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150 Cent. 50.

LA

NUOVA FIORITURA

RACCONTI NOVELLE, MONOLOGHI e VERSI di

PASTONCHI X GAN'DOLIN - PIRANDELLO . CENA - DADONE - PALMARINI ^ THOVEZ ^ VILLA . CORRADINI . CLARVY - FERRIANI ^ LAMBERTINI - LAURÌA - BELTRAMELLl - DE LUCA PINCHIA - TUMIATI . DAUDET - DE AMICIS . DI SAN GIUSTO ' FOÀ . FAVA / LESSONA . ZOCCOLI . ROCCATA- GLIATA-CECCARDI - DIOTALLEVI . PUCK . BONTEMPELLI . GIGLIO^TOS ' MANTEA . RINIERI ^ STURA.

Con ritratto e biografia di tutti i su citati Autori

RENZO STREGLIO Sf C. Editori

Torino -• Galleria Subalpina

Genova «^azza Fontane Marose (Vico Stella. 24

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LA NUOVA FIORITURA.

Proprietà Letteraria

Vielata, a lendine di lcgge,^ogni e*qualsiasi riproditzione 0 traduzione

AI LETTORI,

Lo scopo di questa nostra NUOVA FIORITURA e quello di provare al gran pubblico dei lettori l'erroneità dell'affermazione che la nostra letteratura moderna italiana, o almeno la parte migliore di essa romanzi, novelle o versi non sia divertente, come con singolare accordo, e con ben poco amore per le cose nostre, molti critici osannanti agli scrittori goti ed ostrogoti mostran di credere e di voler far credere.

* E la prova nasce limpida e si afferma in queste pagine che oggi prescD' tiamo al pubblico italian'". ed in cui abbiamo raccolto saggi letterari pregevoli sotto ogni riguardo. V'atti da opere di ifiolti nostri scrittori e poeti giovani, i quali tutti, in fatfo di interessare, commuovere ed avvincere l'animo dei lettori possono vittor.'osamente gareggiare coi più celebrati scrittori stranieri.

Se nn si sia riusciti, con questi saggi scelti a caso, a smentire una fola a cui /a troppo tempo si presta cicca fede, lo dicano i lettori cortesi dopo aver lc« questa NUOVA FIORITURA ad essi dedicata.

GLI EDITORI.

SONETTI

Il fiorire del pesco.

L'offerta.

L'esile pesco al marzo che lo allaccia Fiorirebbe, ma vede ancora i monli Troppo nevosi e tenie che lo aD'ronli D'aspri venti ima sùbita minaccia.

Anche teme che il suo fiorir dispiaccia Al f^rande pioppo, il re degli orizzonti, I'' al vecchio lieo che, a vernarne i pronti Spiriti, allarga le paterne braccia.

Ma una ti-|)i<la notte, ecco, lo invaile l'ii languore, un tremore, un desio l'dlle. Pili come un lungo anelitcì... K l'aiuora ;

E vede sé, fulgente di rugiade. Chiuso in un roseo nembo di corolle Che ai venti mattutini esita e odora.

O leggiadria d'un vnlii) feniniinili- Che d'ingenue fiamme s'invermiglia Amoroso : e più dolce meraviglia. Se ancor Io avvolga d'un suo raggio ;

Cosi vidi un mattin iniesla gentile. Andando in mezzo ai fior, chinar le n Con volto che all'auror.i s'assomiglia, K balenarvi un riso puerile.

Ma poi subitamente, fitta certa Che nessun la scorgtn d'oltre i cin. Alzò gli nciliì sti-llanti nel rossore. .

F. una ro^a m'oDri, duplice oITcrln, l'oi chi- dirmi p.irenn ipiegli occhi Ik-11 Prendi anche me; sim tua; portami, ;

Il giogo.

X. .

V'eccliio era il gioito, e poi che il buon villani D'elette forme non .^enlìa dispregio, Un 'nitro ne aciiuistò, nuii tozzo, egregio Per scolpilura e del più lieve onlano.

K disje, innanzi ai bovi, nella mano Protesa bilanciaiulolo : « In ,:;rau pre:.;io Abbiatelo. Guardate che bel fregio, 1'" ipianlo è snello, senza nocchi e sano "._

Ma cauto un bove, con sollìanti naii. S'accostò, lutto l'annusò d'intorno; Poi deluso, tornando verso il Iruogo,

Agli altri che attendean mnggi : Comp.iri. Poco è da rallegrarci ; umile o adorno. Rude o leggiadro, esso è pur sempre un i^io; '

Alla tua salda fronte non si altari! i Il verso vaporoso di fintasmi. Essa è degna del bronzo clic la pl.i :'■ Nitida e ferma in cerchio di medni;'

Ah ! ipiante ansie di atles,! e di b.m i. Slremeran l'uomo e punte di sArc.iMiii Crude, prima che amor toro.t di si^ismi (Juesta fredda Iwllc/Jta che nii nhlM^lia.

M.» Ili vivi di 1 '

Per cento speivln. Di carnali clcsii, |>ut seinpic int.kll.i ..

Infm che un. caliM-stato da' tuoi pud" Fra lo sliipor di lutti rIì iillri imlxlli

Intermezzo Primaverile

La primavera è giunta. E se fiore, dai peschi Abbri videi! ti ai freschi Venti, non anche spunta E se pioppo non svaria: Primavera è nell'aria.

Per la recente pioggia, Nitida è la montagna ; Non un vel pigro stagna .Sui campi, donde poggia L' allodola nell'alto In un canoro assalto.

Lieto è il fragor dell'onda ( jonfia contro le prode ; Tutta la terra gode Nell'attesa feconda, Tutta la terra brilla Nell'attesa tran(|uilla.

Primavera è nei cuori,

Ogni sperar s'aH'ranca : La massaia spalanca Le finestre, che odori Di buone aure la casa Dal primo sole invasa.

Quasi un fruscio di spole. Quasi un ritmo di danze. Empie le aperte stanze : Canti di fresche gole Palpitan, d'improvviso Interrotti da im riso.

E, come in liete feste,

.Suonan le vie tra un gaio .Salutarsi e un abbaio Di sui carri. L'agreste Opera ai solchi nuovi Sospinge uomini e bovi.

Balzano da una .soglia

Fanciulle in vesti chiare, Che il dolce tempo a errare Per le campagne invoglia, E in desio con le braccia L'una all'altra s'allaccia.

O Giovinezza, o Aprile, Datemi voi leggeri Sogni, non già [lensieri, Svegliandomi un gentile .Spirito: ch'oggi al ramo Fiori, non fruiti, io bramo!

IL

FRANCESCO PASTONCHI

LA MACCHINA PER VOLARE.

(Monologo).

(All'alzarsi del sipario Pompeo Palamidoni, con le mani incrociale sul dorso, la lesla china, passeggia su e giit: poi si ferina e guarda l'oro- logio) .

