i Ri dii a ELA ci ; ” d ea ta & Cata +00 4 ae ATI ni, Py pote AA) "- SRINITIO Apres NICO fest PA 4 — COLLEZIONE DI OPERE INEDITE 0 RARE DEI PRIMI TRE SECOLI DELLA LINGUA PUBBLICATA PER CURA DELLA R. COMMISSIONE PE TESTI DI LINGUA NELLE PROVINCIE DELL'EMILIA BOLOGNA Presso Gaetano Romagnoli 1870 Ù La vale + COLLEZIONE DI OPERE INEDITE 0 RARE DEI PRIMI TRE SECOLI DELLA LINGUA PUBBLICATA PER CURA DELLA Ri. COMMISSIONE PE' TESTI DI LINGHA NELLE PROVINCIE DELL'EMILIA LA MASCALCIA LORENZO RUSIO VOLGARIZZAMENTO DEL SECOLO XIV. MESSO PER LA PRIMA VOLTA IN LUCE DA PIETRO DELPRATO AGGIUNTOVI IL TESTO LATINO PER CURA DI LUIGI BARBIERI VOL. II. BOLOGNA PRESSO GAETANO ROMAGNOLI 1867 ri Sa ZIE, Baio À NESTA è n ‘ La i DI NOTIZIE STORICHE DEGLI SCRITTORI ITALIANI "DI VETERINARIA >; In nessun tempo si trovò agevole il compito dello Storico, ma più difficile si riconobbe allora quando lo scrittore si propose illustrare un ramo dì scienza considerato per lungo tempo quasi vile ed inutile. Al presente però, se con abile critica s’ intenderà uscir fuori del mondo delle chimere, anche nella Storia della Veterinaria potrà scoprirsi l'utile ed il buono. Cercammo già nei Preliminari ai Trattati della Mascalcia di additare le vaste lacune che lasciarono in- terrotta la Storia della Zooiatria, e la nostra fatica fu accolta con benevolenza in Italia edin Germania, e ciò nè vale ad alimentare nell’ animo la speranza che non meno gradito possa tornare il tentativo di colmare quelle lacune. La pubblicazione dei libri dell’ Ippocrate Indiano rese necessaria la prima parte; quella dell’ opera di Lorenzo Rusio addimostrerà la convenienza della se- conda. Il testo di Rusio, che viene ora alla luce, è Sem e molto differente da quelli che furono pubblicati nel decimo quinto e decimo sesto secolo. Esso è scritto in uno de’ più antichi vulgari italici, il Siciliano, e sì completa con un testo latino, prima inedito, nè de- turpato nè guasto da copiatori imperiti o da chiosa- tori presuntuosi. Il nuovo Rusio sarà sicuramente ac- colto con favore dagli amatori degli studi Veterinari e da quanti hanno in pregio l’ antica nostra lingua, più bella e più pura quanto più vicina al secolo immor- tale della sua gloria, alla quale contribuì non poco la cultura de’ Siciliani, aiutata dalle Corti più splen- dide che avesse l’Italia ne’ secoli di mezzo. II. Il libro di Rusio esercitò una grande influenza sulla ragione scientifica della Veterinaria in Italia/dal quarto . decimo al diciottesimo secolo _J ed in ciò abbiamo tro- vata una prima cagione della sua pubblicazione; la seconda ci surse nell’ animo per l’amore che portiamo alle scritture antiche della lingua nostra, che si fa più | vivo quando ci soccorron testi sutorevoli di Veteri- naria. È vero pero che nè pur di presente man- cherebbero le ragioni per usare il contegno di Dino, di Pietro Dini, il quale scriveva, che di veruna arte siano tanti biasimatori, quanto di questa, e che per sdegno fu più volte per abbundonare lo scrivere. Ma noi che siamo guidati dall’ amore alla scienza, e mì- riamo ad accrescere l’importanza della Veterinaria, degna di splendere e di nobilitarsi quanto la medicina dell’uomo, a cui è scala nelle investigazioni più su- blimi, non ci siamo fermati a combattere i pregiu- dizî, a ‘vincere la tracotanza di chi più si vanta, pali chè più alla moda o fortunato. SSL, TA Noi abbiamo fede nell’avvenire della Veterinaria che oggi più che mai abbisogna della protezione de’ governi illuminati, i quali han obbligo di ordinare l’insegnamento in maniera da formare dei veri medici pel trattamento delle malattie dei bruti, unificando i dommî della scienza che la (Germania e la Francia fan’ insegnare sotto il nome di medicina comparata. Fino dal 1778 un celebre professore di Gottinga si fece ad ammaestrare i giovani in due successivi se- mestri nelle due Medicine, fedele alla massima espressa nelle seguenti parole: « Artem Veterinariam tractan- » dam suscipio, commilitones optimi, doctrinam ab » ea que sanitati hominum et conservande et resti- » tuende inservit non adeo discrepantem, ac vulgo » plerique putant ». II. Ma dell’arte nobilissima quanta sia l’ importanza apparirà meglio dalla Storia che siam per farne: essa varrà almeno a far conoscere che gli uomini ostina- ronsi a coltivare una disciplina, quasi vile ritenuta e disprezzata universalmente, per la necessità, pel bi- sogno di conservare i più preziosi fra gli animali; quella necessità che spinse ad intervalli non lontani i medici dell’uomo ad investigare i malori dei bruti ; a’ quali medici, zelanti del pubblico bene, deve princi- palmente la Veterinaria l’ essere vissuta sino alla fon- dazione delle scuole destinate al suo insegnamento. La Storia ci dimostra che anche ne’ tempi più antichi furono comuni i precetti delle due medicine, ossivvero che ebbero una medesima origine le regole per la cura FIST, CER degli uomini e dei bruti. (1) La Veterinaria però, quan- tunque compagna alla medicina umana, non potè sempre seguire il corso progressivo di quest’ultima, anzi stette per lunghi anni schiava, in quanto che sì credeva il pessimo errore ch’ essa, più difficile essendo della medicina umana, non avesse come progredire. Per fortuna però, come scrisse Delabere-Bleine, pe- netrarono di nascosto nel campo inesplorato, alcuni Medici e Chirurghi valenti, che fecero. comprendere l’ importanza dell’ arte, e trionfare la verità. sopra l’ errore. IV. Mentre scriviamo compendiosamente la storia della Medicina Veterinaria, dobbiamo dichiarare ancora, che questa storia sarà sopra nuove basi innalzata; aven- dola potuto veramente ricavare con lunghi studi sulle opere che trattano della nostra scienza non già su quanto ne hanno scritto nel passato secolo i bene- meriti Vitet e Leroy fra i Francesi, Delabere-Bleine fra gl Inglesi, Pozzi fra gl’ Italiani; nella materia non poterono a sufficienza penetrare gli allegati scrittori; anzi i più compilarono la Storia della Medicina umana, incominciandola dai tempi in cui sulla terra regna- rono le divinità cultrici delle scienze e delle arti più utili all’ uomo, riverberandovi poche notizie sulla Ve- - (1) Che vi fossero insieme cogli esercenti la medicina anche quelli de- stinati alla cura degli animali domestici, lo prova la seguente legge del codice di Manù: « Tutti i medici e chirurghi che eserciteranno male » l’arte loro, saranno soggetti ad una punizione: la quale sarà maggiore » se si tratterà di un caso relativo agli uomini, sarà minore se di un caso relativo agli animali.-Puccinotti, Storia della Medicina Vol. 1 pag. 48. RCA TI Ra | terinaria, nel portarsi fino alla fondazione delle scuole create per insegnarla. Non importa pel nostro scopo compulsare documenti antichi per dimostrare che presso i Celti, gli Scandinavi e presso tutti i popoli, comunemente chiamati primitivi, infinite furono le cure prodigate agli animali, come si pratica anche di presente dalle popolazioni nomadi dell’ Asia e dell’ Africa (1). Una. storia siffatta non possiam dirla sufficiente per la Zooiatria; per altra parte dobbia- mo in parecchie circostanze diffidarne. Infatti Gio- vanni Pozzi copia generalmente Vitet, il quale nel più de’ casi riduce la Storia a note critiche sopra diverse opere di Veterinaria, che giudica spesso senza averle (1) L’illustre Puccinotti (opera citata) scrive: « l Hegel rimprovera gl’ indiani che da remotissimo tempo avessero spedali per la cura delle bestie, e mancassero poi di quelli destinati alla cura degli uomini ». ecc. « D'altronde il loro principio religioso e filosofieo della metempsi- » così, li conduceva naturalmente a riguardare come un sacro dovere il » proteggere e preservare la vita degli animali. E per la storia della me- — >» dicina è importante, questa origine antichissima della Zooiatria; dacchè » i medici si davano anche a questo genere di studio e di pratica, e la » legge li puniva se curavano male ». « Di simili Ospedali se ne trovano quasi in ogni gran città della costa occidentale dell’ India, e particolarmente in quei luoghi, ove risiedono i Baniani e gliTain. Il più famigerato è quello di Surat, che fu visitato da Alessandro Burnes nel 1823, e da lui speditane la relazione al Gior- nale della società asiatica di Londra. L’ Ospedale di Surat detto Pinjra- Pol, dove si custodiscano e si curano animali infermi, impotenti, scartati, 0 invecchiati, è situato in una parte dei subborghi della città, detta Gopi-Pura, dove abitano i custodi delle vacche, fra 1’ interno e l'esterno pomerio. Lo stabilimento ha una corte di circa 50 piedi quadrati, alla quale è unito un vasto campo per uso del bestiame da pascolo, sempre verde il foraggio con quà e là alcune lettiere di pa- glia, onde gli animali abbiano dove sdrajarsi, e non manchino di nu- trimento. ]l Burnes vi trovò vacche, bufali; cavalli, pecore, capre, galline, ed anche alcuni volatili custoditi nelle loro gabbie ». s vee 5 vu » U 0 yg{ 0 ÙU A conosciute; ciò spiega come ben poco di utile trovasse in Vegezio, e dichiarasse il libro di Giordano Ruffo un ammasso informe di nozioni sulla ferratura e sulla Veterinaria, qualificando anche l’ opera di Ippolito Bonacossa un libro di Equitazione, mentre il nobile giureconsulto Ferrarese, nel decimo sesto secolo pub- blicò un trattato di giureprudenza Veterinaria in cui sono discusse cinquecentocinquanta quistioni ‘relative alla materia (1). Più giudiziose e più vere sono le opere pubblicate intorno al grave argomento dal no- stro Antonio Zanon, dal celebre professore Luigi Me- taxà, delle quali dovremo approfittare come di sicuro specchio, seguitando eziandio i giudizî e le gravi con- siderazioni poste dal dottissimo e perspicace Conte G.B. Ercolani nella sua opera relativa agli Scrittori di Ve- terinaria. V. I giudici più autorevoli pel caso nostro, si accor- dano nel ritenere essere stata una necessità nei tempi più lontani pell’ uomo, divenuto pastore ed agricol- tore, il prendersi pensiero dei proprî animali ed as- sumerne la cura, qualora cadevano ammalati; presso 1 Greci persino nei templi consacrati agli Dei furono dissegnati gli animali e rappresentati i loro malori; di Simone Ateniese, il più antico scrittore di Vete- rinaria di quella colta nazione, dicono gli storici, fra i quali Giovanni Meursio, essersi giovato Senofonte ” (4) Tractatus in materia equorum. Mag. et Excellentiss. D. Hippoliti Bonacossae. Iur. Cons. ac Nobilis Ferrariensis ecc. Venetiis 1574. 8. (Ed. 29), FRI E ps nella compilazione del suo Ippico (1). Nella Grecia an- tica grandissimo fu il numero dei Medici dei cavalli o degli Ippiatri, poichè l’ autorevole Fabricio potè no- minare ben centotrenta scrittori di quella nazione. I posteriori e più noti, quali Ierocle od Eroteo, Absirto, Teomnesto ecc., la Storia li dice vissuti fra il terzo ed il quinto secolo dell’ era nostra; ed i compilatori della storia d’Italia nel periodo di decadimento dell’ Impero Romano ricordarono ugualmente come spettanti al settimo secolo gl’Ippiatri incaricati di curare la salute dei cavalli che usavansi nelle spedizioni militari. Che nei tempi da noi più lontani sì avessero in grande stima gli animali, ed un merito particolare fosse at- (1) Puccinotti nella sua storia della medicina rammenta che: Seno- fonte ha un libro d’ Ippiatria, dal quale si desume, che ‘delle cose di Veterinaria, molto innanzi a lui, trovavansi in Grecia non solamente quelli che cotest’ arte esercitavano, ma quelli eziandio che ne scrivevano trattati. Imperocchè sul principio del suo libro si legge, che un tal Si- mone seritto aveva parimente del Cavallo, ed aveva innalzato nell’ Eleu- sinio in Atene, il famoso cavallo di bronzo, nel cuis piedestallo erano scolpite le opere sue. Senofonte dichiara di riportarsi in tutti i suoi pre- celti a quelli dell’ eccellente maestro, e solamente di riempire qualche lacuna lasciata da lui. Giulio Polluce nel suo Onomastico cita varii squarci dell’ opera di Simone, Suida chiama Ippocomio e Ipposcopio il libro di lui, e il Gandini, traduttore di Senofonte, riferisce cotesto titolo a per- fetto maniscalco. Leggesi nel trattato di Senofonte che: « ove il cavallo rifiuti il cibo, egli si dee credere che nel corpo suo vi sia sovrabbon- danza di umori e abbia bisogno di medicina; ovvero per istanchezza vorrebbe riposare, o che dal mal dell’ orziuolo od altra infermità sia molestato. Perchè è da sapere che non altrimenti nel cavallo che nel- l’uomo si provvede molto meglio a tutte le infermità nel principio, che quando hauno preso piede e fattasi larga strada ». Della esatta de- scrizione che qui parimenti si dà delle forme esteriori del cavallo, egli è certo che la sua anatomia esteriore era bastevolmente conosciuta. Sulla scelta e sulla cura che si debbe avere dei cani da caccia, trattiensi pure Senofonte con molta perizia zooiatrica in altro suo celebrato tratatello De venatione, ss <> © > > CS i °- tribuito a coloro che ne avevano cura, si può scor- gere anche dalla testimonianza del Siracide, distinto fra i più giudiziosi scrittori degli Ebrei, e citato nell’ Ip- pocomio da Camerario (1). (1) Un giudizioso resoconto sui meriti e sull’ importanza degl’ Ippiatri greci minori lo troviamo nella storia della Medicina del Pucinotti: nel secondo volume a pag. 207, dell’ opera celebrata si legge: « Appartiene egualmente all’ opera bizantina la greca collezione ano- nima degli scrittori d° Ippiatria, Veterinariae Medicinae libri duo, la quale se, fra gli autori che contiene, Apsirto è il più remoto e il proto- gonista, andrebbe dal quarto, o secondo altri, dal settimo al decimo se- colo. Se non che stando ai Manoscritti greci delle diverse biblioteche, s'incontrano autori già inavanti compresi nella Collezione de’ greci Geo- ponici, e sì va persino a trovarvi un’Simeone d’ Atene, citato nell’ Ip- piatricon di Senofonte (1): laonde è difficile di strignere la nominata Rapsodia tra limiti cronologici esatti. Sieno però queste informazioni po- steriori, o anelli storici congiuntivi di anteriori collezioni con quelle dei bisantini, i nomi degli scrittori e la loro età remota dicono abbastanza che a questo ramo di medicina mai non mancarono nè a’ greci primi, né agli alessandrini, nè a’ romani, cultori ragguardevoli ». « Le più antiche edizioni della Collezione bizantina sono quella del Ruellio del 1530 di Parigi, versione latina dal greco, e l’ altra del 1537 di Basilea in greco del Grynéo. La maggior parte di quest’ opera, e prin- cipalmente quella che appartiene ad Apsirto, è formata di tante Epistole dirette o ad antichi maestri, cominciando da Ippocrate, o ad altri, al- ‘ cuni de’ quali voglionsi credere contemporanei. I tre primi maestri della Collezione sono Apsirto, Eumelo e Hierocle. Gli altri, cioè Pelagonio, Teomnesto, Tiberio, Anatolio, Archidemo, Ippasio, Tetrippo e Strato- nico vi sono per dottrine e ricette o dai primi ripetute o di lieve im- portanza ». « Apsirto, citato da Hierocle, comincia dalle malattie degli occhi: de albuginibus et de oculis contusis. Segue trattando del prolasso dell’ utero (1) Un capitolo inedito sulla scelta de’ cavalli di Simeone Ateniese trovasi nel Codice greco della Raccolta Ippiatrica della Biblioteca di Cam- bridge (Cod. 3. 19. in pergam. della fine del xir. secolo). Il Daremberg ha pubblicato il testo greco di questo interessante brano della Ippiatria antica nelle sue Notic. et Extrait. V. 4. p. 169. DES L'AS VI. Quando anche fosse di maggior merito scrivere una storia della Veterinaria quale si ebbe dai diversi e del modo di riporlo. Delle parotidi, che riguarda come frequente ma- lattia ne’ cavalli. Dell’ incidere le strume, e del polipo. Del collo ritorto nel quale propone d’intromettere nastri sotto la cute, e stringere ed an- nodare dalla opposta parte onde tentarne il raddrizzamento. Parla del tofo calloso dei piedi e della assiderazione, Marmor, dell’ arto che ne consegue. Lega lo scroto e brucia nell’ operare la castrazione. Parla delle lussazioni, delle fratture, delle suppurazioni e intumescenze delle estre- mità. Cita Cornelio Celso, e segue la sua terapeutica coll aggiunta di quanto in malagmi ed impiastri trovasi in Oribasio. Non v hanno ara- bismi >. « Eumelo: anche questo è anteriore ad Hierocle, il quale cita in- sieme Apsirto ed Eumelo. Insegna i luoghi in che si deve incider la vena nel salassare. Tratta anch’ egli dei mali degli occhi, delle parotidi e delle strume; dei tumori e delle ulcere putride delle mascelle, del collo torto, del reumatismo alle articolazioni, delle ossa lussate, della procidenza dell'ano, delle parulidi. La sua farmacopea è più empirica e più in- garbugliata di quella di Apsirto ». “« Hierocle parla delle malattie degli occhi, e della albedine, delle contusioni e delle cicatrici omaglie. Della perforazione del ventre delle cavalle per estrarne il feto. Delle parotidi, del mal delle tonsille, delle ulceri nelie orecchie e delle strume. Preferisce nell’ idrope la ustione alla puntura. Tratta del collo ammaccato e ritorto, de’ vitaleschi della spina, dell’ ernia, delle flussione al ginocchio ed ai piedi, prolasso del pene, tumore e infiammazione de’ testicoli. La frattura del radio, le ulcere de- pascenti, e propone la sutura nelle ferite, l ustione nel carcinoma nella melliceride e nell’ ascesso, e nella castrazione parimente, brucia dopo aver infibulato lo scroto. Nella farmacologia d’Hierocle cominciano ad apparire ricette arabiche, e il malagma detto tripherum. Una notabile dif- ferenza nella cura delle ossa infrante apparisce in Hierocle. Mentre ae- cusa certi colleghi, che le abbandonavano come incurabili, egli narra di aver curato la frattura della coscia, ferulis et quiete fere ut in homine. Se lo storico Sprengel avesse notato questo passo di Hierocle, e lo po- teva vedere ricordato anche dall’ Haller che prima di lui fece nota ai Ve- terinari la Collezione Ippiatrica bizantina, non avrebbe detto che il la- FOOT ee popoli, non è questo il compito nostro; noi dobbiamo limitarla all’ Italia, per emendare specialmente» gli er- sciar andare simili fratture fu opinione comune di tutti i Veterinari fino al 1784, quando il suo concittadino Wolstein venne il primo a dimo- strare possibile collo stesso metodo guarire le fratture ne’ cavalli giovani. Poco esatto è anche Sprengel quando attribuisce ai Collettori della Ip- piatria bizantina l’ errore di considerare più proprio degli asini, che dei cavalli il giardone. La voce greca marmaron ch’ egli interpreta per giar- done, significa invece nella Veterinaria ellenica l’ irrigidimento delle estre- mità per effetto di tumori callosi ne’ piedi. Ingiusto lo troviamo altresi contro l’ Haller, quando lo pone fra quelli che hanno fatto fiorire Apsirto nel quarto secolo; avendo chiaramente detto 1 Haller: Quo aevo nostri (Veterinarii) viquerint difficile est dictu, neque eodem tempore florue- runt. Altre due inavvertenze leggonsi pure nella Storia di Sprengel che vonno essere, col dovuto rispetto al benemerito autore, emendate. Dap- prima egli loda il trattato del Moccio, che trovasi in Apsirto per la esat- tezza della diagnosi, e la particolare distinzione delle varietà di tale ma- lattia, fatta con tanta chiarezza, che non si può a meno di non ravvi- sarvi il Moccio descritto da veterinari moderni. Si compiace anche di trovarvi la febbre putrida cancrenosa di Kersting, la bolsaggine, il cia- morro e gli stranguglioni, la quale ultima malattia dice diligentemente studiata nella sua etiologia e diagnostica. Loda gli altri autori della Col- lezione per aver specificato i caratteri della bellezza e della sanità del cavallo, per aver determinate le indicazioni del salasso, raccomandata la paracentisi nell’ idropisia, fatte riflessioni importanti sulla castrazione, di- stinta una specie particolare di bolsaggine alla quale non giova che la paracentesi toracica, riguardata la scabbia come una metastasi critica e salutare del Moccio alla cute, proposti i pascoli di primavera come ot- timo e naturale espediente a depurare il sangue. E ad onta di tali buone cose che s'incontrano negli Autori della Collezione, che provano in essi una lodevole pratica, e qualche plausibile teoria, essi sono dichiarati tutti in corpo dallo Sprengel medesimo: gente ignorante priva affatto di qualunque educazione letteraria! In secondo luogo, come non meravi- gliarsi che lo Sprengel quasi creda di essere il primo ad esaminare e raccomandare a’ suoi contemporanei il Codice greco della Ippiatria bi- zantina, e lo consideri quasi solo documento di tale studio presso gli antichi? Come non maravigliarsi sentendolo dire, che quest’ arte non era stata mai coltivata sino a’ suoi tempi, da tutti gl’ Ippiatri delle spedizioni militari del settimo secolo in giù, e che per /o passato è medici trascu- SUS | “RAR rori degli stranieri che amarono di: abbozzarcela, e colmare i vuoti da loro lasciati. E quantunque da- prima si sia accenata la Veterinaria degli antichi Greci, non ci arresteremo a raccontare l’ estensione del sa- pere che dagli storici venne accordata a Chirone Cen- tauro, rappresentato mezzo uomo e mezzo cavallo per significare che fu il primo inventore delle due Medicine e Maestro ad Esculapio medesimo; diremo solamente, per ciò che si legge nella Biblioteca greca rarono la teoria della Veterinaria , e nè lasciarono l'esercizio a' pastori, e maniscalchi o ad altre ignoranti ed inesperte persone? Come non au- gurargli e in questa e in cento altre storiche occasioni, la dottrina dei codici e manoscritti antichi delle biblioteche e delle antiche edizioni che aveva |’ Haller, - quando prima di lui proponeva a tutti gli storici futuri quella immortale compilazione che modestamente intitolò, Biblioteca Me- dica, anatomica e chirurgia? Avrebbe appreso da questa, se non altro- ve, l’immenso numero di opere che in tale materia, dagli Alessandrini in poi sino a tutto il secolo XIV, fu scritto e in gran parte ancora stam- pato. Nè solamente in Ippiatria, ma ancora in Cinoiatria e in Orniiatria, nelle Collezioni De re venatica, i di cui codici antichi a parte vanno sotto i titoli Jeracosophion, Cinosophion, Orneosophion, materie veteri- narie assai trattate nel medio evo, intorno alle quali i nostri moderni schivano di occuparsi. Nella sola biblioteca Laurenziana di Firenze esi- stono cinque trattati manoscritti latini De re veferinaria, quasi tutti del secolo XII o XIV, senza parlare de’ codici greci. Il Codice LVII con- tiene 1. De curis boum ex diversis auctoribus. 2. Liber. de Medicina equorum. 3. Fragmentum tractatus de eadem materia, 4. Liber de cura Accipitrum jussu Imp. Friderici II inscriptus. 5. Fragmentum tractatus de re veterinaria. Cosicchè le cognizioni di Veterinaria nel medio evo, per quante la scienza medica d’ allora dare ne poteva, non solo erano scritte, ma anche diffuse in maniera da penetrare eziandio nella pubblica igiene di que’ governi. In varii Stati di quelle antiche Repubbliche si parla di malattie dei cavalli, e massimamente di alcune, sulle quali poteva ca- dere il sospetto d’ essere comunicabili all’ altro bestiame ed agli uomini. Per esempio intorno al Moccio e al farcino lo Statuto inedito di Siena di N. 18, terza distribuzione, a pag. 229 ha una rubrica intorno a’ Ca- valli: habentibus farcimen, et capud morbum (Capo morbo, ossia Ci- morro) non abbeverandis in fontibus Civitatis. “n dl ERE del Fabricio, che un tempo in quella del Duca di Mantova sì. conservavano manoscritti i quattro libri di Absirto, e che altro esemplare pure ms. ritrovavasi presso il Tommasio unitamente alle opere di Chirone e di Vegezio; che anche dagli scrittori nostri di Ve- terinaria dell’ evo medio, venne ricordata la poco lau- dabile Medicina, che si otteneva col far bollire un ca- gnolino lattante, attribuita a Chirone medesimo. VII. Il compendio della storia della Veterinaria, a cui abbiamo rivolto le nostre cure, riguarda specialmente il medio evo, quel periodo di tempo in cui per di- chiarazione dell’ illustre scrittore di Medicina compa- rata, Heusinger, solamente l’ Italia ebbe una Veteri- naria, ereditata dalla Grecia e dagli Arabi. Il lavoro propostoci non deve limitarsi all’ analisi ed ai ricordi delle pure opere di Ippiatria, resterebbe incompleto e privarebbe la patria nostra di una gloria, che pure le è dovuta, quella di aver dato i più ce- lebri scrittori di Falconeria, dal 1200 al 1758, ossia da Federico Secondo di Sicilia a Giovanni Pontini, ed i più famosi .scudieri e cavallerizzi d° Europa. Que- st’ ultimo vanto ci venne attribuito anche da Vitet coll’ osservare, che gl’ Italiani, grandi cavallerizzi, ed amantissimi dei bei cavalli, furono i primi a stabilire alcuni principî e regole precise intorno all’ equitazione. Federigo Grisone, egli dice, iniziò tale carriera, e dopo di lui comparvero Claudio Corte, Cesare Fiaschi, Pasquale Caracciolo, Giovanbattista_Pignatelli, che fu il maestro del Signor Delabroue e dall'fffust de Plu- vinel. Il libro di Grisone venne tradotto in tutte le lingue di Europa, ma con maggiore distinzione ed Ar Tr "rr‘r_—_r—D = SERRE >; JI aggiunte in tedesco da Fayser nel 1750, libro indicato come rarissimo dall’ Huzard (1). Gl’ippiatri o marescalchi, i cavallerizzi del quindi- cesimo, sedicesimo e diciaseltesimo secolo, modella- rono le loro scritture sopra tre speciali lavori, illustri ‘ancora nella scienza, cioè i libri greci d’Ippoiatria, i due Trattati Indiani delle Mascalcie, e la mulomedicina di Vegezio. Ilibri di Falconeria ebbero parimenti un antichissima origine e furono ricavati da scritture di autori Arabi o Persiani. L’ Italia deve annoverare fra i suoi primi scrittori sul governo e sulle malattie degli uccelli cacciatori o apaci, quel secondo Federico di Sicilia ed il figlio suo Manfredi, di cuì ci rimangono ancora le opere, quantunque non complete. Sull’ equitazione vennero più presto famosi nel sedicesimo secolo gl’ Italiani, forse perchè meglio degli altri popoli dovevano con- servare le tradizioni dell’ antica Grecia e di Roma, e perchè nei tempi feudali numerosissime famiglie di riechi e possenti signori, non altra carriera ricono- scevano gloriosa, tranne quella delle armi, in cui ap-* punto non si può divenire forti senza l’aiuto del ca- vallo. VII. \ La storia della Veterinaria, dopo le cose premesse, vuol essere incominciata dagli agricoltori romani, che (1) Nel quindicesimo secolo, serive Heusinger, l’ Italia, e sopratutto Napoli, divenne la grande scuola nell’ Equitazione e nella Medicina Ve- terinaria a tutta V Europa; si trovavano scudieri e manescalchi Italiani in tutti i paesi. E questo primato continuò nel 16 ed anche nel 17 se- colo. 9 tr ’ beta ped furono i più capaci ed autorevoli imitatori dei greci. Celebri anche al presente sono le opere di Catone, Var- rone, Columella, Palladio Rutilio, Pelagonio, nelle quali sono fusi i precetti Veterinarî. che si avevano nell’ epoca più vicina all’ incominciamento dell’ era no- stra, e la scienza allora ebbe dal più famoso, Colu- mella, il nome diversamente interpretato di Veteri- naria. Sappiamo dal medesimo lodato scrittore, che al suo tempo per decreto del Senato fu tradotta in la- tino l’opera Veterinaria di Magone Cartaginese, in- sieme con quella dei due Saserna, padre e figlio, di Scrofa Tremellio e di Stolone. Gli scritti di Magone intorno all’ economia rurale vennero, secondo Cesare Cantù, tradotti dal Punico da Cassio Dionisio di Utica in lingua, greca: Diofane di Bitinia ridusse tutto il la- voro di Magone a sei libri e li diresse al Re Deiotaro. Trent'anni prima di Cristo, Cornelio Celso, sopranno- minato l’ Ippocrate latino, compilò un trattato sulle malattie dei bestiami, il quale doveva essere di mol- tissimo merito giudicandolo dalle opere mediche per- venute a noi, e dalle ripetute citazioni che ne fecero Columella e Plinio; ma quel trattato andò sventura- tamente perduto (1). IX. Tralasciaremo qualunque più minuta analisi dei precetti di Veterinaria che si possono leggere nei Ru- stici latini, nè faremo parola di quanto Plinio il vec- (1) Pelagonio, quasi contemporaneo a Vegezio, da alcuni si vuole appartenuto alla Grecia non a Roma; l'illustre Molin in una dotta me- moria a stampa, contradice al Sarchiani e dichiara di nazione greca Pelagonio. Non ci fu dato rinvenire la scrittura del lodato Prof. di Pa- dova per conoscere le ragioni del proprio giudizio. RESI: pt chio nel suo libro VIII ha insegnato sugli animali e sulle loro malattie; taceremo pure delle grandi sco- ‘ perte anatomiche fatte da Galeno e da un grande nu- mero di altri medici pel successivo decorso dei secoli, perchè spettano all’ anatomia comparata, e perchè quasi tutti gli scrittori Medici e Veterinarî le accen- nano con particolare soddisfazione: ci fermeremo a Renato Vegezio, fiorito nel quarto secolo dell’ era nostra o verso il 380 (1), che alcuni chiamarono l’ Ip- (1) Con argomentazioni molto deboli il Veterinario Francese Mégnin pretese dimostrare, che Vegezio compilasse i suoi libri nel 945 e cono- scesse la ferratura a chiodi pei cavalli, asserzioni false entrambe. Recueil de médecine veterinaire fas. di Dicembre 1866. Se lo serittore Francese avesse tenuto in qualche conto le scritture degl’ Italiani relative all’argomento, pare a noi che non sarebbe caduto nei due errori accennati; avrebbe ad esempio potuto riflettere col Conte Bonsi, che il diligentissimo Vegezio (che ha fatti quattro consecutivi capi spettanti ai mali dei piedi) non fece il menomo motto intorno la fer- ratura, e qualora avesse voluto offrire a suoi lettori un importante do- - cumento, capace di dimostrare l antichità della ferratura, avrebbe anche potuto col sullodato ricordare il monumento romano antico, che ritrovasi in Veletri nel celebre Museo del fu signor Cardinal Borgia, illustrato dal dotto signor Canonico Battaglini. « Consiste :il suddetto monumento in un incastro con cui si accon- ciano le unghie de’ cavalli per apporvi i ferri. Il manico e tutto di bronzo ed ha qualche somiglianza al calcio di una pistola, e dove in quest’ arma è posto l acciarino vi è un uomo ricciuto (che dagli an- tiquari è creduto uno schiavo) il quale con un ferro simile pareggia l’unghia di un cavallo; è tutto questo pezzo è ‘eccellentemente’ lavorato sull’ antico buon gusto romano.... Il signor Canonico, ed i più insigni antiquarî di Roma, giudicano che la bellezza di tal lavoro sia del se- condo secolo, nè certamente è più tardi della metà del ferzo. Ed ecco l'epoca antica dell' arte di ferrare î cavalli, almeno per approssima- zione, tra il fine del secolo secondo, e | incominciamento del terzo ». Francesco Bonsi. Dizionario ragionato di Veterinaria vol. 5. nel quale é riportata la tavola del disegno inviato da Roma dal Battaglini al sud- detto Conte Bonsi. A e US i Me < en e. xe on | ee pa pocrate della Veterinaria, che altri dissero mercadante di cavalli, o coltivatore di razze, e persino autore supposto, come Boherawe e Haller, i quali ammi- sero che un qualche volgare raccoglitore avesse nei bassi tempi accozzate le cognizioni veterinarie alla moda, o quelle che si trovavano nei Rustici latini e negli Ippiatri greci, usando l’arte di presentarle sotto il nome illustre di Renato Vegezio, o di Flavio Rena- to Vegezio, compilatore dell’opera De re militari. Spren- gel negò all’ opera di Vegezio qualunque merito, e la disse una meschina traduzione delle scritture dei greci Ippiatri. Morgagni pensò che l’opera, la quale corre sotto il nome di Vegezio, appartenga invece a Co- lumella; altri infine, quali Akerman, Morosio, ri- tennero che autore della Medicina Veterinaria, o della Mulomedicina, debba essere riguardato Flavio Ve- gezio Renato, Conte di Costantinopoli e cittadino ro- mano, vissuto sotto l’ Imperatore Valentiniano se- condo, vale a dire nel quarto secolo. Rinunciamo a qualsiasi discussione sul proposito, perchè col maggior numero de’ moderni scrittori por- tiamo opinione che non si debba confondere Publio Vegezio con Flavio Vegezio, non tanto per la diffe- renza del prenome quanto per quella dello stile; però non taceremo una circostanza di sommo rilievo quale si è la dicharazione fatta da Dino, il valentissimo compendiatore e volgarizzatore di Vegezio, riputato da lui come autore delle due opere. Dino nel prologo del suo quarto libro esprime la propria opinione colle ‘’ seguenti enfatiche parole: « Oh nobile Vegetio, mastro degli Cavaglieri del- » l’altissima città di Roma, non solo volesti dare » fama di te al tempo della tua vita; ma anco con » grande studio operasti, che dopo te durasse in e- PST) 1 RAI » terno, facendo di ciò testimonianza per doi eximii - » libri; chè nell’ uno prima chiaristi la scienza della » nobiltà dell’arme, e come la gente ch’a tanta virtù » è infiammata vuole essere guidata et acapitanata....... » chè veggendo che lì fatti d’arme non possono es- » sere honorevoli senza il cavallo, non havesti a sde- » gno di affaticarti nel secondo libro in volere mo- » strare come sì possa mantenere sano, e come in- » fermo si possa ridurre a sanità ». Di poi tributa singolari lodi al. suo prediletto autore, che non sa mai con altri nomi qualificare tranne con quelli di grande, di sommo, di dotto, ecc. e sì che Dino scri- veva nella prima metà del Secolo decimoquarto! Ma ben diceva, imperocchè quanti avranno cura di leg- gere e meditare sui libri di Vegezio sentiranno esser giuste e meritate le lodi fatte da Dino intorno ai medesimi: per parte nostra professiamo identiche opinioni e riconosciamo la grande estensione data alla scienza da Vegezio, lo splendore procacciato alla me- desima specialmente col.dividere la parte Medica dalla Chirurgica, e col dichiararla appena seconda per no- biltà a quella dell’ uomo. Dino, seguace del maestro, attribuì altrettanta importanza alla medicina dei grandi animali e la giudicò come un’unica scienza con quella degli uomini, salvo che le cose che si adoperano alli huomini non sono di tanto forte operatione quanto quelle delli animali; et a me (diceva) pare maggiore suttilità curare un animale muto che un uomo. X. Se giudizî contradditorî sono stati pronunciati in- torno all’ opera di Vegezio, sembra essere derivato dall’ aversi traduzioni diverse per merito scientifico e per quello della lingua, e dal fatto che i testi ancora inediti sono di più corretta lezione di quelli che ven- nero pubblicati; in prova di che importerà ricordare che l’ Argelati (Bib. de’ volgarizzatori ) citando il Libro della mascalcia o sia delle malattie de’ cavalli, scritto da Ippocrate, tradotto in italiano da incognito, ms. in fine aggiungne la seguente nota. » » » « Abbiamo veduto questo Codice bellissimo, scritto in carta pecora nel secolo XIII, presso il sig. Conte Donato Silva, più volte da noi commendato in que- sta nostra nuova Biblioteca, ove così leggesi: — Co- mincia il primo libro de’ Maliscalchi —. Lo primo libro di Vegezio di Renazio, dell’arte delle Medi- cine della Bestie, e composto di LXII Articoli — dopo dei quali si legge: — Questa è la fine del primo libro di Vegezio Publio di Renazio, grande savio, ìl quale libro compilò e compuose dell’ arte ‘della Medicina delle Bestie, che si chiama Mascalzie — Segue il secondo libro nel quale son decte com- piutamente tutte le medicazioni particolari de’ ca- valli, Muli e Sommari, perchè nel primo libro si contengono le Medicazioni universali; nel terzo si contengono le Medicazioni de’ Buoi et Bufali, et sono messe medicine le quali sono allegate in Cap. CXXVIII. Il quarto libro contiene le medicazioni et esame delle ossa, nervi, et sangue de’ Cavalli di- viso in Cap. LXXV. Il quinto libro della Mascalzia o sia_malattia de’ cavalli, il quale fecie Ippocrate diviso in Cap. XLVI — In fine del quale è così: — (Qui finisse il libro della Mascalcia che traslatoe di Greco in Latino Maestro Moyse da Palermo —. Segue il sesto libro delle Medicazioni de’ Cavalli di- viso in Cap. XXXI —. Qui se compie il libro della Mascalcìa il quale trastoloe Maestro Moyse da Pa- lermo ». XI. Il codice poc anzi descritto consta di due diverse opere, cioè deì primi quattro libri che appartengono a Vegezio e degli ultimi due, quinto e sesto, che sono il puro testo dell’ Ippocrate indiano. L’ unione delle due opere cupiate dalla stessa mano s’ incontra in altro codice di Vegezio, posseduto dal benemerito Conte Ercolani, scritto nel decimo quinto secolo; ma in queste per di più è annesso altro trattato nè conosciuto nè citato dagli autori di opere bibliogra- fiche o Veterinarie. È indicata la natura del libro ed il suo autore colle seguenti parole. /o Lione Mari- scalco de oltra mare faccio a savere a tucti li homini che se dilectano de natura (1) de bestia cavalina. — Dopo il premesso titolo sono numerati i mantelli dei cavalli. Il libro volgare di M. Leone è molto antico e merita certamente che se ne serbi memoria; a que- sto fine per dimostrare che non è esagerata l’ asser- zione, trascriviamo il capitolo nono, che si legge nel trattato Veterinario dell’ Autore orientale , il quale ha una speciale importanza perchè dettato per far conoscere lo Canero femenino, lo quale nasce nel co- rello (2) deli pedi del cavallo e fa una bocca —. « Mecti una tasta in quella bocca infine al fondo et » quanno la tasta è nel cancro, coci col ferro caldo » fino alla tasta, e tucto quello che è cocto talgla poi » con uno rasojo, e gecta via quella carne, tanto » che tu vegghi la carne viva; et facto questo prendi » lo zenzano una oncia, et una oncia de pepe, e la (1) Forse deve intendersi dela cura. (2) Corello — Coronello. sit Me » quarta de una oncia de gomma arabica, e pesta in- » siemi et fane polvere, e pigla lo petaccio e l’ osso » del cane, e ardilo e fanne polvere, tanto dell’ uno » quanto dell’ altro, et poni tucte queste cose et in- » fasciale bene forte et guarda bene lo cavallo dal- » l’acqua infino a tanto che ello serà ben guarito ». — —Nell’accennato libretto, compreso in 89 capitoli, si parla dapprima del trar sangue, del mettere il ca- vallo all’ erba, degli humori, del Celso, della malat- tia deli Porri, del Canero lupino, del Cancro sordo, del Cancro femenino, della fistola dell’ osso, dei nerbi; di tutte le piaghe, dell’ anticore, delle spon- ghe, del soprosso, della gierda che nasce nella fon- tanella del piede. Più estesamente degli altri autori antichi discorre del verme, distinguendolo con carat- teri affatto nuovi, ripetuti poscia da Pasquale Carac- ciolo e da altri, i quali parlarono del verme pinaca- rîo, che viene alle spalle, del cocozazio, che nasce nel petto, del bdoctajo, cioè che fa le bocche, del san- guigno che fa le bducarelle rosse, del lazzarino, che equivale a verme di lazzarea od ulceroso, del verme farcito, che nasce nel petto, del volante, del lupesco che sorge al .di sotto del ventre. XII. Maestro Leone sembra dover essere annoverato fra que’ scrittori d’ Oriente che si adoperarono a tra- sportare in Italia i precetti della medicina degli Arabi. La qualificazione di ultramarino non ci puo lasciare incerti sulla patria dell’ autore; Rusio puo essere ci- tato in prova, poichè nel capitolo 99, in cui appunto ra- giona in modo affatto nuovo della castrazione de’ ca- valli a cordone coperto, ci ammaestra che quello espe- de rimento usano .di fare li ultra marini, et senza nulla differentia generalmente tutti V homini d’ Oriente. XII. Dovendo ritornare all’ analisi dell’ Opera di Vege- zio non descriveremo i quattro manoscritti della me- desima in lingua Italiana riferiti dall’ Argelati nel tomo 4 a cart 100, ciascuno de’ quali portando un ti- tolo diverso sembra dover contenere una traduzione fatta da un autore speciale. Accenneremo solamente due codici tenuti accuratamente sott’ occhio (d’ uno anzi siamo possessori), i quali pregievoli per anti- chità (sec. XIV e XV) primeggiano sopra i testi a stampa per nobiltà di favella spettante al buon se- colo della lingua Italiana. Il primo de’ ricordati co- dici, già della Palatina di Lucca, incomincia col se- guente titolo. — Libro primo de Vegetio de Renatio de la Medicina dele bestie, e termina col quinto in cui se contiene de la forma e de la qualità de l’ ossa e deli nerbi e come s®conosca el cavallo buono ecc. Il nostro è indicato come segue. Libro primo de Vegetio de Renatio, de V arte de la medicina dele be- stie. Capitolo primo e prologo. L'ultimo libro ha il proemio seguente. — Questo è el quinto libro ello quale si contene della forma e della qualità dell’ ossa e deli nerbi e dele vene, e come si conosca el cavallo buono e quanti anni elli à, e de quale parte si trovano mil- liori e quanto vivono, e in questo libro si contengono tucte le medicine che sono nomenate elli altri libri, che sono decti de sopra, e nolli si trovano scripte, le quali medecine sono utili al enfertà dele bestie gene- rali e sono bene al enfertà de ciascuno membro parti- culare. PR Se Venne riportato il breve prologo per dimostrare la leggera differenza esistente fra i due testi e la forma della scrittura; se invece i due codici inediti si con- frontano col Vegezio volgare, stampato in Roma dal Facciotti nel 1624, si riconosceranno importanti per variazioni tali, che in alcuni luoghi mutano i pen- sieri dell’ Autore, per cuì al certo sarebbe opera uti- lissima ancora la stampa del ricordato Codice del Mulomedico Romano. — Non abbiamo potuto tro- vare il Vegezio volgare, stampato in, Venetia per Mi- chele Tramezzino nel 1554, descritto dall’ Argelati, dal Canonico Biscioni, e citato, sulla fede dei due benemeriti, dal Paitoni; nè conosciamo il valore di quel volgarizzamento, compiuto d’ ordine di Tramez- zino, che ne tace l’autore. — Se ancora si dovesse tornare sull’ identità degli autori dell’arte militare e della Medicina de Cavalli et altri Giumenti; ovvero del- l’arte de’ Maniscalchi; faremmo osservare che Pai- toni, indicando l’autore dell’ arte della Guerra, lo nomina Flavio Renato Vegezio, e dichiara Publio Ve- gezio autore della Medicina de’ Caval, trasportando il prenome di Renato, che vediamo applicato a Pu- blio Vegezio, sopra Flavio Vegezio; ma di ciò basti. Ricorderemo solamente di aver veduto un codice membranaceo del Vegezio nella Biblioteca annessa alla Scuola Veterinaria di Milano, e, per quanto ci consta, di lezione meno interessante della ricordata poco prima; ed aggiungeremo che fra le diverse edi- zioni del testo latino, che sono da noi conosciute, ripu-' tiamo dover accennare quella di Manheim del 1781 a cui sono uniti ‘in sei pagine i frammenti di Gargi- lio Marziale De cura Boum; edizione compiuta per _ cura di G. M. Gesner. e Nella Biblioteca di Modena fra i preziosi codici, che vi si conservano, ne ha uno che pel titolo che porta dovrebbe contenere l’ opera di Vegezio, è in- dicato: Mulo-medicina ex dictis Medicorum et Mulo-me- dicorum sapientium compilata. « Codex membran. sec. XVI ». XIV, La Veterinaria in Italia nel nono e decimo Secolo. I due trattati delle Mascalcie, che al dire del Si- gnorelli furono portati dai Medici di Salerno in Italia insieme a molte altre opere dei Medici Arabi, di- stinte sotto il nome di Ippocrate, appartengono ad un ignoto Autore, il quale per averli dedicati a Co- sroe il grande, o Nuscirevar, contemporaneo. di Giu- stiniano, debbe aver vissuto nel sesto secolo dell’ era nostra. (Questi non richiedono minute osservazioni dopo quanto si%è esposto nei preliminari a quei Trat- tati medesimi. Forse però non ebbero nei primi se- coli e principalmente nel nono in cui furono tra- sportati in Italia, il pregio che venne accordato ai li- bri degli Ippiatri Greci, raccolti per ordine di Costan- tino settimo, detto Porfirogeneto, nel decimo secolo; stampati poscia in latino nell’ Anno 1530 in Parigi; nell’ originale Greco in Basilea nel 1537; in volgare dal Tramezzino in Venezia nel 1543, e da Girolamo Giglio nel 1559. Il prenominato Costantino, oltre l’ Ip- piatria, fece compiere la collezione dei Geoponici, rac- colti in venti libri, che pure ricordiamo perchè nel libro 16.° 17.° 18.° e 19.° trattasi delle malattie di tutti ì quadrupedi domestici secondo i precetti di Absirto, de DR Pelagonio, Ierocle, Teomnesto, Ippocrate pel cavallo: pei buoi, giusta quelli di Didimo, Socione, Fioren- tino ecc.; per le pecore, ancora di Didimo, Fioren- tino, Leonzio; per le capre, di Berrito; pei cani, di Varrone, Teomnesto, Frontone ecc.; e pei porci, di Fiorentino e Didimo. Si hanno due traduzioni italiane dei libri di Co- stantino Cesare, come ricorda Metaxà, traduzioni che teniamo sotto gli occhi; l’ una è dovuta ad un Niccolò Vitelli da città di Castello, e fu ricavata dalla ver- sione latina del Cornaro e stampata a Venezia nel 1542 e 1553; l’altra fu fatta da Pietro Lauro mode- nese, e tratta dall’ originale greco; stampolla il Gio- lito pure in Venezia nel 1542 e nel 1549. XV. ln ordine ai Trattati o libri delle Mascalcie sui quali sono fondate parecchie compilazioni posteriori, non vuolsi tacere che sono difficilissimi a trovarsi i codici sinceri, e perciò alcuni li giudicarono e ritennero per cosa diversa da quel che sono. Tommaso Giuseppe Farsetti, nella sua Biblioteca manoscritta, in cui ri- ‘cordava di possedere più di trenta codici Ippoiatrici, concludeva: avrei di buona voglia desiderato, che ta- luno di questi miei libri di mascalcia quello si fosse che fà testo di lingua, onde così avessi potuto accre- scere il numero dei codici, che somiglianti testi rac- chiudono. A tale conclusione era venuto il valente bi- bliografo dopo avere scritto: « Fra i testi di lingua ci- » tati nel Vocabolario della Crusca, uno se ne riferisce » nell'indice così: Libro ossia trattato delle Mascalcie » de’ cavalli. Testo a penna, che fu già di Francesco » Redi, ora del Bal Gregorio Redi. Alcuna volta ab- CR » biamo citato anche un’ altro testo a penna che è tra » Mss. dell’ Accademia. Quest’ opera sarà uno di quei » due Trattati de’ cavalli (se pur non è composta » d’ambedue) che sopra testi a penna vengono alle- » gati da Giulio Ottonelli nelle annotazioni sopra il » Vocabolario della Crusca, stampato sotto il nome » di Alessandro Tassoni. Ora cercando ne’ volgariz- » zamenti d’ opere di Mascalcia, contenuti in questo » e negli altri due codici XVII e CXVTII, i pezzi ap- » portati dall’ Ottonelli a carte 217, 219 e 273, non » li troviamo in luogo alcuno: vediamo perciò l’0- » pera, che fà testo di lingua, esser differente da » quelle che sono ne’ nostri codici. Quando essa non » sia quel libro delle cure di Maestro Gherardino da. » Firenze, poco addietro mentovato, esser potrebbe » quel trattato del cavallo e della cura delle sue ma- » lattie di Mastro Bonifazio, che in un codice antico » pergameno si serbava nella libreria del sig. Giu- » seppe Valletta in Napoli. Il libro antico delle Mascalcie, per quanto ne con- sta, non venne ricordato nelle opere di bibliografia stampate fuori d’ Italia; abbiamo solamente trovato nel catalogo dei manoscritti Spagnuoli che stanno nella Biblioteca reale di Parigi, per Eugenio De Ochoa (Pa- rigi 1844), indicato al n.° 164. « Libro de Manescalia et de Albeyeria (1) et Fisica de las bestias, compuesto (1) Albeyteria od Albeitharia, è dalla voce araba Al-baytér, che si- gnifica veterinaria. Il Chiarissimo G.B. De-Rossi nel suo Dizionario Storico degli autori Arabi più celebri, al nome di Abubecker Ben Albeder scrive: « Medico Ve- » terinario del Sultano Almalech Alnasser, che cominciò a regnare in » Egitto l’anno 678 dell’egira, di Cristo 1279, scrisse un opera di Ve- » terinaria divisa in due parti, e in X trattati, in cui tratta della scelta » de’ cavalli, del loro regime, de’ loro mali e dela loro cura. ‘'rovasi » nella Bodleiana nel cod. 376 ». io Aa par Ioan Alvares Salamiellas ». Codice in fol. per- gam. del sec. XV carattere gotico. Il libro di Giovanni Alvares Salamiellas è tratto da Ipocras (Ippocrate) e da altri. XVI. - La Veterinaria Italiana dal 135° al 17° secolo. Se le opere di Veterinaria spettanti al settimo, ot- tavo e nono secolo rimasero l’unico e caro docu- mento della scienza in Italia, certamente non splen- dido, vuolsi ascrivere a prodigio, poichè avveniva in tempi contristati dalle invasioni degli stranieri , la scel- lerata opera de’ quali avrebbe certamente accresciuta la barbarie e l'ignoranza cominciate dal decadimento dell’ Impero romano, ove non fossero esistiti quei pietosi custodi e sagaci copisti d’ antichi codici nei quali il genio dell’ uomo aveva lasciati i precetti delle scienze e della civile coltura. — Sorvisse anche la Veterinaria a quelle sciagure d’Italia; di essa vediamo farsi banditore nel decimo terzo secolo un Giordano Ruffo, famigliare di Federico secondo di Sicilia, am- maestrato dal principe a cui serviva, e comporre un’ opera sulle malattie del cavallo, od un trattato delle Mascalcie, quale appunto lo possiamo leggere presen- temente. Il libro di Giordano ha avuto grandissima importanza per la Veterinaria Italiana, perchè sin dal primo suo apparire diffuse i precetti dell’ arte di. fer- rare i cavalli, di cui anteriormente nessuno aveva parlato, quantunque dicasi praticata dai Celti e dagli Anglo-Sassoni in tempi molto lontani. Ci assicura Ia- copo Morelli, che l’opera di Ruffo era famosa e ri- Ms > DISSI: | ro putatissima, siccome composta giusta gl’ insegnamenti dell’ Imperatore Federico II, di cui il Ruffo era stato maniscalco. Sembrò a noi doversi pur ritenere dettato in linguaggio Siciliano il libro di Giordano piuttosto che in latino, pel fatto che molto diffuso era allora quel linguaggio anche in altre parti d’ Italia, dove fra i più illustri si riputava, e che l’autore del libro lo avesse preparato per le persone che alla corte avevano cura de’ cavalli. Questa fu pure l’ opinione di Saverio Bettinelli, emessa molto prima di noi, e nella mede- sima convenne l'illustre Heusinger. Infatti alcuni di quei codici Siciliani sono pervenuti sino a noi; e lo stesso benemerito Prof. Molin, pur sostenendo che Ruffo, da lui detto di nobile indole e prosapia, scri- vesse in latino barbaro, non tacque la pubblicazione fatta da Bartolomeo Spadafora di un codice Siciliano dell’anno 1368 avente il seguente principio. Accu- menza lu libru de la Maniscalchia de li cavalli di lu magnificu misser luhanni de Crullis. Il metodo, l’ or- dine e la materia di quest’ opera son que’ medesirai ‘ che si trovan nel libro di Giordano. Nei Preliminari ai Trattati delle Mascalcie sì ri- chiamò la memoria del codice siciliano di /ordanu Russu, che ora si conserva nel Museo Britanico, e si fece parola di un altro da noi posseduto; diciam ora che tra ì molti codici volgari di Ruffo, indicati da- gli scrittori, ci piace accennare dapprima quello che si ricorda dal Farsetti, appartenente al 15.° secolo, colla seguente annotazione: « Libro della Marescalcia, lo quale compose Messer Iordano Rufo ». Comincia: Con- ciosiacosachè intra tutti gli animali creati ecc. Poi ag- giunge: « Giordano Rufo di Calabria, come alla fine » del codice si legge, fu Cavaliere e famiglio dell’ Im- » peradore Federico Il, dal quale fu ammaestrato di mig: EE: » quelle cose, che in quell’ opera si leggono, nel » lungo tempo, che al di lui servigio in qualità di » mariscalco si trattenne ». Risulta perciò, che Ruffo compose il suo libro nel secolo XIII, avendo avuto l’impero Federico II dall’anno 1219 sino al 1250; infine dichiara: « L’ opera fu a que’ tempi scritta in » latino, come si vede in un codice ms. della Ze- » niana. Nel secolo XIV fu voltata in buon Toscano, » come la troviamo nel codice nostro segnato col nu- » mero CXVII, fra i volgari; e nel secolo seguente ‘» fu pure fatta la traduzione che in questo codice si » legge. Se alcuna di queste due traduzioni sia quella » che venne a stampa in Venezia l’ Anno 1563 in 8, » come riferiscono il Cinelli nella Biblioteca volante, » ed il Tafurri negli Scrittori Napoletani, non pos- » siamo asserirlo, per non avere alla mano quest’ edi- » zione. Da ciò si raccoglie che ancora quest’ opera » del Ruffo merita di essere annoverata fra quelle, » che nella volgare nostra favella furono tradotte, e » si riferiscono dall’ Argelati nella Biblioteca di simili » Opere ». Il Farsetti descrive un’ altro suo codice di Ruffo del secolo XVII, il cui volgarizzamento è differente da quello or ora indicato e che si intitola: « Trattato » di Mascalcia, opera di Giordano Rosso di Calabria, » Cavaliere dell’ Imperatore Federico secondo, in fol. ». BHE Le notizie che si leggono in Molin, nel Farsetti. in Heusinger e altri sono quelle che sì trovano nella prima pagina di un codice in pergamena, che sì con- serva nella Biblioteca Alessandrina dell’ Archiginnasio Romano della Sapienza, citato dal Prof. Metaxà, il RCA quale riporta le seguenti parole nel | principio : « pr cipit liber marescalchi ris » e nel fine sì soggiunge: « Hoc opus (ue » suit Iordanus Ruffus de Calabria Miles, et familia- » ris Domini Friderici Imperatoris secundi Romano- » Imperatoris, memorie recolende, qui instructus » fuerat plene per eumdem dominum de omnibus » supradictis: expertus etiam fuerat postmodum pro- » babiliter in maristalla equorum eiusdem Domini, » in qua fuit per magnum temporis spatium commo-. » ratus (1) ». Seguono cinque versi latini nei quali è magnifi- cato il sapare di Giordano nella medicina de’ cavalli (**). Dopo si trova un ricettario antichissimo di otto pa- gine, e quindi altri precetti di mascalcia compresi in sei pagine che hanno per titolo: « Liber Marescalci® » (1) Nell'opera: Vicende della Coltura nelle due Sicilie, di Pietro Napoli Signorelli. Vol. 2.° pag. 258, il codice più antico pergameno dell’ opera di Ruffo sarebbe quello indicato colle seguenti parole: « Compose questo Giordano un libro intorno alla cura de’ cavalli, che a tempo di Francesco Capecelatro si vedeva nell’ archivio del Convento di s. Giovanni a Carbonara, scritto in pergamena, fra i libri ché furono del Cardinale Seripando. Sarebbe mai quell’ istesso codice si trova tra’ ma- noscritti della Real Biblioteca di Parigi, intitolato: De cura equorum? Il libro di s. Giovanni a Carbonara incomincia: Incipit liber Marescalchiae maristalle Domini Friderici Imperatoris, eranvi inseriti alcuni versi ‘(**), e terminava in questa guisa. Hoc opus composuit Iordanus Ruffus de Calabria Miles et Familiaris Domini Friderici II. Romanorum Impera- toris memoriae recolendae, quì instructus fuerat plene per eundum Domi- num de omnibus supradictis. (**) 1 versi registrati da Francesco Capecelatro nella sua storia a pag. 281. V. 2:° edizione di Pisa 1821, sono i seguenti: Hoc egit immensis studiis miles Calabrensis, Qui bene cunctorum sciverat medicinas equorum; Discat quisque legens: patet haec tibi pagina pracsens: Quid juvat, atque nocet, sic equo cuncta docet. STA LE in vulgare. Il titolo di questo codice vale a far chia- ramente conoscere che il Testo latino, pubblicato in Padova dal ch.° Prof. Molin nel 1818, deve essere co- pia di quello che si conserva nella Biblioteca di Roma. Il lodato professore Metaxà ricorda ancora un esem- plare latino esistente nella Biblioteca Thuana; ed e- spone che « l’opera stessa fu tradotta in italiano e » e stampata a Bologna nel 1561, cambiando il nome » di Ruffo in quello di Rusto; altrove viene anche » chiamato Giordano Calabro. Fu volgarizzato da Frate » Gabriele Bruno nel 1492 e pubblicato in Venezia » l’anno 1563 ». Fino a questo punto il professore Romano com- pose una storia veritiera intorno a Giordano, ma erra poscia, insieme col Zanon, quando osserva essere forse la stessa opera di Ruffo quella che ha il titolo di Trat- tato delle Mascalcie de’ cavalli, testo a penna già di Francesco Redi, allegato dagli Accademici della Crusca. Non solamente sono affatto diverse le due opere; ma diremo che neppure identiche sono le due versioni del Ruffo da lui citate. Noi abbiamo un’ esemplare di un’ edizione di Venezia, per gli eredi di Giovanni Pa- dovano in data del 1554; il volgare della quale, ap- punto di Gabriele Bruno Venetiano, Maestro in Teo- logia delli Frati minori, è diretto al magnifico e po- tente nell’ arte militare ed della IMustrissima Signo- ria de Venetia condutiere Messer Conte Zovano Bran- dolino da Venetia in data del 17 Dicembre 1492. XVIII. Della distanza fra il tempo notato nella dèdica e la stampa si può dar ragione coll’ avvertire che si ha un’ edizione del libro del secolo decimo quinto, un i RT esemplare della quale abbiamo ammirato presso il Conte Ercolani, in cui si legge il volgarizzamento di Frate Bruno; ma è senza indicazione di luogo e di anno, se non che per la data della dèdica può rite- nersi del 1492 e probabilmente di Venetia: Heusin- ger infatti cita il Libro dell’ arte de Marescalchi per conoscere la natura de li cavalli, e medicarli nelle loro infirmità , e l arte di domarli. Venezla 1492. 4 (1). L’ edizione volgare, eseguita in Bologna da Gio- vanni de’ Rossi nel 1561 nelle case d’ Antonio (Giac- carelli, porta il titolo seguente: « Il dottismo libro non » più stampato delle mascalzie del cavallo del sig. » Giordano Rusto Calaurese. Dove con bellissimo or- » dine dà conto di conoscere tutte le cose pertinenti » al cavallo, e tutte le sorti d’ infermità, et da che » nascono, con. i rimedi di quelle. Di più vi è ag- » giunto un Trattato di Alberto Magno dell’ istessa » materia, tradotto dal latino in questa nostra volgar » lingua. Et alcuni altri belli segreti di diversi autori » non più stampati per l’ adietro ». L'edizione di Venetia 1554 porta invece il se- guente titolo: « Libro dell’ arte de Marescalchi per » conoscere la natura de li cavalli, et medicarli nelle. » loro infirmità, et l’ arte di domarli. Composto per » lo dignissimo Cavallier Giordan Ruffo Calaurese. » Nuovamente stampato ». XIX. I volgari delle due accennate edizioni sono fra di loro molto differenti, con questo però che quello di (1) Tiraboschi scrisse: l’ opera di Giordano Ruffo, videsi anche tra- dotta in Italiano da Gabriel Bruno de’ Frati Minori ad istanza di Lazzaro, di Bartolommeo Marzavello da Modena, e stampata in Venezia nel 1492 per Maistro Pietro Bergamasco. LE Mi Frate Bruno conviene col testo latino pubblicato dal Molin, e l’ altro, dell’ edizione di Bologna, non vi cor- risponde per nulla; nè la differenza deve recare sor- presa, poichè lo stampatore di Bologna nell’ avviso ai lettori, dichiara d’ aver ricevuto 1’ originale del Rusto da Bartolomeo Canobio, e poscia assicura d’ aver vo- luto stamparlo nella lingua istessa, che V autore l ha scritto ecc., la quale perciò supponeva essere la no- stra volgare. Dopo quanto abbiamo esposto nei preliminari in ordine ad altri codici di Ruffo, avvertìremo sola- mente, che quello che si conserva nella Parmense (Cod. N. 57) si distingue da tutti i ricordati per es- sere seguìto dal trattatello sulla maniera di governare i Falconi per uccellare, e l indicazione dei giorni fau- ed infausti dell’ anno. Di questa parte del codice di- remo in appresso parlando delle scritture di Falco- neria, intanto basterà osservare col Prof. Molin, che Giordano Ruffo ignorò i frammenti degli autori greci e della Mulomedicina di Vegezio, il quale opportu- namente seppe giovarsi d’ esse scritture ippoiatriche (1). Il libro di Giordano è il più originale fra gli an- tichi, e di lui possiamo dire che non gli mancarono le cognizioui esposte nei libri antichissimi delle Ma- scalcie; uniformi sono i precetti igienici pel cavallo, identiche le osservazioni per le quali si può prono- (1) Tiraboschi indicò che « dell’ opera di Giordano Ruffo trovansi copie in altre librerie, e tra esse nella Nani in Venezia, ove ancora si conserva un trattato sulla Natura e su’ rimedii degli uccelli tradotto dal Persiano in Latino, e il Sig. Don Iacopo Morelli afferma di aver veduta nella pubblica Libreria di Padova, una traduzione Francese di qusto li- bro e di un’altra opera di somigliante argomento, fatta da un certo Da- niello Cremonese ad istanza di Enzo figlio dell’ Imperatore Federico II. ». su Ac sticare la resistenza vitale degli organismi e predire la terminazione probabile delle malattie. XX. Jacopo Doria e Frate Teodorico de’ Borgognoni da Lucca Vescovo di Cervia (Sec. XIII 1205 — 1298). I diligenti scrittori della storia della Veterinaria ebbero cura di farci conoscere parecchi codici del- l’opera scritta dal Vescovo di Cervia intorno alle malattie de’ cavalli; Heusinger ne indicò il maggior numero, e noi pure lasciammo credere di possedere l’opera di qnesto Vescovo nella copia che ci procu- rammo di un codice già di Michele Colombo, ora nella Parmense col numeo 4286, il quale s° intito- la: Libro de la cura medicinale de gli animali. E specialmente de cavalli como de più nobili. Fondam- mo la nostra opinione nel fatto che il libro inco- mincia col preambolo letterale di Vegezio, e con- tiene nelle sue diverse parti le cose insegnate da Gior- dano, dal libro delle Mascalcie, da Vegezio, da Doria ecc. Frate Teodorico esercitò la Chirurgia e l’arte Ve- terinaria; scrisse pure, per testimonianza di Molin, un opuscolo De cura accipitrum. Dal Sarti, nell’ opera sui professori del Ginnasio Bolognese, fu. dettata la vita di Teodorico di Cervia e dichiarato, che tanto il libro della Chirurgia, quanto la Practica equorum fu- rono tradotti in lingua Castigliana, nella quale è pre- sumibile che fosse pure portato il libro di Mosè da Palermo. Molin indica due codici latini di ‘Teodo- rico, l uno esisiente nella Biblioteca Barberina, l al- ERO, . 2704 tro in quella di san Marco di Venezia. Questo dotto uomo morì nel 1293 nell’ anno 93.° dell’ età sua. Coloro che ebbero modo di compiere un esame mi- nuto del libro del frate domenicano da Lucca, ri- conobbero facilmente avervi il medesimo portati molti e lunghi capitoli di Ruffo e di altri senza mai nomi- narli; cita due soli, dai quali ricavò alcune cose, cioè Sant’ Isidoro e Iacopo Doria. Iacopo Doria, genovese, aveva infatti raccolti in un libro una serie di precetti relativi alla Medicina Veterinaria a cui diede in titolo: Practica equorum [acobi Aurie. Il manoscritto di quest’ opera, scrive Molin, ricordato dal preclaro Iacopo Morelli nel suo libro dei Codici manoscritti della Biblioteca Naniana, venne trasportato nell’ altra di San Marco, dove an- cora si conserva. Opina il Morelli essere quest’ autore, quel medesimo di cui parla Lodovico Muratori, che l’ assegna al secolo XIII e lo chiama lume chiarissimo della sua patria. Le sue regole di medicare consistono per lo più in pratiche superstiziose e frivole. XXI. Pietro de’ Crescenzi (1255 — 1507). La splendida biografia di Piero de’ Crescenzi letta nella grand’ aula dell’ Università di Bologna dal conte Filippo Re, ci esime dall’ obbligo di considerare l’agronomo Bolognese come autore del libro nono intorno agli animali (1). Dimostrammo già nei pre- liminari che i precetti ivi esposti furono ricavati più specialmente dai libri di Mosè da Palermo, nella (1) Bologna 1812 Tipografia de’ fratelli Masi e compaguo. — 39 — publicazione dei quali fummo qualche volta costretti a porre la parola volgare, che specialmente con- veniva col testo latino, non avendo potuto consul- tare il libro dell’ agricoltura volgare di Pietro de’ Cre- scenzi, stampato in Venezia nel 1511, nè quello del 1519, di identica lezione; dove si può leggere quel libro nono più esteso che non nelle successive edizioni, privo delle voci incerte, e mancante di quel famoso caput fastum, letto in alcuni codici dal P. Sorio, a cui si volle dar qualche importanza per non ritenerlo, quale sì è, un grossolano errore de’ co- pisti. XXI. Bonifazio (1266 — 1285). Mastro Bonifazio, autore del libro inedito 7e- sauro de’ cavalli (il quale, secondo si legge nel suo preambolo, sarebbe stato fornito di grande sapere in parecchie scienze, Mastro Marescalco del Re Carlo primo di Napoli, da cui avrebbe ricevuto il titolo di Cavaliere ed il dominio della città di Geraci), diede argomento a lunghe considerazioni nei Preli-. minari, dalle quali sarà venuto dimostro ch’ egli scriveva posteriormente a Lorenzo Rusio, poichè le due opere sono in sostanza un unico lavoro, sì che alcuno non saprebbe trovare qualche cosa di più in Bonifazio che in Rusio, ove n’ eccettui la dichiara- zione finale, che si legge nel codice del calabrese Bo- nifazio, zeppa di?cose inverisimili e di goffe vanterie. A questa dichiarazione contraddice, lo sappiamo, la circostanza del dirsi vissuto Bonifacio al servigio di Re Carlo d’Anjou e Lorenzo Rusio a quello di SH A Napoleone Orsini, che fu ereato Cardinale nel 1288, e cessò di vivere nel 1342; ma siccome la predetta dichiarazione veste il carattere delle cose portentose, non tanto di leggieri può essere creduta. Per di più questa strana nota, che possiamo chiamare biografica, è la sola parte che rende diverso il libro di Bonifa- cio da quello di Rusio, ond’ è che non dubitiam dirlo uno di que’ plagi singolari di cui si sono avuti esempi in tutte le età. Rusio, qualora si fosse giovato dell’ o- pera di Bonifazio, lo avrebbe citato, come fece rispet- tivamente a Maestro Mauro, di cui allega eziandio l’ au- torità nei capitoli 137, 141 e 150, e come praticò per altri. Se ora andremo a ripetere alcune delle cose dette in altro libro, non ce ne venga fatto carico, chè son esse necessarie per chi voglia un vero apprezzamento della storia di una scienza non servile, quale sì sa- rebbe mantenuta coi metodi di Bonifacio, di cui parlando il rinomato professore Heusinger, registrò un manoscritto del XV secolo, citato nella Biblio- teca Huzard al N.° 3500 e distinto col seguente ti- tolo: « Al nome de Dio...... Comenza lo prologo delo li- » bro (di Misser Bonifacio) de la Marescalcazìa de li ca- » valli...... Secondo Misser Iordano...... Lo libro di Mis- » ser Bonifacio è translatato de gramatica e lectera » greca in latino per frate Maestro Antonio Da Pera ». Quanti errori! S’ attribuisce a Messer Giordano l’ 0- pera che spetta senza dubbio a Lorenzo Ruso, chè questa risponde appuntino, come dicemmo, colla sup- posta di maestro Bonifazio; e si parla con isfacciatag- gine mai più udita di lettera greca e traduzione la- ca MERE tina quando l’opera non era altrimenti che vul- gare (1). , XXIII. Maestro Mauro, tedesco e M.° Marco greco. 1206 — 1546. Innanzi di scrivere di Lorenzo Rusio e sui nu- merosi codici che si posseggono dell’ opera Veteri- naria da lui lasciata, faremo parola dei lavori di Mae- stro Mauro e di Marco, pel fatto che Rusio citò il primo parecchie volte nel suo libro, riguardandolo come .persona di grande autorità. Dell’ opera dei due celebri Maestri esistono alcuni testi a penna, fra quali possiamo citare quello di cui si fece editore in Napoli nel 27 Luglio 1728 un Mar- cello Lorenzi, che ne fece omaggio al signor D. Ri- naldo d’ Aquino Pico, de’ Principi di Castiglione ecc. (2). Onde abbreviare il racconto sull’ opera attribuita ai due Maestri, ripeteremo le parole stampate dal Lo- renzi; il criterio dei lettori saprà valutarle convenien- temente, spogliandole delle esagerazioni, poichè il lavoro de’ Maestri Mauro e Marco è ben poca cosa come dimostreremo riportando l’ elenco dei capitoli nei quali venne diviso. Premettiamo intanto il titolo del libro dal quale risulterà ancora che altri due ve- (4) Fra i manoscritti della Biblioteca di Modena si conserva un co- dice di Bonifacio colla seguente indicazione: « Magister Bonifacius. La pratica de’ morbi naturali e accidentali; segni e cure de’ cavalli ». Codex chart. Saec. XVII. (2) Anche questa volta dobbiamo al Ch. C. Ercolani le cognizioni acquistate sopra M. Mauro e Marco, e | esame fatto del libro a stampa di cui non si trova cenno nei Cataloghi. br terinari raffazzonarono secondo la loro mente l’ opera degli antichi maestri. « Il vero Manescalco ammaestrato » » » circa la sua arte. Opera utilissima, nuova e non an- cor stampata. Composta già in greco, e tradotta in latino dalla scienza ed accortezza di M. Marco greco, e M. Mauro tedesco menescalchi imperiali: E tra- sportata in Volgar Favella dall’ attenzione e zelo di M. Sergio Stiso, e M. Mariano Calò menescalchi in- tendenti. Divisa in quattro parti. Dedicata all’ Illu- strissimo ed Eccellentissimo signore D. Rinaldo d’Aquino Pico Principe di Feroleto de’ Principi di Castiglione, ecc. ». — « In Napoli, 1729. Presso Stefano Abbate, con li- cenza de’ superiori 8. p. ». Seguita al frontispizio la dedica di quattro pagine, sottoscritta Marcello Lorenzi, e di poi uno schiari- mento sul libro diretto all’ Amico Lettore in cui si legge: « Sappi, che uscendo in questi tempi il pre- » sente libro, non viene ad esser il primo, che si vedesse, stampato intorno a questa materia di Me- nescalco, mentre già se ne ritrovano più d’ uno, ed in miglior forma di parlare, ma non sò, se di mi- glior pratica, e scienza sarà, come il presente: anzi nè meno è moderno con tutto che ora lo vedi stam- pato così semplicemente ( per non essersi in tutto mutato quel barbaro parlare, che in quei tempi era proprio degli nostri antichi) fu egli scritto in greco sin dall’anno 300, e in poi conservato, come ora- colo, benchè oggi dimostrasi quasi rustico, ed incol- to... Indi a capo di 906 anni fu trasportato, ed am- pliato, in latino da due dottissimi Menescalchi di quei tempi, cioè nell’ anno 1206, il primo chiamato M. Marco..... greco nativo della città di Cipro, già Menescalco dell’ Imperatore di Costantinopoli, e 1’ al- » » » ©L 0 tro nominavasi M. Mauro...... tedesco, nativo della . città di Colonia, Menescalco allora dell’ Imperatore d’ Alemagna, e fu per cagione di un certo discorso, ch’ ebbero un giorno assieme su tal’ affare concer- nente detto esercizio, che vantarono per la loro molto pratica, ed esperienza ». « Similmente dopo il corso di 304 anni con gran fatica e diligenza fu tradotto in lingua volgare, ma in quella propria dell’anno 1510, dall’ accorto M. Sergio Stiso, italiano, nativo della città di Brescia, per la somma stima che ne aveva, che lo giudicò precisamente necessario a tutti i M. Manescalchi; ma credendo con una tanta numerosità di copie, av- vilirne il pregio e la stima, lo sopprimè dal pub- blicarlo ». « Di nuovo già oltre passati 103 anni per ordine di uno illustre cavaliere, fu trascritto nell’ anno 1613, e con l'assistenza di Mariano Calò di Le- vante, nativo della città di Pindenissa, suo accorto Menescalco, accomodato all’ uso del parlare di quei tempi. Ma pure a dispetto di tutte queste quattro innovazioni, tuttavia maggiormente era divenuto raro, ed instantemente da molti ancora richiesto ». « Adesso che 115 anni numeriamo dalla detta tra- scrizione, per maggior commodo di tutti coloro che comunemente ed instantemente lo desiderano per addotrinarsene, ed alle repplicate richieste di più illustri e curiose persone, -per zelo della salute dei loro cavalli, si è dato in quest'anno 1728 alle stampe fedelmente, tale quale era, ed è stato sempre: so- lamente modernando in parte alcune parole, che ora parevano assai sconcie e ridicole, senza però quella loro sceltezza, varia erudizione, ed apparato. E pure il timore di forse alterarlo ne ha fatto scap- » » » » » » » » » » ui De pare qualcheduna (come sono quelle dell’ infer- mità, acciò sia maggiormente inteso dalli M. Me- nescalchi di oggidì, che non sono troppo ceruscanti ed intendenti di testi di lingue, ma si attengono sempre al puro delle prime voci antiche), la quale credo che a qualche occhio critico sarà di gran mo- lestia, e ancora di sommo crepacuore a qualche in- vidioso ed ignorante, che presume di sapere, niente sapendo ». « Finalmente sappi che la fedeltà e semplicità sono state due virtuose e care sorelle sempre amiche della verità, e questa si rappresenta ora in codesto libro, diviso in quattro parti. Mercè che, nella prima parte in dodici capitoli si discorre secondo la no- . tomia del cavallo di molte particolerità utilissimme a sapersi. Nella seconda parte con cinquantaquat- tro capi si dimostran per pratica le infermità del cavallo, e come sì devono curare. Nella terza parte, sotto quasi dieci capi si accennano alcune infer- mità delli bovi, che potranno curarsi. Nella quarta parte, circa una dozina e mezzo di numeri si re- gistran quei medicamenti che più o meno sono usuali all’ esercizio del vero Menescalco. Ciò è quanto ti volevo avvisare, non occorrendomi altro, vivi felice. XXIV. Per far conoscere gli argomenti discussi nell’ opera dei due Maestri e le denominazioni singolari e poco esatte date ad alcune malattie riporteremo l’ Indice dei Capitoli : Cap. Cap. Cap. Cap, Cap. —__ St 00 PARTE PRIMA. - Della Notomia del Cavallo. Va e . Numero, quantità e principio delle sue ossa. . Numero, quantità e principio delle sue vene. . Numero, quantità e proprietà delli suoi in- testini. . Proprietà della sua carne, e coiro. Delli segni del Zodiaco, per li quali cammina il sole e la luna in tutto l’anno, e quanto tempo vi stanno per segno, e degli giorni infausti di ciascuno mese. . Allazzar le vene, e perchè si dice allazzare. Lo scogliare, o sia castrarlo. . I segni per conoscere un buon cavallo. Altri segni, cioè delle qualità del pelo. . Per fare un cavallo corridore, ed allenato. Li stalloni alle giumente come si devono dare, quali esser devono, e di che SR sono naturali. . Governo delle giumente, che stanno per par- torire. PARTE SECONDA. Della Infermità del Cavallo. Verme Abulatico. . Gli strangoglioni. . Ciamorro spurio. Ciamorro vero. Il capitato. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. . Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. 6. 7. 8. 9. SS La schinazia. Il tiro, ovvero capistotico. Lo anticore. Lo piello. 10 La febbre celiaca. 11. 12; 13. 14. 15. 16. 4/7: 18. 19. 20. 24: 22. 23. 24. 25: 26. 4 f 28. 29. 30. 31, 32. do 34. 39. 36. La febbre lunatica. La febbre flemmatica. La febbre accidentale. La febbre prima, o sia umorale. La febbre seconda, o sia focosa. La febbre secca. La febbre Regnonale. Lì dolori e le loro specie. La stranguglia, La colica. Lo spallato. L’intrapreso (1). Le cataratte. La corba. La sciatica. La spogna, osia resche, o crepaze. La chiovatura o chiovagda. La formella. Gli nervi tirati. Lo sopprosso , osia spinello. Le galle o sian aquarole. Il tinto (attinto-attintura). Gli porri. La riprensione. L’intronatura (si diceva pure nervo PRO, La gotta o lo deslenato. (1) Nell’ originale è omesso il Capitolo 23 il quale tratta della Ciarda, perciò in questa parte sono capitoli 58. Fal Lo para Cap. 37. Lo. ianco. Cap. 38. La rogna. Cap. 39. Delle fistole. Cap. 40. Il cancro. Cap. 41. La coda guasta. Cap. 42. Se sarà ferito. Cap. 43. Lo spavano. Cap. 44. Lo falso quarto. Cap. 45. Gli cerchi. Cap. 46. La favatica, osian buccinetti, e male nella Lingua. | Cap. 47. Gli fettoni. Cap. 48. La gotta, osia cascare delle labbra. Cap. 49. Delli panni degli occhi. Cap. 50. La tosse. Cap: 51. La dissolatura. Cap. 52. Il prodito della coda. Cap. 53. Lo polmoncello e lo spallaccio. Cap. 54. Lo garrese. Cap. 55. La setola cavallina. Cap. 56. L’ allupato ( morsicato dal lupo). Cap. 57. La gotta osia Bolsia. PARTE TERZA. In cui sì tratta delle Bovi. Capitolo unico. Cap. 4. La spurchia osia querentena. Cap. 3. Lo impolmonato. Cap. 3. Lo abbottare. Cap. 4. Gli rospi e gli rizzelli. Cap. 5. Lo spallato. Cap. 6. Gli piccionizzi. Gap. 7. L’infustito. Mu Jr Cap. 8. Lo stargeturo, osia collo enfiato. Cap. 9. Tutte le otto sorti delle febbri bovine (1). PARTE QUARTA. Delli medicamenti per li Bovi e Cavalli. Cap. 4. Bagno cordiale ecc. Cap. 2. Beverone generale ece. Cap. 3. Cataplasmo mollificativo. Cap. 4. Altro cataplasmo ecc. Gap. 5. Empiastro ecc. Cap. 6. Lenitivo per nervi ecc. Cap. 7. Altro lenitivo ecc. Cap. 8. Rottorio bianco ecc. Cap. 9. Rottorio negro. Cap. 10. Stritturo ecc. Cap. 11. Stritturo per bovi ecc. Cap. 12. Unguento rosso ecc. Cap. 13. Unguento verde ece. Cap. 14. Unguento negro. Cap. 15. Unguento incarnativo ecc. Cap. 16. Unguento ciriaco. ecc. Cap. 17. Unguento per l’ ugna ecc. Cap. 18. Unguento ecc. Cap. 19. Unguento per l’ enfiazione ecc. XXV. Gl’insegnamenti di Maestro Mauro e Marco rela- tivi alle malattie dei bestiami, quantunque di poca (1) Come nel Vegezio si chiamano 4.° Malea umida; 2.° Malea secca; 3.° Malea ritolare (articolare); 4.° Malea interna; 5.° Farcimi- nosa esterna; 6.° Farciminosa minuta (rogna); 7.° Irruchina pessima; 8.° Smania vera. Vins fg importanza, pure meritarono di essere approvati da molti; l’ erudito Ippolito Venturi, ad esempio, fece co- scere che nella Biblioteca di Siena si conserva un co- dice di Mascalcìa di Maestro Mauro e Lorenzo romano, dettato ed ordinato nel 1345. M. Marco sotto il nome di Mario è pure citato dal Signorelli per confermare che scrisse un’ opera veterinaria sui morbi dei buoi e dei cavalli, volta in italiano nel 1512, la quale conser- vavasi manoscritta nella Biblioteca Barberini. Giov. Battista Ferraro, a pag. 78 del suo terzo libro, espone che vi fu quistione ìntorno al salasso fra Marco greco e Mauro tedesco, alla presenza dell’ Im- peradore di Costantinopoli, volendo Marco che si toc- casse, e l’ altro che si troncasse interamente la vena ecc.; a pag. 101 nell’ enumerare 1 rimedî convenienti ai porri e a’ pedicelli cita una maniera di cura pro- posta da Mauro Coloniense. Parlando della Riprensione, a pag, 104, dice: « cotale medicamento è molto ce- lebrato da Mauro tedesco, nondimeno M. Giov. Marco greco loda a’ cavalli ripresi le sagnie degli scontri », alla pag. 115, accennando allo Spavano detto anche Spavento, per cui il cavallo suole alzar le gambe più del dovere, mentre consiglia l’uso di un empiastro emolliente dopo l'applicazione del fuoco, aggiugne che Marco, greco, fa ne’ suoi scritti fede, che con la sperienza riesce maraviglioso, avendo con tal medi- camento guarito un cavallo favoritissimo dell’ Impe- radore suo padrone. XXVI. Per aver discorso di due autori stranieri di vete- rinaria, non abbiam creduto mancare al proposito fis- sato di non parlare che de’ nostri. Dovendo pur dimo- 4 Si strare che i testi di M.° Mauro e Marco esercitarono una grande influenza sui principali scrittori ippoia- trici del XIV-V e VI secolo, non potevamo per ciò stesso dimenticarli: Pasquale Caracciolo si riporta so- venti volte a M.° Mauro e Marco qualificando per te- desco il primo, e per greco il secondo. Non potendo tenere nota di tutti i luoghi in cui vengono citati, ricorderem solamente che riferisce le parole di M.