatti nei rettili la tasca di Seessel, destinata ad appianarsi e scomparire, dopo essersi conservata per un tempo abbastanza lungo, è sempre separata della tasca di Rathke per una evidentissima piega faringea. Negli uccelli e nei mammiferi invece la piega faringea si interrompe nel piano mediano e scompare provocando la formazione del vestibolo faringoipofisario nel modo descritto trattando dello sviluppo dell’ipofisi negli uccelli. Sul vestibolo faringoipofisario si esercita l’azione meccanica determinata dal restringersi della finestra ipofisaria durante la condri- ficazione della base cranica e dallo sviluppo dei vasi, principalmente del ramo comunicante delle carotidi, contenuti nella finestra ipofisaria. Il risultato è che nel vestibolo si succedono a breve distanza di tempo due strozzamenti, il primo dei quali ne interessa solo la estre- mità rostrale dorsale e porta alla formazione del tratto più dorsale del peduncolo faringoipofisario (peduncolo vestiboloipofisa1io), il secondo, iniziandosi dalla parte più prossimale del vestibolo, porta alla tras- formazione della rimanente parte del vestibolo stesso in peduncolo faringoipofisario. Sebbene io abbia seguita l'evoluzione del vestibolo in una serie di embrioni di pollo più numerosa di quella degli embrioni di topo, e sebbene nel pollo le singole formazioni ipofisarie si vedano più distinte per la grande distanza che intercede fra la lamina epiteliale della volta faringea e la superficie interna della base cranica, basta tuttavia il confronto delle figg. 9 e 10 (pollo) con la 19 (topo) e della Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 215 fig. 13 (pollo) con la 20 e la 22 (topo) per convincersi della per- fetta corrispondenza delle disposizioni che ci interessano nei due amnioti. Poiché il vestibolo faringoipofisario consta di ectoderma nella sua meta rostrale, di entoderma nella sua meta caudale, ne viene che alla costituzione del peduncolo faringoipofisario degli uccelli e dei mammi- feri partecipa largamente l’entoderma; nel peduncolo faringoipofisario dei rettili invece, se pur ci sono elementi entodermici, questi possono soltanto provenire dal diverticolo medio. Negli uccelli e nei mammiferi oltre alla partecipazione della tasca di Seessel abbiamo anche la partecipazione di una considerevole gemma- zione solida dell'apice di questa tasca alla costituzione del peduncolo faringoipofisario e, nei mammiferi, della stessa ipofisi cerebrale. Nei rettili si puó dire che la gemmazione in questione non si sviluppa, se non si vuol considerare come tale un semplice ispessimento dell'epitelio sull'apice della tasca. La gemma della tasca di Seessel negli uccelli è alta e sottile, forse meno alta, ma molto più grossa essa è nei mammiferi; però la differente lunghezza del peduncolo vestiboloipofisario, molto considerevole negli uccelli, poco nei mammiferi, fa si che nei primi l’apice della gemma non può giungere fino all’ipofisi cerebrale, mentre vi giunge, fondendosi con essa nei secondi. L’accollamento della gemma alle formazioni ipofisarie, poste rostralmente ad essa, è più precoce nei mammiferi che negli uccelli in relazione col minor sviluppo del ramo comunicante delle carotidi, che, voluminoso negli uccelli, per un certo tempo ostacola l’accollamento stesso. Riassumendo risulta dalle mie ricerche in riguardo della tanto dibattuta questione della partecipazione dell’entoderma alla costituzione dell’ipofisi, che nei rettili essa è minima, riducendosi, dato che esista, alla fusione del diverticolo medio con la tasca di Rathke; negli uccelli è considerevolmente maggiore in quanto che il diverticolo medio si fonde certamente con la tasca di Rathke, venendo a far parte della porzione più ventrale e caudale dell'ipofisi cerebrale, ed inoltre la tasca di Seessel e la sua gemma partecipano alla costituzione del pe- duncolo faringoipofisario. (che in parte si conserva nel canale cranio- faringeo dell'adulto); nei mammiferi è massimo in quanto oltre al 216 Angelo Cesare Bruni, diverticolo medio anche la gemma della tasca di Seessel partecipa alla costituzione della ipofisi cerebrale, mentre nel peduncolo faringoipofisario l’entoderma è tanto largamente rappresentato quanto in quello del pollo, ed una parte di questo peduncolo, nell'uomo, si conserva per tutta la vita e prende un notevolissimo sviluppo. Nessuna delle unioni fra ectoderma ed entoderma che si manifestano nel corso dello sviluppo, all’infuori della fusione ectoentodermica, può essere invocata con fondamento a sostegno della teoria del paleostoma ipofisario. Qui non si tratta di ricordi atavici. Stanno a dimostrare che si tratta invece di fenomeni eminentemente progressivi: 1?) il fatto che i costituenti ectodermico ed entodermici della ipofisi si mani- festano dapprima tutti come abbozzi ben individualizzati (tasca di Rathke, tasca di Seessel, diverticolo medio, gemma della tasca di Seessel), 2° il fatto che nella ontogenesi dei mammiferi essi compaiono nella stessa successione, nella quale compaiono nella filogenesi degli amnioti, 3° il fatto ancora che la partecipazione di tutti questi abbozzi alla costituzione della parte di ipofisi, che si conserva per tutta la vita, si ha soltanto negli amnioti più elevati. I fatti ricordati poi provano inconfutabilmente che il lobo ohiandolare dell’ipofisi è un organo, la cui complessità cresce gradatamente dai vertebrati inferiori ai superiori, mentre, secondo le accurate ricerche anatomocomparative di Sterzi diminuisce la complessità del lobo nervoso. Alla complessità embriologica corrisponde una crescente com- plessità fisiologica? Pare a prior? di dover rispondere affermativamente. Non sarà tuttavia facile raggiungere la prova sperimentale, poichè la fusione dei singoli abbozzi avviene in epoche abbastanza precoci e, dopo che gli abbozzi sono fusi, neppure l’esame istologico ci permette di distinguerli. Se teniamo ancora presente la giusta osservazione di Staderini, che l'unione della parte nervosa con la ghiandolare dell'ipofisi è così intima da rendere poco attendibili i risultati delle esperienze fino ad ora eseguite, possiamo farci un’idea di quanto si sia ancora distanti dalla. precisa conoscenza di questo organo, che, quantunque piccolo, ha tuttavia certamente una grande importanza. Malgrado l'aggiunta di parti derivate dall’intestino cefalico, la forma complessiva della ghiandola ipofisaria viene sempre determinata Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell'ipofisi negli Amnioti. PUT essenzialmente dalle modificazioni di forma del suo costituente prin- cipale — la tasca ectodermica di Æathke. Prima ancora che dalla forma di tasca si passi a quella di vescicola peduncolata, nei rettili e negli uccelli la parte distale della tasca si fa trilobata. Nei mammiferi la forma trilobata é molto meno evidente e si stabilisce in periodi piü tardivi dello sviluppo, quando lipofisi cerebrale ha forma di vescicola unita alla faringe per un pe- duncolo. I lobi laterali dei mammiferi sono rappresentati dalle estre- mità laterali rigonfiate del cercine rostrale, originato dalla parte ventrale della vescicola. A questo riguardo io sottoscrivo pienamente all’opinione di Chiarugi, non parendomi che si possano paragonare ai lobi laterali dei rettili le due metà della vescicola ipofisaria, separate sul margine dorsale dalla incisura infundibolare, in primo luogo perché anche nei rettili esiste lincisura infundibolare (fig. 4b) nel margine dorsale del lobo medio; in secondo luogo perché le due parti di vescicola, separate dall’ineisura infundibolare, si conservano vescicolari molto a lungo, mentre il cercine rostrale, come i lobi laterali dei rettili, perde più presto la sua cavità. D’altro lato Weber stesso, il quale indica nelle sue figure 3 e 5 come lobi laterali le parti laterali della vescicola divise dalla incisura infundibolare, non ritiene che i lobi laterali dei chirotteri siano comparabili con quelli dei rettili. Venne poi esaurientemente dimostrata l'insussistenza dell’unico fatto, che si opporrebbe seriamente alla omologia di queste formazioni, quello che sia primitiva e non secondaria la formazione dei lobi laterali dei rettili. Malgrado la profonda differenza di aspetto nei primi stadii di sviluppo, in seguito l’ipofisi dei mammiferi viene a rassomigliare pro- fondamente per la forma a quella dei rettili. Ciò accade perché nei rettili si stabilisce a spese dell'epitelio della volta faringoorale un lobo anteriore, che, nel suo aspetto definitivo, ricorda molto bene il lobo anteriore dei mammiferi, mentre, della parte primitiva, caudale della ghiandola, il lobo medio, conservandosi per lungo tempo vescicolare ed emanando un prolungamento rostrale, che si interpone fra il lobo anteriore e la regione preinfundibolare del cervello, viene ed assomi- gliare molto alla porzione caudale, vescicolare della ghiandola dei 218 Angelo Cesare Bruni, mammiferi; i lobi laterali si fanno indipendenti dal corpo della ghian- dola. Possiamo dunque molto agevolmente paragonare le disposizioni visibili nelle figg. 31 (gongylus) e 40 (topo), ricordando peró che alle due disposizioni si é giunti per vie diverse, perché oltre alla differenza sostanziale dovuta al fatto che il lobo anteriore dei rettili e quello dei mammiferi hanno un differente terreno di origine (pure essendo di natura ectodermiea negli uni e negli altri) esiste ancora un'altra differenza nel modo di originarsi dei cordoni ghiandolari. Questi sono dovuti nei rettili a proliferazione della superficie esterna di tutte le pareti del lobo anteriore e della parete rostrale del lobo medio (accrescimento centrifugo) nei mammiferi invece all'ordinarsi in questa guisa di un materiale cellulare proveniente da due successive proli- ferazioni centripete della parte ventrale e rostrale della vescicola ipofisaria. L'ipofisi degli uccelli prende una forma molto diversa da quella dei rettili e dei mammiferi, in primo luogo perché tutte le pareti della vescicola ed in egual misura producono cordoni dalla loro super- ficie esterna e la struttura vescicolare primitiva si conserva solo in un brevissimo tratto dell'apice del lobo medio, cosicché a sviluppo finito, come già osservò Sterzi, la parte vescicolare è ridottissima; in secondo luogo perché tutta la vescicola ipofisaria si ripiega in modo da formare un angolo aperto caudalmente e ventralmente (fig. 13). Nei mammiferi la ripiegatura della vescicola avviene in senso inverso in modo da costituire un angolo aperto dapprima rostralmente (fig. 19 e 20) e poi rostralmente e ventralmente (fig. 40): nei rettili una ripiegatura della parte vescicolare simile a quella dei mammiferi é resa più evidente dalla formazione del prolungamento rostrale della stessa parte vescicolare (fig. 31). In tutti gli amnioti, mentre si stabilisce la forma definitiva del- l’ipofisi cerebrale, questa si isola dall'epitelio della faringe mediante la riduzione e la scomparsa, parziale o totale, del peduncolo faringo- ipofisario che é sempre connesso alla sua porzione craniale. Quando una parte del peduncolo subisce un ulteriore sviluppo, questo non differisce sostanzialmente da quello dell'ipofisi cerebrale. Le cause dell'atrofia del peduncolo sono da ricercarsi specialmente nello sviluppo Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell'ipofisi negli Amnioti. 219 della base del cranio, che agisce peró abbastanza lentamente, anche nei casi e sono questi i più numerosi, in cui il peduncolo é destinato a sparire totalmente. Per regola accade di trovare il peduncolo faringoipofisario già molto ridotto di volume, avente ancora le carat- teristiche di un tessuto vitale, non essendovi segni di degenerazione negli elementi e riscontrandosi non raramente delle cariocinesi normali. Pare peró che, allorquando cominciano ad apparire fenomeni degene- rativi, questi procedano molto rapidamente. Durante la sua esistenza il peduncolo faringoipofisario, se ha una considerevole lunghezza, come nel pollo, risente l'influenza degli organi vicini, modificando il suo decorso rettilineo in un decorso ondulato, ad arco, od a lettera S. Ma sopratutto è da notarsi che l’asse della tasca di Rathke prima, del peduncolo poi, col progredire dello sviluppo modifica la sua direzione generale in modo molto regolare e perfettamente corrispondente nelle tre specie di amnioti studiate. Le figg. 3, 4, 5 del testo rappresentano i profili schematici della volta della faringe e dell'asse della tasca di Rathke o del peduncolo, tolti da sezioni sagittali mediane di vari esemplari di grado di sviluppo successivo. I singoli profili nelle figure sono individualizzati mediante lo stesso numero progressivo, ripetuto in corrispondenza delle due estremità della linea indicante i versanti craniale (Cr.) e caudale (Cd.) della volta faringea, e dell’estremità libera della linea rappresentante l’asse della tasca di Rathke o del peduncolo. Essi poi sono disposti in modo che coincidano i punti in cui l’asse della tasca di Rathke, o del peduncolo, tocca la linea della volta faringea, e che la distanza intercedente fra i versanti craniali di due profili adiacenti sia uguale a quella intercedente fra i versanti caudali degli stessi profili. Le tre figure dimostrano a colpo d’occhio che, per una regola comune ai tre amnioti studiati, durante i primi tempi dello sviluppo, la direzione del sacco ipofisario si sposta in modo che il fondo viene a trovarsi in posizione sempre più caudale. Cid avviene in relazione al distendersi della volta faringea. Siccome la tasca di Rathke non parte esattamente dal culmine della volta, ma da un punto del versante craniale vicinissimo all’apice, essa segue lo spostamento del versante 220 Angelo Cesare Bruni, craniale, portando piü caudalmente il suo apice fin che non risente l'azione di qualche ostacolo. Ma più tardi la formazione e l'accresci- mento dello scheletro della regione sfenooceipitale, piü rapido di quello j \ © ^ d 3 % D N a : 1 Fig. 3. 1 = embrione di Gongylus ocellatus mm. 3,5 x 3; 2— id mm. 4x< 3,5; 3 — id mm. 4,5 2« 4; 4 — id mm. 5 < 4,5; 5 — id mm. 6,5 x 5; 6 — id mm. 41 (lunghezza totale). 1 Fig. 4. 1 = embrione di pollo di 74 ore; 2 — id di 82 ore; 3=id di 92 ore; 4 — id 106 ore; 5 — id 5 giorni e 7 ore; 6 —5 giorni e 17 ore; 7 — 6 giorni e 17 ore. Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. DO ll dello scheletro della regione sfenoetmoidale, non solo ostacola lo sposta- mento caudale della estremità distale del peduncolo faringoipofisario, che dovrebbe aversi dal momento che la volta faringea continua a distendersi, ma provoca uno spostamento in senso opposto, sicchè l'estremità distale del peduncolo si fa grado grado più rostrale. $ Lo spostamento del peduncolo faringoipofisario, sul quale ci siamo ora intrattenuti, non ha nulla a che fare con lo spostamento della estremità ventrale di esso e del suo punto di partenza dall'epitelio della volta faringea. Quest’ultimo spostamento avviene in stadii più à Fig. 5. — embrione di mus musculus lunghezza v. c. mm. 6; 2 — embrione di mus decumanus alb. mm. 9; 5 — embrione di mus musculus mm, 10. tardivi e con regolarità minore. In alcuni casi esso è apparente od almeno in gran parte apparente dipendendo da modificazioni di forma della faringe nasale. Cosi avverrebbe per l’uomo nelle prime setti- mane dello sviluppo, secondo Frazer, ed anche in stadii più tardivi, secondo le mie osservazioni. In altri casi lo spostamento & ancora apparente, ma dovuto al fatto che al peduncolo faringoipofisario se ne aggiunge ventralmente e rostralmente una porzione, originatasl a sviluppo molto avanzato dall’epitelio della volta faringea. Questo abbiamo veduto accadere nel pollo (oss. XIII) e non é da escludersi che possa verificarsi anche nell'uomo tanto più che la topografia del- l’ipofisi faringea, nei feti avanzati e nell'adulto è considerevolmente variabile. Doo Angelo Cesare Bruni, IV. Conclusioni. Riepilogando, i risultati principali delle suesposte ricerche si possono raccogliere nelle seguenti proposizioni: 1°) A costituire il lobo ghiandolare dell’ipofisi degli amnioti con- corrono, oltre all'abbozzo principale ectodermico, costituito dalla tasca di Rathke, altri abbozzi originanti dall’estremitä craniale dell’intestino cefalico, epperciò di origine indubbiamente entodermica. 29 Gli abbozzi entodermici dell’ipofisi degli amnioti sono rap- presentati: a) dalla tasca di Seessel, residuo del vertice dell’intestino cefalico, che esisteva, come tale, immediatamente prima della rottura della membrana faringea. b) da un diverticolo, che essendo situato fra le tasche di Ruthke e di Seessel si può chiamare diverticolo medio e pel quale alcuni dati lasciano supporre che originariamente sia in relazione con le cavità premandibolari. c) da una gemmazione solida, che sorge sull’apice della tasca di Seessel (gemma della tasca di Seessel). 3°) La partecipazione dell’entoderma alla costituzione dell'ipofisi è minima nei rettili, nei quali si riduce, se pure esiste, ad un poco evidente concorso del diverticolo ‘medio, massima nei mammiferi, nei quali i tre abbozzi vengono a prendere parte alla. costituzione del- l’ipofisi cerebrale e del peduncolo faringoipofisario. Negli uccelli la gemma della tasca di Seessel, pure essendo molto sviluppata, non giunge ad unirsi all'ipofisi cerebrale, per la grande distanza che inter- cede fra questa e la volta epiteliale della faringe. 4°) La tasca di Seessel partecipa alla costituzione dell’ipofisi degli uccelli e dei mammiferi in quanto essa, fondendosi con la parte più ventrale della tasca di Rathke, costituisce con questa una specie di vestibolo, il quale poco dopo la sua formazione è impedito di crescere in volume e poi è obbligato a ridursi pel restringersi della finestra ipofisaria della base cranica, durante lo sviluppo di questa. Il vesti- bolo sta tra la cavità della faringe e quella della vescicola ipofisaria, per la sua posizione può adunque chiamarsi vestibolo faringoipo fi sario Esso non si forma nei rettili. Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 223 5°) Il vestibolo faringoipofisario, riducendosi, diventa il peduncolo faringoipofisario. Per la compressione esercitata dagli organi vieini si manifestano in esso due strozzamenti in epoche successive: il primo ne interessa solo l'estremità rostrale dorsale, portando alla formazione di un temporaneo peduncolo vestiboloipofisario (porzione distale del peduneolo faringoipofisario definitivo); il secondo comincia dalla porzione piü prossimale del vestibolo e procedendo in senso ventro- dorsale lo trasforma tutto nella porzione ventrale del peduncolo faringo- ipofisario. 6°) La gemma della tasca di Seessel è spinta contro il peduncolo vestiboloipofisario (pollo) ed anche contro la vescicola ipofisaria (topo) dalla stessa azione meccanica che determina lo strozzamento del vestibolo. 7°) La fusione degli abbozzi entodermici con quello ectodermico si fa cosi intima che neppure l'esame istologico permette di distinguere 1 singoli componenti. 8°) La costituzione embriologica del peduncolo faringoipofisario, e perció verosimilmente quella dell’ipofisi faringea dell'uomo, é identica alla costituzione embriologica della parte di ipofisi cerebrale derivante della porzione ventrale della parete caudale della vescicola ipofisaria dalla parte cioé di ipofisi con la quale si sono fusi gli abbozzi ento- dermici.!) 9?) Nessuna delle unioni fra ectoderma ed entoderma ora ricor- date puó essere invocata a sostegno della teoria del paleostoma ipofi- sario. Qui si tratta di disposizioni evidentemente progressive, che compaiono in stadii relativamente tardivi dello sviluppo, e non di ricordi atavici. Si puó invece ritenere che rappresenti una bocca piü antica dello stomadaeum la fusione ectoentodermica di Valenti, che si stabilisce in tutti eli amnioti, verso l'epoca della rottura della mem- brana faringea, tra la tasca di Rathke ed un residuo dell’intestino preorale, annesso alla tasca di Seessel. 10°) Nei sauropsidi in epoche abbastanza precoci dello sviluppo !) Pur senza ammettere in generale una stretta correlazione fra la struttura isto- logica e la derivazione embriologica degli organi, non si puó fare a meno di ricor- dare come Pende abbia notato che la parte dell'ipofisi cerebrale avente una strut- tura veramente paragonabile a quella della ipofisi faringea, nell'uomo, è precisa- mente la parte posteriore (caudale) del lobo ghiandolare. 224 Angelo Cesare Bruni, dalla porzione distale della tasca di Ratkke si differenziano un Jobo medio e due lob; laterali; il lobo medio si abbozza come un'evagina- zione della estremità dorsale della parete rostrale della tasca; i lobi laterali si abbozzano per rigonfiamento dei margini laterali della tasca. Nei rettili quindi, come negli uccelli, la formazione dei lobi laterali non é primitiva, contemporanea a quella della tasca ipofisaria, ma bensi é secondaria. Nei mammiferi i lobi laterali non sono riconosci- bili che in stadii tardivi ed in ogni caso sono meno evidenti che nei sauropsidi. Col propedire dello sviluppo i lobi laterali dei rettili si isolano dal rimanente della ghiandola ipofisaria. 11?) Nei rettili, oltre i lobi derivati della tasca di Rathke, si forma ancora un lobo anteriore originantesi pit tardi cranialmente alla tasca, direttamente dall’epitelio della volta buccofaringea. 12°) Anche nei mammiferi appare un /obo anteriore provveduto di un considerevole prolungamento anteriore (detto anche prolunga- mento linguale per la sua forma). Questo lobo si forma dalla por- zione ventrale della parete craniale della vescicola ipofisaria, e pre- cisamente in due tempi. In un primo tempo si sviluppa un cercine rostrale, che poi si stacca in parte dalla vescicola (cui resta collegato per un istmo) e costituisce l'abbozzo del prolungamento linguale: questo cercine si produce per un particolare modo di proliferazione centripeta ed è in rapporto col peduncolo faringoipofisario per tutto il tempo, durante il quale si conserva il peduncolo. In un secondo tempo, per una nuova proliferazione centripeta, simile a quella che ha prodotto labbozzo del prolungamento linguale, si produce il corpo del lobo anteriore. 13?) La forma definitiva dell'ipofisi dei mammiferi é molto simile a quella dei rettili, sebbene il modo di formazione sia assai diverso. 14°) Nei rettili e nei mammiferi una parte considerevole del- l'ipofisi in rapporto coll’infundibolo conserva, per molto tempo almeno, la forma vescicolare, ed emettendo un prolungamento craniale (rettili) oppure ripiegandosi (mammiferi) si adagia sulle faccie caudale e dor- sale del lobo craniale. Le cellule del lobo craniale nei mammiferi si ordinano in cordoni ed anche in follicoli (uomo), dopo aver costituita per un certo tempo una massa senza particolare struttura; nel rettili TR Sau ean ee Y PETI URTO Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 225 i cordoni della parte di ipofisi che non si conserva vescicolare si formano per gemmazione. 15°) Negli uccelli tutte le pareti della primitiva vescicola ipo- fisaria emettono gemme, che si trasformano in cordoni; la vescicola stessa, il cui lume grado grado si riduce e scompare, si ripiega in modo da formare un angolo diedro aperto caudalmente e ventral- mente. Solo una piccolissima porzione del lobo medio conserva aspetto vescicolare. Torino, novembre 1913. Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI. 15 Lavori eitati. Arai H., Der Inhalt des Canalis cranio-pharingeus. — Anat. Hefte H. 100 (Bd. 33. H. 2) p. 411. — 1907. 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Observations sur les premières phases du développment de l'hypophyse chez les chéiroptéres. — Bibliographie anatomique T. VI, p. 151. — 1898. Woerdemann, M. W., Über einen Zusammenhang der Chorda dorsalis mit der Hypophysenanlage. — Anat. Anz. Bd. 43, p. 378. — 1913. N. B. Nell’elenco precedente non vennero compresi i trattati di Anatomia e di embriologia. Spiegazione delle figure (Tav. II—VI.) Le figure 1— 26 sono ricavate da fotografie di modelli in cera, ottenuti mediante la ricostruzione plastica, delle formazioni epiteliali della regione faringoipofisaria. Le figure 27—28 sono ricavate da disegni degli stessi modelli. Le figure 29—43 sono ricavate da disegni di sezioni microscopiche, i cui con- torni furono eseguiti col sussidio della camera lucida. Indicazioni comuni a tutte le figure. b. f. — borsa faringea c. = cercine rostrale della vescicola ipo- fisaria (mammiferi) c. —]lobo rostrale (anteriore) della por- zione ghiandolare dell’ipofisi €. cC. 2 ramo comunicante delle arterie carotidi interne d. l. m. — diverticolo rostrale del lobo medio dell’ipofisi (gongylus) ect. — ectoderma ent. — entoderma F. = cavità della faringe f. ec. — fusione ectoentodermica di Valenti g. — gemme ghiandolari dell'ipofisi Inf. — infundibulo Ip. = ipofisi i. t. =infundibolo tubario (uccelli) l. = lobo laterale !’.=rigonfiamento laterale del lobo medio I. b. f.=lamina epiteliale della volta faringoorale L. n.=lobo nervoso M. = diverticolo medio m.=lobo medio p. a. l. = prolungamento laterale della porzione vescicolare dell’ipofisi, che tende ad avvolgere il lobo nervoso | p. a. m.=-prolungamento ventrale e mediano della porzione vescicolare dell’ipofisi, che tende ad avvolgere il lobo nervoso p. f. i. — peduncolo faringoipofisario p. f. À. = porzione rostrale ventrale del peduncolo faringoipofisario, che si isola dall'epitelio della volta della faringe (pollo) p. L. n. = peduncolo dellipofisi pro- priamente detto (peduncolo del lobo nervoso) p. 0. = porzione orizzontale dell'ipofisi faringea (uomo) p. v. — porzione verticale dell’ipotisi fa- ringea (uomo) p. v. i— peduncolo vestiboloipofisario R. — tasca di Rathke S. — tasca di Seessel S'.— gemma della tasca di Seessel sf. — sfenoide sfe. — cartilagine sfenoetmoidale sfo. — cartilagine sfenooccipitale st. 2.= strozzamento della parte ven- trale del vestibolo faringoipofisario T. —tuba auditiva u. — ugula | v.= traccie di lume nella gemma della tasca di Seessel ves. = porzione vescicolare dell'ipofisi v. f. à. = vestibolo faringoipofisario v. p. — velo del palato primitivo o piega faringea x.=rilevatezze dell’epitelio farıngeo situa- te caudalmente alla tasca di Seessel Angelo Cesare Bruni, Embrione di gongylus oc. di mm. 3,5 >< 3. Profilo sinistro del modello. Dimostra le tasche di Rathke e di Seessel ed il diverticolo medio nei loro rapporti reciproci. Embrione di gongylus oc. di mm. 4 > 3,5. Embrione di gongylus oc. di mm. 5x4,5. Profilo sinistro dei modelli. Dimostranola posizione del lobo medio in due stadii successivi e l'inizio della formazione del lobo anteriore. Embrione di gongylus oc. di mm. 5><3,5. Il modello venne fotografato da un punto di vista caudale e un po' dorsale. Dimostra la posizione e la forma dei lobi laterali e del lobo medio. ; Embrione di gongylus oc. di mm. 5><4,5. Embrione di gongylus oc. di mm. 6,5><5. I modelli sono fotografati dallavanti e un po’ da destra. Dimostrano la formazione del peduncolo 234 Bien, 1. Fig. 2a. Fig. 2b. Fig. 3. Fig. 4a. Fig. 4b. Fig. 5. Fig. 6. Bigs 7. Fig. 8. Big. 9. Fig. 10. Fig. 11a. Fig. 11h. Has dul Fig. 12. Fig. 13. Fig. 14. Fig. 15. faringoipofisario e l’evoluzione del lobo anteriore. Embrione di pollo di 74 ore. Il modello venne fotografato da sinistra e un po’dall’avanti. Dimostra i rapporti fra le tasche di Rathke e di Seessel e la fusione ectoentodermica di Valenti. Embrione di pollo di 82 ore. Profilo sinistro del modello. Dimostra la posizione delle tasche di Rathke e di Seessel e la formazione del lobo medio. Embrione di pollo di 92 ore. Il modello venne fotografato da sinistra ed un po’ dall’indietro e dal basso. Dimostra i rapporti delle tasche di Rathke e di Seessel all'inizio della formazione del vestibolo faringoipo- fisario. Embrione di pollo di 106 ore. Profilo sinistro del modello. Dimostra il vestibolo faringoipofisario ed i tre diverticoli della parete dorsale di esso (tasca di Rathke, diverticolo medio, gemma della tasca di Seessel.) Embrione di pollo della fine del 5° giorno. Profilo sinistro del modello. Dimostra l’inizio della formazione del peduncolo vestiboloipofisario e l’accollamento del diverticolo medio alla tasca di Rathke. Embrione di pollo di 5 giorni e 7 ore. Profilo sinistro del modello. Dimostra la formazione dell’ipofisi cerebrale e la gemmazione delle pareti della vescicola ipofisaria. Embrione di pollo di 92 ore. Embrione di pollo di 106 ore. Embrione di pollo di 5 giorni e 7 ore. Prospetto rostrale dei modelli. Dimostrano la posizione dei lobi medio e laterali durante le modificazioni successive della tasca di Rathke. Embrione di pollo di giorni 5, ore 17. Il modello venne fotografato da destra ed un po’ dall’indietro. Dimostra la riduzione del vestibolo farin- goipofisario ed il rapporto di questo coll’ infundibolo tubario. Embrione di pollo di giorni 6, ore 1. Profilo destro del modello. Dimo- stra lo strozzamento che si inizia nella parte più prossimale del vesti- bolo faringoipofisario. Embrione di pollo di giorni 6, ore 17. Profilo sinistro del modello. Dimostra l’accollamento della gemma della tasca di Seessel al peduncolo vestiboloipofisario. Embrione di pollo di giorni 7, ore 1. Profilo sinistro del modello. Di- Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. 5 LG, A » LS}, 19. 20. 21. 22. 24. 25. 26. 27. Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell’ipofisi negli Amnioti. 235 mostra l’eventuale riduzione della gemma della tasca di Seessel ed il modo di formazione del prolungamento rostrale del peduncolo faringoi- pofisario. Embrione di pollo della fine dell’ 8° giorno. Profilo sinistro del modello. Dimostra l’accrescimento della gemma della tasca di Seessel accollata al peduncolo faringoipofisario Embrione di pollo della fine del 9? giorno. Profilo sinistro del modello. Dimostra l'ultimo residuo della gemma della tasca di Seessel. Embrione di mus musculus di mm. 6 circa (lunghezza v. c.) Profilo sinistro del modello. Dimostra le tasche di Rathke e di Seessel ed il diverticolo medio, nei loro rapporti reciproci, poco dopo la rottura della membrana faringea. Embrione di mus decumanus albinus, lunghezza v. c. mm. 9, lungh. nucale mm. 7, altezza del capo mm 5. Il modello (parziale) venne fotografato da sinistra e un po' dall'indietro. Dimostra il vestibolo faringoipofisario e la gemma della tasca di Seessel in intimo rapporto col peduncolo vesti- boloipofisario e coll'estremità ventrale della vescicola ipofisaria. Embrione di mus dec. alb., lungh. v. c. mm. 8, lungh. nuc. mm. 7, altezza del capo mm. 4,5. Il modello venne fotografato da destra e dall'indie- tro. Dimostra lo strozzamento della parte prossimale del vestibolo farin- goipofisario e l’accollamento sempre più intimo della gemma della tasca di Seessel alle formazioni vicine. Lo stesso embrione. Il modello venne fotografato in prospetto craniale. Dimostra la forma lenticolare della vescicola faringoipofisaria, con l’incisura del margine dorsale ed il cercine rostrale e ventrale. Embrione di mus dec. alb., lungh. v. c. mm. 8,5, lungh. nuc. mm. 7, altezza del capo mm 5. Profilo sinistro del modello. Dimostra ancora lo strozzamento ventrale del vestibolo faringoipofisario ed i rapporti della gemma della tasca di Seessel, cresciuta in altezza. Embrione di mus dec. alb., lungh. v. c. mm. 8.5, Inngh. nuc. mm. 7, altezza del capo mm. 5. Profilo destro del modello. Dimostra gli stessi fatti della fig. precedente in uno stadio un poco più avanzato. Embrione di mus musculus, lungh. v. c. mm. 9. Profilo destro del mo- dello. Dimostra una delle gemmazioni dell'epitelio faringeo situate dietro il peduncolo faringoipofisario, che vennero confuse con residui della tasca di Seessel. Embrione di mus dec. alb. lungh. v. c. mm. 8,5 lungh. nuc. mm. 7, altezza del capo mm. 5. Profilo destro del modello. Dimostra la riduzione del peduncolo faringoipofisario ed il rapporto di quest'ultimo col cercine rostrale molto sviluppato. Embrione di mus musculus, lungh. v. c. mm. 10. Il modello venne foto- grafato da destra ed un po' dall'avanti. Dimostra la separazione del cercine rostrale dalla vescicola e l’interruzione del peduncolo faringoipo- fisario. ; Embrione di pollo di 92 ore di incubaz. Disegno, rappresentante lo stesso modello, riprodotto nella fig. 7, veduto dalla faccia corrispondente alla superficie interna della volta faringea. Dimostra l’interruzione del velo del palato primitivo, che prelude alla formazione del vestibolo farin- goipofisario. 236 Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. 28. 29. 30. 31. 32. . 93. . 94. 35. ig. 87. Angelo Cesare Bruni, Embrione di pollo di giorni 5 ed ore 7. Disegno rappresentante il mo- dello riprodotto nella fig. 10, veduto della faccia corrispondente alla super- ficie interna della volta della faringe. Dimostra il vestibolo faringoipo- fisario e, nella parete dorsale di questo, l’apertura del canale contenuto nel peduncolo faringoipofisario (R) e l’apertura della parte ventrale cava della gemma delln tasca di Seessel (S). Embrione di gongylus oc. mm. 6,5><5, Sezione sagittale mediana del- l'abbozzo dell’ipofisi. Ingr. 175 d. Dimostra i rapporti della vescicola ipofisaria e del peduncolo faringoipofisario col cervello e con gli organi scheletrici. Embrione di gongylus oc. mm. 7,5 x 5,5. Sezione sagittale mediana del- labbozzo dell'ipofisi. Ingr. 175 d. Dimostra la formazione delle prime gemme dei cordoni ipofisarii della parete dorsale del lobo anteriore e l'inizio della formazione del diverticolo rostrale del lobo medio. Embrione di gongylus oc. della lunghezza totale di mm. 41 (lungh. del capo mm. 7). Sezione sagittale mediana dell'abbozzo dell’ipofisi. Ingr. 175 d. Dimostra la riduzione del peduncolo faringoipofisario ed un mag- gior sviluppo dei cordoni ipofisarii e del diverticolo rostrale del lobo medio. Embrione di pollo di giorni 6, ore 17. Sezione sagittale mediana un poobliqua dell'estremità ventrale del peduncolo faringoipofisario. Ingr. 175 d. Dimostra l’intima aderenza della gemma della tasca di Seessel al peduncolo vestiboloipofisario e gli spazii (v) accennanti alla formazione di una cavità in questa gemma. È questa una delle sezioni che servirono a comporre il modello riprodotto nella fig. 14. Embrione di pollo di 12 giorni e 17 ore. Ricostruzione grafica del pe- duncolo faringoipofisario (profilo sinistro). Lo stesso embrione. Sezione sagittale mediana della regione faringoipo- fisaria. Ingr. 475 d. Dimostra la disposizione delle cellule nella so- stanza ipofisaria contenuta nel canale craniofaringeo. Si nota la forma- zione di cordoni cellulari e di cavità circondate da cellule appiattite. Passero adulto. Sezione sagittale mediana della regione faringoipofisaria. Ingr. 67 d. Dimostra la forma dell'ipofisi (lobo ghiandolare) e la sostanza ipofisaria del canale craniofaringeo, che in quantità considerevole circonda il ramo comunicante delle carotidi. Pollo adulto. Sezione sagittale mediana della regione faringoipofisaria. Ingr. 14 d. Dimostra la forma del lobo ghiandolare dell’ipofisi, non- chè il tessuto ipofisario ed il plesso venoso del canale craniofaringeo. Embrione di mus dec. alb., l. v. c. mm. 8, 1. nuc. mm. 7, altezza del capo mm. 5. Sezione sagittale quasi mediana della regione faringoipo- fisaria. Ingr. 175 d. Dimostra la struttura del vestibolo faringoipofisario, della gemma della tasca di Seessel e della vescicola ipofisaria. È una delle sezioni che servirono a comporre il modello riprodotto nella ite ile), Embrione di mus dec. alb. l. v. c. mm. 8, l. nuc. mm. 7, altezza del capo mm. 4,5. Sezione sagittale quasi mediana della regione faringoipofisaria. Ingr. 475 d. Dimostra i rapporti della gemma della tasca di Seessel con la vescicola ipofisaria e la struttura uguale delle porzioni ectodermica —( /— Fig. Fig. Fig. . 40. . 41. 42. 43. Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell'ipofisi negli Amnioti. 237 ed entodermica dell’epitelio faringeo. E una delle sezioni che servirono a comporre li modello riprodotto nella fig. 20. Embrione di mus muse. l. v. c. mm. 10. Sezione sagittale mediana della regione faringoipofisaria. Ingr. 175 d. Dimostra la formazione epiteliale connettiva, posta caudalmente all' ipofisi e la struttura della vescicola ipo- fisaria, in cui é avviata la formazione del cercine rostrale. E una delle sezioni che servirono a comporre il modello riprodotto nella fig. 26. Embrione di mus dec. alb. l. v. c. mm. 15. Sezione sagittale mediana della regione ipofisaria. Ingr. 67 d. Dimostra la forma dell'ipofisi, i rap- porti tra la parte vescicolare ed il lobo anteriore, un residuo del pedun- colo faringoipofisario nel canale craniofaringeo. Embrione di mus musc. l| v. c. mm. 24. Sezione sagittale laterale della regione ipofisaria. Ingr. 175 d. Dimostra una porzione di ipofisi, nella quale si distinguono una parte caudale vescicolare ed una rostrale solida, contenute in un canale craniofaringeo molto ampio. Feto umano, l. v. c. mm. 50. Sezione sagittale mediana comprendente l'estremità craniale dell'ipofisi faringea. Ingr. 175 d. Dimostra il parti- colare modo di terminare dell’ipofisi faringea nell'epitelio della mucosa faringea, che forma una specie di gavocciolo sporgente nella cavità della faringe. Feto umano, 1. v. c. mm. 100. Sezione sagittale laterale dell ipofisi. Ingr. 14 d. Dimostra i prolungamenti della porzione vescicolare del lobo ghiandolare, avvolgenti il lobo nervoso. Erratum. Nelle indicazioni della fig. 12 (Tay. II) invece di I si legea M. Description d’un embryon humain (Eternod-Delaf), de 20 somites, avec flexion dorsale. Por Eug. Bujard. (Planche VII et VIII.) L’embryon humain, qui fait l’objet de cette monographie, appar- tient a la collection du laboratoire d’Embryologie de Genève; il a été mis aimablement à notre disposition par Mr. le Prof. d’Eternod, à qui nous adressons ici nos vifs remerciements. Il sagit d'un œuf humain (cuf Eternod-Delaf), abortif, de la ame. semaine env., contenant un embryon de 20 somites, mesurant 2,8 mm de longueur totale. Nous relevons dans le proces verbal, dressé à l'époque (Juillet 1894), par Mr. le prof. d’Eternod, les renseignements suivants: »Oeuf non ouvert, conservé à l'aleool dénaturé, depuis une année : : : à AR 16,4 mm environ, de forme lenticulaire, de dimensions en diametre: 1 na ? >< 10,1 mm; il est recouvert de villosités sur toute sa surface. A l'ouverture, le magma réticulé, de coloration blanchátre, résiste fortement. On apercoit cependant une vésicule ombilicale rugueuse, comme papillaire, et la région céphalique d'un embryon enveloppé de lamnios. L'examen est interrompu pour éviter un accident. L'euf est coloré en masse au carmin boracique alcoolique, inclus dans la paraffine et microtomé en coupes sériées, d'une épaisseur de Description d’un embryon humain (Eternod-Delaf), de 20 somites, ete. 239 20 u. L’embryon se retrouve dans 101 coupes; quelques préparations sont déchirées dans la région du ventricule du cœur.“ Nous avons exécuté deux séries de reconstructions plastiques en cire, par la méthode des Platten-Modell: 1. une reconstruction générale de l'embryon, de la vésicule ombili- cale et du pédicule abdominal, avec un grossisement de 50 diamètres, d'aprés une série de dessins exécutés en 1902 par Mr. Weber, stud. med. 2. Plusieurs reconstructions de l'embryon et de ses organes (systeme nerveux, système digestif, cœur, colome) avec un grossissement de 100 diamétres, d'aprés nos propres dessins. Nous avons complété cette étude par une série de reconstructions graphiques. I. Forme extérieure. L’embryon humain Eternod-Delaf, de 20 somites, est caractérisé avant tout par une flexion dorsale très accentuée, qui lui donne l'aspect en double C décrit par His. (Pl. VII, fig. 1 et 2.) La partie céphalique de l'embryon est séparée de la partie caudale par une coudure brusque, dessinant un angle de 90? environ, ouvert du cóté dorsal; cette coudure est située au niveau du bord caudal du pédicule vitellin et correspond, comme nous le verrons plus loin, aux 12me.—13me. paires de somites. Elle coupe pour ainsi dire l'embryon en deux parties inégales. | La partie céphalique se prolonge directement au-dessous du cœur dans le pédicule vitellin, court et large, mais aplati latéralement. La vési- cule ombilicale est elle-méme déformée, aplatie latéralement et présente de nombreux plis artificiels. Ses dimensions actuelles sont: longueur totale 2,6 mm; largeur la plus grande 1,8 mm; mesurées sur le modele. Un pedicule abdominal très court, réunit la partie caudale de lembryon au chorion, ce pédicule nait sur la face ventrale, se tord et se recourbe brusquement à gauche et du cóté dorsal, pour se diriger vers le chorion, en s'allongeant sur la face latérale gauche de l’embryon. Un amnios trés étroit enveloppe l'embryon (Pl. VII, fig. 1: amn.); son insertion sur le corps de l'embryon peut être subdivisée en trois sections: dans la 1re. section, l'ammios s'inserre étroitement sur la 240 Eug. Bujard, voussure cardiaque, selon une ligne transversale; dans la 2me. section, il prolonge directement les replis lateraux de la paroi abdominale de lembryon et se dirige par conséquent longitudinalement; dans la 3me. section, plus longue à droite qu'à gauche, l'insertion devient obli- que et rejoint l'origine du pédicule abdominal. L’amnios est accollé sur les ?/, de sa longueur à ce dernier et envoie méme dans son épais- seur un court diverticule. | Le modelage extérieur de l'embryon est beaucoup plus avancé dans la partie céphalique que dans la partie caudale. La partie céphalique présente une double courbure: une flexion ventrale reguliere et une torsion légére sur laxe rejetant l'extrémité céphalique du cóté gauche; la face latérale gauche est presque plane, ou méme légèrement concave; la face droite dessine une saillie assez forte, surtout dans la région du cour; la voussure cardiaque est presque totalement reportée à droite. L'extrémité céphalique est relativement petite; elle présente à son sommet Torifice du neuropore céphalique (Pl. VII, fig. 2 et fig. 5 A: neur. ceph.), encore ouvert. A droite et à gauche, deux saillies arrondies, peu marquées, indiquent la place des vésicules optiques. Le stomeum a la forme d'un infundibulum de section pentagonale, dont les cótés sont les futurs bourgeons: frontal, maxillaires supérieurs et maxillaires inférieurs non soudés sur la ligne médiane. (Pl. VII, fig. 5 A et B.) La partie pharyngienne de l’entonnoir du stomeum, se rétrécit en une large fente, à grand axe, dorso-ventral; à ce niveau, on voit les restes du voile pharyngien primitif déchiré. Les bourgeons maxillaires inférieurs sont réguliérement arrondis; les bourgeons maxillaires supérieurs, encore mal dessinés, ne sont indiqués que par une étroite zone aplatie, séparant les maxillaires inférieurs du frontal. Le bourgeon frontal, régulièrement arrondi, présente en arriére une série de saillies et d'enfoncements qui sont: sur la ligne médiane une fossette allongée, ébauche du diverticule hypophysaire; de chaque cóté de celle-ci, deux bourrelets, qui la séparent de deux fossettes plus profondes, les ébauches des fossettes olfactives; celles-ci se terminent du cóté ventral dans deux plages légérement D EL mr wee ea aed u ee Description d’un embryon humain (Eternod-Delaf), de 20 somites, ete. 241 concaves et se prolongent du cóté dorsal en gouttiéres sur le toit du pharynx; la fossette droite est mieux dessinée que la gauche. Sur les faces latérales de la tête, un peu en arrière du stomeum, deux fossettes allongées marquent les deux premières fentes branchiales. Ces deux fossettes sont réunies par un sillon, qui se prolonge jusque sur la ligne médiane, en séparant les maxillaires inférieurs de la voussure cardiaque (sillon du futur sinus précervical) (Pl. VIT, fig. 1 Gib. ZB je 0) Sur le dos de la tete, les fossettes auditives sont encore largement ouvertes (Pl. VII, fig. 1 et 2 A: f. aud.); elles sont situées entre les ex- trémités dorsales des 1re. et 2me. fentes branchiales et correspondent par conséquent au 2me. arc branchial (les maxillaires inférieurs étant comptés comme premier arc). Au dessous de la région branchiale, le corps de l'embryon s'élargit graduellement, dans le sens dorso-ventral, jusqu'au niveau de l'insertion amniotique; la voussure cardiaque fait exclusivement saillie sur la face droite et le bords ventral; la face gauche est plane. A partir de l'insertion amniotique, la paroi ventrale de l'embryon fait défaut, pour laisser passer le pédicule vitellin. De chaque cóté de celui-ci les cavités colomiques de la partie antérieure du corps s'ouvrent et se transforment en gouttiéres (Pl. VII, fig. 1 et 2: can. pleur.). Dans toute la région abdominale, le corps de l'embryon est réduit à sa partie dorsale; de chaque cóté, les parois latérales sont retroussées en arrière et se continuent avec lamnios (c'est dans l'épaisseur de ces replis latéraux, pariétaux, que courent les veines ombilicales). Les gouttieres cœlomiennes délimitent le corps de l'embryon et le sac vitellin; la gouttiere est profondément creusée à droite; à gauche, elle est à peine visible sur la saillie régulièrement arrondie que forme le pédicule vitellin. Au niveau de la flexion dorsale, le corps est brusquement coude en arrière, ce qui a pour résultat d'effacer plus ou moins la rondeur du dos. Une torsion de la partie caudale de l'embryon, sur son axe et de droite à gauche, complique la flexion dorsale, de telle sorte que la ligne médio-dorsale de la queue décrit une courbe régulière à con- Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI. 16 949 Eug. Bujard. vexité dirigée à droite et que la face ventrale est devenue presque complétement face latérale gauche. Une sorte de pédicule rétréci rattache la partie caudale de Vembryon au reste du corps; de chaque côté de celui-ci s'ouvrent les cavités cœlomiennes caudales qui sont ainsi en continuité directe avec les gouttieres cclomiennes de la région abdominale (Pl. VII, fig. 2: cal.). Par suite de la torsion de la queue, l'orifice cœlomien droit est trés étroit, tandis que l'orifice gauche se présente comme une large fente sur toute la hauteur de la face latérale. A l'extrémité caudale, et reporté sur la face droite par la torsion, se trouve le neuropore caudal, largement ouvert (Pl. VIT, fig. 1: neur. caud.); le canal neural se continue au-delà par une gouttiére aplatie qui se rétrécit de plus en plus. Il n'existe pas, superficiellement, de traces évidentes d'une ligne primitive. La face gauche de la partie caudale est creuse; elle est cachée par le pédicule abdominal, qui se loge dans sa concavite. Au total, toute cette partie caudale de l'embryon montre trés peu de différenciation dans son modelage extérieur. II. Systeme nerveux. Le systeme nerveux est un canal fermé sur la plus grande lon- gueur; le neuropore céphalique est ouvert et s'étend jusqu'à l'origine des vésicules optiques; le neuropore caudal est encore trés large (Pl. VII, ine S» RAR VOR] NAVALE Alien) Dans toute la région cérébrale, cà et là, les lèvres du canal neural s’entrebaillent et rendent sa fermeture dorsale incomplète. Les trois vésicules cérébrales primitives sont dessinées; le prosencéphale se continue encore très largement avec les vésicules optiques; le rhom- bencéphale est subdivisé en 7 neuroméres (les limites céphalique du premier et caudale du 7me. neuromére sont indistinctes) (Pl. VII, fig. 4: 1 N...) Le bord dorsal du canal cérébral est fortement renflé au ni- veau du 3me. neuromere; l’ebauche du ganglion acoustico-facial se de- tache du 4me.; le fonds de la fossette auditive correspond au 5me.; les autres ganglions cérébraux ne sont pas encore ébauchés. Quelques- uns des sillons délimitant les neuromères se traduisent par de profondes Description d'un embryon humain (Eternod-Delaf), de 20 somites, etc. 948 échancrures sur le bord ventral du canal neural (ce sont les sillons 1, 3 et 5), tandis que les autres sont à peine marqués. Le systéme nerveux, dans son ensemble suit la courbure de la région céphalique; cependant à la limite entre le mésencéphale et le rhombencéphale, il se fléchit plus brusquement. La cavité du cerveau ne présente pas encore de modelage régional particulier. Dans toute sa partie médullaire, le canal neural est encore simple, sans différenciation secondaire. Un peu au dessus de la flexion dorsale, le canal neural est déformé; il présente sur ses faces latérales > sillons obliques, mieux marqués à gauche qu'à droite et dirigés d'arriére en avant et de haut en bas (Pl. VIII, fig. 7: X). Ces déformations sont analogues à celles que l'on obtient en tordant sur laxe un tube de caoutchouc; ils sont vraisemblablement düs à la flexion dorsale de l'embryon. Une torsion axiale de gauche à droite accompagne la flexion du systeme nerveux, de telle sorte que dans la partie caudale, le canal neural est déformé, comme toute la queue, et décrit une courbure à concavité dirigée du cóté gauche et ventral. Dans toute cette région, le tube neural est de moitié plus mince que dans la région dorsale; il s’aplatit peu à peu dans le sens dorso-ventral, jusqu'à l'ouverture du neuroporse caudal. III. Chorde et somites. La chorde est encore adhérente à l'entoderme sur sa plus grande longueur (Pl. VIII, fig. 7: ch.) Au niveau du pharynx, elle est réduite à un simple épaississement médian de la paroi dorsale du tube digestif; dans la région moyenne du canal intestinal, elle forme un cordon bien distinct; mais cependant encore en contact immédiat avec l'entoderme; la flexion dorsale de l'embryon a libéré la chorde sur une certaine longueur; elle est alors éloignée de l'intestin et suit de trés pres le bord ventral du systéme nerveux, Au niveau du cloaque, elle s'accolle de nouveau sur le bord dorsal de ce dernier, mais elle redevient libre finalement et se perd dans le mésoderme caudal. Les somites sont au nombre de 20 paires. Les protovertebres sont déjà différenciées; la ségrégation du sclérotome est faite, il ne reste que la calotte du myotome (Pl. VII, fig. 4: 7 S. à 20 S.). 16* 244 Eug. Bujard, La flexion dorsale de l'embryon s'est faite entre la 12me. et la 13me. paire de protovertébres. A ce niveau les somites sont écrasés les uns sur les autres, comme si la place leur avait manqué. IV. Systeme digestif. 2 Le tube digestif est fermé en canal sur les ?/, de sa longueur; au niveau du tiers moyen, il communique encore trés largement avec le sac vitellin. Le canal alimentaire suit les diverses courbures générales de l'embryon (Pl. VIII, fig. 7 et 8). A. Pharynx. Le segment céphalique du tube digestif est repoussé en totalité du cóté droit et ses diverses régions sont plus ou moins tordues sur leur axe. Le pharynx, élargi transversalement, a pris dans sa partie inférieure une position oblique, de telle sorte que son bord droit est beaucoup plus court et déplacé en arrière; plus bas, la région hépatique est un peu déjetée sur la gauche. Il en résulte que le tube digestif circonscrit ainsi, du cóté gauche, une sorte de loge que remplit la base du cœur, tandis que la pointe fait saillie en avant et à droite, au dessus du foie (Pl. VIT, fig. 3 et Pl. VIII, fig. 7). Le pharynx communique avec la cavité buccale primitive par une large fente à grand axe dorso-ventral, sur les bords de laquelle sont les restes du velum pharyneien. En arriére du velum, le toit du pharynx est creusé d'une petite gouttiere, peu profonde, qui se pro- longe en avant, au dessous de la créte chordale, par un petit diverti- cule (Pl. VII, fig. 4: arch). Ce cul-de-sac a été signalé et interprété, en 1899, par Mr. le prof. d'Eternod, comme le reste de la partie céphalique du canal notochordal ou archenteron. Voici, du reste, la description qu'il en a donnée: „Dans la portion la plus supérieure et dorsale du cul-de-sac pharyngien se voit une production bien distincte du reste du pharynx, sous forme d'un canal aplati dans le sens dorso-ventral, tapissé, du cote dorsal par des cellules réguliérement juxtaposées, et, dans sa partie ventrale, par une couche épaisse d'éléments stratifiés et à limites indistinctes . . . L'ensemble de ce canal rappelle frappamment un des dessins donnés par Van Beneden pour le canal chordal chez le Murin.“ Li sé id vis = 2 Description d’un embryon humain (Eternod-Delaf), de 30 somites, ete. 245 Les bords lateraux du pharynx presentent 4 poches branchiales les deux ires. sont bien développées. et atteignent l’ectoderme, épaissi à ce niveau. Le placóide épithélial branchial commun, que nous avons décrit chez le mouton, n'est pas encore complétement formé; ces fentes sont totalement fermées (Pl. VIII, fig. Y et 8: 7 à 4 f. br). La lére. poche branchiale est allongée dans le sens dorso-ventral elle présente un angle dorsal et un angle ventral, qui se continue sur la face ventrale du pharynx par un sillon branchial mieux dessiné à droite quà gauche; l'accolement avec l'ectoderme existe, à gauche sur toute la longueur de la fente; à droite, il n'a lieu à l'angle dorsal. La 2me. poche est moins différenciée; l'angle ventral est à peine marqué et la soudure avec l'ectoderme est limitée à l'angle dorsal. Les 3me. et 4me. poches sont à peine accusées; par suite de la torsion générale du pharynx, lébauche de la 4me. poche est située à droite trés en avant. La paroi dorsale du pharynx présente à gauche une forte saillie, arrondie, qui va de la 1re. poche branchiale jusqu'à la 4me. en s'effacant graduellement (Pl. VIII, fig. 10, B); cette saillie correspond à un sillon de la face externe dans lequel est logé le rhombencéphale. A ce niveau la chorde n'est pas médiane, mais déjetée à droite. La paroi ventrale du pharynx est trés irreguliere; elle est creusée, obliquement, d'une fosse profonde qui va de la 2me. poche branchiale droite, vers la 1re. poche gauche; mais avant d'atteindre celle-ci, elle se termine dans le diverticule de la thyroide mediane. Du cóté buccal, cette fosse oblique est limitée par le 2me. arc branchial (arc hyoidien), dont la saillie est trés forte à droite. Plus bas à gauche, une saillie arrondie, presque longitudinale, correspond à la base du cœur (Pl. VII, fig. 5, €). Le pharynx de l’embryon Eternod-Delaf fournit donc une image semblable à celle décrite par Grosser pour l'embryon Meyer- Thompson. Cependant, la torsion du pharynx signalée déjà par Grosser et attribuée par lui à la présence du cœur, est beaucoup plus forte chez l'embryon Eternod-Delaf, que chez l’embryon Meyer; de plus elle s'étend plus haut, jusqu'à la 2me. fente branchiale, tandis que dans le second, elle existe avant tout à la limite entre les régions bran- 246 Eug. Bujard, chiale et pulmonaire du pharynx primitif. D’autre part, le bourrelet cardiaque, que Grosser dessine; est moins saillant et dirigé presque transversalement, tandis que dans l’embryon Eternod-Delaf, il est tres puissant et souléve longitudinalement toute la partie gauche de la paroi ventrale du pharynx. Enfin, sur la paroi dorsale, Grosser ne signale pas de dépression particulière causée par le système nerveux. Il semble donc que l'action du cœur sur le pharynx a été plus violente dans l'embryon Eternod-Delaf que dans lembryon Meyer. Chez le premier, le pharynx s'est trouvé pincé entre le cour et le systeme nerveux; il a glissé latéralement et est venu se loger du cóté droit pour trouver la place qui manquait sur la ligne mediane. Ce déplacement et cette déformation exagérée du pharynx coin- cident dans lembryon Eternod-Delaf avec une flexion dorsale, qui n'existe pas dans l'embryon Meyer-Thompson (ce dernier est réguliére- ment enroulé ventralement). | Y a-t-il corrélation entre cette flexion et cette déformation du pharynx? telle est la question que nous essayerons de résoudre plus loin. B. Ébauches tracheo-pulmonaire et hépatique. Au dessous de la région branchiale, le pharynx se rétrécit rapidement et sa section devient losangique. Plus bas, le tube digestif s’aplatit latéralement et, au niveau de la 4me. paire de somites, le bord ventral se creuse dune étroite gouttière, visible sur quelques coupes seulement, qui semble être l'ébauche de la région pulmonaire. A partir de la 5me. paire de somites, le diamètre dorso-ventral du canal digestif s’accroit rapidement; le bord ventral forme une large souttière qui s'approfondit et devient le diverticule hépatique; ce dernier est dévié du cóté gauche. Dans cette région, la paroi intestinale se différencie; le bord dorsal et les faces latérales du canal digestif deviennent trés minces, tandis que le bord ventral est trés épais et constitue un véritable placoide hépatique, qui, du reste, glisse peu à peu de cóté et occupe finalement la paroi latérale droite du diverti- cule hépatique; cet épaississement cesse brusquement au niveau de la pointe du coeur, c'est à dire de la8me. paire de somites (Pl. VIII, fig. 7 et 8 et Pl. VII, fig. 4: pulm.; hep.). C. Gouttiere intestinale moyenne. Au dessous du foie, l'intestin utenti tite iii bale Yu iii nn Description d’un embryon humain (Eternod-Delaf), de 20 somites, etc. 247 est réduit a une gouttiere dorsale, & paroi trés mince, qui communique largement avec le sac ombilical; le pédicule vitellin s'étend de la 9me. paire de somites, jusqu'au niveau de la flexion dorsale de l'embryon, c'est à dire de la 13me. paire de protovertebres (Pl. VII, fig. 4). D. Cloaque. Dans la partie caudale de l'embryon, l'intestin est de nouveau fermé en canal (Pl. VIII, fig. 7 et 8 et Pl. VIT, fig. 4); il se dilate trés fortement et constitue le cloaque. Celui-ci est complétement déformé par la torsion de la queue: il présente une paroi droite convexe; un bord dorsal, sur lequel court la chorde; une paroi gauche concave. Du bord ventral se détache le canal allantoidien, au niveau des 19mes. somites. L’allantoide se dirige d'abord latéralement à gauche, puis se recourbe réguliérement du cóté caudal et un peu dorsal, dans l'épaisseur du pédicule abdominal; enfin, elle se termine brusquement aprés une derniére courbure à concavité dirigée à la fois à droite et du côté dorsal (Pl. VIII, fig. 7: all.). A l'extrémité caudale du cloaque, on retrouve un petit diverticule, qui serait le correspondant du diverticule signalé dans la partie cé- phalique du pharynx; c'est à dire, quil serait la partie caudale du canal notochordal ou archentéron. Entre le cloaque et l'extrémité cau- dale de la chorde, il y a de plus 3 ou 4 amas cellulaires, qui sont peut-étre bien les restes du canal neurentérique. La déformation de la région empéche une affirmation catégorique (Pl. VII, fig. 4: arch.?). V. Systéme vasculaire. A. Cœur. Le cœur est fortement recourbé en S; il est situé sur la face ventrale du pharynx, dans la loge qui a été décrite à propos de cet organe (Pl. VII, fig. 3 et Pl. VIII, fig. 7). Le sinus veineux correspond à la 4me. paire de somites et la pointe du ventricule est sur le prolongement de la ligne séparative des 8me. et 9me. paires (Pl. VII, inter, AE C Tell WIDE, stress) Dans son ensemble, le cœur est légèrement tordu sur son axe, de droite à gauche; la pointe est reportée à droite de la ligne médiane; il y a donc un certain degré de dextrocardie. Le sinus veineux est dirigé dans le sens dorso-ventral et de 248 Eug. Bujard, droite a gauche; il se continue sans ligne de démarcation nette avec la région de l'oreillette (Pl. VIII, fig. 10, A à D). Un sillon, peu marqué du reste, sépare celle-ci du ventricule qui constitue la pointe du cœur. Enfin, le bulbe artériel se recourbe du côté céphalique et à gauche, pour donner naissance sur la ligne médiane aux arcs aortiques. Le tube endocardique est encore peu modelé; un retrécissement sépare l'oreillette du ventricule; une simple diminution de calibre indique l'origine du bulbe artériel. B. Artères. Du bulbe arteriel partent 3 arcs aortiques branchiaux, qui donnent naissance à 2 aortes dorsales. Celles-ci se prolongent en avant vers le mésencéphale par deux petits rameaux, les ébauches des carotides (Pl. VIIL, fig. 9). Les 2 aortes courent tout le long du bord dorsal du tube digestif, à droite et à gauche de la chorde, sans se fusionner. Au niveau du cloaque, elles se continuent avec les artéres ombilicales, qui se glissent dans le pédicule abdominal, en devenant satellites du canal allantoidien. C. Veines. L'embryon Eternod-Delaf est fort peu propre à l'étude du systeme veineux; les veines sont trés difficiles à repérer. au milieu des mailles plus ou moins serrées ou plus ou moins làches du tissu conjonctif embryonnaire. Il est possible de suivre cependant (PI.VIII, ing. (s 1. Les veines ombilicales, qui, à partir du sinus veineux, se diri- cent dans le sens latéro-dorsal et se logent dans les replis des parois latérales du corps, le long de l'insertion amniotique, pour atteindre le pédicule abdominal. La veine ombilicale droite est presque rectiligne et constitue une sorte de corde plus ou moins tendue, unjssant la région cardiaque à la région cloacale; la veine ombilicale gauche suit, au contraire, un trajet curviligne, à concavité ventrale. 2. Les veines vitellines, qui se détachent du sinus veineux, passent sur la face ventrale du diverticule hépatique et se résolvent en un riche réseau veineux dans la paroi de la vésicule ombilicale. 5. Enfin, il est possible de reconnaitre encore deux tronçons des veines cardinales, céphaliques et abdominales. Description d’un embryon humain (Eternod-Delaf), de 20 somites, etc. 249 Wi. Ceelome: Le cœlome peut être subdivisé en quatre parties: le péricarde primitif, les canaux pleuraux, les gouttiéres cœlomiennes abdominales, les poches cœlomiennes caudales. A. Péricarde primitif.. Le péricarde primitif est déjà largement développé; les cavités péricardiques droite et gauche sont complètement fusionnées; le mésocarde ventral a disparu; le mésocarde dorsal est réduit à la région du sinus veineux, de telle sorte que le cœur est entièrement libre dans le péricarde, suspendu à la fois par le bulbe artériel et le sinus veineux. La cavité péricardique s'étend entre les pédieules artériel et veineux et ébauche la région du futur sinus transverse (Pl. VII, fig. 6 et 5 A). i Le péricarde épouse plus ou moins completement la forme du cœur; ses limites s'étendent de la 3me. à la 9me. paire de somites (Pl. VII, fig. 4); dans son ensemble, il est tordu sur son axe et re- porté à droite, comme le cœur. Sa paroi dorsale est épaissie, comme celle du colome; sa paroi ventrale est au contraire extremement amincie. Au niveau du sinus veineux, le péricarde communique par deux fentes étroites, obliques dans le sens dorso-ventral et latéro-médian avec les canaux pleuraux. Cette communication est à droite au niveau de la 4me. protovertébre, à gauche de la 3me. DB. Canaux pleuraux. A partir de leur orifice pericardique, les canaux pleuraux se coudent brusquement, pour devenir longitudinaux. Ils sont inégaux et asymétriques: le canal pleural gauche est plus dorsal que le droit (Pl. VII, fig. 6 et 5 A: cam. pleur.). Le canal pleural gauche, plus court, s'étend du 3me. au 6me. somites, le canal droit de la 4me. à la 8me. protovertebres. A leur extrémité caudale, ils s'ouvrent à droite et à gauche du pédicule vitellin et se continuent avec les gouttières cclomiennes abdominales. Dans leur partie céphalique, leur forme est celle d'un canal aplati, à grand axe oblique; plus bas ils s'élargissent, et, à leur ex- trémité abdominale, leur section est devenue irréguliérement quadri- latere. C. Gouttieres cœlomiennes abdominales. Aprés un court trajet 250 Eug. Bujard, longitudinal, les gouttieres ccelomiennes abdominales, se coudent brus- quement en arriere, au niveau de la flexion dorsale de l'embryon (Pl. VII, fig. 1, 2 et 6: g. cœl.). Elles sont trés asymétriques: la gouttiére gauche s'étend de la 6me. à la 15me. protovertébre; c'est la plus courte; la droite va du 8me. au 18me. somite. La gouttiére gauche est trés peu profonde; la saillie du pédicule vitellin l'efface presque complétement au niveau de la flexion dorsale. La coudure de la gouttiere est trés brusque; elle dessine un angle aigu. Dans sa partie caudale, la gouttiere colomienne gauche décrit une légére courbure à convexité dirigée à gauche et moulée sur le pédicule vitellin; à son extrémité caudale, elle se continue avec la poche coelomienne, par une large fente, qui s'étend sur toute la hauteur de la face gauche de la queue. La gouttiere cclomienne droite est au contraire profondément creusée entre le pedicule vitellin et la paroi du corps de l'embryon. Cette gouttiére décrit une courbe régulièrement arrondie, qui cor- respond à la flexion dorsale, compliquée d'une forte courbure générale à concavité dirigée à droite. Au niveau de la queue, elle est creusée sur le bord ventral de cette région; elle communique, au niveau de la 18me. protovertebre par un orifice étroit avec la poche cœlomienne caudale. JD. Poches colomiennes caudales. Les deux poches colomiennes caudales sont asymétriques et inégales (Pl. VII, fig. 6: cal.). La poche gauche est la plus grande; elle est aplatie latéralement; elle forme une sorte de crochet caudal, recourbé ventralement. La paroi latérale gauche est déprimée par le pédicule abdominal. La paroi médiane présente une série de plissements obliques, métamériques, de colomères, qui coincident avec les 18me., 19me. et 20me. somites; un dernier pli parait correspondre à la 17me. protovertèbre, mais la déformation des somites de cette région, par suite de la flexion dorsale, a détruit en partie cette ordonnance (Pl. VII, fig. 4, B: cel.) C'est la premiére fois, croyons-nous, quil est signalé une méta- mérisation du cœlome, chez l'embryon humain, tout au moins. La poche cœlomienne droite est plus ou moins ovoide, sans pré- Description d'un embryon humain (Eternod-Delaf), de 20 somites, etc, 251 senter de modelage bien particulier; elle est située plus ventralement que la droite, par suite de la torsion de la queue. Les deux poches colomiennes s'étendent un peu au delà des derniers somites délimités. VII. Comparaison et discussion. La comparaison de l’embryon Eternod-Delaf avec les jeunes em- bryons humains déjà décrits par divers auteurs et spécialement avec ceux que signalent les Normentafeln de Keibel, convainct quil faut le considérer comme un stade intermédiaire entre l'embryon humain NT. 6 (Pfannenstiel III, déerit par Low) et l'embryon humain NT. 7 (Meyer 300, décrit par Thompson). Le tableau suivant résume les caractéristiques de ces trois embryons (les indications du tableau pour les embryons NT. 6 et 7 sont celles données par les Normentafeln elles-mémes): Tableau comparatif. Emb. Pfannenstiel III, Emb. Eternod-Delaf | Emb. Meyer 300 Ni 6 | NT. 7 Dimensions Gr. long. env. 2,6 mm Gr. long. 2,8 mm | Gr. long. 2,5 mm Forme exté- | Embryon fléchi surla | Embryon fléchi brus- | rieure. | face ventrale et légè- | quement du côté dor- | | rement tordu en spi- | sal. Rég. céphalique | rale. | fléchie ventralement et légérement tordue en spirale. Rég. cau- dale tordue sur l'axe. | | | Ligne Bourgeon caudal pré- Restes de la ligne pri- primitive. || sentant sur sa face mitive; membrane cloa- ventrale les restes cale. douteux d’une ligne primitive. Somites. 13—14 paires 20 paires 23 paires 959 Eug. Bujard, — |Emb. Pfannenstiel II, Emb. Eternod-Delaf | Emb. Meyer 300 NT. 6 INT Dimensions |Gr. long. env. 2,6 mm| Gr. long. 2,8 mm Gr. long. 2,5 mm Chorde. Chorde au moment | Chorde au moment de | Chorde isolée de l'en- de sa séparation de l'entoderme. Du có- té cranial, elle est encore soudée à l'en- toderme; du côté cau- dal, elle est bien in- dividualisée et n'est plus intercalée dans l'entoderme. la séparation de l'en- toderme. Du cóté cra- nial, elle est encore soudée à l'entoderme; danslarégion moyenne elle est individualisée, localement, au niveau de la flexion dorsale de l’embryon. L'extré- mité caudale de la chorde est complete- ment individualisee. toderme. Systeme ner- veux. Région cérébrale: canal neural ouvert jusqu'au niveau de la partie caudale des vesicules optiques; de méme, dans la ré- gion caudale. Ebau- ches de neuromeres deja visibles. Neuropore céphalique encore ouvert, mais retréci. Gouttiére mé- dullaire largement ou- verte du coté caudal. Neuromeres. Ganglion acoustico-facial. Neuropore antérieur fermé; mais sa place est reconnaissable. Du cóté caudal, le canal médullaire est encore ouvert sur une grande étendue. Le toit du IVme ventricule com- mence à s'amincir. Neuroméres.Ganglions trijumeau et acousti- co-facial visibles. Yeux. Vésicules optiques primaires; elles sont étroitement accollées à l’ectoderme. Vésicules optiques sé- parées de l’ectoderme par une intercalation de mésoderme. Vésicules optiques; mé- soderme intercalé entre les vésicules optiques et l’ectoderme. Oreilles. Ebauche de la vési- cule auditive, recon- naissable sous forme d'une plaque ecto- dermienne épaissie et peu profonde. Cavité buccale. Hypophyse. Hypophyse ébauchée. Vésicules auditives en- core largement ouver- tes,sousforme de deux fossettes ectodermien- nes à paroi épaissie. Vésicules auditives presque fermèes. Duc- tus endolymphaticus pas encore reconnal- sable. Ebauche douteuse. Velum pharyngien primaire encore fer- mé; infundibulum buccal. Membrane pharyn- gienne déchirée; restes abondants. Membrane pharyn- gienne déjà déchirée; restes abondants. Description d’un embryon humain (Eternod-Delaf), de 20 somites, ete. 253 Emb. Pfannenstiel III NT. 6 Emb. Eternod-Delaf Emb. Meyer 300 NT. 7 Dimensions Gr. long. env. 2,6 mm Gr. long. 2,8 mm Gr. long. 2,5 mm Tube digestif, foie, pancreas. Fentes bran- chiales, thyroide, thymus, poumon. Infundibulam hépa- tique large, situé cranialement et tout près du pédicule vi- tellin. Les deux premières poches branchiales atteignent l'ectoder- me, la 3me est in- diquée. Intestin encore trés lar- gement uni au sac vi- tellin. Diverticule hé- patique à parol épaisse, sans bourgeons trabé- culaires. Les poches branchiales atteignentl'ectoderme; les 3me et 4me poches sont ébauchées. Ebau- che de la thyroide médiane. deux premiéres Intestin encore large- ment unl au sac vi- tellin; le foie forme un diverticule à paroi épaissie, d’où les tra- bécules commencent à bourgeonner. La 9me poche bran- chiale atteint l’ecto- derme; la 4me poche, qui est formée, Vatteint pas Thyroide mediane in- diquée. Gouttiere tracheo-pulmonaire; la parité de l'ébauche pulmonaire déjà mar- quée. ne encore. Systéme urogénital. Ebauche du prone- phros tout à fait rudimentaire, au ni- veau des 8—9—10 segments primor- diaux. Pas de canal de Wolff. Vésicules segmentaires, au ni- veau des 11—12—13 segments primor- diaux. .bres Ebauche du prone- phros rudimentaire. Ebauche du mésone- phros (vésicule seg- mentaire avec rudi- ment de nephrotome) Cordon du mésone- phros largement éten- du, en connexion avec les segments primordi aux,ilvajusqu’äla der- niére des protoverté- délimitées. Le canal de Wolff com- mence à présenter un lumen à son extrémi- té craniale; il se ter- mine, intercalé dans l'ectoderme, encore loin du cloaque. 254 Eug. Bujard, Emb. Pfannenstiel IIl, Emb. Eternod-Delaf Emb. Meyer 300 NT. 7 Niet Dimensions |Gr. long. env. 2,6 mm| Gr. long. 2,8 mm Gr. long. 2,5 mm Coeur et Cœur en forme de | Cœur fortement re- | Cour forlement re- . vaisseaux. | S. Le mésocarde | courbé en S. 3 arcs | courbé en S, l'ébauche postérieurn'existe que branchiaux arteriels. | des oreillettes com- sur peu de coupes. | Aortes pairessurtoute | mence à se différen- Aortes paires partout. la longueur. cler. Les deux Iers. arcs branchiaux arté- riels sont visibles. Les aortes sont soudées sur une grande éten- due. Allantoide. | Canal allantoidien. Cordon allantoidien. L'étude minutieuse de ce tableau et surtout la comparaison des reconstructions des trois embryons, et plus spécialement des projections eraphiques sur le plan median, permet de faire les remarques suivantes (PIE IDE nes JOD 1. L’embryon Delaf n'est pas en réalité la moyenne organique des deux embryons NT. 6 et 7; mais ses parties constituantes sont tantót plus voisines de l’un, tantôt de l’autre. 2. Les régions céphalique et dorsale de l'embryon Delaf paraissent plus développées proportionnellement que les régions ventrale et sur- tout caudale Il y a une sorte de discordance entre le modelage du dos et du ventre, entre celui de la tête et de la queue de l'embryon Delaf. 3. Dans la région céphalique, la courbure dorsale et l'allure géné- rale du système nerveux, des neuromères et des somites sont celles de l'embryon NT. 7. si nous réduisons les deux embryons aux mémes dimensions (Pl. VIII, La superposition des organes est presque complete, fig. 11, D,). Ainsi, pour le système nerveux, il y a coincidence dans la position des vésicules optiques et des trois premiers neuroméres; les quatre autres neuroméres occupent les mêmes lieux, mais la direction de leurs sillons séparatifs est plus oblique dans l'embryon NT. 7 (Meyer 300) que dans l’embryon Eternod-Delaf. premieres paires de somites se superposent exactement; à partir de De méme, les trois la 4me. paire, un certain tassement des somites s'est produit dans Description d’un embryon humain (Eternod-Delaf). de 20 somites, etc. 255 l'embryon Delaf, si bien que sa 8me. protovertebre correspond à la ‘me. de l'embryon NT. 7. Du cóté du pharynx, quelque divergence se dessine; la direction des fentes branchiales est autre, quoiquil y ait coincidence des angles ventraux des 1re. et 2me. fentes des deux embryons. Les limites et la position du cœur sont a peu prés les mêmes; il s'étend de la 3me. à la 8me. paire de somites dans l'embryon NT. 7, de la 3me. à la 9me. dans l'embryon Delaf, par suite du tassement des somites; à noter cependant que les rapports entre laxe du ceur et celui de l'embryon montrent une flexion ventrale plus forte de l'em- bryon NT. 7. Il semble que le pharynx et le cœur ont été gènés dans leur flexion chez l'embryon Delaf; une gêne analogue expliquerait la dextro- cardie et la torsion du pharynx, refoulé par le cœur, que nous avons décrites. 4. D'autre part, dans la région cervico-dorsale, le tassement des somites S’accentue, il atteint son maximum au niveau de la flexion dorsale (12me.—13me. somites), mais il se propage jusque dans la queue. Ce tassement est accompagné de déformations par compression, atteignant surtout les 14me.—15me.—16me. protovertèbres. C'est aussi au niveau de la flexion dorsale que le canal medullaire présente les sillons de déformation, par compression, que nous avons décrits plus haut. 5. Pour la région caudale, une comparaison directe est plus diffi- cile; la petitesse relative de cette région chez l'embryon Eternod- Delaf se remarque cependant à première vue; cette petitesse n'est qu'apparente: la queue étant déformée par sa torsion sur laxe et sa flexion latérale. Cest pourquoi, nous avons essayé de reconstituer la silhouette médiane de cette partie caudale, redressée et détordue. Pour cela, nous avons combiné graphiquement, par un systéme d'ordonnées et d’abscisses, les projections verticale et horizontale de cette région. Le profil obtenu ne peut pas sans doute étre regardé comme un profil corrigé rigoureusement exact; ce n'est qu'une silhouette, mais suffisam- ment précise pour permettre une comparaison utile. Nous avons 256 Eug. Bujard, achevé ce redressement de la partie caudale, en reportant l’allantoide de 90° environ. du cöte ventral, de facon a lui rendre la position. qui lui est la plus habituelle dans les reconstructions d’embryons humains (EI Veil curs JOD ah | Le résultat de cette reconstitution graphique a été une partie caudale, dont la silhouette médiane se superpose de très près à la projection médiane de la queue de l'embryon NT. 6 (Pfannenstiel IIT). seuls le nombre et la position des protovertèbres ne sont pas les mêmes: ainsi la 16me. protovertèbre de l'embryon Delaf correspond à la 13 me. de l'embryon NT. 6 (Pl. VIII, fig. 11, D,) Chez l'embryon Eternod- Delaf, la segmentation du mésoderme s'est poursuivie, tandis que le modelage des autres organes paraît s'être arrêté ou du moins retardé. En resume, l'embryon Delaf ne représente pas simplement un stade intermédiaire entre les embryons NT. 6 et 7; ses diverses parties sont inégalement développées: tandis que sa région céphalique correspond à celle de l'embryon NT. Y, sa région caudale répète l’image de celle de l'embryon NT. 6. Il y a là une discordance évidente. Cette discordance entre la tête et la queue, la violente torsion du pharynx, la dextrocardie légère, les déformations du système nerveux et des somites, par la flexion dorsale, obligent de poser la question: l'embryon Eternod-Delaf est-il complètement normal? y a-t-il une correllation entre cette flexion dorsale et les diverses particularités de - son développement? La flexion dorsale violente, que présente l'embryon Eternod-Delat a été observée par Ars et plusieurs auteurs sur d'autres embryons humains; les uns l'ont considérée comme un stade normal (Hes, Koll- mann, etc.) d'autres comme un accident de préparation, ou peut-étre nne anomalie (Keibel, Broman, etc.) L'accord n'est pas encore complet. Il serait trop long de discuter ici cette question au point de vue général; ce serait alourdir cette monographie; nous nous réservons de revenir sur ce sujet dans un autre mémoire. Nous nous bornerons donc à essayer de résoudre ce simple probléme: la flexion dorsale de lembryon Eternod-Delaf est-elle normale ou non? La comparaison de l'embryon Delaf avec les embryons humains NT. 6 et 7 nous a fait constater certaines discordances et certaines Description d'un embryon humain (Eternod-Delaf), de 20 somites, etc. 257 déformations dans le développement organique du premier. Des discor- dances et des déformations semblables existent-elles dans le domaine des annexes? 1. Le pedicule abdominal, ainsi que le canal allantoidien qu'il contient, se détachent, chez les embryons NT. 6 et 7 de la face ventrale de la queue, se fléchissent en arriére et se dirigent caudalement pour at- teindre le chorion; la courbure du pédicule est plus forte chez l'em- bryon NT. 7 que chez l'embryon NT. 6, du fait que la partie caudale est elle-méme plus enroulée ventralement. Chez l'embryon Eternod-Delaf, la queue est tordue dans son en- semble, de telle sorte que le pédicule abdominal nait sur le cóté ventro- latéral gauche de la partie caudale; de là, il se releve brusquement et se dirige dans le sens dorsal vers le chorion. Il y a là une mal- position évidente du pedicule abdominal (Pl. VIT, fig. 1). 2. D'autre part, le pédicule vitellin des embryons NT. 6 et 7 est déjà considérablement retréci; sa direction est ventrale chez l'embryon NT. 6, ventro-caudale et parallele au pédicule abdominal chez l'embryon NT. 7. Le pédicule vitellin de l'embryon Delaf est par contre encore trés large; sa direction est ventrale, mais complétement opposée à celle du pédicule abdominal, qui est devenue dorsale; de plus, la vési- cule ombilicale n'est pas libre dans le magma réticulé; elle est fixée au chorion par un tractus ectodermo-mesodermien (Pl. VII, fig. 1). 3. Le chorion présente, en effet, de place en place, à la base des villosités de petits diverticules épithéliaux, qui s'enfoncent dans la lame externe du mésoderme, s'y transforment en canaux, et, aprés un trajet en général trés court, viennent le plus souvent s'ouvrir à la base d'une autre villosité. Nous avons retrouvé deux groupes de ces diver- ticules choriaux: le premier groupe, situé complétement en dehors des limites de l'embryon, comprend 4 petits canaux de longueur variant de 0,10 mm à 0,24 mm; le second groupe, correspondant à la région choriale qui fait face à la vésicule ombilicale, est formé de 3 canaux: 2 canaux trés courts de 0,16 mm et 0,14 mm et un 3me. canal, beaucoup plus long, qui constitue le tractus fixateur signalé ci-dessus. Ce canal épithélial nait, comme les autres, à la base d'une villosité; il se dirige parallélement à la surface choriale dans l'épaisseur de la lame méso- Internationale Monatsschrift f. Anat. und Phys. XXXI. ig 258 Eug. Bujard, dermienne, en perdant peu a peu sa lumiére. Apres un trajet de 1 mm environ, il se sépare du chorion, traverse le coelome, accompagné d'une masse mesodermienne, et vient s’accoler à la face latérale droite de la vésicule ombilicale. Il se prolonge dans l'épaisseur de la paroi de celle-ci jusqu'au niveau du pédicule vitellin, oà il se termine brus- quement sans entrer aucunement en connexion avec l'épithelium endo- dermo-vitellin (Pl. VII, fig. 1, tr. ch. vit.: c. ect.). La trainee mésodermienne qui l'aecompagne et s'est accollée à la vésicule ombilicale, s'allonge encore et passe comme un pont au- dessus de la gouttiére celomienne droite, au niveau méme de la flexion dorsale de l’embryon; elle vient se perdre progressivement dans le mésoderme de l'amnios; à ce méme point quelques brides unissent l’amnios au chorion. La direction générale de ce tractus chorio-vitellin est parallele au grand axe de la vésicule ombilicale et décrit dans son ensemble une large courbure à concavité caudale; la longueur totale du cordon épithélial est de 2 mm environ. Par ce tractus la vésicule ombilicale et la partie moyenne de l'embryon sont immobilisés et fixés solidement au chorion, dans une direction, qui est de sens inverse, mais selon une ligne paralléle, à la traetion du pédicule abdominal. 4. Enfin, /]ammnios est relativement étroit; sa longueur dorsale mesurée du pédicule vitellin à son insertion céphalique parait pas- sablement plus courte que celle de l'amnios des embryons NT. 6 et 7. L'msertion céphalique de l'amnios chez l'embryon Delaf est encore située à mi-longueur de la voussure cardiaque, comme dans l'embryon NT. 6, tandis que chez l'embryon NT. 7 le ecur saille déjà librement dans la. cavité amniotique. Du côté caudal, lamnios est étroitement accollé au pédicule abdominal et le suit dans sa malposition (Pl. VII, fig. 1, amn.) Ainsi, aux particularités organiques de l'embryon Eternod-Delaf, s'ajoutent certaines particularités, certaines malformations mêmes des annexes. Description d’un embryon humain (Eternod-Delaf), de 20 somites, ete. 259 Pendant les premiers stades de son développement, l'embryon humain exécute une série de mouvements de flexion, dont le résultat est l'enroulement spiral de son corps. Ces flexions intéressent d'abord la région caudale et la region céphalique; elles se propagent finalement à tout le corps. Pendant cette flexion, les rapports organiques de la tête sont changés; le cœur, qui était situé primitivement en avant de l'embryon se trouve peu à peu reporté au dessous de lui et en arrière du stomeum; il atteint bientót les premiers somites, puis le recul apparent se continue et le cœur arrive à sa position définitive. En réalité, le déplacement du cœur est trés petit, il grandit et se modèle sur place, pour ainsi dire. C’est le systeme nerveux, les somites et le pharynx, qui, en s'allongeant, le surmontent graduellement et s'enroulent autour de lui. L’amnios grandit de son cóté; son insertion céphalique, qui était située primitivement au-dessus et en avant du cour, s'abaisse peu à peu et rejoint le pédicule vitellin; le cœur fait alors saillie directement dans la cavité amniotique. Pendant ce temps, l'embryon exécute un second mouvement general, de bascule, autour d'un point qui serait situé à l'insertion du pédicule abdominal, sur la partie caudale. Au début, le dos de l'embryon regarde l'insertion choriale du pédicule abdominal, dont la direction est alors caudo-dorsale; lorsque la culbute de l'embryon est faite, c'est le ventre qui est tourné vers l'insertion choriale du pédicule abdominal; ce dernier s'est recourbé: il se dirige d'abord dans le sens ventral, puis se fléchit dans le sens caudal. La vésicule ombilicale est entrainée par les mouvements de flexion et de bascule de l'embryon. Elle était dirigée primitivement dans le sens ventro-céphalique et plus ou moins exactement dans le prolongement du pedicule abdominal; pendant la flexion, elle se déplace dans le sens caudal; le pédieule vitellin s'accolle finalement au pédicule abdominal au moment ou l'enroulement spiral et la culbute de l'embryon sont achevés. L'embryon NT. 6 à commencé ce double mouvement de flexion et de bascule; la tête et la queue sont légèrement fléchies; le cœur atteint la 5me. paire de somites; la vésicule ombilicale est directement ventrale. L'embryon NT. 7 à presque achevé les deux mouvements: TE 260 Eug. Bujard, la tete et la queue sont déja tres enroulées; le cceur s’étend de la 3me. à la 9me. paire de somites; le pédicule vitellin est dirigé dans le sens ventro-caudal; il est tout à cóté du pédicule abdominal déjà fléchi. | ES * L’embryon Eternod-Delaf, au contraire, n'a exécuté qu'imparfaite- ment ces divers mouvements de flexion et de culbute; il a enroulé sa tete et sa queue, mais indépendemment l'un de l'autre, pour ainsi dire, isolées qu'elles ont été par la formation de la flexion dorsale; de plus, la flexion de la queue s'est faite d'une facon atypique, en se compli- quant d'une torsion sur laxe; enfin, la vésicule ombilicale a gardé sa position primitive; elle est restée dans le prolongement du pédicule abdominal, fixée au chorion par le tractus que nous avons décrit. Cette immobilisation de la vésicule ombilicale a retenti en premiere ligne sur tout le modelage de la tête de l'embryon (Pl. VIII, fig. 12): 1. Le ceur a été arrété dans son mouvement de bascule dorso- ventral; il s'est buté contre le pédicule vitellin. D'autre part, l'al- longement et l’enroulement de la téte le poussaient toujours plus contre cet obstacle. Il a été pris entre la pression exercée sur lui par la téte et la résistance de la vésicule ombilicale; la résultante de ces deux forces l'a fait échapper, comme un noyau de cerise entre les doigts, et il à enfoncé profondément sa base dans la paroi ventrale du pharynx, refoulant devant lui cet organe et l'écrasant contre le système nerveux. Le pharynx, de son côté, a échappé plus ou moins à cette pression en se tordant sur son axe et en se déplacant du cóté droit (Pl. VIII, fig. 12, fléches 1 et 4). 