Ha detto alle 6 precise e ora sono le 6.20

anzi le 6 e 23 gli do ancora dieci minuti di

tempo e poi lo mando all'inferno lui e i suoi

milioni se ha venti milioni, io ne ho cin-

(]uanta. . cento... e dove?... (baltendosi la frònle^

Qui. Con che cosa si fanno i milioni? coi quat- trini ? mi fate compassione ! I milioni si fanno con le idee: e io sono \in uomo pieno d'idee. Ma non basta avere delle idee; è anche neces- sario sapere come metterle fuori. E come si fa a metterle fuori ? Si fa cosi : {caz>a dalla tnanica UH lungo rotolo di caria) Ecco un'idea che vale tanti milioni che al solo pensarci fa spavento. Stamane sono andato dal banchiere Miranda e gli ho detto :

Sa chi sono io? Io sono l'ingegnere Pala- midoni ; lei metta centomila lire a mia disposi- zione e io dentro l'anno le faccio guadagnare tanti milioni, che Rothscild a suo confronto di- venta un mendicante, uno straccione, un nuHa- tenente.

Il banchiere Miranda deve essere un uomo furbo assai, un uomo che ha il colpo d'occhio negli atìari, perchè mi ha risposto subito :

Metto a sua disposizione tutto quello die vuole, ma non in questo momento perché ho molto da fare: ripassi tra un paio di mesi.

ì\Ia si figuri, questo è un aft'are che non ammette ritardi ; ogni settimana che passa sono dieci milioni buttati via.

Quando è così mi ha detto k-i m'aspetti alle 6 precise in piazza Grande ; se non mi \ede, sarà per un altro giorno.

Ora io lo aspetto ancora dieci minuti e poi vado a Londra, e se non vado a Londra vado a Pietroburgo, e se non vado a Pietroburgo vado in America ; anzi prima di partire, mando tanti dispacci per sentire le offerte che mi fanno ; e se c'è un paese che mi offre di più, ebbene io... vado a quel paese. Perchè in Italia, per l'amor di Dio! Tempo fa, avevo inventato un mecca- nismo per impedire Io scontro del treni. Vado a Roma, lo propongo al ministro dei lavori pub- blici e sapete che cosa mi risponde ? Che bisogna rispettare le abitudini, e che i viaggiatori, ormai, erano abituati ai disastri.

Ah, ma orala farò finita io! Non più ferrovie, non più locomotive, non più mancanza di vagoni nel porto di Genova ! Ecco qua ! (svolge il rotolo^ di carta) Che cos'è questa ? Questa è la mia ul-

tima invenzione. La macchina per volare. Qui si capisce poco dai profani ; ma la macchina è di una semplicità tale che la capirebbe anche un ragazzino. Come è nata l'idea di una mac- china a vapore ? Guardando una caffettiera. E a me come è venuta l'idea di una macchina per volare?... Guardando un caffettiere. O piuttosto era il caffettiere che guardava me, perchè gli dovevo una cinquantina di lire; ed io pen.savo: A momenti uscirò, ina egli è capace di venirmi appresso e farmi anche una scena sulla strada ; ma se io avessi una macchina per volare!...

Pensa e ripensa, egli non ebbe le cin(]uanta lire, ma io scopersi questa macchina portentos.i. che è tutto il contrario di quello che disse ."Krchi- mede : Toglietemi un punto d'appoggio e io mi sollevo dal mondo.

E un meccanismo cesi semplice che pare quasi una burletta. Ecco di che si compone : d'una navicella, d'un motore a gaz, di due ingranaggi a scambio simultaneo, di una trasmissione, di una puleggia e di due grandi eliche di tela, con un movimento centrifugo, e infine di un ma- nubrio con lo stantuffo ad aria compressa. E

funziona così: il motore naturalmente igesli)

allora per via degli ingranaggi (e. j.) le ruote

della trasmissione subito si (r. i.) in modo

che la puleggia naturalmente... si... (<•. s.\ così che l'elica di destra... (gira a (ondo il braccio) e l'elica di sinistra... (e. s.) in modo che basta afferrare il manubrio {gesti verticali cernie se gi- rasse rapidatiicnté\ e allora... immediatamente lo stantuffo... (gesti come se gitlasse tutte in aria) e questa è la macchina per volare.

Ora mi direte : va bene ; abbiamo capito perfettamente: ma a che cosa serve una macchina per volare ?

A che serve ? Ma serve a lutto ; dalle più grandi alle più piccole necessità della vita.

Non parlo, prima di tutto, dei viaggi ; con una spesa che è una miseria e in sole venticjuat- tr'ore, voi potete andare in America. Mettiamo il caso, voglio andare a Monte video e come fo? Metto in moto la mia macchina e mi innalzo a cinque o sei mila metri, poi mi fermo a vedere. Il mondo gira sotto di me: io vedo passare sotto i miei occhi la Francia, la Spagna, il Portogallo, l'Oceano Atlantico ; poi vedo un mucchio di ca.se e dico: se non ìsbaglio, quello è Montevideo! E allora discendo fresco come una rosa, entro in mio dei primi alberghi, vivo come un prin- cipe e poi dico: Mi si prepari il conto che quest.» si^a si va via ! E mentre il conio mi aspetta sul portone io vado via dalla finestra.

I .servigi che può rendere poi la mia macchina nei casi minuti della vita sono incalcolabili. Vn giro di manubrio' e siete salvi da qualunt^ue sec- catore. \'oi mi direte : ma anche i seccatori

saranno provvisti della niaccliina e ci potranno inseguire e raggiungere? Ho pensato anclie a questo.

Come c'è una legge clic regola il porto del- l'armi, cosi il Governo dovrebbe regolare l'uso della macchina _ per volare e questa macchina sarebbe severamente proibita ai creditori, ai con- certisti, agli agenti di assicura;4Jone sulla vita, alle suocere, ai giovani autori drammatici, a quelli che scrivono dei monologhi, a quelli che li reci- tano e altre simili categorie.

Proibita, s'intende, anche alle mogli, non perchè siano una categoria seccante, anzi, tut- t'altro... ma perchè potrebbero abusarne.

Il marito rientra in casa e non trova la consorte.

Dov'è mia moglie ?

Oh, signor padrone... la signora... è... è salita in cielo '....

Uno riceve una consolazione di i|uesto genere e poi capisce che è un equivoco.

Proibire anche la macchina ai giovani scapoli, ai vili seduttori che minaccerebbero sempre la pace domestica .sotto quella forma di volatile.

yuando avevo moglie, ero geloso come Otello... ossi;i il marito di Desdemona... ovvero il moro di Venczig. Per mia tranquillità avevo inventato il contatore coniugale. Un alt/o meccanismo che mi avrebbe reso Dio sa quanti milioni, ma che avrebbe fatto Dio sa cpianli infelici. Era un mec- canismo semplicissimo che avevo applicato senza clvs mia moglie ne sapesse niente sotto il sofJi del salotto.