° Mauro dove dice, il dolore nel cavallo non esser altro che una colica passione, o troncatione, per dir così; del- l’ intestina (1). ti XXVII. fa Lorenzo Rusio Romano 1288. Arrivati al punto di dover parlare di Lorenzo Ru- sio e dei principali codici e testi a stampa che ci rimangono di quest’ autore, confermiamo ritenersi per noi determinata l’ età in cui visse, sia con ciò che ab- (1) N prof. Metaxà in una nota posta a pag. 63 del suo Trattato delle malattie epirootiche e contagiose, scrisse: « Sul principio del secolo XIV e precisamente nell’anno 1316 un tal Maestro Mauro, greco, dell’ isola di Cipro, insieme con un altro marescalco tedesco, al servigio dell’ Imperatore di Germania, pubblica- rono un trattato di veterinaria sulle malattie de’ cavalli e de’ buoi, pre- ceduto da un saggio anatomico con figure. Quest’ opera, che sembrami di poca considerazione, fu tradotta dal latino in volgare nell’ anno 1512, ed esiste nella Biblioteca Barberina. Rinvenni nella medesima anche un voluminoso e deforme Ricettario di Mascalcia, manoscritto composto da un tal Mastro Fatio, e copiato in Conversano l’anno 1633 ». H primo benemerito compilatore della Biblioteca Georgica, ossia del Catalogo ragionato degli scrittori di agricoltura, veterinaria ecc., il Pro- posto Marco Lastri, ricordò Ztonzini Lorenzo altrimenti detto Rusio di Or- vieto, celebre manesealco di Roma sul cadere del secolo XIII. i dirà Fl lc da Sa dn: (Nex | pre a biamo esposto neì preliminari al pseudo Ippocrate, sia per quello che già sì è detto. Non è però a trascurarsi una circostanza a giustificazione di quelli che lo vollero vissuto più tardi, ed è il leggersi in alcuni codici, indicatavi per errore, la dedica al Cardinale Nicola, invece che a Napoleone Orsini, vissuto molto prima. Da grande numero di scrittori e di opere di agro- nomia e di veterinaria, venne per ben cinque secoli di seguito citato Giordano Ruffo, ma non lo fu meno Lorenzo Rusio; de’ quali due autori esiston forse co- dici dettati in siciliano, che furono argomento di utili rilievi pei cultori della nostra favella perciò che ri- guardava Giordano; e diverranno in più ampie pro- porzioni ora ch'è dato a grande numero di persone consultare il libro di Rusio scritto in uno dei ver- nucoli di Sicilia, che va noverato fra i più. antichi, quale appunto si è quello che pubblichiamo. Il libro di Rusio non solamente servì a parecchie compilazioni successive di opere di veterinaria, ma soccorse persino i più celebri cavallerizzi, fra i quali sono degni di speciale ricordo Pasquale Caracciolo di Napoli e Claudio Corte di Pavia, che confessa di es- sersi servito anche dell’ opera di Lorenzo Roscio. Il cognome del nostro Rusio vuol essere annove- rato fra quelli che hanno sofferto le più grandi va- riazioni, essendo stato chiamato a vicenda Roscio, iso, Rugino, Russone, Risus, Russus, Risi, Ron- zino. A proposito di che rammenteremo col profes- sore Luigi Metaxà una fra le più antiche edizioni del libro di Rusio nel primitivo testo latino, ra- ramente ricordata dai bibliografi, che il dotto au- tore allegava colle seguenti parole: « L’ edizione di » Parigi, in folio, del 1532 viene da tutti i bibliografi » annunziata per la prima. Io per altro ho il piacere | O n » di possedere un rarissimo esemplare di Rusio del » secolo XV, il quale benchè senza data, e senza » nome dell’ editore, pur non ostante si rileva che » dev’ essere stato pubblicato in Roma verso il 1490, » coi caratteri di Silber ». Ed in una nota risguar- dante codesta edizione aggiugne: « Incipit tabula om- » nium capitulorum libri presentis de natura, electione, » ac omnium morborum equi cognitione et curatione » Laurentii Rusonis multa experientia, et sollicitudine » edocti. Insuper magna diligentia examinati de libro » Alberti Magni de animalibus, et ceteris pluribus de » natura equorum scribentibus in unum fasciculum » collecti feliciter. Segue l'indice de’ capitoli e quindi: » Incipit liber Marescalcie compositus a Laurentio » dicto Rusio familiari Reverendi Patris Domini Nea- » poleonis sancti Adriani Diaconi Cardinalis epistola, » sive prohemium. Nel fine dell’ opera: Explicit liber » Marescalcie equorum compositus per Laurentium » dictum Rusium de Urbe Marescaleum et familia- » rem reverendi Patris Domini Neapoleonis de Ursi- » nis S. Adriani Diaconi Cardinalis ». L’ espertissimo prof. Metaxà, all’ appoggio di quanto si legge nell’ edizione da lui posseduta, ritenne che il cognome dell’ Ippiatro Romano fosse quello di Ru- ‘sone e non di Rusio (1). (1) La prima edizione sin qui nota del testo latino di Lorenzo Rusio si è quella che i bibliografi dicon essere di Spira fatta coi tipi di D. Dranch nel 1486 o circa (v. Hain, Brunet, Graesse ece.). Un esemplare di quest’ edizione, ch'io tengo sotto gli occhi, legge come segue: « In- » cipit Tabula omnium || capitorum libri presentis || de natura, electione » educa || tione, gubernatione, ac om || nium morborum equi, cognitione » et curatione. Lau || rencij Ruzonis multa experientia et solicitudine » edo || cti. Insuper magna diligentia examinati de libro Al || berti magni » de animalibus et ceteris pluribus de na |! tura equorum scribentibus A BR XXVIII. L’opera di Rusio fu fatta tradurre in volgare da Michele Tramezzino e stampata in Venezia nel 1543 e 1550 o 1548 (abbiamo le edizioni del 1543 e 1548). Girolamo Cavalcalvo ne fece un’ edizione, pure in Ve- nezia, nel 1569, ma il testo è più alterato di quello del Tramezzino. In Francese fu ridotto il libro di Rusio, come ricorda Metaxà, da Bernardo Du-Poi Monclard e pubblicato in Parigi l’anno 1563. De Lafont Pauloti, nel suo libro che ha per titolo: Nuovo metodo per le razze, parlando di Rusio, si mostra assai accurato nel ricordare le edizioni fran- cesi dell’ opera esistenti sotto le date del 1533, 1560, 1563, 1583, 1610, ma non lo è poi ugualmente in ordine alla materia contenuta nell’ opera di Rusio, poichè se l’ avesse esaminata, non avrebbe potuto scri- vere, che Lorenzo Rusio, diffidando delle proprie co- gnizioni, prese il savio partito di riportarsi a quanto aveva detto Crescenzio, copiandolo parola per parola, senza mutare nè l’ ordine, nè lo stile. Simigliante os- servazione può solamente ìn parte essere ammessa pel Crescenzio medesimo, che si giovò di Giordano » in unum fasiculum col || lecti feliciter ». Ed infine nella carta XCIX ter- go: « Explicit liber Marescalcie || Equorum compositus per Laurentium di- » ctum rusi || um de urbe Marescalcum et familiarem Reveren || di patris dni » Neapoleonis de ursinis sancti Adria || ni diaconi Cardinalis ». È chiaro per conseguenza che |’ edizione di Roma, veduta dal Metaxà, che l Ebert e i suddetti bibliografi tengono fatta da Eucherio Silber nel 1490 o circa, non deve riputarsi la prima. Non posso poi dire se la romana ricopii la spirense, o vero sia cavata da un codice, non avendo avuta la fortuna di vedere quest’ edizione, che sembra essere più rara assai di quel che si crede. Relio + 0 Ruffo, non già per Rusio, quantunque nemmen que- sti abbia ignorati i precetti di Giordano, e ne approf- fittasse nel modo stesso con cui ebbe a valersi del- l’ opera degl’ Ippiatri greci, di Maestro Mauro, di Ip- pocrate ecc. Il dotto raccoglitore di codici veterinari, che fu Tommaso Giuseppe Farsetti, di Rusio posse- sedeva i seguenti: 1.° « Libro il quale tracta di Malischalcheria, facto et composto per Lorenzo da Roma, famiglio del Re- verendissimo Padre et Signore Messer Napoleone Car- dinale di Sancto Adriano ». Il prologo comincia: Intra — ghi animali ecc. L’ opera comincia: Lo cavallo alcuna volta è caldo di natura ecc. Cod. cart. in 4 del Sec. XV. 2.° Nella Biblioteca Baluziana sì registra fra i mss. Trattato della Mariscalcheria per Lorenzo Ruzio, nè più se ne dice. 3.° « Libro di certe belle sperientie et medicine et rimedi a più malattie vengono alli cavalli, le quali sono molto buone e provate. Come al mal del verme ecc. ». Di quest’ opera, che serve dì giunta a quella del Rusio, non vediamo l’autore; sembra però che fosse scritta nel secolo XIV, nè mai si stampasse. In essa più di una volta si cita il Rusio stesso, ed al capo 53 viene allegato un Libro delle cure di Mastro Gherar- dino da Firenze. Nel codice Zeniano sopraccennato, dopo l’opera del Rusio, si trova una continuazione scritta parte in latino e parte volgare, da un Martino di Bologna; il quale, al dire del Fantuzzi, scrisse pure nel XIV secolo le: Additiones facte per M. Martinum de Bononia super libro de Mariscalcia. V' è pure un’ al- tr’ opera latina di Mascalcia, composta da Uberto di Cortenuova, Conte e Canonico di Bergamo. Di que- a statici et cpr VS sto Uberto da Cortenova trovasi un manoscritto al- tresì nella Biblioteca Vaticana (1). Il preclaro professore Molin notò i seguenti co- dici dell’opera di Rusio; il primo, che disse bellis- simo e conservato nella Biblioteca della famiglia Ma- latesta di Cesena, indica -colle seguenti parole: « In- cipit liber Marescalcie equorum compositus per Lau- rentium dictum de Ruccis de Urbe Marescalcum equo- rum....... *. Il secondo, descritto dal Morelli nella Biblioteca Farsettiana, ha il seguente titolo: « De universa equo- rum ratione Laurenti Rugini praeclarum opus ». XXIX. Dopo aver enumerati parecchi antichi codici di Rusio non ci fermeremo a descrivere i due nostri, che sì leggeranno per la prima volta stampati; la loro anti- chità ce li assicura netti dalle interpolazioni posteriori, che in tanti casi alterano i concetti dell’ autore. Delle poco laudabili aggiunte fatte a talento dei copiatori dei testi non vanno esenti nè il bel codice della Par- mense (N.° 315) del sec. XIV memb. in.fol. con mi- niature ed iniziali rosse, il quale ci conserva il vol- garizzamento di Rusio fatto da un Frate Antonio da Barletta; nè quello che si possiede dal Conte Ercolani, uguale nel testo e con poche varianti nelle disposi- zioni de’ capitoli: ma in entrambi troviamo tante volte citato il Mantovan poeta, il poeta ecc. quasi che Vir- (1) Nel Codice di Rusio di Venezia Molin lesse le seguenti parole relative ad Uberto: « Cupiens ego Ubertus de Curtenova Comes et Ca- » nonicus Pergamensis sub certis titulis per ordinem compilare tracta- » tnm de segritudinibus equorum ecc, ». # * NED ge gilio fosse il vero autore di quei testi. Il titolo del- l’opera nel codice della Parmense è posto in volgare, in quello del prelodato professore è in latino e con- sta delle seguenti parole: (Incipit liber de signis bo- » nitatis et malitie equorum èt de ipsorum infirmi- » tatibus, causis et curis, editus a Magystro Lau- » rentio de Urbe, dicto Russo, deductus demum in » latinum idioma a fratre Antonio» de Barulo ». i Il testo latino del nostro codice corrispofide in ogni sua parte col vulgare siciliano, e si può dire che nulla da mani imperite sia mai stato aggiunto al medesimo; per esso si conoscerà pure il grandissimo numero di errori esistenti nell’ edizione dì Parigi 1532, e come questa sia lontana dal meritare la stima che ha avuto. Non discuteremo sull’ importanza del testo si- ciliano, bastando a noi il far osservare che non avemmo mai a trovar ricordata alcuna versione del Rusio in volgare siciliano; e che ora per la prima volta ver- ranno sotto gli occhi de’lettori importanti aggiunte sincrone nei due testi (4). (1) Avendo noi uno speciale interesse a dimostrare l'influenza del libro di Rusio nei progressi della veterinaria anche presso le nazioni straniere, dopo: quanto dicemmo in ordine alle traduzioni francesi del testo latino, non sarà senza utilità | avvertire, che anche la Spagna, avvantaggiata pur tanto nelle cognizioni mediche in generale dalle opere degli Arabi, non dimenticò lo scrittore Veterinario di Roma, anzi pos- siam dire che lo predilesse sopra tutti. Se ne ha una prova nell’ opera composta da Pedro Garcia Conde (Verdadera Albeyteria, Barcelona 1734 in fol. fig.) pubblicata nel 1684 per la prima volta. Questo Autore incomincia il suo libro con un compendio dell’ Ana- tomia del cavallo a cui è premessa una tavola del nostro Ruini: il testo è compilato sulle opere di Galeno, di Avicenna, di Vigo da Rapallo, di Valverde, di Guido da Cauliaco, celebre professore di Chirurgia francese, ecc. e dei Veterinarii suoi conazionali Fernando Calvo, Miguel de Para- cuellos, Martin Redondo ecc. Ebbe perfetta cognizione dell'opera degl’ Ip- n alte nn > > — 57 — | Or ecco quanto cì accade di confessare intorno al dubbio sorto in noi sull’ essere il testo vulgare piut- piatri greei Jerocle, Ippocrate, Teomnesto e degli altri; li ricorda. par- ticolarmente parlando del Muermo o Reuma, che dice corrispondere alla Malide dei greci, di cui enumera le quattro specie ammesse, cioè: Malida Humeda, Malida Cutanra, Malida Articular, Malida Seca, per venire a eoncludere che se ne ponno ammettere due sole specie, modi- ficando per tale maniera la dottrina dei greci e di Vegezio. Incomincia } autore a riportarsi a Rusio ed a Maestro Mauro nel ca- pitolo relativo ai Verme (Berme o Cucaz) e vi si affida discorrendo de la Zimorra. Non si potrebbe però indicare l'edizione di Rusio che servi al Veterinario spagnuolo, poichè le citazioni, che ne fa, non corrispon- dono alle edizioni più conosciute, come ad esempio, trattando de /os Al- barazas, Empeynes o Pustulas del cavallo asseri che Rusio ne discorre al cap. 179 fol. 193, mentre nel luogo citato | ippiatro Romano indica i rimedi utili contro il morso dei serpenti, ed è nel.capo successivo che accenna i rimedii contra la Morfea, la Spergine o Volatica e la Impetigine. i L’autore spagnuolo seguitando a raccogliere i fatti e la dottrina di Rusio, arriva a trattare della maniera di descolmillar @ los cavallos, ciò di cavare o strappare li denti scaglioni. Insegnò Rusio fra i primi, e con pochi, che al fine di procurare bocca” perfetta all’ animale, era necessario frargli con ferri facti a ciò i quattro denti scaglioni. Codesta operazione venne raccomandata da Rusio cap. 40 per mantenere più sen- sibile la bocca del caval o e poterlo ritenere quando è riscaldato, dopo di che era mestieri adattargli il freno conveniente ali scaglionati ; è vero infatto che i denti scaglioni avversano, come diceva Rusio, V azione del freno, e da ciò era giustificata |’ utilità dell’ operazione sopra cavalli focosi, che mantenevansi per lo più interi, e servivano nelle pompe e .nei tornei, che nei secoli decimo quinto e sesto, erano modi di festeg- giamento comuni agli spagnuoli ed agl’ italiani. L'Opera di Conde è adorna di alcune tavole portanti i disegni e le ‘indicazioni delle malattie del cavallo; ma l autore spagnuolo ha diviso sopra quattro disegni quello che Grisone abbracciò in un solo: la prima tavola porta le sole infermità della testa; la seconda quelle delle parti interne, ossia della cavità vitale, il petto, e della cavità naturale o del- addome; la terza rappresenta le malattie esterne o quelle degli arti; in una quarta tavola sono indicate alcune infermità, che non poterono essere comprese nella precedente. ss BRcS tosto siciliano che romagnuolo o sardesco. Ricorremmo ai lessici di que’ linguaggi, nè potemmo essere a suf- ficienza chiariti: rivoltici poscia a persone dotte della lingua od in altro modo competenti per giudicarla, ci venne fatto di acquistare la certezza che veramente è scritto in siciliano. L’ illustre professore Alfonso Corra- di ebbe la premura di dimandare a persone versatis- sime nei dialetti siciliani, un giudizio sul codice in discorso, giudizio che valse a confermare essere scrit- tura molto antica nel linguaggio dell’isola. Interrogammo sull’ argomento l’ esperto cultore de- gli studi Medici e Veterinari, Dott. Giuseppe Filia, il quale, nativo dell’isola di Sardegna, poteva proce- dendo per altra via chiarire gli espressi dubbi; in- fatti dopo aver letto il cap. 42, trascritto nei preli- minari ai trattati di Mascalcia, ci rispose assicurando che era dettato in vero dialetto siciliano, e a darcene più sicura prova trasportava le seguenti linee in lin- guaggio sardesco. Siciliano. Cap. 42 quante fiata in annu se deia sa- gniare lu cavallu. Sardesco. Cantas bortas in l’annu si depet, o de- vede, sagnare, o sangrare, lu caddu o lu cabaddu o lu quaddu. Siciliano. Quactru fiata in annu ene da sagniare lu cavallu per conservarlo in sanetate; sangese lu ca- vallu del accostumata vena,de lu collu. | Sardesco. Battoro bortas et pro lu cunservare in salude, o in sanitade, si sangret dae sa costumada vena de su collu, o de sie tuggiu. Se l'autorità di persona cotanto valente sembrasse a qualcuno non sufficiente, ricorderemo che nel no- stro avviso avventurosamente venimmo confermati dalla dotta serittura del Prof. Vincenzo. Di Giovanni, SIR AI TR I e 0 ina nella quale si discorre dell’uso del volgare in Sarde- gna e in Sicilia ne’ secoli XII e XIII. Le accuratissime osservazioni che si contengono in questa memoria sia intorno all’ antichità del volgare Siculo, sia per ri- guardo all’ uso degli articoli e lo, sia circa il modo di terminare le parole in quel linguaggio, non ac-. consentono di mettere per alcun titolo in discussione la qualità della lingua, che servirà anche da questa parte a rendere più commendevole l’ opera dell’ ippia- tro romano. 5 XXX. Dino di Pietro Dini dal 1552 — 1559. La dichiarazione lasciataci da Dino di Pietro Dini di Firenze sul libro da lui compilato ci da l’ asso- luta certezza che impiegò nel compierlo lo spazio di tempo compreso fra il 19 gennaio 1352, in cui co- minciò a scrivere, ed il 29 dicembre 1359, in cui ar- rivò al termine del suo prezioso lavoro (1). Apparisce presto l’importanza dell’ opera di Dino non tanto per ciò che si riferisce alla lingua nostra, poichè dai cul- tori tutti della patria letteratura si fa gran conto delle scritture dettate da’ toscani nel quarto decimo secolo, quanto dall’ essere riuscito il coscienzioso autore a pre- sentarci i libri di Vegezio in un volgare illustre, ed (1) Abbiamo ritenuto il periodo di tempo fissato da Heusinger quan- tunque nel cod. Ercolani si legga: « si che per la gratia del nostro » Salvatore Gesù Cristo, io di nuovo ho arecato al fine il mio grosso » volume nell’anno 1339, a di 29 dicembre, il quale con gran fatica » e studio è venuto, e si per lo leggere e studiare lungamente i diversi » e grandi libri di quest’ arte, et si per chiarire gli oscuri vocaboli di » Vegetio ecc. ll MES avercelo di volta in volta arricchito di notizie preziose per la storia della Veterinaria nell’ evo medio: l’ Ita- lia in questo tempo coltivò con singolare amore la medicina dei bruti, la quale potè con sicurezza man- tenersi perchè fu retaggio di particolari famiglie. Il che era conforme al bisogno, trattandosi di una di- sciplina per la quale non esistevano istituti di studio in nessun luogo. Si può leggere anche negli scrittori del decimo sesto e settimo secolo, come Marcone, Siliceo, Ferraro, santa Paulina ecc.; che i medesimi erano venuti a render pubbliche specialmente le opere de’ loro antecessori, i quali quando da cento, quando da cencinquant’anni professavano l’arte utilissima. Codesta verità \iene affermata da quello che Dino la- sciò scritto di sè e della sua famiglia nel prologo del terzo libro dove dice: « Io ebbi un mio avolo per il » quale ho il nome. Esso fu Marescalco e fu tenuto » il sommo della patria sua, cioè Firenze, et ebbe » un suo nipote che fece similmente l’arte, et hebbe » anche ei nome nella nostra città. Questo mio avolo » hebbe tre figlioli; il primo hebbe nome Christofano; » questo presso il padre tenne il pregio della Mare- » schalchia et avantiolo; il secondo hebbe nome Pie-, » tro; questo fu mio padre, et avvanzò nell’ arte Chri- » stofano; a sua vita et assaissime volte fu ripreso » Christofano da Pietro perchè metteva troppo bal- » danziosamente con ferri le mani adosso li cavalli; » imperocchè se ne hanno spesse volte grandissime » vergogne. Il terzo hebbe nome Agostino; questo fu » assai convenevolmente sufficiente, ma non si ap- » pressò ai fratelli. Morì Christofano assai giovane, il » che fu gran danno, onde tutto il pregio rimase a » mio padre; egli ebbe un figliolo in sua giovinezza, » hebbe nome Giacomo; quando fu d’ età convene- POE > AA » vole, miselo all’ arte, et a homo fatto, sufficiente » nell’ arte, passò di questa vita. Onde vedendo mio » padre, che appresso di sè niuno de’ figlioli rima- » neva nell’ arte, mi sforciò a lasciare il studio della » gramatica, e a venire all’ arte; onde denanzi a me » furono di mia gente, lun presso all’ altro, e chia- » scheduno famoso Marescalchu, sei et io il settimo; » et perchè vegio molti, che per vantarsi con bugie » e con importunità, ton alcuna volta l’arte de’ » mani a miei pari; per questo sdegno mì son posto » in cuore d’ essere l’ ultimo de’ miei di quest’ arte ». XXXI. Anche l’antico nostro Dino sentì dunque alta- mente di sè, e conscio dell’ uguaglianza di merito e d’ importanza che si deve assegnare alle scienze, non volle che altri di sua famiglia seguitasse ad esercitare la Veterinaria perchè caduta nelle mani di imperiti e d’impostori, che la condussero a quell’ avvilimento di cui anche al presente serba traccie troppo gravi e dolorose. Se tutti i maniscalchi della famiglia dei Dini do- vettero avere rinomanza in Italia, una ben maggiore avrà saputo conseguire Dino, perchè più degli altri avvanzato negli studi, avendo egli appreso gramma- tica, ciò che a quei tempi valeva la filosofia intera, e convertito in volgare il sommo libro di Vegezio, compendiandolo a vantaggio delle persone dedite al- l'esercizio della Veterinaria. La famiglia dei Dini do- veva pure essere proprietaria o di un officina farma- ceutica, o di una bottega per ferrare i cavalli, perchè nel quinto libro, discorrendo dell’ unguento rosso, ri- corda che era così chiamato nella sua bottega. Weir Il colto Dino, di mente elevata, non cedette alle superstizioni del suo tempo, e biasimò il metodo di curare i mali a mezzo d’incantagioni; l’ astrologia deturpò sin d’ allora l’ arte del medicare gli uomini e gli animali; ma egli non vi si accostò, anzi seppe rimproverare coloro che vi prestavan fede. Al capo ottavo del terzo libro contraddice nettamente coloro che credono per mezzo d’incanti guarire da certi mali; ivi discorre del Farcino e racconta che alcuni si sono vantati di liberare questa infermità; tutte sono favole, perchè assai n’ ho veduto incantare, liberare nessuno. Nè Dino fu solamente il biografo ed il lodatore della propria famiglia, ma estese quelle lodi a. tutti coloro che a’ suoi tempi nella sua Toscana si segna- larono nella pratica dell’arte. È compito della storia ripetere con lui quanto ebbe a dire nel prologo del suo quarto libro: « Nominerò, così egli scrive, per » i loro nomi quelli che al mio tempo erano nomi- » nati, benchè la maggior parte ne sia morti, a glo- » ria della loro eccelsa fama, degna d’ ogni memoria, .» et acciò che ognuno s’ingegni d’ operare quest'arte » sicome fece il valente Minuccio, del bon cittadino » d’ Arezzo, et Marescalcho d’ un nobile Ministro, lo » Vescovo Guido, Vescovo e Signore della medesima » città. Il quale Minuccio non solo era sufficiente nel » bel marescalcare, ma bello parlatore, e gratioso in » imbasciate, alla quale bisogna il suo Signore l’ ado- » perava; costumatissimo e di bella maniera; questo » come ho detto , fu sufficiente in marescalchie, ma » non seppe delicatamente ferrare. La città di Cor- » tona adorna il bon Maestro Pietro, huomo sufficien- » tissimo nell’ arte, il quale usò la pratica del ca- » stratore, tanto leggiadramente, che non era alcuno » cavallo così aspro, che dritto, senza ligarli i piedi, Re PTT £ È SEI CIONI 0 Dea non gli cavasse li granelli; è vero che gli metteva un pajo de morse al naso; altro non gli faceva che si vedesse; ma molti sono d’ opinione che per vir- tuose parole l’ animale stesse quieto. (Questo dopo la morte di Minuccio fu presso il vescovo predetto. E Messere l’ Imperatore Federico hebbe presso di se Maestro Andrea; hebbe gran pregio in marescal- chie et haveva questo in se, che quando, vedeva alcuno cavallo ammalato d’ alcuna infermità. che fosse sul Vegetio, subbito diceva: a cotanti libri, a cotanti cap. et a cotante carte, troverai questa infer- mità: questo era il segnale che perfettamente ha- veva nella testa il nobile libro. Questo fu messo, dal suo Signore, Capitano di gente d’ arme a cavallo, ed in una battaglia in Lombardia honorevolmente fu morto. È Caperozolo sufficiente nell’ arte, habi- tante e cittadino della ciltà di Arezzo; gran pregio portò il suo figliolo et arrivò d’età d’anni cinquanta al mio tempo, con il quale spesso usai quando ve- neva nella nostra città. In marescalchìa hebbe gran pretio il sufficientissimo Guglielmo Lucci dalla Scar- peria, nato nel contado di Firenze, et habitatore nella nostra città; hebbe l’arte del ferrare, et special- mente con sottile ingegno ferrò un reo piede per- fettamente; penava molte volte le due parti d’un . dì a ferrare un solo piede che fosse reo, di ricco e nobile cavallo, et molte volte stava due o tre dì a ferrare il cavallo da tutti quattro i piedi; et tolse assai volte d’ un ferro solo, messo a un piede, un fiorino d’oro, e sono d’ opinione che tutto il per- fettamente ferrare, che fu e che sarà, fosse in lui, e ferrò sotilissimamente. I ferri suoi erano bellissimi e pieni di ferro e pari senza vederli (vedervi) su colpo » di martello, bene ritratti et uguali che pareva ch’ ha- SPARI) per » vessero havuto la sesta; i chiodi che metteva erano » sottilissimi e devoli (deboli) e mettevane assai per pie- » de, e mettevane ad un ferro grande 15 o 14; più volte » lo stetti a vedere; e di molte cose sottili nel ferrare » trassi da lui, anco nel vedere de’ suoi ferri e dei » piedi di sua mano ferrati; del mascalcire dicoti » che non ne seppe nulla, et più volte curai l’ infer- » mità che gli erano uscite di mano, alle quale non » sapeva dare rimedio. Questo al mio tempo era in » età di 50 anni in su, et di 60 morio, et io gio- » vene de trenta, o poco più, l’aiutai portare alla » sepoltura; ed essendo in età de quindici in dicia- » nove, molto udii ricordare Valentiniano da Gulia; » questi andava molto adorno de’ vestimenti; assai » volte udii dire che era vestito di scalata; il capuc- » cio, il mantello foderato di vajo e con le cintole » d’argento, e teneva grandissima continenza. Molto » gran parlatore e di gran promesse, nell’ arte non » trovai mai ch’ havesse fondamento di bono Mastro ». Non seguiteremo il veridico Dino nel racconto che ci lasciò della imperizia e superbia di Valentiniano, il quale presumette guarire dalla zoppicatura un cavallo, del nobile Ugone della Casa Delmonte, coll’ assoti- gliare la cassa del piede corrispondente sano sino al vivo e farlo battere poscia con un martello forte sul guscio. Di simili impostori non siamo liberi nè meno presentemente, e noi dobbiamo combatterli, non già col far loro tagliar la mano, come pretendeva Messer Delmonte, con la quale colui aveva voluto quastare il cavallo che si doleva da un lato, e volevalo fare dolere dell’ altro per fare che Vl’ andasse pari; ma col popo- larizzare la scienza ed invocare sulla medesima la pro- tezione che le leggi concedono ad altre meno di que- sta importanti. SCSI GI, Qi XXXII. Quanto abbiamo ricavato dal libro prezioso di Dino potrebbe condurci a molte e non lievi osservazioni, tanto nell’ ordine scientifico, quanto nello storico; ma lo faranno a suo tempo gl’illustri che han pro- posto di stampare il testo del Maniscalco toscano; a noi il far voti perchè questo avvenga, ed avvisare intanto che se due prologhi contengono cose di tanto momento, ben ricca sarà la messe da raccogliersi nell’ opera intera. D’ una cosa dobbiamo noi pure gio- varci, per dimostrare che l’arte che si diceva mascal- co non era quella d’ oggidì, poichè con essa presen- temente viene indicata l’arte di applicare i ferri ai piedi dei giumenti, mentre allora significava quella di curare le malattie del cavallo. Lo prova il signifi- cato attribuito da Dino al verbo marescalcare e ma- scalcire; lo dimostra l’ osservazione da lui fatta intorno a Guglielmo Lucci, il quale fu mirabile nel ferrare, ma nel mascalcire non ne seppe nulla. Si deve an- che far caso dell’ aver detto che Maestro Andrea ebbe gran pregio in marescalcie, imperocchè tutte quest’ e- spressioni conducono a correggere nei lessici il senso attribuito alla parola Mascalcìa. Daremo compimento all’ analisi dell’ opera di Dino Dini osservando che le pazienti ricerche rivolte al rinvenimento di scritture antiche di Veterinaria ci han condotto a scoprire che quel Maestro Pietro da Cor- tona, tanto celebrato da Dino, era figlio ‘di Maestro Andrea che stette in qualità di Maniscalco al servigio di Federico; così opiniamo pel fatto che nella Bi- blioteca del Collegio Massimo di Palermo si conserva - 9) MIL manoscritta la Maniscalcheria di Maestro Piero di An- drea (4). È certo che alcuni metodi di cura giovevoli nelle malattie dell’uomo furono indicati dai cultori della Veterinaria, e forse altrettanto si può dire di alcune operazioni chirugiche. Non so veramente da quanto tempo negli uomini ammalati di ascite si costumi . praticare la puntura del ventre; so però di certo che Dino nel cap. 49 del libro terzo, mentre descrive la paracentesi dell’addome da praticarsi sui cavalli af- fetti da idrope, aggiunge che la cannula da usarsi per l’ operazione era venuta dalla Barberìa. XXXIII. Agostino Columbre da San Severo. Secolo XV. I tre libri della natura de’ cavalli e del modo de medicare le loro infermità, composti da Maestro Ago- . stino Columbre Maniscalco da San Severo, sono de- dicati all’ invittissimo Re Ferdinando di Aragona nelle edizioni di Venezia 1518. 4. 1547. 8. ed in quella di Venezia 1622 a Francesco Colonna, principe di Pale- strina. | La rarità delle edizioni dei tre libri di Columbre o Columbro, come lo dice Caracciolo, fu la cagione per la quale venne poco nominato. Il conte Ercolani fu il primo a richiamare l’attenzione degli studiosi (1) It ricordato è diverso da M.° Pier Andrea di cui il conte Erco- lani vide un codice (N. 30) nella Magliabecchiana, chiamato da Pasquale | Caracciolo espertissimo uomo pel governo de’ cavalli, e celebre nella corte del vittoriosissimo Re Alfonso d’Aragona prima e di Ferrando suo figlio. — 67 — : sull’ opera del Maniscalco da San Severo, ricordando che innanzi agli altri aveva discorso della passione dia- betica infermità de' cavalli; e per noi sì può aggiungere che merita uguale pregio ed importanza per rispetto alla lienteria, all’ appetito canino e ad altre infermità. Venne assegnato Agostinello , che pure così si chia- mava, al decimoquinto secolo pel fatto che ci riusci di vedere in Bo'ogna un’ edizione di quest’ opera com- piuta sul finire del detto secolo e precisamente nel 1490 senza data di luogo. In ordine alla materia, contenuta nei tre libri di Columbre, non solamente possiamo confermare con altri, che molte cose ricavasse da quelli dell’ Ippia- trica, altre prendesse da Mosè da Palermo, che cita in diversi luoghi, potendosi leggere il capitolo in cui discorre dell’infusione che Agostino dice Sindesinos, e quello dove tratta della Colica ecc. Ma per di più ci sembra giusto»sostenere ancora, che molto sì giovasse dell’ opera di Vegezio, come di quella di Laurentio da Roma; basterà esaminare con cura il terzo libro della Chirurgia per riconoscere nel più moderno i precetti dell’ antico Vegezio. E per certo dove nelle duc edizioni ricordate leggesi Nigressio Renecio, de- vesi sostituire Vegezio Renato, per errore di stampa così stranamente mutato. Ricordiamo, per esempio, il cap. 5. del 2. libro dove considera i morbi contagiosi , e precisamente quella infermità secondo che se prova per quello alto mare de virtù Negressio Renecio, lo quale lo ha nominato farcemonese et aperto ecc. Co- lumbre consultò spesse: volte gli scrittori antichi di medicina e ripetè in molti luoghi i. precetti di Ga- leno, di Avicenna, di Simone Genovese, di Matteo Selvatico ecc. Di questo Simone da (Genova, oltre i libri di medicina, mi si fa credere che esista un trat- gni go tatello di veterinaria col titolo: De la cura del cavallo scritto dopo le parole Simonis januensis liber. Fu pos- seduto dal Prof. E. Carraglia che lo dice: manoscritto membranaceo in volgare italico di 14 pag. l’ ultima delle quali non compiuta: carattere tondo con po- che abbreviature. XXXIV. Maestro Facio e Maestro Giovanni e Maestro Giorgio. Secolo XV. Maestro Facio lasciò un libro inedito d’ Ippiatria di cui abbiamo attentamente esaminati due diversi codici; l'uno, e molto antico, del benemerito conte Ercolani, l’altro si trovò nella già Palatina di Lucca, rifatto sull’ antico, e dedicato da un Maniscalco Lucchese al- Eccellentissima Republica di Lucca; un terzo che porta il nome di Facio è quello di M.° Giovanni. Nel nome di Facio non possiamo riconoscere un accorciamento di quello di Bonifacio, di cui fu lungamente discorso; l’opera di Facio è lavoro posteriore, nè certamente ri- cavato da Rusio; ha pochissimo merito ed è impicco- lito dalle meschinità dell’ astrologia. Il codice Ercolani ha il titolo seguente: « Questo » è uno libro de maniscalcheria moulto expermentato » composto per Mastro Facio patarino de la Amen- » dolara, ad istanza de Bernabò de St.° Severino, » conte de Lauria suo discipulo et Signor de la dicta » de la mendolara ». Il dotto possessore del codice mi faceva conoscere che nel secolo scorso fu in proprietà di un maniscalco di Budrio, che Mendolara è un paesetto in vicinanza di Bologna, e che il codice è a ritenersi una copia. DI — Nel codice della Parmense (N. 588) i capitoli del testo di Facio fanno seguito ad un trattato inedito sulla peste di Andrea Gratiolo di Salò. Appartenne e fu forse scritto da un Bernardino Bartoli; l’ essere mutilo lo privarebbe di qualsiasi importanza, se alla data 1626 non ci ramentasse un esempio di trasmis- sione del farcino dal cavallo all’ uomo. L’ autore par- lando del verme domestico, e dopo aver insegnato a curarlo con delle puntate, con il ferro infocato, a tutte quelle posteme che troverai gonfiate sopra il detto ca- vallo; aggiugne, vi avverto che quando vi capita simil male da curare, statene lontano più che si può, per- DS chè ha tanto gran fetore che è cosa facile di generarsi sopra le persone, per rispetto che l’ è tanto penetrativo; et sì nel presente anno del mille e seicento ventisei, venne a morte un maniscalco, che professava di me- dicare questo male: ocultamente se li è incancarito adosso tanto quel fetore sopra di lui, che ne morì di detto male; si era sparso fuori per tutta la città, che è cosa, chi non l’ ha veduta, da non poterlo credere; però ognuno si quardi da detto male, parlando a quelli che ne curano. L’ autenticità dell’ osservazione non isfuggirà ai cul- tori della medicina, e resterà 'dimostrato che si co- nobbe la trasmissione del farcino all’ uomo precisa- mente due secoli prima, che fosse dichiarato dagli scrittori di Medicina comparata (1). Il codice ricordato, che giudicammo copia di quello di M.° Facio, tale realmente si riconose nei primi capitoli, successivamente lo abbiamo trovato affatto (1) Non può essere dimenticato che Lorenzio Rusio aveva indicato il farcino dell’uomo al Cap. 146 proponendone la cura, e detto essere infer- metate apprenhenciva (contagiosus morbus). SE |: get diverso da altri che con ripetute ricerche potemmo procurarci. ) Il sempre lodevole Metaxà rammentò anche per proprio conto d’ aver trovato nella Biblioteca Barbe- rina un voluminoso e deforme ricettario composto da un tal Mastro Facio, copiato in Conversano l’anno. _1632. Nel codice Ercolani il testo di M.° Facio è com- preso in 125 capitoli. Nella parmense si conserva un altro codice di M.° Facio, appartenente al 16° secolo, e ad un Ottaviano Del Prato nei primi anni del medesimo; anzi in te- sta al 1° capitolo si legge: « Iste liber est mei Octaviani » e Prato » ed, in carattere quasi cancellato, « quem » manu propria scripsi ». Ma se nella prima carta s'impara che il libro fu dettato da Facio, nella seconda sta scritto: « (Questa » si è la memoria la quale Maestro Giovanni fè nel » tempo del Re Carlo Magno Imperatore, qual Mae- » stro Giovanni sapeva le condizioni, et tutte le febre, » et altre infermitate che se generano nelli corpi delli » cavalli ». Il fatto che qui si espone è identico a quello che ebbe a rilevare il Prof. Ercolani nel codice N. 30 della Magliabecchiana. In quello, che venne da noi trascritto, nella ru- brica si torna ad attribuire il libro a Facio, leggen- dovisi : « Incomincia la tavola delli capitoli della ma- » neschalchia de M.° Facio, et in prima delle febre, » le quali se generano nelli corpi delli cavalli et sono » cinque; videlicet ». Dopo le cose premesse si dimanderà se il testo or ora nominato assegnare si debba a M.° Facio od a Maestro Giovanni; noi risponderemo col dichiarare d’ essere stati condotti a reputarne autore M.° Fa- car PRE cio, perchè nel codice Ercolani, più antico di tutti gli altri, e quindi meno facilmente alterato, è a Facio che viene esclusivamente attribuito. Il libro non in- comincia colla descrizione delle cinque febri, ma col trattare nel Cap. 1.° De la ragion delo sole et de la luna; nel 2.° Quando voi comperare un cavallo; nel 3.° Quando voi manutenere un cavallo sano; nel 4.° Delo verme ecc. Nel decimo Cap. solamente si di- ‘ scorre della febre semplice, e della febre seccha nel- l’ undicesimo. Anche nel codice di M.° Giovanni si trovano re- almente capitoli che corrispondono a quei di Facio; ma in questo mancano gli altri in cui sì citano Pier Andrea, il conte di Ogento, il Calabrese ecc. Tro- viamo identità nei due testi dove si parla del male che se chiama noli me tangere, overo Ciancolo; et suole nascere alla gamba del cavallo: questo cancro cuta- neo, viene dai moderni distinto col nome di Epite- lioma. XXXV. Coi codici descritti, qualora si volesse determinare la materia dettata da M.° Facio e quella che spetta al M.° Giovanni, sarebbe per noi reso più facile il lavoro . col soccorso del libro di M.° Giorgio, che si conserva nella Parmense, già della Palatina di Lucca, perchè in questo testo sono di volta in volta citati i Maestri dai quali il compilatore ricavò i precetti di cui ci fè dono. Il codice di M.° Giorgio, che s’ intitola « Delle Me- dicine de’ cavalli » è scrittura del secolo XVI. Incomin- cia coll’ invocazione /esus Maria, sotto la quale e scritto: di Pierino Montalcini in Lucca ecc. 1601. L'esame accurato di tutti i capitoli di cui si com- Md, ei pone questo codice importante, ci ha dimostrato es- sere una particolare compilazione ricavata da libri o scritture differenti; nella prima sua parte si riconosce il testo inedito che corre sotto il nome di Facio; nella seconda si discopre l’ opera di Rusio, ed in al- cuni capitoli i trattati delle Mascalcie dell’ Ippocrate indiano, anzi quello in cui si discorre delle virtù del fieno greco è ripetuto letteralmente, e non alterato dall’ imperizia del copiatore. Nelle parti dove M. Gior- gio ha preso la materia dal Rusio, non si è attenuto alle divisioni dei capitoli stabiliti dall’ ippiatro romano; formò ad esempio un solo capitolo col 23, 24, 27, 28 e 31 di Rusio. Risponde il libro a quello di M.° Facio dal primo capitolo (della febre) sino a quello in cui si parla del morbello. Dal capitolo in cui tratta delle na- turali macagne del cavallo, sino a quello del Pinsa- nese, sì scoprono i precetti di Rusio, seguitano quelli di Ippocrate. I capitoli che riguardano le rappe, grap- pe, chiovardo, bolso, sono più volte ripetuti, ciò che pure può servire a dimostrare che. quel M.° Giorgio sì giovò delle massime di diversi scrittori. Quella che possiamo qualificare seconda e terza parte del codice, è dettata in buona lingua volgare, e vi spiccano di volta in volta parole lucchesi; la voce Ventrella, in vece di cinghia, per sostenere il corpo del cavallo può meritare una speciale attenzione ed entrare nell’ uso comune. | Incomplete in generale sono le descrizioni delle malattie, od appena accennate; fanno eccezione le descrizioni della Forma, della fistola, Crepaccie tra- verse, Fico, sopraposta ecc. La polifarmacia domina come base del trattamento, e così pure il salasso viene consigliato quasi come rimedio universale. Non si veggono adoperate le incantagioni, raccomandate nel SRI i RA libro che si dice di Facio; pel ciancolo, o noli me tan- gere, viene consigliato l’ identico metodo di cura, e nel capitolo successivo sono prescritte le teste di lu- certa, spessissimo rammentate da Facio. La terminologia preferita per indicare le malattie e le cure in particolare meriterebbe una speciale ana- lisi; vi leggiamo come sinonime le parole fuoco, cot- tura, focarelle; sono dette stellette alcuni cauteri aventi la forma di stelle, e quali sì trovano disegnati in an- tichi trattati di Chirurgia umana, o quali ad esempio li possiamo osservare nell’ opera insigne di Chirurgia di Vigo da Rapallo; altrove i medesimi sono chiamati cauteri a modo di girella di sperone; merita lode e ricordo la prescrizione dei senapismi raccomandata da M.° Giorgio sul soprosso. Giorgio cita molte volte M.° Facio, e per capitoli speciali prende le sue descrizioni correggendo il lin- guaggio Napoletano usato dal medesimo; basterà in prova esaminare il capitolo in cui Facio parla del male del Tiro (nome col quale dagli antichi indicavasi il. tetano) dichiarando fra i sintomi il fatto che scarcaglia gli occhi; Giorgio vi sostituisce 1’ espressione ef volta li occhi in fuora, ossia produce quel particolare stra- bismo che è caratteristico del tetano. Ricordansi da Giorgio le cure proposte da M.° Man- nello, e nel capitolo in cui tratta del male della Se- tola si cita col proprio nome dicendo..... ma io Maestro Giorgio ho provato.... Dopo aver lodato la lezione del paragrafo in cui sì parla della virtù del fieno greco, per dimostrare che realmente il codice di M. Giorgio è meritevole di qualche considerazione anche dal lato della lingua; trascriveremo ' le seguenti linee che lo distinguono: « Il fieno greco giova a tutti li mali, che sono nelli POL, > get » corpi delli cavalli; al male di stomaco, alla milza, » al male del petto, a ogni malattia delli membri del » corpo, et quando non può mangiare nè bere; al » male della ventosità, et purga bene li mali humori » del capo e del corpo, come sangue, collera, reuma, » maninconia, però dirò del modo di prenderlo ». XXXVI. A coloro, cui paresse utile investigare chi fosse questo M.° Giorgio, dovremmo rispondere che è di- fficile a farsi; che per6 sarebbe lecito confrontarlo con quel Antonello Giorgio da Torso, del quale si ebbe un codice la Costabiliana, venduto pochi anni sono in Parigi, e indicato come segue: « /nco- » mincia il libro di Marescalcaria composto da eccel- » lenti Maestri regi. Cart. Manoscritto, in 8 del secolo » XVI di carte 102 in carattere corsivo ». Precede all'indice questo titolo: « Tabula in ordine alfabe- » tico ridotta per Antonello Giorgio da Torso ad lo mg. » co et generoso Mr. Giovan Battista de Comani ». La supposta identità dei due Giorgi, viene così ve- ramente appoggiata ad un dato debolissimo, ma la critica e spesse volte costretta a partire dai più pic- coli indizi per arrivare a determinare un giudizio, 0 a difendere un’ opinione. Qualunque sia il conto che i periti nella materia potran fare dei testi inediti dei. Maestri Facio, Gio- vanni e Giorgio, non ommetteremo di accennare che per essi siamo venuti a conoscere altri antichi Mae- - stri, quali un Rosso d’ Ayossa che nel 1470 indicò i rimedi per le reste e gli umori; un Alberico Caraffa che nel medesimo tempo raccomandava uno speciale rimedio pel cavallo attinto, e così una medicina usata sa e dal Duca di Calabria per le inchiovature; per i porri un rimedio preparato dal conte di Altavilla il dì 4 Luglio 1467; per i soprossi quello che venne proposto «da Gabriele Curiale il 15 ottobre 1497; per le vesci- che o galle quello che fu raccomandato dal Duca di Venosa nel 4 ottobre 1467 ecc. XXXVII. - Una particolarità, relativa all’ indole ed importanza degli argomenti trattati nei predetti codici, richiede speciale attenzione; la divisione cioè affatto arbitraria delle febri, per cui mentre gli antichi, come Colum- bre ad esempio, consideravano una febre estiva ed una febbre jemale, Maestro Giovanni e Facio le dise- gnarono numericamente distinguendole ìin prima, se- conda, terza ecc., sino alla sesta. In un libro stam- pato in Napoli nel 1620 intitolato: Tesoro del cavallo, pel signor Angelo Marcone, Massaro delli Regi polle- dri, troviamo lo stesso numero di febri, ed anzi in- contriamo in questo meschino tesoro tutte le faciul- lagini che nella derelitta nostra Veterinaria, vennero introdotte dalle più povere intelligenze; quivi pure sì ponno leggere le descrizioni del Morbello, del Ci- morro, del Capostorno, del Capogatto, quivi il fa- moso unguento confezionato colle sette Lontre, deli- zia di M.” Facio ece.; panacea sulla quale. la scienza moderna ha pronunciato definitivo giudizio respingen- dola dalla terapeutica. Volendosi però cercare. la ragione della divisione numerica delle febbri, non senza fon- dati motivi si può ritenere dedotta da Vegezio, il quale comprese sotto il nome di Malleus, derivato dal greco Malis, tutti i morbi più gravi o contagiosi, an- noverandone sette specie, numero a cui si arriva an- ; — 76 — che colla dottrina di Marcone e di altri, aggiungendo alle sei prime specie, la settima, nella febre che di- cono secca, mentre la prima si è quella che nasce nel polmone entro il quale si producono alcune ampolle di acqua velenosa; a questa febre potrebbe in qualche modo corrispondere il Malleus humidus, o Profluvium atticum, specie di catarro, pel quale si stabilisce un colìo nasale oggi chiamato moccio cavallino. XXXVII. Se al secolo decimo quinto abbiamo assegnati M.° Facio e M.° Giovanni, al medesimo meritava veramente di venire aggiunto Bartolomeo Grisone, perchè sappiamo che dettò un libro delle medesine delli buoi e cavalli nel 1429. Ma siccome questo li- bro fu soggetto di minuta analisi nell’ opera sugli Srittori Veterinari del Conte Ercolani, a noi nulla più rimane a dirne; all’ insigne autore rimandiamo i lettori desiderosi di saperne di più, e così pure pei codici antichi da lui indicati, che furono argomento di particolari esami instituiti nella Biblioteca Maglia- becchiana e nella Laurenziana. XXXIX. Le scritture di Falconeria ed i Trattati sulle malattie degli uccelli dal 1200 — 1800 Innanzi di progredire nella storia della Veterinaria col far passaggio agli scrittori del sesto decimo se- colo, ci fermeremo a considerare le Opere di Falco- neria, o di quegli autori che contribuirono in qualche A 1, ALA maniera a dare estensione alla Veterinaria, coll’ istruirci sia intorno alla conservazione degli uccelli rapaci o cacciatori, sia coll’ insegnare a curare le loro infermità. La materia prediletta si ebbe i più insigni cultori nella nostra Italia, da cui partivano anche celebri Falco- nieri per le altre corti d’ Europa, nella stessa guisa che nel sestodecimo secolo vi accorrevano famosi ca- vallerizzi. Parleremo dunque di argomenti i quali spe- cialmente hanno relazione col nostro paese che fornì nel medio evo i Maestri di Falconeria. Non è che da- gli altri popoli fossero affatto ignorate le arti di cac- ciare cogli uccelli, e per ciò i mezzi per educarli e conservarli, giacchè altri ebber cura di trattarne; in- fatti l'illustre professore Spezi, ci ricorda che tra i provenzali scrisse Dodo di Prada un poema degli uc- celli cacciatori, dal quale trasse Brunetto Latini molte notizie delle nature e de’ costumi degli sparvieri, del- l’astore, de’ Falconi e degli Smerli, e le recò nel suo Tesoro scritto in francese e voltato in Italiano dal con- temporaneo suo Bono Giamboni (il quale visse dal 1240 al 1300); ma la materia, ripetiamo, riguarda spe- cialmente l’Italia; ed anche per ciò incominceremo a dire di questa, fermandoci sull’ opera di Federico Se- condo dì Sicilia, il quale dai più si considera mag- giormente legato all’ Italia che alla Germania, sia per- chè l’ Imperatrice Costanza lo partorì in Iesi nel 1194, sia pel grande amore che portò alla terra sulla quale esercitò |’ impero. I libri di Federico Secondo De arte venandi cum avibus (1), non sì hanno interi, e ciò non tanto si ri- (1) Reliqua librorum Friderici II Imperatoris, Be arte venandi cum avibus. Cum Manfredi Regis additionibus. Ex membranis vetustis nunc primum edita. Albertus Magnus de Falconibus, Asturihus, et Accipitribus. Augusta Vindelicorum 1596. 8. Pesto: fd conosce dalle note poste nella rara edizione del 1596, quanto dalle citazioni che ne furono fatte da Alberto Magno (Groos) nel suo lîbro vigesimo terzo in cui tratta degli animali,, ossia de Falchi, Astori e Spar- vieri, citazioni cioè di sperimenti che non si rinven- gono nei frammenti pubblicati. Il libro di Alberto Magno si trova unito a quello di Federico nell’ edi- zione di Augusta, che possediamo; in questo pure si ha un’ altra prova del sapere degli italiani intorno alla medicina degli uccelli, poichè il dottissimo alemanno, considerato miracolo di sapienza da suoi contempo- ranei, per aver racchiuso in diverse volumi tutto lo scibile umano, discorrendo delle malattie degli uccelli non sa far di meglio, che riportarsi a Federico Se- condo, a Maestro Guglielmo Falconiero del Re Rug- giero, ed ai diversi Falconieri dell’ Imperatore Fede- rico medesimo. Fra le malattie degli uccelli rapaci, delizie dei prin- cipi e grandi dei tempi feudali, vengono da prima: descritte quelle de’ falchi, poscia degli Astori e Smerli, infine si insegnano le medicine convenienti a tutti in comune. La prima malattia ricordata è il male di testa . de’ falconi (chiamato Soda negli uomini) poi il gon- fiamento del collo, 1’ enfiammento dell’ asper’ arteria o trachea, per cui l’ uccello fischia nel respirare, e così si fa certo che patisce di reuma. Tratta di diverse forme di gotta, distinguendo specialmente quella che si presenta ai piedi detta salsa, curabile col trarre sangue dalla vena che è fra la gamba e la coscia. Quando il Falco è tormentato dai pidocchi, si deve usare argento vivo mescolato con saliva umana, a. cuì sì unisce sugna vecchia; nel composto sì intinge una funicella con che si circonda il collo dell’ ani- male, pratica che anche al presente si mantiene fra — 79 le popolazioni rurali per guarire la Ftiriasi dei buoi. Ricorda essere sintoma della febre il calore. morboso ai piedi, e che quando soffre per lombrici sviluppati nel suo ventre, vuolsi curare con limatura di ferro amministrata sopra carne porcina. Se le penne del- l’uccello sono consunte dalla tigna, sì prende la cera rossa, il salgemma, i mirabolani, la gomma arabica, i granelli del frumento, macerando il tutto pel tempo di nove giorni nell’ aceto fortissimo; con quel li- quido, che si conserva racchiuso in un ampolla, si lava l’ uccello una volta in ciascun giorno. Degna di particolare nota è Vl infermità che chiama col nome di rinfusione o rifondimento, o ripienezza, e che egli dice patire qualche volta come il cavallo, e che dimostra col rifiutare il pasto e coll’avere gli occhi gonfi, resi quasi protuberanti da ventosità rac- colta al di sotto de’ medesimi; in quest’ occasione vuolsi preparare una liscivia coi sarmenti della vite, e colata tre volte si versa nella gola del falco, affinchè discenda e si sparga nel corpo e mostri d’ aver dige- rito il cibo preso; poi gli si dia a mangiare una lu- certola, o veramente gli si amministra un infusione calda preparata col vino e col pepe polverizzato. XL. Il cenno fatto sul rifondimento, che negli scrit- tori antichi troviamo ripetuto tante volte colle parole infuso, infusione,.infondito, ci pare doversi veramente tradurre nella voce ripienezza, poichè anche nel ca- vallo l’infusione o la riprensione veramente da ple- tora suole essere generata, derivata alla sua volta e dal copioso alimento, e dall’ inerzia; nel falco potrebbe riguardarsi come un indigestione, la quale nelle Scrit- FERRI > a ture antiche di Falconeria pubblicate dal Conte Ales- sandro Mortara al Cap. IV, dove si parla del modo di ammaestrare gli Astori, dicesi stomachezza, parola che il dotto editore dice equivalere ad indisposizione di stomaco, stomacaggine. LXI. L'applicazione del fuoco, che dagli antichi veniva . indicata col nome di cottura, e l’ operazione col verbo cuocere, non fu dimenticata nemmeno per gli uccelli. rapaci, consigliandosi come mezzo preservativo e cu- rativo di diverse delle loro malattie. La prima cottura, secondo i dettati degli antichi greci, si doveva prati- care al di sotto del lagrimale degli occhi, e questa riusciva vantaggiosa alla visione; la seconda era da farsi al di sopra degli occhi e giovava alla testa; la terza sopra la congiuntura dell’ale, e tornava "utile contro la gotta: la quarta si applicava alla pianta dei piedi, e preservava dalla gotta delle gambe. Utili ri- sultano tutte le cotture che vengono fatte nel mese di Marzo. È nel libro descritto il prurito del falco, indicato il medicamento per le ferite, che si prepara con una miscela di albume d’ uovo e di olio di olive. Se 1’ uc- cello getta putrida sanie e non può mangiare, è in- dizio di fistola alla località, la quale dev’ essere me- dicata coi peli presi nella parte posteriore della testa, mescolati con sugna o con buttiro, se si manca di sugna, la vena, la quale procede dalle nari agli occhi, si incide, e con ago di ferro rovente si abbruccia dalla parte opposta alla fistola. Se il faleo rimane avvelenato, si guarisce coll triaca e con tre grani di pepe macinati su pietr Bir Se venne morsicato da altra bestia, conviene le- vargli le penne della parte ferita, allargar questa con rasoio, se piccola, ed ungerla con butiro caldo. XLII. I precetti lasciatici dai Falconieri di Federico se- condo, per curare efficacemente i falchi, si riducono principalmente ai seguenti: per purgare il capo -del- l'uccello si prende pece purissima quanto è grossa una fava, sì riscalda fra le dita e con essa si frega la sua gola sino a che vi sia attaccata; poscia sì pren- dono quattro grani di stafisagria ed altrettanti di pepe bianco e se ne fa una polvere sottilissima, la quale si applica sulla pece già aderente al palato del falco ; ed il residuo, che non vi si attacca, si introduce nelle sue nori... . Contro la nubecola, o macchia degli occhi, prendi pepe ed aloe tritati ugualemente, e ponili sopra la macchia; se corre il tempo in cui si possano avere acacìe, istilla tre goccie di sugo nell’ occhio, che è molto efficace. Se sia leso il polmone o la sua canna, prendi la lana succida, il sal gemma, il pepe bianco ecc. ed altre sostanze che la polifarmacia antica raccomandava. Ma in questo capitolo è ben meritevole di ricordanza l’affezione che chiama bolsaggine, ossia infermità dei polmoni. Una tale denominazione applicata ad un male degli organi della respirazione, dimostra, come pos- siam leggere nel Vegezio, che gli antichi ed i mo- derni consideravano l’ animale vulsus o bulsus, come consunto 0 colpito di malore incurabile; o veramente se per mezzo di qualche rimedio poteva essere cor- retto, questo era I’ orpimento, ossia un preparato ar- 6 8 senicale, ed ai preparati arsenicali esclusivamente si ricorre anche dai moderni quando si vuol tentare la guarigione della bolsaggine. Contro i morbi dei reni, la tigna che consuma le penne dell’ uccello, sono indicati i soliti farmachi, cioè il croco orientale, lo sterco anserino, coclearia, aceto, le polveri delle sanguisughe brucciate, la pol- vere di piretro mescolata col succo dei rafani; contro le nascenze od escrescenze di carne ai piedi, che in alcuni trattati volgari si chiaman chiodetti, si adopera la polvere preparata colla scorza di mezzo del gine- pro; alla carne cattiva, sì applica la calce unita alla polvere di aloe in eguale misura. Si tratta nel libro di altre malattie, di cui omet- tiamo di far parola per non prolungare soverchia- mente il lavoro, e perchè sarà pur duopo nominarle nel citare altre opere risguardanti i malori degli uc- celli, vuoi rapaci, vuoi domestici; fra queste inco- minceremo, come già ci proponemmo, dal parlare di un « Trattato della natura deli falconi, de le infirmi- tade, de li rimedi e de la gubernacione de queli, ut infra » unito al codice di Ruffo della Parmense indi- cato col N.° 57. In questo si espone dapprima il modo di farli domestigi e poscia vengono indicate le opera- - zioni e le cure da farsi, come nella seguente breve rubrica: 1. A purgare lo cavo (capo). 2. A restringere lo palato. 3. Se ello à male in polmone. 4. Se ello è bolso. 5. Sel à l’ angulie. 6. S'ello à male de rene. 7. A sanare lo fidego. 8. A tore via el fastidio. ssd, > Vea 9, A la tigna che li mangia le pene. 10. Se ello ha porri in li pedi. 11. Se ello è infladi li pedi. 12. Se la carne li cresce in alcuno logo. 13 A sanare li pedi. 14. A tore via lo fumo. 15. Quando se crede chel mora. 16. A tore via li pidogi. 17. Quando se meta in muda. 18. Quando ello fa le pene. 19. Quando ello s'è tolto de pertiga la matina. 20. Quando ello fosse maleficiado. 21. A zò chel non abandoni l’ omo. Compendiosamente in poche pagine sono trattati tutti gli argomenti predetti ai quali si da termine con una specie di dialogo fra Galiciano ed un Re d’ Oriente intorno alla maniera di fare che V uno oxelo piglia l’altro; successivamente viene un’altra rubrica, la quale comprende i seguenti argomenti. Del dolore del cavo che se dixe surtino. Del male acto. Del male rigato. . De la gota che se dice lartetica. De la gota naturale che nasce in gorga. . De la gota che nasce in le rene. . De la gota flera. De la gota el granfo. De li pedogii. De la febre. 11. De la petra del magone. 12. De la petra in lo fredore. 13. De li lombrixi. 14. De la tegna ch’è in Vala. 15. De la infusione. fd S SD ua 0a MRO E 16. De lo ardimento. 17. De la natura de li falconi. 18. De li gentili falconi. 19. De la guta. 20. De lo agrofumo. 21. De lo nudrigamento. 22. De le piage. 23. De la greseca. 24. De la muda. 25. De la gotura (cottura). 26. De lo fastidio in le nare. 27. De lo partire dele ungie. 28. De lo balneo overo bagno. 29. De lo morso de la bestia. 30. De lo veneno. 34. De li falconi montenari. 32. De le trame (vermi). Gli argomenti che abbiamo esposti ben dimostrano essere la materia identica a quella che viene svolta da Alberto Magno, e ciò veramente perchè fu tratta dalla medesima sorgente, ossia dagl’ insegnamenti di Fe- derico secondo. I due tratatelli si terminano. coi pre- cetti di Maystro Gulielmo falconero. Questo Maystro non fò borardo. E queste medexrine sono bene e molto apro- vate da Maystro Gulielmo Falconero che fo nutrito in la corte del Re Rugero et poi stete con lo figliolo. Ello ave uno Maystro savio e maystrado in Vl arte de li fal- conî. E sape tuto co che se ne po savere. E poi che ello se fece uno libro de questa arte. Si termina il libro con un capitolo dettato da Gri- sofilo Ispataneo a Teodosio Imperadore magnifico, in- intorno al modo di domare li sparaveri e curarli. de OA XLIII. Il libro antico nel quale si tratta « della natura di cavalli, et el modo di rilevarli, medicarli et domarli ecc. » è seguito dall’ opera nobilissima composta per lo Excellente Maistro Agosto ( Agogo) Mago Re. De tutte le passion vien a falconi Astori e Spariveri ecc. Inco- mincia: « Lo libro medecinal de li spariveri vol cusi che quando lo sparivero se infirma in lo stomacho, » tuo una columba, pizolla la qual possa ancora volar » un pocho e zetela davanti allo spariviero e laga che » lo sparivero la prenda entro le ongie et lassa tanto » che lo beva lo sangue et cusî lo sparivero alegran- » dose da la presa guarisce del male ». Abbiamo copiato dall’ edizione di Venezia (Sessa et Pietro de’ Ravani) dell’ anno 1517. 4. Ed abbiamo confrontata questa con altre tre edizioni diverse pure da noi possedute, nè vi potemmo scorgere essenziali differenze degne di speciale menzione per lo scopo nostro. L’ ultima parte anche nel testo a stampa ab- braccia i precetti di « Maestro Guielmo fiollo de Malgeri (Rugero) napolitano ». In fine nell’ edizione si legge: « Compito he lo libro de Agogo Mago a Galiciano Re: » de tutte le passione vien a Falconi, Astori et Spari- » veri ». Deo gratias. Nell’ edizione di Venetia (Tacuino) 1519. 8. ed in quella del 1537 (Bindoni) manca la predetta dichia- razione finale, la quale corregge il titolo del libro dove è scritto Agosto per Agogo ed ha meno il nome di Gali- ciano, che si legge pure nel testo inedito da noi ac- cennato , il quale in ogni sua parte si riconosce iden- tico a quello che corre stampato; il qualificativo di Mago, che si trova in testa al trattato vuolsi pure ap- x MR ore plicare a Galiciano correggendolo con quello di Ma- gno (1). | LXIV. I due trattati del governo e delle infermità degli uc- celli, Testi di lingua inediti, cavati di un codice vati- cano e pubblicati e con note illustrati dal Prof. Giu- seppe Spezi nel 1864, ci offrono un lavoro assai più completo per la parte scientifica, di mirabile bellezza dal lato della lingua, sulla quale nessuna nostra pa- rola potrebbe aggiungere all’ importanza che si ma- nifesta nella relazione fattane dall’ illustre editore. In quella parte che considera particolarmente le malattie degli uccelli. i libri di Agogo, possono pre- sentare qualche analogia coi pubblicati dallo Spezi, e che provennero in tempi molto a noi lontani dalla Persia o dall India; in questi pure si tratta del modo di dottrinare e domare uccelli, d’ ingrassarli, della corrosione delle membra, de vermini nati nel ventre, dell’ asma e del soffocamento, della podagra, della dot- trina e cura della muda, del medicamento della rema, del medicamento del dipelamento degli uccelli ecc., della cura della tisica dell’ uccello, della perla dell’ oc- chio, della squinanzia discendente nella gola; dell’ en- fiamento del capo e della sua cura; dell’ enfiamento de’ nodi del piè; della parlasìa (paralisi) dell’ uccello e della sua cura; de pedocchi dell’ uccello e sua cura ecc. (1) Si vuol ricordare fra gli scrittori di caccia Grazio Falisco (Gra- tii Falisci, atque M. Aurelii Olympii Nemesiani Cynegeticon, Halieuti- con, et de Aucupio. Lugduni Batavorum 1728. frag. Un’ altra edizione è di Milano 1785. 8. con versi italiani aggiunti al testo. Grazio Falisco, appartenne, al secolo d’oro della lingua latina ed è classico. V. F. Re e Lastri XLV. Un altro piccolo tesoro di nostra lingua possedia- mo nelle scritture antiche toscane di Falconeria, le quali ebbero un valente editore ed annotatore nel Conte Alessandro Mortara, che le faceva stampare in Prato nel 1851. II libro contiene un Trattato de’ Fal- conî ed altri uccelli di ratto buoni alla caccia, e del modo di ammaestrarli. Il primo capitolo considera le varie generazioni di faleoni, e le loro ‘nature; nel- l’ultimo, che è il settimo, si parla del modo di cono- scere ed ammaestrare gli sparvieri come nel testo stam- pato di Agogo; in fine si legge: « Compiuto è il libro » delle nature degli uccelli che vivono di ratto, fatto » per lo re Danchi »; al medesimo tien dietro un Fram- mento di un Trattato della cura delle malattie degli uc- celli di ratto che luomo tiene per diletto d’ uccellare. Questo parimenti finisce colla dichiarazione che ap- partiene al re Danchi il libro da curare gli uceelli ll libro, che ricordiamo, differisce dai precedenti in ciò che estesamente si occupa del modo di ammae- strare i falconi, delle varie generazioni di Astori e di Sparvieri, dei falconi chiamati smerli o ismerletti; e delle loro malattie appena se ne discorre nel fram- mento su ricordato. Le malattie che vi sono enumerate, e per le quali si propongono speciali metodi di cura, anche in que- sto compendio sono l’ asma, la podagra, il male de mignatti, ovvero de’ lombrici, che Mortara qualifica in apposita nota verme bianco e corto, che infesta e gli intestini e lo stomaco degli sparvieri: corri- sponde al capitolo in cui si parla delli lombrixi nel nostro testo; poscia si descrivono i pidocchi, il capo cui. Ra infiato e gli occhi, il male della pietra, il male delle tignuole, il caso in cui Vl astorre, falcone 0 sparvieri, contendendo con altri uccelli si magagnasse in alcun luogo, infine discorre della muda. Il codice pubblicato dal Mortara è seguito da al- cuni capitoli del libro primo del Tesoro di Ser Brunetto Latini, ne’ quali si tratta degli Astorri, degli Sparvieri, de’ Falconi e degli Smerli col volgarizzamento accanto di Bono Giamboni. XLVI. Le brevi osservazioni liberamente dettate in ordine alle scritture più note di Falconeria varranno a per- suadere che l’ opera più completa fra le encomiate è quella tratta dal codice Vaticano dallo Spezi, poichè i due trattati constano di 62 capitoli, 41 de’ quali com- pongono il primo e 21 il secondo. La storia però non deve trascurare l’ opera di Demetrio Costantinopolitano estesa quanto, o più, la vaticana che s'intitola De re accipitraria, compresa in un solo libro ed in ot- tantaquattro capitoli. Nel prologo Demetrio sì dichiara autore del libro, nè da altri precorso nella via, anzi lamentando che molti siansi interessati di conoscere e ‘curare le malattie degli altri animali, non quelle’ de- gli uccelli da-preda; « alii (egli scrive) studio ducti » vel utilitatis, vel delectationis, vel utriusque, dili- » genter tradiderunt de curatione equorum, boum, » canum, mulorum, avium suaviter canentium; so- » lam accipitrum educationem medicinamque nescio » quo pacto preterierunt ». L’autore dopo aver trattato estesamente della edu- cazione, della conservazione degli uccelli rapaci e del modo di ammaestrarli per la caccia ecc. discorre dei i Re diversi morbi e delle cure più opportune pei mede- simi; incominciando dal dolore del capo, dello stilli- cidio o colìo della testa, dei medicamenti più attivi per purgare la testa dell’ uccello, delle convulsioni, delle vertigini, dei mali degli occhi, dell’ albugine di questo organo, se l’ occhio imbianca o per ferita o per sangue; dei vermi degli occhi, del modo di cavar sangue, del male del fumo (ad eum qui ex fumo aegrotat) della pituita, della infiammazione delle nari, dei mali della bocca, delle ulceri, delle pustole, dei mali del polmone, della difficoltà di respiro, del- l’angina, degli ascessi delle fauci, dei varii mali dello stomaco, delle tignuole ossia lombrici, dei calcoli 0 pietre nei visceri, della scabia, dei licheni, dei pi- docchi, della corrosione delle penne, della loro ca- duta, rottura ecc., delle ferite.o piaghe, delle fratture e lussazioni dei piedi, del tumore ossia spugna, del- l'infiammazione, dei mali delle unghie ecc., ed infine del modo di usare l uccello per la caccia delle per- nici. Al trattato di Demetrio succede un altro libro ver- tente sui medesimi argomenti (Alius liber de re Ac- cipitraria). In questo sono ripetute le malattie de- scritte nel precedente e per di più un malore a cui si da il nome di Cholera, il quale si conosce dal vo- mito di una materia verde (liquorem viridem evomit).. Non si citano ne anche in questo secondo libro au- tori o Maestri nella materia, meno certo Gregorio, il quale compose un medicamento per rimediare alla difficoltà del respirare; si prepara con una mesco- lanza di euforbio, pepe, incenso, costo, spica indica, eroco, garofani, spicanardi, radici di giunchi, aloe concreto in forma di fegato, erba contro i pidocchi 0 strafizzecca, betonica; (di ciascheduna un’ oncia) mi- ci e dolla cervina, butiro pontico, balsamo, miele, co- mino, olio di Spagna; di ciascheduno mezza libra. I due libri relativi agl’ uccelli sono seguiti dal Cy- nosophion, Liber de cura canum, nel quale sì veg- gono descritte parecchie o quasi tutte la malattie del- l’animale esposte nei trattati di caccia (1). XLVII. Francesco da Carcano e D. Boccamazza. Nel sestodecimo e diciasettesimo secolo l’ Italia ebbe diversi scrittori, i quali rivolsero i loro studi alla compilazione di speciali trattati di caccia, ed a costituire un insieme delle migliori cognizioni neces- sarie per la cura degli uccelli rapaci e dei cani. Incon- triamo per primo un Francesco Carcano o da Carcano, che altre volte si chiama Francesco Sforzino da Car- cano, il quale fu autore dei tre libri degli uccelli da rapina e d’ un trattato de’ cani da caccia di cui cono- sciamo cinque edizioni (2). Prima d’analizzare la materia contenuta nei detti tre libri, troviamo necessario far conoscere il vero nome del nostro autore e la circostanza per cui ebbe a chiamarsi Sforzino. Egli realmente discendeva dalla nobile famiglia Carcano di Milano, la quale fuggì da quella città nel 1448 per le persecuzioni dei Visconti e riparò a Vicenza; accolti e favoriti i Carcano in que- sta seconda città, vollero per gratitudine chiamarsi (1) IEPAKOKO®IOH. Rei Accipitrari® scriptores nune primum editi. Lutetie 1612 — 4. (2) Venetia 1547, e per Gioliti. 1568. 8 è 1685. 8. Vicenza (Megietti ) 1622. 8. Milano 1645. Col titolo Dell’ arte del Strucciero. Non comprende che il trattato delle infermità degl’ uccelli ossia solamente il terzo libro. RISI: È Cane cittadini di Vicenza, e Francesco perchè partigiano de- gli Sforzeschi e favorito di Francesco Sforza si disse Sforzino dai Vicentini; da ciò consegue che più giu- stamente l’ autore dev’ essere chiamato Francesco da Carcano detto Sforzino. L’opera del Carcano non si discosta gran fatto dalle dianzi ricordate, si potrebbe anzi chiamare un amplificazione del libro di Agogo, seguìto dal trattato de’ cani da caccia; è però a lodarsi per la proprietà del linguaggio e per una speciale accuratezza nella tratta- zione delle materie divise nei tre libri. Nel primo libro si parla dei Falconi, distinguen- doli come nei trattati più antichi in Falconi Pelle- grini Sacri, Traversi, Marini, Tunisini ecc. e degli Smerigli, ecc. sì discorre della loro educazione, del inodo di alimentarli e di usarli per la caccia. Nel se- condo libro si trova la descrizione dei diversi Astorri e Sparvieri, la maniera di farli volare, di usarli ecc. Nel terzo si enumerano le infermità degli uccelli, in- cominciando dalla febre, che suol occorrere a gli uccelli ; poscia si tratta delle affezioni del capo, aposteme, di- stillazioni, enfiagione della testa, degli occhi e delle narici, come nel libro di Demetrio; e così della cata- ratta, dell'asma, delle infirmità dello stomaco, dei vermi, delle filandre (filarie), delle infermità del fe- gato, dei piedi, della podagra, dei chiodetti, della rottura dell’ unghia, della gamba, dei pidocchi, della muda; e finisce col capitolo 31 nel quale sono de- scritti gli strumenti appropriati a dar il fuoco agli uc- celli di rapina. Non si trova nel Carcano l’indicazione di alcuna malattia nuova, quando per tale non si voglia consi- derare il capostorno, che poi in fatto corrisponde al- l’ affezione indicata da altri col nome di vertigine. PA pesi Quantunque spettino ugualmente all’ Italia gli otto libri della Caccia di D. Boccamazza, stampati in Roma nel 1548, non potemmo vederli, e per questo non ci è permesso di parlarne (1); ripeteremo l’ osservazione per l’opera di Andrea Cirino, palermitano. « De ve- natione, natura et solertia canum liber singularis » Messina 1650 e Palermo 1653; (2) pel libro di Codroipo Francesco, Udinese « Dialogo della caccia de’ falconi, Astorri e Sparvieri ». Udine 1614. 8. edizione seconda. Non potemmo vedere l’opera di Cesare Solatio, ro- mano, citato dal Lastri, intitolata « 1’ eccellenza della caccia con l’uso pratico della medesima » Roma 1669 in 12. Negli ultimi due capitoli parla delle infermità de’ cani e delle loro qualità. Non di Lazaro Grandi autore dell’ « Alfabeto di Segreti Medicinali contenente . l’arte dell’uccellare ed alcuni capitoli sui mali dei cavalli Bologna 1667 — 8. (3)». (1) Boccamazza Domenico (romano) Trattato della Caccia della Tra- staverino. Roma 1548 per Girolamo Cartolari. (2) Il proposto Marco iastri nella sua Biblioteca Georgica cita |’ opera di Andrea Cirino colle seguenti parole: « Venatus praeludia, in quibus » venatorum mores, habitus ecc. recensentur. Tandem apologia pro ve- » natu Clericoram ex Conciliis et Patribus inscribitur. Panormi 1653. » apud. Ios. Bisagni. 4. ». (3) Il trattato di Alfonso Isachi, da Reggio nell’ Emilia. De venatione, Piscatione, Aucupio Silvestrumque insectatione; Regii 1625, verte uni- camente sulla giureprudenza relativa alla Caccia; sui diritti riserbati ad aleune persone di esercitarla, sull’ esclusione che le leggi antiche man- tenevano pei plebei ecc. Deve pur ricordarsi |’ Ornitogenia avvero la cova de’ Canari, per facilitarne la moltiplicazione, educarli e mantenerli sani. Opera di F. Basilio della Concezione, dilettante di tali augelletti. Roma 1794. 8. Nell’ opera si tratta anche delle malattie. Anonimo. Modo di allevare diversi uccelli da gabbia, conoscere li maschi dalle femmine, quali cibi mangino, quanto tempo campino, e loro medicamenti appropriati. Firenze (Vangelisti) 1685. 8. Ù, a at e — 99 — XLVIII. Federico Giorgi sec: XVI e Cesare Mancini. Avendo potuto rinvenire l’ edizione del trattato del Falconiero, eseguita dai (Gioliti in Venetia nel 1547 imitata nel 1558, l’ abbiamo confrontata ‘con quella di Milano del 1645, a cui è aggiunto il trattato sul cani. Questo libro di M. Federico Giorgi di Gazuolo s' in- titola: Del modo di conossere î buoni Falconi, Astori e Sparavieri, di farli, di governarli et medicarli, col- l’aggiunta del trattato della cura de’ cani; L’ opera fu dall’ autore dedicata al Marchese Carlo Gonzaga con lettera da Gazuolo del 1 Ottobre 1546, e perciò potrebbe essere ritenuto il Giorgi anteriore al Carcano. Il libro sui cani è copiato letteralmente da quello del Carcano, nè al Giorgi appartiene; nel rimanente dell’ opera troviamo il metodo del Carcano e gli argomenti svolti da Sforzino che non vedemmo in nessun luogo citato, solamente parlando dell’ infermità del fegato si rimette agli insegnamenti di un Giordano che dice essere stato uno dei buoni di quest’ arte, di un Medico Ravignana e di un Guglielmo Napoletano (1). Di Cesare Mancini Romano, discoriamo in questo luogo, quantunque appartenga probabilmente al se- colo successivo, perchè di quest’ autore non cono- sciamo che l’ edizione di Milano (Ghisolfi) 1645, e quella di Bologna 1725; ma ci piace prender interesse (4) Lastri cita un edizione del libro di Giorgi fatta in Brescia nel 1607 a cui è aggiunta |’ Arte dello strucciero di Francesco da Carcano; parimente « Ammaestramenti, per allevare pascere, et curare gli uccelli i quali s' ingabbiano ad uso di cantare per Cesare Manzini Romano ». Pe Ei per un libro il quale si scosta da tutti gli altri ricor- dati, trattando esclusivamente degli uccelli cantori o da gabbie, quali l’ usignuolo, il reatino, il cardel- lino, il fringuello, il passero delle canarie, il fanello, il caponero, passeri solitari, lodole ecc. (1). Dove parla delle malattie degli uccelli da gabbia di- chiara l’autore che sogliono patire di cecità; per apo - steme, per rotture o fratture di gambe; sono soggetti, massimamente i rosignuoli a podagre, gotte, spasmo di petto; altri patiscono il mal sottile, asma, il mal caduco; nega l’ autore che alcuni uccelli siano soggetti alla pipita, la quale non è tale, ma un altro male che viene in bocca agl’ uccelli; patiscono il coderizzo, che Giorgi chiamò male al codirone, ed il flusso. XLIX. Per quella parte che ha avuta l’Italia alla diffu- sione del Falconiere del Tuano (de Thou) quantunque l’opera appartenga alla Francia, viene da noi ricordata, perchè elegantemente tradotta da P. Bergantini, e pubblicata insieme coll’ uccellatura di Pietro Ange- lio da Barga, detto perciò Bargeo, da tal castello di Toscana. Il Bargeo fu professore nell’ Università di Pisa, e visse nel secolo sedicesimo come il Tuano, (4) L'autore fu capace di stampare in Roma, come fosse sua la tra- duzione fatta da Annibal Caro del Longo sofista (Dafne e Cloe). Cambiò alcune parole solamente nel manoscritto del Caro. Lamberti scopri il pla- gio e procurò la magnifiea edizione di Parma, della quale tanto va lodato Bodoni, Filippo Re scrivendo dell’ opera di Natale de Conti: « De Venatione, lib IV. Hieronimi Ruscelli scholiis illustrati. Venetiis 1551. Aldus. 8. ri- corda che si pretende essere stato il Conti il primo fra gli Italiani a trat- tare questo argomento. —_SQB= però il poema dell’italiano venne scritto prima del Francese (1). Un poema poco noto, citato da A. Zeno, ma pur degno di qualche ricordo ci sembra quello di Tito Giovanni Scandianese, stampato dai Gioliti in Vine- gia nel 1556 in 4. fig. L'autore chiamò il suo poema Cinegetico, ovvero della Caccia de’ cani; è diviso in quat- tro canti; nel primo libro si dicono le lodi della caccia e si nominano i più valenti cacciatori, nel secondo si descrive il buon cavallo da caccia, e le buone razze di cani, nel terzo si canta delle diverse specie di cac- cie; nel quarto si scrive degli uccelli in generale (2). L. Birago Francesco. Francesco Birago, patrizio milanese, scrisse nel 1613 un Trattato Cinegetico, ovvero della Caccia, stampato nella sua città natale nel 1626. (1) Angeli Pietro, scrisse ancora « Cynegetica. Lugduni 1561. 4 et Florenti®e 1568. 8. » In questo trattato della Caccia è imitata nel verso la Georgica di Virgilio. Se ne fece una traduzione in versi italiani da Giovanni di Nicolò da Falgano, di cui fu pubblicato il principio dal Dott. Lami, Notissimo è il bel poema, La Caccia di Erasmo da Valvasone, lo- dato da Torquato Tasso, da altri sommi e dal Tiraboschi, che ricordò sulle attestazioni del Liruti, essere }’ autore di nobilissima famiglia del Friuli, che il poema scritto in ottava rima ed in cinque pori diviso, uscì alla luce nell’anno 1591. (2) « È notissimo, serive Filippo Re, che il vero autore è Ganzarivi » da Scandiano, luogo lontano 10 miglia da Reggio, celebre patria di » Vallisneri e Spallanzani; nel quale, essendone Signore Boiardo, com- » pose parte del suo Orlando ». io PAM Il libro del Birago e di molta importanza pel modo col quale tratta la materia, e per la ricordanza storica che cì lasciò dei siti famosi per le caccie ai tempi de- gli Sforza e dei Visconti, i quali ancora esistevano a suoi giorni, quali quelli fuori di Porta Vercellina presso San Pietro all’ Olmo, ed il magnifico Parco di Pavia ordinato da Giovan Galeazzo Visconte primo Duca di Milano, il quale girava nel suo circuito per diciotto miglia ed era lutto murato. Birago parla accuratamente dei cani migliori per le caccie, e tratta con qualche estensione delle ma- lattie dalle quali il cane può essere assalito. La diligenza usata dal Birago nel descrivere le af- fezioni del cane possiamo paragonarla a quella ado- perata da Du-Fouilloux, che noi italiani possediamo sotto il nome di Giacomo Folioso, di cui conosciamo la Caccia con molte ricette et rimedi per risanare i cani . da diverse malattie; la traduzione del libro è dovuta a Cesare Parona, e la stampa ad un Antonio Comi, che la fece in Milano nel 1615. I due autori son partiti da principi diversi nel con- siderare le malattie dei cani, ed è manifesto che l’ uno non seppe dell’ altro quantunque contemporanei. “ LI. Eugenio Raimondi 41621: Il bresciano Eugenio Raimondi è noto specialmente pel libro intitolato: Le Caccie delle fiere armate e di- sarmate eCe. nelle quale pienamente si discorre del go- verno, cura e medicamenti degli uccelli rapaci et inno- centi et de cani. Conosciamo tre edizioni dell’ opera del Raimondi; la prima è di Brescia 1621 — 8 fig., la SLM seconda di Napoli 1626. 4. con bellissime figure; la terza è pure di Brescia, ma del 1785. 8 fig. Nel libro del filosofo Bresciano si parla del buon cavallo da caccia, delle buone razze de’ cani, delle mi- gliori per la caccia. Vengono indicate le malattie di questi quadrupedi e quelle pure degli uccelli coi ri- medì più utili per ottenerne la guarigione. L’opera del Raimondi è divisa in quattro libri; nel primo discorre dell’ origine e dei pregi delle cac- cie; descrive i cavalli più atti alle medesime, e ricorda tutte le principali malattie a cui va soggetto il nobile animale, non che i rimedi per curarle; nel medesimo parla dei cani da caccia, dell'igiene da usarsi coi medesimi, delle malattie e dei rimedi. Nel nostro » autore troviamo indicato ìl verme che viene sotto la lingua al cane, di cui non è parola negli altri già ci- tati. Seguita il primo libro coi soliti insegnamenti in- torno agli uccelli di rapina, incominciando dai Falconi, che distingue in tante razze col sistema dei più an- tichi, procedendo agli Astori, Sparvieri ecc.; passa poi a trattare dei doveri dello Strucciero, delle ma- lattie degli uccelli e del modo di guarirle, ripetendo sull’argomento quanto già conosciamo. Nel secon- do libro si occupa della caccia del cervo; del cin- ghiale, del lepre, delle volpi, del coniglio, del lupo e di quella degli altri animali feroci. Nel terzo delle caccie degli uccelli, e nel quarto dei pesci. LII. Giovan Pietro Olina 1622. Celebre è l’ opera del Novarese Giov. Pietro Olina che denomina l’ Uccelliera, overo discorso. della natura 7 i e proprietà dei diversi uccelli, e în particolare di quei che cantano, con il modo di prendergli, conoscergli, al- levargli e mantenergli. E con le figure intagliate dal Tempesta e dal Villamena, Roma 1622 e 1684. 4. Il merito della predetta opera non si riferisce tanto alla bellezza delle incisioni rappresentanti i diversi uc- celli, gli apparecchi necessari per le varie caccie ecc., quanto alla precisa ed elegante descrizione che l’ autore ci fece di ciascuno, le avvertenze che ci lasciò intorno al modo di alimentarli, allevarli, educarli ai simpatici canti ecc. Breve nel libro dell’ Olina è la parte che si occupa della descrizione e cura delle infermità di di- versi uccelli, è però tale sempre da meritare al suo autore d’ essere annoverato fra coloro che presero inte- ressamento per rimediare alle malattie di questi delicati organismi. Ricorda l’autore patire gli uccelletti le po- steme alla testa o fignoli; pel detto male si purgano col dar loro a bere invece d’ acqua sugo di bieta. Agli occhi soffrono per alcuni bottaccivoli, i quali indicano il principio dell’ acciecare; si bagnano con latte di fico, o con scorza di melarancio, o con decotto di elleboro bianco ecc. Nel palato patono d’ alcune ulcerette che volgar- mente diconsi grancitelli osian Aphte. Si curano col mettere nell’abbeveratoio seme di Mellone mondo e. dissoluto nell’ acqua per tre o quattro giorni, toccan- dogli leggermente il palato con una penna intinta in mel rosato. | Paton molti il mal caduco, nel qual caso, se scam- pano quella prima furia, gli si devon subito spuntar V unghie ecc. Talvolta arrocano, perdendo il canto. Vi si rime- dierà col fargli decotto con giuggiole, fichi secchi ecc. Patiscon d’ asma e strettezza di petto, il che si suol Sa conoscere dal spesso aprir del becco, dal divenir rochi; sì curano con un poco d’ ossimele e con una penna se gliene farà cader dentro alla gola due o tre gocciole ecc. Patiscon di tisico, che altrimenti dicesi mal sottile ; è contrassegni del quale sono l haver l’uccello la pan- cia gonfia come se patisse d’ idropisia, le vene gonfie e apparenti, il petto magro e con poca carne ecc. Gli si dà il detto seme di mellone pesto con un poco di zuc- chero mesticato con acqua comune dandogli prima per um par di giorni il già detto sugo di bieta. Son soliti patir di stitichezza. Gli vien spesse volte il coderizzo, in punta di esso gonfiandosegli. Soglion rompersi al- cuna volta una gamba, si cura o lasciando operar la natura, 0 al più si fascierà gentilmente con un poco di stoppa imbrattata d’ olio di sasso. Patiscon in ultimo di gotta, che si conosce dal piede gonfio, scabroso e di color di gesso, malamente possono reggersi e stare in piedi ecc. Si medicherà con decotto di radiche d’ Elleboro bianco e acqua comune, lavan- dogli con esso caldo in modo che si possa soffrire ecc. Ad altre infermità degli uccelli l’ Olina accenna, nel corso dell’ opera e sempre con molta precisione e proprietà di linguaggio. Non omette nè pure di trattare di altri argomenti relativi alle caccie, ricordando sem- pre cose importanti a conoscersi. Così ad esempio discorrendo della caccia col bracco, ci avvisa che il bracco da rete od il can da fermo, così detto, per- chè vedendo la fiera si ferma, mostra diversa abilità secondo le razze a cui appartiene od il paese da cui proviene, distinguendosi allora in Gallicus, Tuscus et Umber ecc. Alcuni preferiscono a tutti quel cane che in Iscozia si chiama Agaseo; in Italia si stimano quelli — 100 — della Marca e di Napoli; de’ buoni se ne allevano in Toscana (1). LIII. Bonfadini Cap. Vita 1729. Vita Bonfadini nato in Gazzano, Riviera di Salò, deve pure essere collocato fra gli scrittori che parla- rono, ex professo, della caccia; diremmo anzi che al- largò il suo compito coll’ ammaestrare intorno al modo di scegliere e caricare l’ archibugio, non che sui mi- gliori mezzi per fabbricare la polvere ardente ecc. Ma se il Bonfadini col suo libro intitolato: « La caccia dell’ Arcobugio », stampato in Bologna nel 1641 e 1672 e nel 1729, e Milano 1648, venne a farsi conoscere molto valente nell’ arte di cacciare, non mostrò di sa- perne intorno alle malattie, ed omise di parlarne; me- rita però di stare cogli scrittori che si occuparono de’ morbi degli animali per quella parte del suo libro in cui tratta del modo di ammaestrare i Bracchi e cu- rarli da molte malattie; ma poi esaminando il libro stesso si viene a conoscere che le molte malattie si riducono alla Rogna, di cui distingue quattro specie; alle diverse ferite che accidentalmente possono pro- dursi sul corpo, non che al caso di avere vermi nel- l'interno per cui non ponno votarsi. (1) Viene ricordato da Filippo Re un Valli Ant. da Todi, autore del- l’opera: « Il canto degli Augelli.... con il modo di pigliarli con facilità et allevarli, cibarli, domesticarli, ammaestrarli e guarirli nelle infermità che a detti possono succedere; con fig. del Tempesta Roma 1601 4 ». Quest’ opera è forse stimata più pe’ bei rami di cui va adorna che pel rimanente. Ì — 101 — L'autore, nel.capitolo nel quale tratta del modo di ammaestrare il bracco per la caccia, esalta i meriti dei bracchi dell’ ilustrissimo signor Marchese Fortu- nato Rangoni; di questi cani avvisava di averne for- mata una razza propria in Bologna, città che sembra essere stata la seconda patria dell’ autore. LIV. Giovanni Pontini. Altre opere sulla caccia interessanti per la storia della Veterinaria possiede certamente l’ Italia, ma come parlarne quando mancò l’ opportunità di vederle? di- scorrendo delle medesime, senza averle consultate, si corre pericolo di. cadere nel vizio rimproverabile a parecchi che fecer dire agli autori quello, che nemeno per sogno immaginarono. Ometteremo per questo di analizzare le opere di Belisario Acquaviva « De venatio- ne et de aucupio, Neapoli 15419 fol. » di M. A. Biondi. « Libellus de canibus et venatione, Rome 1544. 