2. L'immobilisation de la vésicule ombilicale, par un tractus cho- rial, a eu pour seconde conséquence, d'empécher complétement le mou- vement de bascule de l'embryon, du cóté ventral. Les croissances de la tête et du cœur se sont cependant continuées comme normalement. La résultante de ces deux forces a rejeté violemment toute la région céphalique en arriére et a provoqué ainsi la flexion dorsale de l'em- bryon. En effet, il était impossible que le corps de l'embryon exé- cute ce mouvement de recul en totalité; la fixation de la vésicule Description d’un embryon humain (Eternod-Delaf), de 20 somites, ete 261 ombilicale entrainait fatalement l’immobilisation de la partie moyenne du corps, correspondante au pédicule vitellin. Le passage d’une bride, comme un pont, au dessus de la gouttière cclomienne droite et son insertion sur le repli latéral de la paroi du corps consolident encore la fixité de la région et localisent définitivement la flexion dorsale. Celle-ci devenait inévitable, du moment que seule, la région céphalique pouvait reculer devant la résistance offerte 4 sa croissance par la vesicule ombilicale (Pl. VIII, fig. 12, fléches 2 et 3). La fixation du tractus chorio-vitellin sur le repli latéral droit de la paroi du corps a eu encore pour résultat immobilisation de la veine ombilicale droite, qui y est contenue. De plus, la torsion de la queue, de gauche à droite, et la déviation du pédicule abdominal sur le cóté gauche ont tendu la veine ombilicale droite, qui se dirige, en effet, presque en ligne droite du sinus veineux au pédicule vitellin; tandis que la veine ombilicale gauche décrit une large courbure à concavité ventrale. Cette fixation de la veine ombilicale droite et sa tension ont exercé une traction sur le sinus veineux, en arriére et à droite; le cœur tout entier a pivoté sur son pédicule artériel et la dextrocardie a été établie (Pl. VIIT, fig. 12, fléche 5). 4. L'immobilisation de la vésicule ombilicale a retenti aussi sur la partie caudale de l'embryon; celle-ci n'a pas pu basculer, dans le sens ventral, autour de l'insertion du pédicule abdominal. La crois- sance longitudinale de la queue a bien provoqué une flexion, mais celle-ei s'est faite d'une facon atypique. La queue s'est trouvée butée à son extrémité caudale contre le pédicule abdominal, et à son extré- mité abdominale contre le corps immobilisé de lembryon. N’ayant la place ni de s'allonger, ni de se fléchir normalement, elle a versé de cóté et s'est tordue sur son axe de gauche à droite. La flexion ventrale a été transformée en une courbure latérale á concavité gauche. Le sens de la torsion a été déterminé, semble-t-il, par deux facteurs: laecroissement normalement plus grand du cóté droit et la traction exercée sur le côté droit par la bride chorio-vitelline (Pl VIII, fie. 12, fléche 1). Du fait de la torsion de la queue, la direction caudo-dorsale primitive du pédicule abdominal n'a pas été changée en réalité, mais 262 Eug. Bujard, i bien son insertion, qui de ventrale est devenue latérale gauche. D’autre part, la torsion de la queue a retenti dans la région dorsale et a provoqué les sillons de torsion du système nerveux, immediate- ment au dessus de la flexion dorsale de l’embryon. Enfin, la flexion ventrale normale n’ayant pu se faire, le modelage du cloaque qui en resulte s’est trouvé arrété: cela explique cette discordance observée dans l’embryon Eternod-Delaf, qui fait que la tete réalise celle de d’embryon NT. 7, tandis que la queue est encore l’image déformée de celle de l'embryon NT. 6. 5. Quant au róle que peut avoir joué l’amnios dans ces processus de flexion dorsale et de torsion de l'embryon, il parait minime. En effet, l'étroitesse relative de l'amnios de l'embryon Delaf est un arrét de développement, qui semble avoir été plutót secondaire à la flexion dorsale, qu'un des facteurs actifs de celle-ci. Cependant, l'amnios a peut-etre bien aussi contribué à tirer en arriére la téte de l'embryon, en exagérant la flexion dorsale. En résumé, les diverses considérations ci-dessus obligent à regarder l'embryon Eternod-Delaf, comme un embryon anormal, contrairement aux idées de His, de Kollmann, etc. et méme de celles de Keibel. Ce dernier auteur, en effet, regarde la flexion dorsale de l'embryon humain comme le résultat d'un artifice, d'une tuméfaction chez un ceuf abortif. L'étude de l'embryon Delaf et de ses annexes conduisent à l'idée d'une véritable malformation d'origine choriale, à l'exclusion d'un simple accident de préparation. En effet, l'ouverture de l’euf a été trés petite, très prudente; elle a été interrompue à la premiere résistance. L'œuf a été microtomé en entier; les rapports entre l’embryon et ses annexes ont donc été conservés intacts, comme le montrent les préparations. Il faut noter un détail qui peut avoir son intérét: l'état de conservation du chorion est trés différent suivant les lieux; toute la moitié du chorion qui regarde la face droite de l'embryon est trés bien constituée, sa structure tissulaire est excellente; l'autre moitié, au contraire est mal conservée, d'aspect plus ou moins nécrosé; il ne semble pas qu'il s'agisse d'un simple défaut de fixation, mais bien plutót d'un état pathologique, en rapport avec le fait qu'il s'agit d'un œuf abortif. Description d’un embryon humain (Eternod-Delaf), de 20 somites etc. 963 C'est dans la partie saine du chorion que se trouvent les canali- cules epitheliaux que nous avons signalés; c'est dans cette méme région que s'est formé le tractus chorio-vitellin que nous accusons de la flexion dorsale de l’embryon Eternod-Delaf. La littérature ne présente encore qu'un trés petit nombre de deseriptions de canaux choriaux; nous citerons celles de Grosser et de Marchand; les canaux décrits par ces auteurs ont du reste une autre situation que les nótres; ils sont dans le voisinage du pédicule abdominal; et appartiennent au chorion d'embryons beaucoup plus jeunes. Aucun d'eux n'est comparable au long canal chorial, qui forme laxe du tractus chorio-vitellin que nous décrivons. Au contraire, ce tractus se rapprocherait davantage des tractus unissant la vésicule ombilicale au chorion chez les embryons de Strahl-Beneke et de Grosser; cependant, chez le premier, le tractus est purement mésodermien dans sa partie distale, tandis que chez le secoud le tractus contient des formations épithéliales, que Grosser croit pouvoir regarder comme entodermiennes, sans que nullepartil y ait pourtant continuité épithéliale avec la vésicule ombilicale. Chez l'embryon Eternod-Delaf, l'origine ectodermienne du canal épithélial ne peut étre mise en doute, puisque le canal s'ouvre directement à la sur- face choriale. Il est difficile de décider si ces tractus de nature diverse sont un fait normal du développement ou si ce sont des exceptions, des anomalies dans le modelage des annexes et spécialement dans la constitution du magma reticule. En tout cas, l'un d'eux, le tractus épithélial, qui est venu s'accoller à la vésicule ombilicale, parait bien avoir été le fauteur des désordres survenus dans le développement de l'embryon Eternod-Delaf, par les efforts mécaniques anormaux quil a provoqués per l’immobilisation du sae vitellin et de la région moyenne du corps de l'embryon. Conclusions. 1. L'embryon Eternod-Delaf, de 20 somites, réalise organiquement un stade intermédiaire entre les embryons Pfannenstiel III NT. 6 et Meyer 300 NT. 7. 2. L'embryon Eternod-Delaf doit étre regardé comme anormal: flexion dorsale, torsion caudale, discordance entre le développement de 264 Eug. Bujard, Description d'un embryon humain (Eternod-Delaf) etc. la téte et de la queue, torsion du pharynx, dextrocardie, asymétrie du colome etc. 3. Ces diverses anomalies sont toutes la conséquence de l’immobi- lisation de la vésicule ombilicale et de la partie moyenne du corps par une bride chorio-vitelline, constituée d’un cordon épithélial ecto- dermien, enveloppé d’une masse mésodermienne. 4. La flexion dorsale de l'embryon Eternod-Delaf doit étre rangée parmi les malformations d’origine annexielle (choriale). Bibliographie. Eternod, Il y a un canal notochordal dans l’embryon humain. Anat. Anz. 1899 Bd. XVI. s. 131. Grosser, Zur Entwicklung des Vorderdarmes menschlicher Embryonen bis 5 mm. größter Länge. Sitzungsber. der Kaiserl. Akad. der Wissensch. in Wien Mathem.-Naturw.-Klasse 1911 Bd. CXX Abt. III. — Ein menschlicher Embryo mit Chordakanal. Anat. Hefte 1913 Bd. XLVII s. 658. His, Anatomie menschlicher Embryonen. Leipzig 1880— 1885. Keibel u. Elze, Normentafeln zur Entwicklungsgeschichte des Menschen. Jena 1908. Low, Description of a human Embryo of 13—14 Mesodermic Somites. Journ. of Anat. and Physiol. 1908 Vol. XLII (Third Serie Vol. III.) Strahl-Beneke, Ein junger menschlicher Embryo. Wiesbaden 1910. Thompson, Description of a human Embryo of Twenty-tree paired Somites Journ. of Anat. and Physio. 1907 Vol. XLI. Explieation des figures. Abrevations. a. = aorte mesen. = mésencéphale all. = canal allantoidien N. ou neur. = neuroméres Amn. = amnios neur. caud. = neuropore caudal a. omb. = artères ombilicales neur. ceph. — neuropore cephalique arch. — archenteron ped. abd. — pédicule abdominal a. aor. — ares aortiques peric. — pericarde DB. — stomeum phar. = pharynx b. art. = bulbe artériel prosen. = prosencephale can. pleur. = canaux pleuraux | pulm.= ébauche pulmonaire card. = coeur rhomb.= rhombencéphale Ch.= chorde dorsale sac. vit. = sac vitellin Chor.= chorion S. dig. = système digestif Cl. = cloaque | S. neur. — systéme nerveux coel. = poches coelomiennes | som. = somites caudales S. V. = sinus veineux du coeur f. aud. = fossettes auditives | Th. m.= ebauche de la thyroide f. br. = fentes branchiales médiane f. olf. — fossettes olfactives V. card.= Veines cardinales VIII. gg.= gg. acoustico-facial | Ves. opt. = Vesicules optiques g. coel. = gouttières cœlomiennes | V. omb.= Veines ombilicales abdominales v. vit.= veine vitelline hep.= ébauche hèpatique Planche VII. Fig. 1. Profil de l'embryon Eternod-Delaf (face droite) d'aprés une reconstruc- tion graphique. — Tractus chorio-vitellin (Tr. ch.-vit.). (Tr. ch.-vit.: c. ect.: canal ectodermien. \Tr. ch.-vit.: mes.: cordon mésodermien. 1. origine choriale du tractus chorio-vitellin; — 2. son insertion sur la paroi du sac vitellin; — 8. son insertion sur la paroi laterale de l'em- bryon; — 4. expansions terminales sur l’amnios. Fig. 2. Forme extérieure de l’embryon, face gauche. Fig. Situs viscerum (reconstruction plastique). Fig. 4. Reconstruction graphique par projection sur le plan médian. A. Systéme digestif, systéme nerveux et neuroméres, segments primor- diaux, coeur. - B. Partie caudale: segments primordiaux et ccelome. CI 266 Eug. Bujard, Description d'un embryon humain (Eternod-Delaf) etc. Fig. 5. Fig. 6. Reconstructions plastiques de la partie céphalique de l'embryon Eternod- Delaf. À.: forme extérieure. B.: paroi dorsale du pharynx. C.: paroi ventrale du pharynx. Modéles négatifs du péricarde, des canaux pleuraux, des gouttieres et des poches ccelomiennes. A. face dorsale. B. profil gauche. Planche VIII. Fig. 7 et 8. Reconstructions plastiques des systeme nerveux et du systeme Fig. 9. Fig. 10. Fig. 11. Fig. 12. digestif. Cœur et vaisseaux sanguins, reconstruction graphique par projection sur le plan médian. Cour: A et B, forme extérieure. —: C et D, tube endocardique. (A et C, faces ventrales; — B et D, faces dorsales.) Comparaison des reconstructions graphiques des embryons: A. Embryon Pfannenstiel III (d’aprés les modéles de Low). B. Embryon Eternod-Delaf. B,: partie céphalique. Bs: silhouette graphique de la partie caudale. C. Embryon Meyer 300 (à aprés les dessins de Thompson). D,: parties céphaliques superposées des embryons: Ds: parties caudales superposées des embryons. Mécanisme de la formation de la courbure dorsale: ab. projection du tractus chorio-vitellin. I—IV. points d’insertions du tractus chorio-vitellin. I. sur le chorion. II. sur le paroi du sac vitellin. III. sur le corps de l'embryon. IV. expansion terminale sur l'amnios. A. Origine du pedicule abdominal (point allantoidien). B. Fixation du pedicule abdominal au chorion. >_> actions et mouvements normaux. ems > resistances anormales. -—:-—-—» actions resultantes. i 1. action de l'allongement caudal de l'embryon. 2. action de la flexion ventrale de la tète. 3. mouvement de bascule de l’embryon. 4. torsion du cœur. 5. traction exercée sur le sinus veineux (s. v.) par la veine ombilicale gauche. The vital staining of mitochondria with janus green and diethylsafranin in human blood cells'), by E. V. Cowdry. Anatomical Laboratory, Johns Hopkins University (With Plate IX.) Object. The literature concerning mitochondria in the blood cells of man is very scanty. Benda in 1399 (p. 380) described mitochondria in the polynuclear leucocytes of a nasal polypus. A few years later Schridde (’05, p. 695) studied the so-called Altmann’s granules in lymphocytes in tissues under pathological conditions, particularly in lupus of the skin, by means of a modified Altmann’s method. Beckton (709, p. 187) also observed Altmann’s granules in lymphocytes and Klein (10, p. 683) recorded them in lymphoblasts and myelo- blasts in addition. It seems probable, from the discussion in the Berliner Hämatologische Gesellschaft of another paper by Klein (10a, p. 406), that the Altmann's granules, which he described with Schridde and Beckton, are identical with the mitochondria of Benda. A valuable review of the literature relating to mitochondria in the blood cells of lower forms is given by Duesberg (712, p. 799). This neglect of mitochondria on the part of hematologists is the more surprising in view of what we now know of their functional significance. "The evidence is pretty strong that they increase and decrease in number with certain changes in the activity of the cell. So that we have a cytoplasmic as well as a nuclear criterion of cell activity. Moreover the belief is becoming widespread that they play the róle of plastids in the formation of certain products of cell dit- !) Aided by the Carnegie Institution. 268 E. V. Cowdry, ferentiation, starch granules for instance. "They are purely cytoplas- mic structures, arising from other mitochondria by division and transmitted in approximately equal amounts to the two daughter cells. The obstacle which has deterred hematologists from entering this field seems to be the technique This difficulty has been in part overcome in two ways. In the first place improved methods for the fixation and staining of mitochondria in blood cells have been devised. Among which may be mentioned the methods of Schridde (’05, p. 695), Meves (’10, p. 646) and Dubreuil (13, p. 74). In the second place we are now in possession of a satisfactory vital dye for mitochondria. We owe this dye to the researches of Michaelis (’99, p. 565), Lagu- esse (700, p. 5) and Bensley (’11, p. 304). It is diethylsafraninazodi- methylanilin, commonly known as janus green. | My object in this paper is (1) to indicate a reliable method whereby mitochondria may be specifically stained in the cells of human blood by the vital dye, janus green and by its derivative diethyl- safranin; and (2) to place on record some observations made by its use. I am much indebted to my father for valuable assistance, gene- rously given, throughout. Method. It is essential that the right dye be selected. It must be diethyl- safraninazodimethylanilin as Michaelis (799, p. 565) and Bensley C11, p. 304) have emphasized. The correct compound may be obtained from the New York agency of Farbwerke Höchst am Main. Germany. A good many of the failures of investigators to stain mitochon- dria with janus green are accountable on the hypothesis that they did not allow the oxygen of the air free access to the tissue. Janus green should be employed in a concentration of about 1: 10,000 in 0,85°/, sodium chloride solution. The janus green solu- tion does not deteriorate. It is recommended that the manipulations be carried out on a warm stage. A drop of stain should be placed on each of a series of six or more slides. A small amount of freshly drawn blood is then added to the dye and a cover glass is immediately dropped on it. No attempt should be made to mix the blood with the stain before covering. The vital staining of mitochondria with janus green ete. 269 The preparations may now be examined, preferably with Zeiss apochromatic lenses, objective 1,5 mm and compensating ocular 4. Almost immediately one of the preparations will begin to show mitochondria, first in the lymphocytes and later in the granular leucocytes. Soon the mitochondria will be stained in all of them. Under favorable conditions the preparations last for from one hour and a half to two hours. Evaporation may be reduced by putting a ring of vaseline around the edges of the cover glass. Bensley has found that diethylsafranin, which may be readily made from janus green, has also a specific affinity for mitochondria and may be used to advantage as a vital dye. Since diethylsafranin is red it is often of use in combinations with other blue and green dyes, where janus green would be useless on account of the similarity in color. Diethylsafranin may be conveniently obtained from janus green as follows: ; 1. Make a saturated Solution of janus green in distilled water in a flask. b 2. Add a little zinc dust and a few drops of hydrochloric acid. The solution first assumes a brielit crimson color and then bleaches, the hydrochloride of the leucobase of the safranin being formed. 3. Filter. Shake the filtrate in air and thus reoxidize the leucobase. 4. Precipitate the dye by saturating the solution with sodium sulphate. It is often necessary to use a little heat. A dark red precipitate is formed. 5. Filter. Collect the precipitate on the filter. Wash with a sa- turated solution of sodium sulphate and dry it. 6. Dissolve out the dye from the dried precipitate with absolute alcohol. 7. Filter and evaporate the filtrate to dryness. 8. Dissolve the dye in the required concentration in distilled water or in salt solution. It may be used in the same way as janus green but a stronger solution of 1:1,000 must be employed. In order to obtain good results it should be made up fresh every two or three days. It does not give so uniformly constant results as janus green. 270 E. V. Cowdry, The advantages presented by these new methods of vital staining are many. They are simple, rapid and give uniform results. Five minutes labor is often rewarded by a very beautiful mitochondrial stain. It is time saving. It is not necessary to wait för days to see whether the preparation is to be successful or not. The objectionable features of fixation are eliminated and the mitochondria may be studied in cells which are not distorted by being flattened out on the cover glass or slide. By their aid mitochondria may be seen in the dividing cells of the bone marrow (guinea pig) and in human leucocytes during amoeboid movement and phagocytosis. Furthermore they constitute a new method of approach to the investigation of diseases of the blood and blood forming organs. Nevertheless these methods will only remain of use so long as their limitations are recognised. A method used by itself, blindly, without adequate control, offers a very popular pitfall for the unwary. This has been the case with the iron hematoxylin method. One of the sources of error was brought home to me by staining human blood cells in a 1:10,000 solution of Brilliantcresylblau 2 B!) (Muhlheim) and a 1:2,000 solution of Neutralrot n. Ehrlich (Griibler) respectively. The finely granular leucocytes (neutrophiles) showed bodies in the cytoplasm which were of irregular shape and size in the Brillianteresylblau preparation, and stained a bright red color. In the Neutralrot preparation, on the other hand, the bodies were of spherical outlines and stained a dull red shade. In both cases the bodies could be seen to increase in size, although the chromatin of the nucleus was unstained and the cells showed but slight indication of degeneration. It seemed clear that I was dealing with an accu- mulation of material resulting from the interaction of the stain and the cytoplasm, not with formed bodies, pre-existent in the living, unstained leucocytes. The following precautions were taken. Fresh blood was exami- ned on a warm stage without the addition of any salt solution. Cer- tain formed elements were observed in the cytoplasm of the leucocytes. 1) Obtained from Dr. H. M. Evans. The vital staining of mitochondria with janus green ete. Dal These were seen to stain brightly with janus green when it was in- troduced at the side of the cover glass and drawn through by means of filter paper. Blood smears were fixed in Orth’s fluid, Altmann’s fluid, Bensleys osmic bichromate acetic mixture, osmic acid solution and osmic acid vapor. They were stained by the Altmann procedure and by Bensley’s anilin fuchsin methyl green and toluidin blue methods. In these preparations structures were observed in the leucocytes which were indistinguishable on the basis of their relative number, shape and cytoplasmic distribution from the bodies seen in the living, unstained cell, on the one hand, and in cells stained supravitally with janus green, on the other. There can be no doubt therefore of the pre-existence of these bodies in the cells of the circulating blood of the normal, human adult and of the value of these new methods of approach. Observations. The evidence is strong, to my mind conclusive in favor of the mitochondrial nature of the bodies about to be described. It is based upon the following observations: 1. Reaction to vital dyes. They stain in a specific fashion with janus green. This has been shown to be a property of mitochondria in all tissues which have been investigated, except in rare instances where the cells are not permeable to the dye. It has been recorded by Michaelis (^99. p. 666) in gland cells; by Laguesse (’11, p. 275) in the pancreas; by Bensley (11, p. 304) also in the pancreas; by Lewis (14, p. 331) in tissue cultures and by myself (^12, p. 8; and '14, p. 398) in adult and embryonic nerve cells. Moreover I have found that janus green will stain bodies which are unquestionably mitochondria in other cells, for example endothelial cells, side by side with mitochondria in blood cells, in the same field of the microscope. Both the endothelial cells and the blood cells were human and were taken fresh from the operating room through the courtesy of Dr. Dandy of the Johns Hopkins Hospital. 2372 E. V. Cowdry, They also stain specifically with diethylsafranin. Diethylsafranin has not, to the best of my knowledge, been employed as a vital stain for mitochondria by any one except Bensley. He found that it stained them specifically in the cells of the pancreas and in chick embryos and I have confirmed his observations. It is possible to observe in the pancreas of the guinea pig, for instance, mitochondria stained with janus green (diethylsafraninazodimethylanilin) lose their color and assume a red coloration. "This is accomplished in the more cen- tral parts of the tissue remote from the sides of the cover glass and from the air (vide Michaelis, '99, p. 565). It is due, as both Michaelis and Bensley have pointed out, to a reduction of the dye with a splitting off of the dimethylanilin group leaving the red diethyl- safranin. So that there can be no question that diethylsafranin stains mitochondria. 2. Reaction to fixatives and stains. I have demonstrated them in human blood by certain methods in vogue for the study of mitochondria in other tissues. These methods were modified in that imbedding was omitted and that the duration of the various steps was somewhat abbreviated. 1. Altmann's (90, p. 27) method. 2. Bensley's (11, p. 309) anilin fuchsin methyl ereen method. 3. The iron hematoxilin method as employed by Meves (708, p. 832) after osmic acid fixation. They may be stained, in addition, by Schridde’s (^05, p. 695) modification of the Altmann procedure. No differences in the number, shape and cytoplasmic arrangement of these bodies could be observed when they were studied (1) unstained in the living cell, (2) stained with janus green and (3) in cells fixed and stained by the methods above mentioned. Regaud (708, p. 662) and others have shown that mitochondria are dissolved when fixed in fluids containing more that an minimum con- centration of acetic acid. These bodies are soluble in acetic acid. I showed this by adding acetic acid to Orth’s fluid. The bodies could be readily seen after fixation in unmodified Orth’s fluid, but where acetic acid had been added in a concentration of 5°/, they were no longer visible, i. e. they had been dissolved. The vital staining of mitochondria with janus green etc. 273 3. Occurrence. One of the characteristics of mitochondria is the generality of their occurrence. The structures which I am about to describe in human blood cells present this characteristic. I worked out their distribution with janus green from the point of view of the ontogenesis and the phylogenesis of the blood. They occur as follows in the blood and blood forming organs of the guinea pig: Circulating blood Bone marrow Lymph gland lymphocytes lymphocytes lymphocytes large lymphocytes large lymphocytes large lymphocytes amphophylic leucocytes amphophylie leucocytes amphophylic leucocytes amphophylic myelocytes endothelial cells. megaloblasts normoblasts nonnucleated reds megakaryocytes I find them in the circulating blood of the following vertebrates: Male DLE Rodentia-Guinea pig. A ves- Columbae-Pigeon, lymphocytes, large lymphocytes and finely granular leucocytes. Reptilia- ^ Chelonia-Turtle, (Pseudemys hieroglyphica), nucleated reds, large and small lymphocytes and finely gra- nular leucocytes. Urodela-Triton, (Diemyetylus viridescens), nucleated reds, large and small lymphocytes and finely gra- Amphibia nular leucocytes. Anura-Frog (Rana palustris), nucleated reds, large andsmall lymphocytes and finely granular leucocytes. Pisces- Teleostomi-Gold fish, nucleated reds, large and small lymphocytes and finely granular leucocytes. 4. Independence of other formed elements. Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI. 18 974 E. V. Cowdry, In the case of the nongranular leucocytes (large and smail lymphocytes of Weidenreich) the only structures with which these bodies are likely to be confused are the azurophile granules origi- nally described by Michaelis and Wolff (^02, p. 159) and the ,Vacuoles et grains de segregation’ of Renaut (’07, p. 497) and Dubreuil (’13, p. 78). All the visible granules in these cells stain specifically with both janus green and diethylsafranin. This does not mean that the bodies observed by me are azurophile granules, for the azurophile granules, as seen in heat fixed smears of the human blood stained with methylene blue erythrosinate (Kyes), personal communication are characterized by their irregular number, size and shape, while the granules to which I refer show but little variation in these respects. Neither does it mean that the bodies are segregation eranules, because Dubreuil (13, p. 84) found that mitochondria were distinct from the granules of segregation in the nongranular leucocytes of the dog, rabbit and certain other mammals. Further- more, Dubreuil’s observations were made chiefly upon lymph drawn from the thoracic duct. He produced no evidence of the occurrence of granules of segregation in the cells of the circulating blood of man. | In the finely granular leucocytes (neutrophiles) these granules may be differentiated from the specific granulations of Ehrlich by (1) their affinity for janus green and diethylsafranin (vide fig. 5a and b); (2) their uniform rod-like shape and (3) the fact that they are not so prone to exhibit Brownian movement as the specific granulations. 5. Comparison with bodies known to be mitochondria. The relative amount, morphology and cytoplasmic distribution of these structures is identical with that of mitochondria as described in the fixed and stained blood cells of lower forms by Meves (’10, p. 656), Ciaccio (’11, p. 15), Alagna (’11, p. 32), Dubreuil (13, p. 74) and others. They vary, from granules, which tend to be arranged in rows, to rods and filaments, sometimes straight, at others curved and bent, but retaining their individuality and never coalescing to form a reticulum. Hence the term ,mitochondria‘ from rog a thread and x0v000ç à grain (Barratt, '13, p. 553). The vital staining of mitochondria with janus green etc. 275 I have employed the nomenclature of blood cells advanced by Weidenreich (’10, p. 320) and adopted by Minot ('12, p. 515). The observations which I venture to record on the occurrence of mito- chondria in human blood cells as demonstrated by staining with janus green and diethylsafranin are these: 1. Red blood cells (fig. 1). Synonyms: erythrocytes and blood plastids (Minot, ’ 12, p. 503) No formed elements may be seen in the fresh, unstained con- dition. With janus green, in the concentration employed, the red blood cells remain uncolored. There is no hemolysis and but little crenation. There are no traces of mitochondria. Hypotonic and hypertonic salt solutions were used, with the hope of in some way facilitating the diffusion of the stain into the cell, but still no traces of mitochondria could be seen. | Diethylsafranin penetrates the cell readily and colors it light pink, but does not stain any mitochondria. The study of fixed and stained smears was equally negative. 2. Platelets (fig. 2, a, b and c). Synonyms: thrombocytes. Mitochondria cannot be recognised in unstained platelets. The outlines of the platelets are irregular. They may be homogeneous, or else studded with granules, which may or may not be highly refrac- tile. Sometimes the granules are uniform in shape, at others dimorphic. The staining reactions with janus green and diethylsafranin are far from uniform. Occasionally they remain uncolored (fig. 2a), or a variable amount of internal differentiation may be made out which stains faintly with janus green (fig. 2b). In rare cases they may be seen to contain bodies with discrete outlines, which vary from gra- nules to rods and which stain brightly with janus green (fig. 2c). These are mitochondria. They are the highly refractile granules of uniform shape seen in the living, unstained condition. In janus green preparations a close association was noted between the platelets and granular as well as nongranular leucocytes. Masses of cytoplasm were seen to separate from the lymphocytes. After 18* 276 E. V. Cowdry, separation they assumed a more or less spherical shape. In some cases the mitochondria were restricted to the zone of cytoplasm immediately surrounding the nucleus, but in other cases they extended out into the pseudopod-like prolongations of the cytoplasm. These observations were controlled by the study of fixed and stained preparations. The relations of mitochondria in disintegrating lymphocytes were seen to best advantage in preparations fixed in osmic acid and stained by the Altmann method. 3. Lymphocytes (fig. 3a, b and c). Synonyms: small mononuclear leucocytes. Mitochondria may be observed in the unstained condition without any admixture of salt solution. Lymphocytes are more permeable to janus green than any other blood cells. The mitochondria within them may be seen to take up the dye under the microscope. They do so about 30 seconds after the application of the stain, and before the mitochondria in any other blood cells become colored. The nucleus remains unstained. In from five to fifteen minutes the mitochondria attain a maximum coloration with the janus green. Under favorable conditions a cell may be kept in this condition for study for from one and half to two hours. The nucleus then begins to take up the dye. At first the dye is merely dissolved in the nuclear sap, but soon the chromatin stains and the entire nucleus assumes a bright greenish blue color. This stage lasts for a variable time depending upon the supply of oxygen from the air, or more correctly on the rate of reduction of the dye in the tissue. During this period the mitochondria remain unaltered. Their outlines now become obscure, the shape of the cell somewhat irregular with pseudopod-like prolongations, and the nucleus begins to show a pink coloration which gradually deepens so that one obtains a beau- tiful color contrast. This pink coloration is due to the liberation of diethylsafranin. Fragments of the cytoplasm now break off from the cell, the mitochondria disappear and the cell goes to pieces. The mitochondria may also be stained with diethylsafranin. The sequence of changes is the same, as in the case of janus green, except for the difference in color. The vital staining of mitochondria with janus green etc. DIT The morphology of the mitochondria is variable (fig. 3). Granular forms predominate The granules tend to be arranged in rows. Straight and curved rods and filaments occur in varying num- bers. Sometimes the rods are dumb-bell shaped and the filaments beaded. The distribution of mitochondria is characteristic. They are more numerous on the side of the nucleus where the cytoplasm is most abundant. Occasionally they are restricted to this region forming a brilliant, highly colored clump, which is very conspicuous in well stained preparations (fig. 3a). Sometimes, however, when the nucleus is excentric, they extend into the thin layer of cytoplasm which surrounds it (fig. 3b). There is no indication of a radial arrangement The amount of mitochondria in each cell seems to be fairly constant. In the best preparations with good light and apochromatie lenses they may be counted with difficulty. The number ranges from about twenty to forty-five, the average being about thirty-two. They are abundant in the cell shown in fig. 3b, rare in that illustrated in fig. 3c. I have been able to count them with ease in smears of the lymph gland of the guinea pig. No traces of a centrosome, granules of segregation, or of the so- called azurophile granules could be seen. These observations were also confirmed by the study of fixed and stained smears. 4. Large lymphocytes (fig. 4a and b). Synonyms: large mononuclear leucocytes and transitional leucocytes. The mitochondria may here also be seen in the living cells, in native plasma, without the use of any dye or salt solution. The large lymphocytes stand next in order to the true lympho- cytes in their permeability to janus green. The mitochondria in them may be observed to take up the dye just as those in the lymphocyte do. It is not necessary to repeat the sequence of changes in the reaction for it is the same as in the lymphocyte. Diethylsafranin also stains the mitochondria specifically. The shape of mitochondria in the large lymphocytes differs in no wise from that of those in the smaller ones. 278 E. V. Cowdry, The distribution of mitochondria is dependent upon the shape of the nucleus. When the nucleus is spherical they are generally distri- buted evenly throughout the cytoplasm. When, however, it is notched they are most frequently heaped up in the cytoplasm near the iden- tation (fig. 4b), the rest of the cytoplasm being free of mitochondria. Occasionally they are distributed fairly uniformly in the cytoplasm even though the nucleus be indented (fig. 4a). The amount of mitochondria is more variable than in the lymphocyte. Attempts to count them failed. One obtains the impres- sion, nevertheless, that the ratio of mitochondria to cytoplasm is less than it is in the lymphocyte (compare fig. 4 with fig. 3). No centrosome, azurophile granules or granules of segregation could be seen. Here, again, the observations were controlled by the study of smears prepared in a variety of ways. 5. Finely granular leucocyte (fig. ba and b). Synonyms: neutrophile leucocyte and polymorph. Mitochondria could not be distinguished, unstained, from the specific granulations. The permeability to janus green is far less than that of any of the other cells described above, with the possible exception of the red blood corpuscle. Mitochondria may be stained with janus green. The nucleus generally stains a diffuse pinkish blue color at the same time. Contrast this with the behavior of the nucleus of the lymphocyte. The mitochondria may also be stained with diethylsafranin. Morphologically, the mitochondria are slightly smaller than those already described. They are in the form of granules and rods. Fila- ments do not occur. They are slightly larger than the specific granu- lations. Occasionally several very large mitochondria may be seen, as represented in fig. 5a to the right hand side of the lobated nucleus. The mitochondria appear side by side with the neutrophilic granules from which they may be easily distinguished. The distribution appears to be uniform, but this cannot be said definitely because of the obscuring effect of the specific granulations. The vital staining of mitochondria with janus green ete. 279 The amount of mitochondria is uniform. They could not be counted. The mitochondria were observed, stained with janus green, during amoeboid movement and phagocytosis of minute foreign par- ticles. In fig. 5b a pseudopod is represented which is free of mito- chondria at the tip. These observations were checked by the study of fixed and stained smears. 6. Coarsely granular leucocytes (fig. 6a and b). Synonyms: oxyphile, acidophile and eosinophile leucocytes. These cells present technical difficulties not encountered in the study of the cells above mentioned. In the fresh, unstained state everything is obscured by an abun- dance of coarse, spherical, tightly packed granules. Even the nucleus can only be seen with difficulty. When the cell adheres to either the slide or the cover glass, loses its spherical shape and becomes slightly flattened, the nucleus may be more clearly observed, and, in the majority of cases, in the cytoplasm near it a few small bodies, which may be easily distinguished morphologically from the much larger, coarse, specific granulations. The permeability of these cells to janus green is even less than that of the finely granular leucocytes. That is to say it is less than in any of the other blood cells which I have studied. Even when the stain does penetrate, the coarse granules are generally so crow- ded together that the smaller bodies cannot be seen. When the cell becomes flattened, and as a result certain parts of the cytoplasm, particularly in the neighborhood of the nucleus, are less obscured by the coarse granules, some fine granules and rod-like structures may sometimes be seen stained a light bluish green color with the janus green. These are undoubtedly the small bodies observed in the unstained cells, although the transition from the unstained to the stained condition could not be followed under the microscope because of the coarse granules which obscured the view. They may be iden- tified as mitochondria from their shape and staining reactions with janus green. 280 E. V. Cowdry, No results were obtained with diethylsafranin. The mitochondria do not differ in their morphology from those occurring in other cells. The distribution could not be clearly made out on account of the presence of the coarse granulations. The amount is apparently subject to considerable fluctuation. In the cell represented in fig. 6a they are fairly abundant, in that shown in fig. 6b they are practically absent, while in certain other cells none could be detected. The fixed and stained smears do not yield reliable results since both the mitochondria and the coarse granulations are acidophile. Consequently no tinctorial differentiation was possible by the methods of technique employed, e. g. the Altmann method, Bensley’s anilin fuchsin methyl green method and iron hematoxilin. 7. Mastleucocytes. Synonyms: Basophile leucocytes, degenerating leucocytes (Minot 2, p 523): The technical difficulties in the recognition and study of these cells with janus green and diethylsafranin are at present too great to justify any statements. The following deductions are based on the observations recor- ded above: The negative results obtained in the study of red blood cells may be interpretated in two ways: (1) that, owing to the relative imper- meability of the cell to janus green, the mitochondria could not be stained even if they were present; and (2) that the mitochondria are absent. In support of the first interpretation we have the failure of janus sreen to stain the cytoplasm of nonnucleated red blood cells. In addition, the argument from analogy, that Duesberg's (’10, p. 615) observation that hemoglobin prevents the staining of mitochondria in the fixed red blood cells of chick embryos, may be advanced as indicating the possibility that here also the hemoglobin prevents the staining. The evidence in favor of the absence of mitochondria is stron- sere tms: The vital staining of mitochondria with janus green etc. 281 1. That the diethylsafranin, which is also a specific dye for mitochondria, penetrates the cell and colors it diffusely but does not stain them. 2. I have been able to stain mitochondria with janus green in the nonnucleated red blood cells in the bone marrow of the guinea pig. "There was no diffuse coloration of the cytoplasm with the dye. Repeated attempts gave me only one example of what appeared to be mitochondria stained with janus green in the nonnucleated red blood cells of the circulating blood of guinea pigs. This cell appeared in a smear taken from the ear vein of a guinea pig about six months old. It is apparent, therefore, that hemoglobin does not prevent the mitochondria from staining because it seems to be just as abundant in the nonnucleated red blood cells of the bone marrow as in those of the circulating blood. In the one the mitochondria are stained, in the other they are not. Furthermore, there is no reason to suppose that the permeability of the cell membrane in the circulating blood should be less than in the bone marrow and thus prevent the diffu- sion of the stain into. the cell. 3. Moreover, these observations of mine with vital dyes are in accord with those of Meves on fixed cells. He found (^11, p. 495) that, in fixed and stained preparations of the bone marrow of a euinea pig, the mitochondria decreased in number in the differentiating red blood cells, that a few of them persisted for a short time after the disappearance of the nuclei and that they are totally absent in the nonnucleated red blood cells of the circulating blood. The conclusion is therefore warranted that mitochondria are totally absent in the nonnucieated red blood cells of the circulating blood of man. My observations on the occurrence of mitochondria in some platelets and their absence in others may likewise be interpreted in two ways. It may be a question of the age of the platelet; since there is considerable evidence that cells devoid of nuclei do not contain mito- chondria (Guilliermond’s studies on Bacteria, 11, p. 200), and that they speedily disappear in cells the nuclei of which are degenerating (Meves' 989 E. V. Cowdry, investigations on the disappearance of mitochondria in red blood cells '11, p. 495, and Firket’s in epidermal cells ’11, p. 544). On this hypo- thesis newly formed platelets would probably contain mitochondria, while older ones would not. On the, other hand it may depend upon the mode of origin of the platelet; upon whether or not the budded off cytoplasm of the mega- karyocyte (Wright 10, p. 270) or the lymphocyte (Kyes personal communi- cation) contains mitochondria. This is supported by my observation (p. 11) that the.mitochondria in lymphocytes may be either restricted to the cytoplasm immediately surrounding the nucleus or else be distributed evenly thoughout the cytoplasm, even extending into the pseudopod- like prolongations. These conceptions are not mutually exclusive. In all probability both the age of the platelet and its mode of origin are factors influencing the presence of mitochondria in it. My observations on the mitochondria of the coarsely granular leucocyte (eosinophile) are supported by Meves' statement (’10, p. 656) that mitochondria are either very rare, or else entirely absent, in the eosinophile leucocytes of the salamander. I do not consider that my observations with janus green are in any sense final. Further refine- ments in technique will be necessary before definite assertions can be made relative to the amount of mitochondria in eosinophiles. The problem of mitochondria in the mastleucocyte is beyond the scope of my present methods of vital staining. It is pure speculation. Investigators are divided into two camps with regard to this cell. Those who hold with Minot (712, p. 518) and others that it is a degenerating form would doubtless be inclined to believe that mito- chondria are absent, in view of the abundant evidence at our dis- posal that mitochondria become reduced and finally disappear in the later stages of the life of the cell (see Meves "Li p. 495 and Firket "11, p. 544). Those, on the other hand, who look upon these leucocytes as being in an active stage of cytomorphosis (Maximow ’13, p. 287) would regard the occurrence of mitochondria in them as extremely probable. The vital staining of mitochondria with janus green etc. 283 Conclusions. 1. Mitochondria occur, and can be demonstrated by vital staining with janus green (diethylsafraninazodimethylanilin) and diethylsafranin, in the lymphocytes, large lymphocytes (transitional and large mono- nuclear leucocytes), finely granular leucocytes (neutrophiles) and occa- sionally in the coarsely granular leucocytes (eosinophiles) and platelets of normal, adult, human blood (pp. 10—13, figs. 2—6). 2. Mitochondria are totally absent in the nonnucleated red blood cells of normal, adult, human blood (pp. 15 and fig. 1). 3. These two observations are in accord with the current con- ceptions of the physiological significance of mitochondria. They show that mitochondria are, to some extent, indicators of cellular activity; for mitochondria are present in the active stages of cytomorphosis (lymphocytes, large lymphocytes and finely granular leucocytes), and absent in the terminal or later stages (nonnucleated red blood cells). 4. The term ‚nongranular leucocytes‘, although it is of the greatest convenience for descriptive purposes, is in reality a mis- nomer, for the so-called nongranular leucocytes all contain mitochon- dria. In other words, there exists in the leucocytes, in addition to the specific granulations of Ehrlich, a series of general granulations called mitochondria, which are known to be one of the most funda- mental constituents of protoplasm and to be of great importance in cell physiology. Description of Figures. All the figures were drawn by me from preparations of fresh normal, adult, human blood stained in a solution of 1:10,000 janus green in 0,85°/, sodium chloride solution and observed by direct illumination from an incandescent gas burner. Zeiss apochromatic objective 1,50 mm, numerical aperture 1,30, and compensating ocular 8 with a camera lucida were employed. The outlines were traced but, owing to the movement of the cells, the mitochondria had to be sketched in freehand. The cells, as they are represented on the plate, are magnified about 2,600 diameters. l. A red blood cell devoid of mitochondria (p. 9): 284 E. V. Cowdry, The vital staining of mitochondria with janus green etc. 2. Platelets (p. 9). a) Homogeneous with no affinity for janus green. b) Heterogeneous staining lightly with janus green. c) Containing five mitochondria. | 3. Lymphocytes (p. 10): a) Excentric nucleus. The mitochondria are clumped together. b) Concentrie nucleus. The mitochondria are abundant, dis- tributed in a ring about the equator of the cell. . c) Excentric nucleus. The mitochondria are rare and distri- buted diffusely. 4. Large lymphocytes (transitional and large mononuclear leuco- cytes (p. 11): a) The mitochondria are abundant, rod-like and distributed diffusely. b) The nucleus is more indented. The mitochondria are less numerous, more granular and clumped together. 5. Finely granular leucocytes (neutrophiles) p. 12: a) The mitochondria are distributed diffusely throughout the cytoplasm. They may be distinguished from the specific eranulations, which appear a light gray shade are are somewhat smaller. b) In amoeboid movement. The mitochondria are absent from the tip of the pseudopod. 6. Coarsely granular leucocytes (eosinophiles) p. 13: i a) The mitochondria occur in the cytoplasm to one side of the nucleus. They are in the form of granules and rods. b) The mitochondria are rare, only two or three could be seen. Bibliography. Alagna, G., Sulla presenza di formazioni mitocondriali negli elementi constitutivi della tonsille palatini normali ipertrofiche e delle vegetazioni adenoidi, Arch. f. Zellenforschung, Bd. 7. S. 27—40. 1911. Altmann, R., Die Elementarorganismen und ihre Beziehungen zu den Zellen. 145 8. Leipzig, Veit & Co, 1890. Barrat, J. O. Wakelin, Changes in the chondriosomes occurring in pathological conditions. Quart. Jour Micr. 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Tuttavia con una cosi larga messe di resultati, molti problemi rimangono fino ad oggi insoluti ed intorno a questi i mor- fologi non hanno ancora potuto dire l'ultima parola. Traendo profitto da un buon materiale di pelle umana freschissima, trattata col metodo di reazione al cloruro d'oro proposto e seguito da Ruffini, ho voluto portare il mio modesto contributo alla risoluzione di taluna delle quistioni controverse che si riferiscono alle espansioni sensitive dello strato papillare, di quello strato cioè che è la sede principale del senso cutaneo (Ducceschi). Ho soffermata la mia attenzione tanto sulla innervazione delle così dette papille tattili, quanto su quella delle così dette papille vas- colari; ma i fatti più rilevanti furono da me osservati nelle papille della prima qualità ricordata. A questo proposito, ritengo innanzi tutto opportuno di soffermarmi alquanto per ricordare come sia inesatta la distinzione che ancora si va facendo delle papille cutanee. Questa vecchia distinzione anatomica 288 F. Simonelli, (proposta prima che l'analisi moderna avesse allargate e migliorate le nostre cognizioni) non aveva piü ragione di essere adottata già fino dal 1892; anno in cui Ruffini dimostró che anche le cosi dette papille vascolari posseggono ricche diramazioni nervose. Dunque non esistono papille esclusivamente nervose, come non esistono papille esclusiva- mente vascolari. Le mie osservazioni si riferiscono specialmente alla innervazione delle papille contenenti corpuscoli di. Meissner e mirano in modo speciale a risolvere la quistione se nelle papille dermiche esistono o no i corpuscoli Golgi-Mazzoni. Mi & sembrato anche interessante di rappresentare e descrivere due esemplari di espansioni, di cui uno riguarda la innervazione delle papille non contenenti corpuscoli di Meissner e l'altro una forma singolarissima di corpuscolo di Pacini, trovato nel cellulare sottocutaneo. Corpuscoli di Meissner. Non preoccupandomi affatto della disposizione e della struttura della fibra pallida che costituisce l'espansione propria di tali corpuscoli, perché questa parte fu gia accuratamente ed esaurientemente studiata da Dogiel, Ruffini, Crevatin, Sfameni e da altri, mi sono piuttosto fermato a considerare alcune varietà di tali corpuscoli che potrebbero essere molto importanti qualora l'analisi anatomica dimostrasse esatta lopinione che io mi sono. formato riguardo al significato probabile di aleune tra esse. benché già indicate da Ruffini, mi & sembrato opportuno di ricordare certe disposizioni che vengono assunte dai corpuscoli pluri- lobari tanto nelle papille semplici quanto in quelle composte (fig. 1 e 2). Qui si tratta sostanzialmente di ció, che i lobi apicali di molti corpus- coli o tendono ad allontanarsi o si allontanano realmente dal lobo o dai lobi che rimangono situati verso la base di una papilla. Un tale spostamento dei lobi apicali verso la sommità della papilla é quasi sempre accompagnato da un mutamento nella disposizione della fibra pallida. Le sue volute elico-spirali ed i suoi intrecci non sono mai tanto stipati e addossati come in quelli che conservano la forma, diciamo cosi, classica. Vi è insomma una chiara tendenza a sciogliersi Contributo allo studio delle espansioni nervose nel derma della cute umana. 289 e ad espandersi liberamente. La fig. 3 rappresenta chiaramente un caso in cui fibre nervose che hanno dato luogo a formazioni lobari tipiche, si scioleono da ultimo in intrecci multiformi e liberi nel tessuto connettivo della papilla. Forme quasi identiche vennero descritte da Ceccherelli nelle papille linguali dell’uomo; ed io penso che ad una disposizione simile si possano ricondurre le forme miste (in parte chiuse ed in parte aperte) di quei corpuscoli di Meissner che furono descritti N Bier; o Fig. 2. Papilla semplice con corpus- coli di Meissner plurilobati ed apicalmente a lobuli divisi, Z. oc. 8 obb. ap. 4,0. m. m. un'ansa vascolare. K. oc. 2, obb 8. Papilla plurilobata nella quale si osservano due varietà di corpuscoli di Meissner e da Dogiel, ed ai quali Ruffini volle dare il nome di corpuscoli di Dogiel, in onore dell’illustre istologo russo. A questi stessi tipi di varietà non si puó certamente ricondurre lo strano atteggiamento che le espansioni di una fibra mielinica assu- mono nel caso rappresentato dalla fig. 4. In questa papilla sono contenuti: un'ansa vascolare, un corpuscolo di Meissner monolobato e lo strano intreccio espansionale che è situato in corrispondenza dell'apice della papilla. Evidentemente quest'ultima formazione non rappresenta Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI. 19 290 F. Simonelli, un fiocchetto papillare; la sua grandezza, e più che altro, la configurazione della espansione nervosa bastano a fare escludere che si tratti di un fiocchetto. Paragonando questa varieta di espansione con quelle gia descritte da Ruffini nelle papille cutanee e da Ceccherelli nelie papille linguali, a me parrebbe di poter considerare questa varieta come una di quelle forme di passaggio tra i corpuscoli di Meissner classici ed Fig. 3. Papilla semplice nella quale oltre all'ansa vascolare ed al corpuscolo monolobato di Meissner notansi al- cune strane espansioni che potreb- bero anche rappresentare forme di arresto di sviluppo. Z. oc. 12, Altra varieta di forme disegnate nella fig. obb. ap. 4,0. m. m. precedente. Z. oc. 12, obb. ap. 4,0. m. m. i fiocchetti papillari, che furono già largamente poste in evidenza ed illustrate da Ruffini. Né questo osservatore, né altri mai hanno cercato di vedere la ragione di queste forme di passaggio. Da alcune mie ricerche in corso, sullo sviluppo delle espansioni nervose nel derma cutaneo, mi sento suffielentemente autorizzato ad avanzare una ipotesi che mi sembra molto probabile. Io credo cioé che tutte queste forme di passaggio — Contributo allo studio delle espansioni nervose nel derma della cute umana. 291 sempre molto singolari per la loro proteiforme configurazione — rap- presentino degli arresti di sviluppo. In un certo momento della vita fetale non si osservano ancora corpuscoli di Meissner costituiti come noi sappiamo; ossia tali corpuscoli non si originano cosi come noi li vediamo nell'adulto. La loro evoluzione formativa è, come era facile immaginare, lenta e graduale. Ebbene durante questo periodo formativo e frequentissimo di osservare e di ritrovare delle immagini che non solo somigliano del tutto a quella ora in esame, ma anche alle varie altre descritte da Ruffini e da Ceccherelli sotto la denominazione di forme di passaggio. Spero di poter dare quanto prima le prove di queste mie asserzioni. Nel 1901 Ruffini fece due importanti constatazioni, confermate più tardi da Crevatin, Dogiel e Ceccherelli. Egli osservö attorno alla espansione centrale dei corpuscoli di Meissner un apparato nervoso di Timofeew, ed oltre a questo fu il primo a richiamare l'attenzione degli anatomici su un reticolo di fibrille amieliniche sottilissime, prove- nienti dalla rete amielinica subpapillare, che si espandono in vario modo attorno al corpuscolo di Meissner senza penetrare mai dentro al tessuto di sostegno del corpuscolo stesso. Crevatin ha dato le più belle figure di quest'ultimo apparato nervoso descritto da Ruffini. Io ho avuto la fortuna di ottenere una nitida immagine dell'apparato di Timofeew (fig. 5) ed una discreta del reticolo di fibrille amieliniche (fig. 6). | Come è già noto, lapparato di Timofeew ha una fisonomia ana- tomica tutta propria che vale a distinguerlo dal reticolo di fibrille amieliniche. La fibra nervosa che lo forma & sempre molto sottile e solo qualche volta & possibile di dimostrare attorno ad essa una tenuissima guaina mielinica; questa fibra può decorrere insieme alla erossa mielinica che dà la espansione centrale, contenute ambedue dentro la medesima guaina sussidiaria, oppure, il che accade più di frequente, decorre isolatamente. La sua espansione è tutt'affatto caratteristica: si risolve in un delicatissimo retieolo fatto di fibrille varicose attorno alla espansione centrale avvolgendola come una cuffia. 195 209 F. Simonelli, Tanto nelle colorazioni con cloruro d’oro, quanto con bleu di metilene, si verifica un fatto ormai riconosciuto da tutti e che è capitato anche sotto la mia osservazione: allorche si colora bene la espansione cen- trale, non si colora che poco o nulla l'apparato di Timofeew e vice- versa (fig. D. Mentre ciò è da una parte dannoso perchè non lascia scorgere le relazioni che corrono tra i due apparati nervosi, dall'altro lato si mostra utile per meglio conoscere la fisonomia che ha l'apparato di Timofeew. Sulla dibattuta questione se tra i due apparati nervosi esista relazione di contatto o di continuità, i miei preparati non mi au- torizzano a pronunciare alcun giudizio. In quanto alla natura ed al si- enificato dell'apparato di Timofeew, io mi attengo alla interpretazione che Ruffini nel 1900 per primo propose e che oggi è stata universalmente accettata. i Img. dì Fig. 6. Ricco e tipico apparato di Timofeew. Papilla unica contenente corpus- Nel lobo apicale del corpuscolo si osserva colo di Meissner plurilobato, ansa anche, parzialmente, la terminazione ner- vascolare e fibrille amieliniche solo vosa centrale. Z. oc. 8, obb. imm. 3,0. m. m. in parte reazionate. K. oc.3, obb. 83. Ruffini partendo dal giusto concetto che la fibra destinata a formare l'apparato di Timofeew sia di natura simpatica, ne trasse come logiche conseguenze che anche l'apparato da essa formato sia della mede- sima natura e che in questi rapporti periferici si debba vedere la rela- Contributo allo studio delle espansioni nervose nel derma della eute umana. 293 zione (di contatto o di continuitä) esistente tra il sistema nervoso cerebro- spinale ed il sistema del gran simpatico. Dopo che Perroneito ebbe scoperto che anche nelle piastre motrici esiste un secondo plessicino derivante da una sottilissima fibra in tutto simile a quella che nell’espansioni di senso dà l’apparato di Timofeew, e dopo i recenti studi di Boeke che completano le osservazioni di Perroncito, si pud dire che il concetto espresso da Ruffini assume una importanza di indole generale, cioé che tutte le espansioni nervose periferiche del senso cutaneo e di quello muscolare, non che le espansioni nervose di moto, sono apparati composti di due parti in contatto o in continuità: di una parte centrale o assiale, data da una fibra nervosa di origine cerebro-spinale, e di una parte periferica che avvolge la prima, data da una fibra nervosa di origine simpatica. Cosi si sarebbe dimostrato il significato ed il destino delle fibre nervose simpatiche, che in numero piü o meno grande sono contenute in ogni tronco nervoso. Il reticolo di fibrille amieliniche, di cui ho potuto avere qualche parziale immagine (fig. 6) sembra che abbia un significato diverso, dovendo guidicare dalle sole disposizioni anatomiche. Nei casi piü fortunati, come quello descritto e figurato da Crevatin, si osserva un delicatissimo ed intrigato groviglio di fibrille sottili e non varicose, le quali si espandono nel connettivo papillare che sta attorno al corpus- colo di Meissner. Questo reticolo non si trova dunque a rivestire il corpuscolo di Meissner come una cuffia, ma sta nel connettivo cir- costante e non si addossa mai strettamente alla espansione centrale come fa lapparato di Timofeew. Ruffini e Crevatin hanno veduto che le numerose fibrille le quali vanno a formare questo reticolo provengono dalla rete amielinica subpapillare di Ruffini. Nella fig. 6 riporto una immagine incompleta di detto reticolo; in essa si osservano solo due sottili fibrille che presentano i primi. sfioccamenti, ma la reazione si é arrestata, come quasi sempre accade, nel momento della costituzione dell’intreceio periferico. Come hanno fatto tutti quelli che mi hanno preceduto, non oso avanzare aleuna ipotesi riguardo al significato di questa formazione. Solo è lecito di supporre che pro- babilmente si tratta di una disposizione che ha un ufficio diverso di quello dell'apparato di Timofeew. 294 F. Simonelli, Fiocchetti papillari di Ruffini. Dopo che Ruffini ebbe distinta e descritta questa singolare forma di espansione nervosa, altri istologi ne confermarono la presenza nelle papille dermiche (Sfameni, Leontowitsch, Crevatin, Dogiel ecc); re- centemente Ceccherelli ne osservó sulle papille del cavo orale e della lingua, e Vitali riusci a dimostrare chiare forme di fiocchetti anche nelle papille e nelle creste del derma sottoun- eueale. Una importantissima consta- tazione fu pure fatta da Ceccherelli che nelle reazioni bene riuscite poté dimostrare in molti fiocchetti papil- | lari la presenza di un chiaro e ca- ratteristico apparato di Timofeew. Io ho ottenuto molti preparati nei quali si possono vedere con chia- rezza queste formazioni; ne ho fatto diseenare uno (fig. 7) in cui la dis- posizione delle parti mi sembra impor- tante. Si tratta di una papilla com- Jones T Papilla doppia contenente nel lobo di . M destra un corpuscolo di Meissner bilo- corpuscolo di Meissner ed un fioc- posta che contiene da un lato un bato con apparato capsulare molto evi- chetto, dall'altro un fiocchetto sdop- dente, un fiocchetto nervoso ed un'ansa vascolare; nel lobo di sinistra un'altra ansa vascolare ed un fiocchetto sdop- forniti di un'ansa vascolare che in piato. Ambedue i coni papillari sono piato. K. oc. 3, obb. 8. quello contenente il corpuscolo di Meissner si arresta verso la parte basale, mentre nell’altro si porta fin presso all'apice. La coesistenza di un corpuscolo di Meissner e di un fiocchetto in una stessa papilla fu gia descritta da Ruffini e da altri in seguito confermata; il che ha sempre lasciato supporre a tutti che esista una comunanza di funzione tra queste due specie di espansioni nervose. Questo modo di vedere, che io pienamente condivido, mi sembra anche confortato dal fatto della esistenza di forme di passaggio tra i corpuscoli di Meissner ed i fiocchetti papillari; forme di passaggio Contributo allo studio delle espansioni nervose nel derma della eute umana. 295 che furono accuratamente ricercate da Ruffini e delle quali ho già parlato. A tal proposito aggiunsi che ritenevo queste forme di passaggio come altrettante tappe di arresto nella evoluzione formativa dei corpus- coli di Meissner. Se dunque questa mia ipotesi sarà per diventare un fatto positivo dopo una più accurata ricerca analitica, avrò portato una base anatomica sufficiente per spiegare la funzione dei fiocchetti papillari ed il significato delle forme di passaggio descritte da Ruffini. Fig. 8. Fig. 9. Corpuscolo monolabato Corpuscolo monolabato di di Meissner, sfornito di Meissner fornito di capsula. capsula. Z. oc. com. 18, Z.0c.com. 12, obb. ap. 4,0. m. m. obb. ap. 4,0. m. m. Corpuscoli Golgi-Mazzoni nelle papille dermiche. Nelle papille del derma esistono o no i corpuscoli Golgi-Mazzoni? Eeco la questione pitt importante che io voglio trattare in questa mia nota. Né huffini, né Sfameni, né Crevatin hanno mai osservato questa specie di corpuscoli al di sopra dello strato reticolare del derma. Dogiel non solamente descrive e figura del corpuscoli Golgi-Mazzoni nello strato subpapillare, ma anche assicura che se ne osservino dentro le stesse papille dermiche. Ruffini pone in dubbio questa osservazione dell’istologo russo e pensa che Dogiel sia incorso in una inesattezza di classificazione. Cosi stando le cose, io ho voluto trar profitto da aleuni eccellenti preparati che posseggo per portare un notevole contributo alla defini- 296 F. Simonelli, z zione di una simile questione. Né parrà vana pretesa la mia, quando si pensi che la reazione al cloruro d'oro, benché piü difficile ad ottenersi perfetta, dà delle immagini assai piü analitiche di quelle offerte dalla colorazione al bleu di metilene, praticata costantemente da Dogiel. Ed eeco senz'altro i fatti quali si manifestano nel miei preparati. La nostra analisi deve logicamente portarsi prima di tutto sulle forme monolobari dei corpuscoli di Meissner. Come fece notare già da molto tempo Ruffini, di queste forme esis- tono due varietà: senza lamelle capsulari (fig.8) e con lamelle capsulari (fig.9). Lasciando Fig. 10. Theo, il. Papilla nella quale oltre il corpuscolo Corpuscolo disegnato nella monolobare si osservano vasi ed espansioni fig. precedente. Z. oc. 12, nervose ad anse avviticciate K. oc. 2, obb. 6. . Obb. imm. 3,0 m. m. da parte la configurazione ovoidale nell'un caso e sferoidale nell'altro (che devono attribuirsi ad una pura coincidenza), dobbiamo soffermare la nostra attenzione sulla struttura e sulla disposizione della fibra pallida che si avvolge dentro la sostanza di sostegno di questi corpus- coli. Non solo nei due esemplari da me riportati, ma in ogni caso di varietà monolobare accade che la fibra pallida ha sempre la medesima struttura e lo stesso atteggiamento che possiede in ciascun lobo di corpuscolo meissneriano tipico o plurilobato. Ossia la fibra pallida si presenta sempre con questi due caratteri tipici: varicosità fusoidi Contributo allo studio delle espansioni nervose nel derma della cute umana. 297 vicine e attorcigliamento nel senso elico-spirale. Questi aspetti fonda- mentali permettono sempre ed ovunque di riconoscere un corpuscolo di Meissner sia esso pluri o monolobato. I monolobari, secondo le accurate indagini di Ruffini, possono essere grandi quanto un lobo di un phurilobato, oppure molto più piccoli di questo. Im tali casi la lunghezza della fibra pallida è molto ridotta e quindi anche il numero degli avvolgimenti elico-spirali è assai esiguo. Gli esempi da me riportati (fig. 8 e 9) sono fra quelli che più comune- mente si osservano e presso a poco grandi quanto un lobo di pluri- lobato. Un monolobare più piccolo dei precedenti è rappresentato nelle fige. 10 e 11. La fig. 10 mostra a piccolo ingrandimento la papilla dermica che conteneva il corpuscolo monolobare in esame. Questa papilla racchiude tre anse vasali, un delicato e ricco intreccio di sottilissime fibrille nervose ed il corpuscolo monolobare. Le fibrille nervose provengono dalla rete amielinica subpapillare di Ruffini e, come questa, presentano delle piccolissime e numerose varicosità. Il corpuscolo monolobare contenuto in questa papilla può osser- varsi nella fig. 11 che lo riproduce a forte ingrandimento. La fibra nervosa che va a formarlo è chiaramente rivestita delle sue due guaine connettivali: dalla guaina sussidiaria di Ruffini all’interno e dalla guaina di Henle all’esterno. La guaina sussidiaria o endoneurica è fatta di connettivo stipato che nei preparati al cloruro d’oro pre- senta quell’aspetto omogeneo o finamente granuloso, per il quale gli antichi istologi l'avevano scambiata o con uno spazio linfatico o con una sostanza di natura plasmatica. Tale guaina, come dimostrò Ruffini e come ben si osserva nella mia figura, va a formare il con- nettivo di sostegno alla espansione nervosa. La guaina di Henle o perineurica è fatta di connettivo lamellare le cui lamelle, cresciute 0 no di numero, vanno a stratificarsi attorno al corpuscolo e lo incapsulano. In questo caso anche i caratteri della fibra pallida appaiono chiarissimi. Per quanto ridotta in lunghezza e semplici e pochi siano gli avvolgi- menti che essa compie, pur tuttavia questi conservano esattamente la disposizione elico-spirale come si osserva nelle fig® 8 e 9 ed in ciascun lobo dei corpuscoli plurilobati; di più sono evidentissime le 298 F. Simonelli, varicosita a forma di fuso che costituiscono l'altro carattere speciale ai corpuscoli del tatto. Nessuno potrebbe dubitare adunque di avere innanzi agli occhi un piccolo monolobare di puro tipo Meissner. Il caso che io giudico come il pit importante per la risoluzione del quesito propostomi è rappresentato nelle fige: 12 e 13. La fig. 12 mostra a piecolo ingrandimento la papilla dermica nella quale era contenuto un piccolissimo corpuscolo monolobare che conviene analizzare attentamente. Fig. 19. Papilla multilobata nella quale oltre il Corpuscolo disegnato nella fig. corpuscolo monolobare si osservano varie precedente. Z. oc. 12, obb. anse vascolari. K. oc. 2, obb. 8. imm. 9,0 m. m. Le guaine connettivali della fibra nervosa.sono e si comportano come abbiamo gia veduto nel caso precedente (fige: 10 e 11). La espansione della fibra pallida è quella che bisogna osservare attenta- mente per trarre un esatto giudizio diagnostico riguardo alla classi- fieazione che dobbiamo dare di questo corpuscolo. Poco al di là dello strozzamento preterminale di Ruffini la fibra nervosa diventa sottile per breve tratto e quindi presenta un larga varicosità interrotta in due punti Al di là di questa prima varico- sita la fibra pallida, si assottiglia e forma una prima voluta in corrispondenza della quale si osserva una chiara varicosità fusoide; | | Contributo allo studio delle espansioni nervose nel derma della cute umana. 299 nuovo assottigliamento, nuova voluta con un'altra varicosita fusoide; inoltre la fibra pallida compie una terza ed ultima voluta con gli identici caratteri delle due precedenti e finalmente si osserva la estremità apparentemente terminale, di forma anch'essa affusata, che, nell’atto di iniziare una voluta si arresta bruscamente. Noi quindi vediamo in questo piccolo corpuscolo tre volute regolari con tre rigon- fiamenti regolarmente fusoidi. Tengo a far notare che questa mia descrizione, con il cortese ed autorevole controllo del Prof: Ruffini che sentitamente ringrazio, è lo specchio fedele dei fatti quali si osser- vano sul preparato e quali furono ritratti con scrupolosa esattezza dal valente disegnatore Sig: Comucci. Se ora ci facciamo ad esaminare di seguito le figure 8, 9, 11, 13, ci avvediamo facilmente, senza bisogno di dover ricorrere ad alcuna ipotesi, che mentre esiste una graduale diminuzione di grandezza in tutti questi corpuscoli monolobari, non esiste una sostanziale differenza nella struttura e nella disposizione della fibra pallida. La ricchezza delle volute in quelli di mole maggiore è in rapporto con la grandezza maggiore dello ambiente-corpuscolo e con la lunghezza della fibra pallida. Ma sostanzialmente i corpuscoli non mutano la loro fisonomia da poterli scambiare con i Golgi-Mazzoni. È bensì vero che talvolta riesce tutt'altro che facile di precisare una diagnosi differenziale tra queste due qualità di corpuscoli, ma ad ogni modo le mie ricerche mi persuadono che l'osservazione accurata della disposizione e della strut- tura, quali si mostrano con una reazione così analitica come quella al cloruro d'oro, può quasi sempre condurci ad un risultato attendibile. Se a ciò si aggiunge anche il metodo da me seguito in questa non facile ricerca, si vedrà che le conclusioni alle quali son giunto acquistano un valore anche maggiore. Infatti io non mi sono fermato a studiare le sole particolarità anatomiche del corpuscolo rappresentato dalla fig. 13, le quali avrebbero o tratto in inganno o lasciato in dub- bio, ma ho voluto analizzarle in comparazione con quelle offerte dagli altri corpuscoli (fig. 8, 9, 11), sulla natura dei quali non vi può essere discussione. Ed in questa analisi sono stato fortunato di aver potuto trovare una serie quasi completa di modalità decrescenti, le quali mi hanno così condotto per gradi, e non saltuariamente, sino alla modalità 300 F. Simonelli, più piccola (fig. 13), come quella che potrebbe facilmente trarre in inganno e la cui diagnosi sicura serve a risolvere una questione contro- versa di moriologia. Espansioni ad anse attorcigliate di Ruffini nelle papille dermiche. Nella breve premessa di questa mia nota ho già ricordato come la maggior parte dei trattatisti nazionali ed esteri ignorino ancora (dopo oltre 20 anni da che ne fu data una completa dimostrazione da Ruffini, confermata poi da un gra numero di istologi) che nelle cosi dette papille vascolari esistono sempre più o meno ricche diramazioni nervose, alle quali lo stesso Ruffini dette il nome di espansioni ad anse avviticciate od attorcigliate; e dissi anche come la distinzione in papille vascolari e in papille nervose, fatta in un’epoca nelle quale le nostre conoscenze sulle espansioni periferiche dei nervi erano asso- lutamente insufficienti, deve essere del tutto abbandonata. Le papille, adunque, che non contengono corpuscoli di Meissner sono fornite talvolta di un intreccio di sottili fibre nervose da lasciare poco o punto vedere l’ansa vascolare. Più generalmente però le fibre nervose non sono molte; in tutti i casi il loro atteggiamento è sempre il medesimo: cioè quello descritto da Ruffini e confermato poi da Do- giel, Sfameni, Crevatin, Ceccherelli, Vitali, ecc. Io ho voluto riportarne un bello esempio nella fig. 14. Qui evidente- mente si tratta di fibrille sottilissime le quali provengono dalla rete amielinica subpapillare e non di fibrille avviticciate provenienti da fibre mieliniche individualizzate, che si possono osservare come tali fino dentro la base del cono papillare. Nel mio preparato l’intreccio e molto ricco e le fibrille sono tutte fornite di piccole varicosità vicine. Questo ricco intreccio non si aggira così strettamente attorno alla ansa vascolare come negli esemplari rarissimi e classici osservati e figurati da Crevatin e Ceccherelli, ma si espande ad una certa distanza dal vaso stesso, per cui non potrei dire che si tratti di un intreccio perivasale. Riguardo al suo significato fisiologico nulla posso affermare, poichè su questo punto le nostre conoscenze sono ancora troppo insufficienti Contributo allo stndio delle espansioni nervose nel derma della cute umana. 301 ne intendo soffermarmi a discutere le opinioni espresse intorno a questo argomento. Singolare varieta di corpuscolo di Pacini. Durante queste mie ricerche ho avuto occasione di osservare una varieta di corpuscolo di Pacini, che mi sembra molto importante non tanto per la singolarità della sua forma quanto per la interpretazione che pos- siamo dare di questo particolare re- perto. Fig. 14. Papilla semplice nella quale si osserva un'ansa vascolare molto tortuosa ed in modo schematico la terminazione ad anse avviticciate delle sottilissime fibre varicose, variamente intrecciate, provenienti dalla rete mielinica sub- papillare di Ruffini. K. oc. 2, obb. 8. Corpuscolo di Pacini a doppio invo- lucro, uno interno a spirale che con- torna la clava centrale tortuosa nella quale l'espansione nervosa é solo in parte reazionata e l'altro esterno di forma ovoidale come osservasi nor- malmente. K. oc. 2, obb. 6. H Come lo dimostra la fig. 15, si tratta di un corpuscolo di Pacini nel quale la clava interna contornata da un certo numero di lamelle capsulari é molte volte ripiegata su sé stessa, tanto da presentare una festonatura evidentissima. Questa parte, diciamo così, centrale 302 F. Simonelli, del corpuscolo é avvolta da un altro sistema di lamelle capsulari le quali sono ordinate come normalmente e fanno si che la forma esterna dello stesso corpuscolo per nulla si discosti dall’ordinario. La espan- sione nervosa é stata messa in evidenza solo in parte, come spesso accade in questi corpuscoli nelle reazioni al cloruro d'oro; ma non é di essa che voglio occuparmi. In qual modo si puó spiegare la strana forma assunta da questo corpuscolo? Fra tutte le ipotesi possibili mi sembra che la più proba- bile sia la seguente. Già da molto tempo era noto che quasi tutti gli elementi e le parti delle quali si compone una fibra nervosa di senso, passano a far parte della espansione nervosa corrispondente. Ruffini che di recente ha ristudiato queste disposizioni, ha chiariti ed assicurati molti fatti che prima delle sue ricerche erano ancora discussi. Oggi dunque noi sappiamo con certezza che dalla fibra passano nella espansione: il cilindrasse, la guaina sussidiaria o endoneurica e la guaina di Henle o perineurica; la guaina mielinica si arresta in corrispondenza dello strozzamento preterminale di Ruffini, ed è ancora discusso se la guaina di Schwann si arresti in questo stesso punto oppure entri a rivestire in parte od in tutto la fibra pallida della espansione nervosa. Ed era pur noto che alcune espansioni nervose incapsulate, quali ad es. i corpuscoli di Pacini, posseggono un numero di lamelle capsulari assai maggiore di quello che ne possiede la guaina di Henle o perineurica delle rispettive fibre nervose. Per cui si è sempre creduto che in corrispondenza della espansione nervosa esista una neoformazione, o. meglio, una nuova apposizione di lamelle capsulari. Ma nessuno mai è riuscito a poter distinguere in un corpuscolo di Pacini quali siano le lamelle rappresentanti la continuazione di quelle della guaina di Henle o perineurica e quali quelle di nuova apposizione. A me sembra che nel caso che sto considerando sia appunto probabile una simile distinzione, poichè io penso che le poche lamelle capsulari le quali rivestono la clava interna del corpuscolo siano quelle provenienti dalla guaina di Henle, mentre che le altre molte le quali circondano tutto il corpuscolo siano di nuova apposizione. Questa spiegazione mi pare plausibile perocchè si attiene a fatti Contributo allo studio delle espansioni nervose nel derma della cute umana. 303 obbiettivi ed a cognizioni sicuramente acquisite, mentre non sarebbe possibile formulare alcun giudizio sulle modalità secondo le quali si è potuto giungere ad una disposizione così eccezionale. Ogni ipotesi a questo riguardo non potrebbe essere altro che arbitraria. Conclusioni. Dalle osservazioni fatte, sembrami che possano trarsi le conclu- sioni seguenti: 1. tra i corpuscoli di Meissner e i fiocchetti papillari di Ruffini esistono forme di passaggio che debbono interpretarsi come altrettante tappe di arresto nella evoluzione formativa dei cor- puscoli suddetti, e confermano la possibilità di una comunanza di funzione fra queste due specie di espansioni nervose; 2. nello strato papillare della cute umana non esistono corpuscoli del tipo Golgi-Mazzoni; quelli descritti come tali rappresentano invece le varietà più piccole dei corpuscoli monolobati di Meissner. Bibliografia. Si consultino le monografie seguenti: Ruffini, Sur les expansions nerveuses de la peau. Revue générale d'Histologie T. 1, fase. 8. Lyon—Paris. A. Storck & Cie., Editeurs, 1905. Majocchi, Memorie della R. Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna. 1901—10. Vitali, Le espansioni nervose nel derma sotto-ungueale dell'uomo. Intern. Mo- natsschr. f. Anat. u. Phys. Bd. XXIII. Ceccherelli, Contributo alla conoscenza delle espansioni nervose di senso nella mucosa del cavo orale e della lingua dell'uomo. Intern. Monatsschr. f. Anat. u. Phys. Bd. XXV. Referat. Von Fr. Kopsch. Roth’s klinische Terminologie neubearbeitet von 3, Oberndörffer. VIII. zu einem Wörterbuch der gesamten Medizin erweiterte Aut- lage 8°. Leipzig 1914. Georg Thieme. M. 12,00. Die altberühmte, weitverbreitete klinische Terminologie von Roth erscheint in sehr erweiterter Fassung. Ursprünglich von Roth angelegt als Terminologie der Pathologie ist sie durch die Bearbeiter der folgenden Auflagen allmählig ver- größert worden. Die größte Erweiterung aber hat das Buch bei dieser (VIII.) Auf- lage erfahren. Es umfaßt jetzt die vollständige Terminologie der klinischen Me- dizin (einschließlich Arzneimittellehre und chemische Pathologie), der Anatomie (nebst Histologie und Embryologie) Physiologie (nebst physiologischer Chemie). Von der makroskopischen und der mikroskopischen Anatomie sind die Fachausdrücke in so großer Zahl aufgenommen, daß auch entlegenere Gebiete berücksichtigt wurden. Die vergleichende Anatomie wurde nicht bearbeitet, doch ist Wichtiges aus der all- gemeinen Biologie aufgenommen. Von der Embryologie und der Physiologie wurde das Wesentlichste erwähnt; dazu einige allgemeine Grundbegriffe der Chemie und Physik. Ferner sind die wichtigsten Arzneipflanzen, giftige Pflanzen und Tiere, eine Anzahl von Nutzpflanzen und Nutztieren, ferner die tierischen und pflanzlichen Krankheitserreger und Überträger von Krankheiten genannt. Die Arzneimittel sind, unter kritischer Sichtung, so vollständig wie möglich aufgeführt. Auf etymologische Erklärung wurde meist verzichtet. Dagegen sind jetzt ein große Zahl deutscher Fachausdrücke erklärt. Durch alle diese Zusätze ist das Buch trotz vergrößerten Formates um die Hälfte gewachsen. Die Zahl der Stichworte beträgt doppelt soviel (20000) als früher. Die sprachliche Einführung von Prof. Zimmerer ist gleichfalls neubear- beitet worden. Das Buch wird nicht allem den Studierenden der Medizin, welche jetzt, leider, häufig der humanistischen Vorbildung ermangeln, ein wertvoller Ratgeber der me- dizinischen Kunstsprache, es wird auch Ärzten ein wertvolles Nachschlagewerk, eine Art kurzer Encyklopaedie ihrer Wissenschaft sein. Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto) in Leipzig. über die Zeugung beim Menschen Dr. med. Hermann Rofileder. Spezialarzt für Sexualleiden in Leipzig. | Band d 1: Die Zeugung Bein Menschen. -Mit Anhang: ‚Die künstliche Zeugung (Befruchtung) beim Menschen. Brosch. .M. 7.—, geb. M. 8.—. Band 1: Die Zeugung unter Blutsverwandten. 4 ER Brosch. M. 4.20, geb. M. 5.—. 2 Band Il: Die Funktionsstórungen der Zeugung beim Manne. (Sameniliisse, Impotenz, Sterilität.) Brosch. M. 3:80, geb. M. 6.80. . Bandiv: Die libidinösen Funktionsstörungen | der Zeugung beim Weibe. Brosch. M. 2.80, geb. M. 3.60. d | Münchener mediz. 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Vertretung für Amerika: "The University of Chicago Press, Chicago, Illinois, U. S. A. osa Polimanti, : Ricerche. sulla | ' AB. Figure nel testo) - NC Op. Deenecic: Martinotti, Dells 4 cornei | Dr. Giovanni I ‘Chia , dell’uomo e e miferi. el testo XML Luigi oxen Tig Leu a dei rag ultravioletti sulla rig "CH dell'apparato 0 pigment et oat Tuas (Con Ter j Fr. Xopseh Referate QUU CAN SU ps Um DI ‘eine. SRO "Anzahl. liefert. dio ceps ES ren zu > Babe Frankierte Einsendungen in lateinischer, französischer, italienischer, engl deutscher Sprache werden direkt an: Prof, Dr. Fr. Kopsch, Wilmersdor | Kyle A und für, lan an Prof, R. = dais HR of Ch Oe x u E x > ] EN RO RUE Reprints. Contanutors di more than 50 Pm pue can obtain them at reasonable rates by application to (Re US Geoi Leipzig, ai 2, Germany. OR ARE N m è EN È DOCS IN . 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I—XXIX statt 4 2000.—, $ 476.— nur # 1300. —) "§ 309.40 bar. That American prices are net and subject to an additional charge for postage. ty Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. I. Trygon (sp. div.) Per Osv. Polimanti, (dalla sezione di Fisiologia della stazione Zoologica di Napoli). (Con 18 Figure nel testo.) Ritengo che in nessuna parte della fisiologia, come in quella del si- stema nervoso centrale, il metodo comparato assurga a cosi grande impor- tanza. L'anatomia comparata ha saputo rendere grandi servigi alle scienze biologiche e sopratutto all'anatomia umana, e non si comprende perchè anche lo studio comparato delle funzioni non sia assurto ancora a quella grande importanza che meriterebbe. Per rimanere nel campo del sistema nervoso centrale, ad esempio, il maggiore o minore sviluppo, l'assenza o la presenza di una data regione, potrà portare nettamente a scoprire e nel modo più chiaro e plausibile la funzione che a questa è propria. E, come bene vedremo nel decorso di questi studi sulla fisiologia comparata del cervelletto, é in questa regione cerebrale sopratutto che il metodo comparato potrà condurci a conoscere molti fatti che finora erano oscuri ed incerti anche nel campo della fisiologia umana. Io già iniziai un tentativo rivolgendo i miei studi alla funzione del cervelletto dei pipistrelli [7], i quali lo hanno molto sviluppato, essendo animali molto adattial volo. Proseguo ora queste ricerche, che iniziai appunto alcuni anni sono, colla convinzione che forse il cervelletto é uno degli organi che meglio si presta alla indagine scientifica comparata per poterne comprendere completamente la funzione. Difatti é in questo organo che vige la legge trovata da Edinger, che cio? lo sviluppo del cervelletto & in rapporto diretto colla prontezza nel movimento, Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI. 20 306 Osv. Polimanti, colla velocità che ha l’animale nel cammino; inoltre, come vedremo nel decorso di queste esperienze, servendoci come base delle diligenti ricerche anatomiche fatte da molti autori, non solo varia lo sviluppo maggiore o minore a seconda che l’animale sia abitatore della terra o dell’acqua, ma varia anche secondo l'Habitat. Di più si vedrà, come in questo organo cerebellare, in aleuni animali vi sia preponderanza di vie e nuclei motori, mentre in molti altri c'è sovrabbondanza di vie e nuclei sensitivi. Non é chi non veda dunque in queste mirabili strutture delle differenze tali che, studiate con l'indagine fisiologica, potranno con- durci ad un concetto generale sopra la funzione del cervelletto. Se noi chiediamo in ausilio le cognizioni di anatomia comparata per farci comprendere la funzione del cervelletto nella serie animale, non troviamo di importante che la legge di Edinger, alla quale appunto ho sopra accennato. Difatti egli così dice: ,, Die minimale Ausbildung des ganzen Organes bei den kriechenden Tieren und seine Zunahme bei den großen Schwimmern weist darauf hin, daß es im wesentlichen nur Funktionen hat, die irgendwie mit der Lokomotion zusammen- hängen...