Mia moglie pesava quarantasei chili: era una donna leggerissima. Tutte le sere, rientrando in casa, davo un'occhiata al contatore: o non segnava nulla, o segnava quarantasei chilogrammi. Un giorno dovetti partire per un viaggio brevis.simo.

Tornai dopo veiitiquattr'ore, abbracciai mia moglie, deposi la valigia e andai a guardare il contatore ; segnava sempre c|uarantasei chilo- grammi.

jDavanti a questo esperimento decisivo, la mia gelosia sfom parve.

La sera, andai a una riunione di speculatori che dovevano mettere a mia disposizione venti milioni, per una mia macchina che, se non ai fosse fermata, avrebbe realizzato il modo perpetuo. Rientrai in casa, per abitudine, diedi un'occhiata al contatore. Corpo di Giuda ! segnava cento e. ventitre chilogrammi I Io era dunque tradito da bep settantasette chilogrammi di persona scono- sciuta ! Mia moglie tentò giustificarsi, dicendo che anche la serva si era seduta sul sofTi. Vile menzogna !

Procedetti subito ad una verifica. La mia serva non pesava che sessantatre chilogrammi ; man- cavano dunque quattordici chilogrammi alla fe- deltà di mia moglie !

Vedete, sono passati dieci anni, ho perdonato

a quella disgraziata che non è più eppure,

se Dio fa che io ritrovi un uomo dal peso netto

di 77 chilogrammi Sapete che cosa (o? Lo

Jego come un salame : lo metto sulla mia mac- china per volare, salgo a tremila metri e poi... iQes/odi laitciaiio con ira\.

{Guarda rora\ Le 6 e .15 minuti. Che il ban- chiere Miranda creda di burlarsi di me? ma sarà lui il burlato: perchè io di capitali ne trovo (juanti ne voglio. F. di che si tratta poi ?... Di centomila lire !...

{^Al pubblico) Domando scusa : nessuno di loro avrebbe per caso centomila lire in saccoccia?.. Nessu'io?... Me ne rincresce tanto: mica per me per loro \ (viat.

AGENORE SMARRITO.

.Sono le nove e tre quarti di sera. Casa De- Tiippetti è immersa nella più profonda coster- nazione.

La serva, seduta nel cantone più oscuro della sala da pranzo, appoggia la fronte sopra la spal- liera della propria sedia e dorme in preda alle più strazianti inquietudini.

La signora Eufemia dimentica di ogni deli- cato senso di pudore è mezzo vestita e mezzo no, e il suo seno potrebbe presentare ancora qualche attrattiva agli occhi autorevoli di Poli- carpo, s'egli non si ostinasse a fissarli sui propri stivali tron una costanza degna tii migliore scarpa.

La signora Eufemia, ogni tanto, fa un salto alla

finestra, e guarda, con rapido movimento di testa, ai due lati della via.

Indi, ritorna mestamente accanto a Policarpo, che continua a considerare le proprie scarpe sotto un altro punto di vista, più patriottico, ma non meno doloroso del precedente.

Policarpo, con voce cavernosa :

Hai visto niente?

Niente; povera creatura. Policarpo, reprimendo i singulti :

Era il yostro amore ! Era il nostro sangue, Eufemia! Era il mio ritratto! Il niio animo di padre è straziato nelle sue viscere immediate ! Dio, abbiate pietà di noi ; io non domando al cielo

che una grazia sola; ricuperare mio figlio, per abbracciarlo teneramente, e metterlo, dieci giorni, a pane e acqua.

Indi, volgendo gli occhi sopra la serva:

Oh femmina religiosamente devota ai tuoi doveri di cittadina e di domestica ! la tua vita è un sacerdozio, che mantiene acceso il sacro foco- lare della famiglia, e comprende nel salario gli affetti d'un vergine cuore, mensilmente retrilniito con pari tenerezza. Guarda, moglie mia, la po- vera Rosa. Ella non ha più il coraggio di fare un gesto, di pronunciare una (inalsiasi parola*. La commozione la opprime.

Perdona, amico mio, a me pare che russi.

T'inganni! non è che il rantolo d'un cuore esulcerato.

La signora Eufemia, sospirando a mantice, ri- torna, quasi barcollando, alla lineslra.

Policarpo fa due o tre passi, poi s'arretra e dice con accento severo e fatale :

Eufemia, non è più tempo d'esitare, lo devo perlustrare tutti i sette colli, anche a costo ili fiaccare il mio. O ritroverò il nostro caro -Age- nore, o tu sarai vedova anzi tempo.

Io ne morirò.

E io verrò a piangere continuamente sulla tua fossa.

Così dicendo, cadono uno nelle braccia del- l'altra.

Per essere storicamente esatto, devo dire anzi che Policarpo, avendo sbagliato la misura, cade invece sopra il lavamani, e manda in pezzi !,i catinella.

Rosa si sveglia di schianto, e grida:

Madonna iiiia, gli spiriti!

E Policarpo, uscendo, con accento (ilo.sotìco:

Gli spirili sono eccessivamente depressi. E, ricalcaifdo la bomba ^^ìk ■-h li .,r.„,|,j

scende nella via.

Ah ! voi non sapete...

È una storia, questa, lugubre e nazionale. Age- nore è fuggito di casa. Il figlio dell'orzarolo gli ha detto che tutte le sere c'è una tlimostrazione, con .squilli di tromba, e Agenore s'è lascialo incau- tamente .sedurre da quella prospettiva rivoluzio- naria. Agenore è fuggito di casa alle otto, scu- sandosi col dire che andava a comprare un solilo di cialdoni.-

Come mai l'oculata signora Eufemia ha pre- stato orecchio a cosi sfrontata bugia ?

Come mai ella ha potuto, anche per un luu- mento, supporre che nella vita tli .Agenore potes.se intercalarsi un episodio, rappresentato da un soldo di cialdoni?

Non calunniate questa eccellente madre di fa- miglia. Il sospetto aveva subito attraversato l'a- nimo suo.

Agenore ha un soldo? Dio mio! si sarebbe egli macchiato di qualche crimine? Ma non può essere. L'avrà trovato per la strada. Ma (juan- d'anche ciò fosse, come mai e.gli si getta subito in braccio ai bagordi, alla disperazione, al liber- tinaggio?

Agenore, .Agenore !

Hai tempo a strillare! -Agenore è già lonl.nm, Agenore è già a piazza Navona, insieme col figlio dell'orzarolo suo compagno di traviamenti e di perdizione.

Policarpo fernui un agente numicip.ile, davanti a .San Luigi de' Francesi, e gli domanda:

-Avete visto mio figlio?

E chi siete voi ?

lo? io sono un padre infelice.

I^ guardia si spazientisce e risponde :

Che vuole che sappia io ?

Ma come! scusate esclama De-Tappctli non è fi>rse atfidala a voi la Uitela. la salvaguardia dei cittadini? Sono o non sono mi regnicolo? Voi stesso siete o non siete un regnicolo?