4 ». E termineremo questo, forse troppo lungo esame degli scrittori di Falconeria e di Uccelleria, col ricordare Gio- vanni Pontini, da Castelcucco di Asolo, del quale venne stampata in Vicenza nel 1758: La cacciagione de’ volatili, ossia l’ arte di pigliare uccelli in ogni maniera con è rimedi per guarirli dalle loro malattie. Il Pontini descrive accuratamente le varie maniere di cacciare; ma nella parte in cui discorre de’ rimedi per guarire gli uccelli dalle loro malattie è soverchia- mente ristretto, copiando però l’ Olina e nominando fra le malattie la Postema, 1° Ulcera del palato, la Rau- cedine , V Asma e strettezza di petto, la Podagra 0 Got- ta, la Tisichezza o Gonfiezza, il Brusco (con tal nome Pontini indica il male del codrione), il Mal caduco. — 102 — Il libro del Pontini è ornato coi disegni degli uc- celli ad imitazione di quello dell’ Olina; ma mentre nella prima tavola dell’ autore Novarese si trova il di- segno del Rusignuolo, in quella del Mantovano si in- contra quel del Merlo (1). LV. I libri de’ Marchi de' Cavalli dal 1588 — 1770 — 1780. I libri in cui sono disegnati i Marchi delle diverse razze cavalline, che furono nei tempi antichi un 0g- getto di gloria e di ricchezza per l’Italia, spettano sto- ricamente alla ippologia, ma in parte entrano pure fra le opere di Veterinaria. A collocarveli fummo in- dotti dal trovarsì in uno de’ più antichi fra i predetti libri, ossia in quello stampato in Venezia dai Giunti nel 1588, sette foglietti in cui parlasi esclusivamente delle ‘malattie dei cavalli. La stampa dell’ accennato li- bro fu ripetuta nell’anno 1626 e, per quanto ci ac- cadde di leggere, la era stata altresì nel 1593 (2). Abbiamo detto di aver trovati precetti sull’ arte di curare alcune delle malattie de’ cavalli in uno dei più (1) Ci fu impossibile acquistare cognizioni positive sul libro scritto da lacopo Antonio Buonfanti, (Parroco della diocesi di San Miniato ). Del Pol- laio e della Colombaia, Livorno 1768 8, e dl Angelini (Gio. Battista). La descrizione dell’ uccellare col roccolo. Bergamo 1724 in 42. Per quanto ci è noto, asserisce Filippo Re, è questo |’ unico scrittore italiano che abbia maneggiato con estensione questo argomento. (2) Lastri cita appunto l’ edizione di Venezia 1593 ed una del 1779 che dice ferza. « Queste sono le infermità, che patiscono i cavalli, col modo di curarle et sanarle; et di nuovo aggionto nel fine una bellissima diceria, dove si contiene le cose più importanti ». ife po cea — 103 — antichi fra i libri de’ Marchi, perchè ne esiste un altro di data anteriore, ossia stampato precisamente nel 1567 in Venezia (Nelli), che a noi non fu possibile rinvenire; ma per fortuna trovammo tre esemplari dell’ edizione Giuntina del 1588 che Brunet dice re- impressione dell’ altra del 1569. Gli esemplari dell’anno 1588 da noi riscontrati, presentano rimarchevoli differenze; il più importante appartiene alla Parmense; ha come gli altri il seguente titolo: « Libro de Marchi de cavalli, con li nomi di tutti li Principi et privati Signori, che hanno razza di Cavalli. Con la tavola de’ nomi di tutti quelli che hanno nel presente libro Marche a suoi cavalli». Se- gue l'impresa Giuntina, infine. « In Venetia, 1588. Appresso Bernardo Giunti (1) ». Il foglietto segnato A. 3 porta nelle due faccie la Tavola de nomi di tutti li Principi e Signori che hanno marchi alli suoi cavalli, contenuti nel presente libro. Seguono altri otto foglietti, l ultimo de’ quali bian- co. Ne’ primi cinque sono descritte le infermità che patiscono i cavalli, col modo di curarle ecc. Negli al- tri due sì tratta del cavallo che ha il-male dell’ orzuolo, e che casca del mal caduco, ovvero della brutta, e che non può camminare, ovvero levarsi in piedi. Appena importa accennare, che mentre nei lessici il male dell’orzuolo si fa equivalere a male caduco dall'inglese horse, cavallo; nel nostro libro parrebbe indicare qualche cosa di diverso. In uno dei due esemplari del predetto libro, che possediamo , si trova una specialità meritevole di at- tenzione, l’ esistenza cioè di una tavola portante il di- (1) Nell’ ultima carta è figurata una porta con istipiti mensolati e un mascherone nell’ archivolto tra due volute incise. — 104 — segno di.un cavallo rappresentato coi malori a cuì va soggetto, indicati con tante linee che si partono dalle diverse parti del corpo ‘ed arrivano ai punti di un quadrato in cui è racchiuso l’ animale colle indicazioni delle malattie. I morbi denominati in detta tavola sono sessanta in numero, indicati colle cifre arabiche, incominciando dal tronco della coda e girando in tutte le parti del corpo, per venir a finire nel luogo stesso. Sotto il primo numero (1) è indicata la scabie e successivamente il mal de pedochi, costana, polmon- cello, mal del dosso, mal del corno, qguidaresco, lu- cerdo, strangoglioni, vivole, ungelle, mal del panno, capostorno, rafredato, clamoro, vermo volatico, lam- | pasco, palatina, tiro secco, mal della lingua, barbon- celli, antipello (antipetto), capeletti, curba, schinella, galle, macole, riccioli, chiovardo, seconda specie de in- chiodatura, formella, incastellato, spenochia, inchio- datura, mal dell’ aseno, desolato, riprensione, mal del fico, sedola, quarto, serpentina, contana, rappe, lupa, incordatura, botta di grassella, anguinaglia, corbo, fi- stola, cancro, crepaze, giardoni, reste, traverse, spa- ragagno, rappe, vesigoni, capeletti, langio, cascar peli. LVI. Ora si chiederà certamente se l’ indicata tavola sia parte essenziale del libro, od un’aggiunta fatta da un antico possessore del medesimo? Crediamo poter ritenere che di esso faccia realmente parte, sia ‘ per- chè e disegnata nelle proporzioni del medesimo, sia perchè i caratteri adoperati sono conformi a quelli che si trovano a’ piedi delle ottanta sette incisioni di cui son composti i diversi esemplari. Un altro argomento per considerarla originale e fra iti — 105 — le più antiche, dopo quella che si ammira in diverse edizioni dell’ opera di Federico Grisone (Ordini di Ca- valcare) (1), di Marino Garzoni, di Cesare Fiaschi, di Liberati ecc. si ha dal vedere che nelle altre la nume- razione delle malattie incomincia da parti diverse, e così nell’ edizione del Trattato dell’'imbrigliare, maneg- giare et ferrare i cavalli di Cesare Fiaschi, il numero primo è posto per indicare il mal de lingua. Nel libro di Marino Garzoni, « L’ arte di ben cono- scere e distinguere le qualità dei cavalli »: le malat- lie sono rappresentate in altra maniera con due dise- gni di cavalli e portate al N.° di 101. In un esemplare dell’ Equile di Stradano, che noi possediamo, sono aggiunte due tavole che si possono ritenere del secolo decimo sesto: la prima è in foglio. aperto e porta dissegnati l’ uno contro all’altro il cavallo ed il bue; ed in cima al disegno è scritto: « Le infermità del cavallo e li suoi rimedi »; e di se- guito: « Le infermità del bue et suoi rimedi ». Il pri- mo numero è scritto contro la linea che indica la Scabbia. L’ altra tavola, di maggiori proporzioni, pre- senta l’ uguale numero di morbi, ma i loro nomi sono scritti in altrettanti circoletti che girano sopra un quadrato tutt'intorno al cavallo, identica a quella che si trova nel libro di Francesco Liberati. In entrambe sotto il N.° 27 è indicata una malattia del nodello anteriore sotto il nome di Maccole, che in (1) Federico Grisone Napolitano, Ordini di Cavalcare. Venetia 1565 8. La tavola rappresentante il cavallo co’ suoi mali in quest’ edizione è più preeisa che nelle successive; il primo numero indica il Barboncello; il 55 le Maceole, il 56 la seconda specie d’ inchiodatura. Idem 1590 in 4. Incomincia col mal della lingua. Idem 1610 in 4. Identica, infatti é la 2.2 edizione d’ Andrea Muschio. Idem 1620 in 4. Andrea Muschio, eguale. — 106 — altri è stampato maceole o Mecole, Il nome di Maccole corrisponde all’ altro, introdotto posteriormente nella Veterinaria, di Mazzole (1), che sono tumefazioni acci- dentali e fredde, che si generano nelle gambe de’ ca- valli nel punto ove l’ osso dello stinco si congiunge all'osso pastorale, per cui l’ articolazione ingrossa tut- t’all’intorno da simulare una piccola mazza. LVII. Anania Zen nel 1658 raccolse in un piccolo libro i marchi delle razze più conosciute e lo stampò in Venezia; porta per titolo: « / cavallo di razza rico- nosciuto dal segno de Marchi delle più perfette razze ». Colla data predetta se ne trovano esemplari in carta più grossa, ma realmente sono dì un’ edizione diversa come facilmente si può scorgere osservando che in uno al disotto della data si legge: « Con lic: de’ Supe- riori ». Ad istanza di Bartolomeo Federici; e nell’ altro sta scritto solamente: « Con lic. de’ Superiori ». Il Zen nel discorso ai lettori si qualifica professore e dilettante di cavalli, e fa credere di essere stato in- dotto alla compilazione della raccolta pel fine preci- puo di far conoscere le razze « del Venetiano, Lom- bardia e Romagna »; e perchè tra i molti libri da lui consultati non trovò che Francesco Liberati, che tra li.Merchi del Regno e Romagna, n’ ha annoverati al- cuni pochi di nobili Veneti. Termina il discorso preli- minare con una dichiarazione dalla quale risulta, che la razza dei Contarini ebbe origine da un cavallo turco venduto al signor Antonio Diedo. (2) Nelle scritture toscane mazzuole. Vedi statuto dell’arte dei Fab- bricanti, Fierli ecc. " — 107 — LVII. Giacomo Grandi nell’anno 1723 raccolse i Merchi delle razze de’ cavalli dello Stato Veneto, della Lom- bardia ed in parte della Romagna, e li stampò in Ve- nezia nel 1724. Anche di questo bel libretto si hanno due edizioni portanti la medesima data, ma con de- dica diversa, l’ una incominciando coll’ indirizzo: £c- cellenza (ad Alvise Morosini), l’altra Signoria Mustris- sima. Il Grandì nell’ avviso al lettore si qualifica e- sperto conoscitore di cavalli, e si vanta dell’ incarico ricevuto ripetutamente da grandi signori di acquistare cavalli specialmente nelle Fiere di Padova e Rovigo; avverte però di essersi determinato alla compilazione del suo libro per servire di scorta ed istruzione a’ di- lettanti di cavalleria per distinguere le razze, e conosce- re il nome, il credito e la stima, perchè al giorno d' oggi, così egli scrive, non può farsi più sicuro fonda- mento sopra îl libretto di Ananìa Zen stampato ultima- mente in Venezia nell’ anno 1658. Nel libro del Grandi i nomi delle diverse razze sono disposti in ordine al- fabetico. LIX. Forse Pietro Francesco Canavese, Mastro di stalla dell’ Illustrissimo Sig. Conte Giuseppe Maria Arconati; fu quello che compilò il libro de’ Marchi delle razze de' cavalli dello Stato Veneto, Lombardia, Pontificio ecc. poichè il Canavese medesimo è l’ autore del Compen- dio di varie ricette esperimentate per medicar cavalli ed animali bovini, che si trova unito a molti esem- — 108 — plari dell’ edizione compiuta in Venezia dal Locatelli nell’anno 1768 e 1770 (1). L’ editore antepose alla serie dei Marchi un eru- dita Prefazione, in cui avvisa innanzi tutto, che nel libro sì contengono i Marchi delle razze de’ Polledri che sogliono comparire ogni anno alla ‘Fiera della città di Rovigo. Ricorda che questa celebre fiera fu insti- tuita dalla Repubblica Veneta nel 1482 e si tenne la prima volta ai 12 di Agosto; ma poi per decreto del- l’ Eccellentissimo Senato, 5 Dicembre 1487, fu tra- sferita al primo di Ottobre, e nel 1523 ai 5 di Di- cembre: con altro decreto fu stabilito che principiar dovesse agli otto pur d’ Ottobre e durar giorni nove; finalmente con decreto 27 Agosto 1564, fu fissata ai 20 di Ottobre principiando alle ore 20 di tal giorno, e continuando per tutto il 28, come s'è poi sempre costumato, e praticasi tuttora. I Polledri però non com- pariscono sulla Fiera che tre giorni, cioè il di 21, 22 e 23. Nella Prefazione medesima racconta che ad epo- che molto antiche montava la celebrità delle razze del Polesine. Fino dai più rimoti tempi, egli scrive, questa e le circonvicine contrade abbondavano di ca- © valli, ch’ erano singolarmente pregiati, e ne’ più no- bili usi di guerra e di corso venivano richiesti. Pas- savano allora sotto il nome di cavalli Veneti, col quale si trovano ricordati da Strabone, da Euripide ecc. Con- clude l’ autore d’ aver usata ogni possibile diligenza perchè non mancasse alcun Marchio delle razze, che si mandavano alla Fiera di Rovigo, procurando etian- dio di correggere tutti gli errori, che quastavano la rac- (‘) Venne dichiarato nel 1863 nell’opera Biographisch-literarisches Lexicon der Thieràrzte aller Zeiten un Lànder eec. i G. W. Schrader von Eduard Hering Med. Doct. Stuttgart. otte: PARI? * È — 109 — colta fatta da Giacomo Grandi, cavallerizzo, e stam-- pata in Venezia nel 1724, in 12 per Antonio Polidoro. LX, Coll’ esame instituito sul libro de’ Marchi stampato dal Locatelli, confrontando i varii esemplari che tro- vansi nelle nostre mani, abbiano riconosciuto tre di- verse edizioni, tutte però aventi la medesima data. Infatti alla pagina 85 in alcune copie si legge: « Conte Poggiana nel Vicentino: in altre Conte Poggiana nel Vicentino e passata nella Duchessa di Parma ». La ce- lebre razza della Principessa Maria Amalia, era in con- seguenza derivata direttamente dal Friuli, e quindi dai migliori cavalli d’ Italia. Negli accennati esemplari corrono differenze nella collocazione delle tavole; alcuni portano un mar- chio in più che è quello della razza Parmigiana; però anche quelli muniti di questa carta offrono due va- riazioni; in taluni il marchio dei cavalli della Duchessa è solo sul foglietto; in altri nella pagina retro si vede il marchio della razza di S. Martino di Ferrara; dove al di sotto del marchio si legge erra Poggiana, era Poggiana, per essersi emendato l’ errore della prima stampa. Il compendio delle ricette del Canavese spesso ha la data del libro de Marchi (1770); alcuna volta quella del 1780 (1). (1) Il Conte Ercolani registrò altri due libri di Marchi, Belli Nicola. Dei Marchi dei cavalli Venezia 1569. Capello G. B. I veri disegni dei marchi di tutte le più famose razze di cavalli che sono nel Regno di Na- poli. Napoli 1588. e fa LXI. Dopo avere nominata la razza cavallina parmigiana, chi scrive, per affetto al paese nativo, non può di- spensarsi dal dirne una parola, sia perchè si alleva- vano nella provincia di Parma celebri cavalli anche sotto la dominazioné Farnese e Borbonica, sia perchè niuno ha più memoria di quelle razze, e l’ uomo pie- toso che a noi fornì le più sicure relazioni passò nel mondo migliore. Altri ci diede pure preziose indica- zioni sui pascoli a’ quali nella stagione estiva veni- vano inviate le cavalle coi loro puledri. I più celebrati per uso della razza erano compresi sotto il nome di Valli de’ Cavalieri e della bandita. La località in cui avevansi i pascoli migliori era sopra il villaggio di Castagneto nel Comune di Palan- zano, ed andava a confinare con la campagna di Mon- temiscoso. E, poichè non potevano andarvi in pascolo se non i cavalli del Sovrano, era denominata, e tut- t ora si chiama, la dandita. In quella località esi- steva pure una capanna preparata per comodo e rico- vero de’ mandriani, ed una grande tettoia per acco- gliervi i cavalli nei momenti delle intemperie; venne abbrucciata nel 1806 e tuttora se ne veggono i ru- deri sparsi sul suolo. Valle dei Cavalieri chìamavasi il fertile territorio posto nel principio della valle del- l’Enza, perchè apparteneva ai Cavalieri di Malta, i quali percepivano alcuni canoni livellari da que’ Al- pigiani, passati successivamente in dominio del Ve- scovo di Parma. Que’ pascoli erano circondati da alti faggi che andavano continuamente estendendosi e mi- nacciavano di ricoprirli; ad impedire il temuto cam- biamento , il Podestà delle Valli dei Cavalieri nella pri- — Hill mavera di ciascun anno vi si recava a farli ripulire e vi faceva concorrere, per comando, a prestare l’ opera necessaria, due popolani da ciascuna delle parocchie soggette alla di lui giurisdizione. Mi ricordava il com- pianto Dott. Gabriele Guadagnini essere stato il Sig. Dott. Francesco Castiglioni 1’ ultimo Podestà che sod- disfece l’ incarico di far pulire dagli sterpi i pascoli della bandita, ì quali avevano un perimetro di oltre tre miglia. Intorno ai luoghi in cui si mandavano in pascolo i cavalli, altri preziosi documenti cì procurò il distinto Medico Dottore Atanasio Basetti, che ricordiamo con grato animo; e mentre coi medesimi siam venuti a conoscere che anche in antico furono fatte spedizioni delle bellissime cavalle della razza di Parma in Ispa- gna ed a Napoli, abbiamo appreso che i Principi Far- nesi mantenevano altra distinta razza cavallina nello Stato di Castro; gli animali che la costituivano nel linguaggio dell’epoca erano qualificati gran maneg- giatori (4). LXII. I Cavallerizzi Italiani dal 1550 — 1755 ossia da Federico Grisone a Giuseppe Antonio Marinelli. Discorso dei libri de’ Marchi, di lavori cioè com- (1) Nell'opera di Carlo Natale, Cremonese, intitolata: « Libro della descrizione in rame degli Stati e Feudi Imperiali di Don Federigo Landi, del S. R. Impero, di Val di Taro et Val di Ceno Principe IV, di Bardi ecc. Cremona 1617 in 4 ». Si trovano incisi i Marchi della razza caval- lina appartenente a quei Marchesi, cioè Agostino, Manfredo, Claudio e Federico Landi. — 112 — piuti la maggior parte da Cavallerizzi, è più natu- rale passare ad accennare storicamente le opere la- sciate dai medesimi, le quali per testimonianza delle persone più autorevoli ebbero molta influenza anche sulla Veterinaria nel secolo decimo sesto, settimo e nella prima metà del decimottavo; ma quest’ influenza se giovò a mantener vivo negli Italiani V amore pel cavallo, servì però ad impedire qualunque progresso alla Veterinaria, poichè nelle- mani de’ Cavallerizzi fu conservata come un’ arte empirica, la cui parte più importante del suo patrimonio consisteva nell’ aggiun- . gere nuove formole medicinali alle molte, che già so- verchiavano il bisogno della pratica. Qualcuno forse dirà non importare il ce delle opere che trattano dell’ equitazione, la quale in nessun modo si lega alla medicina degli animali; e ciò giusto sarebbe qualora pressochè tutti gli autori di tali opere non avessero parlato anche dei malori dei bruti, e quando dai più non si fosse con parti- colare premura dissertato intorno all’ arte di ferrare i cavalli, la quale certamente deve far parte della Chi- rurgia Veterinaria. LXII. Celebre in Italia e nei principali paesi d’ Europa si mantenne lungamente il libro di Federico Grisone. « Gli ordini di cavalcare » stampato per la prima volta in Napoli, patria dell’ autore, nel 1550 dal Suganappo, e successivamente dal Valgrisi nel 1551, 52 e da altri ben sedici volte come si può leggere nella Biblioteca dell’ Huzard. L’ opera suddetta venne assai presto non solamente tradotta in Tedesco, come avemmo a ri- cordare, ma altresì nella lingua Spagnuola e Francese. — 113 — Di questa ultima si fecero parecchie edizioni dive- nute tutte rare oggidì; in quella eseguita nel 1599 in 4 Brunet scrive, che vi sta unito il trattato dei ri- medi più stimati, per combattere le malattie dei ca- valli aggiunto dal signor Francesco Lanfray; ecuyer italien. Veramente non sapremmo come ritenere ita- liano il cognome Lanfray; ma forse Brunet, che si conosce aver citato il libro copiandone il titolo dal ca- talogo Huzard, trascrisse anche l’ indicazione sbagliata di quell’importante catalogo; forse vi si doveva dire Orazio Francini, che poco dopo, 1607, stampò in Pa- rigi la sua Ippiatrica, di cui non si dovrebbe la- mentare la rarità, sapendosi essere quest’ opera una compilazione o per meglio dire la seconda parte di quella del Senatore Ruini, ossia: « Delle Infermità del cavallo e suoi rimedi ». Ricordò il Prof. Ercolani es- sersi il Francini dichiarato nipote di Ruini. Nelle più moderne edizioni dell’ opera di Grisone sì trova unito un trattatello delle varie infermità che sogliono venire ai cavalli, di cui si può dire minima l’importanza, del quale si deve riconoscere autore Giov. Battista Ferraro, come venne dichiarato dal di lui figlio Pirro Antonio. LXIV. Se nel sestodecimo secolo Napoli diventò la grande scuola d’ Europa per l’ equitazione; altre città italiane seguirono ben presto con eguale ardore l’arte allora gloriosa. Fra quei celebri cultori, in riguardo al tempo in cui visse, dobbiamo prima d'altri citare Cesare Fiaschi, gentiluomo ‘Ferrarese. Alla corte di Ferrara erano frequenti i tornei, nei quali i nobili Italiani sa- pevano far spiccare la loro grande abilità nel maneg- 8 — 14 — gio dei cavalli, e gli Estensi erano allora anche pos- sessori delle più famose razze cavalline d’ Europa (1). Il libro del Fiaschi « Trattato dell’ imbrigliare ma- neggiare et ferrare cavalli » venne stampato per la prima volta in Bologna nel 1556 in 4. L'edizione è molto stimata per le incisioni che l’ adornano, e l’au- tore la dedicò ad Enrico II re di Francia. Nella parte retro del frontispizio vediamo disegnata 1’ officina di un fabbricatore di morsi; terminano il primo li- bro trenta pagine nelle quali sono disegnati morsi bellissimi. Al secondo libro precede un frontispizio rap- presentante un nobile cavaliere che ritorna dalla pas- seggiata, ed entrando nel vestibolo del proprio pa- lazzo viene accolto da’ suoi famigliari. Il terzo libro è parimente preceduto da un disegno rappresentante un Maniscalco intento all’ applicazione di un ferro al piede di-un cavallo; un cavaliere dirige l’ operazione; ed al- tri due uomini lavorano alla fucina. L’ opera del Fiaschi lodata dal Bonsi non ri- guarda assolutamente che l’ equitazione e la ferratura; ma successivamente, cioè nella quarta impressione, vi si aggiunse il Trattato di Mascalcia di Filippo Scacco da Tagliacozzo, nel quale son contenute tutte le in- fermità dei cavalli così interiori che esteriori e li se- gni per conoscerle, e le cure ecc. Il libro dello Scacco è chiamato nel medesimo frontispizio in cui è indi- cato il Trattato dell’ imbrigliare, maneggiare e ferrare cavalli. In Venezia 1614, 4. Il Trattato dello Scacco si trova anche separata- (1) Il celebre De la Guerriniere ricordò, che gli esercizi della ca- .vallerizza, i tornei, erano massimamente di moda in Italia sul finire del 16° secolo. Roma e Napoli erano la sede delle più celebri accademie nelle quali le altre nazioni venivano a perfezionarsi. — 115 — mente; è diviso in quattro libri; ne’ quali si conten- gono tutte le infermità de’ cavalli così interiori come esteriori ecc. e colle figure che mostrano il modo, et îl loco da sanguinare, et curare detti cavalli ecc. ll libro dello Scacco può essere riguardato come | una cattiva compilazione da Vegezio, che il napoletano in parecchi luoghi dimostra di non aver ben inteso (1). LXV. Negli anni 1560 e 1570 venne alla luce il libro in- titolato delleRazze, disciplina del cavalcare ed altre cose pertinenti all’ esercizio così fatto del Sig. Giov. Bat- tista Ferraro cavallerizzo napoletano. Nell’ edizione del 1570 non si incontrano varia- zioni nel testo, ma vi si vede ristampato un sol fo- glietto preliminare. Al medesimo Giov. Batt. Ferraro appartiene il li- bretto stampato in Macerata nel 1688, e in Bologna senz’ anno; Venezia 1705; Bassano senz’ anno; detto Trattato utile e necessario ad ogni Agricoltore per | guarire cavalli, bovi, vacche, cani ecc. Questo libretto di 84 pagine nell’ edizione di Venezia e di 95 in quella de’ Remondini, offre un meschino compendio di ciò che è stato detto da Ruffo e da Rusio intorno ai mali dei cavalli; si trovano però. aggiunti alcuni precetti per governare uccelli, ed un trattatello sul modo di coltivare l'orto in villa; vi si parla di alcune malat- tie dei bovi, e per di più i due esemplari che ab- biamo presi in esame, offrono un cattivo disegno del bue con tutte le infermità che possongli venire; vi è ripetuta ancora la tavola portante il cavallo colle sue (1) Bonsi cita un edizione dell’anno 1594 dell’opera dello Scacco. — 116 — malattie; e vi sì trovano altre due tavole l’ una rap- presentante / anatomia delli membri e viscere dei |ca- valli: l altra è la figura dell’ Anatomia dell’ ossa del cavallo eseguita molto imperfettamente. LXVI. Pirro Antonio Ferraro stampò in Napoli nel 1602 l’ opera intitolata Cavallo frenato, divisa in quattro li- bri; che sono preceduti da un trattato di Giov. Battista suo Padre, e vi sono aggiunte le figure delle Anato- mie et un numero d’ infiniti cavalli fatti et ammae- strati sotto la sua disciplina con l’ obbligo del Mastro di Stalla. Il libro del cavallerizzo napolitano fu magnifica- mente stampato dal Pace, ed il figlio Pirro dichiara nel proemio di avervi aggiunte le figure, e d’averlo fatto ristampare per obbedire alla di lui volontà, per levare quello che da molti soverchio si giudicava, e per di- chiarare che gli scritti dell’ Anatomia et della cura de’ cavalli, che nel terzo libro si ritrovano, sono spe- rimentate fatiche di suo padre ecc. dagli stampatori aggiunte al libro del Sig. Federico Grisone. Le cose esposte da Giovan Battista Ferraro di- mostrano che egli conobbe l’opera di Vegezio, di Mosè da Palermo, di Ruffo e di Rusio. Nel secondo libro espone le regole per dare la conveniente edu- cazione al puledro ed ammaestrarlo negli esercizi ca- vallereschi, nei quali ricorda centinaia fra i più cele- bri; ma sarebbe ora inutile ripetere il lunghissimo elenco formato per la maggior parte di napolitani ; ri- chiameremo solamente i nomi d’alcuni appartenenti ad altri paesi d’Italia per dire-che nel secolo decimo- sesto e settimo era. grandemente apprezzato da noi PI de I pel » — 117 — l'esercizio della cavallerizza; nè dimenticheremo. di accennare col nostro Ferraro e col Peschiolanciano, che Nicola Pagano fu l’ inventore de’ Torni e del Rad- doppio, ed il Maestro del tanto celebrato Grisone. L’ Italia diede in quei tempi alle diverse corti di Europa ed alla stessa Repubblica di Venezia, i più ec- cellenti Cavallerizzi; abbiamo di già nominato Cesare Fiaschi da Ferrara; ora citeremo fra ì più famosi, Lorenzino Palmieri fiorentino, Corte Claudio di Pa- via, Ratti Giovanni di Mantova, Colla Marsiglio da Lodi, da Taranto Luigi piacentino, Cinquini Dome- nico romano, che il suo concittadino Francesco Li- berati chiamò l’ Apollo della nobilissima professio- ne (4); Pavari veneto, Girolamo e Nicola Santa Pau- lina, il Cav. d’ Aquino, il Conte Rondinelli ecc. Mentre l’ Autore fa la rassegna dei famosi Caval- lerizzi, nomina parecchi dei cavalli ammaestrati e le razze che specialmente nelle provincie napolitane for- nivano i più eccellenti cavalli. Nel terzo libro è esposta un’ incompleta Ana- tomia delle ossa, vene ecc. e si danno precetti per la cura delle principali malattie interne; nel quarto si discorre delle malattie chirurgiche od esterne. I quattro libri di Pirro Antonio Ferraro riguardano esclusivamente l’ Equitazione; e nei medesimi si parla delle briglie, rappresentate da bellissimi disegni, ca- vezzoni, camarre, museruole ecc. L’ edizione delle opere dei due Ferraro eseguita in Venezia nel 1620, pure in folio, non diversifica da quella di Napoli. (1) Huzard possedeva manoscritta l opera di Lelio Cinquini: intitolata Il cavallo ammaestrato. — 1183 — LXVII. Claudio Corte di Pavia viene anche presentemente considerato fra i più esperti maestri di Equitazione; _ il suo libro, col modesto titolo il Cavallerizzo, fu stampato per la prima volta in Venezia da Giordano Ziletti nel 1562 e successivamente in Lione nel 1573 accresciuto ed emendato. Si discorre nell’ opera del Corte di tutto quello che a’ cavalli et a buon Cavallerizzo s’ appartiene, con molta abilità, e con un linguaggio poco comune a suoi tempi, dimostrandosi uomo di rara erudizione. Ma lasciamo dichiarare all’ autore il contenuto del suo libro diviso in tre capi principali; nel primo (egli dice) si ragionerà della natura de’ cavalli, del modo di tener razza, dell’ alevar poledri, del farne scelta , del governo loro, e di molte cose utili e necessarie circa questi. Nel secondo ragioneremo del modo del cavalcare, e di fre- nare e d’ altro a questo et al cavalliere appartenente. Nel terzo ed ultimo diremo quello che a bon cavalle- rizzo si conviene; lasciando a dietro quella parte del medicare e di ferrare come propria (secondo il mio giuditio ) del marescalco o del ferraro. La prima edizione venne dedicata al gran Cardi- nale Alessandro Farnese con un proemio ricco di con- siderazioni atte a dimostrare l’ eccellenza ed i vantaggi di quest’ arte , ricordando che fra gli antichi fu Seno- fonte che meglio ne trattò nel suo Ippico od Ippoco- mio. Il Corte stabilì la sua fortuna coll’ aver formati celebri cavalli mentre rimase al servigio di quel Prin- cipe, ma la medesima non gli continuò quando fece passaggio alla corte di Francia. Esalta l’ abilità dei Cavallerizzi di Carlo quinto, del Tomasso, mantovano, e — 119 — di Fra Prospero Ricco, milanese ; di Camillo dalla Men- dolara, Giovan Antonio Catamusto ecc., ed in parti- colare de’ suoi antenati cioè i nobili di Corte di Pavia, Giovan Angelo da Carcano gentiluomo milanese. Fu cavallerizzo , il padre mio, egli dice, in quell’ età fe- lice, nella quale ì cavalli erano veramente boni et i boni Cavallerizzi erano in grande stima et benissimo rimunerati. Nella compilazione del libro dichiara di essersi ser- vito di Aristotile, di Plinio, di Senofonte, di Lorenzo Roscio, anzi da un originale di questo, tolse ciò che di buono ebbe a scrivere. Ho cavato ancora, egli con- fessa, da Crescenzio, da Alberto Magno, da Colu- mella, da Varrone, da Palladio, da Nemesiano, da Plutarco, da Orazio, da Virgilio e da molti altri ecc. Importa pel caso nostro far riflettere che il Corte ebbe a giovarsi più particolarmente del libro di Lorenzo Rusio, che perciò doveva di già essere famoso nel sedicesimo secolo (1). Il Corte dedicò l’ edizione della sua opera com- piuta in Lione a Carlo nono Re di Francia; in que- sta variò alcune cose nel proemio; come doveva par- lando a Principe Francese, figlio della famosa Cate- rina de’ Medici. LXVII. Pasquale Caracciolo, patrizio napolitano, stampò la Gloria del Cavallo, che venne in luce la prima volta (1) Corte allegò moltissime volte Virgilio, non solamente perchè si diletto tanto e s' intese tanto di cavalli, come lo dimostra nel terzo libro della sua Georgica, ma anche perchè fu mantovano di patria, come era l'autore per parte della madre. Corte lib. 4 pag. 93. — 120 — coi tipi del Giolito in Vinegia nel 1566, e successiva- mente pure in Venezia nel 1585 e 1589, edizioni nelle quali non si cambiò che il frontispizio; in quella ese- guita nel 1608 si aggiunse l’ opera di Giovan Antonio Cito: Del conoscere le infirmità che avvengono al ca- vallo e al bove, co’ rimedi a ciascheduna di essa. L’ opera del Caracciolo, molto voluminosa, è di- > visa in dieci libri, ed in essa si può leggere tutto quello che di vero e di falso era stato detto intorno al cavallo prima di lui. Nel settimo libro l’autore incomincia a disertare intorno alla conservazione del cavallo, e sull’ impor- tanza di alcune sue malattie, giovandosi dei precetti degli Ippiatri greci, di Ruffo, di Crescenzio, di Ru- sio, di Columbro, di Maestro Mauro, di Mosè da Pa- lermo, ed in conseguenza dei libri indiani da lui tra- dotti; infatti a pag. 695 lib. 10 scrive: « Maestro Mosò per lo male che venisse al polmone, usava di dare per tre dì una bevanda di sugo di liqueritia misto con acqua, nella quale fosse stata tenuta un giorno a molle et poi bollita una quantità di uva passa pur- gata di sue granelle, tenendo il giumento in asti- nenza ». Il lavoro del Caracciolo è impinguato altresì coi precetti dei Maestri suoi contemporanei e di quelli di poco a lui anteriori, come di Giovan Battista Ferraro, di Liborio da Benevento, di Luigi Vento, che nel cu- rare seguitava le regole del famoso Maestro Pier An- drea; cosi del Maestro Vicino, di Maestro Giovan Marco ecc.; e ricorda ancora che da Maestro Mosè venne composto un lattovaro utilissimo contro la Colica Pas- sione, formato con bacche di lauro, semi di petro- sellino, e di finocchio oncie tre, pepe nero oncie due ecc. Il conte Bonsi giudicò con molto senno la gran — 121 — mole pubblicata dal cav. napoletano col dire veramente ch’ essa sia stata scritta piuttosto per pescare quanto mai può risultare a gloria di questo generoso animale, che a dare delle vantaggiose istruzioni a chi bramasse de’ buoni insegnamenti sopra le sue qualità, la ma- niera di ammaestrarlo pei vari usi, e circa il modo di mantenerlo in salute, o di restituirgliela perduta che l’ abbia. LXIX. Huzard fra i preziosi volumi dei quali fu ricca la sua biblioteca conservava un opera di un autore. Ve- neziano che si chiamò De Pavari opera intitolata 1’ £- curie (in italiano e francese) stampata in Lione da Iean de Tournes nel 1581 in fol. di 53 pag. e fig. Venne riprodotta la stampa egualmente in Lione sotto il titolo 1’ Ecurie de Marco de Baveri nell’anno 1737. LXX. La scuola de’ Cavalieri di Ottaviano Siliceo, gen- tiluomo Troiano, venne stampata in Orvieto nell’ anno 1598. In questo libro principalmente si discorre: « delle maniere et qualità de’ cavalli, in che modo si deb- bono disciplinare et conservare, et anco di miglio- rare le razze ». Il contenuto dell’ opera interessa dun- que come le precedenti per la storia dell’ Ippiatrica e della Veterinaria. Il libro di Ottaviano fu pubblicato dal di lui ni- pote G. Battista Siliceo e dedicato al Sig. Pietro Al- dobrandini, Contiene più particolarmente precetti di cavallerizza; ma è pure interessante quanto vi si legge sul modo di allevare ed educare cavalli; e 1’ autore — 122 — nativo di una città della Capitanata, aveva tutta 1’ op- portunità di fare sulle belle razze del paese le osser- vazioni di cui è ricca l’opera che abbiamo rammen- tata. LXXI. Don Giovanni de Gamboa, Cavaliero Napolitano, compose un opera a cui diede il titolo di ragione dell’arte del cavalcare, nella quale si insegna quanto conviene di sapere ad un Cavaliero a cavallo..... Pa- lermo 1606 in 4. Dal titolo del libro, che troviamo indicato dall’ Huzard, si vede essere opera di pura ca- vallerizza come abbiam potuto verificare. Dall’ Haym, da Brunet, da Huzard si ricordano due opere di Alessandro Massari Malatesta Romano; la prima è detta: « Tractatus de modo equos frenandi..... , cum diversorum frenorum variis figuris (96) Vene- tiis 1607 in fol. max. con 20 tavole, ripetute nell’ edi- zione italiana esposta col titolo: Della ragione et modi d’ imbrigliar cavalli, con una copiosa raccolta di varie figure (90) di Briglie, cioè di Morsi, Guardie, Barbaz- zali e Capezzoni, con la dichiarazione dell’ uso e com- modità di ciascuno di loro. In Roma Stefano Paolini 1613 in fol. L’ altra opera del Sig. Alessandro Massari Malatesta, porta per titolo: « Compendio dell’ eroica arte di Ca- valleria »; corretto dal medesimo autore et agiuntovi il quinto precetto del modo di ordinare uno squa- drone di Cavalleria ecc. In Danzicha 1640 in fol. ed in Torino 1622 4. Le due predette opere si dicono assai rare, e forse con più ragione ciò doveva ripetersi in ordine all’ edi- zione di, Venezia colla data del 1600, da noi posse- . pe e I RAI E OR — 1293 — duta. Questa pure ha per titolo: « Compendio dell’ eroica arte di eavalleria del Sig. Alessandro Massari Tibur- tino. Precetti quattro ». Nella citata prima edizione, non conosciuta dall’ Huzard, nè da Brunet, l’autore non porta che il cognome Massari e si dice di Tivoli non di Roma. Nel libro, il compilatore, col metodo de’ suoi pre- decessori Fiaschi, Grisone, Corte, Caracciolo, inco- mincia a discorrere delle nature de’ cavalli, del modo di conservarli, di conoscerne l’ età; del modo di fare il cavallo delle armi o cavalli usitati per la guerra. Tratta in particolare e con senno dei cavalli vitiosi, delle avvertenze pertinenti al cavaliero in comprare cavalli; e poi dà precetti in particolare sulle di- verse malattie che possono aver sede nel corpo del cavallo. Ammaestra intorno a Tornei, nominando i più celebri fatti a suoi tempi, e specialmente quello che si eseguì in Napoli l’anno 1588 nella Piazza a S. Giovanni a Carbonara, inventato dal Sig. Pietr Antonio Ferraro, dove tra gli altri cavalieri eccellentissimo fu giudicato il Sig. Silvio di Florio, e perfetto cavalle- rizzo. LXXII. Lorenzino Palmieri, fiorentino, Cavallerizzo del Gran Duca di Toscana, compose egli pure un libro di equitazione ed insieme di Ippiatria, di cui si fece editore Paolo Frambotto libraro in Padova, che lo fece stampare in Venezia nel 1625 in 4; col titolo: « Perfette Regole et modi di cavalcare ». Dove con chiarezza si mostra e con facilità s’ insegna come si possi ridurre ogni cavallo all’ intiera perfettione: Kt insieme si tratta della natura de’ cavalli, si propon- — 124 — gono le loro infermità e s° additano gli Rimedi per cu- rarle.... I dilettanti di cavallerizza potranno trovare nel- l’opera del Palmieri ottimi precetti per ammaestrare un cavallo all’ alta scuola, esposti con purità e precisione di linguaggio; i Veterinari invece intorno ai morbi dei cavalli non vi possono vedere che la tavola fa- mosa rappresentante il cavallo colle sessanta malattie che abbiamo trovate descritte ne’ più antichi, di cui fu autore G. Batt.. Ferraro come già si disse, e che da lui si ripetono senza l’ aggiunta di una parola; so- lamente dopo aver parlato dell’ antipetto, ch’ è il morbo posto sotto il numero 60, discorre di altri mali dei cavalli e dà alcune ricette e segreti pei IRSA che a dir vero riescono di poca importanza. Ercolani cita le regole del cavalcare di un Alfonso Macetti, stampate in Ausburgo nel 1621, Iibro che non ci fu dato rinvenire, e che manca pure nel fa- moso catalogo Huzard. LXXIII. Lodatissimo e raro è il libro che ha» per titolo: Dell’ uso del Piliere; uso che portò una grande inno- vazione nell’ arte equestre in Italia. Il libro fu com- posto da Fra Giov. Paolo d’ Aquino cavaliere Gieroso- limitano, inventore dell’ uso del palo o Piliere per ri- durre il cavallo ad un perfetto ammaestramento. Il d’ Aquino svolse la sua materia in parecchi dia- loghi tra l’autore ed il Sig. Conte Giovanni Ron- dinelli, divisi in cinque giornate così come segue: Nella prima si discorre chi fu 1’ inventore del Pi- liere, e come quello si usa. O E, I | —@ pa TT. SITE e PO — 125 — Nella seconda la diversità de’ cavalli, che si pos- sono ammaestrare in quello. Nella terza del perfezionare un cavallo in diverse arie. Nella quarta del parare bene un cavallo , e le cause che lo possono impedire. Nella quinta e ultima del cannone. Nell’ indicare la materia contenuta nel libro del d’ Aquino abbiamo ricopiato il frontispizio della ra- rissima edizione di Vicenza dell’anno 1630, dedicata dall’ autore al Sig. Giovanni Grimani. Nella seconda edizione, eseguita in Udine nel 1636, il libro viene detto: Disciplina del cavallo con l’ uso del Piliere, dia- loghi divisi in sei giornate, dall’ autore dedicata al Duca di Modena, Don Francesco d’ Este. In questa edizione introdusse importanti modificazioni nella for- ma dei dialoghi, e coll’aggiunta della sesta giornata diede maggiore estensione all’ opera, trattandovi delle briglie Arabe e Moresche con le quali senza guardia e barbazzale conduconsi li cavalli nelli pericoli mag- giori della guerra; a questo fine presentò anche il di- segno del cannone per dimostrare gli effetti di tali briglie (1). LXXIV. Francesco Liberati, Romano, compose il libro che (1) Intorno ai Morsi o freni adoperati dagli antichi si può consultare con vantaggio l opera di Filippo Invernizzi, romano. De Fraenis eorum- que generibus et partibus apud veteres. Romae 1785. 8, e l’importan- tissima e rara opera dell’ altro più antico romano, Alessandro Massari Malatesta. Della ragione e modi d' imbrigliare cavalli, trattato con una copiosa raccolta di varie figure di Briglie. Roma 1613, in fol, che nuo- vamente citiamo, avendo potuto compiere un accurato esame della me- desima. — 126 — si chiama la Perfettione del cavallo, stampato la prima volta in Roma nel 1639, la seconda nella predetta città nel 1669 in 4 e con fig. È divisa l’opera in tre libri i quali vertono sul mantenimento del cavallo, sui mali e le cure di essi ecc. et insieme l’arte di ca- valcare di Senofonte, tradotta dal greco nel nostro idioma italiano. Nel primo dissertando sopra quanto all’ allevamento ed alla conservazione del cavallo si riferisce, l’ autore riporta con poca critica ciò che aveano detto sulla ma- teria Aristotile, Plinio, gl Ippiatri greci, gli Agricoltori - romani, Pelagonio e Vegezio, dimostrandosi sover- chiamente credulo anche nel ritenere i pregiudizi de- gli allegati scrittori. Loda Giordano Ruffo, Crescenzio e Fiaschi pei precetti lasciati sul modo di ferrare i cavalli; cita Co- lumbro, Caracciolo ecc. e sull’igiene migliore pel ca- vallo, più specialmente, si riporta a Gioachino Came- rario (1); sulle necessità e sulle maniere di applicare il fuoco osserva le regole date da Lorenzo Rusio. Com- menda un Maestro Luca di Roma, che qualifica ec- cellente manescalco, e per la cura di molte malattie abbraccia i suoi consigli. Riporta due formole per cu- rare il ciamorro, l’ una attribuita a Maestro Santi, Ma- rescalco ; l’ altra a Maestro Carlo, Mariscalco. Nel terzo libro dell’ opera, compreso in 90 pa- gine, si mostrano le qualità delle razze antiche e moderne, de Merchi, e della natura de’ cavalli italiani e stranieri; perciò in questa parte l’ autore va aggiunto all’ elenco di coloro che raccolsero i Marchi delle razze cavalline italiane e per cui già avemmo a ricordarlo. (1) Opuscula de re rustica, Norimberza 1596. sani e i cn ni Ri i CIA A — 127 — LXXV. Anche l’ opera di Giov. Battista Galiberto, stampata in Vienna nel 1650 e 1658 in fol. ed in Bologna e nella capitale austriaca, in formato piccolo, merita ve- nire ricordata per la materia che contiene; è divisa in tre parti: nella prima tratta del conoscer i ca- valli; nella seconda della maniera di cavalcare; nella terza il modo di medicare ogni sorta d’ infermità. Mancandoci l’ opera di quest’ autore non possiamo dire di più, nè conoscere se egli fosse della patrizia famiglia parmigiana de’ Galimberti, nella quale creb- bero uomini - distintissimi nella letteratura e nelle scienze. Altrettanto dobbiam dichiarare di un libro attribuito a Rondinelli pubblicato nel 1670 sul modo d’imbrigliare i cavalli, che non ci venne fatto di rin- venire. Ci mancò pure il Cesarino, ovvero l arte del cavalcare di Baldovino de Monte, stampato in Mantova nel 1626 4, ed il cavallo ammaestrato del Persa, stam- pato in Padova nel 1638, 8. bIANVI: = L'arte del cavallo di Nicola e Luigi Santa Paulina, è divisa in tre libri; ne’ primi due, che son di Nicola, si tratta l’arte di ridurre a tutta perfezione il cavallo; nel terzo, che è di Luigi..... vi si aggiunge il modo di usarlo in guerra e in festa. In Padova 1696 in 4, g. con ritratto e figure. Luigi Santa Paulina dedicò l’opera di suo padre e la propria a Cosimo terzo Gran Duca di Toscana; ed in un avviso al lettore accusò Giov. Battista Persa di Malitia ed ingratitudine, poichè essendo stato aiu- — 128 — tante di Nicola, sì ebbe gli ammaestramenti nell’ arte, e poi pubblicò un libro in cui la maggior parte delle cose che vi son dette sono del predetto Nicola. L’opera dei due Santa Paulina può dirsi di pura equitazione, eccettuando quello che si riferisce all’ edu- cazione del puledro, al tempo di condurlo nella stalla, ed alla natura e ai temperamenti diversi dei cavalli. LXXVII. Don Giuseppe d’ Alessandro, Duca di Peschiolan- ciano, stampò un trattato diviso in cinque libri nel quale non solamente insegna le solite regole del ca- valcare, descrive le briglie, come le abbiamo vedute in Fiaschi, in Ferraro, in Grisone, copiate poscia nella grande opera che ha il titolo fastoso di Belle- rofonte, stampata in Norimberga nel 1676, e com- pilata da Simone Winter. Nel quinto libro tratta del modo di curare le in- fermità de’cavalli, di preservarli ecc. La prima volta venne dato in Napoli nel 1711 col titolo di Pietra Paragone de’ Cavalieri; vi si insegnano molti esercizi d’ armi e cavallereschi ; e si portano molti ritratti d’ uo- mini illustri circa il cavalcare, e schermire, disegni di Tornei ecc. Nell’ arte del cavalcare il Peschiolanciano ripete gli insegnamenti di Pirro Antonio Ferraro; e nella me- dicina ha copiato le regole di Pasquale Caracciolo e di Grisone, ossia di Ferraro, aggiunte dagli editori all’ opera primitiva del più celebre fra i cavallerizzi napolitani. L’ altra edizione di questa poco laudabile opera si fece parimente in Napoli ed ha la data del 1723, in foglio come l’ anteriore da cui non differisce. uao —_ Vv re —__re- ——— ———n"= n 129 — LXXVIII. Meritano lode speciale le opere di Niccolò Ros- sermini, patrizio Pisano, scritte con cura da per- sona molto addentro nell’ arte del cavalcare, ed e- sperto conoscitore dei buoni cavalli, sui quali fece uti- . lissime osservazioni per essere stato lungo tempo So- printendente generale delle razze e scuderie di To- scana; regnando Francesco primo Gran Duca. il Ros- sermini fu il primo in Italia e forse in Europa a par- lare della Sifilide cavallina. La prima opera pub- blicata dal Rossermini fu il Cavallo perfetto; in que- sta vengono esposte le qualità del cavallo perfetto ed i mezzi coi quali si arriva a renderlo tale. Fu dedicata ad Alderano Cibo Malaspina, e stampata in Venezia nel 1723, 8; tratta puramente di Equitazione. Il colto patrizio Pisano, essendo venuto a cono- scere che si meditava di fare una critica al suo cavallo perfetto, stampò un altro libro atto ad impedirla e l’intitolò: « Apologia al cavallo perfetto », dialogo tra l’autore di esso e l’illustrissimo Sig. Marchese Rosso Strozzi; dedicollo al Sig. Marchese Bartolomeo Cor- sini, Cavallerizzo Maggiore di S. A. R. Venne in luce in Siena nel 1730 in forma di ottavo. - I principii che vengono svolti nella nuova: opera del Rossermini mostrano il suo profondo studio de- gli esercizi della cavallerizza, e per essi dobbiamo considerare l’autore, come il fondatore di una nuova scuola, della quale si potrebbe vantare l’Italia, qua- lora volesse fare più giusta stima delle opere de’ suoi figli. . Importantissima dobbiam pur chiamare la terza» opera di Niccolò Rossermini, stampata in Livorno 9 — 130 — nel 1764, in forma di quarto, con tre tavole, nella prima delle quali è disegnato lo scheletro del ca- vallo, di cui si vale per ispiegare la meccanica dei movimenti. Ha per titolo: « Dell’ obbedienza del ca- vallo ». Le prime tre parti dell’ opera si aggirano sulle azioni che può fare il cavallo e sul modo di otte- nerne l’ obbedienza, sull’ addomesticamento del Pole- dro, e sugli esercizi tutti della cavallerizza. La quarta parte costituisce un vero Trattato delle razze selvatiche, che oggi si dicono drade, nel quale si considerano con sapienza i più importanti argomenti relativi al clima, all’ erba, all’ acqua; tutto ciò che riguarda l’ accopia- mento, i regolamenti più opportuni per una razza, e le operazioni che sono da praticarsi sugli animali che la compongono: termina l’opera coll’ esposizione di alcuni casi avvenuti nella razza da lui vigilata, e che possono interessare ai filosofi ed ai cultori della Veterinaria. LXXIX. Giuseppe Antonio Marinelli, cittadino Bolognese, — compie la lunga serie di que’ Scudieri e Cavallerizzi di cui ci proponemmo parlare, considerandoli spe- cialmente per quello che ci diedero come conoscitori della natura o delle malattie dei cavalli. La messe rac- colta fu poca, anzi scarsissima; nè altrimenti poteva accadere sotto le mani d’ uomini orgogliosi, intenti a brillare sul dorso del cavallo, come sopra di un trono; e veramente non ottennero meno di quanto ai Prin- cipi si doveva nel sedicesimo e diciasettesimo secolo, poichè ne furono i Maestri, i compagni, i prediletti fra le persone di corte. Ma la scienza con essi rimase una pratica vulgare, come la resta, dominata dai fer- — 131 — ratori di cavalli, presentemente innalzati col titolo di Maniscalchi. Una scienza non può avanzare che per l’opera di coloro che forniti di principii sicuri si oc- cupano nel raccogliere i fatti portentosi della natura, interpretarli con sana critica e unirli in un corpo di dottrina; ma per ciò occorre lo splendore della cattedra, e la Veterinaria non l’ ottenne che nel 1762, in Francia, per opera di Claudio Bourgelat, ed in Italia pochi anni appresso coll’ aiuto del Conte Fran- cesco Bonsi. Del Marinelli non accade dire molte cose, perchè nel suo libro: La Scuola Moderna nel maneggio de’ ca- cavalli, stampato in Bologna nel 1733 in 4, non ha insegnato nulla di diverso da quello che ci lasciarono i suoì antecessori. Fu anche questi al servigio di un Principe d’ Este, D. Carlo Filiberto, a cui dedicò il suo lavoro colle solite frasi di ammirazione per la nobiltà e l’ eccellenza nell’ arte cavalleresca del suo mecenate. La parte migliore del suo libro è quella in cui di- | scorre de’ terreni, dei pascoli, delle qualità delle razze, . cei meriti e bellezze delle cavalle e degli stalloni, del governo dei cavalli, dell’ educazione da darsi ai pu- ledri, e delle varietà dei pelami o mantelli, argomenti svolti con non comune precisione. LXXX. Le scritture Veterinarie spettanti al secolo decimosesto. Nel riprendere la storia delle opere appartenenti all’ippoiatria ed alla Veterinaria, col nostro metodo separate da quelle degli Scudieri o Cavallerizzi, viene a presentarsi da prima il libro inedito di Alfonso se- — 132 — condo di Ferrara, scritto di commissione del Duca da un Giov. Alberto Villano suo gentiluomo, come nei Preliminari avemmo a ricordare. Alfonso secondo è nominato dagli storici fra i prin- cipi che nel sedicesimo secolo superarono gli altri in magnificenza, e specialmente perchè possessore della più superba e bella razza di cavalli, come disse Giovan Giolito de’ Ferrari nella dedica fatta all’ Estense del libro intitolato la Gloria del cavallo, scritto da Pa- squale Caracciolo, e da noi analizzato colle opere che discorrono di equitazione; compose il libro di cui si tratta per insegnare ì più opportuni rimedi pei va- riati mali dei cavalli; infatti nel singolare libretto, sono accennati parecchi segreti appresi dal Duca, 0 da’ mercadanti di cavalli del Nord, o dal Marescalco di Carlo Quinto Imperatore citato ripetutamente. Per ciò che si legge intorno al numero delle' volte ed al tempo conveniente per salassare il cavallo, risulta, che il Marescalco di quell’ Imperatore si atteneva ai precetti di Lorenzo Rusio, e quindi di Maestro Mauro, giacchè Rusio nel cap. 42 pel salasso preservativo si rimette agli insegnamenti di Mauro. Sono citati nel libro del Duca Alfonso altri prin- cipi come possessori in que’ tempi di segreti atti a guarire diversi mali del cavallo, quali il Duca Gu- glielmo Gonzaga, che si vantava posssessore di un ri- medio atto a guarire la bolsaggine, rimedio risultante dalla mescolanza degli occhi di pesce bolliti nell’ olio d’olivo; ricordasi un segreto del serenissimo di Sa- voia e del Cardinale Ippolito d’ Este, capace di risa- nare i cavalli che gettano dal naso, e che molti di- cono essere ciamorro, mentre è una postema che si congrega dentro del Polmone. Sono nel libro enume- rati i segreti del serenissimo di Urbino per far cadere — 133 — i soprossi, per guarire le crepacce o fenditure che sogliono venire per dritto e per traverso alle gambe dei cavalli. Si nomina il segreto del Duca di Ghisa, formato, come allora s’ insegnava, col grasso di sette lontre, e che, panacea per tutti i mali, è racco- «mandata nel testo inedito e più antico dei Maestri Giovanni e Facio. Parlasi del rimedio del signor di Correggio, atto a guarire il cancro e la fistola, ri- medio composto del sugo d’ asfodillo, di calce viva e di orpimento; infine dell’ empiastro attribuito al si- gnor Francesco Medici, Gran Duca di Firenze, indi- cato per guarire le lussazioni, o dislocamenti, o rot- ture di ossa; quel possente farmaco si componeva colle cipolle rosse, colle radici di piantaggine, uova ecc. LXXXI. Di seguito a quanto ci convenne dire intorno al libro di Alfonso d’ Este, troviamo più ragionevole ac- . cennare altro manoscritto inedito posseduto dal Conte Ercolani, il quale porta per titolo: Gloria del cavallo o Tesoro del Maniscalco, opera di un Gaspare Foppa, Maniscalco, che stette 47 anni col Conte Francesco Maria Della Rovere, Generale di terra e di mare della serenissima Repubblica di Venezia. A questo codice è unito il permesso per la stampa del Papa Paolo terzo colla data 1541. L’ opera consiste veramente in una traduzione degl’ Ippiatri greci ese- guita dal predetto Foppa; il quale per vanità finse che le scritture dei greci Aspirto e Ierocle fossero a lui dirette. Di un tempo, vicino al ricordato, rimangono scrit- ture di Veterinaria di un Maestro Donato da Milano , — 134 — che fu al servizio della degnissima (Casa d’Este e dettò precetti intorno alle fatezze e cognizioni de’ ca- valli. Un altro libro di Maniscalcheria verso il mille e seicento scrisse un Matteo Ferrari ad istanza del Sig. Marcello Pescara. Nell’ importantissimo codice delle Biblioteca Mode- nese che ha per titolo: « Liber receptorum equorum ecc. » trovammo menzionato un « Magistro Petro Lau- rentio Medico-Fisico de Capitaneis de Sicilia ». LXXXII. Per l’ esatta indicazione delle opere Veterinarie, ordinate per rispetto al tempo in cui vennero alla luce, importa parlare nuovamente del libro anonimo, che dimostrammo nei Preliminari essersi compilato sui due trattati indiani di Veterinaria, e sulle scrit- ture di Falconeria, di origine parimente indiana, ma che però convengono nei precetti con quelle di Fe- derico secondo di Sicilia e di Alberto Magno. La nuova citazione del libro viene fatta non già per ispiegarne il contenuto, a ciò abbiamo altra volta soddisfatto, ma per presentare scritto con esattezza il vero titolo del libro medesimo, non essendo ciò stato fatto nemmeno nel Catalogo della libreria Huzard, che ne possedeva cinque diverse edizioni comprese fra gli anni 1508 e 1544. Delle quattro edizioni, che abbiamo potuto pro- curarci, prendiamo a trascrivere il titolo, scioglien- do le abbreviature di quella fatta in Venezia, nel- l’anno 1517 a di 4 Marzo, da Melchior Sessa et Pie- tro de Ravani. È come segue: « ‘Libro dela natura di cavalli, et el modo di ri- — 135 — levarli, medicarli. et domarli, et cognoscerlì, et quali son boni; et del modo de farli perfecti; et trarli da vicii quali sono viciati; et del modo de ferarli bene, et mantenirli in possanza et gagliardi. Et de quale sorte morsi a lor si conviene secondo le nature vicil o qualità di quelli, di qual son tutti instoriati in que- sto etcetera. Item in simil modo tratta de la natura di rilevar; medicar, governar, et mantenir spalivieri astori et simili et cetera ». A] di sotto del premesso litolo è incisa una offi- cina di un ferratore di cavalli, coll’ artefice appoggiato all’incudine, il quale si fa presentare il piede di un cavallo dal proprio garzone. LXXXIII, Al sestodecimo secolo appartengono le opere del Medico veneziano Michel Angelo Biondo. Per la sto- ria della Veterinaria non importa analizzare separata- mente i lavori ‘di questo autore, nè la traduzione ita- liana dell’ istoria della piante di Teofrasto, nè le al- tre che a lui si attribuiscono. Dicemmo già del libro de Canibus et Venatione, stampato in Roma nel 1544 apud And. Bladum Asu- lamnum e tugurio Michel. Angeli Blondi in 4. In Vi- negia dal tugurio del Biondo nel 1549 venne alla luce un rarissimo libretto, appartenente alla Veterinaria, intitolato: « Della domatione del poledro, del suo am- » maistramento, della conservatione della sanità del » cavallo, et della utilissima medicina contro li sui » morbi, opera molto necessaria ad ogni Imperatore » degli eserciti, al bon soldato et gran consiglieri, » da incerto philosopho anticamente scritta, et dedi- » cata anchora ad uno de gli antichi Imperatori. Nuo- — 136 — » vamente perciò venuta nelle mani del Biondo, da » lui tradutta in lingua materna per vostra consola- » tione, et data in luce ». Claudio Bourgelat, accennando a Michel Angelo Biondo, lo chiamò senza più un servile traduttore del libro di Rusio, e veramente se consideriamo quello che il Biondo chiama dottrina del cavallo, non si può che affermare il grave giudizio pronunciata da Bour- ‘ gelat, che se in alcune sue parti qualche cosa si in- contra avente carattere di originalità, la medesima, bene analizzata, si vede essere cavata dal libro an- tico delle Mascalcie; RA LXXXIV. 5 sil In una raccolta di scritture Veterinarie pare a noi non dover mancare il poemetto latino di Girolamo Fracastoro, intitolato: « Alcon, sive de cura ‘canum ve- naticorum »; del poemetto cioè che chiamasi: Alcone, ossia del governo de’ cani da caccia. Nelle opere dell’ illustre poeta veronese si disse già dai dotti, che maggiormente spicca 1 eleganza, che la profondità della dottrina, e ciò potrebbe ripetersi rap- porto all’ Alcone, dove se con mirabili versi ti insegna il modo di addestrare i cani alla caccia, e fare de’ fidi veltri quel buon governo che giovi a renderli atti a raggiungere i cervi, od a vincere i cignali; se con pari esattezza enumera le razze più utili, non sì mo- stra uguale la perizia di lui nel proporre la cura pei diversi malori dei cani; e quantunque ricordi la febbre che può assalir l animale, e la facilità d’ in- . gollare una mignatta, se è costretto a spegnere la sete a fonte limaccioso, pure non possiam dir buona la cura che ne propone; altrettanto si può far conside- -- 137 — rare rapporto al erudo morbo che gli tormenta il pa- lato, detto chiodo; quando per tabe gli si guastano gli occhi e diventan cisposi; così se ha addolorato il fianco, se emette sangue a vece d’ urina, se viene a perdere le ugne nelle corse, se è piagato dall’ assillo, se è fe- rito da venefica serpe, o se diventa rabido, o se pre- senta guasta la pelle per impura scabbia ecc. per tutti gli accennati morbi, dicevamo, consiglia metodi di cura, i quali più si accordano colla scienza dei caccia- , tori, che colla profonda dottrina dell’ autore che trattò dei morbi contagiosi, (De contagionibus et contagiosis morbis et eorum curatione). In questo memorabile trat- tato il Fracastoro ricordò l’Epizoozia bovina del Friuli avvenuta nel 1514, la quale pei caratteri assegnatale deve riguardarsi come un Epizoozia di febre Aftosa, che da alcuni ritennesi descritta per la prima volta. La storia però deve non dimenticare un altro impor- tante documento che dagli archivi della Sanità di Pa- dova disseppellì l’ egregio Prof. Antonio Rinaldini, e portò a comune cognizione nella storia dell’ Epizoozia dell’anno 1799 da lui pubblicata; quel documento dice che nell’anno 4500 aveva infierito sui bovini “una sconosciuta epizoozia, non acuta ma contagiosa, che si chiamò Sogato, perchè i villici adoperavano un pezzo di corda (soga) per isfregare i tessuti dei piedi esulcerati passandola fra la biforcazione dell’ ugne: è questo un esempio di febre Aftosa od a meglio dire di Zoppina vescicolosa anteriore a quello narrato dal Fracastoro. Padovano (Antonio Flacco) Medico e Fi- losofo di Forlì, descrisse una simigliante epidemia dei bestiami, avvenuta nel 1599. Le ricordate generali ma- lattie dei quadrupedi furono d’ indole diversa da quella che ci descrisse Tommaso Wierio, accaduta nel 1552 nel territorio di Lucca, d’indole carbonosa, perchè — 138 — il sangue delle bestie che si uccidevano, toccando la pelle dell’uomo, vi promoveva lo sviluppo di car- boncelli. Il poemetto è ripetuto con varianti ed importan- tissime osservazioni nel secondo Volume delle Poe- sie del Fracastoro stampate dal Comino nel 1739, come lavoro del Cruceio Milanese, il quale osò pub- blicarlo per opera propria, da cui derivò anche il so- stenersi da parecchi che 1’ Alcone non fosse di Giro- lamo Fracastoro ma di Cruceio (1). Non aggiungeremo altre notizie sul conto del celebre Medico e Poeta di Verona, il quale cessò di vivere in Padova nel 1553 giunto al suo settantunesimo anno. LXXXV. Compresi dal dovere di presentare la storia Ve- terinaria con tutta l esattezza che le conviene, in proporzione de’ nostri deboli mezzi, non possiamo passare sotto silenzio un libro rarissimo scritto dal fa- moso architetto toscano Leon Battista Alberti, e quan- tunque a noi non fosse dato di vederlo, pure lo tro- vammo registrato nella Biblioteca filosofica del Lip- penio, e vedemmo doversi assegnare ai libri d’ ippolo- (1) Conoseiamo due volgarizzamenti dell’ Alcone del Fracastoro, 1’ uno fatto dallo Spiriti e stampato in Napoli nel 1757, l’altro compiuto dal Dott. Pier Alessandro Paravia, stampato nella raccolta di Poemetti dida- scalici originali o tradotti, impresso in Milano in 412, vol. dal 4821 al 1823 in 12. Il primo lo converti in ottave volgari, il secondo in versi sciolti. Il volgarizzamento del Marchese Salvatore Spiriti venne nuova- mente impresso col testo a fronte in Roma l’anno 1794, 8, ed arric- chito di altre belle note mediche del celebre Sig. Dott. Felice-Maria Do- narelli, le quali, come ricordò il Bonsi, non solo illustrano la parafrasi del poemetto, ma suppliscono ancora alla cura di quelle malattie più co- muni ai cani, di cui non potè il Fracastoro parlare. — 139 — gia; è indicato colle seguenti parole: « Alberti (Leon Bat.) Architecti Florentini Libellus de Equo animante ad Lionellum Ferrarie Principem, Basileae 1556 8 ». LXXXVI. Troviamo di pressochè uguale importanza un libro dettato dal sommo Medico siciliano Ingrassia, il quale sì educò agli studi medici nell’ immortale Università di Padova, e fiorì in Napoli e nell’ Isola nativa nel 1546. Non faremo l’ enumerazione delle molte ed im-. portanti opere dell’ insigne Medico Filippo Ingrassia, ma ci limiteremo a richiamare alla memoria una sua scrittura colla quale intese dimostrare e l’ eccellenza della Veterinaria, e la necessità di sottoporne l’ eser- cizio alla Regia autorità del Protomedicato; il titolo dell’ opuscolo lo dichiara manifestamente, essendo e- spresso colle seguenti parole: « Quod veterinaria medi- cina formaliter una ceademque cum mnobiliore hominis medicina sit, materia dumtaxat, dignitate seu nobilitate differens; ex quo veterinarii quoque medici, non mi- nus quam nobiles hominum medici, ad Regiam Pro- tomedicatus officii jurisdictionem pertineant. Panormi 1564 in 4; Venetiis 1568 in 4 ». Nessuno prima del gran cittadino di Racalbuto aveva pronunciata più onorevole verità, e perciò i posteri cultori della Veterinaria, han obbligo di ricordarlo con riconoscenza (4). (1) L’ Ippocrate siciliano nel 1544 era lettore di medicina nello stu- dio di Napoli ed ovunque ammirato per le sue opere. Il prodigioso suo sapere lo trovammo indicato nel raro libretto, Utrum in capitis vulneri- bus, phrenitideque atque etiam pleuritide exolvens ecc.; stampato in Pa- lermo nel 1545, 4. deli PRE LXXXVII. ‘. Per quanto sappiamo non fu mai ricordato Gior- dano da Todi, del quale pure abbiamo un’opera di Veterinaria stampata in Viterbo nel 1571 in 8, dallo stampatore Colaldo (1). In un esemplare della medesima, posseduto dal professore Ercolani, legemmo: « Opera di Mascal- » zia nella quale si contiene de molti bellissimi se- » creti medicinali, de animali inrationali, dove si » mostra a guarire tutte infirmità che a detti animali Quei versi dicono: « Ben fortunata fece, quel factore » Del mondo, nostra età, sol per havere » Facto philippo di scientia fiore ». (4) Bonrgelat lo giudicò sfavorevolmente, dicendo che ci diede una raccolta di secretî, nella quale fa consistere tutta la medicina deì ca- valli. Il libro di Giordano da Todi è una compilazione fatta sulle Ma- scalcie d’ Ippocrate, sul Vegezio e sul Ruffo; il primo capitolo è copiato letteralmente dal libro delle Mascalcie e vi si ricorda essere insegnamento di Ippocrate. Altrove cita Ruffo, e sul proposito del male che dicevasi pinzanese, scrisse: le pedane, benchè Maestro Giordano le chiama mal piauzanese, sono malattie che provengono da affezione della lingua. In- segnò nel suo libro che gli antichi chiamarono Vivolî o Vivole la ma- lattia detta poscia Scinanzia, scaranzia ecc. L’ editore Colaldo mal soddisface allo scopo indicato nel titolo del- l’opera guasta da infiniti errori di stampa. È però notevole ancora il capitolo sul male detto Rubea, Turte di Alberto Magno e Rusio, perchè identico a quello d’ Ippocrate detto un umore che viene tra il cuoio e la carne: « Lo aiuto di quella Rnbea è questo, che tu in più luochi lo » fuori con la lancetta, ferirai lo infiato: et poi refrega il luoco con » aceto e sale infinchè faccia la schiuma et questo fa spesse fiate, in- » finchè vedérai quello humore che non ne uscirà più. Et poi tolli la >» cenere et cernila et mescola con olio, et ongeli tutte quelle ferite et » enfiature. E se lo infiato fosse molto duro, col succhiello caldo lo per- » tusa >. — 14l — » sogliono alle volte venire, cosa rara e bellissima » non mai messa in luce. Viterbo per Agostino Co- » laldo l’anno 1571, 8, di carte trentasei nume- » rate ». LXXXVIII. Agli scrittori, che nel secolo sestodecimo contri- buirono all'incremento della Medicina degli animali, . dobbiamo aggiungere il Medico Ferrarese Giovanni Emiliani, il quale nel 1584 pubblicò in Venezia un trattato col titolo Naturalis de Ruminantibus historia. Nel raro libro, stampato molto accuratamente dal Zi- letti, con particolare erudizione si discorre della ru- minazione e degli animali pei quali questa seconda masticazione è necessaria; nè si tace per ultimo di trattare delle corna e de’ denti e della mancanza dei medesimi nelle femmine di alcune specie animali. LXXXIX. Procedendo secondo i nostri intendimenti a parlare degli scrittori di cose ippoiatriche del secolo decimo- sesto, troviamo necessario assegnare al medesimo un frate Carmelitano ossia il R. P. M. Ciuseppe Falcone da Piacenza. La nuova vaga et dilettevole Villa viene da. noi riguardata come opera di qualche importanza, non tanto per le cose che vi sono contenute, quanto pel tempo in cui furono dettate; ma appunto per'ap- poggiare quest’ opinione nostra è mestieri collocare il patrizio piacentino nel posto e nel tempo che gli conviene, errati dagli scrittori che ultimamente par- larono di lui. / — 142 — 1 Da prima diremo che il benemerito letterato ed illustre bibliotecario Cristoforo Poggiali, narrando la vita dell’ insigne grecista Piacentino Giovanni Cra- stoni, cita la Cronica Carmelitana del P. Giuseppe Fal- cone impressa in Piacenza l’ anno 1595, in cui par- lasi di quel dottissimo uomo, e trascrive una Nota, a pag. 62. v. 1 delle sue Memorie per la storia della letteratura di Piacenza, in cui si legge: « In fine della » Cronica stessa del Falcone trovasi l’ elogio dell’ au- » tore di essa che incomincia così: Essendo io Maestro » Clemente Bonvini Reggente nel carmine di Piacenza » l’altr’ ieri in stamperia vidi che l autore di que- » st opera presente, onorando gli altri fu più che co- » pioso, e di se non ne parlava punto. Onde io non » vuolsi patir questo, essendo l honor premio de’ vir- » tuosi. E perciò scrissi fedelmente ecc. Fu M. Giusep- » seppe Falcone Piacentino, oriondo Toscano, uomo » molto studioso onorato ecc. É qui prosegue annove- » rando le cariche di lettore, predicatore, priore, com- » missario e vicario generale ed altre da lui sostenute; » e venendo in fine ad accennar le opere dallo stesso » compilate dice (noi ricordiamo quelle solamente » che si riferiscono alla materia che esponiamo). Com- » pose un’ altr opera, detta Villa del Falcone, che » tratta de Re rustica, et multa alia bona fecit. Così » Dio lo ricompensi con sua ottima gratia ». Enumera poscia il Poggiali i molti scrittori, i quali ‘ ripeterono le lodi meritate dal Falconi, che a noi non importa richiamare; bastandoci di riferire con lui, che il trattato De re rustica fu due volte stampato, l’ una appresso Giov. Battista Bonfadino, senza. nota di luogo, ma certamente in Venezia l’anno 16419 in 8, col titolo di Nuova et dilettevole Villa di Giuseppe Falconi Piacentino, opera d’ Agricoltura più che neces- — 143 — saria ecc. estratta da tutti gli autori greci latini et ita- liani; e l’ altra in Piacenza presso Giov. Bazachi l’anno 1691 in 4 intitolata: La rinovata Agricoltura, et di- lettevole Villa del P. M. Giuseppe Falconi, e d’ altri classici autori antichi e moderni in tal professione. L’istoriografo piacentino aggiunge: « Un altro li- » briccino abbiamo dello stesso Autore, . non cono- » sciuto da veruno de’ sopracitati scrittori, impresso » in Venezia per Giov. Battista Usso l’ anno 1619 pur » in 8, il cui titolo si è: Rimedi di Giuseppe Falcone » Piacentino, dove s’ insegna molti e varii segreti per » medicar bue, vacche ece. che d’ ordinario va unito » alla prima delle sopradette due edizioni ». A noi adunque non sarà fatto rimprovero per avere posto il Falconi fra gli scrittori che rivolsero i loro studi anche alle malattie de’ bruti ; ciò dovevamo dopo avere citati e Principi e Duchi esperti nella materia; ma forse anche qualche benevolo dirà bene dell’opera, perchè se per fruttuose ricerche, continuate per lun- ghi anni, pervenimmo a raccorre le scritture più im- portanti di Veterinaria a cui poter appoggiare la no- stra storia ed i giudizii nostri, arrivammo anche, non solamente a ritrovare le edizioni delle opere del Fal- coni allegate dal Poggiali, ma ben altre ancora, ed una di parecchi anni più antica, non isfuggita al La- stri ed a Filippo Re, e da noi posseduta; questa porta il solito titolo: « La nuova, vaga et dilettevole Villa, del Molto R. P. M. Giuseppe Falcone Carmelitano ecc. Al M. illustre et generosissimo signor Conte Bernar- dino Mandello, Conte di Caorso, Padron mio sempre osservandis. In Pavia, appresso Andrea Viano 1597, 8 ». Non ci sono ignote le edizioni di Venezia (Moretti) 1603; non l’altra eseguita nella stessa città dallo Spi- neda nel 1612. -— 144 — La dedica al Mandelli, di patrizia famiglia ora e- stinta, è seguita da un elenco biografico di tutti co- loro che s’illustrarono nelle lettere e nell’ armi sino ai tempi del nostro Autore, del quale invece Pia- cenza può dire d’ avere dei gela neì viventi fratelli Conti Falconi. Non discuteremo sull’ intrinseco pregio dell’ opera del Falconi, lodato dal Poggiali, biasimato dal Re,. accusato di troppa credulità e dichiarato assai infe- riore al Tanara {1), rimettendoci all’ avviso de’ suoi concitadini; ma ci arresteremo al modesto libretto nel quale sono indicati i Rimedi per varie infermità, per V Animali della Villa. In questo libro discorre de’ morbi de’ cavalli, buoi, porci, capre, pecore, asini, muli et simili; poco di nuovo o di diverso vi trovammo da ciò che lasciò scritto Giov, Battista Ferraro, o di quanto si vede nella famosa tavola di Grisone, che il nostro Autore dovette certamente conoscere per dichiarare che le malattie del cavallo son da sessanta in circa. Terminato l'elenco di queste sessanta’ malattie del ca- vallo aggiugne: « Molte altre infermità hanno i ca- » valli, de’ quali rimedii lascio la cura a’ professori, e » particolarmente a M. Oratio Cavagni, piacentino, » miracolo di natura, per medicar quest’ animali. E si » come Galeno tien il primo luoco fra Medici d’ uo- » mini, così io tengo il primo Marescalco di Lom- » bardia (e questa è comune opinione) il detto hono- » ratissimo M. Oratio; l’ opere del cui, lo rendono » chiaro et immortale, degno d’ esser lodato in tal » professione, così Dio lo prosperì ». Non sì saprebbe veramente spiegare come ‘ nelle (1) Tanara Vincenzo. L’ Economia del cittadino in Villa, Bologna 1664, 1. ni " ‘li “dna È 3 Lee — 145 — edizioni posteriori siasi omesso il nome del Cavagni, il quale, se tanto elogio conseguì dal Falconi, qualche cosa doveva pur valere nella medicina degli animali. Se nel libro del Falconi al presente non si scopre nulla meritevole di nota dal lato terapeutico o.Me- dico, propriamente detto, vi si trova però cognizione sicura per accertarci dell’origine molto antica di una malattia delle bovine, che dai Veterinari si tiene es- sere apparsa da pochi anni nel bestiame cornuto d’ I- talia derivatagli dalla Svizzera, volgarmente cono- sciuta col nome di Polmonea. Ecco quanto ne disse il Falconi sul finire del secolo decimosesto: « La » Polmonera è mal. pessimo. Presto separa la sane » dalle ammalate, questo è mal contagioso, come » peste fra l’ animali bovini. Lavansi le mangiatoie » con acque calde, e netta bene la mangiatoia con » profumi per le stalle et herbe odorose. Questo male » nasce per l’ erbe cattive o fieno, o morbidezza di » Sangue ecc. ». Da pochi anni i Veterinari si accapigliarono chi sostenendo, chi negando il carattere contagioso della Polmonea, che il modesto frate aveva tre secoli prima dichiarato, e che presentemente pure da tutti si ammette. XC. Col metodo da noi abbracciato di far concorrere all’ edifizio della storia della Veterinaria il maggior numero degli scrittori che seppero occuparsi delle ma- lattie degli animali domestici, massimamente se anti- chi, perchè nei tempi trascorsi il movimento intellet- tuale nelle scienze fu debole e limitato a paragone dell’ odierno, non possiamo tacere di Agostino Gallo,. nobile bresciano, che per ingegno e metodi pratici 10 } — 146 — d’ istruzione rassomiglia al nostro Falconi. Antepo- nemmo Falconi a Gallo, quantunque questi gli sia stato anteriore, pel fatto, che lo scrittore piacentino è meno conosciuto del bresciano, e perchè il trattatello relativo alle malattie dei buoi, aggiunto all’ opera, me- glio lo distingue come scrittore di cose Veterinarie. Agostino Gallo nacque in Brescia nell’anno 1499 e vi morì nel 1570. Stampò un opera d'’agricoltura divisa in dieci giornate nel 1550, ve ne aggiunse po- steriormente, in due diverse ‘epoche, altre dieci ri- ducendole a venti; e l’ opera allora prese il nome: Le vinti Giornate dell’ Agricoltura et de’ piaceri della Villa. Haller nella sua Biblioteca Botanica sì dichiarò poco soddisfatto dell’ opera del Gallo, ma il nostro Filippo Re, la giudicò invece, fra le antiche, la più istrut- tiva per gli agronomi pratici; ed il celebre G. Ca- merario, nel suo trattato de Re rustica, qualificò per elegantissimi i dialoghi del Gallo. Per ammettere il Gallo fra gli scrittori Veterinarii basterà accennare, che nell’ undecima giornata di- scorre dei vitelli, dei giovenchi, dei buoi, delle vacche, coi rimedii per le infermità loro; nella dodi- | cesima tratta delle pecore e capre con la cura de’ morbi per esse famigliari; nella decimaterza, dei cavalli et delle cavalle di buona razza, e del modo di guarire i loro mali; nella quattordicesima dei muli e degli asini. Discorre dei malori dei bovini fermandosi a proporre i rimedi per l’ ematuria, pel mal del lanco 0 langio, per l’ indigestione, per le ferite dei piedi ecc.; ricorda l’anticuore delle vacche e la polmonera, che dice male disperato, e pel quale si deve subito separare le sane dalle infette. Intorno alle pecore ricorda il male del — 147 — morbino (1), la zoppina, e la rogna; pel cavallo le s0- lite affezioni portate nella famosa tavola. Nel libro diecinovesimo fa una lunga disertazione sulle varie caccie in uso a suoi tempi, le quali si vede che erano la principale occupazione di tutte le per- sone agiate e di civile condizione. XCI. Ora andiamo a parlare di un uomo gloriosissimo, per quanto ci lasciò scritto intorno all’ Anatomia e alla Medicina degl’ Animali, vogliam dire del Senatore Carlo Ruini. I meriti dell’ insigne autore furono dot- tamente esposti dall’ illustre Conte Ercolani, noi quindi saremo brevi nel discorrere di lui; ma coglieremo però l'occasione presente per rispondere agli stanieri, che ci accusano di esagerare i meriti ‘de’ connazionali nostri, e ciò può esser vero, ma per questo non potremmo essere incolpati che di un peccato di ge- nerosità, non già di commettere un’ ingiustizia, come si praticò con Ruini. Fra gli stranieri chi meno aveva interesse a biasimarlo fu quegli che maggiormente si addoperò per impiccolirlo agli occhi degli scienziati. Non si può non restare maravigliati leggendo nel discorso preliminare anteposto da Bourgelat al suo primo volume degli elementi d°’Ippiatria, che Carlo Ruini viveva nel 1500 e che aveva molto operato per far incidere delle tavole di notomia sulle differenti di- sezioni, che aveva fatto fare di parecchi cavalli. Ei (1) Nelle scritture antiche di Veterinaria furono designate affezioni diverse sotto i nomi di Morbio e Morbino. Il Morbio indicava specialmente la timpanite, che accompagnava la splenite carbonchiosa de’ buoi. Chiamarono Morbino il Canerovolante o Carbone volante 0 Gloss’ an- trace, detto pure: in antico Mal nero, \ — 148 — compose un opera in due volumi in foglio; l’ uno in- torno la Notomia del cavallo, l’ altro sulle malattie e sui rimedii, che non ebbe tempo di far stampare innanzi la sua morte. Uno de’ suoi figli, Ottavio Ruini, il quale servì il Re Enrico IV, alla presa di Amiens, ne fece fare la prima edizione in Venezia l’anno 1599, appresso Bindoni, la dedicò a Cesare di Vandomo, figlio di Enrico IV e di Gabriella di Estrées (1). Non dee recar sorpresa che un libro fatto e com- posto in un tempo in cui l’ Anatomia era ancora nella sua infanzia, non ci offra se non cognizioni imper- fette; così quello di Carlo Ruini, che non è in effetto se non una semplice e leggera esposizione anatomica del corpo del cavallo, pecca non solo contro l’ esat- tezza e la situazione delle parti, che ha voluto de- scrivere, ma anche contro la loro tessitura ed i loro (1) Al nome illustre di Bourgelat noi italiani dobbiamo accompagnare quello del benemerito dottore Iacopo Odoardi di Belluno, il quale tra- dusse e fece pubblicare dal 1776 al 1799 tutte le opere di Bourgelat in otto volumi; a questo dotto. Medico deve l'Italia 1’ aprimento di una scuola Veterinaria in Padova, ed alcune scritture importanti sopra argo- menti di Medicina comparata. a) Prolusione alla Veterinaria. b) Della cura del Lango, della peri- pneumonia e della dissenteria. c) Della squinanzia e Cancro volante, Bel- luno 1778. d) Degli impedimenti che s’ incontrano nella cura degli Ani- mali bovini 1778. Nelle scritture dell’ Odoardi, s’ impara che i villici del Bellunese chiamano morbino quel male per cui si muoiono gonfi ed enfisematosi, dovuto al pascersi di erba fresca e pingue (timpanite). Male della Leva, brutto male e Lango o Langio dicono la febbre putrida cangronosa dei buoi. (Febbre carbonosa). Il medico Odoardi venne convenientemente lodato dal parmigiano Giu- seppe Orus, che lo chiamò instauratore della Veterinaria in Italia, ed a lui rivolgendosi con un foglio particolare potè dirgli: questa scienza ri- conoscerà mai sempre îl decoroso suo risorgimento nell’ Italia dal genio grande e dallo zelo di V. S. Ilustrissima e dall esimia sua virtù, in in ogni medica facoltà universalmente rinomata. — 149 — usi. Ciò non ostante reca maraviglia il vedere giudi- cato in tal modo il primo uomo che ci diede l’ ana- tomia del cavallo, che si dice anteriormente essere stata dissegnata da Leonardo da Vinci, e che poi sì ripetè dall’ Inglese Snape e dal francese Jourdain. Ma Ruini non ebbe in nessun tempo a se favo- revoli gli stranieri, l’ illustre S. W. Schrader di Am- burgo nel 1855 dichiarò senza ambagi, che il Giure- consulto Ruini non potè essere l’autore dell’ Anato- mia del cavallo, ed ammise essere più probabilmente fatica di qualche Medico volgare il cui manoscritto ‘fu acquistato dal facoltoso Ruini e che poi i parenti fe- cero stampare fregiandolo del nome del possessore non già dell’ Autore. XOII. A Bourgelat, qualora ne fosse caso, si potrebbe contraporre il parere di Cuvier,: che ha giudicata: tanto favorevolmente l’ anatomia del Ruini; ma a Sehrader, il quale pure pubblicò una verità annun- ziando che nessuna indicazione precisa si sapeva tro- vare sopra Carlo Ruini, leggendosi solamente nelle opere biografiche e bibliografiche che fu Senatore di Bologna ed autore di quell’ opera, si può dire, chiunque sia bramoso di conoscere la storia della famiglia Ruini e specialmente del famoso Giureconsulto Carlo, avo dell’ autore dell’ Anatomia del cavallo, consulti il Pan- ciroli, istoriografo di Reggio di Lombardia, che este- samente parlò di Carlo Ruini suo concittadino, il quale dopo essere stato professore di Legge a Pisa a Padova, a Bologna, fissò quivi la sua dimora e quivi morì, lasciandovi i suoi discendenti nel 1530. Puossi ricorrere alla Biblioteca modenese del Tiraboschi, al- — 150 — ! articolo del Conte Fantuzzi (Scrittori bolognesi) re- lativo a Carlo Ruini, alla storia dell’ Accademia pi- sana di Monsignor Fabroni ece. Intanto, benchè si ri- peta cosa ben nota ai più valenti bibliografi e storici della Veterinaria, acceneremo che la prima edizione delle due opere di Carlo Ruini fu ultimata in Bolo- gna nel 1598 in fol. per « gli Heredi di Giov. Rossi » e che dall’ autore con lettera di Bologna del dì 7 Genaro 1598, venne dedicata al Cardinale Pietro Aldobrandini, da cui appare essere erroneo il sostenersi fosse il Ruini morto prima di quell’ anno. È noto pure essere questa prima edizione bellis- sima sopra l’ altre per caratteri, carta e splendidezza delle figure, che per antica tradizione si dicono opera di un Caracci. La seconda edizione venne eseguita in Venezia nel 1599 e dedicata dallo Stampatore Gasparo Bindoni il Giovane, a Cesare di Borbone figliuolo di Enrico IV. Nella dedica, loda la singolare perìzia e costanza di Ruini nello studiare le nature e qualità de’ ca- vallì: « havendo egli speso la maggior parte dell’ età sua non solo în iscrivere cose che potessero stare al paragone, ma anche în osservare tutto che si può con- siderare, concernente sì la bellezza e bontà, come la sanità de’ cavalli; de’ quali egli n’ haveva delle più no- bili et esquisite razze che si potessero ritrovare, che ancor si continuano presso i suoi figliuoli, fra i quali il signor Ottavio ecc. / Nel 1618 si stampò nuovamente in Venezia ap- presso Fioravanti Prati, con dedica di Franco Prati all’ Illustrissimo et Eccellentissimo Sig. D. Paolo Gior- dano Orsino Duca di Bracciano. Le due opere non sono variate nella sostanza, nè sono mutate le figure intercalate nel testo, come nelle edizioni precedenti. — 151 — Inferiore alle altre abbiamo trovata l’ edizione com- piuta in Venezia da Lorenzo Basegio nel 1707. In que- sta non sì leggono dediche, ma nel rimanente il li- bro non presenta mutamenti di nessuna specie. Non diremo altre parole per far risultare l’ impor- tanza delle opere del Senatore di Bologna, esattamente e dottamente provata dal prelodato Conte Ercolani; sia nella sua storia sugli scrittori di Veterinaria, sia nel Giornale di Medicina Veterinaria della scuola di To- rino dell’anno 1856, sia illustrando alcune impor- tanti scoperte anatomiche del Ruini. Con quelle scritture difese il Ruini dai biasimi altrui, e fece per di più risultare come all’ autore dell’ Anatomia del cavallo. spetti il grande merito di avere spiegata la circolazione del sangue anterior- mente all’ Arveo, se non prima di Realdo Colombo, di Andrea Cssalpino e di Acquapendente; e ciò ri- chiamiamo alla mente per affermare, all'appoggio di scrittori autorevolissimi, che nell’ Università di Padova, ai tempi dell’ Acquapendente, si spiegava la dottrina della circolazione del sangue, e che ivi l’ apprese cer- tamente il Medico inglese che nel 1626 volle mani- festarla all’ Europa quasi fosse una sua scoperta. - XCIII, * Ulisse Aldrovandi, scrittore valoroso nelle principali branche della storia naturale, merita di essere citato insieme al Senatore Ruini, perchè fu suo contempo- raneo, e perchè nacque nella nobile Bologna nel 1527 dove lasciò la vita nel 1597, epoche le quali corri- spondono a quelle della nascita e della morte di Ruini. Oggi non troviamo più necessario lo spendere pa- role intorno alle opere del sommo naturalista di Bo- — 152 — logna, chè delle sue lodi è pieno l’ universo; diremo solamente che i tre volumi, nei quali trattasi de qua- drupedi, interessano ugualmente e ai naturalisti e ai medici dell’ uomo ed a quelli dei bruti: che il gran volume in cui è contenuta la storia dei Mostri ( Mon- strorum Historia) deve essere indispensabilmente cono- sciuto anche dai Veterinarii. Concluderemo sui pregi dell’ Aldrovandi col ripetere le parole che ci lasciò il Conte Bonsi il quale scrisse di lui. « Senza punto sce- mare di merito al pregio de’ molti suoi volumi, noi qui ci restringeremo soltanto a parlare con sincerità filosofica di ciò ch’ egli ha scritto col titolo De ‘qua- drupedibus solipedibus, et de quadrupedibus bisulcis. Quest’ opera dopo la morte dell’ autore fu impressa in Bologna nel 1639 in due tomi in foglio, e fu ristam- pata nel 1642. In essa vedesi la storia naturale come — sommersa in un’immensità di erudizione, estratta da’ teologi, da’ giureconsulti, dagli storici sacri e pro- fani, da’ viaggiatori; così la minor parte è quella che realmente interessa l’ oggetto principale, di scrivere sopra la struttura e le malattie del cavallo, bel bue, dell’ asino, della pecora, della capra ecc. ; avendo egli preso da Absirto, da Varrone, da Columella, da Ve- gezio e da Ruellio un ammasso di cose, senza quel necessario maturo esame che richiedevasi in questo interessante lavoro; onde, se convien confessare che per questo conto la Veterinaria non è stata da esso molto arrichita di vantaggiose cognizioni, Inon è per questo che tutto il complesso dell’immensa sua fa- tica non lo renda benemerito della storia naturale, e non gli dia diritto all’ immortalità nella memoria dei posteri ». — 153 — XCIV. Nessuna speciale osservazione ci è permesso di presentare intorno all’ opera del Grilli, alias Sezte, da Fabriano, già Maestro di Stalla della Santa memoria del Cardinale Alessandro Farnese; l’opera ha per ti- tolo: « Raccolta di varii segreti per medicar cavalli d’ ogni sorta d’ infermità, Roma (Donangeli 1591) ». XCV. Gli Scrittori Veterinarii italiani. nel decimosettimo secolo. Nell’imprendere la storia degli scrittori Veterinarii italiani del diciasettesimo secolo dovremmo richiamare il nome di Luigi Scacco di Tagliacozzo (1), nome poco -glorioso per la Veterinaria italiana, potendosi qualificare non autore o scrittore originale, ma ine- sperto plagiario di Vegezio; alle cose premesse sul conto di lui non aggiugneremo altre parole , per occu- parci di un autore originale e di immensa erudizione, quale sì fu Fortunio Liceto genovese, fisiologo or- dinario nell’ Università di Padova. Scrisse un’ opera al fine di spiegare la cagione, la natura e le differenza delle diverse mostruosità. (Je monstrorum causis, na- tura et differentiis libri duo), stampata la prima volta in Padova nel 1616, ristampata nel 1634 con aggiunte ed intagli. Gherardo Blasio, celebre medico Fiam- mingo, ed autore della Zootomia seu Anatomes va- (4) Il libro dello Scacco venne stampato per la terza volta in Pa- dova nel 1628, La prima edizione è veramente del 1594, 4. Roma (Blado). — 154 — riorum animalium , fece un’ edizione più completa del- l’opera del Liceto in Amsterdam nel 1665. Liceto racconta la storia di mostri trovati negli animali bruti, nella specie ovina, felina, porcina, ca- prina, canina ece.; e stabilisce il principio: « /ta ergo certissimum est în brutorum animalium serie multa re- perì monstra ». Fu il Liceto, al dire de’ suoi biografi, autore di cin- quantaquattro upere, fra le quali, per l’importanza che può avere anche presentemente, si può notare quella De spontaneo viventium ortu, in cui spiega la generazione spontanea di più specie d’inselti dalla putridine, opinione combattuta dall’ immortale Fran- cesco Redi, specialmente in quella parte delle sue opere che verte sugl’insetti nascenti nel corpo degli animali domestici, e che ripetè parecchie volte nella storia di quegli animaletti, che si producono dentro alle teste de’ cervi e de’ montoni, che il Vallisneri trovò che vi venivan di fuora, da uova depositate ne buchi del naso di tali animali. Egli li vide crescere, cascar giù dal naso, rimpiattarsi sotto terra, et ivi in- crisalidarsi e dar fuora a lor tempo altrettante mosche, le quali accoppiatesi, tornavano a ficcare medesima- le uova nel naso d’ altri animali. XCVI. Troilo Lancetta, medico di Venezia, incaricato della cura degli ammalati per la famosa peste che infierì pure nella sua città, stampò un’ opera alla quale diede il titolo: « Di Pestilenza comune a Bruti et di contagio mortale dell’uomo ». Parliamo di quest’ opera, dopo aver consultata la seconda edizione fattane in Vene- zia (dai Guerigli) nel 1632 in fol., quantunque nella — 155 — medesima estesamente discorra della natura della pe- ste che attaccò gli uomini e poco dica di quella che fu comune ai bruti; però seppe richiamare l’ atten- zione dei cultori dell’ arte sanitaria anche sulla se- conda, e rammentare che Teofrasto asserì: « che le piante patiscono la peste quando vengono defraudate e corrotte nella sostanza del proprio alimento. Per Ari- stotile, nella classe dei bruti, li cavalli, bovi ed altri, tanto selvatici quanto domestici sono sottoposti alla pe- ste, ma però conviene che diciamo esser fra se stesse discordanti queste pestilenze, quanto sono differenti tra loro le nature del bove et del cavallo ». Giudiziosamente ]’ autore enumera fra i segni pre- nunziatori della peste la moltiplicazione d’ animali « nati di putredine, morte di lanuti et de iumenti» eco." Volendo giudicare delle difficoltà che si incontrano a curare gli uomini attaccati dalle pestilenze confessa che: « Anco quelli, che professano peritia nei mali » de’ bruti, si trovano talvolta nel medesimo labe- » rinto, lo conferma Aristotile all’ ottavo dell’ istoria » degli animali al capitolo 24, ove dice che li cavalli » gregali sono soggetti a tutti quei difetti, ch’ infe- » stano anco gli huomini, et alcuni di questi sono » insanabili per lo più di loro conditione, et nulla » giova l’ arte, quando dalla natura sola spontanea- » mente non si risolvono come l’ ordeaceo, così chia- » mato, et la passione cardiaca ». Intorno a Troilo Lancetta faremo per ultimo os- servare, che non può essere inutile nemmeno pre- sentemente la lettura del libro di lui, quantunque non si veda indicato dai più accurati scrittori di me- dicina , nè dai bibliografi; non venne dimenticato però dall’ illustre Emmanuele Cicogna. — 156 — : XCVII. Filippo Re scriveva che gl’italiani hanno collocata fra le classiche, da consultarsi, 1’ opera di Marino Gar- zoni, Senatore veneto, intitolata: « L'arte di ben co- noscere e distinguere le qualità dei cavalli, d’ introdurre e conservare una razza nobile, e di risanare il cavallo dai mali ai quali soggiace ». Venetia 1688, 1692 e va- rie volte (ne conosciamo nove edizioni) successiva- mente, quando in forma di $, quando di 4 (1). Pro- fessiamo sul conto di Marino Garzoni l’ opinione e- spressa da Filippo Re, quantunque contro di lui ri- ‘ manga il fatto allegato da Ercolani, che cioè pren- desse pressochè intera la materia del suo libro dal- l’ opera di Ruini, se non che giova ad iscusarlo il | ripetere le seguenti parole di lui: « Mi posi in trac- » cia non solamente de’ migliori libri latini e vol- » gari in materie de’ cavalli, ma in idiomi anche a » me ignoti, che con l’altrui spiegazione ho procu- » rato d'intendere e di osservare ». Onorevole ci parve ìl motivo che indusse il Gar- zoni alla compilazione di un libro di Veterinaria, e tale da dimostrare l’importanza che a’ suoi occhi a- veva la scienza. Egli cì ricorda il fatto seguente: « Il » Sig. Girolamo mio fratello, che dopo aver sostenuto » molti principali gradi sopra l’armata della Repub- » blica, morì volontario combattendo nell’ infelice as- » sedio di Negroponte, da giovinetto militando in Le- » vante nella guerra di Candia, me ne mandò uno (1) L’autore nell’ introduzione al libro quarto, aggiunto dopo la prima edizione, dice di averlo compilato perchè il Signor Iddio gli aveva pro- lungata la vita ventiquattr’ anni dal tempo della prima impressione. — 157 — » turco preso sopra l’isola di Sciro nel’ Arcipelago, » mirabile nella gagliardia, nella velocità e nel ‘passo. » Cadde infermo l’anno 1671, in tempo del di lui | » miglior vigore, ed io consegnandolo alla cura di » un Maniscalco, convenne per l’ignoranza sua ve- » dermelo miseramente perire. Confesso. di conser- » varne un appassionata memoria, ed ammaestrato » dalla perdita mi diedi allo studio, e lo studio 1’ ap- » poggiai all’ esperienza ». XCOVIII. Non è certo pel merito del libro lasciatoci da Pie- tro Francesco Canavese, che intendiamo farne parola, ma è solamente perchè la materia che vi è contenuta fu forse per la prima volta in un’opera di Veterinaria esposta in quella guisa che la rende un formolario Veterinario. Il Canavese fu Maestro di stalla del Sig. Conte Giuseppe Maria Arconati; l’ opera da lui com- pilata s'intitola: « Compendio di varie ricette per me- dicar cavalli, stampata la prima volta in Milano nel 1698 per Ambrogio Ramelati ». Quando si ebbero a ricordare i libri dei Marchi dei cavalli, già si parlò del Canavese, e, della parte che potè avere in quella compilazione. Sul conto dell’ autore scrisse Francesco Bonsi che: « in questa sua raccolta non fu serupoloso nello » scegliere quel scio che può essere vantaggioso nella » pratica, ma vi mescolò anche molte ricette inutili » e perniciose, forse per accrescere il numero delle » pagine a 70; onde questo libro può essere soltanto » utile a chi è già ben istruito nella Veterinaria ». — 158 — XCIX. Il sommo scienziato che fu Antonio Vallisneri, a gloria di que’ Medici che presero affetto allo studio delle malattie de’ bruti, vuole essere citato per le sue: « Nuove osservazioni medico-fisiche, fatte nella costi- » tuzione verminosa ed epidemica, seguita nelle ca- » valle, cavalli e puledri del mantovano, e di questo » serenissimo dominio di Venezia ecc., e le sue os- » servazioni sopra il mal contagioso dei buoi » pub- blicate nel 1715 dal tipografo Gabriele Hertz, che le dedicava al Senatore Marino Garzoni. Nacque il Vallisneri nel modenese, a Tresilico (1), nel 1661. I suoi biografi dissero con ragione di lui, che applicò alle scienze con animo indipendente e guidato dai principii di metodo sperimentale sotto del quale ormai dalle astrazioni e dalle idee generali si veniva alla ricerca della verità. « La questione capitale della origine e delle tra- » sformazioni degli organismi l’ occupò lungamente, » per cui ne vennero da lui molti scritti relativi a » questo proposito circa gli insetti ed i vermi, dei » quali sempre dimostrò il nascere dalle uova ». Appartiene al Vallisneri la descrizione di un vi- tello mostruoso nato il 15 dicembre 1694, mandato colla medesima in dono al signor Bernardino Ra- mazzini, che allora abitava in Modena; e così l’ al- tra Relazione di varii Mostri con alcune riflessioni ecc. Di altri argomenti, comuni alle due medicine, trattò il Vallisneri come, ad esempio, di quello che si riferisce ai così detti Cervelli ossificati, e sempre con (1) Re disse a Scandiano. — 159 — quel profondo acume che tutti riconobbero in lui (1). Il cognome dell’ illustre autore lo scriviamo come sta nell’indirizzo autografo delle sue opere, inviate in dono al suo amico Dottor Giuseppe Volpini pro- fessor di medicina nell’ Università parmense e cultore solerte delle scienze naturali; quivi leggiamo: « Al Distintissimo Sig. Dott. Giuseppe Volpini, il Vallisneri, non già il Vallisnieri come generalmente sì usa ». C. Porremo termine alla storia Veterinaria che ri- guarda il decimosettimo secolo col citare una memo- ria di un medico illustre, Bernardino Ramazzini: « De rurali epidemia agri Mutinensis, ubi quoque Rubiginis natura disquiritur, que fruges fructusque vitiat. Mu- tina 1690, 4 ». L'osservazione antica dell’ illustre Medico Carpense venne ben di recente confermata dai valenti osserva- tori Robin, Colin e Gerlach ecc., anzi quest’ultimo asserì d’aver veduto svilupparsi il carbone nei cavalli di una scuderia a cui erano stati amministrati grani coperti dalle sporule dell’ Uredo sitophila. Nobili sono le parole colle quali accenna quella costituzione epi- demica rurale, e perciò ripeteremo le più importanti nella lingua in cui furono dettate: (1) Paolo Boceone, palermitano, nella sua opera, il Museo di Fisica, .scrisse nell’ osservazione vigesimasettima, che un bove il quale pativa fre- quenti capogiri, ed aveva perduto la vista d’ un occhio, dopo morte pre- sentò la metà del suo cervello, relativa al sito dell’ occhio offeso, tutta già impetrita come sasso duro di colore bianco ecc. L'autore fece pure la descrizione di calcoli trovati nei porci ed in altre bestie non trascurando i caratteri microscopici. « Paolo Silvio Boccone visse dal 1633 al 1704; mori nella sua città natale. a A id » — 160 — « Vim hujus male morate constitutionis experta quoque sunt, cujuscumque generis animalia, que in magno numero interiere: sicut autem in ea, quam describit Silius /talicus, que sicca fuit, et prefervida, vim primi sensere canes, ut in hac fri- gida et prehumida prima clades pecudum fuit, qui- bus postquam per dies aliquot @#&grotassent, veluti per crisim apparebant variole in capite et collo, ac plerumque ab iisdem excaecabantur; sic que ex ve- hementia morbi non perierant, tandem ex inedia contabescebant. Sues quoque turmatim suffocati mo- riebantur ». « Nunquam parcius nobis mellificarunt apes, vel propriis in sedibus extincte, vel alio migrantes; Bombyces quoque initio quidem catervatim peri- bant, qui vero superstites fuere in ipso opificio se- mianimes ignavi concidebant. Nimius essem, sì cun- cta singillatim recensere vellem. Extispicium ali- quod, Pecudum precipue, quarum major fuit stra- ges, identidem celebrare, ac hariolari quaenam es- set talium morborum causa, non abs re fuisset, si per tempus licuisset ». L’insuperabile professore aggiunge, dopo la fatta esposizione, che non gli sarebbero mancati ì biasi- matori per aver voluto portarsi nel campo della Ve- terinaria: « Scio non defuturos, qui me coarguant, A » quod ad Veterinariam transgrediar;oblatrent quan- tum velint, quod talia observare medicam artem profitenti indecorum nequaquam crediderim. Egit id Medicoram Maximus, quem non puduit scrutari, quare bobus facilius, quam ceteris animalibus exci- debant femora. Quin Medico Chirurgo licere inter- dum absque artis dedecore bestiis mederìi, ostendit erudilissimus vir Carolus Patinus (Patin) in sua ele- — 161 — | » gantissìma oratione in Archi-Lyceo Patavino anno » 1682 habita ». Michele Rosa, Medico riminese, celebratissimo (Qli- nico nell’ Università di Modena, più vivamente an- cora indicò i meriti dei medici italiani, che si adope- rarono a descrivere le Epizoozie incominciando dal Fra- castoro. Il predetto immortale Ramazzini nella bella orazione da lui letta nel dì 9 Novembre 1711 nell’ a- teneo padovano, dissertando sulla fiera Epizoozia bo- vina comparsa nel padovano e vicentino nel 1711, richiamò alla mente degli uditori la comunicazione del Fracastoro relativa all’ anno 1514, discendendo in- fine a suoi contemporanei e dando lode specialmente al Conte Canonico Troilo Borromeo, che ci lasciò la storia di quella Epizoozia (1). CI. La Veterinaria in Italia nel decimottavo secolo. Se la più parte dei Medici rimase costantemente convinta, che l’ Ippocrate di Coo avvanzasse tutti gli antichi per esattezza nell’ osservare i fenomeni delle malattie durante la vita, i cultori dell’arte sanitaria son ora ugualmente persuasi che al progresso della medicina debba contribuire l’ esame e lo studio dei cadaveri dopo la morte. L’ Italia ricorda con orgoglio il suo Giovanni Battista Morgagni, medico forlivese, come quegli che più avvanzò la scienza con tale qua- (1) Clemente M. Africo, padovano, citato dal Lastri, scrisse della Agri- coltura libri sei, e nella quarta edizione di quell’ opera, fatta in Venezia nel 1696, vi aggiunse: « L'origine del male de’ bovini e il suo rimedio »* 11 — 162 — lità di studii. Niuno per certo biasimerà i medici am- miratori di Morgani, niuno disconoscerà la nobiltà e la perfezione dell’ opera che s'intitola: « Delle sedi e cause delle malattie anatomicamente investigate ». Ma da quest’ opera medesima anche i poveri e spesso de- risi Veterinari potrebbero cavar fuori, e registrarli nei loro Annali, fatti importantissimi atti a dimostrare che le più gravi quistioni di medicina rimangono in- solute senza studii comparativi sui bruti. Taceremo però del maggior numero delle osservazioni compiute sugli animali dall’ immortale professore, perchè l’ o- pera del Morgagni è conosciutissima, ed appena os- serveremo ch’ egli parlò del rovesciamento dell’ utero nella cagna e nella specie bovina, delle mole (4) trovate dentro quel viscere. Richiamò l’attenzione dei medici sulla quantità di sangue raccolta in vicinanza del fegato, o dentro l’addome di vitelli cavati dall’ utero materno nei primi mesi della gestazione; nell’ importantissima contraversia, viva anche. presentemente, sull’ origine dei mostri seppe opportunamente fornirci la storia di una vitella da due teste ecc. Ma lasciamo l’ analisi del- l’opere del Medico illustre, per continuare nel più medesto campo l'esame di altre e di scrittori esclu- sivamente Veterinari o dei medici che parlarono delle Epizoozie del secolo XVIII. CII. La Veterinaria anteriormente al decimottavo secolo possiamo dirla rappresentata da professionisti più o meno abili, ma però occupati esclusivamente in que- sto ramo di scienza, o nell’ agricoltura e nella cura (1) Fibromi dei moderni. rr————_—— —————_—— —__——" ° =—1——+— w=——@6< O I E N « -- 163 — de’ bestiami, o nell’ equitazione e nell’ ippoiatria in- sieme. Nello scorso secolo i medici dell’uomo oc- cuparonsi con altrettanto ardore quanto i Veterinari dei morbi delle bestie; la ragione del molto in- teressamento per la nostra scienza, nacque col fatto della terribile epizoozia dei buoui, del 1711, 1712, 1713, 1714 (1); dal ripetersi di questa calamità sino a toccare [l’anno 1797, ossia negli anni 1729, 1735, 1738, 1743, 1747 e 48, 1776, 1787, 1795 e 96, 1797 ecc. I medici dell’ uomo anzi prevalsero pel loro grande numero sui Veterinari nello studio delle epi- zoozie; di questi però se ne ha a ricordare pochis- simi, se pensar vogliamo solamente ai più degni od a quelli di maggior merito, nel qual caso la storia dovrebbe fermarsi sui nomi illustri di Francesco Bonsi, Giovanni Brugnone, Giuseppe Orus, Francesco Tog- gia, Giacomo Gandolfi. Gli scrittori del decimottavo secolo, offrono ancora una preponderanza di merito per la maggior esten- sione procurata alla scienza occupandosi. in uguali proporzioni del bue e del cavallo, pur non dimenti- cahdo l’arte di migliorare i quadrupedi domestici e l'igiene conveniente ai medesimi (2). (1) Conosciamo due edizioni dell’ Istoria dell’ epidemia de’ buoi, acca- duta l’anno 1744, scritta dal Padre Borromeo e diretta a M. Lancisi, colla risposta di quest ultimo. La prima è di Venezia 1712, 8. La terza venne eseguita in Padova 17414. È arrichita di un trattato sopra l' epi- demia de’ cavalli e d’ una lettera del male dei buoi. (2) Avremmo dovuto incominciare la storia di questo periodo dal- opera di Dandolo Alvise q. Francesco, ma nol potemmo mancandoci la medesima. Porta per titolo: « Trattato sopra la qualità del buon ca- vallo, l infermità che V oecorrono, li rimedii in esse sperimentati. Pa- dova 1722 in 4. Non si potrebbe lodare |’ opera del Lazarini, marescalco in Orvieto, chiamata Mascalcia praticata divisa in tre parti, stampata in Montefiascone nel 1722 in 4, perchè compilata dai libri del Caracciolo, di Pirro Andrea, Ferraro e Columbre. ga 1.) eta CHI. Onde proseguire la nostra storia, colle norme ab- bracciate, non parleremo che di quegli autori ehe la- sciarono qualche opera veramente utile, considerata come parte della medicina Veterinaria. Se fummo par- chi nell’ ammettere nella serie de’ Veterinari, gli agri- coltori, coi quali malamente alcuni ci accomunano, con maggior ragione non polevamo registrare gli au- tori di quelle singolari Enciclopedie, che quasi ab- bracciarono tutto lo scibile ne’ secoli scorsi, nel qual caso avremmo dovuto ricordare il parmigiano F. M. Gra- paldo, autore del Lezicon de partibus aedium, in cui discorre dell’ Hortus, Piscina, Leporarium, Stabulum, aviarium ecce., ed altresì degli animali che vi si con- servano; e citare i dodici libri della Villa di Giovan Battisfa Porta Napolitano, ed altre opere ancora. CIV. Il trionfo della Veterinaria nel passato secolo ed il suo innalzarsi sullo splendido seggio delle scienze lo attribuiamo all’ aver ottenuta una storia e scuole con distribuiti insegnamenti. Per la storia, rammentia- mo ancora con particolare soddisfazione Antonio Zanon udinese. È nobilissimo il suo Saggio di storia della medicina Veterinaria, stampato la prima volta in Ve- nezia dal Fenzo nel 1770. Sopra il quale argo- mento non ripeteremo che le parole scritte già dal proposto Lastri, perchè più di tutte convengono ed esprimono una grande verità. Esse dicono: « Quasi per » lo spazio di dieci secoli, dopo il quarto dell’ Era » Cristiana, fu trascurata dagli scrittori l’arte Vete- — 165 — » rinaria. Si rende qui conto di quei che ne tratta- » rono ne’ secoli XV, XVI e XVII. Finalmente si fissa » l'epoca del risorgimento circa i primi anni del pre- » sente secolo (XVIII) quando una generale epide- » mia bovina sì estese in tutta quasi l’ Europa. Esalta » l'istituzione delle scuole Veterinarie di Lione e di » Parigi, le prime state aperte. a comun benefizio » (1762) ». L'autore delle premesse storiche parole, è pari- menti degno d'essere annoverato fra quei benemeriti che prestarono un efficace soccorso all’ avvantaggia- mento della nostra scienza, perchè tale si è la sua . Biblioteca georgica, ossia il Catalogo ragionato degli scrittori di Agricoltura, Veterinaria, Agrimensura, Me- teorologia, Economia pubblica, Caccia, Pesca ecc. spet- tanti all’ Italia, col motto Nil intentatum, Firenze 1767, 4. Costituisce quest’ opera la prima delle bibliografie Veterinarie di origine italiana. CV. Bianchini Dott. Fortunato di Udine nel 1770 fece di pubblica ragione una lettera del Sig. Antonio Za- non, nella quale spiega la grande utilità che si po- trebbe ricavare dall’ instituzione delle scuole Veteri- narie, espone i propri pensamenti intorno le ma- lattie de’ buoi ed indica il metodo curativo. Ricorda ‘che quattro epizoozie dal 1750 al 1759 attaccarono i buoi della provincia di Udine. CVI. Nella zootecnica, o nella scienza che si occupa del | miglioramento degli animali domestici, nel secolo tra- — 166 — scorso si segnalarono specialmente Andreucci dottor Filippo, senese, e Tramontano dottor Luigi; scri- vendo sulla moltiplicazione del bestiame toscano (Fi- renze 1773). La memoria del Tramontano venne pre- miata dall’ Accademia dei Georgofili nel 1779; l’ altra ottenne l’ accessit. Il Conte Zaccaria Betti, l’ autore del Dolo in quattro canti, il Baco da seta, dettò una memoria, premiata nel 1674, sulla moltiplicazione dei buoi. Nel 1768 si stampò in Modena una monografia sopra i muli, che ci crediamo in obbligo di registrare in o- maggio all’incomparabile Abate L. Spallanzani, il quale contribui con un suo opuscolo alla compilazione del libro; gli altri che vi concorsero furono ll Sig. Bon- net Ginevrino, ed i signori Hebenstreit e Klein. Griselini Francesco insegnò il mestiere del boaro, ossia il governo de’ buoi, e lo diede in luce in Vene- zia nel 1780. A questo benemerito agronomo diresse una sua memoria Doriglione Iacopo, genovese, re- lativa al governo delle pecore, vi aggiunse un’ altra scrittura sul modo di preservare il gregge delle pe- core dalla malattia di S. Rocco, ed indicò una nuova maniera di castrare i montoni, con una notizia per inoculare il vaiuolo alle pecore. Il tutto si stampò in Venezia nel 1779. L’ Abate Domenico Zambenedetti compilò una dis- sertazione sopra i mezzi {di moltiplicare i bovini, la quale vide la luce in Venezia nel 1779. Il Conte Ve- nerosi della Riva trattò « Della libera macellazione e moltiplicazione de’ bestiami bovini e pecorini nella pro- vincia di Verona, stampata nel 1793 ». Nella mede- sima insegnò che coll’ estendere la coltura de’ prati si ottiene l’ accrescimento del numero de’ bestiami, e sostenne che, onde non manchino le carni, deve — 167 — lasciarsi libera la macellazione. Toggia Francesco, il più eccellente fra gli scrittori di Veterinaria del secolo decimottavo, non dimenticò il vitale argomento della nostra agricoltura, quale si è quello del miglioramento delle bestie cornute, e venne fuori nel 1787 con una Memoria : « Sulla moltiplicazione, miglioramento e con- servazione della specie bovina ne’ paesi sì di pianura che di montagna ». Questa memoria, chi voglia leggerla completa, deve ricorrere alla terza edizione fatta in Rimini nel 1790, dopo la seconda Vercellese pure corretta dallo stesso autore. Il benemerito Toggia nel 1800, testimonio dei danni portati ai bestiami del Pie- monte dall’ epizoozia che ancora vi dominava, lesse alla società Agraria di Torino nel 30 novembre una pro- posta sopra « Alcuni mezzi efficaci per promuovere l’a- gricoltura e moltiplicare la specie bovina » la diresse con un erudito discorso alla Commissione esecutiva che in quel tempo governava il Piemonte. Disse in quella, con particolare affetto alla sua patria, le lodi dell’ A- gricoltura, quell’ arte sacra, la prima che V uomo ha avuto bisogno d’ imparare, ricordò che l’ Agricoltura e la Veterinaria non furono mai dimenticate da Caldei, dagli Egizii, dai Greci e dai Romani, pur lamentando che nel Piemonte quell’arte fosse negletta ed avvilita, quasi che V’ abbondantissima quantità delle bestie dovesse essere diminuita dall’ imperizia dei Maniscalchi. Le so0- lenni parole esprimono un fatto ugualmente vero ai nostri giorni, chè, pur troppo se ai tempi, di Toggia la cabala mandò a male i progetti del gran Bogino, per l’ avvanzamento dell’ Agricoltura e della Veterina- ria, Oggi manca qualunque appoggio a queste scienze, perchè si decide pur sempre delle cose relative ad esse da coloro che meno ne conoscono o ne sanno. — 168 — CVII. Per affetto alla nostra Parma ed al nome venerato di Giuseppe Orus, che quivi nacque, dopo avere scritto lungamente di lui, richiameremo alla memoria sol- tanto le belle Osservazioni fisico-pratiche sopra alcuni animali domestici villerecci, stampate in Padova (Co- mino) nel 1779, perchè riguardano appunto gli ani- mali più utili all’uomo considerati in modo affatto nuovo; ma queste utili osservazioni, lodate dal La- stri, non sono che la quinta parte di un’ opera che abbracciare doveva cinque titoli diversi; presso di noi si conservano le scritture dell’ Orus destinate alla stampa, le quali dovevano far seguito al detto primo libro in cui si tratta solamente del bue, del toro, della vacca e del vitello. Volendo, sul conto di Orus, evitare di ripetere quanto colle stampe avemmo a dire, richiameremo a suo riguardo le parole di un pietoso discepolo, il Prof. Antonio Rinaldini, nelle cui braccia spirò gio- vane ancora. Il Governo della Repubblica Veneta nei proprii atti chiamava é/lustre il suo professore, ed il discepolo lo qualificò diligente e spedito nelle zooto- miche sezioni, instancabile nelle epizootiche calamità, sicurissimo nelle più difficili chirurgiche operazioni, portento alla fucina, benefico e generoso a’ miseri ed a’ ricchi; ogni ceto compianse la perdita di sì egre- gio soggetto. Le sue opere, anco di nuove scoperte arrichite, si veggono celebrate dagl’ italiani ed esteri istituti; meritò il suo nome fra gli uomini illustri la sede.... (1). (1) Trino Bottani, medico di Venezia, dimenticato con grave danno della Veterinaria dagl’italiani, nel 1° volume della sua opera sulle Epizoozie, — 169 — CVIII. Nel decimottavo secolo la Veterinaria, potè vantare scrittori d’igiene, di Polizia Sanitaria Veterinaria e di Giurisprudenza commerciale: abbiamo di Carcani Igna- zio. « Considerazioni sulla ragione, sperienza ed auto- rità che approvano l’ uso innocente delle carnì, pelli e sevo, avvanzi della epizoozia bovina presente ». In Mi- lano 1714 (Nella R. D. Corte per Marc’ Antonio Pan-. dolfo Malatesta). Maiocchi di Sangiorgio in Lomellina trattò il medesimo argomento in ordine all’ Epizoozia delle galline nel 1790. Il lodato nostro Toggia aveva pure dottamente discorso di quella Epizoozia in una memoria col titolo: « Storia e cura della costituzione verminosa ed epizootica manifestatasi sui polli in di- verse provincie del nostro stato sul principio di set- tembre 1789 ». Il dottore Giuseppe Baronio fece pari- menti opportune « considerazioni sul morbo nel suo saggio sulla corrente Epidemia delle pollastre. Milano 1789 ». Gli scrittori moderni riguardano quell’ affezione epizootica degli uccelli del cortile come equivalente a quel male che oggidì chiamano Colera dei polli. a pag. 63 e seguenti, indicò ben sessanta memorie di autori nazionali — relative alla moltiplicazione e miglioramento dei buoi e dei rami d’ agri- coltura che vi si attengono. Nelle note storiche sulla scuola Veterinaria di Padova e sopra Giuseppe Orus potemmo ricordare le relazioni inedite sopra le malattie dei bestiami compilate dai protomedici del territorio veneto, quali Trevisan di Padova, Pigatti di Vicenza, Ghirardini d’ Este, Ortica di Conegliano, Bovio di Feltre, Odoardi di Belluno, Balletti di Crema ecc. Tutti ci descrissero i malori proprii dei bestiami dello stato della Veneta Repubblica; tutti lamentarono la mancanza dei Veterinari, e con maggior premura ne espresse i danni il Pigatti riconoscendo nella Veterinaria un’ arte quanto utile, altrettanto sinora negletta e praticata infelicemente fra noi. — 170 — Toggia che tanto giudiziosamente ne espone i ca- ratteri, la disse morbo putrido, maligno e contagioso, che equivale coi criterii moderni, a carbonchioso, poi- chè le persone che furono ardite di maneggiare le carni infette di qualche bestia d’ unghia divisa, morta di ma- lattia putrida, maligna o di simile natura, ne paga- rono quasi sempre il fio, chi preso dal carbone, chi da disenteria, chi da febbre putrida, o dalla stessa malat- tia dell’ animale; così lo stesso può accadere in questa circostanza. i Ma a noi non è acconsentito dall’indole degli argo- menti che trattiamo di estendere l’ analisi sopra i fatti gravissimi che sono di spettanza dell’igiene pubblica, e nè pure possiamo compiere l’ esame delle diverse opere compilate dagli scrittori che appartengono a questo secolo; tacemmo sopra ben quaranta tra opere e monografie del benemerito Toggia, non tanto per la lunghezza del compito, quanto perchè al medesimo soddisfece egregiamente il Conte Ercolani. Siamo pure forzati a tacere sugli scritti degl’italiani relativi ai morbi parassitari, chè, per converso, dovremmo ri- chiamare nuovamente Francesco Toggia intorno all’ Er- pete tonsurante de’ buoi (pellerella), Felice Fontana, il quale in una lettera (1783) scritta al signor Darcet a Parigi parlò dell’ idatide cerebrale delle pecore (cenurus cerebralis) e delle Tenie; e parlar dovrem- mo di Domenico Vandelli, modenese, cultore inde- fesso delle scienze naturali e della medicina, che gli storici rammentano come fondatore di un orto botanico in Coimbra, dove fu professore, che Lin- neo chiamò la Fenice d’ Italia, che scrisse sulla te- — 171 — nia del cane, de vermium terra reproductione atque tenia canîs (4). CIX. Per le controversie lunghissime alle quali può dare origine la contrattazione del bestiame, vennero pro- poste giudiziose cautele dall’ avvocato Gregorio Fierli Toscano, il quale pubblicò un volumetto di ben 160 pagine, chiamato modestamente Opuscolo « Delle azioni edilizie in rapporto alle contrattazioni del bestiame » Firenze 1799. Abbiamo consultata la terza edizione, eseguita pure in Firenze nel 1807, perchè ricca di ag- giunte. Il libro dello scrittore Toscano è un vero gioiello in codesto ramo speciale della giurisprudenza ; in esso coll’ appoggio del /us Comune dei Romani non omise di trattare le più gravi questioni, e persino quella che si mosse da coloro che onde toglier di mezzo tante piccole e vergognose controversie, opinarono « che ottima sarebbe una legge generale, la quale or- » dinasse, che le contrattazioni del bestiame doves- » sero farsi liberamente, e non ostante qualunque vi- » zio sì d’ animo, che di corpo delle bestie comprate, |» non si potesse intentare nè l’ azione della rescissione » del contratto, nè quella del defalco del prezzo, » come appunto succede nelle vendite delle bestie, » che si fanno dal Tribunale, nelle quali non si da » luogo a simili reclami ed azioni ». Il carattere giuridico di questo lavoro non ci per- (1) Dominici Vandelli Philosophi ac Medici Dissertationes tres. De Aponi Thermis: de nonnullis insectis terrestribus, et zoophytis marinis, et de vermium terrae reproductione, atque taenia Canis. Patavii 1758, 8. — 172 — mette di seguire l’ egregio autore nello svolgimento della materia, nè di analizzare con lui lo statuto del- l’arte dei Fabbricanti della città di Firenze, in cui sono enumerati i mali delle bestie; nè la legge me- dicea 30 novembre 1631, nè l’altra del 24 luglio 1683, u quella emanata dal Gran Duca Pietro Leopoldo nel 6 novembre 1773, confermata colla notificazione 7 di- cembre 1751. Termina il bel libro del Fierli coll’ enumerazione delle Regole, Notizie e Cautele raccolte dal dottore Vin- cenzo (Guglielmi, e relative alle azioni edilizie. Quali mali e vizii è tenuto manifestare il venditore al com- pratore ecc. 5.0 Passate in rassegna le opere più singolari spettanti alla Veterinaria, ci è forza tornare agli scrittori che particolarmente rivolsero i loro studii alla parte pratica. Primeggia sugli altri, non dirò per sapere ma per aver vissuto Rei primi anni del decimottavo secolo, (riov. Bat- tista Trutta napolitano, anzi, se poniam mente alle di- verse impressioni del libro, dovremmo riferire le pri- ma al 1699, poichè la dedica nella seconda edizione (Napoli 1707) all’ Eccellentissimo Principe di S. Buono, Carmine Nicolo Caracciolo, porta la data predetta, ed il permesso per la stampa del Novello Giardino del Trutta fu scritto nel 27 agosto 1698, e per di più l’autore assicura nel proemio d’aver compilato il li- bro all'appoggio di un’ esperienza e studio di qua- rant’ anni. 3 Se non sì volesse scusare la determinazione presa di annoverare il Trutta fra gli scrittori del secolo de- cimottavo, sappiano i pochi benevoli che porteranno — 173 — gli occhi sopra queste carte, che il facemmo per non contraddire all’ autorità di uomini valentissimi, quali furono Marco Lastri, autore anche dei famosi lunarii pei Contadini, Huzard, Ercolani ecc.; tutti citarono edizioni compiute in un periodo ben avvanzato del secolo decimottavo. A noi fu dato esaminare diverse edizioni del No- vello Giardino fatte ad intervalli ben lontani, quali sarebbero ad esempio quelle del 1707 e 1785. Con- fronteremo le edizioni fra loro più lontane dopo aver accennato che quella parte dell’ opera, in cui sì tratta dei malori delle bestie bovine, venne stampata più volte con poche aggiunte separatamente dagli altri due trattati col titolo: « Il Maniscalco istruito nella cura degli animali bovini, in cui sì descrive come sì ge- nerano i vitelli, come si governano i buoi; coi ri- medii di molta e vera sperienza per le infermità che lor occorrono ». Codesto trattato trovasi altresì unito alla medicina sperimentale del cavallo del signor Har- pur, inglese 1784 (1). Ponendo a confronto le edizioni prime del Novello Giardino della Pratica et esperienza, colle posteriori, si riconosce nelle due più antiche l’esistenza di un quarto libro che manca in tutte le posteriori, e pure in questo quarto libro: « si parla di un discorso Astro- » nomico, con una ruota, e figura del cavallo, con » un altra figura del detto, per il perfetto Maniscalco, » con il luogo e sito delle vene, per fare la. sagnie » e l’esamina per quelli che hanno d’ aprire bottega, » e quante ossa tiene il cavallo, e con rarissimi se- (1) Il Maniscalco istruito nel governo degli animali bovini, e nel modo di medicarli di Gio. Battista Trutta; Venezia 1777, 1785. — 174 — » greti di vera esperienza così per l’ uomo, come per » il medesimo cavallo ». In alcuni esemplari della terza edizione del No- vello Giardino (Napoli 1713) si trovano uniti i due seguenti opuscoli: « Notizia della mortalità delli bovi e dell’ altri animali baccini e del modo di curarli. Vero modo di curare la influenza del sangue putrido, con lo umore colerico e morte di più cavalli. Napoli 1712, 4. CXI. Quando per affetto ad una scienza si cerca di farla risplendere di luce nuova, o di presentarla come in- ventrice di utili verità, benefica per efficaci soccorsi a tutela degl’ interessi economici delle popolazioni agricole, pare all’ uomo di non aver raggiunto il suo scopo se non trova un nome glorioso, capace di com- pendiare in se i pregi dell’ encomiata disciplina; ora’ per noi, negletti lavoratori nel campo d’ Igea, non v’ ha un nome solo da ricordare, ma parecchi più che sufficienti nell’ arte, come Dino ripeteva; e l’Italia li deve per la maggior parte alle illustri città dell’ antico Piemonte; Buniva, Iemina, Brugnone, Ma- lacarne; se furono sommi nella medicina dell’ uomo non grandeggiarono meno in quella dei bruti. E noi presto ripeteremo alcune parole fra le molte che la storia ha già proferite al loro onore. Intanto per man- tenere nell’ ordine cronologico l'andamento della sto- ria, registreremo il nome di Giordani Giorgio da Sas- suolo, che scrisse: « De’ segreti sperimentati e pratici per medicar cavalli »; Livorno 1746, e quello di Pie- tro Orlandi, romano, dottore in medicina e filoso- fia, il quale stampò in Roma Memoria sulle malattie dei bestiami, alla quale sono aggiunte annotazioni dn n i nnt “i n Sa n pm» E. 4 Cnn Td — 175 — filosofiche sulle principali piante velenose nocive ai be- stiami con disegni relativi. Di questo scrittore si ha pure una Lettera intorno alla vera origine del Cancro volante, Roma 1787. CXII. È da noi conosciuta una sola memoria di Antonio Ferdenzi, mantovano, allievo di Bourgelat; ha per ti- tolo: « Avvertimenti sulla maniera di ben trattare e governare îl bestiame, coll’ aggiunta del metodo cura- tivo e preservativo contro la Polmonea », Mantova 1794. Il Ferdenzi, per deliberazione dell’ Accademia di Agricoltura di Mantova, doveva insegnare pubblica- , mente la Veterinaria; ma ne fu trattenuto dagli avve- nimenti politici che misero in iscompilio tutta Italia. CXIII. Saremo brevi nell’ esame delle opere di Giovanni Brugnone, perchè il Conte Ercolani soddisfece da tempo e dottamente al bisogno; non taceremo però esser egli nato in Acqui nel di 27 agosto 1741; esser stato chirurgo collegiato nell’ Università di Torino, cultore valentis- simo e maestro nella Veterinaria appresa nelle scuole di Francia. Reduce in patria nel 1769 venne nominato direttore della scuola Veterinaria. Nell’ Università fu professore di Anatomia comparata. Scrisse molte ope- re, alcune delle quali vennero anche tradotte dagli stranieri. Fu, dicono i suoi biografi, dotto, umano, caritatevole, premuroso del pubblico bene, di specchia- tissima probità. Morì di dolore (ricorda il Freschi) per aver visto obbliato il suo nome nel riordinamento della patria università il 3 marzo 1818. Si citano fra — 176 — le opere più famose di Brugnone. La Mascalcia ossia Medicina Veterinaria, Torino 1774. Il Trattato delle razze de’ cavalli, Torino 1781. La Bometria ossia della conformazione esterna del corpo delle bestie bovine; delle loro bellezze e difetti, Torino 1807. Il trattato delle razze, venne tradotto in tedesco e francese. Co- noscitore profondo della medicina Veterinaria scrisse diverse dotte Monografie, come quella sulla Squinan- zia cangrenosa dei cavalli (1777); sulle cause di un’ epizoozia che si manifestò sui cavalli dei dragoni a Fossano (1784-85). Sull’ Epizoozia delle galline (1790). Sul morbo contagioso nelle bestie bovine (1795); sul vaiolo dei quadrupedi e degli uccelli, memoria im- portantissima di quaranta pagine, che termina accen- nando al vaiuolo del cane, per dichiarare che questo preteso vaiuolo era una vera scabbia, perciochè non occupava le cavità nasali, la bocca, l’ esofago; anzi per aver l’autore soggiunto, che quella specie di ro- gna, le cui pustole rassomigliano a quelle del vaiuo- lo, è di pessimo carattere, si sarebbe indotti a rite- nere, che avesse perfetta cognizione di quella derma- tosi cronica che si chiama rogna follicolare, perchè prodotta dal demodex folliculorum, quasi sempre in- guaribile. La Bometria vuol essere collocata fra le opere più famose di Brugnone perchè costituisce il primo trattato sull’ Esteriore delle bestie bovine; eppure fu quella che attirò maggiormente i biasimi di Giuseppe Luciano Veterinario, il quale stampò le osservazioni critiche ed istruttive intorno a vari errori sparsi ne’ libri, opu- scoletti e segnatamente nella Bometria. I posteri, giu- sti apprezzatori dei meriti dell’ uomo perseguitato men- tre visse, posero nella più assoluta dimenticanza la critica di Luciano, ed innalzarono. le opere di Bru- mp — 177 — gnone all’ altezza di quelle che sono dettate dal ge- nio dell’ uomo. CXIV. Studi in comune col Brugnone furono fatti dal Prof. Michele Vincenzo Maria Malacarne, nato in Sa- luzzo a’ dì 28 settembre 1744, che al medesimo di- resse varie lettere sull’ anatomia dei lumaconi. Il Ma- lacarne nella prima giovinezza si mostrò cultore ap- passionato della poesia; scrisse infatti un poemetto sull’ idrofobia, volgarizzò il poema delle stagioni di Thomson, compilò opere di storia senza tralasciare in nessun tempo lo studio della medicina e della chi- rurgia. Fu professore di questa in Acqui dal 1775 al 1783; nel 1791 venine nominatò professore nell’ U- niversità di Padova, e vi rimase sino alla sua morte avvenuta il 4 dicembre 1816. Egli è forse fra gl’ita- liani il primo e più benemerito cultore dell’ anatomia comparata per effetto della sua Encefolotomia nuova universale stampata in Torino nel 1780, opera che gli procurò il plauso di Haller, di Vicq=d’ Azyr, di Séem- mering, di Palletta. A noi corre obbligo di ricordare oltre ciò la sua esposizione anatomica delle parti relative all’ encefalo degli uccelli, pubblicata tiegli Atti della società italiana, e compiuta nel 1792 (1). E di aggiungere chè merita grande lode il suo trattato sul Carbonchio de’ buoi ecc. Bassano 1797, 12 (2), e l’altro De febre carbunculosa et de carbone bovillo, Pavia 1797. (4) In Modena 1811 completa. (2) Possediamo un esemplare di questo libro coti indirizzo autografo al sno fautore ed amico C. Camuti Archiatro di Parinà. 12 — 178 — Per omaggio a quest’ illustre scienziato ricorderem pure l’opera del figlio Gaetano, scritta nel 1816 e dedicata a D. Stefano Chiereghin, naturalista insigne, in prova di riconoscenza, avendo egli raccolto in sua casa l’autore afflitto da acerbo dolore per la morte del genitore a lui ed a tutti i buoni gravissima. Il li- bro di costui verte sulla Peste de buoi, la quale nel 1814 si cominciò ad osservare nella provincia del Pas- seriano, donde passò presto in quella del Brenta e nelle ‘ © vicine; il morbo provenne dai buoi ungheresi, che furon a preferenza degli altri colpiti e portati via da quell’ Epizoozia. CV... — Iemina Marco Antonio di Mondovì, medico, fu uomo di altissimi sensi, sprezzatore dell’impostura, ricco di erudizione. Compilò diverse opere mediche, ed al suo libro sulla Plewritide aggiunse una memoria che ha per titolo: De carbone, sive carbunculo bo- vitto. Nel principio di questo secolo Giov. Battista Ie- mina, figlio di Marco Antonio, medico egli pure, con- tinuò le osservazioni e le esperienze sul carbonchio bovino, di cui presentò una parte al pubblico nel primo volume del giornale di medicina pratica di Brera; e più estesamente nella sua bella memoria sul carbonchio bovino dell’ uomo. | CXVI. Gandolfi Giacomo di Bologna tenne per lungo tempo la cattedra di Veterinaria in quella Università. Nel 1793 pubblicò sotto forma di dialoghi un trattato intorno alla cura dei mali interni ed esterni del be- — 179 — stiame. Gaetano Gandolfi, figlio del precedente, sì di- stinse come medico ed anatomico di grande abilità, e dettò pure Veterinaria per molti anni nella patria Uni- versità. Gaetano fu altresì autore di parecchie mono- grafie tenute in molto pregio dai cultori della medi- cina comparata. Serbiamo il silenzio in ordine alle me- desime perchè appartengono al secolo decimonono. CXVII. Medico illustre, il dottore Michele Buniva, deve essere sopra tutti caro ai cultori della Veterinaria per quanto operò in vantaggio della scienza. Nacque in Pinerolo nel 1761 e morì nel 1834. Fu direttore della scuola Veterinaria di Torino nel tempo della domina- zione francese. Scrisse opere di medicina, d’igiene, d’ agricoltura e di Veterinaria. Per la Veterinaria inte- ressano specialmente le memorie lette alla R. Società Agraria di Torino, e infra l’ altre: « Memoria sopra l’ uso degli antimoniali nella cura della presentanea peste bovina ». « Memoria ‘intorno ai mezzi condannabili di cui taluno de’ nostri maniscalchi si serve per procurare l'aborto o promuovere il parto, a fine di guarire le vacche dal corrente morbo epizootico ». « Memoria sopra l’ uso dei rimedii astringenti nella cura del corrente morbo epizootico delle bovine ». Per la massima parte in questa memoria si tratta dell’ acido vitriolico. « Confutazione della dottrina de’ vermi pestilen- ziali ». In questa dissertazione discorre degli antel- mintici che possono (occorrendo. il bisogno) adope- rarsi pendente la cura di detto morbo. =" « Memoria sopra l’ uso de’ corroboranti nella cura di questo morbo epizootico ecc. ». « Alcune notizie istoriche intorno alle Epizoozie somiglianti alla presentanea avvenute in Piemonte ne- gli anni 1712, 1735 e 1743 ». « Esposizione delle principali difficoltà, che oppor- re si potrebbero al progetto di una quarantina a cui assoggettare tutte le bovine del Piemonte ». « Relazione degli editti é manifesti pubblicati nella Svizzera concernenti la malattia, che al presente si fa sentire eziandio in quelle regioni ». « Istruzione pratica intorno alla maniera di trattare la morva, ossia il ciamorro, coll’ aggiunta d’ altra istruzione per trattare le persone morsicate da cane arrabbiato ecc. ». « Memoria contro la corrente Epizoozia nelle bo- vine coll’ aggiunta della memoria del grande Alberto Haller sul contagio del bestiame. Torino (Guaita) 1797, 8 ed idem (Prato) 1798, 8. « Sur le croup, ou angine tracheale, a messieurs les Vétérinaires. Torino (1808). Circolare di sette pa- gine ». « Lettera circolare concernente 1’ apertura della Scuola e Collegio Subalpino ». « Ragionamento sull’ eccidio di ogni bovina so- spetta ed infetta, considerato come opportunissimo spediente per tosto troncare l’ Epizoozia tuttora domi- nante in Piemonte. Letto all’ Accademia Agraria nel mese di novembre 1798. Opuscolo di somma impor- tanza di 48 pagine stampato in Torino nell’ anno pre- detto ». ha Sc i DIR © ni pz . — 181 — CXVII. Patologia Notizie suì Medici Italiani che illustrarono la Storia delle Epizoozie nel secolo decimottavo. Lasciò scritto il celebre Paulet, che il secolo de- cimottavo fu il più osservabile èd interessante per la storia dei morbi epizootici (1); ed il nostro beneme- rito Gaetano Malacarne , riflettendo all’ importanza dei medesimi, fu condotto a lamentare la mancanza dello studio della medicina comparata, poichè solamente a uomini colti e scienziati sì poteva affidare il geloso af- fare delle Epizoozie; e in prova del riconosciuto bisogno citò 1’ esempio dei predecessori nostri, forniti di grande studio e dottrina per comprendere le malattie dei bruti, quali un Tulpio che trattò della vertigine delle pecore; Stahl dell’ asma dei cavalli; Riolano della bulimia dei cani; Sennerto della rogna dei medesimi e della’ plica dei cavalli; Willis dell’ idrope vescicolare delle pecore; Marco Aurelio Severino, Fracastoro, Camerario, Lan- cisi, Sauvages, Hebenstrait, Haller, Vicq-d-Azyr, Rosa, Vallisneri, Ferrein, Brugnone, Moscati, Buniva;, il (1) AI nome illustre di Paulet gl’ italiani devono avvicinare quello di Ignazio Lotti, nobile di Ceneda, protomedico per la provincia d'Istria, perché nel 1785 ci diede la traduzione delle ricerche storiche sopra le malattie epizootiche del medico francese. Mazzucchelli Carlo (medico e fi- losofo, pubblico lettore anatomico nella Regia Università di Pavia) No- tizie pratiche intorno all’ epidemia degli animali bovini insorta nell’ anno 1735. Milano 1736, 4. Moscati Dott. Pietro autore del compendio di co- gnizioni a comodo de’ medici e chirurgi di campagna nell’ occasione della maligna febbre epizootica di quest’ anno 41795. Milano, e dell’ istruzione d'un membro della Soc. Pat. di Milano intorno alla corrente epizoozia. Milano 1795. Riprodotta in Cesena nel medesimo anno. — 182 — padre suo Vincenzo Malacarne, Pozzi, Penada e molti altri che formano la lunga serie dei benemeriti che procurarono tanto benefizio alla Veterinaria. Di que- ti appunto andiamo a parlare restringendoci però ai nostri, e di molti registrando solamente il titolo del- l’ opera o monografia, non avendo potuto trovare copia delle medesime per quanto fossero estese le nostre ri- cerche. L’ ordine col quale intendiamo presentarle viene di necessità a costituire un elenco bibliografico dei vari scrittori, e ad avere principio coll’ anno 1711 per ter- minare col mille e settecento novant’ otto. Non ri- chiameremo nella nostra serie i nomi di Borromeo, di Toggia, di Brugnone, Vallisneri, di Rinaldini ecc. già registrati, ed incominceremo da: Castelli Lodovico fisico e medico della città di Ci- vidale del Friuli, il quale nel 1712 stampò una memo- ria intitolata : « Meditatio-phisico-medica ad usum Ill. Civitat. Fori Iulii grassante in ejus finibus boum epide- mia. Venetiis 1712 ». Biumi Dott. Pietro Girolamo, medico milanese, set- tore di anatomia in quel grandioso spedale, pubblicò nel 1712 in Milano una relazione sulla naturalezza del contagio bovino. Ramazzini Bernardino, professore nell’ Università di Padova, nel giorno nove: novembre 1711 leggeva nel famoso Ateneo la immortale dissertazione: « De contagiosa epidemia, que in Patavino Agro et tota fere Veneta ditione in Boves irrepsit ». Venne stampata dal Conzatti nel 1712. L’ autore la dedicava con lettera del dodici dicembre 1711 al Serenissimo Doge della Re- pubblica veneta, Giovanni Corner. I sentimenti e- spressi in questa scrittura sono degni del grand’ uomo, il quale sentiva l’importanza della conservazione del bestiame bovino, ed intendeva i benefizii dell’ agricol- — 183 — tura dai primi romani sollennizzati col tracciare col- l’aratro il perimetro dell’immortale città, a cui i ne- poti rimasero fedeli, poichè zelantissimi dell’ agricol- tura, e soliti, dopo i trionfi sui nemici debellati e le fatiche del foro, a ritornare alla coltura de’ campi, ubdî eadem diligentia arva disponebant, qua castra, gau- dente terra laureato vomere ac triumphali aratore. La Dissertazione della contagiosa epidemia, la quale allargossi ne’ buoi del territorio di Padova e quasi in tutto il dominio veneto, di Bernardino Ramazzini, venne fatta volgare da don Bartolommeo Badiali, sa- cerdote modenese, colla giunta di varii rimedii dei più celebri autori, e dedicata al nobil uomo signor conte Bargellini senatore di Bologna. Bologna 1748, 8. Nelle aggiunte del Badiali sono indicati i rimedii proposti dal dottore Dionigi Castelli, quelli del signor Dott. Francesco Antonio Campagnoli, praticati negli anni 1711, 1712, 1713, 1714 colle bestie bovine ma- late di vaiuolo, ed infine i rimedii consigliati dal reverendissimo padre D. Antonio Maria Borromeo Tea - tino, lodati da Monsignor Lancisi. Lancisi Giovanni Maria, De bovilla peste, ex Cam- panie finibus anno 17413 Latio importata ecc. cui ac- cedit consilium de Equorum Epidemia, que Roma gras- sata est anno ATI2. Roma 1715, 4. Incomincia la celebre monografia col ricordare l’ e- sordire della peste de’ buoi nell’anno 1711, riportan- dosi per questo alla testimonianza di Ramazzini, del Padre Borromeo, di P. A. Michelotti ed altri. Unisce alla medesima la dissertazione epistolare inviata al Bor- romeo nell’anno 1711, conversa in latino, e riporta ancora il carme di Severo Santo (Endelecchio rèttore) sulla peste de’ buoi, avvenuta nel quarto secolo dell’ era nostra. — 184 — Anche la relazione di Monsignore Giov. Maria Lan- cisi venne, tradotta in lingua italiana e compendiata dal Bibliotecario di Cremona Giuseppe Vairani, senza indicazione d’ anno, ma nel 1795 per ciò che. scrive nell’ aggiunta, ricordando la lettera del Dott. Pietro Dehò, medico condotto in Sant’ Angelo: Della ma- lattia attuale regnante nei bovi e sulla scelta del me- todo curativo. Cremona 1795, e le istruzioni di un membro della società Patriotica di Milano intorno alla corrente Epizoozia, stampata pure nel 1795 in Milano. . Il Vairani nell’ appendice, a compimento e conferma delle istruzioni contenute nella. Dissertazione di Monsi- gnore Lancisi, aggiunge un estratto del pregievole li- bro di Carlo Mazzucchelli stampato in Milano nol 1736 col. titolo: Notizie pratiche intorno all’ Epidemia. de- gli animali bovini insorta nell’ anno 1735. Michelotti medico d’ Arco, scrisse: Congetture so- pra. la natura... dell’ infermità; regnante negli animali. bovini. Venezia 1711. Mazini, medico di Brescia: Lettera al Sig. Antonio Vallisneri intorno alla corrente. epidemia contagiosa de’ buoi del bresciano. Venezia 1712. ‘ Orlandi, Istoria. dell’ epidemia de’ buoi accaduta l’anno 1711, Venezia e Padova, 1714. Nigrisoli Dott. Francesco, medico ferrarese : Parere intorno alla, corrente epidemia bovina. Ferrara 1712. L’epizoozia infierì per tre. anni successivi come per molte relazioni si conosce; e la memoria del Ni- grisoli, che la descrive, fu tenuta in gran conto dai contemporanei, e tradotta. anche in lingua tedesca.. | Morandi, medico del Finale di Modena, scrisse sul tifo bovino nel 1711, e propose.la cura mercuriale, i, cui buoni risultamenti furono poscia. negati dal Lan- zoni. Constitutio Epidemica Ferrariensis 1729. — 185 — Gazzola, medico veronese!, lodato dal dottore Mat- teo Barbieri nella Memoria sopra il male epidemico de’ buoi dell’ anno 1796, scrisse sull’ origine, preserva- tivo e rimedio del corrente contagio del bue ecc. Ve- rona 1712. Bottani disse importantissima la memoria del Gazzola. Fantasti, medico veronese, lodato parimenti dal Barbieri, scrisse: De febre contagiosa, que in Veronense agro et tota fere Veneta ditione boves solum et juvencas exercuit et etercet. Venezia 1712. Gallarati (Agostino Lomeno) Lettore nell’ Univer- sità di Pavia stampò sull’ /dra della bovina infezione esaminata ecc. Pavia 1714. Cogrossi Giov. Francesco, medico di Crema: « Nuova idea del male contagioso de’ buoi, al Sig. Antonio Vallisneri » e da questo con nuove osservazioni e ri- flessioni confermata. Milano 1714. Si cita incertamente un Vidussi G. Maria, autore di una dissertazione astrofisica dei buoi. Venezia 1715. CXIX. Procedendo in ordine cronologico possiamo con molto onore ricordare il Dott. Giovanni Bianchi, lo- datissimo dal Bonsi, il quale pubblicò la relazione dell’ epidemia de’ buoi. che fu 1’ anno 17788 nel contado d’ Arimino, e come per le diligenze fatte in poco d’ ora restò spenta. Si può leggere nel tomo 28 nosh Opu- scoli scientifici. del P. Ab. Calogerà. Bianchi Giovanni, nobile riminese, fu socio delle principali Accademie d’ Europa pe’ suoi distinti talenti e. per le opere da lui pubblicate. Di Pascoli Dott. Alessandro, perugino, professore di medicina, autore di opere varie di anatomia, fisica, — 186 — matematica ecc. si ricordano i Vari pareri ed istru- zioni mediche distesi per comando della Sacra Con- sulta în occasione dell’ influenza bovina accaduta nel- l’anno corrente 1736 nello stato ecclesiastico, e pre- cisamente nei contorni di Roma. Il Pascoli dopo aver notomizzati buoi infetti, morti nei contorni di Fér- mo, chiama la malattia una febre maligna avente tutti quei pessimi caratteri che la qualificano pestilente; ma nel complesso, il famoso protomedico, si mostra assai più pregiudicato de’ suoi antecessori Borromeo e Lancisi che cita ad ogni momento, e tanto da credere che quella pestilenza fosse prodotta da minutissimi in- setti che dagli occhi penetravano nell’ interiore della testa, e come se ciò fosse poco, aggiugne: L’ isto- riella del Bupreste motivato per cagione della strage dei buoi, accaduta nello stato ecclesiastico l’anno 1712, di cui monsignor Lancisi fa menzione nell’ esattissimo trat- tato de bovilla peste, che pubblicò VP anno 1715, tutto che da lui riprovata, sembrami ad ogni maniera molto meno ideale e chimerica. Intorno alla preservazione de’ Buoi dalla pestilenza possediamo l’ Avvisamento di Benedetto Galliccio, me- dico e filosofo vicentino. In Vicenza senza data d’anno, ma probabilmente del 1738, come pensò Trino Bot- tani. Il dottore Giulio Cicognini pubblicò altra scrittura in cui discorre Dell’ epidemia bovina, ne fa la storia, dà parere e propone rimedii. Brescia 1747. Borghesi Antonio: Riflessioni pratiche sopra l’ epi- demia bovina. Bologna 1748, 8. Il medico Iacopo Panzani trattò in modo gene- rale l’ argomento delle Epizoozie e nel 1774 pubblicò una memoria sulle malattie epizootiche del bestiame. — 187 — CXX. Le ricerche da noi continuate per conoscere i me- dici italiani, che zelanti del comun bene fecero pro- gredire la storia delle epizoozie, ci istruirono di un elaborato lavoro del Veterinario Sig. Antonio Fantini, allievo della scuola di Padova, ossia di Giuseppe Orus, col quale ebbe l’incarico di portarsi nei territorii Dal- mati, appartenenti a quella Repubblica, per debellarvi una fiera Epizoozia apparsa sul bestiame; la scrittura del Fantini porta per titolo: « Memoria epistolare s0- pra.l’ epizoozia bovina scopertasi ultimamente in al- cuni luoghi della Dalmazia ». Modena 1776, 8. Un Agnini Bernardo, medico condotto in Fivizzano, dettò la storia di una malattia del bestiame bovino contagiosa agli uomini. Si legge nel tomo VI della Raccolta degli Opuscoli medico-pratici, Firenze 1783. Nel tomo settimo della raccolta medesima si trova una lettera, del dottore Domenico Battini, sopra quelle ma- lattie del bestiame bovino che comunicano agli uo- mini una malattia carbuncolare. Questa lettera dà ra- gione delle cose osservate dal dottore Agnini. Fantini Giuseppe, dotto ‘medico, stampò un Di- scorso sull’ epidemia contagiosa de’ buoi sorta nel Pi- ceno l’anno 1787 (Iesi). Zenone Bongiovanni, medico di Verona, compilò un trattato storico-critico intorno al male epidemico contagioso de’ buoi dell’anno 1784 stampato in Ve- rona e Venezia 1784 e 1785. L’ Epizoozia descritta da questo’ laborioso medico ebbe origine, come tutte le precedenti, dai buoi d’ ol- tremare; principiò in Caverzere, si estese nel pado- vano, nel feltrino e veronese, e fu cagione di danni immensi all’ agricoltura. = 188 — Alla memoria del dottore Zenone Bongiovanni sì sì trova unita la seguente del protomedico Dott. Ni- cola Buongiovanni pubblicata per ordine dei signori provveditori alla Sanità di Verona nel 1784. Ragguaglio intorno al corrente male bovino. L' Epizoozia è quella medesima che venne descritta dal figlio Zenone. Un dottore Luigi Petrini, medico della città di Lo- reto, ci fornì una memoria sull’ Epizoozia bovina del 1786 stampata in Loreto. Possediamo un discorso di Epizoozia, ossia della malattia contagiosa de’ bovini, stampato in Milano nel 1795, senza nome d’autore, ma che si conosce ap- partenere al dotto medico di Milano Michele Gherar- dini, come dichiarò il celebre prof. Dott. Pietro Mo- scati, nel suo Compendio di cognizioni Veterinarie, stam- pato nel 1795. Bonvicino Costanzo Benedetto, medico torinese, comunicò pure i suoi pensieri sulla. cura della Epi- zoozia, che regnava in piemonte nel 1795; è un opu- coletto di otto pagine. Il dottore Gianverardo Zeviani, medico di Verona, pubblicò nel 1795 una memoria sopra i vermi pesti- lenziali dei buoi. Dal solo titolo apparisce quali fos- sero le opinioni dell’ autore (1). Per la provincia di Parma e Piacenza, quale testi- monio di patite sventure, meritano di essere citate le Riflessioni pratiche sull’ epidemia dei bovini del chi- rurgo Girolamo Zanoncelli al dottore Pietro Dehò, (1) Trino Bottani ricorda le notizie veterinarie sulla febre pestilen- ziale, morbo pestilenziale o pestilenza bovina, del dottore Ignazio Lotti protomedico di Venezia, pubblicate nel 1795. Bianchini Fortunato. Osservazioni intorno alla medicina Veterinaria del Friuli. Nelle memorie della Società d’Agricoltura. d’ Udine. V. 1. p. 197. i dla Le — 189 — Milano 1796. Il Zanoncelli in questa lettera ricorda l'operato proprio ne’ luoghi dove venne inviato dal Dehò per curare l Epizoozia; quei luoghi, apparte- nenti tutti alla provincia di Piacenza e di Parma, fu- rono Alseno, Borgo San Donnino ecc. ove maggior- mente infierì la malattia. Il Zanoncelli si mostra in tutta la lettera fanatico Brunoniano, entusiasta ammiratore di Dehò, arrab- biato contro i dettrattori di quel suo protettore, per cul scese sino alle contumelie per avvilirli, chia- mando augusto rampollo della Somara di Balaam Giovanni Matteo Sommariva, bravaccio ex gesuita Vai- rani, autore di morti il Veterinario Volpi ecc. Zanoncelli curò gli ammalati di tifo coi più noti rimedii eccitanti, fedele agli ammaestramenti del suo Dehò. — Il dottore Iacopo Penada di Padova, dove era nato nei 1748, fu un dotto medico e sopra molti altri lo- dato dagli stranieri; stampò nella sua città natale nel 1796 un Ragionamento medico-meteorologico intorno al- l’ epizootica malattia, occorsa nella specie bovina nel- V autunno dell’anno 1795. Pietro Panazzi, medico condotto in Ancona, ebbe l’ opportunità di osservare l’ Epizoozia insorta in quel- la provincia nel giugno 1786, dove venne portata da buoi Dalmatini, Bosniaci ed Ungheri, e nel 1796, re- gnando più fiera la malattia nella provincia di Ferrara, potè stabilire un confronto fra il morbo delle due e- poche e pubblicare una sua memoria preparata sino dal 1786, che venne alla luce in Ferrara nel 1797. Di molte notizie è ricca la scrittura del Panazzi, che per l indole dell’ opera nostra non possiamo riferire, solamente diremo che l’affezione osservata da quel dotto medico era affatto identica a quella che immi- — 190 — serì l’Italia nel 1714, ed all'altra che devastò l Eu- ropa, incominciata nel 1740 e terminata nel 1750; ri- corderemo per ultimo che sul lavoro del Panazzi fu espresso un voto fisico-Veterinario, che tributa gran- dissima lode all’ Autore, voto contenuto in dieci pa- gine, e a sua gloria sottoscritto dal professore di Ve- terinaria Luigi Leroy e Luigi Rotella medico alla Sa- nità. A Moriondo Dott. Giuseppe Francesco, piemontese, non solamente tradusse le ricerche del signor F. H. Gilbert sopra le cause delle malattie carbonose degli animali e loro caratteri, ma alle medesime, nel vol- garizzamento da lui pubblicato, fece precedere un di- scorso di trentatre pagine sopra la cura dell’ Epizo- ozia dominante in Piemonte nel 1796. Fantoni Spirito Maria pubblicò intorno alla pre- detta Epizoozia un Ragionamento, che venne in luce in Ivrea nel 1796, e così pure Pier Francesco Finazzi mise fuori la Storia e cura della febre gastrico-putrida contagiosa delle bovine di Morano. Vercellì 1796. Al- tte considerazioni sopra la presente Epizoozia furono pubblicate in Torino nel 1797 da Giulio Dott. Carlo. Allione Francesco medico e Toselli Giuseppe Ant. chirurgo Saggio teorico-pratico sopra la Epizoozia gras- sante în Piemonte l’anno 1796, 8, Torino di p. 64. Pagani Agostino ci lasciò la Storia dell’ Epizoozia dell’anno 1797 che vide la luce in Udine nel predetto anno. Fece altrettanto G. B. Zambelli, insegnando il metodo per la cura del morbo epizootico regnante. Udine 1797. CXXI. E qui non possiam tacere di una rara scrittura, a RE O È TT nn n e n I co nEE,:*©E-E-IIIÈÉIÉI — 191 — di cui si ritiene autore il celebre Brera, relativa al- > l’Epizoozia comparsa sui gatti nel 1798; pubblicata colle stampe in quel medesimo anno in Pavia. Porta per titolo: « Memoria sull’ attuale epidemia dei gatti, diretta dal consiglio di Sanità della Prima Legione Se- dentaria Pavese alla amministrazione centrale del di- partimento del Ticino ». Il quadro sintomatico presentato dai gatti amma- lati autorizza a ritenere quella Epizoozia d’indole ti- foidea. Noi pure nel tifo addominale dei gatti abbiamo sempre constatato 1’ emissione dalla bocca di una ma- teria bianco-verdastra, la quale, insieme ai fenomeni di grande prostrazione e di abolita sensibilità, è carat- teristica del male predetto. Domina anche presente- mente nel Belgio una fiera malattia nei gatti, che ne porta a morte un numero grandissimo. Il dottore Tommaso Alberti di Brescia, pubblicò nel 1799 un’Istruzione sulla polmonea bovina, regi- strata dal dottor Trino Bottani. CXXII. Come tacere di Eusebio Valli, di questo incompa- rabile medico luchese che fece maravigliare il mondo col suo ingegno e col suo coraggio, addimostrato per- sino col succhiare le ferite avvelenate dalla saliva del cane arrabbiato, e salvare gli sventurati che le por- tavano sul loro corpo? Ebbene quest’ eroe dell’ uma- nità quando percorse l’ Oriente, coll’ intendimento di trovare il rimedio per la peste, non trascurò i malori dei bestiami; di lui conosciamo un rapporto al Prin- cipe Ipsilanti, dato da Bucharest in data nove aprile 1804, in cui parla della malattia nominata Dalack e Krician; ed una seconda relazione da Iassy al Prin- — 192 — cipe Maurossi, sulla malattia dei bovini di Moldavia (1. Maggio 1804). CKXIII. I’ obbligo che abbiamo assunto speriamo possa essere ben compiuto: colle parole che seguono sul conto dell’ illustre Francesco Bonsi; e la lunga serie dei nomi che potemmo registrare crediamo sarà giu- stificata abbastanza dalla novità dei documenti. Non così la penseranno -forse i nostri giudici, abituati alla vera magnificenza della storia, e ad udire il rac- conto di magnanime imprese e di fatti eroici, non le povere gesta dei cultori della medicina dei bruti, spesso confusi coi più miseri. fra gli uomini. La Veterinaria altri diranno non fu grande giam- mai in Italia, non quando venne dettata dal valo- roso Giordano Ruffo, nobilitata dal coltissimo Dino, insegnata con lungo esercizio dal nostro autore detto Rusio o Rosso, che fu inventore di pratiche nuove di medicare, a cui spetta fra l'altre quella della teno- tomia o delle sezioni muscolari o tendinose, come insegna nel capitolo 173 della sua opera. Noi ripe- teremo dunque ancora, che la Veterinaria fu grande in Italia nel medio evo per la dignità dei suoi cul- tori, e per la fede incrollabile nei principi che si in- segnavano; oggi è cresciuta la somma delle cogni- zioni, diminuita la fede e la dignità ne’ suoi seguaci. Filippo Re pensò inutile il parlare delle opere di un uomo che fra i benemeriti in Italia della Zoojatria, secondo alcuni merita il primo luogo, e per conto pro- prio dichiarò che un amatore dell’ ippiatrica non può far senza Vl importante collezione di tutti gli scritti del signor Bonsi. Ma delle molte opere del Bonsi non pren- silenti iti to A dint rei — 193 — ; deremo a trattare, perchè già furono oggetto di en- comio per tutti gl’ intelligenti della materia; d’ altra parte, dopo la pubblicazione della funebre orazione in lode dell’ insigne letterato Francesco Bonsì di Rimino, professore di Veterinaria nell’ Accademia della sua pa- tria, composta da D. Paolo Valentini, nulla si potrebbe aggiugnere di essenziale importanza. ° Bonsi fu sempre considerato riminese benchè nato in Lugo il 23 Maggio 1722, trovandovisi il padre suo governatore per la S. Sede, che veramente era nativo di Rimini, ed ivi crebbe e si educò. Dalle cose espo- ste nel Giornale de’ letterati, pubblicato in Firenze nel- l’anno 1752, Tom. VI, risulta che Francesco Bonsi era oriundo della nobilissima famiglia Bonsi di Firenze; tale lo dichiarò pare Giammaria Mazzucchelli nell’ o- pera degli Scrittori d’Italia. Morì il Conte Francesco Bonsi nel 1803 in Rimini. L’ Italia deve specialmente gloriarsi di aver avuto Francesco Bonsi pubblico insegnante, e per iniziativa” propria, la Veterinaria; egli diede opera a questa su- blime fatica tanto in Rimini quanto in Napoli, lo di- chiarò egli stesso nettamente nella prefazione al suo Dizionario di Veterinaria (rimasto sventuratamente in- compiuto) scrivendo: « Una lunga sperienza mi ha » pur troppo ad evidenza dimostrato quanto sia grande » la difficoltà di ridurre le persone, che vogliono eser- » citare la medicina degli animali, ad istudiarla di » proposito con buon metodo sui veri suoi fondamen- » tali principii. Non mi sono io forse dato la pena di » volerne istruire non pochi, che annoiatisi di questa » occupazione mi hanno abbandonato ben presto? » Renderò per altro sempre giustizia ai due civilis- » simi fratelli Mariano e Nicola, figli del valente mae- » stro Giosuè Zampano, uno dei più esperti Maniscal- 13 — 194 — » chi di Napoli, i quali con non interrotta assiduità » e profitto intervenivano alle private mie lezioni in » quella deliziosa capitale, ove li lasciai già matrico- » lati maestri (1) ». Frutto speciale di quell’ insegnamento si ricordano le Istruzioni ippofisiologiche, ossia notizia delle parti componenti il corpo del cavallo e dei loro rispettivi uffici, spiegate ad alcuni giovani Maniscalchi in casa dell’ eccellentissimo signor Principe di Francavilla. Magg. in questo corrente anno 1780. Napoli 8. A grandissimo onore del Bonsi si ricorda ancora, che il territorio riminese venne due volte per suo mezzo preservato dall’ Epizoozia che incrudeliva nei paesi vicini; la prima si fu nel 1786, fatalissima agli animali bovini della Marca d’ Ancona e dell’ Agro pe- sarese, chè, attesi i provvedimenti da lui consigliati non potè penetrare nell’ Agro riminese ; la seconda ri- guarda il 1796, in cui fu generale nelle Romagne, ma non potè francare i confini della provincia a lui affidata, essendo Ispettore generale di Sanità. Se il C. Francesco Bonsi per quanto fece in van- taggio della Veterinaria non ebbe dagli italiani le ri- compense e le lodi che toccarono a Claudio Bourge- lat, non fu nemmeno dimenticato interamente. Lastri diaso il Bonsi fortissimo di cognizioni riguardanti l’ ippiatria, come ‘dimostrano tutte le sue opere in questo genere; l’avvocato Ristori gli diede il nome di Bourgelat italiano: che se il francese ottenne le lodi dell’immortale Barone di Haller e dell’ illustre Wan- (1) I due Zampano, per dimostrare pubblicamente il dolore della par- tenza del Bonsi da Napoli, fecero imprimere varie composizioni poetiche con lusinghiere annotazioni in pie’ di pagina. Delle opere del Bonsi scritte con altro nome farem parola nelle ag- giunte. — 195 — swieten, suoi contemporanei, i quali non pregiudicati da quella bassa invidia, che alcuni adoperarono verso il Bonsi, vollero encomiare i suoi lavori e magnifi- care l’ opera del fondatore della prima scuola Veteri- naria, non vuol tacersi che lo stesso Haller fece ono- revole menzione del Veterinario di Rimini nel ca- talogo dei più distinti anatomici; e che Mazzucchelli lo qualificò scrittore erudito... fornito di tutte le ne- cessarie cognizioni di anatomia, medicina, botanica e chimica; nè meno il lodò il Lombardi nella sua Sto- ria della letteratura italiana. Fortunati i venturi zoojatri italiani se imiteranno il Conte Francesco Bonsi, e se avranno lodatori di merito pari a coloro che ricordarono il nome e le opere del cittadino di Rimini. Avventurati tutti insieme, se saranno apprezzati ì lavori compiuti dai Veterinari in vantaggio della società, e conseguiranno il premio dato nel 1821 da Massimiliano Giuseppe di Baviera al pro- fessore Will, che volle onorato con un monu- mento, degno dei servigi prestati, il primo Veterinario scientifico della Baviera; e più ancora se verranno a loro assicurate quelle ricompense che facilmente son concedute a chi fatica meno di noi, imitando in ciò l’In- ghilterra, la quale seppe riconoscere i meriti del suo celebre Moorcroft, come Veterinario direttore delle razze della compagnia dell’ India, e come autore della migliore relazione che si conosca sulle regioni alpestri di quel grande paese, culla del genere umano e delle scienze e delle arti più utili, non meno che della Ve- - terinaria. — 196 — CXXIV. Documenti ed aggiunte per la storia della Veterinaria. I Iavori storici attenenti alle scienze non ponno dirsi utili se non servono a tracciare il cammino da esse percorso, partendo dalle origini più antiche e venendo alle epoche di loro maggior importanza e splendore, a quelle cioè in cui ne fu assicurata l’ e- sistenza e ne emersero le utili verità, fondamento dei principali dommi. Colla guida di tali principii già riconoscemmo, che nella nostra Italia la Veterinaria fu per alcuni secoli un complesso di pratiche empiri- che, ma che fra noi più presto che altrove abbandonò le norme fallaci ed i grossolani errori, addimostran- dosi efficace per utili applicazioni rivolte alla cura de’ malori dei bruti, ed assumendo la veste luminosa della scienza sin da quando la nostra nazione faticava per distruggere l'ignoranza dell’ evo medio. Mosè da Pa- lermo colla traslazione della ippiatrica degli arabi o dell’ India, Dino Dini col suo Vegezio riformato, chiosato e vulgarizzato, Giordano Ruffo, Piero de’ Cre- scenzi e Lorenzo Rusio ci provarono che la medi- cina degli animali era nel decimo terzo e quarto se- colo vigorosa nella patria nostra. All’ ultimo limitando le nostre comparazioni inviteremo i cultori della scienza a riflettere sulla divisione razionale delle malattie da lui stabilita, la quale rivela cognizione precisa dei fatti morbosi. Sulle massime mediche in generale professate dal nostro autore, possiamo colla sua scorta affermare, che le ossa delle bestie cavalline in qualsiasi modo fratturate sono suscettive di consolidamento come quelle . ice A di ati red — 197 — delle altre specie, e ciò Rusio insegnava quando era ritenuto impossibile, per cagione di un grossolano errore (la mancanza del tessuto midollare), che da alcuni pur oggidì ostinatamente si mantiene. Indicò le alterazioni del piede che possono rendere neces- saria la dissolatura, ed ammaestrò sul metodo ope- rativo più conveniente per eseguirla. Riconobbe ne- cessario purgare col verde i cavalli in primavera, e consigliò di amministrare a tale scopo la farragine, come costumavasi in Roma e nelle terre vicine. Non sappiamo dire se prima di Rusio si fosse proposta l’ap- plicazione delle mignatte sulle gambe del cavallo tu- mefatte per risipola flemmonosa, o se prima di lui si avesse constatato il fatto della metastasi o dell’ assorbi- mento delle marcie nei cavalli affetti da fistola al gar- rese o guidaleschi ed insieme avvertito il pericolo che per essa ne derivava agli ammalati, dichiarando nel capitolo 78, tame, se fà multa sania, ene da temere la sania non torne ale membra da iniru e lu cavallu non pera, (tamen, si multa sit putredo, ti- mendum est ne sanies ad interiora vertatur et sic equus pereat). Niuno vorrebbe chiamare empirico quel chirurgo che arrivò nel XIV. secolo ad insegnare che le ferite suppuranti più presto sono sanabili. Et nota quod omne vulnus, si putrefiat, signum est quod sanabitur ). Lorenzo Rusio attribuì sempre alle sostanze medi- camentose la loro vera azione, e questo in un’ epoca in cui la terapeutica, difettosa pur tanto anche ai tempi nostri, sembrava suggerita esclusivamente dal caso. Sortì il maniscalco d’Orvieto dai confini del vulgare empirismo quando diede il nome di callide, sull’ e- sempio dei medici dell’uomo, ad alcune specie farmaceu- tiche, consigliò polveri corrosive, riconoscendo veramente — 198 — il modo di operare di quelle sostanze. Quando venne a raccomandare l’uso delle suffumigazioni emollienti generali al corpo del cavallo in preda al morbo infu- stito (si reputi questo poi polmonare o pleuritico) al fine di eccitare il sudore, rese manifesto che da lui ben si comprendevano gli effetti della cagioni ledenti, ed i mezzi migliori con che prevenirli e correggerli. Riconobbe pel cavallo la possibilità di lacerarsi ne- gl’intestini quando si ammala di colica, se non si impedisce di lasciarlo cadere. I precetti che ci lasciò il Rusio sull’arte di ferrare i giumenti, rivelano in lui cognizioni precise sulla forma normale del piede del cavallo e sulle circo- stanze che valgono a cambiarla o ad alterarla. Molto prima in questo compendio storico si ebbe a ricordare l’ osservazione del Rusio sulla trasmissibi- lità del farcino de’ cavalli all'uomo; ora a comple- mento del fatto possiamo aggiugnere avere insegnato nel cap. 146 un rimedio ritenuto giovevole contro il farcino vuoi dell’uomo vuoi del cavallo, perchè ma- lattia contagiosa (contagiosus enim morbus est... Con- tra farcinam in equo vel homine). Che per le premesse cose un particolare merito si debba assegnare al Rusio nessuno vorrà negarlo, ma con questo non intendesi sostenere ch’egli non pa- gasse i suoi tributi al tempo o che fosse affatto scevro da pregiudizi, de’ quali è traccia nella sua opera, se bene poche volte vi cedesse. Sulla convenienza dell’ap- plicazione del fuoco ammise un principio, che è pur vivo presentemente e che l’esperienza non vale a con- fermare, che cioè, lu remeiu delu focu conserva lu cavallu in quellu statu che lu trova, unne... non gle dare remeiu de focu finchè lu dulure cesse: proclamò però una massima molto utile quando aggiunse che il fuoco dovevasi usare come ultimo rimedio. fici - ri e i — 199 — Rusio introdusse razionali modificazioni al metodo per la castrazione usato negliantichi tempi, consigliato particolarmente da Columella; e dimostrò anche in tale maniera d’essersi prima d’ altri svincolato dalle astoie dell’ empirismo. Particolare importanza deve pure concedersi all’ o0- pera di lui in riguardo alla terminologia veterina- ria, al quale oggetto basterà dire che il dotto pro- fessore Heusinger cita quasi ad ogni pagina il nostro Rusio insieme con G. Ruffo. Che Lorenzio Rusio alla Mascalcia desse opera prima del cadere del XIII. secolo si può ritenere per ciò ch’ei ricorda rispetto alla febbre epizootica da lui os- servata e curata sui cavalli di Roma nel 1300, o mille e 301; febbre che per sua dichiarazione ebbe a me- dicare con diversi farmachi, riusciti la maggior parte inefficaci, per cui dovè lamentare la perdita di ben cinquanta cavalli mietuti dal morbo. Per l’esperienza da lui acquistata sopra quella malattia venne da ul- timo a raccomandare i medicamenti alcoolici ed il vino mescolati con un terzo di acqua da amministrarsi come bevanda agli ammalati. Col soccorso dei testi del Rusio, che variano nelle edizioni latine di Parigi, nelle versioni francesi ed italiane, mal si determinerebbe la natura di quella febbre; ma a questo bisogno soccorre l’ edizione di Spira. In questa la malattia è riferita all'anno 301 co- me nel volgare siciliano, ma nel testo spirense si trova che alcuni chiamavano quel morbo col semplice nome di Febbre ed altri di Squinanzia. Coll’appoggio di tale o giunta o dichiarazione possiamo giudicare quel morbo dei cavalli per un angina cangrenosa, forma morbosa piuttosto frequente negli antichi e nei moderni tempi sulle bestie dell’agro romano, delle Calabrie e della Puglia. — 200 — L'affermazione del Rusio di aver medicato molti di quegli ammalati di febbre ci rende più sicuri del tempo nel quale visse, e che per noi si doveva far conoscere per umiliare il plagiario Bonifacio; un’e- pidemia nei cavalli nel 1301 non poteva essere curata che da un uomo valente e provetto nell’ arte, che molto ragionevolmente poteva aver compilata la sua opera prima dell’anno 1295 in cui ne fece la dedica al Cardinale Napoleone Orsini. CXXV. Non possiam ricordare l'edizione di Spira (1486 circa) senza manifestare un timore originato in noi per l’e- sistenza di sì bello e raro libro. Forse si potrebbe dire che non era necessaria la nuova publicazione del te- sto latino. Non fu tale l’avviso nostro, perchè ci si affacciò imperiosa la necessità di assicurare e chiarire le parole di un dialetto antico; perchè la rarità del testo spirense lo rende pressochè irreperibile, perchè la grafia antica mal si presta alla generalità dei let- tori, perchè in esso si incontrano alcune lacune, e stampa così scorretta da rendere incomprensibili molte parole: chi potrebbe infatti trovare il significato delle voci mirte, psidie, galline forte gallitrici ecc., se non sostituendovi le vere myrrhae, persigiae, gallange, ga- riofillorum ecc. ?