‘ [2]. Edinger, partendo da una lunga serie di studi e di osservazioni, ritiene appunto che la grandezza del cervelletto sia in rapporto diretto colla motilità dell'animale, e che questa sua grandezza varia non solo da classe a classe, ma anche da famiglia a famiglia, spesso anche da Specie a specie (sicuramente almeno da genere a genere) Se diamo uno sguardo ai rappresentanti dei vari ordini dei vertebrati (special- mente in base agli studi di Edinger e della sua scuola) in genere questa legge sussiste [2], però, come vedremo appresso, adducendo degli esempi, vi sono delle eccezioni molto numerose. Fra i pesci noi osserviamo un cervelletto molto grande fra i nuo- tatori molto veloci: Scomber, Thynnus (molto grande come ho potuto | constatare anch'io con osservazioni numerose: difatti il Thynnus è un pesce forte nuotatore), Pelamys sarda, Clupea harengus. Un cer- velletto molto grande si ha anche nei pesci che hanno le pinne petto- rali molto sviluppate, o adatte al volo, come in Æxocoetus; oppure trasformate in piccoli piedi come m Trygla. EEE see See A Re Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 307 Gadus ha un cervelletto con sviluppo medio, perd sempre abba- stanza sviluppato da spiegare appunto l’eccellente nuoto che & capace di complere. Mentre invece, in pesci che si muovono poco, o vivono quasi sempre sul fondo, le dimensioni del cervelletto sono sempre molto piccole. Cid si avvera in tutti i Pleuronettidi, in Lophius, Scorpaena, Agonus, Hyppocampus, Syngnathus, in tutti i ciclostomi. Quanto da principio sosteneva Edinger, che cioé Anguilla (abi- tatore della melma) avesse un cervelletto meno sviluppato di Conger (forte nuotatore marino) é stato dimostrato poi non vero. Del resto, secondo Schmidt, anche l'anguilla (almeno in terzo stadio) é pelagico. Anche fra i pesci poi vale quanto disse Edinger che cioè, in specie affini, variano le proporzioni del cervelletto a seconda del loro Habitat. Cosi differisce Salanx da Trutta, il Crystallogobius, plantonico e quindi eccellente nuotatore, dal Gobius, abitatore del fondo, il Cyclopoterus, molto tardo e lento nei suoi movimenti, dal Liparis molto vivace. Lo stesso si dica del trasparente e pelagico Salmonide del Giappone, Salanx, rispetto alla comune Trota (Trutta). Queste stesse differenze si notano anche nel cervelletto delle tartarughe di terra (Testudo) e di acqua (di palude £mys: di acqua dolce, Tryonix: marine, Thalassochelys). Franz [4] ha trovato, con studi molto interessanti, che il cervel- letto dei pesci varia molto dallo stato larvale a quello di animale com- pleto. Difatti, allo stato larvale, sembra che il cervelletto sia molto poco sviluppato, mentre a completo sviluppo il cervelletto assume delle dimensioni più o meno grandi, a seconda della specie del pesce. E in questo fatto riposa la spiegazione di una osservazione molto interessante fatta da Bethe [5] che cioé larve di pesce, anche dopo morte, conservano sempre la posizione di equilibrio, appunto per la presenza del sacco vitellino. -In genere eli anfibi ed i rettili hanno un cervelletto molto piecolo, peró, ad es. fra i rettili, quelli eccellenti nuotatori, come Alligator, Crocodilus, Chelone (midas), hanno un cervelletto già molto sviluppato. Fra gli Urodeli il Proteus anguineus [6], abitatore delle caverne, ha un cervelletto pochissimo sviluppato. 20% 308 © Osv. Polimanti, | Se poi passiamo ad altre classi di vertebrati, troviamo come tutti gli uccelli abbiano un cervelletto molto pit sviluppato dei mammiferi. Fra questi poi, ad esempio i volatori, come i pipistrelli, hanno un cervello proporzionatamente molto più grosso di quelli che camminano sulla terra. Però, come io ho sopra accennato, esistono delle molteplici eccezioni a questa legge di Edinger. Ossia esistono animali, i quali hanno dei movimenti molto limitati, eppure proporzionatamente hanno un cervelletto molto sviluppato. Anche per questi però, osservando bene la costituzione del loro corpo, ci rendiamo bene ragione di tale grande sviluppo del cervelletto rispetto alla loro limitata locomotorietà. Franz [7] ha eseguiti degli studi molto profondi sopra il cervello dei Mormiridi: ebbene ha osservato che il cervelletto, in questi pesci, è enormemente sviluppato, tanto che la sua massa ricopre quasi l’intero cervello. Egli, partendo specialmente dagli studi eseguiti sul sistema nervoso centrale dei teleostei, ma più specialmente di questi Mormy- ridae ritiene che il cervelletto dei pesci sia specialmente un centro di associazione delle differenti impressioni che provengono dai vari organi di senso. i Franz fa dipendere il grande sviluppo del cervelletto nei Mormiridi, come anche del resto riteneva prima di lui Herrick [8], dal sistema del nervo facciale, il quale si distribuirebbe a quelle caratteristiche e molto numerose papille, che questi pesci hanno nella regione anteriore del capo e più specialmente del muso e che secondo lui servirebbero alla chemorecezione. Franz ha visto inoltre che il cervello dei Mor- miridi presenta anche un’ipertrofia del Lobus acusticus, così anche delle vie acustico-cerebellari che nei pesci servono appunto, come anche ebbi ad accennare io [9], al trasporto delle impressioni che pro- vengono dalla linea lateralis e quindi al mantenimento dell’equilibrio. Questo autore però non ha visto, se in rapporto con le caratteristiche papille del muso entra anche il Nervus terminalis, la quale cosa. po- trebbe darci appunto ragione del grande sviluppo del Lobus acusticus, dove va sicuramente a finire questo Nervus terminalis, il quale, come ho potuto vedere io [70] per il primo e come poi ha confermato Krzy- skovski [71] serve appunto, insieme al N. acusticus e al N. Lineae AD ENTREE LIEN IE INT Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 309 lateralis, al mantenimento dell’equilibrio nei pesci. Tutti gli autori che si sono oceupati di osservare Mormiridi in Aquarium ci avvertono che questi pescison capaci di dare delle scariche elettriche, quantunque molto deboli. Ebbene io ritengo che anche questa speciale funzione serva a rendere più grande il cervelletto rispetto a quello di altri pesci [12]. Cosi anche io ritengo che il relativo grande sviluppo del cervel- letto in Torpedo, cosa che Franz [13] e Fritsch [14], non hanno saputo spiegarsi, dipenda appunto dalla presenza dei lobi elettrici, dei centri delle scariche elettriche, che stanno appunto nel mielencefalo. Nel mio lavoro sopra la fisiologia del cervello dei Selacoidei (loc. cit. p. 481—485) io volli mettere in evidenza la grande importanza di un fatto riscontrato da Sterzi nei Selaci, e che anch'io ho potuto con- fermare, che cioé il diverso grado di sviluppo del cervelletto & diretta- mente proporzionale a quello del Telencefalo. Questo sviluppo & in diretto rapporto, come ebbi a rilevare io, colla locomotorietà dell'ani- male, tanto che ad esempio è più voluminoso in 7'rygon che in Scyllium, piu in Squatina che in Raja, ma anche, come sopra ho accennato, colla presenza dei lobi elettrici, in Torpedo. Dobbiamo poi infine pensare che i Selaci sono animali, nei quali il senso chimico è molto svilup- pato, anzi è forse maggiore di tutti gli altri sensi, perchè ha un sicuro sopravvento sugli altri. Ebbene i lobi olfattori, deputati appunto a questo senso, se non in tutto, almeno per la maggior parte, sono in diretta comunicazione col Telencefalo. E il maggiore o minore volume di questi lobi olfattori determina anche il corrispondente volume del Telencefalo, il quale a sua volta determina il volume del Metencefalo, di cui il cervelletto è una parte. Insomma è lo sviluppo di una regione cerebrale sensoriale (lobi olfattori-telencefalo), che è in rapporto diretto collo sviluppo del cervelletto. Questo fatto molto interessante trovato nei selaci verrebbe quindi a confermare le idee di Franz sopra la funzione del cervelletto nei pesci. Io ritengo però che questo stesso fatto, dello sviluppo maggiore cioè del cervelletto, in rapporto diretto collo sviluppo maggiore di una determinata regione sensoriale cerebrale, si verifica anche in altre classi dei vertebrati. Dall’opera di Flatau e Jacobson [15] io ritraggo dei fatti molto 310 Osv. Polimanti, interessanti, 1 quali vengono appunto a confermare questo mio asserto. Dallo studio non solamente delle figure, ma anche delle misure che questi autori danno dei vari cervelli di vertebrati da loro studiati, io rilevo che lo sviluppo del cervelletto & molto grande rispetto alle altre parti del cervello nei seguenti animali: Ungulata (Elephas afri- camus p. 493—431); Pinnipedia, Phocidae (Phoca vitulina); Cetacea, Delphinidae (Phocena communis p. 445—476). Ebbene tutti questi animali, i quali presentano tutti un muso molto allungato, in alcuni munito di proboscide, come in Zlephas, o di peli tattili molto lunghi ed abbondanti, come in Phocaena, la presenza di questi speciali ap- parecchi ci sta appunto ad indicare la presenza in questi animali del cosidetto ,,senso orale‘ messo in luce da Edinger [16] e che porta appunto allo sviluppo maggiore di determinate regioni sensoriali del cervello (Ganglion habenulae, Cornu ammonis, Archipallium) e da qui in linea diretta dipende secondo me un maggiore sviluppo del cervelletto. In questo stesso libro di Flatau-Jacobson trovo anche un altro esempio in Petaurus Sciureus (Marsupialia p. 494—508). Ebbene, in questo animale (come del resto negli altri Marsupialia), il cervelletto ha un grande sviluppo. Ciò si piega non solo colla posizione semieretta che hanno questi animali, col caratteristico cammino a salti fatto col treno posteriore, per cui occorre un sistema equilibratorio molto bene accentuato,inoltre io ritengo che sia anche in rapporto con l'enorme sviluppo del Rinencefalo che presentano appunto questi animali. Dunque anche in Marsupialia noi abbiamo un esempio di uno sviluppo maggiore di una determinata regione cerebrale (Rinencephalon) in rapporto diretto con uno sviluppo piü grande del cervelletto. E gli esempi si potrebbero moltiplicare, solo che si consultino attentamente trattati di anatomia comparata o monografie del sistema nervoso centrale dei vertebrati. Da quanto sopra ho detto 1o ritengo che si possa dedurre una regola generale, di ordine anatomo-fisiologico, completando così i fatti messi in luce e schematizzati specialmente da Edinger e da Franz sul sistema nervoso centrale dei vertebrati: EVE SE SPU SEE SOI VER ATER III PI) get Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 311 „La grandezza del cervelletto é in rapporto diretto o col movimento o collo sviluppo degli organi di senso.‘ Ciò indica che, ad una funzione motoria o sensoria molto sviluppata, corrisponde sempre un grande sviluppo del cervelletto, contemporaneo allo sviluppo più grande di quelle determinate zone motorie o sensoriali cerebrali. Il cervelletto si trova in tutte le classi dei vertebrati, però pos- Siamo dire che forse nessuna parte del sistema nervoso centrale su- bisce così profonde modificazioni da animale ad animale, anche della stessa specie, come questa. Ritengo quindi che studiare la funzione di questo organo dal lato della fisiologia comparata non solo potrà illuminarci sopra molte questioni controverse, che si hanno sulla fun- zione di questo negli animali superiori, ma sarà anche molto importante per la biologia generale e sopratutto per la etologia. Si potrà vedere quale influenza spieghi l’ambiente sopra la costituzione anatomica e quindi sulla funzione di quest’organo. Ed indirettamente la biologia generale ci aiuterà a delucidare molte questioni sulla funzionalità del cervelletto nella serie animale. Non ritengo però vi sia alcuno, il quale voglia venire a sostenere che, con queste scarse cognizioni sulla anatomia comparata del cervel- letto, noi possiamo aver fondato una fisiologia comparata di quest organo ; ciò anche se le cognizioni di anatomia comparata su questo argomento fossero complete. Una funzione di un organo, di una data regione cerebrale, non può essere conosciuta se non per mezzo dell’esperimento fisiologico, il quale si giova di uno o più metodi per giungere alla solu- zione di un determinato problema fisiologico. La cognizione anatomica (macroscopica o microscopica) serve solo di base al fisiologo per indi- rizzare le sue ricerche e per spiegarsi alla fine 1 risultati ottenuti. L'anatomia comparata è un complemento necessario e indispensabile della fisiologia comparata, ma non può soppiantare questa. Perchè sarebbe lo stesso che l’andare a sostenere. essere la fisiologia comparata bastevole a comprendere ed a delucidare questioni anatomiche. Inizio la serie di questi studi sopra la fisiologia comparata del cervelletto con quello di Trygon sp. div. Fin da quando io intrapresi lo studio del sistema nervoso centrale dei pesci richiamai l’attenzione 312 Osv. Polimanti, degli osservatori sopra la necessitä d’intraprendere uno studio sopra il cervelletto di Trygon. E ciò io riteneva interessante di fare, visto appunto il grande sviluppo che il cervelletto presenta in questi ani- mali [40]. Metodo operatorio. Il metodo operatorio per l’ablazione totale o parziale del cervel- letto in Trygon è abbastanza facile. | Come punto di ritrovo servono benissimo gli occhi: questi corri- spondo perfettamente al mezzo del cervelletto. Si fa perciö un taglio sulla pelle di circa 6 cm, la meta del quale cada proprio sulle regioni oculari. Tagliata la pelle, s'incide la capsula cartilaginea, si asporta parte di questa da ambedue i lati ed allora si scorge completamente tutto il cervelletto. Come apparisce bene dalla figura che riporto, e che rappresenta il sistema nervoso centrale di un Trygon violacea C. Bp. di media grandezza, il cervelletto in questi animali assume delle proporzioni molto grandi. Come accennai nell'altro mio lavoro sul sistema nervoso centrale dei Selacoidei (p. 482), il cervelletto di Trygon é il pit grande tra tutti questi animali. E da notare anche il contemporaneo grande sviluppo del Telencefalo e dell’apparecchio centrale olfattorio (Fig. 1). Con ovatta si aspira il liquido cefalo-rachidiano ed infine con un piccolo cucchiaio di Volkmann si puó limitare l'asportazione alle varie regioni, oppure si puó asportarlo completamente. Si ricuce la pelle con punti staccati molto vicini fra di loro: si deve avere l'avvertenza che i punti debbono essere molto vicini, perchè cosi la cicatrizzazione avviene molto bene, e non c'é bisogno di ricorrere ad altri mezzi, come gelatina, ecc. per fare l’occlusione della ferita. La pelle del Trygon si presta molto bene per fare questa sutura, e, quando questa è fatta bene, ossia i punti sono molto vicini fra di loro (con successo si potrebbero anche usare le griffe di nickel), la cicatrizzazione avviene benissimo nel termine di 7—10 giorni. Furono operati con questo metodo 6 Trygon di ablazione cere- bellare completa e 6 Trygon di ablazione parziale del cervelletto. Appena eseguita l'operazione (sia stata l'asportazione parziale o Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 313 totale) e rimesso il Trygon nel bacino, la pelle diventa di un colorito grigio molto biancastro. Cid è sicuramente una dipendenza dello choc operatorio. —--—- Fig. 1. Sistema nervoso centrale di Trygon violacea C. Bp.: B. ol. Bulbus olfactorius; P. ol. Pedunculus olfactorius; N. op. Nervus opticus; Th. Telencephalon; Cer. Cerebellum; L.op. Lobus optieus; N.N.t.f.a l. gruppo dei nervi trigeminus, facialis, acusticus, lineae lateralis; N.gl. ph. Nervus glossopharingeus, N .vag. Nervus vagus; V.N.spin. Nervispinales. Per farci un concetto il più possibile esatto dei fenomeni presentati da Trygon dopo l'ablazione parziale o totale del cervelletto, e per 314 Osv. Polimanti, giungere cosi a comprendere la funzione di questo, bisogna nettamente analizzare, sia quanto & stato osservato nell’animale in posizione di riposo, come anche nel movimento di questo: | I. Trygon con ablazione parziale del cervelletto. la. Posizione di riposo completo di Trygon con ablazione parziale del cervelletto. Un Trygon operato di ablazione parziale del cervelletto riposa sul fondo del bacino colla regione ventrale, o per un lungo tempo, oppure solamente per breve tempo. Nei primi giorni (1—2, ma quasi sempre nel solo 1? giorno) dopo l'operazione l’animale resta fermo solo per pochi minuti (1’—5’): ritengo che ciö avvenga per una ipereccitazione proveniente appunto dalla lesione cerebellare, conseguenza dello stato di irritazione post- operatoria, nel quale si viene a trovare il sistema nervoso centrale, come anche dalla mancanza totale o parziale del cervelletto. In questo caso si tratta di una vera e propria iperattività motoria. Molti Trygon, appena eseguita l'operazione, non rimangono in questo stato di iperattività motoria, ma restano costantemente fermi; ciò può anche dipendere dallo choc post-operatorio (astenia). Però, man mano che ci allontaniamo dalla operazione eseguita, il Trygon nuota ad intervalli molto lunghi e sta riposato sul fondo per 10’—45’. Difatti, man mano che ci allontaniamo dal momento dell’operazione, la posizione di riposo sul fondo è molto più frequente del nuoto e ciò dipende forse dalla difficoltà che prova l’animale nel nuotare e perciò rimane fermo la maggior parte del tempo. Molto raramente (e nel caso, solo per poche ore) si avverano questi lunghi periodi di riposo nei primi giorni dopo l’operazione. Analizziamo ora la forma che assumono i Trygon con ablazione parziale del cervelletto nella posizione di riposo sul fondo. | Ho constatato che questi animali vi rimangono stando con la coda molto sollevata dal fondo; come dimostra bene la figura schema- tica (Fig. 2), questa non riposa mai sulla superficie su cui stanno. Nella posizione di riposo molto raramente le due pinne pettorali rimangono addossate completamente sul fondo colla superficie ventrale: Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 315 o Puna o l'altra rimane più o meno sollevata colla parte periferica (quasi sempre la pinna pettorale sinistra). Sembra perció che l'animale poggi sul fondo in senso trasverso (Fig. 3). NEL USES 4 LL! HR, > TRE = > È Ss = P 2 = 5. \ A noa 1110177 XS 3f. Oi! = 411 PD ( 22S Ur L - ó Ge fy " AS ID I O0 phe ae: DI rt UN ET Ge Ge ‘ aW 5 8 = Tr = DE; ja == Gi NIRO o. T LG e LU SMI . ST Fe 14, SSO D 2 ZE v Y Fig. 2. Però, dopo 4—12 giorni della eseguita operazione cerebellare, le pinne pettorali combaciano completamente col fondo colla loro super- ficie ventrale (Fig. 4). Qualche Trygon, appena compiuta Vablazione parziale del cer- velletto, rimane fermo sul fondo in un caratteristico stato emprosto- tonico: difatti la re- gione ventrale dell'ani- male si curva sia in senso anteroposteriore (emprostotono antero- posteriore), comeanche in senso ventrale (em- prostotono laterale). In questa maniera il Trygon riposa sul fon- do (Fig. 5) quasi esclusivamente sulla parte posteriore colla regione che serve d'inserzione alla coda e più specialmente con quelle appendici situate posteriormente alle pinne pettorali. Anteriormente riposa sulle pinne pettorali (specialmente nella parte posteriore) che fanno quasi da arti. 316 Osv. Polimanti, Visto l'animale di profilo (Fig. 6), mentre nella regione ventrale viene a trovarsi in uno stato emprostotonico (specialmente laterale), nella regione dorsale posteriore è in uno stato di opistotono con la coda elevata a semicerchio. Naturalmente questo caratteristico stato emprostotonico, nel ZX Fig. 5. quale viene a trovarsi il Trygon, é piu o meno accentuato, sia nel senso laterale come in quello anteroposteriore. Di solito è più accentuato nel senso laterale. Contemporaneamente le pinne pettorali rimangono ripiegate verso l’alto coi loro estremi. Lo stato emprostotonico si avvera specialmente dopo molti giorni della eseguita operazione cerebellare. Raramente si ha appena fatta l'operazione, oppure dopo 2—3 giorni. Sembra che debba dipendere da un fenomeno di deficienza, che rimane costante sino alla morte dell'animale. Talvolta i Trygon muoiono in questo caratteristico stato empro- stotonico laterale ed anteroposteriore, mentre le due metà dell'animale rimangono perfettamente simmetriche. Del resto questa simmetria ed omogeneità delle due metà del Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 317 Trygon (specialmente delle pinne pettorali) rimangono nello stato di riposo completo dell'animale, anche quando gli animali presentano lo stato emprostotonico suddetto. In qualche Trygon questo stato emprostotonico va invece man mano diminuendo, allontanandosi dal giorno nel quale & stata eseguita l'operazione. Talvolta il Trygon operato di cervelletto assume anche una posi- zione opistotonica, contemporanea o no a quella emprostotonica late- rale: è tanto accentuata, che la coda è rivolta ad arco e, se è molto lunga, affiora alla superficie del bacino. Man mano che questo stato di opistotono e di emprostotono va diminuendo, anche la coda comincia ad abbassarsi: ciò significa che, quando era elevata, stava così, perchè i muscoli dorsali di questa si trovavano in stato ipertonico ed i ventrali in stato ipotonico; non esisteva quindi quella sinergia normale fra i due ordini di muscoli. . Sono questi stati dipendenti senza dubbio da vere e proprie con- tratture. Talvolta, contemporaneamente alla coda, è molto in alto anche l'estremo anteriore, il muso. Talvolta questi sollevamenti sono solo temporanei durante la giornata: il Trygon può alternativamente combaciare col fondo con tutta la superficie ventrale e quindi anche colla coda e col muso. Ib. Movimenti eseguiti dai Trygon operati di ablazione parziale di cervelletto. Quando non nuota, può rimanere poggiato sul fondo o alle pareti del bacino con qualche regione del suo corpo e contemporaneamente può tenere in movimento le pinne pettorali. Ho acc innato sopra, parlando della posizione di riposo che presen- tano i Trygon operati di cervelletto, che spesso una pinna pettorale è situata sul fondo in posizione normale (curvilinea, leggermente ripie- sata in alto col suo estremo), mentre l’altra (quasi sempre la destra) è quasi in linea retta. Ebbene, spesso, in questa posizione delle due pinne pettorali, il Trygon va eseguendo dei movimenti di maneggio, compiendoli specialmente con l'ausilio della pinna pettorale, che è nor- 318 Osv. Polimanti, malmente situata, mentre l’altra, che & in posizione rettilmea, rimane ferma. Riguardo poi a questi caratteristici movimenti di maneggio, eseguiti dal Trygon, si deve qui notare che avvengono sempre in un determinato senso (specialmente verso destra) poche ore dopo la lesione cerebellare, ma poi in seguito possono aver luogo da ambedue 1 lati. Qualche volta (Trygon 2), dopo aver compiuto un nuoto, va sul fondo poggiandosi con la metà posteriore, specialmente colla radice della coda e muovendo sincronamente le pinne pettorali. In questo Stato peró rimane quasi sempre nello stesso punto, perché non fa mai un movimento ditraslazione. Forse imovimenti, che va compiendo colle pinne pettorali, sono conati per una natazione, che non puó essere compiuta, perché i meccanismi motorio-sensoriali, dopo l'ablazione parziale o totale del cervelletto, non sono capaci di farli compiere. Ho sopra descritto un caratteristico stato emprostotonico-opisto- tonico, nel quale spesso si trovano questi Trygon allo stato di riposo. Ebbene, in questa posizione, il Trygon va compiendo molto spesso sul fondo un cammino-nuoto (é piu pero una forma di cammino che di nuoto, perchéil Trygon striscia, ma non nuota mai) servendosi quasi come arti delle pinne pettorali e delle piecole appendici posteriori a queste: la coda durante questo movimento si rivolge dall'uno o dall'altro lato, di solito in senso opposto alla pinna pettorale che viene mossa, quasi sempre peró é rivolta colla punta verso quella pinna pettorale, che si trova in stato anormale di estensione per combaciare quasi col fondo colla superficie ventrale. Io ritengo che anche in questo caso, quando l'animale esegue questo movimento tutto caratteristico (cammino-nuoto), ha la spinta normale al nuoto; peró i meccanismi motori e sensitivi sono assolu- tamente inadatti allo scopo ed invece di fare un nuoto, compie questa forma caratteristica di cammino-nuoto. Questa forma di cammino-nuoto puó durare anche molto tempo ed il Trygon anche per molte ore puó girare continuamente per il fondo del bacino. Io ritengo che l'animale assume queste forme di cammino-nuoto non Solamente come una forma di movimento di progressione, ma Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 319 anche come tentativo per iniziare un movimento di natazione: questi tentativi di elevazione al nuoto sono determinati non solo dalle pinne pettorali, ma coadiuvati anche dal puntamento della radice della coda (si vede bene ciö, perché questa rimane abrasa piü o meno profonda- mente). Qualche volta va col muso contro un angolo del bacino e là rimane fermo, muovendo coordinatamente le pinne pettorali. Però talvolta Fig. 7. muove molto di più una pinna pettorale dell’altra ed allora non esiste più coordinazione alcuna nel movimento delle due pinne pettorali. Questo resterà fermo col muso contro una parete per un tempo più o meno lungo. Potrebbe considerarsi come un fenomeno di stereotro- pismo, oppure come una forma di tentativi che va facendo l'animale per iniziare il nuoto. Altra posizione, che assume il Trygon, si è quella di rimanere ad- dossato ad una parete verticale colla regione ventrale e toccando contemporaneamente il fondo con l'una o l'altra delle pinne pettorali, le quali contemporaneamente stanno in movimento. Si avvera peró che la pinna addossata sul fondo compie molto minori movimenti 320 Osv. Polimanti, (30—42—48—60 al 1’) di quella che rimane libera rivolta in alto (in media 72—80 all. In fondo questa posizione si potrebbe considerare come una forma di pleurototono. Quasi sempre poi € la pinna pettorale destra, quella che rimane appoggiata sul fondo nella sua meta posteriore (Fig. 7). Si deve sicuramente ritenere che il tono delle due meta dell’ani- male è molto differente, la metà rivolta in basso ha un tono molto minore di quella che è rivolta verso l'alto. Quantunque naturalmente debba ritenersi che il minore numero di movimenti compiuti dalla pinna pettorale rivolta in basso, debba anche ascriversi ali’ostacolo che gli oppone al libero movimento il fondo del bacino. Sicuramente peró, la pinna pettorale, che é rivolta in basso, hà una deficienza di tono e consecutivamente motoria, perché, come vedremo poi appresso, parlando dei movimenti di natazione, & sempre verso questo lato che vengono eseguiti questi movimenti di maneggio. Si deve peró qui notare che, anche dopo pochi giorni dalla eseguita operazione, pur rimanendo qualche volta colla regione ventrale ad- dossata ad una delle pareti verticall, muove, in questa speciale posi- zione, coordinatamente e sineronamente le pinne pettorali di ambedue i lati (ho contato da 48 fino a 78 movimenti al l'nelle pinne pettorali di ambedue i lati). Dopo un certo tempo peró che ha eseguita questa forma speciale di nuoto in questa posizione, pur conservandosi colla regione ventrale adagiata ad una parete verticale, va a riposare sul fondo col margine posteriore dell'una o dell'altrà pinna pettorale (è sempre quella che si trova in stato atonico o di deficienza motoria, perché i movimenti di maneggio vengono eseguiti sempre verso questo lato). Questa posizione verticale, che prende cosi facilmente il Trygon, non si osserva che in animali che abbiano subito l'operazione cerebellare e deve considerarsi quindi come un fatto assolutamente anormale. Trygon normali, da me osservati in gran numero, sia nelle varie epoche dell'anno, come nelle varie ore del giorno, mai presentano questa posizione, che dipende sicuramente da un disturbo dell'equilibrio, anzi meglio dalla difficoltà o impossibilità in certi determinati momenti di prendere.la posizione orizzontale di riposo. Questa posizione verticale puó essere osservata anche dopo molti Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 321 siorni che é stata eseguita l'operazione cerebellare. Cid significa ap- punto, che l'ablazione parziale o totale del cervelletto porta sempre a questa posizione caratteristica anormale. Forse é difficile all'animale di prendere fondo eolla regione ven- trale e rimane cosi addossato alla parete verticale. Ho notato che questa posizione verticale-ventrale viene anche assunta dal Trygon, quando vuole sospendere un movimento di maneggio (quasi sempre verso destra). Basta che batta (specialmente colla pinna pettorale che col maggior lavoro determina il movimento di maneggio) contro una delle pareti verticali, perché si addossi quasi sempre a questa colla superficie ventrale. L'addossamento alla parete verticale da parte del Trygon può avvenire completamente con tutta la regione ventrale, oppure l'ani- male puó restare in leggero stato emprostotonico (Trygon 2). La coda rimane in questa posizione quasi costantemente poggiata sul fondo (posizione di sostegno). Quando la coda tocca il fondo, appunto in posizione di sostegno dell’animale, allora i movimenti delle pinne pettorali non sono molto forti (anche in questo caso si muove specialmente la pinna pettorale che è situata superiormente e sta libera ed è appunto quella più valida e che determina il movimento di maneggio nel nuoto dell’animale). Ritengo che spesso, quando è adagiato colla regione ventrale su una parete verticale, prende questa posizione per iniziare un movimento qualunque. E ciò lo arguisco anche dal numero delle escursioni che fanno le pinne pettorali; mentro nel nuoto libero, dei Trygon compiono ad es. 60-70 movimenti al I’, quando invece stanno colla regione ventrale sopra una parete verticale, i movimenti delle pinne pettorali sono in media 78-80 al l'. I movimenti sono appunto maggiori, perchè si tratta di tentativi di nuoto, che va compiendo l’animale. Finalmente, dopo molti tentativi, riesce a librarsi, però lo fa compiendo costantemente dei movimenti di maneggio (quasi sempre verso destra): più tardi può compiere anche una natazione in senso orizzontale. Osservando attentamente un Trygon operato di cervelletto si vede bene che conserva questa caratteristica posizione verticale, spesso tenendo contemporaneamente l’estremo anteriore contro un Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI. 21 322 ars Osv. Polimanti, angolo del bacino e fa cid appunto per iniziare un movimento di natazione. | | Questa viene iniziata peró molto spesso, quando passa sul fondo ‘Ja pinna pettorale più valida e che è quella che determina i movimenti di maneggio (si può però staccare pure dalla parete verticale, anche tenendo sul fondo la pinna pettorale meno valida). Il distacco, secondo me, oltre che dai movimenti delle pinne pettorali è determinato anche dalla coda che poggia sul fondo, la quale, talvolta coadiuvata da1l estremo anteriore che poggia contro un angolo, forma con questo due veri e propri punti di appoggio. IC. Natazione eseguita da Trygon operati di ablazione parziale di cervelletto. Il nuoto può effettuarsi anche dopo breve tempo che è stata fatta l'operazione. Però si deve osservare che il tipo del nuoto compiuto dal Trygon, specialmente nei primi tempi dopo l’operazione, non è completamente: regolare. Le pinne pettorali specialmente presentano delle caratteristiche nel movimento, che meritano di essere studiate: 1. L'animale, librandosi al nuoto, rimane colle pinne pettorali situate in modo da presentare un vero opistotono laterale (pinne pet- torali ripiegate in alto nel senso da destra a sinistra). Talvolta l’intero animale resta in opistotono in senso anteroposteriore. Quindi spesso si ha una forma opistotonica mista, con prevalenza dell'una o dell'al- tra posizione di opistotono, a seconda che è ripiegato in alto più in senso laterale, o antero-posteriore, ovvero anche viceversa. 9. Altra caratteristica del movimento delle pinne pettorali si è che può aver luogo coordinatamente da ambedue i lati, mentre quelle si vanno muovendo nel senso antero-posteriore. In fondo è un moto completamente regolare, però, più che un nuoto normale sinusoide (come ho dimostrato io nel mio lavoro sul movimento del Trygon normale) [78] è a sbattimento dall’alto in basso e viceversa. Vi è unito solo molto lievemente il moto sinusoide in senso antero-posteriore (Fg. 8): in questa forma di nuoto le pinne pettorali si muovono in media 60—70 volte al | da ambedue i lati. Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 323 3. Talvolta il movimento della meta anteriore delle pinne pettorali e molto irregolare; mentre quello della metä posteriore & abbastanza regolare (è insomma più a sinusoide), invece quello della metà anteriore é piu a sbattimento. 4. Il movimento delle pinne pettorali, nel nuoto, puó avvenire in modo coordinato completamente e sincronamente dall'avanti all'in- dietro. Cid av viene, specialmente decorso qualche giorno dall'operazione (si muovono 42—48-—60 volte al 1’). Puó avvenire un nuoto in linea orizzontale, anche quando le due pinne pettorali non compiono lo stesso numero di movimenti. La pinna pettorale sinistra puó fare 60 movimenti, mentre la destra Fig. 8. puó farne 36—42. In questo caso ritengo che la pinna pettorale, che compie minor numero di movimenti, compie questi più energicamente in modo da equilibrare il maggior numero di quelli compiuti dalla pinna opposta, però più leggieri, meno validi, altrimenti si avrebbe un movimento di maneggio verso il lato, dove la pinna pettorale compie minor numero di movimenti. Però in questo caso (appunto perchè i movimenti delle pinne pettorali non sono uguali da ambedue i lati) il nuoto in linea orizzontale dura molto breve tempo e il Trygon compie quasi subito movimenti di maneggio verso destra. E ciò, ben si com- prende, avviene per leggi meccaniche. | 5. Il movimento delle pinne pettorali puó avvenire a bilanciere, ossia mentre quella di un lato cessa il movimento, quella del lato opposto l'inizia a sua volta. Questo è il movimento che si vede più frequentemente. Non esiste insomma sincronia nel movimento delle due pinne pettorali, ma ció avviene anche, come ho potuto vedere io, e come appare bene dalle riproduzioni cinematografiche, che ho por- 21* 394 Osv. Polimanti, tato nel mio citato lavoro, anche in Trygon completamente normali e che non abbiano quindi subito operazione alcuna. 6. Il movimento delle pinne pettorali può essere coordinato, compiendosi nel senso antero-posteriore e contemporaneamente anche sincrono, anche quando il Trygon presenta un movimento di maneggio. In tutti questi vari tipi di nuoto che va compiendo, batte con molta facilità con l’estremo anteriore, col muso, contro le pareti del bacino. Ciò sta ad indicarci, sia che manca assolutamente all’animale il fine controllo sensoriale, come pure che i meccanismi motori non sono integri; altrimenti, se ciò non fosse, non avverrebbero questi continui battimenti contro le pareti, ma il nuoto procederebbe normal- mente. Qualche volta si avvera ciò anche in pesci normali (non sola- mente Trygon) messi in un bacino, solo però nelle prime ore o nei primi giorni. I pesci rimangono ipereccitati e guizzano continuamente, in modo che anche il controllo della linea laterale e del nervo terminale non può essere completo e perciò vanno battendo contro le pareti di vetro (ostacoli forse invisibili, o quasi, all'occhio del pesce). Rimasti qualche giorno nel bacino, questi battimenti non si verificano piu affatto. Un'altra prova che sta a dimostrarci, come il mantenimento dell'equilibrio nel Trygon operato di cervelletto sia molto difficile, si è che l'animale, anche entro uno spazio di tempo breve, puó passare da una all'altra forma di nuoto, che é stata ora descritta. Questo facile cambiamento avviene specialmente nelle prime ore, o anche nei primi giorni che è stata.eseguita l'operazione cerebellare. In questi vari passaggi che va facendo dall’uno all'altro tipo di nuoto, i movimenti che compie colle pinne pettorali non sono molto coordinati, e contemporaneamente rimane sempre, specialmente in questi momenti, in uno stato di iperattività e di irrequietezza. Ció dipende forse dalla difficoltà che trova per mantenere l'equilibrio in questi vari cambiamenti di direzione e di tipo di nuoto, che va facendo. Resta incertissimo, quando devecambiare direzione al movimento. Nei continui tentativi che va facendo, aiutandosi specialmente colle pinne pettorali e colla coda, si nota una grande incoordinazione. Sembra difatti che sia molto difficile all'animale di poter mantenere l'equilibrio, perché con grande Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 325 frequenza cessa di nuotare e si adagia sul fondo. E cid dipende anche sicuramente dallo stato di ipereccitabilita, nel quale si viene a trovare il sistema nervoso centrale, a causa della lesione che & stata fatta. Altro segno, che l’animale operato di cervelletto non si trova pit in condizioni normali, si è che spesso con l'estremo anteriore fuoriesce dall'aequa, ció che in un animale normale non si avvera, se non quando venga energicamente stimolato. L'inizio del nuoto, nei Trygon operati di cervelletto, é sempre molto difficile, difatti, quando riposano sul fondo e vogliono nuotare, fanno prima moltissimi tentativi prima di elevarsi, aiutandosi non solamente colle pinne pettorali, ma anche colla radice della coda. Per quanto riguarda la cessazione del nuoto, qualunque sia il tipo del nuoto che va facendo il Trygon, come ho anche sopra accennato, molto spesso va a poggiarsi colla regione ventrale sul fondo. Questi tentativi peró sono molto frequenti (7—8—10) e durano talvolta anche a lungo, prima che l’animale vada a posarsi sul fondo. Una caratteristica si è che avvengono a scatti, appunto perchè non è completo e perfetto il controllo sensoriale; spesso non raggiungono lo scopo, perchè l’animale compie un movimento di maneggio e risale in alto per seguitare a nuotare nell’uno o nell'altro senso. La direzione del nuoto, nel Trygon operato di cervelletto, può essere molto differente. 1. Può nuotare in linea orizzontale, andando sempre in una deter- minata direzione; in questo caso ambedue le pinne pettorali possono stare in line retta. 2. Oppure molto spesso nuota in senso trasverso (però sempre in linea orizzontale) con manifesta deficienza della pinna pettorale destra e tenendo questa rivolta in basso, mentre la sinistra è rivolta verso l’alto: naturalmente i movimenti che compie a destra sono un po minori che a sinistra, però non si hanno movimenti di maneggio. Questa è la posizione più frequente presentata dal Trygon con lesione parziale del cervelletto (Fig. 9). 3. Può nuotare facendo continuamente movimenti di maneggio verso destra: in questo caso naturalmente i movimenti della pinna pettorale sinistra sono in numero maggiore di quelli della pettorale 326 Osv. Polimanti, destra. —Questi sono i movimenti piu frequenti compiuti dal Trygon nei primi tempi dopo l’operazione. . Qualche volta fa anche dei tentativi di maneggio verso sinistra (specialmente quando si trova sul fondo del bacino, o vicino a questo), muovendo naturalmente molto di più la pinna pettorale destra. Perd quasi subito ritorna a fare movimenti di maneggio verso destra. Ed in questo caso dei tentativi di maneggio verso sinistra, l'incoordinazione è molto grande, forse perché per compierli non ha completo il controllo Fig. 10. sensoriale e si tratta solo di movimenti di passaggio. Può essere che li compia per disorientazione momentanea. Alcuni Trygon (No.2) compiono esclusivamente movimenti di maneggio verso sinistra, ciò specialmente nei primi giorni dopo l'ope- razione. I movimenti di maneggio vengono eseguiti dal Trygon (come ho detto,sono sempre molto piü frequenti quelli verso destra) molto spesso tenendo la coda poggiata sul fondo. Cid dipende da che questo fissamento serve come un mezzo di orientazione tattile per l'animale. Pero i movimenti di maneggio avvengono anche senza il fissamento della coda sul fondo, perché anzi in qualche Trygon (No. 2) si nota, come la coda rimanga sempre sollevata e rivolta anche in alto. I movimenti di maneggio (Trygon 2) qualche volta vengono Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 327 compiuti dal Trygon, mentre tiene poggiata sul fondo quella pinna pettorale dellato, verso il quale viene eseguito il movimento di maneggio (Fig. 10). Dunque, la pinna che è poggiata li, rimane quasi immobile, mentre l'altra è in continuo movimento (non però sinusoide, ma piut- tosto, come ho accennato, di scuotimento, di sbattimento dall'alto in basso) Numerose osservazioni mi portano poi a concludere che questi movimenti di maneggio avvengono in Trygon, perché una delle grandi pinne pettorali esegue costantemente da 1/5 ad 1/10 di maggior numero di movimenti di quelli del lato opposto. Si deve poi notare che la pinna pettorale, che determina il movimento di manegeio, comple quasi sempre un normale movimento sinusoide antero-posteriore, mentre l'altra esegue piuttosto una forma di sbat- timento. Questi movimenti di maneggio non avvengono che raramente in linea orizzontale; il Trygon rimane quasi sempre in senso trasverso colla testa situata verso l'alto e la coda rivolta costantemente colla punta verso illato della pinna dell'animale situata in posizione anor- male (Fig. 9). j I movimenti di maneggio, come sopra ho accennato, cessano coll’andare del tempo, però l'animale non rimane quasi mai più in posizione orizzontale, bensi sta sempre un po'situato in senso tra- sverso ed appunto verso quel lato, dove avveniva il movimento di manegeio. Quindi questa deficienza omolaterale perdura per molto tempo (Fig. 9—10). E questo é un fatto, che ha il suo riscontro, anche quando il Trygon riposa sul fondo: la pinna pettorale di quel lato, verso il quale avveniva il movimento di maneggio, combacia quasi col fondo, mentre quella del lato opposto è normalmente elevata. 4. Decorsi anche pochi giorni dall'operazione, il nuoto avviene normalmente in tutte le direzioni (orizzontale, trasversale, verticale). Le pinne pettorali si muovono sincronamente e coordinatamente; però possono aver luogo anche movimenti di maneggio da ambedue 1 lati. Il Trygon, già dal secondo giorno che è stata eseguita la lesione cerebellare, può nuotare in tutti i sensi, però è manifesta sempre la deficienza nel movimento delle pinne pettorali, le quali sbattono, più 328 Osv. Polimanti, che fare un movimento normale, sia nel nuoto normale come anche nel movimento di maneggio. 5. Decorso un po’ di tempo dall’operazione, il Trygon, anche : nuotando in linea orizzontale, puó strisciare sul fondo, specialmente colla coda. Sicuramente ha bisogno ancora del controllo tattile per compiere un nuoto il più possibilmente normale. La coda serve indub- biamente come punto di ritrovo e sino ad-un certo punto anche di sostegno. 6. Anche dopo vari giorni che è stata eseguita l’ablazione parziale o totale del cervelletto, il Trygon nuota costantemente lungo la parete piccola del bacino e mai nella parete più lunga. Ciò avviene, perchè nella parete più corta più facili sono i punti di ritrovo (senso tattile e visivo) e quindi il nuoto riesce più facile e risulta più equilibrato. E poi un nuoto di breve durata può essere sempre meglio equilibrato di un nuoto di lunga durata. 7. Può compiere anche un nuoto librato (ossia quando dall’alto del bacino vuol dirigersi verso il fondo): ciò avviene, specialmente dopo vari giorni che è stata eseguita l'operazione cerebellare. 8. Anche dopo molto tempo che è decorso dalla eseguita operazione cerebellare, il nuoto non si avvera mai in quella maniera fine, come si ha in un animale normale e ciò dipende appunto dalla anormalità nel movimento, sopratutto delle pinne pettorali, le quali appunto, come sopra ho accennato, non fanno un regolare movimento sinusoide, ma piuttosto compiono uno sbattimento. 9. Una posizione abbastanza caratteristica di nuoto che assume il Trygon, anche dopo non molti giorni dalla eseguita operazione, si è che nuota colla regione ventrale rivolta in alto e col dorso rivolto in basso (Fig. 11). : In questa maniera è capace di nuotare anche per lungo tempo, rimanendo completamente bene equilibrato. Questa senza dubbio è una posizione anormale, perchè non ho visto mai nessun Trygon normale compiere un tale tipo di nuoto. Secondo me è dovuto ad una deficienza di orientazione. I mec- canismi per mantenere l’equilibrio normale non sono più completi, perciò assume questa posizione. Il Trygon rimane in equilibrio ugualmente e può nuotare, ma Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 329 la posizione di nuoto non è normale. L'impulso al movimento normale esiste, ma l'animale non ha tutti i meccanismi per compierlo tale e perciò eseguisce questo tipo di nuoto. Si avvera questo nuoto speciale, sopratutto quando l'animale non esegue piü i movimenti di maneggio. Questo nuoto, in fondo, si puó considerare come un movimento di rotazione intorno all'asse longitudinale (antero-posteriore). Però questi sono solo movimenti temporanei, perché poi gli animali ritornano nello stato di nuoto normale in un tempo anche abbastanza breve. 10. Altra caratteristica del nuoto compiuto dal Trygon, operato 27 Pali x: > . ui (d, SUORE, / D WATERS == x res ART meet GPL gt ill yi ao D S CL 18! - — D^ Fig. 11. di cervelletto, si è che non nuota molto velocemente come un animale normale. Ciò dipende da che le pinne pettorali, come ho accennato, non si muovono normalmente a sinusoide, bensi fanno spesso uno sbatti- mento non coordinato e non sincrono. oppure si muovono a bilanciere. Naturalmente questi movimenti anormali fanno si che il nuoto del Trygon, anche quando avviene senza movimento di maneggio, sia molto rallentato. Anche se una pinna pettorale rimane integra nei suoi movimenti, pure è costretta a farli anormali per compensare quelli dell'altra pinna pettorale più o meno anormale. Di pit un Trygon con lesione cerebellare, anche quando compie movimenti di maneggio da ambedue i lati, lo fa molto più frequente- mente che non un Trygon normale, che procede quasi sempre in linea orizzontale. Si puó dire che un Trygon con una lesione cerebellare 330 Osv. Polimanti, compie, specialmente nei primi giorni dopo l'operazione, quasi sempre i suoi movimenti sotto forma di maneggio, o dall'uno o dall'altro lato, quando quelli prevalenti da un lato sono cessati, e molto rara- mente in linea orizzontale. Nei primi tempi dopo eseguita l'operazione cerebellare, mettendo il Trygon in posizione dorsale, con molta difficoltà, e solo dopo molti tentativi, ritorna in posizione ventrale, servendosi a ció, specialmente dell'azione di quella pinna pettorale che fa maggiori movimenti e che appunto perciò determina quei caratteristici movimenti di maneggio. Il Trygon prova molta difficoltà, dopo breve tempo che è stata eseguita la lesione cerebellare, di ritornare in posizione ventrale nor- male, appena venga posto sul dorso. In questo caso difatti va facendo continui movimenti di maneggio verso quello stesso lato, dove li compie stando in posizione ventrale. Difatti rimane sempre un po’ in senso trasverso, tenendo in alto quella pinna pettorale che determina i movimenti di maneggio (ad esempio nel Trygon 2, nel quale questi vengono compiuti verso sinistra, è la pinna pettorale destra, quella che è rivolta in alto, mentre la sini- stra è poggiata sul fondo). Il punto di appoggio, per riuscire a ritornare nella posizione normale ventrale, è dato sempre dalla coda, specialmente dalla sua radice. Dopo poco tempo fatta la lesione cerebellare, il Trygon, anche rimesso in posizione ventrale normale, ritorna con facilità, specialmente se si mette in senso verticale, nella posizione dorsale. Qualche volta, quando è in posizione dorsale sul fondo, rimane li, specialmente poggiato sulla pinna pettorale, che determina i movi menti di maneggio ed in questo caso muove naturalmente molto più la pinna pettorale che rimane libera. Ambedue però si muovono sincronamente (in Trygon 2, 48 volte al I’, quindi molto di meno di quando nuota). Però, quando l’animale va facendo tentativi per rialzarsi, non si muovono più sincronamente: bensì una molto più dell’altra e ciò si comprende bene, perchè, se si muovessero ambedue sincronamente, sarebbe impossibile ogni ritorno allo stato di posizione normale. Ed ho notato che, stando il Trygon in posizione dorsale, il movi- Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 331 mento delle pinne pettorali avviene specialmente dalla regione poste- riore verso l’anteriore. Ho notato pero che, specialmente dopo breve tempo che é stata eseguita l'operazione, il ritorno dalla posizione dorsale alla normale ventrale è assolutamente impossibile, quantunque si aiuti a far ciò, non solamente colle pinne pettorali, ma anche colla coda, specialmente colla sua radice. Quasi sempre però, con tutti i tentativi che va facendo per ritor- nare in posizione normale ventrale, non vi riesce affatto ed occorre mettervi il Trygon artificialmente. Nella posizione dorsale il Trygon rimane molto spesso poggiato su quella pinna pettorale che é piü valida. Molto spesso, specialmente nei primi giorni che è stata eseguita la lesione cerebellare, il Trygon può rimanere anche per lungo tempo in posizione dorsale. Cid si vede bene da che nella regione dorsale si fanno delle abrasioni più o meno profonde, in quel lato specialmente, dove la pinna pettorale è in maggiore movimento per fare ritornare il Trvgon in posizione normale, e nella regione dorsale anteriore del muso. Già nel giorno seguente all’operazione cerebellare, posto il Trygon in posizione dorsale, ritorna abbastanza celeremente in posizione ventrale. II, Trygon con ablazione completa del cervelletto. II. A. Posizione di riposo di Trygon con ablazione completa del cervelletto. Tutti i Trygon, operati di cervelletto totalmente, possono andare anche a riposare sul fondo con la regione ventrale. Nella posizione di riposo sul fondo, quando vi rimangono poggiati colla regione ventrale, questa può combaciare completamente colla superficie orizzontale, oppure no. Talvolta la pinna pettorale destra può rimanere sollevata, mentre la corrispondente di sinistra vi poggia completamente. sopra. E quest’ultima posizione si osserva specialmente, dopo che il Trygon ha compiuto continui movimenti di maneggio verso sinistra: andando al fondo del bacino, rimane quasi sempre poggiato sulla pinna pettorale sinistra. | 332 Osv. Polimanti, Tutti i Trygon, operati di ablazione completa de lcervelletto, pos- sono rimanere in posizione verticale addossati colla regione ventrale ad una parete del bacino. Piü specialmente é la pinna pettorale sinistra, quella che rimane poggiata sul fondo. In questo stato puó muovere anche coordinata- mente e sincronamente le pinne pettorali (in media 60 volte al 1°). Talvolta, stando poggiati sopra una parete verticale, possono compiere un movimento di natazione; quella servirebbe come di sostegno e di direttiva nel nuoto. Peró, stando sul fondo, presentano costantemente, specialmente nei primi tempi dopo l'operazione, uno stato opistotonico laterale e longitudinale (antero-posteriore) molto pronunciato. Questo speciale stato opistotonico può essere leggero o forte, a seconda che là pinna pettorale e la co- lonna vertebrale sono ripiegate in alto più o meno a semicerchio. Talvolta è talmente forte l’opi- x stotono, specialmente quando è com- binato l’antero-posteriore e il laterale, che gli estremi delle pinne pettorali quasi vengono a toccarsi sul dorso con la loro faccia ventrale (formano quasi come un nappo) (Fig. 12). Quando rimane sul fondo in stato opistotonico e fa tentativi per elevarsi, l’opistotono diventa molto più accentuato: però spesso questi conati al nuoto non riescono e l’animale resta fermo sul fondo. Se riesce però a nuotare, lo stato opistotonico sparisce quasi completamente. Quando il Trygon, che ha subìto l’ablazione completa del cervel- letto, è poggiato sul fondo colla regione ventrale, vi resta con questa solo in parte, perchè contemporaneamente si trova appunto in uno stato opistotonico, specialmente laterale, ed in questo stato fa quasi sempre dei leggeri movimenti colle pinne pettorali; quasi sicuramente sono conati per spiccare un movimento di natazione, che però non riesce ad espletare. Questi conati al movimento si compiono facilmente, sopratutto dopo vari giorni che è stata eseguita l’operazione, sino al periodo premortale. 7 Quando Trygon scerebellati stanno poggiati sul fondo colla regione EEE TE Ty MELI Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 333 ventrale, quasi costantemente stanno coll’estremo anteriore rivolto in alto (quindi l’animale anche in questo caso & in un leggero stato opistotonico). Oppure possono stare sul fondo in uno stato di empro- stotono laterale. Talvolta rimangono in questo stato opistotonico, anche poggiando colla regione ventrale contro un angolo del bacino, in modo che una pinna pettorale poggia sopra una parete e l’altra sopra un’altra parete (quasi sempre una verticale e l'altra, di fondo, orizzontale). Qualche volta difatti, specialmente quando il Trygon & per morire, lo stato opistotonico si combina con uno stato emprostotonico, in modo che l’animale, visto di profilo, assume la forma di una S. (Fig. 13). In genere l'opistotono va diminuendo, man mano che il Trygon si avvicina alla morte, mentre aumenta di molto l'emprostotono (non sempre però è così, perchè spesso è lo stato opistotonico che prevale). Talvolta possono rimanere poggiati sul fondo colla regione dorsale, però omolateralmente (se fanno movimenti di rotazione verso destra, è sul lato dorsale sinistro che sono poggiati). Difatti, da questa caratteristica posizione di angolo, fanno con- tinui tentativi per ritornare in posizione normale: in questa posizione le due pinne pettorali, guardate di profilo, assumono la forma di un S. Però è specialmente con l’aiuto della coda, che va a poggiarsi contro l'angolo del bacino, che ritornano nella posizione normale (occorrono in media 10°—15’, perchè un Trygon dalla posizione dorsale angolare ritorni in posizione ventrale sul fondo). Spesso, specialmente nelle ore notturne, quando cioè questi Ba- toidei hanno il periodo di maggiore attività motoria, rimangono colla regione dorsale addossati sul fondo anche per un tempo molto lungo, tanto che rimane più o meno lesionata tutta la regione dorsale, special- 334 | Osv. Polimanti, mente nella regione mediana. Forse vanno facendo tentativi per tornare in posizione normale, ma non vi riescono. Possono star fermi.anehe sul fondo in posizione ventrale e con- temporaneamente muovere la coda da ambedue 1 lati (secondo me questi sono veri e propri tentativi per iniziare un movimento, che però non puó venire cominciato). II. B. Inizio del movimento e del nuoto in Trygon con ablazione com- pleta cerebellare. Ho notato in Trygon con ablazione completa cerebellare che, quando deve iniziare un movimento, un nuoto, specialmente quando viene forzato a far ció (sia che si trovi sul fondo in posizione normale orizzontale, ovvero verticale contro un angolo del bacino), i primi movimenti di natazione che compie sono assolutamente incoordinati. L'ineoordinazione maggiore si vede appunto nelle pinne pettorali, le quali non si muovono a sinusoide coordinatamente e sincronamente, ma fanno un vero e proprio sbattimento. | Questa incoordinazione è specialmente manifesta in Trygon, i quali abbiano perduto completamente la vista per svuotamento dell’oc- chio, come vedremo meglio appresso. Spesso è all'inizio del nuoto che le pinne pettorali rimangono ‚sollevate molto in alto e non si abbassano che molto poco: il Trygon, visto di profilo, sta in opistotono laterale (questa di solito peró, in tale caso, é anche la posizione che aveva l'animale, quando posava sul fondo colla regione ventrale) (Fig. 12). III. C. Movimenti eseguiti da Trygon con ablazione completa del cervelletto. Talvolta possono rimanere sul fondo del bacino, sempre in uno Stesso punto, muovendo leggermente e sincronamente le pinne pettorali. Sono questi dei tentativi di nuoto e null’altro. Alcuni Trygon, quando sono sul fondo del bacino, fanno un nuoto- cammino, aiutandosi a far ciò colle pinne pettorali, che sono i due sostegni laterali, e colla coda che fa da sostegno posteriore. Anzi questa è una forma molto frequente di locomozione, che si avvera special- 3 | | | | | | Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 335 mente nel primo giorno, che & stata eseguita l’operazione, ed & appunto molto giovevole per la manutenzione dell’equilibrio dell’animale. Ho notato inoltre che questo nuoto deambulatorio & costantemente accompagnato da movimenti degli occhi, che possono ritenersi come compensatori. Questo rimaner sul fondo del bacino in posizione ventrale, sia allo stato di riposo completo, come anche talvolta muovendo le pinne pettorali, oppure facendo un tipo di nuoto-deambulazione, sta a di- mostrarci che tutti 1 Trygon, con ablazione completa del cervelletto, si trovano indubbiamente in uno stato di astenia più o meno accentuata. Specialmente dopo pochi giorni che è stata eseguita l’ablazione cerebellare, se il Trygon, nel suo nuoto, viene preso con le sue pinne pettorali fra due ostacoli, va facendo continui tentativi di sorpassarli per nuotare oltre, ma non vi riesce assolutamente. Occorre scostarlo di lì, mentre invece un Trygon normale li sorpassa bene e nuota oltre. Ciò può dipendere dalla minore forza che ha il Trygon operato, come conseguenza della astenia da mancanza del cervelletto. Talvolta anche basta che l’animale vada contro un angolo del bacino, perchè rimanga lì molto tempo e se ne allontani molto difficil- mente. In questi Trygon si osservano anche con molta frequenza dei movimenti di maneggio verso sinistra. L'animale con la pinna pettorale destra compie 48—54—60 movi- menti al l’, mentre colla pettorale sinistra ne fa 10-20-25, oppure questa rimane anche immobile. Facendo questi movimenti di maneggio può rimanere col corpo parallelo ai vari piani del bacino; orizzontale sul fondo stando im basso colla regione ventrale, oppure può stare anche in posizione tra- sversa, facendo un angolo più o meno acuto col fondo. Qualche volta, facendo questi movimenti di maneggio, rimane piegato sul lato sinistro ed in questo caso naturalmente l’intero animale resta in posizione più o meno trasversa.. Talvolta sfiorano anche il fondo coll’estremo della pinna pettorale sinistra. Questi movimenti di maneggio verso sinistra, per solito vengono eseguiti entro un grande cerchio. Talvolta però, specialmente se i movimenti si compiono con grande velocità, si eseguono entro piccolo 336 Osv. Polimanti, cerchio. I movimenti di maneggio verso sinistra alcune volte si avve- rano, perche mentre la pinna pettorale destra fa 5—6 movimenti, contemporaneamente la sinistra ne fa solamente 1. Quando specialmente questi movimenti di maneggio sono con- tinui e l'animale striscia facilmente contro le pareti, la pinna pettorale destra nella sua regione dorsale e cosi anche la coda (che & piegata colla punta verso sinistra) nella sua regione destra, à completamente in abrasione: invece del colorito grigio scuro si ha un colorito rossastro. Un segno anche della grande titubanza e della grande incertezza nei movimenti di Trygon, operati di ablazione completa di cervelletto, si é che, sia che compiano dei movimenti completamente normali, oppure che facciano dei movimenti di maneggio, si discostano di poco dal fondo del bacino. Forse è il controllo visivo che fa compiere ciò, cosi, nel caso di perdita di equilibrio, possono subito prendere fondo. Cid avviene specialmente nei primi giorni dopo eseguita l'opera- zione. Poi cominciano ad allontanarsi sempre più dal fondo del bacino ed a nuotare in tutti i piani. Un segno in voltre non solo di incoordinazione nei movimenti, ma anche della necessità di un punto di sostegno per i Trygon, operati di ablazione completa di cervelletto, si è che spesso si gettano coll’estremo anteriore contro un angolo e lì rimangono nuotando per un tempo lungo, poi ritornano a nuotare in modo normale, o sul fondo, ovvero in altre parti del bacino. I movimenti continui di maneggio verso sinistra avvengono, sia che lanimale stia in posizione normale colla regione dorsale, come anche si trovi in stato opistotonico, o leggero, o anche molto accentuato. Quando il Trygon compie questi continui movimenti di maneggio à Sinistra, quando riposa sul fondo rimane in uno stato pleurototonico sinistro ed anche la coda contemporaneamente é ripiegata verso sini- stra (Fig. 14). Qualche volta i movimenti di maneggio verso sinistra vengono compiuti dall'animale, mentre poggia contemporaneamente sul fondo il margine angolare della pinna pettorale sinistra: naturalmente vengono compiuti entro un piccolo cerchio, il centro del quale & dato appunto Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 337 dall'angolo della pinna pettorale sinistra; contemporaneamente la pinna pettorale destra compie 48—60 movimenti al l'. Questo tipo di movimenti viene compiuto sempre continuamente in modo incessante. Oppure i movimenti di maneggio verso sinistra possono essere compiuti anche in altra maniera: il Trygon sta in posizione trasversa rispetto al fondo del bacino, la pinna pettorale destra é molto in alto e la sinistra in basso. In questa maniera può durare anche lungo tempo a fare movimenti di maneggio (Fig. 9). Questi movimenti in fondo però sono un misto di movimento di maneggio verso sinistra, con contemporanea rotazione attor- no all’asse longitudinale verso destra. La risultante sarebbe appunto questo tipo di movi- mento, che si compie appunto in senso trasverso. Spesso da un movimento di maneggio verso sinistra, compiuto in senso orizzontale (ma più specialmente in questo caso in senso trasverso), si mette in senso perpendicolare (a se- conda del suo asse vertebrale) Fig. 14. al fondo del bacino e comincia | a fare dei movimenti di rotazione intorno al proprio asse verticale, costantemente verso destra (Fig. 15). Altri Trygon poi, fissandosi sulla radice della coda (i maschi sui testicoli) fanno continui movimenti di rotazione intorno al proprio asse verso destra. Questi movimenti si avverano stando in senso ver- ticale l'animale, oppure anche a spirale, sempre verso destra. Facendo questi continui movimenti di rotazione, possono cadere poggiati anche sul dorso e, solo dopo molti tentativi, troyandosi in questa posizione, ritornano in posizione verticale normale. Ho visto che il Trygon compie specialmente questi movimenti di rotazione quando, facendo un movimento relativamente normale, Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI. 22 338 . Osv. Polimanti, va contro un ostacolo, oppure va sotto lo strale che porta l'acqua di mare al bacino: dunque è uno stimolo tattile, che determina quasi sempre questi movimenti anormali. II. C. Sulla genesi de? movimenti di maneggio a sinistra. Rimane da spiegare, perché i Trygon, operati di cervelletto parzial- mente o totalmente, facciano unicamente e costantemente movimenti di maneggio verso sinistra. Credo dipenda ció da una asimmetria dell'animale. Se cosi non fosse, essendo stato asportato tutto il cervelletto, i movimenti di maneggio Fig. 13. dovrebbero avvenire da ambedue i lati. Avvenendo invece costante- Mente verso sinistra, sicuramente la metà destra (specialmente la pinna pettorale destra) nell'animale é molto piü valida della sinistra. Molto spesso, 1 0 2 giorni antecedentemente alla morte, l'animale si trova in stato astenico completo. Difatti, anche stimolato, non si muove affatto dal luogo, dove rimane inerte assolutamente conser- vando la posizione ventrale di riposo. . Oppure molto spesso comple solamente dei leggeri movimenti colle pinne pettorali e null'altro. Ciò significa che la sensibilità è sicuramente molto diminuita, altrimenti, dopo uno stimolo, dovrebbe dare almeno una piccola rea- zione motoria. Quando il Trygon è per morire, quasi sempre il giorno avanti Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 339 alla morte, é in uno stato di iperattività premortale e compie quasi di continuo movimenti di maneggio verso sinistra. x Questa iperattività è quasi sempre a tipo intermittente, con periodi più o meno lunghi di riposo, raramente è continua. E ciò è una conferma, di quanto io aveva già da tempo [79] posto in luce in tutti gli animali marini vertebrati ed invertebrati, cioè sul fenomeno dell’esibizionismo e sull’iperattività premortale, che si rendono special- mente manifesti in quelli animali che vivono nascosti nella sabbia, o fra le roccie e fuoriescono poco tempo prima della morte. II. D. Natazione eseguita da Trygon con ablazione completa del cervelletto. Appena eseguita l’operazione, rimessi nel bacino, questi Trygon con assenza completa del cervelletto, possono nuotare benissimo in tutti i sensi con movimento sincrono e coordinato delle pinne pet- torali, tanto che non si distinguono da un animale normale. Anche nei giorni seguenti possono nuotare benissimo, tanto che sembrano Trygon normali. L'unica anormalità, che presentano, si è che spesso coll'estremo anteriore fuoriescono dall’acqua e tentano forse di uscire dal bacino, nel quale sono contenuti. Dimostrano insomma una grande irre- quietezza. Il nuoto viene compiuto non di continuo ma intermit- tentemente: indubbiamente si trovano in uno stato di iperattività, dovuta certamente alla lesione cerebellare e specialmente dipendente da ipereccitabilità delle regioni cerebrali limitrofe. Alcuni Trygon invece, pur nuotando molto bene e coordinata- mente, rimangono contemporaneamente in uno stato opistotonico specialmente nella metà anteriore (sopratutto è l'estremo cefalico, quello che è rivolto molto in alto e indietro) (Fig. 16). Sicchè si avrebbe un nuoto normale coordinato da parte dei meccanismi che servono al movimento: l’animale però è in uno stato opistotonico, sopratutto dell'estremo anteriore. Questo stato opistotonico (laterale specialmente) si conserva, anche quando il Trygon va a poggiarsi sul fondo colla regione ven- trale. Contemporaneamente questi Trygon possono nuotare bene e 22% 340 Osv. Polimanti, coordinatamente in linea retta ed in senso orizzontale come un Trygon normale, muovendo completamente bene ambedue le pinne pettorali. Possono contemporaneamente anche nuotare di lato, stando pogsiati sulla pinna pettorale sinistra (la coda é sempre rivolta verso destra). L'estremo cefalico è costantemente sollevato verso l'alto. Trygon scerebellati sono capaci di compiere un nuoto regolare e coordinato, peró, appena nuotando incontrano ostacoli, oppure battono coll'estremo anteriore contro una parete verticale del bacino, il nuoto diventa subito irregolare. Quando spiccano il nuoto dalla posizione verticale o anche dalla posizione orizzontale sul fondo (piü raramente) questo & normale, 16. più veloce di quello che compia un Trygon non operato. Ritengo peró che sia un nuoto a scatti, oltre che per la maggiore velocità, anche perché batte con facilità coll’estremo anteriore contro le pareti del bacino, nel quale é contenuto. Ció significa che la distanza non viene bene calcolata; l’impulso al movimento che parte dal mesencefalo e dalla base del metencefalo è normale, ma alcuni meccanismi mancano alla sua espletazione normale e completa. Qualche volta nuotando, in senso orizzontale, si servono come guida (senso tattile) di una pinna pettorale che va strisciando sempre lungo una delle pareti verticali del bacino, dove é contenuto il Trygon. Dopo molti giorni che & stata eseguita in Trygon l'ablazione cerebellare, il movimento delle pinne pettorali puó essere completamente coordinato e normale. : Questi animali nuotano assolutamente come animali normali, che non abbiano subito lesione alcuna nel sistema nervoso centrale. Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 341 I Trygon, operati di ablazione completa del cervelletto, possono nuotare di continuo, anzi mostrare una vera e propria» iperattività, alla quale ho sopra anche accennato. La velocità del nuoto è di solito sempre molto forte, raramente i Trygon procedono lentamente. Una caratteristica poi di questo nuoto si è che i Trygon proce- dono a scatti (ciò dipende da grande ipereccitabilità dei centri nervosi): non si tratta insomma di un nuoto continuo. Contemporaneamente le pinne pettorali possono muoversi coordinatamente e sincronamente, oppure no: il movimento però di queste si avvera sempre in senso anteroposteriore, però più che un movimento sinusoide è un vero sbattimento. Nel nuoto battono con grande facilità contro le pareti del bacino; ciò è una conseguenza del nuoto a scatti e da che gli animali non sanno misurare bene la distanza che debbono percorrere. Però avviene talvolta che, anche quando il Trygon non nuota a scatti, ma abbastanza coordinatamente e lentamente, batte ugualmente con l’estremo anteriore contro le pareti verticali. Anche questa è quindi una prova di più che a Trygon senza cer- velletto manca il controllo per coordinare lo sforzo del nuoto con la distanza da percorrere. La iperattività motoria, specialmente nei primi giorni dopo ese- guita l’ablazione cerebellare, è talvolta tanto grande che spesso durano delle giornate intere a nuotare costantemente. Naturalmente, quando ciò avviene, il movimento delle pinne pettorali è prevalentemente uno sbattimento piuttosto che un movi- mento sinusoide. Questa iperattività motoria si esplica sia in un nuoto in senso orizzontale, quasi sempre però si presenta sotto forma di movimenti di maneggio continui irresistibili verso sinistra. Un'altra forma molto caratteristica di posizione nel nuoto è presen- tata da Trygon, operati di ablazione totale del cervelletto, e viene osser- vata specialmente, quando stanno alla superficie del bacino, e sembra anzi che contemporaneamente facciano dei ‘tentativi per uscirne (Fig. 17). La posizione trasversa longitudinale è quella, che presentano questi Trygon, i quali vanno nuotando in questa maniera. Le pinne pettorali contemporaneamente simuovono molto coordina- 342 Osv. Polimanti, tamente. Insomma è la stessa posizione che presenta un cervo volante, quando venga ad essere tirato contro vento. La coda si muove contemporaneamente sbattendo lateralmente. - Di solito peró il movimento che compiono in questa posizione éun poco lento rispetto a quello che fanno, quando nuotano in senso orizzontale, quando fanno movimento di maneggio, o stanno coll’ estre- mo anteriore contro un angolo del bacino. Fig. 17. III. Trygon con ablazione completa del cervelletto e accecati. Nel decorso di queste esperienze ho operato di ablazione completa del cervelletto anche un Trygon accecato (nelle manovre che erano state fatte su questo animale dai pescatori per condurlo vivo all'Aqua- rium, mettendo delle cordicelle che passavano traverso eli opercoli branchiali, strisciando quelle frequentemente sulle cornee di ambedue eli occhi, avevano subito una abrasione ed erano rimaste completa- mente opacate: nelle vasche dell'Aquarium ambedue eli occhi si Svuotarono completamente). Fu quindi interessante l'osservazione di quest'animale perché, unitamente alla mancanza completa del cervelletto, c'era la mancanza Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 343 completa del senso della vista, che è senza dubbio di grande controllo per la locomozione dell'animale. Ebbene questo Trygon, da me esaminato attentamente per molti giorni di seguito, non ha presentato nulla di maggiormente anormale, di quanto era stato visto sui Trygon a vista completamente integra e che avevano subìto la completa ablazione cerebellare. Inutile è quindi fare inutili ripetizioni e basta riandare a quanto é stato già visto in proposito. L'unico fenomeno, che presentava più spiccato degli altri Trygon, si era che, allorquando andava coll'estremo cefalico contro un angolo del bacino, oppure rimaneva compreso colle pinne pettorali fra due ostacoli, allora rimaneva fermo assolutamente in questo punto per un lungo periodo di tempo, anzi talvolta, se non si rimuoveva di là, vi sarebbe rimasto ancora per altro tempo. E ciò si spiega, pensando alla grande titubanza e alla difficoltà che sicuramente ha nel nuoto un animale al quale, oltre il controllo eerebellare, manca anche il controllo visivo. Presentava anche molto piü marcato l'opistotono laterale (con- seguenza forse del mancato controllo visivo). Di più, nel nuoto oriz- zontale o di maneggio che andava facendo, mancando il controllo visivo e non bastando forse il senso della linea laterale, specialmente quando i movimenti erano molto repentini e vivaci, batteva con molta maggiore facilità di un altro Trygon senza cervelletto, ma con senso visivo integro, contro le pareti verticali ed altri ostacoli che erano nel bacino. Quando invece il nuoto era meno veloce, allora batteva molto di meno con l’estremo anteriore contro gli ostacoli; da ciò si deduce che la mia supposizione è verä. Anche quando questo Trygon completamente cieco si trovava sul fondo nonin opistotono laterale con le pinne pettorali, tuttavia queste non combaciavano mai completamente col fondo, bensì i loro bordi stavano sempre leggermente elevati. La coda anche tocca in parte il fondo, quando l’animale è lì in posizione di riposo, ciò che in Trygon normale ed anche operato di cervelletto non avviene, perchè quasi sempre è elevata. Che il Trygon batta anche durante il periodo di maggiore attività 344 Osv. Polimanti, motoria che ha luogo durante la notte, molto frequentemente contro le pareti, specialmente, ed altri ostacoli che sono nel bacino, si deduce da che tutto il bordo dell’animale non è di colorito grigio normale, ma è completamente abraso (questo ha un colore biancastro-rossastro). Naturalmente la maggiore abrasione si nota nella superficie ventrale dell’angolo della pinna pettorale sinistra. À Un Trygon normale & capace di nuotare in tutte le parti del bacino, ma specialmente alla superficie o al fondo in senso orizzontale. Un Trygon, operato di cervelletto totalmente e cieco, nuota molto spesso sul fondo, muovendo sincronamente le pinne pettorali. Anzisi puó dire che un Trygon, che abbia subito una tale operazione, sta quasi sempre poco discosto dal fondo: forse fa ció, perché possa trovarne un appoggio, appena perde l'equilibrio. Gli organi della linea laterale, colla percezione della pressione, sostituiscono il senso della vista ed avvertono l’animale della vici- nanza di un ostacolo. Sta al fondo, specialmente quando nuota in senso orizzontale. Mentre invece, quando compie dei movimenti di maneggio verso sinistra (pinna pettorale destra 72 movimenti al 1’, pinna pettorale sinistra circa la metà al 1’), allora sta quasi sempre molto elevato dal fondo e quasi alla superficie del bacino. Una caratteristica di questi movimenti di maneggio verso sinistra è che si compiono, stando l’animale in senso orizzontale, oppure leg- germente piegato in senso trasverso verso sinistra. Inoltre questi movimenti di maneggio verso sinistra vengono sempre compiuti da Trygon ciechi, costantemente entro un piccolo cerchio e ciò, perchè mancando il controllo visivo, non possono essere compiuti entro un grande circolo, perchè la perdita dell’equilibrio avverrebbe molto facilmente. Talvolta si serve di guida, per fare questi movimenti di maneggio a sinistra, dell’angolo della pinna pettorale sinistra, perchè striscia sul fondo e la superficie ventrale di questa rimane più o meno com- pletamente abrasa, difatti non conserva più il colorito grigio, ma questo diviene bianco-rossastro. Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 345 IV. Sullo stato della respirazione in Trygon operato di cervelletto. Dopo Voperazione i movimenti respiratori delle branchie sono lievemente aumentati: (Trygon 2:T. acqua di mare 25° C.: prima dell’operazione R.55—60, dopo l'operazione R. 72—78—82—84). Aumenta specialmente la respirazione, quando l’animale va facendo movimenti di maneggio e sopratutto, quando vuol ritornare nella posizione normale ventrale dalla dorsale, nella quale puó trovarsi. Anche Trygon con ablazione completa cerebellare aumentano il numero delle respirazioni. (Trygon 3. T. dell’acqua di mare 259 C.: prima dell'operazione 50—55, dopo l'operazione 60—66—90); queste varia- zioni nella ritmica respiratoria dipendono sicuramente da variazioni nella eceitabilitä dei centri respiratori, che hanno la loro sede nel mielencefalo e che sicuramente vengono ad essere influenzati dalla lesione del metencefalo. V. Sullo stato delle sensazioni in Trygon operato di cervelletto. Una questione molto interessante ho voluto anche affrontare nello studio della funzione del cervelletto nei Trygon, qual'é appunto quella della presa dell'alimento. E ció era indispensabile di vedere, ‘perchè ricerche eseguite da anatomici (Johnston) [79] sul cervello dei selaci, riscontrano nel cervelletto di questi animali dei nuclei e delle vie di natura gustatoria. Ebbene, ho notato che Trygon, sia con ablazione totale o parziale del cervelletto, non prendono più alimento alcuno. E ciò si comprende bene, pensando appunto come colla operazione cerebellare vengonó ad essere lesi in tutto od in parte i nuclei e le vie gustatorie. Il senso della visione invece, in Trygon operati di cervelletto, è completamente integro. VI. Discussione ed analisi dei fenomeni motori presentati da Trygon operato di ablazione totale o parziale di cervelletto. Nel mio lavoro sulla fisiologia del sistema nervoso centrale dei Selacoidei [20], dissi che lo Scyllium, da me fatto oggetto di ricerca, non era l'animale piü adatto per fare ricerche fisiologiche sul cervel- 346 Osv. Polimanti, letto, essendo qui una regione relativamente atrofica. E non é difatti sopra una regione cerebrale cosi ridotta che possano farsi delle ricerche sulla sua funzione. Perció proposi che studi sul cervelletto fossero eseguiti nei Selaci (Batoidei), in Trygon, dato appunto l'enorme sviluppo del cervelletto. $4 In Scyllium osservai che, sia lesioni omolaterali come lesioni bilaterali del cervelletto, sono capaci di dare dei leggerissimi e pas- seggeri disturbi motori, alcuni dei quali dovuti in parte alle altera- zioni che si avverano consecutivamente all'atto operatorio nelle regioni cerebrali vicine. Il nuoto, in Scyllium che abbiano subito tali operazioni, non viene ad essere piü beneequilibrato e si nota una vera e spiccata deficienza motoria ed equilibratoria, difatti il nuoto non è così normale, come in uno Scyllium non operato. Ritenni anche che le operazioni combinate cerebellari con altre regioni o con nervi cerebrali, non erano un metodo molto buono per studiare le funzioni di una regione, perché non possiamo sapere a quali di queste regioni cerebrali, operate contemporaneamente, debbano ascriversi i feno- meni che si osservano nell'animale operato. Steiner, Loeb e Bethe che si occuparono della ablazione completa del cervelletto, notarono dei fenomeni di deficienza motoria (Ausfall- erscheinungen) da parte degli Scyllium operati. Steiner vide che il nuoto, dopo l'ablazione completa del cervelletto, in questi animali era pressoché normale. Fu il Bethe che ritenne appunto doversi stu- diare la funzione del cervelletto nei Selaci con operazioni contem- poranee in altre parti del cervello (contemiporaneamente alla estir- pazione cerebellare taglió uno od ambedue.gli acustici, ovvero fece anche l'emisezione del mielencefalo al di dietro dell'uscita del X) e notó solamente una differenza nella posizione delle pinne e null'altro. Per rendersi esattamente ragione dei fenomeni di deficienza mo- toria presentati dai vari Trygon, operati di ablazione parziale o totale del cervelletto, basta richiamare la costituzione anatomica di questa regione cerebrale. 3 Nei selaci il cervelletto è sostituito da un peduncolo che sorregge un corpo cerebellare. Il peduncolo è schiacciato fra i lobi ottici da un lato e la valvola cerebellare posteriore con le orecchiette rom- Ricerche sulla Fisiologia comparata ddl cervelletto. 347 boidali dall’altro. Il cervelletto poggia sopra una massa, ossia sui lobi ottici avanti e sulla tela mielencefalica coroidea indietro. Sterzi (27) ci ha dato uno schema molto esatto delle vie di connessione cerebellari nei selaci. Vi sono vie di connessione fra le varie parti dell’organo e vie che lo uniscono col resto del nevrasse. Le vie di connessione fra le varie parti dell'orrano sono formate: 1. da fibre che s’incrociano in parte nella linea mediana ponendo cosi in rapporto una metà del cervelletto coll'altra (fibre commessurali). 2. da fibre, che, come fibre arciformi, vanno nella base metence- falica; sono vie di connessione al resto del nevrasse: caudalmente col bulbo e col midollo spinale, rostralmente col mesencefalo e col diencefalo. Vie efferenti. I. Connessioni caudali. A. fascio cerebellare dorsale, che discende nella base metencefalica e da qui si porta nella regione più alta del cordone dorso-laterale del bulbo. B. fascio cerebellare ventrale, che ha cammino simile al precedente, ma si porta più in basso vicino al cordone ventrale. C. fibre cerebellari del fascicolo longitudinale (fascio cerebello- motorio crociato) e che terminano nei nuclei motori del bulbo e nelle colonne ventrali del midollo spinale. II. Connessioni frontali. A. via cerebello-mesencefalica (tractus cerebello-tegmentalis mesen- cephalicus) fatta dal: a) Tratto cerebello-mesencefalico crociato. b) Tratto cerebello-mesencefalico diretto. B. via cerebello-lobare (tractus cerebello-teementalis bulbaris) fatta dal: a) Tratto cerebello-lobare diretto (al nucleo di Deiters). b) Tratto cerebello-lobare crociato (ai nuclei basali). Questi due tratti vanno dal cervelletto ai lobi inferiori della regione subtalamica. | 348 Osv. Polimanti, Le due figure schematiche dello Sterzi (27) mostrano bene e chia- ramente i rapporti che corrono fra le varie connessioni motorie cere- bellari, sia nell’interno di questa regione cerebrale, come anche fron- talmente e caudalmente. | Resta facile, conoscendo la fine struttura motoria del cervelletto, rendersi conto ed illustrare i fenomeni motori notati in Trygon dopo l’ablazione parziale o totale del cervelletto. Perd occorre prima ren- dersi anche conto dei rapporti che, per mezzo delle vie di senso, il cervelletto prende colle altre regioni cerebrali e cogli organi di senso. Dallo schema riportato da Franz, apparisce manifesto che nei Selaci il cervelletto ha rapporti con vari organi di senso per mezzo di vie efferenti che a questo fanno capo. Vie efferenti se ne riscontrano varie nel cervelletto dei pesei: 1. Una via diretta formata da fibre che provengono dal Nervus lineae lateralis (e quasi sicuramente secondo me anche dal Nervus terminalis che fa parte, come abbiamo gia visto, del Systema lineae lateralis), che & il Nervo dell’organo di senso della linea laterale, in modo che il cervelletto viene ad essere considerato in parte come il nucleo terminale del suddetto nervo e del suddetto senso (Wallen- berg e Franz) [27] (Tractus laterali-cerebellaris). Vi sono poi delle numerose vie indirette, le quali non vanno diret- tamente dagli organi di senso periferici al cervelletto, bensi indiret- tamente, cioé dalle terminazioni centrali degli organi di senso. Queste vie inderette sono: 2. Tractus tecto-cerebellaris (Franz) (prima ritenuto come via efferente e chiamato "Tractus cerebello-mesencephalicus, cerebello- tectalis, ecc....) Proviene dal Mesencephalon; riguardo alla sua grandezza sta in rapporto diretto ed in proporzione collo sviluppo degli occhi e serve a segnalare al cervelletto le sensazioni ottiche. 3. Tractus vestibulo-cerebellaris: è una via indiretta e forse anche diretta acustico-vestibolare: sicuramente porta al cervelletto impressioni dell'apparato statico sensoriale e perciò è importante per la funzione statica del cervelletto. Riguardo allo sviluppo, questo tractus vestibulo-cerebellaris è in rapporto diretto con lo sviluppo dell’attività motoria del pesce. Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 349 4. Tractus tegmento-cerebellaris: è una via indiretta del Facialis (VII), che probabilmente porta al cervelletto impressioni chimiche (per il senso chimico). 5. Tractus diencephalo-cerebellaris (Wallenberg): chiamato an- tecedentemente Tractus cerebello-diencephalicus. Sembra che porti al cervelletto delle impressioni che partono dall’organo dell’odorato. 6. Tractus trigemino-cerebellaris: in alcune specie di pesci & molto manifesto, in altre invece è molto incerto. Sta in rapporto con i nervi della pelle del capo, che fanno parte del N. Trigeminus (V). 7. Tractus vago-cerebellaris: trovato in poche specie di pesci, va dal nucleo del N. Vagus (X) al cervelletto e sicuramente porta al cervelletto impressioni del nervi degli organi interni. 8. Tractus spino-cerebellaris: porta sensazioni dalle colonne sensitive del midollo spinale e quindi dalla pelle del corpo. Data questa ricchissima rete di fasci efferrenti che vanno al cer- velletto Franz ritenne (1911 p. 440) che il cervelletto fosse: „ein Uni- versalzentrum der verschiedensten Gebiete‘. Da questi schemi delle vie afferenti ed efferenti cerebellari si - conclude che il cervelletto dei pesci per vie dirette o indirette è in rapporto, sia con tutte le regioni del cervello e con tutti 1 nervi cranici, slano motori o sensitivi, come anche con il midollo spinale (parte motorla e sensitiva). Conosciuti dunque i rapporti motori e sensitivi del cervelletto dei Selaci, é facile mettere in relazione 1 fenomeni presentati dai vari Trygon operati di cervelletto con la costituzione anatomiea di questo e giungere così a conoscere la funzione di questa regione cerebrale. Durante il decorso di questo lavoro, nell'analisi minuta da me eseguita dei vari fatti osservati in questo Trygon, ho accennato alle possibili spiegazioni che si affacciano per rendersi ragione dei fenomeni anormali osservati. Qui si tratta ora di coordinare e sintetizzare e, dopo aver messo in rapporto e confrontato gli studi da me eseguiti sul cervelletto del Trygon, con quelli fatti da altri autori sul cervelletto dei pesci, concludere e giungere cosi alla cognizione della funzione del cervelletto in questi Batoidel. V. Franz [24], solamente in base a ricerche anatomiche, fece delle 350 Osv. Polimanti, deduzioni di ordine fisiologico ed avanzó cosi delle ipotesi sulla fun- zione del cervelletto nei pesci. Naturalmente questo metodo, del servirsi cioè delle cognizioni di anatomia macroscopica e micro- scopica di una data regione cerebrale per farne delle deduzioni sulla funzionalità di questa, non é scevro di errori e deve essere assoluta- mente abbandonato. Solo coll’esperimento fisiologico, basato sopra cognizioni anatomiche, noi possiamo conoscere esattamente la funzione di una data regione cerebrale. | Franz, dalle sue ricerche anatomiche sopra il cervelletto dei Te- leostei, giunge a questa conclusione fisiologica (1912 p. 454). „Das Kleinhirn reguliert effektorische Innervationen nach Maßgabe der verschiedensten Sinnesreize. Diese Tätigkeit tritt in den Vordergrund bei der Erhaltung des Gleichgewichts“. Ed il Franz nello stesso lavoro giunge anche ad un'altra conclusione, deducendola sempre dall'anatomia del cervelletto dei Telestoei: (1912 p.458). „Das Kleinhirn hat sich bei den Fischen über dem Acusticuskern, einem besonders wichtigen Sinnesapparat für das Wasserleben, zu einem hochgradig universellen herrschenden Zentral- organ entwickelt, in ähnlicher Weise, wie beim Übergange zum Land- leben die Entwicklung eines neuen derartigen Zentralorgans, des Palliums, über dem Riechzentrum erforderlich würde.