Badi come parla! misuri le parole? Policarpo, spaventalo dalla propria audacia,

teme ili aver otìeso la maestà della Ugge, e fugge mezzo tonto, verso piazza Navona, pigliando di petto tutte le persone.

-Appena giunto in faccia alla fontana, sente uno squillo di tromba, e vede un maresciallo che porta via di pesoquaich'- ■■'- '"■ i>>r.- un , piin,.

mentre invece è il giovane Agenore, figlio unico di Policarpo De-Tappettì.

Quale vista per un padre! quale vista per un Policarpo !

È questo il punto culminante del- l'azione drammatica.

Policarpo Figlio mio !

Agenore {con voce strozzala) Papà, mi portano carcerato.

Maresciallo Ah, è vostro figlio questo pezzo di birbaccione? perchè non l'avete messo a letto? perchè non gli date un po' più di educazione?

Policarpo [dignitoso) Maresciallo,

ve ne prego non diminuite il mio

prestigio davanti a un'indocile prole, che versa a piene mani il disonore sulla mia testa, che un giorno .sarà canuta.

Maresciallo Meno chiacchere!

Policarpo Rendetemi mio figlio.

Maresciallo Ma siete matto!

Policarpo L' avete forse colto in tla- grante ?

Maresciallo Gridava Plinio.'.... l'ho udito io.

Policarpo (rivolgendosi al figlio con tutta l'amarezza d'un genitore offeso e deluso) Agenore! come mai, dopo tanti anni del mio fe- condo apostolato, hai potuto emettere gridi .sov- versivi ? come mai ti vedo in mezzo a gruppi di facinorosi? ahi, tu che dovevi essere il bastone della mia vecchiaia!

Agenore (piangendo) Lo sarò, lo sarò.

Policarpo {inesorabile) Ah, troppo tartli I il bastone della mia vecchiaia piomberà sulle tue spalle.

Momento di pausa e di raccoglimento.

Policarpo (con gesto autorevole)— Maresciallo: io sono un funzionario del Governo; uno zio di mia moglie è amico d'un ministro, del mi- nistro Mezzanotte, buon' anima sua ; si davan del tu...

Maresciallo Vedo bene che lei è un galan- tuomo si prenda pure questo birichino e lo

mandi a letto.

Agenore, mezzo sconquassato, passa nelle mani

del genitore, che lo afferra per l'avambr.iccio, e Io trascina verso casa ruggendo:

Disgraziato, che ci sei andato a fare in piazza Navona ?

A sentire la musica.

E chi ha destato, nel tuo petto, questi pravi istinti musicali?

È il figlio dell'orzarolo che m'ha detto, che bisognava gridare: Vogliamo l'inno.

Ma non hai tu riflettuto che il tuo grido ofiendeva i grandi corpi dello Stato? Ma dimmi: hai tu mai visto che tuo padre anche nelle grandi circostanze della vita abbia mai chiesto un inno? Perchè hai emesso, dunque, grida sediziose ?

Silenzio prudente da parte di Agenore.

.'\h ! tu non rispondi? tu ti avvolgi in di- gnitoso silenzio? Ma in non mi farò illudere da questo tardivo mutismo. Una correzione è neces- saria. \'edi tu questa mano?

Gli uno schiaffo e conchiude con voce solenne:

Questa mano impedisce al tuo piede di ri- manere, ulteriormente, sull'orlo dell'abisso.

^nvj^^Un.

LA BERRETTA DI PADOVA.

(Novelletta).

Berrette di Padova : belle berrette fine, di panno e lunghe, quasi quanto quelle che usano anche al presente i Sardi, e che usavano allora, cioè ne' primi cinquant'anni del secolo scorso, anche in Sicilia. Perchè fossero dette di Padova, ignoro. Certo così si chiamavano.

Le vendeva, fra gli altri, un berrettaio che de' molti anni passati in quel commercio non aveva saputo cogliere altro frutto che la fama di gran galantuomo, che vuol dir minchione, come ognun sa. Lo sapeva anche lui, e se ne stizziva molto; ma per quanto poi si sforzasse di mostrarsi

arcigno, corrivo a riavere il suo, non solo non gli veniva mai fatto, ma ogni volta, alla fine, era una giunta al danno, impietosendosi egli alle finte lagrime de' suoi debitori.

Si era ormai radicata in tutti la convinzione che egli non avesse in fondo ragione di lagnarsi e tanto meno d'adirarsi; perchè, se era vero da un canto clie gli uomini lo avevano sempre ingannato, era innegabile dall'altro che Dio, in compenso, lo aveva sempre aiutato. Che voleva dunque di più ? Aveva una cattiva moglie, indo- lente, malaticcia, sciupona, e se n'era presto liberato; aveva un esercito di figliuoli, maschi e femmine, ed era riuscito in breve a far di tutti buon parentado. Ora provvedeva si gra- tuitamente di berrette tutto questo parentado, ma poteva esser certo che esso, all'occorrenza, non lo avrebbero lasciato morir di fame. Che voleva di più ?

Le berrette intanto volavano da quella bottega, come se avessero le ali. Gliene portavano via figli, generi, nipoti, amici e conoscenti. Per alcuni giorni egli si ostinava a correre or dietro a questo, or dietro a quello, per riavere almeno, fra tante, il costo di una sola. Niente ! Giurava e spergiurava di non voler dare più a credenza:

Neanche a Gesù, se n'avesse bisogno 1

Ma ci ricascava sempre.

Ora, alla fine, aveva deliberato di chiuder bottega, ma appena esaurita la poca mercanzia che gli restava, della quale non avrebbe dato via neppure un filo avanti.

BERRETTE DI PADOVA

E 111 QUALSIASI ALTRO OENF.RF.

AL MASSIMO BUON MERCATO

MARCO LA VELA

Cosi l'insegna. Marco La Vela, dunque. Perla de' berrett.nj ! Ma tutti, davanti, lo chiamavano Don Marcuccio, e dietro Cirlinciò : che è il nome d'un uccello sciocco, per chi vuol saperlo.

Venne un giorno alla bottega di Cirlinciò Lizio Gallo, ch'era suo compare. Per le sue berrette il La Vela non temeva del compare. Ben altro il Gallo, in grazia del comparàtico, pretendeva da lui. Uomo sodo, denari voleva. E già gli doveva una buona sommetta. Ora dunque basta, eh?

Che abbiamo, compare ?

Lizio Gallo aveva in vezzo passarsi e ripassarsi continuamente una mano su i radi e lunghi baflì spioventi, e sotto quella mano, serio serio, con gli occhi bassi, sballarne di ogni colore. Caro a tutti per la sua piacevolezza, egli non pure da Cirlinciò, ch'era molto facile, ma dai più scaltri mercanti del paese riusciva sempre

ad ottenere quanto voleva, ed era indebitato fino agli occhi, e sempre abbruciato di denari. Ma quel giorno si presentò con un'altr'aria.

Male, compare ! sbuflò, lasciandosi cadere su una seggiola. Mi sento male. Stanchissimo!