- CXXVI. L'interesse della storia ci conduce a fare altre brevi considerazioni sui. pregi delle opere antiche e mo- derne di Veterinaria, che però limitiamo alle più ne- cessarie ai fini tante volte indicati. Non possiamo té titti — 201 — anzi, prima d’altro, omettere un’osservazione che si riferisce ai libri antichi delle Mascalcie (1), in cui le singolari dottrine sui segnali della bellezza e bontà dei cavalli vestono la forma del prodigioso e della leggenda, senz’affermare che quelle massime sono vive anche presentemente fra le popolazioni arabe più in- telligenti ed accurate per l’ allevamento del cavallo. Una tale assicurazione siamo arrivati ad ottenerla leggendo il bel libro di Carlo Guarmani, tradotto dal francese dal dottore Ansaldo Feletti di Bologna e stam- pato in questa città nell’anno 1864. Esso porta il se- guente litolo: El Kamsa, il cavallo arabo puro sangue. La seconda edizione della ricordata opera è stata eseguita nel 1866 in Gerusalemme dalla Tipografia dei PP. Francescani; vi si legge indicato nel frontispizio: Studio di venti anni in Siria, Palestina, Egitto, nei de- serti dell'Arabia e nel Neged. In questa seconda edizione trovasi aggiunto: » Il Neged settentrionale. Itinerario da Gerusalem- » me o Aneizeh nel Cassim. Gerusalemme 1866. » Nell’appendice alla prima opera si riconoscono me- ritevoli di considerazioni i seguenti libri: a) Libro dei buoni e cattivi segni che hanno i ca- valli, e loro significazione di buono o di cattivo au- gurio. Scritto da Riscalla el Curi (Riskalla el Kouri) di Gaza, sotto la dettatura dello Scek Eissa el Ukedi (Cheik Eissa el Oukedi). b) Manoscritto della Famiglia Giascian (Djahschan) Trattato della scienza dei cavalli Arabi, con la cono- scenza della nobiltà del cavallo, segni e distintivi buoni e cattivi, cominciando dai buoni. c) Manoscritto di Akmet-aga el Mascealghi, Diret- (1) Vedi Tratt. di Mascalcia attribuiti ad Ippocrate ecc. pag. 47-58. — 202 — tore delle scuderie di S. E. Abdalla Pascià, Governa- tore di Acri (18.... 1831)... dalla perfezione delle forme si riconosce la purezza del sangue e la nobiltà della razza del cavallo, E ciò basti in ordine alle massime degli Arabi mo- derni per far comprendere che confermano quelle de- gli antichi. CXXVII. Ci troviamo in obbligo di citare una seconda volta De Lafon Pouloti, autore del libro « Nouveau Régime pour les haras » (Turin 1787-8°), non tanto per dire che al medesimo è aggiunto un indice delle opere scritte o tradotte in francese relative alle razze, che perciò va compreso fra i lavori storici, quanto per precisar più esattamente l’ epoca della pubblicazione dell’ Ippia- trica di Orazio Francini. Apprendiamo da lui che la prima volta venne stampata in Parigi nel 1607, e la seconda nella predetta città nel 1646. 4. Non isfuggì allo scrittore francese che l’Ippiatrica non è veramente che la traduzione della seconda parte dell’ opera del Senatore Ruini. Nell'elenco degli scrittori ricordati dal Pouloti si trova un Alfonso Guarini, che dal cognome sarebbe a considerarsi come originario italiano. Rinunciando a qualsiasi discussione ordinata a dimostrare qual fosse la patria dell'allegato scrittore, diremo essersi da lui pubblicata in Cambray nel 1724 un’ opera che porta il titolo: « Détail instructif des haras » ecc. in 12 di 168 . pagine, opera citata altresì nel terzo Vol. della Biblioteca Huzard compilata da Leblanc, ma senza indicazione della patria del Guarini. f — 203 — # CXXVIII. Pel merito dell’opera e per esattezza bibliografica, innanzi di recare i giudizi del prof. Molin sulla Ve- terinaria di Pelagonio, crediamo necessario indicare il tempo preciso in cui venne eseguita la prima edi- zione del libro di Giurisprudenza Veterinaria di Ippo- lito Bonacossa, di cui si parlò citando la seconda edi- zione. La prima volta venne in luce colle date seguenti : Bonacossae (D. Hippolyti) Compendiosus in materia equorum tractatus IV. Venetiis 1564. 8. Idm. Secunda pars. Tractatus. In materia equorum. Ferrariae 1564. 8. Idm. Pars tertia. Tractatus in materia equorum. Ferrariae 1565. 8.. E qui troviamo l'opportunità di citare Francesca Spinelli di Bologna, che diede in luce un singolare li- bretto che porta per titolo: La Marescalca in villa, de- scrizione de’ mali e suoi rimedii che vengono ali ca- valli, et ad ogni sorte d’animali ecc. Lo dedicò all’ il- lustrissimo signor conte Baldassarre Castelli, Bologna 1697. 8 p. Abbiamo un’altra edizione del predetto libro, pure di Bologna, dell’anno 1741. Con nuove aggiunte nel fine. Di curare il male epidemico delle bestie bovine, e di preservarle. Non importa discorrere delle cose contenute nel libro della Spinelli perchè con poche aggiunte ripete quel trattatello delle Varie infirmitadi che sogliono ve- nire a’ cavalli, che trovammo aggiunto in varie edi- zioni al libro « Ordine di cavalcare di Federico Gri- sone » ma che appartiene a Pirro Antonio Ferraro. — 204 — CXXTX. Sopra la veterinaria di Pelagonio pubblicata in Firenze nel 1826 qual opera originalmente latina. Memoria del dottor Giacomo Molin prof. di medicina compa- rata nella R. Università di Padova. Padova tip. del Seminario 1828. Abbiamo riportato il titolo preciso della memoria dell’illustre prof. di Padova, perchè sull’ importante argomento da lui discusso crediamo di dover richia- mare solamente la parte più essenziale con che dimo- strare avere Pelagonio appartenuto alla Grecia e non a Roma. Il lavoro critico e biografico del professore Molin non si raccomanda esclusivamente perchè ci prova la patria di Pelagonio, ci spiega filologicamente il valore . di molte parole del greco scrittore, ma è prezioso al- tresì per quanto espone sopra Vegezio, pei passi di detto scrittore opportunamente eméndati, per ciò che dice di altri e sulla Veterinaria in generale; in- fine perchè ci dà la ragione delle alterazioni e degli errori corsi nell’ edizione latina dell’opera di Giordano Ruffo da lui procurata e fatta eseguire in Padova nel 1818. Il grave sconcio ebbe origine dalla poca diligenza delle persone incaricate di vigilare la stampa del te- sto di Ruffo. Quest’ opera, ricordò nella nota 15, non vide la pubblica luce nel suo originale che nel 1818, ma zeppa di errori per incuria di quelli a cui la mia buona fede aveva abbandonato la cura della preparata edizione. Chi non avesse avuta notizia della premessa dichiarazione, leggendo il Ruffo edito del Molin a- vrebbe potuto dubitare della valentìa di un uomo in- signe e tanto benemerito della Veterinaria. feti ii nità crt i — 205 — La cagione che condusse il Molin ad una analisi minuta dell’opera di Pelagonio ebbe origine dapprima da una circostanza di fatto da lui riconosciuta, cioè la conformità in molti luoghi della lezione di que’ capitoli del Pelagonio trascritti dal Ruellio nella Rac- colta degl’ Ippiatri della Grecia, con quelli del Pelago- nio edito ir Firenze dal dotto professore Gaetano Cioni; ve lo spinsero successivamente gli autorevoli consiglii dell’ Abate Furlanetto, il silenzio del Sarchiani, volga- rizzatore del Pelagonio, sulle antiche raccolte ippiatri- che o geoponiche, ove quest’ autore particolarmente figura, nelle illustrazioni delle voci da-lui usate, sugli autori da esso citati e sopra altre particolarità. « Io » temetti pertanto, egli dice, che una tale reticenza » venisse a noi rinfacciata dagli oltramontani, quasichè » la Veterinaria infra noi, se non nell’ esercizio del- » l’arte, dal lato almeno della scienza e della eru- » dizione mancasse del dovuto avanzamento e di e- » stesa coltura. » CXXX. Nel presentare i giudizi lasciati dal Molin non e- sporremo l’ avviso opposto del professore Cioni, ten- dente a dimostrare l’ originale latinità di Pelagonio, emesso in un articolo posteriormente insinuato, come scrisse il prof. di Padova, nel num. 78 (giugno 1827) dell’Antologia fiorentina; pei lettori come per noi, po- trà bastare seguire il Molin nei capitoli in cui dettava le principali ragioni del proprio avviso. Le osservazioni fatte sopra molte delle parole la- sciateci da Vegezio nella sua prefazione, fan conoscere che il Mulomedico di Roma, aveva consultati per la compilazione della sua opera, insieme coi latini altresì -— 206 — scrittori non latini, e perciò aver potuto giustamente dichiarare mulomedicinae apud graecos latinosque au- _ctores non fuit cura postrema. « In tal guisa, scrive il Molin, si trova opportuna tra Pelagonio e Colu- mella la comparazione, quale istituir si poteva fra lo stile d'un greco e quello di un latino, siccome fra gli oratori di Atene e di Roma si dilettarono di simili confronti Cicerone e Plutarco. In tal guisa eziandio si trova data soddisfazione al più diligente illustratore di Vegezio, allo Schneider, a cui le parole, delle quali fu da me proposta la correzione, vitii suspicionem non levem attulerunt, come protesta esso medesimo. Dovrò io credere, diceva quel dotto alemanno, che Vegezio abbia sfiorato gli autori latini unicamente, laddove a canto di Columella rammenta Pelagonio, Chirone ed Apsirto? Quei capitoli di Pelagonio e di Apsirto che si conservano fra gl’ippiatri, basterebbero , soggiunge, ad infondermi coraggio di fermamente asserire che questi due autori scrissero in greco; oltre di che la frequenza con cui Vegezio medesimo fa uso di greche voci, ci porta a credere che non avrà negletto i greci fonti. » » Nè Vegezio ci fa conoscere l’ appartenenza di Pelagonio alla Grecia coll’ unirgli solamente i due greci Chirone ed Apsirto; ma il celebre Haller nella, sua Biblioteca Chirurgica ci rende avvertiti della citazione, fatta dal Zooiatro latino, del greco Titrippo, del quale conserviamo già pure qualche pratica istruzione fra gl’ ippiatrici (1) ». (4) Lamentammo nei primi fogli’ di questo lavoro la mancanza del- l’opera di Vegezio stampata da Michele Tramezzino nel 1544, perchè non sapevamo se il volgarizzamento dell’ edizione veneta fosse diverso da quel di Roma. Ora, dopo averlo veduto, possiamo assicurare della superiorità — 207 — Il Molin non tenne giustamente in gran conto l'opinione di coloro che pretesero dimostrare la lati- nità di Pelagonio colla diligenza usata dal Poliziano nel conservare un codice di quello scrittore, del quale fece pur trarre copia esattissima, dovendosi riflettere dice « che dove il Poliziano stesso si astenne dal pro- ferire il suo avviso, non è a noi permesso riputarlo inclinevole più ad una parte che all’altra, ma intera- mente incerto ed ambiguo, sulla greca o romana de- rivazione del suo Pelagonio; giacchè se tra gli scrit- tori in esso ricordati si rinvengono i latini Celso e Co- lumella, e se tra quelli sì riputano pur latini Floro, Emerito ed Ottato, in altri cinque nomi ci abbat- tiamo di greca fisonomia. Questi con Apsirto. sono Ar- cadio, Ipparco, Eubulo ed Euranio, che meglio direb- besi Uranio; senza far cenno di due altri nomi di suono straniero, vale a dire Carbedone e Mangone, che forse è Magone, il celebre agronomo cartaginese fiù sopra rammentato ». » Del pari tra i sei, a cui Pelagonio dirige le sue lettere, potranno credersi latini Papiano, Festiano e Lucilio, (il quale forse è il Lucio, a cui una ne è indirizzata nel capo 128 degl’ ippiatrici), ma greci Fa- lerio, Astirio (da appellarsi piuttosto Asterio) ed Ar- zigio, probabilmente tutt'uno con quel Arsipo, a cui altra ivi se ne trova da Pelagonio intitolata nel capo quarantesimo secondo. Che se il Borghesi si sforza di applicare a questi due ultimi qualche latina memoria de’ tempi vicini al'grande Costantino, lo fa egli però della lezione di quest’ ultimo e della più perfetta sua corrisponza coi testi migliori del Vegezio. Porta il seguente titolo: « Vegetio Renato. 1 quattro libri della medicina de’ cavalli et altri giumenti, ovvero dell’ arte di Maniscalchi. Tradotto dalla latina nella lingua volgare. -- 208 — in guisa che, mentre onora non meno la sua mode- stia che la sua erudizione, trasfonde nell’animo del lettore la incertezza, in cui resta pur egli stesso ». CXXXI. Continua il Molin: « Non pago dei soli primi con- fronti, volli istituirne parecchi altri e di più sorta af- facciando il Pelagonio del Sarchiani, oltrecchè al Pela- . gonio del Ruellio, in più luoghi anche all’ Apsirto, al Hierocle e ad altro anonimo di quella collezione, e così parimente a Columella. » Fra le induzioni a lui favorevoli cita Giusi quelle che ebbe a provocare dal chiariss. ab. Sinigaglia, il quale generalmente apprezzato come delle greche lettere possessore distinto, lo assicurava « che anco in que’ luoghi, ove con la diligente versione degl’ippia- tri&i fatta da Ruellio concorda il codice fiorentino di Pelagonio, il testo greco che ne abbiamo dal Grineo, spiega nella proprietà de’ suoi termini, nella precisione delle sue frasi, nella franchezza delle forme del suo dire, nel suo complesso, una tale superiorità di me- rito che non permette di porre in forse la vera sua greca originalità ». CXXXIL Sostiene valorosamente il Molin che il testo pub- blicato dal Cioni non può essere che una traduzione dal greco, la quale non potrebbe salire più in là del secolo tredicesimo o al precedente, « della quale. età appunto può riputarsi il codice, donde trasse Poliziano il suo esemplare.... » Nè ragion v'è di opporre per altra parte difficoltà, giacchè opportunamente conciliasi Etta — 209 — nella stessa epoca l'origine di tale traduzione e di tale scritto, con l'alta voga che avevano preso al- lora sia l’uso delle giostre e la passione pei cavalli, sia conseguentemente lo studio della educazione di questi e del loro maneggio; nel che si segnalarono il calabrese Giordano Ruffo, il greco scrittore Bonifacio, il genovese Iacopo Doria, il vescovo Teodorico di Cer- via e il bolognese Pietro Crescenzio, a’ quali per me- rito e celebrità succedettero il romano Lorenzo Ru- sio, il fiorentino Dino Dini ed altri ». CXXXIII. Il dotto critico della traduzione latina del Pelago- nio suggella gli argomenti di prova colla seguente dichiarazione. « A chi ricercasse, se l’opera per noi nuova di Pelagonio presenti la buona lingua del La- zio, potrebbe avvenire, che senza volerlo cadesse con lo sguardo sopra uno di quegli squarci fedelmente tolti da Columella, nè vi trovasse divario; o potrebbe avvenire, che si abbattesse in que’ molti, i quali lati- nizzati negl’ ippiatrici dal Ruellio non poterono non essere traslatati con notabile diversità, nè se ne chia- masse mal pago; o potrebbe avvenire, che portasse la lettura sopra altri luoghi, ove la pratica di non nuove ricette e di poco variabili prescrizioni avea rese co- muni le antiche formule e le antiche maniere, nè per- ciò s' accorgesse ancora d’ aver tra le mani un non antico lavoro. Nondimeno quando per entro ad esso un tale investigatore discoprisse non solo le voci gam- ba, plethora, cataplasmare, potionare, ed altre simili che misero in pericolo di discapito Vegezio, ma i barbari termini eziandio di bituminare, massucare, cancerare, torcionatus, remediatus, acrissimus, tarta- 14 — 210 — ralis, e i bassi modi album de ovîs, quantum voluve- ris, vulsos de recenti, cocleare unum grande plenum, claudicare modo de pedibus prioribus, modo de poste- rioribus, le quali espressioni madri o figlie de’ più tri- ‘ viali volgarismi, mostrano il livido fianco della già spenta latinità, non saprà egli sottrarsi dall’inferire, che dunque la dicitura del nuovo libro segna l’ epoca da me indicata posteriore di poco ai principii del se- colo decimoterzo, al disotto del quale non può, come dissi, aver avuto origine quel codice, che la diede in sul finire del secolo decimoquinto al manoscritto del Poliziano ». CXXXIV. Non imiteremo il professore di Padova col dare a leggere agli studiosi l’ epistola preliminare del Pela- gonio, scritta nei tempi della bassa latinità, sola- mente ripeteremo con lui: « Dotte persone che assa- porano il greco non meno del latino idioma, mi re- sero testimonianza, che nell’ epistola precitata del pari che in più altri luoghi dell’ opera, non oscuramente apparisce, così la sua derivazione dal greco, come al- tresì la bassa età, nella quale un intenditore del greco linguaggio traslatò nel suo latino l'originale Pelago- niano. Questo poi dovrebbesi credere perito poco dopo con infinità di altre produzioni de’ greci ingegni, men- trechè infinità di altre ancora riceveva nuova vita dal- l'avidità di generosi ricercatori ». CXXXV. Siccome l’egregio professore Molin riconobbe e la- mentò la rozza forma del preambolo di Pelagonio, e — 211 — volle ricompensarsi col dare un saggio della graziosa e giusta versione del Sarchiani, così noi lo seguiremo nel trascrivere le ricordate parole vestite di greca ele- ganza: « Tengo certamente in gran conto lo spessis- » simo encomiar che tu fai de’ cavalli, e il mostrar ad » ogni ora d’averli assai cari. Ed è ben ragione, che » tu incessantemente ami cotanto nobil cosa, e da » tutti gradita, essendochè il sole istesso, dominatore » e decoro dell’ universo, dell’ unico ministero de’ ca- » valli soddisfatto, ci rende o con esso loro, 0 per » loro mezzo la bramata giornaliera luce. T’imiterei » per vero dire io pure con iscrivere alcunchè dei loro » pregi, se potessi dir cose degne, ma la mia niuna, » o ben scarsa facoltà di parlare eloquente trattiemmi, » e ritrae da ciò fare la lingua per se povera e disac- » concia. La qual non pertanto converrà che si faccia » conoscere, tantochè per me s’incominci a far pa- » rola delle curagioni, ovver medicine, di siffatti ani- x » mali ». 3 CXXXVI. Termina il professore Molin le sue dotte conside- razioni col far riflettere ai lettori, che l’ abate Furla- netto, uomo de’ più dotti e stimati nella latinità, ampliando il Lessico Forcelliniano non ammise nella parte da lui pubblicata alcun vocabolo del Pelagonio di Firenze, malgrado le raccomandazioni ed istanze dell'amico suo signor Cioni e di alcun altro. Questa omissione conferma abbastanza, com’ egli dice, il so- spetto sulla non originale nè autentica latinità del- l’opera di Pelagonio. — 212 — CXXXVII. Bartolommeo da Messina Traduttore dell’ opera di Ierocle ippiatro greco, __Attratti dall'amore per le antiche scritture di vete- rinaria, di quella veterinaria di cui tentammo la sto- ria ricercando le opere di molte generazioni, dedi- cheremo. una pagina al benemerito Bartolommeo da Messina, il quale ebbe cura di trasportare nella lingua del Lazio il libro di Ierocle, che si ritiene autore della raccolta de’ greci scrittori d’ippiatrica. Ercolani ricordò un testo di Ierocle, ma nel codice da lui citato non è il nome di chi lo traslatò dal greco in latino; citammo noi pure un codice di Eroteo che si con- serva nella parmense Biblioteca; ma in esso parimente non è fatto cenno del traduttore. Ultimamente ci fu dato esservare un codice del greco collettore, non ha guari passato nella Biblioteca della R. Università di Bologna, nel quale è con precisione indicato 1’ autore della traduzione, che ebbe per patria Messina, ond’ è che l’Italia è più particolarmente interessata a ser- barne memoria. Questo codice, scritto con cura, si giudica del secolo XV, ma sul suo terminare, ed è di ottima conservazione benchè cartaceo. La sua in- testazione basta a farlo conoscere, dice: « Incipit Li- » ber Eraclei ad Bassum de curatione equorum in » ordine perfecto habens capitula differentia translatus » de greco in latinum a Magistro Bartholomeo de » Messana in curia illustrissimi Manfredi Serenissimi » regis sicilie amatoris et mandato suo ». — 213 — 1, CXXXVIII. L’ estensione maggiore che abbiamo procurata a questa storia, siccome provvede più efficacemente ai voti del nostro cuore, così vale a dimostrare bella e splen- dida quella scienza che pur oggi lascia senza premi i suoi seguaci e frutta disinganni penosi. L'aiuto ci venne da pochi uomini insigni, cultori indefessi della pa- tria letteratura, e più particolarmente dal benemerito professore Bernardino Panizza, e dall’illustre filologo e letterato Vincenzo Di Giovanni, che ci fornì impor- tanti notizie sopra alcuni codici di Veterinaria delle Bi- blioteche di Palermo e di Catania, e ci richiamò a ri- flettere sopra quanto ebbe a scrivere sopra tre codici in volgare del secolo XV, esistenti nelle biblioteche di Palermo, dirigendosi all’ illustre cavaliere Zambrini con un'accurata relazione stampata nel Borghini, Gior- nale di Firenze, dell’anno 1864. Ricaveremo il migliore partito e dalla lettera del dotto autore a noi particolarmente diretta e dalla scrit- tura stampata nell’anno secondo del Giornale pre- detto. CXXXIX. Dalla relazione pubblicata nel periodico toscano, noì non trarremo che ciò che vi è detto di due co- dici Veterinari, tralasciando di parlare del terzo che non ci riguarda. Il primo dei descritti codici contiene un opera di autore Spagnuolo, ma nullameno inte- ressante per noi essendo tradotta in buon volgare italico. Ripetiamo le parole dell’illustre professore Di Giovanni. « E in questa Biblioteca comunale un codice — 214 — membranaceo in 8.° piccolo (segn. 2, p. E. 3), il cui frontispizio ha una cornice rabescata all’intorno (in un lato della quale una medaglietta che sarà forse il ri- ‘ tratto dell’ autore), tutta in oro sopra fondo cremisi, e chiusa da dentro con festone color verde. Sarà forse il codice istesso, atteso la sua elegante rilegatura an- tica, ora restata come guardia, che fu presentato a Re Ferdinando I di Aragona, per cui volere fu scritto. Di carattere non molto antico si legge nella guardia ch’ ebbe colla seconda rilegatura questo titolo: « Phar- macopeja », e più sotto fu rasa, sin da quando il co- dice passò alla nostra Biblioteca, questa avvertenza. che vi si leggeva: « del P. Ignazio de’ Salemi, pella libreria de’ PP. Capuccini del Conte di Salemi 1767 ». Ma, il proemio del libro, che comincia con una bella lettera principale a rabeschi, ha sopra questo titolo suo proprio: « Practica da Citreria (1) beati facta ad peticione et comandamento del Serenissimo et invictissimo Prin- cipe et signore, lo signore Don Ferdinando per la di- vina gratia re de Sicilia Hierusalem ed Hungaria: fa- cta et composta per lo reverendo Misser Mathia Merca- der Archidiacono de’ Valentia. E indi ha così cominciamento il proemio: « Serenissimo ed invictissimo signore. Multe et di- verse volte per la Maestà Vostra m’ è stato dicto et co- mandato lassasse ad quella inscriptu. alcuna practica de Citreria, et delle esperientie che nelle cure et ma- lattie delli falconi in mio tempo ho praticato. Io, Se- renissimo signore, non ignoro quanto poco quella ha bisogno de me in tale mistiere de Citreria; come sap- pia la Maestà Vostra sì como in le arme quella è esper- (41) Cetreria voce spagnuola, fatta colla lat. accipitraria — 215 — tissima, cussì etiam de tutte caccie, Monti, Ribera, Milana, Agrani, et tutte le altre nature di caccie habia tanta pericia ed doctrina, quanta non voglio alcun Principe, ma cacciatore ne avesse alcun tempo; et posso bene affirmare che se alcuna cosa in dicta arte de Ci-. treria se ignora, in quello che altri non sanno Vostra Maestà porria dare maior iudicio che alcuno altro qua- tunca in epsa arte espertissimo. Però per obedire li comandamenti di quella, abenchè (1) poco vulgare et basso sia quello che io so in essa arte, extimando mio debito essere obedire, et che la obedientia excuserà parte de la ignorantia, dirò; et prima delle malattie quali soleno advenire alla testa delli falconi ». Onde, viene la prima rubrica. « Dell’ acqua cancer, et gor- mieze che si fanno in le aurechie senza ferita »; e tutte le rubriche sono XXIX. L’ ultima che è del modo de torrare, (2) ha fine con questa conclusione che dà ter- mine a tutta l’opera: « Questo è serenissimo signor quello de che io mi ricordo, et in parte ho praticato. Se alla M. V. (non) satisfa per essere tucto poco et flacco, et senza ordine, perdono domando a V. M., et supplico ad quella habia sguardo (3) chè quello che io ho fatto è stato per volere obedire, et non per pre- sumere de saperlo fare. E sia quella certa che volun- taramente non haveria pigliata tale impresa, et po- nerme ad judicio delli miratori o de essere mutteg- giato. Questo non voglio tacere, mostrando d’ essere (1) Eccoti un esempio antico dell’ abenché, voluto da taluni rifiutare, per benché. Nota del Prof. Di Giovanni, (2) Torrare, probabilmente dar il fuoco all’ uccello. La cauterizzazione è indicata nelle scritture di Falconeria più antiche. Gli scrittori spa- gnuoli moderni di veterinaria scrivono foguear. (3) Bello questo avere sguardo per aver riguardo come tutti diciamo. (Nota del chiarissimo Editore). — 216 — del tutto semplice. Però per obedire, servire et com- piacere alla M. V. major cosa essendomi imposta, ha- veria facta, et farò, quando mi saranno comandate, se ben ce andasse la vita. Et donovene nostro S. Dio vita longissima; et ve augmente sempre lo stato ». « Facto in vostra città di Napoli lo primo di Iunio MCCCCLXXV ». Finis. A questo nella faccia di contro segue: « Medicina erperimentata per Juliano Ciurzio ad male de’ chiovi di Falcone o de altro aucello ». « Tarrite allaczare la vena della cossa che sta sopra lo genocchio con un capo de seta, discretamente la strengerite che non si venga ad rompere. Facto que- sto, pigliarite una branca di ruta, et faritene ad modo d’ una salsa stemperata con acito et sale ben pisto, per modo che sia ben salata; et bagnaritene lo loco dove lo falcone tenerà lo pede, una volta lo dì. Dicto. chiovo venerà a desiccare, in modo che sarà guarito ». « Segue appresso un’altra breve rubrica del carat- tere stesso di tutto il codice che è rotondo e di bel- lissima lettera; ma senza le iniziali dorate: e retro vi sì legge: remedio seu unguento allo chiodo di un fal- cone, di scrittura del secolo XVI, e in modo corsivo. Queste due rubriche occupano la carta che è tra l’ ul- tima rubrica del Mercader e l’indice che segue le rubriche o carte, quantunque il codice non abbia nu- merazione alcuna. Le rubriche sono in rosso, e così eziandio il loro indice. Che il Mercader poi praticasse a corte, e doveva accompagnare il re alla caccia e alle diverse nature de caccie, che allora si costumavano da’ Principi e Signori, non solo si ha chiaramente dalla — 217 — dedicatoria, ma pur da questo passo della rubrica, che è la carta XII, intorno alla cura del cancro ». « È vero perchè ne ho vista la experientia, come sa la M. V. che lo vidde in Puglia, che in simile ne- cessitate sole fare gran bene la sagnia (1), o delle un- ghie tagliandole in trunco perche da là discorra el sangue, et lo male evapori; o sagnarlo dalla vena ‘ della cossa che passe alla parte dintro del ginocchio. Con questa cura sanò quello come la M. V. se ricorda in Foggia. Questo è quello che per questo male al presente me ricorda ». « Nella Biblioteca Nazionale, che fu de PP. Ge- suiti, c'è pur copia di questo codice di carattere del secolo XVIII (segn. I. D. II). La quale Biblioteca possiede, fra gli altri, un codice cartaceo del secolo XV (not. I. D. 17), con bella rilegatura in pelle rossa e fregi ad oro, che dovette appartenere a ragguarde- vole biblioteca; anzi in testa della coperta si legge stampato a lettere d’oro sulla pelle: « Libro de Mare- scalco », e dall’ altra parte pure in testa: « del S. Ba- rone de la Scaletta ». Ha fermagli in rame, e i fogli dorati nel davanti e nelle testate con impressioni a disegno. Comincia con questo proemio: « Pareme ju- stissima cosa, essendo el presente volume opera ex- cellentissima de’ cavalli, che ancora primo se habia da vedere quale et quanta sia la generosità loro et na- tura scripla et experimentata da più savii homini, et massime de Aristotile, Virgilio, et Cayo Plinio peri- tissimo in l’arte de la natura; et per più antiqui et moderni imperatori et homini grandi: el cavallo fra tu- (1) Sagnia presso i napoletani e siciliani vale salasso, il cavar san- gue all’ nomo od altri animali. (Nota del chiarissimo Editore). Gli Spa- gnuoli scrivono sangrar (salassare) e sangria salasso, sanguigna. — 218 — cti l’altri animali essere da loro giudicato generoso et a la humana natura comodo; et da quelli quasi in honuri divini equiparato et celebrato; e fra li altri più dal Ma- gno Alexandro Macedonico. Al medesimo Alexandro advienne che habbe uno cavallo di quelli che radissimi sì trovano; fu chiamato bucefalo, il che significa capo de boy, ebbe questo nome veramente per uno aspetto fe- roce, o veramente perchè ne la spalla haveva uno segno di capo di boe; comperollo ancora fanciullo (1) sedici talenti di li armenti di Philonico pharsalico. Nîs- swno essendo un ornamento reale volle mai addosso se no Alexandro: nella battaglia de la presa di Theba, essendo stato ferito bucefalo, volle Alexandro mon- tare in su uno altro cavallo; nè mai volle bucefalo. Per questo et per molte altre cose simile, Alexandro l’onorò de exequie et di sepoltura. Nè el cavallo di Cesare dictatore mai volle portare altro che Cesare; et haveva e piedi dinanci simili a piedi d’ huomo, et in questa forma era la statua sua innante al tempio di Venere genitrice. Similmente divo Augusto fece la sepoltura al suo cavallo, del quale Cesare Germanico scrisse versi, in Agrigento città di Sicilia sono sepul- cri e piramidi di più cavalli eccet. ». « Seguono testimonianze di onorì resi a cavalli, e della generosa natura infine dell’animale. Finito questo proemio sì ha: « Incomincia la tavola de le rubriche del Libro de Maniscalcheria de misser Piero Andrea homo peritissimo et experto per lungo tempo a li ser- vicii de le felicissime memorie del re Alfonso primo et suo unicogenito re Ferrando de Aragona. Emprimis » (4) Nota questo fanciullo detto di animale. Qui poi nel codice si legge per errore del copista se dici latenti, che abbiamo corretto come nel testo. (N. dell’ Editore). unito ri. O — 219 — | ecc..... Sono rubriche CLII; ma nel codice se ne leg- gono sino alla CL, perchè mancano due fogli che pare essere stati strappati apposta; e poi nella carta che segue si legge non più che la fine dell'ultima ru- brica, con queste parole: « devozione de la Santa Tri- nitate. Amen. Laus Deo ». Le rubriche sono in rosso, e al primo e al secondo capitolo mancano le iniziali, fra quali assai bella quella della prima rubrica ». CXL. La surriferita accurata descrizione del codice di Piero Andrea ci può convincere che quello di Palermo non dev’ essere diverso dall’altro della Magliabecchia- na di Firenze, citato dall’ Ercolani; il quale ebbe l’ op- portunità di esaminarlo in detta Biblioteca e di a- cquistare la certezza della materia contenuta, e, per tal guisa pronunciare giudicio non molto favore- vole al M. Piero Andrea. A suo avviso descrisse poco accuratamente i morbi dei cavalli, e fu assai in- feriore a Ruffo ed a Rusio. « La parte più copiosa del libro verte sui colori dei cavalli, ne annovera 20, e ad ognuno assegna diverse qualità. Solo è notabile che è scevro da idee superstiziosi e che combatte l'opinione di coloro che attribuiscono un’ influenza nociva ai raggi lunari ». Il chiarissimo professore Di Giovanni volle priva- tamente indicarmi, che del Libro de Maniscalcheria de misser Piero Andrea esiste altro testo, presso il Mar- chese Giovanni Maurigi, del casato Staiti di Trapani. CXLI. In poche occasioni trovammo opportuno in questo — 220 — lavoro citare, per la storia, autori stranieri; nè ciò consigliato ci fu da orgolio, ma commesso dall’ ob- bligo di evitare incertezze ed errori. Ne daremo un primo esempio appoggiandoci a Delabere-Bleine, il quale nella sua storia della Veterinaria assegnò Ruffo al sedicesimo secolo, ed in una maniera ben sigolare scrivendo Lorenzo Ruffius, e dando in tal modo a Ruffo il nome di Lorenzo, portato da Rusio, invece del proprio di Giordano. Errati fra gli altri sono in Bleine il titolo dell’ opera del Bonacossa, il cognome di Ce- sare Fiaschi, che chiama in più luoghi Fiarchi, al- trettanto possiam dire del francese Iehan Heroard, chiamato I. Hernard, autore famoso del raro libro l’ Hippostologie, ec’ est a dire, Discours des os du cheval Paris 1599, 4, libro posteriore di un solo anno al- l'anatomia di Ruini. Citammo noi pure altre volte un libro siciliano contenente il testo di Giordano Ruffo, ma non po- temmo esattamente indicarlo, poichè il Molin e l’ Heu- singer non lo avevano con sufficiente chiarezza regi- strato. Ora soddisferemo ad esso bisogno colle precise notizie che abbiamo avuto dall’ illustre filosofo pro- fessore di Giovanni. Trascriviamo le sue parole: « Di altro codice di Mascalcia, che mi fu detto tuttavia esi- stere in Catania nella Biblioteca di S. Nicola 1’ Arena, già de’ Benedettini, parlò Domenico Scavo nelle sue memorie per servire alla storia letteraria di Sicilia, t. 1, parte III. p. 3-6. Palermo 1756, e ne dava così il titolo: « Accumenza lu libru di Maniscalchia di li cavalli di lu magnificu misser Juhanni de Crugyllis ». Ma, appresso vi si legge ch’ era stato scritto per utile de’ cavalieri e dilettanti delle giostre a volontà di Bar- tolo Spadafora, « in lu annu di la incarnacioni nru — 221 — Signor Ihu Xpu a li MCCCLXVIII, a li XII jorni di lu misi di aprili di lu VII indiciuni ». I capitoli del co- dice giungono a L, e dovevano essere LVI, 1’ ultimo de’quali: « Di li mutamenti di l’unghi ». Il primu è: «Di lu creamentu e di la ‘nativitati di li cavalli ». La scrit- tura poi del codice fu giudicata dallo Scavo del se- colo XV, ed esso è in pergamena in 4. Quel Bartolo Spadafora sarà stato della baronale famiglia de’ signori della Roccella, siccome i Cruyllis erano i feudatari di Calatabiano, di Francoforte e di altre terre. Stando al 1 capitolo e al 50 di questo codice, crederei non es- sersi male apposto il Molin, nel reputare questo libro, attribuito o allo Spadafora o al Cruyllis, una tradu- zione del Ruffo ». UNI: > Fra le conseguenze più vere ed importanti, fatto principale risultante dalle analisi delle opere anti- che di Veterinaria, sarà sicuramente apparsa quella onde si prova che tutte le scritture posteriori a Mosè da Palermo, a Ruffo, a Rusio, a Ruini furono ricavate dalle opere di quegli egregi uomini che distesero le prime fila della scienza e ne fondarono le basi mi- gliori, perchè quasi identiche a quelle dell’umana me- dicina. Un fatto di tale natura si verificò parimente per rispetto agli autori stranieri, tutti conservarono non che altro i nomi che i nostri più vecchi ippiatri ave- vano introdotti nella Veterinaria; troviamo quei pre- cetti in Solleysel frai francesi, in Garseault, nel vec- chio Lafosse; in Giorgo Simone Winter fra i tedeschi, in Miguel de Paracuellos, Garcia Cabero ecc. fra gli spa- gnuoli, in Snape fra gl’inglesi ecc. ed in centinaia d’al- tri. La nostra premura di ricercare quasi in ogni Bi- $ — 222 — blioteca d’Italia i codici di quei»primi maestri non potrà perciò dirsi senza ragione; il fatto anzi venne sempre a farci conoscere qualche cosa di particolare in ciascuno individualmente. Nè abbiamo non ha guari, per lodevole concezione del Ministro della Istruzione Pubblica, ottenuto un importante da Bolo- gna, il quale non solamente contiene un testo latino di Ruffo, ma altresì alcune scritture di falconeria scritte nella lingua del Lazio. GXLII. Il codice di Giordano Ruffo or ricordato fu già dei Canonici Lateranensi di S. Salvadore di Bologna ora nella Biblioteca della R. Università della città me- desima. È membranaceo del secolo XIV, con iniziali rosse, in 4. Incomincia. Suscipiat carmen hoc templi militis agmen, Est equo doctrina custodia nam medicina. , Incipit cyrugia equorum. Cum inter cetera animalia a summo rerum opifice evidenter creata usui humani generis supposita vel su- biecta ecc. come in quello del Molin e d’ altri, o nel- l’accennato della parmense (41). Precede al codice un Li (1) Opera di Iordano Ruffo cavaliero calabrese, el quale esperimentò in la marestalla dell’ Imperatore Federico 1I, quale signoreggiava Sicilia e Napoli nel MCCL, quando morì. (dal 1219 al 1250). Perchè in lingua siciliana, citiamo, seguendo Heusinger, il codice del — 223 — - opuscoletto che ha per titolo: « Liber medicaminum avium », che va dalla carta 1% alla 12* inclusive; è scritto da mano diversa da quella che lasciò il testo di Ruffo. A carta 50 tergo è un'7ractatus de avibus il quale comincia: « Theodosio magnifico Imperatori Gnosius Magnificus medicus Hyspanus famulamen ». A carta 53, è pure un altro trattato col titolo : « Tra- ctatus de canibus », il quale finisce così: « explicit tra- ctatus de canibus ». Di questi trattatelli sarà discorso in altra occasione. CXLIV. Quella parte del codice bolognese che porta il testo Ruffo che sta nel Museo britanico, del quale Bruce-Whyte porta il cominciamento: « Izi cominza lu libru di maniscalchia compostu da lu » maestro Giordano Russo di Galicia, mariscalo dell’ Imperatore Fede- » ricu. Conciòsiacosakè inter tutti li animali de la umana generattiune » per usu deputati, nullu cere più nobile di lu cavallu, nè ancora nullu » cere allu homu più comodu. Nobile ancora per la umana dignitate, » e splendissimo, e senza di issu in verità nullu homu po aviri gloria, » ne po sustinersi. Ma essendu più comodu vale più di tutti li altri ani- » mali; nullu pote ni fare li officii di lu cavallu, ni ki si trova sì doctu. » Ora dico di di lui naturale, e alle persone digne come e conveniente, e » alle nobili senza fatiga............ Kistu opera fu carpta per la autoritate » di lu Paladiu e di altri. Ma quellu ki riguarda li morbi et le cure » specialmente fu trovato per me signore Giordanu Russu‘di Calabria, » trattatu par Heroclu mariscaleo pro le stalle de l' Imperatore Federicu » lungu tempu defuntu ». Dev' essere accennato per chiarire una singo- » larità di questo codice che il signor Bruce-Whyte fece osservare che la parola Heroclu è quasi cancellata affatto. Un nostro codice è indicato: « Trattato delle maliscaltie del cavallo del signor Giordano Rusto Calavrese. Nell’ abbadia MCXV, cart. sec. XVII, di carte 115 in carattere corsivo; a piedi di una lettera del- » l'autore, che precede il testo, si legge Rosini scrisse. — 224 — di Ruffo non può, per le cose dette e pei confronti che ne abbiamo fatto, differire dagli altri più noti. Sul- l'argomento della rassomiglianza fra gli scrittori dei secoli XIII, XIV con quelli del XVI e XVII, è me- stieri riconoscere ancora che molti capitoli delle o- pere di que’ scrittori si osservano trascritti letteral- mente in parecchi altri più recenti. Di questo fatto avremo la migliore prova nel glossario Veterinario. Intanto per porgere un altro esempio «dell’importanza delle fonti antiche e della loro influenza sulle compi- lazioni posteriori, trascriveremo colla lodata scorta del professore Di Giovanni, i capitoli del codice di Piero Andrea, valendoci di quello della Biblioteca Nazionale, o dell'altro della Casa Staiti, somigliantissimi nella scrittura. Troviamo da prima: « che i fogli strappati » eb antico del codice prima descritto mancano pure » a quello del Maurigi; e l’ uno e l’altro non giunge » che al capitolo De lo spasmo, mancando secondo la » tavola cinque altri capitoli, cioè: » Ad incanto per dolori de cavallo. » Ad cavallo che avesse el verme. » Ad cavallo che avesse le reste o traverse. » Quando lo cavallo se sferrasse per camino. » Ad sanare lo verme del cavallo o altra bestia de qualsivoglia natura ». Il primo capitolo è questo: « In quali luoghi se devono tenere le iumente de lo tempo de la monta ». A La Imprimis. « Le iumente se devono tenere inanti el tempo de » la monta in parte che non siano ni grasse nè ma- » gre, che si son grasse non se impregnano presto » e tornano bagasse, et si son flacche et hanno af- — 225 — fanno de sustinere lo pregnato delo ventre ». L’ ul- timo che si legge nei due codici è De lo spasmo e co- mincia: « "1 male de lo spasmo viene per colpo facto » in alcuna junctura, o per dolore de ventre o de » nervi, o per ferita che abia facto sangue...... ». Segue nel margine di sotto nel codice della na- zionale, di carattere del secolo XVI e XVII: « si vene » per colpo'li farai uno cristeri olio et vino tepido et » similmente al ferito che non habbia fatto sangue » (fin quì il Maurigi), et sì è per dolore de ventre » farai secondo largamente è detto in lo capitolo del » spasmo de ventre ». CXLV. Continuando a trascrivere le parole a noi dirette dall’ autorevolissimo professore, possiamo citare altro codice veterinario, posseduto dalla Biblioteca Comunita- tiva di Palermo, codice cartaceo della fine del secolo XVI, di autore ignoto, segnato 2 Q. 9. E. 49, col titolo: « Libro di tutte sorti di infirmità et anco disgrazie che » possono accadere a tutte sorti di cavalli ». È com- posto di pag. 145, in 8. Il 1.° capitolo è: « Delle la- crime degl’ occhi »; è 1 ultimo che è il 186.° « dell’un- guento per falsi quarti assai buono ». Indi seguono al- cune ricette di unguenti per conservare le unghie de’ cavalli, o altro; fra le quali una per le ferite fatte, che si dice lasciata dal medico dell’armata reale in tempo del sig. D. Giovanni d’ Austria; e questa è scritta di altra mano, ma dello stesso secolo. L’ ar- mata comandata da D. Giovanni d’ Austria fu a Mes- sina nel 1577, e però la ricetta durava fino agli ul- timi anni di quel secolo XVI. 15 i PIÙ CXLVI. Se il fine principale di questa pubblicazione fu di mostrare che la veterinaria nell’evo medio acqui- stò in Italia l’importanza di scienza per l’insieme di tutte le opere ricordate, mentre iniziamento nes- suno, nessun progresso potè segnalare altrove, ci perdonerà il lettore se qualche volta abbiamo dovuto ripetere cose note, o tornare sopra quegli scrittori di cui avevamo prima discorso e lungamente. Ci scu- serà pure, se riputammo conveniente percorrere il campo della storia in tutti i sensi per far palesi i po- chi fatti principali valevoli a dimostrare i primordi della scienza, le sue fasi successive e le finali scoperte per le quali è divenuta indipendente al pari della so- rella sua o dell’ umana medicina. Compresa in tal modo la veterinaria, come trascurare i nuovi libri sco- perti, gli amichevoli consigli, i documenti insperali? Nessuno l’ avrebbe potuto, quando pure fosse stato men necessario. Per noi l’aggiugnersi di nuovi documenti aiutava alla conquista della verità, al raggiugnimento della meta. Ciò è a dirsi particolarmente riguardo all’ e- dizione di Spira del Rusio, la quale venne a rendere più importante il dettato col chiarire alcuni punti meno si- curi. I capitoli del testo volgare in cui 1’ autore descrisse i freni più convenienti pei puledri e pe’ cavalli, erano stati strappati nel nostro codice da un mal consigliato, che amò procurarsi in tale maniera i disegni inter- calati nella scrittura. Nel codice latino vi appariscono ancora, ma. l’azione corrosiva dell’ inchiostro antico, servì a consumare la carta negli spazi occupati dalle figure. Ad una tale mancanza si potrebbe agevolmente pe PR 9A RR TL MES tm E TA — 227 — supplire coll’ edizione spirense che ha gli originali di- segni di dieci diversi freni. Non riporteremo le figure che esistono nel libro antico, bastando ora allo scopo nostro ricordare che quattro di que’freni sono indi- cati come necessari pei puledri, quattro pei cavalli scaglionati, e due per gli animali di bocca dura 0 poco sensitiva. CXLVII. Nel nostro codice, se deve calcolarsi per qualche cosa la mancanza delle figure dei morsi, di gran lunga più grave si è la lacuna del testo levato inconsiderata- mente. Diremo ora l'estensione d’essa lacuna per far conoscere il come venne supplita a giustificazione del nostro operato, e a scanso d’ equivoci nel giudi- care il dettato del Rusio. Il vulgare siciliano a pag. 65, cap. 34; arriva alla lin. 10 e termina colle parole e del ende, manca successivamente sino alla pag. 73, lin. 13, cap. 38 riprendendo colle parole quele cose che. I tre capitoli mancanti vennero sostituiti coi corrispondenti del volgare del Rusio lasciato da frate Antonio da Barletta, che abbiamo in un bel codice della parmense, già per noi descritto. Questa nostra avvertenza, necessaria pel motivo superiormente ac- cennato, giovi al lettore per ciò che si riferisce al dialetto del Rusio. CXLVIII. Il volgare del Rusio venne in ogni luogo {da noi qualificato siciliano, e tale lo ritenemmo a giudizio — 228 — di uomini dotti, e per molti vocaboli di quel lin- guaggio che son vivi ancora nel dialetto moderno. Non ci appartiene, e non saremmo capaci, inse- gnare come i dialetti venissero man mano a mu- tare in Italia, e come in tutte le parti della nostra penisola questo singolare patrimonio della lingua ab- bia avuto origini e forme diverse. Fra i più antichi sì ricorda da tutti il siciliano, usato nelle prose e nella poesia; ma non vuol tacersi che col progredire del tempo dovè modificarsi, per cui mal si potrebbe pre- tendere l’ uniformità dell’antico col moderno che va- ria di luogo in luogo. | Fu per certo un singolare privilegio de’ siciliani quello di conservarci opere d’ ippiatrica scritte nel loro linguaggio, e nessuno potrebbe mai disconoscere una tale qualità in alcuni codici dell’ opera di ‘Giordano Ruffo, in quella di Giovanni de’ Cruyllis, e, per quanto crediamo, nel nostro Rusio. Niuno seppe mai ricor- dare scritture veterinarie dettate in un dialetto di- verso dal siciliano, e quando si pretendesse il con- trario per questo del Rusio, se ne avrebbe il pri- mo esempio. Fra le popolazioni italiane, la siciliana quasi iniziò ed accrebbe più che l’ altre il patrimonio della veterinaria: Mosè da Palermo tradusse i libri in- diani delle Mascalcie, Bartolomeo da Messina traslatò la raccolta greca di Jerocle, indicato col nome di Eracleo od Eroteo (4); d’altri antichi scrittori sici- liani di veterinaria abbiamo non ha guari discorso da non credere necessari nuovi argomenti di prova. Non ci è permesso però il tacere che alcuni letterati giudicarono il dettato del Rusio diversamente da noi; (1) Bourgelat lo chiamò Eritreo. — 229 — lo sì volle romanesco, o più precisamente vernacolo della maremma romana, partecipante del romanesco e del siciliano. Nuovi dubbi tornarono, per que’ giu- dizî, ad affacciarsi alla nostra mente, e questi ci co- strinsero di chiedere l’ avviso dell’ insigne filologo e letterato prof. V. Di Giovanni, il quale con singolare premura e benevolenza ci rispose: « Non v’ ha dub- » bio alcuno che il testo da lei pubblicato’ non sia » in antico siciliano; ma l’amanuense che lasciò il » suo codice doveva essere un napolitano, o altri che fosse, poco pratico del siciliano. Un bel capitolo in » netto siciliano è il cap. XLII; ma non saprei nem- » meno accettare quel, lu sangue innequalitate ap- » presu svapore, da me piuttosto letto, lu sangue in- » nequaliter appresu svapore ». L'importanza da noi data al vulgare del Rusio non ci permise, diremmo, di passar mai sopra alcuna parola del nostro testo; le voci dubbie o men chiare venivano poste a confronto con altre di testi vuoi italici, vuoi latini, vuoi fran- cesi; e però lasciammo correre la lezione appuntata dal Di Giovanni, siccome quella che ben risponde al latino, che in tutte l’ edizioni ha: ut sanguis, in equa- litate accensus, evaporet. Z CXLIX. Persuasi col nostro Affò che giovi alla storia il non omettere nessuna particolarità della vita degli uo- mini grandi, ci par bello terminar questa nostra col registrare le opere del Conte Francesco Bonsi che fu- rono con altro nome publicate, e che sono: 1753. Lettera di un cocchiere ad un suo figlio, in cuì gli da alcuni avvertimenti necessari per esercitare con lode la propria arte 8. — 230 — 1756. Riflessioni di Gaetano Morigi, Tirone veteri- nario, in conferma della critica fatta al Sig. Perales (1). 1758. Lettera sotto il nome di Gaetano Morigi, Ti- rone veterinario, diretta a Vincenzo Perales. 1774. Sotto il nome di Michele Tonini. Manuale del maniscalco, ossia compendio dell’arte di medi- care il bestiame col mezzo di rimedi piacevoli ecc. in 8. 1779. Lettera critica sopra il libro del signor Lom- bardi intitolato: « Modo facile per domare i cavalli all’ uso di carozza ». Questa lettera critica porta il sem- plice nome di Filippo e la falsa data di Rovigo in 8. 1800. Atleta Filopatride (Francesco Bonsi). Lettera sopra la facilità con cui si può comunicare il contagio nelle epizoozie e il vero mezzo di garantirsene. Ri- mino 8. 1801. Discorso recitato nell’ accademia delle scienze di Rimino dal cittadino Carlo Agli sulle diligenti pre- parazioni di vari occhi di bue fatte dal cittadino Luca Frioli incisore anatomico nella stessa Accademia il giorno 5 Gennaio 101. Rimino. 8. CL. Giunti al termine di questa pubblicazione, lascia- mo il lavoro col far presente ai lettori, che i pro- positi divisati nel suo incominciamento non furono, siam convinti, pienamente raggiunti, poichè col nostro (1) Vincenzo Perales, maniscalco , trovavasi al servizio della ducal Corte di Modena. Fu l’ autore del Tirocinio pratico Veterinario Chimico- Galenico ecc. composto da Vincenzo Perales spagnuolo, professore Vete- rinario. In Modena 1761. 4. — 231 — scritto spargemmo pochi semi atti a germogliare se verranno raccolti; ma oggi meno che in passato ci si mo- stra la maestosa immagine della storia, che volevamo innalzare completa sopra una nobile base. Da noi non si pervenne che a far conoscere agli amatori della veterinaria i principali titoli della sua gloria col ritro- vamento di nuovi documenti utili per tentarla; per noi s' iniziò, coll’ aiuto di pochi valorosi uomini, un’ 0- pera che segna le vie per arrivare alla compilazione di una vera storia della veterinaria italiana , vastissimo campo, campo d’onore e di gloria. la INDICE DEI NOMI DELLE MALATTIE INDICATE 0 DESCRITTE DA LORENZO RUSIO. A Actentu, actentiune. Attinto, at- tintura. Contusione od ammac- catura che il cavallo si produce nella parte inferiore di una gamba col ferro di un altro piede. Ricorda la voce francese Atteintes. Rus. p. 239. « E » questa infermetade actentu » voi actentiune se chiama. E » questa passione sole avenére » per dui modi; e l unu e » } altru modu recerchia quasi » semegliante curatione ». Caracciolo (Pasquale) usò le voci Attinto e attintura per indicare l’ offesa fatta dai piedi posteriori alle parti inferiori degli arti anteriori; ciò che ora si suole significare col verbo arrivarsi; e quando il cavallo arrivandosi, batte coi piedi posteriori sulla faccia del ferro degli anteriori, colla frase battere le castagnette o fab- bricare. Bonsi scriveva: « la corona » è soggetta ad essere ester- » namente ferita da soprappo- » sie, attinti e da rizzuoli 5. La ferita, che si fa coll’ at- tingersi, vien pur detta attin- tura. Nel lib. delle Mas. a p. 55 leggesi — « Molti cavalli sono » de’ quali l uno de’ pie’ di » dietro tocca | altro; e » questo aviene per cascione » del’ estremità sue di dietro, » e aviene ancora per natura, » ma non nuoce molto ala sua » Operatione ». Albula, Cataratta, Macchia bianca apparente nel mezzo dell’occhio — 234 — e prodotta dall’ opacamento del corpo lenticolare detto il cri- stallino. Rus. p. 105. « Et que- » stu ene provatissimu cuntra » alcuna albula dell’occhi ». Albume, Albugine (albugo, al- bula). Lib. Mas. p. 35. « Quando ‘» aviene ali cavalli albume » neli occhi, tolli mirra e osso » di sepia arostita, aceto ecc.». E a p. 36. « Ma s'elli sarà « vecchio albume, tolli fiele di » toro e suco di finocchio e » mele ecc. ». L’ albugine si scambia da alcuni colla nuvoletta e col leucoma. I chirurghi differen- ziano l’ albugine dalla nuvo- letta per la sua maggiore opa- cità e serbano il nome di Leucoma alla macchia bianca causata da una ferita della cornea lucida. Dagli antichissimi la cate- ratta non potè essere distinta dall’ albume. V. Albula. Amortare, Ammortare, mortifica- re, cauterizzare. Rus. p. 449. « E porraila (la plaga) amor- » tare cola pulve delu arse- » nicu ». Apostema. Postema, lat. Aposte- ma. Lib. Mas. p. 20. « Se » apostema averà el cavallo :» in alcuno luogo, tolli le ra- » dicie dela malva ecc. Ma se l’apostema serà nel dosso » » del cavallo o nello spinale, » o nel guidaresco, o vero » per cascione di sella, o serà » molle, fala forare e poni » lacqueo, osia lacio ». Colla dinominazione di apo- stema sembran compresi tutti i guidaleschi che sogliono pro- dursi sulla pelle del cavallo, e così la fistola o piaga od ascesso del garrese; le spallac- ce (lat. petimina). guidaleschi o mascalcie, suppurazioni od ulcerazioni circoscritte della pelle prodotte dalla sella. La fistola del garrese 0 mal del garrese, impiagamento pe- ricoloso perchè accompagnato in generale da mortificazione del gran legamento cervicale e da carie delle apofisi spinose delle vertebre. Costane chiamarono quelle escrescenze carnose 0 fungosità della consistenza del polmone, sopravenute in un’ ulcera acci- dentale delle parti laterali e superiori del torace; altrimenti polmoncello (lat. pulmunculus). Vegezio col nome di pul- moncello disegnò altresi il Fico della suola. Fico di Ru- sto. Papilloma dei moderni. Dino Dini nel c. 38. dice: il polmoncello essere un gwuz- dalesco in cui é nato carne soperchia 0 rea. V. Pulmoncellu. Gl’ Ippiatri posteriori a Dino fissarono la sede: delle Spallaccie, alle spalle. del Capocerro, al garrese. del Pulmoncello, ai lombi. “ — 235 — B Baruli. Ebullizione cutanea. Rus. p. 175. « Fase le barule et » carbuncoli in delu cavallu » per habundantia de sangue, » alcuna fiata per altri humuri » mistecate ». (fr. p. 149). Cipe ua Ca lu sangue superfluo, voi li humuri su- prehabundante, genera in del- lu locu pizulu vessiche plene de sangue mestecatu cun riu e la carne delu caval- lu ecc. ». Caracciolo (Pasquale ) poste- riormente distinse le vesch:- chette che nascono sul dorso del cavallo e ricordò che i più antichi le avevano chia- mate Falcinine. s v vu v YV Vv s Barvole. Barbule, barbole e bar- be. Rus. p. 121. « Le barvole » sono in delu palutu delu » cavallu sula lengua a modu » de sese secche (ciccie sec- » che, capezzoli avvizziti) d’ al- » cuna bestiola ». Barbule chiamò Alberto Ma- gno certe escrescenze aventi la forma di granelli, che na- scono sotto la lingua o sotto il palato, le quali impediscono il mangiare. Codesto impedi- mento fu pure avvertito da Rusio. M. Pier Andrea le disse Barbe. Bonsi definì le Barbule: pic- cole escrescenze rossiccie, dette sania, le quale ronpe lo co- dai latini ranulae o ranae, le quali nascono dentro della mandibola posteriore, ossia nel canale della bocca in faccia ai denti scaglioni. Alcuni adoperano codesto nome per indicare la tumefa- zione dell’ orlo col quale ter- mina il canale di Warton, ai lati del frenulo della lingua. La segnalata alterazione è dovuta allo sviluppo preterna- turale delle papille della mu- cosa dei margini delle labbra, più numerose appresso degli angoli della bocca, che la scienza moderna tiene per pic- coli papillomi delle gengive. Il nome dovette aver origine dalla disposizione di tali pa- pillomi analoga a quella delle barbe delle penne, od alle barbette delle capre. Bolso. Bolsaggine (Enfisema pol- monare). Lib. Mas. p. 57. « El » cavallo lo quale ae una in- » fermità che si chiama rabua, » cioè quando è bolso ». V. » Pulsino. Brancoso. Angina. Lib. delle .M. p. 4 « Squinanzia o sia bran- coso >. La voce branchos si fece equivalere da Gaza alla latina raucedo. Osservò Luigi Metaxà, che fu meglio tradotta dallo Scaligero con quella di Angi- na, parola la quale comprende ogni affezione flogistica delle parti gutturali. — 2396 — Bullectu, bullise, bullisi. Fettone corpo piramidale della scuola. Crescenzio bolesio e bulesia. Rus. p. 273. « Ane un’altra » infermetate abeniente alu ca- vallu propriamente in delo bullectu de l’ ongia, dove la carne viva sì iunge cull’un- ge ecc. >». Bullectu in questo luogo non corrisponde a modello 0 nocca come in Crescenzio e nel Li- bro delle mascalcie, ma al fet- tone che i greci distinsero, per riguardo della sua forma, col nome di rondine, gli spagnuoli di rondillas e i francesi di fourchette. Infatti Rusio nel luogo al- legato vuol dire che può es- sere la sede dell’ulcera sor- dida chiamata pinsanese. V. Ponsonisi. % sy < “ C Callicchiu. Callo. Rus. p. 223. « Trapassa et recepe d’ una » dureza de ossu in unu cal- » licchiu ». I calli ‘cutanei si formano sulla pelle del cavallo, special- mente in corrispondenza del garrese e delle spalle, parti più di frequente offese dalle bardature. Cancro. Cancro e Cancroide. Lib. Mas. pag. 54. « Ale junture » de’ pedi de’ cavalli overo » nelle piante aviene uno male » il quale si chiama cancro, » il quale si poterà poscia » mutare in apostema ». E a p. 24: « Questa infermità, la » quale si chiama Cancro, a- » viene al capo dela spalla » per cascione di nerbo no- » deroso ». Paion compresi sotto |’ ac- cennata dinominazione i Sar- comi, il Carcinoma comune, i Cancroidi. 1 pioselli 0 pedicelli dei volgari, altrimenti detti mal pizzone dai maniscalchi, che avvengono alla pelle che copre i pastorali e più spesso verso la corona del piede; si incontrano pure qualche volta al collo, alla faccia ecc. ma gli arti sono la sede loro più comune. Rus. p. 409. « Pre- » sure volte abene alu cavallu » una infermetate, che se dice » cancru, in dele iunture dele » ganme appressu li pedi, voi » inter le iunture e li pedi, » cioene in dela pastura ». Capo morbo. V. Cimorra. Carne superchia. Fungosità- Nascenze. Lib. delle M. p. 19. « E se in altro luogo fosse » carne superchia, cura se- » condo che deto avemo nella » cura dele infiasioni ». Carne morta. Carne mortificata. Lib. Masc. p. 20. « Non la- » sciare nell’ apostema alcuna » carne morta ». Carbunculu. Carboncello. V. Ba- rule. — 237 — Castratione. Castrazione. Rus. p. 193. « Sacci che in dela » castratione deli cavalli ene » granne periculu, forsia se se » non fane con diligente cau- » tela ». Rusio scrisse con assenna- tezza sul praticare la castra zione. Accennò dapprima l’ope- razione da eseguirsi col ferro, che volle affidata a persone esperte. Poscia parlò della ca- strazione per mezzo della tor- sione a cordone coperto, come sì fa sui buoi in molti paesi e specialmente nel Tirolo. Ma avendo riconosciuta difficile la torsione, perchè i cavalli hanno li nervo duri et forti, rac- comandò la castrazione per acciaccamento dei cordoni, da operarsi con idoneo apparec- -chio, per distaccarli dai testi- coli. Cavallu apertu denanti., Ca- vallo aperto anteriormente. Ru- sio cap. 92. pag. 185. « Se lu » cavallu ene apertu denanti ». E volle significare quella pro- pria conformazione del cavallo “per la quale la faccia interna di una gamba si allontana di troppo dall’ altra. E l opposto di serrato 0 ristretto. Ambedue i difetti ren- dono i cavalli più deboli. L’a- nimale ristretto è più soggetto ad incavallarsi, ovvero a co- prirsi siccome suol dirsi più generalmente. Cavallo guercio (d'uno occhio overo di due). Cieco da un occhio o da entrambi. Lib- Mas. p. 47. « Quando il ca- » vallo è guercio d’uno ochio, » overo di due i suoi segnali » sono ecc. >. Cavallo sordo. Affetto da sor- dità. Lib. Mas. p. 47. « Quan- » do vedi il cavallo gietarsi » li orechi drieto in ogni tem- po, quello è sordo ecc. ». Cavallo mutolo. Affetto da mu- tolezza. Lib. Mas. p. 47. « Quan- » do il cavallo noe inetriscie » (nitrisce), né non chiama, » e non fa alcuno suono cola » boca, quelli è mutolo ». Cavallo mordente. Che ha il vizio di mordere. Lib. Mas. p. 62. « Al cavallo mordente » lima i denti di soto e i » denti di sopra ecc. ». Ciarda, Zarda, Giarda, Iarde. Giardone. Lib. delle Mas. p. 53. « L’ infermità che si chiama ciarda aviene nele junture de’ piedi e nele junture dele ginochia, e di tuta la ganba, et è similiante al vitio d’os- so che escie di fuori: » Maestro Mauro greco scrive Cialda, e cio probabilmente per vizio di profferenza. Aven- do riguardo alla sede precisa della malattia, Ja scienza la definisce una esostosi (osteoma) alla parte laterale esterna del garretto del cavallo sulla testa del peroneo, che si estende < % % 4 © — 233 — sulla. faccia posteriore dello stinco; e, più o meno volu- minosa che sia, costituisce un’ affezione sempre grave. Giarda 0 giardone (fr. jarde, jardon) chiama Brugnone il soprosso più o meno volumi- noso, di figura ovale, che si produce alla parte inferiore della fascia esterna del gar- retto all’ estremità superiore dell’ osso dello stinco. Cigratia. Vena sottocutanea to- racica. Vena della cinghia. Vena dello sperone. Rus. p. 365. « Allura se sange dela vena » che se dice cigratia, cioene » appresso le cenge ». Nell’ Ed. di Spira il testo ha: de vena quae cinantia dicitur ecc. Chiavoni, Clavoni, @lavi, Chiodi. Lib. delle Mas. p. 28. « Se i » chiavoni saranno nella pianta » del piede, la cura sua è » è ogniere (ugnere) lo luoco » con olio e con graso ». Pare s’ abbia a intendere quel male che i moderni chia- mano è? nocchi. Infatti gli an- tichi chirurghi diedero il nome di clavi alle callosità dure, os- sia ai Calli. A questa voce è poi affine l’ altra Clavardo, indicante quel tumore avente forma di chiovo 0 chiodo, spe- ciale foruncolo del cavallo, che pur si chiama chiovardo. Cimora. Cimuro, Cimorro, Cia- morro, Moccio, Morva; fr. morve. lat. malleus. gr. pxAt<. Rus. p. 129. « ane una infer- metate vulganamente dicta Cimora, descendente de lu capu lontanamente (lungo tempo) infredati, veniente per cursu de reuma escente per le nare continuamente, cusì comu l’ acqua, aducente humure fridi et alcuna fiata plu spissì ». I toscani distinsero con que- sto nome più particolarmente lo strangulione e la coriza. Nei libri antichi trovasi pure usata l’espressione capo morbo (capitis morbus) 0 capo morto per sinonimo di Cimurro. Nell'edizione di Spira leggesi infatti: De Cimoira, seu capumorbo. La voce Malis, da Mallos, lana servì a indicare le ma- lattie pestilenziali dei bruti, come il Limos d’Ippocrate la peste dell’uomo (Metaxà). yu 4 yu 4 vv v v_ ww Conansia, Squinansia. Lib Mas. p. 6. « Lo stato di squi- » nantia si è nel capo dela » bestia e nel collo e nel petto » e nella medolla dello spinale, » infine alla metà del dorso ». E a p. 21. « Se per cascione » dela conansia aviene fistola » nele parti del capo del ca- » vallo, la cura sua è porre ‘» lacio da ogni lato dell’ apo- » stema ». Descrivesi il flemmone alla nuca detto dai volgari Mal della tolpa 0 talpa e se ne — 239 — indica il metodo curativo che sarà pur sempre il più conve- niente. Conrigine. Coriagine. Lib. Mas. p. 6. « E infiasioni di petto e conrigine >». La parola coriagine usata dai più antichi scrittori di ve- terinaria equivale, per comune consenso, a Marasmo, Ema- ciazione. Nello stato di marasmo la pelle /corium) aderisce mor- bosamente ai tessuti sottoposti, però venne indicato colla pa- rola coriagine. Infesta pestis est bubulo pecori, quam coria- ginem rustici vocant. Vegezio lib. 4. c. 12. Corva. fr. Courbe. Rus. p. 217. « La corba ene una passione » abeniente alu cavallu de su- » pra alu capu delu garrectu » in delu mastru nervu nante » dectu patiente lesione tu- » ctavia >». La Corba o curva o curba costituisce una gonfiezza o tu- more osseo (osteoma) oblungo a guisa di un mezzo uovo, posto sulla parte inferiore ed interna della tibia e precisa- mente sul suo condilo interno in cui nasce l’ esostosi. Per questo fatto la corva è un’ esostosi della parte interna e superiore del garretto verso la sua piegatura, e lo sparaga- no della sua parte inferiore. tale tumore può aumentare di tanto volume da estendersi sino all’ articolazione dello stesso garretto, opponendosi ai mo- vimenti delle ossa che la com- pongono. Dall’essere bislunga o dal trovarsi verso la piegatura del garretto derivò probabilmente il nome di corva. In un codice contenente alcuni belli segreti scritti nel- I Abbadia, l’ anno MDCXV,. 4, di proprietà dello scrivente, s° insegna che la chiamano curva per questo, perche il cavallo piega la gamba non dritamente e l impedisce il piegarla. Cornu. Corno, fr. Cor. Rus. p. 164. « Lu cornu ene una infermetate » in delu dorsu delu cavallu, » alcuna fiata runpente et » mortificante lu coru delu » dossu et cavante insucta lu » locu usque all’ ossu multi » fiate >. Si chiamò corno, o mal del corno, la callosità dura, elevata nella punta a modo di corno, e molto dolorosa, che si pro- duce nei luoghi contusi, am- maccati 0 piagati dalla sella. Al corno venuto a suppu- razione, scrisse Brugnone, suc” cedono ulcere più o meno larghe e profonde, che alcuna volta cavano la carne infino all’ osso, volgarmente chiamate polmoncello o mal del polmone. V. Polmone. — 240 — Ruffo ha: Vien detto corno, perchè il cuoio con la carne nelle spalle par duro come un corno. Cotura. Cauterizzazione, applica zione del fuoco a qualche parte del corpo del cavallo. Lib. Mas. « E cura la cotura cole medicine che dete sono di so- pra ». V. Cuociere. Crepacio. Crepaccia. Lib. Mas. p. 52. « El cavallo il quale ae » la infermità che si chiama crepaci, osia rape, in tutti i piedi sua, la quale magior- mente aviene ne le junture de’ piedi, e spese volte le junture e le ’stremitadi del- unghie, le quali curare non puote con si malo vitio, perciò ch'è una spesie di lebra; muocie a l’operatione sua, è di minore prezo ». a p. 54. « Altre specie di crepacie, osia rape, aviene nele junture de’ piedi de’ cavalli, ma sopra l’ ongie e di dietro ecc. E di questo male sono due generatione: luna è quando il male si chiama maschio, e 1° altra -é quando si chiama femenino ». « Altra generatione di cre- pacie, la quale aviene sopra il calcagnio del piede de’ cavalli, la quale si chiama crepacie bovine ecc. ». Crepacza, Crepaccia. Crepac- cio. Rus. Cap. 1412. p. 249. c Fase alquante infermetate in- vw Sg See N, Agr, dll: | » ter la iuntura dela ganma » et l’ungia, runpente lu coru » et la carne, quasi a seme- » glianza de scaia (scabia), » dante grandi ardore in multe » fiata alu sustenente questa » infermetate ecc.... E questa » passione vulganamente se » chiama crepacza ». Crepaccia per traversu. Cre- paccia trasversale. Rusio cap. 113. p. 255. « Fase alquante » plu longue et traverse cre- » paccie continiente per acca- » siune dell’ altre crepacce, le quale se fane inter la carne viva e l’ongia ece. ». Bonsi nel principio del nostro secolo saviamente scriveva. — Le Crepacce sono mali che fendono in più luoghi la cute delle gambe del cavallo, e sono metamorfosi di uno stesso male, che gli scrittori di veterinaria con un’inutile speciosità di vocaboli hanno distinte in: Melandre, quando trovansi allo piegature dei ginocchi. Solandre, se sono nelle pie- gature dei garretti. Rappe, quando sono secche e pel traverso. Ruini cambiò la parola rappe nella più ita- liana di Rughe. Serpentine , quando sono po- ste nel senso della lunghezza, nella parte posteriore della pastoia. Traverse, se hanno una di- rezione traversale. Se dalla » » — 241 — piegatura del pastorale e dalla parte posteriore della nocca le serpentine montano insù, scorrendo lungo la corda ma- gna, allora, come avvertì Bru- gnone, si chiamano Spica, reste o code di ratto. Mule traversine o traversiere si dissero le crepacce fisse alla pelle dei pastorali e della nocca. I Maestri Mauro e Marco insegnano che le Crepaze nel principio si chiamano esche. (Reste di Rusio o Creste). Frate Teodorico nel suo li- bro di Veterinaria trattò delle mule dei cavalli, quae nascuntur ex firigore, quando equus tem- pore frigoris per viam lutosam incedit, il che già avea inse- gnato Ippocrate, dicendo che sogliono prodursi nel cavallo che va per la via che ha erba spinosa e viscosa e poscia passa per pantano, overo per acqua. Tutte le accennate altera- zioni, non sono che manifesta- zioni diverse di vizio erpetico, o di una particolare cacchessia linfatica. Ippocrate, dico | in- diano, qualificando le Crepaccie una specie di Lebre e Rusio di Scabia o Tigna dimostrarono di conoscere la cagione recon- dita della malattia 0 la sua essenza. { moderni le chiamano col nome di Psoriasi. Cuppelete. Cappellette. fr. Cape- let. Lib. Mas. p. 53. « Nelle » estremità delle calcagnie de’ » piedi de’ cavalli, overo di » fuori, overo entro, overo di » sopra nascie una infermità » similiante a cuppelete (cap- » pelletti) ma non nuocie al- » l’operatione sua, ma è di » minore prezo ». I cappelletti sono molli tu- mori, mobili, più o meno volu- minosi che si trovano sul capo o sulla punta dei garretti, per lo più indelenti. Si vuole derivino dal latino caput. Cuociere, cauterizzare, dare il fuoco. Lib. Masc. p. 62. « Cuoci » la vena, la quale è nel capo ». Rus. p. 377. « Cocilu a modo » de inflatu a rota ecc. ». Curte. Ascesso sanguigno. Rus. p. 167. « Le Curte sono al- » quante infermatione a modu » de pane in delu corpu delu » cavallu, le quale spitialmente » nasce per abundantia de » sangue corruptu in carne » molle appressu lu coiru ». Codesta descrizione vuole che a vece di curte leggasi turte. E 'turte scrive Alberto Magno rettamente. Oltre ciò M. Pier Andrea le chiama Focaccie. E nell’opera de Ma- scalcia, di cui si dice autore Giordano da Todi (Viterbo 1574), si legge — Le Turte costituiscono un’affezione che . altrimenti si chiama Rubea ( Raboa del testo indiano). 16 —_ 222 — « Lo ajuto de quella Rubea è questo, che tu in più luochi la fuori; con la lan- cetta ferirai lo infiato, et poi refregha il luoco con aceto e con sale infinché faccia la schiuma, et questo fa spesse fiate, in fin che vederai quello humore che non ne uscirà più. Et poi tolli la cenere et cernila et mescola con olio, et ongeli tutte quelle ferite et enfia- ture. E se lo infiato fosse molto duro col succhiello » caldo lo pertusa ». Cutellatu. Rus. p. 279. « Se lu » cavallu sarrane cutellatu in » delu pede, cioene » partutu in delu pede ». lat. Si equus fuerit cutellatus in pede, hoc est, multum speratus (spellato) in pede. Il volgare del Tramezzino ha: « Se ?l » cavallo fusse cudellato nel » piè, cioè spedato ». Il cod. Ercolani (testo Ba- rolitano ) cutillato. Il traduttore francese del sec. XVI. cudele, c'est a dire sil a les pieds morfondus. i Ji Re a e. e Re Lo dei ne Gi Ma “E. se ) D Desolare. L’ operazione per la quale viene esportata la suola del piede nei solipedi. Rus. p. 293. « E nota che multe et » diverse infermetate voi li- » sione, avene ali pedi deli multu. » cavalli per le quale de ne- » cessitate s'è opu desolare le » onge ecc. >. Discieverare. Lussare. Lib. Masc. p. 22. « Quando il cavallo non » si puote muovere con la » coscia dinanzi per cascione » di dolore dela spalla, sapie » che ’l nerbo (legamento) dela » spalla è discieverato (sepa- » rato) dalo luogo suo ». Dolore di capo. Cefalea. Lib. Masec. p. 6. « dolore di capo ». Dolore d’ orecchie. Ottalgia. Lib. Masc. p. 6. « dolore » d’ orechie con rodimento. » (pizzicore) ». Dolore dele tempie. Nevralgia della parte predetta. Lib. Masc. p. 6. « dolore dele tenpie ». Dolure da superfluitate delo sangue. Uolica sanguigna od infiammatoria. fr. Tranchée. Rus. p. 363. « Un'altra infer- » metate abene alu cavallu, » la quale se genera acciden- » talamente intru dalu corpu » delu cavallu, aducente intru » in delu corpu delu cavallu » doluri et torsiune multi ». Dolure della ventusitate. Co- lica gazosa o ventosa, Timpa- nite. Rus. p. 365. « Fase al- » cuna fiata doluri per vento- » sitate intrante presure feata » per li pori delu corpu ». Dolure dela superfluitate de manecare. Colica per indige- stione. Rus. p. 367. « Dolure » vene alu cavallu per multu i Rm — 243 — » manecare de orio non dige- » stu, inducente intru in delu » ventre tortione crudelissime » et diverse et affligente le » flancura continuamente ». Dolure per multe retentione ad’ urina. Colica nefritica, Stranguria. Rus. p. 369. « A- » bene alcune fiata dolore alu cavallu per lu retenere dela urina, inflante la vessica, faciente grave torsiune et dolore ecc. ». Erano positive e precise le cognizioni di Rusio intorno le quattro specie di Coliche ricordate; il che viene dal medesimo affermato col ci- tare M. Mauro. « Ma Mastru » Mauru prosequeta et dice in » altru modu questa materia, » che lu dulure in delu- ca- » vallu non ne altru se non » la colica; altri ne dice stro- » » » >» » >» » » pu, et altri ne dice trincia- sune; perciò che l’ entestina de cotale passione se trunca spessu ». La parola trinciasune fa sov- venire facilmente la francese tranchée usata per indicare la Colica , o la Spagnuola Toro- zon (Cabero. De Los Toro- zonos 0 célicos). E Enca pestratura. Incapestratura. Chiama cosi la ferita che sì fa sotto del nodello degli arti posteriori del cavallo, quando | animale arriva ad introdurli dentro la cavezza 0 capestro che lo tiene legato. Rus. p. 269. « Avvene spesse » fiata che lu cavallu pune » lu pede denanti, et plu spes- » samente lu pede de retu in » delu capestru, et quandu » vole retrare lu pede non » pone, et perciò gle abene » ca lu cavallu ave lisiune in » dela pastura delu pede, dala » parte de retu, et fase locu » una lisiune, voi incisiune, la » quale vane usque ali nervi », Enfiatura, :inflatura. Gonfiezza. Tumefazione. Lib. Masc. p. 17. « e pongono nel luogo del- » l’enfiatura. p. 16. Ma se le » infiature appariscono ecc. ». Ernia, Hernia. Lib. Masc. p. 56. » Quando i coglioni del cavallo » sono molti grandi, la quale infermitade si chiama ernia, allora il cavallo appare molto SOZO >. vs F Falcia. Falce. Rus. p. 205. « La » falcia delu cavallu se lede » per multi accasione ecc. ». Così viene detta la faccia an- teriore dei garretti,che è ve- ramente piegata a modo di falce. Crescenzio nel lib. 9. cap. 8 nomina la falce, ed in- dica la migliore sua conforma- zione con parole poco diverse — 244 — nei vari testi publicati, Nel- l’ edizione del 1514: « El ca- » vallo che ha i garretti curti » le falci distese et larghe » curbe dee essere natural- » mente ambiante ». (Così in quella del 15419, e nell’ altra dell’ 1553. In quella del 1606: « El cavallo, che ha i gar- » retti corti, le falci distese, » e anche forti dee essere » naturalmente ambiante ». Nell'edizione di Bologna1 784. Si legge come nella Giuntina. « E "1 cavallo, che ha i gar- » retti corti, le falci distese, » e anche forti, dee essere » naturalmente ambiante ». Nel testo pub. dal p. Sorio. « E ’lcavallo che ha i gar- » retti corti, le falci distese » e anche forti, dee essere » naturalmente ambiante ». Le falci distese sono vera- mente quelle che danno la migliore conformazione de’ gar- retti, poichè se fossero troppo piegate, ij garretti divente- rebbero deboli e facili ad am- malare. Farcina. Farcino. lat. farciminium. Mal del verme, Cachessia far- cinosa, Angioleucite farcinosa. Rus. p. 355. « La farcina per » troppuhumectatiune de carne » et per le repletiune de hu- » mori recepe lu nomu. La » quale farcina alcuni la chia- » maverme,perzochè pucturusu » (putrido) humure superfluu » fane in dela carne forami » acuti, comu fane in terra lu » verme.terrenu >. Si vuol notare che Rusio avverti il passaggio del farcino in Moccio (cap. 145): « E se » lu verme’ volativo passa in » de cimora, la quale cosa » spesse feata abene ecc. >, e che distinse quattro forme di Farcino. Altri nominarono il Verme Sanguigno, il canino, il moscaritolo, il bianco, il car- vonazzo, che risponde al Verme muro di Crescenzio. Caracciolo ne distinse sette specie: 1.° Canino: che nasce nelle parti interne delle coscie e si estende per ogni lato. 2.° Lazaroso: che appare molle, di colore rosso. 3.° Moscaiuolo: che fa le pustole piccole a guisa di granella, ma spesse e sparse per tutto il corpo. 4.° Bianco: che fa mol- te bocche dure e di colore bianco. 5.° Corbaccio: quello che rende nere le labbra della piaga. 6.° Cacaivolo: quello che dall’infezione del fegato dipen- dendo, irrompe nel petto a guisa dell’ anticuore. 