“ Franz [25] poi, studiando il cervello dei Mormyridae, spiega l'enorme sviluppo che prende in questi il cervelletto, con l'associazione che farebbero questi pesci in questa regione cerebrale delle impressioni che si trasmettono lungo il faciale e che sono forse chemorecezioni. Sarebbe infine anche in rapporto colle scariche elettriche, che sono capaci di dare questi animali. Dando un sguardo alla sintomatologia motoria, presentata dai vari Trygon operati di ablazione cerebellare parziale o totale, e mettendo questa in rapporto con la fine struttura del cervelletto del pesci, la quale appunto ei dimostra come, sia dal lato motorio che sensitivo, sia talmente ricca che non vi é organo di senso, non apparecchio mu- scolare, ovvero regione motoria o sensoriale del cervello che non abbia rapporti col cervelletto, si pensa subito che questa regione cerebrale serva appunto alla ,,Orientazione‘. Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 351 Rimane abbastanza facile riassumere le posizioni anormali prese da Trygon con ablazione totale o parziale del cervelletto, sia allo stato di riposo completo, come anche all'inizio e durante un movi- mento qualunque, ovvero una natazione. Allo stato di riposo il Trygon, che abbia subito tali operazioni, non combacia che molto raramente, colla superficie ventrale, col fondo. Prevale quasi sempre, come abbiamo visto molto partitamente nella descrizione della sintomatologia presentata da questi animali, lo stato emprostotonico (laterale, ovvero anteroposteriore) e lo stato opistotonico ventrale, ovvero anteroposteriore; talvolta puó l'animale trovarsi in uno stato opistotonico-emprostotonico con prevalenza dell'uno o dell'altro. | Anche che questi stati anormali talvolta non siano molto netti, puó il Trygon tenere piu o meno elevate (anche non simmetricamente) le pinne pettorali, oppure, contemporaneamente o no, tenere sollevato l'estremo anteriore, ovvero anche la coda. Posti col dorso sul fondo, con molto difficoltà ritornano nella posizione ventrale normale (de- ficienza del riflesso di rotolamento [Umdrehreflex] ). Questa grande difficoltà in Trygon, con lesioni cerebellari, di ritornare in posizione normale, quando stiano sul dorso, si avvera anche quando causalmente assumono questa posizione. Difatti si ritrovano spesso questi animali con lesioni piu o meno profonde della superficie dorsale, dovute appunto ai conati di ritornare in posizione ventrale normale. Si noti inoltre che questi animali non sempre poggiano sul fondo colla superficie ventrale, ma spesso si adagiano con questa sopra una parete verticale. Per quanto riguarda poi il movimento, questo puó aver luogo in tutte le direzioni (orizzontale, trasversa ecc.) peró le pinne pettorali non eompiono un movimento regolare sinusoide, bensi un vero e pro- prio sbattimento. Il nuoto poi in questi casi si avvera quasi sempre stando l'animale lungo la piccola parete (il controllo visivo e tattile, specialmente in questo caso, è molto più facile). Rimane difficile a questi Trygon, con ablazione parziale o totale del cervelletto, di ini- 352 Osv. Polimanti, ziare una natazione, od anche d’interromperla. Il nuoto poi non & continuo, ma quasi sempre avviene a scatti. | La guida al nuoto viene spesso fatta dalla coda, che va strisciando sul fondo, oppure da una pinna pettorale che va toccando lungo una parete. La velocità del nuoto è molto limitata. Talvolta, stando il Trygon sul fondo, muove molto lievemente le pinne pettorali, pur rimanendo sempre nello stesso punto (sono forse conati per iniziare una natazione). Oppure talvolta compie, stando sul fondo, una forma tutta speciale di cammino-nuoto, servendosi delle pinne pettorali e della radice della coda come di veri e propri arti, di veri punti d'ap- poggio per la progressione. Durante il nuoto possono contempora- neamente rimanere, in modo piü o meno accentuato, le posizioni di opistotono e di emprostotono. Questi animali si trovano indubbia- mente, specialmente poi nei primi giorni dopo l'operazione, in uno stato di vera e propria iperattività che puó dipendere o dalla man- canza totale o parziale del cervelletto, come anche da uno stato di irritazione delle regioni cerebrali vicine per la lesione che è stata fatta. Oppure 1 Trygon compiono con molta facilità movimenti di ro- tazione intorno al proprio asse (specialmente verso destra), oppure molto piü spesso movimenti di maneggio, talora irresistibili (quasi sempre verso sinistra). Tutti questi fenomeni di deficienza motoria piu o meno pro- fonda, consecutivi naturalmente a lesioni della sfera sensoriale, si rendono molto più manifesti e molto piu accentuati, quando il Trygon, oltre la lesione cerebellare, sia stato anche accecato. In questo caso ja guida al nuoto, di qualunque forma sia, viene sempre data dalla coda che striscia sul fondo. Oppure quasi sempre rimane fermo contro un angolo del baeino. Posto in posizione dorsale, con grave difficoltà ritorna in posizione ventrale. Per quanto riguarda la presa degli alimenti, questa & assoluta- mente abolita, ció che sta ad indicarci che esiste una lesione nel senso chimico di questi animali, appunto per l'operazione cerebellare. L’au- mento delle respirazioni, dopo la subita operazione cerebellare, si spiega pensando come i centri respiratori del mielencefalo vengono [ Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. DO ad essere eccitati, data la loro vicinanza con la regione cerebellare asportata o lesa piu o meno profondamente. Mettendo ora in rapporto quanto noi sappiamo sulla fine costi- tuzione anatomica del cervelletto di questi pesci con 1 sintomi presen- tati dai vari Trygon con ablazione completa o parziale cerebellare, si pensa subito che questa regione del cervello abbia una parte molto importante nella „‚orientazione“. Difatti il cervelletto di questi pesci, sia per via motoria come anche per via sensitiva, 6 in rapporto con tutte le altre regioni cerebrali e quindi con la innervazione motoria- sensoriale di tutto il corpo. E cosi, oltre che con la sfera motoria, nei pesci il cervelletto è in rapporto con il senso uditivo (secondo Pieper si puó parlare anche di questo senso [9] nei pesci) col senso statico-labi- rintico, col senso tattile (intimamente legato col senso muscolare), col senso della linea laterale (Nervo della linea laterale e Nervo ter- minale), col senso chimico (gustatorio ed olfattorio), finalmente in alcuni pesci (elettrici: Torpedo, Sylurus, Mormyrus) col senso elet- trico e forse con quel senso designato da Edinger col nome di senso orale, in rapporto alle impressioni del N. VII e del V. Nei pesci natu- ralmente i sensi piü importanti sono lo statico-labirintico, il tattile, quello della linea laterale, il senso chimico. Biologicamente ora sap- piamo di quale grande importanza siano le impressioni, gli stimoli che partono dagli organi di senso per la orientazione. Dal complesso di questi impulsi centripeti, unitamente al sistema cerebrale subcorti- cale (fatti di memoria) (specialmente del Mesencephalon che nei pesci ha un'enorme importanza, come ho potuto mettere chiaramente in luce io) il cervelletto può presiedere alla orientazione e quindi alla posizione nello spazio, al movimento e alla direzione di questo in tutti 1 sensi. La orientazione dell’organismo & strettamente unita appunto alla completa integrità del fattore sensoriale. Ogni organo di senso ha il suo campo di azione per l’orientazione, così noi possiamo parlare di una chemo-orientazione, di una orientazione labirintica e così via per quanti sono gli organi di senso. Ben si comprende quindi, come andando ad asportare in tutto od in parte un organo, così intimamente | legato colla sfera sensoriale e motoria, come il cervelletto, la orientazione Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI. 23 354 Osv. Polimanti, si renda immediatamente deficiente. Il cervelletto nei pesci deve essere considerato come un sintonizzatore, un correlatore, un coordi- natore di tutti gli stimoli sensoriali e di tutti gli impulsi motori e (insieme col Mesencephalon) deve essere appunto considerato come il supremo regolatore della orientazione. In fondo il cervelletto di questi Batoidei puó ritenersi come un centro generale per la orientazione dell'animale. Naturalmente poi, andando a ledere le varie regioni di questo organo, si potrebbe tentare anche di farne uno studio delle localiz- zazioni funzionali, come é stato gia fatto pel cervelletto dei verte- brati superiori e stabilire cosi 1 vari campi di orientazione, a seconda delle lesioni portate nelle varie regioni cerebellari, dove finisse un determinato fascio sensitivo e dove ha origine un fascio motorio. ‘Forse non in altri animali, come appunto nei pesci, il cervelletto ha cosi molteplici rapporti con tutti gli organi di senso e con le varie sfere motorie. Appunto perche l'orientazione negli animali acquatici richiede degli apparecchi sensoriali-motori molto più raffinati e svi- luppati che non negli animali terrestri. E negli stessi pesci il cervel- - letto assume uno sviluppo maggiore o minore, a seconda dei loro vari | ‚Habitat: piü sviluppato nei pesci nettonici e molto meno nei ben- tonici, appunto perché i primi sono ottimi nuotatori; piu sviluppato infine in quei pesci che abbiano almeno un organo di senso (elettrico : àd es.) od un nervo (faciale ad es.) molto piü sviluppati. Naturalmente, | per meglio comprendere ciò, dobbiamo partire non da un punto di | vista antropomorfico, bensì da uno più generale, quale è appunto | quello biologico. Occorre insomma generalizzare e non specializ- zare per comprendere completamente questi fatti e rendersi ra- gione del significato da dare all'orientazione nel senso’ da noi enunciato. i Non solo nel cervello, ma anche nel cervelletto dei pesci noi dob- biamo trovare l’origine di sensazioni orientate, così anche di spinte al movimento, orientate e quindi coordinate. Le manifestazioni esterne dell'andamento della orientazione e della sua essenza sono i fenomeni . del movimento, le manifestazioni volontarie. Alle modificazioni che | subiscono questi movimenti rivolge il fisiologo la sua attenzione per | Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 355 potersi rendere ragione della entita del processo di orientazione. Da cid si deduce quindi che alterazioni, variazioni che influenzano le varie vie di senso centralmente portano sicuramente a fenomeni di defi- cienza. I quali sono tanto piu forti ed accentuati in proporzione all’im- ‘portanza del sistema sensoriale che» viene ad essere leso. Possiamo ad ogni modo nella deficienza motoria avere una misura delle modi- ficazioni avvenute nei fatti biologici dell’orientazione. Abbiamo visto difatti, come l’ablazione totale del cervelletto, quindi la distru- zione completa delle vie nervose sensitive, che fanno capo al cervelletto (come anche delle vie motorie), porti costantemente con sè delle alte- razioni motorie, molto più gravi di quando la lesione cerebellare è limitata. Necessariamente manca all’animale scerebellato in tutto od in parte (a seconda dell’entità della lesione portata), la vera e pro- ‘pria rappresentazione dei movimenti, questione questa che rientra, come si vede, nel campo della psicologia. Cosa facile è ora dedurre, come il cervelletto in Trygon, data la sua "costituzione anatomica, come anche la sua funzionalità, spieghi una grande influenza sul tono e sui fenomeni di inibizione e di dinamogenia. -Sono specialmente le vie corticofugali cerebellari, deputate a queste funzioni, naturalmente coll’ausilio delle vie corticopetali cerebellari. Abbiamo visto, come tutto il sistema muscolare di Trygon scerebel- lati, totalmente o parzialmente, presenta una notevole diminuzione, o mancanza di tono. Questi animali difatti, 0 rimangono inerti un tempo più o meno lungo, oppure, appena tentano di nuotare, non solo fan- no ciò in modo anormale, ma ricadono con molto facilità sul fondo del bacino, dove si trovano. Ciò che naturalmente viene ad essere profon- damente leso od anche abolito è appunto lo ,,Statotono' per ado- perare una parola giustamente modellata da Edinger [24]. Insomma è quello stato tutto speciale della tensione muscolare che viene determinata dai muscoli, colle rispettive articolazioni, e nei pesci subisce una variazione specialmente per opera del labirinto (N. VIII), del N. della linea laterale, del senso tattile, del senso visivo, del senso chimico, del senso elettrico, in quei pesci che lo hanno; in- somma da quel complesso sensoriale che ha una importanza così grande in questi animali. 356 Osv. Polimanti, Dunque il cervelletto puö essere considerato, come quell’organo che .nel sistema nervoso centrale di tutti gli animali abbia la maggiore influenza sul ,,Tono muscolare‘. E ciò dipende appunto dalla ricchezza in fibre sensoriali e motorie che si ha appunto nel cervelletto dei pesci, come spesse volte abbiamo visto e ripetuto nel decorso di questo la- voro. Abbiamo visto, come l’ablazione della parte frontale del cervel- letto renda ugualmente molto incerti e deboli tutti i movimenti e la natazione compiuta del Trygon: ciò sta dunque a dimostrarci che questa regione cerebellare ha una netta influenza rafforzatrice sopra i movimenti compiuti dalle pinne pettorali specialmente, e che sono appunto quelle che determinano i movimenti. Sicché, fino ad un certo punto, anche in Trygon si può fare un tentativo di localizzazione cerebellare. Naturalmente poi, venendo ad essere aboliti, tutti o in parte, i rapporti anatomici centripeti che corrono fra muscoli e arti- colazioni con il cervelletto, le quali vie centripete, spinocerebellari, decorrono specialmente nelle regioni posteriori del midollo spinale, vie che nei vertebrati superiori servono al senso muscolare, con- temporaneamente alla poca sicurezza di tutti i movimenti si ha anche la perdita della percezione netta e completa dell’orienta- zione. Contemporaneamente anche le altre vie centripete sensoriali vengono ad essere più o meno lese nei loro rapporti e concorrono anche loro alla perdita della orientazione di questi pesci. Dalla descrizione minuta dei sintomi presentati da questi Trygon con ablazione completa o parziale cerebellare abbiamo visto come tutti i movimenti si compiano lentamente, quasi sempre allo stato di tentativi di movimento e come fossero inibiti; si ha quello che in termine tecnico si chiama ,,Achinesia". E, se noi mettiamo ciò in rapporto collo stato di rigidità presen- tata dall'animale nei primi giorni dell'ablazione cerebellare e che ha molti punti di contatto col quadro della ,,decerebrate rigidity’ dello Sherrington, si deveritenere che dal cervelletto partano continuamente impulsi dinamogenici ed inibitori che regolano tutti i movimenti dell'animale. In questo primo contributo di fisiologia comparata del cervelletto Ricerche sulla Fisiologia comparata del cervelletto. 357 non ho fatto che esporre, quanto da me è stato visto in Trygon operati in questa regione del sistema nervoso centrale e trarre delle conclu- sioni sulla funzione di quest'organo. Negli studi ulteriori, che andrò pubblicando su questo argomento, mi occuperó di passare in rassegna gli studi eseguiti in proposito da altri osservatori, specialmente negli animali superiori, per vedere di giungere così alla esposizione della funzione del cervelletto nella serie animale. 10. IL 12. 13. 14. Bibliografia. 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Ciclostomi, Padova 1907. II. Selacii. Padova 1909. : Clinica dermatologica della R. Universita di Modena (Direttore Prof. P. Colombini). Della corneificazioni dell’unghia. Per il Dott. Leonardo Martinotti, Aiuto e Priv. Docente. (Con Tav. X.) In una serie di ricerche da me intraprese sul processo di cornei- ficazione normale della cute umana, ho potuto, col sussidio di nuovi metodi da me preconizzati portare a questi studi un contributo che riflette tanto il campo dell’istologia quanto quello della fisiologia. Ho dato altrove le comunicazioni preventive di questi studi); appli- cando ora gli stessi metodi all’unghia umana, ho potuto riscontrare fatti che ritengo degni di nota e che riferirò in questo mio lavoro. Se nell’accingersi a studiare il processo di corneificazione dell'unghia si passano in rassegna i vari lavori pubblicati sull'argomento, ci si accorge subito che pur essendo la conoscenza generale di quest’organo nota nelle sue linee fondamentali, vi sono tuttavia, notevoli disparità di opinioni per quanto riguarda la sua intima struttura. Per brevità io non starò a riferire nè far la critica di questi lavori, ma mi limiterò a ricordare man mano che si presenterà l'occasione, le più importanti questioni tuttora in discussione. I metodi proposti dagli altri autori per lo studio dell'unghia sono poco numerosi, e, per esperienza mia, posso aggiungere di non grande utilità. 1) Soc. medica di Modena 21 giugno 1913; e XV Riun. delle Soc. Ital. di dermatologia; Roma 19 dicembre 1913. Anat. Anzeiger, 1914. Il lavoro in esteso compare nell’Archiv. f. Zellforschung. 360 Leonardo Martinotti, Difatti i metodi di Heller e Echeverria non servono a differen- ziare le varie parti costituenti. Guldberg provö numerosi colori anilina e fece rilevare il fatto che la permanenza prolungata in acido cromico o in bicromato di K, tinge in bruno cupo le unghie. Anche Zander provó numerosi colori, e raecomandó sopratutto la fucsina acida, seguendo la tecnica indicata da Weigert per il sistema nervoso e applicata da Michelson alla cute. * 5 LS La tecnica adottata corrisponde in massima a quella da me usata per lo studio della cute in genere, e i metodi di colorazione sono gli stessi. Il miglior fissativo é il formolo. j Per sezionare l'unghia, non v'ha metodo che ugguagli quello al congelamento coll'anidride carbonica; tutti i mezzi d'inclusione sono indiscutibilmente inferiori. Come materiale é necessario scegliere unghie di persone giovani che sono meglio sezionabili e conservano piü tipici i loro caratteri citologici. Data la intima connessione col periostio si rende il piü delle volte necessaria una decalcificazione. In tal caso il decalcificante che meno altera le parti é l’acido nitrico; si usa al 5°/, con il 20?/, di formolo; si prova di quando in quando il progredire del processo decaleificante infiggendo uno spillo nell'osso, e appena il processo è compiuto (ciò che accade in 24— 36 h. al massimo); si passa il dito, senza lavarlo, in soluzione di solfato di soda o di allume al 5°, (eventualmente addizionato alla soluzione di formolo al 10°/,), cam- biando ogni 2—3 ore il liquido nelle prime 12 ore, e ogni 12 ore nei 3—4 giorni successivi, Si conserva in formolo al 4°/,. Se l'unghia appartiene ad un individuo giovane si può evitare la decalcificazione e allora è tanto di guadagnato. A tal uopo si tien fermo il dito fresco o già fissato in formolo, coll’unghia rivolta in basso; si asportano le parti molli della metà flessoria del dito e si giunge cosi all'osso. Con una pinza uncinata si afferra l'estremità distale dell'ultima falange mentre contemporaneamente col bisturi si Della corneificazione dell’unghia. 361 scolla l'osso dalle parti mollicircostanti, e si giunge cosi ad isolarlo; si cerca di danneggiare il meno possibile l'estremo lembo della matrice che è in connessione col periostio, e si riesce in tal maniera ad isolar bene l'unghia. ; Sia che abbia subito o no la decalcificazione, l’organo ungueale viene con un bisturi o un rasoio ben affilato tagliato in minuti pez- zetti a facce parallele seguendo la direzione sagittale o trasversale a seconda che si vogliono fare sezioni nell'uno o nell'altro senso, Le sezioni si fanno come ho detto al congelatore, si colorano coi metodi indicati negli altri lavori!) e che qui non riferisco per brevità. Due parti principali dobbiamo distinguere nell’organo ungueale; la parte di sostegno e di nutrizione e la parte cornea o unghia propriamente detta 0 lamina o lembo ungueale. a) L'organo di sostegno è formato da varie porzioni. Il letto ungueale, o corion o derma sottoungueale, costituisce il tessuto sul quale l'unghia riposa. Vi si distingue una zona anteriore, rosea (letto pr. detto) e una posteriore biancastra, che corrisponde alla lunula (matrice). Esso rimonta fino all’inserzione tendinea del- l'estensore delle dita, sulla falangetta sul cui periostio si innesta ed aderisce. Presenta una quantità di creste (creste d? Henle), che par- tono tutte da un polo comune, e poi si allontanano l'una dall'altra, a guisa di tanti meridiani, in modo che quelle di mezzo scendono vertical- mente seguendo l'asse del dito, quelle laterali si allontanano e si in- curvano a destra e a sinistra formando un arco di cerchio che è tanto più considerevole quanto più esse sono estreme; dopo esse si raddriz- zano e divengono parallele. Nel punto in cui il derma sottoungueale passa sotto al margine libero dell'unghia e si continua colla cute del polpastrello del dito, forma una specie di ripiegatura che è detta zpomichio. Il vallo ungueale costituisce nel suo complesso quell'infossamento della cute che avvolge e racchiude i margini laterali e prossimali del lembo ungueale. 1) Vedi nota in principio. 362 Leonardo Martinotti, In corrispondenza della radice esso forma una ripiegatura che si protende a ricoprire in parte la lunula a questo livello visto in sezione appare come un triangolo il cui apice è rivolto verso il corpo dell'unghia. | | Agli orli laterali dell'unghia questo triangolo è egualmente mani- festo ma tanto meno alto quanto più ci si avvicina all’estremità del dito, e all’apice è smusso. | Questa ripiegatura sopraungueale rappresenta l'avanzo dell'epo- nichio, che in una data epoca della vita fetale ricopriva tutto il corpo dell’unghia, e molti autori le conservano il nome. Nella parte piü protesa verso l'unghia forma una lamella, Pepidermicola sopraungueale, che viene dai sui asportata nei trattamenti cosmetici. L'angolo diedro costituito dall'infossamento rientrante circoscritto dell'unione del derma sottoungueale col vallo e che si osserva tutt’in- torno in corrispondenza dei margini e della radice, costituisce la docciatura 0 soleo ungueale. B) Il corpo dell'unghia, o unghia pr. detta o lembo ungueale o lamina ungueale, è una lamina, che nella massima parte delle unghie e ricurva pill o meno accentuatamente tanto in senso trasversale quanto (ma leggermente) in senso longitudinale, colla concavità rivolta verso la falange. Si distingue in essa: 1 1. Un’estremità prossimale o radice, molle e flessibile nascosta sotto alla ripiegaturasopra ungueale, fortemente saldata ai tessuti sottostanti, terminata a punta affilata, con un margine (margo occultus). 2. Un corpo, due o tre volte più lungo della radice, che si estende dalla radice fino al solco sottoungueale. i La faccia superficiale di esso è convessa trasversalmente, rosea per quasi tutta la sua estensione, all’infuori di una piccola zona semi- lunare situata alla radice, a direzione trasversale, di colorito bianco, la lunula, sopratutto sviluppata sul pollice, spesso mancante nell’auricolare. Si osservano inoltre strie longitudinali parallele, più o meno appa- riscenti, ma costanti. La faccia profonda, o aderente, è leggermente concava, od anche piana e presenta un sistema di creste e solchi longitudinali che si Della corneificazione dell'unghia. 363 modellano sui solchi e creste del tessuto sottostante. Lateralmente esistono due margini, il cui spessore va aumentando mentre si affondano in seno alla cute la quale forma un solco (soleo ungueale) per riceverli. 3. L’estremita distale o margine libero è di un colorito bianco erigiastro e rappresenta il prodotto ultimo del continuo accrescimento ungueale. Il corpo dell’unghia presenta spesso delle macchiette biancastre, variabili di grandezza, di numero e di forma; dette flores ungueum. Talvolta, in seguito quasi sempre ad un fatto traumatico, tutto il lembo ungueale è bianco. Il colorito dell’unghia varia moltissimo in relazione alle professioni, così pure lo spessore, i caratteri del margine libero, ecc. Istologicamente le varie parti ricordate mostrano coi nuovi metodi da me preconizzati la seguente costituzione. a) Il derma sottoungueale è costituito da un connettivo fibroso ricco di elastina (Sperino), privo di formazioni glandolari, che forma delle papille corrispondenti alle creste di Henle. La struttura del connettivo del derma ungueale può presentare variazioni secondo Branca, giacchè talvolta sarebbe fatto di fasci fibrosi ascendenti, tal’altra sarebbe ricco di vasi, nervi e adipe pro- fondamente e più superficialmente di connettivo, finalmente potrebbe aversi del connettivo giovane superficialmente e più in basso del tessuto fibroso. Al di sopra di questo si descrive dagli autori una membrana basale, analoga a quella descritta per la cute, che separa il connettivo dall’epidermide. A parer mio essa è una pura parvenza; su sezioni trasversali ho potuto difatti vedere, tipici quanto mai i rapporti che ho descritto tra derma ed epidermide (v. Funzione fibrillare del Malpighiano — Archiv für Zellforschung XII, 457)... B) Se si segue ordinatamente l'epidermide dell'organo di sostegno ungueale, cominciando dalla porzione eponichiale e terminando allipo- nichio, si trovano le seguenti strutture. Il mantello sopra ungueale, ha la struttura della cute normale: 364 Leonardo Martinotti, la parte piü estrema di esso, cioé l’epidermicola eponichiale & fonda- mentalmente costituita da una ripiegatura cutanea caratterizzata da un ricco strato cheratinico a tipo in prevalenza filamentoso frammisto nella pagina inferiore a numerosi elementi eleidinici. Passata la ripiegatura e andando verso la radice, il corpo Malpighiano si assot- tiglia notevolissimamente e non presenta piü che rare e ampie ondu- lazioni al posto degli zaffi interpapillari. Il lucido é sempre ben evidente e il cheratinico pure; ma quest’ultimo, giunto quasi in prossi- mita dell’angolo formato colla porzione radicolare del lembo ungueale, comincia a scemare finché scompare e le cellule eleidiniche prendono il suo posto. Nell’estremo lembo della matrice l'epidermide si ad- dentra, circondata da una zona di connettivo che finisce poi per sal- darsi al periostio; ha allora i caratteri di epitelio giovane con produ- zione fibrillare scarsa od anche mancante. Nel passare sotto alla lamina ungueale l’epidermide cambia aspetto: a livello della matrice dell’unghia mostra grande abbondanza di cellule, per lo più provvedute di nuclei normali, le quali danno tutte le reazioni cromatiche dell'eleidina?). Esse si obliquano verso la parte distale dell’unghia e finiscono poi per continuarsi cogli elementi propri della lamina ungueale. La trasformazione degli elementi del corpo Malpighiano in cellule eleidiniche nucleate è qui oltremodo evidente. Andando pit avanti, e per tutta l’estensione del letto ungueale, si possono prendere in considerazione due strati. Quello profondo su sezioni longitudinali si mostra formato da un numero grandissimo di cellule con nuclei ovali, discretamente provve- duti di cromatina, che hanno una direzione obliqua verso l'alto e dal- lapice verso la radice. Non si puó distinguere il piü delle volte un limite netto tra luno e l'altro corpo cellulare: tutti i nuclei sembrano immersi come in una massa omogenea uniforme, nella quale coi metodi della colo- razione delle fibrille possono rilevarsi sottili filamenti quasi rettilinei, disposti nella stessa direzione dei colonnati cellulari. Alcuni di essi 1) Ho chiamato questo fatto paraeleidosi normale, per distinguerlo da ciò che avviene di regola, in cui le cellule eleidiniche hanno perduto il loro nucleo. Della corneificazione dell’unghia. 365 hanno una grossolana forma di bastoneini. Allinfuori di queste formazioni, che sono alquanto diverse dalle vere tipiche fibrille del- lepidermide palmare e plantare, non si osserva ordinariamente aleuna traccia di cheratoialina o di qualsiasi altra produzione endocellulare!). Questi strati più profondi, che corrispondono al corpo germina- tivo, formano dei colonnati analoghi agli zaffi interpapillari che si approfondano nel derma e che sono diretti dal basso verso l'alto e dall'estremità distale del dito verso quella prossimale. Le fibrille invece sono dirette in senso quasi verticale. I colonnati e le fibrille sono tanto piü sviluppati quanto piü l'unghia é giovane. Su sezioni trasversali le papille sono alte e regolari; in esse si possono vedere evidentissimi i rapporti fra derma ed epidermide descritti più in alto. Facilmente si possono vedere delle perle, molte delle quali sem- brano immerse in pieno connettivo, formate da elementi lamellari a bulbo di cipolla, e che ricordano le formazioni caratteristiche del cancroide. Esse furono vedute, come è noto, da Kölliker. Lo strato più superficiale, è costituito da elementi nucleati di as- petto chiaro, quasi omogeneo nei quali si osserva il manifestarsi della membrana cellulare. Dopo questo si entra in maniera brusca e simultanea per tutta la sezione, nel tessuto lucido vero e proprio, che rappresenta la zona di transizione fra l'epidermide e la lamina ungueale. Esso è caratterizzato da cellule che improvvisamente si colorano in maniera diffusa con vario grado d’intensità colle sostanze coloranti dell’eleidina o degli strati limitanti; così pure la membrana cellulare. I contorni appaiono arcuati verso il letto ungueale, e le cellule stesse dànno nel loro aspetto complessivo l'impressione di elementi rigonfi. Questa zona e strettissima, ridotta a due o tre serie di elementi; da essa immediatamente si passa al tessuto proprio ungueale colle sue strutture caratteristiche. Si puó veder bene tutto ció sopratutto in unghie che non hanno 1) Va notato che è necessario fare lo studio delle fibrille su sezioni non. sottoposte a decalcificanti che le alterano. 366 . Leonardo Martinotti, ^ ' subito l’azione dei reattivi decalcificanti. Il protoplasma di queste cellule si colora colla Rodamin B, col Victoriaviolett, col Violetto ‘ametista. Invece col metodo Indazina-Echtroth si colora con quest'ultimo; . col metodo Eosina-Aurantia-Indulina assume l’eosina; con quello Acridin- roth-Cyanin-Picrato di NH, passa gradatamente dal giallo, all’azzurro, al rosso. Da queste differenti reazioni riesce malagevole lo stabilire se si tratti di sostanza eleidinogena o eleidinica (si ha un fatto analogo anche nel. pelo). L’epidermide sottoungueale mantiene questi suoi ‘caratteri per tutta l'estensione del letto. Poco prima dell’iponichio si ispessisce al- quanto, e per breve tratto mostra ancora degli elementi eleidinici provveduti di nuclei (paraeleidosi) poi il corpo Malpighiano piega in basso e va a formare la cute del polpastrello del dito: fra esso e il lembo ungueale esiste uno spazio di forma più o meno triangolare, occupato da un ammasso di tessuto cheratinico filamentoso qua e là solcato di zone eleidiniche nucleate, e separato dal lembo ungueale per mezzo di una zona eleidinica che pure è spesso nucleata. Ammassi eleidinici si trovano sovente, frammisti a detriti, sotto al margine libero dell'unghia. B) Sopra sezioni longitudinali, la lamina ungueale che si diparte a livello della matrice, appare in forma di un fuso che va a poco a poco ampliandosi e formando una leggera curva aperta verso l’alto; appena passata la lamella eponichiale si raddrizza e per tutto il rimanente del suo percorso segue una linea leggerissimamente ricurva in senso opposto. Questa forma è costante nelle unghie di giovani. Nella sua porzione radicolare e al suo inizio mostra una intensa colo- razione, colla Rodamina, col Victoriaviolett, coll’Aurantia, presenta cioè le reazioni caratteristiche dell’eleidina. A forte ingrandimento si può in questa porzione vedere nelle cellule la formazione di una membrana, e la presenza di nuclei disposti parallelamente all’asse del dito. Ma si tratta di elementi così stipati, così compressi che hanno tutto Vaspetto di lamelle. Quando il lembo ungueale esce dalla radice ed ha raggiunto così il suo spessore normale (che poi conserva per tutta la sua estensione), Della corneificazione dell’unghia. 367 allora, se lo si esamina su sezioni longitudinali, si osserva, partendo dal- l’epidermide sottoungueale, anzitutto un tessuto costituito da elementi, di cui colla massima parte dei metodi di colorazione si riesce a colorare solamente il contorno. Essi hanno una figura irregolarmente losangica o poligonale, a contorno flessuoso, quasi dentellato; nel loro interno esistono scarsissime bolle d’aria, qualche traccia di pigmento, tracce piü o meno scarse di sostanza che dà le reazioni stesse della mem- brana cellulare, e finalmente nel massimo numero di esse un corpi- ciattolo ovoidale che ha tutte le apparenze di un nucleo piü o meno alterato e picnotico. Anche questo dapprima si colora coi comuni colori nucleari, pol finisce per presentare le stesse reazioni coloranti della membrana cellulare. Progredendo verso l'alto gli elementi ungueali appaiono piü com- pressi l'uno contro l'altro, di figura pit allungata, lanceolata, fusiforme. Il contenuto cellulare che per la massima parte era prima scolorato tende a tingersi pitt intensamente in maniera uniforme oppure a granuli, a zolle. I nuclei compaiono più numerosi e distinti; alcuni danno le reazioni della sostanza cromatinica. Questa seconda zona che si continua indistintamente ‘con quella inferiore, si estende in alto fino alla superficie esterna dell'unghia stessa. Quivi si nota la cessazione netta della sostanza ungueale, coperta o meno da detriti, oppure con un leggero grado di sfaldamento cellulare. Si vedono allora elementi quadrangolari, o rettangolari o losangici, provveduti di nucleo che si colora coi reattivi dell'eleidina, con corpo cellulare apparentemente privo di ogni sostanza, che si staceano dal tessuto ungueale. Si ha in certo qual modo ed in misura molto limitata un fenomeno analogo allo sfaldamento epiteliale della superficie cutanea. Veduto su sezioni trasversali il lembo ungueale non mostra varia- zioni di struttura; in corrispondenza dei margini si infossa in un am- masso di tessuto cheratinico, da cui puó essere diviso mediante il solito strato di eleidina, ma col quale di regola si continua insensibil- mente mostrando una zona di transizione tra il tessuto cheratinico della cute e il tessuto eleidinico ungueale. E facile sulle stésse sezioni vedere notevoli quantità. di bolle 368 Leonardo Martinotti, d’aria e talora di pigmento in vieinanza dell’epidermide sottoungueale, come spesso é facile constatare una specie di divisione delle lamelle ungueali in tanti strati sovrapposti, cid dà l'impressione che la lamella cornea ungueale rimanga costituita da tale sovrapposizione successiva di strati. La stratificazione è anche meglio visibile nella porzione radicolare. | La struttura del lembo ungueale presenta notevoli variazioni secondo l'unghia esaminata, il dito, l'età: nelle unghie grosse e dure di individui di età avanzata gli elementi sono densi e compatti; la zona cromofila si trova talora verso il basso anziché verso la super- fice libera. Ho già detto quali sono le reazioni cromatiche della lamina un- gueale: quelle della sostanza eleidinica; aggiungerd che si hanno ottime colorazioni; col metodo Giroflé — acido picrico: la massa amorfa e gialla, le membrane di color rosso vivo, e cosi pure l'eleidina dif- fusa; col metodo all'eosina-aurantia-indulina il fondo appare giallo, i contorni cellulari e i nuclei più o meno aranciati rossi (eosina); col metodo Victoriaviolett-Safrosina i nuclei ungueali!) si colorano in azzurro violaceo, i contorni cellulari si tingono ora in violaceo, ora in rosso; la sostanza cellulare é sempre pit o meno violacea. Col rosso d’acridina-cianina-picrato di NH, i nuclei e i contorni cellulari sono azzurri. La reazione del solfoalizarinato sodico riesce positiva ed oltremodo evidente. Il verde di metilene?) dà una colorazione discreta delle sostanza ungueale e dei nuclei in verde, cosi anche la Mauvein (violetto), il tiocarminio (verdastro), la pironina (rosso), le rodamine in genere (rosso) Sostanze che dànno le immagini molto belle e intense sono il violetto ametista, il violetto di metilene RRA, nonché la nitroaliza- rina, l’antrapurpurina e la purpurina in soluzioni acetoniche. Il bleu di antracene da una colorazione debole ma evidente, cosi pure il bleu di fenilene; belle sono pure le colorazioni che si hanno col rosso di Chinolina, colla Rosanilinbase in soluzione acetonica, la 1) Si intende esclusi sembre quei pochi nuclei che dànno le reazioni pro- prie della cromatina. 2) Non di metile! Della corneificazione dell’unghia. 369 quale colora i contorni cellulari dove gli altri reattivi non li dimo- strano. In generale non si osserva una formazione di cheratojalina nella corneificazione ungueale, peró accade di vederne e in discreta abbon- danza, lungo tutta la epidermide sotto ungueale. Si dimostra sopra- tutto bene col metodo litiocarminio — indazina — acido picrico. In certe unghie, specialmente del 5? dito del piede, dove spesso si formano prominenze cornee, si vedono costituirsi in seno a queste ultime voluminosi ammassi di aspetto jalino che si colorano col metodo Victoriaviolett-Safrosina, dapprima in violetto al centro e rossi alla periferia, poi uniformemente rossi: col metodo litiocarminio — picro- indigocarminio, dapprima in giallo verdastro poi in verde bluastro, col metodo Victoriablau B-Kristallponceau in rosso vivo, col metodo aurantia — eosina — indulina in rosa. Si tratta forse di una tras- - formazione jalina dell'eleidina. Dalla descrizione riferita risalta il fatto fondamentale che la corneificazione dell'unghia si effettua senza necessario intervento di cheratojalina, senza comparsa di cheratina, con formazione costante, indispensabile di eleidina, di cui la sostanza ungueale mostra essere un prodotto di diretta derivazione. Non è il caso di discutere se si tratti di sostanza eleidinica pura .0 eleidinogena o cheratinogena!), essendo queste due formazioni intima- mente connesse ed analoghe; ma invece è opportuno insistere sul fatto che le cellule del lembo ungueale sono dapprima cellule elei- diniche vere e proprie provvedute di una membrana che dà pure reazione eleidinica e di un nucleo che si colora colle sostanze aventi affinità per la cromatina e, in un secondo tempo, di elementi il cui contenuto è amorfo o quasi, talora con tracce di pigmento o bolle d’aria, spesso con blocchi e granuli di sostanza eleidinica, provvisti di un nucleo e di una membrana che dànno per l'appunto la reazione eleidinica. I reperti degli altri autori sono, come ho detto, molto vari; non 1) V. Martinotti |. c. Internationale Monatsschrift f. Anat. und Phys. XXXI. 24 370 Leonardo Martinotti, staró a riferirli ne a discuterli. Accennerd solo a qualche questione particolarmente interessante. Per ció che riguarda l'organo di sostegno e di nutrizione sono degne di nota in modo particolare le perle epiteliali a bulbo di cipolla che furono vedute già da altri autori e che é facile riscontrare secondo Rabl in corrispondenza degli orli dell’iponichio, e sopratutto nelle persone vecchie (Rabl, Ebner). Sul loro significato non oserei pronunciarmi, mi pare in ogni modo assai discutibile l'assegnar loro un ufficio diretto nella funziono onico- cena, come vorrebbero Rabl e Branca. Non ho riscontrato mai le cellule grandi, globose, chiare, munite di un nucleo rotondo, rifrangente, poco colorabile col pierocarminio, e provvedute di grossi prolungamenti protoplasmatici, quali sono descritte da Renaut nella parte anteriore del letto ungueale. Le cellule del lembo ungueale hanno, secondo la descrizione della massima parte degli autori, le seguenti proprietà: Esse sono otticamente biassali (Ebner), sono provvedute di una membrana che non é solubile nella potassa caustica, mentre lo é il contenuto; essa non è digeribile e non attaccabile dagli acidi e quindi è considerata come sostanza cornea pura, la cui costituzione è stata ben studiata da Hoppe-Seyler. Gli ultimi avanzi protoplasmatici che si possono osservare in tali cellule contengono secondo Liebreich, combinazioni di colesterina con acidi grassi. Trattate con potassa al 40°, o con acido nitrico, o acido solfo- rico, le cellule del lembo ungueale si dissociano e appaiono rigonfie in forma globosa e rotondeggiante, con un nucleo centrale. Attorno a questo esistono fini granulazioni rifrangenti che si colorano in rosso vivo coll’ematossilina — eosina (Renaut). Essi rappresentano grani pigmentari originariamente fatti di sostanza onicogena; non esistono spazi intercellulari; le cellule compresse le une contro le altre sono più sottili nella parte convessa esterna, più ampie si fanno mano mano che si approfondano e finalmente le maggiori si trovano nelle parti più profonde (Echeverria). Della corneificazione dell’unghia. 371 Possono contenere minime bollicine d'aria, che quando sono molto numerose danno l'aspetto di macchiette bianche. Generalmente le cellule sono lamellari appiattite, e disposte in senso parallelo al grande asse della cute; accade però alcune volte che nelle parti più super- ficiali (in eorrispondenza di particolari strie longitudinali che spesso si possono riscontrare), esse assumono una disposizione concentrica, visibili in sezioni fatte nel senso della superficie della cute. Si pos- sono anche constatare colonnati fatti di lamelle incapsulate l'una dentro l'altra e aventi una direzione dallindietro verso l'avanti. Nessun autore fa cenno della membrana eleidinica, né del nucleo dapprima cromatinico e poi eleidinico. ; Le descrizioni che si leggono della lamina ungueale in rapporto al suo processo di corneificazione sono discordi e non sempre complete. Importanti sono le descrizioni di Unna e di Branca. Secondo Unna la corneificazione dell'unghia avviene direttamente dalle cellule spinose senza intermediaria sostanza cheratojalinica. I nuclei non scompaiono mai completamente, e nel processo digestivo il contenuto di tali cellule, a differenza di quelle cornee, non va per- duto, il che significa che esse sono corneificate in tutto illoro spessore. La cheratina ungueale sarebbe composta di cheratina A e B, quest'ultima in quantità assai maggiore che non nelle cellule dell'epi- dermide di rivestimento. Difatti con agenti ossidanti forti, come l'ac. eromico e lac. nitrico fumante con NH,, con alcali, il contenuto (che dà la reazione xantoproteica) si discioglie, lasciando vedere un fine reticolo corneo, corrispondente agli involueri. Esso è fatto di cheratina A, mente il contenuto stesso per le sue reazioni va considerato come | costituito di cheratina B. A tale descrizione è da obbiettare solo che vi può esistere che- i ratojalina e che non si può parlare di formazione cheratinica nel senso di quella che si rileva nella cute. E, pure ammettendo che sia | una cheratina il prodotto ultimo di corneificazione ungueale, è però i uma cheratina sui generis, che si forma direttamente dall'eleidina. Branca distingue due tipi di cheratinizzazione ungueale. a) Un tipo epidermico, che è dato dalla presenza di globuli fatti ü di elementi disposti concentricamente come si ha nei corpuscoli di 24* 372 Leonardo Martinotti, Hassal, in cui le cellule subiscono in stadi successivi la evoluzione cheratojalinica, eleidinica, cornea. b) Un tipo ungueale, in cui i noduli si cheratinizzano senza inter- vento dell'eleidina e le cellule conservano il proprio nucleo. Essa può farsi precocemente, mediante elementi isolati e disseminati per tutta l'estensione del corpo mucoso, oppure piü tardivamente mediante noduli rotondi situati nella parte piü superficiale del corpo stesso; questi noduli, secondo Branca, corrisponderebbero a quelli descritti da Kölliker nella lamina ungueale. — Le cellule che ai originano a livello della radice sono appiattite (unghia radicolare); quelle del corpo dell'unghia sono dapprima polie- driche (unghia corporale). Non credo che il processo si effetui cosi come Branca lo descrive: il tipo di corneificazione ungueale è sempre lo stesso ed è dato da una produzione eleidinica: là forma delle cellule estremamente varia- bile da unghia a unghia, è forse in rapporto coi fenomeni di com- pressione. | Realmente Branca ha veduto come di fatto stanno le cose, e la descrizione e le figure annesse al suo lavoro (Ann. d. Dermat. 1910, p. 358), e rappresentanti il modo di corneificarsi dell'unghia nella scim- mia (Fig. 5), dimostrano veramente il tipo fondamentale di corneifica- zione quale si verifica anche nell'uomo. E altrettanto è del dettaglio — rappresentato dalla figura 6, in cui vien riprodotta la zona di pas- saggio tra il corpo mucoso e il lembo ungueale. L'interpretazione che il Branca dà dei fatti osservati non mi pare conforme a verità. Le questioni più importanti che si riferiscono al processo della corneificazione ungueale sono tre. * * * La prima riguarda il significato morfologico della lamina un- gueale; a questo proposito esistono tre opinioni principali: 1. La lamina ungueale corrisponde al corneo. 2. La lamina ungueale corrisponde al lucido (Bowen). Della corneificazione dell’unghia. 373 3. La lamina non corrisponde né al corneo né al lucido, ma é una formazione sw? generis (Branca). In favore della natura cornea si sono portati inanzi esempi di analogia con formazioni analoghe dagli animali, di costituzione chimica, di caratteri fisici e via dicendo. I sostenitori della identità col lucido si basano sul fatto istologico che la lamina ungueale, formata di cellule nucleate sarebbe situata immediatamente sopra ad uno strato corrispondente al granuloso, e sul fatto embriogenetico che cioè nel corso dello sviluppo essa é in un periodo della vita fetale coperta da uno strato corneo vero e proprio (epitrichio di Welcker, teloderma di Menhert), che poi cade lasciandola allo scoperto. Un avanzo di esso sarebbe l'epidermicola eponichiale'). Dopo la descrizione che ho dato e dopo tutto ció che ho riferito, credo inutile dilungarmi a discutere tale questione e quindi ripetermi: la lamina ungueale e gli elementi che la costituiscono sono un pro- dotto diretto dell'eleidina. x Una seconda questione riguarda il processo intimo di corneificazione dell'unghia. Ad effettuare tale processo si è invocata la presenza di una sostanza particolare, analoga alla cheratojalina, che fu detta onzchina, o sostanza onicogena. Essa apparirebbe in forma di granuli nello strato posto immediatamente sotto alla lamina ungueale?). Brook ammise l’esistenza di tale sostanza, Ranvier dapprima (1889) la descrisse, poi (1899)*) ammise che fosse un’apparenza dovuta alle sezioni dei ponti di unione. Renaut attribuisce ad essa l'aspetto opalescente della lunula; essa si trasformerebbe in granuli di pigmento in seno alla lamina ungueale. Branca, dapprima ammise l'esistenza della sostanza onicogena e poi la negò. 1) E anche l'iponichio (L. M.) 2) Si sono descritte anche nella stessa zona granuli di pigmento, granu- lazioni lucenti, rifrangenti, ecc. (Renaut, Rabl e altri). 3) Rif. da Darier. 374 "^ A Leonardo Martinotti, Heynold, V. Brunn e altri negano in maniera recisa la presenza di tale sostanza. ; j . V. Brünn e Branca rilevano la presenza di una grande quantita di fibrille, omologhe a quelle epidermiche, verticali nel c. mucoso e orizzontali nella radice. ; Unna e Guldberg attribuiscono l'aspetto lucente alla presenza dell’apparato spinoso. ; Rabl lo attribuisce a un ricchissimo reticolato che egli avrebbe potuto osservare nel protoplasma di tali cellule. _ Anche qui non posso che riaffermare quanto ho gia detto: le cellule epiteliali della matrice e dell’epidermide sottoungueale, inizial — mente provvedute di particolari fibrille, si fanno d’aspetto chiaro e poi a un tratto, con o senza produzione di cheratojalina, si riempiono di una sostanza che dà tutte le reazioni cromatiche dell'eleidina (o dei corpi a lei affini: sost. eleidinogena, sost. cheratinogena), e sono queste cellule provvedute di un nucleo e di una membrana e piene di tale sostanza che vanno a costituire la cellula ungueale. Non si può quindi parlare di onichina o sostanza onicogena, e nemmeno si puó ravvicinarla alla cheratojalina, ma sia per il modo di prodursi, sia per i suoi caratteri microchimici, si deve ritenerla un prodotto eleidinico e si potrà quindi a giusto titolo parlare di oni- coeleidina. * * * Una ultima questione verte intorno al modo di formarsi e di accrescersi dell’unghia. 1. Secondo Heynold, Frey, Reichert, Unna, Darier, Arloing, Wie- dersheim e altri, l'unghia si forma e si accresce solo a livello della matrice. 2. Per Hertwig, Duval, Branca, Quénu, la formazione si fa a carico di tutto il derma sottoungueale, cioé della matrice e del letto. Si obbietta che se l'accrescimento avvenisse lungo tutto il letto ungueale dovrebbe verifiearsi anche un aumento in spessore oltreché in lunghezza. E l’obbiezione è giusta, ma si può far osservare che . 2 , Vaccrescimento in lunghezza potrebbe avvenire per opera della matrice, . mentre al letto ungueale spetterebbe più che altro la funzione di . Della corneificazione dell'unghia. 375 mantenere uguale lo spessore dell’unghia nel corpo e negli orli, come anche potrebbe darsi che l’acerescimento si facesse ovunque ma con direzione postero-anteriore. D’altra parte molte unghie del V? dito dei piedi mostrano note- voli ispessimenti della lamina ungueale, in mezzo ai quali si trovano con grande frequenza prodotti di colliquazione e di degenerazione ja- lina o colloide. La questione é indubbiamente difficile. Se si esaminano unghie di persone giovani si nota che hanno quasi tutte il corpo leggermente convesso (oltreché in senso trasversale) anche nel senso dell’asse longitudinale del dito. Ora se se ne esamina appunto una sezione longitudinale (dove tale ricurvatura & molto evi- dente) si osserva questo fatto. Le cellule della lamina ungueale com- prendono come ho detto due stadi della loro evoluzione: un primo stadio in cui esse appaiono come elementi provveduti di nucleo cro- matinico, di membrana eleidinica, e di un protoplasma pieno zeppo pure di eleidina; un secondo stadio in cui il contenuto protoplasmatico scompare per successiva trasformazione in un prodotto amorfo incoloro, dove tutt'al più si rilevano granuli o detriti di sostanza eleidinica, e in eui il nucleo a poco a poco subisce la evoluzione eleidinica; poi un terzo stadio un elemento incoloro, amorfo, con nucleo e mem- brana costituiti di eleidina; da ultimo anche il nucleo scompare e re- sta solo la membrana eleidinica. Su sezioni longitudinali di lembo ungueale colorate coi reattivi dell’eleidina noi vediamo per l’appunto che la radice 6€ costituita di elementi intensamente colorati, cioè in I? stadio, mentre il corpo pre- senta per tutta la sua estensione andando dall'alto al basso, cioè dalla superficie esterna verso la matrice due strati: a) Una zona esterna che può anche mancare e in ogni caso è sempre sottile costituita di elementi chiari (in II° stadio). b) Una seconda zona fatta per quasi tutta l'estensione dell'unghia di numerose serie di cellule intensamente colorate (in I° stadio). c) Una terza zona fatta di cellule chiare (in II° stadio). d) Una quarta zona strettissima che corrisponde allo strato elei- dinico posto tra l'epidermide sottoungueale e il lembo. 376 Leonardo Martinotti, Tutto ciò dimostra che gli elementi superficiali e più giovani provengono in massima parte dalla matrice e si spingono innanzi seguendo la direzione dell'asse del dito, mentre gli elementi sottostanti (III? zona) prodotti dal letto ungueale in parte, e in parte dall’ulteriore evoluzione delle cellule della: seconda zona, costituiscono come un'area di minor accrescimento, di ristagno, dove le cellule sono quasi tras- cinate dalla corrente di quelle più giovani verso l'apice dell’un- ~ ghia. Difatti queste cellule sono più grandi, poligonali, romboidali e possono dare veramente l'impressione che si spostino verso l'estremità del dito, perchè mentre nelle zone più basse sono pianeggianti si vedono come raddrizzarsi, spostarsi verso l’avanti, e i loro margini si fanno concavi e sinuosi. Se si esaminano unghie di certi individui che, forse per compres- sioni subite, sono particolarmente depresse e concave, si può notare una inversione degli strati di mezzo (II° e III°), in quanto che quello fatto di elementi più vecchi è posto superiormente a quello fatto di cellule giovani. Si deve infine tener presente che a livello del letto lo strato di transizione in cui si producono gli elementi eleidinici è sempre sottile, mentre nella matrice è molto spesso, ciò che dimostra che quivi la funzione è più attiva. E non va neppure dimenticato che l'epidermicola sopraungueale cresce quasi colla stessa rapidità dell'unghia, sia per potere proprio, sia perchè trascinata dall'unghia che di continuo si allunga. Ciò lascia fuor di dubbio che il massimo dell’accrescimento sia a livello della matrice. Terminerò ricordando che a livello dell’apice del polpastrello delle dita si ha quel fenomeno particolare per cui cellule filamentose passano inalterate attraverso il lucido!). Sembrerebbe che tutte le funzioni eleidiniche a cheratiniche della cute e dell’unghia fossero quivi parti- colarmente attive e tendessero a dirigersi verso l’apice. In conclusione quindi è mia convinzione che la produzione un- gueale si avveri lungo tutto il letto e la matrice, ma che a livello di quest'ultima sia molto più intensa, e che l'accrescimento in lun- ghezza si effettui sopratutto per l’attività funzionale della matrice. Ed * 1) Martinotti 1. ¢ Della corneificazione dell'unghia. 377 Senza voler entrare nel campo biochimico di cui le ricerche da me intraprese e ancora in corso faranno oggetto di pubblicazioni a parte, non posso pero tralasciare di ricordare una questione che ritengo molto importante. Si ammette dai più oggi che l'unghia e il pelo si corneifichino senza intervento di grassi; le mie ricerche portano invece a risultati differenti: ho gia piu volte accennato come la la- mina ungueale mostri di derivare direttamente dall'eleidina della quale possiede tutte le reazioni caratteristiche: orbene, al pari di quest'ul- tima, anche il lembo ungueale dà le reazioni delle lacche cromo — e rameico — ematossiliniche, e specialmente la reazione cromocrisoidinica, che sono tipiche reazioni microchimiche dei grassi. Questi fatti: di derivare direttamente dall'eleidina che é un corpo grasso, di possedere le identiche reazioni di quest'ultima, di dare le tipiche reazioni dei grassi, di non possedere alcuna delle reazioni della cheratina, dimostrano nella maniera la più evidente che la sostanza propria dell'unghia contiene del grasso e che in questo si differenzia dalla cheratina della cute glabra, che dà, non sempree debolmente, la reazione cromo-ematossilinica. Su questi fatti riferiró più ampiamente in altri lavori. * Per riassumere, la corneificazione dell'unghia va considerata come un prodotto diretto di produzione eleidinica (onicoeleidina) senza inter- vento della cheratina quale si osserva nella cute glabra. L'epidermide della parte dorsale del dito, ripiegandosi a formare l'eponichio, si affonda e a livello della matrice mostra una intensa produzione di cellule eleidiniche che segnano il punto di partenza della porzione radieolare del lembo ungueale. Continuandosi sotto a questo, per tutta lestensione del letto l'epidermide sottoungueale mostra una produzione eleidinica meno forte, ma costante e continua. Gli elementi propri della lamina ungueale quando sono giovani sono ammassati, compressi gli uni contro gli altri, intensamente e diffusamente colorati dai reattivi dell'eleidina, e provveduti di un nucleo a reazione cromatica normale. Più tardi quest'ultimo muta cromofilia e subisce l'evoluzione eleidinica, mentre il protoplasma 378 Leonardo Martinotti. Della corneificazione dell'unghia. mostra solamente pitt poche zolle o granuli di natura eleidinica. Da ultimo non rimane che una cellula provveduta di una membrana piü o meno colorabile colle sostante eleidinofile, e un contenuto amorfo con nucleo eleidinico, e talora anche senza nucleo. La cheratojalina manea o é scarsissima, ma puó anche trovarsene in discreta quantità lungo tutto il letto ungueale. Non ho potuto rilevare nel processo di corneificazione dell'unghia l'intervento di alcuna sostanza particolare (onichina) constatata da alcuni autori. Importante a notarsi è il fatto che le cellule che dànno luogo agli elementi propri della lamina ungueale, conservano il loro nucleo anche quando sono già piene di eleidina (paraeleidosi normale) e ciò contro la regola di quanto avviene nella cute glabra. L’accrescimento dell'unghia si fa secondo me principalmente a spese della matrice, le cellule eleidiniche del letto avendo l’ufficio precipuo di mantenere costante lo spessore dell'unghia, e tale concetto sopra- tutto è appoggiato dalla copia notevole di cellule eleidiniche, che si trovano nella matrice, nonchè del modo di disporsi degli elementi più giovani del lembo ungueale. La struttura dell’unghia, che fondamen- talmente corrisponde a quella ora descritta può subire notevoli diffe- renze in rapporto all'individuo, all'età, alla professione esercitata. La sostanza che costituisce il corpo dell'unghia, a differenza della cheratina della cute glabra, è ricca di grasso. Letteratura. (I lavori e gli autori ricordati nel testo e non citati nella letteratura sono già stati riportati nelle bibliografie degli altri lavori.) ‘Boas, Morphol. Jahrbücher, 1884, IX. Bowen, Anat. Anzeiger, 1889, IV, 412 e 451. Branca, Annales de Dermat. 1910 p. 353 (letteratura !). Brooke, Mitteil aus d. Embryol. Institut. d. k. k. Universität Wien 1883, II. Curtis, Journ. de l'Anat. et la Physiol. 1889. Echeverria, Monatshefte f. prakt. Dermat. XX, 1895, p. 78. Gegenbauer, Morphol. Jahrb. X. Guldberg, Monatsh. f. prakt. Dermat. 1885, IV, p. 7. Heller, Dermat. Zeitschrift 1898, fasc. 6°. — Die Krankheiten der Nägel, Berlin 1900. — Mracek's Hbd. der Dermatologie, Bd. IV. II. 538 ff. Heidingsfeld, Journ. of cut. a. genit. urin. Diseases 1900, p. 490. Henle, Abhandl. d. Kgl. Ges. d. Wissensch. zu Göttingen 1884, XXXI. Heynold, Virchow’s Archiv. 1878, LXV, 270. Kölliker, Zeitschrift f. Wiss. Zoologie, 1888, XLVII. Okamura, Arch. f. Dermat. u. Syph. 1900, LII, p. 223. Pollitzer, Monatsh. f. prakt, Dermat. 1889, IX, p. 346. Pradier, Haz. des höp. 1861, XXIV. Renaut, Trait& d’Histol. pratique 1899, II, 293. Sperino, Giorn. d. R. Accad. Med. di Torino, 1894, p. 639. Unna, Arch. f. mikrosk. Anat. 1876, XII. Monatsh. f. prakt. Dermat. 1889, VIII, p. 79. Vigener, Morphol. Arbeiter; herausgeg. Schwalbe 1896, VI. Zander, Arch. f. Anat. u. Physiol. 1884. Physiol. Abth. 1886, Anat. Abth. Fig Fig. 9. Spiegazione delle Figure. Sezione trasversale di unghia del pollice di uomo adulto. Si vedono bene le strie trasversali. Sezione longitudinale di unghia del dito medio di un giovane ventenne: in alto si osservano le cellule ungueali giovani intensamente colorate e nucleate; in basso cellule chiare di cui si vedono appena 1 contorni. Dettaglio della precedente. Sono ben manifeste le cellule basse della. zona chiara, di cui é evidentissimo il contorno cellulare e in alcune il nucleo. Radice dell'unghia. Metodo Aurantia-eosina-indulina. Il lembo ungue- ale ha assunto lo stesso colore dell'eleidina (Lastre Autocrom. Lumière). Apice dell'unghia M. Rodamina. Dianilblau 2 R. La lamina ungueale che è colorata dalla rodamina, mostra nella parte più alta la zona delle cellule giovani (Lastre Autocr. Lumiére.) Reazione cromocrisoidinica riuscita positiva a carico del lembo ungueale. (Lastre Autocr. Lumière). Istituto di Anatomia umana normale della R. Universita di Napoli, diretto dal Prof. G. Antonelli. Chiasma gustativo (periferico) nella lingua dell’uomo e di alcuni mammiferi. Ricerche eseguite dal Dr. Giovanni Vastarini-Cresi, Prof. incaricato di Anatomia microscopica!). (Con 3 figure nel testo e la tavola XI.) I. Cenni storici. Fino a pochi anni fa, anche nei migliori e piu diffusi trattati di Anatomia umana e di Anatomia comparata dei vertebrati, tacitamente 0 esplicitamente, si accettava come legge generale che ciascuna fibra periferica del sistema nervoso cerebro-spinale, con le sue espansioni terminali, si esaurisse nel medesimo lato del corpo nel quale essa aveva abbandonato il nevrasse, senza oltrepassare il piano mediano. Eppure, gia dal 1841, il Valentin, nel suo trattato di Nevrologia (57, p. 57 e segg.), aveva dedicato più di un paragrafo allo incrocia- mento dei nervi sopra la linea mediana?) In questo luogo l’A., dopo d'aver parlato della disposizione simmetrica successiva del sistema .nervoso periferico (quella che oggidi meglio diremmo metameria ner- | vosa), osserva come i nervi seguano „un cammino analogo in ambe- due i lati del corpo, mostrando una simmetria laterale semplice“; ma ') Per la esecuzione di gran parte dei numerosi preparati microscopici mi son giovato della opera intelligente del mio valoroso allievo Dr. Giuseppe Mon- tanaro, al quale giunga lattestato della mia viva gratitudine. ?) Cenni di anastomosi tra branche di nervi omonimi dei due lati si possono trovare anche in trattati più antichi come in quello del Meckel [30], pubblicato tra il 1815 e il 1820. Chiasma gustativo nella lingua dell'uomo e di alcuni mammiferi. 381 questi nervi, nel loro ulteriore decorso, possono comportarsi in modo differente: ,O le fibre primitive non abbandonano nel loro tragitto ulteriore, la stessa meta laterale di quella, ove nacquero le loro radici, oppure passano alla metà laterale opposta, e mediante questo cammino più o meno uniforme nelle due parti, producono delle anastomosi d'in- erociamento lungo la linea mediana. Altre volte non si attribuivano queste anastomosi che a dei rami del gran simpatico, e le si negavano al nervi cerebro-rachidici semplici .. . Ma, da una parte, questa anastomosi reciproca manca nei tronchi cefalici e in parte nei tronchi cervicali del grande simpatico; dallaltra s'incontrano pure forti ana- stomosi d'inerociamento su dei nervi cerebro-rachidici semplici, come, per esempio, nel chiasma del nervo ottico!), nel nervo nasopalatino di Scarpa, in uno dei rami dellipoglosso, nei rami tracheali e polmonari del pneumogastrico, nei nervi della faringe, dell'esofago, dello stomaco, in quelli della vescica, della matrice e della verga“. In questo elenco deve esser compreso anche il ramo linguale del glosso-faringeo, a proposito del quale lo stesso Valentin (loc. cit., p. 201—302) scrive quanto segue: „Il nervo linguale (ramus lingualis), poco dopo il suo ingresso nella lingua, s'anastomizza, mediante filetti minuti, con una ramificazione superficiale del nervo linguale del terzo ramo del trigemino, e si divide sullistante in due ramificazioni, l'una esterna, l'altra interna . . . La ramificazione interna (ramus internus) . . . fornisce molti (filetti) alla parte posteriore della lingua, indietro ed in fuori del foro cieco, a cui si ravvicina sempre più secondoché continua ad avanzarsi; forma lungo il suo margine esterno ed a due o tre linee di distanza da esso un piccolo plesso, talvolta sviluppatis- simo, il plesso laterale del foro cieco (plexus lateralis foraminis coeci) e manda al suo circuito molti filetti, per guisa che il foro è, per così dire, attorniato da un reticolo nervoso delicatissimo, il plesso coronae del foro cieco (circulus nervosus foraminis coeci). I filetti terminali vanno obliquamente innanzi, verso la linea mediana della lingua, alla cui membrana mucosa mandano da ogni lato innumerevoli ramifica- zioni. Cinque o sei linee incontro al margine anteriore del foro cieco, questi filetti si toccano quasi immediatamente sulla linea mediana, cioè 1) V. nota a pag. 383: 382 Dr. Giovanni Vastarini-Cresi, non sono luno dall'altro distanti che un terzo di linea, e ricambiano forse insieme alcune anastomosi. Uno di essi, più grosso, continua ad avanzarsi parallelamente alla linea mediana, s’anastomizza con filetti terminali della ramificazione linguale del trigemino e può esser seguito ancora mezza linea più oltre. Ma qui avviene tale incrocia- mento che quello del lato destro passa nella metà simistra della lingua e viceversa; entrambi terminano a mezza od una linea dalla linea mediana“ 1). Anche lo Henle, parecchi anni dopo del Valentin (1871), nella sua Nervenlehre (20, p. 339), pur riconoscendo che i nervi cerebro- spinali, con le loro ramificazioni, di regola non oltrepassano il piano mediano, sulla scorta di un lavoro del Wyman, pubblicato nel 1864 (61) enumerava parecchie eccezioni a quella che noi potremmo dire legge dell'antimeria nervosa: „An den unpaarigen Eingeweiden ver- einigen und kreuzen sich die Nerven beider Körperseiten, auch die cerebro-spinalen, in Geflechten; ganz ausnahmsweise kommen Kreu- zungen und Verflechtungen in der Mittellinie an den Nerven äußerer Körperteile vor: an den Stämmen zwischen den Sehnerven, an den feinen Endästen zwischen den Nn. nasopalatini, hypoglossi, dorsalis penis und clitoridis.“ Nel 1873 il Jakob (cit. dallo Zander in 65), in una monografia sulla distribuzione del glosso-faringeo nella faringe e nella lingua (25), asseriva d'aver osservato anastomosi tra i rami dei due nervi del IX paio. Alquanto piü tardi (1816) W. Krause (25, p. 268) non tralasciava di menzionare i casi di anastomosi che si possono verificare, nel piano mediano, tra nervi periferici dei due lati; ma tendeva a ritenere, senza, per altro, darne la prova, che, il piü delle volte si tratti di semplici apparenze, come si può rilevare ‘dalla lettura del seguente brano: „Wie innerhalb der Zentralorgane die Kommissuren, so kommen auch an der Peripherie Anastomosen vor. An ungewöhnlich nervenreichen Stellen (N. nasopalatinus, Zunge, Glans penis et clitoridis) sind sie 1) In alcuni trattati di Anatomia umana, come, ad es., in quello di Beaunis et Bouchard, si afferma che i primi ad osservare il passaggio di filetti del glosso- faringeo da un lato all’altro del piano mediano furono l'Hugwier e il Valentin; ma le nostre ricerche bibliografiche non ci permisero di precisare quanta parte, nella scoperta, abbia avuto il primo dei detti autori. Chiasma gustativo nella lingua dell’uomo e di aleuni mammiferi. 383 mit dem Messer darstellbar, für gewöhnlich aber nur mikroskopisch. Es ist unzweifelhaft, daß auch diese Anastomosen zu den geschilderten Umwegen gehören, so daß jede Nervenfaser (mit Ausnahme des N. opticus)!) auf derjenigen Körperseite endigt, auf welcher sie das Zentralorgan verlassen hat (von asymmetrischen Eingeweiden natür- lich abgesehen).“ Nel quale brano, con la parola „Umwege“ l'A. ac- cenna evidentemente alla possibilita che le ramificazioni terminali di un dato nervo, dopo aver fatto una incursione, attraverso la linea mediana, nel lato opposto del corpo, descrivano delle anse e tornino indietro per distribuirsi finalmente in quel lato donde trassero origine. Le vedute del Krause rimasero lungamente senza controllo fino a che il Nufbaum, in due lavori, pubblicati rispettivamente nel 1895 e nel 1897 (55 e 54) si occupava di proposito dell’argomento. Valen- dosi di un particolare metodo, che più in là esporremo, e che permette di seguire col microscopio, per lungo tratto, il decorso delle singole fibre nervose mieliniche, questo A. poté dimostrare che i nervi cutanei della rana e del topo, nella linea mediana dorsale e nella linea mediana ventrale, non terminano con sottili ramifieazioni dicotomiche, ma cias- cuno di essi si anastomizza con i vicini tanto del proprio lato che del lato opposto. Ne risulta la formazione di un plesso, nel quale, per altro, si puó seguire il decorso delle singole fibre mieliniche fino alla loro terminazione. Il Nufbaum potè infatti vedere, con assoluta sicurezza, fibre nervose di una metà del corpo passare nell’altra. Quindi la cute della linea mediana, quanto ad innervazione, non si sottrae punto alla legge generale secondo la quale ciascun territorio e innervato da nervi di differente origine. Le ricerche del Nufbaum furono poco più tardi (1898— —1901) riprese, esclusivamente sulla rana fusca*), da due suoi discepoli, l'Ottendorf (37) ed il Kühn (26 e 26%), i quali non solo confermarono 1) Notisi che tanto il Valentin quanto lo Henle ed il Krause annoverano tra le commessure periferiche il chiasma dei nervi ottici; ma oggi si sa bene che chiasma e nervi ottici debbono essere considerati quali parti del nevrasse, come lo dimostrano non soltanto l'Embriologia e Anatomia, ma anche la Fisiologia e la Patologia (cfr. a questo proposito 59). 2) Fu scelto questo animale, perché la sua cute si presta assai bene alla dis- sezione, dopo macerazione. 384 Dr. Giovanni Vastarini-Cresi, i risultati del maestro, ma li completarono tanto dal punto di vista anatomico quanto dal fisiologico. — Dal punto di vista anatomico l'Ottendorf si occupò precipuamente del decorso dei tronchi nervosi e delle loro diramazioni, ma tralasció di stabilire con precisione i terri- tori di distribuzione delle singole fibre nervose. Questo cömpito era invece riserbato al Kühn, il quale, esaminando attentamente i punti d'inerociamento dei nervi provenienti dai due lati, vide spesso singole fibre dividersi in due o piü rami decorrenti in opposte direzioni. La divisione delle fibre stesse fu sempre osservata in corrispondenza di uno strozzamento anulare del Ranvier. — Dal punto di vista fisio- - logico tanto l’Ottendorf che il Kühn, dopo aver reciso i nervi di un lato, eseguirono esami ripetuti della sensibilità, fino ad 11 mesi dal- l'operazione, senza tralasciare le corrispondenti indagini istologiche. Ora, dalle loro esperienze risultò che la sensibilità cutanea, alquanto diminuita nei primi tempi dopo l’atto operativo, ritorna ben presto alla norma senza che siasi verificata rigenerazione dei nervi recisi. — Si può dunque affermare che, al pari degli altri territori cutanei (ciascuno dei quali suol ricevere la sua sensibilità da due o più tronchi nervosi), anche le zone mediane, dorsale e ventrale, sono innervate da tronchi provenienti dai due lati. Frattanto lo Zander, il quale, fin dal 1889 (62), servendosi quasi esclusivamente di un metodo già preconizzato dallo Henle (v. in seguito), aveva cominciato ad occuparsi della innervazione cutanea dei mammi- feri e specialmente dell’uomo, dimostrava, in due lavori successivi | (65 e 64), che la linea mediana non separa nettamente il campo d’in- nervazione. della metà sinistra da quello della metà destra, poichè, nell'uomo, i nervi cutanei, per tutta la estensione della superficie ventrale e dorsale del capo e del tronco, oltrepassano la linea mediana. Secondo VA. un tal fatto può verificarsi in due modi: alcune volte i rami terminali dei nervi oltrepassano senz’altro la linea mediana e si distribuiscono alla metà opposta del corpo; ma in altri casì un ramo nervoso, giunto nella linea mediana, si addossa ad un nervo dell’altro lato e forma con questo un tronco comune, il quale, dopo un decorso più o meno lungo nella medesima linea mediana, si risolve in ramo- scelli per il lato destro e per il lato sinistro. Chiasma gustativo nella lingua dell'uomo e di alcuni mammiferi. 385 I ramoscelli che, nel eapo e nel tronco, oltrepassano la linea mediana sono di solito assai sottili e brevi; ma vi sono regioni cutanee nelle quali si puó dimostrare il passaggio attraverso la linea mediana di tronchi nervosi relativamente grossi e lunghi. Tale è, ad es., la regione perineale (in largo senso) studiata di recente (1910) dallo stesso Zander (67), ma già precedentemente (1898) esaminata nel medesimo intento dallo Höhne (22). Ora, se abbastanza numerose sono state le ricerche le quali hanno provato in modo indiscutibile il passaggio e l'incrociamento nel piano mediano dei nervi cutanei!), non mancarono, negli ultimi tempi, altre ricerche le quali diedero con eguale sicurezza la dimostrazione o la conferma di un simile fatto per altri nervi sensitivi o motori. A tal proposito accenneremo soltanto ai lavori dello Höhne testé citato, sulla innervazione del palato (ibid.) del Chinni (1899) sull’ansa sopra- ioidea dell’ipoglosso (8); del Wertheimer (1901) sulle anastomosi dei due pneumogastriei nel torace (60); dell’ Onodi (1902) sui nervi laringei (55 e 55%): per soffermarci agli studii, per noi particolarmente im- portanti, che il già citato prof. Zander (65 e 66) ed uu suo allievo, il Rautenberg (42), eseguirono sulla innervazione della mucosa linguale dell’uomo. Nelle loro ricerche anatomiche questi due autori si valsero quasi esclusivamente della dissezione macroscopica, secondo il metodo seguito dal primo di essi nello studio della innervazione cutanea, e solo nei casi dubbii ricorsero all’esame microscopico dei tronchicini anastomo- tici, isolati e recisi, per assodarne la reale natura nervosa. Le inda- gini cliniche che, in seguito, essi poterono praticare su di una inferma che aveva subito la recisione del nervo linguale del lato destro, ven- : nero a confermare pienamente i risultati forniti dalla dissezione, i quali possono riassumersi nel seguente modo: | I. Alla innervazione sensitiva (tattile) e sensoriale (gustativa) della mucosa linguale prendono parte tre nervi: il linguale (della 3° branca del trigemino), il glosso-faringeo ed il vago. 1) Tra queste ricerche vanno comprese anche quelle che il van Rynberk, nel 1904 [44] eseguì su alcuni selaci (scyllium) in cui dimostrò l'incrociamento sulla linea mediana dei nervi cutanei ventrali (.... den gekreuzten Übergang der ventralen Hautäste der beiden Körperhälften ineinander). Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI 25 386 Dr. Giovanni Vastarini-Cresi, A. Il nervo linguale si distribuisce a quella parte della mucosa che si estende innanzi alle papzllae vallatae, ma alcuni suoi rami volgono in dietro, oltrepassando per breve tratto le dette papille e giungendo fino al sulcus terminalis. Alcuni rami mediali del linguale attraversano la linea mediana e, dopo un decorso pit o meno lungo, vanno e distribuirsi alla metà opposta della lingua. B. Il ramo linguale del glosso-faringeo, giunto nello spessore della lingua, si divide in rami posteriori, anteriori e mediali, le cui ramificazioni, per molteplici anastomosi, dànno origine ad un fitto plesso a maglie losangiche. — a) I rami posteriori si distribuiscono alla mucosa della radice delia lingua, fino all'epiglottide. — b) Dei rami anteriori, alcuni sono destinati alla papilla foliata, altri alle papillue vallatae ed all'attigua mucosa. — c) I rami mediali emettono numerosi ramoscelli che oltrepassano la linea mediana, spesso per notevole tratto (fino a 7 mm.) Di questi gli anteriori eircondano il foramen coecum (formando quello che il Valentin aveva chiamato circulus nervosus foraminis coeci) ed inviano verso il davanti delicati filuzzi alla papilla solitaria dello His (papilla vallata centralis) ed, oltre questa, alla mucosa che divide le papille vallate posteriori?) Per conseguenza, mentre il nervo linguale si limita ad innervare la punta ed il corpo della lingua (derivanti dal tuberculum impar dello His)?, il glosso-faringeo si distribuisce non soltanto alla radice della lingua (che si origina dal 2° e 3° archi branchiali) ma anche a quella parte di essa che trovasi in avanti del sulcus terminalis e che con- tiene le papille (foliate e circumvallate). C. Il vago partecipa alla innervazione della lingua mediante il laringeo superiore. Questo nervo invia verso il davanti alcuni ramo- scelli (1—3), i quali dopo aver dato la sensibilità alla mucosa della 1) Evidentemente gli autori tralasciarono d’indagare il decorso dei rami papillari nell’interno delle papille. ?) Le recenti ricerche del Kallius [24] sullo sviluppo della lingua dei mam- miferi hanno notevolmente modificato le nostre idee su tale argomento. La punta della lingua, secondo questo autore, si origina non dal Zubereulum impar, come ammetteva lo His, ma da due distinti abbozzi, pari, che egli chiama. cercini linguali laterali (seitliche Zungenwülste) appartenenti al 1° arco branchiale. Della saldatura più o meno completa di questi due abbozzi sono indici, al termine dello sviluppo, il solco dorsale e la rudimentale bifidità dell'apice linguale. Chiasma gustativo nella lingua dell'uomo e di alcuni mammiferi. 387 vallecula epiglottica e della plica glossoepiglottica lateralis si esauri- scono nella radice della lingua, in una piecola zona situata ài lati della linea mediana, non piü lunga di 1!/, cm. e non piü larga di 1 cm. I limiti mediali delle due zone, destra e sinistra non si toccano, ma restano tra loro distanti di 1 a 2 cm. II. Nella mucosa del dorso della lingua, cosi come accade nella cute, vi sono bensi aree innervate esclusivamente da un sol nervo, ma esse sono circondate da zone innervate da due o più nervi. La dop- pia o molteplice innervazione dei territorii di confine, anche qui, come nella cute, puó verificarsi in due modi, cioé a dire o mediante anasto- mos? dei rispettivi rami nervosi o mediante ferminazioni libere (indi- pendenti) dei medesimi nel territorio comune. A. Quanto ad anastomosi lo Zander ed il Rautenberg ne poterono dimostrare: 19 tra i rami terminali del linguale destro e del sinistro (non ancora descritte da altri autori); 2? tra i rami terminali del .glosso-faringeo destro e del sinistro, già osservate dallo Hugwier, dal Valentin e dal Jakob e riferiti nella maggior parte dei trattati; 3° tra i rami del linguale e del glosso-faringeo del medesimo lato. B. Terminazioni libere di due nervi in un territorio comune furono dai detti autori rinvenute nelle seguenti regioni: 1? nelle due piecole zone laterali, dianzi ricordate, della radice della lingua, in ciascuna delle quali, oltre ai ramoscelli del laringeo superiore, giun- gono anche rami del glosso-faringeo; 2° nella parte posteriore del corpo della lingua (cio@ nella regione del V linguale) che é innervata in pari tempo dal glosso-faringeo e dal linguale; 3° nel territorio in forma di striscia, che, nella linea mediana, si estende dall'apice lin- guale fino all’epiglottide ed è innervata simultaneamente dai due lin- guali e dai due glosso-faringei. Quest'ultima zona è dallo Zander divisa nei seguenti quattro segmenti: a) Il primo, anteriore, che si estende per circa 1 cm. dall’apice della lingua verso dietro, è molto riccamente innervato da rami del linguale, parecchi dei quali poterono essere accompagnati, con la dissezione, fino a 5 mm. oltre la linea mediana. b) Il secondo, situato immediatamente dietro al primo e ‘ ‘terminante a circa 3 cm. in avanti del forame cieco, è meno largo e meno riccamente innervato; in questo tratto i rami del linguale si 25* 388 Dr. Giovannı Vastarini-Cresi, poterono preparare soltanto fino alla linea mediana o poco al di la. c) Il terzo segmento, che si estende per circa 2 o 3 cm. in avanti del forame cieco, riceve non solo rami del linguale, che si possono seguire per 5—7 mm. oltre la linea mediana, ma anche rami del glosso- faringeo; è questa larea piu riccamente innervata di tutta la lingua. d) Il quarto ed ultimo segmento della zona mediana si estende dal forame cieco fino all'epiglottide, ed è innervato esclusivamente da rami numerosi dei due glosso-faringei, alcuni dei quali poterono essere seguiti fino a 7 mm. oltre la linea mediana. II. Scopo delle presenti ricerche. La evidente importanza morfologica e fisiologica di questi ultimi fatti destò in noi il vivo desiderio di procurarcene la diretta conferma nella lingua dell'uomo (al quale, ? modo esclusivo, si limitarono le ricerche dei precedenti osservatori) e di ricercarli, possibilmente, nella lingua di altri mammiferi, tanto più che nessuno finora eseguì ricerche comparative sull'argomento. La cosa, intanto, che, sopra ogni altra, ci parve di dovere accertare in modo obbiettivo ed incontestabile, fu il passaggio delle fibre sensitive da una parte all'altra della linea : mediana. Or, partendo dal presupposto, certo non arbitrario, che tale passaggio dovesse essere più facilmente verificabile nella zona della mucosa più riccamente innervata e precisamente nelle pertinenze della papilla vallata impari e mediana (quando questa esiste), ci proponemmo d’intraprendere un accurato studio comparativo di tale limitata regione, valendoci del materiale e dei metodi più adatti allo scopo. III. Materiale. La raccolta dell’opportuno materiale non fu certo la parte più facile dell'impresa. I cadaveri umani, nessuno lo ignora, giungono ai nostri Istituti in tale imperfetto stato di conservazione che ogni sottile ricerca è di solito impossibile. Tuttavia, sopra un gran numero di cadaveri di differente età, siamo riusciti ad utilizzare, in parte, due lingue di in- dividui adulti. Quanto agli altri mammiferi, è noto, specialmente per i recenti lavori del Münch (32), dell’Oppel (36), dello Haller (18) e di altri, Chiasma gustativo nella lingua dell’uomo e di aleuni mammiferi. 389 che non tutti posseggono una papilla vallata mediana e che non sempre é facile procurarsi le specie le quali ne sono fornite. Cosi, presso di noi, tra i roditori, oltre ai miomorfi, che sono provvisti di un'unica papilla vallata (vera papilla solitaria), hanno ancora una papilla mediana (p. v. centralis) gli sciuromorfi, che in tutto ne posseggono tre, come tre ne presentano gli erinacei, tra gli insettivori?). La nostra scelta doveva quindi necessariamente cadere entro una cerchia abbastanza ristretta, senza che, d’altra parte, ci fosse data la certezza di trovare, in ogni caso, una papilla mediana, a cagione della grande variabilita che queste formazioni sogliono presentare da in- dividuo ad individuo della medesima specie (Münch). Pertanto abbiamo potuto avere a nostra disposizione alcuni esem- plari di topolino (mus musculus), di topo delle chiaviche (mus decu- manus), di moscardino (myoxus avellanarius), di riecio (erinaceus europaeus), oltre alla lingua ben conservata di un macaco (macacus rhesus). IV. Tecnica, A. Metodi usati dai precedenti osservatori. Se, nelle nostre ricerche, avessimo voluto servirci dei metodi, che, nelle mani dei precedenti osservatori, diedero i migliori risultati, avremmo dovuto scegliere tra quello del Nufbaum e quello dello Zander; ma ben presto dovemmo convincerci che né luno né laltro erano rispondenti al nostro scopo, ció che, del resto, apparirà evidente quando li avremo brevemente riferiti. 1° Il metodo del Nufbaum?), appena accennato nel lavoro di questo A. (33), è un metodo essenzialmente microscopico ed 6 esposto 1) Tra gli altri numerosi mammiferi muniti di una papilla mediana ricorde- remo: i marsupiali; alcuni sdentati (manis javanica); i macrocheirotteri e qualche microcheirottero (pteropus edulis); molte scimie. In alcune di queste ultime furono osservate parecchie papillae vallatae medianae. Cosi, ad es. in lemur varius, sopra un totale di 9 papillae vallatae, 5 sono mediane e disposte in serie sagittale; 4 sono laterali e disposte in serie frontale, immediatamente in avanti delle precedenti (cfr B. Haller [18] p. 404 ed anche lo schema dell’Oppel [36] p. 190). 2) Il Mayer ([27] p. 335) fa risalire questo metodo al Dobberke, che, fin dal 1886, se ne servi per lo studio dei nervi nei pesci. 390 Dr. Giovanni Vastarini-Cresi, né suoi particolari dall’Ottendorf (55) che lo descrive così: „La cute si fa macerare per 3—6 giorni in una debole soluzione acquosa (0,8*/,) di acido acetico; quindi si libera dell'epitelio e dello strato pigmentato del derma, che si asporta facilmente; s’immerge per 10 minuti in una debole soluzione (0,1°/,) di acido osmico; si lava per 24 ore in aequa di fonte; s’indurisce in alcool, e si chiude in glicerina.“ 2° Il metodo usato dallo Zander (dallo stesso Zander attribuito allo Henle) & essenzialmente macroscopico; ma differisce abbastanza dal metodo comune di preparazione dei nervi cutanei. Lo riporteremo nelle sue linee fondamentali. Generalmente i nervi cutanei si sogliono dissecare nello ipoderma, dopo asportata la cute. In tal modo non si ha la possibilità di sta- bilire con precisione i territorii di distribuzione cutanea dei singoli rami, poiché, questi essendo stati recisi nel loro passaggio dal con- nettivo sotto-cutaneo al derma, non è piu dato di seguirne l'ulteriore decorso e la terminazione nello spessore della cute. Se invece questa ultima sia distaccata insieme con le parti molli che contengono i tronchi nervosi, si potrà seguire il decorso di questi verso la periferia, isolare per tratti più o meno lunghi le loro ramificazioni nel derma e scoprirne la penetrazione nella epidermide. A questo scopo lo Zander, prima d'iniziare la preparazione, immergeva i pezzi, già con- servati in alcool, in una debole soluzione di acido acetico, destinata a rammollire il connettivo e procedeva quindi allo isolamento dei nervi, dopo aver legato ciascun moncone ad un filo, destinato a tenerlo disteso e ad impedire che i piü sottili fascetti andassero perduti. La dissezione poi era fatta o ad occhio nudo o con l’aiuto di un micro- scopio semplice, binoculare (Westien). Soltanto mei casi dubbu, per accertarsi che i filamenti isolati fossero realmente fascetti nervosi, l'A. ricorreva al microscopio composto;. ma per non danneggiarli, si limi- tava ad esaminare qualcuno dei loro piccoli rami collaterali. Con questo metodo — lo Zander stesso lo riconosce — non si giunge a mettere in. evidenza le terminazioni dei nervi cutanei, ma ci si avvicina ad esse molto più che con la comune preparazione. Un altro notevole vantaggio del metodo consiste nella facilità con la quale si possono distinguere nei tronchi nervosi misti le fibre sensitive dalle Chiasma gustativo nella lingua dell'uomo e di alcuni mammiferi. 