E disse, seguitando, col volto atteggiato di tedio penoso, che non gli reggeva più l'animi) a viver cosi, d'espedienti, alla giornata, ch'era troppo il supplizio che gli davano i raflacci aperti o i muti sguardi de' suoi creditori.

Cirlinciò abbassò subito gli occhi e mise un sospiro.

E pure voi sospirate, compare! soggiunse il Gallo, tentennando il capo. Ma avete ra- gione! Io non posso più acco.starmi a un amico; sono sfuggito da tutti; e intanto, più che per me, credetemi, soffro per gli altri, a cui ilebbo cagionare la pena della mia vista. .Ah, vi giuro che .se non fosse per Giacomina mia moglie, a quest'ora....

Che dite! ^ gli diede su la voce il La Vela.

E sapete che altro mi tiene? riprese Lizio Gallo. Quella campagna che mi recò in dote mia moglie, pur così gravala ora da ipo- teche. Ho speranza, compare, che debba essere la mia fortuna, per via di non so che scavi che ci vuol fare il Governo. Dicono che sotto ci sono le antichità di Gamico. Uhm! Rottami.... Che saranno? Ma, se è vero questo, sono a ca- vallo. E non dubitate, compare: prima di tutti, penserei a voi. Già il Governatore mi ha fatto sapere che vuol parlare con me. Dovrei andarci domattina. .Ma come ci vado?

Perchè? domandò, stordito, Cirlinciò.

Con questi str.ìcci ? Non mi vedete? Per l'abito, forse, potrei rimediare. .Mio cognato, che ha la mia stessa corporatura, se n'd fallo uno nuovo da pochi giorni. Me lo prestercblie. Ma la berretta? Ha un testone cosi!

Anche voi, dunque! esclamò .Marcuccio La Vela, spalancando gli occhi.

Come, anch'io? disse, simulando inge- nuità, il Gallo. Che son forse solito di andar per via a capo scoperto ! Ora questa IwrrelU, vedete? non ne vuol più sapere.

E venite da me? riprese Cirlinciò, col volto avvampato di stizza. Scusatemi, compare: gnornò! non ve la do! non ve la posso dare!

Ma io non dico dare. Ve la p:«gherò.

Avete i denari ?

Li avrò.

Niente, allora! Qu.inil>> ii avrete.

È la prima volla, gli fece notarv, dolente e con calma, il G.illo, è la prima volt.i die vengo da voi i>er una padovana...

Ma io ho giurato, lo sapete! gridò il La Vela, infuriandosi.

Lo so... Ma vedete di che si traila'

Non sento ragione ! Piuttosto, guardate, piuttosto vi tre lari e vi dico di andarvela a comprare in un'altra bottega.

Lizio Gallo sorrise mestamente, e disse :

Caro compare, se voi mi date tre tari, lo sapete, io me li mangio, e berretta non me ne compro. Dunque datemi la berretta.

Dunque, questa quelli! concluse Cirlinciò, duro, ostinato.

Lizio Gallo si levò pian piano da sedere, sospirando:

E va bene! Avete ragione. Cerco la via per uscir da questo ginepraio: ma l'unica per me sarebbe di morire, lo so.

Mmire... masticò Cirlinciò. C'è bi- sogno di morire? Tanto, la berretta dovete ca- varvela in presenza del Governatore.

Eh già! esclamò, ironico, il Gallo. Bella figura ci farei per la strada con l'abito nuovo e la berretta vecchia! Jla dite i)iultosto che non volete trarmela.

E si mosse per uscire. Cirlinciò allor.i, pentito, lo trattenne per tm braccio e gli disse all'orec- chio:

Vi do tre giorni di tempo per il p.iganiento. E non Io dite a nessuno! Fra tre giorni.... badate ! son rapace di levarvela dal capo, per istrada! .Sono porco io. quando mi ci inetto!

Apri lo scadale e ne trasse ima bellissima berretta di l'adova. Lizio Gallo se la provò. Gli andava bene.

—Quanto mi pe.sa! disse, scotendo il capo. Mi sentivo male, venendo qua; voi mi avete dato il colpo di grazia, compare?

E se ne atidò.

Tutto piteva aspettarsi il povero Cirlinciò, tranne che Lizio Gallo, ivi a pochi giorni, do- vesse morir davvero!

.\h! ah! si n)ist a piangere, come un bambino, d,il rimorso, ripensando ah! alle ultime parole del compare presago; ah! gli pa- reva di vederselo ancora li, nella bottega, nel- l'atto di tcutemiare amaramenle il capo. Ah! ah! ah!

E corse alla casa del morto per condolersi con la vedova donna Giacomina.

l'er via, tanta gente jjareva si divertisse a fermarlo :

E morto Lizio Gallo, sapete ?

E non vedete che piango ?

Tutti in paese, commendavano la piacevolezza del Gallo, ne commiseravano la morte, pur sor- ridendo mestamente al ricordo delle tante beffe di lui. I molti creditori chiudevano gli occhi, sospirando, e alzavano la mano per rimettergli il debito.

Marcuccio La Vela trovò donna Giacomina inconsolabile. Quattro torcetti ardevano a gli

angoli del letto, su cui il compare .giaceva, co- perto da un lenzuolo. Piangendo, la vedova narrò al La Vela com'era avvenuta la morte.

K tradimento, diceva. Ma già, vo- lendola dire, da parecchio tempo. Lizio mio non pareva più lui !

Il La Vela confermò, narrandole a sua volta l'ultima visita del compare alla bottega.

Lo so ! lo so ! gli disse donna Giaco- mina. Ah, quanto se ne afflisse, povero Lizio! Le vostre parole, compare, gli rima.sero nel cuore come tante spine!

Cirlinciò pareva una fontana.

E più mi piange il cuore. seguitò la vedova, che ora me lo vedrò portar via sul cataletto dei poveri, si! sì! sotto uno straccio nero, povero IJzio mio!

Il I^ Vela allora, con impeto di conuiiozioue, si proflerse per le spese d'una pompa funebre. Ma donna Giacomina Io ringraziò ; gli disse esser quella l'espressa volontà del marito, e che lei voleva rispettarla, e che anzi il marito non avrebbe neppur voluto l'accompagnamento fu- nebre, e che inline aveva indicato la chie-sa ove da morto, voleva passare la notte, secondo l'uso: la chiesetta cioè di .Santa Lucia, come la più umile e la più prossima al camposanto, laggiii fuori del paese.

Cirlinciò insistette ; ma dovette cedere, alla line.

Quanto all'acconipagnaniento però, le disse licenziandosi, siale pur certa: tutto il pae.se, dietro al povero compare!

E non s'ingannò.

Ora, andando il mortorio per la stradii die conduce alla chiesetta di Santa Lucia, avvenne a Cirlinciò, il quale si trovava proprio alla testa, dietro al cataletto, che quattro portantini, due di (|u.i, line di là, sorreggevano i)er le stanghe, di fi.ssar gli occhi lagrimosi su quella sua fiam- mante berretta di Padova, che il morto teneva in capo e che spenzolava e dondolava fuor della testata del cataletto, poiché la misera coltrice arrivava appena a coprire il cadavere, e niente ne avanzava da capo e da piedi. La berretta che il compare non .gli aveva pagata! Tentazione!