72 Volativo: che produ- ce le piaghe al capo ed al collo. Farfala, condiloma, porro (Pa- ME — 245 — pilloma) Rus. p. 253. « Vale... » a farfale et ala tingnia ». Fiato dala bocca. Affanno. Lib. Mase. p. 6. « E desciendimento » di suo fiato dala boca ». Quand'è impedita la funzione del respiro, il cavallo cerca di facilitare il passaggio dell’aria aprendo anche la bocca. Il bue respira più facilmente a bocca aperta quando è ammalato di pneumonia. Ficu, fico, lat. ficus, papilloma della suola e di altre parti del corpo. Rus. p. 329. « La » ficu ene una molle inflatione » con rosceza (rossore) voi » cun nireza, senza pili, na- » scente da fore delu coru ». La rassomiglianza di tale neo- plasma col frutto del fico le procacciò il predetto nome volgare. Fistola. Fistola, fistula, Syrina. Lib. Masec. p. 53. « Nele piante de’ piedi de’ cavalli, e spesse volte, nascie male, il quale si chiama fistola, e quando si taglia, molto sangue n° e- scie >. E con questo nome par certo s’ indicasse il cancro della suola, o quello che chiamavasi mal del rospo, che i moderni dicon più propria- mente papilloma della suola. Rus. p. 417. « Abene alì ca- » valli alcuna fiata per anti- » quita plaga non curata, voi » per caneru non curatu, lu 9 “ yu » » quale se dice fistula. La » quale infermetate fane plaga » profunda c’ unu strectu fo- » rame >». i Stando a Rusio gli antichi avrebbero dato il nome di fistola al cancro del fettone, da altri detto mal del fico o fico, e confuso anche col pinzanese. Fluncella. Rus. p. 119. « Le » flancelle sono infermetate, cioene inflatione molle et pizule et in mezu so’ nigre, le quale so’ infra la voccha delu cavallu in delu la- bro contra li denti mascel- lari >». La voce fluncella è proba- bilmente un accorciamento della vol. flemmoncello. Indica però in ogni maniera quelle altera- razioni delle parti interne delle labbra o delle gengive distinte dai chirurghi coi nomi di Epulide e Parulide, e così pure que’ tessuti omeomorfi costituenti quelle piccole cisti che appartengono alle varietà delle Meliceridi. L’ Epulide è | apostema delle gengive con escrescenza fungosa. La Parulide è il gonfia mento infiammatorio delle gen- give, pel dolore delle quali si rende difficile la masti- cazione. La Pullaria, così detta da Vegezio, proviene o dall’ in- fiammazione del palato o dalla = sy I vs > *% — 246 — dentizione nei giovani animali o poledri. Fregamento di labre e dela boca. Prurigine delle labra e della bocca. Lib. Masc. p. 6. « Fregamento di labre e dela » boca ». Fregedetate delu capu. In- freddamento della testa. Fred- dore. Coriza. Rus. p. 123. « Fase una infermetate in » delu capu delu cavallu uni versalmente dantegle dolo- re, indulcentelie pagure et tremore, provocante tussa, inflantegle l’ occhi, alcuna fiata faccentele lacremare, et alcuna fiata gle fane sonare le flancora ». | LS Sei i Nu Se DE | Fumosu voi lebrosu (cavallo). Testo volgare cavallo furioso o Leproso. Rus. p. 377. « Se » lu cavallu ene fumusu voi » lebrosu, lu plu ceptu che » se po’ fare se sange dela » vena delu pectu voi delu » collu ». Furioso vel leproso nel testo latino di Parigi del 1532. Nella traduzione francese 1583 si legge cheval fireux ou lepreux, e nella descrizione del male, furieux o ladre. Ciò non ostante crediamo che ia vera lezione debb’ essere fimoso o leproso (lebbroso). Furma (lat. Sponzola o Spongiola). Formella. Rus. p. 249. « Intre » le iunture deli pedi et |’ un- ‘ » gia abene alu cavallu una » infermetate la quale vul- » ganamente se dice furma v:66G >, Formella è un’esostosi della corona del piede del cavallo, dell'asino o mulo, spesse volte derivante dall’ossificazione delle cartilagini laterali del piede. Tale malattia corrisponde a quella che i greci Ierocle ed Apsirto chiamarono Marmor, ed i posteriori marmora. Apsirto scrive. — Te pecudes enutrien- fem optimum nosse, quod pe- dibus praesertim prioribus, juxta ungulae exortum, quam vocant coronam, marmora pro- siliunt. Ea tubercola quaedam sunt, quae in callosam topha- ceamque duritiem coierunt, quorum injuria claudicantes equi permanent. Vegezio sotto nome di marmor comprese qualunque tumore duro, indolente, delle ginocchia ed anche delle nocche. Dino lo chiamò Soprongia. Queste soprongie sono anco da alcuni chiamate formelle. (lib. II cap. 37). Gli Ippiatri posteriori a Dino dissero marmore 0 marmori alcuni tumori duri del ginoc- chio: ai medesimi maestro Luigi Vento diede il nome di Lupie. Il tumore del ginocchio quando era duro ed indolente portava il nome di mazzo 0 male del mazzo. M. Marco greco lo disse mal bianco. Le Mazzole degli scrittori — 247 — di poi, sono costituite dalla morbosa dilatazione delle guaine sinoviali dell’articolazione della nocca, per cui, scrive Garzoni, ingrossandosi la giuntura al- l’ intorno rende la parte simile ad una picciola mazza. V. Galla. Malone dissero alcuni antichi la formella molto voluminosa ed indolente. La formella appartiene agl’/- perostomi dei moderni. G Galla. Galle o Gallette. Diconsi galle, ed impropriamente mol- lette, piccoli tumori risultanti dal morboso accumulamento di sinovia nelle guaine dei tendini flessori dei piedi in corrispondenza dei nodelli. I tumori a cui si da il nome di galle sono negli arti poste- riori, le mollette negli an- teriori. Rus. p. 233. « La galla ene uno tumore molle a modo d’una vescica, grande come nucella, voi comu noce. Naturalmente avene quandu lu patre e la manma sostene questa passione..... Acciden- talemente avene quandu li dessolte humuri scurrenu alu locu per grande fatiga exmodata ecc. ». M. Facio al cap. 49 le chia- ma Vesciche e raccomanda di pungerle per guarile. i oli Ji i I E Je dn e din | Rusio aveva insegnato a cu- rare le galle colla puntura, e quindi erroneamente si pretese essere un trovato moderno la puntura del tumori sinoviali. L’Ippiatro romano scrisse — « inprimamente finde lu coru delu locu dela galla cula lanceta, e la vescica et quella tumefatiune dela quale se fane la galla ». Acquarole si chiamarono le galle indolenti, probabilmente dall’ aquatilia di Vegezio. Mazzole o mazzuole se di- venute dure o di consistenza ossea. Avviene infatti anche entro le guaine sinoviali, spe- cialmente sul cavallo, il depo- sito di un blastema osseo, 0 di materia calcare, o quella speciale degenerazione che di- cesi ossea, origine dei tu- mori che hanno nome di o- steomi. vv ss 9 » Ganme torte. Gambe arcate, bovine ecc. Rus. p. 201. « La » torteza dele ganme se fane » pre erru de la natura, comu » ene dectu de sopra ecc. >». Lib. Mas. p. 49. « EI cavallo le cui gambe dinnanzi si torgono sicome arco, e quel- lo nasce col deto vitio, nol dei cavalcare ». E l’anzidetto è veramente il vizio che rende il cavallo ar- cato 0 costituisce |’ arcatura. In questo caso le ossa falangee degli arti anteriori sembrano “s ss © > — 2g — piegate, perchè il ginocchio, lo stinco e la nocca si allon- tanano dalla’ linea perpendico- lare sporgendo innanzi. Il ca- vallo é debole di gambe e poco sicuro pel cavalcatore. Le gambe bovine, le ginoc- chia bovine sono indicate da Crescenzio lib. 9 c. 9 (ed. 1511) « Il cavallo a cui le » ginocchia vanno in entro a » modo d’ archo è di piccolo » pregio, imperochè pessima- » mente vae ». Lib. Mas, p. 49. El cavallo » le cui ginochia sono archo » e sono piane, e natural. » mente nascie con questo » vitio, peggiore è in suo an- » damento ecc. ». Dicesi cavallo, arrembato di dietro, quando |’ articolazio- ne dello stinco col pastorale è sporgente all’innanzi. L’ugua- le difetto nelle estremità ante- riori costituisce il rampino. Giarda. Giardone. Lib. Mas. « Ma » se serà giarda, falo bene vir- » gare ecc. ». Ved. Ciarda e Ierde. Gibbo, scrignuto. Gobbo, Gibbo- sità. Lib. Mas. p. 57. « El » cavallo lo quale è gibbo, » cioè scrignuto ecc. ». E a p. 84. « Tolli del grasso de » gibbo de’ cameli ». Glandula, festudine voi scrofula. Scrofola, tumori scrofolosi, cachessia scrofolosa dei mo- derni. Rus. p. 327. « Le glan- » dule, voi testudine voi le » scrofule se fane de materia » corrupta in uno locu adu- » nantese, ca nascenu inter lu » coru et la carne ». Glandula, nel lib. delle Mas. a p. 64 con tal nome si in- dicano e descrivono gli stran- guglioni de’ cavalli. « Il se- gniale di questa infermitade è che una glandula, sicome uno nodo, se nascie nel palato, e perciò il cavallo runfa, e se per questo rema descienderà nella gola del cavallo, ocedrallo. E se que- sta infermità serà difuori della gola del cavallo, tolli buturo, e ugni con questo il male, e fumicalo con tamerisio infina che s’ apra la postema ». Stranguglioni chiamarono gli antichi le tonsille per la faci- lità colla quale si tumefanno e strozzano il paziente. Se ne ha esempio in Cicerone nel lib. della natura degli Dei. Nel Crescenzio vol. antico si scrive strangulione. Lo Strangoglione moderna- mente si nomina Angina esterna od adenite equina. Gli antichi scrivevano indif- ferentemente Gandola e Gan- dula. Il volgarizzatore del Cre- scenzio usò la varietà Gangola. 5 I ss UU vv yu 9 yy VI % Gocta dele rine. Apoplessia spinale. Rus. p. 179. « alu » cavallu che ane la gocta LTT e i Sn rr o da Sole pr — 249 — » renale facciase cotale re- » meia.... Gocta caduca. Mal caduco (morbus herculeus). Epilessia. Rus. p. 181. « Come per gocta » caduca ». Grappi. Rus. p. 245. « Li grappe » se fane in deli iunture dele » ganme in dele pasture, run- » piente lo coru locu, et la » carne per longu, et alcuna » volta per traversu ecc. Grappe, grappi ed anche Garpe, e più generalmente Ricciuoli. Psoriasi quando non non sono precedute dall'acqua alle gambe o fimatosi. Quest’ affezione d’ indole er- petica o parassitaria è rappre- sentata da escrescenze rosse, più molli e più sensibili dei papillomi, che furono così chiamate perchè disposte o collocate come i grappoli d’uva. Si mostrano alla regione dei pastorali od all’ intorno del nodello nel cavallo, nél- asino e mulo, quando sono ammalati di fimatosi, 0 soffe- renti per crepaccie croniche. I Ricciuoli, nel libro di Ippocrate indicati sotto il nome di figna, di rogna umida da altri, fanno irrigidire i peli, mantengono infiammata la pelle, la quale trasuda un umore acre e fetido che esulcera vie più il tessuto cutaneo. Gravezza delu pectu. Conge- stione polmonare. Rus. p. 183. ‘« Alcune feata abene che lu pectu delu cavallu se gre- va tantu, che lu cavallu pare inpedementitu del’annare; la quale cosa abene per l’abun- » dantia dela superfluitate delu » sangue ecc. >». v vv Griezaria e Grisaria, (Ricciuoli) Rus. p. 257. « Ane una pas- » sione la quale nasce in dela corona deli pedi deli cavalli, la quale passione se iudica essere incurabile ecc. Se chiama griczaria ». A p. 2641. « L’ unguentu che cura la griczaria e le crepacce per traversu et le crepacce, grappi, e le se- tacce, scarelle, et le reste longue et onne scabbia viva». La malattia che da Rusio si chiamò Grisaria deve cor- rispondere a quella che si disse Male dell’ asino, costi- tuente pure una forma parti- colare di Ricciuoli, le cui ulcerazioni avvengono sulla pelle delle corone dei piedi. E così alle grapicse di Ruffo « infirmità tra la coniunctura delli piedi, et delle ungie che rompeli la pelle e la carme in quel luogo et si dimostra a modo di rogna al cavallo » costituisce pure quell’ affezione che con lin- guaggio moderno si nomina Psoriasi degli arti. drv «o Ss ss S 4 Grosesa di lengua. Ingrossa- | mento della lingua. Macroglos- — 250 — sia. Glossocele. Glossite sem- plice e parenchimatosa. V. Lib. delle Mas. pag. 6. Guercio. Cieco di un occhio. guercio. Lib. Mas. pag. 47. « Quando il cavallo é guercio » d’uno ochio ecc. ». V. Ca- vallo guercio. I Impedimento di purgasione. Stitichezza, costipazione di ventre. Lib. Mas. p. 6. « Impe- » dimento di purgasione delle » superfluità del corpo. Incalliginare. Upacarsi. Vpaca- mento leggero e semitraspa- rente della cornea, nuvoletta. Rus. p. 99. « Se l’occhi se ‘» incalligina, voi illu ene per » feruta, voi illu ene per » reuma supreveniente ». V. Macula. Inchiovatura. Inchiodatura. Ac- cidente pericoloso, che accade nell’applicazione dei ferri coi chiodi ai piedi dei giumenti. La cattiva direzione presa ac- cidentalmente dal chiodo o la sbagliata applicazione del me- desimo può ledere i tessuti vivi del piede. Rus. p. 279. « Ene » da vedere dela inchiovatura, » dele quale imprimamente le » specie sone da distengere >». Inarborato. Inalberato. Lib. Mas. p. 62. « El cavallo che stà » volentieri inarborato sule » gambe e su li piè drieto , » ece. ». Equivale altresì a drizzarsi sulli piedi posteriori, come spiega il testo ». Quando » lo scudiere sarà sul cavallo, » e il cavallo si dirizzerà suli » piedi drieto, alora lo per- » cuoti speso e di forza ». Infermetate naturale. Malattie congenite. Rus. p. 94. « L’in- » fermetate naturale so’ decte » quelle le quale se tra’ delu » ventre dele manma ecc. ». Le malattie congenite furono da Rusio divise in quelle che hanno aumento del numero o volume delle parti, o diminu- zione; e in quelle che sono per errore della natura. « Alcune ne abene per acre- » scementu; alcune per de- » menutione; alcune per erru » dela natura ». Infiatura, Infiasione, Enfiamento (Tumori diversi. Edemi). Lib. Mas. p. 6. 16. «In qualunque » luogo nel quale si truova * » infiature nel corpo del ca- » cavallo, apri cola saetuza in più luoghi sotilemente ecc. ». Infiasioni di peto. Gonfiezza limitata a qualche parte del torace. Edemassie sottoster- nali. Lib. Mas. « Quando apare » il peto del cavallo infiato, » tolli sangue al cavallo dele » vene dele ginochia ece. ». Infiamento di palato, Palatite o Stomatite, vol. palatina. Lib. Mas. p. 6. Sono compresi in questa — 251 — definizione i tumori diversi del palato distinti dagli antichi ippiatri coi nomi di: Lampasco o Fava, Floncella, Barbule o Rane ecc. V. questi nomi. Infiatione di nervi. Sinovite. Tumori sinoviali (nervettoni, tinconi dei volgari) Lib. Mas. « E infiatione di nervi di » fuori ecc. ». Nervi si dissero dagli antichi i tendini degli anatomici. Infilatione deli cogluni. In- fiammento dei testicoli. Oscheo- cele ed Orchite. Rus. p. 189 c 191. Sotto questo nome ab- braccia l autore l’ ernia dello scroto, e l’ ipertrofia dei testi- coli. « Avene alcuna fiata li testiculi delu cavallu per diversi accasiuni intunmire voi inflare, la quale cosa ene assai periculusa. Et e’ fase per superfluitate de humuri currentece (ipere- mia). E fase pre smodata fatiga voi incarcu, quannu se runpe la pellicula, la quale ene intre le intestina e li testiculi, per la quale cosa li intestina cadenu in dela bursa deli testiculi e de fenne li testiculi assai inflano (Ernia) ». Descrive la rottura del pe- ritoneo e la caduta degl’ in- testini nello scroto. V. Ernia e Lib. delle Mas. p. 6. iu vv vo vv. vive UU viu vuo Infredatura. (Corizza, raffred- dore, Catarro ndsale). Lib. Mas. p. 59. « Il male de la » infredatura, che aviene ali » cavalli e sicome la infreda- » tura che aviene ali homini ». E a p. 6. « Quando il » cavallo è rafredato come » | uomo, cioè rafredatura » nel capo del cavallo, ecc. Infustitu, Infusticu (da Fustis?). Crescenzio. Infestuto. Rus. cap. 143. p. 341 e 343 «et fase » infermetate et actractiune » de nervi inpedementente l’an- » namenti delu cavallu, lu » quale male se dice infustitu » vulganamente ». Il traduttore Francese del- l’ opera di Rusio pone come sinonima di Infestuto od In- fustito la parola courbature; voce di dialetto ed antica, che si adoperava per indicare le croniche malattie di petto. Altri in modo assoluto di- cono equivalere a peripneu- monia. Considerando le cagioni del male, ed i sintomi che lo ca- ratterizzano, parrebbe piutto- sto equivalere all’ Infuso 0 ri- preso. Crescenzio lib. 9. cap. 24. lo defini un male che produce atraimento di nervi con un pocho di enfiamento che fa venire dolori et impediscie l'an- dare del cavallo. Ruffo chiamò |’ infustito un — 252 — male che fa gran dolore al cavallo. Infuso e Infunditura ed Infuntura. Lib. Mas. p. 35 e 81. «e .a » molti cavalli aviene che » quando la infunditura de- » sciende a’ piedi ecc. ». » Ma se la infuntura de- sciende ai piedi, tolli de’ sermenti e pone sopra la terra mundata e in su quelli metti il fuoco ». Infusione. Rus. p. 3419. « Et » questa passione vulganamen- » te se chiama infusione ». V. Rinfuso. Crescenzio, Columbre trat- tarono dell’ infusione in un senso il quale dimostra che la % vu © * per ciò -la Safena o la sotto- cutanea degli arti per i mali dei garretti e della parte di- gitata della gamba, la vena lacrimale per curare la flus- sione lunatica (Irite essudativa dei cavalli). L’operazione si eseguiva da- gli antichi col metodo accen- nato da Rusio, cioè tagliato il cuojo al disopra della vena e questa scoperta, veniva. to- talmente isolata, poi la legavano in due punti distanti due dita l'uno dall’ altro e la recide- vano interamente fra le due legature. Ora si direbbe rescis- sione delle vene, qualora fosse caso di praticarla. consideravano come uno stato Interferire. Intagliare, intagliarsi. di pletora o ripienezza. Tutti dissero derivare dal troppo ‘mangiare, o dalla soverchia fatica, e portare per conse- guenza impedimento al cam- minare. Lib. Mas. p. 58. « Il cavallo » il quale è infuso per cascione » di molto orgio ecc. ». Inserrare voi allazare le vene. Legare ossia allacciare le vene prima dì eseguire la rescissione della medesima. Rus. p. 89. « L’ inseratione voi » l’ allazamentu dele vene ». Gli antichi costumavano di Allacciare la Vena per arre- stare i cattivi umori alle di- verse parti del corpo e special- mente agli arti. Allacciavano Rus. p. 201. « Se le ganme » de retu se torce indentru » interferennu |’ unu pede col- » altru annandu, deaglese lu » focu ecc. ». Interferitura. Intagliatura Rus. p. 273. « La interferitura pro- » cede quandu lu cavallu anna (va) troppo strettu culi pedi, voi denanti, voi de retu; per la quale cosa lu cavallu se interfere, et l’ anamenti soi se impedementissi et lu ca- » vallu zoppeca ». “ss 5 <= +» Intestinu (cacciar fore l°) Prolasso dell’intestino retto o della sua mucosa. Rus. p. 189. « Se lu » cavallu caccia fore lu ’nte- » stinu ». Ierda. Giarda o giardone. Rus. p. 214. « La ièrda ene molle » inflatione a grandezza de » unu ovo, alcuna fiata minure, » et nasce cusì da fore, comu » da intru in dele garrecte ». La descrizione lasciataci da Rusio intorno alla /erda di- mostra avere l autore dato tal nome a quella malattia che i volgari chiamano vesciconi, e che la scienza fa consistere 0 nella sinovite articolare dei garretti, o nella morbosa dila- tazione delle guaine sinoviali delle "articolazioni. V. Ciarda. Iarde. Giarde e Zarde. Lib. Mas. p. 18. « Ma se la infiatura si » è per cagione di jarde ecc. ». V. Giarda. L Lacreme ;dell'’occhi) Lagrimazione, Epifora. Rus. p. 97. « Spesse » feata avene în delu cavallu » pasione de lacrime senza » modu, sicchè appena po’ » aprire l’occhi ». Lagrimare. Lacrimare. Lib. Mas. p. 36. « Ma se li lagrima, » bagna e riga l'occhio con » aqua tiepida ecc. Lampastu. Lampasco.Rus. p.117. « Lu lanpastu ene una infer- » metate che nasce in dela » parte de supra dela voccha » super li dente, e fase per » habundantia de sangue ». Lampasco e da alcuni Fava, — 253 — la gonfiezza circoscritta del palato rassomigliante per* la forma ad un grano di fava od al frutto del Lampone (frambois dei francesi ) Rubus idaeus Lin. o del Rovo (Rubus fruc- ti cosus L.) More vul. Nel medio evo adoperandosi morsi pesantissimi dovevano essere anche frequenti le ma- lattie della mucosa della bocca del cavallo. Insegnò il Peschiolanciano generarsi sul palato presso i denti rapaci (scaglioni ) un’en- fiagione così chiamata perchè rassomigliante nella forma al lampone. Langiu, Lancio, Langio, Lango. Rus. p. 389. « Lu langiù ene >» una infermetate veniente in » dela coda delu cavallu, voi » altruve, a modu de Cancru ». Diverse. affezioni indicarono gli antichi sotto il nome di Langio. La descrizione che ne diede il Rusio ci autorizza a crederlo come un’ Erpete ro- dente o come un vero lupus, da chiamarsi Cancro alla Coda; o carie delle vertebre caudali. Marino Garzoni dichiarò essere il Lancio il Cancro della coda. Brugnone insegnò essere costi- tuito da. un tumore bernoco- luto, livido, di natura :cancerosa, il quale incomincia da un gon- fiamento varicoso delle vene emorroidali e si stende a poco a poco alla parte inferiore del sc DE — ” fusto della coda: e con ciò si accorda col Rusio. Peschio- lanciano scrisse il lancio o langio è un male che a guisa di un cancro viene alla coda e fa cascare non solo i peli, ma anche la carne ed i nodi dell’ osso. Gaetano Malacarne per con- trario nelle descrizione della malattia posta sotto tale nome pel bue, disse essere il Lango Secco un reuma od artrite universale con febbre acuta; il lango umido o Morbio, una gonfiezza enfisematosa univer- sale con riprensione o rifon- dimento e gonfiezza del ventre. Lebra. Lebbra. Lib. Mas. p. 52. « Nel’ unghie de’ piedi de’ ca- » valli dinnanzi e di dietro, e spese volte, appare alquanta grosseza, la è una infermità che si chiama lebra, la quale è pessimo vitio il quale vitierà il cavallo ». Per ferite o piaghe fattesi nelle unghie, si producono nelle parti lese escrescenze carnose, o bottoni fungosi indicati dai francesi col nome di cerise, e da noi semplicemente fun- gosttà. | A dl Du Da, Lisione dela lengna. Piaghe, ferite e contusioni della lin- gua. Rus. p. 119. « Lu male » dela lengua avene per diverse » accasioni, et fase in della » molte plague et diverse ». Lisione delu garrese. Mal ‘del garrese, piaga del garrese, fi- stola del garrese, flemmone del garrese ecc. Rus. p. 175. “« Quandu lu guarrese tropu » se enfla per la sania, dea- » glese lu focu dall'una e » dall’ altra parte ». Lucerdu. Lucerdo. Rus. p. 145. « La sginia, voi lu lucerdu, se » chiama una infermetate la » quale abene in delu collu delu cavallu sichè non po’ flectere lu collu nè quà né là, nè po’ pigliare mangiare da terra se nu cun inter- vallu ». Il volgare del Tramezzino usa le parole Scima 0 lucerdo. Il francese scrive del male del collo che si chiama Lucerde 0 scime 0 scoritie. V. Scima o Sgima. s > S <= M Macula. Macchia, Opacamento biancastro della cornea, mag- giore o più forte che nella nuvoletta. I volgari la dicono anche fioretto nell'occhio. Rus. p. 105. « Se lu cavallu ane » macula in dell’ occhi, agi » l’ ossu della seccia ecc. >». Male feruto (de equo male fe- ruto). Dela male ferritura e del male feruto. Rus. p. 164- « Abene alcuna fiata alu ca- » vallu una infermetate in deli » lunbe, voi in dele rene, » dantegle locu duluri et — 259 — » atraiente li nervi, non ces- » sante (incessantemente) ». Paraplegia, semiparalisi del treno posteriore. Difilato de- gli antichi statuti di Milano. Allentatura di schiena degli antichi statuti di Siena ecc. Il male feruto e la mala ferritura di Rusio sono di ori- gine latina (male ferrens) cavallo che male si sostiene, o male si regge. La botta di schiena dei volgari, il male del fianco o dilombatura o dilombato degl’ippiatri del passato secolo. Gio. Bat. Ferraro lasciò scrit- to. « Il male ferito, voce non » molto nota, et così detto » dai professori, sarebbe effe- tivamente non altra che il disrenato, o la infermità dei rognoni. Alcuni la chiamano gotta, facendo perdere il sentimento et i moti dei membri, ecc. Caracciolo, citando i maestri marescalchi Pier Andrea e M° Luigi Vento, dice non esser altro che dislogatura di reni, ossia dislombato; male per cui il giumento non può dalla parte di dietro alzare Je gambe. Gaetano Malacarne ricordò il Male Feruto de’ buoi ed insegnò: Feruto (male) debo- lezza dei quarti posteriori con incurvamento della groppa. sy Use is Male del vermo. Verme. Far- cino. ( Cachessia farcinosa ). Lib. Mas. p. 16. « Quando » questa infermità aviene al » cavallo, molle infiasioni apa- » iono similianti a nodi, overo » similianti a noci..... e questa » infermità si chiama il male » del vermo ». A p. 18. « In- » fiamento per lo male del » verme. In Vegezio è pure farcime e verme. Maledictu in delu pede. Ca- rolo, intarlatura. Rus. p. 3413. « Se lu cavallu ane lu male- » dictu nellu pede ecc. ». Il difetto del piede, che si produce per una specie parti- colare di carie della linea bianca della suola, che Rusio disse maledetto nel piede, nel- l’ edizione di Spira venne ap- punto ben chiarito colla glossa De maledicto in pede, seu carolo. Il Carolo, si chiamò anche formica, tignuola ecc. Cariolo e formica. secondo Marino Garzoni si conosce quando è nella pianta, dal vedervisi la suola carnosa, e tarlata nella maniera che ap- pariscono i legni cariolati. De malo dicto Carolo in pede. Abbenché il vol. del Tra- mezzino abbia del maledetto nel . piede e il francese. Du maudit au pied, inchineremmo e cre- dere che Rusio scrivesse : De malo, dicto carolo, in pede, e che per trascuranza de’copisti, — 256 — o per altro che non sapremmo ben dire, si raccorciasse ‘e di- cesse De maledicto in pede. Male di tussire. Tosse. Lib. Mas. p. 60. A p. 39 e 40 trattasi della /osa la quale prociede da calore. Male della ventosità. Timpa- nite. Lib. Mas. p. 34 « per lo male dela ventosità ». Male dela Vescica. Dissuria. Iscuria. Stranguria. Cistite. ecc. V. Lib. Mas. p. 6. Male della vocca. Palatina, pa- latite, floncelle, Lampasco, Fava, barbule. (V. questi nomi). Rus. p. 115. « Abene alcuna volta » che in dela voccha delu cavallu sone inflatione, voi glandule, longe a grandeza dele mandule, per una in- firmetate la quale nasce in dela vocca delu cavallu ecc.; se la vocca sarà tucta inflata, incontenente se sange dela lengua, zoene dele vene, le quale sone sula lengua. E se ancora lu cavallu averà lu palatu inflatu, quella in- fiatione se fonda per longu c° una lancetta bene acu- ta ecc. >». Così Rusio insegnò a prati- care il salasso delle ranine ed il salasso così detto al palato. Mancamento di fiato. Asfissia. Lib. Mas. p. 65. « Quando il » fiato del cavallo ismenova, » tolli bitturo di vacca, e » pone nele narie sue per yu. wu 9 us vs ÙU ui sv » alquanti die, e poni quello » nella stalla oscura e mon- » da ecc. ». Mania (deli cavalli). Rabbia. Rus. p. 381. « Se lu cavallu cu- » menza ad avere la mania » sichè muccichie et fera ecc.». Più scrittori tengono essere indicato sotto la dinominazione di mania quella malattia cro- nica del cervello che si chiamò poscia capostorno e balordone; e ora immobilità. Molicte, Mule voi setacce. Mule o Setacce. Rus. p. 261. « Le » molicti voi setacce, nascenu per lu fredu quandu lu cavallu anna per la via lutuosa in delu tenpu fre- du »: Si chiamarono anche Setacce come scrisse Rusio p. 263. « Li pili che sono inter lungia e la prossima iuntura, lu quale locu alcunu la chiama pastura, tuctavia stannu levati susu, quali pare che sia seta de’porci ». V. Crepacce. Monfonditu. Rus. p. 187. « Se » lu cavallu sarrà monfunditu, » finde la pelle supra la fon- » tanella dell’ anca ecc. ». Il vol del Tramezzino legge Morfondito : il francese Morfen- du. La parola francese Mor- fondure si tradusse da tutti per infreddatura, Coriza, catarro nasale. Il metodo di cura proposto “s < < yu > — 257 — da Rusio pel Morfondito di- mostra che non intese indicare con tale nome |’ infreddatura. V. Infreddatura. Morfea. Lib. Mas. p. 56. « El » cavallo che ae la infermità che si chiama morfea bianca, la quale aviene nel collo, overo nel musello, overo di sopra ali ochi ecc. ». Risulta la morfea da mac- chie di colore diverso della pelle provenienti da irregolare distribuzione del pigmento, o mancanza del medesimo. E, A I Morfea, Serpigine et impetigine. Rus. p. 425. « La morfea et » la impetigine, voi la serpe- » gine, abene alu cavallo comu » all’omu ». V. Fumosu. Moro, celsu. Porro o condiloma. Rus. p. 325. « Decemo adunca » che lu moru, voi celsu, ene » una superfluitate de carne » granate (granellosa o fungo- sa) veniente in dele ganme, » voi in altra parte delu corpu ». I nomi di Moro o celso (gelso) corrispondono ai co- muni Porro, condiloma, poichè anche in chirurgia umana erano adoperati. Citiamo in prova P opera di Giovanni de Vigo, cerusico nativo di Genova (Ra- pallo) Practica in arte chi- rurgica copiosa ecc. Lugduni 1518. In questa consacra un capitolo per trattare del Moro o porro. Gli antichi ben giustamente distinguevano i Porri e le Ver- ruche; i primi, ossia i porri, avevano molte radici, e face- vano, come dice Rusio, una grossezza di carne granata senza coru et pelu. La Verruca presenta un solo peduncolo ed è liscia nella sua superficie libera. N Nantecore. Anticuore. Rus. (An- ticor) soffocatione del cuore. Rus. p. 359. « E facta la sania, » currumpe la sustantia delu » core, et cusì sequeta la » morte, unne questa passione » se chiama soffocatione de » core, cioene lu nante core ». Sincope, anticuore, come il latino Anticor. Nervo azacato. Tendine acciac- cato o contuso. Rus. p. 423. « Se lu nervo fosse intussu » (contuso) ecc. ». Ed. di Spira. Nervo con- trito. Nervo contronato, intornato. Intasato. V. intinconato (Tinco- ne). Ed. di Spira. « De nervo » interconato (interconatus) ». Rus. p. 423. Nervo contronato o intorna- to (lat. intriconatus ). Tendine intasato. Intasamento di tendini (obturatus).I maniscalchi chia- mano fincone quell’ ingrossa- mento dei tendini flessori 17 — 258 — degli arti che suole succedere alle sinoviti di questo tessuto. Rus. p. 423. « Se lu nervu » sarrane intornato, fagle la » coctura culu ferru fucan- » te ecc. ». 0 Orbità. Cecità. Perdita della virtù visiva. V. Lib. Mas. p. 6. La cecità congenita nel ca- vallo e nel cane si vuole cau- sata da amaurosi o gotta se- rena, è può prodursi in se- guito dell’Irite essudativa e del Glaucoma acuto. P Paemia, clavardu voi acquarola. Chiovardo di Dino Dini, Ruini, ecc. forunculo delle parti infe- riori degli arti ne' cavalli. Rus. p. 271. « Paemia, clavardu, » voi acquarola, che tucte ene » unu, fase per urtatura de » ferru, voi de preta, voi de » lenu, derectu alu pede den- ». pressu. all’ ungia senza la » inflatione dele ganme, et » crepa e fete et essie delenne » humore fedu ». Rusio così descrive il chio- vardo cartilaginoso dei Vete- rinari, il quale produce |’ ul- cerazione della cartilagine se- milunare del piede. Non tratta del cutaneo, il quale compare sulla pelle dei pa- storali, suppura e lascia usci- ro il caput mortuum od il nocciuolo del fignolo. Non dell’ incornato , che prende sede sotto del tessuto cor- neo in corrispondenza d’ uno dei quarti. Non del fendinoso o nervoso, frequente nei cavalli da tiro, così chiamato per- chè corrisponde ai grossi ten- dini della regione metatar- sica. I più antichi ippiatri distin- sero però col nome di acqua- role le galle indolenti. Nell’ edizione di Spira si legge in tutti i luoghi Paenna, Clavardo seu Aquarola. Palatina. Gonfiezza del palato. Stomatite. Rus. p. 117. « Al- » cuna fiata abene che nasce » in delu palatu una inferme- » tate che ugualmente se dice » palatina ». Il gonfiamento della mucosa del palato negli ammalati di palatina, propriamente detta, è maggiore nella faccia inferiore appresso ai denti incisivi. Rusio (p. 115) parlando del male della bocca, che impe- disce i movimenti masticatorî, consistente in particolari in- flationi, voi glandule, intese forse della forma morbosa ac- cennata. Panno. Albugine, panno della cornea. Leucoma. Lib. Mas. -p. 12, « e questa cura simi- » liantemente iouva contra il Ma » panno e la scurità deli » ochi ». V. Albume. Rus. p. 99. « Nasce alcuna » fiata in dell’ occhiu unu » pannu blancu, lu quale tene la pupilla dell’ occhi e copre ‘» lu vidimento ». 4 Passio cardica. Passione car- diaca, Malattia del cuore, Mor- bo cardiaco. V. Lib. Mas. p. 6. Il testo latino scrive vulsus (bolso), espressione giustifica- bile pel fatto che nei cavalli bolsi si incontrano pur sempre lesioni di cuore. Peditare (lat. Peditare). Mandar venti dall’ ano. Lib. Mas. p. 54, « ma è di questa infermità » segno uno... e molto pe- » ditare ». Pili. (caduta de’). Alopecia. Rus. p. 387. « Cade li pili della coda delu cavallu quandu lu sangue supra habunda troppu ecc. E per questa rasione nasce la prurigine for sia gle non soccurra ceptu >». L’ Alopecia nel caso indicato dal Rusio deriva dallo sviluppo di una malattia erpetica, molto facile, alla coda dei cavalli. Cfr. Lib. Mas. p. 6. dov'é detto del pelamento de’ crini della fronte e de’ peli (del corpo). % uu © » UU vw Pisciare sangue.Ematuria. Mitto sanguigno. V. Lib. Mas. p. 6. Plaga. Piaga sul corpo del ca- vallo. Rus. p. 408. « Se lu » cavallu averane qualcuna pla- » ga, agi la radicina delu » malvavischiu ecc. >». Plaga de saecta intossecata. Piaga prodotta da freccia av- velenata. Rus. p. 425. « Se » lu cavallu ene ferutu de » saecta intossecata ecc. ». Podagra. Sotto tale nome si ha da tenere indicata la Ri- prensione, Lib. Masc. p. 27. « Il male dela Podagra è » quando il cavallo non puo- » te porre il piede in ter- » ra ». Ponsonisi. Pinzanese e Pizzanese. Rus. p. 273. « Ane un’ altra » infermetate abeniente alu » cavallu propriamente in dela » bullectu de l ongia dove la » carne viva si iunge cull’unge, » la quale inpedementissi lu » cavallu, comu infusione, et » detenel’andare delu cavallu... » et vulganamente se chiama » ponsonisi ». Gli antichi a due malattie diverse han dato il nome di pinzanese, luna del fettone (bullectu di Rusio) e l’altra della lingua; però la seconda si riguardava come conseguen- za della prima, e quindi sotto la nominazione di pinzanese dobbiamo tenere indicata quel- l’ ulcera sordida del fettone de- generato per quelle cagioni che furono accennate anche da Rusio. Da altri si chiamò Formica. — 260 — Brugnone non colpi nel segno quando n’accertava che gli anti- chi col nome di pinzanese avev :- no parlato del Cancro volante, affezione acutissima d’ indole carbonchiosa, la quale ha sera- pre un’origine miasmatica, non la precedenza di un’ affezione cronica del fettone. Dino Dini nel lib. 1. cap. 52 chiamò Pedana la malattia detta dai più Pinzanese. Di- stinse tre specie di pinzanese: cioè quello delle nari, quello della lingua, e quello de’ fettoni, che li rende fracidi. Il pinzanese, o la formica de gl’ ippiatri, è l’ulcera sordida, che suole prodursi specialmente ai fettoni dei piedi posteriori. Garzoni ed altri diedero il nome di pizzanese alla sola ulcera del piede. Postema. Apostema. Ascesso. Lib. Mesc. N. 66. « Pone mente » se la postema è neta ». Pruritu, prurigine, pruritusu. Prurigine e pruriginoso. Rus. p. 145, « e le locura scagiuse » voi serpiginuse et prurituse, » voi rungiose, se ungia. Et » pose lu pruritu, voi la pru- » rigine, sì curare >. Pucezula. Pustola. Rus. p. 177. « Fase alcuna volta alquante » puczule, voi pustole, et ex- » corticatione in delu dossu » delu cavallu ». Diconsi pustele in medicina le elevatezze della cute circo- scritte, proprie delle malattie eruttive. Le vescicole sono costituite dal sollevamento del- l’ epidermide e contengono solamente siero; le pustole vengono riempite da cellule purulente o pus. Pulcinu. Bolsaggine. Rus. p. 335. « Fase una infermetate alu cavallu in deli canali deli pulmuni acturantile, sichè a granne pena lu cavallu » po' respirare...... E questu » male se dice vulganamente » pulcinu ». Notevoli, pel decimo quarto secolo, sono le cognizioni di Rusio in ordine alla bolsag- give tanto dal lato etiologico, quanto dal semeiologico e te- rapeutico. v x » Pulmone, pulmuncellu. Polmone o polmoncello. Rus. p. 169. « Fase una lisione in delu » dossu delu cavallu runpente » et murtificante una parte » dela carne delu dossu, et » cavante lu dorsu usque al- » l’osso ecc. È questa pasciune » pulmone voi pulmoncellu , » perzò che ane forma e seme- » glianza de polmone ». Allo speziale guidalesco, chiamato polmoncello, gli an- tichi diedero pure il nome di Costana avendo sede sulle pa- reti toraciche. r11_m==_@———_———_—_————_——_—————————__r_—_——— o — — — 261 — R Ragiatu, voi habentu dessinteru. Dissenteria. Rus. p. 315. « Un » altra infermetate abene alu cavallu in delu ventre fac- ciente rumure in dell’ en- testina, et fane spesse fiata lu cavallo fumare lo cevo non degestu et liquedu comu acqua..... Et dicese questa passione vulganamente ra- giatu ». Crescenzio (ed. del 1511 e 1519). Aragniati. Testo Sorio: Aragaico. Testo Tramezzino: Ragiatura o Disinteria. Testo Francese: Ragiature o fluxe de ventre; \ edizione prima del testo latino ha: Ragiatu- ra ecc. Nel Crescenzio del 1544 si legge. « Questa infermità vul- » garmente s’ appella... sì fà » nel ventre del cavallo la » quale inducie torzioni et fa » rughiamento nelle budella » et constrignie il cavallo a » mandare fori lo sterco in- » digiesto et liquido a modo » » » » » v v y © us vs d’ acqua, onde appena pote il cavallo alcuna cosa man- gisre che non la mandi fori anzi che l’ abbia smal- tita ». La descrizione della malattia fatta da Ruffo, Crescenzio e Rusio condurrebbe a riguar- darla, come osservò Brugnone, quale vera Lienteria, se non si dovessero pur sempre tenere le interpretazioni dei chiosatori più antichi. Raso del ferro. Csuterio in forma di raggio, ferro per cauterizzare foggiato a raggio. Lib. Masc. p. 12. « Cuoci co'o raso del fer- ro ecc. ». Rema. Reuma, Reumatismo, vizio reumatico. Lib. Masc. p. 6. « e multa rema che desciende » da questi luoghi ». a p. 12. « Quando la rema desciende » ali occhi, e le palpebre » fanno uva qualche liposità, » cuoci la vena la quale è » è nel capo del collo ecc. ». Reste, resche (Creste). Crepacce. Rus. p. 249. « Ancora a quellu » medenmu fane questu un- » guentu, et ene dectu un- » guentu ructoriu, lu quale » vale ali grappi et alle sete » et alle sarchie et ale reste » longue ecc. ». Traduzione che ben risponde al testo dell'edizione di Spira, la quale ha... quod valet ad grappas quascunque et crepa- tras et setacias et sarclas et restas longas, que nascuntur super nervos. Quantunque sembri che Ru- sio abbia indicato malattie diverse coi nomi di este e di Crepacce, pure da ciò che scrissero M.° Mauro e Marco risulterebbe, che il nome Re- — 262 — sche era più anticamente usato per indicare quelle infermità dell» pastore del cavallo che poscia si distinsero colla deno- minazione di Crepacce. V. Grappe e Crepaccie. È anche da sapersi che gli antichi distinsero col nome di Reste quella Rognaccia, che viene nella pelle della parte posteriore dello stinco, formata da creste dure e piene di fessure. Restio, Rustico. Restivo. Lib. Masc. p. 61. « El cavallo il » quale è restio; falli. usare » freno di morso grosso ecc. ». In questo capitolo (3), si considerarono specialmente i vizi morali del cavallo, ogget- to in ogni tempo di gravi discussioni fra le persone in- teressate a regolare e garan- tire il commercio degli ani- mali. Infatti nell’ antico statuto dell’ arte dei Fabbricanti di Firenze vediamo indicati i prin- cipali difetti coi nomi che se- guono: « Mal del morbo — Pietra » — Capomorbo — Capogatto » — Capogiro — Cimurro — bolso — morbo umido -— » avido — subavertazze — » anservitale — cefalatioso — » » A subrenale, e fulgine nezzoso (tra trenta giorni) ». « Cozzare e brecciare — » Mal maestro — (Epilessia) » mal di fianco e lunatico » — (tra quarantac nque gior- » ni) ». Ogni altra malattia e difetto come « Sparagano, giardoni, corbe, doglie vecchie, natura fuori, allentatura di schiena, restio-granchio, tirare alla stoffa, mordere, non si lasciar mettere la briglia, sella o basto, gettarsi nell’ acqua, in terra, o vero cavalcandosi o con la soma, scrofe, maz- zuole, cornetti, formella chiavarde, capelletti, sopros- » si, dolori » ed altri simili mali tra giorni dieci, sempre dal di del contratto. se v_S »v yy yy è Y Restivo. Restio. Rus. p. 383. « Spesse feata lu polletru, per » lu malu insegnatore, lu ca- » vallu, quandu se doma, se » fane vitioso et restivo ». Rinfuso, rifuso, infuso. Rifondi- mento. Riprensione. Lib. Masc. p. 35. < E difino ehe "1 ca- » vallo il portarae, non sarà » mai rinfuso, ma, s° elli serà » rifuso, guerrà ». E a p. 58. « Il cavallo il » quale è infuso per cascione » di molto orgio, overo per » cascione di bere aqua freda » quando è afaticato ». Il Molin nella memoria Sopra la Veterinaria di Pelagonio, rammentando le indigestioni ordeacee, dice che formano nei cavalli quella malattia detta dai Greci crithiasis, dai lati- nisti hordeatio,. dagl’ italiani at iii Fo mn I cell’ TA RA + — 263 — morbo infuso o rifondimento (e, secondo la traduzione del Tramezzino, anche orzuolo ), e dai francesi Fourbure. Rungia. Rogna, Scabia. Rus. p. 143. « Dice alcuni ca la » scaia ene una infermetate in dela coteca dell’ animale, la quale la chiama rungia alcuni dala rugositate, per- ciò che ane longue rungi (lunghe rughe) ». V. Scaia. UU vu yu S Sarcla. Quarto, filo-morto dei maniscalchi. Lat. sarella. Ed. di Spira Scazola. V. Sete, Reste. Scabia. Rogna. Lib. Mase. p. 30. « Ma se la scabia serà nela » coda del cavallo ecc >». E a p. 39. « Altra infermità » si è scabia, e curasi sicome » li altri animali che ànno la » scabia ». Scaia, Voi grattatura voi pruritu in delu collu, voi în dela coda. Scabia, Psora. Rus. p. 437. Alcuna volta avene che in delu collu delu cavallu ap- pressu lu guarrese, et in delu truncu dela coda, pru- ritu voi scabie se genera, unne de spéssu gractare se genera pustule e li pili dela coda se ne cade e li capilli. » (crini) ». % > > > Vv» vv a Scalmatu, Scalmato, Scalmatura. Rus. p. 331. « Molte feata abene alu cavallu una infer- metate magagnante lu corpu et seccantelu intru ecc. Et abene per lontana macreza alu cavallu et abenegle per pocu manecare et abene per scallasione de fecatu et de tuctu lu corpu, per la quale cosa lu cavallu macresce et assecca quasi consumato..... et questa passione se dice scalmatu ». Scalmato, scalmanato, scal- manatura, Morbo Scalmato. Van- nucci scrive Scalmarsi, dima- grirsi. La voce scarmana significa Pleurite o pleuritide. Scalmatura da Brugnone si fa equivalere a passione celia- ca; e però anche secondo i les- sici corrisponderebbe a quel particolare flusso di ventre pel quale vengono evacuate mate- rie bianche e quasi chilose, ossia alla Lienteria. Nell’ edizione di Spira il capitolo s’ intitola de equo stalinato invece di scalmato, e leggevisi hec passio dicitur stallinatura invece di scalma- tura. Nel cap. 30 lo stesso Rusio adopera il verbo scalmare in significato di scarnare: « Allura » per lo smodato cavalcare » pose ligieramente desiccare » da intru voi scalmare ». sy > 4 vu vu VU yu U yy uu Scorticamento. Scorticatura. A- — 264 — brasione. Lib. Masc. p. 65. « Se alcuna lesione serà neli » luoghi che deti sono, sicome » scorticamento o tagliatura ». Scrignuto (gobbo). Lib. Masc. p. 57. « El cavallo lo quale » è gibbo, cioè scrignuto, la quale infermità aviene sopra la schena preso ala gropa, il quale è sozzo male e nuocie all’ operatione sua, e non sì pote curare ». V. Gibbo. s uu UU SS vu“ Scrofola. Scrofola. Vizio Scrofo- ‘ loso. Struma. Lib. Mase. p. 77. « Disero i savi che le scrofole » sono mali che soto la gola » de’ poledri nascono quando » sono in einque, overo in sei » mesi, od infinchè mutaranno » i denti ». Le scrofole o porcellette fu- rono dette Testudini da M.° Giorgio. Sculmatu. Rus. p. 185. « Un » altra lisione abene alu ca- » vallu per alcuua accasione, » movente lu capu dell’ anca, » voi alcuna fiata partentelu » da lu locu duve se sole na- » turalemente demorare ». A questa descrizione è premesso il titolo: De equo scalonato; nell’ edizione Spirense : de equo sculamato sive de malo anche. « Delu cavallu scul- » matu, voi de lu male del- » l’ anche ». Dove è chiaro che la parola corrisponde alla comune lussato. Lo stesso Rusio infatti nel terminare il cap. parlando della cura conclude: « Onne cosa glese faccia come » ene dectu nelu capitulu delu » spallatu ». Scalonatus corrisponde al lombardo sgalona, Spirola, . spuntato , disceverato. Pier Crescenzi, Ruffo intendono quel male che fa separare e partire il capo dell’ anca (testa del femore ) dalla naturale sua po- situra, quindi Scu/mato equi- vale, come dicemmo, a lussato nella testa del femore. Seta, setola. Filo morto. Quarto. Lib. Masec. p. 52. « EI cavallo » il quale ae ne’piedi suoi » dinanzi e in quelli di die- » tro, infermitade formicaria, » cioè seta, et è in vena la » quale appare nell’ unghia, » la quale è similante al filo ». Le setole sono fessure dell’unghie dei solipedi, lun- ghe o corte, larghe o strette, profonde o superficiali, le quali prendono diversi nomi secondo le parti in cui han- no sede. Se trovansi nei quartieri dello zoccolo, dietro della punta e più verso i tal- loni, si dicono dai vulgari quarti è fili morti. Quelle che si producono nella parte anteriore e media del piede ed arrivano sino al tuello od al vivo sono dette prede di bue. Rusio a p. 299-303 insegnò PZ — 265 — che « se l'ungia si fende la- » teralmente si dice Sarcla » e per guarirla dice che « se » carre la seta cola rosnecta »: si faccia cioè per guarila, quel che da tutti ora si pratica, lo smarginamento della setola per impedire il pizzicamento della carne scanalata. La setola dagli antichi venne pure chiamata Ma! dell'Asino; ma posteriormente si distinse col nome di male dell’ Asino quella forma speciale di Rieciuo- li pei quali le ulcerazioni si for- mano sulla pelle delle corone dei piedi. E a p. 82. « Quando la » coronella del piede del ca- » vallo è fesa ». Quest’ ultima forma è quella precisamente che può meritare il nome di male dell'asino, come appare anche dal Bour- gelat. Nel Codice Colombiano, la Seta si chiama anche Rimula. « Rimula over scissura.... la » quale disparte la continuitate » de l'unghia e l’unghia fen- » de ». Nell’ed. di Spira si legge seta seu sarcla; nel no- stro sarella, contrazione di sar- chiella. Setoloni diconsi le fessure danneggianti i talloni, e Rotture quelle che si trovano nella punta in vicinanza de’ ferri. Sginia voi lucerdu. Stima o Lucerdo. Rus. p. 145. « La » sginia voi lu lucerdu se » chiama una infermetate la » quale abene in delu collu » delu cavallu sichè non po’ » pigliare mangiare da terra » se nu cun intervallu ». Il volgare del Tramezzino: Scima o Lucerdo, e così pure il testo di Spira. Secondo il Prof. Molin equivarebbe al’ Tetano (Scimiam seu lucerdum nuncupat tetanum ) secondo altri al Mal del cervo. In questo luogo però corri- sponderebbe meglio a Trismo (trismus), perché parlasi di affezione, limitata alla testa ed al collo, ed il cui carattere prin- cipale si è quello di non poter aprire la bocca. Columbre chiama lacerto un particolare enfiamento del collo prodotto da ventosità o flem- matico umore. Alberto Magno appella Stiva un male del collo che ne im- pedisce il piegamento. 1 Maestri Luigi e Andrea danno il nome di Lacerto alle enfiazioni del collo in gene- rale. Sopraoso, Soprosso. Iperostoma. Tumore dell’ osso. Lib. Mase. p. 83. « E infiationi ancora di corona di piedi, cancri e soprossi che nascono nel ginochio, le quali cose non si possono guarire colle me- dicine, cura dunque è: cuo- cile col fuoco ». Ji a Me € Ri i — 266 — V. Suprossu. Spallacci. Spallacce come nel Crescenzio cap. 29. Rus. p. 173. « Fase un’ altra lisione supre » le spalle faccente tumure, » la quale se chiama vulgana- » mente spallacci ». Impiagamento alla regione delle spalle occasionato da compressione delle bardature mal preparate. Il traduttutore francese usò espaulettes. Altri le dissero Guidaleschi o Mascalcie (lat. Petimina). Suppurazioni od ulcere pro- dotte dalla sella nei cavalli di garrese rotondo. Spallatu. Spallato. Lussazione della spalla-o dell’ omero. Rus. p. 184. « Convenese alcuna » feata in dele spalle delu ca- » vallu una lisione, quando la » spalla se parte dalu locu » naturale ». Spavanu. Spavenio osseo. Rus. pag. 207. « Fase una lisone, voi male in delu. cavallu alla garecta dalu latu da intru de sucta ala garrecta, pocu desucta, alcuna fiata aducente tumore in dela mastravena, la quale se dice fontanella.... E questu male se dice spavanu, voi spa- vani >. È descritta quell’ esostosi della faccia interna ed inferiore del garretto, che si è chiamata ora Spargano, Sparavagno, Spa- vv vu vu ÙU cu uu UU vw rano, ora Scagnolo, Pun- tina ecc. Può essere tanto un Osteo- ma quanto un Iperostoma, ossia cominciare dalla parte interna dell'osso, o prodursi per in- fiammazione della esterna 0 del periostio. V. Spinele. Spinele. Spinelle. Spinella. Lib. Masc. p. 51. « El cavallo a cui si paiono canicole, o sia Spinele, nele sue coscie dinnanzi sopra la juntura; overo sotto la gamba, overo nele junture..... sempre è rio >». ‘Alterazioni diverse sonosi indicate col nome di Spinella. Per alcuni s’ intese un tumor - molle con fluttuazione sensi- bilissima, situato nella parte interna del garretto, nel luogo in cui passa la vena safena, ossia ll vescicone de’ volgari. Spinella dissero altri |’ e- sostosi, pure chiamata Spa- ravagno, Sparagano, Sparano, Spavano, Scavano, Spagano, Spavenio, dal lat. barb. Spa- venus, e dai moderni puntina. Giusta la terminalogia usata dagli antichi parrebbe doversi chiamare Spinella un’ esostosi che si produce dalla parte opposta della giarda, ossia alla laterale interna dello stin- co sotto del garretto, ma quan- do esistono in detta parte due o più soprossi contigui, cioè l uno aderente all’ altro. v, > > Y © — 267 — Sparavagno, Puntina, per converso, l’ esostosi che ha la sua sede alla faccia interna del garretto, interessante |’ e- stremità superiore dello stinco, dalla quale si estende verso la testa del peroneo interno ed in alto sull’ossa inferiori del tarso. Scrissero alcuni antichi es- sere lo Sparagagno un’esostosi intorno alla congiuntura della noce o garretto. La parte interna e superiore dello stincò chiamavasi Spa- ragano, da cuì il nome all’eso- stosi di detta parte. Il diverso significato dato dagli antichi al nome di Spi- nella e di Sparagano appare meglio osservando che descris- sero le Spinelle, altresì per le gambe anteriori, formantisi sotto il ginocchio immediata- mente, o nella congiuntura del suo osso col lungo fa- langeo. I Francesi dicono Spavenio ossoso 0 calloso l’ esostosi della parte inferiore interna del gar- retto. Spavenio secco quello che noi chiamiamo Spavento indi- pendente da esostosi, che si esprime con un movimento disordin:t0 e convulsivo dei muscoli estensori dello stinco e flessori del piede, i quali contraendosi più gagliardemen- te danno origine ad una fles- sione precipitata della gamba, per la quale suolsi dire che il cavallo arpeggia nel camminare. Sulle Spavane (spavani ). V. Rusio c. 103. Spinola voi spinella. Spinella. Rus. p. 221. « La spinula, voi » la spinella, ene una passiune » veniente de sucta alu gar- rectu in dele iunture del- l ossa delu guarrectu ve- ‘ niente in dell’unu ’'altru latu e genera suprossu a quantitate de una nocella, e alcuna volta plune, et alcuna volta minu, et intantu che lu cavallu de necessetate » zoppeca ». y s% y © » v >» ‘ Splendore (della luna). Rus. p. 173. « La cura delu cavallu » supre lu quale la luna ri- » plende ecc. ». È di qualche importanza il ricordare codesto pregiudizio degli antichi, i quali attribui- rono ai raggi lunari il potere di mortificare le piaghe acci- dentali del corpo. Scrisse Al- berto Magno. « In tutte le » ferite et aposteme del ca- » vallo bisogna haver questa » avvertenza, che il lume della » luna non casca sopra di » loro, perchè spesse volte » induce la morte ». Nelle opere antiche d’ ippia- trica si trova infatti accennato il male della luna: Giov. Ant. Cito napolitano (scrittore del XVI sec.) lo defini un male per cui l’animale perde il — 268 vigore e si stordisce et casca. Agostino Columbre nel cap. 50 del suo 3.° lib. tratta e- sclusivamente dell’ alterazione e corrutione che fa la luna nella piaga. Soprabundare (delu sangue). Iperemia. Pletora. Rus. p. 81. « Quandu lu sangue sopra- » bunda in delu cavallu, que- » ste so’li signia ecc. >. Squinanzia. Angina tonsillare. Strangoglioni. Lib. Masc. p. 4 » e squinanzia, cioè strango- » glioni ». Storliatura, scussatura. Rus. p. 187. « E lu cavallo se » dice storliatu voi scussatu, » (stortigliato o scosciato) ». Il vol. Tramezzino ha scor- ciliatura o scorciatura che male risponde al testo stortil- liatura sive scossatura. Il la- tino dell’ ed. di Parigi 1532 ha pure scorcilliatura seu scor- ciatura. i Nell’ed. Spirense (fol. 46) è Stortilliatura seu scossitura. « Equus hoc patiens dicitur » stortilliatus sive scossiatus » . E questa è la vera lezione, anche pel contesto di tutto il capitolo, dove si vede descritta la Stortilatura, od il rimovi- mento passaggiero di ossa, vol. Storta, passofalso, sinistro ecc. non già la scorticatura o l’in- terfregatura. Strangogliuni, Stranguglioni. Angina esterna, Strangoglione, Barbone, Gaioni vol. e Adenite equina. Rus. p. 111. « Sono » alecante gliandule alcuna » feata deturni ala gula deli » cavalli, e spitialemente quelle » che pare essere carne, le » quale alcuni le chiame bran- » che cavalline. Alcuni le » chiama strangogliuni ». Branche perchè abbracciano la gola. V. Glandule. La natura dello stranguglio- ne, riguardato come partico- lare al cavallo, è catarrale-in- fiammatoria, caratterizzata dal- abbondanza della . secrezione nasale, dalla tumefazione delle glandule vicine, specialmente di quelle del canale interma- scellare e della gola. Stropu. Colica nefritica. Rus. p. 371. « Ma Mastru Mauru » prosequeta et dice in altru » modu questa materia, che » lu dulure in delu cavallu » non ne altru se none la » colica; et altri ne dice stro- » pu, et altri ne dice trin- » ciasune ecc. >», Nello Spirense. Ab aliîs hec vocatur strophus, ab aliis vo- catur truncatio. Stunmire. Detumefare, isgonfiare. Rus: p. 375. « E se non stun- » misce per li dicti rimigi, » piglia ecc. ». Subactutu. Sobbattitura. Contu- sione della suola, per cuì si congestionano 0 si rompono ì vasi capillari, situati sotto del punto contuso, con dolore del i bn ina — 269 — piede. Ammaccatura. Rus. p. 289. « Per la quale cosa lu » tuellu de necessetate se lede » pre oppressione d' alcuna » cosa dura, et poichè ane » lisiune Ju tuellu, inter lu » tuellu e la sola fase una » abunanza de sangue con » dulore ecc. ». Subatitura. Sobbattitura. Lib. Mase. p. 60. « E subatitura » dele piante de’ piedi ecc. ». Suprepositura. Supreposta. So- prapposta. Sopposta. Ferita della corona del piede, che il cavallo produce da se sovra- ponendovi |’ altro piede. L’un- ghia può allora distaccarsi dalla pelle in corrispondenza del cercine coronario. Rus. p. 265. « Fase una lisione » supre la corona deli pedi inter la carne viva et l’ on- gia, faciente la ruptura dela carne in quellu locu ecc.... et megliu se la supreposi- tura non sarà troppu gran- » ne ecc, >. ss yy UU è» Suprossu. Soprosso, Esostosi, neo- plasia ossea. Rus. p. 223. « Li quali suprossi non sola- » mente se genera in dele ganme deli cavalli, ma in presure altre ossa dellu cor- pu..... e questa passiune se dice suprossu, perciochè mai non nasce sennu supre l’os- su >. Gli antichi chiamavano So- prossi particolarmente le eso- % VY 0 ss 9 vw stosi degli stinchi, le quali ebbero pure il nome di Sca- gnoli. Col nome di Esostosi, scrive Bonsi, si comprendono anche gli sparagani, le giarde, le curbe, le schinelle, le spinelle, le formelle, e tutti gli altri tumori ossei di questa natura. di Tagliamenio dele palpebre. Fe- rita delle palpebre. Lib. Masc. p. 36. « Ma se tagliamento » serà dele palpebre, tolli due » topi ecc. ». Torcimento delle labre. Lib. Masc: p. 4. « Per cagione della co- » nantia spese volte sì torceno » le labre dela boca del ca- » vallo da uno lato ». L’ indicata espressione viene a dire come paralisi laterale delle labbra. Tronco, voi spinu, intrante in alcuna parte. Tronco vuoi spino penetrante in qual- che parte. Ferita operata da spino. Rus. p. 407. « Casula- » mente abene multe {feata che » lu truncu de alcunu lenu, » voi spinu, entra in d’alcuna » parte delu cavallu,yremanente » in dela carne ecc. ». U Unghia torta. Unghia obliqua. Lib. Masc. p. 49. « EI cavallo — 270 — » la cui unghia pare torta, e Verme. Farcino, Rus. Cap. 144, » più lunga che l’altre unghie » de’ piedi ecc. ». Ungiola dell’ occhi. Unghiella (testo Spirense: Ungula) Rus. p. 103. « Nasce in dell’ occhi » deli cavalli una cartillagine, » la quale da multi se dice » ungiola, la quale a lu plu » piglia mezu l’ochiu ». L’ Unghiella valse a indicare una morbosa vegetazione od un’ escrescenza carnosa sulla terza palpebra 0 corpo ammic- cante o membrana detersoria; non già questo corpo medesimo destinato a mantenere |’ occhio umido e pulito. Uscimento di budello. Pro- lasso dell'intestino. Lib. Masc. p. 6. « Uscimento di budello » il quale si chiama colon ». V Ventusità. Ventosità. Timpanite. Timpanitide, Enfisema della cu- te. Lib. Masc. p. 6. « Ma se l’ infiatura serà per cascione di ventosità, scarasa luogo del male e ugni con olio caldo. Ma se le ventusità seranno forti, cuoci l’ uno lato e l’altro dello spinale colo raso del ferro, e povi sopra pe- cie tiepida ». y v € w% » v Ùv © » Vere. Vergella. Organo genita- le del maschio. Lib. Masc. « Quando il vere del cavallo » stà sempre pendente ecc. ». pag. 343. « Lu verme ene una » infermetate comenzantese in » delu pectu delu cavallu, voi » inter le cosse apressu li » testiculi ecc.... lu quale » male se crea da rei humu- » ri ecc. D. Non ne san dire di più i moderni. V. Farcina. Verme volativu. Verme vo- lante p. 355. Verme tupanaru. Verme tal- pino. È questa specie di verme che può passare in cimorro. p. 355. « E se lu verme vo- » lativo passa in de cimora » ecc. Et alcuni dicenu que- » stu verme tupanaru ecc. ». Cap. 146 p. 355 «la quale farcina alcuni la chiama verme, perzochè pucturusu humure superfluu fane in dela carne forami acuti co- mu fane in terra lu verme terrenu >. Verme. Farcino. Mal del verme. Lib. Masc. p. 36. « Se » estimerai quivi essere verme, » tolli spugna arsa ecc. ». Vermo. Farcino, Lib. Masc. p. 17 « e questa infermità si » chiama il male del vermo ». s % w < % Vermi li quali abunda in dele’testina. Elmintias.i Rus. p. 403. Quanduli vermi abunda » in delu cavallu, se se gle non » soccorre cectu occide lu » cavallu. E li sinna sone que- » ste, lu cavallu se volve e sable i een ne Da Veruca, — 271 — » revolve spessu et rudese le » latura soe ecc. ». Precisa descrizione della colica vermi- nosa. Veruche. Veruca. Papilloma. Lib. Masc. p. 31. « La cura di questo male è » cuocere le veruche con ve- » triolo e mele e sale spese » volte ecc. » E a p. 32. « Ugni la veruca con olio e » poscia vi spande acqua so- pra continuamente e caderà la veruca dallo luogo suo ». Molti scrivono porri 0 ve- ruche; ma sono due mali diversi per la loro forma se non nella natura. Il porro cor- risponde al celso 0 moro, 0 mal del moro, di Ruffo, Rusio ed altri antichi. E un .escre- scenza carnosa a superficie aspra ineguale, che si eleva dalle papille o da più radici della pelle appunto alla guisa dei porri legati alla terra da più barbette. La veruca deriva pure da pa- pille cutanee proliferate, ha for- ma spinata osemisferica, coperta d’epidermide fortemente ispes- sita. Si veggono le veruche più spesso al prepuzio nelle bestie cavalline e nel bue, come appun- tosi legge nel libro delle Mascal- cie p. 6. « Veruche nel capo » nele gambe, e nelo prepu- » sio, cioè minchia ecc. ». Nei cavalli s’ incontrano so- vente tumori papillari i quali » » guadagnano continuamente in estensione e producono mag- giore distruzione della pelle. Visio del cuore. Malattie diverse del cuore. Vizio cardiaco. Lib. Masc. p. 34 « al visio del » cuore ecc. >. Vitio della splenie. Malattia o male di milza. Lib. Mase. p. 34. « Al vitio dela sple- » nie ecc. ». Vivoli. (Vivole). Enfiamento delle parotidi. Rus. p. 19. « Lu ca- vallu habente li vivoli et subitamente suda tuctu, et tucte le membra soe tre- mano, et illu patiente stur- detione, pare che non porra canpare ». i Codice Barolitano: « Il ca- vallo che ha le vidule il corpo tuto suda et li mem- bri suoi tutti tremano et ha continuamente tortione et pare che non possa po- sare ecc. ». Codice Colombiano: « (Ca- » vallo c’abia le vivole e de » subito viene tutto in sudore, » e tutte le sue menbra li » trema, ae grave infirmitate » » “ > vv UU uv > “uu vv yy % in la testa e non pare possa scampare ». Nella rara opera di Mascal- cia di Giordano da Todi (1571) s'impara che da gli antichi si distingueva col noma di Vivoli o Vivole la malattia detta altrimenti scinanzia, sca- ranzia, conansia. ile È li 0) CORIO at : A Lo Ap Gita SI PORN Rea ELENCO DELLE MEDICINE E DEGLI ARGOMENTI TERAPEUTICI USATI 0 CONSIGLIATI DA LORENZO RUSIO. A Abellane. Noci avellane. Corylus Avelana. Linn. Rus. p. 391. « Agi l’abellane coli scorci » de supra >. Acetu. Aceto. Acelum vini (A- cidum Aceticum impurum). Rus. p. 191. « Acci l’acetu » fortissimu e la creta bian- » ca ecc. >. Acqua salata. Acqua salata. Rus. p. 135. « In acqua sa- » lata, voi acqua salata mari- na ecc. >. Acqua salza. Acqua salata Rus. p. 203. « Lavese quellu locu de » acqua salza, voi de salsa » materia >. Acqua saponata. Saponata fri- gida. Acqua saponata, saponea. Rus. p. 107. « Et poi fa la sapo- » nata in dell’acqua freda culu » sapone ». p. 107. « Eppoi » lava l'occhi cola saponata » frida ». Acqua cocta con semente de finocchiu. Decotto di semi di finocchio. Rus. p. 125. « E » beva assiduamente acqua » cocta con semente de fi- » nocchiu ecc. ». Acqua marina. Acqua di mare. Rus. p. 251. « Valace assai se » lu cavallu infermu se tengnia » nell'acqua marina ». Actramentu. Aframentum suto- rium. Vitriolo. Est illud quo sutores utuntur în cortis tingen- dis. Est autem duplex, fossile et factitium. Valet adstringere et crustas inducere. 18 ino VIE E Paolo di Egina ricorda |’ a- tramentum metallicum (vitriuo- lo degli italiani) e l’ atramen- tum scriptorum. Rus. p. 357. « Recipe de draganti et de » actramentu ». Affudilli, Asfodilli. Asfodelo. Aspodelus. Aspodelus albus. Linn. Rus. p. 417. « Inplase » la plaga dela fistula dela » pulve dela affodille ecc. ». E a pag. 411. « Recipe de » sucu de radicina de affo- » dili ecc. ». Agairicu (pulve). Polvere di A- garico ( Agaricum). Boletus fo- mentarius. Linn. Boletus igna- rius. Linn. Rus. p. 339. « Et » resolgici de agairicu ece. ». Agrimonia, acrimonia. Agrimo- nia. Agrimonia eupatoria. Linn. Rus. p. 391. « Valece 1’ acri- » monia pista, mestecata culu » lacte caprinu », Aguentu russu. Unguento rosso. Rus. p. 107. « L’ aguentu » russu contra lu russore » dell’occhi et dulure et san- » gue et panniculu (panno » corneale) ». La sostanza principale, © la base, dell’ unguento rosso indicata da Rusio è la Sinopia, o bolo armeno, o minio. Un- quentum rubrum. Unguentum de minio, sive de sandice. Airu, Aliu. Aglio. (code, capocza, sucu, reste ecc.). Allium sati- vum. Linn. Rus. p. 411. « Agi » l’ agli et lu pepe et lu » piretru ». p. 179. « Et de » code d’airu et de fava ». p. 277. e et c’ una capocza » d’ agli pistate ». p. 343. « Recipe de paglia de furmentu » et de reste d'agli et de » cenere ». p. 417. « et me- stecale colo succu dell’ alio » et dela cepolla ecc. ». Alce, e Aloe. Aloe Soccotrino. Da varie specie di piante del ge- nere Aloe. A. soccotrina La- marck. A. spicata Thunberg. Rus. p. 87. « Recipe de alce, » del galbano ecc. ». p. 101. « La polve dell’ ossu dela sec- » cia (sepia) cul’ aloe meste- » cata ». Aloe epaticu. Aloe epatico. Rus. p. 87. « De aloe epaticu » iij parte ». Aloe cavallina. Aloe cabal- lino. Rus. p. 139, « Et in dela » colatura sua se mecta la » polve dell’ aloe cavallina, et » dequestaacqualava le locura » inferme ». Alnu. Alno, Ontano. Alnus gluti- nosa. Willd. Rus. p. 137. « Re- » cipe le scorze mezane del- » l’alnu ». Cioè la parte interna della corteccia dell’ alno. Altea. Altea. Althoea radiz, folia, flores. Althoea officinalis. Linn. Rus. p. 129. « Recipe di altea » unc. Vj. ecc. ». Alume. Alume di rocca. Alumina, Sulphas Alum. et Potassae. Rus. p. 261. « Pulve de Alu- » me de marocco une. ij. ». — 275 — Alume d’ovo, Alvume dell’ ovu. Albume dell’ uovo. Albumen. Rus. p. 325 « La stoppa » col’alume dell’ovo infussa ». p. 349. « La stuppa munda in- » fussain alvume dell’ovoece.». Amandule amare. Mandorle amare. Amygdalae amarae. Amigdalus communis. Linn. Rus. p. 339. « De cardamone » et de pepe et de amandule » amare ecc. >». Anabulle, idest tutumagliu ma- tore. Titimalo. I titimali al presente appartengono al genere — Euphorbia. Il Titymalus platy- phyllus di Dioscoride, corri- sponde all’ Euphorbia pilosa. Linn. Il Titimalo Caracca al- lE. Characias, ed all’ E. orien- talis. Sibth. Anabula est spe- cies titimalli. Sunt ejus se- ptem species. Mat. Selvat. Rus. p. 353. « Recipe lu lacte de » Anabulla ». Questa dichia- razione ci assicura avere Rusio indicata con tale nome |’ Eu- phorbia helioscopia. Linn., la quale secondo Lemery si chia- mò titimalo o titimaglio da Tithe, mammella, malacos te- nero, molle, poichè questa pianta getta un liquido latti- ginoso: Rus. p. 153. « Lacte » de tutumagliu maiore ». Anaci, Anasi. Anisi vulgaris se- mina. Pimpinella. Anisum. Linn. Rus. p. 367. « semente » de fenu et de olio, voi de » anaci ecc. >». Anbra. Ambra. Succinum Eletrum. Rus. p. 3941. « condiscele c'unu » poca de muscatu, voi muscu, voi de anbra ecc. ». Ape voi scalantruni. Api o Calabroni. Apîs. Linn. Cra- bro. L. Rus. p. 393. « ardase » in unu vasu l'ape, voi li » scalantruni, li quali se trova » in dele baniura (bagni) ». Apiu risu. Apio delle risaie. A- pium risus. Apium graveolens. Linn. Sedano o Selero. Rus. p. 234. « La herba la quale se » dice apiu risu ». È |’ Eleio- selinum de’greci, l'Helioselinum di Plinio. Apli. Apio. Prezzemolo. Petroseli- num sativum. Hoffm. Rus. p. 225. « E lappli et la paritaria » e la branca ursina ecc. ». È il Selinon di Nicandro, Teo- frasto ecc., |’ Apium amarum, gracile, viride, vivax di Virgilio, Plinio ecc. ‘Apopenacu. Opoponaco. Oppo- ponaco. Gummi Opoponax. 0- poponax Chironium. Kock. Rus. p. 311. « De apopenacu et » de incensu blancu uguale- » mente ». Apostolicon. Apostolicone. Em- ‘plastrum Apostolicon. Rus. p. 253. « Resina de’ pini et de » apostolicon ecc. ». Areientu e Argentu vivu. Argento vivo. Mercurio. Ar- gentum vivum. Hydrargyrum. Mercurius. Rus. p. 187. « Agi » una paglia et inplila d’ are- — 276 — » ientu vivu ». E a p. 253. « Recipe...... de sangue de » porcu unc. vj. et argentu » vivu unc. Xv]. D. Armoniacu. Gommamoniaco. Gummi ammoniacum, dalla Do- remma ammoniacum. Don. Am- moniaco secondo |’ Orosi, è forse corruzione di Armeniaco. Rus. p. 303. « Recipe armo- » niacu, et de galbanu, et de » serapinu >. Arnoglossa maiore. Piantaggi- ne. Arnoglossum. Plantago ma- jor. Linn. Rus. p. 414. « Agi » de arnoglossa maiore et » menore ecc. (centinerbia) ». Arotanu. Abrotano. Abrotanum. Artemisia. Abrotanum. Linn. Rus. p. 405. « Alcuni pistanu » la ginestra e l’arotanu suc- » tilissimamente ». Arsenicu. Arsenico. Arsenicum. Acidum Arseniosum (polve). Rus. p. 105. « e cula polve » delu arsenicu se suprepone, » ca (ché) illu corrode gran- » demente. p. 234. « recipe » lu sapone saracenu et arse- » nicu ecc.>>. Assenzu. Assenzio. Absinthii vul- garis summitates. Artemisia. Absynthium. Linn. Rus. p. 225. « Delenne se recipa le cime « del assenzu tenere ecc. ». A p. 423. « Recipe de assenzu » et li sanmuci et la pinpinella » et la mentucza, et lu incensu » maschiu et la cera »: Asserece preta. Pietra silicea. Lapis silex. Rus. p. 101. « Re- » cipe dela ‘preta, che se dice » asserece, dela quale prete le » viaiura deli rumani so’ ac- » conci ». Assungia de serpe. Sugna o grasso della serpe. Rus. p. 391. « Agi quantu te pare d'assun- » gia de serpe ecc. ». Assungia et assognia por- cina vecchia. Rus. p. 155. « ungase con assognia porcina » vecchia ecc. ». Assugnia dela gallina. Rus. p. 104. « se unga de assugnia » dela gallina ecc. ». Assugnia ursina. Rus. p. 379 » et mestecale tucte insenmura » coll’ assognia ursina ». Assugnia dell’ ursu. Rus. p. 391. « voi cola assugnia del- » l’ ursu ecc. ». Astorlogia rutunda e longa. Aristolocchia rotonda e lunga. Aristolochia rotunda. Linn. Aristolochia longa. Linn. Rus. p. 357. « Astorlogia longa et » deli rotonda ecc. ». Aurtica, Artica. Urtica, Ortica. Urtica dioica. Linn. et Urtica urens. Linn. Rus. p. 85. « In- » fundi in delu sucu dela » aurtica ». a p. 171. « Nota » che l’artica morta ecc. ». Auru punmentu. Aureo pimintu. Auru pinmento. Auripigmen- tum. Trisolfurum Arsenicai. Trisolfuro di Arsenico. Rus. p. 419. « Recipe de auru » punmentu ecc. ». — 277 — Avantia. Erba benedetta. Geum urbanum. Linn. Rus. p. 359. « E lu enplastu factu de avan- » tia ecc. Testo latino Avancia. Vol. Tramezzino ediz. 1543 e 48. Anantia. Traduzione francese, Avance o pied de lieure come ha Matteo Selvatico: Avantia, idest: Sanamunda, idest Pes leporis, vel gariofilata. B Balbu. Barbio. Bardus. Cyprinus barbus. Linn. Rus. p. 53. « Recipe.... tucte l’ entrole... » delu pesce balbu ». Basalasini. Corregiuola. Lib. Masc. p. 74. « O tolli radicie » cardoni, cioè basalasini, e » pesta ecc. >. Se è da leggersi Basialragi, equivarrebbe alla pianta indi. cata dai Bot. col nome di Po- ligonum aviculare. Corregiuola. Basilicu. basilico. basilicum. 0- cymum Basilicum. Linn. Rus. p. 401. « et sucu delu basi- » licu ecc. ». Berbena, overo benbena. Verbena. Verbena officinalis. Linn. Lib. Masc. p. 16. « con erba che » si chiama berbena overo » benbena ecc. ». Bertonica, Bretonica. Bettonica, betonica. Betonica officinalis. Linn. Rus. p. 313. « et de » sucu de brectonica ». p. 259. « e delu sucu dela bertoni- » ca ecc. ». Blite. blito. bietola, bletone, bie- done, bledo. Beta vulgaris. Linn. Rus. prescriveva il sugo (succu) p. 135. « e de sucu » de blite libr. j. >. Branca ursina. Branca orsina. Heracleum Sphondylium. Linn. Rus. p. 367. « Recipe de malva » et de pedi de viole, et de » paritaria et de branca ur- » sina >. Si ebbe pure il nome di Acanto per una leggera somi- glianza delle sue foglie col piede dell’ orso. Brenda e Brenna cocta. Cru. sca o cruschello bollito. Fur- fur. Vrenna de’'Napoletani. Rus. p. 127. « In dela brenna micte » l’ acetu fortissima ». e a . 275. « facciaglese una pul- tra de brenna et de ace- tu ecc. ». e a p. 396. cet la carne dela serpe cusi cocta cula brenda, voi culu furmentu, voi con altra an- nona ». a p. 367. « et de brenda de granu ». a p. 293. Recipe la malva et la pa- ritaria, e la brenna e lo » sevo montonino ecc. >. Breonia. Brionia. Vitis alba Bryonia. Bryonia dioica. Linn. Rus. p. 427. « Recipe de ra- » dicina de breonia ecc. ». Gli antichi ippiatri usarono la decozione della radice di Brionia per curare il capostor- no dei cavalli. Bruscu e Bruschiali (radicine). Brusco. Ruscus, seu bruscus. U y YU Iv Ivo “ut = Ma Ruscus.... Rus. p. 247. « Pi- » stese la squilla cola radicina » deli bruschiali ecc. ». a p. 375. « et lu petrosendulu, et » lu sparanu, bruscu et le » semegliante ecc. ». Burac. Nitro nativo. Spuma nitri vel aphronitri. Nitras potasse et nîtras calcis. Rus. p. 339. « et de amandule amare et de » burac ugualemente ». Bourerck. Id. Spumanitri. Nitrum factitium degli antichi. Ed. di Spira baurach. « Veterum enim aphronitrum et spumanitri nitratum cal- cis, sode, potass®e, terrea- rumque partium miscela fuis- se videtur >». « Nitrum nativum. Magna eius copia nobis ex oriente venit; in Europa ex propriis terris peculiari ratione ex- o www stalactitae adhaerens Apho- nitrum dicitur; ubi vero tanquam tomentum efflore- scit Halonitrum appellatur; ubi denique solo sapore et detonatione sui praesentiam declarat, Nitri Embryonati » nomine venit » (Spielmann). Butoru, botoru e butiro. Butiro, Butyrum. Cremor lactis; per uso Medico o Veterinario. Bu- fyrum recens. Rus. p. 307. « et de terbentina et de bu- » toru ». p. 409. « valece le » cinmagliche piste culu bu- » tiru ecc. ». > dono A dei e di e << Mi €«cn ne , coquitur: terrae sub forma . C Calce. Calee viva (la polvere della calce viva). Calx non exstincta. Protoxidum calcis. Rus. p. 177. « et spargese de supre la » pulve dela calce ». p. 353. « Recipe la calce viva, de » pepe ecc. >. Calzarectu. Stivaletto. Rus. p. 297. « facciase unu cappello, » voi unu calzarectu, a modu » delu tuellu ed de l’ongia » delu pede ecc. ». Canabaria. Rus. p. 173. « La » canabaria cula urtica ecc. ». Leggi Canaparia e intendi Artemisia. Candulu, cannellu. Canna, Can- nello. Canna da clistere. Rus. p. 365. « Et legese fortemente » c’ unu filo in capo dela coda, che lu cadulu ne non poza issire, che per lu cannellu cacce fore la receputa ven- tositate >». Canne (radici). Canna. Arundo, canna. Arundo Donax. Linn. (le frondi verde). Rus. p. 405. « deaglese alu cavallu fronde » virde de salce, voi dele » canne ». Canne arsa coll’ oliu. Canna abbrucciata mista coll’ olio. Rus. p. 394. « Valece la canne » (canna) arsa coll’ oliu ». Cannella (pulve). Cannella regina. Cinnamomi cortex. Cinnamo- mum Zeylandicum. Blume. > = > sas Rus. p. 89. « Valece la pulve » dela cannella e de garofali » culu laudanu ». Cannova. Canapa. Cannabis sativa Linn. Rus. p. 413. « Secca » la semente dela cannova » troppu et fanne la pulve » suctile » (per la cura del cancro). Cantalene, cantaleru. Cantarida. Cantharida.Melòe vescicatorius. Linn. Cantaleure. Cantarelle. Rus. p. 394. « Le cantalene » micte cull’ oliu dela oliva, » e de lenne micte le canta- » lene et l’oliu in una pin- » gniata picula ». Capitellu. Capitello. Capitellum. Rus. p. 389. « Facciase lu » capitellu fortissimu quantu » pone essere, ca, quantu plu » forte ene, tantu megliu ene ». Cauterio, che si usava dai Chirurghi a vece del ferro infocato, quale si fa di pre- sente colla potassa caustica; infatti si legge nel Ricettario Fiorentino. « Volendo il ca- » pitello men gagliardo e che » dia minore dolore, abbruc- » cialo tosto, che egli si cal- » cini », Nelle note al libro di Pe- lagonio si legge Capitello ov- voro rottorio, composizione per p. 339. « Recipe de capelli » veneri, lu laiolu de pla- » nu ecc. D. Capomilla, Casomilla (radici e fiori). Camomilla. Matricarie flores et Camomille romane flores. Matricaria Chamomilla, Anthemis nobilis, Linn. Rus. p. 307. « De sangue de dragone et » de oliu et de capomilla ec. ». Cappara e Camfara (radici e succo). Cappari. Capparis fru- ctus. Capparis spinosa. Linn. Rus. p. 171. « tame aiuntuce » che la cappara, la radicina, » voi lu succu, voi la tenere- » tate sua ecc. p. 167. « Agi » le fronde dela camfara ecc. ». Caprinella, Capinella (cull’acqua dela). Caprinella, Carpino. Car- pinus. Carpinus Betula. Linn. Rus. p. 305. « Pistese dela » caprinella ». p. 315. « Po- » nendoce de sopra la herba » la quale se dice caprinella ». p. 253. « recipe de ruta e » de caprinella ecc. ». p. o 145 « cull’acqua dela capinel- » la ecc. ». Cardamune. Cardamomo. Car- damomus. Amomum Carda- momum. Linn. Rus. p. 337. « Recipe de garofali et de » nuci muscate une, iij. et de » galanga et cardamume ec. ». fare i cauterî senza ferro in- Carta banmacina. Carta di fuocato. bombage. Carta di Cotone. Capelli veneri. Capilvenere. (Dalla pianta detta Gossypium Capillus veneris. Adianthum. herbaceum). Rus. p. 394. « Va- Capillus veneris. Linn. Rus. » lece plune la carta. ban- — 280 — » macina arsa coll’ oliu dela » oliva ecc. ». Cassia fistula. Cassia fistula. Linn. Rus. p. 334. « Se dessoglia » lu butiru in bona quantitate, » et de cassia fistula altre- » tantu ». Confronta Mesue volg. pag. 331. Castagni. Castagno. Castanea Vesca. Linn. Rus. p. 391. « scorci delu fructu deli ca- » stagni et de argentu vi- » vo ecc. D. Castoreu. Castorio. Castoreum. Castor fiber. Linn. Rus. p. 401. « Et de castoreu ecc. ». Casu rustu. (Cacio arrostito. Caseus assatus. Rus. p. 4117. « Ungase lu palatu con mele » bullitu cun cepolla et casu » rustu ». Cauliu (foglie). Cavolo, caulis, Brassica oleracea rariae Rus. p. 379. « Fane cocere li coli » unu pocu ecc. ». p. 165. « Pistese le foglie deli cau- » liu ecc. >. Celidonia. Chelidonia. Chelido- nium. Chelidonium maius. Linn. Rus. p. 427. « Recipe... De » viticella ed de celidonie et » de affodilli ecc. ». Cenere calla. Cenere calda. Cinis calidus. Rus. p. 165. « A » quellu medenmu vale la » cenere calla cull’ olio de- » menata ecc. >». Centaurea. Centaurea. Centaurae minoris summitates. Erythreea Centaurium. Linn. Rus. Cap. 166. 171. p. 401.0 « De dra- » ganti une. $ et de cen- » taurea et de assenzu ecc. ». V. Cerquiliorla. Cepolla. Cipolla. Cepa vwuigaris. Allium Cepa. Linn. Rus. p. 193. « Le cepolle cotte sula » brasia ». p. 225. Vale a » questu la cepolla rosta et » pesta culi lisculi ». p. 425. « Recipe la cepolla et pistala » insenmura culu mele ecc. ». Cera, Cira. Cera blanca e gialla. Cera bianca e gialla. Cera alba. Cera flava. Rus. p. 253. « Delenne lu sevo stemperatu » culla cera iectese ecc. ». Cerfolu. Trifoglio. Trifolium. Co- rona regia. Trifolium pratense. Linn. Rus. p. 184. « Lu cer- » folu, pistu cula sungnia, se » pona sopre le cocture ecc. ». Cerisa. Cerussa. Carb nato di piombo. Rus. p. 253. « Recipe » l’arsenicu, la cerisa ugua- » lemente ecc. ». Cerru. Cerro. Quercus cerri. Linn. Rus. p. 353. « Agi la cenere » de la cerru, voi dela vite, » et fanne la lissia ecc. ». Cfr. p. 33. Cerussa (pulve). Cerussa. Scoria di piombo. Cerussa. Scoria plumbi. Carbonas plumbi. Rus. p. 303. « La pulve dela cerusa » et delu rame arsu se ce » ponga ». Cerquiliorla minore. (Quer- ciola. Centaurea minore. Cen- taurium minus. Quercula mi- — Sl. nor. ‘Erythroea centaurium. Linn. Rus. p. 193. « Pillia la » cerquilicrla minore e pistala » bene colu ciminu ecc. ». Ciclame. Ciclamine. Pan porcino. Cyclamen. Cyclamen Europeum Linn. Rus. p. 4417. « Faccia- » glese unu tastu delu . cicla- » mine e delu sapone deli » iudei untu ecc. ». Cicuta (sucu de). Cicuta. Conium maculatum. Linn. Rus. p. 145. « Lavese la seaia de sucu de > cicuta, pocu d’olio de uliva, co’ ’nu pocu de acetu ecc. >». Cimbalaria. Cimbalaria. Cym- balaria. Linaria Cymbalaria. Linn. Rus. p.193. « La sempre » viva cula cimbalaria ecc. ». Cimici. Cimici. Cimex. Linn. Rus. p. 369. « Li cimici pisti et » uno pocu cocti coll’olio ». Ciminu. Cimino. Cuminum. Cu- minum Cyminum. Linn. Cim- minu (pulve). Rus. p. 365. « Beva l’acqua in dela quale » sia coctu lu ciminu ecc. ». Cinculi. Cingulus. Cinghie. Rus. p. 297. « Fortifichese cun » cinculi, voi corde ecc. ». Cinmagliche. Lumache. Helix. Linn. Rus. p. 397. « Et questo » poi fare semegliantemente » cule cinmagliche, ca non » è in mesteru de tollere nè » capu né chibelli (altro) ». Cipolla salvatica. Squilla. Così l'antico chiamò la Scilla: V. lib. delle Mas. p. 30. « Tolli ci- » polla salvatica, cioè isquilla, » tanto o quanto è lo luogo » del male ». Citrangulu e Cetrangole, Cedro. Citrus medica. Linn. Rus. p. 141. « Culu sucu dellu citran- gulu » e a p. 251. « Ancora » a quello medenmu valece » assai le cetrangole, voi le » lunmie ecc. ». Clara dell’ ovo. Chiara d’ uovo, Albume. Albumen. Rus. p.175. « Delenne ce se mecta la >» stuppa cula clara dell’ovo ». Cocere. Dare lu focu. Cauteriz- zare. L’applicazione del fuoco, ossia la cauterizzazione tra- scorrente o inerente, a punte cioè od a righe, venne sempre indicata dagli antichi coi verbi Dare il fuoco, Cuocere. Rus. p. 163. « Deaglese lu focu » ali lunmi, voi ale rine, de multe e de spesse righe per longu ». a p. 175. « Dea- glese lu. focu dall’ una e dall’ altra parte, presure punte de focu c’ unu ferru fervente ». a p. 377. « Co- cilu a modu de inflatu a rota, et facci li cruci et li » punti in illi ». Cocchia dela noce. Guscio delle noci. Coccia. luglan Regia. Linn. Rus. p. 233. « Et agi » la cocchia dela noce et in- » plela de cutale enplastuecc.». Cocchia dell’ ovo. Guscio del- l uovo. Testae ovorum calci- natae. Rus. p. 253. « La » cocchia dell’ ovo pulveriz- sy» I vv y — 282 — » zata cula sungia deli galline » ce se ponaecc. >. a p. 357. « Et de cocchie d’ova arse » in pergamencio ecc. ». Cocuccia salvatica o cocutia terrace. Cocuzza ,e Cucuzza. Bryonia. Bryonia dioica. Linn. Rus. p. 99. « Ancura la cucu- » tia terre cula ruta inpla- » stata opera a quellu me- » denmu >. Colofonia.Colophonia.Pix Graeca. V. Pece Greca. Rus. p. 303. « Et ala fissura dell’ ungie se » stempre lu laudanu, storace » et la colofonia a conestren- » gere li humuri ». Goloquintide e Colaquintide. Coloquintida. Colocynthis. Cu- cumis Colocynthis. Linn. Rus. p. 404. « Recipe de pulve de » coloquintide ecc. ». Cfr. p. 339. Condisio. Elleboro bianco. Vera- trum album. L. Lib. Mas. p. 93. « Tolli condisio trito e » mescola con l'olio e ugni » con quelo il cavallo ». I dizionari della nostra lin- gua registrano Condisi. non Condisio, sebbene l una e l’altra forma abbiano esempi di scrittori del sec. XIV. Consolida. Cunsolida matore. Consolida maggiore. Symphy- tum officinale Linn. Rus. p. 309. « Recipe la radicina dela » cunsolida ». Corgniale. Corniale (Verga de). Corniolo. Cornus Mas. Linn. Rus. p. 387. « Et alcuni scalla » fortemente ’na verga de corngniale ecc. >». Cornu caprinu. Corno caprino. Rus. p. 3941. « Agi la spulla » delu cornu caprinu, et me- » stecalu cull’ olio dela mor- » tella et ungi lu locu >. Cornu arsu. Corno abbrucciato. Cornus combustus. Rus. p. 153. « Ancora lu cornu ar- » su ecc. >. Cornu de cerviu. Corno di cervo. Cornu cervi. Cervus Etaplus. Linn. Cornu de bove. Corno di bue. Rus. p. 267. « La pulve dela » rasura delu cornu delu cer- » viu, voi de bove, con sapone » anticu ecc. >». Coteca porcina. Cotenna del lardo. Cutis suis. Rus. p. 233. « Recipe la coteca porcina » antiqua >. Crescione. Crescione. Nasturzio. Sysymbrium. Nasturtium offi- cinale R. Brown. Rus. p. 127. « Crescione et altre herbe » callide che po’ scallare et » assuctigliare li humore ». Creta blanca. Terra da mattoni. Creta bianca. Creta alba. Sub- carbonas Calcis. Rus. p. 191. « Agi l acetu fortissimu et » la creta bianca pista ». Cretanu. Cretano o Critamo. Finocchio marino, Erba san Pietro. Crithimum maritimum. Rus. p. 369. « Recipe sena- » tiune, crefanum >. — 283 — Crescenzio. « Il Cretano è » caldo, e secco nel terzo grado, > ed è erba la quale si trova ‘ » nelle parti marine ». Cristeru. Clistere. Rus. p. 333. « De lenne in delu fondamentu » delu cavallu la predecta » decotione, conmenevolemen- » te calla, se mecta colo cri- » steru ». Qui cristero sta per argomento o schizzatoio. Crocu. Croco, Zafferano. Crocus. Crocus sativus. Linn. Rus. p. 337. « convenevole quantitate » de crocu ecc. >. Culure. Verderame. Rus. p. 249. « Pelatu in primu lu locu culu » culure ecc. >. Indicavasi molto anticamente con questo nome il verderame o sotto acetato di rame. Culuri deli miniaturi. Minio. Colori dei pittori. Rus. p. 103. « E mestecalu culu vinu a » modu deli culuri deli mi- » niaturi ecc. ». Le parole del testo che mancano nel nostro cod. si leggono nella stampa di Spi- ra: Deinde cum vino misce ad modum minîî. + D Dactuli (frutto). Dattilu, frutto. Dactylus. Poenix dactylifera. Linn. Rus. p. 305. « La pulve dela galla et de lossi deli » dactuli et dela cerusa stem- » perata cula cera ». Dialtea. Altea. Althoea radix , folia, flores. Althoea officinalis. Linn. Rus. p. 343. « Ungase » bene de buteru, voi de di- » altea, voi de oliu de oliva » callu ecc. >. Dictamu. Dittamo. Dictamus. Di- ctamus creticus. Linn. Rus p. 407. « Recipe le radicine » dele canne et delu dictamu, >» et pistale bene ». Draganti. Gomma dragante.Astra- galus creticus. Linn. Astragalus gummifer. Labill. Rus. p. 413. « Recipe l’ alume, draganti et » zolfu ugualemente ». E Eblio. Gieblu e Iebli. Ebbio. Sam- buco nero. Ebolus, Sambucus ebolus. Linn. Rus. p. 415. « Dell’ unu et dell’ altru gie- » blu ecc. ». p. 241. « Recipe » li gebli culi soi radicine ecc. p. 2441. « et lu sucu dele radicine deli gebli ecc. ». . 