391 motrici, poiché queste ultime si soffermano ai muscoli, mentre le altre li attraversano o ad essi si addossano per giungere alla cute (ovvero alla mucosa, se si tratta della lingua). Ma, accanto ai pregi sopra enumerati, il metodo dello Zander presenta alcuni inconvenienti che l'A. stesso non si nasconde. In primo luogo la dissezione dei filuzzi nervosi é assai difficile e penosa, tanto per la loro estrema sottigliezza quanto pel fatto che essi sogliono incrociare la linea mediana sotto angoli acutissimi, mentre a loro volta, nei pressi di detta linea, sono incrociati da ramoscelli dei tronchicini contigui. Ora, poiché non tutti questi ramoscelli oltrepassano la linea mediana e poichè, d'altra parte, in una preparazione, non tutto può esser conservato, facilmente accade che vada distrutto qualche filuzzo che meritava d'essere risparmiato e sia risparmiato invece qualche altro che doveva essere distrutto. Si comprende agevolmente come le difficoltà di una simile disse- zione, già molto sensibili, allorché trattasi della lingua di grossi mam- miferi, come l'uomo, divengano assai pitt gravi o addirittura insupera- bili quando si abbia da fare con la lingua di piccoli mammiferi quali il mus musculus, il myoxus avellanarius e la maggior parte di quelli che noi c'eravamo proposti di studiare. Ma non basta: un altro svan- taggio che, a parer nostro, non è il minore, presenta il metodo dello Zander, ed è che con esso non si acquista sempre quella certezza assoluta la quale si consegue soltanto mediante la osservazione micro- scopica diretta. Ed anche tale inconveniente è implicitamente ricono- sciuto dall A. allorchè dichiara che nei casi dubbii, per non danneggiare il preparato, quando questo doveva servire realmente a dimostrare il passaggio dei nervi attraverso la linea mediana (wenn das Präparat wirklich als Beweis für das Ueberschreiten der Mittellinie dienen soll), sottoponeva all'esame microscopico soltanto qualeuno dei piccolissimi rami collaterali dei tronchicini sospetti. A quest’ultimo inconveniente si sarebbe potuto ovviare ricorrendo al metodo del Nupbaum, ove questo fosse stato applicabile alla cute ed alla lingua dell'uomo e degli altri mammiferi, cosi come si applica alla cute della rana; ma, purtroppo, lo Zander, che ebbe a sperimen- tarlo, non ne ritrasse alcun utile risultato. 392 Dr. Giovanni Vastarini-Cresi, B. Metodi usati nelle presenti ricerche. Da tutte le precedenti considerazioni fummo indotti a metter da parte i riferiti metodi per battere una via che meglio ci conducesse alla méta, e, dopo varii tentativi, che non giova ricordare, trovammo che il metodo piü recente del Weigert per lo studio delle fibre mie- liniche nel sistema nervoso centrale (74, II. p. 231 e segg.), oppor- tunamente modificato, dava ottimi risultati anche per i nervi periferici. Ci fermammo quindi a quest'ultimo, senza tralasciare, in qualche caso, il metodo fotografico del Cajal, metodo veramente prezioso, malgrado la non assoluta costanza della riuscita. I due metodi furono da noi usati secondo le modalita qui appresso indicate. 1° Metodo del Weigert, modificato. a) Fissazione per 48 ore, od anche più, in una soluzione acquosa (10°/,) di formalina del commercio. b) Lavaggio prolungato (24 ore) in acqua corrente. c) Riduzione dei pezzi, comprendenti la zona della papilla vallata mediana, allo spessore di 3—4 mm., mediante tagli frontali paralleli. d) Mordenzatura pri- maria dei pezzi, per 7 giorni, alla temperatura ordinaria, in una miscela cosi composta: acqua distillata gr. 100 + bicromato d’ammonio gr. 5 + fluoruro di cromo gr. 2.5. e) Nuovo lavaggio dei pezzi in acqua distillata. f) Sezioni in serie, dello spessore di 40—50 u, col microtomo congelatore (congelazione mediante l'anidride carbonica). 9g) Mordenzatura secondaria (delle sezioni) per 24 ore, nella stufa a + 37°, nella seguente miscela: fluoruro di cromo gr. 2.5 + acqua di- stillata cm? 100; si riscaldi fino all’ebollizione in un recipiente coperto e, spenta la fiamma, si aggiungano dapprima 5 cm? di acido acetico e poi, rimescolando continuamente con una bacchetta di vetro, gr. 5 di acetato di rame finemente polverato; la soluzione è pronta per l’uso appena raffreddata. Ah) Accurato lavaggio in acqua distillata. 2) Co- lorazione nella ematossilina ferrica del Wezgert, che si prepara, al momento dell’uso, mescolando parti eguali delle due seguenti soluzioni: soluzione A = ematossilina pura gr. 1 + alcool assoluto gr. 100; soluzione B = percloruro di ferro liquido della Farmacopea cm? 4 + acqua distillata em? 96; la soluzione B dev'essere sempre preparata di recente. k) Lavaggio in acqua distillata. !) Differenziazione in una soluzione di ferricianuro di potassio e borace (ferricianuro gr. Chiasma gustativo nella lingua dell’uomo e di alcuni mammiferi. 393 2,5 + borace gr. 2 + acqua distillata gr. 200). m) Prolungato la- vaggio in acqua, per 4—6 ore. n) Disidratazione, diafanizzazione e chiusura in balsamo. L'unica variante da noi introdotta nel metodo originale del Weigert sta nell’uso del microtomo congelatore, il quale permette di evitare la inclusione in celloidina, che, in base alla nostra esperienza (V., in seguito, i risultati ottenuti in mus decumanus), noi riteniamo dannosa per le fibre mieliniche, anche se, come prescriveva il Weigert, la si esegua dopo la mordenzatura primaria. Il solvente della celloi- dina, cioè la miscela, a parti eguali, di alcool assoluto e di etere, anche dopo una prolungata cromizzazione dei pezzi, scioglie, almeno in parte, quel miscuglio di sostanze al quale noi diamo il nome di mielina*. Ne segue che le fibre più sottili, specialmente quelle peri- feriche, le quali decorrono isolate in mezzo agli altri tessuti, o non si colorano punto o appaiono assai debolmente colorate. Viceversa, nelle sezioni ottenute mediante congelazione e poi sottoposte agli altri trattamenti del metodo Weigert, le fibre nervose mieliniche si colorano molto intensamente e fino agli estremi loro limiti, cioé a dire fin sotto l’epitelio. Frattanto ci corre l'obbligo di ricordare che l'uso del microtomo congelatore non é nuovo nella tecnica nevrologica. Per quanto ci consta, il primo a valersene fu il Bolton, il quale, nel 1898, pubblico un importante lavoro sul metodo Weigert-Pal (4). Al Bolton tenne dietro l’Aschoff (citato dallo Spielmeyer), che se ne servi in uno studio sulle fibre mieliniche del cuore. Vennero poi lo Spielmeyer (51), il Ruppricht (43) e ancor più recentemente il Denda (1) Ma, come ognuno potrà facilmente verificare, consultando i lavori di questi A. A., 1) Una prova diretta di quanto affermiamo si puó avere facilmente aggiun- gendo acqua alla miscela alcool + etere, nella quale siano rimasti, per un certo tempo, pezzi di centri nervosi o di nervi periferici già sottoposti alla mordenza- tura primaria: si avrà un intorbidamento piü o meno cospicuo. La cosa diverrà poi anche piü evidente se si lascerà evaporare, in adatto recipiente, la detta miscela alcool + etere; poiché sul fondo del recipiente medesimo si otterra un deposito fatto in massima parte di sferule splendenti di varia grandezza, di minutissimi granuli scuri e di numerosissime tavolette di colesterina, riconoscibili, oltreché per la loro forma caratteristica, per le loro reazioni microchimiche. Ma su questo argomento ci proponiamo d'intraprendere piü minute ricerche, 394 | Dr. Giovanni Vastarini-Cresi, nessuno dei loro processi 6 simile al nostro, così che non ci sembra esagerato parlare di una nostra modificazione al metodo del Weigert. Aggiungeremo poi che, nel trattamento delle sezioni seriali, non abbiamo creduto di dover ricorrere alla tecnica alquanto complicata, - suggerita dal Ruppricht, valendoci invece di un procedimento assai semplice e poco differente da quello che, già da parecchi anni, usammo in altro lavoro (58). Eccolo, in poche parole: le sezioni, raccolte mercé un grosso pennello di vaio, si pongono man mano in una vaschetta cilindrica, avendo cura di frapporre tra l'una e l'altra sezione un disco di carta bianca da filtro, numerato con la matita e di dia- metro appena un poco inferiore a quello del recipiente; ció ad evitare che le sezioni medesime, durante le successive manipolazioni perdano x il posto che loro spetta nella serie. Questo modus agendi non è certo scevro d’inconvenienti, ma ha corrisposto pienamente al nostro scopo. 2° Metodo fotografico del Cajal. Tra le varie modalità che di questo metodo furono consigliate dall’illustre nevrologo spagnuolo, abbiamo preferita la seguente, come quella che ci ha dato i migliori risultati: a) Fissazione, per 24 ore, in alcool assoluto ammoniacale (una goccia di ammoniaca su 10 cm? di alcool). 6) Rapido-lavaggio in acqua distillata. c) Immersione per 5—7 giorni in una soluzione 1,5°/, di nitrato d'argento, alla temperatura di + 35°—37°. dq) Ra- pido lavaggio in acqua distillata. e) Immersione dei pezzi per 24 ore nel liquido riduttore (idrochinone gr. 1,5 + acqua distillata cm? 100 + alcool assoluto cm? 10 + formalina del commercio cm? 10). 7) Nuovo lavaggio in acqua distillata. 9) Disidratazione nella serie ascendente degli alcool. A) Inclusione in paraffina (o in celloidina). Le sezioni microtomiche, di spessore non inferiore ai 30 u, si attaccano sui vetrini; si liberano della paraffina e si chiudono diretta- mente in balsamo xilolico, ovvero, ciò che è meglio, si sottopongono al seguente processo di aurificazione: «) Serie discendente degli alcool; 5) acqua distillata; y) immersione per 2—3 ore, al riparo dalla luce, in una soluzione 2°/,, di cloruro d’oro; à) lavaggio in acqua distillata; €) immersione per 10 minuti in una soluzione 5°/, d'iposolfito di soda; C) lavaggio prolungato, per 12 ore, in acqua di fonte; n) disidratazione e chiusura in balsamo. Chiasma gustativo nella lingua dell'uomo e di aleuni mammiferi. 395 V. Risultati. Per evitare soverchie lungaggini, descriveremo soltanto i risultati delle ricerche meglio riuscite. 19 Mus musculus. Esemplare 5, adulto. Il pavimento della bocca, con la mandibola e la lingua, previa asportazione della cute, si fissa per intero in una soluzione 10°, di formalina. Dopo 48 ore la metà posteriore della lingua, isolata, si sottopone ai successivi trattamenti del metodo Weigert da noi modificato. La esecuzione dei tagli (frontali) al microtomo congelatore ci offre non poche difficoltà, inerenti sopra tutto alla eccessiva piccolezza del pezzo; tuttavia riusciamo a raccogliere una serie, non perfettamente continua, di dodiei sezioni dello spessore di 40 u. Dall’esame complessivo di queste sezioni, delle quali sette soltanto spettano - all'unica papilla circumvallata, si rileva: 1° Che la detta papilla, poco o punto Fig. A (schematica) — Papilla sporgente sul piano della mucosa, ha vallata (solitaria) della lingua di forma cilindrica allungata, ma non Uno insane, Cines gustativo. presenta sulla superficie dorsale il solco longitudinale (accenno di bigeminismo) che vi ha notato lo Haller. 2° Che tanto la superficie di essa, quanto quella del vallo sono munite di calyculi gustatorii. 3° Che in questa regione giungono dai due lati due tronchi nervosi relativamente grossi, i quali provengono senzaleun dubbio dai due glosso-faringei. 4° Che ciascuno dei detti tronchi, come dimostra lo schema qui annesso (fig. A), dirigendosi in alto, verso il piano mediano (ed in avanti), giunge al di sotto del solco circumpapillare, dove si divide in due rami, dei quali l’uno è laterale, l’altro mediale. Il ramo laterale (che ben potrebbe dirsi ramo col- laterale) ascende quasi direttamente nel chorion della mucosa del vallo e si distribuisce ai corrispondenti calici. Il ramo mediale prosegue nel suo cammino e si suddivide in due ramoscelli terminal, che, a 396 Dr. Giovanni Vastarini-Cresi, loro volta, si possono distinguere in laterale e mediale; di questi il laterale volge verticalmente in alto, mentre il mediale, dirigendosi obliquamente in alto e verso il piano mediano, si decussa con l'omo- nimo dell'opposto lato. Si ha così la formazione di un vero e proprio chiasma periferico (in tutto paragonabile al chiasma dei nervi ottici) dal quale sorgono due tronchicini nervosi che si distribuiscono ai calici gustativi della papilla e ciascuno dei quali è composto di fibre omo- laterali e di fibre eterolaterali. i 2° Mus decumanus. Esemplare è, adulto. La lingua di questo animale, conservata da lungo tempo in formalina acquosa, fu sottoposta ai trattamenti del metodo originale del Weigert per le fibre mieliniche, vale a dire che il pezzo, dopo la mordenzatura primaria fu incluso in celloidina e la mordenzatura secondaria fu eseguita sulle sezioni. I risultati che si hanno con questo procedimento, lo abbiamo già detto innanzi, sono assai inferiori a quelli che il metodo del Weigert dà con la nostra modificazione, in quanto che, se pure si ottengono con facilità serie complete di sezioni, le fibre mieliniche, specialmente quelle che decor- rono isolate in seno ai tessuti, sono assai debolmente colorate o addi- rittura incolori, mentre invece molto intensamente si colorano le fibre elastiche. Ad ogni modo, dallo esame di una serie ininterrotta di 48 sezioni, spesse circa 40 u e di cui 15 comprendono l’unica papilla circumvallata, abbiamo potuto convincerci che i tronchi nervosi a questa destinati si comportano in guisa non molto differente da quella che osservammo in mus musculus. Anche qui il ramo linguale del glosso-faringeo, dopo aver dato un ramoscello collaterale alla mucosa del vallo, fornita di calici gustativi, forma con quello dell’opposto lato, una specie di chiasma, dal quale nascono i ramoscelli destinati alla mucosa papillare. 3° Myoxus avellanarius. Esemplare &, neonato. La lingua, sul cui dorso, mediante una lente d'ingrandimento, si discernono appena, come tre punti splendenti, tre papillae vallatae, si asporta insieme col pavimento orale e con la mandibola; si tratta col metodo fotografico del Cajal, e s'include Chiasma gustativo nella lingua dell'uomo e di alcuni mammiferi. 397 in paraffina. Senza grande difficolta si riescono ad ottenere sezioni frontali dello spessore di 30 uw. La zona linguale che include le tre papille si estende per 43 sezioni, ma la papilla centrale non occupa più di 9 sezioni. Dallo esame di queste, eseguito da dietro verso il davanti, si ricava che alla papilla medesima giungono, successivamente ed a breve intervallo, due paia di tronchicini nervosi, l'uno posteriore e l’altro anteriore, ma entrambi provenienti dalla medesima sorgente (glosso-faringeo). I due tronchieini che formano il paio posteriore s'incontrano e si fondono tra loro in plesso prima e ad una maggiore profondità di quelli che formano il paio anteriore. Questi ultimi, in fatti, come dimostra chiaramente la figura 1? della tavola, fedele ripro- duzione di una sola sezione microtomica, s'incontrano e si decussano in un piano alquanto piü superficiale, cioe a dire presso a poco in corrispondenza della base della papilla’). In tale sezione ciascuno dei tronchicini in parola risulta costituito da 5 a 7 fibre nervose, e talüna di queste, dopo la decussazione, si divide in 2 rami destinati rispet- tivamente alla metà destra e alla metà sinistra della papilla. Queste fibre biforcate ricordano quelle descritte dal Kühn nei nervi cutanei dorsali della rana e dal Cajal nel chiasma dei nervi ottici. Dalla medesima figura si rileva anche la completa mancanza di calici gusta- tivi nella mucosa del vallo, conformemente a quanto dagli autori fu notato per questo mammifero (cfr. Oppel [56], p. 362). Viceversa sembra che calici gustativi si trovino sulla superficie dorsale della papila medesima; ma si deve notare che questa sezione taglia la papilla in prossimità della sua periferia anteriore. 4° Erinaceus europaeus. Tutte le lingue dei quattro esemplari che avemmo a nostra dispo- sizione (tre 5 ed una 9), dopo asportazione e fissazione in formalina, furono trattate col metodo del Weigert modificato. I risultati ottenuti, salvo lievi varianti, si possono considerare come uniformi. Nell’esemplare che designammo con la lettera A, la zona linguale contenente le tre papillae vallatae, al microtomo congelatore, forni 1) Per base della papilla, intendiamo, con lo Zieler [71], il piano che sfiora il fondo del solco circumpapillare. 398 Dr. Giovanni Vastarini-Cresi, 20 sezioni frontali dello spessore di 40—50 u; ma la papilla centrale non occupa più di 9 sezioni. Procedendo all'esame di queste ultime da dietro verso il davanti, si riesce ad accompagnare i rami linguali dei due glosso-faringei, i quali occupano una posizione piuttosto super- ficiale, decorrendo quasi orizzontalmente verso il davanti e verso la linea mediana. Giunti, con lieve curva discendente, al di sotto della papilla, essi quasi bruscamente si risolvono in numerosi ramoscelli, i quali s'intrecciano tra loro dando luogo ad un plesso abbastanza com- plicato. Si può tuttavia, con un’accurata osservazione delle sezioni successive, acquistare la certezza che una gran parte delle fibre com- ponenti i due tronchicini nervosi incrociano la linea mediana per distribuirsi alla metà opposta della papilla. La fig. 2* della tavola, Fig. B. — Papilla vallata centralis della lmgua di erinaceus europaeus. Chiasma gustativo. Ricostruzione grafica su 7 sezioni, secondo il metodo di K. Schaffer. Ingr. 30 D. che riproduce, a medio ingrandimento, una sola sezione della serie, é già sufficiente a dare un'idea di questo scambio di fibre, mentre la fig. B (del testo), che é la rieostruzione grafica, a debole ingrandi- mento, del plesso papillare, eseguita sulle dette sezioni secondo il metodo di À. Schaffer [46], ne dà un'immagine complessiva abbastanza chiara 1). Nell'esemplare C, il plesso nervoso della papilla, risultante anch'esso dalla confluenza dei due tronchicini di destra e di sinistra, si può vedere nella sua quasi totalità in una sola sezione, la undecima della serie, quella riprodotta nella fig. 3* della tavola; nella quale figura *) Per il disegno delle singole sezioni, tanto per la lingua del riccio quanto per quella del macaco (v. in segito), ci siamo serviti del prezioso apparecchio del Greil, costruito dallo Zeiß. Chiasma gustativo nella lingna dell’uomo e di aleuni mammiferi. 399 é da notare un accenno di bigeminismo della papilla (simile a quello osservato dallo Haller nella papilla mediana di mus musculus) e la presenza di un nodulo linfatico nella meta destra della medesima. 5° Macacus rhesus. Si trattava di un individuo maschio, giovane, com’era attestato dalla completa mancanza degli ultimi molari. L'animale era stato conservato im toto in formalina al 10 0, previa iniezione di questa medesima soluzione nel sistema vascolare sanguigno. Sul dorso della lingua esistevano cinque papillae vallatae disposte a V. La papilla posteriore, impari (p. centralis), che formava Vapice del V, era anche la più piccola. La zona di lingua, in cui essa era compresa, fu isolata mediante due tagli frontali, paralleli, e sotto- posta al trattamento da noi indicato per la ricerca delle fibre mie- liniche (metodo del Weigert, modificato). Col microtomo congelatore se ne ottennero circa 60 sezioni dello spessore di 40 «; di tali sezioni soltanto 32 interessano la papilla ed il vallo, e 20 appena sono quelle che hanno importanza per il nostro argomento. Or, procedendo allo esame di queste ultime, da dietro verso il davanti, sì osserva quanto segue: 1. Nella prima sezione (che cade proprio nel contorno posteriore della papilla), ad una profondità approssimativa di 2 mm. dalla super- ficie della mucosa, a destra e a sinistra della linea mediana, distante da questa circa mm. 0,75, si trova il taglio obliquo di un tronco ner- voso. Dei due tronchi, che per la loro colorazione violetto-scura, spiccano nettamente sul fondo chiaro del preparato, il sinistro, sottile e di forma irregolare, ha la lunghezza di 1 mm.; il destro, assai più breve (mm. 0,3), ma più grosso, ha la forma di una tozza clava. Entrambi poi dirigono il loro maggior diametro dal basso in alto e dal piano laterale verso il piano mediano. 2—8. Nelle sette sezioni successive si ha presso a poco il medesimo reperto, se non che i due tronchi variano alquanto di forma e di dimensioni, mentre vanno man mano avvicinandosi alla superficie della mucosa ed al piano mediano, cosicchè nella sezione ottava distano da . quello di circa mm. 0,6. Frattanto è da notare che già in questa 400 Dr. Giovanni Vastarini-Cresi, sezione cominciano a vedersi nel chorion della papilla, e specialmente verso la base di essa, tagli obliqui o trasversi di tronchicini mielinici. 9—14. Nelle sezioni nona, decima (riprodotta nella fig. 42 della tavola) ed undecima & dato di osservare come il tronco di destra, il quale appare alquanto ingrossato, penetra decisamente nella base della papilla, mentre il tronco di sinistra, sempre di dimensioni piü modeste, non vi giunge che nelle sezioni dodicesima, tredicesima e quattor- dicesima; ma a questo punto le cose han mutato completamente aspetto: nel chorion della papilla, che qui si mostra nella sua massima ampiezza, si svolge un plesso fittissimo di sottili fibre mieliniche, in mezzo alle quali si possono intravedere — perché appena leggermente colorate in gialletto — numerosissime cellule gangliari. "Tuttavia, anche in quelle sezioni nelle quali il plesso appare piü intricato e piü fitto, eseguendo l'esame ad un debole ingrandimento, é possibile di rilevare come il plesso stesso risulti dallo insieme di due plessi secondarii, l|uno destro e l'altro sinistro, che si estendono dalla base verso la superficie libera della papilla e che si scambiano numerosi fili ana- stomotici. Il numero di questi fili, naturalmente, appare anche mag- — giore quando si ricorra a forti ingrandimenti, coi quali & possibile, sebben di rado, osservare fibre le quali, dopo un decorso ascendente più o meno lungo nell’uno dei plessi, si biforcano, per inviare l'una delle loro branche a destra, l'altra a sinistra del piano mediano della papilla. 15—20. Nelle rimanenti cinque sezioni, dalla quindicesima alla ventesima, il plesso nervoso della papilla si va facendo piü rado, fino a scomparire, cosicché nelle ultime non si scorgono che frammenti di tronchicini nervosi e sottili fibre isolate, - spesso varicose, le quali, come del resto nelle sezioni precedenti, si possono accompagnare fino nei pressi dell’epitelio. Ora, per poter ottenere una immagine complessiva della distri- buzione, nella descritta papilla vallata, dei due tronchi nervosi — i quali indubbiamente sono rami dei due glosso-faringei — abbiamo creduto opportuno, come già facemmo per il riccio A, di eseguirne la ricostruzione grafica secondo il metodo dello Schaffer (v. pag. 389). . La figura C, che abbiamo in tal modo ottenuta e che rappresenta la proiezione sul piano di sezione (piano frontale) del decorso dei due | Chiasma gustativo nella lingua dell’uomo e di aleuni mammiferi. 401 nervi, da una idea sufficientemente chiara ed esatta dei loro reciproci rapporti e del plesso al quale danno origine, onde non v’ha bisogno di molte spiegazioni. Ci limiteremo soltanto a far rilevare: a) la costante ineguaglianza di calibro dei due tronchi nervosi!); b) la pre- senza lungo il decorso del tronco destro, piü voluminoso, di un'anasto- mosi longitudinale con produzione di un occhiello: c) il forte scambio di fibre che ha luogo nel punto d'incontro dei due, in guisa da aversi la immagine di un vero chiasma; d) la formazione dei due semi-plessi, destro e sinistro, i quali, per tutta la loro estensione, restano abba- Fig. C. — Papilla vallata centralis della lingua di macacus rhesus. Chiasma gustativo. Ricostruzione grafica su 17 sezioni, secondo il metodo di K. Schaffer. Ingr. 30 D. stanza nettamente distinti, non essendo collegati tra loro che da sot- tli e poco numerosi ramoscelli anastomotici; e) la grande scarsezza di ramoscelli nervosi che dai due tronchi e dal plesso sono inviati alla mucosa del vallo, fatto quest'ultimo che é in perfetto accordo con lassoluta mancanza di calici gustativi nel vallo medesimo. 1) Abbiamo tentato di calcolare, con una certa approssimazione, il numero delle fibre di cui ciascun tronco è costituito; ma per il notevole spessore delle Sezioni e per la obliquità con la quale il taglio ha colpito costantemente 1 tronchi medesimi, abbiamo dovuto rinunziare ad una simile ricerca, del resto non necessaria alla sicurezza del nostro giudizio. Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI. 26 402 Dr. Giovanni Vastarini-Cresi, 6° Homo sapiens. Delle due lingue umane, che, come gia si disse, poterono essere, in parte, utilizzate per le nostre ricerche, luna apparteneva ad un uomo di 30 anni, l'altra ad una donna di circa 35 anni, morti en- trambi per malattie acute. — Nella prima il V linguale era costituito da 9 papille circumvallate, nella seconda da 7, ma in questa ultima, che appariva meglio conservata, la papilla centrale, esaminata con una lente d'ingrandimento, offriva un accenno di tripartizione, consi- stente nella presenza di due solchi sagittali sulla sua superficie libera. — In nessuno dei due casi si poté accertare la esistenza di un distinto foramen coecum, così come non si vide alcun accenno di sulcus terminalis. Da ciascuna delle due lingue, mediante due tagli frontali, fu asportata una zona di poco piu di 1 cm. di larghezza, comprendente la papilla centrale, e le due fette furono trattate col metodo del Weigert modificato. — Ne dall'una né dall’altra fu possibile ottenere serie complete di sezioni, poich@ molte di queste, per la non perfetta conservazione dei tessuti, furono gravemente danneggiate o andarono _ addirittura perdute durante le successive manipolazioni; inoltre la colorazione delle fibre mieliniche, nelle sezioni che giunsero in porto, si mostró sempre molto debole ed incompleta. Pure, dall'attento esame delle dette sezioni, ci riusci di formarei un'idea approssimativamente esatta del modo di distribuzione dei nervi nella papilla mediana e di giungere alla conclusione generale che, da questo punto di vista, esistono le più grandi analogie tra l’uomo e il macaco. Difatti, in. quello, come in questo, due tronchi nervosi (pro- venienti dai due glosso-faringei), giungendo nei pressi della papilla vallata centrale, si avvicinano e si decussano per grandissima parte delle loro fibre, le quali si recano alla metà etero-laterale della papilla medesima. Ed anche nelluomo, lungo il decorso dei fascetti nervosi, s'incontrano numerosi gruppi di cellule gangliari (gangli del Remak) le quali, come han dimostrato le recenti ricerche dello Zeler [71], debbono essere ritenute come reperto costante nella lingua umana. Frattanto tra l'uomo e il macaco corrono alcune differenze che meritano d'essere rilevate, e cioè: a) Mentre nel macaco l'incontro e Chiasma gustativo nella lingua dell’uomo e di aleuni mammiferi. 403 Vincrociamento dei tronchicini nervosi si verificano in corrispondenza della base della papilla, nell'uomo essi avvengono ad una maggiore profondità (nei due mostri casi la distanza tra questo punto e la Superficie dorsale della papilla misurava presso a poco il doppio del- l'altezza della papilla medesima). — 5) Nell'uomo il numero dei ramo- scelli nervosi destinati alla mucosa del vallo é assai superiore a quello che si osserva nel macaco, il che è certamente in rapporto col fatto che nella lingua umana il vallo della papilla vallata centrale — sempre nettamente delimitato dalla rimanente mucosa — è munito di nume- rosi calici gustativi, quali non s'incontrano nel vallo della papilla centrale del macaco. Ricorderemo in ultimo alcune particolarità che potemmo osservare nella lingua della donna: e) L’accenno di tripartizione della papilla, già notato sulla lingua intatta, si ritrova anche nelle sezioni micro- tomiche, nelle quali si rivela sotto forma di una duplice insenatura, non molto profonda dello strato epiteliale. — 8) Quali annessi della ripetuta papilla centrale, oltre alle ghiandole (gh. del von Ebner) che con i loro dotti escretori si aprono nel fondo del solco circumpapillare, se ne trovano altre, che, pur avendo i loro corpi al di sotto della base della papilla, mediante i loro dotti escretori si aprono bensi nel solco circumpapillare, ma ad un livello superiore a quello dei calici gustativi. — y) Finalmente nello spessore del derma papillare ci è stato dato osservare il corpo di una piccola ghiandola sierosa, il cui dotto escretore si apre alla superficie dorsale della papilla, in corri- spondenza di una delle due insenature, che, come abbiamo detto, costi- tuiscono l’accenno della tripartizione della papilla medesima. — Questi ultimi fatti, per quanto interessanti, dobbiamo pur dirlo, non sono completamente nuovi, poiché già furono osservati, se non nella nostra specie, in altri mammiferi, come si puó rilevare dalle opere dell’Oppel, dello Haller, del Kallius ece. VI. Riassunto. I risultati delle nostre indagini possono essere brevemente com- pendiati nelle seguenti proposizioni: 1° Nella lingua dei mammiferi, forniti di una papilla vallata 26* 404 Dr. Giovanni Vastarini-Cresi, mediana, impari, questa è costantemente innervata da rami dei due glosso-faringei, destro e sinistro. Tuttavia il contributo dato dai due nervi del IX paio non è sempre eguale, potendovi essere, a tal riguardo, notevoli differenze forse anche individuali. È così che nella lingua del macaco, da noi esaminata, il tronco destro era assai sensibil- mente più voluminoso del sinistro (v. fig. C, pag. 401). 2° Conformemente a quanto già da molti anni il Valentin e recentemente lo Zander ed il Rautenberg poterono assodare con le loro. ricerche macroscopiche e cliniche, condotte esclusivamente sul- l'uomo, noi potemmo, nella lingua di questo e di varii altri mammiferi (mus musculus, mus decumanus, myoxus avellanarius, erinaceus euro- paeus, macacus rhesus), dimostrare, con l'esame microscopico diretto, un passaggio parziale delle fibre sensoriali del glosso-faringeo da un lato all’altro del piano mediano. 3° È appunto nella zona linguale in cui si trova la papilla val- lata mediana — e nella maggior parte degli animali che ne sono forniti ) — che il detto passaggio si può verificare. Or la prova si- cura del fatto si ha facilmente con l’esame delle sezioni microtomiche seriate (v. figg. B e C), ma si può anche avere, evidente ed inoppugna- bile, in un’unica sezione (v. figg. 1—4 della tavola). 4° Il livello al quale le fibre di un lato oltrepassano la linea mediana, incrociando quelle del lato opposto, varia probabilmente da una specie animale all'altra: così, mentre nell’uomo l'incrociamento si verifica ad una notevole profondità dalla superficie della mucosa, nel moscardino, nel riccio, nel macaco, avviene in immediata vicinanza della papilla. 5° Non tutte le fibre componenti il: tronchicino nervoso, che ciascun glosso-faringeo invia alla papilla circumvallata impari, oltre- passano il piano mediano, ma soltanto la maggior parte di esse; le altre si distribuiscono alla metà omolaterale della papilla medesima. Per tal modo il plesso nervoso, spesso assai complicato, che si osserva !) Diciamo „nella maggior parte degli animali“ poichè probabilmente ve ne sono di quelli, che, pur essendo forniti di una papilla mediana, non presentano lincrociamento delle fibre nervose. Di fatti, nello esteso ed accurato lavoro dello Haller [18], si vede disegnata la papilla impari di un feto di pteropus edulis, la quale mostra sulla superficie dorsale una incisura, quasi accenno di duplicità. Ora, nel disegno stesso sono tracciati anche due tronchicini nervosi (destro e sinistro), ma questi non si scambiano fibre. Chiasma gustativo nella lingua dell'uomo e di alcuni mammiferi. 405 in corrispondenza della papilla vallata mediana, ha il significato di un vero e proprio chiasma (chiasma gustativo periferico) in tutto comparabile al chiasma (centrale) dei nervi ottici. 6? La somiglianza di siffatto chiasma periferico col chiasma ottico appare anche maggiore quando si considera che in quello come in questo si trovano le così dette fibre biforcate del Cajal. Tali fibre, non dissimili da quelle gia viste dal Kühn nella cute del dorso di rana fusca, furono da noi trovate con certezza soltanto nella lingua di myoxus avellanarius; ma e molto probabile che le ricerche ulteriori ne dimostrino l'esistenza anche nella lingua di altri mammiferi. 7° Lungo il decorso dei tronchieini nervosi e molto spesso nelle maglie del plesso, risultante dalla loro decussazione, s'incontrano gruppi più o meno cospicui di cellule gangliari (gangli del Remak) ?). Nota. La dimostrazione inoppugnabile da noi data della esistenza di un vero chiasma nervoso (chiasma gustativo periferico), in corrispondenza della papilla vallata mediana, nella lingua di varii mammiferi, offri- rebbe il campo ad una lunga serie di considerazioni sulla importanza fisiologica e sul significato morfologico degli incrociamenti nervosi centrali e periferici. E noi potremmo, sull'esempio altrui, addentrarci nel dédalo delle ipotesi circa: la loro utilità per l'organismo, in condi- zioni normali e patologiche; le cause che li determinano nella cosi detta filogenesi; il loro probabile sviluppo ontogenetico, ecc. Ma, per ora, pre- feriamo tenerci paghi alla pura e semplice esposizione dei fatti anatomici. Chi desideri aver contezza degli sforzi, talvolta ingegnosi, che da non pochi ricercatori furono fatti per risolvere le dette questioni e le altre piü generali che ad esse strettamente si riconnettono, potrà, come noi abbiam fatto, consultare, se non sempre con grande profitto, spesso con vero diletto, aleune delle opere e degli opuscoli riportati nel nostro indice bibliografico ed in ispecial modo quelle del Für- bringer, del Cajal, del Lugaro, dello Spitzer, del Radl, del von Schu- macher, dello Eisler, dello Zander. Napoli. aprile del 1914. !) Del significato di questi ganglietti microscopici si occuperà in altro lavoro il Dr. Magliulo, già interno del nostro Istituto. Bibliografia. Benda, C., Markscheidenfärbung an Gefrierschnitten. Verh. d. deutsch. pathol. Ges. 15 Tag. Straßburg 1912. p. 467—69. Boeke, J., Die Innervierung der Muskelsegmente des Amphioxus (Branchio- stoma lanceolatum) nebst einigen Bemerkungen über die Endigungsweise der motorischen Nerven bei den Vertebraten. Anat. Anz. 33. Bd. 1908. Idem, Die motorische Endplatte bei den höheren Vertebraten, ihre Entwicke- lung, Form und Zusammenhang mit der Muskelfaser. Anat. Anz. Bd. 35. 1909. Bolton, J. S., On the nature of the Weigert-Pal-method. Journ. of Anat. a. Physiol. vol. XXXII, 1898, p. 245—266 w. 3 figg. Braus, H., Einige Ergebnisse der Transplantation von Organanlagen bei _ Bombinatorlarven. Verh. anat. Ges. auf den 18. Vers. in Jena 1904. Ergänzungsheft z. Anat. Anz. B. XXV. S. 53—66. 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Idem, Weiterer Beitrag zur Kenntnis des Nervenverlaufs in der Rücken- haut von Rana fusca. 13 Fig. Arch. mikrosk. Anat. B. 57. S. 454 bis 479. 1901. 27. Lee, A. B. u. Mayer, P., Grundzüge der mikroskop. Technik. 3. Aufl. Berlin 1907. 28. Lugaro, E. Considerazioni critiche intorno alla ipotesi di Ramon y Cajal sul significato degli incrociamenti sensoriali, sensitivi e motori. 9 fig. Rivista di Patol. nerv. e ment. vol. 4, no. 6. p. 241—272. 1899. 29. Marcora, J., Ueber die Histogenese des Zentralnervensystems mit besonderer Rücksicht auf die innere Struktur der Nervenelemente. Fol. neuro-biol. B. 5. 1911. No. 9. p. 928—960. 3 Taf. 30. Meckel, G. J., Handbuch der menschlichen Anatomie. Halle u. Berlin 1815 bis 1820. 4 vol. : 31. Mertens, W., Ueber die Hautzweige der Intercostalnerven. Anat. Anz. XIV. B. No. 6. 1897. p. 174—177. 2 Fig. 32. Münch, J., Die Topographie der Papillen der Zunge des Menschen und der Säugetiere. Morphol. Arb. B. 6. 1896. 33. Nußbaum, M., Ueber den Verlauf und die Endigung peripherer Nerven. Verh. anat. Ges. 9. Versamml. in Basel. 1895. p. 26—30. 34. —, Plexusbildung und Verlauf der markhaltigen Nerven in der Frosch- und Mäusehaut. Sitz.-Ber. Niederrhein. Ges. Natur- u. Heilkunde zu Bonn 1897. 408 Dr. Giovanni Vastarini-Cresi. 35. Onodi, A., Die Verbindungen der oberen und unteren Kehlkopfnerven im Gebiete des Kehlkopfes. Arch. Laryngol. u. Rhinol. B. 12. H. 3. S. 450—453. | 35bis. Idem, Die Anatomie und Physiologie der Kehlkopfnerven. Mit ergänzen- den pathol. Beitr. 53 Fig. Berlin 1902. 36. Oppel, A., Lehrbuch der vergl. mikrosk. Anatomie der Wirbeltiere. III. T. (Mundhöhle usw.) Jena 1900. 97. Ottendorf, G., Die Plexusbildung der Nerven in der Mittellinie der Rücken- haut einheimischer Frösche. 9 Fig. Arch. mikr. Anat. B. 53. 1898. S. 181—148. | 38. Pighini, G., Sullo sviluppo delle fibre nervose periferiche e centrali dei gangli spinali e dei gangli cefalici nell’embrione di pollo. 2 Tav. Riv. sper. di freniatr. e medic. leg. vol. 30 fasc. 1. pag. 169—202. 39. Radl, E., Neue Lehre vom zentralen Nervensystem. pag. VII—496 mit 100 Abbild. im Text. Leipzig 1912. (Si veda specialm. il cap. IX: Ueber Nervenkreuzungen. p. 499—475.) 40. Ramstróm, Ueber die Innervation des Peritonaeum der vorderen Bauchwand. 1 Taf. u. 1 Fig. Verhandl. anat. Ges. auf d. 18. Vers. in Jena 1904. S. 44—51 (v. spec. la risposta dell’A. al Barfurth). 41. Rauber, A. Lehrbuch der Anatomie des Menschen. VI. Aufl. II. Bd. 1908. (V. a pag. 558). 42. Rautenberg, E. Beiträge zur Kenntnis der Empfindungs- und Geschmacks- nerven der Zunge. Inaug. Dissert. Kónigsberg. 45 S. u. 2 Taf. 1898. 48. Ruppricht, Beitrag zur Spielmeyer-Methode der Markscheidenfärbung und zur Aufklebetechnik von Gefrierschnitten. Zeitschr. f. wiss. Mikr. Bd. . XXVIII, 3. p. 281—85. 44. 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In Qwain, Trattato completo di Anat. umana. Trad. ital. sulla X inglese, con note orig., del Prof. P. Lachi. Milano 1899. 59. Toulouse, E. et Vaschide, N., Topographie de la sensibilité gustative de la bouche. C. R. de l'Acad. de Sc. Paris 1900. T. CXXX. p. 1216—18. 56. Türck, L., Vorläufige Ergebnisse von Experimentaluntersuchungen zur Er- mittelung der Hautsensibilitätsbezirke der einzelnen Rückenmarksnerven- paare. Sitz.-Ber. d. Wiener Akad. Math. naturw. Kl. Bd. 21. 1856. 57. Valentin, G., Trattato di Neurologia. In Enciclopedia anatomica del Sömmering. Trad. ital. Napoli 1882. 88. Vastarini-Cresi, G., Paralisi coniugata dei movimenti oculari di lateralita. Annali di Neurologia, anno XIV, fasc. 3—4. 1896. 59. Idem, Le vie ottiche. Lezione. Napoli 1903. 60. Wertheimer, E., Sur les anastomoses réciproques des deux pneumogastriques dans le thorax chez l'homme. C. R. Soc. Biol. Paris. T. 53. p. 832—834. 61. Wyman (cit. dallo Henle), Amer. Journ. of med. Sciences. 1864. p. 343. 62. Zander, R., Ueber die sensibeln Nerven der Rückenfläche der Hand bei Säugetieren und beim Menschen. Anat. Anz. Bd. IV. 1889. p. 751—759 e 775— 785. 63. Idem, Ueber das Verhalten der Hautnerven in der Mittellinie des mensch- lichen Körpers. Sitz.-Ber. der biol. Sektion d. physik.-ökonom. Gesellsch. zu Königsberg i. Pr. 1897. 64. Idem, Beiträge zur Kenntnis der Hautnerven des Kopfes. Festschr. z. XXV. Professorjubiläum d. Prof. Fr. Merkel. Anat. Hefte. H. XXVIII—XXX. p. 3—77. 1897. 65. Zander, R., Ueber das Verbreitungsgebiet der Gefühls- und Geschmacks- nerven in der Zungenschleimhaut. Anat. Anz. Bd. XIV. 1897. p. 131 bis 145 mit 1 Abbild. 66. Idem, Kleine Mitteilungen aus dem Gebiete des peripherischen Nervensystems. I. Die Verbreitungsweise der Intercostalnerven. II Die Verbreitungsweise der Gefühls- und Geschmacksnerven der Zungenschleimhaut. Sitz.-Ber. biol. Sekt. Physikalisch.-ókonomisch. Ges. Königsberg i. Pr. XXXVIII. Jahrg. 1897. p. 480. 67. Idem, Ueber kollaterale Innervation der äußeren Haut und die Bildung der peripherischen Nerven. Verh. Ges. deutsch. Naturf. u. Aerzte. 82. Ver- samml. Königsberg 1910. Teil 2. p. 451—453. 68. Idem, Beitrag zur Entwicklung der Nerven. Schrift. physik.-ökon. Gesellsch. Königsberg i. Pr. Jahrg. 51. 1910. p. 339. 410 Dr. Giovanni Vastarini-Cresi, Chiasma gustativo nella lingua dell'uomo etc. 69. Idem, Neue Stützen für die Neurontheorie. Verh. wissensch. Heilk. Königs- berg i. Pr. Sitz. v. 19. Februar 1912. 70. Idem, Beitrag zur Kritik der Berechtigung der Neuronentheorie auf Grund eigener und fremder Beobachtungen. Nova Acta. Abh. Kais. Leop. Carol deutsch. Akad. Naturf. Bd. 97, Nr. 1. p. 1—39. 71. Zieler, K., Zur Anatomie der umallten Zungenpapillen der Menschen. Anat. Hefte. Bd. XVI. 1901. H. 58. p. 761—782 mit 2Fig. auf Taf. XLIX. Spiegazione delle figure (Tav. XI). NB. Tutte le figure furono eseguite col sussidio della camera lucida Abbe-Apathy. Fig. 1. Papilla vallata centralis di myoxus avellanarius. Sezione frontale. Metodo fotografico del Cajal. Ingr. = 280 D. Fig. 2. Papilla vallata centralis di erinaceus europaeus (esempl. A.). Sezione fron- tale. Metodo Weigert modificato. Ingr. — 80 D. Fig. 9. Papilla vallata centralis di erinaceus europaeus (esempl. C.). Sezione fron- tale. Metodo Weigert modificato. Ingr. = 80 D. Fig. 4. Papilla vallata centralis di macacus rhesus. Sezione frontale. Metodo Weigert modificato. Ingr. — 50 D. Istituto di Patologia generale della R. Universita di Napoli. Diretto dal Prof. G. Galeotti. L’influenza dei raggi ultravioletti sulla rigenerazione dell’apparato pigmentario della cute dei Tritone. Per il Dott. Luigi Torraca. (Con Tav. XII e 1 Fig.) In un mio precedente lavoro !) ho concluso che i raggi ultravioletti hanno un'influenza molto forte sulle cellule pigmentate della cute del Tritone. In seguito all’azione dei raggi ultravioletti, si producono nelle cellule pigmentate due ordini di fenomeni: da un lato si hanno cam- ‘biamenti di forma e di posizione dei cromatofori che conducono allo ammassamento del pigmento nelle cellule per la retrazione dei prolun- gamenti, ed allo stretto stivamento delle cellule stesse tra loro, e d’altra parte si ha una notevole formazione di pigmento nell’interno degli elementi pigmentati sia epiteliali che connettivali. Il risultato finale di questi due fenomeni è un forte, e talora fortis- simo aumento della opacità della cute. Però negli esperimenti eseguiti sopra animali adulti, e quindi con il sistema pigmentario cutaneo completamente sviluppato, è piuttosto difficile provare la neoformazione di pigmento, dovuta alla influenza dei raggi altravioletti, potendo essa essere facilmente masche- rata dalla retrazione dei prolungamenti dei cromatofori, e dal reci- proco ravvicinamento dei cromatofori stessi. 1) L. Torraca. L'azione dei raggi ultravioletti sulla pigmentazione della cute del tritone. Intern. Monatsschr. Anat. u. Phys. Bd. XXX. 412 Luigi Torraca, Per ovviare a questo inconveniente ho pensato di fare agire i raggi ultravioletti su tessuti che fossero privi o almeno assai scarsamente provvisti di pigmento. Non ho potuto servirmi di giovani larve di anfibi (rane, tritoni), perché i raggi ultravioletti le uccidono molto rapidamente. Avendo già veduto che i tritoni adulti resistono molto bene, quando si piglino certe precauzioni, agli esperimenti, ho pensato di usare i tessuti rigeneranti di questi animali come materiale da esperimento. La coda in via di rigenerazione e le ferite cicatrizzanti della cute del tritone si prestano egregiamente a questo scopo in quanto che in esse la formazione del pigmento avviene quanto il cono di accrescimento ha già raggiunto una certa lunghezza, 0, rispettivamente, quando l'epitelio ha già ricoperto la soluzione di continuo, di modo che i tessuti neo- formati possono essere esposti ai raggi ultravioletti quando ancora non contengono che una scarsissima quantità di cellule pigmentate. Metodi e tecnica di esperimento. L'animale usato per gli esperimenti fu il £rétom cristatus. I tritoni venivano tenuti in vasi di vetro, contenenti piante acquatiche, alla luce diffusa, ma in luogo in cui i raggi del sole non battessero mai. Essi venivano nutriti con carne triturata; l'acqua era frequentemente cambiata. Per esporli ai raggi ultravioletti i tritoni erano rovesciati sul dorso e legati per i quattro arti, sopra assicelle di sughero. Il corpo dell'animale era coperto di ovatta abbondantemente bagnata di acqua, sull'ovatta si stendeva una lamina di piombo; solo la coda restava scoperta e poggiava sopra un letto di ovatta bagnata. Nel corso dell'esperimento essa era poi frequentemente umetata in modo che rimanesse il piü possibile umida. La lampada di quarzo era una Haereus da 75 volts: tra la sorgente luminosa e l'animale la distanza fu costantemente di 20 centimetri. Per l'esame microscopico mi son servito del seguente metodo: 1. Fissazione in liquido di Bouin (picro-acetico), 2. Decalcificazione in miscele picro-nitrica (Mayer), L'influenza dei raggi ultravioletti sulla rigenerazione dell’apparato etc. 413 3. Lavaggio prolungato in acqua distillata, disidratazione in alcool, inclusione in paraffina, 4. Tagli in serie dello spessore di 10 u, 5. Colorazione con emoallume di Mayer ed eosina; chiusura dei preparati in balsamo del Canadà. I. Serie d'esperimenti: Rigenerazione di code amputate. Esperimento 1: 25. Marzo: a 2 tritoni si taglia circa la metà della coda. 17.aprile. La coda comincia a ricrescere, la parte neoformata semi- lunare e trasparente é lunga cirea 1 mm. Uno degli animali, contra- distinto con la lettera A, è tenuto per controllo, l'altro, B, è esposto ai raggi ultravioletti per trenta minuti, a capo ai quali il tessuto neo- formato é divenuto di un color rosa vivo. 18. aprile. Esposizione ai raggi ultravioletti per 30 minuti. 20. aprile. Esposizione ai raggi ultravioletti per 30 minuti. Nel tessuto neoformato si comincia a vedere qualche granulo nero, specialmente presso il confine con la porzione di coda preesistente. 21. aprile. Esposizione ai raggi ultravioletti per 15 minuti. 22. aprile. Esposizione ai raggi ultravioletti per 20 minuti. 23. aprile. Esposizione ai raggi ultravioletti per 30 minuti. Il tessuto neoformato è divenuto sempre più scuro, però, con- temporaneamente, esso ha subito come un raggrinzamento, per il quale il suo volume è andato riducendosi; esso tende evidentemente a scom- parire, perciò si tagliano le code dei due animali e si fissano. Reperto microscopico. Tritone A (controllo). Coda in via di rigenerazione al ventunesimo giorno. Epitelio composto di diversi strati di cellule, poliedriche le più profonde, appiattite le superficiali. I tessuti sottocutanei si riducono ad un connettivo formato da cellule ramificate in varia guisa, con grosso nucleo rotondo od ovale e da una sostanza intercellulare fibrillare ; nel connettivo vi sono abbastanza numerosi vasi sanguigni. Nell’epitelio vi sono scarse cellule pigmentate alcune ramificate, che spingono i loro prolungamenti tra cellula e cellula, tali prolunga- 414 | Luigi Torraca, menti, sono sottili e varicosi; la quantità di pigmento contenuta nelle cellule & piuttosto abbondante. Vi sono anche cellule pigmentate a tipo poliedrico senza prolungamenti apparenti, ma sono scarsissime e con- tengono solo pochi granuli di pigmento raccolti intorno al nucleo. Nu- merose figure cariocinetiche in tutti gli stadü. Le cellule pigmentate del connettivo sono un poco più numerose, esse sono più abbondanti al confine col tessuto preesistente; in questo punto lo strato pigmentato dermo-epidermico sembra prolungarsi dalla vecchia alla nuova coda. I cromatofori divengono sempre piu rari man mano che si va verso la punta del cono neoformato dove finiscono col mancare del tutto. Sotto l’epitelio, come ho gia detto, nella parte prossimale, si comincia gia, a formare lo strato pigmentato. Esso però non è ancora costituito che da poche cellule, distanti tra loro, i cui prolungamenti formano una rete a maglie rade. La quantità di pigmento contenuta in tali cellule di poco differisce da quella delle cellule normali. Non mancano cellule pigmentate anche più profondamente, esse contengono una minor quantità di pigmento, raccolto intorno al nucleo, mentre i prolungamenti ne sono privi. - Tali cellule non differiscono per nulla, nella forma, delle altre cellule connettivali. Tritone B. Coda in via di rigenerazione al ventunesimo giorno. L’esposizione ai raggi ultravioletti, praticata per 6 giorni, ha avuto una durata complessiva di 2 ore e 35 minuti. L'azione dei raggi ultravioletti è stata molto forte. La parte neo- formata della coda è andata incontro ad un processo regressivo per cui essa è considerevolmente ridotta di volume. Nell’epitelio le alterazioni, che è dato notare, sono anzitutto una gran diminuzione delle figure cariocinetiche, che sono quasi completamente scomparse. Le poche che restano sono alterate; 1 cromosomi, sono diminuiti di numero, spezzet- tatiedisordinati, mentre protoplasma è pieno di vacuoli; vacuolizzazione, perdita di confini distinguibili, nuclei divenuti omogenei e fortemente tingibili sono le alterazioni delle cellule epiteliali. Il pigmento è aumen- tato negli elementi epiteliali rispetto a quello contenuto nelle cellule del tritone di controllo, ed è anche cresciuto il numero delle cellule cromato- L'influenza dei raggi ultravioletti sulla rigenerazione dell’apparato etc. 415 fore; non tanto di quelle ramificate quanto delle poliedriche. Anche nei tessuti profondi la quantita di pigmento è cresciuta sia ri- euardo al numero delle cellule, che sono molto piü numerose e piü vicine perció le une alle altre, che rispetto al piemento in esse con- tenuto essendo esse molto piu nere delle corrispondenti cellule dello animale di controllo. Esperimento VI. 16. aprile. Tagliata a quattro tritoni circa la metà della coda. 13. maggio. La coda é in via di rigenerazione; la parte neo- formata, semilunare e trasparente, é lunga circa due millimetri. I quattro tritoni, distinti con le lettere A. B. C. D. sono messi in 4 bic- chieri separati. Il tritone A é tenuto per controllo, eli altri tre sono esposti ai raggi ultravioletti. il 13. maggio per quindici minuti. Al cessare dell'esposizione si nota che la parte di coda neoformata & divenuta rosea, e guardandola contro luce, specialmente attraverso una lente di ingrandimento, vi si vedono benissimo numerosi vasellini che formano una ricca rete. 14. maggio. Esposti 13 tritoni per venticinque minuti. 16. maggio. Esposti 1 3 tritoni per venti minuti. 17. maggio. Esposti i 3 tritoni per venticinque minuti. Nella coda neoformata si comincia a notare un iscurimento, dovuto a minutissimi granuli neri che rendono il tessuto meno trasparente. Essi sono più numerosi verso il confine tra il tessuto vecchio ed il nuovo. Si taglia la punta della coda del tritone B e si fissa. 19. maggio si espongono i tritoni C e D per 20 minuti. 20. maggio si espongono i tritoni C e D per 20 minuti. 21. maggio si espongono i tritoni C e D per 15 minuti. La pigmentazione dei tessuti neoformati è andata aumentando; quasi tutta la parte riprodotta è nera, resta solo una piccola zona verso la punta che é trasparente, ma anch'essa tutta seminata di granuli neri. Si taglia e si fissa la punta della coda del tritone C. 22. maggio si espone il tritone D per un quarto d'ora. Alla fine della esposizione la coda rigenerata é di un color nero lucido, mentre quella 416 Luigi Torraca, ^ del controllo é ancora trasparente, e comincia appena a contenere qualche granulo nero (v. fig. A). Peró la coda del tritone D sembra un poco rimpicciolita e come ragerinzita. 23. maggio. Il raggrinzamento della cute della coda di D & aumentato e c'è una desquamazione abbastanza evidente anzi la punta presenta una piccola ulcerazione; si espone l’animale ai raggi per un quarto d’ora, e subito dopo si tagliano le code di A e di D e si fissano. Reperto microscopico. | | Tritone A (controllo). Coda in via di rigenerazione al trentaset- tesimo giorno. Il tratto rigenerato è composto di connettivo embrionale formato da cellule polimorfe a nucleo. elissoidale, molte cellule sono rule Esperimento VI. Code di tritone amputate rigeneranti al trentaseiesimo giorno: A = controllo; D = dopo un’esposizione ai raggi ultravioletti ripetuta otto giorni con la durata complessiva di un'ora e cinquanta- cinque minuti. stellate. Vi sono parecchi nuclei in diverse fasi cariocinetiche. Tra questi elementi corrono numerosi vasi Sanguigni piu numerosi al con- fine dermo epidermico, dove formano una vera volta vasale, ed alla estrema punta della coda. L’epitelio è composto di parecchi strati di cellule, i più esterni desquamanti. Tra le cellule epiteliali si vedono numerosissime figure cariocinetiche in tutte le fasi; dall’epitelio partono propaggini piene di cellule epiteliali, tra le quali molte contengono figure cariocinetiche, che sono abbozzi di glandole cutanee. Quanto al pigmento si nota: 1. che l'epitelio ne è quasi completa- mente privo. 2. che i cromatofori si trovano al confine dermo-epider- mico. Essi sono poco numerosi, e meno scuri di quelli della coda preesi- stente. Anzi ve ne sono di tutte le gradazioni e il loro colore dipende dal numero dei granuli di pigmento in essi contenuti; i cromatofori più vicini alla punta della coda ne sono più poveri di tal che in alcuni di essi L’influenza dei raggi ultravioletti sulla rigenerazione dell’apparato etc. 417 si puö benissimo distinguere il nucleo grosso, ovale, del tutto simile a quello delle altre cellule connettivali. I cromatofori sono più numerosi verso la radice della coda neoformata, dove essi si continuano con lo strato pigmentato preesistente, diminuiscono di numero man mano che si procede verso la punta. Essi pero non son mai molto numerosi, eson dispostia distanza spesso notevole gli uni dagli altri; in parecchi di essi si notano figure cariocinetiche. La punta della coda ne è priva; solo in qualche taglio si vedono pochi granuli, tanto pochi che potreb- ‘bero facilmente contarsi, intorno ad alcuni nuclei. Tali granuli sono disposti in alcune cellule intorno al nucleo e così vicini ad esso che li, dove, essendo in maggior quantità, essi giungono a coprirlo tutto 0 quasi, lo strato da essi formato ne modella esattamente la forma. In altre cellule i granuli più numerosi cominciano a spingersi nei prolun- gamenti; tali cellule si trovano più frequentemente in vicinanza dei vasi sanguigni. Tritone B. Coda in via di rigenerazione al trentunesimo giorno; l'esposizione ai raggi ultravioletti è stata fatta quattro giorni per la durata totale di un’ora e 25 minuti. | La cosa che colpisce a prima vista nell’osservare i preparati micro- scopici della coda del tritone B é la straordinaria abbondanza di pig- mento nel tratto rigenerato paragonato a quello del tritone dicontrollo. Tale pigmento & in parte epidermico ed in parte dermico. Come disposizione generale é da notare che mentre in qualunque punto dell'epitelio del cono di rigenerazione compreso quello della estrema punta si trovano cellule pigmentate, non è cosi del derma o meglio del tessuto profondo in eui si trovano cromatofori solo nella parte piü prossimale. Con l'osservazione ad ingrandimento piu forte si nota che nello epitelio vi sono ancora numerose figure cariocinetiche, ma che esse mostrano qua e là segni di un disturbato processo mitotico, e cioè ine- guale distribuzione e spostamento dei cromosomi (in alcuni elementi anzi un certo numero di cromosomi è addirittura fuori della cellula), e vacuolizzazione del protoplasma. Le cellule epiteliali adulte non sono alterate, solo la desquamazione degli strati superficiali sembra aumentata. Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI. 27 XB os Ki : ^' Luigi Torraca, Il pigmento epiteliale è contenuto in cellule di diverse specie: in. cellule epiteliali propriamente dette ed in cellule ramificate. Le prime sono cellule epiteliali. poliedriche o pavimentose, si trovano per lo più negli strati più esterni, il pigmento che non é mai abbon- dante è raccolto intorno. al nucleo; in molte cellule esso assume Ja disposizione polare formando una calotta intorno a quella parte ‘della superficie del nucleo che guarda l’esterno. La maggior parte del pigmento epidermico è però contenuta nelle ‘cellule ramificate. Queste sono ‘cellule a grosso nucleo ovoidale o .ellittico, che contengono un numero variabile di granuli di pigmento che è quasi sempre abbondante. . Tali cellule sono fornite di prolungamenti ramificati varicosi e ‘lunghissimi che serpeggiano elegantemente negli spazii intercellulari, ‘spingendosi fino a grande distanza dalla cellula a cui appartengono. Il pigmento del tessuto profondo è contenuto in cellule ramificate, :del tutto simili a quelle descritte a proposito dell’epitelio. Ho già detto che tali cellule abbondano nella parte prossimale della coda rigenerata, la punta anzi ne è addirittura priva o per lo meno in essa 1 cromatofori. ‘sono ridotti a qualche cellula con scarsi granuli perinucleari. Lì dove sono più abbondanti i cromatofori formano già una rete .abbastanza fitta che abbraccia nelle sue maglie lo strato vasale sotto epidermico; anche più profondamente vi sono cellule pigmentate ma scarse. In qualche cromatoforo si vedono figure cariocinetiche. Oltre le cellule su descritte vi sono altri elementi rotondi od ellittici, senza apparenti prolungamenti così ricche di pigmento da apparire completamente nere. DEE | T'ritone C. Coda in via di rigenerazione al trentacinquesimo giorno. L’esposizione ai raggi ultravioletti è stata fatta per sette giorni con una durata totale di 2 ore e 20 minuti. L'epitelio non contiene piü che scarsissime figure cariocinetiche ed anche queste non sono che un ammasso di cromosomi frammentati e disordinati. L'epidermide sembra piü basso di quello del tritone B, special- ficiali & di molto accentuata. | mente verso la punta della coda, e la desquamazione degli strati super- | | | | L'influenza dei raggi ultravioletti sulla rigenerazione dell'apparato etc. 419 La quantità di pigmento contenuta nei tessuti rigenerati & in com- plesso aumentata, ma non in eguale misura nell'epitelio e nel connettivo. Infatti nei tessuti profondi le cellule pigmentate sono molto numerose mentre nell'epidermide esse rimangono press'a poco nello stesso numero di quelle del tritone B. Nel connettivo invece le cellule piementate formano uno strato che, senza interruzione, occupa il confine dermo epidermieo di tutta la porzione di coda rigenerata. L’abbondanza di cromatofori peró scema un poco man mano che si procede verso la punta. Queste cellule pig- mentate sono di due specie, alcune ramificate a nucleo ovale od ellittico altre.a nucleo rotondo senza apparenti prolungamenti. Tanto le prime quanto le seconde presentano, nel loro contenuto di pigmento, tutta una gradazione, da pochi granuli sparsi nel protoplasma ad una colo- razione nero intenso con completo occultamento del nucleo e questi elementi piu pigmentäti si trovano per lo più nella parte più prossimale del tessuto rigenerato. | Tritone D. Coda in via di rigenerazione al trentasettesimo giorno. | L'esposizione ai raggi ultravioletti è stata fatta per 9 giorni per la durata complessiva di due ore e cinquanta minuti. In questo animale l’azione deleteria dei raggi ultravioletti ha già avuto effetti molto forti. Tutto l’epitelio della parte neoformata è caduto, resta solo qualche piccola isola, anch'essa però costituita di cellule in via di disfacimento, sicchè in molti punti gli strati superficiali sono formati da una sostanza amorfa, che si è colorata diffusamente con l'emoallume e che non con- tiene più che avanzi nucleari sotto forma di ammassi irregolari di cro- matina. L'importante è che questo strato superficiale è completamente impregnato di pigmento. Questo forma un ammasso abbastanza spesso di granuli, i quali però, solo qua e là sembrano ancora conte- nuti in elementi cellulari, mentre per la massima parte essi sono isolati o riuniti in zolle più o meno voluminose. Granuli e zolle di ‘pigmento sono così fitti da formare in alcuni punti una striscia che a debole ingrandimento sembra quasi omogenea. Esperimento X. 16 maggio. A 3 tritoni si taglia la meta della coda, poi i tre 27* 420 Luigi Torraca, animali distinti con le lettere A. B. C. vengono messi in tre bicchieri separati. L'animale A é tenuto per controllo. 5 giugno. Le code sono ricresciute per circa 2mm, neitessuti neo- formati trasparenti si comincia a vedere qualche sranulo nero. Esposizioni degli animali B e C ai raggi ultravioletti per un quarto d'ora. Alla fine dell’ esperimento si nota intensa iperemia delle code, rivelata dalla iniezione vasale visibile come una sottile rete color rosso vivo. | 6 giugno. Si nota già un iscurimento dei tessuti rispetto al controllo. Esposizione per un quarto d'ora, dopo la quale l’iscurimento sem- brando ancora aumentato, si taglia e si fissa la coda del tritone B. 7 giugno. Esposizione del tritone C per un quarto d'ora. 8 giugno. Esposizione del tritone C per un quarto d'ora. Poiché sembra visia un principio di alterazione, della cute: desquamazione abbondante, secchezza e ragerinzamento, si taglia e si fissa la coda insieme a quella del tritone di controllo. Reperto microscopico. Tritone A (controllo). Coda in rigenerazione al ventitreesimo giorno. _ La pigmentazione dei tessuti rigeneranti é piu avanzata di quel che pareva alla osservazione macroscopica. Il pigmento é contenuto sia nell'epitelio che nei tessuti profondi. L’epitelio ne contiene poco per lo più in cellule ramifieate, solo in poche cellule poliedriche si vedono eranuli di pigmento. Tanto l'epitelio di rivestimento quanto le pro- paggini glandolari, che cominciano a spingersi nel tessuto sottostante, contengono un gran numero di nuclei in cariocinesi. La massima parte delle cellule pigmentate son contenute nel tessuto profondo, in cui esse, al confine dermo epidermico, formano uno strato, che in molti punti e specialmente nella parte prossimale é già continuo, nel senso che i prolungamenti delle singole cellule si in- trecciano tra loro, mentre verso la punta i cromatofori diminuiscono grandemente di numero. Vi sono cromatofori in tutti gli stadii di pigmentazione: in quelli . piü neri il nucleo & già completamente nascosto e questi si trovano per | lo più verso la base del tratto di coda rigenerato. L'influenza dei raggi ultravioletti sulla rigenerazione dell’apparato etc. 421 Le cellule pigmentate si spingono abbastanza verso i tessuti pro- fondi, molte di esse presentano il nucleo in cinesi. | Tritone B. Coda in via di rigenerazione al ventunesimo eiorno. L’esposizione ai raggi ultravioletti & stata fatta per due giorni con una durata complessiva di trenta minuti. L’epitelio non é per nulla danneggiato: anche la desquamazione non sembra molto maggiore che nell’animale di controllo. Solo le figure cariocinetiche sono diminuite, e quelle che possono ancora vedersi sono in varia guisa alterate. Il pigmento è aumentato in modo notevole nei tessuti sottoepiteliali sia come numero di cellule pigmentate sia come quantità di granuli nei singoli elementi, questi formano uno strato continuo fino alla estrema punta della coda, regione in cui anzi sembrano piu fitti e più neri. Lo strato che essi formano, é abbastanza alto, ed iloro prolungamenti arrivano molto profondamente, anzi nel mezzo, ad egual distanza tra 1 due margini, si vedono parecchie cellule pigmentate o in via di pigmentazione. La rete formata dai prolungamenti & piü stretta, infine le cellule sono piü nere che nell'animale di controllo. Come al solito gli elementi più pigmentati sono quelli rotondi od ovoidäli senza prolungamenti apparenti. In qualche cromatoforo si vede il nucleo in cariocinesi. Nell'epitelio il numero delle cellule pigmentate é meno grande, esse sono piü nere che non quelle del tritone di controllo. Tritone C. Coda in via di rigenerazione al ventitreesimo giorno. L’esposizione ai raggi ultravioletti è stata fatta per 4 giorni per la durata complessiva di un’ora. Nel tritone © si riscontrano le condizioni del sistema pigmentario già descritte nei due precedenti animali, ma ancora esagerate, e preci- samente le cellule pigmentate dermiche sono più nere. Solo nel cono terminale della coda in via di rigenerarsi ci sono delle cellule in cui il pigmento è più scarso, essendone i grani ancora così rari da lasciar visibile il nucleo. Alcune, ma poche, di tali cellule stanno nell’epitelio, la massima parte sta nel connettivo. I cromatofori sono più fitti, e la rete che essi formano ha le maglie molto più strette, perciò lo strato, continuo in tutta la coda neoformata, che essi costituiscono, è molto più scuro che negli animali A e B. Tale 499 : Luigi Torraca, Strato é anche piü basso, il che significa che i cromatofori si sono ravvicinati tra loro. L'epitelio contiene scarsissime figure oem e scarse cellule pigmentate, per lo piu ramificate. Esperimento XII. 22, maggio. Tagliata la meta della roel a im ani À e B. 7. Giugno. Le code in via di rigenerazione sono poco più lunghe di 1 mm. Nel tessuto trasparente si vede appena qualche granulo nero. Il tritone A è tenuto per controllo. Il tritone B viene esposto per un quarto d’ora ai raggi ultravioletti. 8. 9. 10. 11. Giugno. Esposto ogni giorno l’animale per un quarto d'ora ai raggi ultravioletti. L'11 subito dopo l'esperimento si tagliano e si fissano le due code. | | Reperto microscopico. Tritone A (controllo). Coda in via di rigenerazione al sedicesimo giorno. Nell’epitelio vi sono numerosi nuclei in cariocinesi. Cominciano appena a formarsi le propaggini glandolari. Il connettivo & formato da elementi ramificati abbastanza radi e contiene parecchi vasi san- guigni. Il pigmento è scarso. Nell’epitelio si notano poche cellule ramificate, ed anche minor numero di elementi poliedrici pigmentati. Nel connettivo i cromatofori sono un po’ piu numerosi, e piü verso Ja radice che verso la punta della coda rigenerata. Essi sono abbastanza grossi, ben forniti di pigmento con prolungamenti sottili, lunghi e varicosi. Molte di tali cellule, tanto nel connettivo che nell'epitelio hanno il nucleo in cinesi. i Tritone B. Coda in via di rigenerazione al sedicesimo giorno. La esposizione, fatta per ea giorni ha avuto la durata complessiva di un'ora. L’epitelio è molto danneggiato dall’azione dei raggi alta nine na In qualche punto esso è caduto. Altrove si osserva benissimo il processo di disfacimento delle cellule epiteliali. I nuclei impallidiscono e si spezzettano; se vi sono elementi in cariocinesi, i cromosomi divengono pallidi e varicosi, disordinati, Si frammentano e scompaiono; il corpo cellulare perde i confini, e cosi L’influenza dei raggi ultravioletti sulla rigenerazione dell'apparato etc. 493 dei gruppi di elementi vengono a formare un ammasso di sostanza amorfa. Tale processo comincia negli strati piu profondi, eli strati superficiali appiattiti resistono di piü, essi si sollevano poi desquamano, ed infine tuttoil blocco si stacca lasciando scoperto il sottostante strato pigmen- tario, che in questo momento é ancora intatto. Nell'epitelio sono scarse le cellule pigmentate, tanto ramificate quanto poliedriche. Nei tessuti profondi colpisce a prima vista il numero dei vasi sanguigni che verso la punta divengono tanto numerosi da occupare quasi tutto il tessuto sotto epiteliale. Tali vasi capillari, di cui qua e là si distingue benissimo l'endotelio, sono pieni di globuli rossi e ' bianchi; sono numerosi i cromatofori che al confine dermoepidermico formano già uno strato continuo, i loro prolungamenti formano una ricca rete che si spinge abbastanza nella profondità. Le singole cellule sono abbastanza ricche di pigmento, qualcuna anzi é già del tutto nera. II. Serie d’esperimenti. Ferite cicatrizzanti. Esperimento VII. 24 aprile. Sifa a due tritoni una ferita nella faccia sinistra della coda, Junga dal margine dorsale al ventrale, e profonda fino all’osso. 2 maggio. La superficie cruentata è completamente epitelizzata. Il tritone A & tenuto per controllo, il tritone B & esposto per un quarto d’ora ai raggi ultravioletti. 3. 5. 6. 8. 9. 10. maggio esposto il tritone B ai raggi ultravioletti ogni giorno per venti minuti. : 11. maggio esposizione dell'animale per un quarto d'ora, dopo di che si tagliano e si fissano le due code. Reperto microscopico (controllo). Ferita cicatrizzata al diciassette- simo giorno. Tritone A. Ferita completamente cicatrizzata. . Epidermide for- ‘mato di parecchi strati di cellule poliedriche le più profonde e le piü superficiali pavimentose. Nel connettivo composto di cellule varia- mente ramificate a grosso nucleo rotondo od ellittico, si vede qualche figura cariocinetica, ma rara. Nel profondo c'é qualche piccola schesgia di osso dovuta a lesione delle vertebre all'atto del trauma, qualcuna di esse è necrotica. 424 Luigi Torraca, Il contenuto di pigmento dell’epitelio è assai scarso; consiste in pochi granuli contenuti nelle cellule epiteliali. Nel connettivo il pigmento é anche scarsissimo, e contenuto in cellule ramificate che si trovano verso i limiti della cicatrice. Si tratta di elementi ben pigmentati e completamente neri. Peró oltre che in queste, altro pigmento, sotto forma di pochi granuli, si trova in cellule, del tutto simili alle connettivali, sparse qua e là ‚in piccolo numero peró, nel campo della cicatrice. Tritone D. Ferita cicatrizzata al diciassettesimo giorno. Esposi- zione al raggi ultravioletti protratta per otto giorni, con una durata complessiva di due ore e trenta minuti. L'azione dei raggi ultravioletti si & fatta sentire sull'epitelio neo- formato che é sottile, desquamante, ridotto a pochi strati di cellule applattite a nucleo allungato, molte delle quali sembrano alterate e presentano impallidimento del nucleo e vacuolizzazione del proto- plasma. Nell'epitelio é contenuta una certa quantità di pigmento. Alcune cellule ne contengono solo pochi granuli, in altre il nucleo ne è quasi | completamente rivestito. Nel connettivo, l’azione dei raggi ultravioletti ha prodotto un forte accumolo di sangue, una parte delle emazie sono contenute nei capillari, ma la maggior parte sono stravasate, e già in principio di dis- facimento. Tra le emazie, e tra le cellule fisse del connettivo, vi sono | una quantità di cellule piementate di varia specie. In primo luogo vi sono delle cellule connettivali contenenti una quantità varia di granuli di pigmento; in alcune i granuli sono situati unicamente intorno ai nucleo in altre occupano tutto il corpo cellulare e cominciano a spingersi nei prolungamenti. Poi, e per lo più al limite tra il tessuto neoformato e quello preesi- stente, vi sono grosse cellule, senza prolungamenti apparenti, così piene di granuli di pigmento da apparire come grosse zolle nere, com- pletamente omogenee; vi sono infine, e non solo nel connettivo, ma anche tra le cellule epidermiche, grosse cellule rotonde od ovali che contengono frammenti di eritrociti e zolle di pigmento. Granuli di pigmento si trovano intorno, e parrebbe anche nell’inter- L'influenza dei raggi ultravioletti sulla rigenerazione dell'apparato etc. 425 no di globuli rossi, che senza aleun dubbio non sono contenuti in fagociti. Esperimento XIV. 28. maggio. A due tritoni si fa una ferita nella faccia sinistra della coda, profonda fino alla colonna vertebrale ed estesa dal margine dorsale a quello ventrale. 5. giugno. Le ferite sembrano completamente epitelizzate. Un tritone (A) è tenuto per controllo l’altro (B) è esposto ai raggi ultravioletti per un quarto d’ora. 6.—7. giugno esposto il tritone Bai raggi ultravioletti, per un quarto d’ora ogni giorno. 8. giugno. Si tagliano e si fissano le due code. Reperto microscopico. Tritone A (controllo). Ferita di cicatrizzata all’undecimo giorno. Il rivestimento epiteliale è completo, composto di più strati, di cellule poliedriche profondamente e superficialmente appiattite tra esse si vede qualche figura cariocinetica. Il tessuto profondo è un connettivo a cellule polimorfe, rotonde o stellate, a nucleo ovale o ellittico o irregolare ed una sostanza intercellulare fibrillare in cui corrono ca- pillari abbastanza numerosi. Quanto al pigmento l’epitelio ne contiene una certa quantità, nell'interno delle cellule poliedriche e in cellule ramificate abbastanza rare, tutte non molto pigmentate anzi nella massima parte il contenuto di pigmento si riduce ad una picola quantità di granuli. Nel connettivo il contenuto di pigmento assai scarso si tratta di pochissime cellule, a gran distanza l’una dall’altra, a profondità variabile. Il pigmento racchiuso in esse varia fino a divenire discreto. Al limite tra il tessuto preesistente ed il neoformato v'è una discreta quantità di grosse cellule alcune ramificate altre senza apparenti prolungamenti, così cariche di granuli di pigmento da sembrar completamente nere. Tritone B. Ferita cicatrizzata all'undecimo giorno. L'esposizione ai raggi ultravioletti fatta per tre giorni ha avuto una durata com- plessiva di 45 minuti. L’epitelio preesistente e quello neoformato non sembrano aver molto sofferto dell’azione dei raggi. 426 ; Luigi Torraca, .. La cellule dell'epitelio rigenerato sono in maggioranza appiattite con nucleo allungato, non si vedono figure cariocinetiche. La massima parte degli elementi non sembra alterata, solo alcuni presentano spezzetta- mento del nucleo, vacuolizzazione del protoplasma, scomparsa dei confini cellulari. La quantità di pigmento contenuta nell'epitelio è in complesso abbastanza abbondante e superiore a. quella che si trova nell'animale di controllo: però il numero dei granuli contenuto nelle singole cellule è - di rado molto rilevante, sicchè nell’epitelio non vi sono cellule com- pletamente nere: nelle cellule in cui il contenuto di pigmento è massimo i singoli granuli sono ancora distinguibili gli uni dagli altri ed il nucleo è ben visibile. Non vi sono nell’epitelio che scarsi cromatofori ramificati, e questi sono completamente riempiti di granuli. Nel connettivo invece le condizioni sono notevolmente diverse da quelle osservate nell’animale di controllo. Esso infatti contiene numerosi cromatofori che si possono dividere in due gruppi. Anzitutto vi sono alcune cellule rotonde o stellate, allungate, con nucleo bastoncini- forme, in tutto simili alle rimanenti cellule connettivali, che conten- gono una variabile quantità di granuli di pigmento, non mai troppo grande. Questi granuli sono raggruppati intorno al nucleo, solo qua e là cominciano a comparire in qualche prolungamento. Oltre queste cellule ve ne sono altre, e press'a poco egualmente numerose, completamente nere. In esse il nucleo è tutto nascosto dai fittissimi granuli di pigmento. Alcune di queste cellule sono di forma rotonda altre ovali o elissoidi, alcune non hanno apparenti prolunga- menti mentre altre sono stellate, ed i loro processi sono egualmente neri. Questi elementi sono per lo più accumolati alla periferia della cicatrice, qualcuno però se ne trova anche verso il centro di essa; in uno di questi cromatofori si vede il nucleo in fase di diaster. Esperimento XVII. 2. giugno ore 17. Si fa una ferita con perdita di sostanza lunga 2 mm. larga 1 mm. sulla faccia sinistra della coda di due tritoni. 11. giugno. Un tritone (A) si tiene per controllo all’ altro B è esposto ai raggi ultravioletti per un quarto d’ora. L'influenza dei raggi ultravioletti sulla rigenerazione dell'apparato etc. 427 12. e 13. giugno si espone l’animale B airaggi ultravioletti perun quarto d'ora al giorno. 14. giugno. La mattina si trova morto B, si tagliano e si fissano subito le code dei due animali. Reperto microscopico. Tritone A (controllo). Ferita cicatrizzata al dodicesimo giorno. La superficie della ferita € completamente rivestita di epitelio. Il connettivo è formato da numerose cellule polimorfe e da una sostanza intercellulare fibrillare. Il pigmento contenuto nell'epitelio è già discretamente abbondante, Esso é contenuto in cellule epiteliali poliedriche, in cui la pig- mentazione non è mai così forte da nascondere il nucleo; non sembra che vi siano cellule ramificate. Per quel che riguarda il pigmento dermico bisogna distinguere la zona centrale, dalla parte marginale della ferita cicatrizzata. Nel centro, e per la maggior parte della superficie, il pigmento é quasi assente. Solo qua e là, a gran distanza le une dalle altre, in vici- nanza dell'epitelio, o un poco piü profondamente, vi sono delle cellüle pigmentate. Il loro contenuto di granuli non & mai molto abbondante, il nucleo ovale piü o meno allungato e sempre visibile, solo in qualeuna comincia a vedersi qualche accenno a prolungamenti. Lungo la periferia della perdita di sostanza riparata le cose vanno invece altrimenti. In continuazione dello strato pigmentario, lungo il confine dermo epidermico preesistente, si prolunga nella cicatrice un orlo di cellule pigmentate ramificate. Tali cellule sono ben pigmentate hanno pro- lugamenti lunghi e ramificati. Il loro numero diminuisce man mano che si procede verso il centro, sicchè l'orlo piementario cessa in breve. In qualche sezione si vede benissimo che tali cellule progrediscono di conserva con vasi sanguigni, che corrono ai confini dell'epidermide, attorno ai quali esse sono sistematicamente ordinate formando un mani- cotto reticolato piü o meno fitto. | Tritone B. Ferita cicatrizzata al dodicesimo giorno. Esposizione 428 Luigi Torraca, ai raggi ultravioletti per tre giorni, con una durata totale di quaranta- cinque minuti. La superficie della ferita è coperta completamente di epitelio. Questo sembra alquanto danneggiato dall'azione dei raggi: esso è assottigliato, fortemente desquamante, i nuclei sono rigonfi, pallidi, in alcuni punti frammentati, mentre il protoplasma è pieno di vacuoli. ; Il pigmento contenuto nell'epitelio é assai scarso, poche cellule ne contengono dei granuli che non sono mai molto numerosi. Rarissime e sempre presso al confine dei tessuti preesistenti sono le cellule in cui il pigmento spinge nei prolungamenti. Fra le cellule epiteliali si notano delle emazie, aleune con nucleo raggrinzato, altre senza nucleo, isolate ed a gruppl, intorno alle quali vi sono molto spesso eranuli di pigmento talora abbastanza numerosi. Assaipiu importante è lo studio del pigmento dermico: anzitutto è da notare che la maggior parte dei cromatofori della superficie cutanea in cui è stata praticata la ferita hanno assunto un aspetto globoso. Tale situazione del pigmento si accentua al confine della cicatrice dal quale si spinge, sotto la superficie epiteliale neoformata, un orlo pig- mentato formato di cromatofori, grossi, a contorno irregolarmente ovale più o meno allungato, forniti alcuni di prolungamenti ramificati mentre altri ne sembrano privi. Il numero dei granuli di pigmento con- tenuto in tali cellule è molto grande il che le rende interamente opache, in qualcuna, però, o per maggior scarsezza di granuli, o più spesso per essere essi accumolati ad uno dei poli, si vede, o si intravede in tutto o m parte il nucleo grosso e ben colorato in azzurro. Non è difficile trovare tra queste cellule ed i vasi sanguigni i rap- porti descritti di già a proposito del controllo. Ma non sono queste le sole cellule pigmentate contenute nella cicatrice, anzi mentre i su detti elementi formano un orlo lungo il confine coi tessuti preesistenti e verso il centro sono sempre più rari, qui invece si vedono numerose cellule, polimorfe, a nucleo per lo più allungato, che in nulla differiscono dalle rimanenti cellule connettivali e che contengono un numero variabile di granuli di pigmento. L’influenza dei raggi ultravioletti sulla rigenerazione dell’apparato ete. 499 Esperimento X XII. 12 giugno ore 10. A 2 tritoni si fa una ferita trasversale sul margine dorsale della coda, profonda fino alla colonna vertebrale. Uno dei due animali (A) & tenuto per controllo, l'altro (B) dopo 5 ore, & esposto ai raggi ultravioletti per un quarto d'ora. 13. giugno esposizione per un quärto d'ora. 14. giugno. La ferita ha fondo grigiastro, qua e là vi sono punti emor- ragici. Esposizione ai raggi ultravioletti per 20 minuti subito dopo l'esposizione che termina alle ore 17 si tagliano e si fissano le code dei due animali. Reperto microscopico. Tagli in serie dalla faccia destra a quella sinistra della coda. Tritone A (controllo). Ferita cicatrizzante alla cinquantacin- quesima ora. La superficie cruentata è già completamente ricoperta di epitelio che proprio al centro della ferita si affonda a guisa di zaffo a forma di clava. i Al disotto dell’epitelio il processo di guarigione è molto meno progredito, perchè quasi tutto lo spazio della lesione di continuo è formato da una sostanza fibrillare nella quale sono grosse lacune e che ha tutte le apparenze di un coagulo; in questo qua e là cominciano a vedersi qualche leucocito, ed anche qualche cellula polimorfa. Tutta la sostanza che riempie la lesione di continuo è picchiettata di minuti granuli di pigmento, avanzi di cromatofori distrutti dal taglio, che vanno aumentando verso la periferia, dove si trovano raccolti in zolle più o meno grandi. Alla periferia, nei limiti dei tessuti interrotti dal taglio, si vedono delle fibre muscolari sezionate, che al loro estremo son già divenute omogenee. Lungo tutto il contorno della ferita ha avuto già luogo una notevole neoformazione di capillari; molti corpuscoli rossi sono però accumolati fuori dei vasi, evidente resti dell’emorragia primaria, tra essi vi sono numerosissimi granuli di pigmento. L’epitelio neoformato è già discretamente pigmentato: il pigmento è contenuto per lo più in cellule poliedriche, ma si nota qualche elemento ramificato i cui prolungamenti sono però sempre molto brevi. 430 | Luigi Torraca, Tritone B. Ferita cicatrizzante alla cinquantacinquesima ora; l'esposizione ai raggi ultravioletti effettuata tre giorni consecutivi ha avuto la durata totale di 50 minuti. Quest’esperimento prova chiaramente come i tessuti profondi siano assai meno resistenti all’azione dei raggi ultravioletti di quelli super- ficiali. Infatti la ferita non .è che una vasta superficie a fondo necrotico, nel, quale è dato riconoscere avanzi muscolari sottoforma di zolle omo- genee, e residui nucleari delle cellule del connettivo. Tutta questa zona è infiltrata di leucociti e di granuli di pigmento; in E punto vi sono accumoli di eritrociti stravasati. Non vi è altra traccia di processi rigenerativi che presso i margini, dove si possono notare piccoli isolotti di cellule epiteliali, in via di disfacimento, circondati da una sostanza amorfa di essudati coagu- lati. E’evidente che durante gli intervalli l’epitelio dei margini ha cominciato a ricoprire la perdita di sostanza, e che la esposizione conse- cutiva ha distrutto l’orlo epiteliale già formato. Molto interessante è il comportamento del pigmento non solo nei margini della ferita, ma su tutta la cute. I cromatofori infatti sono così stipati da formare uno strato assolutamente compatto e nero, un po’ più profondamente icromatofori sono un po’ discosti gli uni dagli altri, il che permette di vedere che hanno retratto i loro prolungamenti assumendo una forma globosa. In qualche punto in cui l’accumolo del pigmento è meno impene- trabile, si vede sul margine della ferita l’epitelio distaccarsi in grossi lembi formati da cellule epiteliali più o meno alterate, tra le quali sono ab- bondanti cellule pigmentate, alcune ridotte a zolle omogenee nere, mentre in altre è dato ancora riconoscere cromatofori ramificati. Osservazioni e conclusioni. A. Influenza dei raggi ultravioletti sui processi rigenerativi. I raggi ultravioletti hanno un’azione eminentemente deleteria sull’epitelio epidermico della coda del tritone. Tale influenza è più manifesta se il tessuto è giovane, infatti, per esempio, l’epitelio cheri- veste una ferita in via di cicatrizzazione, o la gemma di rigenerazione di una coda amputata, è fortemente alterato o magari già completamente L'influenza dei raggi ultravioletti sulla rigenerazione dell'apparato etc. 431 distrutto, dopo una esposizione anche relativamente breve alla luce ultravioletta, mentre l'epitelio preesistente si trova ancora in buone condizioni. Esponendo una ferita cutanea recente ai ragei ultravioletti manca assolutamente la rigenerazione epiteliale, anzi i tessuti profondi vanno incontro a rapidi fenomeni distruttivi, che trasformano la ferita in una superficie ulcerosa. L’epitelio dei margini della lesione di continuo resiste per un certo tempo all’azione dei raggi ultravioletti, e tende anzi a rigenerarsi. Sono tali la potenza e la rapidita di rigenerazione di esso, che dopo la prima esposizione si forma ancora un orlo di epitelio giovane che tende a coprire la superficie eruentata, quest’orlo peró viene distrutto nelle esposizioni successive. La moltiplicazione delle cellule si arresta solo quando i margini della ferita cadono essi stessi in disfaeimento. se si tratta di una coda amputata in rigenerazione, la prima conseguenza dell'azione dei raggi ultravioletti sel cono di accrescimento é un'intensa iperemia, che cessa un certo tempo dopo che è finita l'esposizione. A questa iperemia si associa nei giorni consecutivi una rapida e forte produzione di pigmento. Peró già alla terza o quarta esposizione si cominciano a notare fenomeni regressivi: il cono di accre- 'Seimento impiccolisce, diviene grinzoso, cinereo, e finisce per ulcerarsi. Le ulcerazioni, sia che si formino per ferita, sia che si producano spontaneamente come ora si é detto, hanno i margini irregolari e il fondo grigiastro, disseminato verso la periferia di punti neri formati da residui dello strato pigmentario. Nelle cellule i raggi ultravioletti producono vacuolizzazione del protoplasma e perdita dei confini cellulari e cosi si ha un ammasso di sostanza omogenea, che si colora diffusamente, e nella quale in primo tempo si vedono ancora residui nucleari colorati in bleu dall'emallume ; in seguito tali ammassi si staccano e così forma l’ulcera. Le cellule in cariocinesi sono assai più facilmente alterate di quelle in riposo. I cromosomi divengono pallidi, disordinati, si.spezzettano e scompaiono. La caratteristica del tessuto epiteliale, che ha subito l’azione dei raggi ultravioletti, è l’assenza di figure caricionetiche che pur son così frequenti nelle code rigeneranti. 