Cercò più volle il povero Cirlinciò di distrarre lo sguardo ; ma poco dopo gli occhi tornavano a guardar li, attirali da cpiel dondolio, che .se- guiva ritmicamenteil passo dei portantini. Avrebbe voluto consigliare a uno di questi di ripiegar sul capo al morto la berretta e porvi sopra la coltrice.

Ma si ! Non ci mancherebbe altro, pen- sava poi, che io, io slesso, vi richiamassi raltenzìone della gente. Già forse, vedendomi qua e guardando la berretta, ridono di me, sotto i balli.

Morso da questo sospetto, lanciò due occhia-

tacce oblique ai vicini, sicuro di legger loro negli occhi il temuto dileggio ; poi si rivolse con rabbioso rammarico alla berretta dondolante. Com'era bella! com'era fina! E ora, pec- cato! — o sarebbe andata a finire sul capo di un becchino, o sotterra, inutilmente col compare... Questi due casi, e maggiormente il primo, ch'era il più probabile, cominciarono a esagitarlo così, che egli, senza quasi volerlo, si diede a pensale se ci fosse modo di riavere quella ber- retta. Lanciò di nuovo qualche occhiata intorno e s'accorse che molti, procedendo, seguivano tjuel dondolar continuo, che a lui cagionava tante smanie, anzi un vero supplizio. Gli parve perfino che quel movimento ritmico, prendendo (|uasi a materia il romor dei passi dei portantini' ripetesse forte, senza posa

È siato f^abbato, li stato gabbato...

No, perdio, no! Anche a costo di passar l'intera notte nascosto nella chiesa di Santa Lucia, egli doveva, doveva riaver quella berretta, ch'era sua! Tanto, che .se ne faceva più il compare, morto? Era nuova fiammante! ed egli avrebbe potuto rimetterla, senz'altro, dentro lo scaffale. Ed avrebbe adempiuto al giuramento fatto !

Fermato l'animo a questa deliberazione, ([uantlo il mortorio giunse (ch'era già sera chiusa) alla chiesetta fuorimano , dove lo scaccino aveva preparato i due cavalietti, su cui il misero fe- retro doveve esser deposto, mentre la gente assisteva a cjuesta deposizione, egli andò a na- scondersi quatto quatto dietro un confessionale. Come la chiesa fu sgombra, lo scaccino con la lanterna in mano si recò a chiudere il portone, jioi entrò in sacrestia a prender l'olio per rifor- nire un lampadino votivo innanzi a un altare.

Nel silenzio della chiesa, quei passi strascicati risonarono cupamente.

Della solenne vacuità dell'interno sacro, nel buio, Cirlinciò ebbe in prima tale sgomento, che fu li per farsi avanti a pregare il sagrestano, che lo facesse andar via. Ma seppe trattenersi. Rifornito d'olio il lampadino, quegli si accostò pian piano al feretro; si chinò; poi, senza vo- lerlo, volse in giro uno sguardo e, prima di ritirarsi nella sua cameruccia sopra la sacrestia, a dormire, tolse pulitamente, con due dita, la lierretta al morto, e se la filò zitto zitto.

Cirlinciò non se ne accorse. Ouando sentì chiudere e sprangar la porta della sacrestia, gli parve che la chiesa sprofondasse nel vuoto. Poi, nella tenebra, si avvivò a mala pena quel lumi- cino innanzi all'altare lontano; a poco a poco

quel barlume si allargò, si diffuse tenuissimo, intorno. Gli occhi di Cirlinciò cominciarono a intravedere a stento, in confuso (pialche cosa.

Allora egH, cauto, rattenendo il tìalo, si provo a u.scire dal nascondiglio.

Ma, contemporaneamente, altri due, che si erano nascosti in chiesa per lo stesso intento, si avanzavano cheti e chinali come Ini, e con le mani protese, verso il feretro, cì.i.scuno senza accorgersi dell'altro.

\ un tratto però tre gridi di terrore echeg- giarono nella chiesa buia.

Lizio Gallo, credendosi solo ormai, s'era levato a sedere sul cataletto, imprecando al sagrestano e tastandosi la testa nuda, A quei .gridi, urlò anche lui, spaventato:

Chi è là?

E, istintivamente, si ridistese sul cataletto.

Compare.... gemè una voce soffocata dall'angoscia.

Chi è?

Cirlinciò?

Quanti siamo?

Porco paese! sbulfò Li/io (iallo, but- tando per aria la coltrice e levandosi in pie<li. Per una berrettaccia di Padova! Quanti siete? Tre? Quattro? E voi, compare?

^^a come! balbettò Cirlinciò, appressan- dosi tutto tremante. Non siete mono?

Vorrei esserlo, per non vedere la vostra pidoccheria ! gli gridò il Gallo, indignato, sul muso. Come! non vi vergognate? Venire a spogliare un luorto, come quel mascalzone del sagrestano! Ebbene, non la ho più, vedete? se l'è presa ! E dire che l'avevo promessa ad uno dei portantini... Non si può più neanche morire in pace, al giorno d'oggi ! Speravo di farmi rimettere i debiti,.. Ma si! Quanti siete? In tre? Avreste la forza di tenere il segreto? No! E dumiue facciamola finita!

Li piantò li, allocchiti, intontiti come tre ceppi d'incudine, e andò a tempestar di calci e di pvigni la porta della sacrestia.

Ohe! ohe! Miiscalzone! Saj, restano ' Questi accorse, poco dopo, in mulande e in

camicia, con la lanterna in mano, tutto sconvolto. Lizio Gallo lo agguantò per il |x-tto.

Va a ripigliarmi subito la berretta, pezio di ladro!

Don Lizio! gridò quello, e fu per cadere in deliquio.

Il Gallo lo sostenne per la camicia che teneva all'errata.

La berretta, ti dico, sporcaccione! E vieni ad aprirmi la porta. Non faccio più il morto.

IL VENTAGLINO.

Il giardinetto pubblico, meschino, polveroso, in mezzo alla vasta piazza, tutt' intorno cinta da alte case giallicce, assopite nell'afa, avvampate nell'ab- bagliamento della luce, in quel torrido pomeriggio d'agosto, era cjuasi deserto, quando Tuta vi entrò, col bambino in braccio.