204. « E li foglia deli ie- bli ecc. ». p. 201. « Ancora li Ebli culi radicine co- cte ecc. ». Il sambucus humilis veniva dagli antichi preferito. perchè di più forte odore del comu- ne. Si chiamava pur Nebbio, sambuco selvatico, e s'intendeva quel fruttice puzzolente che ve- geta lungo le strade. Eleboru. Eboru. Eleboro nero. Helleborus niger. Linn. Rus. i gia — 284 — p. 135. « Culi pulvi delu » eboru et de pepe ». Eleboru blancu. Eleboro bian- co. Veratrum album. Linn. Rus. p. 357. « La pulve delu » elebori blancu infussu in » dell’acqua li occide ». Eleboru niru. Eboru nigro. Rus. p. 139. « Recipe... Eleburu « niru e blancu e de cicla- » mene ecc. >. Elera terrestre. Elera terrena. Elera blanca. Edera terrestre. Hedera. Glechoma hederacea. Linn. Rus. p. 101. « Piglia » lu pane porcinu e l’elera » terrestre » p. 361. « Recipe » la branca ursina, lu assenzu » et l’ elera terrena » p. 393. « Deli scorci dele mandole » amare et dell’ elera blan- » ca ecc. ». Enplastu de brenna. Empia- stro di crusca. Rus. p. 113. « Fagle unu enplastu de bren- » na cocta in nelu vinu ecc. >». Enplastu a maturare et a dessoglere. Empiastro ma- turativo e risolvente.Rus. p.111. « Enplastu a maturare et a » dessoglere de malva, de » sementa de linu et de ruta » et de assenzu ecc. >». Enplastu mullificativo. Em- piastro emolliente. Rus. p. 409. « E nota che questu mullifi- » cativo enplastu ecc. >». Erbe callide. Erbe riscaldanti. Aromatiche. Rus. p. 375. « La » semente dela urtica, et li » herbe callide e li dure culi » soi radicine, comu ene lu » finocchiu, et lu petrosendulu » et lu sparanu ecc. >. Erva benedicta. Erba benedetta. Ambretta salvatica. Garofanella. Herba benedicta. Geum urba- num. Linn. Rus. p. 145. « Re- » cipe le radicine de russia, » la paglia de campu, et li » radicine de erva benedi- » cta >. Erva pizula. Erba piccola, te- nera. Rus. p. 131. « Sogle » fare prode lu pascere la » pizula erva ecc. ». Euforbiu. Gomma euforbio. Eu- phorbium. Euphorbia offici- narum. Rus. p. 401. « Re- » cipe de senape et de eufor- » biu ». Eupatoriu. Eupatorio. Eupato- rium. Eupatorium cannabirium. Linn. L’ Eupatorio di Avicen- na, come l’indica il nome, era tenuto buono contro i mali del fegato, e perciò usato dagli antichi contro l’itterizia. Rus. p. 401. « Agi de arno- » glossa maiore et menore et » de eupatoriu ecc. >». F Falza corva. Falciola. Rus. p. 117. « Agi la falza corva, a » modu de lettera C, sia bene » acuta >. La Chirurgia non possedeva ai tempi di Rusio il bisturi — 285 — curvo, e lo strumento, che lo poteva sostituire, doveva aver la forma di falciuola. Faranu. Rafano. Raphanus. Ra- phanus Rusticanus. Linn. Rus. p. 221. « Recipe lu faranu et » la flammula et squilla ecc. ». Farina de formintu. Farina de granu. Farina di frumento. Rus. p. 177. « Recipe la » farina delu furmentu ». Farina de megliu. Farina di miglio. Panicum miliaceum. Linn. Rus. p. 409. « Enplastu » de assungia et de farina de » megliu ». Farina de l’orio. Rus. p. 391. « Valice la farina de l’ orio » mestecata culu sucu delu » rafanu ecc. ». Farinata. Farinata o polenta di farina. Rus. p. 315. « La fa- » rinata mestecata coll’ asso- » gnia ». Farragene, Ferraiena. Farragine. Farrago. Ferrana. Mistura di biade diverse che si usa per alimento in primavera, e che si trova raccomandata da tutti gli antichi scrittori di cose rustiche. Rus. p. 339. « E poi » piglia lu marroiu et lu as- » senzu et mestecalu cola » farragene e dallu a mane- » care alu cavallu ». Fava. Faba. Vicia faba. Linn. Rus. p. 194. « La fava franta » bene cocta, sangia porci- » na ecc. ». p. 379. « La » fava franta comu se fane » la quaresema ». (cioé col condimento che suol dirsi di magro). Feccia delu vinu. Fondo di botte. Sedimentum vini. Rus. p. 305. « Lavese lu pede delu » cavalla de fecci de bonu » vino oduriferu » p. 261. « Recipe la rasia e la feccia » delu vinu et mestecale ». Felce (radice). Felce. Felicis ma- ris radix. Aspidium filis mas. Swartz. Rus. p. 363. « Agi » la radicina dela felce ecc. ». Fele (di qualunque animale). Fiele. Fel suillum, ovillum et capril- lum.Fel avium, boum, tauri etc. Rus. p. 177. « Pui se ungia » lu locu de qualunqua fele ». Feltru. Feltru arsu. Feltro ab- brucciato. Coactile vellum com- bustum. Rus. p. 85. « Recipe » lu feltru et ardilu in alcunu « vasu ecc. > p. 153. Ancora » lu feltru arsu >. Fenu crecu. Fieno greco. Foe- num graecum. Trigonella fae- num graecum. Linn. Rus. p. 123. « Recipe fenu grecu e » fallu bullire ecc. » p. 167. » Facciase unu enplastu de » fenu crecu et de semente » de linu ecc. ». Fenu. Fieno. Rus. p. 365. « E de » lenne egle da dare anmene- » care civora callide, comu » enegranu spelta et fenu ecc.» p. 359. « Et intertantu lu » cavallu manduche orio et » paglia, voi fenu de dura » terra ecc. >. — 286 — Ferru fucante. Ferro incande- scente. Fuoco attuale. Ferrum candens. Rus. p. 213. « Cocase » ce’ unu ferru fucante in mezu » delu tumure ». Ferru punzutu. Ferro appuntito. Istrumento perforante. Rus. p.155. « Se pertunna (pertugi) » de supta c’ unu ferru pun- » Zutu ecc. >. Ferrugine deli ferrari. Lima- tura di ferro. Limatura ferri. Ferrum pulverizatum.Ferri sco- bis. Rus. p. 157. « La polve » dela galla e dela ferrugine » deli ferrari gle se iecta de supra >. Ficura. Fichi. Il fico comune. Ficus carica Linn. Rus. p: 53 « Duve ene | abunnantia deli » ficura, dasegle semegliante- » mente a manicare ». Fiebochocio. Flebotomo da ta- gliare la vena. Lib. Masc. p. 85. « Allora fa aprire il male » collo fiebochocio, o lancieta, » e purga e mocda bene la » piaga >. Fiebocomare, Flebotomare. Lib. Masc. p. 24. « Flebotoma il » cavallo dela vena dela spalla, » e pone sopra il male que- » sto inpiastro ecc. ». E a p. 83. « Pone il colore che » pela i pili e poscia fiebo- » choma ». Finochiu (semente). Finocchio. Foeniculi vulgaris semina. Foe- niculum sativum. Bertoloni. F. officinale. Allioni. Corrispon- denti alla sola specie Anethum Foeniculum. Linn. Rus. p. 365 - » Beva l’acqua in dela quale » sia coctu lu ciminu e la » sementa delu finochiu in » bona quantitate ». Flanmula. Flamula. Ranunculus flamula. Linn. od anche Cle- matitis. flamula Linn. Rus. p. 305. « Lu sevu biccinu culu » fumu terre et cula flanmula » stenperata ». Focu (in fronte et supre le spa- tule). Gli antichi ippiatri, se- seguendo il sistema degli arabi, non rifuggivano dall’ applicare il fuoco sopra qualunque parte del corpo, usando cauterî di varie forme. Rusio chiamò il fuoco l’ ultimo rimedio, quello cioè da serbarsi per ultimo. Rus. p. 183. « Alu locu dela » spalla se dea convenevole » focu per longu et per tra- » versu ecc. » e a p. 221: « Concesia cosa che lu focu » sia cura de tucte l’inferme- » tate, è dele medicine deli » cavalli tuctavia lu ultimu » remeiu ecc. >. Focu (dare lu). V. Cocere. Frassenu. Frarinus excelsio. Linn. Rus. p. 179. « Recipe » lu frassenu terraneu etsiccalu » fortemente in delu furnu ». Fulligene (delu furnu, voi dela fucina deli ferrari). Rus. p. 267. « Agi la fulligine de lu » furnu, voi deli ferrari. Fulligine sottile. Fuliyo. Rus. — 287 — p.2541. « Lu predictu unguentu >» dela fulligine, delu verde- » rame e dell’ aurupumentu » merevegliosamente reconsol- » la ecc. ». Fulligine dura. Filigine splen- dente. Fuligo splendens. Rus. p. 441. « Recipe de solfu vivo >» et de olio de uliva et unu » pocu d’'acetu, de fulligine » dura, pocu de sale ecc. ». Fumaiu, Fumagiu.Fimo, letame, (de asenu, delo cavallo, porco, montone, liscerta, oca). Stercus aselli, equi, stercus suillum, lacertae, anserinum ecc. Rus. p. 85. « A quelu medenmu vale se lu fumagiu callu dell’ asenu, voi delu cavallu, ce se puna ». p. 87. « De lenne cun fumagiu de por- cu ». p. 87 « valece lu fumaiu delu cavallu ». p. 89. Delinne lu fumagiu delu cavallu sia arsu ». Fume dela peza arsa. Fumo di cencio abbruciato, Fumo di pannolino arso. Rus. p. 133. « Vale lu fume dela peza » arsa >. Fume dela vanmace. Fumo di bombage abbruciato. Rus. gp 133. « Vale lo fume dela peza arza, voi dela vanmace » vecchia arsa ». Fumu terre. Fumosterno, Fu- maria officinalis. Linn. Rus. p. 305. « Lu sevu biccinu culu » fumu terre >». Fungiu, lu quale se dice vulga- 4 Aa vu “ “ namente Vexica de lupu. Rus. p. 87. « Recipe lu fungiu lu » quale se dice vulganamente » verica de lupu, voi pulve » de fungiu ». È verisimile che il nome volgare usato da Rusio non indichi il Vuovolo ordinario, o vuovolo buono, vuovolo co- mune (Fungus boletus), ma l’uovolo salvatico malefico rosso, O fignosa maggiore rossa e bianca, 0 l° uovolo malefico minore rosso e bianco rigato. Fuoco salvatico. Lib. Masc. p. 94. « Tolli olio petrolio, cioè » fuoco salvatico, condisio, can- » tarelle e sale ecc. ». Gli antichi avranno per certo così dinominato, come nella glossa interposta, il petrolio, ‘ma distinsero con tale nome più particolarmente il Clatro, fungo irritantissimo, detto Cla- trus cancellatus. Mich. Fuoco agresto chiamò Maestro Gior- gio una particolare malattia della pelle del cavallo a cui corrisponde |’ Erifema dei mo- derni. Fuoco fredo. Fuoco morto. Lib. Masc. p. 33. « E queste can- » tarelle si chiamano fuoco » fredo ». Le cantaridi in tintura, unguenti o composti oleosi ed alcoolici costituiscono altret- tanti preparati vescicatori che si dicono dai moderni Fuochi morti. — 288 — Furmentu. Frumento, Grano. Triticum vulgare. Will. Furmentu lexu. Rus. p. 339. « In primu gle se dea lu fur- » mentu lexu tre die ». Fuste. Bastoncello, stecco. Fustis. Rus. p. 303. « Et ponase alu » focu, mestecandole tuctavia » cun unu fuste ». G Galanga. Galanga. Marantha Ga- langa. Linn. Rus. p. 389. « De » galanga et de garofali ugua- » lemente un. j. ». Galbanu. Galbano. Gummi gal- bani. dalla Ferula Ferulago. Linn.o Buben Galbanum.Linn. Rus. p. 303. « Recipe arme- » niacu et de galbanu ecc. ». Galla lebe. Galla lieve, leggera. Galla turcica. Galla tinctoria. Dalla Quercus infectoria. Oliv. Rus. p. 357. « Recipe de dra- » ganti et de solfu, et de » galla ecc. ». p. 167. « A » quellu medenmu vale la pulve >» della galla ecc. ». Le galle banno origine dalle punture di un insetto del ge- nere Cynips (Diplolepis gallae. tincetoriae), il quale depone le ova nelle gemme dei giovani rami della pianta; e da quelle derivano le escrescenze mor- bose sopradette. Cominciarono gli antichi a valersi, come migliori per uso medico, delle galle leg- gere. V. Serapione, Matt. Sel- vatico ecc. Gallu e Gallo. Gallus. Gallina. Rus. p. 245. « Eppoi se fenna » unu gallu per mezu e ponase ‘» susu callu con tucte le in- » testine ». p. 379. « E poi » piglia tucte le intriole d’ una >» gallina culu sangne et mic- » tele in dela bocca delu ca» - >» vallu calle ». Garofali (pulve). Polvere di ga- rofano. Caryophyllus aromati- cus. Linn. Rus. p. 337. « Re- » cipe de’ garofali et de nuci » muscate une. ii), et de ga- » langa et cardamune, de onne » cosa une ii) ecc. ». Passo che ben risponde al testo stampato a Spira: « Recipe » gariofilorum, nucis muscate » $ iij, galange, cardamomi » ana $. 3 >. Garofolata. Cariofilata. Geum urbanum. Linn. Rus. p. 359. « Tre pugilli de garofalata e » tre de plantagine etc. >». Genestra, Ginestra. Genista, Spar- tium. Genista tinctoria. Lion. Rus. p. 405. « Alcuni pistanu » la genestra et l’arotanu ». Gengerva. Gengiovo,Zenzero.Zin- giber. Zingiber officinale. Rus. p. 135. « La galanga, la gen- » gerva e le semegliante ». Gigliu (fronde). Giglio. Lilium. Rosa luvenis. Lilium candi- dum. Linn. Rus. p. 225. « Et » la radice delu gigliu >». p. 167. « E le fronde delu gi- » gliu ecc. ». _ — 289 — Gissu. Gisu. Gessu. Gesso, Sele- nite o Solfato di calce natu- rale. Sulphas calcis nativus. Gypsum. Rus. p. 87. « Valece » lu gissu cula calce e colle » grana dell’ uva bene pistu >. Gonma de brongia. Gomma nostrale. Gomma del pruno. Gummi mnostras dalla Prunus domestica. Linn. Rus. p. 427. « Recipe de gonma de bron- » gia ecc. >. Gonma rabica. Gunma arabica. Gomma arabica. Gummi ara- bicum. Mimosa milotica o Aca- cia vera. Willd. Rus. p. 259. « Fane lu unguentu dela tre- » bentina e dela cira et de gun- » ma rabica ecc. ». p. 257.cEt » mestecace 4 uncia de gonma » rabica ecc. ». p. 407. « Dela » cira blanca et nova et de » gunma arabica ecc. ». Gramaccia. Gramigna, Gramen. Panicum dactylon di Persoon. Rus. p. 87. « De lenne cun » fumagiu de porcu pascente » la gramaccia ecc. ». p. 335. « Se mene allocu dove sia la » gramaccia et locu pasca ec.». Grassella. Crassella, dal latino crassus, per la spessezza delle sue foglie. Crassulla. Nome dato nei tempi antichi a diverse piante crasse. Ora si ha la fa- miglia delle Crassulee. Rus. p. >» quella colatura se mesteche » cun grassu de lardu voi de » butiru ecc. >». Grassu delu porcu. Grasso di maiale. Rus. p. 259. « Poi » bulla insenmura culu grassu » delu porcu ecc. ». Guarnellu vecchiu. Veste di bambagia. Rus. p. 389. « Re- » cipe le cocchie dell’ avellane, » voi dele testudine et lu guar- » nellu vecchiu, et tucte que” ‘» ste cose ardi insenmura >». Sta in questo luogo per - veste bombicina (vetus bombi- cinum ha il testo). Plinio ricorda con tale nome quella specie di lana che si cava dal frutto del Gossypium. I Iacea nigra. Giacea nera, Iacea nigra, Moench; Centaurea ni-- gra. Linn. Vol. Fioraliso gran- de, fior bordino, lingua di cane. Rus. p. 407. « Recipe la herba » che si dice iacea nigra, et » in altru nome viola ferrana, » et in altru nome auriga, et » in altru nome auremia ». Gli antichi assegnarono il nome di Iacea (Giacea) alla Centaurea ragusina ed alla Viola tricolor. V. Dizionario delle Scienze naturali Fir. 193. « E la grassella e la Iebli. V. Eblio. » sempreviva ecc. >». Ienepolu. Ginepro. Juniperus co- Grassu de lardu. Lardo. Rus. munis. Linn. Rus. p. 135, « In p. 427. « Et dui parte de » delu vinu sia cocta la ruta 19 — 290 — » e lo assenzu, e la savina e » lo ienepolu ecc. ». Implastru. Impiastro, lat. Impla- strum. Rus. p. 85. « Vale lu « implastru dell’ urtiche ecc. >. V. Enplastu. Incensu. Incensu maschiu, In- censu blancu. Incenso od Oli- bano. Olibanum, dalla Boswel- lia serrata Stackhouse. Rus. p. 423. « Recipe.... e lu in- censu maschiu ecc. ». Gli antichi distinguevano due qualità d’ incenso: il maschio o mascolino che era in grumi più voluminosi rotondi e bian- chi dell'altro o femminino, e specialmente perchè talvolta consta di due lacrime riunite od attaccate insieme. Il femminino e comune, od in lacrime più piccole, si trova meschiato al grosso; la parte minuta i Greci dissero Manna d' incenso, oggi Polvere d' incenso. Irudene voi sanguesuche., Sanguissuga. MHirudo. sanqui- suga medicinalis. Hirudo me- dicinalis. Rus. p. 199. « Le » sanguesuca multa ala ganma tumida se gle pona d’ onne parte ». p. 351. « Piglese li irudine, cioene le san- guesuche, et ponase deturnu ala inflatione dele ganme, in primu rasu ln locu delu tumore ecc. ». La sanguisuga del cavallo appartiene al genere di quella w v_u U vu dell’ uomo, Hirudo vorax. Non sembra che altri innanzi Rusio ne consigliasse l’ uso per gli animali. Isopu. Isopo. Hyssopus, Hyssopus officinalis. Linn. Rus. p. 4415. « Uve sia coctu lu ysopu e » e la centaurea ». Iusquiamu. Iosciamo. Giusquia- mo. Hyosyami folia, radix, semina. Hyosyamus niger. Linn. Rus. p. 383. « Semente de > Jjusquiamu, cioene dela san- » pongiaca ». L Lacio. Setone. Fonticolo di uso continuo nella medicina degli animali. Lib. Masc. p. 17. « E » altri sono che fanno lo lacio » di lana unto con sugnia e » pongono nel peto del ca- ‘ » vallo ». Il volgarizzatore del Crescen- zio usò la parola Sefone e scrisse. « Appresso si pongano » i setoni sotto la gola ». Rus. p. 347. « Delenne gle se me- » cte li setone, voili lacci, in » delu pectu ecc. ». Laciola. Laccio. Setone. Lib. Masc. p. 10. « e la laciola al » petto ». p. 20 « Lacqueo » osia lacio ». Lacte de Fenmena. Latte di Femmina, donna. Lac muliebre. Rus. p. 257. « Et mistice ili). » unc. de lacte de fenmena, » voi lacte de vacca russia ». — 291 — Lacte della bacca russia. Latte della vacca di mantello rosso. Lac vaccinum. Rus. p. 425. « Agi la sanicula et tri- » tala et stemperala culu lacte » dela bacca de unu colore » ecc. ». (fr. $ precedente- Lacte dela pecura, fredu et re- cente, callu voi tepegliu. Latte di pecora. Lac ovillum. Rus. p.393. « Agi lu lacte dela pecu- » ra etscalalu fine che bulla ». Lacte caprinu. Latte di Capra. Rus. p. 391. « valece l’ acri- » monia pista, mestecata culu » lacte caprinu ecc. ». Lactuca. Lattuga. La più comune è la. sativa. Zactuca sativa. Linn. Rus. p. 331. « La pin- » pinella e la lactuca ». Laiolu de planu. Aglio de’ prati, (lat. ireos). Ornithoga- lum umbellatum. Linn. Rus. p. 339. « Recipe de capelli » veneri, lu laiolu de planu ». Lana succida. Lana succida. Untume della lana. Oesypus. Rus. p. 271. « Recipe la lana » sucida et fane unu turci- nellu ecc. ». Lanceta voi fletumu. Lan- cetta, Lanciola, o Flebotomo. Rus. p. 361. « pertunni lu » tumure culu fletumu pe’ dui » parti ». p. 349. «et la carne » cola lanceta ». Lardu salatu. e Lardu ferven- tissimu, e Lardone. Lardo li- quefatto e bollente. Lardum, dal Sus Scropha Linn, Rus. p. 333. « E poi gle se dea li » lardi porcini salati a mane- » care ». p. 397. « E poi gle » se dea lardoni salati, tagliati » minutuli an manecare ». p. 333. « Ca si per la fame, si » per lu lardu salatu ecc. ». Laudanu. Laudano. Laudanum. Rus. p. 391. « Mesteca lu lau- » danu culu sevu ursinu ecc. ». Lauru e Loru (frondi o bacche). Alloro. Laurus. Laurus nobilis. Linn. Rus. p. 135. « Le fronne » delu loru e lu isopu >». Lentescu (pulve). Lentisco. Pi- stacia Lentiscus. Linn. Rus. p. 281. « E de lenne la plaga » se cure culu sale minutulu, et culu acetu fortissimu, voi cula pulve dela galla, voi dela mortella, voi delu len- tescu ecc. ». p. 159. « An- cora la pulve facta de lo lentescu e de galla lebe ». Del lentisco vulgare gli an- tichi in medicina usarono il legno, la resina, ossia il mastice, a cui diedero il nome di Resina Lentiscina. Lenu fracedu. Legno fracido. Lignum putridum. Rus. p. 153. « Ancure lu lenu fracedu, lon- » tanamente fracedu ». Lessiva. Lisciva, Liscivia. Ranno. Lixivium. Lissiva calla facta de cenere de oriu arsu. Preparato far- maceutico adoperato e con- sigliato credo dal solo Rusio p. 139, « Lavese bene lu locu con vu ye dv — 292 — » Ja lessiva ecc. ». p. 249. « et » tre die se lave cola lissiva e » culu sapone ecc. » p. 101. » Agi la lisciva ecc. ». Letargiru. Litargirio. Lithargy- rium. Spuma argenti. Dios. Oridum plumbi fusum. Rus. p. 141. « A quellu medenmu » vale letargiru bene miste- » catu ». Limia voi limoncellu. Limone. Citrus medica. Linn. Malus limonia. Rus. p. 231. « De » lenne la limia, voi lu limon- » cellu, se parta per mezu » ecc. ». E p. 251. « Valace » assai le cetrangole, voi fe » lunmie cocte ecc. ». Linu (semente) Linseme. Linî semina. Linum usitatissimum Linn. Rus. p. , 991. « Ardi la semente delu » linu, et mestecala cull’ olio » dell’ oliva ecc. ». Liscerta virde. Ramarro. La- certa viridis. Linn. Lacerta agilis. Rus. p. 104. « Lu sale » ienma mestecatu culu sterco » dele liscerte ecc.». p. 105. « Dela lisercta virde se faccia » pulve ». Lisculi. Vermi. Lombrichi terre- stri. Lumbricus terrestris. Rus. p. 225. « vale a questu la » cepolla rosta et pesta culi lisculi ». p. 424 « Quandu lu nervu saranne tagliatu... cusilo colla seta et poi ce pui li lisculi chesse trova ’nu lutame ecc. ». dt A I E | Semi, di lino. Gli antichi adoperavano i lombrici della terra a pre- parare un olio medicinale che si diceva olio lombricino o lombricato. Lisierta. Liscerta. Lucertola. La- certa muralis. Linn. Rus. p. 407. « Agi tre capura de li- » sierte et pestale ecc. ». Lissia, lixia. Liscivia. Rus. p. 153. « Fanne la lissia, le stempera » insenmura cula lixia dicta ». V. Lessiva. Liva. Ulivo. Olea Europea. Linn. Rus. p. 165 « A quellu me- » denmu vale le fronde dela » ’liva, voi. delo ’livastru vi- » ride ». Lotu sapinu. Lutum sapientiae. Loto o Luto composizione chi- mica tenace. Rus. p. 479. » lutala de lotu sapinu ». Lumache. Lumaca. Limax. Helix. Rus. p. 379. « così le luma- » che, overo le tartaruche, » cioene le testudine ». V. Cinmagliche. Lupini. Lupino. Lupinus. Lupi- nus albus. Linn. Rus. p. 235. « Li lupini tagliati et ben pisti » cole cose nanti decte ». Lutu rumanu. Loto romano. Rus. p. 307. Malva. Malva. Malva silvestris. Linn. Rus. p. 367. « Recipe » de malva et de pedi de » viole ecc. ». — 293 — Malvischiu. Malvavischio. £:- smalva Altea. Rus. p. 241. « La radicina delu malvavi- » schiu ugualemente ecc. >». V. Altea. Mandola amara. Mandorla a- mara. V. Amandule amare. Rus. p. 393. « Deli nuzali, » voi deli scorci delle mandolé » amare ecc. >. Maroiu, Marrogiu. Marobbio. Mar- rubium. Marrubium vulgare. Linn. Rus. p. 339. « E poi » piglia lu marroiu e lu as- » senzu et mestecalu cola far- » ragene e dallu a manecare » alu cavallu ». Mastice. Mastice. Mastix. Pistacia Lentiscus. Linn. Rus. p. 293. « Recipe lu incenzu e lu ma- » stice e la pece greca ecc. ». Matrecale. Matricaria. Matrica- ria chamomilla. Linn. Rus. p. 227. « Et ponace la sementa » dela senapa ben trita culu » sucu dela matrecale meste- » cata ecc. ». Medola de carne de’ porcu. Leggi: Midollo delle ossa di porco. Rus. p. 121. « Et de » medolla de carne de porcu » salata ecc. ». Per comporre |’ unguento proposto in questo luogo dal Rusio, deve tenersi per indicato il midollo delle ossa del porco come ha il testo latino. Megliu. Miglio. Milium. Panicum miliaceum. Linn. Rus. p. 164. « Recipe de sale arsu una » parte e de megliu secte par- » te ecc. ». Megliu (farina). Rus. p. 381. « Dagle a bevere 1’ acqua cula » farina delu megliu ecc. ». Mele. Mele bullitu. Mele, Miele bollito. Mel, dall’Apis mellifica. Linn. Rus. p. 421. « Agi li » vermi terrestri et coll’ olio, » voi c' unu pocu de mele ». Mele crudo. Mele naturale. Rus. p. 249. « De oleu laurinu » une. 2, de mele crudo unc. » 1. ecc. ». Mele russu. Mele rosso. Rus. p. 121. « Recipe mele russu » etde medolla de carne ecc.». Melone, Meluncelle. Elaterio. Co- comero asinino o salvatico. Mo- mordica elaterium. Linn. da non confondersi col popone (Cucumis melo), adoperato qual- che volta per purgare i caval- li. Rus. p. 427. « Recipe de » radicina de breonia et du » meluncelle et de viticella ». Melone. Popone. Rus. p. 51. « Ca » dove ene granne copia de » Melone, voi popone, solese » dare ale cavalle a mannecare » li popone appecu appecu » tagliate minutuli ». Melugranatu. Melogranato. Cor- tex punicae. Punica granatum, Linn. Rus. p. 357. « De frundi » de mori, et de scorci de » melugranatu ecc. >». Meluterre e Malu terra. Aristo- lochia o melone salvatico. Ma- lum terrae. Aristolochia Cle- — 294 —. matitis. Linn. Rus. p. 379. « Recipe la savina, la salvia et » melu terre ecc. ». p. 419. « Recipe lu sucu delu melu » terre et altretantu de oliva ». Malum terrae, aristolochia, non tuber terrae.... quod est Cycla- minos, ut falso putat Theodorus. Othon. Brunfel. V. Ciclamine e Pane porcinu. Mendragora. Mandragora. Man- dragora. Mandragorae radix. Atropa mandragora. Linn. Rus. p. 383. « Tame imprimu coci » li scorci delu jusquiamu et » dela mandragora in dell’ a- » qua ». Mentucza. Mentastra. Mentha ro- tundifolia. Linn. Mentastrum (Lat. di Rusio Calamentum). Rus. p. 423. « Et la pinpinella et » la mentucza et lu incensu » maschiu et la cera ». Mercoriale. Mercorella. Mercu- rialis annua. Linn. Rus. p. 367. « De sementa de fewu et » de olio, voi de anaci, mer- » coriale ecc. ». Mirra. Mirra. Balsamodendron Myrra. Ehrenberg. Rus. p. 427. « Agi la mirra e l’ aloe ». Dai greci Smyrna. V. Aezio. Morca d’ oliu. Morchia. Feccia dell'olio. Amurca. Rus. p. 133. « A quellu medenmu vale se » tu ungerai de morca d’ oliu » unu cenzu (cencio) ». Mortella. Mortella (polve). Mirti folia. Buxus.. Sempervivens. Linn. p. 2941. « E poi se cure » la plaga cola pulve dela galla, » voi de mortella ecc. ». Moru. Moro. Gelso. Il più sparso si è il Morus nigra. Linn. Rus. p. 189. « Fa unu tastu » de leno de ficu, voi de ra- » dicina de tassu barbassu, » voi de moru ecc. ». p. 357. « Frundi de mori ». In Italia ebbe, a quanto di- cesì, il nome di Moro per la sua provenienza dalla Morea. Mullica. Mollica (di pane). Molica di pane. Mica panis. Rus. p. 209. « Recipe la mollica delu » pane grossu.... « E quella » mullica cusì facta puila supra » lu locu callu ». Muscatu voi muscu. Muschio. Sostanza particolare segregata dal ruminante detto Moschus moschiferus. Linn. Rus. p. 391. « Condiscele c’ unu pocu de » muscatu, voi muscu, voi de » anbra ecc. ». Mustu dell'uva. Mostu recente. Mosto. Mustum. Rus. p. 339. « E deaglese pocu a bevere e » de bonu mustu recente, nanti » che Dulla..... In defectu de » mustu deaglese lu vinu opti- » mu e forte ». N Nitru. Nitro. Salpietra. Nitrum. Nitrato di potassa. Nitras Po- tassae. Rus. p. 353. « Recipe » de calce viva, de pepe, de » solfu, de nitru, et de lacte PRI Re 1, ga » de tutumagliu maiore ecc.». p. 419. « Et de vitriolu et de » niuru ecc. >. Nuce muscata. Macis. Noce mo- scata. Myristica moscatha. Linn. Rus. p. 337. « Recipe de ga- » rofoli et de nucìi muscate » une. ii), ecc. ». p. 383. « Semente de iusquiamu et de » noce muscata >. 0 Olio. Olio conmune. Olio comune. Dal frutto dell’ Qlea Europea. Linn. Rus. p. 217. « E se » mesteche cull’oliu cunmu- » ne ecc. >. Olio della mortella. Olio mir- ticino o di mirto. Rus. p. 391. « Agi la spulla delu cornu » Caprino et mestecala cull’ o- » lio della mortella ». Olio di menta. Olio menticino. Dalla Mentha piperita. Hudson. Olio di dialtea. Olio di Altea. Dall’ Althea officinalis. Linn. Rus. p. 133. « Et de oglio » callidu et de olio laurinu et » de dialtea ed altri tale un- » guente simigliante ecc. ». Oliu deli vitelli dell’ ova. Olio di tuorli d’ uovo. Rus. p. 229. « Lu oliu deli vitelli » dell’ova se fane così ». Oliu violatu. Olio di viole. Rus. p. 333. « Oliu violatu cun » bonu vinu mestecatu ecc. ». p. 255. « Mestecatoce l’ oliu » rosatu voi lu violatu ». Oliu di berensesif. Olio di Artemisia o di abrotano. Rus. p. 391. « Agi de oliu de be- » rensesifii ». Nella edizione di Spira si legge: Accipe olei de beren- gesiff, idest abrotano, cioè del- luna delle due specie di a- brotano, che allora si cono- sceva. Oliu callu. Rus. p. 367. Olio Caldo. « Untu lu ventre delu » cavallu de olio callu ». Oliu de capomilla e capu- milla. Olio di Camomilla. Rus. p. 307. « Et de oliu de » capumilla ecc. ». Oliu de cantalene. Olio can- taridino. Rus. p. 391. « Et » l oliu se fane cusine: le » cantalene micte cull’olio dela » oliva ecc. ». Oliu laurinu. Olio laurino. Dal frutto del laurus nobilis. Linn. Rus. p. 229. « E sia l' oliu » laurino puru factu dele gra- » na de lauru ». p. 375. « E » dell’ olio laurinu, voi di al- » lea ». Oliu de ’liva. Olio della Uliva. Rus. p. 167. « L’oliu dela » liva tepegliu spessamente ce » se pona >». Oriu. Orzo. Hordeum vulgare. H. hexasticon. H. distichon. Linn. Rus. p. 324. « Manecandu » l’oriu a volontate, ponase » lu dictu oriu bene callu ecc.». Oriu seccu, Orzo dissecato Rus, p. 397. « Et poi gle sia data — 296 — » onne volta tre iommelle d’ 0- » riu seccu alu sole ». Oriu cotto. Orzo cotto. Rus. p. 321. « Cocase l’oriu in del- l’acqua ecc. >». Oriu (farina). Farina d’ orzo. Rus. p. 227. « E farina d’oriu e » la creta ecc. >. Ortica. Ortica. Rus. p. 271. « Et « de cime d’ortica et de sa- » le ecc. ». V. Aurtica. Ossu (dela Seccia). Osso di Sepia. Sepiae testa, Os sepiae. Con- chiglia interna della Sepia of. ficinalis. Linn. Rus. p. 99. « Colu cannolu la pulve dela cia se iepte nell’ occhi..... zoene dell’ ossu dela seccia e delu zucaru ugualemen- » fe ecc. >». ss dI uu % Osure. Probabilmente 1’ Osyris di Plinio, che poi si chiamò co- munemente Linaria. Lib. Masc. p. 93. « Tolli » osure e cuocieli bene in » acqua, e poscia lava bene » lo cavallo ». Ovu (vitellu), tuorlo d’ uovo, vitello d’ uovo. Rus. p. 99. « Unu » vitellu d’ovu lessu mestecatu » cola polve delu ciminu ecc.». Ovu arsu. Rus. p. 103. « Agi » unne ovu arsu >. Ovu lessu (Viloccia). Viloccia dele ova lesse. Rus. p. 19. « E pista bene colu ciminu e » dece vitella d’ova lesse ». p. 265 « Lessa due ova, voi » trene, cola cocchia finché cerisa e dell’ ossu dela sec- - » sia toste et mondale dala » cochia ece. ». ; Ovu (alvume d’). Rus. p.97.« Cul al- » vume dell’ovu mestecata ec.» Ovu (clara d’) Albume dell’ uovo. Rus. p. 169. « E poi ce se » pona la stuppa cula clara » dell’ovu ecc. ». P Paglia de campu. Strame. Pa- glia de formentu. Paglia di frumento. Rus. p. 145. « Re- » cipe le radicine de russia, » paglia de campu et li ra- » dicine de erva benedicta ». p. 343. « Recipe de paglia de » formentu et de reste d’ a- » gli ». Pane arsu. Pane bruciato. Pa- nis deustus. Rus. p. 425. « Pi- » glia lu sudure d’ un altro » cavallu e lu pane arsu ». Pane d’ oriu. Pane di orzo. Rus. p. 357. « Et de pane d'’ oriu » et de cocchie d’ova arse ». Pane (crosta). La crosta del pane. Rus. p. 105. « Piglia unu pane » e tranne la mullica, et inpli » la crosta de carbone ‘ap- » prise, fine a tantu che se » arda da entru ». Pane porcinu. Pan porcino. Cy- clamen Europeum. Linn. Rus. p. 101. « Piglia lu pane por- » cinu e l’ ellera terrestre ». Qui pane porcino corrisponde al melu terre del libro delle Mascalcie. CR n E — 297 — E lo pane porcino corri- sponde alla Ciclamina di Mat- tioli, all’ Artanita di alti. Gl’Ippiatri della Grecia l’ usa- rono contro la Ftiriasi o morbo pediculare. V. Ciclame e Meluterrae. Panicu. Panico. Panicum itali- cum. Linn. Rus. p. 377. « Da- » gle an manecare lu pani- » cu ecc. » Pannocea od herba veneri o Peoclame o Galbe Tritu. Acoro. Acorum. Erba Cannella. Calamo aromatico. Erba di Venere. Acoro Calamo. Acorus calamus. Linn. Rus. p. 403. « Recipe la herba che se dice » pannocea, et in altru nome » se dice herba veneri, et in » altru nome se dice procla- » me, et in altru nome se » dice galbe tritu ecc. ». Nell’ ed. di Spira si legge: Recipe herbam que dicitur pannotea, alio nomine dicitur herba veneris, alio nomine » perclamis, alio nomine gal- » litrienm ». Pannu arsu. Panno abbrucia- to. Pannus combustus. Rus. p. 89. « A quelu medenmu » vale la pulve delu pannu » arsu >. Paritara e Paritaria. Parietaria. Parietaria officinalis. Linn. Rus. p. 369. « Recipe senatiune » cretanum et la paritara ». p. 367. « Et de pedi de viole » e de paritaria ». Ss >< Pece. Pece. Prodotto resinoso pi- rogenico solido che si trae da » varie piante conifere. Rus. p. 209. « E poi se ce gecte » la pece suctilemente posta » in dala peza et scallata ». Pece nira. Pece nera. Rus. p. 267. « Et legace lu enplastu » factu de pece nira et de » cera et de sevu montonino. Pece navale. Pece navale. Rus. p. 314. « Et de incensu blancu, » de pece navale ecc. ». Pece greca. Colofonia. Ragia. Pix graeca. Colophonia. Resi- duo della distillazione della trementina e del suo olio, per- ciò prodotto di varie specie di pino. Rus. p. 357. « Et » de actramentu et de pece » greca >, Pelu de leporu. Pelo di lepre. Rus. p. 87. « Mestecatece su- » ficiente pelu de leporu ». Pepe (pulve). Pepe polverizzato. Fructus piperis migri. Piper nigrum. Linn. Rus. p. 411. « Agi l’agli et lu pepe et lu » piretru >. Persigia o Persicaria. Persicaria. Polygonum Persicaria. Linn. Rus. p. 383. « Recipe de mirra » et de persigia ecc. ». Petrosendulu. Petrosello, Pre- zemolo. Apium Petroselinum. Linn. Rus. p. 375. « comu ene » lu finocchiu et lu petrosen- » dulu ecc. ». Peza arsa. Pezza, Brandella. Fa- sciola. Rus. p. 133. « A. quellu — 298 — » medenmu vale lu fume dela » peza arsa. Vale una peza » legata in unu fuste ecc. ». Peza de linu. Pezza di lino. Rus. p. 219. « Et mictice una » pecza de linu in delu viau » callu ». Peza de pannu. Pezza di panno. Rus. p. 179. « Recipe de peza » de pannu de colore brunu, » voi de persu ecc. ». Pinpinella. Pinpinella. Pimpinel- la. Poterium Sanguisorba. Linn. Rus. p. 423. « Recipe de as- » senzu et li sanmuci, et la » pinpinella ecc. ». p. 331. « La pinpinella e Ja lactuca ». Piretru. Piretro. Pyrethrum. An- themus Pyrethrum. Linn. Ana- cylus Pyrethrum. D. C. Rus. p. 411. « Agil’agli et lu pepe » et lu piretru ». Plantadeu. Planta domini. Pian- tagine. Plantago Major. Linn. Rus. p. 307. « Recipe de sucu » dela radicina dela caprinella, » et delu ciclamine, et dela » planta deu ecc. ». Vol. Tramezzino plantedio ; fran. platain. Volg. Piantag- gine. Plantagene. Piantaggine. Plan- tago. Plantago major. Linn. P. media L. P. lanceolata L. Centinerbia, Cinquenerbia. Rus. p. 359. « Tre pugilli de ga- » rofolata et trene de planta- » gene ». Poleiu. Pulegio. Pulegium. Pule- gium vulgare. Mill. Rus. p. 125. « A quellu medenmu, vale lu » furmentu culu poleju e la » savina ». Porcachia. Portulaca, Procac- chia, Porcellana. Portulaca oleracea. Linn. Rus. p. 334. « E la lactuca e la porca- » chia ecc. ». Porru. Porro. Porri. Alium Por- rum. Linn. Rus. p. 375. « Pi- » glia lu porru et ungelu in » delu sapone nigru ». p. 154. « Agi la foglia deli porri et » frieli cola sungia de por- » cu ecc. >. Il vol. Tramezzino scrive frondi come usano i toscani. Pultra Poltiglia. Cataplasma. Rus. p. 275, « E facciaglese una » pultra de brenna et de acetu » et de sevu ». Pulve delu Mulinu. Volandola, Frisello. Polvere dei Mulini. Pollen. Rus. p. 423. « Pona- » cese la carne dela testudine » de supra cola pulve delu » mulinu ». Pulve corrosivapresiosa con- solidativa. Polvere corrosiva preziosa e consolidante Rus. p. 179. « Ancora l’altra pulve » corrosiva presiosa consolida- » tiva contra onne plaga si » dell’omini, sì deli cavalli ». Pulvi da sanare. Polveri cica- trizzanti. Rus. p. 177. « La » pulve pro sanare lu dossu » dellu cavallu et lu guarrese » ene cutale ». Pulvi consolidativi. Polveri Se CC Ro rr en — 299 — consolidanti. Rus. p. 267. « La » pulve dela rasura delu cornu » cipe la rasia e la feccia delu » vinu-et mestecalu ». » delu cerviu voi de bove cun Rasia cruda. Pece greca cruda. » sapone anticu ecc. >. R Racciapari e Rezappari dele uve. Graspi. Raspo. Racemi, acini spogliati. Rus. p. 53. Rus. p. 101. « La pulve dela » rasia cruda insuflagle in del- » l’occhi ecc. ». Rasia arsa. Ragia abbruciata. Colofonia. Rus. p. 411. « Vale » la rasia arsa culu sale tritu » et pustuce de supra ». « Dase ale cavalle rezappari Rasia delu vinu. Tartaro di » dele uve a mannecare a- » bundantemente ecc. ». p. 4341. « E nota che a sca- glionare li cavalli lu tenpu dele vennengie ene lo me- gliore et ene plu utile, ca se gle dai li racciappari dela » uva anmanecare ». v % v » Rafanu, Rafano. Ramolaccio. Ra- phani radix. Raphanus sativus. Linn. Rus. p. 359. « Et delle » radicine deli rafani uguale- » mente ». i Sucu delu Rafanu. Succhio di rafano Rus. p. 391. « Valice » lu farina dell’ erio mestecata » culu sucu delu rafanu ». Rame (pulve). Rame polverizzato. Aes Cuprum. Rus. p. 303. « La » pulve dela cerusa et delu » rame arsu se ce sparga >. Ranchiu. Ragno. Areneus. Rus. p. 271. « Recipe de mele ij » cucch'are, et de fulligine » ii). cuchiare, et de tela de » ranchiu ». Rasia e Rasa (polve). Ragia. Pece greca cruda polverizzata, V. Pece greca. Rus. p. 214. « Re- botte. Rus. p. 415. « Agi lu » solfu et la rasia delu vinu » ugualemente ». Il tartaro di botte o tartaro brutto è composto di sopra- tartrato di potassa, di tartrato di calce, di ossido di ferro, di manganese, di una materia co- lorante ecc. Depurato, costi- tuisce il sopratartrato di po- tassa, vol. Cremore di tartaro. Il tartaro brutto (tartarus) ebbe pure i nomi di farfaro ammoniacale, di Gromma, Gru- ma ecc. Resalgaru. Risigallo. Bisolfuro di Arsenico. Risigallum. Bisol- furum Arsenici. Rus. p. 325. « Ed in defectu delu resalgaru » recipe de rasia et de calce ». Resina. Resina de pinu. Resina di pino. Resina Pini. Pinus. Linn. Rus. p. 255. « De resina » et de mele mestecatoce l’o- » l’oliu rosato ecc. ». p. 255, « De sinoppide, de resina de » pinga ». Riquilitia. Liquirizia, Regolizza. Liqueritiae radix. Glycyrrhisa — 300 — glabra. Linn. Rus. p. 337. « La » riquiritia voi lu sucu soi ». p. 395. « Mestechese culu vinu » l’acqua dela riquilitia ». Rosenecta. Rosnecta. Corasnetta Rognetta. Rosetta. Rus. p. 295. ‘ « Incontenente la unghia vec- » chia se tagle cula rosnecta » deturnu inturnu, dove se » ionge coll’ungia novella ecc.». (Cfr. p. 309 e 311). Malamente venne confusa coll’ incastro, strumento fog- giato a vomere colla punta smussata e che si adopera a pareggiare gli zoccoli; la co- rasnetta invece è una specie di coltello fisso sul manico, ripiegato nella punta ad an- golo ristretto, il quale, ta- gliando, fa delle incavature 0 solcature nel tessuto corneo del piede. Russia. Robbia? Robia. Robia tinctorum. Linn Rus. p. 145. « Recipe le radicine de russia, » paglia de campu ecc. ». Ruta. Ruta (succu dela radice). Rutae herba. R. folia. Ruta graveolens. Linn. Rus. p. 361. « Et la ruta cola radicina ec.». Ruvo, ruvi. Rovo. Rubus. Ru- bus fructicosus. Linn. Rus. p. 231. « Recipe le fronde » deli coli virdi (cavoli verdi) » e li cime deli ruvi, et unu » pocu de squilla ». S Sagniare. Lat. Sanguinare. Sa- lassare. Rus. p. 83. « Quactru . » fiata in annu ene da sa- » gniare lu cavallu per con- » servarlu in sanetate ». (Cfr. p. 89). Salce. Salcio e Salice. Salix. Linn. Rus. p. 323. « La pulve dela » radicina delu rafanu, voi » dela salce ecc. ». Sale de’ Fabri. Cloridrato di ammoniaca. Sale ammoniaco. Lib. delle Masc. p. 10. ch » del sale de’ fabri ». Sale montanino. Sale nativo. Sal gemma. Cloridrato di Soda, Lib. Masc. p. 91. « Tolli olio » di cantarelle e sale monta- » nino e cumino nero >. V. Sale ienma. Sale ienma o ienmu o gen- me. Salgemma. Salamare. Sal fossile. Sal gemmeum. Rus. p. 229. « Recipe de sale ienma » quantu voi ecc. » p. 305. « Recipe de sale genme ad » quantitate d’una nocella ec.». Salligine n Silligene. Siligo. Rus. p. 53. « Recipe della Salligine » et longamente bolla in del- » l’acqua delu fiume et poi » se siche, et sia datu a ma- » necare alu cavallu in locu » d’annona. Altra cosa da questa è la segale che Rusio chiama Setal/a dove dice (p. 333): « Dease a — 301 — » manecare alu cavallu la se- » tala poco cocta ». I due esempi allegati con- fermano il giudizio dell’ esimio Dott. Ant. Targioni Tozzetti, il quale notò essersi erronea- mente creduto che col nome di siligene s’ indicasse la Se- gale o Segala (Secale cerea- lia), mentre con esso s’ inten- deva il Grano gentile comune non la Siligo di Columella o del Crescenzio (lib. II. Cap. 2B:V..1.) Il grano gentile è il grano nostrale di prima qualità, 0 come disse Plinio: Siligenem proprie dixerim tritici delicias, di cui si conoscono altre due varietà principali coi nomi di grano gentile e grano grosso già coltivati in Italia da remoto tempo. Salvia. Salvia. Salvia officinalis. Linn. Rus. p. 3941. « Argentu » vivo mestecatu cola sal- » via ecc. >. Samburitii. Sambuco. Rus. p. 403. « Recipe le radicine delu » samburitii et pistalu ». V. Sanmuci. Sangesuca. Sanguissuga. Rus. p. 199. « L’altru: vale se im- » primamente rasu lu locu, » le sangesuca multa ala gan- » ma tumida segle pona d’on- » ne parte ». V. Irudine. Sangue. Sangue. Rus. p. 245. « Recipe due cocchiare di » sangue, et tre cucchiari de » fulligine ». Sangue de cavallu. (fresco o secco ). Sangue cavallino. Rus. p. 163. « Sangue de cavallu » recente, voi seccu, masti- » ce ecc. >. Sangue callu. Sangue appena tratto dalla vena, Rus: p. 145. c E de quellu sangue callu » tucte le locura prurigenose » se freche ecc. ». Sangue de porcho. Sangue di porco. Rus. p. 135. « Delenne » recipe de sangue de por- » cho ecc. >». Sangue de dragone e dra- cone. Sangne di drago. Dal Pterocarpus draco. Linn. Rus. p. 161. « De mastice et de » sangue de dragone et de » galla ecc. » p. 279. « De » volu armenicu et de sangue » de dracone et de galba- » nu ecc. >. Sanguine. Sangue. Rus. p. 421. « coll’ olio, voi cun sangui- » ne ecc. ». Sanicula. Sanicola. Sanicula eu- ropea. Linn. Rus. p. 425. « Agi la sanicula et tritala ». Sanmuci. Sambuco. Sabucus. Sembucus nigra. Linn. Rus. p. 423. « Recipe de assenzu » et li sanmuci ». V. Eblio. Sapone communu. Sapone co- mune. Rus. p. 249. « Recipe: » une. j. de sapone communu » et de capitellu ecc. ». — 302 — Sapone blancu. Sapone bianco. Rus. p. 373. « E questu me- » denmu porrai fare culu sa- » pone blancu ecc. ». Sapone niru, nigru. Sapone nero. Rus. p. 369. « E poi » gle fane lu supustame de » porru untu de sapone niru... » Ungelo in delu sapone ni- » gru ). Sapone vecchiu. Sapone vec- chio. Rus. p. 413. « sapone » vecchiu ecc. ». Sapone anticu. Sapone antico. Rus. p. 267. « Cun sapone . >» anticu aconsu (acconcio) ». Sapone deli Iudei. Sapone de’ Giudei. Rus. p. 139. « Colo « » sapone deli iudei ecc. ». Sapone saracenescu. Sapone saraceno. Rus. p. 139. « Una » peza unta de sapone sa- » racenescu ecc. >. I Saponi sono i prodotti della combinazione degli al- cali coi corpi grassi o resi- nosi. Pell’ uomo si ha nelle far- macie il sapone medicinale, l’animale, il sapone di Tre- mentina. “ Dei sopra ricordati non sapremmo dire come fossero composti quello de’ Giudei ed il Saraceno. Crescenzio consi- glia spesse volte il Sapone Saraceno. Gli antichi medici adopera- vano pure il Sapone di Co- stantino, il Sapone gallico ed altri che si conoscano solo di nome. Sassifraga. Sassifraga. Saxrifra- ga. Rus. p. 375. « L’una et » l’altra sassifrage recipe ec.». Il genere saxifraga com- prende presentemente moltis- sime piante. Savina. Sabina. /uniperus. Sabina. Linn. Rus. p. 374. « Ancora » contra lu dolore per vento- » sitate et per la retentione » dela urina valece multu se » plena la mane de Savina ben » pista, se stenpre in del- » l'olio ece. ». Scabiosa. Scabbiosa. Scabiosa, Scabiosa arvensis. Linn. Rus. p. 165. « Ancora a quellu » medenmu vale la scabiosa » voi lu malvavischio ecc. Le venne il nome dall'essere creduta buona a sanare la scabbia. Scaglionare., Rus. p. 77. Gli antichi costumarono di strappare i denti scaglioni ai cavalli perchè la loro presenza impediva di aggiustare nella bocca i morsi di forme strane che allora si usavano. A _que- sta giusta osservazione di Bru- gnone n’ aggiugniamo un’altra del libro delle Mascalcie del- l Ippocrate Indiano che a p. 45 dice: Quando gli scallioni nascono più lunghi che non è rascione, e impediscono loro che non possono manecare l' a- nona, osia l'orzo; e per questa — 303 — cascione non ingrasano. E per questa cascione î mariscalchi rompono li scalloni aciò che posa- no masticare e manicare l'anona e ingrassare: All’osservazione di Brugnone conferisce l’ autorità di Piero de’ Crescenzi che dice (Lib. 9. Cap. 6. Ed. 1511). « Poi che i denti saranno mutati gli si cavino della masciella di sotto, il più salvamente che si pote, qua- parte et altretanti dall’altra; i quali scaglioni et piane dalle più genti s’ appellano, et quasi continuamente con- trastano al morso del fre- no ». Anche l’ autorità del trattato che leggesi nel Codice Colombiano merita d’ essere conosciuta: « Quando averà » aduguagliato el cavallo e i » denti perfectamente mutato, » i quattr'ultimi denti dela — >» mascella che se chiamano » scane et piane, se vogleno » cavare, i quali di continuo » contrastano al freno ». Scariola. Scariola, Indivia. Lactu- ca silvestris. Lactuca scariola. Linn. Rus. p. 3341. « Recipe » la violaria et la paritaria et » la branca ursina et la sca- » riola e la pinpinella e la » lactuca ». Nel Ricet. Fior. è detto es- sere |’ Indivia salvatica. Anche presentemente i Siciliani chia- mano Scarola V insalata. AO ig tro, (due) denti, cioè, da l'una . Scotanu. Scotano, Cotino. Cotinus. Rhus Cotinus. Linn. Rus. p. 153. « Ancora la pulve dela » mortella voi deluscotanuec.». Seccia. Seppia. Sepia officinalis. Linn. Rus. p. 99. « Recipe la » pulve dela seccia, zoene dell’ ossu dela seccia ecc. ». Semente de linu. Linseme. V. Linu. Sempreviva. Sempreviva. Sem- pervivum. Linn. Rus. p. 193. « La grassella et la sempre- » viva ecc. >. Senapa pesta. Farina di Senape. \Sinapis semina. Brassica nigra. Koch. Rus. p. 209. « E poi » recipe la semente dela se- » napa peste ecc. ». Senapa ben trita. Senape pol- verizzata. Rus. p. 227. « Po- » nace la sementa dela Senapa » ben trita culu sucu dela » matrecale ecc. >». Senatiune. Senaccioli. Senecio. Erigerum Senecio. Linn. Rus. p. 399. « Se ene lu vernu » deaglese a manecare le se- » natiune et la pultra tepe- » gla ecc. ». Non si deve dimenticare che Crescenzio nel lib. 6. Cap. 118 scrive le senazioni, cioè Cre- scione, che per altro vocabolo s' appellan Nasturcio acqua- tico — sarebbe quindi il S?- symbrium Nasturtium, ossia la pianta che con antico vocabolo si dice Crescione — Ora Na- sturtium officinale. R. Brown. Ser Ser — 304-— Il Senecio de’ latini corri- sponde all’ Erigeron de greci, pianta ben diversa dal Cre- scione. E realmente Rusio nel cap. 165. p. 399 nomina il Crescione ed il Senecio come cose differenti, poichè prescrive per l’estate il Crescione e le altre erbe callide e pel verno il Senecio. apinu. Segapeno, Segapenum, Serapinum. Dalla Ferula Per- sica. Willd. o Ferula Szowit- siana. D. C. Rus. p. 303. « Re- » cipe armoniacu, et de gal- » banu et de serapinu ». pe viva. Serpe viva. Vipera. Vipera aspis Merr. Rus. p. 301. « Agi la serpe viva, » tagliala appeczu appeczu, in » primu iectatane lu. capu e » la coda et l’intriole ». 0 Gli antichi medici facevano uso grande del Consumatum viperae, che preparavano colla vipera a cui tagliavano prima ii capo e la coda tenuti come ugualmente nocivi. Setune lat. Sefones. funis ex setis. Rus. p. 147. « Lu setune fata » de lino, voi de canova, voi » deli pili dela cuda (crini), » voi delli capilli delu cavallu » (criniera) delu quale alcune » dice lazu ecc. ». . I contadini della toscana indicano col verbo lacciare l’ operazione che il chirurgo chiama applicazione dei setoni. V. Laciola. Sevo. Sevu biccinu voi montoninu. Sevo o sego di becco o di montone. Dall ovis aries. Linn. Rus. p. 247. « Se lave li grappi » coll’ acqua dove sia cocte » le malve e lu solfu et lu » sevu montoninu >. Sevu ircinu. Sevo di caprone, dalla Capra ircos. Linn. Rus. ‘ p. 251. « Recipe lu sevu ir- » cinu ecc. ». p. 309. « Re- » cipe de sevo biccino, voi » arietinu, et se non poi avere » delo biccino ecc. ». p. 307. « De mastice et de sevo bec- » cino, voi castratinu ecc. >». p. 285. « Facciase una pultra » de brenna et de sevo et de » malve ecc. ». Sibla, Sibula voi lancecara. Su- bula, Subbia, lesina vuoi Lan- cetta. Rus. p. 113. « Puncel- liase con alcun istrumento facto » a ciò, cun sibla voi lance- » cara ecc. ». p. 145. « A » modo de stilu factu, lu quale » ferru alcuni lo chiama si- » bula ». i Sinoppidu. Sinopida. Bolo ar- meno. Rubrica sinopide Dios. Rus. p. 259. « Se volerai, por- » rai usare lu unguentu factu » dela cepulla della rosa, de » sinoppidu e dela resina de » pina ecc. ». La terra di color rosso che si dice Sinopia. ebbe questo nome perchè traevasi più di frequente da Sinope, città del Ponto. ag — 305 — Quella Sinopia che adope- rano i legnaiuoli si compone coll’ Ocra cotta. A vece poi di cepulla della rosa, deve leggersi coll’ aiuto dei migliori testi Cuperosa. Infatti gli antichi distinsero col nome di Sinopia anche il bios- sido di piombo, Minium; p. p. 143. « Recipe pulve de sul- » fuecc.». Sparanu. Asparago, Sparago. A- sparagus officinalis. Linn. Rus. p. 369. « Recipe senatiune, » cretanum et la paritara et » la radicina delu sparanu » et deli brusciali gualemen- » te ». 107. « Recipe du sinopidu et Spargula e Sparvola ruscia mi- » tritalu suctilemente ecc. >». Siricue Seta arsa (polve), polvere di seta abbrucciata. Rus. p. 85. « Pulve de pannu voi de » seta arsa sciagle postu de » supra, ca restringe lu san- » gue». p. 89. « Cese piglie » unu pocu de siricu arsu e » ponase sopra la vena ecc. ». Solatru. Solatro. Morella. Sola- trum. Lo stesso che Solano, Solanum nigrum L. Rus. p. 173. « Recipe lu sevu e lu » lardu e l’oliu dela uliva et » de solatru ecc. ». V. Ricet. Fior. Chiamasi poi Solatro mag- giore, l'atropa belladona. Linn. Solfu. Solfu vivu. Solfu blancu. Solfo naturale, Solfo lavato, fiori di solfo. Sulphur. Solphur sublimatus. Rus. p. 393. « Suf- » fumechese lu loco de solfu ». (applicazione dei vapori di solfo. Acido solforoso) p. 227. « Agi lu verderame e lu sol- » fu blancu e la cira ecc. >». p. 1441. « Recipe de solfu » vivo et de olio de uliva et » unu pocu d’ acetu ecc. >. nore. Spargola rossa minore Turgenia latifolia. Hoffmann. Rus. p. 361. « Recipe fa » branca ursina, lu assenzu, » et l'elera terrena et la mal- » va, la sparvola ruscia minore » et la ruta cola radicina ». p. 203. « La malva et la spar- » gula russia e la ruta ecc. ». È da notarsi che quando si usa la parola. Spargola come aggiunto di Saggina, che dai lombardi chiamasi Melica rossa, le corrisponde l’ Holcus sor- ghum Linn. od il Sorghum vulgare Persoon. Spetie callide (cannella, galan- ga, zenzero ). Spezie calde. Rus. p. 133 « Dease alu cavallu » una farinata conposta de » farina de furmintu, mestecatu » con pulve de spetij callide » ecc. E le spetie callide sone » la cannella, la galanga, la » gengerva e le semegliante a » queste ». Spinale. Schienale. Lib. Masc. ps 60. « Ancora il megliore » cavallo si dee scegliere et » elegiere, cioè quelo ch’à il 20 % viso ampio, moito anetriscie, e ae le nare ampie, el viso suo è lungo, e è li ocbi ampi e forte accie, e forti urecchie e ferme, e lunghi crini, e forte petto e ampio e scinto spinale, e lunghe coscie e lunghe gambe, e corta gamilla di dietro, e suttile musello e suavi peli, e ampie grope, e ‘grosso collu, che bene manichi. i Air: An: Miei Mini ci din mi i 26 i su | Questo passo copiato dal Crescenzi si legge eon gravi errori nelle edizioni diverse dell’agricoltore Bolognese, per- xciò crediamo di doverlo tra- scrivere prendendolo dall’ edi- zione del 41511, perchè di lezione ottima che può ser- vire a spiegar meglio quella di Mosé da Palermo. Eccolo: Crescenzio Cap. 3 lib. 9 a pag. 167. « Il migliore cavallo che sia è quello il cui volto è ampio et il cui vedere è allunga, et che ha forte guardatura et forte orechi et ampio pecto et schienale corto, et c'ha lunghe le coscie et gambe dinanzi, et le gambe dirieto ha corte, et che ha sottile il musello et il capo del naso, et soavi peli et ampie groppe, et collo grosso, et che mangia » bene ». u UU Vv © su UU u UU >» UU uu % Spongnia marina. Spugna ma- rina. Spongia Linn. Rus. p. 223. « De lenne la spongnia — 306 » marina cull’acetu infussa ce » lega de supra ec. ». Spugna arsa. Spugna brucciata. Lib. Mas. p. 36. « Tolli spugna » arsa inmonda e polvereza- » ta ecc. ». Spumature dell’ unge. (lat. Spumaturae ungularum). Spuntatura dell’ unghia, sa- lasso del piede, salasso in punta. Rus. p. 289. « Per negligentia voi per poca ductrina delu medecante, al- cuna fiata ali cavalli abene infusione et desenge ali pedi, et questu avvene che li humuri, comu sole, correnu ali pede. La extremitate del- lungia dala parte denanti delu pede, c’ una pizola rosenecta intantu se cave infundu, fine che la mastra vena delu pede, che vane locu, se ronpa, e rocta la vena lassa issire lu sangue v yu > © 5 vv. © vis > vv yu vv “ x lisca ». Nell’ edizione di Spira si legge pure Spumature, alla quale parola avverti già il Pa- dre Sorio doversi sostituire quella di spuntaturis, suggerita da Brugnone. Nel Crescenzio il passo relativo dice: « si cavi » con la rosetta piccola fino » al fondo la stremità del- » l’ unghia dalla parte dinanzi, infino a tanto che la vena maestra, che discende infino «a quel luogo, si rompa con ss “ % fine che lu cavallu adeve- — 307 — » la rosetta e ne esca il » sangue >. Nel Crescenzio vol. del 1511 il cap. 52 ha per titolo De la Spontatura dell'unghie. Nel Rusio Barolitano inedito ha De li spumazzi de l'ongie con cui s’ indica la malattia non l’ operazione. Nel codice Colombiano il capitolo corrispondente s° in- titola. De la Infondisone discesa ai piedi e dice: « Se la in- . fondisone non curata descen- derà ai piedi; se ella serà fresca e novella volse la extremità dell’ unghia in la parte dennanzi del pe’ colla rognetta intanto cavare che se rompa la vena maestra che va linci, e di quella vena lasciarne uscire tanto sangue che quasi tutto se indebili- sca el corpo ». Nell'opera di Giordano Ruffo si legge spuntature dell'unghie, e questo tanto nell edizione di Venetia per Maistro Piero Bergamascho 1492. 4. come in quella del 1554. 8. per gli Eredi di Giovanni Padovano, e in quella pur di Vinegia per Francesco de Leno 1563. 8. Nell’ edizione di Venetia per Rutilio Borgominiero 1561 la lezione è uguale a quella dell’edizione di Bologna e l’au- tore è indicato col nome di Rusto. E “È e i i È ai fi i a | Squilla. Squilla. Scilla. Scrllee vel squillae radiv. Urginea maritima. Steinheil. Rus. p. Si. « Però la urtica et la » squilla in dele menbra soi » naturale se puna ecc. ». p. 189. « Facciase unu enplastu » de fenu crecu et de semente » de linu et squilla ». Stellaza. Cauterio in forma di stella. Rus. p. 181. « Mectase » la stellaza convenevole sucta » la lesiune dela spalla unu » SUNMESSu....... spesse feata » in die spressandu (pressando » cioè comprimendo) con mane » lu locu dela stellecta che » la sania plu cectu n’ esca. Stellecta. Rus. p. 181 e 183. « Spressandu (premendo) con » mane lu locu dela stellecta » chè la sania plu cectu n’esca, » e lu cavallu se mene a » pizula passu, che per 1’ an- » dare, li humuri plu cectu » venianu alu locu dela stelle- » cta et escane >. Cauterio in forma stellata, 0 di stella, di cui si ponno vedere i disegni nell’ antico libro di Chirurgia di Albucasi. Nella Mascalcia di Maestro Leone si trova spesso sug- gerito un tale mezzo terape- utico. Il P. Sorio in una nota al Crescenzio (1.9 c. 26. lin. 2. ) porta il testo che legge: « E » se gli occhi sono oscurati o » stellati, sotto entrambi gli » occhi si ponga la stellata, — 308 — » tuttavolta quattro dita di » sotto », Le parole del testo latino sono le seguenti: S7 vero ca- ligati sunt oculi, Astellati sub ambobus oculis imponatur, qua- tuor tamen diqitis deorsum. Non è chiaro abbastanza, con- tinua il Sorio, qual sorta di rimedio o medicamento sia quello, che qui viene proposto, detto ne’ varii codici latini ora Astelati, ova Asteleti, ora Asto- leti, e più abbasso nel capitolo XXXII ben due volte Astelata, per li quali vocaboli il volga- rizzamento posto ha sempre quel di Stellata. Il sentimento de’ pratici nell’ arte Veterinaria si è, ch’ esso possa essere un impiastro, della natura de ve- scicatori, o dalla attività di questi non troppo lontano. Bassi nei suoi Prolego- meni Storici di chirurgia ve- terinaria avverte, che ai tem- pi di Rusio erano detti Orti- ghette o stellette i setoni in- glesi. Sarà vero, ma osservo che dove Rusio ha nel testo lat. setones, il Siciliano rende setone senza por mai la voce stellectae in vece della prima. Perciò quando consiglia le stellaze o le stellette pare in- dicar veramente un medica- mento speciale, diverso dai setoni. Nell’ antichissimo libro delle Mase. si legge a p. 12. « Cuoci » la vena la quale è nel capo » del collo, overo della chioma, » colo raso del ferro caldo, e » cantoni deli occhi ec. ». Anche in questo luogo è accennato un cauterio avente la forma di raggio. Stercu buvinu. Sterco bovino. Rus. p. 209. « E la pulve » delu stercu buvinu ben arsu » in delu focu ecc. ». Stercu callu. Sterco caldo. Rus. p. 274. « Item a quellu me- » denmu, valece lu stercu callu » de l’omo, voi dell’oca se » ce lu poi ». Stercu caprinu. Sterco caprino. Rus. p. 227. « A quellu me- » denmu vale lo sterco caprinu » cula farina dell’orio ecc. ». Stercu delu cavallu callu. Sterco di cavallo in fermenta- zione. Rus. p. 455. « Et alcuni » ce pone lu stercu de questu » cavallu callu supre lu tu- » More ecc. ». Stercu palumbinu. Sterco di colombella. Rus. p. 327. « Con- » fitia le cantalevre (cantaridi) » e lu stercu palumbinu coll’a- » cetu ecc. >». Stercu purcinu. Sterco porcino o di porco. Rus. p. 275. « Re- » cipe lu stercu purcinu e la » calce viva ecc. ». Stilu d’ arientu fervente. Stilo argenteo incandescente. Era usato per una speciale cauterizzazione, perché effetti- vamente gli antichi vollero -ri- — 900: | conoscere nei cauterî una di- versa azione secondo la natura dei metalli con che si compo- nevano, Rus. p. 111. « Dapoi » che se comenza anmollifi- » care, c’ unu stilu d’ arientu » fervente li vivoli se perton- » na ecc. >. Storace. Storace. Resina prove- niente dallo Styrax officinalis. Linn. Rus. p. 303. « Et ala » fissura dell’ ungia se stenpre » lu laudanu, storace, et la » colofonia ecc. ». Strictura. Strettojo. Enpiastro adesivo. Rus. p. 183. « E poi » gle se faccia cutale stricturu. » Recipe de pece greca et de » mastice, et de incensu guale- » mente, et unu pocu de san- » gue de dragone et de pece » navale (Cfr. p. 97) ». Nel dialetto parmigiano la voce sfertor, significante rimedio da usarsi per le lussazioni de’'buoi, è tuttora viva e d’uso generale. Stuppa. Stoppa de canneva voi de linu. Stoppa di canepa 0 di lino. Rus. p. 155. « In » tucta la :plaga se pona la stoppa de cannova voi de linu minutata, tame de sopra la stuppa se iecte unu pocu » de calce viva ecc. ». p. 281. « E postace la stuppa infussa » in dell’ acetu ». Suchiello. Succhio. Istrumento atto a forare. Lib. Masc. p. 62. « Poscia li fa forare >< è» >» » con suchiello sotile molto » ecc. D. Sudore di cavallu. Sudore ca- vallino rappreso. Il sudore consolidato a mezzo di ingredienti diversi venne realmente usato dai più antichi medici. Rus. p. 425. « Piglia » lu sudure d’un altro cavallu » e lu pane arsu ece. ». Suppustame. Suppositorio. Sup- posta. Rus. p. 189. « E pi- » glia delu lardu a modu de » suppustame ecc. ». Supustame de porru. Suppo- sitorio fatto col porro. p. 369. « Poi gle fane lu supustame » de porru untu de sapone » niru >. T Tartaruca e testudine e Te- stugine. Testudine, Testuggine. Tartaruga terrestre. Testudo graeca. Rus. p. 379. « Così » le lumache overo le tarta- » ruche, cioene le testudi- » ne ecc. >. V. Testugine. Tassu barbassu, Tassi bar- bassi. Tasso Verbasco. Verba- sco. Verbascum, Tapsus. Linn. Rus. p. 407. « E nota che » se tu lavi qualunca. plaga » culu vinu, coctuce lu tassu » barbassu ecc. ». Tastu, Tasta. Tenta, sonda, spe- cillo. Toronda, stuello 0 viluppo di fila. Turunda. Lemniscus. — 310 — Rus. p. 151. « Tastu de ficu voi de radicina de tassu barbassu, voi de moru ». . 373. « Agi lu ciclame e fanne unu tastu ». p. 257. Non ce abesongiu de ponere stuppigiu, voi tastu ecc. >». Il testo Spirense stupiginium sive tasta. Tegula, voi lo mattone, fer- vente. Tegola scaldata. Rus. p. 237. « La pulve dela cerisa » scallata supre la tegola ». p. 237. « Le tegule, voi lu » mattone fervente in del- » l’acetu furtissimu se ramo- » ra ecc. >. I contadini usano ancora di eseguire fregagioni sulla pelle delle bestie bovine, divenuta aderente si tessuti sottoposti, servendosi di mattoni r.scaldati o di pezzi di tegole. Tela delo ragniolo. Ragnatela. Lib. Mase. p. 36. « La tela » delo ragniolo formata poni » sopra i luoghi lesi e sana- » rasì ». Tela de ranchiu. Tela di ra- gno. Rus. p. 274. « Recipe » de mele ij cucchiare, et de » fulligine ii) cucchiare, et de » tela de ranchiu ecc. ». Tentare. Esaminare. Esplorare. Lib. Masc. p. 7. « Tentai ossa » e nervi e vene e muscoli e » tuti i menbri ecc. ». Termentina, Terebentina, Tre- bentina. Trementina. Si ricava dalla Pistacia terebinthus Linn. Wale è Larix europea; Pinus mari- tima; P. Silvestris. Rus. p. 2441. « La squilla e la tere- » bentina ecc. ». p. 249. « De » mele crudu, de termentina » ecc. ». p. 259. « Fane lu » unguentu dela trebentina et » dela cira et de gunma ra- » bica ecc. >». Terra blanca. Creta. Terra con carbonato di calce. Rus. p. 359. « Tucta la gamba se » enplaste de terra blanca et » d’acetu ». La gregata, così detta da’ lombardi, si prepara appunto con una terra bianca da mat- toni e con aceto. Testa. Testo. Teste. Rus. p. 375. « Recipe la testa, voi una » tegola, calla e puila sulu » ventre delu cavallu ». p. 113. « E poi agi teste voi mattone » calli ». Testugine, Testudine. Testudine di acqua e di terra. Rus. p. » 397. « Agi le testugine et » senza capu e pede et cuda et intestini falle tantu cocere in dell’acqua, che la carne se parta dall’ossu, et l’acqua sia ben grassa..... E nota che le testudine deve essere acquarole, abengnia che le » terrene sia bone ». Tirriaca, ferriaca. Triaca. The- riaca Andromachi. Elettuario opiato polifarmaco. Rus. p. 401. « Recipe de tirriaca une. ij. » voi tre ecc. ». p. 425. « Poi sg vv S = » x» — 311 — » gle dane a bevere la terriaca. » cun bonu vinu ecc. ». Topa. Talpa. Talpa Europoea. Linn. Rus. p. 393. « Valece se » la topa se cocie in dell'olio » dela oliva usque ala con- » sumatione della carne ». p. 393. « Fane bullire la topa in » dell’ acqua salsa, voi in della » lessiva ecc. ». Trasmarinu. Ramerino. Rosma- rino. Rosmarini hortensis herba. Rosmarinus officinalis. Linn. Rus. p. 407. « Recipe lu tra- » smarino et seccalu all’ um- » bria ecc. ». Trifoliu. Trifolio (che Rusio dice coltivato in Puglia ai tempi suoi). Trifolium pratense. Linn. » Rus. p. 51. « Ene in Pu- » glia una herba la quale se » chiama trifoglio ». Trinche. Tinca (pesce). Tinca. (yprinus tinca. Linn. Rus. p. 53. « Recipe adunca tucte » l’entrole delu pesce, lu quale » à nomo trinche ». Tuellu. Tuello. Osso semilunare, o triangolare del piede del ca- vallo il quale serve a dargli la forma. Rus. p. 279. « Lu » tuellu ene una teneritate de » ossu factu a modu dell’ un- » gia, nutricante l’ ungia e » gubernantela, e le radicine » dell’ ungia traentele asseve » universalemente ». Intendi | ultimo falangeo degli anatomici rivestito dalla carne scanellata. Tutumagliu maiore. Titimalo.. Tithymalus. Rus. p. 259. « Re- » cipe de turnisci, cioene de » tutumagliu ecc. >. V. Anabulle. U Ubiu et Obiu (semente). Opulus di Varrone. Oppio. Chioppo. Acer campestris. Linn. Rus. p. 383. « Alu cavallu furiosu » et non patiente... dagle a » manecare | Ubiu et cula » annona gle miete due voi » tre une. Recipe de mandra- » gora et de obiu, de semente «> dell'una et dell’ altra ». Se per quello si legge non fosse esattamente indicata la sostanza chiamata Ubiu ed Obiu, per gli effetti che Rusio ricorda, vi si dovrebbe rico- noscere l’ Oppio, succo ispes- sito che si cava dalle capsule del papaver somniferum Linn. Ungia cavallina. Ugna di ca- vallo. Ungula equi, o del- l' Equus caballus. Linn. Rus. p. 401. « Agi de arnoglossa » maiore et menore et de. » eupatoriu et de ungia ca- » vallina ugualemente ece. ». Unguentu per le crepaccie. Unguento per le crepacce. Rus. p. 253. « Ancora lu unguentu » che vale ale crepaccie et ale griczale, riczola, ala scaja et a moro, farfale et ala tingnia ». > s& © — 312 — Nell’ edizione di Spira il testo ha: « Item unquentum » quod valet ad creppacias, » riciolos, sive grizarias, sca- » biem, moros, farsetellos et » lineam >. i Unguentu a temperare la carne. Unguento da rifare la carne. Rus. p. 423. « A ra- » conzare la carne et a re- » sanare la plage facciase cu- » tale unguentu ». Unguentu pentamiron. Un- guento di cinque sostanze. Rus. p. 227. « Radase ben » lu locu et ungase culu un- » guentu che se dice penta- » miron ecc. >. L’ unguento pentamiron di Rusio si compone di: Sugna vecchia di porco parti Olio di vitelli d’ uovo » Cera bianca » Resina » Olio laurino » AE 5A a deli La forma unguento (da un- gere) comprende tutti quei medicamenti composti, di de- bole consistenza, che ponno servire a praticare delle un- zioni. Unguentu ruptorio, Unguentu ructoriu. Unguento ruttorio. Un- quentum ructorium formato : di Calce viva, di Sapone, di Capitello. Rus. p. 421. « Lu » unguentu ruptorio fortissi- » mamente cide la fistula voi » lu cancru ». p. 249. « cet. » ene dectu unguentu ructo- » riu ecc. ». Unguentu russu. Unguento ros- so. Unguentum cum Minio. id- est deutoxidi plumbi. Unguentu a consolidare. Un- guento cicatrizzante. Rus. p. 253. « Facciasenne lu un- » guentu a consolidare ecc. ». Unguentu dela serpe. Un- guento col grasso della serpe. Rus. p. 301. « Lu unguentu » dela serpe se lauda plu che » tucti li nanti dicti unguenti ». Unguento de dialtea. Un- guento di Altea. Rus. p. 114. « Sia untu quellu locu de » butoru et de unguentu de » dialtea ecc. ». Urina dell’omu. Urina umana. Rus. p. 407. « Urina dell’omu » recente ». Aurina dello garzone. Urina di fanciullo. Rus. p. 144. « Vale » cul acetu fortissimu l’aurina » delo garzone virgene ». p. 155. « Lavese dui fiata indie » culu vinu pocu callu, voi » cola urina ecc. ». Urtica (semente), seme di ortica. Semen urticae, dall’ Urtica dioica ed Urtica urens. Linn. Rus. p. 85. « Ancora a quellu » medesimu vale lu implastru » dele urtiche ». Ustigare. Abbrucciare. Lib. Mase. p. 83. « Ma se questo non » giova, ustiga, e questo è la » fine dela cura ». e — e I — 313 — Uva lupina. Uva lupina, stafisa- gra. Lib. Mase. p. 29. « Tolli » erba che si chiama uva lu- » pina ». Nicolò Alessandrino a p. 165. Ed. Venet. 1543 scrive. Uva lupina interpretatur a quibu- sdam Staphisagria. Averoes, Solatrum ecc. Graeci Stry- chnum sive uvam lupinam vo- cant. Per altri sarebbe la Morella (solanum officinarum). Uva passa. Passule diverse. Uva passa. Frutto della Vitis vè- nifera. Linn. Rus. p. 339. « De riquiritia, de fenu grecu » et d’ uva passa uguale- » mente ». Raccomandavano e preferi- vano gli antichi V uva passa di Corinto. 1; Vanmace. Bambace. Cotone. Dal Gossypium herbaceum. Rus. p. 133. « Vale lu fume dela » peza arsa, voi dela vanmace » vecchia arsa ». Vepre. Rovo. Rubus. Rus. p. 105. « Vale le cime dele vepre, » cioene deli ruvi cocte in » delu bonu vinu blancu ». Verderame. Viride aeris. Su- bacetas deutoxidi Aeris. Ver- derame. Rus. p. 103. « Agi » lu verderame ettritalu ecc.». Verga pastore. Verga del pa- store. Virga pastoris. Dipsacus sylvestris. Mill. Rus. p. 381. « Recipe la herba dela verga » pastore ecc. >. Rusio la raccomanda come medicina contro la rabbia ed i calcoli. Vergare. Virgolare, Cauterizzare a righe, o simili. Lib. Mase. p. 84. « Ma se questa infer- » mità serà vechia e dura e » non nuocie al cavallo, non » dei vergare il cavallo nè » flebochomare ». Vermi terrestri. Lombrici ter- restri. Rus. p. 421. « Agi li » vermi terrestri et coll’ olio, » voi c' unu pocu de mele ce » se mecta ecc. ». V. Lisculi. Verse. Cavolo verzotto. Sverza. Brassica oleracea sabauda. Linn. Rus. p. 391. « Agi li » cavassi et lu sucu dele verse » et mele ecc. ». Mancano queste parole ne’ testi latini da noi veduti. Viloccia delle ova lesse. Vi- telli, Vitelloccie delle ova. Rus. p. 139. « Tucte queste cose » se confitij cule viloccia delle » ova lesse ». Vinu oduriferu. Vino aromati- co. Rus. p. 375. « Falle bul- » lire innuvinu oduriferu ». Vinu bonu. Vino pretto, buono. Rus. p. 379. « Mectase in delu » bonu vinu ». Vinu optimu e forte. Vino ottimo, pretto e gagliardo. Rus. p. 339. « In defectu de — 314 — » mustu, deaglese lu vinu » optimu e forte ». Vinu callu. Vino riscaldato. Rus. p. 121. « Ma nanti lava le » decte plaghe -dela lengua » culu vinu callu ».. Vinu forte. Vino gagliardo, spi- ritoso. Rus. p. 115. « Frechese » bene tucta la vocca da intru, » missu l’acetu et lu sale et » la rasa insenmura, voi vino » forte >. Vinu pocu callu. Vino tiepido. Rus. p. 155. « Ma quando la » carne sarà cresciuta et non » averà factu lu coiru, lavese » dui fiata in die culu vinu » pocu callu ». Vinu tepedu, tepegliu. Vino tepido. Rus. p. 177. « Et poi se lave con vipu tepedu voi con acetu ». p. 159. « E poi se lave de acqua salza, voi de puru et octimo vinu tepeglio ». Vinu blancu purissimu. Vino bianco schietto. Rus. p. 99. « L’ ochi se lave, lu di, de » vinu blancu purissimu ». Vinu blancu non fumosu. Vino bianco non spumeggian- te. Rus. p. 257. « Mictice » meczu pitictu (bicchiero) de » vinu blancu non fumosu ». Violaria. Nome di una famiglia di piante di cui la viola è il tipo. Rus. p. 331. « Recipe » la violaria e la paritaria ». Si legge in un Cod. ined. scritto da un Maestro Fatio vu 4 Us al Cap. 69. « Abbiate una » herba che se chiama la vio: » lara, cioè fronde de viole ». Viole. Viola. Viola odorata. Linn. Rus. p. 367. Recipe de malva » et de pedi de viole et de » paritaria ». Vita alba, Vife alva (cocta). Vitalba cotta. Vitalba cocta. Clematitis Vitalba. Linn. Rus. p. 177. « Recipe la vite alba » et pistala ecc. ». p. 377. « Fane unu anellu de vite » alva ecc. ». p. 129. « Agi » la vita alva, voi li vitablo- » ni ecc.î». Vitabluni. Viticella. Idem. Rus. p. 129. « Li rami dela vitalva » voi de vitablune ch’ ene » megliu ecc. ». Vite (cinere di). Cenere di vite. Vitis cinis, dalla Vitis Vini- fera. Linn. Rus. p. 358. « Agi » la cenere de la cerru, voi » dela vite, et fanne lissia ». Vitellu d'ovu lessu. Tuorli d’ ovo. Vitelli d’ uovo. Ovi vitellus. Rus. p. 255. « Recipe » de Vitella dell’ ova ruste » dure et pistale bene culu » sale ecc. >. Viticella. Viticella. C/ematitis Viticella. Linn. Rus. p. 427. « et du meluncelle et de vi- » ticella ecc. >. Vitriolo. Vitriuolo. Vitriolum. Rus. p. 415. « Recipe de » verderame et de arsenicu, » et de persicaria trita, et de » vitriolu et de nitru ecc. ». — 315 — Gli antichi dicendo sempli- cemente Vitriuolo intendevano quello di Cipro, ossia il Ve- triuolo di rame ( Cuperosa bleu), Deutosulphas Cupri. Presto il nome di Vitriolo divenne collettivo e si usò per indicare alcuni sali di appa- renza vetrosa, risultanti dalla combinazione dell’ Acido sol- forico con alcune basi metal- liche come ferro, zinco e via dicendo. Vitriu tritatu. Vetro polveriz- zato. Vitrum ad pulvisculum redactum. Vitrum pinsum. Rus. p. 421. « Culu nitru et lu » vitriu tritata insenmura >». Youatt, fra i moderni, rac- comanda il vetro polverizzato finamente , contro la tenia del cane. Volu armenico. Bolo armeno. Argilla bolare. Bolus armena. Rus. p. 161. « Delenne recipe » volu armenicu ». Il bolo armeno si usa dai moderni contro l’ ematuria © mitto sanguigno. Volza deli pillicteri. Bianco dei conciatori, Bianco di Spa- gna, Argilla bianca, Calce d’ Istria, Carbonato di calce. Rus. p. 143. « Agi la volza » deli pillicteri, cula quale » blanchise li pelli ecc. ». Z Zuccaru. Zucchero. Saccharum. Rus. p. 99. Recipe la pulve » dela seccia, zoene dell’ ossu » dela seccia, e delu zucaru » ugualemente ». Dn AT) PA SERIE TERZA GLOSSARIO A Aina. Fretta. Rus. p. 315. « Nanti » che faccia la digestione ca- » valchese con grande aina ». Lat. cum festinantia. Anmura. Entrambe. Rus. p. 347. « Dele vene usate d’anmura » li parte delu pectu.... se » sange ecc. >. Aprebennare. Dare la prebenda o provenda. Rus. p. 55. « Quan- » du lu cavallu se deve apre- » bennare (lat. praebendari), l’annona se deve purgare, e deveglese dare che ce non sia pulve ne altra munditia » (immondizia) ». Aprindere. Accendere. Rus. p. 413. « Fanne ’na candela et » aprindila ». Ase. Agio. Rus. p. 211. « Ca li » humure maioremente cur- » renu insucta per la graveza, SS vv è» » se figinu ia dele garrecte » maiuremente per l'ase delu » locura ». Lat. propter loci habilitatem. B Barilione, Lat. barilio, terza vertebra caudale. Rus p. 387. « Lu tertiu ossu, lu quale » alcuni lu chiama barilio- » ne ». Bordone. Bardotto. Lib. Masc. p. 72. « Quando al cavallo, » overo mulo, overo asino, 0 » bordone, s’ enfia la gola e » ’l peto ». ( Caccavellu. Lat. cacabus. Paiuo- lo, Laveggio. Rus. p. 139. « Tollace... li tassi barbassi » ’nu caccavellu ecc. ». — 320 — Capilli. Criniera, Crini. Rus. p.137. « Li pili dela coda se ne cade e li capilli ». p. 159. « Ma se la plaga ene in altra parte delu dossu, che in dela extremitate deli capilli (crini) ». p. 145. « Li ca- pilli dela collu cula manu » se dericze appressu lu cor- » pu ». Capura. Teste. Rus. p. 407. « Agi » tre capura de lisierte ». Carvone. Carbone. Rus. p. 133. » Vasa plene de carvone ap- » prese (accese) ». Caso. Caduta. Lib. Masc. p. 26. « La cascione di queste infer- » mitadi è percusione, osia » Caso, overo cosa similiante » a queste ». Cenzu. Cencio. Rus. p. 133. « A » quellu medenmu vale se tu » ungerai de morca (morchia) » d’oliu unu cenzu ». Cerchio. Parola usata in un senso che non si trova indicato nei lessici, quantunque gli antichi, come ricorda Federico Gri- soni, chiamassero cerchi 0 cer- chielli certi spazî dove i peli sono riforti e circulati. Lib. Masc. p. 49. E! cavallo al quale troverai ne’ peli sicome uno cerchio sotto una lacca sua, nollo dei tenere, perciò ch' elli è di male indovina- mento. Corrisponde alla voce mo- derna Remolino, usata per in- dicare quelle parti della pelle vs Su vv del cavallo dove i peli stanno corricati gli uni in su gli altri a guisa di tegoli. Chibelli. Nulla, niente. Rus. p. 293. « Et non ce se renove » chibelli usque a tredie ». Cirorgia. Chirurgia. Lib. Masc. p. 4. «I cavalli abisogniono » di cura e medicina e ciror- gia sicome gli omini ». Cusini. Così, Rus. p. 391. « Et » l’oliu se fane cusini ». I) Delenne. Lat. Deinde. Poscio, Indi. Essendo usata un gran numero di volte, lasciamo di recar esempio di questa voce. F Fondamentu. fondamento, Ano. Intestino retto. Rus. p. 334. « De lenne in delu fonda- » mentu delu cavallu la pre- » ‘decta decotione se mecta » colo cristeru (schizzatoio) ». Fumicare. Suffumicare e suffu- migare. Lib. Masc. p. 16. « Fumica il cavallo con erba » che si chiama berbena ». G Gerto. Erto. Irto, sollevato. Rus. p. 403. « Et li pili soi stane » gerti, et ene più graile che » non sole », rr, Te I 1 — 321 — Gingelie. Gengive. Rus. p. 415. « Alcuna volta abene che per » lu humore melanconico su- » pre habundante le gingelie » sone subnigre et sanguino- » lente ». Gueriscimento. Guarimento. Guarigione. Lib. Mase. p. 65. « Il segniale del suo gueri- » scimento è quando il cavallo » comincierà a tossire ecc. ». I Incinu. Uncino. Rus. p. 115. « Pigliandule c’ unu incinu de » ferru pizulu ». Insengniatu. Ammaestrato, pra- tico, esperto. Rus. p. 385. « E, po’ quaranta die, unu » bene insengniatu cavalca- » ture cavalche supre lu ca- >» vallu ». Intriole. Interiora, Visceri del basso ventre, Intestini. Rus. p. 301. « Iectatane lu capu e » la coda et l’intriole ». Issire. Escire. Uscire. Rus. p. 291. « Lassa issire lu sangue . » dell’ungia quantu te place ». p. 291. « Lassa issire lu san- » gue fine che lu cavallu ade- » velisca (avvilisca, cioè venga » meno) >». L Lenzio. Lenzo, Laccio. Lib. Masc. p. 86. « Lega con -uno len- » zio forte e lascia stare per » uno dì ». Rus. p. 155. « E » legalu c’ unu lenzo ». M Marriscalco, Mariscalcho. Me- dico dei cavalli. Lib. Masc. p. 34. « E tuti i savi mari- » scalchi di questa arte pro- » varono questa medicinaec, ». Mascalcia. Marescalcìa. Maliscal- cia e Mascalzie anche nel singolare. Marescalchia, Ma- nuschansia. Secondo Metaxà la parola Mascalcîa ebbe origine dalla voce arabica Raemaka (cavalla) modificata dagli antichi tede- schi nella parola Maras ‘0 Marcas (cavallo), perciò dice- vasi Marescalco il medico de’ cavalli o il Medicus equarius dei latini. Heusinger deriva il nome di Mariscalco, Mali- scalco, Maniscalco, dal celtico March (cavallo) e dal gotico skalks (servo). Gli antichi italiani chiama- vano Maniscalchi coloro che esercitavano la medicina degli animali, e che ora diconsi Veterinari; Mascalcia la me- dicina delle bestie; e chi la- vorava all’ applicare i ferri a’ giumenti Ferratore. Dino Dini usò nel senso predetto la voce Mascalcia ed il verbo Marescalcire e Mare- scalcare, siccome risulta dai seguenti esempi: Minuccio di 21 — 322 — Arezzo non solo era sufficiente nel bel marescalchare, ma bello parlatore.... fu sufficiente in marescalchie, ma non seppe delicatamente ferrare... In ma- riscalchia ebbe gran pretio il sufficientissimo Guglielmo Lucci. Mascalcire registra il Van- nucci col giusto significato curare il cavallo. Mascalcie si dissero le ul- cerazioni o gl’ impiagamenti della pelle del cavallo prodotti dalle bardature. Minchia. Verga del maschio. Lib. Masc. p. 6. « Nelo prepusio, » cioè minchia ». Muccecare. Morsicare. Rus. p. 425. « Se lu cavallu, voi » l’omu sarrane muccecatu dal- » lu serpente, cusi lo cura- » rai >. N Nictu. Rotto, fratturato. Rus. p. 177. « L’altru lu quale vale » ad ossu nictu delu dossu ». Forse la voce mnicfu è uno svarione del copista che voleva scrivere ructu. P Papeia. Papiro. Lib. Masc. p. 96. ‘« Tolli... e d’una erba che » si trova nell’acqua, la quale » si chiama papeja ». Pertundere. Pertugiare, fendere. Rus. p. 151. « Pertunni lu » coiru c’ unu ferru acutu et » callu ». Pertusulu. Pertugiuolo. Foro. Rus. p. 155. « Se faccia sulu » dectu tumure, voi inflatione » unu pertusulu ». Piccu. Becco. Rus. p. 309. « Ep- » poi bulla lu sale genme in » dell'olio dela uliva in alcunu » vasu habente piccu ». Corrisponde questa lezione al testo Spirense. Postea buliat pulvis salis gemme in oleo olivarum in aliquo vase ha- bente rostrum. Pictinichiu. Pettineo. Regione sotto-pubica nella parte interna della coscia in corrispondenza del muscolo pettineo; Rus. p. 361. « Sangese dela vena delu » pitinicchiu de intru.... ecc. » mectaglese li lacci inter lu » pictinichiu ecc. ». Pictitu. Bicchiere. Rus. p. 257. « Mictice meczu pictitu de » vinu blancu non fumosu » ecc. >». Nell’ edizione di Spira il testo ha: Et pone super ipsa adhuc calida et distemperata dimidiam bicheriam vini albi non fumosi. Pillieteri. Conciapelli. Rus. p. 143. « Agi la volza deli pilli- » cteri, cula quale blanchise » li pelli ecc. ». Provenda. Prebenda; il pasto ordinario dei cavalli. Lib. Masc. p. 79. « E così a poco a poco — 323 — » saliendo li dà interamente » la provenda sua ». V. Aprebennare. Pullicara. Pollice. Rus. p. 311. c Allura inter la seta et l’un- » gia sana facce una carratura » (cavatura ) cola rosnecta, » longa meza pullicara per » traversu ». Il Lat. ad men- suram medii pollicis ex trans- verso. R Racha. Stoppa. Rus. p. 177. « Et sia plena la plaga de » racha ». Ramorare. Ammortare, estingue- re. p. 353. « In dela quale » lixia se ramora la calce viva, » la quale ramorta, piglia due » parti dela calce viva cusi » ramorta >». Ranmurire. Estinguere, spegnere. Rus. p. 133. « Et aprendon- » delu et ranmurendulu, fa- » glenne fume ». S Sarctagine, Sartago. Padella. Rus. p. 161. « Le quale scalla in- » senmura (insieme) alu focu » in dela sarctagine ». Siphac. Siphat. In una nota del secolo XVI, aggiunta nel nostro cod. si fa equivalere a peritoneo e ci pare ben giustamente. Rus. p. 193. « La roctura della » pellicula, la quale se chia- » ma Siphac ». Il testo nell’ edizione di Spira: Ruptura pellicule, que ciphat dicitur. Smaltire, Digerire. Lib. Masc. p. 34. « Quando non puote » manicare nè smaltire ». Somolo. Sommolo, punta. Lib. Masc. p. 45. « Quando il so- » molo del naso del cavallo è » tropo corto, non è buono, » perciò che non puote libe- » ramente rifiatare e respi- » rare ). Spetu. Spiedo. Rus. p. 301. « Li » pezi dela serpe grossemen- » te tagliati, missi in dellu » spetu ». Stallare. Evacuare le feci e le urine. Lib. Masc. p. 61. « Se » il cavallo sarà molto sudato » e stanco, farai quello coprire con uno panno infin ch’ elli stalli ». E a p. 61. « Ma s’ elli non poterà stalla- re ecc. >. Strumire, Istremire, dispergere. Rus. p. 151. « Enplastu ad » strumire ». Lat. Emplastrum ad tiumorem dispergendum. Subiniri. Sovvenire, soccorrere. Rus. p. 363. « Poigle (puoigli) » subiniri ala infermetate ». Sularu. Strato. Rus. p. 179. « Unu » sularu dele pecze decte, e » lu secundu sularu sia de » sale, lu terzu sularu sia ec. », Sullare e Sollare. Consolidare. Rus. p. 421. « Cosa possibile one ali ne, _ — 324 — » ene issu in tale manera » sullare. Con la detta cura » appena se sollarane ». Sunmessu. Sommesso, nota misu- ra. Rus. p. 181. « Mectaglese » la stellaza convenevole sucta » la lisiune dela spalla unu » sunmessu >. T Tarinu. Tarenus, denaro taren- tino. Rus. p. 325. « Tritese » lu resalgaru a pesu d’ unu » tarinu ». Cioè di 20 grani secondo M. Salvatico che ha: Tarenus ponderat grana XX. Tartisiare. Confricare. Rus. p. 201. « Unne per lu spessu » tartisiare dele cosse insen- » mura nascece una excoria- » zione a modu de plaga (in- » tertrigine) ». Lat. Unde ex frequenti corarum contactu ad invicem, quaedam ibi nascitur excoriatio ad modum plagae. Turcinellu. Fascia, pastoia. Rus. p. 271. « Piglia lu dectu tur- >» cinellu unu pocu strectu » supra la incapestratura ». U Umullicolu. Umbilico. Rus. p. 317. « Uocì deturnu all’umul- » licolu ». Lat. Coque ad umbilicum in circuitu. V Vossula. Bossolo, alberello. Rus. p. 135. « E così averai octi- » mu unguentu, lu quale re- » piu ’na vossula (lo quale » riponi in una bussola) ». PT e it nente è -FP___ È lectio INDICE! DEGLI AUTORI CITATI NELLE NOTIZIE STORICHE DEGLI SCRITTORI DI VETERINARIA. A Absirto o Apsirto, ippiatro, greco p. 11 28. 