432 Luigi Torraca, I tessuti profondi se messi allo scoperto risentomo l’azione dei raggi ultravioletti molto più dell’epitelio. Nel connettivo, si ha da prima una intensa iperemia. A questo proposito & interessante osservare quanto avviene nel connettivo delle code inrigenerazione. In questo si nota, negli animali di controllo, un certo numero di vasi sanguigni, che peró non sono mai soverchiamente abbondanti. Dopo diverse esposizioni ai raggi (p.es. esp. XII) nel connettivo del cono di accrescimento, 1 vasi sono numerosi, dilatati, pieni di emazie, sieché in qualche punto, quasi tutto lo spazio sotto epiteliale, dall'uno all'altro margine della sezione della coda appare occupato da un tessuto flogistico composto per la massima parte da capillari, tra 1 quali si notano scarse cellule connettivali ramificate, e cellule pigmentate. I muscoli scoperti dalla ferita o dall’ulcerarsi della cute perdono in breve la loro striatura, divenuti omogenei si frammentano rapidamente in zolle di ineguale grossezza. In base a queste osservazioni credo di poter stabilire che nella coda del tritone in via di rigenerazione i raggi ultravioletti hanno in primo tempo un’azione infiammatoria che conduce alla neoformazione di numerosi capillari e di molte cellule pigmentate, come adesso diró, ein in seguito un'azione necrotizzante sul tessuto epiteliale e connettivale. Db. Azione dei raggi ultravioletti sulla neoformazione del pigmento. Le code in rigenerazione degli animali esposti ai raggi ultravioletti; già dopo due o tre esposizioni appaiono più pigmentate di quelle degli animali di controllo. Tale pigmentazione é dapprima formata da tanti minuti puntini, che poi aumentando di numero e di grandezza con- fluiscono e finiscono col dare al cono d? accrescimento un colorito nero piü o meno intenso, mentre negli animali di controllo esso é ancora trasparente o appena screziato di nero. Anche le cicatrici di semplici ferite si pigmentano molto piü rapidamente se esposte ai raggi ultra- violetti. Questa 2percromia è dovuta parecchie ragioni: in primo luogo vi è una maggiore formazione di cellule pigmentate tanto nell’epitelio che nel connettivo e questo maggior numero di elementi pigmentati non L'influenza dei raggi ultravioletti sulla rigenerazione dell’apparato etc. 433 é dovuto, nell’epitelio, ad un'attiva moltiplicazione di essi, essendo che, come ho già notato, i raggi ultravioletti hanno un'azionne eminente- mente deleteria per i nuclei in cariocinesi, ma alla comparsa di granuli di pigmento in un mageior numero di cellule epiteliali. Nel connettivo invece che, per la sua situazione piü profonda, in primo tempo risente molto meno l'azione dannosa dei raggi ultravioletti, si ha un’attiva moltiplicazione dei cromatofori, di per se stessi più resistenti delle cellule epiteliali, perchè più ricchi di pigmento, alla quale si associa molto probabilmente una migrazione più forte dei cromatofori dai tessuti cutanei limitrofi. Di più nelle singole cellule la produzione di pigmento è maggiore che non nelle cellule degli animali controllo. Finalmente vi sono modificazioni di forma dei cromatofori, per cui questi da ramificati divengono globosi; si ha così un accumolarsi del pigmento e quindi una opacità maggiore degli elementi che lo con- tengono. Tutto ciò, del resto, è stato già da me descritto nel mio pre- cedente lavoro le cui conclusioni vengono ad essere pienamente con- fermate da questi nuovi esperimenti. Napoli, Dicembre 1913. Spiegazione delle Figure. Per disegnare si usò il microscopo Koristka con tubo allungato a 160 m/m, obbiettivo 6, oculare 3. Fig. 1. Punta di una coda di tritone rigenerante al ventitreesimo giorno; (Esperi- mento X, tritone di controllo). Fig. 2. Punta di una coda di tritone rigenerante al ventitreesimo giorno, esposta al raggi ultravioletti in quattro giorni consecutivi per la complessiva du- rata di un'ora; (Esperimento X, tritone C). Fig. 3. Ferita con perdita di sostanza ciccatrizzata, al dodicesimo giorno; (Es- perimento XVII, tritone di controllo). Fig. 4. Ferita con perdita di sostanza cicatrizzata al dodicesimo giorno, esposta al raggi ultravioletti in tre giorni per la durata complessiva di quaran- tacinque minuti; (Esperimento XVII, tritone B). Internationale Monatsschrift f. Anat. u. Phys. XXXI. 28 Referate. Von ' Fr. Kopsch. Albert Oppel, Leitfaden für das embryologische Praktikum und Grund- rip der Entwicklungslehre des Menschen und der Wirbeltiere. Mit 323 Abbildungen im Text in 484 Einzeldarstellungen. VIII und 313 Seiten. 8%. Jena 1914. G. Fischer. Geheftet M. 10, gebun- den M. 11. Der Leitfaden ist für Studierende und Ärzte aber auch für einen weiteren Kreis von Freunden der Entwicklungslehre bestimmt. Mit Rücksicht auf die letz- teren sind wohl Kapitel, wie Embryologie und Entwicklungsmechanik, kausale Ent- wicklungsperioden, über einige die Entwicklung bewirkende Faktoren, einige ent- wicklungsmechanische Experimente aufgenommen. Die embryologische Technik füllt ungefähr zwei Druckbogen des ersten Haupt- teils, welcher im Ganzen gegen 4 Bogen stark ist. | Der zweite Hauptteil (ungefähr 3 Bogen) behandelt ,die Anfänge der Ent- wicklung (Eier und Embryonen)“ und die Eihüllen. Der dritte Hauptteil (ungefähr 31/, Bogen) beschreibt ausgewählte Schnitte einiger Schnittserien von verschiedenen Embryonen: Bombinator igneus, Rana fusca, Anguis fragilis, Gallus domesticus, Lepus cuniculus, Sus domesticus, Homo sapiens. Die Lage der besprochenen und abgebildeten Schnitte ist entweder am Flächenbild der ganzen Embryonen durch Striche bezeichnet oder es sind die Schnittbilder selbst in eine Profilzeichnung des betreffenden Embryo eingezeichnet. Dadurch ent- stehen recht deutliche und einfache „durchsichtige Modelle“. Der vierte Hauptteil (ungefähr 61/, Bogen) enthält die Entwicklung der Ge- webe, Organe, Systeme und Apparate in systematischer Anordnung. Den Schluß bilden ein Literaturverzeichnis, eine Erläuterung zu einigen fremd- sprachlichen Bezeichnungen, ein Figurenregister ‘und ein Textregister. J. Sobotta, Atlas der deskriptiven Anatomie des Menschen. II. we- sentlich umgeänderte Auflage I. Abt. Knochen, Bänder, Gelenke, Regionen und Muskeln des menschlichen Körpers. Mit 166 farbigen und 143 schwarzen Ab- bildungen auf Tafeln, sowie 27 zum Teil farbigen Figuren im Text Referate. 435 nach Originalen von Maler K. Hajek. München 1913. J. F. Leh- mann. Gebunden M. 20.—. II. Abt. Die Eingeweide des Menschen einschließlich des Herzens. Mit 99 farbigen und 93 schwarzen Abbildungen auf Tafeln, sowie 36 zum Teil farbigen Figuren im Text nach Originalen von Maler K. Hajek. München 1914. J. F. Lehmann. Gebunden M. 16.—. Die zweite Auflage des Atlas zeigt sehr wesentliche Veränderungen. Die Knochen- und Bänderlehre hat an verschiedenen Stellen Erweiterungen erfahren, Die größten Umänderungen sind in der Muskellehre vorgenommen. An Stelle der lithographischen Abbildungen der I. Aufl. sind mehrfarbige Autotypien getreten. Dies geschah im Interesse der Einheitlichkeit der bildnerischen Darstellung und weil „die Bilder des ersten Bandes bei vielen Fachgenossen wegen ihrer auf dem weißen Papiere zu lebhaft und zu grell wirkenden Farben nicht beliebt waren“. Als Unterlage der neuen Muskelbilder werden diesmal nicht Photos der Präparate benutzt, sondern solche eines athletisch gebauten Mannes von kleiner Statur. In die Umrisse dieser Figuren wurden die Muskeln nach Präparaten eingezeichnet. Die Zahl der Bilder wurde wesentlich vermehrt. Auch im Eingeweideband sind die Lithographien der I. Aufl. durch Auto- typien ersetzt worden. Einzelne Tafeln werden völlig umgestaltet. Werner Spaltholz, Handatlas der Anatomie des Menschen. 3 Bände. VII. Auflage. Leipzig 1913/14. S. Hirzel. Geheftet M. 47.—, ge- bunden M. 50.—. Die neue Auflage ist sorgfältig durchgesehen und ergänzt worden. Eine An- zahl von Figuren sind neu gezeichnet, andere neu geätzt. Im Nervensystem sind die Abbildungen über die Rindenfelder der Großhirnhemisphären entsprechend dem gegenwärtigen Stand von Flechsig’s Untersuchungen neu gezeichnet und zwei neue Abbildungen über die Markreifung der Rindenfelder der Großhirnhemisphären nach Flechsig’s Untersuchungen neu aufgenommen. Auch die Abbildung Eisler’s vom Plexus lumbosacralis ist vom Autor auf Spalteholz Wunsch ergänzt worden. Die Lage der Glandulae parathyreoideae wird durch eine besondere Abbildung erläutert. Die Entwicklung der Knochen ist ausführlich dargestellt durch Zeichnungen, welche nach gefärbten und aufgehellten Präparaten hergestellt sind. Die Methoden zur Herstellung solcher Präparate sind bekanntlich von Spalteholz ausgearbeitet und veröffentlicht worden (Leipzig 1914, Hirzel). Die seit der ersten Auflage versprochene Darstellung der Lymphgefäße konnte bisher aus verschiedenen Gründen noch nicht erscheinen. Der Verfasser hofft je- doch, sein Versprechen bald erfüllen zu können. Werner Spalteholz, Über das Durchsichtigmachen von menschlichen und tierischen Präparaten und seine theoretischen Bedingungen, nebst Anhang Über Knochenfärbung. II. erweiterte Auflage. 8°. 93 Seiten. Leipzig 1914. S. Hirzel. Geheftet M. 1.80. Da die erste Auflage dieses Buches (angezeigt in Bd. 28 der Monatsschrift 430 - Referate. 1911) schon seit längerer Zeit vergriffen war, aber immer noch begehrt wurde, war die Herausgabe der zweiten Auflage notwendig. i Die neue Auflage ist viel umfangreicher geworden und ist an vielen Stellen vollständig neu bearbeitet, so daß sie beinahe ein neues Werk ist. An dem prin- cipiellen Teil des Verfahrens ist nichts zu ändern nötig gewesen, denn die fortge- . setzte Beschäftigung mit ihm hat immer neue Beweise für die Richtigkeit der durch Spalteholz aufgestellten Sätze geliefert. Eine ausführlichere, allgemein verständ- liche Darstellung der physikalischen Grundlagen der Methode hält der Autor für wichtig, da er namentlich bei den Medizinern die Beobachtung gemacht hat, daß seine Ausführungen über diese Punkte in der ersten Auflage nicht genügt haben, ein wirkliches Verständnis zu erzielen. Viele Benutzer der Methode haben sofort befriedigende Resultate erzielt, andere nicht. Sorgfältiges Befolgen der gegebenen Vorschriften führt sicher zu guten Ergebnissen. Besondere Triks gibt es nicht. Autor hat nichts verschwiegen, sondern alles veröffentlicht, was er über die Me- thode weiß. Es kann nur dringend geraten werden, alle Einzelheiten genau zu be- achten. Um keine Zweifel aufkommen zu lassen, ist der rein technische Teil als besonderer Abschnitt herausgehoben und wesentlich ausführlicher gestaltet. Alle neueren Erfahrungen über das Verfahren sind vollständig berücksichtigt worden. Die darüber entstandene Literatur ist am Schluß besonders zusammengestellt. Das Buch enthält drei Abschnitte. Der erste Teil berichtet über die Gedan- kengänge, welche den Autor veranlaßten, nach einer neuen Methode zu suchen und die Wege, welche er bei ihrer Ausarbeitung einschlug. Der zweite Abschnitt bringt die ausführliche Beschreibung der Methode, ihre theoretischen Grundlagen und Folgerungen. Der dritte Abschnitt gibt genaue Vorschriften über die praktische Anwendung des Verfahrens und über alle dabei zu beachtenden Vorsichtsmaßregeln. Als Anhang wird die inzwischen noch weiter ausgearbeitete Methode der Knochenfärbung beschrieben. Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto) in Leipzig. a are Thieme in ^ Leipzig, - Monographien über die E beim Menschen von : "Br med. Hermann Rohleder. Spezialarzt für Sexualleiden in Leipzig. Band I: Die Zeugung beim Menschen. V | ; Mit Anhang: È Die künstliche Zeugung (Befruchtung) beim Menschen. Brosch. M. 7.—, geb. M. 8.—. | Band: Die Zeugung unter Blutsverwandten. a SA T Brosch. M. 4.20, geb. M. 5.—. i Die Funktionsstörungen . der Zeugung beim Manne. (Samenflüsse, Impotenz, Sterilitàt.) | Brosch. M. 5.80, geb. M. 6.80. BandIv: Die libidinósen Funktionsstórungen | der Zeugung beim Weibe. Brosch. M. 2.80, geb. M. 3.60. E — Münchener mediz. Wochenschrift: Das ne Buch ist eine hochinteressante und spannende wissenschaftliche Lektüre. Klinisch-therapeutische Wochenschrift: Rohleder hat mit dem vorliegenden . Werke geradezu erschópfend ein Gebiet behandelt, das für die Aerzte ebenso wichtig ist, wie es ihnen unbekannt zu sein pflegt. Alle 4 Bände zusammen gebunden 21 Mark. Verlag von Georg Thieme in Leipzig. Ros —— 8 Klinische Terminologie — Zusammenstellung der in der Medizin gebräuchlichen technischen Ausdrücke mit UE ihrer Bedeutung und Ableitung von Dr. E. Oberndöriter, Berlin. Achte, zu einem. Wórterbuch der gesamten Medizin erweiterte Auflage. Gebunden M. 12.—. A Die vorliegende 8. Auflage enthält jetzt die vollständig neubearbeitete Terminologie . der Medizin einschließlich Arzneimittellehre und chemischen Pathologie, der Anatomie, Embryologie, Physiologie und der physiologischen Chemie. Das sehr praktische Nachschlagewerk wird der heutigen Empfehlung kaum bedürfen, um auch weiterhin seinen Lauf zu machen. (Deutsche Medizinische Wochenschrift.) Lehrbuch der Organotherapie mit Berücksichtigung ihrer anatomischen und physiologischen Grundlagen bearbeitet von Karl Basch (Prag), Gustav Bayer (Innsbruck), L. Bor- chardt (Königsberg), Rud. Ehrmann (Berlin), Artur Foges (Wien), M. Höfler (Bad Tölz), Alfred Kohn (Prag), Friedr. Pineles (Wien), Julius Wagner von Jauregg (Wien) Herausgegeben von Hofrat Prof. Dr. J. Wagner von Jauregg in Wien und Privatdozent Dr. G. Bayer in Innsbruck. Mit 82 Textabbildungen. M. 13.—, geb. M. 14.—. Das vorliegende Buch erfüllt eine vorhandene Lücke; es faßt alle Tatsachen zusam- men, die: für die Organotherapie von Wichtigkeit sind, und es jst bestimmt, für den Prak- tiker das zu werden, was Biedls Werk über innere Sekretion für den Theoretiker geworden ist. Es liegt ein Werk vor, dessen Lektüre jedem Arzte auis würmste empfohlen werden kann. (Prager Med. Wochenschrift.) Das Buch kann der „Inneren Sekretion“ von Biedl an die Seite gestellt werden. Wer sich mit Studien der inneren Sekretion befaßt, wird es nicht entbehren können. (Zentralblatt für Chirurgie.) Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto) in Leipzig. in Cid E. A. Sch: afer | in à Bars J = ^ Testut i in Nas vus e Redigirt von M und. R R. Bensley in Chicago. hae RUC AN Ue EN ‘Band XXXL 'Heft.10/12^ 001 ARAM UA | iA Fa Mit 6 ‘Textabbildungen und 8 Tafeln. j : Ba) EL d 2! E ba : È è LEIPZIG 1915 Verlag von Georg Thieme. Vertretung für Amerika: The University of Chicago Press, Chicago, Illinois, U. S. A. x Inhalt | | . à Seite Dr. Arrigo Visentini, La fonction du Paneréas et ses rapports avec la patho- . génése du, Diabète, (Avec Pl. XIII—XIX et 6 Fig.) . . . AT Erin, Kyes, The lesen] Destruction of Erythroeytes in Birds, “(With ‘Plate XNy \ Al . 543 Ralph Hopkins: ee neue Mund Heat Rd p of Wero ub Nordic and ‘Southern: Frog na En SR I PAR EE RN Fr. ‚Kopsch, Referat O O POI RR SOI 2 LI Die Herren Mitarbeiter haben von ihren Aufsätzen 50 Sonderabdrücke frei, eine gróssere Anzahl liefert die Verlagshandlung auf Verlangen zu billigem Preise. Frankierte Einsendungen in lateinischer, französischer, italienischer, englischer oder deutscher Sprache werden direkt an: Prof. Dr. Fr. Kopsch, Wilmersdorf bei Berlin, Kaiserplatz 2, und für Amerika an Prof. R. R. Bensley, University of Chicago, erbeten. Reprints. Contributors desiring more than 50 extra copies of their articles can obtain them at reasonable rates by application to the publisher Georg Thieme, Leipzig, Rabensteinplatz 2, Germany. Contributions (Latin, French, Italian, English or German) should be sent to Prof. Dr, Fr. Kopsch, Wilmersdorf by Berlin, Kaiserplatz 2, or for America to Prof. R. R. Bensley, University of Chicago. Avis. Les auteurs des mémoires insérés dans ce journal qui désireront plus de 50 tirages à part de leurs articles, les obtiendront à des prix modérés en s'adressant à M. Georg Thieme, libraire-éditeur, Leipzig, Rabensteinplatz 2, Allemagne. Les articles écrits en latin, en frangais, en italien, en anglais ou en allemand doivent étre adressés à Professeur Fr. Kopsch à Wilmersdorf prés de Berlin Kaiserplatz 2, ou pour l'Amérique à M. R. R. Bensley, University of Chicago. Die bisher erschienenen Bände kosten: Bd 1200, 10904 40.02. 68.959. a Bd XE RZ TOO LTE B Ln Sepe ep 93: LOCI II AE RR HR AR TR ds CANI eem ae PET N e in DE COR PVT Sc LO a a VRR e e e ey HERO os En SILICIO OO N 10 SON A ln e DRM D. Ce Oa: I OVALE i NU I aa SOME e CU Mdb ia N. ITS) Aes 1050 le RIVER a CLE $us quM NEED LO IO ncc mU RS SOME Sn Ola oe RRR TO Votes BLA O Br a RN RK VEL dU 52 TOD UE ET ER. sus 209 RZ FRENI ONESTO: So mrs O DERIVA LT LR AD onan ese MN M = XV En RR 46.50, 1 Bd. I—XXIX an A 2000.—, $ 476,— nur 4 1300.—, $ 309.40 ban That American prices are net and subject to an additional charge for postage. ee 2 ge Sc fa Eu <> sss Institut d'Anatomie pathologique de la R. Université de Pavia (Directeur Mr. le Prof. A. Monti). La fonction du Pancréas et ses rapports avec la patho- génèse du Diabète!) par le Dott. Arrigo Visentini, Aide et docent d’Anatomie pathologique. (Avec Pl. XIII—XIX et 6 Fig.) „La sapienza & figliuola della sperienza.“ (Leonardo da Vinci.) Introduction. Le pancréas est une glande qui existe chez tous les animaux vertébrés et qui est unie par un seul ou par plusieurs conduits, ser- vant de moyen d’excrétion, à la première portion de l'intestin, dans lequel la susdite glande verse le produit de son travail de sécrétion. D'aprés les résultats des recherches morphologiques, qui ont été accomplies par de nombreux observateurs, nous devons actuellement distinguer dans le pancréas, au point de vue de l’histologie, deux portions bien distinctes, la portion glandulaire proprement dite et les ilots de Langerhans. La premiere portion constitue la partie la plus grande de l’organe: elle résulte d’acinis epitheliaux qui représentent les dernieres dira- mations d’un systeme de conduits excréteurs. Dans les cellules des | acini pancréatiques a lieu l'élaboration du liquide de sécrétion, qui | arrive ensuite dans le duodénum à travers les conduits exereteurs. Parmi les acini glandulaires l'on vérifie ces particulieres accumu- | lations d'éléments qui, aprés avoir été décrites en 1859 par Langer- | hans [S1], portent le nom de cet observateur: c'est lui qui le premier, ia appelé sur elles l'attention des hommes de science. Se vérifiant t constamment dans le pancréas normal de tous les vertébrés (Diamare !) Mémoire honoré du Warren Triennal Prize de Boston 1913. 438 Arrigo Visentini, [19—25], Pensa [{145]), les îlots de Langerhans sont des amas de cellules, dont la nature épithéliale, déjà reconnaissable par leurs caracté- ristiques morphologiques (Renaut [159 et 160], est démontrée par cela (recherches embriogéniques de Laguesse [68], de Pearce [139], de Kuster |65], que, dans l'embryon, elles puisent leur origine dans les cellules des tubules pancréatiques primitifs. Leur structure se pré- sente seniblable à celle des glandes que l'on nomme à sécrétion interne: des colonnes de cellules, comptant un ou plusieurs rangs d'éléments, entrelacées d'une maniére différente comme un réseau, laissent entre elles des espaces qui sont occupés par des vaisseaux. Une structure semblable de glandes vasculaires sanguines, déjà admise par Renaut (L. e) et par Schültze |175], est actuellement reconnue par le plus grand nombre des nombreux observateurs qui s'en sont occupés au point de vue de l'anatomie (Diamare |19—25], Laguesse [67, 70, 74, 75], Massari [125], Marchioni [13], Jarotski [66], Levi [92], Perdigeat et Tribondeau [146], Pensa [145], Marassini [116] etc.) En outre les îlots de Langerhans sont indépendants des acini et des conduits excréteurs du pancréas, ce qui se constate par des injections des con-. duits pancréatiques répétées par les différents auteurs (v. Ebner |26], Kuhne et Lea [64], Lewaschew [91], Vassale [197] etc.); ills représen- tent des organes a part, tout a fait distinets du parenchyme qui les entoure. Au point de vue de la physiologie, le pancréas, à l'état actuel de nos connaissances, doit aussi étre considéré comme un double organe. Il posséde une fonction de sécrétion externe, c'est à dire l'élaboration, déjà mentionnée, du suc pancréatique, un liquide doué de propriétés complexes chimiques et enzimatiques, ayant une impor- tance considérable dans les procés de la digestion intestinale, et à cóté de cette fonction, déjà connue depuis longtemps, le pancréas est le centre d'une autre fonction qui régle l'échange du sucre dans notre organisme. L'extirpation complete du pancréas, chez les animaux à expérience, provoque d’ordinaire (De Dominicis |16|, Mering et Min- kowski [126], Hedon [48—54] etc.) un diabète grave, présentant une | Syndrome que l'on. peut identifier avec celle du diabéte pancréatique chez les hommes. La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 439 Cette constatation faite en 1889, a produit une ferveur d’études sur la fonction interne et sur celle externe du pancréas: cependant les nombreuses recherches entreprises, méme en ces derniers temps, par une longue série d'expérimentateurs, qui se sont dédiés à cet argument avec un enthousiasme renaissant, ne nous ont conduits à aucune süre connaissance expérimentale; les auteurs anciens et les modernes, tout en répétant les mémes expériences, sont arrivés aux conclusions les plus disparates, aux résultats les plus en désaccord entre eux. Méme les premiéres observations fondamentales de Claude Bernard, qui vers la moitié du siécle passé, prononcait une affirmation sur la haute importance de la sécrétion pancréatique dans le proces de la digestion intestinale et en particulier à propos de la scission et de l'absorption du gras, ces mémes observations, dis-je, seraient aujourd'hui plus que jamais incertaines et inexactes. En effet la conclusion à laquelle dés 1858, étaient arrivés Berard et Colin (en opposition de celle de C. Bernard): «le fluide pancréatique n'est nécessaire ni à la digestion ni à l'absorption des matieres grasses», est, à la rigueur, répétée méme par plusieurs des modernes. . La découverte que le pancréas possède aussi une fonction interne et la connaissance exacte de la structure de cette glande ont ouvert de nouveaux horizons aux recherches; mais l'on n’a pas été plus d'accord dans les conclusions, ni par les expériences faites pour étudier le mécanisme d'aprés lequel a lieu la fonction interne, ni par les autres expériences entreprises au but d'établir quels sont les éléments morphologiques, qui gouvernent les deux fonctions. Existe-t-il un parallélisme entre la duplicité morphologique et celle fonctionelle du pancréas, en autres mots, la fonction interne, qui règle l'échange des sucres dans l’organisme, est-elle localisée dans les ilots de Langer- hans: c'est là la «vexata quaestio» que l'on discute vivement depuis presque une vingtaine d'années. Il existe d'un cóté une doctrine, qui voudrait séparer entre elles les deux fonctions, interne et externe, et attribuer la premiére aux acinis, qui constitueraient de cette manière le tissu exoeri de l'organe, la seconde aux ilots de Langerhans ou tissu endocrin. Nous trouvons d'un autre cóté une seconde théorie, d'aprés laquelle 440 Arrigo Visentini l'élaboration de la sécrétion externe serait toujours un travail du tissu acineux, mais les acini et les ilots participeraient ensemble a la fonction interne. Vis-à-vis de ces deux hypothèses, qui s’accordent pour attribuer au pancréas, comme attribution de ses éléments épithé- liaux, une fonction interne s'expliquant sur l'échange des hydrates de carbone, il existe une doctrine bien différente, qui a été soutenue principalement par Pflüger. Apres avoir découvert que, chez les grenouilles, l'extirpation du duodénum, aussi bien que le simple déchirement du mésentére entre le duodénum et le pancréas, sans toucher ce dernier, détermine un véri- table diabète semblable à celui pancréatique, Pflüger |147—151] a exprimé l'opinion que la fonction spécifique anti-diabétique se trouve sous l'influence d'un organe spécial central nerveux situé dans la paroi du duodénum et qui, ,die vom Duodenum einstrahlenden Nerven der Bauchspeicheldrüse die antidiabetische Kraft verleihen“. Nous allons signaler dans les chapitres suivants les principales et différentes questions de ces problémes, qui se rapportent à la fonction si complexe du pancréas: ce sont là des problèmes auxquels. jai dédié une longue série d'observations et de recherches. PREMIÉRE PARTIE. CHAPITRE PREMIER. La fonction externe du pancréas. Naturam expellas furca tamen usque recurret. (Horace. Ep. ad Aristium Fuscum.) Les études sur la fonction du pancréas datent depuis Claude Bernard, qui a apporté a la physiologie de cet organe une contri- bution merveilleuse et intelligente de recherches et de faits, constituant jusqu'à nos jours le fondement des connaissances actuelles. Avant N Bernard le pancréas!) était considéré par les anatomistes et par les !) Erophillus de Calcédoine connaissait exactement la position du pancréas et sa nature glandulaire. — Leudemus, que Calien tenait au nombre des pre- miers anatomistes, connaissait déjà le pancréas et jugeait qu’ il versät dans l’in- testin une sécrétion semblable à la salive. — Rufo d'Ephése connaissait lui aussi cette glande. — Galien semble faire une allusion au pancréas au livre V. De Usu Partium, mais d'une maniére obscure. — Gaspare Aselli (1627) a pris pour La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc, 441 physiologistes comme une glande salivaire. Claude Bernard fit en 1846 cette observation trés intéressante, que les matiéres grasses introduites dans l’estomac du lapin passent à peu prés sans se modi- fier dans l'intestin et ce n'est quà une certaine distance du pylore qu'elles se moditient, et justement rien qu'au delà du débouchement du conduit excréteur, s'ouvrant chez le lapin, dans l'intestin, à 250—395 cm. au dessous de la papille du cholédoque. Chez tous les ani- maux, pendant la période de la digestion, les vaisseaux chyliferes ne commencent à étre remarquables qu'au niveau du débouchement du conduit pancreatique; ce phénoméne est plus évident chez le lapin à cause de la disposition anatomique que nous avons mentionnée. Cl. Bernard a noté aussi in vitro que le suc pancréatique, mis au contact d'une matière grasse liquide, a la propriété de l'émulsionner instan- le pancréas un groupe de ganglions mésentériques et a décrit le pancréas comme une glande encore inconnue. — Maurice Hoffmann (1642), au courant de l'automne de 1642, trouva le conduit pancréatique dans un dindon et le fit ainsi connaitre à son hôte Georges Wirsung. — Georges Wirsung (1642) découvrit le premier ce conduit chez l'homme. Il en fit faire un dessein quil envoya à plusieurs hommes de science. Il s’ensuivit une lutte scientifique et Wirsung mourut assassiné, paraît-il, le 22 août 1643. — Sylvius de la Boe (1659) fit un dessein remarquable du conduit pancréatique, et Regnier de Graf l’a introduit dans son œuvre. De Succo Pancreatico etc.; il considérait la bile alcaline, le suc pancréa- tique comme un acide et il croyait qu'il y eût bien un procès de fermentation avec effervescence lorsque ces deux liquides venaient au contact entre eux. — Florentin Schul (1670) lia à leur débouchement le conduit pancréatique et celui de la bile. — Conrad Brünner (1683) aurait exporté le pancréas de huit chiens, chez d’autres chiens aurait-il lié le conduit pancréatique. Les animaux guérirent et ne souffrirent aucune indisposition de la digestion. Il en conclut que le pancréas n’a pas une grande importance pour ce qui se rapporte à l'économie. — Bryan Robinson (1752) a donné une grande importance au suc pancréatique. — Hermann Schwaden (1755) a distingué dans le chien et d'autres animaux le conduit bilaire et celui pancréatique; chez le corbeaux il a décrit deux pancréas et deux conduits pancréatiques. — Georges Hennermann (1755) a découvert l'existence de deux conduits pancréatiques. — Asch (1756) a constaté chez plusieurs animaux la présence de globules dans la salive et dans le suc pancréatique. — Ev. Home (1780) a trouvé des globules dans la sécrétion du pancreas. — Fordyce (1791) a etudié les propriétés chimiques de la salive et du suc pancréatique et n'a concédé aucune importance à la salive. — Jacques Pleuk (1794) a analysé le sue pancréatique et la salive et a constaté qu'ils possédaient des propriétés tout à fait semblables. — Siebold (1797) considére le pancréas comme appartenant à l'appareil salivaire. — Leuret et Lassaigne (commencement du XIXe siécle) ont exprimé des idées analogues. — Tiedemann et. Gmelin commencérent à indiquer une différence i entre les propriétés de la salive et celles du suc pancréatique. 442 ME Arrigo Visentini, tanément et cette émulsion différe de tout autre en cela, qu'elle per- siste d'une manière durable, méme si l’on y ajoutait de l’eau; les graisses neutres sont divisées par le suc pancréatique en glycerine et en acides gras. En outre ce méme auteur a reconnu que la sécrétion du pancréas a le pouvoir d'agir sur les substances azotées et de transformer l'amidon en sucre. Par des méthodes différentes il a cherché à empécher, chez les animaux à expérience, que le suc pan- créatique se verse dans le duodénum et il a constaté que, en réussis- sant dans son but, l’utilisation des aliments diminuait et que dans les féces lon trouvait une grande quantité du gras neutre de la nourriture. Par suite de tous ces résultats C. Bernard, dans ses lecons classiques de physiologie expérimentale (semestre d'été 1855) proclamait la grande importance de la sécrétion du pancréas dans les proces de la digestion et dans celui de l'absorption intestinale. Après lui, plusieurs auteurs ont confirmé les découvertes de Ber- nard, d'autres, au contraire, sont arrivés à des conclusions différentes: tandis que l'on affirmait le pouvoir amylolytique, déjà admis depuis longtemps, et celui protéolytique du suc pancréatique, un certain- nombre d'expérimentateurs, tout en confirmant les propriétés d'émul- sionner et de diviser les matiéres grasses in vitro, n'admettaient point que, chez les vivants, la sécrétion du pancréas eüt cette fonction, décrite par Bernard, dans la digestion et dans l'absorption intestinale des graisses, parce que chez les animaux, où ils avaient tàché d'em- . pêcher l'écoulement du suc dans l'intestin, la digestion des matières graisses n'apparaissait pas modifiée. C. Bernard [3 et 4| lui-même, dans ses leçons qui traitent de l'anatomie (l-c. 13me lecon) a adressé des objections à plusieurs de ses oppositeurs (Frerichs |32], Lenz [95], Bidder et Schmidt [5], Colin [10], Herbst [55]), et il a démontré que leurs expériences ne pouvaient avoir aucune valeur à cause des fautes de technique commises (ils n'avaient pas lié tous les conduits excréteurs, etc.) de sorte qu'ils n'empéchaient pas d'une manière sûre l'arrivée de la sécrétion pancréatique dans l'intestin. Bernard a aussi remarqué que la ligature des conduits na souvent aucun effet car, en trés peu de temps, les canaux excréteurs | se rétablissent de nouveau. La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 443 Je ne veux point ici m’occuper ni de l’action protéolytique ou amylolytique que le suc du pancréas exerce au moyen de la trypsine et de l’amylopsine, ni de sa fonction dans l'absorption des hydrates de carbone et des albumineux. Ce sont là des questions assez connues, au moins dans leurs parties fondamentales; tandis que le probléme sur l'importance que la présence du suc pancréatique dans l'intestin a pour la digestion et pour l'absorption des graisses, n'a pas encore été résolu, méme aprés les nombreuses recherches qui ont suivi celles de C. Bernard. C'est à ce probléme que j'ai dédié mes études. Plusieurs auteurs ont étudié les dérangements que la simple soustraction expérimentale du suc pancréatique du duodénum provoque chez les animaux: ils ont fait cela pour établir l'importance des fonctions de ce suc dans la digestion. En 1890 Abelmann [1], guide par Minkowski, a fait les premières recherches qui se rapportent à l'échange de la graisse, sur des ani- maux chez qui le pancréas ne donnait plus de sécrétions à l'intestih, et il a remarqué que, dans les cas d’extirpation incomplète du pan- créas lon constate une perte de la graisse dans les féces dans une proportion d'environ le 60°/, sur la graisse introduite par la nour- riture. Ces faits ont été tout de suite confirmés et complétés par Sand- meyer [167 et 165] et par Deucher [15], récemment par Burkhard [7], par Sinn [177], et par Hess [59 et 60]; d'autres auteurs, au contraire, Rosenberg |162 et 165], U. Lombroso et San Pietro [111], Lombroso [935—109], Zunz et Mayer [211 et 212], Fleckseder [50], auraient con- staté que dans les chiens, chez qui la sécrétion n'aurait pas dü se verser dans l'intestin, l'échange de la graisse avait lieu dans une mesure plus proche de la normalité. La digestion et l'absorption de la graisse seraient donc indépendantes de la présence du suc pancrea- tique dans le tube digestif. Ces résultats si différents ont été atteints sur des animaux, chez qui l'on empéchait au pancréas de faire passer sa sécrétion d'une manière directe dans le duodénum, soit au moyen d'une ligature ou 444 Arrigo Visentini, d’une résection des conduits excréteurs, soit en transportant une partie du pancreas sous la peau, et en extirpant le reste, soit encore en écartant vers l’exterieur la sécrétion pancréatique par la fistule per- manente à la Pawlow et la ligature du conduit secondaire. Les auteurs que je viens de mentionner, ont répété les mémes experiences, en suivant souvent la méme technique: toutefois les résul- tats ne furent-ils point d’accord. L'on a adressé plusieurs objections de caractere technique à ces recherches, pour ainsi dire, negatives. Selon Burkhard [7] les chiens avec fistule permanente à la Pawlow (Lombroso), en l&chant souvent le flux qui découle de la fistule et irrite la paroi abdominale, avalent une quantité de suc pancréatique suffisante pour influer sur la digestion de la nourriture et pour en améliorer l'absorption. Si on a soin d'empécher aux chiens qu'ils léchent la fistule, l’utilisation des aliments en est bien moins considérable. Dans les mémes conditions se trouvent les animaux chez lesquels une partie du pancréas a été transporté sous la peau (Lombroso), car la portion de la glande qui a été transportée, continue de produire du suc et donne ainsi lieu à la formation d'une fistule, par laquelle aussi découle une sécrétion qui peut étre léchée et absorbée. Aux expériences de la ligature et de la résection des deux con- duits excréteurs du pancréas (Lombroso, Rosenberg, Zunz et Mayer) Hess [59] a opposé une objection, c'est-à-dire que, chez les chiens, le pancréas possède souvent trois conduits excréteurs et méme un plus grand nombre et que la clóture de deux conduits ne suffit pas à empêcher l'écoulement du suc pancréatique dans l'intestin. J'ai démontré (et je vais à la suite relater cela d'une manière plus détaillée) que la variété anatomique décrite par Hess est assez rare; jai constaté au contraire qu'il est possible, chez les chiens, le rétablissement anatomique et fonetionnel des conduits excréteurs qui avaient été liés et coupés; de sorte qu'il arrive souvent, méme peu de temps aprés l'opération, que ces animaux se trouvent de nouveau dans des conditions à peu prés normales. L'importance de cette constatation en ce qui concerne les recherches que je viens de mentionner, est tout à fait évidente: et dans les La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogenese etc. 445 chapitres suivants je vais démontrer comment est possible cette récon- stitution des conduits lies et coupés, et par quels moyens a lieu ce proces de réparation. Je nai pas jugé tout a fait inutile de refaire de nouveau les recherches sur léchange des matières grasses chez les chiens où l'on a soustrait au duodénum le suc pancréatique. Je n'ai cependant pas oublié toutes les circonstances qui peuvent infirmer ces expériences et je me suis mis à méme de pouvoir démontrer, d'une maniere in- contestable (ce que je vais aussi exposer à la suite) que chez mes animaux la sécrétion du paneréas ne pouvait plus arriver dans l'intestin. Nous avons à constater, vis-à-vis de ces recherches sur l'échange chez les animaux dont le pancréas ne pouvait plus déverser de sécrétion dans l’intestin, les résultats d'autres expériences sur l'échange des graisses chez les chiens dépourvus de pancréas. Abelmann déjà et avec lui tous les auteurs qui ont étudié l'échange aprés l’extirpation totale du pancréas, ont constaté que, dans ces conditions, la perte de la graisse par les feces est trés con- sidérable, elle atteint le 100?/, de la graisse alimentaire et quelque- fois (Lombroso) l'on arrive méme à avoir une élimination supérieure à la quantité de la graisse avalée. Quelques expérimentateurs, Abel- mann, Rosenberg, Pflüger, sont de lavis que l'influence exercée par le pancréas, ne faisant plus passer son suc dans l'intestin, sur l'ab- sorption de la graisse, se rapporte toujours au suc pancréatique retenu dans la glande; et ce suc, aprés avoir été absorbé par d'autres voles (peut-étre par le courant sanguin), pourrait arriver au tube digestif, gràce à une sécrétion vicaire des glandes qui en tapissent la paroi. Mais les propriétés enzymatiques de la sécrétion des autres glandes de l'appareil digestif ne sont point soumises, dans une con- dition semblable, d'aprés l'avis de Lombroso, de Pende, à des variations dienes de mention. Des 1890 Minkowski a fixe son attention sur une autre éven- tualité, pour expliquer la différence d'absorption de la graisse, constatée | par Abelmann, c'est-à-dire que le pancréas influe sur l'activité des élé- | ments députés à l'absorption, quelque chose d'analogue à l'action que la 1 glande elle-même exerce sur les organes qui gouvernent l'échange du sucre. 446 Arrigo Visentini, U. Lombroso a obtenu des résultats bien différents entre l'ab- sorption chez les animaux dont les conduits excreteurs pancreatiques ont été obstrués, ou bien chez ceux ayant la fistule permanente, ou encore chez ceux à qui il avait pratiqué des greffes sous-cutanées d'une portion du pancréas (absorption presque normale du gras), et l'échange alimentaire chez les chiens dépourvus de pancréas, chez qui il a constaté une perte énorme de la graisse par les féces, perte que nous avons mentionnée (Abelmann, Rosenberg, Zoia, etc.). Lombroso a formulé ,en conséquence une hypothèse semblable a celle de Minkowski, a savoir, «le pancréas possede une fonction interne, erace à laquelle, indépendemment de l'action de la sécrétion externe, il exerce une influence sur labsorption de la nourriture». Pour mon compte je trouve toute hypothése prématurée, pour expliquer ces variations dans l'échange des graisses, déjà notées clairement par Abelmann. Les animaux, auxquels on a opéré l'extirpation totale du pancréas, en comparaison de ceux chez qui lon a simplement soustrait à l'in- testin le suc pancréatique, se trouvent dans des conditions si diffé- rentes, l'apparition du diabéte expérimental complique de la sorte les phénomènes, qu'il est présumable que d'autres facteurs viennent altérer la fonction de l'intestin: tout cela coopere à ce que les deux faits mentionnés ne peuvent étre comparés d'une maniére absolue. Il s'agit, cependant, sans doute, d'une hypothése logique que la i fonction interne du pancréas se fait sentir aussi bien sur léchange des hydrates de carbone que sur ceux des graisses, elle correspond du reste méme à quelques données expérimentales de la symptomato- logie du diabète pancréatique humain. L’amaigrissement rapide qui est une caractéristique du diabéte pancréatique, l'atrophie générale du tissu adipeux, constatée dans certains cas même histologiquement, lexistence de formes de diabete ot l'on observe une lypémie et une lypoidémie trés accentuées, qui correspondent, parait-il, à Vincapacité que les tissus ont à utiliser les graisses, quoique le sang en contienne une quantité trés considérable; encore la constatation que plusieurs malades de diabéte perdent toujours une quantité variable de gras neutre par les feces, méme si la quantité introduite par la nourriture - La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 447 en est trés exigué; c’est la sans doute des indices d’un trouble pro- fond de l'échange de la graisse. Pour mon compte je pense qu'aucun résultat expérimental ne nous autorise à affirmer, d'une maniere absolue, l'existence d'une fonction interne du pancréas, agissant sur l'absorption de la graisse indépendemment de celle qui cause le diabéte, qui lui-méme doit porter à des modifications physiques, chimiques, biologiques des cellules, à de profondes altérations de l'organisme entier. Cela ne peut avoir, pour le moment, que la valeur d'une hypothése. Le chapitre des graisses est, sans doute, l'un des moins connus de la chimie physiologique; nous ne savons rien, ou presque rien, sur la genèse et sur l'échange qualitatif cellulaire de la graisse: c'est là un champ d'études attrayant, encore mal connu, oü nous sommes constamment forcés de constater l'insuffisance absolue de la technique chimique. C'est à cause de cela que j'ai préféré ne point m'occuper de ce probléme et de restreindre mes recherches sur l'échange au cas où le suc pancréatique est tout simplement détourné de lintestin. Je juge nécessaire d'établir tout le point préliminaire de la question, c'est à dire, dans quelles limites s'exerce l'influence de la suppression du suc pancreatique avec ses propriétés enzymatiques, sur le trouble de la digestion et de l'absorption des graisses. CHAPITRE II. Recherches sur la fonction de la sécrétion pancréatique dans léchange intestinal de la graisse. Pour empêcher que le suc pancréatique se deversät dans lintestin des chiens, dans lesquels je voulais étudier l'échange de la graisse, je me suis servi de la méthode, ancienne et simple, qui consiste à lier et réséquer, au milieu de deux liens, les conduits exeréteurs de la glande. J'ai adopté ce moyen, quoique je l'aie moi-même expérimentée Sj peu sür, parce que jai cru nécessaire recourir à une opération ou il y ett ia moindre lésion possible. D'autre part pourtant j'avais pensé à m'assurer d'une manière assez simple que j'avais atteint le but que je m'étais proposé en liant et en réséquant les conduits et 448 Arrigo Visentini, jai pu constater, pour chaque cas, avec une sureté presque absolue, que pendant l'expérience de l'échange de la graisse, mes chiens se trouvaient dans les conditions voulues. Je me suis servi du méme moyen, qui m'a permis de démontrer aussi que la réconstitution des conduits excréteurs pancréatiques des chiens est possible lorsqu'ils ont été auparavant liés et réséqués. Dés que la période de l'échange était terminée, je sacrifiais les animaux et je profitais de la dilatation qui a lieu dans tout le systéme excréteur de la glande aprés que les conduits ont été obstrués, pour injecter, à travers lextremité caudale du pancréas, un liquide coloré dans le conduit central. De cette maniére j'ai pu m'assurer sérieuse- ment si l'opération avait atteint son but, ou, si, soit à travers un canal surnuméraire, soit à travers un des conduits réséqués qui venait de se reproduire, le suc pancréatique pouvait encore, l'animal étant en vie, se verser dans le duodénum. Chez les animaux que jai employé pour les expériences dont je vais vous donner le compte-rendu, j'ai pu constater qu'en réalité le pancréas ne pouvait plus faire passer sa sécrétion externe dans l'in- testin. L'opération de la ligature et de la résection des conduits paneréatiques était faite suivant la technique habituelle, que je vais vous exposer avec des détails dans un des prochains chapitres. J'ai voulu aussi contróler les résultats de l'échange des graisses, obtenus rien qu'aprés l’obstruction des conduits excréteurs du pancréas, à cóté de ceux que l'on atteint aprés l'extirpation partielle de cet organe. J'ai exécuté au chien 4, en premier la ligature et la résection des conduits pancréatiques; aprés quelques jours jai étudié l'échange de la graisse dans ces conditions et tout de suite aprés, en second lieu, j'ai extirpé la „pars descendens“ du pancréas, c'est à dire le „processus uncinatus“ et tout ce morceau qui est adhérent à l'ntestin, et je n'ai laissé, isolée dans la cavité du péritoine, rien qu'une petite portion de la ,pars lienalis^, la partie la plus proche de la rate. Dans des autres animaux, je me suis borné à examiner l'échange aprés lextirpation de la ,pars descendens“ du pancréas (5) méme aprés la compléte atrophie de la ,pars lienalis*, qui résidue (6, 7 derniére série). Quelques jours après l'opération, lorsque les animaux paraissaient La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 449 complètement remis du traumatisme qu'ils venaient de souffrir, j'ai donné journellement aux chiens, pendant une semaine, une quantité invariable de viande et de graisse. Pour déterminer la quantité de matières fécales émises dans les 24 heures, pour certains j'ai calculé la quantité de l'entiére période de l'échange, et j'ai établi la moyenne journaliére, dont je me suis servi ensuite pour les calculs suivants. Dans d'autres cas au contraire, j'ai taché de déterminer les matieres fécales des 24 heures au moyen de charbon ou du carmin: 3—5 heures avant le repas-épreuve, je donnais à manger au chien un peu de viande avec du carmin et, quelques heures aprés le repas, encore un petit bout de viande avec du charbon. De cette maniére la déli- mitation des matieres fecales réussissait assez exactement. Quant à la technique pour l'examen de la graisse contenue dans les fèces, j'ai suivi celle indiquée par Schmidt et Strasburger (225). Je ne me suis pas donné la peine de séparer de la graisse la cholestérine, la lecy- thine, l'acide cholalique, puisque la présence de ces substances n'est cause que d'une erreur tout-à-fait négligeable. É Au bain-marie je faisais déssecher 50 gr. de fèces, quelquefois en y ajoutant de l'aleool éthylique absolu et sur une quantité de gr. 5 de féces séches réduites en poudre trés fine et mélées à du sable lavé et degraisse avec de l'éther, je tirais avec de l'éther pendant 30 heures dans l'appareil de Soxlet. Le premier extrait d'éther séché avec soin dans une étuve à 100 représentait le poids du gras neutre et les acides gras contenus dans les féces. Je délayais de nouveau ce résidu dans un mélange d'alcool et d'éther (en parties égales) et jen titrais l'acidité par une solution 1/10 normale de potasse caustique, indicateur la phenolphtaléine. En rapportant l'acidité à l'acide sté- arique, coéfficient 0.0284 (1 cem. 1/10/N/KOH — 0,0284 d'acide sté- arique) j'obtenais, en grammes, la quantité des acides gras de l'extrait d'éther. En déduisant ce chiffre du total de l'extrait d'éther Ier. il m'en résultait la quantité des graisses neutres (avec -cholesterine et lécytine). Sur le résidu des féces seches, qui étaient restées dans le Soxlet aprés la premiere extraction, je faisais agir une solution aleoolique de HCL, je déssechais de nouveau à bain-marie et je sou- mettais ce résidu à une nouvelle extraction avec le Soxlet. Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XXXI. 29 450 Der Arrigo Visentini, L'extrait d'éther No. 2., sous la forme d’acides gras, m'indiquait la quantité relative de savons contenus dans les féces. Le choix du saindoux comme gras pour les expériences n'a pas été fait au hasard, mais surtout dans le but d'éviter une des plus grandes causes d'erreur, c'est à dire la perte des acides gras volatils pendant le désséchement à 100 de l'extrait éthéré, particulierement de cette partie des acides gras séparés des savons par HCL. Les auteurs, qui ont fait usage du beurre, comme graisse pour les expériences, se servant du méme moyen d'évaluation dont je me suis servi moi-méme, sont tombés dans une erreur qui se rapporte à la perte des acides gras volatils dont ce gras est si richement fourni, ce qui est indiqué par lindex trés élevé de Ae?chert- Meissl, qui, dans la moyenne des beurres, arrive jusqu'à 28! Il est aussi démontré que, dans le saindoux, les acides gras rela- tifs forment presque le total, par l'index élevé de Hehner qui a, en moyenne, 96°: c'est justement l'index de Hehner qui indique la quan- tité des acides gras fixes et insolubles, relatifs à 100 er. de matiére grasse. Cependant, avant d’aller exposer les résultats de mes recherches sur l’echange de la graisse, jai pensé bien faire en résumant, en peu de lignes, quelques notions anatomiques sur les conduits excréteurs du pancréas chez le chien, l’animal que j’ai choisi pour mes expériences. A. Les conduits excréteurs du pancréas chez le chien. J'ai pensé qu'une étude préliminaire sur la disposition anatomique et sur le nombre des conduits excréteurs serait assez remarquable a propos des recherches que je me proposais d'entreprendre sur l'échange de la graisse chez les animaux, dont les conduits excréteurs avaient été fermés; d'autant plus remarquable que, pour mon compte, j'avais recours à la ligature et à la résection entre deux liens, pour empécher que la sécrétion ne se versát dans le duodénum. La description des deux conduits excréteurs dans le chien a été déjà faite par Cl. Bernard et par les auteurs contemporains qui se sont servi de cet animal pour les expériences sur le pancréas; ces deux conduits occupent une place toujours à peu prés la méme et ils La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 451 débouchent enfin dans cette partie du duodénum où le corps du pan- créas, pour une longueur de 5 à 10 cm., est adossé contre la paroi intestinale. L'un des conduits, d'ordinaire le principal, est inférieur par rapport à lautre et il débouche à part dans le duodénum au moyen d'une papille, lui appartenant en propre, là oü la „pars des- cendens* du pancréas s'adosse contre la paroi intestinale. [L'autre conduit, plus petit, est situé plus en haut et débouche, au moyen de la méme papille du cholédoque. Les deux conduits pancréatiques ont de larges anastomoses entre eux, qui ont été reconnues déjà par Regnier de Graaf et par Bernard, cest pourquoi le systeme excréteur de cette glande doit être considéré comme unique. L’existence de deux conduits excréteurs dans le pan- créas du chien a été reconnue ensuite, par tous les auteurs: le seul Rosenberg (162), en conséquence des résultats sur les effets de l'oc- clusion des conduits pancréatiques, a été récemment poussé à suspecter chez le chien l'existence de canaux excréteurs accessoires. Hess (59 & 60) a eu lidée d'injecter dans les conduits du bro- mopin au 33°/, et d'exécuter ensuite la radiographie du pancréas, pour obtenir une photographie de tout l'appareil excréteur de cette glande. Par cette méthode, usée aussi dans les études d’anatomie sur la distribution des vaisseaux dans le parenchyme des organes, Hess serait réussi a démontrer que le pancréas du chien, peut souvent posséder jusqu'à trois, quelquefois jusqu'à quatre conduits excréteurs. J'ai répété les mémes expériences en vingt chiens. Apres avoir tué l'animal jinjectais du bromipin ou du jodipin chaud dans le con- duit excréteur principal. Ensuite j'exportais immédiatement de l’ani- mal le pancréas intact avec ce bout d'intestin où débouchent les canaux pancréatiques. Je faisais refroidir rapidement l'organe et Jexécutais ensuite la radiographie. Pas un des paneréas, où j'avais fait Vinjection, n'était fourni d'un conduit accessoire, surnuméraire, outre les deux conduits normaux, du moins n'était-il pas fourni d'un conduit qui communiquait avec le systeme excréteur principal de la glande. Par ces expériences jai pu cependant constater que plusieurs | variétés de dispositions sont possibles pour les deux conduits, celui | prineipal et celui secondaire; ces variétés méritent d'étre mentionnées, 29* 452 Arrigo Visentini, d'autant plus que quelques unes peuvent causer des erreurs de tech- nique dans les expériences oü il est nécessaire de faire des opérations sur les conduits excréteurs du pancréas. Le conduit excréteur principal est unique, dans le plus grand nombre de cas, et, à peu de distance de l'endroit oü il débouche dans le duodénum, il se dilate en deux branches principales, au dedans du parenchyme pancréatique; ces deux branches continuent, à peu pres, jusqu'au centre de la glande: l'une des deux, la plus courte, se distribue à la téte du paneréas: l'autre, plus longue, à la queue. Tout le long il se détache beaucoup de branches secondaires, qui se ramifient et ont comme continuation les acini. De la branche principale, qui se termine à l'extrémité de la queue, tire son origine, d'ordinaire, un petit canal, le conduit secondaire, qui se dirige vers l'intestin, où il débouche avec le cholédoque dans lampoule de Vater. Le conduit exeréteur principal, au lieu d'étre unique, peut aussi étre composé de deux branches, débouchant dans la méme papille; le conduit secondaire peut étre trés mince, et quelquefois, il n'existe pas du tout; il peut, méme, être uni à la branche du conduit pancréatique | principal, qui termine à la tete du pancréas; il peut former lui-méme une des deux branches du centre du systeme excréteur de la glande; il peut enfin étre formé de deux branches, qui débouchent ensemble dans l'ampoule de Vater. A propos de ces variétés anatomiques du systeme excréteur du pancreas, je mentionne les résultats obtenus par Ssobolew, qui s'ac- cordent avec ce que j'ai constaté moi-méme: Ssobolew aurait trouvé un troisiéme canal excréteur une seule fois, sur-14 chiens qu'il avait opérés. J'ai eu aussi l'occasion d'exécuter, pour d'autres buts, l'extirpation totale du pancréas d'un chien et je n'ai jamais rencontré de conduits excréteurs surnuméraires et je pense que les auteurs mémes, qui ont répété bien plus souvent que moi, cette expérience sur le chien, peu- vent bien avouer que l'existence d'un troisième ou d'un quatrieme canal pancréatique est une variété anatomique du moins assez rare. Claude Bernard, qui recommandait toujours, au cours de ses lecons, la nécessité pour un bon physiologiste de connaitre avant tout lanatomie des animaux dont^il se sert pour ses expériences, Claude La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 458 Bernard avait lui-même étudié le nombre, la disposition et les rap- ports réciproques des conduits excréteurs pancréatiques du chien. Il injectait un liquide dans le conduit principal et le voyait ressortir dans Vintestin, à travers le conduit secondaire, par la papille du cholédoque. Si la présence du conduit accessoire dans le chien était si fréquente que Hess laffirme, Bernard lui aussi, en répétant cette experience, aurait dû constater quelques cas où la matière d'injection retournait dans lintestin par un conduit surnuméraire. Tandis que CZ. Bernard non plus n'a jamais rencontré une variété anatomique semblable. „La présence des conduits excréteurs accessoires, surnuméraires, dans le pancréas du chien, représente donc une variété anatomique assez rare du moins“. D. L'échange de la graisse après Vocclusion des conduits excréteurs du pancréas. Chien 1. Male, poids Kg. 9,800 Ligature et résection des conduits e. p. le 25 février 1907 Echange 5—12 mars — Limitation des féces avec du carmin. Nourriture quotidienne gr. 400 viande de cheval » 90 saindoux Je recueille les féces du 10—12 mars gr. 324 De 50 gr. j'obtiens gr. 16,42 de féces séches Dans gr. 5 de féces sèches: Gras neutre. ... . . . . gr. 2,241 Acıides, grasstixes 0 01:29 22 OTIS Acides gras se rapportant aux SAVONS S050 lio sa Je Rene brane Da Total, GLASER do og A. BS Gras introduit pas la nourriture, gr. 100 Gras éliminé ?/, sur celui qui a été introduit Grasenbutren ee ae Wr 010-9 90 RET OS 92. Acides gras fixes . . . m ec ac rl 0086 Acides gras se Sap aux savons ,„ 11,4297 qQotal MERE y c M iE ent OR ER pSSOXIEEOS/6 sur celui qui a été introduit. Chien 2. Femelle, poids Kg. 10,500 Ligature et résection des conduits e. p. le 22 mars 1907 Echange 3—9 avril Nourriture quotidienne gr. 400 viande de cheval „ 100 graisse de porc Féces du 7—8 avril » 274 De 50 gr. j'obtiens gr. 15,12 de féces séches 454 | Arrigo Visentini, Dans gr. 5 de fèces sèches: Gras neutre . . . =.» gr. 1,628 Acides gras fixes . . . » 1,489 Acides gras se portici aux SANONSI er ERE LET Total. Sesso c s de ento ys To] NOT Gras introduit par la nourriture gr. 110 Gras éliminé ?/, sur celui qui a été introduit Grassmeutre ten LIN Vene TIT Sr DID NDS Acides gras fixes. . . aeter rz - IO d Acides gras se. tion aux savons , 9,5509 Total. 7 tee yes en DO. Chien 6. Male, poids Kg. 8,700 Ligature et résection des conduits excréteurs pancréatiques le 4 juin 1909 Période de l'échange 7—12 juin Apres cette opération l'ndican a disparu de l'urine, d’où il a toujours été absent les journées suivantes. Nourriture quotidienne — viande de cheval gr. 450 saindoux , 40 Moyenne journaliére des féces gr. 228 — De , 50 j'en obtiens » 17,21 de féces séches Gras indroduit par la nourriture gr. 50 (y compris celui de la viande) Gras éliminé 9|, sur celui qui a été introduit: Gras mentre. qc nace ee MER DET Acides gras fixes. . . MAE Nose vr OES Acides gras se comportanti aux. savons „ 16,951 Boato ER E e ae 4 gr. 71,296: Chien 3. Mile, poids Kg. 9,530 Ligature et résection des conduits e. p. le 15 mars 1908 Echange — 51 mars — 6 avril Nourriture quotidienne gr. 450 viande de cheval » 40 de saindoux Limitation des fèces avec. du charbon et du carmin Fèces du 4—5 avril gr. 288 De gr. 50 j’obtiens gr. 17,03 de fèces sèches Dans gr. 5 de féces sèches: Gras neutre . . . . . . gr. 0,9021 Acides gras. fixes . . . . , 0,7718 Acides gras relatifs aux savons „ 0,2671 Total S UE Si gra 159205 Gras introduit par la nourriture chaque jour gr. 50 Gras éliminé °/, sur celui de la nourriture Grasineutre SAT Nul cue e SET rp MONEO, Acides gras fixes . . . SOS a, a O) Acides gras relatifs aux savons . . . , 10,4688 Totals ERO ER SEE . gr. 76,0829. Chien 4. Femelle, poids E 10,880 Ligature et résection des conduits e. p. le 28 mars. 1908 Echange 5—12 avril à Berlin La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 455 Nourriture quotidienne gr. 450 viande de cheval » 40 saindoux Moyenne des féces de chaque jour gr. 253 De gr. 50 feces humides = gr. 15 féces séches Danser oO dentecesmseches: a, Gras; neutre 7 2 sen or 0747 NODES PAE MEGS NE SR O 20 Acides gras relatifs aux savons „ 0,3511 DOO E IRE o II Gras introduit par la nourriture gr. 50. Gras éliminé °/, sur celui de la nourriture: Gras neutre . gr. 34,6073 Acides gras fixes... .. TRES AO 9099 Acides gras relatifs aux savons. 2280088579090 VAI ei MEE ate CS 0010702 C. L’echange de la graisse aprés extirpation de la pars descendens du pancréas (corpus pancreatis et processus uncinatus). Chien 4. i Femelle, poids Kg. 9 a Extirpation le du pancréas le 14 avril 1908 à Berlin Echange 22—28 avril Nourriture quotidienne gr. 450 viande de cheval » 40 saindoux Moyenne des féces de chaque jour gr. 256 De gr. 50 de féces humides j'obtiens gr. 16,42 féces séches Dans gr. 5 de féces séches: Gras neutre . . . . . . . gr. 1,0019 GOES fame WEES <5 6 2 6 DTA Acides gras se rapportant aux SAVONS eee ee ERU E220 Rotal RS c c Eoo dO Gras introduit par la nourriture gr. 50 Gras éliminé 9?/, sur celui de la nourriture Graseneulrc de du NE Tx coral SOS Ncidestoras fixes ar ee et : Acides gras se rapportant aux savons „ 13,0980 Total SRI E RE cene oH crop 730925 | Chien 5. Femelle, poids Kg. 11,400 Extirpation partielle du pancréas le 22 mai 1908 à Berlin. Echange 20—28 mai Nourriture quotidienne gr. 450 viande de cheval , 40 saindoux Moyenne quotidienne émission féces gr. 295 De gr. 50 jai obtenu gr. 14,25 féces seches 456 | Arrigo Visentini, Dans gr. 5 de fèces sèches: Gras neutre . . . . . . gr. 0,9845 Acides gras fixes . Ct. 2... „ala Acides gras se rapportant aux SAVONS ee foie I ES EURO Total). a CIE Se no PAT Gras introduit par la nourriture chaque jour gr. 50 Gras éliminé °/, sur celui de la nourriture: Grasineutre i st. e I Ne OO Acides erasifixes .' 00:0. 6% al Acides gras se rapportant aux savons , 6,9877 Total: ae. RO QU et 10, II Le chien est mort présentant glycosurie apres l’exportation du restant du pancréas, le 28 juin. — Deux jours aprés l’operation il pesait Kg. 5,800. Chien 6 (derniére série). Mâle, poids Kg. 12,800 Extirpation du corpus pancreatis, le 22 mai 1913. Extirpation du ,,pro- cessus uncinatus“ le 6 décembre 1913 (v. p. 519) Echange 13—17 décembre. Nourriture totale: Chair de cheval gr. 1080 Gras de pore (saindoux) , 180. Total du gras ingéré gr. 200. Fèces recueillies, gr. 515 gr. 100 feces fraiches — gr. 44,570 feces seches Gras éliminé °/, de celui qui a été introduit: Gras/neutre n ola Lay See pe OU ROLES Acide gras fixes . ". orto le Acides gras par rapport aux savons . . , 6,8860 LMG ITT aise ed se Pu a NU . gr. 78,0879. Chien 7 (derniere série). Femelle, ane Kg. 15,500 Extirpation du „corpus pancreatis“ le 23 mai 1918. Extirpation du “pro- cessus uncinatus^ le 20 janvier 1914. Echange 23—25 janvier Nourriture: Chair de cheval gr. 500 Gras de porc (saindoux) , 90 Total du gras ingéré gr. 100. Fèces recueillies gr. 210 gr. 100 de féces fraiches — gr. 65,275 de féces séches Gras éliminé le °/, de celui qui a été ingéré: Gras neutre. ^; X" GU ME uo c ecce ETE OMM Acides gras fixes. . . SI e MARIO RISI ali Acides gras par rapport aux savons . . „6,5793 Totals ues us eo s ee RISORSE IPS TEE Conclusions, Pour tous les chiens auxquels (à propos aussi d'autres expérienees | dont je donnerai ensuite la relation), j'ai lié et réséqué les conduits | La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 457 excréteurs du pancréas, j'ai toujours eu recours à l'examen des fèces au microscope et j'ai constaté, méme au microscope, la présence d'une quantité remarquable de graisses neutres (que l'on pouvait mettre en évidence par la coloration au moyen du Sudan III) et de nombreux petits cristaux d’acides gras. La figure 1 de la table XIII réproduit une préparation, colorée avec le Sudan III, de féces du chien 4 aprés la simple occlusion des conduits pancréatiques: la figure 3 représente les féces du méme animal tenu à la méme diéte aprés l'extirpation partielle du pancréas. Avec d'autres animaux j'ai obtenu des prépa- rations analogues. Ce que j'ai retrouvé dans les deux cas est, lon peut dire, iden- tique, ce qui a déjà une grande valeur démonstrative, surtout si on le comparait avec ce que j'ai constaté à propos d'un autre chien ser- vant de contróle, un chien à peu prés du méme poids, du méme áge et de la méme race, ayant été tenu lui aussi, pendant la méme période de temps, à la méme diéte que le chien précédent. Dans la prépa- ration, méme aprés la coloration avec le rouge Sudan, l'on ne trouvait pas la moindre goutte de gras, ce qui est représenté par la figure 2° de la table XIII. Dans cet animal l'extraction prolongée des féces dés- sechées par le Soxlet, n'a donné qu'une trace de résidu d'éther. Par rapport aux chiens au contraire, que je viens d'avoir exposé plus haut, aprés un examen chimique des féces j'ai obtenu les résul- tats que je résume dans la table suivante: Durée des Gn em Gras absorbé | Gras pese . || la nourri- E par les féces Observations recherches pe lo O e ture gr. %o — — - : 5.—12./3. 1907 100 19,8335 80,165 | ‘ 3.—9./4. 1907 110 44,0001 | 55,9959 | Ligature et résection 31./3.—6./4. 1908 50 23,9171 76,0829 ‚des conduits excréteurs 5.—12./4. 1908 50 33,9208 | 66,0792 | ‘du pancréas 7.—12./6. 1909 50 28,744 | 71,256 22.—28./4. 1908 50 25,6968 74,3032 Extirpation de la 20.—28./5. 1908 50 22,5503 77,4497 pars descendens 13.—17./12. 1913 100 21,9121 | 78,0879 du pancréas 23.—25./1. 1914 100 8,6923 | 91,3077 Dans tous les animaux chez lesquels l'on a empéché l'écoulement (de la sécrétion pancréatique dans le duodénum, j'ai constaté toujours 458 Arrigo Visentini, un amaigrissement sensible et progressif et une diminution du poids de leur corps jusqu'à la moitié environ du poids initial. Cela est en contradiction d'une maniére absolue avec les affir- mations de Zunz et Mayer (211). Ces deux auteurs ont observé que les chiens, aprés une diminution de poids les jours suivants immé- diatement la ligature et la résection des conduits pancréatiques, pou- vaient acquérir un poids méme supérieur à celui initial et se conservaient ensuite dans un état de nutrition excellent. En conclusion: „le. suc pancréatique accomplit dans l’intestin une fonction trés importante qui est surtout nécessaire à la digestion et à l'absorption de la graisse. Lorsqu'on soustrait dans l'intestin du chien le suc pancréatique, l'on constate une perte de gras à travers les fèces, qui arrive jusqu'à un taux variable entre le 68 et 80*/, du gras de la nourriture. Chez un animal dans qui, aprés l'extirpation partielle du pancréas, il ne restait dans l'abdomen que la pars lienalis atrophique, ce chiffre s'est élevé jusqu'à 91 */,. Cette variabilité peut dépendre des causes d'erreur qui sont tou-. jours nombreuses dans des recherches sur léchange alimentaire; elle peut étre aussi, en partie, en rapport avec la qualité du gras avec lequel ces expériences sont initiées. Les animaux, dont le pancréas ne donne pas sa sécrétion à l'in- testin, maigrissent d'une maniére constante et progressive, sans que le diabéte soit intervenu chez eux; ils subissent aussi une perte considérable dans le poids de leur corps jusqu'à la moitié environ de leur poids initial. ; Il y a sans doute des cas où, après la simple ligature et la résection des conduits excreteurs pancréatiques, la perte du gras par les. féces et la diminution du poids du corps sont minimes, et, méme, ne se verifient pas du tout. Mais cette constatation (nous allons en parler dans le chapitre suivant) est en relation avec la possibilite que la sécrétion trouve une voie pour se verser de nouveau dans le duo- dénum, “ La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 459 CHAPITRE III. La restauration anatomique et fonctionnelle des conduits excréteurs du pancréas ayant été liés et réséqués. En faisant les recherches sur l'échange de la graisse, que je viens d'exposer dans le chapitre précédent, j'ai voulu m'assurer d'une ma- niére définitive que chez mes chiens la sécrétion pancréatique ne pouvait plus en réalité, se verser dans l'intestin. J'y étais induit aussi par certains résultats contradictoires, dont j'ai déjà parlé aupa- ravant et auxquels j'étais arrivé par des expériences analogues exé- cutées sur d'autres animaux: aussi les altérations histologiques du pancreas des chiens sacrifiés à des époques différentes aprés la liga- ture des conduits excréteurs, n'étaient pas toujours constantes. Tandis que dans le plus grand nombre des cas (ce que je vais vous exposer prochainement), je constatais une atrophie profonde du tissu exocrin, autrefois, au contraire, le pancréas ne présentait pas un volume trés réduit et conservait une structure à peu prés normale. C'est à cause de tout cela qu'un probléme s'imposait à mon attention, c'est-à-dire trouver un moyen par lequel je pusse constater que, chez les animaux que je venais d'opérer, l'écoulement de la sécrétion était empéché d'une manière absolue. J'ai donc eu l'idée d'injecter, à partir de l'extremité caudale du pancréas, le systeme excréteur de cette glande au moyen d'un liquide coloré, pour constater si, par hasard, il existait des conduits excré- teurs accessoires, ou si en général, dans les cas mentionnés, pour ainsi dire, négatifs, il était survenu quelque cause d'erreur dans la technique. de l'opération ou autre chose qui püt rendre inutile le but que je me proposais d'atteindre. Par cette injection je pouvais natu- rellement m’assurer sans aucun doute, sil existait. ou non quelque voie pour l'écoulement de la sécrétion. A ma grande surprise le liquide injecté ressortait librement du duodénum, généralement à travers la papille du conduit principal, dans quelque cas cependant méme à travers la papille du cholédoque, à travers les voies par lesquelles normalement le suc pancréatique se verse dans l’intestin. Des lors je n'ai jamais manqué de soumettre à 460 Arrigo Visentini, cette preuve le pancréas des chiens sacrifiés ou morts naturellement apres la ligature et la résection des conduits et j'ai pu m’assurer que, pour le chien, il est possible que les canaux pancréatiques, qui avaient été lies et réséqués, se rétablissent anatomiquement et dans leurs fonctions. De nouvelles recherches m'ont permis d'établir de quelle maniere a lieu cet interessant proces de réparation. La technique que j'ai suivie pour faire l’injection du système excréteur du pancréas est trés simple. Par commodité j'extirpe, aprés la mort de l'animal, tout le pancréas avec la premiére partie du duo- dénum qui se trouve avec lui en rapport direct. Il faut avoir soin de ne pas toucher le parenchyme de cette glande pour éviter une fuite artificielle du liquide injecté. Je coupais alors en direction transversale le pancréas prés de l’extremite de la queue. Générale- ment au centre de la section l'on aperçoit le conduit excréteur sou- : vent dilaté et béant, duquel sort quelque goutte de suc pancréatique. La dilatation de tout le systeme excréteur de la glande est ordinaire- ment trés remarquable; il est done aisé d'introduire une canule pour injection dans le conduit central ayant été réséqué en sens trans- versal; dans les cas oü la dilatation est moindre ou tout à fait nulle, il est toujours possible d'y introduire une aiguille de seringue Pravatz. Il faut user une certaine prudence pour ne pas frayer de fausses voies dans la paroi du conduit. La canule, cela se comprend, doit étre fixée par un lien qui serre le pancréas, in toto, et empéche l'écoulement du liquide injecté. Comme matériel pour l'injection je me suis servi d'un liquide coloré quelconque, d'une solution de Wasserblau d'un bleu trés intense. L'injection peut se faire au moyen d'une seringue commune de Pravatz; dans le cas oü la reconstruction des conduits a eu lieu, une faible pression est suffisante pour presser le liquide coloré dans le duodénum. Si l’on a ouvert l'intestin jusqu'à découvrir les papilles des canaux excreteurs, on peut constater par quelle voie s'écoule le matériel injecté. Le rétablissement anatomique des conduits excréteurs du pancréas et de leurs fonctions, a été observé par moi dans dix chiens. Ceux-ci ont été, en partie, sacrifiés (15—30—65—84—95— 134 jours après La fonction du pancréas et ses rapports avac la pathogénése ete. 461 l'opération), les autres je les avais trouvés morts. Il m'a été possible, pour ees derniers à l'exception d'un, de constater la cause de leur mort: chez trois il existait une nécrose trés sensible du tissu adipeux, non seulement de celui pancréatique mais encore de celui mésen- térique. Cette constatation anatomopathologique doit étre mise en rapport avec cette autre: que le suc pancréatique (j'ai pu établir cela dans ces trois cas par l'injection du systeme excréteur de la glande) se versait aussi dans la cavité du péritoine. Dans tous ces cas, je peux exclure qu'il s'agissait d'une erreur de ligature des conduits excréteurs ou de la présence d'un troisième conduit accessoire. Une erreur dans la technique de lopération peut sans doute se vérifier dans quelques cas, mais seulement à propos de la ligature du conduit excréteur secondaire, qui est presque toujours mince et peut étre pris en échange par quelqu'un qui n'à pas beaucoup d'expérience, pour un de ces nombreux vaisseaux qui arrivent au pancréas en partant de lintestin. Mais les conduits excréteurs pancréatiques sont si caractéristiques qu'un ,qui pro quo* de ce genre est d'ordinaire impossible. Le conduit principal est trés gros, on le retrouve trés facilement et sa topographie ne varie que rarement. Dans les cas que je viens de mentionner, la reconstruction se rapportait toujours au conduit excréteur principal et, seulement dans quelques-uns, à celui secondaire aussi. Il aurait pu s'agir de ces chiens, où le pancréas possède un troisieme canal excréteur, ce qui est trés fréquent, d'aprés Hess. Mais la topographie elle-méme du conduit rétabli nous permet d'ex- clure cette hypothese et, dans tous les cas susdits, je n'ai jamais constaté que le liquide de l’injection, poussé dans le systeme excréteur de l'extrémité caudale du pancréas, ait pénétré dans Vintestin à un point intermédiaire entre les deux papilles, qui représentent les dé- bouchements des conduits pancréatiques normaux. Mes expériences me permettent encore d'exclure, pour les dix chiens dont j'avais in- . jecté les conduits excréteurs, l'existence d'un conduit accessoire, du moins d'un conduit qui communique avec le systeme excréteur prin- cipal de la glande. Du reste, ce qui dissipe le doute et tranche la 462 | Arrigo Visentini, question, c’est l'observation directe macro et microscopique des con- duits rétablis aprés la ligature et la résection. Dans certains cas, en profitant de la dilatation si sensible des conduits; jai préparé tout l'arbre excréteur pancréatique: c’est ce que le dessein ci-joint nous montre (table XIII, fig. 7) puisqu'il reproduit un pancreas, dans lequel ces constatations étaient trés évidentes. Le chien avait subi, pour un autre but, la ligature et la résection des deux conduits excréteurs; et l'opération, exécutée par moi et par le docteur T. Wohlgemuth, avait trés bien réussi. Apres 45 jours l'animal est mort d'une nécrose du tissu adipeux du peritoine: l’in- jection de Wasserblau a démontré que le suc pancréatique pouvait non seulement s'écouler dans l’intestin à travers la papille du conduit principal, mais que, dans deux endroits, il arrivait dans la cavité abdominale. En examinant la glande on apercoit tout le systeme excréteur trés dilaté: les deux branches qui partent l'une de la téte du pancreas, lautre de sa queue, se réunissent en une seule, qui forme le conduit principal. Prés du debouchement il y a une cavité anfractueuse, dans laquelle restaient les liens de soie ayant servi à. la ligature, un desquels se trouve encore à présent attaché à la paroi; lautre est libre dans la cavité elle-même. C’est là une constatation que j'ai faite dans le plus grand nombre des cas: les liens de soie demeurent libres dans la cavité qui se forme à l'endroit de la ligature et de la résection du conduit; les noeuds ne se dénouent point et ne sont pas digérés, mais ils ne ressérrent plus le moindre reste du tissu. Dans le cas reproduit par le dessein, de la cavité que je viens de décrire, deux autres conduits se détachaient, creusés dans le tissu entre la paroi du duodénum et le pancréas: un des deux est trés évident dans le dessein. Les deux débouchaient dans la cavité du péritoine et c'est par eux que le liquide injecté à la queue du pan- créas s'écoulait dans la cavité du péritoine méme. L'examen microscopique a démontré que ces conduits artificiels n'étaient point revétus d'épithélium, leur paroi étant formée de tissu connectif nécrotique et de tissu adipeux, lui aussi, de part et d'autre, en nécrose. Dans les autres cas, de méme, j'ai constaté la répétition de ces La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 463 phénomènes. Parfois, jai fixé, inclus et sectionné en séries, tout le morceau du pancréas et de la muqueuse intestinale comprenant la région des conduits reconstruits. L'examen au microscope m'a permis d'affirmer de nouveau que le conduit, auparavant lié, était de nouveau en communication avec le duodénum. La cavité, qui s'était formée à lendroit de la ligature et de la résection, paraissait trés anfrac- tueuse et revétue d'épithélium; la paroi était devenue trés épaisse par une nouvelle formation de tissu connectif. Les noeuds de soie étaient isolés dans la cavité du conduit ou fixés dans la paroi Dans un cas, le noeud de soie resté, était tout entouré de tissu connectif et le conduit nouvellement formé passait à cóté, comme si le suc paneréatique s'était ouvert un chemin transversal, à travers la paroi du conduit lié et dilaté. Dans un autre cas, en dehors de ceux que jai mentionnés (un chien mort à cause de la necrose du tissu adipeux, quelques jours aprés la ligature et la résection des conduits pancréatiques), j'ai con- staté un fait intéressant qui a peut-étre du rapport avec la possi- bilité d'une reconstruction des conduits et en explique la manière: le liquide injecté à la queue dans le conduit excréteur ne s'écoulait pas dans le duodénum, mais dans la cavité du péritoine à travers une fissure qui s'était formée dans la paroi du conduit secondaire réséqué, tandis que le lien était demeuré à sa place. Je pense que l'on doit interpréter cela comme une conséquence de l'activité digestive du suc pancréatique. Le liquide accumulé en grande quantité dans le systéme excréteur aprés l'opération, à cause de son pouvoir digestif lui-même, qui s'exerce avant tout sur le moignon pancréatique du conduit réséqué et ensuite sur le moignon intestinal, s'ouvre un passage pour arriver au duodénum. Pendant ce procés la stase de la sécrétion détermine la dilatation des canaux excréteurs de la glande et il est possible que le suc pan- créatique lui-même digère le tissu environnant et se creuse des con- duits dans le conjonctif et dans le tissu adipeux et parvienne quelquefois à s'écouler méme dans le cavité du péritoine. 464 Arrigo Visentini, Au milieu de l'aetivité actuelle des études sur la physiopatho- logie du pancréas, le chien étant souvent employé comme animal à expérience, je pense qu'il est nécessaire de rapporter l'attention des hommes de science sur la possibilité de la restauration des canaux excreteurs ayant été auparavant liés et sectionnés. Claude Bernard et Ssobolew à la suite, avaient observé, aprés la simple ligature, le rétablissement de la perméabilité des canaux pan- créatiques. C’est à cause de cela qu'on avait recours à la résection des canaux mémes, pour garantir le résultat final de l'opération. C'est à ce dernier procédé que les expérimentateurs donnérent toujours leur entière confiance, lorsqu'ils voulaient empêcher l’écoulement du suc pancréatique dans Vintestin. Au contraire, les voies d’excrétion se rétablissent souvent, méme lorsqu'on lie plusieurs fois, lorsqu'on recoud, lorsquon fait une rivure aux moignons du canal excréteur pancréa- tique retranché. La connaissance de cette nouvelle constatation peut faire éviter des erreurs à ceux qui veulent se servir de la ligature et de la ré- section des conduits pour empécher d'une maniére absolue l'écoulement du suc pancréatique; cette connaissance peut aussi nous donner une explication des résultats, comme nous avons vu, différents et souvent contradictoires, de plusieurs expériences; résultats à cause desquels la fonction si complexe de cette glande digestive est encore en grande partie si peu connue. L'on comprend aisément que la possibilité de la restauration des canaux excréteurs pancréatique a une importance fondamentale pour les recherches sur le comportement histologique du pancréas, sur l'échange alimentaire, sur les ferments dans le pancréas, dans le sang, etc. aprés la ligature et la résection des conduits: voilà des questions qui sont toutes fort étudiées aujourd'hui, c'est pourquoi je pense que les résultats de ces recherches ne peuvent avoir une certaine valeur, que si l'on démontre pour chaque cas en particulier que le suc pan- créatique ne peut plus arriver au duodénum. Je résume ici mes remarques: 1) Il est possible que les conduits excreteurs du pancréas se La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 465 rétablissent, chez le chien, anatomiquement et dans leurs fonctions aprés leur double ligature et leur résection entre les noeuds. 2) Cette restauration des canaux excréteurs ne doit pas étre identifiée avec un véritable processus de régénération par l’activité formatrice des éléments survécus, mais elle est une simple conséquence de l’activité digestive du sue pancréatique, qui réussit quelquefois à se creuser de larges voles dans le tissu conjonctif et, dans le cas oü cette activité digestive s'exerce aussi sur le bout duodénal des con- duits sectionnés, parvient à s'écouler de nouveau dans l'intestin par sa voie naturelle. 3) Le suc pancréatique en se frayant une voie à travers les tissus, peut parvenir à déboucher dans la cavité abdominale, ce qui entraîne la nécrose du tissu adipeux et la mort de l'animal. 4) Dans aucun des cas, où jai injecté le systeme excréteur du pancreas, il n'existait de troisiéme canal accessoire, du moins pas un qui füt en communication avec le systéme excréteur de la glande. 5) Dans toutes les expériences, par lesquelles on se propose d'étudier les conditions de l’organisme animal, lorsqu'on essaye d'ex- clure de l’intestin la sécrétion pancréatique, au moyen de la ligature suivie de section des conduits excréteurs, il faut contrôler l’occlusion des conduits pour chaque cas en particulier, en injectant le systeme excréteur de la glande par l'extrémité du canal occupant la queue de l'organe. DEUXIEME PARTIE. OHAPITRE I. La fonction interne du pancréas. Si l'on n'est pas un bon anatomiste il est impossible de devenir physiologiste. Cl. Bernard. En 1889 De Dominicis, v. Mering et Minkowski ont contempo- rainement démontré, par lextirpation expérimentale du pancreas in toto, que cette glande possède une fonction interne dont dépend l'échange des sucres dans lorganisme animal. Laguesse (1893), Schäfer, Diamare (1895) avec des critériums exclusivement morphologiques, ont pensé quà la fonction interne Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XXXI. 30 466 Arrigo Visentini, étaient destinés les ilots de Langerhans, qui présentent précisément la structure d'une glande à sécrétion interne. Avant ce temps, diffé- rentes opinions avaient été formulées sur la signification de ces amas cellulaires caractéristiques dénommés aussi avec des noms différents par les différents auteurs (intertubulären Zellhaufen de Kühme et Lea, Pseudofollikeln de Podwyssotzky, points folliculaires de Remaut, se- condary cell groups de Harris et Gour, ilots de Langerhans de Laguesse). | | Je vais vous rappeler à ce propos que Langerhans, quoiqu'il les ait décrits avec toute exactitude, a déclaré qu'il s’abstient de n’im- porte quelle hypothèse sur leur caractère et sur leur signification Kühne et Lea [64] pensaient qu'il s'agissait d'organes de nature lymphathique et cette opinion fut aussi, plus tard, acceptée par Soko- loff [179], Schlesinger |172|, Pugnat [158], Orrù [155], malgré qu'il ait été reconnu le caractère épithélial des éléments des flots (Renaut [159—160]) et leur origine embryogéniques des tubules pancréatiques primitifs (Laguesse |. c. Pour Gibbes les accumulations de Langer- hans représenteraient des résidus embryonnaires et pour Giannelli [55—59] une partie rudimentaire du pancréas douée d'une fonction plus importante chez les vertébrés inférieurs. A cette conception s'approchaient aussi Opel [152] et Zamboni [210]. Lewaschew a étudié les ilots de Langerhans dans les périodes d'activité et de repos du pancréas et les a interprété comme des acini glanduiaires épuisés, | capables de reprendre leur structure et leur fonction primitive aprés une période de repos. Cette conception a été aussi aeceptée par Minkoswki [127-129], tandis que Dogiel [25] les considéra comme des „tote Punkte“, des portions du pancréas en métamorphose régres- sive. Je mentionne enfin l'hypothése admise par Harris et Gow [47], Waldt [200], Giannelli et Giacomini [40], que les îlots de Langerhans prennent part à l'élaboration d'un des composants du suc pancréa- tique et quils sont pour cela destinés à la sécrétion extérieure. Toutes ces opinions sur la valeur morphologique et fonctionnelle des ilóts n'ont plus aujourd'hui qu'un simple intérét historique vis-à- vis de la théorie de la sécrétion interne, qui a, avant tout, une base solide dans la morphologie de ce genre de formations. La fonction du pancreas et ses rapports avec la pathogénése ete. 567 Cette hypothese que les ilots de Langerhans avaient la fonction de régler l'échange du sucre, a donné lieu aussi à une théorie sur la pathogénése du diabéte sucré, la théorie, ainsi dite, insulaire du dia- bete (Sauerbeck). Les études sur cette importante question de physiopathologie se sont dirigées surtout dans deux voies. i L’une est purement expérimentale. Avec différents expédients de technique opératoire on a tenté d’obtenir la séparation morpho- logique et par conséquent fonctionnelle des deux tissus qui constituent le pancréas, l’épithélium glandulaire proprement dit et les ilots de Langerhans. Comme à propos d'autres glandes a sécrétion externe, lorsqu'on empéche l’ecoulement de la sécrétion, on provoque un procés d’inflam- mation chronique qui conduit dans un temps plus ou moins long à la sclérose de l'organe et à la destruction de l'épithélium glandulaire, de méme on a tenté aussi, à propos du pancréas, d'obstruer les conduits excréteurs et d'obtenir de cette maniere l'eventuelle disparition des. acinis pancréatiques, pour établir lesquels, des troubles de l'échange alimentaire qui suivent l'extirpation complete du pancréas, sont causées par le manque de la fonction des acini, et quels autres par l'absence de la fonction des ilots. L'autre voie est représentée par les recherches désormais nom- breuses d'histopathologie humaine, sur le comportement des ilots de Langerhans dans les différents états de maladie. La découverte de Pflüger d'un diabéte duodénal identique a celui | pancréatique, que l'on pourrait provoquer, suivant Pflüger, dans les grenouilles par l'extirpation de la première partie de l'intestin, a donné lieu à une théorie, que jai déjà indiquée, suivant laquelle la fonction | antidiabétique du pancréas serait en directe et étroite dépendance ‘avec un organe nerveux central, se trouvant dans la paroi du duo- | dénum. Le fait démontré par Pflüger a provoqué toute une série d'études ssur cet argument qui paraissait ouvrir une nouvelle voie à la con- inaissance de la pathogénése du diabète sucré. Il est bon que je rappelle ici (v. au chapitre suivant) les données 30 * 468 | Arrigo Visentini, fondementales de cette question, qu'on pourrait définir préliminaire, car le fait démontré par Pflüger, qui semblait ouvrir une nouvelle voie à la connaissance du diabéte sucré, a provoqué toute une série d'étude et de recherches. Une fois ce point éclairci, nous ferons suivre quelques obser- vations sur la morphologie des ilots de Zangerhans, pour en venir aprés à lexposition des recherches expérimentales ayant le but d'étu- dier la fonction de ceux-ci. : CHAPITRE II. La question de la glycosurie duodénale. Apres la découverte de Pflüger (149bis) c'est-à-dire que l'exportation du pancréas et méme la simple déchirure du mésentére entre le duo- dénum et le pancreas, sans toucher le pancréas, détermine chez les erenouiles un véritable diabète, il semblait que la base expérimentale du diabéte pancréatique eüt recu une forte secousse. Pflüger lui- méme et d'autres auteurs initièrent immédiatement de nouvelles re- cherches pour constater si ce que l'on avait observé à propos des grenouilles, se répétait aussi chez les mammifères. Mais Pflüger n'a pas réussi à garder ses chiens en vie aprés une opération si grave. Ehrmann [27] et Lauwens [82] ont fait l'extirpation du duodénum dans sept chiens, dont trois ont survécus à peu près deux semaines. © Dans un seul animal l'on a constaté, tout de suite aprés lopé- ration, une glycosurie remarquable, qui a disparu les jours sui- vants. Ces résultats ont été publiés avec trop peu de détails par Ehrmann et resumés ensuite exactement par ZLauwens. Ces deux auteurs ne sont pas d'accord sur les données de fait obtenues par eux, ce qui nous fait supposer que les résultats de ce groupe ne doi- vent pas étre jugés comme trop sürs. A ce propos Pflüger a voulu relever [749] que ,certains chiens de Ehrmann ont démontré, aprés l'opération, une perte évidente de sucre (plus que 1°/,)“, tandis que Zauwens (loc. cit) a détaillé en affirmant que cette elycosurie transitoire a été constatée seulement | dans un cas sur sept. Rosenberg |162] lui aussi a constaté une élimination du sucre La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 469 par l’urine dans la proportion de 0.7°/, dans un seul des quatre chiens qui avaient survécu pendant 24 à 60 heures aprés l'extirpation du duodénum; cependant un cinquiéme animal n'avait pas présenté la elyeosurie apres 23 jours. Minkowski |129] a publié deux autres cas: dans ceux-ci une forte glycosurie s'est manifestée aprés l'exportation du duodénum, mais elle a disparu le jour suivant pour ne plus reparaitre. Il faut, cependant, ajouter à ces observations que, en 1892, De Renzi et Reale [15] ont constaté une glycosurie remarquable dans un chien auquel l'on avait extirpé un morceau d’intestin grêle de la longueur de 24 cm. à partir du point ot la partie descendente du pancréas s'appuie au duodénum. Toutefois Pflüger a répété récemment [149] avec la méme technique, l'expérience de De Renzi et Reale et il a eu un résultat tout a fait négatif. Jai exécuté dans huit chiens l'exportation de tout le duodénum et jai méme varié un peu, pour chaque cas, la technique de l'opération, afin d'éviter certaines objec- tions qu'on a adressées aux auteurs qui m'ont précédé dans ces re- cherches. Dans la table suivante j'ai résumé, aussi avec les résultats que jai obtenus, les différents détails de l'opération. Les chiens ont été opérés dans un état de narcose éthéré, précédé . d'une injection de morphine et d’atropine, ayant suivi toutes les règles communes d'une bonne asepsis et antisepsis. Dans un premier groupe d'animaux (1, 2, 3) tout le duodénum a été exporté, en laissant intact le pancréas et en faisant déboucher le cholédoque à lextérieur au moyen d'une fistule biliaire. Chez les autres chiens (4, 5, 6, 7, 8) à cóté de l'extirpation du duodénum, lon a exécuté aussi celle de la plus grande partie du pancréas, de sorte que, chez ces animaux, rien qu'une trés petite portion de cette glande | demeurait isolée dans la cavité abdominale prés de la rate, c’est-a- | dire, l'extrémité de la queue. Dans certains chiens de ce second | groupe (4, 6, 7) le conduit cholédoque a été simplement lié; dans { d'autres chiens, par une cholécystentérostomie (2) ou par une cholé- | gastrostomie, l'on a ouvert de nouveau à la bile une voie pour écouler (dans le tube digestif. L'acte opératoire durait à peu près une heure. 