Su un sedile in ombra, un vecchietto magro, perduto in un abito grigio, lustro, d'alpagà, forse comprato di combinazione, teneva steso sul capo un fazzoletto bianco; sul fazzoletto, la paglia in- giallita; aveva le maniche rimboccate su i polsi e leggeva un giornale. Accanto a lui, su lo stesso sedile, un operajo disoccupato dormiva con la testa fra le braccia, appoggiato di traverso. Di tanto in tanto il vecchietto sospendeva la lettura e si voltava a osservare con una certa inquietu- dine il suo vicino, a cui stava per cadere dal capo il cappelluccio unto, roccioso. Evidentemente quel povero vecchio cominciava ad essere stufo di quel cappelluccio così in bilico chi sa da quanto tempo : avrebbe voluto ras.settarglielo sul capo o farglierlo cadere, alla fine. Sbuflava, e poi volgeva un'oc- chiata ai sedili intorno, chi sa gli avvenisse di scoprirne qualche altro in ombra. Ce n'era uno solo, poco discosto, ma vi stava seduta una vec- chia grassa, cenciosa, la quale, ogni qualvolta egli si volgeva a guardare, apriva la bocca sdentata a un formidabile sbadiglio. Tuta si appressò sorri- dente, pian piano ; si pose un dito su le labbra, poi prese adagio adagio il cappelluccio e lo ri- mise a posto, sul capo del dormente. Il vecchio la guardò, prima sorpreso, poi aggrondato.

Co' la bona grazia, signo', gli disse Tuta, ancor sorridente, da' 'n sordo a sta pòra crea- tura.

No ! borbottò il vecchietto, aspro, con stizza, e abbassò gli occhi sul giornale.

Tiramo a campii! .sospirò Tuta. Dio pruvede.

E andò a sedere di là, su l'altro sedile, accanto alla vecchia cenciosa, con la quale attaccò subilo discorso.

Aveva appena vent'anni ; era ba.ssotta, formosa, bianchissima di carnagione, coi capelli lucidi, neri, spartiti sul cajìo, stirati su la fronte e annodati in fitte treccioline dietro la nuca; aveva gli occhi astuti, brillanti, quasi aggressivi; il naso un po' storto, ma birichino, le labbra tumide, rosse come due ciliege. Narrava alla vecchia la sua sventura. Il marito...

Fin da principio la vecchia le rivolse uno sguardo, che poneva i patti della conversazione ; cioè: uno sfogo, si, era disposta a offrirglielo; ma ingannata, no, non voleva essere, ecco.

Marito vero?

Semo sposati co' la chiesa.

Ah, bè, co' la chiesa.

E ched'è? nun è marito?

No, fija : nun serve.

Come sarebbe a di'?

Lo sai, nun serve.

E si, difatti la vecchia aveva ragione. Non ser- viva. Da un pezzo, egli voleva liberarsene, e per questo ora la aveva mandata per forza a Roma, perchè cercasse di allogarsi come bàlia. Ella non voleva venire; capiva ch'era troppo tardi, poiché il bambino aveva già circa sette mesi. Era stata quindici giorni in casa d'un sensale, la cui moglie, vecchia strega, per rifarsi delle spese e per aver pagato l'alloggio, aveva osato alla fine di pro- porle...

Capischi ? A me !

Dalla « collera », le era andato addietro il latte. E ora non ne aveva più, neanche per la sua crea- tura. La moglie del sensale le aveva preso gli orecchini e s'era tenuto anche il fagottino, con cui ella era venuta dal paese. Da quella mattina era in mezzo alla strada.

Pe' davero, sa' !

Tornare al paese non poteva e non voleva : il marito non se la sarebbe ripresa. Che fare, in- tanto, con quel bambino che le legava le braccia ? Certo, non avrebbe trovato neppure da impiegarsi per serva.

La vecchia la ascoltava con diffidenza, perchè ella diceva quelle cose, come .se non ne fosse affatto disperata; anzi, ripetendo spesso quel suo: Pe' davero sa' ! sorrideva.

Di dove sei ? le domandò la vecchia.

De Core.

!•' restò un pezzo cogli occhi invagati, come se rivedesse col pensiero il suo paese lontano; poi si scosse, guardò il suo piccino e disse:

Dove lo lascio? Qua pe' tera? Pòro cocco mio .saporito !

Lo sollevò su le braccia e lo baciò forte forte più volle.

La vecchia di.sse :

L'hai fatto? Te lo piagni.

Io l'ho fatto? si rivoltò la giovane. Be', l'ho fatto e Dio m'ha castigato. Ma patisce puro, lui, povero innocente! E c'ha fatto lui? Va', Dio nun fa le cose giuste. E si nun le fa lui, figùrete noi. Tiramo a campa!

Mondo, mondo! sospirò la vecchia, le- vandosi in piedi a stento.

E 'n gran pena! aggiunse, scrollando il capo filosoficamente, un'altra vecchia asmatica, corpulenta, che passava di li, appoggiandosi a un bastoncino.

L'altra cavò fuori di tra i cenci un sacchetto che le pendeva dalla cintola, nascosto, e ne trasse un tozzo di pane.

Tiè, lo vuoi?

Si, Dio te lo paghi, s'aftVettò a rispon- derle Tuta. Me Io magno. Ce credi che so' digiuna da stamattina?

Ne fece due pezzi: uno, più grosso, per sé; cacciò l'altro fra gli esili ditini rosei del bimbo.

Pappa, Nino. Bono, sa'! 'Na sciccheria! Pappa, pappa...

La vecchia se ne andò, strascicando i i)iedi, insieme con l'altra dal bastoncino.

Il giardinetto s'era già un po' rianimato. Il custode annaffiava le piante. Ma neppure alle trombate d'acqua, ond'erano investiti, si vole- vano destare dal sogno in cui parevano assorti sogno d'una tristezza infinita ^ quei poveri alberi sorgenti dalle ajuole rade, fiorile di bucce, di gusci, di pezzetti di carta e riparate da stecchi e spuntoni qua e sconnessi o da un giro di roccia artificiale, in cui s'incavavano i sedili. Tuta si mise a guardare la vasca bassa, rotonda, che sorgeva in mezzo, la cui acqua verdastra dor- miva sotto un velo di polvere che si rompeva a quando a quando, al tonfo di qualche buccia lan- ciata dalla gente che sedeva attorno.

Già il sole stava per tramontare, e quasi tutti i sedili erano ormai in ombra. In uno li accanto venne a sedere una signora su i trent'anni, ve- stita di bianco; dai capelli rossi, come di rame, arruffati ; dal volto lentigginoso. Aveva con un ragazzo macilento, giallo come la cera, e guar- dava di qua e di là, impaziente, strizzando gli occhi miopi, come se aspettasse qualcuno ; intanto .spingeva il ragazzo a trovarsi più qualche com- pagno di giuoco. Ma il ragazzo non si moveva : teneva gli occhi fissi su Tuta che mangiava il pane. Anche Tuta guardava e osservava intenta la signora e quel ragazzo; a un tratto disse:

Lei, signo', co' la bona grazia, si tante vorte vi .servisse 'na donna pe' fa' er bucato, o a mezzo servizio... No? Embè!

Poi vedendo che il ragazzo malaticcio non staccava gli occhi da lei e non voleva cedere ai ripetuti inviti della madre, lo chiamò a .sé :

\'uoi vede er pupetto ? X'iello a vede, carino, vie'.