152. ecc. Abubecker Ben Albeder, Vet. del Sultano Almalech Alnasser p. 29. Acquapendente (Girolamo Fabrizio di), medico p. 151. Acquaviva Belisario, Scritt. di Uccellatura, napolitano p. 104. Acquino Cav. Fra Giov. Paolo, Scritt. di Cavallerizza p. 1417. Affò P. Ireneo, istoriografo e letterato, di Busseto p. 229. Agnini Bernardo, medico, di Fivizzano p. 187. Agogo, Maestro Falconiero p. 85. Akerman, letterato, tedesco p. 20. Alberti Dott. Tommaso, bresciano p. 191. Alberti Leon Battista, Architetto, fiorentino p. 139. Alberto magno (@Groos), Enciclopodico, tedesco p. 35. 78. Aldrovandi Ulisse, medico, naturalista e filosofo, bolognese p. 151. Alfonso secondo d’ Este, duca di Ferrara p. 132. Allione Francesco, medico, piemontese p. 190. Anatolio, ippiatro, greco p. 12. Andreucci Filippo, medico, senese p. 166. Angelini Giov. Battista, bergamasco p. 102. Angelio (Angeli) Pietro da Barga, autore dell’ Uccellatura p. 94. Antonello Giorgio da Torso, scritt. Veterinario p. 74. io ROB Arcadio, ippiatro, greco p. 207. Archidemo, ippiatro, greco p. 12. Argellati Filippo, bibliografo e letterato, bolognese p, 22 26. Aristotile, naturalista, greco p. 119. Avicenna, medico, arabo p. 56. Ayossa (Rosso d’), maniscalco p. 74. B Badiali Don Andrea, letterato, modenese p. 183, Baldovino da Monte, Scudiere p. 127. Balletti, medico, di Crema p. 169. Barbieri Dott. Matteo, medico, veronese p. 185. Baronio Giuseppe, medico, milanese p. 169. Bartoli Bernardino p. 69. È Bartolommeo da Messina, letterato, volg. degli ippiatri greci p. 242. Battaglini Can. Angelo, Archeologo, romano p. 19. " Battini Dott. Domenico, medico p. 187. Bergantini Giov. Pietro, Traduttore del Falconiere del Tuano p. 94. Berrito, ippiatro, greco p. 28. Betti Ct. Zaccaria, poeta ed agronomo, Veronese p. 166. Bettinelli Saverio, letterato, desenzanese p. 31. Bianchi Giovanni, medico, riminese p. 185. Bianchini Fortunato, medico, napoletano p. 165. 188. Biondo Michelangelo, medico, veneto p. 135. Birago Francesco, scrittore di caccia, milanese p. 95. Biscioni Can. Ant. Mar. toscano, dotto scrittore p. 26. Biumi Pietro, medico, milanese p. 182. Blasio Gherardo, medico, fiammingo p. 153. Boccamazza Domenico, scrittore di caccia, romano p. 90. Boccone Paolo, naturalista e filosofo, palermitano p. 159. Boerhaawe Ermanno, medico, olandese p. 20. Bonacossa Ippolito, giureconsulto, ferrarese p. 10. 203. Bonet Teof. naturalista, ginevrino p. 166. Bonfadini Cap. Vita, scrittore di caccia, di Salò p. 100. Bongiovanni Nicola, protomedico, veronese p. 188. Bongiovanni Zenone, medico, veronese p. 187. Bonifacio, scrittore veterinario, di Gerace p. 29. 39. Bonsi Ct. Francesco, dotto scritt. di Veter. di Rimini p. 19. 192. Bonvicino Costanzo, medico, piemontese p. 188. nici — e TC ATO A TO i — 327 — Borghesi Antonio, veterinario, bolognese p. 186. Borromeo Ct. Can. Troilo, scrittore di Vet. padovano p. 161. Bottani Trino Giov. med. scrittore di Vet. di Caorle p. 168. 185. Bourgelat Claudio, scrittore celebre di Veter., francese p. 136. 147. Brandolino Ct. Giovanni, patrizio veneto p. 34. Brera Luigi Valeriano, medico, pavese p. 191. Bruce-Whyte A., filologo, inglese p. 223. Brugnone Giov. , Chirurgo e Vet. di Acqui p. 163. Bruno frate Gabriele, veneto p. 34. Buniva Michele, medico, di Pinerolo p. 174 179. Buonfanti Antonio, parroco di S. Miniato p. 102. Burnes Alessandro, scrittore e viaggiatore inglese p. 9. Cc Cabero Franc. Garzia, ippiatro, spagnuole p. 221. Calò Mariano, maniscalco di levante p. 43. Calvo Fernando, Vet., spagnuolo p. 56. | Camerario Gioachino, medico, di Bramberga p. 12. 126. Campagnoli Dott. Francesco, medico p. 183. Canavese Pietro Fr., Scudiere, milanese p. 107. 157. Canobio Bartolommeo, veronese p. 36. Cantù Cesare, storico e letterato p. 18. Capecelatro Fr., storico napoletano p. 33. Caperozolo, manescalco, di Arezzo p. 63. Caracciolo Pasquale, scudiere, napoletano p. 16. 24. 50. Caraffa Alberico, March., napoletano p. 74. Carbedone, ippiatro, greco p. 207. Carcani Ignazio, medico, milanese p. 169. Carcano Francesco, detto Sforzino, scrittore di caccia p. 90. Cassio Dionisio, letterato, di Utica p. 18. Castelli Dott. Dionigi, medico, modenese p. 183. Castelli Lod., medico, di Cividale del Friuli p. 182. Catamusto Antonio, cavalerizzo, napoletano p. 119. Catone Marco, agronomo, romano p. 18. Cavagni Orazio, maniscalco, piacentino p. 144. Celso Cornelio, medico ed agronomo, romano p. 14. 18. Cesalpino Andrea, medico, di Arezzo p. 151. Chirone, Vet. ed agronomo, greco p. 15. Cicognini medico, bresciano p. 186. — 328 — Cinelli Calvoli Giov., letterato, di Firenze p. 32. Cinquini Domenico, scudiere, romano p. 117. Cinquini Lelio, cavallerizzo, romano p. 147. Cioni Prof. Gaetano, toscano p. 205. Cirino Andrea, scrittore di caccia, palermitano p. 92. Cito Giovanni, scrittore Vet., napoletano p. 120. Ciurzio Giuliano, falconiere p. 216. Clemente Africo, agronomo, padovano p. 161. Codroipo Fran., udinese, scrittore di caccia p. 92. Cogrossi Giov., medico di Crema, p. 185. Colin G. Prof. di anat. comp., francese p. 159. Colla. Marsilio, cavallerizzo, di Lodi p. 117. Colombo Ab. Michele, letterato, veneto p. 37. Colombo Realdo, anatomico, cremonese p. 151. Columbre o Colombro di S. Severo, veterinario p. 66. Columella Moderato, scrittore d’ agronomia, spagnuolo p. 18. Conde Garcia. V. Garcia Comani (Giov. Batt. de) p. 74. Conte di Altavilla p. 75. Conti Natale (de), scrittore di caccia p. 94. Corradi Prof. Alfonso, medico e scrittore, bolognese p. 58. Correggio (signor di), famiglia patrizia, di Parma p. 133. Corte Claudio, cavallerizzo, pavese p. 16. 51. Cortenova (Ct. Uberto da), Canonico di Bergamo p. 54. Cosroe il grande o Nuscirevar p. 27. Costantino Settimo (Porfirogeneto), di Costantinopoli p. 27. Crastoni Giovanni, Grecista, piacentino p. 142. Crescenzi (Piero de’ ), agronomo, bolognese p. 38. 39. ec. Cruyllis Giovanni de’ feudatari di Calatabiano in Sicilia p. 221. Curiale Gabriele p. 75. Cuvier Barone Giorgio, naturalista e scrittore, francese p. 149. D Da Barga (Pietro Angelio), V. Angeli Pietro p. 94. Da Carcano Angelo, cavallerizzo, milanese p. 119. Da Carcano, detto Sforzino, scrittore di Uccelleria, milanese p. 90. Da Cauliaco Guido, celebre chirurgo, francese p. 56. Da Pera maestro Antonio p. 40. Dalla Mendolara Camillo, cavallerizzo p. 149. — 329 — Danchi Re persiano p. 87. Dandolo Alvise, scrittore Vet., veneto p. 163. Daniello, cremonese, maestro di Uccellatura p. 36. Darcet, medico, francese p. 170. Daremberg Carlo Vittorio, letterato, francese p. 12. De-Borgognoni Fra Federico di Lucca, Vescovo di Cervia p. 37. De Capitaneis de Sicilia, magistro Petro Laurentio, inni p. 134. De-Cruyllis, patrizio siciliano p. 31. 220. De-La Guerriniere, cavallerizzo, francese p. 114. De Lafont-Pouloti, Vet., francese p. 53. De-Rossì Giov. Batt. filol. e lett. piemontese p. 29. De Thou (Tuano), scrittore di falconeria, francese p. 9. Dehò Dott. Pietro, medico, di Pavia p. 188. Del-Monte Ugone, patrizio, toscano p. 64. Del Prato Ottaviano, parmigiano p. 70. Delabere Blaine, Vet., inglese p. 8. 220. Delabrue, ipp., francese p. 16. Demetrio, costantinopolitano, scrittore di caccie p. 88. 89. Di Giovanni prof. Giovanni, lett. e filol. palermitano p. 58. 213. Didimo, ipp., greco p. 28. Dini Dino, scrittore Vet., di Firenze p. 6. 20. 59. Diofane, ipp. di Bitinia p. 18. Dodo di Prada, provenzale poeta p. 77. Don Giovanni d’ Austria p. 225. Donarelli Felice Maria, medico p. 138. Doria frate Iacopo, genovese p. 37. Doriglione Jacopo, agronomo, genovese p. 166. Duca di Calabria p. 75. Duca di Ghisa p. 133. Duca di Urbino p. 132. — Duca di Venosa p. 75. Du-Poi Monclard, francese p. 53. E Emerito, ipp., romano p. 207. Emiliani Giovanni, medico, ferrarese p. 141. Ercolani Ct. Dott. G. B., medico, Vet. e scrittore, bolognese p. 23. Eroteo o Jerocle ipp. e scrittore, greco p. 11. Eubulo ed Euranio, ipp., greci p. 207. Eumelo, ipp., greco p. 12. — 330 — E° Fabricio Giov. Alberto, bibliografo e scrittore p. 11. 16. Falconi Ct. Gius., frate Carmelitano, storico ed agr., piacentino p. 144. Fantasti, medico, veronese p. 185. Fantini Antonio, Vet., modenese p. 187. Fantini Giuseppe, medico p. 187. ® Fantoni Spirito Maria, medico, d’ Ivrea p. 190. Farsetti Tom. Giuseppe, patrizio e letterato, veneto p. 28. 31. 54. ec. Fayser, letterato tedesco, traduttore dell’ opera del Grisoni p. 17. Federico secondo di Sicilia, autore dell’arte venandi cum avibus p. 15.16.77. Feletti Dott. Ansaldo, di Bologna p. 201. Ferdenzi Antonio, Vet., mantovano p. 175. Ferrari Matteo, maniscalco p. 134. Ferraro Giov. Batt., Vet., napoletano p. 49. 143. Ferraro Pirro, Vet. e cavallerizzo, napoletano p. 116. Festiano, ipp., romano p. 207. Fiaschi Cesare, scudiere e scrittore, ferrarese p. 16. 105. Fierli Avv. Gregorio, toscano p. 171. Filia Dott. Giuseppe, Vet. di Sardegna p. 58. Filonico farsalico, possessore di armenti ai tempi di Aless. Magno p. 2418. Finazzi Pier Francesco, medico p. 190. Fiorentino, Vet., greco p. 28. Floro, ipp., romano p. 207. Foglioso (Du-Foulloux) Giacomo, p. 96. Fontana Felice, medico e nat. toscano p. 170. Foppa Gaspare, maniscalco dei signori Della Rovere p. 133. Fra Basilio della Concezione, autore della ornitogenia p. 92. Fra Prospero Ricco, cavallerizzo, milanese p. 149. Fracastoro Girolamo, medico e poeta, veronese p. 137. Francavilla, Principe di Napoli p. 194. Francini Orazio, Ipp., italiano p. 113. Frate Antonio da Barletta, volgarizzatore di Rusio p. 55. Frate Teodorico de’ Borgognoni da Lucca, Vescovo di Cervia p. 37. Freschi Francesco, medico e scrittore, piacentino p. 175. Frontone, Vet., greco p. 28. Furlanetto Ab. Gius., cel. filologo p. 205. — 3831 — G Galeno C., medico e scrittore, di Pergamo p. 56. Galiberto Giov. Batt., Cavallerizzo e scrittore, napoletano p. 127. Gallarati Agostino, medico, Prof. di anatomia, pavese p. 185. Galliccio, medico, vicentino p. 186. Gallo Agostino, agronomo e scrittore, bresciano p. 145. Gamboa (Giovanni de), scudiere, napoletano p. 122. Gandini Marc’ Ant., volgarizzatore di Senofonte p. 11. Gandolfi Gaetano, Vet. e scrittore, bolognese p. 179. Gandolfi Giacomo, Vet. e scrittore, bolognese p. 163. Ganzarini da Scandiano. V. Titi Garcia Conde, veterinario, spagnuolo p. 56. Gargilio Marziale, scrittore di Vet., romano p. 26. Garsault (F. A. De.), Ipp. e scrittore, francese p. 224. Garzoni Marino, scrittore di Vet., veneto p. 103. Gazola, medico, veronese p. 185. -Gerlach A. C., Prof. Vet. tedesco p. 159. Gherardini Michele, medico, milanese p. 188. Giamboni Bono, volgariz. del Tesoro di Brunetto Latini p. 77. Giglio Girolamo, tipografo, veneto p. 27. Giordani da Todi, Veterinario p. 140. Giordani Giorgio, da Sassuolo p. 174. Giordano, maestro falconiere p. 93. Giorgi Federico, da Gazuolo, scrittore di caccie p. 93. Giulio Dott. Carlo, medico, piemontese p. 190. Gonzaga, Duca Guglielmo p. 132. Grandi Giacomo, autore di un libro de’ marchi p. 107. Grandi Lazaro, scrittore di Vet. p. 92. Grapaldo F. Maria, grammatico e scrittore, parmense p. 164. Gratiolo Andrea, medico, di Salò p. 69. Grazio Falisco, scrittore di caccie p. 86. Grilli alias Setti, di Fabriano, Vet. e scrittore p. 153. Grineo Simone, letterato, editore dell’ Ippiatrica p. 12. , Griselini Francesco, agronomo e scrittore, veneto p. 166. Grisone Bartolomeo, veterinario p. 76. Grisone Federico, scudiere, napoletano p. 16. 57. 105. Guarini Alfonso, cavallerizzo, veneto p. 202. Guarmani Carlo, ippofilo e scrittore, genovese p. 102 Guerriniere (de La), scudiere, francese p. 144. — 332 — 1=4 Haller Alberto, medico, istorico della medicina, svizzero p. 146. Harpur, veterinario, inglese p. 173. Hebenstreit, naturalista, tedesco p. 181. Hegel, scrittore tedesco, celebre p. 9. Hering, celebre scrittore di Vet. tedesco p. 108. Heusinger, medico, scrittore celebre, tedesco p. 341 40. Hierocle, ippiatro, greco p. 13. Huzard Giov. Batt., Vet. scrittore, francese p. 17 60. LO TT, TU CE 79 Kersting, Vet., tedesco p. 14. Klein, naturalista, tedesco p. 166. JI Jemina Giov. Batt., medico, figlio di Marco p. 178. Jemina Marco Ant. medico, di Mondovi p. 178. Jerocle, ippiatro, greco p. 11. 28. 212. Jourdain Giov., medico, francese p. 149. I Ingrassia Filippo, medico, siciliano p. 139. Invernizzi Filippo, erudito, scrisse sull'arte equestre p., 125. Ipparco, ippiatro, greco p. 207. Ippasio, ippiatro, greco p. 12. Ippocrate, scrittore d’ Ippiatrica p. 22. 28 ecc. Isachi Alfonso, scrittore sulla giurisprudenza della caccia p. 92. IL Lamberti Luigi, letterato p. 94. Lancetta Troilo, medico, veneto p. 155. Lancisi Giov. Maria, medico, romano p. 163. 183, . Lastri proposto Marco, agronomo e scrittore, toscano p. 50. 164. Latini Brunetto, scrittore di un Enciclopedia, il Tesoro, toscano p. 77. — 333 — Lauro Pietro, modenese, scrittore di agricoltura p. 28. Lazzarini, marescalco e scrittore, di Orvieto p. 163. Leblanc Urbano, scrittore e Vet., francese p. 102. Leroy Luigi, Vet. e scrittore, francese p. 8. 190. Liberati Francesco, scudiere e scrittore, romano p. 105. Liborio da Benevento, maestro cavallerizzo p. 120. Liceto Fortunio, medico, genovese p. 153. Linneo Carlo, celebre naturalista, svedese p. 170. Lombardi Antonio, autore della Storia della Letteratura p. 195. Lorenzi Marcello, editore del libro di maestro Mauro p. 42. Lotti Ignazio, medico, scrittore, nobile di Ceneda p. 181. Lucci Guglielmo, di Scarperia, maestro maniscalco p. 63. Luciano Giuseppe, Vet., piemontese p. 176. Lucio ippiatro, romano p. 207. MI Macetti Alfonso, cavallerizzo di Tivoli p. 124. Maestro Andrea, di Cortona, Vet. p. 63. Maestro Bonifacio, Vet., napoletano p. 39. Maestro Carlo, romano, marescalco p. 126. Maestro Donato da Milano, scudiere p. 133. Maestro Faccio, Vet. p. 68. Maestro Gherardino, ippiatro di Firenze p. 29. 55. Maestro Giorgio, toscano ippiatro p. 68. Maestro Giovanni, Vet. p. 68. Maestro Guglielmo, falconiero p. 78. Maestro Leona di levante, ippiatro p. 23. Maestro Lucca di Roma, cavallerizzo p. 126. Maestro Luigi Vento, ippiatro p. 120. Maestro Manello, veterinario p. 73. Maestro Marco di Cipro, Vet. p. 41. Maestro Mauro, tedesco, Vet. p. 44. Maestro Pier Andrea, Vet. p. 75. 219. Maestro Santi, marescalco p. 126. Maestro Vicino, cavallerizzo p. 120. Magone, agronomo e scrittore, cartaginese p. 18. 207. Majocchi di S. Giorgio in Lomellina, medico p. 169. Malacarne Gaetano, figlio di Vincenzo, medico e scrittore p. 178. Malacarne Vincenzo, medico e scrittore, di Saluzzo p. 177. — 334 — Mancini Cesare, romano, scrittore di Uccellatura p. 93. Manfredi di Sicilia, figlio di Federico 2.° p. 17. Marcone Angelo, massaro delli R. puledri, napoletano p. 60. 75. Marinelli Giuseppe Antonio, scudiere, bolognese p. 111. 130. Martino da Bologna (maestro) p. 54. Marzavello Bartolomeo da Modena p. 35. Massari Malatesta Alessandro, scrittore e cavallerizzo, di Roma p. 122. Maurigi, patrizio siciliano p. 219. Mazini, medico, di Brescia p. 184. Mazzuchelli Carlo, med. e filos., milanese p. 181. Mazzucchelli Giammaria, letterato e storico p. 193. Medici ( Granduca Francesco) p. 133. Megnien, scrittore, Vet., francese p. 19. Mendolara (Camillo della) p. 119. Mercader Matteo, arcidiacono di Valenza, Spagna p. 214. Metaxà Luigi, scrittore, Vet. e medico, romano p. 10. 28. 51. Meursio Giov., scrittore e storico, olandese p. 10. Michelotti P. Antonio, medico di Arco p. 183. Minuccio, Maniscalco, di Arezzo p. 62. Moisè da Palermo, letterato e scrittore p. 22. Molin Girolamo, Vet. e letterato di S. Vito del Friuli p. 18. 31. Montalcini Pierino da Lucca p. 71. Moorcroft W., Vet. ed autore della Storia delle Indie, inglese p. 195. Morandi, medico, modenese p. 184. Morelli D. Iacopo, letterato, veneto p. 30. Morgagni Giov. Batt., medico e patologo insigne, di Forlì p. 20. 161. Morhof. Daniele Giorgio,istoriografo, tedesco p. 20. Moriondo Dott. Giuseppe, medico, piemontese p. 190. Mortara Ct. Alessandro, letterato, di Casalmaggiore p. 80. Moscati Dott. Pietro, medico cel., di Pavia p. 181. Muratori Lodovico, letterato e storico, modenese p. 38. IN Napoli-Signorelli Pietro, letterato, napoletano p. 27. 33. 49. Natale Carlo, cremonese, istoriografo p. 411. Nelli Giov. Battista, veneto p. 103. Nemesiamo (M. Aurelio Olimpio), scrittore di caccie p. 86. Nigrisoli Dott. Francesco, medico, ferrarese p. 184. — 339 — O Ochoa (Eugenio de), letterato, spagnuolo p. 29. Odoardi Iacopo, medico, di Belluno p. 148. Ogento, (Conte di) p. 74. Olina Giov. Pietro, scrittore d’ Uccellatura, novarese p. 97. Oribasio, greco, medico p. 13. Orlandi Pietro, medico, romano p. 174. Orsini Napoleone, Cardinale 1288 p. 40. Ortica, medico, di Conegliano p. 169. Orus Giuseppe, scrittore Vet., di Parma p. 148, 168. Ottato, ippiatro, romano p. 207. Ottonelli Giulio, letterato e scrittore, di Fanano (modenese) p. 29. PP Padovano (Antonio Flacco), medico, di Forlì p. 137. Pagani Agostino, medico, veneto p. 190. Pagano Nicola, cavallerizzo, napolitano p. 117. Paitoni Iacopo Maria, letterato, veneziano p. 26. Palladio, agronomo, romano p. 149. Palletta Giov. Bat., Anat. e Chirurgo ins. milanese p. 177. Palmieri Lorenzino, cavallerizzo, di Firenze p. 117. 123. Panazzi Pietro, medico, di Ancona p. 186. 189. : Papiano, ippiatro, latino p. 207. Paracuelles (Miguel de), Vet. spagnuolo p. 56. 224. Paravia Pier Alessandro, medico p. 138. Parona Cesare, volgarizzatore del Du-Fouilloux p. 96. Pascoli Dott. Alessandro, perugino p. 185. Patarino della Mendolara, bolognese p. 68. Patin Carlo, medico francese, Prof. a Padova p. 160. Paulet Giov. Giacomo, medico e scrittore, francese p. 184. Pavari (Marco de), scudiere e scrittore, italiano p. 117. Pelagonio, ippiatro. greco p. 18. 28. Penada Iacopo, medico, di Padova p. 182. 189. Perales Vincenzo, Vet., spagnuolo p. 230. Persa Giov. Battista, cavallerizzo, veneto p. 127. Peschiolanciano (Duca di), scudiere, napoletano p. 128. Petrini Luigi, medico, di Loreto p. 188. | — 336 — Pigatti, medico, di Vicenza p. 169. Pignatelli, cavallerizzo, napoletano p. 16. Plinio il vecchio, veronese p. 18. Pluvinel (du), Cavallerizzo, francese p. 16. Poggiali Cristoforo, letterato e storico, piacentino p. 142. Pontini Giovanni, scrittore di Uccellatura, mantovano p. 104. Porta Giov. Battista, medico e scrittore, napoletano p. 164. Pozzi Giovanni, medico e veterinario, milanese p. 8. Puccinotti Francesco, medico e scrittore insigne, urbinate p. 8 b 53 Raimondi Nicolò, scrittore di caccie, bresciano p. 96. Ramazzini Bernardo, medico e scrittore di Carpi p. 158. 183. Ratti Giovanni, cavallerizzo, di Mantova p. 117. Re Conte Filippo, agronomo e scrittore di Reggio Emilia p. 38. Redi Gregorio p. 28. Redi Francesco, medico, poeta, naturalista, toscano p. 28. Redondo Martin, veterinario, spagnuolo p. 56. Ricco Fra Prospero, scudiere, milanese p. 119. Rinaldini Prof. Ant., Vet., padovano p. 137. Riolano Giovanni, medico, di Amiens p. 484. Ristori Avv., di Rimini, letterato p. 195. Robin Carlo Filippe, medico istologo e fisiologo, francese p. 159. Rondinelli Ct. Giovanni, cavallerizzo, toscano p. 117. Rosa Michele, medico, di Rimini p. 161. Rossermini Nicolo, cavallerizzo e scrittore, pisano p. 129. Rosso d’ Ayossa, M. maniscalco p. 94. Rotella, medico, ferrarese p. 190. Ruellio Giov., scrittore ed editore, francese p. 12. 152. Ruffo Giordano, veterinario, calabrese p. 10. 30. Rusio Lorenzo, veterinario, di Orvieto p. 5. 24. 50. 196. Ss Salamiellas Alvares, Vet., spagnuolo p. 30. Salemi (Conte de) p. 214. Santapaulina Luigi e Nicola, cavallerizzi, bresciani p. 60. 117. Sant’ Isidoro p. 38 Santo Severo (Endelecchio), poeta cristiano del IV secolo p. 138. — 337 — Sarchiani Dott. Giuseppe, medico e letterato, toscano p. 18. Sarti P. D. Mauro, bolognese, letterato p. 37. Saserna padre e figlio, scrittori greci di agricoltura p. 18. Scacco Filippo, veterinario, di Tagliacozzo p. 114. 153. Scavo Domenico, storico, siciliano p. 220. Schrader S. W., Vet. e scrittore, di Amburgo p. 108. 149. Scrofa Temellio, scrittore di agricoltura, greco p. 18. Selvatico Matteo, medico e letterato, di Salerno p. 67. Senofonte, storico, scrittore di cose, equestri, greco p. 11. Serenissimo di Savoja (Duca) p. 132. Serenissimo di Urbino (Duca) p. 132. Seripando Girolamo, Card. p. 33. Signorelli. V. Napoli-Signorelli. Siliceo Ottaviano, cavallerizzo romano (di Troia) p. 60. 121. Silva Ct.. Donato, bibliofilo, veneto p. 22. Simone da Genova, medico e letterato p. 67. Simone, scrittore di Vet. ateniese p. 10. Siracide, scrittore celebre degli Ebrei p. 12. Snape, scrittore veterinario, inglese p. 224. Socione, ippiatro e agronomo, greco p. 28. Soémmering, anatomico, tedesco p. 177. Solatio Cesare, scrittore di caccia, romano p. 92. Solleysel, celebre ippiatro, francese p. 221. Sorio Bart., prete dell’ oratorio, letterato e scrittore, veronese p. 39. Spadafora Bartolo, patrizio, siciliano p. 34. 221.. Spallanzani Ab. Lazzaro, di Scandiano p. 95. Spezi Prof. Michele, letterato e scrittore, romano p. 77. Spinelli Francesca, autrice di un libretto Vet., bolognese p. 203. Spiriti M. Salvatore, volgarizzatore dell’ Alcon di Fracastoro p. 138. Sprengel Curzio, autore della storia della medicina, tedesco p. 13. Stiso Sergio, maniscalco, bresciano p. 43. Stolone, scrittore di agricoltura, greco p. 18. Stradano Giovanni, pittore belga, autore dell’ Equile p. 105. Stratonico, ippiatro, greco p. 12. I Tafuri Giov. Bernardino, letterato di Nardò (terra d’ Otranto) p. 32. Tanara Vincenzo, agronomo e scrittore, bolognese p. 144. Tassoni Alessandro, poeta e scrittore, modenese p. 29. 22 — 338 — Tetrippo, ippiatro, greco p. 12. Teodosio, imperatore, greco p. 223. Teofrasto, naturalista, greco p. 135. Teomnesto, ippiatro, greco p. 11. 12. 28. Tiberio, ippiatro, greco p. 12. Tiraboschi Girolamo, letterato e storico, bergamasco p. 35. 149. Titi Giovanni (Ganzerini), poeta, di Scandiano p. 95. 96. | Toggia Francesco, scrittore Vet., piemontese p. 163. 167. Tommassio, letterato, tedesco p. 16. Toselli Giuseppe Antonio, chirurgo, piemontese p. 190. Tramezzino Michele, stampatore, veneto p, 27. Tramontano Dott. Luigi, medico, toscano p. 166. - Trevisan, medico, di Padova p. 169. Tratta Giov. Battista, Vet. e scrittore, napoletano p. 172. Tulpio Nicolò, medico p. 181. U Uberto di Cortenova Ct. e Canonico di Bergamo p. 55. Uranio, ippiatro, greco p. 207. v Vairani Giuseppe, bibliotecario di Cremona p. 184. Valentini Dott. Paolo, di Rimini p. 193. Valentiniano da Gulia, maniscalco, toscano p. 64. Valletta Giuseppe, letterato, di Napoli p. 29. Valli Dott. Eusebio, medico, lucchese p. 191. Valli Antonio, scrittore di uccellatura, da Todi p. 100. Vallisnieri Antonio, celebre medico. e naturalista, modenese p. 95. 158. Valvasone Erasmo, seritt. di Caccia, del Friuli (Castel di Valvasone) p. 95 Valverde Giov., celebre anatomico, spagnuolo p. 56. Vandelli Domenico, medico e botanico, modenese p. 170. Varrone Terenzio, scrittore di agricoltura, romano p. 119. Vegezio Renato, scrittore Vet., romano p. 10. 18. Venerosi della Riva Conte, agronomo, veronese p. 166. Venturi Ippolito, dotto scrittore, modenese p. 49. Vicq-d’ Azyr Felice, celebre medico, francese p. 177. Vidussi G. Maria, scrittore p. 185. Verio Tommaso, medico, tedesco p. 137. — 339 — Vigo Giov. da Rapallo, celebre chirurgo, genovese p. 56. Villano Alberto, gentiluomo ferrarese p. 132. Virgilio Marone, poeta, mantovano p. 119. Vitelli Niccolò, da Città di Castello, scrittore di agronomia p. 28. Vitet Luigi, scrittore Vet., francese p. 8. Volpini Giuseppe, medico rinomato, di Parma p. 159. W Wanswieten Gherardo, celebre medico, tedesco p. 195. Wil, Prof. Vet., di Baviera p. 195. Winter Simone, tedesco, scrittore di Vet. p. 128. 221. Wolstein, prof. Vet., tedesco p. 14. Z Zambenedetti ab. Domenico, agronomo, veneto p. 166. Zambelli G. B. medico, di Udine p. 190. Zambrini Cav. Fran., Pres. della Comm. pe’ Testi di lingua p. 213. Zampano Mariano e Nicola, veterinari, di Napoli p. 193. Zanon Antonio, agronomo e scrittore, udinese p. 10. 164. Zanoncelli Girolamo, chirurgo, lombardo p. 189. Zen Anania, collettore di marchi cavellini, veneto p. 106. Zeviani dott. Gianverardo, medico, di Verona p. 188. FINE le =) 5 CIVICI wu Yo uu 0 uu U vu vu uu UU vu vu »» UU “ Errori . 1750 . Abeyeria . Romano . Vigo da Rapallo . Venezia . Ferrein . rariae . Etaplus . sangia . excelsio . sempervivens . erio . strictura . miete _ II 4 4 © 4 Correzioni . 1570 Albeyteria Romanorum , Albucasis Caorle Verheyen variae Elaphus songnia excelsior sempervirens orio stricturu micte CATALOGO DI LIBRI DI PROPRIA EDIZIONE DI GAETANO ROMAGNOLIO LIBRAIO EDITORE BOLOGNA Via Toschi 1232 BOLOGNA 1370 si Bologna. Tipi Fava e Garagnani COLLEZIONE DI OPERE INEDITE O RARE DEI PRIMI TRE SECOLI DELLA LINGUA PUBBLICATA PER CURA DELLA R. COMMISSIONE PE' TESTI DI LINGUA | 1. Banpi Lucchesi del se- colo XIV tratti dai registri del R. Archivio di Stato di Lucca, per cura di Salvatore Bongi. Bologna, 1863, in-8 di pagg. XVI-434 Lech: 23 E una copiosa raccolta di ben 328 tra bandi, leggi, brevi, slatuli ecc. ecc. Oltre ai diversi importan- tissimi corredi vi stanno anche ag- giunte le Annotazioni storiche del- l’egregio Cav. Bongi, illustrate da varii documenti, parte latini, parte volgari. 2. 3. Storia di Ajolfo del Barbicone e di altri valorosi cavalieri compilata da Andrea di Iacopo di Barberino di Val- delsa, testo di lingua inedito pubblicato a cura di Leone Del Prete. Ivi, 1863-64 Vol. 2 in-8 di pagg. XXII-356-368. L. 12. 37 - Dilettevole romanzo cavalleresco , in cui garreggiano la semplicità dello stile e la purità della favella colle piacevolezze che da capo a fine vi si narrano. Quivi si scuoprono le origini de’ soggetti trattati ne’ poemi romantici dei primi nostri maestri. Edizione citata dalla Crusca. 4. STATUTI Senesi scritti in volgare ne’ secoli XIII e XIV e pubblicati secondo i testi del Real Archivio di Stato in Sie- na, per cura di Luigi Filippo Polidori, Vol. 1. ivi, 1863 in-8 «di pagg. XXXVIII-496. L. 8. 63 Vi si contengono tre Statuti cor- redati di moltissime illustrazioni sto- riche e filologiche. Il secondo vo- lume è già sotto stampa per cura del Cav. Luciano Banchi, e si pub- blicherà in breve. 5. I Fatti di Cesare, testo di lingua inedito del sec. XIV. 4 pubblicato a cura di Luciano Banchi. Ivi, 1863, in-8 di pagg. LXXX-388. L. 4:38 È un aureo testo pubblicato con- forme a un codice prezioso che sta nella biblioteca comunale di Siena, Questo testo vuolsi considerare come una compilazione del Lucano e del Sallustio ; è adornato di opportunis- sime ed importanti note e spogli. Edizione citata dalla Crusca. 6. 7. La Tavoca Ritonda, o I Istoria di Tristano, testo di lingua inedito, citato dagli ac- cademici della Crusca, ed ora per la prima volta pubblicato secondo un codice della Medi- ceo-Laurenziana per cura e con illustrazioni di Filippo Luigi Polidori. Ivi, 1864-66 Vol. 2 in-8 di pagg. CX.X-552-340. L. 16. 42 Se cotesto non è il più bel ro- manzo del mondo, come voleva l’il- lustre Polidori, è senza dubbio dei iù importanti che possano offerire e diverse letterature europee. La diligenza e l’ assennatezza con cui fu condotta questa edizione poco 0 nulla lasciano a desiderare. Per la morte dell’ editore, si continuò e compì la stampa dal chiarissimo sig. Cav. Luciano Banchi, nella maggior parte del secondo volume. 8. CRONACHE Siciliane dei se-" coli XII. XIV. XV. pubbli- cate per cura del prof. Vin- cenzo Di Giovanni. Ivi 1865 in-8 di pagg. DARE Vi sono Cronache in dialetto Si- ciliano e in buon volgare italico , edite ed inedite dei secoli XIII. XIV. XV. È un volume importantissimo non meno n la materia che per l'origine della lingua , il quale riesce viemmaggiormente prezioso per le molte illustrazioni di che 1 adornò il valente editore. 9. Sroria di Rinaldino da Montalbano, romanzo cavalle- resco in prosa, pubblicato per cura di Carlo Minutoli. Ivi,1865, in-8 di pagg. XLVIII-404. i Pragi So Non meno gradita la lettura di questo libro per l'intreccio onde si compone, che per la bontà del det- tato, tornar dee ai cultori della no- stra classica letteratura. L’editore non risparmiò fatica alcuna perchè ne uscisse un lavoro degno di lui e della Commissione. 10. Trattati di Mascalcia attribuiti ad topoarate, volga- rizzati nel sec. XIII. ivi, 1868, di pagg. CXXX-308. L. 7. 05 Importante pubblicazione che dee- si alle cure degli illustri professori Cav. Pietro Del Prato e ab. Luigi Barbieri. Gli accademici della Crusca registrarono questa stampa nel loro vocabolario. 11. Commento alla divina commedia d’ Anonimo Fioren- tino del sec. XIV. ora per la rima volta stampato a cura di ietro Fanfani. lvi, 1866 in-8 Vol. 2 di pagg. VIII-721-537. Li:23::28 Fin qui non si sono pubblicati che i due primi volumi; il terzo è già in corso .di stampa. Giudicasi il migliore de’ commenti antichi che siensi impressi. Il nome anche del- l'illustre editore lo raccomanda. 12. Prepicne inedite del B. Giordano da Rivalto, recitate in Firenze dal 1302 al 1305. Ivi, 1867,in-8 di pagg. XLVIII- 200. L. 8. 87 Aurea pubblicazione, che deesi alle cure dell’ illustre socio della Commissione sig. Enrico Narducci Romano, cavaliere dell’ ordine della Guadalupa. Le Prediche sono in tutto XCIV. Non mancano sapienti ed opportuni corredi, i quali ren- dono viemmaggiormente ragguarde- vole questo volume. 13. 14. De’ Rimepri dell’una e dell’altra fortuna di Messer Francesco Petrarca, volgariz- zati nel buon secolo della lin- gua per D. Giovanni Dassami- niato. Ivi, 1867-68, vol. 2 in-8 di pagg. 464-508. L. 17 Quest’ opera prodotta conforme ad antichi testi a penna dal padre Don Casimiro Stolfi è una mimiera di toscane eleganze: il volgarizzato- re, benchè vissuto gran parte nel secolo XV, serbò una purità di fa- vella simile a quella del miglior tempo del XIV. 15. La Mascatcra di Loren- zo Rusio, volgarizzamento del secolo XIV. Ivi, 1867 in-8 di pagg. VIII-448. L. 8. 80 A questo volume, di cui ebbero cura i professori Cav. Pietro Del Prato, e ab. Luigi Barbieri, dee succederne un altro contenente /- lustrazioni scientifiche, e un co- pioso Glossario risguardante que- sto trattato e gli altri più sopra registrati al n. 10. È già in corso di stampa. ò 16. IL Romuneo di Messer Benvenuto da Imola, volgariz- zamento del buon secolo e mes- so per la prima volta in luce dal dott. Giuseppe Guatteri. Ivi 1867, vol. 2 in-8 di pagg. XX- 396-464. L. 16. 95 Non manca l'utilità della materia in geo libro per chi la desideri, nè la copia del bel dire: diligenza maggiore non potevasi bramare in chi n’ebbe la cura e la sollecitudine. 17. 18. Varerio Massimo de’ fatti e detti degni di me- moria della città di Roma e delle stranie genti, testo di lingua del secolo XIV. riscon- trato su molti codici, e pub- blicato da Roberto De Visiani. Ivi, 1867 in-8 di pagg. 740. L. 14. 39 Chi ama gli studii della filologia verace, terrà in grande pregio que- sto volume, pubblicato con somma diligenza e perizia dal cav. prof. R. De Visiani, del qb non sappiamo se maggior sia il valor nelle scienze o nelle umane lettere. 19. IL Lipro di Sidrac, te- sto inedito del secolo XIV , pubblicato da Adolfo Bartoli. Ivi, 1868 in-8 di pagg. XL-578. L. 11. 40 Questa scrittura è una mentita a coloro che temerariamente asseri- scono che niente tipi oltre al pub- blicato per lo addietro, e’ è d’ ine- dito degno d’essere posto in luce. Il nome poi di chi n’ ebbe cura vale un elogio ; e nella erudita prefazio- ne posta innanzi non sapremmo ri- trovare le empietà sognate dalla Civiltà Cattolica. 6 20. LeGGENDA minore di S. Caterina da Siena e Lettere dei suoi discepoli, scritture inedite ubblicate dal dott. Francesco Grrottanelli. Ivi, 1868, in-8 di pagg. XXX-408. = L. 8. 25 Volume importantissimo, sia per ciò che concerne la bontà della fa- vella, sia per le notizie risguar- danti una donna di singolare cele- brità civile ed ecclesiastica de’ suoi tempi. Le cure spesevi attorno dal- l’egregio editore nulla lasciano a desiderare. 21. Antonio Da Tempo, Trattato delle rime volgari, composte nel 1332, dato in lu- ce integralmente ora la prima volta per cura di Giusto Grion. ivi, 1869 di pagg. 385. L. 7. 20 Va innanzi un lungo proemio del- l'illustre editore, che giugne fino alla pag. 66. E dopo al Trattato, che va fino alla pag. 240, stanno due importantissime Appendici. Sì nel Proemio come nelle Appendici s' inserirono antiche scritture 0 ine- dite o rare. OPERE IN CORSO DI STAMPA DELLA COLLEZIONE 1. Statuti Senesi scritti in volgare nei sec. XIII e XIV e ubblicati secondo i testi del i. Archivio di Stato in Siena, per cura del prof. Luciano Ban- chi (vol. 2°°). 2. Copice della Divina Com- media che fu del Papa Lam- bertini, dato secondo la sua ortografia, coi raffronti di al- tri XIX Codici Danteschi ine- diti, verso per verso e fornito di note critiche per istudio , opera e cura del prof. Luciano Scarabelli. 3. Trattati di Mascaleia di Lorenzo Rusio, per cura e con annotazioni del prof. cav. Pie- tro Del Prato e prof. ab. Luigi Barbieri (vol. 2.°). 4. AuBeRTANO da Brescia, Trattati Morali: volgarizzamen- to inedito del sec. XII, a cura del cav. professor Francesco Selmi. 5. Commento a Dante d’ A- nonimo trecentista non mai fin qui stampato , per cura del cav. Pietro Fanfani (vol. 3.°). SCELTA DI CURIOSITÀ LETTERARIE INEDITE 0 RARE DAL SECOLO XIII AL XVII —699.>—— Di questa Scelta, in Appendice alla Collezione ufficiale, encomiata da molti giornali d’ Italia e dell’ estero, sin qui si son pubblicati i seguenti volumi. 1. NoveLLE d’ incerti autori del secolo XIV. Bol. Tipogra- fia del Progresso, 1861, in-16 di pagg. 100 Ediz. di soli 100 ess. per ordine numerati. Le novelle son due, ine- dite; e la pubblicazione appartiene al Comm. Frane. Zambrini. Avendo avuto un felice spaccio, sì ristam- parono nel 1864, altresì in soli 100 ess. La lezione fu riveduta e in al- cuni luoghi rettificata dall’ illustra- tore. 2. Lezione 0 vero Cicala- mento di Maestro Bartolino dal Canto de’ Bischeri sopra ’1 so- netto Passere e beccafichi ma- gri arrosto. Bol. goa del orreo 1861, in-16 di pagg. Ediz. di soli 30 ess. per ordine ‘numerati, eseguita sopra le due e- in numero di 100. dizz. antiche del 1583 e 1605. Si ristampò alla Tipografia Monti nel 1863, in numero di 100 ess., e nel 1868 parimenti dalla stessa Tipo- grafia, in numero di 70. 5) 3. MartIRIO d’una fanciulla Faentina narrato per Frate Fi- lippo da Siena nel sec. XIV. Bol. Tipografia del Progresso, 1861, in-16 di pagg. 12. Se ne tirarono soli 52 ess., e si pad per cura del sudd. Comm. ambrini, secondo un codice della Comunale di Siena. Si riprodusse per ben altre due volte, e cioè nell’anno 1863 in soli 50 ess.; poi nel 1865, Li: 4:20 La stessa in carta di colore. Li 2-50 4. Due NoveLLE morali d’au- tore anonimo del secolo XIV. Bol. Tipografia del dn î 1861, in-16 di pagg. 24. 8 Si pubblicarono dallo stesso Zam- brini conforme a un Codice della biblioteca Magliabechiana, e se ne tirarono sole 52 copie per ordine numerate: pel buono esito si ri- stamparono un’altra volta nel 1863, alla Tipografia Monti. L. 1. 50 5. Vira di messer Francesco Petrarca scritta da incerto tre- centista. Bol. Tipogr. del Pro- gresso, 1861, in-16 di pagg. 24. Ediz. di 202 ess., assistita dallo Zambrini. La Vita sopra citata erro- neamente si credè appartenere ad An- tonio Da Tempo Padovano. L. 1. 25 6. Storia d’ una Fanciulla tradita da uu suo amante di messer Simone Forestani da Siena. Bol. Tipografia del Pro- gresso, 1862, in-16 di pagg. 48. Edizione di 200 ess. curata dal sudd. Zambrini. bot, + 7. Commento di ser Agresto da Ficaruolo sopra la prima Ficata del Padre Siceo. Bol. Tipografia del Progresso, 1861, in-16 di pagg. 216. Ediz. di 202 ess. ordinatamente numerati. Oltre il Commento vi sta eziandio la Nasea ovvero Îa Diceria dei Nasi e la Diceria di Santa Nafissa. Le poche illustrazioni che vi sono appartengono al Zambrini, ma la stampa fu sopravveduta dal sig. Dott. Cav. Salvatore Muzzi. L. 5 8. La Muta, la Chiave e Madrigali satirici del Doni Fio- rentino. Bol. Tipografia del Pro- eresso, 1862, in-16 di pagg. 40. Ediz. di 202 ess. procurata dal signor Teodorico Landoni, che sì nasconde sotto l’anagramma di Don Lani. L. 1. 50 9. Dopicr Conti morali di Anonimo Senese, testo inedito ta sec. sn too del rogresso, , in-16 di pagg. XIV-152. Eee . Ediz. di 202 ess. Questa operetta sì pubblicò per cura e con illustra- zioni del sopra ricordato Francesco Zambrini, ed è scrittura, per ciò che concerne alla lingua, di grande importanza. L. 4 - 10. La Lusignacca, novella inedita del buon secolo della lingua italiana. Bol. Tipografia del Progresso, 1862, in-16 di pagg. 32. Ediz. di soli 80 ess. per ordine numerati , eseguita a fae-simile del testo di un Codice Riccardiano per cura ancora dello Zambrini. Si ri- stampò nel 1863 dalla Regia Tipo- grafia, in numero di 100 ess. L. 2 11. Dortrima dello Schiavo di Bari secondo la lezione di tre antichi testi a penna. Bol. Tipogr. del Progresso, 1862, in-16 di pagg. 24. Ediz. di soli 100 ess. per ordine numerati, eseguita per cura sempre del Zambrini. Si ristampò nel 1863, e poscia nel'1865 alla Regia Tipo- grafia con qualche emendazione al testo. L. 1. 50 12. IL Passio o Vangelo di Nicodemo volgarizzato nel buon secolo della lingua, e non mai fin qui stampato. Bol. ‘T'ipo- grafia del Progresso, 1862, in-16 di pagg. 92. E Ediz. di soli 202 ess. fatta per cura del celebre letterato Cav. Ce- sare Guasti, Accademico della Cru- sca. L.2. 50 13. Sermone di S. Bernardi- no da Siena sulle Soccite di Bestiami, volgarizzato nel sec. XV, e pubblicato per cura del Cav. Ces. Riecomanni Capitano d’ Artiglieria. Bol. Tipografia del Progresso, 1862, in-16 di pagg. 40. Ediz. di soli 202 ess. ordinata- mente numerati. Questo Sermone è così bene scritto da invogliare il leg- gitore a posseder quelli che tuttora si rimangono inediti. L. 4. 50 14. StoRIa d’una crudel ma- trigna, ove si narrano piacevoli novelle. Scrittura del buon se- colo di nostra lingua. Bol. Ti- pografia del Progresso, 1862, in-16 di pagg. 68. Ediz. di soli 202 ess. ordinata- mente numerati. N’ ebbe cura in parte il Zambrini. L. 2. 50 15. IL Lamento della Beata Vergine Maria e le Allegrezze in rima, secondo antichi codici manoscritti. Bolog. Tipografia del Progresso, 1862, in-16 di pagg. 24. Ediz. di soli 100 ess. ordinata- mente numerati. Si pubblicarono per cura del Commend. Zambrini. Si ri- stamparono nel seguente anno 1863 alla Tipografia Monti, pure in soli 100 esemplari. L. 41. 50 16. IL Ligro della vita con- templativa, saggio di un vol- garizzamento del secolo XV, 9 messo per la prima volta in luce. Bol. Tipografia del Pro- gresso, 1862, in-16 di pagg. 36. Ediz. di soli 202 ess. eseguita per cura dell’ illustre filologo prof. ab. Luigi Barbieri. 1.50 17. Brieve Meditazione sui beneficii di Dio per Agnolo To- rini da Firenze, testo inedito del buon secolo della lingua italiana. Bol. Tip. del Progres- so, 1862, in-16 di pagg. 56. Ediz. cruse. Ediz. di soli 202 ess. eseguita per cura dello Zambrini. de 18. La Vira di Romolo com- posta in latino da Francesco Petrarca col volgarizzamento citato dagli accademici della Crusca di Maestro Donato da Pratovecchio, edizione procu- rata da Luigi Barbieri Membro della R. Commissione deputata alla stampa de’ testi di lingua. Bol. Tipografia del Progresso, 1862, in-16 di pagg. 56. Ediz. di soli 202 ess. ta 19. IL MarcÒÙese di Saluzzo e la Griselda, novella in ot- tave del secolo XV. Bol. T'i- pografia del Progresso, 1862, . in-16 di pagg. 40. Ediz. di soli 202 ess. eseguita sulla stampa procuratane dal Lami. Sta in fine una Canzone falsamente attribuita a Dante. L. 2 20. NoveLLa di Pier Gero- nimo (rentile Savonese. Bolog. Tip. del Progresso, 1862, in-16 di pagg. 28. 10 Ediz. di soli 202 ess. procurata dal cav. Giambattista Passano : fu estratta dal giornale l Espero, N. 46 e 47 del 1844: sta legato nel me- desimo volumetto il seguente gra- zioso opuscolo. Un’ Avventura amorosa di Ferdinando d'Aragona Duca di Calabria, narrata da Bernardo Dovizi di Bibiena in una let- tera a Piero de’ Medici. Bol. Tipografia del Progresso, 1862, in-16 di pag. 24. Ediz. di soli 202 ess. Deesi la pub- blicazione di questa graziosa serit- tura al ch.mo signor Prof. Isidoro Del Lungo. Nel medesimo volumetto sta pure un terzo Opuscolo inti- tolato : . Lr Compaene de’ Battuti in Roma nell’anno 1389. Bol. Tip. del Progresso, 1862, in-16 di pagg. 16. Ediz. altresì di soli 202 ess. L’ 0- puscolo è tratto dalle Lezioni di Antichità Cristiane del Lami, L. 2. 50 21. Due EpisroLe d’Ovidio tratte dal volgarizzamento delle Eroidi fatto da messere Carlo Figiovanni nel sec. XIV. Bol. Tipografia del Progresso, 1862, in-16 di pagg. 40. Ediz. di soli 202 ess. Il saggio di questo prezioso e poco conosciuto volgarizzamento si dette fuori per cura di Francesco Zambrini. L. 2 22. NoveLLe di Marco Man- tova scrittore del secolo XVI, novellamente stampate a fac- simile del testo originale. Bol. Tipografia del Progresso, 1862, in-16 di pagg. 144. Ediz. di soli 202 ess. in caratteri corsivi con tre intagli in legno, esemplati sulla rarissima edizione del secolo XVI. L. 5 23. DeLL’ILLUSTRE et famosa historia di Lancilotto dal La- co , alcuni capitoli a saggio. ol. Tipografia del Progresso, 1862, in-16 di pagg. 72. Ediz. di soli 202 ess. eseguita conforme all’antica ediz. del 1558, er cura di Francesco Zambrini. Non che un saggio di soli cinque lunghì Capitoli di quella prolissa storia, il secondo de’ quali è quel medesimo che risguarda Francesca da cr 24. Saccio del volgarizza- mento antico di Valerio Mas- simo citato dagli accademici della Crusca per testo di lin- gua. Bol. Tipografia del Pro- gresso, 1862, in-16 di pagg. 44. Se ne tirarono soli 202 ess. or- dinatamente numerati. L’Operetta si pubblicò dal Prof. Ab. Luigi Barbieri col testo latino a fronte, e con im- portantissime note filologiche. Con altro frontispizio & con numerazione a parte si pubblicò eziandio poco . appresso un secondo Saggio di pag. 36. L. 2. 50 25. NoveLLa del Cerbino in ottava rima di un Anonimo antico. Bol. Tip. del Progres- so, 1862, in-16 di pagg. 40. Ediz. di soli 202 ess. Si produsse secondo l’unica edizione che si co- nosca del secolo XV, senza alcuna data, dietro suggerimento del R. è Veg Gea ni. è in Alla correzione delle bozze di stam- a assistette il signor Teoderico andoni, L..2 26. TrartaTELLO delle virtù, testo francese di Frate Loren-. zo de’ Predicatori e toscano di Zucchero Bencivenni scrittore del sec. XIV. Bol. Tip. del Pro - gresso, 1863, in-16 di pagg. 48. Ediz. di soli 202 ess. eseguita per cura dell’egregio signor Ab. Luigi Barbieri. Sta a fronte del testo ita- liano l'antico francese. 2 27. Necoziazione di Giulio Ottonelli alla Corte di Spagna. Bol. Tip. del Progresso, 1863, in-16 di pagg. 32. Ediz. di soli 202 ess. eseguita per cura del sig. M.se Ferdinando Ca- lori Cesis. L. 2 28. TancrepI Principe di Sa- lerno. Novella in rima di Hie- ronimo Benivieni Fiorentino. Bol. Tipografia del Progresso, 1863, in-16 di pagg. 62. Ediz. di soli 102 ess. fatta per cura di Francesco Zambrini. Si ri- stampò nel 1865 alla Regia Tipo- grafia nello stesso formato e nella medesima carta, e nella stessa tira- tura di 102. ess. ; La stessa in carta di colore. L. 4 29. Le Vire di Numa e T. Ostilio, testo latino di France- sco Petrarca, e toscano di M. Donato da I'ratovecchio, per cu- ra e studio di Luigi Barbieri. Disp. II° Bol. Tip. del Pro- gresso, 1863, in-16 di pag. 38. Ediz. di soli 202 ess. Oltre al te- sto volgare vi sta eziandio |’ origi- nale latino. L;:2 11 30. La Episroca di San Ia- copo e ì Capitoli terzo e quarto del Vangelo di san Giovanni, volgarizzamenti inediti a cura di Giuseppe Turrini. Bol. Tip. del Progresso, 1863, in-16 di pagg. 44. Se ne tirarono soli 202 ess. L. 2 31. Storia di san Clemente ia fatta volgare nel secolo XIV. Bol. Tip. del Progresso, 1863, in-16 di pagg. 104. Ediz. di soli 202 ess. Si pubblicò p° cura di Francesco Zambrini. Il ibro è preceduto da una descri- zione Bibliografica del cod. Miscel- laneo donde questa storia fu ir 32. IL Lisro delle Lamenta- zioni di Ieremia e il Cantico de’ Cantici di Salomone, vol- garizzamenti del secolo XIV. Bol. Tip. del Progresso, 1863, in-16 di pagg. 32. Ediz. di soli 202 ess. assistita dal signor Giuseppe Turrini prof. di Lingue Indo-Europee nell’ Univer- sità di Bologna. L. 33. EpistoLa di Alberto de- gli Albizzi a Martino V, volga- rizzata da Don Giovanni Das- samminiato. Bol. Tip. del Pro- gresso, 1863, in-16 di pag. 46. Ediz. di soli 202 ess. assistita dall’ eruditissimo Monaco Camaldo- lese D. Casimiro Stolfi. 12 34. I SaLtaRELLI del Bron- zino Pittore. Bol. ‘Tipografia del Progresso, 1863, in-16 di pagg. 56 12 Ediz. di 202 ess. L’ illustre edi- tore Sig. Prof. Cav. Pietro Dazzi ridusse questo opuscolo alla sua vera lezione, e l’adornò di oppor- tune e savissime note. . 2 35. GieLLo, Novella inedita in ottava rima del buon secolo della lingua a cura di France- sco Selmi. Bol. a del Pro- gresso , 1863, in-16 di pag. 60. Ediz. di soli 202 ess. L’ esimio . Cav. sig. prof. Francesco Selmi l’ha illustrata con assennatissime note dichiarative e filologiche. L.3 36. Commento a una Canzone di Francesco Petrarca per Lui- gi de’ Marsili. Bol. Tip. Mon- ti, 1863, in-16 di pagg. dI. Ediz. di 202 ess. Appartiene la pubblicazione di questa graziosa scrit- tura, non abbastanza conosciuta, al- l egregio giovane Sig. Prof. Dott. Carlo Gargiolli. L. 2. 50 37. Vira e frammenti di Saf- fo da Mitilene. Discorso e ver- sione ( pron intera) di Giu- seppe Bustelli Prof. di lettera- tura italiana e storia nel R. Liceo Filangieri di Catania. Bol. Tip. del Progresso, 1863, in-16 di pagg. 104. Ediz. di 202 ess. A stretto rigore non doveva aver luogo nella nostra Scelta Quest'opera perchè d’autore vivente; Se non che, avuto riguardo alla specialità della materia e alla maestria del valente volgarizzatore, si credè bene di farle buon viso. Di fatto lo spaccio fu rapido. L. 3 38. Rime di Stefano Vai rima- tore pratese. Bol. Tip. del Pro- eresso, 1863, in-16 di pagg. 56. Ediz. di 202 ess. eseguita per cura dell’illustre letterato Cav. Ce- sare Guasti accademico della ira RA 39. CApitoLI delle monache di Pontetetto presso Lucca. Scrittura inedita del sec. XIII. Bol. TIDIRTAR del Sion 1863, in-16 di pagg. 46. . Ediz. Crusc. Ediz. di 202 ess. E un grazioso testo del secolo XIII. offerto egregiamente al pubblico dal Cav. Carlo Minutoli. L. 2. 50 40. Lisro della Cucina del secolo XIV, testo di lingua non mai fin qui stampato. Bol. Tip. del Progresso, 1863, in-16 di pagg. LVIA28. Ediz. di 202 ess. Deesi questa pubblicazione al Comm. Francesco Zambrini , il quale fece precedere al testo una descrizione del Codice Mi- scellaneo di dove trasse questo nel suo genere importante trattato. L. 6 44. Hisroria della Reina D’Oriente di Antonio Pucci Fiorentino, Poema cavalleresco del secolo XIV, pubblicato e restituito alla sua buona pri- mitiva lezione su testi a pen- na dal Dott. Anicio Bonucci. Bol. Tip. Monti, 1862, in-16 di pagg. 00. Ediz. di 202 esemplari. L. 3 42. La FisoGNomia. tratta- tello in francese antico colla versione italiana del Trecento pubblicata la prima volta sui codici per cura di E. Teza. Bol. Regia Tipografia, 1864, in-16 di pagg. 62. AI TO, e cn Ediz. di 202 ess. assai bene cu- rata dall’illustre poliglotta sig. Prof. Emilio Teza. Al testo italiano sta unito l’ antico francese. L. 2. 50 43. Storia della Reina Ester scritta nel buon Secolo della lingua e non mai fin qui stam- pata. Bol. Regia Tipografia, 1864, in-16 di pagg. 32. Ediz. di 202 ess. E un saggio dell’ inedito testo : / Fioretti della Bibbia, pubblicato a cura del Comm. Zambrini. L.. 15:50 44. Sei Opi inedite di Fran- cesco Redi. Bol. Tip. del Pro- gresso, 1864, in-16 di pagg. 48. Ediz. di 202 ess. fatta. per cura del Sig. Prof. Giuseppe Bustelli. È preceduta da una linda prefazione, ed in fine stanno opportune note filologiche. b. 2 45. La Istoria di Maria per Ravenna scritta nel secolo XV da ignoto autore. Bologna, Re- gia Tipografia, 1864, in-16 di pagg. 38. Ediz. di 202 ess. N’ ebbe cura l'illustre Sig. Cav. Avv. Nontesgra, 46. TrartatELLO della ver- ginità, testo di lingua dell’ au- reo trecento non mai fin qui stampato. Bol. Regia Tipogra- fia, 1864, in-16 di pagg. 40. Ediz. di 202 ess. Fu prodotta per cura del Ch. Padre F. Agostino Mo- rini : a piè del testo stanno note filologiche. L. 2 47. Lamento di Fiorenza qual supplica la Santità del 13 Papa ad unirsi con esso lei con invocazione di tutte le po- tenze cristiane con la guerra, e quando si rese con patti e convenzioni fatte con la San- tità di Nostro Signore e Mae- stà Cesarea 1529-30. Bol. Re- gia Tipografia, 1864, in-16 di pagg. 36. Ediz. di 202 ess. che dobbiamo al Sig. Cav. Antonio Cappelli. L. 2‘ 48. Un Viaecio a Perugia fatto e descritto dal Beato Gio- vanni Dominici nel 1395 con alcune sue Lettere che non si leggono tra quelle di Santi e Beati fiorentini. Bol. R. Tipo- grafia, 1864, in-16 di pagg. 92. Ediz. di 202 ess. Francesco Zambrini. assistita da Li: 50 49. IL Tesoro canto carna- scialesco mandato a Cosimo I. Granduca, da Lorenzo Brac- cesi. Si aggiunge la Canzone del Nicchio ricordata nel De- camerone. Bol. Regia Tipogra- fia, 1864, in-16 di pagg. 24. Ediz. di 202 ess. Questa pubbli- cazione deesi al Sig. Prof. Cav. Isi- doro del Lungo. L. 1. 50 50. Sroria di Fra Michele Minorita, come fu arso in Fi- renze nel 1389, con documenti risguardanti i Fraticelli della povera Vita, testi inediti del buon secolo di nostra lingua. Bologna, Tipografia del Pro- resso, 1864, in-16 di pagg. XXVI-128. Kdiz. di 202 ess. che dobbiamo alle cure del Comm. Zambrini. L. 6 14 54. DeLt’ ARTE del vetro per musaico, tre trattatelli dei se- coli XIV e XV ora per la prima volta pubblicati. Bolog. Regia Tipografia, 1864, in-16 di pagg. XVI-184. Ediz. crusc. Ediz. di 202 ess. che deesi alle cure dell’illustre Cav. Sig. Gaetano Milanesi; è libro assai in- teressante per l’arte risguardo ai tempi. in cui fu compilato. L. 6 52-53. LeccenDE di alcuni Santi e Beati venerati in S. Maria degli Angeli di Firenze, testi del buon secolo. Bolo- na, Regia tibograba, 1864, / da 2 in-16 di pagg. 160 e Ediz. di 202 ess. Fu assistita dal Padre Casimiro Stolfi che la corre- dò di molte note e di una erudita prefazione. Alcune di queste Leggen- de sono inedite ed altre edite, ma ridotte a corretta lezione. L. 10. 50 54. RecoLa dei Frati di S. Tacopo D’Altopascio. Bol. Re- gia Tipograta, 1864, in-16 di pags. Ediz. crusc. Ediz. di 202 ess. È una a prosa forse del secolo XIII pubblicata con ogni di- ligenza dall’illustre filologo e lette- rato Cav. Pietro Fanfani. L 5 55. LerterA de’ Fraticelli a tutti i cristiani nella quale rendon ragione del loro scisma, testo inedito del buon secolo della lingua. Bol. Tipografia del Progresso, 1865, in-16 di pagg. 36. trocentista nell’ Archivio Ediz. di 202 esempl. fatta per cura del Sig. Prof. Giuliano Van- zolinii E come una Appendice in- dispensabile alla Storia di Fra Mi- chele minorita , Disp. 50. L. 1. 50 La stessa in carta di colore. L. 3. — 56. Gracoppo novella e la Ginevra novella incominciata ; dall’originale d’anonimo quat- edi- ceo (con fac-simile). Bol. Tip. del Progresso, 1865, in-16 di pagg. XVI-64. Ediz di 202 ess. eseguita per cura dell’illustre Sig. Prof. Isidoro del Lungo. 4 La stessa in carta di colore. L. 6 57. La LeGGENDA di Sant'Al- bano, prosa inedita del secolo XIV, e la Storia di San (rio- vanni Boccadoro secondo due antiche lezioni in ottava rima per cura di Alessandro d’ An- cona. Bol. Tipografia del Pro- nd 1865, in-16 di pagg. Ediz. di 202 ess. alla quale il Cav. Prof. D’ Ancona premise una erudita dissertazione critica, che giugne fi- no alla pag. 65. L. 4 La stessa in carta di colore. L. 8 58. SoneTTI giocosi di An- tonio da Pistoia, e Sonetti sa- tirici senza nome d’autore, tratti per la prima volta da vari co- dici. Bol. Regia Tipografia, 1865, in-16 di pagg. 76. Ediz. di 202 ess. eseguita per cura del Cav. Antonio Cappelli, il quale vi prepose le notizie dell’ autore an- notate e documentate. —L. 2. 50 Gli stessi in carta di colore, L. 5. — 59. Fiori di Medicina di maestro Gregorio Medico-fisi- co del secolo XIV. Bol. Re- gia Tipografia, 1865, in-16 di pagg. 86. Ediz. di 202 ess. ed uno in per- gamena. Deesi questa pubblicazione alle cure di Francesco Zambrini. 60. CronicneTttA di S. Ge- miniano composta da F. Mat- teo Ciaccheri Fiorentino l’an- no MCCCLV illustrata da E. Sarteschi. Bol. Tip. del Pro- gresso, 1865, in-16 di pagg. XVI-44. Ediz. di 202 ess. numerati, più N. 4 in carta distinta colorata. Il li- bro è preceduto da una avvertenza dell’ editore, ed in fine stanno op- portune annotazioni. La Cronichetta è in terza rima e si compone di versi 101. L. 2 La stessa di carta di colore L. 4 61. Trattato in Virtù mo- rali edito ed illustrato da Ro- berto De-Visiani. Bol. R. Tipo- grafia, 1865, in-16 di pagg. 216. Ediz. crusc. Ediz. di 202 ess. È un grazioso testo forse del finire del sec. XIII. Il benemerito editore Cav. Prof. Roberto De Visiani non ri- sparmiò fatica a rendere lodevole questo testo. La prefazione va fino alla pag.17, il testo sino alla pag. 105 e 1 corredi da questa fino alla pag. 215. Non vi deve mancare una errata messa fuori posteriormente. L. 6. 50 62. ProveRBI di messer An- tonio Cornazano in facetie. Bol. Regia Tipografia, 1865, in-16 di pagg. XII-176. 15 Il titolo sta entro una cornice intagliata in legno, e parecchi in- tagli in legno vi son pure secondo gli antichi disegni. Ediz. di 202 ess. ordinatamente numerati, e uno In pergamena per la libreria dell’ illu- stre Avv. consigliere tig sO sella di Napoli. i Gli stessi in carta di colore. L. 16 63. Fiore di Filosofi e di molti savi attribuiti a Brunet- to Latini. Testo in parte ine- dito, citato dalla Crusca e ri- dotto a miglior lezione da An- tonio Cappelli. Bol. Regia Ti- UT 1865, in-16 di pagg: Ediz. di 202 ess. Il Cav. Antonio Cappelli usò ogni sollecitudine per- chè questo volumetto riuscisse de- gno dell’approvazione dei dotti. L. 3 Lo stesso in carta di colore L. 6 64. IL Ligro dei Sette Savi di Roma tratto da un codice del secolo XIV, per cura di Antonio Cappelli. Bol. Tipo- gratia del Progresso, 1865, in 6 di pagg. XVI-88. Ediz. di 202 ess. Anche di que- sto volumetto il prefato Sig. Anto- nio Cappelli ebbe cura diligentis- sima. L. 3. 60 Lo stesso in carta di colore.L. 7. 20 65. DeL LiBeRo arbitrio, trat- tato di San Bernardo, testo di lingua citato dalla Crusca, ora edito per la prima volta da Ugo Antonio Amico. Bol. Ti- pografia del SORTE, 1866, in-16 di pagg. XVI-112. Ediz. crusc. Ediz. di 202 ess. Il Prof. Ugo Antonio Amico condusse questa stampa (al dire degli erudi- 16 ti) con molta assennatezza. L. 4” La stessa in carta di colore. L. 8 66. DeLLE AzioNI e sentenze di Alessandro De’ Medici, ra- gionamento d’ Alessandro Cec- cheregli. Bol. Regia Tipogra- fia, 1865, in-16 di pagg. 206. Ediz. di 202 ess. in caratteri cor- sivi. Si esemplò sopra la originale edizione , e vi si aggiunse , secondo altre, quello che mancava nella prima. L. 6 Le stesse in carta di colore. L. 12 67. PronosticHI d’Ippocrate volgarizzati nel buon secolo della lingua e non mai fin qui stampati. Bol. Tip. del Pro- gresso, 1866, in-16 di pagg. 68. Ediz. di 202 ess. Sta legato nel medesimo volumetto il seguente : DELLA sceLTA di curiosità letterarie inedite o rare, illu- strazioni del Prof. Giosuè Car- ducci. Bol. Tip. del Progres- so, 1863, in-16 di pagg. 76. Ediz. di 202 ess. De’ Pronostichi si rese editore il Professore Pietro Ferrato. L. 3. 50 68. Lo SrimoLo d'Amore at- tribuito a San Bernardo, testo di lingua inedito. Bol. Tipo- Gana del Progresso, 1866, in 6 di pagg. 52. Ediz. di 202 ess. Sta legato nel medesimo volumetto il seguente : La Episrora di S. Bernardo a Raimondo, volgarizzamento del buon secolo. Bol. Tip. del Progresso, 1866 in-16 di pag.20. Ediz. di 202 ess. Del primo fu editore il Zambrini, del secondo Amico. L. 3 Gli stessi in carta di colore. L. 6 69. Ricorpi sulla vita di mes- ser Francesco Petrarca e di Madonna Laura scritti da Lui- gi Peruzzi loro contemporaneo. Bol. A del Progresso, 1866, in-16 di pagg. 36. Ediz. di 202 ess.: ne fu editore il sopraddetto Francesco Zambrini. Gli stessi in carta di colore. L. 3. — 70. Tracrato del Diavolo co’ Monaci, istoria in ottava ri- ma di Bernardo Giambullari. Bol. Tip. del Progresso, 1866, in-16°di pagg. 40. Ediz. di 02 ess. Il titolo pre- ciso di questa novella, secondo l’o- npe edizione , leggesi in rosso alla pag. 11, come segue: Una resia che un Demonio volle mettere in un Monasterio di Monaci: — a piè di questa in- titolazione sta a fac-simile della sana originale un graziosissimo intaglio in legno. Ebbe cura di que- sta piacevole novella il più volte citato Francesco Zambrini. L. 2. 50 Lo stesso in carta di colore.L. 5. — 71. Due NoveLLE aggiunte in un codice del 1437, conte- nente il Decamerone di (Gio- vanni Boccaccio. Bol. Regia Ti- ografia, 1866, in-16 di } xIl-72, Lui Ediz. di 202 ess. Il titolo sta entro una cornice in legno. Dobbiamo la pubblicazione di queste due Novelle al laborioso Cav. Antonio 7 La stessa in carta di colore. L. 7. — 72. Vssie Ciancioni e Ciar- È del POI tRe Regia 'ipografia, , in-16 di pagg. XXIV-62. Ediz. di 202 ess. È un manipolo di curiosità e di antiche stranezze raccolte dal sig. Prof. Girolamo A- mati a documento della dibonarietà de’ nostri avoli : l’illustre editore vi prepose una piacevole e graziosa prefazione. L. 3 La stessa in carta di colore. L. 6 73. SpeccHio dei peccatori attribuito a S. Agostino edito per la prima volta a cura di Ugo Antonio Amico. Bol. Re- gia Tipografia, 1866, in-16 di pagg. XVI-34. Ediz. di 202 ess. A pag. 1° sta altro frontispizio in rosso e nero con questo titolo. — Specchio dei peccaturi di messer Sanclo Augu- stino — Occupa la maggior parte della pagina un’ elegantissima inci- sione in legno tolta da un antico manoscritto. Il Prof. Antonio Amico curò questa stampa ed aggiunse in fine con nuovo frontispizio e con nuova numerazione, in pagg. 19 la Epistola di san Bernardo a Rai- mondo, nuova lezione del buon se- colo della lingua ecc. L. 2. 50 La stessa in carta di colore. L. 5. — 74. ConsieLio contro a pi- stolenzia per maestro Tomma- so del Garbo conforme un co- dice della Marciana già Far- setti raffrontato con altro co- dice riccardiano da Pietro Fer- rato. Bol. Regia Tipografia, 1866, in-16 di pagg. 60. Ediz. di 202 ess. Il testo, come ben giudica l’editore, è in una di- citura affatto diversa da quel che 17 si legge nelle stampe del secolo XVI.” La stessa in carta di colore. L. 4 75 e 76. IL VOLGARIZZAMENTO delle favole di Galfredo dette di Esopo, testo di lingua edito per cura di Gaetano Ghivizzani con un discorso intorno la ori- gine della Favola, la sua ra- gione storica e i fonti dei vol- garizzamenti italici. Bol. Tip. del Progresso, 1866, Vol. 2 in-16 di pagg. CCXVII-288. Ediz. di 202 ess. Il primo volu- me contiene una lunga disserta- zione intorno all’ origine di queste favole, e altre erudite illustrazioni. Il secondo, il testo copiosamente annotato. Circa al merito di questo lavoro si parlò in diversi giornali. L. 14, 50 Lo stesso in carta di colore. L. 29. — 77. Poesie minori del seco- lo XIV pubblicate per cura di Ettore Sarteschi. Bol. Tip. del Progresso, 1867, in-16 di pagg. XL-108. Ediz. di 202 ess. Vi sono rime per la più parte inedite di Bindo Bonichi, del Saviozzo, ec. ec. : lil- lustre editore vi antepose un’ eru- dita prefazione, nella quale si dà conto della sua raccolta, e del me- rito de’ Poeti in essa contenuti. L. 4 La stessa in carta di colore. L. 8 78. Due SermonI di Santo Efrem e la Laudazione di Jo- sef, per cura di Achille Neri. Bol. Regia Tipografia, 1867, in-16 di pagg. 72. Ediz. di 202 ess. Queste antiche scritture furon tratte da un codice esistente già nella Biblioteca dei mi. 2 18 nori osservanti di Giacherino presso . Pistoia, e pubblicate con diligenza dall’ egregio sig. Neri. L. 2. 50 La stessa in carta di colore. L. 5. — 79. Cantare del Bel Ghe- rardino, Novella cavalleresca in ottava rima del secolo XIV, non mai fin qui stampata. Bol. Regia — ipografa, 1867, in-16 di pagg. 56. Ediz. di 202 ess. fatta per cura del Comm. Francesco Zambrini , se- condo un Codice MITO 2 La stessa in carta di colore. L. 4 80. Fioretti de’ Rimedii con- tro fortuna di messer France- sco Petrarca volgarizzati per D. Gio. Dassaminiato ed una Epistola di Coluecio Salutati al medesimo D. Giovanni, tra- dotta di latino da Nicolò Ca- stellani testi del buon secolo. Bologna, 1867, in-16 di pagg. 280. L. 8 Pubblicazione che deesi alle cure del P. don Casimiro Stolfi, il quale per malsania non potendo attendere alla correzione delle bozze di stam- pa la commise al Prof. Ugo Antonio Amico, che, assuntala, se ne dette poco pensiero ; per cui nell’ ultima parte singolarmente avvennero gros- solani errori. 81. Compenpio di più Ritratti di Gio. Maria Cecchi, ora per ni sy oa era Ha luce. ogna in-16 di pagg. ORI rr LO Si pubblicò da Francesco Zam- brini conforme un codice che si conserva nella pubblica Libreria di Siena; l’operetta è importante non meno per la venustà della favella, che per le nozioni storiche che vi si leggono; fu lodata da più giornali d’ Italia. 82. Rime di Bindo Bonichi da Siena edite ed inedite, ora per la prima volta tutte insie- me stampate. Bologna, 1867, in-16 di pagg. XXXVI -216. L. 7. 50 Ebbero cura di questa edizione Francesco Zambrini, Prospero Viani e Pietro Bilancioni: le Canzoni si pubblicarono giusta una copia alle- stita già dall'avv. Jacopo Ferrari che fu; e i Sonetti debbonsi in tutto alle cure speciali dell’ avv. Pietro Bilancioni. Il Comm. Zambrini com- pilò, invigilò e diresse il volume, ed il cav. prot Viani vi premise un elegante Elogio del Ferrari. 83. La Sroria di Ottinello e Giulia, Poemetto popolare in ottava rima, riprodotto sulle antiche stampe. Bologna, 1867, in-16 di pagg. XLVIII-28.: Lavoro che deesi alla nota eru- dizione del Prof. Cav. Alessandro D'Ancona i cui preliminari ai testi che ei pubblica, sogliono vincere di assai l’importanza dell’opera altrui stampata. 84. PistoLa di S. Bernardo ai frati del monte di Dio, vol- garizzamento del secolo XIV, citato dalla Crusca e dato fuori er la prima volta da Pietro anfani. Bologna, 1867, in-16 di pagg. XVI-196. L. 7 Il nome dell illustre editore di questo libro è sufficiente per rac- comandarlo a tutti i buongustai e coltivatori della gentilissima nostra favella. Non manca d’una breve ma dotta prefazione, e d’opportune note filologiche. 85. Tre NovELLE rarissime del secolo XVI. Bologna, 1867, in-16 di pagg. 132. L. 5 La prima di queste appartiene a mons. Giovanni Guidiccioni, la se- conda a Francesco Maria Molza, e la terza a Jacopo Salvi bolognese. Per cura di Francesco Zambrini fu- rono tutte e tre pubblicate secondo antichissime stampe del secolo XVI null’ altro ritoccando che la inter- punzione. Ogni novella è preceduta d’apposito frontispizio adornato d’un intaglio in legno, ed ha una speciale Avvertenza dell’ editore. 86, 87, 88. IL ParapIso de- gli Alberti, ritrovi e ragiona- menti del 1379, romanzo di Giovanni da Prato dal codice autografo e anonimo della Ric- cardiana a cura di Alessandro Wesselofsky. Bologna, 1867, Volumi 4 in-16 di pagg. VIII- 372-1V-448-IV-232-I COL E un elegante e per avventura troppo fiorita prosa de’ tempi in cui la volgar lingua incominciava a dar segni del suo decadimento. Vi si contengono otto graziose novelle già pubblicate in antecedenza sotto il nome di Giraldo Giraldi. J prelimi- nari, e per l’ abbondanza della ma- teria e per l’importanza della sto- ria letteraria di que’ tempi, supera- no di molto il testo. Molteplici: do- cumenti di scritture inedite volgari e latine fanno bel corredo all’ope- ra. Insomma è da stupire che uno straniero abbia saputo far quello che sarebbe tornato malagevole a un dotto italiano. 19 89. Mapovna Lionessa, can- tare inedito del secolo XIV, aggiuntovi una novella del Pe- corone. Bologna, 1866, in-16 di pagg. VIII=-72. Questo poemetto cavalleresco, è lavoro, secondochè questi di pes sati si scoperse, di Antonio Puc- ci, famoso per diversi altri racconti popolari in rima. Ne dobbiamo la pubblicazione all’ egregio sig. dott. Carlo Gargiolli, il quale per rendere viemaggiormente prezioso questo vo- lumetto , volle aggiungere eziandio la Novella della donna di Belmonte che leggesi nel Pecorone, rettifi- pig il testo sopra un buon co- ice. Sta unito in questa medesima di- spensa : Ligro degli ordinamenti del- la Compagnia di Santa Ma- ria del Carmine, scritto nel 1280, per la prima volta mes- so in luce secondo la perga- mena originale da Giulio Pic- cini. Bologna, 1867, in-16 di pagg. 48. L. 4 Non è d’uopo raccomandare una prosa del secolo XIII. Chi per poco si conosca delle nostre lettere, sa abbastanza in quale grado si debba avere e quanto sia da apprezzarsi. Lodi quindi sieno all’ egregio gio- vane signor Giulio Piccini, che con tanta diligenza seppe offerirla al pubblico. 90. ALcune lettere famigliari del secolo XIV, pubblicate da Pietro Dazzi. Bol. 1868, in-16 di pagg. 72. L. 2. 50 È una ristampa di quelle stesse ubblicate dal medesimo Prof. in ‘irenze, e per occasione di nozze 20 nell’anno antecedente. La nostra e- dizione però si avvantaggia di molto sopra quella, non solamente per le emendazioni fattevi nel testo, ma eziandio per la giunta di parecchie lettere inedite. 91. Prorezia sulla Guerra di Siena, Stanze del Perella accademico Rozzo, edite da Lu- ciano Banchi. Bol. 1868, in-16 di pagg. 64. Incontrò molto nel genio dei dotti “questa poesia, non solo per l ele- sanza del dettato, ma ben anco per l’importanza della materia, la qua- 1 A pala fatti istorici di quel- età. Sta unito in questa medesima di- spensa : ‘DeLte FavoLe di Galfredo pubblicate da Gaetano Ghiviz- zani e Lettere di Nicolò Tom- maseo e Luigi Barbieri. Bol. 1867, in-16 di pagg. 76. Sono diverse emmendazioni al te- sto di Esopo (num. 75-76), indi- spensabili a chi possiede quell’aureo libro. or Vi è eziandio unito : Due OpuscoLi rarissimi del secolo XVI. Bol. 1865, in-16 di pagg. 32. Niuna importanza presentano al- l’infuori della somma rarità, essendo l’unica stampa antica, sconosciuta a tutti i bibliografi. L. 5. 50 92. LetTERE di Diomede Bor- ghesi. Bologna, 1868, in-16 di pagg. 88. Quattro LeTTERE di Daniele Bartoli. Bologna, 1868, in-16 di pagg. 16. L. 3. 50 Prezioso volume è cotesto spe- cialmente per gli avidi raccoglitori degli epistolari. I nomi di Diomede Borghesi e di Daniello Bartoli ba- stano per raccomandarlo. Ne fu e- ditore il chiarissimo signor march. Giuseppe Campori. 93. Lisro di Novelle Anti- che, tratte da diversi testi del buon secolo della lingua. Bo- logna, 1868, in-16 di pa 2. XVI.-232. ; Ca È i) Sono ottanta graziose Novelle spi- solate in diversi antichi testi del buon secolo ed insieme raccolte e pubblicate dal più volte ricordato comm. Francesco Zambrini. Ne par- larono con lode la Gazzetta del Po- polo di Firenze, la Nuova Antologia e diversi giornali di Germania. 94. Poesie Musicali dei se- coli XIV, XV, XVI, tratte da vari codici per cura di Anto- nio Cappelli, con un saggio della musica dei tre secoli. log. 1868, in-16 di Pagg i Alcune di dette Ballate si era- no dallo stesso cav. Cappelli messe fuori per lo addietro in occasione di nozze : in questa ristampa si au- mentarono assai di numero, e si ret- tificarono le lezioni della prima. 95. L’OrLanpino, Canti due ci sir piani pp DS ogna, , in-16 di pagg. 32. LT. 50 Libro di grande curiosità: si è e- seguita questa edizione a fac-simile d’una antichissima e rarissima stam- pa non ricordata da verun Biblio- grafo. L’ Avvertenza è firmata Gae- tano Romagnoli. 96. La Conrenzione di Mo- na Costanza e di Biagio e tre Canzoni di messer rnardo Giambullari. Bologna, 1868, in-16 di pagg. 36. L. 1. 50 Sono preziose scritture ed assai rare trasmesseci da un illustre let terato da tempo abitante in Roma: non potè, ovvero non volle aver cura dell’edizione, per cui v’attese il ch. cav. prof. Luigi Savorini, ma senza poter rettificare queste scritture su- gli originali d'onde furon tratte. 97. NoveLLETTE, Esempi mo- rali e Apologhi di San Ber- nardino da Siena. Bol. 1868, in-16 di pagg. XVI-104. L. 3. 50 Sono tratti questi racconti, in nu- mero di trentotto, dalle quaranta- cinque Prediche di S. Bernardino, che per la maggior parte conser- vansi inedite nella Biblioteca Comu- nale di Siena. La lingua v'è aurea e singolarissima : si pubblicarono a cura del sopraddetto Francesco Zam- brini, che vaggiunse quei corredì che sono indispensabili a così fatte pubblicazioni. Se ne parlò molto favorevolmente nell’ Appendice del- l’Enciclopedia Popolare di Torino, e nella Gazzetta di Sicilia. 98. Un Viaccio di Clarice Orsini De Medici nel 1485, descritto da ser Metteo Fran- co. Bologna, 1868, in-16 di pagg. 24, L. 1 Prezioso opuscoletto che dobbia- mo alla solerzia del sig. prof. Isi- doro Del Lungo, accademico della Crusca. 99. La LeccenDA di Vergo- gogna, testi in prosa e in verso 21 del buon secolo, e la Leggenda di Giuda, testo italiano antico in prosa e francese antico in verso. Bologna, 1869, in-16 di pagg. 236. Importantissima pubblicazione del prof. cav. Alessandro D’ Ancona, nella quale gareggia la somma eru- dizione de’ preliminari coll’ interes- samento de’ testi antichi onde si compone questo volumetto. L. 7. 50 100. IL Femia sentenziato, "favola di Pierjacopo Martelli con postille inedite. Bologna, 1869, in-16 di pagg. XVI-208. Ai prefati opuscoli s’ aggiungono la Vita scritta da lui stesso fino al 1718 e una notevole lettera inedita sopra la ritirata del Femia; il tutto messo fuori dal prof. cav. Prospero Viani. L. 7 101. LetTERE di Bartolomeo Cavalcanti, tratte dagli origi- nali che si conservano nell’Ar- chivio (rovernativo di Parma. Bologna, R. Tipografia, 1869, in-16 di pagg. XLIV-223. L. 8. 50 Ediz. di 202 ess. per ordine nu- merati. E lavoro dell’illustre cav. prof. Amadio Ronchini. Le lettere sono 95. 102. IL Liro segreto di Gre- gorio Dati, pubblicato per cura di Carlo Gargiolli. Bologna, R. Tipografia, 1869, di PAGE to Curiosissimo libro , che reca gran diletto ai leggitori: è scritto con bontà di lingua e singolare spiglia- tezza di stile. \ * 22 103. LerTERE inedite di Ber- nardo Tasso, precedute dalle notizie intorno alla Vita del medesimo. Bologna, R. Tipo- rafia, 1869, in-16 di pagg. 599, LI Ediz. di soli 202 ess. Dobbiamo la pubblicazione di questo bel ma- nipolo di lettere, in numero di 47, all’illustre sig. march. G. Campori. 104. Der Tesoro volgariz- zato di Brunetto Latini, libro primo edito sul più antico dei codici noti. Bologna, R. Tipo- grafia, 1869, in-16 di pagg: 210. L. Ediz. di soli 202 ess. Fu pubbli- cato dall’illustre sig. cav. prof. Ro- berto -De Visiani che vi premise una dotta Prefazione con giunta in fine di copiose note e spogli. 105. Gipino da Sommacam- pagna, Trattato inedito dei Rit- mi volgari. Bol. R. Tipografia, 1870, in-16 di pagg. XXXII- 10. 50 . de Ediz. di 202 ess. per ordine nu- merati, fatta a cura di Mons. G. B. C. Giuliari. In fine sta un’Appendic: di importanti documenti. 106. La LEGGENDA d’ Adamo ed Eva, testo inedito del se- colo XIV. Bologna, R. Tipo- grafia, 1870 di pagg. 32. . Ediz. di soli 202 ess. per ordine numerati. È un’aurea pubblicazione data fuori dal cav. prof. Alessandro D’ Ancona. L. 1. 50 107. NoveLLINo Provenzale, ossia Volgarizzamento delle an- tiche vitarelle dei Trovatori, scritte già in lingua d’oc, da ugo di S. Ciro, da Michele della Torre e da altri. Bol. 1870 di pagg. XXII-222. L. 8 Nessuno che ami la nostra lette- ratura antica e le sue origini, potrà disconoscere l’importanza di questo libro, del quale già per | addietro alcuni saggi si videro in luce, che ottennero | universale approvazione dei dotti. Le Novelle sono 72, e il nome dell’ illustre conte Giovanni Galvani vale un elogio. es OPERE IN CORSO DI STAMPA DELLA SCELTA 1. Parma liberata dal giogo di Mastino della Scala, Can- zone di politica Francesco Pe- trarca, nuovamente esposta e ridotta a miglior lezione dal prof. Francesco Berlan. 2. EpisroLa di s. Girolamo ad Eustochio, volgarizzamento fatto nel sec. XV, ed ora pub- blicato a cura del prof. avv. Ippolito Gaetano Isola. 3. LETTERE inedite del sec. XII e XIV, a cura dei prof. Cesare Paoli ed Enea Picco- lomini. 4. Lettere inedite di Ber- nardo Cappello, a cura del cav. prof. Amadio Ronchini. 23 5 NOVELLE di Giovanni Ser- cambi, a cura del prof. Ales- sandro D'Ancona. 6. NoveLLETTE intorno a Cur- zio Marignolli scritte da An- drea Cavalcanti, per cura di Giulio Piccini. LIBRI DIVERSI Isroria di Riccordano Ma- lespini dalla edificazione di Fio- renza per insino all’anno 1281 con l’aggiunta di Giachetto suo nipote dal detto anno per in- sino al 1286 riscontrata colle prime edizioni e pubblicata per cura di Crescentino Giannini. Bologna, 1867, in-16 di pags. XII-337. 12 Fa onore al chiarissimo sig. prof. Giannini questa pubblicazione, la quale gli costò fatica e sollecitudini assai ; e fa ad un tempo dispetto la non curanza degli studiosi per così fatte auree scritture , il cui smercio è così lento e poco, che ingenera compassione. I NoveLLIERI in verso indi- cati e descritti da (Giov. Batt. Passano. Bologna, 1868, in- 8 gr. L. 10 Molti giornali parlarono di que- st' opera unica nel suo genere: lo spaccio fa veder chiaro quanto abbia incontrato l'approvazione del pubbli- co. Dello stesso abbiamo in numero : I NovetLigri Italiani in prosa. Milano, 1864, in-8 gr. L. 10 Opera che di gran lunga per co- pia della materia avanza la Biblio- grafia che sullo stesso argomento ci aveva già dato il Gamba. LerterE di Lodovico Ario- sto tratte dall'Archivio di stato in Modena, con prefazione, do- cumenti e note, per cura di Antonio Cappelli. Bol. 1866, in-8 di pagg. CLXXXIV-369. L. 6. 26 È un magnifico libro che meri- tava assai maggior incontro di-quel che abbia avuto. L’Ariosto è in tale’ fama della nazione, che non dell’o- pera sua, ma a scorno dell’ igno- ranza degli odierni studiosi torna la trascuraggine. LetTERE (trentasei ) inedite di Lodovico Antonio Muratori. Bologna, 1868, in-16 di page. 89. ED de 24 Furono pubblicate a cura del sig. march. Giuseppe Campori, che le corredò di erudite note istoriche. LetTERE dell’ abate Antonio Cesari P. D. O. Bologna, 1868, in-16 di pagg. 40. L. 1. 50 E un manipolo di eleganti let- tere del padre della prosa italiana del nostro secolo; sl stamparono “conforme agli autografi accomoda- tici dalla squisita cortesia dell’ illu- stre prof. Giuseppe Turrini. L’Av- vertenza é firmata da Gaetano Ro- magnoli. Dopici Lettere di Carlo Bot- ta, edite per cura di nigra È Campori. Bologna, 1868, in-16 TL... 50 di pagg. 32. Il nome di Carlo Botta basta a raccomandare questo libretto ; il Bot- ta è una gloria dell’età nostra e perciò non occorre dirne altrimenti. ALcune Lettere dell’ abate Antonio Niccolini a monsignor Giovanni Bottari intorno alla punte di Rie sea i 1761. ogna in- i pagg. EP CISRIOLIE L. 2. 50 Son come un mazzuolo odora- tissimo queste lettere politiche, le quali il Nicolini scriveva all’ amico suo Giovanni Bottari : furono estrat- te dagli autografi pel chiarissimo sig. G. Amati, e pubblicate a sua cura. Se ne parlò molto favorevol- mente in diversi giornali. Di Una Rara Moneta di Offa re de’ Merciani, Lettera all’on. sig. Giovanni Evans. Bologna, 1862, in-18. 1-0 Inpex Alphabeticus Biblio- thecae Graeco-Latinae veterum Patrum antiquorumqueScripto- rum Ecclesiasticorum cura et Studio Andreae Gallandii presb. orat. Venetii, Albrizzii, 1765- 81, seu 1788, T. 14 in fol. Bononiae, 1863, in-8 di pagg. D4. L. 1 Muzzi SaLvarore, Piccola guida allo seriver lettere com- poste per uso dei fanciulli ag- giuntovi un breve trattato di stenografia, con una tavola ste- nografica. E già sotto stampa ida edizione. Bologna, 1863, in-12. L. -- 60 — Piccora guida allo seri- ver lettere per uso delle fan- ciulle. Quinta ediz. Bologna, 1867, in-12. L. - 60 Queste due operette furono pre- miate di medaglia d’argento nella Doe riunione del Congresso pe- agogico in (renova. — Guia per Ja città di Bo- logna e suoi dintorni coll’ indi- cazione degli ultimi abbelli- menti delle vie e degli edifizi, con pianta topografica, L. 1 IL CarvinaLe Alberto Bolo- netto e la sua nunziatura di olonia per F. Calori Cesis. Bologna, 1863, in-8. 2 L’OracoLo della Sibilla Cu- siana. Bologna, 1828, rr, Dì prossima pubblicazione : Invertiva DI PiETRO ARETINO contra Gio. Matteo Giberti ve- scovo di Verona, ed alcune Lettere di Pier Paolo Ver- gerio apostata. i Scritture inedite tratte dalla Mar- ciana ed illustrate di prefazioni e no- te istoriche da Teodorico Landoni. Intorno alle prime stampé della Divina Commedia, il- lustrazioni bibliografiche fatte da Teodorico Landoni su gli esemplari già esposti a Firenze pel centenario di Dante. Sarà un’ Appendice al De Batines, il quale delle rarissime stampe il- lustrate dal Landoni, non vide mai se non la Fu/ginate. Morro Carto. Opere Storico- Numismatiche e descrizione delle sue raccolte. Un bel volume di pagg. XXVI 572 con due tavole litografiche. 12, 48. PrpoLi CarLo. Due centurie delle Iscrizioni Italiane. L.2. Vita DI Cosimo pe MEDICI, scritta da G. B. Adriani non mai fin qui stampata, per cura di Adolfo Bartoli. I Guarini famiglia nobile Ferrarese, Oriunda di Verona. Memorie di Luigi Napoleone Cittadella. IL PROPUGNATORE STUDII FILOLOGICI, STORICI E BIBLIOGRAFICI DI VARI SOCI DELLA COMMISSIONE PE’ TESTI DI LINGUA PERIODICO BIMESTRALE DIRETTO E COMPILATO DA F. ZAMBRINI —_ 0a —_— Questo Periodico è come un Supplemento ad amendue le Collezioni sopra registrate, e chi possiede le une non dovrebbe a meno di non possedere eziandio l’altro. In esso, oltre gli articoli originali di critica, di filologia, di storia e di biblio- grafia, contengonsi parimenti importantissime scritture 0 ine- dite o rare dei primi secoli della lingua, che per la loro bre- vità mal sarebbero convenute nelle due sopraddette Collezioni. Tra breve uscirà la Dispensa prima dell’ anno III. I testi an- tichi finora inseriti sono i seguenti: 1. Parere di Lodovico Castelvetro sopra ciascuna comedia di Plauto, tratto da un codice Vaticano e pubblicato dal cav. prof. Giuseppe Spezi. 2. La RertoRIcA d’Aristotile voltata in volgare nel du- gento per uno da Pisa, pel dott. Giusto Grion. Un Nuovo Documento sul Re de’ barattieri di Lucca, per Salvatore Bongi. | 4. CANZONE popolare che trovasi ricordata dal Boccaccio alla Novella seconda della VIII Giornata del Decameron con illustrazioni del prof. Adolfo Mussafia. i 5. MaraviGLIE diaboliche, contenenti otto graziose Novel- lette del secolo XIV, per Francesco Zambrini. 6. Commento volgare ai tre primi Canti della Divina Commedia del codice di san Daniele del Tagliamento, pel dottor Giusto Grion. 7. Narrazione del miracolo di Bolsena o Corporale di Orvieto, pel cav. Francesco di Mauro di Polvica. 27 8. Caso di amore, prosa volgare attribuita a Francesco Pe- trarca, pel cav. prof. Pietro Dazzi. IL Mare amoroso, poemetto in endecasillabi sciolti di Brunetto Latini, pel dott. Giusto Grion. 10. Saggio di un antico testo in volgare del secolo XIV, a cura del prof. cav. Vincenzo Di (Giovanni. 11. NoveLLa del conte Guglielmo di Nerbona e di Dama Orabile, per avv. prof. Ippolito Gaetano Isola. 12. Votrcarizzamento inedito fatto da Zucchero Bencivenni d’un antico Lapidario attribuito ad Evace, per Enrico Narducci. 13. BesriARIO d’amore, prosa in seguito al Mare amoroso di Brunetto Latini, pel dott. Giusto Grion. 14. DeLra IncramIituDINE e di molti esempli d’essa, pel prof. Antonio Ceruti. 15. Tre Iscrizioni italiane del secolo XIV in Carrara, illu- strate dal canonico Pietro Andrei: 16. Quattro OpuscoLi inediti del secolo XIV, per cura del- abb. prof. Antonio Ceruti. 17. Documento circa la casa di Dante Alighieri in Firenze, con illustrazioni del prof. G. Gargani. 18. Trattato di Falconeria, testo di lingua inedito del se- colo XIV, tratto da un manoscritto della Biblioteca Ambro- siana a cura dell’ab. Antonio Ceruti. 19. Una Porsria ed una prosa di Antonio Pucci, a cura del prof. cav. Alessandro D’ Ancona. 20. I PRIMI SEI capitoLI dell’Evangelio di san Matteo da un codice a penna del secolo XV, a cura del cav. Francesco Di Mauro Di Polvica. 21. Poesie di Guido Guinicelli e di altri, a cura del prof. dottor Giusto Grion. 22. LecceNDA inedita di Gianni da Procida, secondo un co- dice Vaticano, a cura del cav. prof. Vincenzo Di Giovanni. 23. I Perponi di s. Francesco e un Sermone dis. Agostino, a cura del prof. ab. Antonio Ceruti. 24. IL Pozzo di s. Patrizio, con illustrazioni del prof. dott. Giusto Grion. OPERE IN CORSO DI STAMPA Codice della Divina Commedia che fu del Papa Lambertini, dato secondo la sua ortografia, coi raffronti di altri XIX Co- dici Danteschi inediti, verso per verso e fornito di note critiche per istudio, opera e cura del professor Luciano Scarabelli. | Statuti Senesi scritti in volgare nei secoli XIII e XIV e pubblicati secondo i testi del R. Archivio di Stato in Siena, per cura del prof. Luciano Banchi (Vol. 2.9). Commento a Dante d° Anonimo trecentista non mai fin qui. stampato: per cura del Cav. Pietro Fanfani (Vol. 3.0). Albertano da Brescia, Trattati Morali: volgarizzamento inedito del secolo XIII, allestito dal cav. prof. Francesco Selmi. o n PREZZO DEL PRESENTE VOLUME, PEL SIGNORI ASSOCIATI Tu Fi Se Porto ». — 28 dti Pubblicato il giorno 19 Novembre 1870. Ca la UT de HOLT, SF Rusius, Laurentius 957 La mascalcia di Lorenzo R88 Rusio 1867 Ve? 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