470 Arrigo Visentini, Recherche du sucre UR Date de Date de Lars Jue lunes Le Nr. Opération l'Opération | la Mort tine, aprés l’observa- Remarques le Fehling tion et le Ny- lander 1. Exstirpation du |3 mars 1908| 6 mars | negative | 3 jours Dans les duodénum. Fistu- | chiens, la re- le bilaire. | cherche du sucre dans l’urine a été- faite chaque jour 2. Comme dans |7 mars 1908 | 27 mars | négative | 20 , l'expérience 1. 3. Comme dans |29 avril 1908| 3 mai | négative 4 , Ligature du l'expérience 1. i cholédoque 4. Extirpation par-| 5 juin 1908 , 7 juin | négative, 1 „ tielle du pancréas | le 20 mai 08 Exportation du duodénum 9. Exportation part. 5 juin 1908 | 10 juin | négative | 5 „ Cholécistoen- - - du pancréas et térostomie résection du duo- dénum 6. Exportation part. 10 juin 1908| 20 juin | jum 11, | 10 „ |Ligature du du pancreas et 12, 15, 16. conduit cho- résection du duo- 18, 19, 20, lédoque dénum Négative T. Exportation part. 17 juin 1908| 20 juin |18, 19, 20) 3 „ Ligature du | du pancréas et jum néga- conduit cho- | résection du duo- - tive ledoque | N 19, 20, 22 Choléci 8. Exportation part, 18 juin 1908| 29 juin jd 205 RU e du pancréas et AU HEUTE | résection du duo- sa Ju | EUM Négative | 4 bis |Extirpation part. 22 mai 1908 — 23, 25, 28 = du pancréas mai 20, 26 juin. | Negative Operations de | Contröle 1 5 bis |Extirpation part. 25 mai -— 26, 30 mai ] du pancréas 30 juin 1 Négative La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 471 Les résultats obtenus étaient d’accord entre eux: la recherche du sucre dans lurine exécutée methodiquement presque chaque jour avec du Fehling et du Nylander, a toujours été négative; je n'ai jamais ‚pu constater dans aucun cas, même seulement des traces de gly- cosurie. J'ai voulu exécuter, sur deux chiens servant de contrôle (4 bis, 5bis), l'exportation de la méme portion de pancréas comme chez les animaux auxquels on faisait, en méme temps, la résection du duodénum. Dans ceux-là aussi je n'ai jamais constaté la présence du sucre dans l'urine. Les résultats de ces expériences nous ont permis d'affirmer que, dans le chien, l'extirpation du duodénum ne provoque pas un genre de diabète analogue à celui déterminé par l'extirpation totale du paneréas; ce diabéte, qui fait son apparition aussi dans les grenouilles, suivant Pflüger: „si Yon fait lextirpation du morceau du duodénum adhérent au pancréas, sans toucher le pancréas lui-méme, ou bien si l'on déchire le mésentére entre le pancréas et le duodénum ou bien encore si l'on enléve, par une série de ligatures, tout rapport immédiat entre ces deux organes.“ Les expériences de Lawwens et de Ehrmann et les trois pre- miéres que j'ai exécutées moi-méme, n'échappent point à une objection, c’est-à-dire, qu'au moyen de la transplantation de l'ampoule de Vater dans l'estomac et sur la peau abdominale, un petit stratum de la paroi du duodénum est toujours conservé et, par cela, lexportation de cette partie de l'intestin grêle n'est pas complete, à la rigueur. Ces expériences, ainsi que celles de Rosenberg, n'échappent non plus à une autre objection, c'est-à-dire, que, en conservant la tete et le corps du pancréas lon conserve nécessairement, a cause de la tech- nique opératoire, méme tout le tissu qui se trouve entre le pancréas et le duodénum; ce tissu qui a, dans la grenouille, suivant les remar- ques de Pflüger, une si grande importance pour la production du diabéte expérimental. Dans les cing derniers chiens que j'ai opérés, il a été extirpé avec le duodénum, la tete et le corps aussi du pancréas et tout le tissu autour. 472 Arrigo Visentini, Minkowski [129] a extirpé lui aussi, en premier temps, une partie du pancréas, en laissant dans la cavité abdominale, prés de la rate, un morceau de la queue de la glande; la glycosurie n’a pas fait son apparition. Plus tard il a exporté aussi le duodénum du méme ani-, mal et, tout de suite, aprés l'opération, il a constaté la présence du sucre dans les urines: ce sucre a disparu le jour suivant pour ne plus reparaitre: c’est donc là une glycosurie trés faible, pendant les heures suivant immédiatement l'opération. Quatre semaines aprés, Minkowski a extirpé aussi le reste du pancréas demeuré dans la cavité abdominale et, dés cing heures aprés cette troisième opération, l'urine contenait le 9°/ de sucre, ce qui veut dire qu'il y avait là ce diabéte grave qui se détermine aprés l'extirpation totale du pan- créas. Dans le chien No. 5, jai exécuté, moi aussi, en deux temps, lextirpation partielle du pancreas et celle totale du duodénum: dans les autres cas, j'ai jugé plus simple de faire en une seule fois l'opé- ration entiére. Cette méthode rend l'exportation du duodénum moins difficile et je pense quil est possible d'avoir, de cette maniere, des chiens privés du duodénum, qui peuvent vivre encore pendant quel- ques mois aprés l'opération Cela va sans dire quil faut exécuter, dans ces cas, aussi une cholécystoenterostomie. J'ai eu soin de rechercher le sucre dans l'urine des chiens ainsi opérés, le jour suivant l'opération et, à ce propos, il ne m'est pas donné d’approuver la remarque de Minkowski: je Vai déjà affirmé, dans aucun cas je n'ai constaté de glycosurie méme transitoire. Des expériences analogues d'extirpation du duodénum ont été poursuivies par Tiberti, Cimoroni, Marassini, avec rdes ésultats qui correspondent aux miens. Quelques auteurs ont appelé notre attention sur une autre con- statation qui prouverait lexistence, si ce n'est du diabéte, au moins d'une glycosurie duodenale. Zak |209| a décrit deux cas de sa clinique, où un empoisonne- | ment avait eu lieu dans un but de suicide: le poison ingéré était arrivé jusqu'au duodénum et y avait déterminé une grave cautérisation La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 473 de la muqueuse, cauterisation que l'on a pu contrôler à la table ana- tomique. Le jour méme de lempoisonnement il y eut une apparition de glycosurie dont il ne restait, dans un cas, plus que les traces aprés deux jours: elle disparut plus tard tout à fait. L'autre malade mourut aprés 36 heures. Zak a relaté aussi un troisieme cas oü les lésions n'avaient touché que l'oesophage et l’estomac, non pas le duodénum: la glyco- surie avait manqué complétement. Ce méme auteur affirme que, dans le chien, la cautérisation expérimentale de la muqueuse du duodénum provoquerait lapparition de la glycosurie. Gaultier |54| a constaté lui aussi une forte elycosurie dans deux chiens, aprés la cautérisation expérimentale de la muqueuse du duo- dénum, faite avec le crayon de nitrate d'argent, cette glycosurie du- rait jusquà la mort des animaux (4,11 jours). Suivant d'autres recherches, plus nombreuses, faites par Eichler et Silbergleit [25], qui ont provoqué des lésions à la muqueuse du duodénum soit par les injections d'une solution concentrée de soude, caustique, soit directement avec le Pacquelin, il s'ensuivrait au con- traire que l'on peut obtenir, de cette manière, rien qu'une glycosurie transitoire, de courte durée et non un diabéte durable, ce que Gaul- ter et Pflüger [149] ont affirmé. Ce qui mérite aussi d'être noté, cest que Eichler et Silbergleit ont pu provoquer cette glycosurie transitoire au moyen de la cautérisation avec le Pacquelin, de la muqueuse de l'iléon. J'ai injecté dans le rectum d'un chien, et dans le duodénum d'un autre une solution concentrée de potasse caustique et la glycosurie n'a point paru. La cruauté de cette expérience m'a fait désister de tout autre recherche de ce genre. Pour en venir à une conclusion, voici comment on peut réunir les résultats des recherches que l'on a faites jusqu'à présent, sur la question de la glycosurie du duodénum: „Dans le chien la résection du duodénum, méme accompagnée i de l'exportation de la tête et du corps du pancréas avec tout le tissu | qui l'entoure, ne produit pas de diabète et, d'ordimaire, pas meme de 1 glycosurie.“ 474 Arrigo Visentini, „Dans quelques cas, aprés l’exportation du duodénum et apres la cautérisation de la muqueuse du duodénum, ou méme de liléon, la glycosurie fait son apparition: elle est presque toujours de courte duree.“ CHAPITRE III. Observations histologiques sur les îlots de Langerhans. J'ai étudié la structure des îlots de Langerhans dans les diffé- rentes classes des vertébrés, me préoccupant surtout de l'individualité anatomique de ces formations. Comme Lewaschew dés 1886 et Dogiel (1893), Laguesse soutient toujours que la formation d'ilots de Langerhans des tubules pancréa- tiques continue pendant toute la vie; il s'agirait de cellules glandu- laires pancréatiques, qui ont déjà exercé leur fonction de sécrétion externe, qui deviendraient plus claires, sans granules, ou bien con- tenant peu de granules trés minces et se placant de maniere à con- stituer une petite accumulation à peu prés ronde oü pénétreraient des vaisseaux; autour de ces vaisseaux on trouverait les cellules. En correspondance au fait anatomique, la sécrétion interne se substituerait à celle externe. Aprés un peu de temps, suivant Laguesse, on constaterait le procédé inverse, c'est-à-dire, l'ilot qui s'est formé de cette maniére pourrait redevenir, par transformation graduelle, des acini pancréatiques, doué de nouveau de fonction externe. Aussi, dans le pancréas normal, Laguesse décrit une transformation incessante d'ilots en acini et d'acini en îlots, comme dit l’auteur, un „balance- ment“ morphologique des deux tissus exocrin et endocrin. J'ai examiné un grand nombre de pancréas, soit d'hommes, soit d'animaux, appartenant à presque toutes les classes des vertébrés et mes observations me conduiraient plutót à conclure, que les ilots de Langerhans sont des formations invariables et indépendantes du tissu qui les entoure. Les ilots de Langerhans, surtout chez les animaux, se trouvent souvent en rapport direct de continuité avec le tissu acineux; mais en me servant de ces méthodes de coloration qui valent le mieux à différencier le tissu connectif, jai remarqué qu'ils sont généralement La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése ete. 475 séparés des acini par une couche mince de ce tissu. Le möme fait est encore plus évident chez l’homme. En outre, je n'ai jamais observé, dans aucune région, des cellules qui auraient pu me faire penser à des véritables stades de passage entre les éléments des acini et des ilots et il ne m'est jamais arrivé non plus, dans les injections d'encre de quinquina, que j'ai plusieurs fois faites dans le pancreas des oiseaux, qu'à travers les conduits excréteurs le matériel d'injection soit pénétré dans les îlots de Langerhans. Ce n'est, au contraire, pas inutile à ce sujet, que je mentionne une donnée anatomique trés importante, dont la plus grande partie des auteurs d'habitude ne tient pas compte, la vascularisation parti- culiere et l’innervation des ilots de Langerhans décrite par Pensa [190]. Si l'on admet cette distribution particuliere et caractéristique des vaisseaux et des nerfs des ilots, bien différente de la maniére avec Jaquelle les vaisseaux et les nerfs se distribuent dans la portion exo- crine du pancréas, la doctrine du balancement morphologique décrite par Laguesse, devient un peu difficile a comprendre. A cause de sa rareté, je veux encore dédier quelques mots a un résultat déjà mentionné, mais seulement par Langerhans et que j'ai aussi observé dans un pancréas de marmotte en période de léthargie, un ilot de Langerhans en rapport intime de continuité avec un ganglion nerveux. Dans la figure 4, table XIII, l'on voit un ilot avee ses caractéres morphologiques, qui a une forme allongée, présente une espece de peduncle, dans lequel se trouvent de grosses cellules, qui, à cause de leurs caractères morphologiques, on doit reconnaitre tout à fait semblables à des cellules nerveuses des ganglions du sympathique, que l'on trouve souvent dans le pancréas des animaux. Ces cellules sont en rapport intime de continuité avec les cellules insulaires desquelles elles se distinguent pourtant d'une maniére précise par leur morphologie. Dans la méme piéce en d'autres sections, jai encore trouvé un ilot de Langerhans qui présentait un caractére analogue; aprés il ne m'est plus arrivé d'observer cela ni dans aucun autre animal, ni dans aucune autre piéce du méme pancréas. 476 Arrigo Visentini, CHAPITRE IV. Le pancréas apres la ligature et la section de ses conduits excréteurs. A) Notice historique. Les premières expériences sur l'occlusion des canaux excréteurs du pancréas remontent à Cl. Bernard, à Schiff, à Schmidt et à d'au- tres encore qui ont constaté Vatrophie, la sclérose, la nécrose du pancréas après une injection de paraffine, d'huile ou d'autres sub- stances dans les conduits. Paulow [157], Arnozan et Vaillard |2], aprés la ligature du con- duit de Wirsung dans le lapin, ont décrit une sclérose périlobale et périacineuse, avec destruction des acini glandulaires. Les expériences d’Arnozan et de Vaillard, trés exactes, se rapportent, entre autre, aussi au pancréas d'un lapin, sacrifié un an et trois mois aprés la ligature du conduit excréteur pancréatique. Selon ces auteurs, à la ligature du conduit de Wirsung chez le lapin, il s'ensuit d'abord une dilatation des canaux excréteurs et des acini et il commence bientót un accroissement du conjonctif; les cel- lules pancréatiques qui survivent, acquierent les caractéres des élé- ments embryonnaires. Dans le pancréas du lapin, un an et trois mois après l'opération, le canal excréteur paraissait avoir le volume d'une grosse plume d’oie à cause de l'épaisissement des parois; une sclérose compléte et l'obli- tération du conduit (où les auteurs ont taché en vain de faire Vin- jection) avaient fait suite à la dilatation. Le parenchyme acineux avait complétement disparu et avait été substitué par du tissu con- nectif et adipeux au milieu duquel demeuraient les petites accumu- lations de cellules; sur la nature de ces derniéres les auteurs ne se sont point prononcés. Ils ont en outre constaté, ce que Paulow avait déjà fait, que le tissu connectif, auparavant hypertrophique, entre ensuite dans une période de retour, caracterisee par la trans- formation du tissu connectif en tissu adipeux. Aprés l'opération les animaux se conservaient en bonnes conditions; chez aucun d'eux lon ne constatait de l’albuminurie et de la glyco- surie, La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 477 J'ai voulu mentionner en détail les résultats obtenus par Arnozan et par Vaillard (que l'on néglige d'ordinaire), parce qu'ils donnent un tableau exact des alterations que l'on rencontre dans le pancréas du lapin, aprés l'occlusion de son canal excréteur; c'est pourquoi les au- teurs, mémes les plus modernes, qui ont fait des expériences à propos du lapin, n'ont fait que répéter le plus grand nombre des constatations mentionnées. Vassale |197] en 1891 a fixé, le premier, son attention aussi à la manière de se comporter des îlots de Langerhans après la ligature du conduit de Wirsung, dans le pancréas des lapins, sacrifiés de 4 à 115 jours depuis l'opération: il constate l'atrophie la disparition du parenchyme acineux, la néoformation du tissu connectif, tandis que les ilots se conservent trés bien. Dans aucun cas il n'a constaté la elycosurie. W. Schultze |175 a eu lidée d'isoler dans le cobaye des lobes entiers de pancréas en liant tout ensemble la glande; lui et Ssobolew ont vu, dans le lapin, au moyen de la section du conduit de Wirsung entre deux noeuds, les ilots de Langerhans demeurant invariables méme trés tard lorsque le tissu zymogénique avait disparu. En met- tant en rapport cette constatation histologique avec le manque de glycosurie chez les animaux dont le pancréas est ainsi altéré, Schulze et encore énergiquement Ssobolew, sont venus à la conclusion (apres d'autres recherches histopathologiques et expérimentales que je vais mentionner) que l'on devait localiser dans les ilots de Langerhans la fonction interne du pancréas, qui a son influence sur l'échange des hydrates de carbone. Laguesse et Gontier de la Roche [SO] ont répété les expériences de Schultze dans le cobaye et ils ont obtenu des résultats semblables. En 1902 Tiberti [159]. laissant de cóté le comportement des ilots de Langerhans, a étudié, dans le lapin, les effets de l'occlusion du conduit de Wirsung par rapport à la sécrétion. Tiberti a d'abord constaté une stagnation des produits de la sécrétion à l’intérieur des cellules; le troisième jour une dilatation des acini, un arrêt dans la production des granules cellulaires, une infiltration du tissu conjonctit periacineux. Ensuite le plus grand nombre des cellules finirait par disparaitre, 478 Arrigo Visentini, quelques-unes au contraire prendraient l'aspect et le caractére des jeunes cellules embryonnaires, qui formeraient, & leur tour, des nids cellulaires, en acquerant toujours d’avantage l’aspect de veritables acini. Deux mois et demi apres la ligature, Tiberti aurait constaté, dans le tissu connectif nouvellement constitué, les acini composés de cellules richement fournies de granules: il a attribué à ces acini la valeur d’acini glandulaires régénérés. T'bert? pourtant n'a examiné qu'un seul lapin; dans une période de temps si eloignée de l'opération. La constatation que les ilots de Langerhans peuvent survivre dans un pancréas devenu atrophique aprés la ligature du conduit de Wirsung, et labsence en méme temps de glycosurie chez le lapin, cette constatation a été confirmée par Sauerbeck |169], par Lombroso [100], par Tschassownikow |196], par Laguesse |75, 77] et par Marassini [116 et 117]. Laguesse a décrit le pancréas d'un lapin sacrifié 769 jours apres la résection du conduit excréteur. Dans ce cas le tissu exocrin avait complétement disparu, les canaux excréteurs étaient oblitérés; seule- ment la portion endocrine de la glande demeurait inaltérée, c'est-à- . dire les îlots de Langerhans. Ils paraissaient un peu différents qu'à l'état normal; plusieurs étaient trés petits, mais par contre, selon Laguesse, en plus grand nombre; ils étaient entourés de tissu con- nectif et d'une quantité abondante de tissu adipeux. Les résultats obtenus par Laguesse sont done dans leur ensemble, trés proches de ceux mentionnés par Arnozan et par Vaillard, un an et trois mois apres l’ocelusion du conduit excréteur. M. Laguesse a négligé d’examiner les urines de son lapin avant de le sacrifier: pourtant, selon lui, l'état de prospérité de l'animal a pu exclure l'existence du diabete. A l'expérience maintenant décrite, Laguesse [77 et 75] en a ajoutées deux autres, dans lesquelles le pancréas a été examiné 37 mois et demi pour l'une, plus de 45 mois pour lautre, aprés la résection du canal pancréatique. Chez les deux nouveaux sujets, comme chez le premier, il y a eu transformation de l’organe pancréatique en une masse graisseuse, disparition complète des acini, disparition de l'arbre excréteur, conservation des ilots de Langerhans, L'auteur a recherché FREE TER S Cae tn La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése ete. 479 soigneusement le sucre dans les urines, sans en trouver. Il conclut que les ilots survécus (cette seule dernière partie de la glande) ont pu préserver du diabéte les animaux a expérience. Chez ses animaux, Laguesse n'a trouvé aucun organe vicariant développé aux dépens d'un pancréas accessoire ou des glandes duodénales. Kirkbride après la ligature des canaux, observa que les ilots gardaient leur struc- ture, méme apres la disparition des acini. Vis-a-vis de ces nombreux résultats, assez d’accord entre eux, obtenus par plusieurs auteurs, se rangent quelques observations dont il s’ensuivrait que méme les ilots de Langerhans peuvent s'altérer aprés la ligature du conduit de Wirsung et quil peut y avoir de la elycosurie. D’après Pende [142], d'accord avec ce que Mankowsky a décrit [119| après la ligature in toto de la glande, le procès de la sclérose, qui survient aprés la ligature du canal excreteur, détermine non seule- ment la disparition du tissu acineux, mais la disparition aussi, presque totale, des îlots de Langerhans. Trois cents jours après l'opération, Pende a constaté quelques îlots, mais si altérés, qu'on ne pouvait les considérer en activité fonctionnelle; dans ces conditions, chez les animaux à expérience, il n'y avait pas de glycosurie et le pouvoir de détruire la glycose injectée sous la peau n'avait pas diminué du tout. Hédon |45—54| faisait aux lapins une injection d'huile dans le conduit de Wirsung, avant la ligature, dans le but de provoquer la destruction complete du pancréas; cette destruction pouvait substituer lablation chirurgique, qu'il n'est pas possible d'exécuter dans le lapin à cause de la disposition anatomique de cette glande. Hédonm avait reconnu que la simple occlusion du conduit excréteur porte à l'atrophie du pancréas sans glycosurie et quil survit toujours plusieurs résidus des éléments épithéliaux de la glande. Pour les animaux dans les- quels la destruction du pancréas était complètement réussie, en consé- quence de linjection d'huile d'olive dans le conduit de Wirsung, Hédon a démontré qu'un diabéte expérimental se forme aussi chez les lapins: la elycosurie en effet faisait son apparition rien qu'en nourrissant les lapins avec des hydrates de carbone: le méme auteur relate ensuite que la glycosurie, après quelque temps, avait disparu. Ces obser- 480 Arrigo Visentini, vations n’ont pas été comparées avec les constatations histopathologi- ques sur le pancréas des animaux ayant subi cette operation. Hedon dit simplement qu'il ne restait aucune trace du pancréas; à cette époque on n'avait pas encore fixé l'attention sur les ilots de Langer- hans. Les expériences de Hédon ont été répétées par Ssobolew sur trois lapins sans quil obtint de glycosurie: dans un cas, lorsque l'animal mourut deux jours aprés, Ssobolew a constaté que l’injection d'huile avait provoqué la nécrose d'une partie, intéressant les acini et les ilots. Sauerbeck [169 et 170] a constaté lui aussi, quil peut y avoir quelquefois, chez le lapin, de la glycosurie, aprés la simple ligature du conduit de Wirsung: c'est lui qui affirme que, dans quelques cas, vers le 30me jour, les animaux commencaient à éliminer du sucre par les urines et, en correspondance de cela, l'examen histologique montrait en ce moment la disparition des ilots de Langerhans. Sauerbeck ne s'est plus occupé de cet argument, comme il l'avait promis, aprés avoir relaté des observations, en 1904, d'une maniére tout à fait synthétique. Elles ont été cependant contrôlées par |. Tschassownikow |196] sur 14 lapins sacrifiés 75 jours au plus tard aprés la ligature du conduit pancréatique. Avec un soin tout à fait extraordinaire, dés le 20.ieme jour cet auteur à fait l'examen presque quotidien de l'urine des lapins qui avaient été opérés, et au moyen de la preuve de Trommer pour le sucre, il a obtenu un résultat négatif, sans exception. Tiberti [159—195| a encore étudié les effets de la ligature du conduit pancréatique chez le lapin, en s’occupant en particulier de la maniere de se comporter des ilots de Langerhans, aprés cette opé- ration. T'bert?, par la description des résultats histopathologiques quil a obtenus pendant ses expériences et par les desseins de quel- ques-unes de ses préparations microscopiques, confirme, dans leur en- semble, les observations des auteurs qui l'ont précédé sur ce champ de recherches. | Dans le pancréas du lapin, deux, trois, quatre, cinq mois après la ligature du conduit de Wirsung, après avoir fait la constatation histologique si connue, se rapportant au tissu zymogénique, il à aussi La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 481 constaté des masses épithéliales pleines, le plus souvent tout à fait dénuées de capillaires sanguins, paraissant en général toujours plus épalsses et rapprochées à mesure que le temps passait depuis la liga- ture du conduit pancréatique. Tiberti ne croit pas probable que ces amas cellulaires pleins, qui se trouveraient dans le pancréas sclérotique d'un à eing mois aprés la ligature du conduit de Wirsung, aient une nature commune avec les ilots de Langerhans. D'autres amas au contraire, tout en présentant quelques carac- teres qui les différencient des ilots normaux, peuvent étre raisonnable- ment considérés (c'est l'opinion de Tiberti aussi) comme des ilots de Langerhans. J'ai fait moi aussi, il y a quelque temps, des expériences sur le lapin, à propos de la ligature du conduit pancréatique; mes prépa- rations analogues à d'autres de Lombroso, que j'ai examinées, répétent, toute interprétation à part, ce qui a déjà été observé par Tiberti, et par le plus grand nombre des auteurs qui ont fait des expériences sur le lapin, avant lui. Tiberti a eu soin d'examiner lurine des lapins aprés l'occlusion du conduit de Wirsung. Deux des lapins sacrifiés cinq mois aprés la ligature du canal excréteur pancréatique, étaient en proie à une vio- lente cachexie et leurs urines contenaient à peu prés le 3°/, de sucre quelques jours avant leur mort. Cette constatation de fait constitue, avec celle de Sauerbeck, une exception aux observations du plus grand nombre des auteurs, méme à celles de contróle, mais elle ne se rapporte qu'aux deux lapins que Tiberti a conservés en vie jusqu'à cing mois aprés l'opération. Milne Lyndsay et le Baron Peters (1913) ont remarqué qu'une atrophie du pancréas s'était ensuivie à la ligature des canaux excré- teurs, avec destruction aussi d'une grande partie d'ilots de Langer- hans: il survivait toutefois des portions du tissu, qui en présentaient la structure typique. Watermann [198] observa qu'après la ligature des canaux dans le pancréas, les acini et les ilots avaient disparu. Chez quelques lapins il trouva des traces de sucre dans lurine; dans tous les cas il nota hyperglycémie. Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XXXI. 91 482 Arrigo Visentini, Les résultats de la méme expérience faite sur le chien sont d'un intérét bien plus remarquable. Après la ligature du seul conduit excréteur principal, M. Vas- sale [197] a obtenu, chez le chien, sans provoquer la production de la elycosurie, l'atrophie de cette partie de la glande de laquelle la sécrétion ne pouvait plus s'écouler. Une autre expérience, que l'on considére comme équivalente à la ligature des conduits exeréteurs, a été répétée plusieurs fois par von Hansemann [45]; cest lui qui, à cause des résultats obtenus, a cru pouvoir nier d'une maniére absolue, que les ilots de Langerhans demeurent tous seuls et intacts dans le pancréas par suite de l'occlusion des conduits excréteurs. Hansemann a constaté que, lorsqu'on lie le pancréas in toto avec un fil de soie mince et on le serre jusqu'à provoquer l’occlusion du conduit excréteur de la glande, seulement une portion du tissu pancréatique derriére le lien est altérée et détruite; une partie considérable demeure au contraire inaltérée d'une maniere durable. Jusqu'à une année aprés l'opération, vom Hansemann a trouvé, dans la région liée, une quantité abondante de tissu glandulaire entouré de connectif, c'est pourquoi il arrive à la conclusion suivante: que le conduit excréteur pancréatique n'est pas absolüment nécessaire pour l'existence de la glande. Aucun auteur n'a pensé que les expériences de Hansemann et leurs résultats pouvaient étre l'effet d'une imperfection de technique (Cest ce que je vais expliquer bientót), et puisque cela est ainsi, l'on ne peut leur préter aucune valeur. De méme que chez le lapin, chez le chien aussi et chez le chat, suivant Ssobolew (loc. cit), aprés la ligature (sans section entre les neuds) des canaux excréteurs du pancréas, la partie glandulaire en communication avec les conduits s'atrophie, tandis que les ilots de Langerhans se conservent: Ssobolew a constaté que bientót commence un procès d'atrophie et de sclérose du pancréas, aecompagné de la destruction du parenchyme acineux. L'atrophie s’accomplirait plus lentement chez le chien et chez le chat que chez le lapin; aprés 50 jours (la plus longue période de temps que cet auteur a réservé aux expériences sur le chien) il resterait encore des lobules d'acini UPS ETT st ees ar nen V BETTE TS T eee À | | La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése ete. 483 x glandulaires à côté de nombreux îlots de Langerhans bien conservés. Dans certains cas les altérations du pancréas manqueraient, car la perméabilité des conduits excréteurs se rétablirait de nouveau. Aucun des animaux employés par Ssobolew m'a donné de, la glycosurie: cependant les chiens et les chats, dans lesquels la recon- struction des canaux réséqués n'avait pas eu lieu, ont maigri et dimi- nué de poids; l'en constatait aussi chez eux une perte constante des graisses par les féces. U. Lombroso a répété les mémes expériences sur l’ocelusion des conduits excréteurs du pancréas chez le chien et il est arrivé à cette conclusion: que, au moyen de la ligature et de la résection des deux conduits pancréatiques, la structure du pancréas n'est pas sensiblement altérée chez le chien; le pancréas se montre trés peu modifié à un examen histologique; non seulement les ilots de Langerhans se con- servent bien, mais les acini eux-mémes se conservent bien. Et méme apres la ligature et la résection d'un seul conduit, le pancréas se maintient à peu prés dans ses conditions normales, comme dans les cas ou la ligature et la résection a eu lieu pour les deux conduits. C'est pourquoi Lombroso affirme que la ligature et la résection des conduits pancréatiques chez le chien ne conduisent pas, de nécessité, à l'atrophie et à la sclérose de l’organe, quoiqu'il soit possible de con- stater, en partie, quelques-uns de ces phénoménes. Ces observations se rapportent au maximum du temps de 140 jours. Dans aucun cas il n'y eut des traces de sucre dans les urines. Lombroso a fait des recherches du méme genre à propos du pigeon. Il affirme que le pancréas du pigeon est formé de trois portions absolument distinctes, fournies d'un systeme circulatoire et excréteur indépendant, si bien que chacune d'elles peut étre considérée comme un organe à part. Aprés la ligature et le section des conduits des pancréas anté- rieurs du pigeon, Lombroso décrit que «l'épithélium glandulaire se trans- forme en s'approchant au type de l'épithélium pavimenteux; les cavités des conduits et des acini s'élargissent d'une manière plus ou moins sensible, sans qu'il ne s'ensuive aucune. transformation cystique de l'organe,» 31* 484 Arrigo Visentini, Plus tard la structure de l’organe rentre dans les conditions tout-à-fait semblables aux conditions normales. Ce retour. ne doit pas étre confus avec une régénération, il n'est que la restitution compléte des caractéres spécifiques des éléments survécus et pré- existants. Ces recherches morphologiques sont en rapport direct avec toute une autre série de recherches expérimentales faites par Lombroso sur les échanges nutritifs, recherches que j'ai déjà exposées dans un chapitre précédent, et qui se rapportent, presque toutes, aux graisses. Lorsque, chez les chiens, l'on empéche au pancreas de faire passer sa sécrétion dans l’intestin, l'absorption des aliments d’après Lombroso, s’accomplit dans une mesure presque égale à la mesure normale. Au contraire, lorsque l'on procéde à l'extirpation successive du pancréas celui-ci ne pouvant plus faire passer sa sécrétion dans lintestin, des troubles dans l'absorption des aliments se produisent immédiatement, ou aprés peu de temps et ils sont semblables à ce que lon constate d'ordinaire aprés l'extirpation du pancréas normal. Cela prouve, dit Lombroso, que c'est la présence du pancréas qui est | nécessaire pour l'absorption des aliments. A la suite de tous ces résultats obtenus, soit par les recherches morphologiques sur le chien et sur le pigeon, soit par les recherches sur l'échange, Lombroso est arrivé à la conclusion que le pancréas accomplit une fonction interne qui a une influence sur l'absorption des aliments et précisément, chez le chien, par moyen de ses éléments acineux. Le parenchyme glandulaire acineux se conserve aprés l’oc- clusion des canaux excréteurs, puisquil prend part à la fonction interne mentionnée. D'autres expériences ont été faites par Zunz et Mayer |211] sur le chien; ils ont constaté, par suite de la ligature et de la résection des conduits excréteurs, une constante atrophie et la sclérose du pancréas. Selon ces auteurs les altérations sont trés différentes suivant les animaux et, d'ordinaire, il persiste un nombre remarquable d’acini glandulaires, méme pendant plusieurs mois après l'opération. Quelques-uns des ilots de Langerhans présentent des lésions dans une partie de leurs cellules, des lésions qui augmentent pendant le temps La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése ete. 485 qui suit la ligature, mais bien plus lentement que celles des acini. Zunz et Mayer ont examiné la glande presque toujours peu de temps apres l’occlusion des conduits (6—38 jours): dans trois cas seulement ils ont sacrifié les animaux opérés, aprés 247, 336, 444 jours. Ils ont constaté aussi que la ligature des canaux excréteurs du pancréas dans le chien, détermine une diminution du poids initial, plus ou moins considérable et pour une période de temps variable. Dans le plus grand nombre des cas, aprés cette diminution, les chiens reprennent, plus ou moins rapidement, leur poids normal et ils peuvent vivre, ensuite, plusieurs mois en bonne santé. Autrefois, au contraire, la diminution du poids persiste, ce qui provoque, plus ou moins rapide- ment, la mort de l'animal. Dans aucun de ces cas la résection des canaux excréteurs pancréatiques n'a produit de la glycosurie, pas méme dans un cas où, 27 jours aprés l'opération, il restait encore dans le pancréas atrophie un petit nombre d'acini et d’ilots de Langerhans. Hess |59 et 60] (qui aurait pu, avec Sinn [177|, constater que le pancréas du chien posséde, assez fréquemment, plus de deux canaux excréteurs) a affirmé que la résection de tous les conduits porte, peu de semaines aprés, à la sclérose totale ou presque totale du tissu pancreatique, à une néo-formation abondante de connectif ou l'on trouve des grandes et des petites iles de tissu glandulaire pancreatique bien conservé. Les observations de Hess ne se rapportent qu'à une période de temps maximum d'un mois. * * Apres avoir passé rapidement en revue les nombreuses expériences qui se rapportent A la maniere de se comporter du pancréas, apres l’occlusion de ses conduits excréteurs, il s'ensuit que, si le plus grand nombre des auteurs sont d'accord entre eux pour les constatations sur le cobaye et sur le lapin; il n'en est pas de méme à propos des constatations sur le chien et sur le pigeon, employés comme animaux a experience. Sauf quelques exceptions tirées d’un nombre de cas trop peu x nombreux et d’observations se rapportant & une période de temps 486 TE Arrigo Visentini, | trop courte, il me semble incontestable que, chez le lapin, aucune apparition de sucre dans les urines n’accompagne d'ordinaire l'atrophie du parenchyme acineux de la glande, aprés la ligature du conduit de Wirsung: que les ilots de Langerhans sont les seuls éléments épi- 'théliaux du pancreas qui survivent, quoique un peu modifiés dans leur structure au milieu du tissu connectif nouvellement formé, depuis que l'écoulement de la sécrétion exterie de la glande avait été arrêté. Les résultats obtenus sur le lapin ne nous permettent cependant pas d'affirmer d'une maniére absolue, que les ilots de Langerhans survécus sont les organes qui empêchent l'apparition du diabète chez les animaux au pancréas ainsi altéré. A cause de la disposition ana- tomique particulière du pancréas chez le lapin, répandu, avec de nombreuses ramifications, au milieu des feuillets du méso-duodénum, il n'a pas encore été possible de pratiquer l’extirpation complete de cette glande et de produire, par conséquent, le diabète expérimental. Les mémes expériences sur la ligature et la résection des conduits excréteurs du pancréas exécutées sur les chiens auraient pu avoir une importance bien plus grande par rapport à la signification fonction- nelle des ilots de Langerhans; c'est que, chez les chiens, l'extirpation du pancréas est possible et elle provoque toujours le diabéte, tandis que chez ce méme animal, loeclusion des conduits pancréatiques a donné des résultats jusqu'à présent discordant entre eux. La question du comportement histologique du pancréas, aprés que l'on a empéché l'écoulement de sa sécrétion externe, n'est pas seulement importante pour la connaissance des ilots de Langerhans, mais elle est en rapport direct, je l'ai déjà dit, avec d'autres problémes de la physio- logie des échanges nutritifs et avec la fonction du pancréas dans les procés de la digestion et de l'absorption intestinale; c'est pourquoi elle a une importance fondementale pour la physiopathologie de cette glande du systeme digestif. B) Ligature et section des deux conduits pancréatiques du chien. J'ai exécuté la ligature et la résection, entre deux noeuds, du conduit excréteur principal et du conduit accessoire du pancréas sur 27 chiens, en ne faisant que le calcul des chiens sur lesquels j'ai pu La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése ete. 487 faire l’opération sans provoquer une grave lésion de la glande et du tissu placé entre cette dernière et l'anse du duodénum, et sans acci- dents survenus aprés l'opération. J'ai examiné le pancréas des animaux ainsi opérés à des périodes de temps différentes, aprés l’occlusion des conduits, allant depuis peu de jours jusqu'à 212 jours; quant aux animaux ils ont été en partie sacrifiés; en partie ils sont morts d’une mort naturelle. J'ai toujours pris à des points différents de la glande, les morceaux de pancréas à examiner et je me suis servi, d'ordinaire, pour fixer, du liquide de Zenker et du liquide de Flemming, en faisant ensuite l'inclusion avec la paraffine suivant les procédés techniques ordinaires. Pour la coloration des sections j'ai suivi aussi les méthodes ordinaires: pour mieux mettre en évidence le tissu connectif, j'ai suivi la méthode de ve. Gieson et cells de Marolly; pour différencier les «granulations endocellulaires la méthode de Galeotti, etc. Avant d'énumérer les résultats obtenus, je pense qu'il est à propos de faire précéder quelques remarques sur la technique opératoire que Jai suivie. Pendant la chloronarcose, avec les plus grandes précautions asep- Ltiques, j ouvrais la cavité abdominale le long de la «linea alba» par ‚une longue brèche depuis la cicatrice ombilicale jusqu’aupres de lappendice xiphoide du sternum et je portais au dehors lanse du jduodénum qui est, chez le chien, assez mobile et se retrouve assez ifacilement contre la paroi dorsale de l'abdomen, à la droite de la ‘colonne vertébrale. i | Les conduits exeréteurs du pancréas (je les ai déjà décrits), dé- ‘bouchent dans cette portion du duodénum où le corps du pancréas se ‘trouve adossé à la paroi intestinale pour une longueur de 5 à 10 cm. Les deux extrémités de la glande s'éloignent, ensuite, de l'intestin, la téte ordinairement courte; la queue est beaucoup plus longue et se prolonge, derrière le cholédoque et l'estomac, jusqu'auprés de la rate. Les conduits excréteurs du pancréas dans le chien sont, d'ordinaire, deux: le conduit principal s'isole facilement sur la face abdominale de ‘anse du duodénum, là où la tete du pancréas s'adosse à la paroi in- stestinale: le conduit secondaire, plus court, dans quelques cas très 488 Arrigo Visentini, mince, debouche dans l’ampoule de Vater avec le cholédoque auquel il s'unit à angle droit. Dans tous les cas jai isolé les deux conduits, je les ai liés solidement avec un fil de soie résistant, et je les ai ensuite coupés entre les deux ligatures. Lorsqu'on a acquis un peu d'habilité pratique, on arrive à exé- cuter l'opération en quelques minutes et, d'ordinaire, sans faire de lésion aux vaisseaux. Pendant l'opération, dans quelques cas, j'ai cru trouver un troisieme conduit excréteur trés mince que je liais; mais je n'ai jamais pu cependant m'assurer de cela d'une maniére absolue. Aprés avoir remis l'anse du duodénum dans la cavité du péritoine, jexécutais rapidement la suture, en trois stratifications, de la paroi abdominale. Les premiers jours aprés l'opération (2--3—5), l'on peut souvent constater macroscopiquement un certain degré de hypérémie du pan- créas et dans les préparations histologiques, une stase générale de la sécrétion dans les conduits excréteurs et dans les acini. Le proto- plasme des cellules pancreatiques se présente d'une maniére visible en deux zones, lune interne, claire, riche en granules, qui constitue presque tout le corps cellulaire; l’autre externe, plus sensiblement colorée et représentée par un mince stratum de protoplasma à la base de la cellule, où l'on trouve aussi le noyau. Dans le tissu con- nectif l'on constate une legére infiltration parvicellulaire. Mais bientot dans le pancréas des chiens, sacrifiés aprés 8—10 jours aprés la liga- ture et la résection des conduits excréteurs, l'on constate le commence- ment d'une active néo-formation de tissu connectif presque toujours périlobaire et périlobulaire, dans quelque endroit aussi périaeineux. Les faits inhérents à la stase de la sécrétion sont plus evidents. J'ai obtenu un résultat bien plus intéressant, 20— 22 jours aprés l'opération. Le pancréas, dont le volume était assez réduit, se mon- trait dur, à surface granuleuse, sectionnée; le conduit central de la glande paraissait assez dilaté, rempli d'un liquide ayant les caractères du sue pancréatique. A l’examen microscopique jai constaté, avec l'énorme dilatation des conduits excréteurs, principaux et secondaires, aussi une dilatation trés sensible des eavités du plus grand nombre La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 489 des acini: les cellules aplaties, avec leur noyau poussé vers la base, le protoplasme grouillant de granulations colorées par la fucsine. La néo-formation de tissu connectif était trés remarquable; le connectif nouveau entourait les lobules pancréatiques et se poussait entre les acini, surtout là ot était la plus grande stase de sécrétion et la dila- tation des acini glandulaires mémes. Sur des sections fraiches, colorées avec le rouge Sudan, jai pu observer, autour des lobules de paren- chyme pancréatique encore conservés, une zone trés évidente occupée par des cellules en dégénération adipeuse, situées entre les éléments du tissu connectif qui entouraient les lobules et se poussaient entre les acini glandulaires. Ces cellules en dégénération grasse étaient plutót petites, avaient une forme variable avec des contours pas bien définis, avec protoplasma homogene contenant des vacuoles, le noyau se colorait mal et souvent il y avait des altérations de chromatolise; leur présence était limitée à la zone décrite autour des lobules pan- créatiques et dans le tissu connectif trés abondant il n'y avait pas d'autres cellules contenant du gras. J'ai cru interpréter ces éléments épithéliaux en dégénération comme des cellules pancréatiques restées dans le tissu connectif, à cause du proces de sclérose progressive, qui s'emparait des lobules, à partir de la periphérie: ces cellules étaient destinées à étre détruites. Quant aux animaux sacrifiés plus tard, aprés 45—50 jours, leur pancréas avait un volume et un poids trés réduits, la sclérose avait augmenté, des lobules de tissu pancréatique ayant une structure nor- male étaient entourés de tissu connectif, les ilots de Langerhans de- meuraient inaltérés. Successivement (80—100— 120 jours) l'on trouve que l'atrophie et l'augmentation du connectif sont toujours plus fortes, les lobules paneréatiques plus rares: quant aux ilots de Langerhans, toujours de structure normale, quelques-uns restent encore dans les lobules au milieu des acini pancréatiques survécus; d'autres se trou- vent dans la zone de passage entre les lobules pancréatiques et labondant tissu connectif nouvellement formé; d'autres enfin sont complétement isolés dans le connectif. Ce dernier fait, sur lequel je crois opportun de rappeler l'attention, on l'observe d'autant plus distinc- tement lorsquil s'agit de chiens sacrifiés dans une période de temps 490 i Arrigo Visentini. toujours plus eloignée de la ligature et de la section des conduits excréteurs, lorsqu'aussi les lobules de parenchyme survécu sont plus rares, quelques-uns réduits à peu d’acini seulement. Dans cette période (80—100 jours) a cóté des îlots de Langerhans de structure normale on en trouve d’autres a structure compacte, accumulations cellulaires dans lesquelles les vaisseaux manquent ou sont rares; et cela surtout dans les ilöts qui se trouvent a la peripherie des petits lobules pan- créatiques, dans la zone de passage entre les acini et le tissu con- nectit qui les environne. Successivement les îlots de Langerhans qui se trouvent isolés dans le connectif nouvellement formé, présentent de nou- veau leur structure normale. Le processus chronique et progressif de la sclérose semble, comme j'ai déjà dit, envahir les lobules de leur peri- phérie, en détruisant les acini et en laissant les îlots de Langerhans. Tandis qu'encore à 80—100 jours l'on constaté une forte dilatation des canaux excréteurs, plus tard les faisceaux de tissu connectif entourent aussi les conduits et semblent exercer une compression sur eux, au point que leur lumiére a diminuée d'ampleur. Deux cas particulièrement intéressants comme résultats histo- logiques, l'un sacrifié à 160 jours et l'autre mort spontanément aprés 212 jours de la ligature et section des conduits excréteurs, méritent une considération spéciale. Le pancréas était réduit dans ces cas à un mince cordon de tissu fibreux à surface granulaire: dans l'animal tué 160 jours aprés l'opération, il pesait 7 grammes, était long environ 5 cm et avait en section transversale un diamétre de trois millimétres et demi au maximum. À l'examen histologique le résidu du pancréas, en sections transversales, paraît constitué en totalité de tissu connectif; de nom- breux vaisseaux sanguins, de grosses artères et des veines, les an- ciens vaisseaux du pancréas sont réunis dans les sections spécialement vers le centre et présentent seulement un léger épaississement des parois. Au milieu des sections on trouve une accumulation de con- nectif dans lequel lon peut différencier deux couches, une couche centrale claire qui présente l'aspect du tissu muqueux contenant des noyaux picnotiques, des fragments de chromatine; et une couche péri- phérique de connectif adulte coloré plus vivement, riche en vaisseaux, La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése ete. 491 duquel se detachent des faisceaux de tissu connectif qui se distri- buent & la peripherie; des accumulations identiques, plus petites, se trouvent en d’autres points des sections. Ces formations de tissu connectif, soit par la position qu'elles occupent dans le pancréas atrophique, que par leur structure et par le manque d’autres parties qui puissent représenter les anciens conduits excréteurs de la glande, doivent étre considérées, avec raison, je pense, comme des résidus des canaux pancréatiques oblitérés, d'autant plus que leur structure est parfaitement semblable à celle que présentaient, dans des con- ditions identiques, les conduits du lapin décrit par Laguesse à la distance de plus que deux ans de l'opération. Les faisceaux de tissu connectif, par leur distribution, délimitent des aires de tissu qui correspondent d'une maniére évidente aux an- ciens lobules, et on retrouve en elles les résidus epithéliaux de la elande, représentés exclusivement (et ce fait mérite d'étre révélé) par des amas cellulaires, qui par leur structure et par l'ensemble de leurs caractéres ne peuvent pas se différencier des ilots de Langerhans à l’état normal. Dans le pancréas du chien mort 212 jours après lopération, ces formations sont peut-étre moins nombreuses et évidentes; à cóté des ilots de Langerhans assez caractéristiques, il y en a d'autres envahis par le tissu connectif qui s'insinue entre une cellule et l'autre. En quelque point on trouve des groupes d'éléments qui, par leur dispo- sition, font penser aux cellules pancréatiques profondément modifiées; dans une seule des trés nombreuses sections, aussi en séries, il m'est arrivé d'observer un acine glandulaire assez bien conservé. Entourés du connectif, il reste aussi des nerfs et des ganglions nerveux, comme on les trouve dans le pancréas normal. Dans le chien sacrifié à 160 jours, comme aussi dans les autres, il n'existait pas de glycosurie; dans celui mort à 212 jours l'on trou- vait depuis quelque temps des traces de sucre dans lurine (5—6°/50)- Dans mes chiens on trouvait en outre, une trés évidente stéatorrhée; la quantité de la graisse perdue par les féces remarquable (70—80°/,). Tout de suite aprés l'opération les animaux commencaient à perdre de leur poids; ordinairement déjà aprés 30—40 jours l'amaigrissement 492 Arrigo Visentini, était trés sensible et il était trés grave pour les chiens apres 100 jours. Dans sept chiens cependant le résultat a été différent de ce que nous venons d'avoir mentionné comme une conséquence de la ligature et résection des conduits. | Chez plusieurs de ces animaux, même beaucoup de temps après l'opération (135 jours), l'on ne constatait aucun signe d'amaigrissement, aucune perte de poids et pour quelques-uns je n’ai pu constater d'atrophie du pancréas sensible à oeil nu; pour d'autres une réduction dans le volume de la glande avait eu lieu, mais cependant pas dans la méme mesure constatée dans les cas précédents. L'examen au microscope à son tour m’a permis de constater la persistance de zones assez étendues de tissu acineux normal, entourées et divisées par du tissu connectif légèrement augmenté. Or, dans deux de ces cas, jai pu constater par lautopsie la per- sistence d'un conduit excréteur ouvert, qui s'était soustrait (c'est ce que je pensais alors) à la résection, au moment de l'opération. Dans trois autres cas, j'ai constaté que le conduit excréteur | principal, que j'avais sans doute réséqué, s'était formé de nouveau 60, 65, 135 jours aprés lopération, de sorte qu'un liquide poussé dans le conduit central de la glande pouvait arriver dans l'intestin, moyennant une trés faible pression, ce que j'ai mentionné dans un des chapitres | précédents. Sur sept cas présentant un tableau différent du normal, pour cinq l'on peut affirmer sans aucun doute que la sécrétion du pancréas avait encore au moins une voie d'écoulement (la.principale); pour les autres deux cas je n'ai pas de donnée qui m'autorise à pro- noncer la méme affirmation; je me sens cependant poussé à l'admettre comme hypothése trés vraisemblable d'autant plus que ces deux cas, les premiers animaux opérés, n'ont pas été soumis à ces recherches rigoureuses de contróle que j'ai adoptées, surtout plus tard. Pour en venir à la conclusion, il me semble que les observations que je viens de faire, méme celles qui sont apparemment négatives mais qui se changent à la fin en une nouvelle argumentation favo- rable, ces observations, dis-je, m'autorisent dans leur ensemble, à af- firmer: ,qu'une atrophie macroscopique et microscopique de l'organe, CRE TUE ITO S SSITUBPEPLUSS VIR ie at eri pei | " La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénèse ete. 493 trés évidente et progressive, est produite d'ordinaire à la suite de la ligature et de la section des deux conduits excréteurs du pancréas du chien: la glande devient le centre d'un actif et progressif procés de sclérose accompagné de la destruction progressive du tissu acineux. Dans certains cas lon arrive un peu plus tard, jusqu'à la complète disparition des acini glandulaires pancréatiques et à l’oblitération, par la selérose, des conduits excreteurs, tandis que les ilots de Langerhans conservent les caractéres morphologiques qu'ils présentent normalement dans le pancréas du chien. La vascularisation se main- tient abondante.“ C) Ligature et résection des deux conduits excréteurs du lobule ventral du pancréas du pigeon. J'ai été engagé a ce genre de recherches à propos des pigeons, surtout par les expériences faites par Lombroso, sur la ligature et la resection des conduits excréteurs du pancréas. Si les constatations de Lombroso étaient confirmées, elles auraient pu soulever une objection trés grave contre les résultats que jai obtenus moi-méme à propos du chien et contre les déductions que l'on peut bien en tirer. Cependant, avant d'exécuter, chez le pigeon, la ligature et la résection des conduits pancréatiques, jai trouvé indispensable de dé- terminer exactement la morphologie du pancreas de cet animal et d'établir les rapports existant entre les différentes portions du pan- créas qui s'y trouvent. J'ai voulu d'autant plus faire précéder cette étude que Cl. Ber- nard (L. c.) et Pugnat [158] affirment quil existe, dans le pigeon, trois lobes pancréatiques distincts, fournis chacun d'un conduit excré- teur indépendant (ce qui a été accepté par Lombroso et admis comme fondement de ses recherches), tandis quil me résultait, d'autre part, que chez d'autres oiseaux (le moineau) cette indépendance anatomique entre les différentes parties du pancréas n'existe pas (Giamnelli 38 et 59). Dans ce but jai examiné un nombre considérable de pancréas de pigeon, en les soumettant à une recherche macroscopique trés minu- tieuse et à une recherche méthodique au microscope, sur des sections 494 Arrigo Visentini, en série de la glande entiére avec lanse du duodénum, ot la glande méme et ses conduits sont compris. De ces recherches sur la morphologie du pancréas de la „Columba livia^ il résulte que le pancréas dans cet animal est constitué de deux segments: lun ventral et lautre dorsal. Le segment dorsal s'étend trés sensiblement en direction du crane jusque vers le foie et la rate et, en se repliant en sens ventral, il forme d'habitude un petit lobule (,,juxtasplenicus* de Giannelli) qui en quelques cas assez fré- quents est continué aussi par le segment pancréatique ventral Le segment ventral, qui résulte probablement de la fusion des deux ébauches ventrales embryonnaires (à chacune d'elles correspond un conduit excréteur) dans quelques cas (outre qu'avec le lobule juxta- splenieus du pancréas dorsal) peut étre uni avec le pancréas dorsal au moyen de ponts de parenchyme pancréatique dans lesquels se trou- vent des canaux excréteurs, qui passent d'un segment à lautre: en ce cas aussi dans le pigeon il y a un seul pancréas. En d'autres cas au contraire, les deux segments pancréatiques restent parfaitement indépendants. Ces variétés anatomiques que l'on constate à propos du pancréas du pigeon, trouvent une explication logique dans les modalités suivant lesquelles se développe le pancréas des oiseaux; ces variétés en leur essence se réduisent en effet à une fusion plus ou moins compléte des trois ébauches pancréatiques embryonnaires. La ligature et la résection des deux conduits de la portion ven- trale du paneréas du pigeon est, au point de vue technique, trés faible, et les conduits excréteurs sont si longs, quil réussit possible de les lier en deux points et de découper un petit morceau de canal entre les noeuds, d'habitude sans léser aucun vaisseau. Les pigeons supportent trés bien lacte opératoire. Jai exécuté l'expérience sur 19 pigeons qui survécurent tous et furent par moi sacrifiés après une periode variée, et précisément 5, 6, 8, 12 (2), 14, 16 (2), 18, 25, 35, 53, 66, 90, 138, 155, 176, 238, 300 jours aprés l'opération de ligature et résection des conduits excréteurs ventraux. En chaque cas jai eu soin de bien examiner la disposition et le rapport réciproque des segments pancréatiques au moment de La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 495 laete opératoire. Pour quelques-uns aprés les avoir sacrifiés, je me suis limité à un examen attentif macroscopique, et j'ai ensuite fixé, le plus souvent dans du liquide de Zenker, des petits morceaux de la elande; dans les derniers cinq animaux j'ai cru nécessaire sectionner en séries tout le pancréas fixé et inclus „in toto“ avec lanse du duodénum qui le contient. Les résultats que j'ai obtenus dans le pigeon aprés l’ocelusion des conduits excréteurs de la portion centrale. du pancréas ne sont pas constants; ils peuvent pourtant se réunir en deux groupes, en rapport avec la disposition anatomique décrite, différente d'un pigeon à l'autre. Comme jai déjà dit, le pancréas ventral du pigeon est parfois uni avec celui dorsal, ou bien il se trouve tout à fait isolé et, en corre- spondance à cette double variété anatomique, le comportement macro- scopique et microscopique du segment pancréatique ventral est double, aussi aprés la ligature et la résection de ses deux conduits excré- teurs. Quand le segment pancréatique ventral du pigeon est indépendant du restant du pancréas, de facon à pouvoir se considérer comme une glande à part, quelques jours aprés l'occlusion de ses conduits excréteurs (5—6), l'on observe une forte dilatation des conduits et des tubules elandulaires qui va toujours en s’accentuant; 8—12 jours aprés l'opé- ration la glande est profondément modifiée, le pancréas, dans les sections, parait constitué d'autant de cavités cystiques, souvent com- muniquant entre elles, tapissées de cellules, les éléments excréteurs de la glande aplatis, presque lamellaires, avec un noyau clair, pauvre en chromatine. Parmi les tubules pancréatiques ainsi altérés l'on note une légere infiltration parvicellulaire, en certains points des accumulations de vrai tissu lymphatique, semblables à celles que l'on trouve d'habitude assez fréquemment dans le pancréas des oiseaux. Les ilots de Langer- hans ne participent aucunement aux altérations si graves du paren- chyme elandulaire; ils conservent leur structure normale. Dans les pigeons sacrifiés aprés une plus longue période de temps, 16—18 jours aprés l'opération, déjà à oeil nu, le segment pancréatique ventral apparait assez réduit de volume, augmenté de consistance, de 496 Arrigo Visentini, couleur plus pale; les moignons des conduits excréteurs liés et coupés, notablement dilates. Dans les sections, en général, lon observe les mémes faits des stades précédents, mais encore plus distinctement: le tissu connectif intertubulaire et entourant les vaisseaux est anéanti; ces amas de tissu à structure lymphoide, dont jai déjà parlé, sont devenus plus nombreux et plus grands. Dans cette période l’on trouve déja des ilots de Langerhans isolés et de structure normale, d’autres restent encore au milieu des résidus de tissu excréteur, qui se font toujours plus rares. Aprés 25 jours latrophie du pancréas est encore plus sensible, la dilatation des conduits excréteurs et des tubules trés forte, le tissu lymphatique limite des zones de tissu constituées de cavités cystiques contenant parfois des cellules libres tombées de la paroi, qui est tapissée d'éléments cellulaires aplatis, en quelques points semblables à des cellules endothéliales. Le protoplasme des cellules est homo- gene, le noyau vésiculeux, clair, pauvre en chromatine Ce tissu pancreatique, profondément altéré, est le plus souvent entouré d'une couche de connectif, qui s'insinue aussi parmi les tubules ainsi mo- difies. Les ilots de Langerhans restes indépendants des tubules se pré- sentent par les caractéres de leur structure et par rapport a leur comportement vis-a-vis des substances colorantes, parfaitement iden- tiques aux îlots à l'état normal: ceux, au contraire, qui sont entourés de résidus de tubules pancréatiques semblent comprimés par le tissu dans lequel ils se trouvent: les colonnes epithéliales sont adossées les unes aux autres, divisées par de minces capillaires dans lesquels on trouve seulement de rares eritrocytes; le protoplasme des cellules est clair, d'aspect hydropique, coloré moins vivement que celui des éléments des amas cellulaires de Langerhans isolés. D'autres ilots se trouvent à la periphérie des résidus du tissu exocrine et présentent des carac- téres morphologiques et chromatiques presque normaux. Apres 53 jours de la résection des conduits excréteurs, le segment pancréatique ventral est, macroscopiquement, bien réduit de volume, comme une mince petite bande de tissu de consistance fibreuse, qui, en La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése ete. 497 quelques points, par la dilatation du conduit excréteur, forme une petite kyste. A l'examen microscopique des sections du pancréas, l'on remarque qu'il reste encore de petites aires de tissu constituées par des tubules pancréatiques ectasiques et sclérotiques, qui conservent à peu prés les caractéres ci-dessus décrits: ce tissu sclérotique, si profondément mo- difié devient toujours plus rare, au fur et à mesure que l'on s'éloigne de l'opération: aprés 138—176 jours il ne reste en quelque point que peu de ces tubules élargis, réunis en groupes: en quelques-uns d'eux les cellules aplaties, qui en revétent les parois, ont disparu. Le paneréas atrophique (53—66—138— 176—300 jours) à ses extremités apparaît constitué surtout de tissu de structure Iymphoide, riche en vaisseaux, dans lequel se trouvent de nombreuses ilots de Langerhans qui ne peuvent pas se différencier par leur structure de ceux du pancréas normal. Cela, dans mes préparations, pouvait se constater de la maniére la plus évidente, en tant que cette comparaison était possible en eux, parce que dans les mêmes sections, à côté du pancréas ventral atrophique, l'on trouve le segment pancréatique dorsal, qui n'a pas été opéré et garde sa structure normale. Dans la portion médiane le pancréas ventral est souvent réduit en totalité à une cavité cystique par l'énorme dilatation du conduit excréteur central; pourtant il est facile de trouver des ilots de Langerhans normaux dans le connectif qui entoure ce conduit ectasique en quan- tité plus remarquable, à mesure qu'on s'éloigne du temps de l'opération. Il n'est pas inutile que je rappelle que des pigeons sacrifiés aprés 66, 138, 176 jours de l'opération, jai inclus et sectionné en séries le pancréas „in toto“ avec lanse qui l'entourait, de sorte que j'ai pu établir d'une maniére certaine, qu'en eux le segment pancréatique ventral était indépendant du pancréas dorsal. Bien différent est le comportement histologique du segment pan- créatique du pigeon aprés la résection des conduits excréteurs, quand il est uni au pancréas dorsal. Les pigeons, que j'ai sacrifiés aprés 12, 14, 16, 35, 90, 155 jours après l'opération, macroscopiquement ne présentaient qu'une réduction 9 Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XXXI. 32 498 E Arrigo Visentini, de volume peu importante de la glande, et d'habitude prévalente dans la portion la plus caudale du pancréas ventral, qui est souvent, comme jai déjà dit, divisée de la portion cranienne du pancréas par une incision plus ou moins profonde. Dans ces pigeons, le segment ventral du pancréas était uni avec le dorsal, soit par le lobule, dit juxta-splénique, soit directement au moyen de ponts de parenchyme pancréatique. J'ai pu me convaincre de cela en quelques cas, par un examen attentif macroscopique au moment de l'opération et aprés avoir sacrifié les pigeons; en d'autres cas en sectionnant en séries le pancréas entier avec l'anse du duodenum qui l'entoure. i | Dans les pigeons de ce second groupe, sacrifiés aprés 12—14 jours, jai constaté que cette dilatation bien distincte des tubules pancréa- . tiques que l'on obtient déjà aprés 6—12 jours, aprés l’ocelusion des conduits, quand le pancréas ventral est isolé, était de degré inférieur et surtout limitée à la portion caudale du pancréas ventral, c'est-à-dire, à la portion de la glande le plus éloignée du point oü le segment pancréatique ventral s'unissait avec le dorsal Dans la portion plus proche à lui, au contraire, la dilatation était, dans un cas, bien moins évidente et limitée seulement à peu de tubules, dans les autres pigeons elle manquait complétement. Dans tout le pancréas, il exis- tait une légére sclérose et un peu d'infiltration parvicellulaire. J'ai sectionné en séries le pancréas ventral des deux pigeons sacrifies, lun après 90, l'autre aprés 155 jours de l'opération: en ceux-ci encore Jai observé dans la portion la plus caudale du pancréas et la plus eloignée du pont de tissu qui joignait les deux segments du pancréas, une remarquable dilatation des tubules glandulaires avec augmentation du tissu connectif. Cette altération cessait à un certain point, pré- cisement en correspondance avec cette incision qui, comme j'ai répété plusieurs fois, divise d'habitude le pancréas ventral en deux portions réunies par un péduncle; le restant du pancréas ventral présentait la structure histologique normale. Dans son ensemble le segment pan- créatique ventral résultait donc de deux portions, constituées, l'une de tubules un peu. ectasiques et altérées, l'autre de parenchyme normal. La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 499 Dans tous les deux cas, dans les ponts de parenchyme qui unis- saient les deux segments pancréatiques ventral et dorsal, il existait, comme c’est aussi le cas des pigeons normaux, un conduit qui unissait les systemes excréteurs des deux portions; dans un cas ce canal se presentait ectasique dune maniere tres sensible. Ces résultats se répétant avec insistance, me paraissent posséder une signification incontrastable servant a expliquer le différent com- portement du segment pancréatique ventral aprés la résection de ses conduits excréteurs dans les différents exemplaires de Columba livia: ils me conduiraient à conclure que les tubules pancréatiques persistent inaltérés dans le pigeon, seulem_nt quand ils peuvent encore verser à Vexterne le produit de leur activité fonctionnelle: quand au contraire, cette derniére est entravée d'une maniére certaine et permanente, chez le pigeon aussi nous assistons à latrophie du pancréas, à Yalteration et à la disparition du tissu exocrine et à la persistance des ilots de Langerhans à structure normale. D) Recherches complémentaires et critiques. Les données de fait qui résultent de mes expériences chez les pigeons, prouvent comme la persistance des tubules pancreatiques est étroitement liée à la possibilité de l’ecoulement du matériel de sé- crétion; d'un autre cóté, chez le chien, jai pu établir que dans un cer- tain nombre d'animaux, dans lesquels à la ligature et section des conduits excréteurs ne suivait pas l'atrophie compléte du pancréas, cette glande, un peu de temps aprés l'opération, pouvait encore verser dans lintestin sa sécrétion externe. Par ces nouvelles constatations je me suis persuadé de la néces- sité de quelques recherches complémentaires pour établir quelles peu- vent être les causes d'erreur où l’on peut tomber dans là technique des expériences de la ligature et de la résection des conduits excré- teurs du pancréas du chien, et qui peuvent rendre inutile l'intention d'empêcher d'une manière sûre et permanente l'écoulement du suc pancréatique dans le duodénum. J'ai cherché d’éclaircir un premier point de la question en répé- tant sur quatre chiens l'expérience de v. Hansemann, qui pouvait 328 500 Arrigo Visentini, représenter une objection a mes résultats: jai pu me convaincre ainsi que la ligature du pancréas in toto comme v. Hansemann faisait, ne conduit pas d'habitude a l'exclusion permanente des conduits ex- créteurs de la glande et à cause de cela n'empéche pas d'une maniére durable l'écoulemeht de la sécrétion de la portion du pancréas qui se trouve derriere la ligature. En tous les cas oü j'ai exécuté cette experience, jai pu établir, moyennant une injection des canaux excré- teurs, qu'aprés quelque temps, le conduit central de la glande était ouvert à nouveau. Cela s’accorderait aussi à ce qu'on a observé pour une autre elande, le foie; en effet, il serait démontré que la simple ligature du conduit exereteur ne suffit pas à empécher l'écoulement de la bile dans l’intestin; aprés huit jours seulement il est possible que l'ouverture du cholédoque se soit déjà rétablie (Sisto 178). Un autre co-efficient qui peut faire varier dans le chien le com- portement du pancréas aprés l’occlusion de deux canaux excréteurs est l’eventuelle présence d'un troisième conduit. Je reconnais à cette possi- bilité une certaine importance; pourtant mes recherches, que j'ai exposées dans un des chapitres précédents, m'ont amené à la conclusion que la. présence d'un conduit accessoire, surnuméraire, dans le pancréas du chien, est une variété anatomique trés rare. Entre les causes qui rendent possible l'écoulement de la sécrétion externe dans le duodénum, aprés la ligature et la résection des con- duits excréteurs, je crois qu'on doit donner la plus grande importance à la possibilité de la restauration anatomique et fonctionnelle des con- duits mémes. Cette eventualité est trés fréquente. Du reste, moyennant l'injection du systéme excréteur de la glande de son extrémité caudale, suivant la technique que j'ai proposée et décrite précédemment, l'on pourra toujours, soit établir chaque fois la cause d'un résultat erroné, soit s'assurer de l'exactitude d'un résultat obtenu. L'introduction sous-cutane d'une portion du pancréas, suivant | Hédon suffirait à empêcher l'apparition du diabète dans le chien sans 4. pancréas. Si méme dans ces greffes survivaient seulement des îlots | La fonetion du pancréas et ses rapports avee la pathogénése ete. 501 de Langerhans, on aurait un nouvel argument de grande valeur en appui à la théorie qui attribue aux ilots la fonction de sécrétion interne du pancréas. On a déjà entrepris de nombreuses recherches à cet égard. Mouret [151] qui a pratiqué l'examen histologique des greffes exécutées par Hédon, décrit dans le morceau transplanté un processus de sclérose progressive et la disparition des acini pancréatiques, mais il ne parle pas d'ilots. Ssobolew |152] a accompli sur le chien deux expériences de trans- plantation de la portion verticale du pancréas sous la peau abdomi- nale, et dans un cas, aprés cinquante jours il a trouvé des acini glandulaires fortement atrophies et des ilots de Langerhans bien conservés; dans l'autre, aprés 130 jours, il a constaté des restes des conduits excreteurs, et un petit nombre d'ilots. Laguesse [72] dans une greffe de pancréas aprés 92 jours a con- staté la destruction du parenchyme exocrin et la persistence des ilots. Gontier de la Roche |42| après 42 jours a noté la sclérose du pancreas, avec atrophie des acini. | Lombroso (l. c.) a observé que dans la greffe de pancréas, méme aprés 56 jours, restaient les acini bien conservés: en deux cas (22—30 jours) on ne notait aucun phénoméne qui distinguät ces portions transplantées de la glande normale. Suivant les résultats obtenus par Ottolenghi [156], les îlots de Langerhans dans les transplantations du pancréas seraient atteints par une rapide nécrose; cependant l'on ne peut pas considérer ces résultats comme décisifs. Tiberti [190] a exécuté des grefies de petits fragments du pan- créas de cobaye et de lapin dans le foie et dans la rate de ces ani- maux mémes. En général Tiberti confirme les conclusions d’Ottolenghi par rapport aux modifications tardives que le tissu zimogenique subit. Apres 30—40 jours, à côté des phénomènes de nature régressive plus aecentuée dans la partie centrale des greffes, on trouverait dans la partie periphérique une graduelle et progressive transformation des acini glandulaires et des conduits excréteurs en petites cavités cysti- ques et une remarquable néo-formation du tissu connectif. Il n’existe- 502 Arrigo Visentini, rait plus de vrais îlots de Langerhans; pourtant Trberti a observé dans quelques préparations, dans la partie des greifes en contact immédiat avec le parenchyme de l'organe qui les accueillait, de petits amas cellulaires qu'on pouvait interpréter comme des ilots de Langer- hans modifiés. Martina |120| a transplanté, dans un chien, une partie du pan- créas dans la rate et aprés deux ans il a emporté le restant de la glande. Alors le diabète a paru, ce diabète qui suit d'habitude l'extirpation du paneréas. Evidemment le morceau transplanté (quoi- quil füt en partie enraciné et qu'à la periphérie il monträt, inaltérée, la structure du pancréas) n'avait pas pu, lui tout seul, accomplir la fonction interne de l'organe. Les recherches que j'ai exposées ici peuvent se distinguer sui- vant la technique employée, en deux groupes: expériences de trans- plantation d'une portion du paneréas sous la peau abdominale et expériences de vraies transplantations de morceaux de parenchyme pancréatiques isolés. Les résultats obtenus jusqu'ici par de nombreux auteurs qui se sont appliqués à ces deux genres de recherche, comme nous avons vu, n'ont pas été, dans leur ensemble, satisfaisants. Une difficulté qui n'est pas indifférente consiste dans la nécessité de devoir examiner en un temps trés éloigné de l'opération, le morceau de paneréas, soit transplanté sous peau avec un péduncle de vaisseaux qui devraient en garantir la vitalité, soit simplement trans- planté. Or, on a pu constater par mes expériences que seulement 160—210 jours aprés l'occlusion des conduits excréteurs, j'ai réussi à observer la disparition complete des acini glandulaires. Et dans le cas de transplantation sous peau, méme en liant le morceau de pan- créas, in toto, de maniére à en lier aussi le conduit excréteur, il se forme d'habitude (Ssobolew) une fistule de laquelle pendant 30—40 jours continue à découler la sécrétion pancréatique. Cependant dans les observations faites dans un temps bref (Lom- broso) le résultat histologique n'est d'aucune valeur, tandis que d'un La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 503 autre côté, maintenir longtemps intacte, méme avec un peduncle de vaisseaux, la vascularisation du morceau de glande transplantée, représente une difficulté technique, je crois, presque insurmontable. Pourtant, s'agissant d'une étude qui se rapporte principalement aux ilots de Langerhans, conserver intégralement la vascularisation est une régle d'une importance fondamentale. Les ilots sont de petits organes qui ont une distribution particuliére caractéristique des vais- seaux sanguins, et on comprend comment un désordre dans la circu- lation du sang puisse produire non seulement un dérangement fonction- nel, mais une altération dans la morphologie des cellules insulaires si délieates. N’est-il pas logique que les ilots s’alterent, particuliérement dans les transplantations de parenchyme pancréatique, méme en des organes trés vascularisés, comme le foie et la rate, en méme temps que les aciní et aussi avant les acini? Et la nouvelle formation de tissu connectif qui intervient bientót, ne contribue-t-elle pas aussi certainement à altérer les irrorations sanguines de ces glandes vascu- laires? i En effet, Tiberti aussi, dans ses transplantations, a observé, que si, tout en étant modifiés, il survivait des ilots de Langerhans, cela arrivait à la périphérie de la transplantation prés du parenchyme de loreane qui l’accueillait. Je crois done que, méme en constatant dans les greffes de pan- créas, la destruction des ilots de Langerhans, on ne peut pas inter- préter ce fait comme contraire à l'indépendance anatomique et fonction- nelle de ces petites glandes, qui par leur structure, sont si parfaitement différentes du tissu qui les environne. Les recherches sur la transplantation du pancréas ne permettent point de donner jusqu'à présent, un jugement sur la nature et sur la signification physiologique des îlots de Langerhans. Nous verrons dans le chapitre suivant comment j'ai essayé de résoudre la question des greffes pancréatiques, surtout par rapport à leur destinée histologique. 504 Arrigo Visentini, En résumant, d’aprés les recherches expérimentales que j’ai faites chez le chien et chez le pigeon, il résulte les données de fait sui- vantes: A. Dans le chien les résultats obtenus, au moyen de la ligature et la section, entre deux neuds, du conduit excréteur principal du pancréas et de celui accessoire, peuvent étre réunis en deux groupes: 1. Au premier groupe appartient le plus grand nombre de cas [20] où à l’occlusion des conduits il s’ensuit l'atrophie macroscopique et microscopique du pancréas, une sclérose évidente, la destruction progressive du tissu acineux. Dans certains cas j'ai constaté la dis- parition compléte, dans d'autres cas presque compléte, des acini glandu- laires et l’obliteration à cause de la sclérose, des conduits excréteurs. Les ilots de Langerhans conservaient en grande partie leur structure normale et à la suite du processus d'atrophie et de sclérose de la glande, ils restaient réunis ensemble, isolés complétement dans le connectif nouvellement formé. Dans tous les chiens il y avait une trés évidente stéatorrhée et il manquait toute trace de sucre dans les urines, méme quand, dans … le pancréas atrophié, au milieu de l’abondant tissu connectif, on ne trouvait plus aucun lobule de tissu pancréatique bien conservé et les seuls éléments épithéliaux survécus étaient des amas cellulaires que l'on pouvait reconnaitre pour des ilots de Langerhans normaux par l’ensemble de leurs caractères. Dans un seul cas j'ai trouvé une trés légère glycosurie (5—6°/,,) minime en comparaison de celles qu'on obtient dans le diabéte expérimental, qui suit à l'exportation chirurgi- que du pancréas chez le chien. 2. Au second groupe appartiennent quelques chiens [7], dans les- quels j'ai observé seulement une petite perte de la graisse par les féces, un léger et inconstant amaigrissement, et à l'examen microscopique du paneréas, ayant quelquefois aussi le volume réduit, j'ai constaté la persistance de tissu acineux normal. Or, dans la plus grande partie de ces cas, jai pu démontrer que la sécrétion du pancréas pouvait encore librement découler dans le duodénum. D'autres recherches m'ont autorisé à affirmer que ce fait peut dépendre ou d'une erreur de technique opératoire assez facile, vu La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 505 les fréquentes anomalies du systeme excréteur de la glande, ou de la présence, rare, d'un conduit excréteur accessoire, mais principalement de la possibilité fréquente, que j’ai démontrée, d’une restauration ana- tomique et fonctionnelle des conduits excréteurs liés et coupés. B. Chez le pigeon le pancréas consiste de deux segments, l'un dorsal, l'autre ventral, qui sont en certains animaux completement distinets l'un de l'autre, de sorte que chacun constitue un organe à part, et en d'autres cas au contraire ils sont unis ensemble de maniere à former un seul pancréas. En relation avec cette double disposition anatomique, dans le pigeon, aussi le comportement de la portion ven- trale du pancréas, après la ligature et la résection, entre deux nœuds, de ses deux conduits excréteurs, n'est pas constant et les résultats de cette opération peuvent aussi étre réunis en deux groupes. 1. Dans un premier groupe trouvent place les cas ou à l’ocelusion des conduits exereteurs s'ensuit latrophie du pancréas ventral avec une profonde et permanente altération, et, plus tard, une compléte disparition des tubules glandulaires, tandis que les ilots de Langer- hans, trés nombreux, ont conservé leur structure normale. J'ai observé cela dans les pigeons, chez lesquels le segment pancréatique ventral se trouvait tout à fait isolé. 2. Dans les cas, au contraire, oü la portion ventrale du pancreas était unie à celle dorsale, la réduction de volume de l'organe était peu sensible, en outre que les ilots de Langerhans, persistaient inaltérés de nombreux tubules pancréatiques. J'ai mis ici en évidence que les résultats obtenus par moi à propos du pigeon, à la suite de l'occlusion des conduits excréteurs du segment pancréatique ventral, correspondent d'une maniere complete à ceux de la méme expérience exécutée sur le pancréas du chien et que les uns et les autres peuvent servir comme une confirmation réciproque. Ces résultats permettent d'établir d'une maniére certaine, quel est le comportement jusqu'ici controversé, du pancréas après l'occlusion | permanente de ses conduits excréteurs: «Chez le chien comme chez le pigeon, le pancréas s'atrophie quand | Pécoulement de sa sécrétion externe est empêché d'une manière du- 506 Arrigo Visentini, rable: le parenchyme acineux s’altere et finit par disparaitre, tandis que les îlots de Langerhans conservent leur structure normale. Il y a sans doute des cas où l’atrophie du pancréas n'a pas lieu. Mais ce fait est vraisemblablement lie a la possibilité que la sécrétion trouve une voie pour se verser à l'extérieur.» CHAPITRE V. Les éléments morphologiques qui accomplissent la fonction interne du pancreas. Nous avons vu, dans le chapitre précédent, que, moyennant la ligature et la résection des conduits excréteurs du pancréas, il a été possible d'obtenir chez le chien une atrophie si compléte avec sclérose de la glande, que les seuls éléments épithéliaux survécus étaient représentés par les ilots de Langerhans. Dans ces chiens il n'existait pas de glycosurie. Ce fait, que le seul survivre du tissu endocrin avec la compléte destruction contemporaine de la partie exocrine du pancréas suffit pour empécher l'apparition du diabéte, lequel suit . d'habitude à la destruction complete de toute la glande, ce fait, dis- je, constitue certainement un argument en faveur de l'hypothèse qui attribue aux ilots de Langerhans la fonction de régler l'échange des hydrates de carbone. Il n’en est pourtant pas la démonstration absolue. È Il était nécessaire d’établir que méme chez les animaux, dans lesquels le pancréas avait atteint le degré d’atrophie avec destruction complète du tissu exocrin, l’extirpation du pancréas atrophique aussi pouvait provoquer le diabète; en d’autres mots, qu’en vérité les ilots de Langerhans survécus étaient les éléments qui empéchaient lappa- rition du diabéte. Nous avons vu aussi, dans les chapitres précédents, combien il est difficile d'obtenir dans le chien l'atrophie compléte et la disparition de la partie acineuse du pancréas; en une longue série d'expériences deux seules furent couronnées à la fin d'un succés complet. Et nous en avons vu aussi les causes. En bien des cas il arrive dans le chien le rétablissement des conduits excréteurs liés et coupés, de sorte La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 507 x que les animaux à expérimenter retournent bientôt aux conditions normales, en beaucoup d'autres cas les animaux succombent avant que latrophie du pancréas ait atteint le degré voulu, soit par les derange- ments de la nutrition (voir premiere partie, chapitre II) qui suivent le manque du suc pancréatique dans l'intestin, soit par la nécrose du tissu adipeux comme conséquence du fait que le suc pancréatique souvre une voie dans la cavité péritonéale; dans le peu de cas ow l'occlusion des conduits excréteurs devient permanente, il s'établit de telles adhérences entre le pancréas et le duodénum, que l'extirpation de la glande en deuxiéme temps trouve des difficultés insurmontables. J'ai alors préféré recourir à une autre méthode de technique dont je me suis servi aussi dans l'étude de l'échange des graisses. En une longue série de cas, à peu prés quarante, j'ai fait, en premier temps une extirpation partiale du pancréas; c'est à dire de tout ce morceau de la glande adhérent a l’intestin, laissant isolée dans la cavité peritonéale seulement une portion de la pars lienalis, la partie la plus proche de la rate, suffisant, à elle seule, à empecher le diabete. | De cette maniere les animaux conservaient une partie du pan- créas isolée, de sorte à rendre facile son extirpation en un second temps. Le plus grand nombre des animaux mouraient en un temps variable apres Vopération, le plus grand nombre par nécrose du tissu adipeux peritonéal, causée par le fait que la sécrétion de la glande restée en place, digérant les tissus, réussissait à se creuser une voie pour déboucher dans la cavité abdominale; d'autres mouraient par cachexie comme ceux auquels j'avais simplement lié et reséqué les conduits excréteurs, dans un état d'amaigrissement causé par les troubles de Vabsorption des aliments par l'absence de la sécrétion pancréatique du tube digérant. La recherche du sucre dans l’urine était exécutée, en tous les cas, tous les jours dans les premiers temps de l'opération et ensuite deux fois par semaine. Dans un seul animal, 92 jours aprés l'opé- ration l'on constata du sucre dans l'urine, dans la proportion de 20 E et la quantité du sucre allait toujours en augmentant, jusqu'à la mort 508 Arrigo Visentini, de l'animal 26 jours plus tard, quand il était dans la proportion de 35 par mille. i A l’autopsie, le résidu du pancréas était représenté par une petite portion de tissu sclérotique, constitué seulement de tissu connectif, sans aucune trace d'éléments épithéliaux. En trois animaux, au contraire, survécus longtemps, sans qu'il aient présenté de la glycosurie, Jai exécuté en. deuxième temps respectivement aprés 200, 220 et 225 jours depuis l'opération, l'extir- pation de la portion de pancréas que j'avais laissé dans la cavité peri- tonéale et chez tous les trois, aprés 7—10 heures il apparut du sucre dans l’urine. | La quantité de sucre éliminé s'élevait au taux de 6—10?/, à peu prés 50—60 grammes de sucre par jour. | A la glycosurie s’accompagnait toute la symptomatologie propre au diabete expérimental, qui suit a l'extirpation du pancreas: les chiens buvaient méme l'urine à peine émise. La portion du pancréas extirpé en deuxième temps était atrophi- que dans tous les trois chiens mentionnés et son volume était trés réduit. L'examen microscopique a donné les mémes résultats que dans les chiens aprés la ligature et la section des conduits excréteurs de la glande. Ces morceaux de pancréas atrophique étaient formés de tissu connectif, au milieu duquel il y avait des amas cellulaires, que par leur typique structure l’on pouvait reconnaitre comme îlots de | Langerhans à Vétat normal. Le tissu acineux avait complètement disparu. Un des animaux mourut aprés 2 jours, les autres survécurent jusqu'à 7 et 10 jours. En faisant l’autopsie l'on ne trouva aucun résidu de pancréas. * * * J'ai répété exprés ces expériences dans le but de donner une confirmation nouvelle et plus ample encore aux résultats déjà exposés, et cela au moyen d'une plus riche série de cas. Ces résultats montre- raient déjà tout seuls que les ilots de Langerhans sont les éléments destinés à accomplir la fonction interne du pancréas. La fonetion du paneréas et ses rapports avec la pathogenese etc. 509 Pendant ce temps, d’autres recherches ont été faites a ce sujet par plusieurs auteurs. L’opinion quil existe une fonction interne du pancreas a été raffermie et précisée par Lépine et par Hedon. Lépine [89] a observé que le pouvoir glycolitique du sang augmen- tait aprés la ligature des ductus pancréatiques: par conséquent il affirme que la sécrétion interne du pancréas explique son action sur le phénomène de la glycolise. Hédon [54] illustra le mécanisme de la sécrétion interne du pan- créas, en démontrant quil est possible de diminuer en proportion considérable la glycosurie d'un chien devenu diabétique aprés l'extir- pation du pancreas. On obtient cette diminution en opérant la trans- fusion du.sang veineux paneréatique d'un animal sain et au moyen d'interposition, avec anastomoses artérielles et veineuses des vaisseaux spléniques, d'un fragment de pancréas dans le systeme circulatoire portal d'un animal depancreate. Le taux de Vhyperglycémie ne subit en ce casqu'unelégère diminution. Mac Callum |112—114]| fit aussi une expérience analogue à celles que je décrivis auparavant. Il a réussi à faire dans le chien lextirpation d'une portion du pancreas qui s'était atrophiée aprés 235 jours de son isolement de lintestin et il a vu que le diabéte se manifestait, tout aussi bien qu'après l'extirpation classique de la elande normale. Le fragment atrophique exporté (!/, de la glande) suffisant pour empécher le diabéte, se présentait à l'examen histologique comme du tissu connectif et des ilots de Langerhans. Il s'agit malheureusement d'une expérience unique, compliquée par lauteur d'une tyroidectomie opérée dans les derniers jours de vie de l'animal, laquelle tyroi- dectomie a troublé le tableau du diabéte expérimental final. Massaglia et Zannini [124] ont confirmé, par des observations cliniques et anatomo-pathologiques, l'existence d'un diabéte spontané pancréatique chez le chien. Massaglia [125] s'oecupant aprés du côté expérimental du probléme, exporta en premier temps le «processus lienalis» et une partie du «corpus pancreatis» d'un chien, auquel il laissa «in sito» le reste de 510 Arrigo Visentini, la glande, isolée du duodénum. Aprés 144 jours, il extirpa aussi le «processus uncinatus» et tout ce qui restait du corps pancréatique, transformés dans un amas de tissu connectif, dans lequel on découvrait à lexamen histologique des ilots de Langerhans assez nombreux, et ça et là des restes de tissu acineux, dont les éléments présentaient toutefois les caractéristiques complètes d’une atrophie grave. Chez le chien, le diabète se manifesta immédiatement. Chez le même animal, mais pas encore diabétique et avec le pancréas ne sécrétant point dans l'intestin, on avait apres 144 jours une perte de poids de kg 2,100 sur kg 6 de poids initial. Dans une autre expérience analogue, après 87 jours, il ne trouva aucune variation dans le poids, mais il s'était produit la reconstruction du conduit excréteur principal du pancréas. : Bien que trés importante dans ses résultats, l'expérience isolée de Massaglia n'est donc pas encore démonstrative, d'une facon absolue. Massaglia, en exécutant — en deuxieme temps — une extirpation par trop précoce du pancréas atrophique, n'a pas exporté une glande exclusivement constituée d'ilots de Langerhans, car dans son cas on remarquait encore (méme aprés 144 jours) des restes atrophiques d’acinis glandulaires. Marassini |115] après avoir lié le conduit excréteur pancréatique principal chez plusieurs chiens, exclut le procés splénique et le procès «uncinatus» au moyen de ligatures en chaîne, résection et sutures des bords. Son expérience confirma amplement l’entiere série des modifications histologiques que j'ai décrites dans le pancréas, lors- qu'on empêche l'écoulement de la sécrétion: ces modifications donnant comme issue terminale la disparition du tissu exocrin. On voit bien par là que les observations précédentes constituent une large base servant à confirmer les faits que j'ai mis en lumière; faits qui se rapportent au mécanisme de la sécrétion interne du pan- créas dans l'échange des hydrates de carbone; et c'est de ces obser- vations que mes expériences ultérieures acquierent un plus grand intérêt et une importance plus large?) ') Ces recherches ont été poursuivies en collaboration avec l'élève M. V. Ti- baldi. La fonetion du pancréas et ses rapports avec la pathogénése ete. 511 Dans un premier groupe de chiens, j'ai répété extirpation partiale du pancréas, c'est-à-dire j'ai exporté tout le «corpus pancreatis» et la «pars lienalis» en laissant dans labdomen le «processus uncinatus», isolé de l'intestin. Cette opération est représentée d'une facon schématique par la fig. 1. Fig. 1. » Les protocoles des animaux opérés de la sorte méritent d'étre briévement rapportés, car il résulte d'eux plusieurs faits intéressants. Cela va sans dire que jai omis les cas (deux en nombre) qui n'ont donné aucun résultat: l'un des deux représentant un insuccés opératoire, l'autre n'ayant pour nous la moindre importance, car la mort de l'ani- mal s'ensuivit en quelques jours, à la suite d'une nécrose du tissu adipeux. ien. 1. Male. Setter, bâtard, noir et marron. Poids: kg. ; evrier : Chien. 1. Mäle. Setter, bätard, noir et marron. Poids: kg. 8,700. 3 février 1913 Extirpation partielle du pancréas. Le ,processus uncinatus“ qui reste in sito, isolé de lintestin, a une longueur d'environ 4cm. — 4 février et jours suivants: absence de sucre et d'albumine. — 13 février: idem Poids: kg 8,200. — 20 février: poids spécifique de l’urine 1023, absence de sucre, poids kg 6,350. — Le lendemain, on trouve le chien mort (de froid peut-étre?). On constate à l’autopsie: le „processus uncinatus* (17 jours aprés l'opération) est d'un vo- lume considérablement réduit, dur, d'une apparence de cirrhose. Dans les préparations microscopiques on observe en effet une cirrhose périlobulaire de moyen degré, avec tissu pancréatique bien conservé, présentant les carac- téres connus d'une stase de la sécrétion. Chien. 2. Mäle. Jaune, bátard. Poids: kg 5,500. Ce chien est trés maigre. 4 février 1913. Extirpation partielle du pancréas. On laisse in sito, isolé de l'intestin, seulement le „processus uncinatus* d'une longueur d'environ 512 Arrigo Visentini, 6cm. — Les jours suivants l’urine ne contient pas de sucre. — 8 février: Yurine présente des traces de sucre et d'albumine. p. sp. 1030.—13 février: Poids du chien: kg 6,250. Urine sans sucre. 17 février: Quantité abondante de sucre das l’urine. 18 février: idem. Sucre 20/,, — 22 février: Poids kg 4,760. L'animal est mourant. Sucre dans l’urine 38 °/ 9). Autopsie: Le ,processus uncinatus“ est assez réduit de son volume, dur, sclérotique. On remarque dans les préparations microscopiques: une cirrhose périlobulaire assez prononcée. De gros lobules de tissu pancréatique normal restent encore, ayant les caractéres d’une stase de la sécrétion (ectasie du systéme excréteur, légére ectasie de quelques acini, protoplasme cellulaire rempli de granules de sécrétion). Les ilots de Langerhans sont tres rares et en général trés petits, constitués par quelques cellules (2—5). Dans la partie du duodénum, on a trouvé un petit pancréas accessoire, depourvu d’ilots de Langerhans. Chien. 3. Mâle. Poids: kg 20,800. 12 février 1913. Extirpation partielle du pancréas, de facon a laisser isolé de l'ntestin le „processus uncinatus“ tout seul, d'une longueur de 9 cm. 17 février 1918. Absence de sucre, ainsi que dans les jours précédents. Poids: kg 18,500. 18 février 1918. On trouve des traces de. sucre. 245. » Absence de sucre. Poids: kg 14,250. 9 mars 3 L’urine n’a point de sucre. L’animal est mourant. Poids: kg 9,800. Autopsie: Le „processus uncinatus^ du pancréas (26 jours aprés l'opération) - p »P p présente un volume réduit, et dans les préparations microscopiques on con- state une cirrhose périlobulaire de moyen degré. Il reste encore de vastes aires de tissu pancréatique bien conservé, avec des ilots de Langerhans mais petits et peu nombreux, ainsi qu'ils se présentent d'habitude dans la tete du pancréas chez le chien. Chien. 4. Mäle. Noir, bátard. Poids: kg 17,900. 10 mars 1918 Extirpation partielle du pancréas. Le ,processus unci- natus“ qui reste in sito, isolé de l’intestin, mesure 15 cm de longueur. 12 mars. Absence de sucre dans l'urine. ME Absence de sucre dans lurine. | A Poids: kg 15. Sucre dans les urines, dans la proportion de 29/,, 7A Une et jours suivants: Le sucre s'éléve au taux de 10?/,,. Le chien présente polyphagie, polydipsie, polyurie. 1 avri. Sucre contenu dans l’urine: 1?/,,. Da ES Sucre contenu dans l'urine: 20?/,4. Le sucre reste abondant jusqu' au 20 avril. Sucre dans l'urine 30*/,,. Poids: kg 10,600. L’animal est mou- rant et on-le tue. Autopsie. — A l'ouverture de l'abdomen on constate qu'il s'est formé une seule petite adhérence du duodénum avec la paroi abdominale. L’epiploon s'est rapproché du troncon pancréatique resté in sito et l'a recouvert. On voit à travers que le pancréas qui reste est réduit à un petit trait de 5 cm de long et de la largeur de 1 cm au surplus, d'une dureté remarquable. La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénèse etc. 513 Dans la coupe le ductus central parait tortueux et dilaté; autour de lui on voit des petits nœuds en tissu grisätre rosé, nœuds qui ressortent trés bien dans l'ensemble du tissu connectif plus clair qui les entoure, Le tissu cra- que à la coupe et il est tres dur. L'examen microscopique de ce résidu de pancréas, aprés 41 jours d'isole- ment de l'intestin, montre un assez haut degré de sclérose avec notable destruction du tissu glandulaire. La néoformation de connectif est surtout à type interlobulaire, mais elle intéresse en partie le tissu méme interacineux. Plongés dans le tissu connectif, on voit des lobules entiers de tissu pancréa- tique bien conservé; les cellules des acini semblent comme enflées, remplies de granules de sécrétion, avec un noyau situé à la base de la cellule. Ail- leurs on peut observer aussi des acini isolés, entourés de connectif jeune, ayant en quelques points les caractéres d'une discréte infiltration parvicellu- laire. Trés probablement, ces acini témoignent de la disparition d'entiers lobules acineux, dont ils représentent les derniers reliquats. Les ilots de Langerhans sont trés peu nombreux. On en trouve quelques- uns, d'ordinaire bien petits, dans la zone de parenchyme pancréatique conservé. * I faut ajouter à ce groupe une expérience qui, tout en étant la méme dans le fond, est cependant trés différente dans les résultats. Ces résultats sont dignes d'étre opposés et comparés à ceux qui les précédent. Dans un chien seulement, jai répété l’extirpation partielle du pancréas, représentée dans la figure que voici: Ho: 5 Ù c'est-à-dire, j'ai laissé dans Vabdomen la «pars lienalis» au leu du «processus uncinatus» que j'ai extirpe avec le «corpus pancreatis». Disons de suite que les résultats obtenus répondent parfaitement à ce que j'ai déjà observé. Je n'ai pas entrepris de faire de nom- Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XXXI. 33 514 Arrigo Visentini, breuses expériences d’apres cette technique, car elle ne servait pas a mon but. Mes observations précédentes démontrent qu'il est nécessaire une longue série d'expériences pour obtenir un résidu de pancréas à son extréme degré d'atrophie; et il faut entretenir les chiens avec des soins particuliers, car les animaux qui n'ont plus l'écoulement du suc pancréatique dans le duodénum, déclinent rapidement et meurent dans un état d'extréme maigreur. Chien. 8. Mäle. Bätard. Poids: kg 7,800. 29 mai 1918. Extirpation partielle du pancréas (corpus pancréatis et pro- cessus uncinatus). La pars lienalis reste isolée de l’intestin et elle est x suturée au péritome pariétal 2 cm environ à gauche de la ligne médiane de l'abdomen. 25 mai 1918. Absence de sucre dans l'urine. Poids: kg 7,100. 14 jum 1918 et jours précédents: Absence de sucre. Poids: kg 5,200. 9 juillet 1913. Absence de sucre. Poids: kg 4,600. L'animal meurt le 10 , 1913, c'est-à-dire 48 jours aprés l'operation. Autopsie. — Le morceau de pancréas resté dans l'abdomen est devenu profondément atrophié, représenté par quelques lobules de tissu glandulaire, plongés dans le connectif, situés autour du canal excréteur central, ectasique, à paroi épaissie. | Dans les coupes transverses microscopiques on constate que ce pancréas atrophique est formé d’un amas de tissu connectif, au centre duquel s'ouvre la section du canal excréteur, tandis qu'on remarque tout autour des acinis semés ca et là, presque toujours isolés dans le tissu néoformé, se réunissant en quelques endroits pour former de petits lobules en tissu pancréatique normal. Ce qui ressort trés clairement à l'observation, à cause de leur structure typique et des caractères morphologiques et chromatiques de leurs éléments cellulaires, ce sont de trés nombreux ilots de Langerhans, intégres, en partie encore prés de quelques acini, en partie complétement isolés dans le connectif, souvent réunis en groupes de 3—4. Un trés petit grossissement nous permet de constater que le pancréas garde encore le dessin des lobules primitifs, car ce type de cirrhose est d'abord périlobulaire et les faisceaux de connectif sont plus épais et plus compactes autour des résidus des lobules pan- créatiques: là oü le tissu acineux a disparu tout à fait, les ilots de Langerhans restent, comme s'ils étaient ceux préexistant dans le La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 515 lobule, ayant survécu, et s'étant rapprochés. Souvent, tout prés de ces formations, il existe encore quelques cellules, rappelant par leur couleur les cellules endocrines. Si on colore les coupes au carmin d'abord et au vert lumiére aprés, sur le fond clair, à peine teinté de vert de la préparation on voit ressortir les acinis et ces cellules isolées de la sorte à cause de l’intense coloration du protoplasma vert d'émeraude. On constate alors que ces cellules sont à la périphérie de l'ilot de Langerhans, formant parfois de petits acinis; ou bien on les rencontre aussi parmi les cellules proprement dites endocrines, en rapport direct de contiguité avec elles. S'il s'agit de cellules acineuses résidues atrophiques on bien de cellules appartenant aux ilots, voilà ce que je n'ai encore pu déterminer avec certitude. * * * D'un autre cóté aussi jai taché d'atteindre le but supréme de mes expériences, qui vise à obtenir des animaux avec un pancréas porté à son extreme degré d'atrophie, réduit aux seuls ilots de Langer- hans et en conditions telles qu'on peut l’exporter assez facilement. Ce dont je me suis le plus préoccupé, c'est de réduire la technique opérative à une méthode qui permette de répéter l'expérience avec une certaine sécurité, sans faire une écatombe d'animaux avant de - parvenir à un résultat positif. Il s'agissait surtout de prolonger l'existence des chiens, jusqu'à ce que le pancréas isolé, devant être exporté en deuxième temps, ne fût réduit qu'aux ilots seulement. A ce point là, l'extirpation du pancréas atrophique aurait assumé la signification d’ È 5 120%. Poids, kg 11,380. (RES 1914. x E 1100/5. Le sucre garde ces propor- tions jusque 522 Arrigo Visentini, 10 février 1914. Sucre dans l’urine 120°/ 5. Poids, kg 11,100. 7—9 février 1914. Echange des gras. No. 3. Nourriture: Chair de cheval gr 600 Gras de porc (saindoux) , 90 Total du gras ingéré dans la notre gr 100. Fèces recueillies gr 230, gr 100 de fèces fraîches = gr 52,400 de fèces sèches. Gras éliminé le °/, de celui que l’on a introduit. Gras neutre gr 62,9573 Acides gras fixes „ 23,6171 Acides gras par rapport aux savons „ 2,0488 Total gr 88,6232 12 février 1914. On trouve mort l'animal. Autopsie. — Le chien est extrêmement maigre: toute la graisse sous-cutanée a disparu. Environ 500 cc. d'un transsudat légèrement coloré en rouge par le sang sont contenus dans la cavité abdominale. Il n'existe presque point d’adhérences entre les organes abdominaux. Le foie a diminué de son volume. Le dessin du lobule est bien évident: il se présente d’une cou- leur jaune adipeux, pointillé en rouge: noix muscade invertie. La rate a . remarquablement diminué aussi, elle est anémique, à pulpe modique. Les reins sont plutôt grossis, d’une couleur gris-rosée sur laquelle se détachent les raies jaunátres, très marquées, qui correspondent aux canalcules droits. Les autres organes ont leur apparence normale. On ne trouve aucun ré- sidu de pancréas. La considération du poids des animaux soumis à l'expérience présente un certain intérét, ainsi qu'on le voit en consultant les pro- tocoles ci-dessus. Dans un chapitre précédent j'ai déjà eu l'occasion d'éveiller l'at- tention à l'égard de la facon dont se comportait le poids chez les animaux dans lesquels on empêche lécoulement du suc pancréatique dans le duodénum. Dans ce chapitre je décrivis l'amaigrissement lent et progressif et la perte de poids, qui va jusqu'à la moitié environ du poids initial: c'est la destinée qui attend les chiens mis en ces conditions. Les observations actuelles viennent encore confirmer et compléter celles rapportées au chapitre II de la premiére partie. Les diagrammes ci-joints (p. 524) font voir en effet ce qui suit: à la suite d'une extir pation partielle du pancréas (c'est-à-dire de la portion sécrétant dans le duodénum) méme si une moitié de la glande isolée reste dans la ca- La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 523 vité du péritoine, la perte du poids est un fait constant et on pourrait presque dire fatal. Chez un seul chien (2) (trés maigre au moment de l'opération), on a observé une petite augmentation dans le poids les jours suivant immédiatément lacte chirurgical. Cela était dû probablement à l’ali- mentation surabondante qui compensait en partie l'état de déchéance physique de lanimal; mais dans la suite on a eu une diminution de poids jusquà un taux inférieur au taux initial. Ce sont les deux derniéres (fig. 6) les expériences qui intéressent davantage. Dans les deux chiens il a suffi de laisser in sito, fonctionnant dans le duodénum, environ la quatriéme ou la cinquiéme partie du pancréas (le processus uncinatus avec le canal excréteur principal) pour leur conserver des conditions générales trés bonnes qui permirent méme une augmentation de poids de quelques kilos. Il a suffi d'exporter ce petit pancréas, c'est-à-dire d'óter à Vin- testin le suc quil élaborait, pour provoquer la diminution graduelle du poids; diminution qui n'a point été hâtée par la présence de la gly- cosurie aprés l'extirpation successive du résidu atrophique de la glande. L'amaigrissement impressionant, tel quil est montré des photos des chiens qui accompagnent ce mémoire, n'est donc pas lié au man- que d'une hypothétique influence trophique exercée par le tissu pan- créatique tout seul, acini et ilots de Langerhans, mais il est une conséquence directe de cela: que dans lintestin la fonction du suc pancréatique vient à manquer. On sait en effet, à la suite d'expé- riences précédentes, que les animaux placés dans ces conditions, uti- lisent une quantité de nourriture trés inférieure à la normale; ils subissent surtout une perte trés grande, dans les féces, du gras ingéré. Cette allure du poids chez les animaux à paneréas ne fonctionnant pas dans l'intestin, est en contradiction apparente avec les résultats obtenus à ce propos par Zunz et Meyer. Ces auteurs — comme on sait — aprés la simple ligature et la section des canaux excréteurs pancréatiques, ont observé chez les chiens (dans le plus grand nombre de cas) une perte de poids les premiers jours aprés lopération, à la- quelle s'ensuivait presque toujours une augmentation à un taux su- périeur au poids initial. 524 . Arrigo Visentini, 2000001001 21816 te 7 atom alahn at TS oo sf Emme DU [27000 ES EEEEEEEEEEE ae EE booa HH 20000 | \\ N EJEJEJETESETES 78000) \I III TEE NL (Ca III I IN IT MODO. 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Au contraire, chez un autre chien qui conservait encore son poids normal aprés 87 jours „le canal principal de Wirsung était devenu perméable“; à sa dependence il existait encore une certaine quantité de pancréas, à l'apparence et à la structure, normal. Je crois que dans les expériences de Zunz et Meyer le méme fait se vérifie trés probablement, d'autant plus qu'on peut opposer, au groupe de cas rapportés ci-dessus, un autre groupe plus petit, dans lequel les auteurs mémes ont observé une constante et progressive perte de poids jusqu'à la mort des animaux opérés. Les protocoles cités font voir que chez les chiens 6 et 7 jai accompli des essais de recherches sur l'échange des gras dans les différentes périodes d'expérience. Les résultats sont une nouvelle confirmation à ceux que j'ai rapportés plus haut, et avec lesquels je les ai présentés. Ils répétent à peu prés encore les chiffres qu'en donna Sandmeyer en 1894: son travail a été inexactement cité par quelques auteurs (Lombroso, Tiberti) et il contient une série trés nombreuse et trés intéressante d'essais d'échange alimentaire en con- ditions d'expérience variées, qui correspondent à peu prés aux miennes. La question controverse de l'échange, chez les chiens privés de suc pancréatique dans Vintestin et aprés partiale et totale extirpation de la glande, avec pancréas au point extréme d'atrophie, meriterait bien d'étre étudiée d'une facon objective. On devrait tàcher surtout d'éviter les fautes dans la technique des expériences (reconstruction des canaux, extirpation incompléte du corpus pancreatis, pancréas accessoires, méme trés petits, ete.). * * * Les altérations histologiques du pancreas, chez les chiens qui ont été Vobject de mon expérience, présentent le plus grand intérêt, surtout si on les compare aux altérations fonctionnelles présentées par ces mémes animaux. 526 Arrigo Visentini, La facon histologique de se comporter du pancréas complétement isolé de l'intestin, correspond, non pas seulement dans ses lignes générales, mais dans ses détails aussi, à celle que je décrivis au chapitre précédent aprés la simple ligature et la section des canaux excréteurs. Le pancréas, dont la sécrétion ne trouve plus une voie d'écoule- ment et croupit dans le systéme excréteur, dans les acini glandulaires et dans les cellules, devient le siége d'un procés de sclérose avec riche néoformation de tissu connectif interstitial. De la sorte, on a le tableau clinique d'une pancréatite chronique interstitiale, ayant les caractères d’une cirrhose, d’abord tout à fait périlobulaire. On observe alors (pancréas des chiens 1, 2, 3 morts respectivement 17, 18, 26 jours après l'opération) que la glande est formée de gros lobules parenchymateux à l'aspect à peu prés normal, séparés l'un l’autre par des faisceaux plus ou moins épais en tissu connectif néoformé. L'arbre excréteur est ectasique. Plus tard, chez le chien 4 aprés 41 jours, chez le chien 8 aprés 48 jours de lopération, la néoformation connectivale est bien plus srande, elle a pris en plus les caractères d'une cirrhose interacineuse et intercellulaire avec destruction consécutive du parenchyme glan- dulaire. On observe en effet que le pancréas in toto est trés réduit de son volume, et que peu d’acinis isoles dans le connectif sont l'uni- que reliquat de quelques lobules. J'ai taché encore d'expliquer les modalités de ce procés destructif du tissu acineux. En employant les méthodes pour la démonstration des gras dans les tissus, on met en évidence une infiltration et une dégénérescence adipeuse des acinis qui sont à la périphérie des lobules, entourés du connectif en voie de formation: cette dégénération est plus marquée dans les acinis et dans les cellules pancréatiques qu'on peut encore reconnaitre isolées dans le connectif, oü elles finissent de perdre leurs caractéres morphologiques. Dans le jeune connectif entourant ces lobules et acinis résidus, on remarque une zone de cellules en dégénération grasse qui repré- sentent trés vraisemblablement, les derniers reliquats des cellules épithéliales pancréatiques. La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénèse etc. 527 Les mémes faits, en degré plus avancé, s’observent apres 50 (chien 8) — 80—90 jours de l'opération, lorsqu'on parvient à prolonger la vie de ces animaux privés de la sécrétion pancréatique. Naturelle- ment, pas toujours le procés d'atrophie et de sclérose se présente avec une allure si schématique. D'un cas à l’autre il y a des différences, dues, par exemple, à la dimension du pancréas: de facon qu'on peut observer chez un animal (cela est arrivé dans mes expériences) aprés 20 jours un degré de sclerose quun autre animal présente à peine apres 50. Toutefois, dans la série d'altérations que je viens de décrire, on remarque surtout des différences alors que la portion de pancreas isolée de l’intestin est le processus uncinatus ou la pars lienalis de la glande. Je crois quil est de toute importance signaler cela à l'attention, d'une facon spéciale. Cette différence se rapporte essentiellement aux îlots de Langer- hans. Dans le procés de sclérose qui atteint le pancreas, les ilots de Langerhans survivent: dans toute la série des chiens oü j'ai con- servé seulement la pars lienalis on remarque en effet de nombreux lots de Langerhans, à structure parfaitement normale, rapprochées en groupes, libres dans le connectif ou bien entourés de quelques lo- bules ou cellule pancréatique; et ils correspondent aux lobules primi- tifs de la glande. Si lon examine au contraire le processus uncinatus atrophique aprés son isolement du duodénum, on remarque de rares ilots dans les lobules d’acines encore conservés; dans le connectif en quelques endroits seulement on peut observer de petits amas de cellules qu'on ne peut pas considérer avec certitude comme étant des ilots normaux de Langerhans. A cette différence d'observation histologique s’accompagne aussi une différente allure physiologique chez les chiens d'expérience. Tandis que je n'ai presque jamais remarqué (ni dans mes expé- riences présentes, ni dans celles précédentes) lapparition d'une glyco- surie aprés l'extirpation partielle du pancréas, si lon conserve la pars lienalis; j'ai observé à plusieurs reprises, chez les chiens 2, 3, 4 du sucre dans lurine àprés la conservation du processus uncinatus 528 Arrigo Visentini, tout seul. Il s’agit d’une glycosurie plutöt legere, quelquefois tran- sitoire, qui n'apparait pas tout de suite aprés l’opération, ainsi que dans les cas d'extirpation totale de la glande, mais à distance de quelques jours (4, 6, 10 jours) Cette glycosurie a une disposition à s'empirer graduellement, jusqu'à représenter le symptome capital d'un vrai diabéte d'expérience, avec polyurie, polydipsie, polyphagie, ca- chexie. C’est ce qu'on appelle: diabète pancréatique de Sandmeyer. Cet auteur, en 1892, chez un chien, dans l'abdomen duquel il avait laissé isolé un sixième environ de pancreas, observa en effet d'abord une légére glycosurie qui se changea plus tard dans un vrai diabéte, dont l'animal mourut. | | On sait que Pflüger se servit de ce cas de Sandmeyer, suivi après d’un autre analogue (je les crois identiques aux miens) dans lesquels il y avait glycosurie malgré la conservation d’un gros fragment de pancréas, les donnant comme base à son opinion: savoir: que la cause probable du diabète expérimental ce n’est pas le manque du parenchyme pancréatique, mais l’acte opératif tout seul à cause des inévitables lésions aux nerfs qu'il occasionne, et à cause de l'ex- citation nerveuse produite par les nœuds laissés in sito. Ce n’est pas le moment de répéter ici l’histoire de la querelle qui se produisit tout de suite après la découverte de v. Mering et Minkowski (1889), entre ceux qui voyaient dans le diabète suivant la pancrétomie la démonstration d'une vraie fonction relative au pancréas, d'une pro- bable sécrétion interne, et ceux au contraire, que Pflüger capitanait, considérant le diabète expérimental comme un diabète dû à des lésions nerveuses. Il est certain, toutefois, que le diabète pancréatique de Sand- meyer trouve une explication logique dans mes expériences récentes, explication qui s'accorde avec la plupart des faits observés. Si cest aux îlots de Langerhans quil appartient trés probable- ment (nous le verrons après) la fonction du pancréas dans l'échange des hydrates de carbone, le diabète de Sandmeyer est lié dans mes chiens à une insuffisance fonctionnelle des îlots. Même normalement ils sont bien plus petits et dans un plus La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénése etc. 529 petit nombre dans le processus uncinatus que partout ailleurs dans la glande et surtout dans la pars lienalis, où ils sont trés nombreux et de grande dimension. Du moins, la rareté des ilots, leur disparition presque compléte au fur et à mesure que progresse le procés de cirrhose, est le seul fait positif qui parvienne à expliquer le diabète chez les chiens où il restait encore de nombreux et gros lobules en tissu acineux de struc- ture normale. Ce n'est pas inutile d'ajouter que, soit dans les chiens de Sand- meyer, soit dans les miens, la portion conservée du pancréas était le processus uncinatus. Nous avons vu dans les chiens 6 et 7 l’extirpation complète du pancréas faite en trois reprises: d'abord on a exporté le corpus pan- eréatis tout seul; aprés 198 et 212 jours respectivement, le processus uncinatus qui avait jusqu'alors fonctionné dans l’intestin et dont la structure était normale; en troisieme temps on a exporté la pars lienalis, devenue atrophique, 210 e 221 jours respectivement aprés la premiere opération. Ni lun ni l’autre chien n'ont jamais présenté a ni aprés la premiere, ni aprés la deuxième opération — aucune trace de sucre dans lurine. Au contraire aprés l'extirpation de la „pars henahs atrophique* le diabéte s'est présenté avec les mémes caractéres que dans les chiens à l'état normal aprés pancréctomie. Chez ces animaux, l'extirpation de la pars lienalis atrophique, au point de vue physiopathologique, a donc été l'équivalent d'une ablation complète de tout le pancréas normal. On peut alors comprendre le trés grand intérét et la haute signi- fication présentés par les données histologiques qu'on observe sur ces portions de pancréas atrophique. Chez le chien 6 on exporta, dans le dernier acte opératif, plu- sieurs morceaux de tissu sclérotique surtout à proximité de la rate. L'examen histologique montra que ces morceaux étaient constitués par du tissu connectif néoformé et par du tissu cellulaire-adipeux, au sein duquel il y avait de grands amas cellulaires, dont quelques-uns présentaient la structure typique des ilots de Langerhans. Aucune trace d'acini glandulaires, ni de canaux excréteurs. Internationale Monatsschrift für Anat. u, Phys. XXXI. 34 530 Arrigo Visentini, Tl a été facile surtout de rechercher la pars lienalis atrophique chez le chien Y. Comme jai déjà dit, elle était suturée à la paroi abdominale et était restée libre de toute adhérence, ainsi qu'un petit cordon. Les préparations histologiques de ce cas-là sont encore plus démonstratives; car, en coupant à séries tout le fragment exporté, il a été possible la reconstruction compléte de toute la portion atro- phique du pancréas, ainsi que d'en établir exactement la structure. De la sorte, on a une idée compléte de la modification profonde que le pancréas subit tardivement aprés avoir empêché lécoulement de la sécrétion et dont on peut observer, chez les chiens 6 et 7, les stades à peu prés définitifs. | Dans les coupes transverses complétes de toute la glande atro- phique on observe que le tissu connectif fibreux est trés réduit en comparaison des stades décrits aprés 45— 50 jours de lopération, où la sclérose est le fait prédominant. Au centre de la coupe on trouve le canal excréteur de la glande, à paroi trés épaisse, à lumière plu- tót restreinte, revétu d'épithélium. Autour du canal excréteur on re- marque un tissu connectif reláché, adipeux, épaissi ca et là de facon à eonstituer quelque zone de tissu fibreux. Aucune trace de lobules acineux, ni d'acinis isolés, ni de cellules présentant les caracteres morphologiques et chromatiques des cellules du pancréas. Dans le connectif qui entoure le canal central, et surtout dans le tissu adipeux environnant, on trouve quantité d'amas cellulaires, facilement reconnaissables à leur structure pour ilots typiques de Langerhans. Ces formations souvent sont.réunies en groupes, surtout dans le tissu adipeux: elles constituent ainsi des aires donnant l’im- pression de correspondre aux primitifs lobes glandulaires, dans les- quels le tissu exocrin a disparu complétement et oü les ilots préexi- stents ont survécu et se sont rapprochés. Dans ces petits lobules les vaisseaux et les nerfs sont conservés. Quelquefois on remarque des ganglions nerveux et de petits amas de tissu lymphoide: par les méthodes de fixation et coloration qui don- nent unimage élective du sang, on fait ressortir le riche réseau ca- pilaire entre les colonnes cellulaires; c'est-à-dire la structure typique d'une glande à sécrétion interne qui caractérise les îlots de Langerhans. EE ER PERTE LEERE URS WER EI EEE ER TREE EIS LET T ET La fonction du pancréas et ses rapports avec la pathogénèse ete. 531 Voila done une nouvelle glande, que celle-ci dans laquelle le pancréas s'est transformé; de facon qu'il est difficile d'en reconnaitre l'origine primitive, sinon à la présence des canaux excréteurs, per- méables chez le chien 7. Chez le chien 6, au contraire, on ne reconnaissait aucun résidu de canaux: probablement ils s'étaient cicatrisés, se changeant en un petit cordon fibreux, plein, ainsi que jai déjà observé en d'expériences précédentes, méme aprés la simple ligature et la section des deux canaux excréteurs pancreatiques. Le résultat final de mes expériences actuelles sur le chien, corre- spond encore à celui que ZLagwesse [77] obtint sur le lapin, en tant que résultat tardif de l’ocelusion du canal de Wirsung. Chez le lapin comme chez le chien un connectif läche, riche en graisse, se substitue au tissu fibreux cirrhotique: le tissu acineux, et ensuite les canaux excréteurs aussi, disparaissent complétement; le pancréas primitif vient par con- séquent à étre transformé dans un organe, dont les seuls éléments épithéliaux sont représentés par les îlots de Langerhans: le pancréas devient une glande purement endocrine. Dans mes expériences, l'extirpation de ce résidu de pancréas ainsi transformé a été suivie immédiatement par l'apparition du dia- béte expérimental, avec elycosurie grave, qui a rapidement atteint un taux tres élevé (7, 11, 12 pour cent) et qui dura sans interruption jusquà la mort des animaux, survenue deux semaines environ aprés lacte opératif. Cette période de temps est tout à fait suffisante pour déterminer les caractéres du procés pathologique dont étaient atteints les chiens d'expérience. Ces nouvelles expériences sont en état de confirmer et documenter encore dine facon plus exacte ce que j'avais déjà observé à plusieurs reprises dans le cours de plusieurs années. Elles constituent la démonstration du rapport étroit existant entre les ilots de Langerhans et le diabete expérimental de v. Mering et Minkowski. Les ilots de Langerhans sont les éléments épithéliaux chargés de la fonction (n'importe qu'elle soit) que cette glande exerce dans l'échange des hydrates de carbone: l’extirpation totale du pan- 34 * 532 Arrigo Visentini, créas chez le chien est suivie du diabete expérimental, en tant qu’on exporte les ilots de Langerhans. È Cette conclusion parait d’autant plus logique que nous avons déjà vu aussi des cas, dans lesquels le diabète (a type Sandmeyer) s'était présenté chez les chiens malgré la conservation d’une grande quantité de tissu acineux, à structure normale, dans le processus uncinatus du pancréas, où les îlots de Langerhans sont trés petits et très rares. Conclusions. 1. Le pancréas, au moyen du suc qui représente le produit de son travail de sécrétion externe, accomplit dans l'intestin une fonction qui est particulièrement nécessaire à la digestion et à l'absorption des graisses. 2. L'absence de la sécrétion pancréatique dans l'intestin déter- mine une très modeste utilisation du gras ingéré. Après la ligature et la résection de deux conduits excréteurs du pan- créas, ainsi qu'après l’extirpation de la partie de la glande qui est adhérente au duodénum, de sorte que dans la cavité ab- dominale, rien qu'une portion du pancréas demeure isolée près de la rate, l'on constate, chez le chien, une perte de matières grasses à travers les fèces, qui arrive à une quantité variable entre 60, 80 et 90?/, du gras de la nourriture. (Partie I. Chap. IL.) Cette oscillation peut trés bien dépendre de causes d'erreur qui sont toujours nombreuses dans les recherches sur l'échange alimentaire chez les animaux à expérience; elle peut aussi avoir du rapport avec la qualité de la graisse qui sert pour les recherches. : 3. Les animaux dont le pancréas ne fait plus écouler la sécrétion dans lintestin, maigrissent d'une maniére durable et progres- sive sans quil y ait chez eux le diabéte, et subissent une perte remarquable dans le poids du corps, jusqu'à la moitié environ du poids initial (Partie I. Chap. IL) 4. Il y a des cas où ces constatations ne se vérifient pas aprés la simple ligature et la résection des conduits excréteurs pan- E a DR NR a rie fin ET Re La fonction du pancréas et ses rapports avec le pathogénése etc. 533 créatiques: la perte des graisses par les féces et la diminution du poids du corps accompagnée de l'amaigrissement si caracté- ristique sont peu remarquables, ou elles manquent tout à fait. Ces résultats négatifs dépendent, en quelque cas, de la présence d'un canal exeréteur surnuméraire, ce qui est cepen- dant, d'aprés mes observations, une variété anatomique trés rare: dans quelque autre cas cela dépend des erreurs de la technique opératoire, à cause de la variété des dispositions et de la distribution du systéme excréteur du pancréas chez le chien, que j'ai décrit; mais dans le plus grand nombre des cas ils dépendent de la possibilité facile, que les conduits excré- teurs pancréatiques, ayant été liés et réséqués, se rétablissent anatomiquement et dans leurs fonctions. (Partie I. Chap. IID). De cette maniere, dans ces cas, pour ainsi dire, négatifs, le suc pancréatique peut encore arriver dans le duodénum et y accomplir sa fonction. 5. Le pancréas (cela est connu depuis longtemps) possède à côté de sa fonction externe, une autre fonction, trés probablement de sécrétion interne, qui régle l'échange des sucres dans l’organisme. 6. Le diabete duodenal decouvert par Pflüger dans les grenouilles ne se repete pas chez le chien; dans cet animal ordinairement à l’extirpation du duodenum il ne s’ensuit pas méme de elycosurie. *. Dans le chien et dans le pigeon, au point de vue morpho- logique, le pancréas s'atrophie lorsque l'écoulement de sa sécrétion externe est empéchée d'une maniere durable: le parenchyme acineux s'altére et finit par disparaitre, tandis que les ilots de Langerhans conservent leur structure normale. (Partie II. Chap. IV.) Il y a sans doute, à ce propos aussi, des cas où l'atrophie du pancréas n'a pas lieu; mais ce fait est en rapport avec la possibilité que la sécrétion trouve une voie pour se verser à l'extérieur. 8. Tandis que l'extirpation totale du paneréas provoque, ordinaire- 534 10. 11. Arrigo Visentini, La fonction du pancréas et ses rapports etc. ment, une sorte de diabete qui correspond, par sa symptomato- logie, au diabéte pancréatique humain, dans mes chiens. au contraire, chez lesquels le pancréas s'était atrophié aprés l’oc- clusion des conduits excréteurs, le diabète n'a pas fait son apparition; pas méme dans les cas oü le tissu acineux avait complétement disparu et il ne restait comme éléments épi- theliaux, que les ilots de Langerhans, au milieu du tissu con- nectif. (Partie IL Chap. IV.) . La fonction interne du pancréas est donc, non seulement in- dépendante de la présence de la sécrétion externe dans l'intestin, mais aussi, quant aux éléments morphologiques qui y partici- pent, du tissu acineux exocrin. (Partie IT. Chap. IV.) Dans les animaux à expérience, la suppression de tout le systéme acineux du pancréas ne provoque pas de glycosurie, mais lextirpation du pancréas atrophique, constitué rien que dilots de Langerhans, suffit pour provoquer l'apparition du diabéte. (Partie II. Chap. V.) L'ensemble des constatations résultant de toutes les recherches que je viens d'exposer, démontre que c'est aux ilots de Zanger- hans et, dans le pancréas, à ces ilots tout seuls, qu'est réservée la fonction de régler l'échange des hydrates de carbone dans l'organisme animal, ce qui résulte des observations anatomiques et des expériences. \ u Sn ns es nu om à à il PO 26. 99. Bibliographie. Abelmann, Inaug.-Diss. Dorpat 1890. Arnozan et Vaillard, Arch. d. Phys. norm. et pathol. T. III, 1884. s. 9, p. 287. Bernard Cl., Mémoire sur le pancréas. Paris chez J. B. Bailliére. 1856. —, Leg. de physiol. expérim. Sem. 1854— 1855. Paris chez J. B. Bailliére. 1855 et 1856. Bidder u. Schmidt, Die Verdauungssäfte und der Stoffwechsel. 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Recherches Histologiques sur les Ilots de ch Chapitre IV. Le pancréas aprés la en et la section de ses canaux excréteurs . : ER : Chapitre V. Les element! I qui O s fonenon interne du pancréas Conclusions Bibliographie pag. 437 440 447 450 453 455 456 459 465 468 474 476 506 532 535 Explication des Planches. 1. Féces du chien 4 aprés occlusion des conduits pancréatiques. Diéte comme le chien de contróle. Col. Sudan III. 2. Fèces d'un chien de contrôle après diète grasse. Color avec Sudan III. 3. Féces du chien 4 aprés lextirpation partielle du pancréas. 4. Ilot de Langerhans de marmotte en rapport intime de continuité avec un ganglion nerveux. 5. Chien — Pancreas 104 jours aprés ligature et section des canaux excré- teurs — Mallory. Oc. comp. 4, Ob. 5 Kor. 6. Chien — Pancreas 160 jours aprés la ligature et la section des canaux excréteurs. 7. Chien. 45 jours aprés la ligature et la section des conduits excréteurs pancréatiques (nécrose du tissu adipeux). a= pars lienalis du pancréas; a/— processus uncinatus du pancréas; b— Duodénum; c— système excré- teur de la glande; d=cavité qui s'était formée à la place de la ligature; f—voie artificielle que le suc pancréatique avait formée en communi- cation avec le duodénum et la cavité du péritoine; e=papille du con- duit excréteur principal. 8. Pigeon, — Portion ventrale du pancréas 12 jours aprés la resection des canaux excréteurs — v. Gieson. — Oc. comp. 4 — Ob. 7 Kor. 9. Pigeon. — Portion ventrale du pancréas 176 jours aprés résection des canaux excréteurs. Hémal. — Eosine — Oc. 8 — Ob. 5. 5. Kor. . 10. Chien. 3 — dern. série „Processus uncinatus^ du pancréas — isolé — 26 jours aprés extirpation de la „pars lienalis“ et du „corpus pancreatis*. . 11. Chien. 8 — dern. série Pancréas — „pars lienalis* isolée — 48 jours aprés extirpation du „corpus pancreatis“ et du „proccessus uncinatus*— Cirrhose interacineuse . 12. Chien. 8 — dern. série. — 48 jours aprés extirpation partielle du pan- créas. — „Pars lienalis“ isolée. Concentration des ilots de Langerhans. . 13. Chien. 7. — derniére serie. — „Pars lienalis^ isolée — 221 jours aprés l'opération — Ilot de Langerhans survécu — disparition du tissu exo- crin. . 14—19. Radiographies de pancréas de chiens, dont larbre excréteur a été injécté avec bromipin on jodipin Merk. . 20. Pancréas et anse du duodenum de Columba livia (Linn.) normal a = seg- ment pancréatique ventral avec; b = ses canaux excréteurs; c — lobule juxtasplenique du segment pancréatique dorsal; d, e — anse du duodénum. . 21. Pancréas dorsal de Columba livia, qui arrive avec une branche auprès de la rate, (lobule juxtasplenicus). 542 Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. 22. 23. 24. 25. 26. 27. Arrigo Visentini, La fonction du pancréas et ses rapports etc. Pancréas ventral parfaitement isolé du lobul ventral formé par le pan- créas dorsal. I Pancréas ventral isolé. Absence du lobule ventral du pancréas dorsal. Pancréas ventral divisé en deux segments indépendents, chacun ayant son canal excréteur. Pancréas ventral, qui se continne avec le lobule ventral du pancréas dor- sal et se prolonge jusqu’au lobule juxtasplenicus. Pancréas ventral de Columba livia 300 jours aprés résection de ses ca- naux excréteurs. Atrophie Kystique du pancréas. Pancréas ventral de Columba livia 66 jours aprés résection des canaux excréteurs. A. Pancréas — atrophie simple. 28—35. Microphotographies de coupes transversales de l’anse duodénale de Columba livia. 28 et 29. Connexion entre pancréas dorsal et ventral de Columba livia. 30. 41. 42. Pancréas dorsal normal. Pancréas ventral 18 jours aprés résection de ses canaux excréteurs. Méme opération. — Aprés 25 jours Méme opération. — Aprés 53 jours Méme opération. — Aprés 138 jours. Méme opération. — Aprés 176 jours. Méme opération. — Aprés 238 jours — Atrophie Kystique du pancréas ventral. Chien. 6 dern. série — 190 jours aprés la Ie opération v. p. Chien. 6 dern. série — 12 jours aprés la Ile opération (sans suc pancréa- tique dans le duodénum). Chien. 3 dern. série — 12 jours aprés extirpation partielle du pancréas (absence du suc pancréatique dans le duodénum). Chien. 7 dern. série. Pancréas ,pars lienalis isolée — 221 jours aprés lopération. Coupe transversale compléte-Disparition du tissu acineux — Pancréas transformé en glande endocrine. Microphotographie. La méme coupe — Lobule pancréatique constitué de plusieurs ilots de Langerhans survécus et réunis. Microphotographie. La méme coupe. Concentration de nombreux ilots de Langerhans Mi- crophotographie. La méme coupe — Grossissement plus fort. Microphotographie. (From the Departement of Pathology and Bacteriology of the University of Chicago.) The Physiological Destruction of Erythrocytes in Birds. By Preston Kyes. (With Plate XX.) The power of vascular endothelium to ingest red blood-corspuscles under pathological conditions has received extensive recognition. That such endothelium performs a definite physiological function in the destruction of red blood-corpuscles under normal conditions however has not been established. Of the earlier publications those of Löwit [7] and v. Kupffer [2, 5| contain the most definite statements in support of such a physiological destruction of erytrocytes. Much of the force of these contentions is lost however because the observations sup- porting them were confined to the less reliable histological methods of fresh tissue study, and a fair statement of the present statuts of the question is that of Howell [4] who says: “Certain large cells have been described in the spleen which at times contain red blood- corpuscles or fragments of them in their cytoplasm. It has been supposed that these and other phagocytic cells, such as the Kupffer cells of the liver capillaries, may actually ingest the red corpuscles and thus be responsible for their constant destruction. This view cannot be considered as demonstrated.” In a study of the phagocytic destruction of foreign bodies in- jected into the blood stream of birds, my attention has been drawn to a phagocytosis of red blood-corpuscles which is constantly taking place in these animals and which is independent of experimental conditions. It is the purpose of this paper to cummnicate morpho- 544 Preston Kyes, logical evidence as to this function on the part of certain endo- thelial cells. When bacteria or other minute foreign bodies are injected into the circulating blood stream of pigeons, they are rapidly withdrawn from the circulation into the tissues of the liver and spleen. Examination of these tissues shows also, that the foreign bodies are there contained within cells of a distinct type, which type is the same for both the liver and the spleen. This type of cell moreover, contains in addition to the foreign substances injected, much golden yellow pigment, and when tested for iron by Perl’s method this included pigment gives a positive Prussian-blue reaction of such intensity that the containing cell is clearly differentiated from sur- rounding tissue components. When combined therefore, with suitable counterstains, the iron reaction affords a favorable histological method for the study of such cells. The method moreover, is applicable to the study of the same cells in normal tissues, for its use shows that this pigment content is not incidental to experimental or pathological changes but is constantly present under normal conditions. In detail - the procedure which has been employed in the study of the tissues of eigtheen normal pigeons here discussed, is as follows: Fix thin slices of tissue for 18—24 hours in Müller's fluid plus 5 per cent mercuric sublimate. Imbed in paraffin and section to 4 microns. Fix sections to slide and stain 20—40 minutes with acid carmine. Wash, and transfer to equal parts of a 2 per cent aqueous solution of potassium ferrocyanide and of a 2 per cent aqueous solution of hydrochlorie acid. Remove after from 3 to 10 minutes, wash in distilled water and pass quickly through a 0,5 percent aqueous erythrosin solution. Dehydrate in alcohol, clear in xylol and mount in Canada balsam. Specimens of normal liver and spleen prepared according to the above method, display in contrast to other tissues of the pigeon, an extensive content of cells possessing the distinct blue tone of the Prussian-blue iron reaction. These cells are distributed rather evenly throughout both organs but more numerously in the liver. Under low powers of the microscope their general morphology indicates that the iron-contaning cells are of the same type in the two organs, and as wil be seen later, this is supported by a correspondence in their finer structure and physiology. In as much as the relation of these The Physiological Destruction of Erythrocytes in Birds. 545 cells to other structures is much more evident in the liver however, their first description will be limited to that organ. In liver specimens observed under medium maenification the cells referred to above, appear as blue patches sharply differentiated from the red-stained parenchyma. These cells are larger in their greatest diameter than the liver cells proper, vary much in size and form, and are often seen to contain two or three carmine- or eosin- stained bodies. In their distribution they display a constant relation to the venous capillaries, often appearing to occupy the lumen of these vessels (Fig. 1). Under the higher powers of the microscope however, it is seen that each cell is an integral part of the endo- thelial intima lining the capillaries; in other words is a fixed tissue cell engaged by one of its surfaces upon the reticulum of the vessel- wall and with a free surface bulging a greater or less degree into the vessel lumen. The attached surface of the cell follows strictly the line of the vessel-wall, be it straight or curved, often continuing around an angle of bifurcation. No processes are seen extending between the liver cells. In fact I have not seen evidence that these cells possess processes extending in any direction. What appear often as processes are sections of the sheet-like margins of the cells as they follow the concavity of the vessel-wall and fold about an angle of bifurcation as referred to above: Sectioned at favorable angles these thinner areas may appear as processes extending from thicker portion of the cell. The interpretation however, is not difficult with the Sharpness of color contrast obtained by the method employed. The cells under discussion are clearly those described in the liver of mam- mals by v. Kupffer first as perivascular connective-tissue cells and finally as intimal cells. To these cells and perhaps to others, the terms *Sternzellen", “stellate cells”, “Kupffer cells”, have been applied, but to include the same cell as seen in the spleen, the liver and where else it may occur, I shall use the term hemophage. The nucleus displayed by the hemophage stains a deep garnet with the carmine used in the given technique and contains two or three very distinct and intensely stained nucleoli. In the hemophages which are more nearly flat, the nucleus appears like those of the typical endothelial cells, whereas in the Internationale Monatsschrift für Anat. u. Phys. XXXI. 35 546 Preston Kyes, protruding hemophages of greater bulk, the nucleus is more vesicular and is irregularly pyramidal in form. Two nuclei may be found within a single cell, but rarely. The most striking characteristic of the hemöphage however, is the morphology of its cell-body. This is determined by the fact that within vacuoles of the cytoplasm, are contained red blood-corpuscles taken from the circulating blood stream. It is not meant that here and there may occasionally be found a hemophage which has taken up an erythro- cyte, but rather that the occurence is general and that approximately one third of the total intimal cells are hemophages and that each hemophage displays evidence of containing or having recently contained, one or more erythrocytes. The fact that the red blood-corpuscles of birds are nucleated, have a definted ovoid outline, and are of relatively large size, allows clear observation as to their actual inclusion and ultimate intracellular fate. The cell-body of the hemophage has no fixed morphology but changes from time to time according to the phase of its phagocytic activity. Within a single field of the micro- scope may be seen all intermediate stages between the hemophage … whose cell-body is greatly distended by an intact erythrocyte recently ingested and the hemophage which has so far completed the destruction of the erythrocyte as to again appear as a flat endothelial cell except for the presence of the traces of the end-products of the digestion (Figs. 2—4). In the first instance the cell-body of the hemophage bulges markedly into the capillary lumen and its nucleus is crowded | to one side. The included erythrocyte in this earliest stage appears in all ways the same as those of the blood-stream and displays a normal staining reaction; namely, by the technique outlined, its nucleus stains a deep redbrown, while its cytoplasm stains an even yellow-bronze tone. In the very earliest stages the cytoplasm of the hemophage gives no iron reaction, but in the next-following stage in which also the erythrocyte appears normal, the cytoplasm of the hemophage gives a diffuse Prussian-blue reaction (Figs. 3 and 4, a). In hemophages which represent the subsequent stages, the included erythrocytes are seen in various stages of disintegration and digestion while the cytoplasm of the including cell gives a constant iron reaction (Figs. 2—4, a). The The Physiological Destruction of Erythrocytes in Birds. 547 first marked change in the erythrocyte is an hemolysis, the hemo- globin escaping into vacuoles of the cytoplasm of the phagocytic cell and leaving the nucleus-containing stroma distinctly outlined (Fig. 2, a and b). The stroma may retain the original ovoid form or may become spherical, the nucleus in each instance remaining ovoid. Gradually, both the stroma and nucleus lose their staining reaction (Fig. 2, a and b) until finally, the vacuole contracts about a small indistinct remnant of the nucleus which in its turn ultimately dis- appears. With this change, the bulk of the hemophage decreases (Figs. 3 and 4, c). Meanwhile, the hemoglobin which has escaped into the cyto- plasm of the hemophage, is seen to undergo a series of changes. At first the greater part of the pigment does not give the iron reaction but retains its yellow-bronze tone with erythrosin and occupies vacuoles of various sizes (Fig. 4, d). In hemophages representing a tater stage however, the contents of the vacuoles give the iron reaction also and with great intensity, contrasting with the lighter blue of the sur- rounding cytoplasm. Such cells show no content of unmodified hemo- globin. With the disappearance of the native hemoglobin therefore, there is a parallel increase in the iron-reacting pigment. The con- tent of the vacuoles which gives the iron reaction appears in untre- ated specimens, as a golden-yellow pigment and is presumably hemosiderin. The hemophages which represent the last stages in the phagocytosis and digestion, appear less and less bulky, with a fainter iron reaction, and: a less vesicular nucleus (Figs. 3 and 4, c) The last observable stage is represented by a cell which contains no yellow pigment but which in all ways appears as a typical endo thelial cell of the vascular intima except however, that its cytoplasm gives a faint and diffuse iron reaction (Fig. 4. e). As stated above examples of the stages just outlined are readily seen in a single microscopic field and the interpretation of the sequence i of events which they represent, leads to the conclusion that the cells (of the vascular endothelium of the venous capillaries of the liver of | birds in performing a normal physiological function, ingest intact red | blood-corpuscles, hemolyse the same, destroy the stroma and nucleus, 30 * 548 Preston Kyes, split the hemoglobin with a freeing of the iron, and finally return to their original form. In the spleen, the hemophages are seen in distinctly fewer numbers than in the liver. For the most part they are confined to the pulp cords in contrast to the Malpighian follicles and have no such evident relation to a vessel-wall or-lumen as in the liver. The hemophage however, is morphologically in all of its details of the same type as that of the liver, and the phases of ingestion and digestion of erythrocytes form the same cycle giving the iron reac- tion at corresponding points. The physiological economy of this destruction of red blood- corpuscles by the hemophages, is conjecture. The iron which is freed and which is eventually lost to the hemophage, is not to be found in the bile: neither is it to be found elsewhere in the tissues of the liver or spleen. This suggests the likelihood of its escape to the blood-stream, with the possibility of its transport to hemopoietic tissues. The close chemical relation of the bile pigments to hemoglobin - is highly significant in this relation. When it is remembered that bilirubin is approximately if not identically, the iron-free hematoidin, a cell which hemolyses erythrocytes and frees the iron of the hemo- globin is to be seriously considered as playing a role in bile-pigment formation: The location of such cells in the parenchymatous organ from which such pigments are excreted, adds emphasis to the possi- | bility of the participation of these cells in bile-pigment formation. I have not as yet been able to demonstrate however, the presence of definite bile-pigments within the hemophages of birds and make no contention in this regard. With the recognition of a constant normal phagocytosis of erythro- cytes by the intimal cells of the venous capillaries of the liver and corresponding cells in the spleen, the question arises as to how far these cells differ from vascular endothelium in general; in other words, the extent of their specialization. In reference to this point | the evidence shows that the phagocytosis is normally accomplished | by endothelium in certain locations only. Thus in the liver, the | The Physiological Destruction of Erythrocytes in Birds. 549 hemophages are confined to the intima of the venous capillaries, while the intima of the larger vessels displays no such phagocytic action (Fig. 1, a and b). The contrast in this regard is distinct and under normal conditions therefore it appears that the hemophages are actively phagocytic cells of a specialized intimal endothelium, differing in degree at least in this regard from vascular endothelium in general. This is not denying of course a potential phagocytic power possessed by endothelium in general which may be provoked under abnormal conditions !). I have observed no evidence that physiologically the hemophages are at any time other than fixed-tissue cells. I have not seen them free in the lumen of the larger vessels although present in such great numbers in contributing capillaries. This fact militates against the suggestion of Metchnikoff that these cells are leucocytes which have been transported to the liver. This suggestion is also met by the fact that the hemophages are definitely attached to the vessel-wall and localized in a given type of vessel. From the point of view of general physiology it is of course important to determine whether or not the action of the hemophages is peculiar to birds or is a widely occurring phenomenon. The latter is the case. In applying the same technique in a study of the livers of the frog (Rana pipiens), toad (Bufo lentiginosus), turtle (Chrysemys marginatus), crocodile (Alligator mississipiensis), and opossum (Didel- phys virginiana), I have found a similar cycle of intracellular blood 1) The descriptions in this paper are limited to strictly normal conditions. The behavior of the hemophages under modified conditions, I shall discuss in a later paper. It may be staded in this connection however, that by the injection of foreign bodies or colloilal solutions, the phagocytic activity of the hemophages may be enormously increased. This applies both as to the action of a given cell and as to the number of cells participating. This phagocytic activity leads not only to the ingestion of the injected material, but to an increased ingestion of red blood-corpuscles from the circulating blood. Foreign erythrocytes injected into the blood-stream are rapidly taken up and digested by the hemophages. The same is true of certain bacteria. In both instances the large amount of anti-body contai- ned in the liver after such procedure, indicates that the hemophages are definitely concerned in anti-body production. I have evidence also that colloids in general are ingested by the hemophages and in my opinion much of the so-called vital stai- ning of these cells is essentially a phagocytosis of colloidal pigments. (Cf. Evans.*) 550 Preston Kyes, The Physiological Destruction of Erythrocytes in Birds. destruction in the corresponding cells of the reptiles, amphibia and mammals. It would appear therefore that the application of a trustworthy differential histological method, shows that the liver and spleen, of many species at least, do contain specialized endothelial cells which have as a normal physiological function the destruction of red blood- corpuscles with a liberation of the contained iron. 2. e Literaturverzeichnis. Lówit, M. Beitráge zur Lehre von Ikterus. Beitráge für pathol. Anat. Bd. IV, S. 225. v. Kupffer, C., Über Sternzellen der Leber. Ver. d. Anat. Ges. 12. Vers. in Kiel. S. 80— 86, 1898. —, Uber die sogenannten Sternzellen der Säugetierleben. Arch. f. mikr. Anat. 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Shows the relation of the hemophages to the venous capillaries .Hemophage a) displays the characteristic nucleus and two included erythrocytes. One of the erythrocytes is slightly distorted but has normal staining reactions. The other erythrocyte is semi-digested and is represented only by its he- moglobin-free stroma and faintly staining, displaced nucleus A small amount of hemoglobin is seen occupying a vacuole in this hemophage. Hemophage b) contains also the nucleated stroma of a digested erythrocyte and, in vacuoles hemoglobin. In hemophage a) is a recently ingested erythrocyte which appears normal except for a slight loss of hemoglobin. Hemophage c) shows a relatively slight iron reaction and a reduced cell-body. Hemophage a) shows a recently ingested erothrocyte with normal staining reactions. Also hemoglobin contained in a vacuole. Hemophage c) ap- pears as a cell intermediate between a normal endothelial cell and the larger hemophages. Its iron reaction is relatively weak. Hemophages d) display an intense iron reaction and contain hemoglobin in vacuoles. He- mophage e) represents a very late stage and is a normal endothelial cell except for the slight traces of iron. (From the Departement of Physiology, Tulane University of La.) Heat-Coagulation of Muscles of Northern and Southern Frogs. By Ralph Hopkins and Gustav Mann, As a phase of evolution for the protection of the species against death from heat rigor, it was thought that, in regard to the heat- coagulation of muscles, there might be differences between frogs | living in colder regions and those whose normal habitat was in a climate, the summer temperature of which often approximates the thermal limit for the viability of muscles. During the heat, therefore, of early summer in the semi-tropical climate of New Orleans some observations were made on the large Bull Frog (Rana Catesbiana) indigenous to Louisiana, with reference to the temperature necessary fo. the production of heat-rigor in different types of muscles. In the succeeding autumn and early winter, similar observations were made with the same method on the muscles of a variety of the ordinary laboratory frog, Rana Vernalis, obtained from Indiana. The temperature necessary for the coagulation of voluntary muscles was found to be somewhat lower in the southern than in the northern frogs: a result, the opposite to what might have been ex- pected from a priori reasoning. For some of the involuntary muscles of both species comparatively very high temparatures were required to produce heat rigor. The results of experiments on 61 muscles are given the in tables at the end of this paper. Ralph Hopkins and Custav Mann, Heat-Coagulation of Muscles of Northern ete. 553 Method: The muscles were slowly heated in Ringer’s fluid (10°, sodium chloride: 60 c. e.; 1°/, potassium chloride: 7.5 e.c.; 1°/, caleium chloride: 10 c. c.; 1°/, sodium bicarbonate: 10 c. c.; in 1000 c. c. of destilled water) while so arranged that any shortening would be recorded on a revolving drum, on which was also recorded by a signal magnet each rise of one degree of temperature in centigrades. 'lhe muscles used were the gastrocnemius and sartorius, further those of the tongue, heart, stomach and urinary bladder. Unless otherwise stated the muscles were subjected to the heating as quickly as possible after dissection from the pithed frogs. With the exception of the heart and the stomach the muscles were used entire. In some instances (specified in the tables) a strip of heart muscle was used instead of the entire muscle, a circle of muscle being cut from the heart just below the junction of the auricles and the ventricles, the circle of tissue being again cut to make a strip. Except in stated instances, a strip of muscle from the stomach was used instead of the entire organ. This was obtained by making an incision through the lesser curvature, peeling off the mucous membrane, and then cutting a strip about five millimeters wide and the full length of the stomach. The bladders were dissected out, emptied of urine, and tied at each upper horn with the threads arranged for recording the shortening. "The tongue excised and tied at the two tips and at the base. To record the was shortening of the muscle directly, the lower end of the same was attached to a heavy lead disk in a beaker containing Ringer fluid, while the upper end was attached to a thread playing over a pulley. This thread having passed over the pulley was tied to a rigid straw about 22 cm. long and the straw had attached to it a recording needle made out of glass. To keep the straw steady a weight of 2 grams was tied to the lower end of the straw. The weight of 2 grams exerted therefore a definite pull on the muscle?) When coagulation took place the muscle shortened and the thread attached to its upper end was pulled down and the writing point attached to the straw recorded the contraction by a rise equal to the *) Other experiments with different weights did not seem however to affect the results explained in this paper. 554 Ralph Hopkins and Gustav Mann, actual contraction of the muscle. The kymograph was adjusted for a speed of about two centimeters per minute, and time was marked once every ten seconds. A thermometer was suspended in the salt solution, and, every rise of one degree was recorded by a signal magnet. The vessel with the muscle suspended in salt solution was placed in a larger vessel which was used as a water jacket to secure as uniform a heating as possible. Corks were used to prevent contact between the bottoms of the two vessels. In some experiments one muscle only was used, but more often two or three were heated at the same time in the same vessel for purposes of comparison. Results: Table I shows the temperature at which contraction occurred in a series of twelve sartorial muscles of the Louisiana bull- frog. The column “commenced” indicates the temperature in degrees centigrade at which the writing point departed from the abcissa line, and “ends” indicates the temperature at which the writing point again made a horizontal line. It will be noted that there were in most . instances two contractions: one commencing about 35.7 degrees and ending at 43.7 degrees and the other commencing about 53 degrees and ending at 58.3 degrees. Rarely there was a third contraction at a temperature above 50 degrees. “Time” indicates the number of : seconds which had elapsed from the commencement of the contraction to its completion. As some of the muscles were heated more quickly than others the time factor has varied. It would seem, within certain limits, that the contractions continue until a temperature is reached of about 43 degrees for the first contraction and about 58 degrees C. for the second contraction, irrespective of the length of time taken to attain these temperatures. Table IT gives the results from five tongue muscles of the bull- frog. In two instances the second contraetion was inconsiderable, and in one (frog 16) the muscle broke before a sufficient temperature. was attained to cause the second contraction. Table II]. The heart muscle shows the greatest variation in | the coagulation temperature. In three instances (marked “no end" | Heat-Coagulation of Muscles of Northern and Southern Frogs. 555 in table) the first contraction continued from its commencement until the second contraction commenced, evidenced in the tracing by a continual but gradual rise until the temperature necessary for the second contraction was attained, when the rise became more abrupt. In every instance a gradual but continuous rise was obtained follo- wing the second contraction. The muscles were usually not heated above 80 degrees because of the liability of the muscles to break when the connective tissue was changed into gelatine. Table IV. 'The stomach shows, firstly, a marked relaxation between the temperatures of 40.5 and 51.5 degrees; secondly, a contraction starting at the high temperature of about 54.2 degrees and with no upper limit to this contraction. The continual rise of the writing point is in part due to the fact that in coagulating the stomach muscle curls up like a bow. j Table V. The urinary bladder in frog 16 showed a relaxation commencing at 28.5 degrees which was so gradual that its end could not be determined. In all these frogs the bladders broke at about 64 degrees C. because of gelatine formation. Da Table VI. Shows a comparison between muscles which were fatigued previous to the heating process, and the corresponding un- fatigued muscles of the opposite limb. To produce fatigue, tetanizing currents were used, which were applied either directly to the muscle or through the sciatic nerve. ln some instances the muscles were fatigued in situ, in others the muscles were stimulated after removal from the body and after immersion in the salt solution. In every instance the pair of muscles (one fatigued, the other unfatigued) of the same frog were heated at the same time in the same vessel. Table VIL Sartorius muscles of small frog. To be compared with Table I of large frogs. | Table VIII. Stomachs of small frogs, to be compared with Table IV. In frog 6, half of the stomach was kept for one hour in 1°/, nicotine in normal salt solution and in frog 7 half of the stomach was kept in atropine !/,,, in normal salt solution for 20 minutes, with a view of testing nervous factors. Table IX. Gastrocnemius muscles of small frog to be compared 556 Ralph Hopkins and Gustav Mann, with the unfatigued muscles of Table VI. The gastrocnemius of one limb was curarixed to the extent of completely blocking nerve-im- pulses at the motor- end plates. Results: 1. In frogs heat-rigor occurs in voluntary muscles of the type of the sartorius and gastrocnemius at a lower temperature than in the slowly contracting voluntary tongue muscles, in tongue muscles at a lower temperature than in the involuntary heart muscle, and in heart muscles at a lower temperature than in the unstriped bladder and stomach muscles. 2. A higher temperature is necessary for the coagulation of the sartorius muscle of the northern frog than of the southern frog. This difference is especially noticeable in the temperature necessary to produce the second heat-contraction. 5. Stomach and bladder muscles when gradually heated undergo in the first instance a relaxation. The temperature necessary for the production of heat rigor in these types of muscles is about 18 degrees higher than that necessary to produce the first coagulation in sartorii | muscles, and is sligthly higher than the temperature which will | produce the second contraction in unfatigued sartorii muscles. 4. Nicotine and atropine in unstriped muscles, and curare in : striped muscles apparently do not affect the temperature at which | the muscles coagulate. | 5. Fatigue, by the formation of acids, causes changes in muscles | of the type of the sartorius and gastrocnemius which makes these | muscles coagulate at a lower temperature. It is proposed to reverse the time order of the experiments using northern frogs in the summer and southern frogs in the winter | with a view of determining the effect of hibernation on coagula- | bility. Ds Commenced. Time. Ended. 2 15 16 18 19 Frog Heat-Coagulation of Muscles of Northern and Southern Frogs. 557 Table I. Sartorii Muscles of Bull-Frogs. F 1st Contraction. rog Commenced. Time. Ended. 361/, 361/4 361/, 35 361/, 851, 331/2 37 35,81 100 460 320 580 1210 270 340 360 428/, 43/1 44 fs 45 44 431/, 43 48*/, 43,71 2nd Contraction. Commenced. Time. 52 500 Do 530 54 250 55 5214/5 220 23/4 320 5831/, 180 52°, 480 93,18 Table II. Tongue (Bull-Frog). lst Contraction. 43 429], 43 42^, 449], 48,25 EROS Remarks 58 58 58 On ice 5 hrs. No end at 75. 58 591/, 58 59 58,35 Averages. 2nd Contraction. Commenced. Time. Ended. 521/, 240 58 511/, 690 SCIES Inconsiderable. Inconsiderable. 52 57,15 Averages. Table III. Heart. ( Bull-Frog). Ended. 43 46 No end. 39 47 44 481/, No end. 397, No end. 44!|, 43,93 34 370 381/s 790 37 1010 383/, 730 38 470 31,25 1st Contraction. Commenced. Time. 391], 480 42°], 250 41°), 30 330 41°), 330 9924 260 45 120 381/4 Sala 290 40 41t/, 220 39,65 2nd Contraction. Commenced. 58%, 95!|, Very small. Very small. 44'|, Very small. On ice 5 hrs. 94], 5951/4 56 55 53,5 Remarks. Strip. Strip. Averages. 558 2 16 18 19 Ralph Hopkins and Gustav Mann, Table IV. Stomach ( Bull-Frog). Frog Relaxation. Contraction. Commenced. Time. Ended. Commenced. 1 411/, 800 47 54 3 411/, 900 52 9031/5 4 43 440 521/, 541/, 5 39 900 53 55 14 38 840 53 54 40,55 51,5 54,2 Averages. Table V. Bladder (Bull-Frog). F Relaxation. | Contraction. R k RE Commenced. Time. Ended. Commenced. Time. Ended. > 91 1090 50 52 430 62 Breaks at 67!/; 28! /, 52 Breaks at 58. 27 2910 48 51 Breaks at 57. 27 1710 49 52 Breaks at 68. 28,37 49 51,75 62 Averages. nz Commenced. Time. Ended. Table VI. Gastrocnemius Muscles Unfatigued ( Bull-Frog). lst Contraction. 2nd Contraction Remarks. Commenced. Time. Ended. 6 37 260 451/2 53 250 60 8 401/, 440 431/2 HR 370 63 17 39 250 451/, 52 300 60 38,83 44.83 52.08 61 Averages. — Gastrocnemius Muscles Fatigued ( Bull-Frog. ) 6 31 050 .44 529/, 340 62 8 36 360 991/, 51?/, 330 61 Muscles kept on ice. 17 341/, 500 A71/; 50 380 60 : 33,83 43,66 51,5 61 Averages. Sartorius Muscles Unfatigued ( Bull-Frog). | 7 361/, 1210 44 521/, 220 58 | 9 351/, 270 431, 52ÿ/; 320 591], | 95,87 48,15 52,62 58,75 Averages. Sartorius Muscles Fatigued ( Bull-Frog). ff 30 1360 Sol Oe 320 60 9 99?/, 330 43 53 320 981/2 31,87 41,25 53 59,25 Averages. Heat-Coagulation of Muscles of Northern and Southern Frogs. 559 Table VII. Sartorii, Frog (Rana Vernalis), Normal. ma Ist Contraction. 2nd Contraction. Be: "98 Commenced. Time. Ended. Commenced. Time. Ended. / 1 458/, 701/, 180 75 1 38!/, 250 451} 70 Breaks at 74. 2 39 190 461/, 71 No end. 2 381/, 230 462], 71 End difficult to see. 3 381/, 310 441), 69 270 74 3 38 320 441), 68 320 74 Breaks at 76. 4 3907 210 46 11], 210 16 4 381/2 220 461/, Broke at 70. o 97 250 43 69 250 16? 5 37 280 48'/, 69 290 17? 38,16 45,22 69,80 75,33 Averages. — Table VIII. Stomach (Small Frog ). Fr Relaxation. Contraction. Remark rog. Commenced. Commenced. E 6 Indefinite. 911f, Normal. 6 Indefinite. 97 Nicotine 1°/, 1 hour. 7 Indefinite. 56 Normal. 7 Indefinite. 56 Atropine 1/500 20 min. 56,62 Averages Table IX. Gastrocnemius (Small-Frog). Frog Ist Contraction 2nd Contraction. B k © Commenced. Time. Ended. Commenced. Time. ee 8 39 250 444/, 71 very slight. Normal, 8 391/2 270 44/, 71 very slight. Curare 39,25 44,25 71 Avergares. Referat. Von Fr. Kopsch. Ferdinand Meyer, Terminologie und Morphologie der Säugetierleber nebst Bemerkungen über die Homologie ihrer Lappen. Eine ver- gleichend-anatomische, entwicklungsgeschichtliche Untersuchung. 89. 144 8. 2 Tafeln, 4 Tabellen. Hannover, M. & H. Schaper. brosch. M.3.50 Meyer stellt fest, daß bei der Terminologie der Säugetierleber sehr verschieden- artige Namen verwendet werden, die teils aus der menschlichen Anatomie stammen, teils besonders aufgestellt sind. Er hält für notwendig, daß bei der morpholo- gischen Beschreibung dieselben Namen bei der Menschen- und bei der Säugetier- leber gebraucht werden. Die von der Baseler Nomenklatur im Jahre 1895 angewandten Namen sind für die Tierleber nicht durchweg geeignet. Um nun eine Grundlage für die ge- meinsame Bezeichnung zu gewinnen, untersucht der Autor 1. die Entwicklung der Leber, 2. die Formveränderung fetaler Lebern während des Wachstums bei Rind, Schaf, Schwein, Ziege, 3. die Morphologie der Säugetierleber, 4. die Phylogenie der äußeren Leberform und gibt dann eine Einteilung der Säugetierleber vom phylo- genetischen, morphogenetischen und ontogenetischen Standpunkt. Er schlägt folgende Namen für die einzelnen Abschnitte der Säugetierleber vor: Die Hauptlappen bei einförmigen (zweilappigen) Lebern werden als Lobus dexter und Lobus sinister bezeichnet. Bei viellappigen Lebern sind zu unterscheiden Lobus sinister lat. et medialis sowie Lobus dexter lat. et medialis. Besondere durch weitere Abspaltungen entstehende Lappen sollen überzáhlige (accessorische) Lappen genannt werden. Der Lobus quadratus soll Pars centralis infraportalis, der Lobus caudatus soll Pars centralis supraportalis, der Processus papillaris soll Processus omentalis, der Processus caudatus soll Lobus renalis heiben. Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto) in Leipzig. ee) Thieme in Leipzig. - Monographien über die | | Leugung beim Menschen voi Dr. med. Hermann Rohleder. . Spezialarzt für Sexualleiden in Leipzig. - Band I: Die Zeugung beim Menschen. E Mit Anhang: Die künstliche Zeugung (Befruchtung) beim Menschen. Brosch. M. 7.—, geb. M. 8 —. Band Il: Die Zeugung unter Blutsverwandten. Brosch. M. 4.20, da M. 5.—. Band Il: Die Funktionsstórungen der Zeugung beim Manne. (Samenflüsse, Impotenz, Sterilität.) Brosch. M. 5.80, geb. M. 6.80. BandlV: Die libidinósen Funktionsstörungen der Zeugung beim Weibe. Brosch. M. 2.80, geb. M. 3.60. Münchener mediz. Wochenschrift: Das ganze Buch ist eine hochinteressante und spannende wissenschaftliche Lektüre. Klinisch-therapeutische Wochenschrift: Rohleder hat mit dem vorliegenden Werke geradezu erschöpfend ein Gebiet behandelt, das für die Aerzte ebenso wichtig ist, wie es ihnen unbekannt zu sein pflegt. Alle 4 Bände zusammen gebunden 21Mark. Verlag von Georg Thieme in Leipzig. TE ae Soeben erschienen: Lehrbuch - der Geschlechtskrankheiten für Aerzte und ‚Studierende. Von Prof. Dr. Max Joseph, Berlin. È Siebente, erweiterte und vermehrte Auflage. Mit 66 Abbildungen im Text, einer schwarzen und drei farbigen Tafeln nebst einem Anhang von 103 Rezepten. M. 7.20, gebunden M. 8.20. i Die rasche Folge der Neuauflagen liefert den besten Beweis der ausgezeichneten Brauchbarkeit dieses Lehrbuches. Die neue Bearbeitung trágt den jüngsten Fort- schritten in der Syphilidologie, der Erforschung des Salvarsan und den neuesten Erfahrungen in der Salvarsan-Behandlung überall Rechnung. Leitfaden paiolo D Anatomie für Zahnheilkunde-Studierende und Zahnärzte. Von Prof. Dr. med. R. Oestreich, Priv.-Doz. an der Universität und Prosektor des Königin Augusta-Hospitals, Berlin. Mit 36 Abbildungen. Preis gebunden M. 5.—. Buchdruckerei Richard Hahn (H. Otto) in Leipzig. SECO ^ —— SS ge ian c TI DANTE Mi PA A nn) 5 * 7 RT 7 7 4 77 fz RATA M ne elie el Bes fra] 27] (ANI, SIOCINICAZIONI dell auz a reu Oa Eo di LOG! DEL I / 171 172 e Ai Vv 17 id - Gi Saluzzo dis. Pula mere in mis EX & Poen AS Fa S (s ^ uU UIGLC Verlag von Georg. T hieme in Leipzig. Sale eee rana 1 CIIGIE CELL. Lit. Tacchinardi e Ferrari-Pavia AL mom 123] A.C BRUNI - Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell'ipofisi negli Amnioti A.C BRUNI Sullo sviluppo del lobo ghiandolare dell'ipofisi negli Amnioli Fia. 9 9 = i eso De © Pi e 9 607 oso $ e Ed Ink. ES 8935 9 © : = ^ epos IE EN fe de 9 05 E ©0322 Y PP BE Soe | | SOSE S oot? M 9° NN EICH Î | E ste EUR ER EEE 500560) ig gu m.S59 c. e 9595€ Og Ce] f = e 3 M naci dii SI TEEN Ber Be eur aso a ses E 97008 Le Q 0000 EEE’ 990885 EX E GEES 082090500 3 528 DID OE 09 Y | DL > og DER ‘ 09506 pfi. ef SZ x & 05 E 3 à ©, T EX DN j | SEO ©. x Sere6s t % = Sez, o 285 ER i E: d ] > t {e} m i= n ntern bis zd . UN Tr cf. wk: bes Tr ch, V?£ : c, ect, Fi Y. neurceph, a Si £ i. x Sac.yık ay ; DÉS an = s - B =, Spin ER, * Fr9, €. er, E. Bujard, Description d'un embry Fig.12. E. Bujard, Description d’un embry i E.V.C. del. m Verlag von Georg Thieme in Leipzig. Lith. Anst.v: Johannes Arndt, Jena. ss ENV.Cowdry, The vital staining of mitochondria in human blood cells. | | Soit ne ehren Np OT pct p Aha... rr Verlag von Georg Thieme in Leipzig. i L.Marti % - + * 232 0 se G VASTARINI -CRESI : Chiasma gustativo ecc. ME az Fee a we td B " * mn £^ ; Li 1, SR x $ oe: Ÿ PER = L.TORRACA. L'influenza dei raggi ultravioletti sulla pigmentazione ecc. C.Amati. dis. Verlag von Georg.T hieme in Leipzig. Lit. Jacchinardi e Ferrari-Favia \ === Le e NN è 029 5 09 U @ EN 99 Yt ER NR "^" 86 / 9o LJ 0°. —— ‘o Kr SOC e DISCO IN S N da I 00008 anto 90 9999? . ANS TEM ACD del Zen N e v 3 SUN > Ness SN rr \®e „9209 00 e III SIN - \ \ uL) [7 9 T LAN Xx =. Len PAPA We RSS NN \ NS \ E oS NON Le 9. V. 002% WARS Nee ^ 09° LEY NS z^ AR 00 IN N Q \ 20% 0° © ae 7 A TS = \ ato & FEUER HO aes , ® al e,° ® $ 0090 vo? ^ 9^0 ‘000090 090200000 ? \° 99. 0000 A VISENTINI - La fonction du pancreas etc Eier 16; A. VISENTINI: La fonction du pancreas ete. Fig. 18. A. VISENTINI: La fonction du pancreas etc. Fig, 31. A. VISENTINI: La fonction du pancreas etc. Fig. 34. Fig. 37. A. VISENTINI: La fonction du pancréas etc. * i À i aw ld + A "i. NS "P à i? A. VISENTINI: La fonction du pancréas etc. Internat. Monatsschrift für Anat.u.Phys. Bd. XXXI. Taf. XX A.B.Streedain del. P. yes: The physiological destruction of erythrocytes in birds. Verlag von Georg Thieme in Leipzig Lit lacchinardi e ferrari-Favra rn IN mm Il IH II IN I || | | | Ill | I Il | Il Il | Lu Il LI Pr A de a d a^ , pur: aano À. CARTA, p I , Li m se: È L + E" x i wo um HH. beso gi n m3 HT D A i Y - 3 EE i. Be: ee E me - .@ —