II ragazzo, spinto dalla madre, si accostò ; guardò un pezzo il bambino, con gli occhi inve- trati come quelli di un gatto fustigato ; poi gli strappò dalla manina il tozzo di pane. Il bam- bino sì mise a strillare.

No ! pòro pupo ! esclamò Tuta. J'ai

levato er pane? Piagne mo, vedi? Ha fame

D.àjene armeno un pezzetto

Alzò gli occhi per chiamare la madre del ra- gazzo, ma non la vide più sul sedile: parlava

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in fondo a.H'rettatamente, con un omaccione barbuto che la ascoltava con un curioso sorriso su le labbra, le mani dietro la schiena e il cap- pellaccio bianco buttato su la nuca. Il bambino intanto seguitava a strillare.

- Be', fece Tuta, -- te Io levo io un pezzetto.

Allora anche il ragazzo si mise a strillare. Accorse la madre, a cui Tuta, co' la bona grazia, spiegò ciò che era accaduto. Il ragazzo stringeva con le due mani al petto il tozzo di pane, senza volerlo cedere, neppure alle esortazioni della madre.

Lo vuoi davvero? V. te Io mangi, Ninni?

disse la signora rossa. Non mangia niente, sapete, niente : sono disperala I Magari lo voles.se davvero... Sarà un capriccio.... La.sciateglielo, per piacere.

Be', sì, volontieri fece Tuta. Tiello. cocco, magnalo tu...

Ma il ragazzo corse alla vasca e vi buttò il tozzo di pane.

Ai pescetti, eh Ninni ?... esclamò Tuta, ridendo. E sta pòra creatura mia ch'è digiuna... Nun ciò latte, nun ciò casa, nun ciò gnente... Pe' davero, sape, signo'... Gnente!

La signora aveva fretta di ritornare a quel- l'uomo che l'aspettava: trasse d.illa borsetta due soldi e li diede a Tuta.

Dio te lo paghi, le disse dietro questa.

Su, su, sta' bono, cocco mio : le compro la bobona, sa' ! Ciavemo fatto du" b.ijocchì cor pane de la vecchia. Zitto. Nino mìo ! Mo senio ricchi...

Il bimbo si quietò. Ella rimase, coi due soldi strettì in una mano, a guardar la gente che gi.^ popolava il giardinetto : ragazzi, bàlie, bambi- naie, .soldati, poveri vecchi, operai disoccupati. Era un gridìo continuo. Tra le ragazze che saltavano la corda, e i ragazzi che si rincorre- vano, e i bambini strillanti in br.iccio .ille b.Mie che chiaccheravano placidamente fra loro, e le bambinaie che facevano all'amore coi soldati o con gli operai, si aggiravano i venditori di lu- pini, di ciambelle o d'altre golene. Gli occhi di Tuta si accendevano talvolta odiosamente, tar.iltra le labbra le si aprivano a uno strano sorriso. Proprio nessuno voleva credere che ella non sapeva più come fare, dove andare ? Stentava .i crederlo lei stessa. Ma era proprio così. Era entrata là, in quel giardinetto, per cercarvi un po' d'ombra : vi si tratteneva da circa un'ora ; poteva rimanervi lino a sera; e poi ? dove passar la notte, con quella creatura in braccio? e il giorno dopo? e l'altro appresso? Non aveva nessuno, nemmeno al paese, tranne quell'uomo che non voleva più saperne di lei ; e, del resto, come tornarci ? Ma allora ? Nessuna via di scampo?

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Pensò a quella vecchia strega che le aveva tolto gli orecchini e il fagotto. Tornare da lei ? Il sangue le montò alla testa. Guardò il suo piccino che s'era addormentato.

Eh, Nino, ar fiume tult'e dua ? Così... Alzò appena le braccia, come per buttarlo. E

lei, appresso... Ma che, no ! Rialzò il capo e sorrise, guardando la gente che le passava innanzi. II sole era tramontato ; ma il caldo persisteva, so'locante. Tuta si sbottonò il busto sotto il niejito, rimboccò in dentro le due punte ; sco- prendo tutta la .^ola e un po' del petto bian- chissimo.

Caldo?

Se more !

Le stava davanti un vecchio con due Aenta- glini aperti in una mano e una cesta al braccio, piene d'altri ventaglini.

Du' bajocchi !

Vattene ! disse Tuta, dando una spallata. Che so' .' de carta ?

E di che lo vuoi ? de seta ?

Mbè, perchè no? fece ella, guardandolo con un sorriso di sfida ; poi schiuse la mano in cui teneva i due soldi, e aggiunse : Ciò questi du' bajocchi soli. Pe' 'n sordo me lo dai?

Il vecchio scosse il capo, dignitosamente.

Du' bajocchi. Manco pe' fallo!

Be' mannaggia a tene ! Dammelo. Moro de callo. Er pupo dorme... Tiramo a campa. Dio pruvede.

Gli diede i due soldi, prese il ventaglino e cominciò a farsi vento, vento, vento, ridendo e guardando, spavalda, con gli occhi lucenti, la gente che passava.

LUIGI PIRANDELLO

LA MORTA

EU'era calma, gli aliti si leni che pareva il suo .seno inunoto stare : e due lucide stille nei sereni occhi tremavan pur senza calare. Io sedeva al suo pie. Iva il pensiero perduto a riandar la scura traccia, dov'ella stava a capo del sentiero, dove la morte sola ora s'afTaccia. E dissi: « Forse anch'ella riaccende la vision de' giorni suoi remoti ? » Le memorie destavano vicende di risi e pianti ne' suoi occhi immoti. Stemmo a lungo cosi, muti, sognando. Da la chiusa finestra, nella notte fredda, mettea la luna un lume blando e da lunge salìan voci interrotte. Copersi la lucerna : una fragranza di pesco s'eflbndea dal caminetto: eran penembre nella bianca stanza e una luce di sogno era sul lelto. « Mi consiuno cosi, come un sarmento verde... Nessuno ammorza questo fuoco che mi divora... Lo sento, lo sento: non sarò più... non sarò più fra poco... Com'è triste dover sola morire ! » Disse e le sorridea la faccia smunta.

« Ma tu non parli, Nino... » Volli dire;

ma nel petto sentii come una punta

sorda che preme e non può penetrare...

Gemendo la baciai, si follemente,

che vidi la sua gola palpitare

e un singulto agitar le labbra spente.

Ella anelava a brevi aliti : « Sono

come in fornace... » Mi guardò con lieve

ansia, tremando: « Tu sei tanto buono...

io voglio un po' di neve, un po' di neve...

Ed uscii barcollando. Pareva ogni

cosa .sonunersa in un sopore lento.

Tutto inniiobil parca come nei sogni :

nube non era, suono, vento.

La neve su la terra avea candori

come di lini su letti infantili,

e gli alberi eran carichi di fiori,

e i cieli erano lucidi, .sottili,

fragili quasi. Ma dal bianco intenso

ove ogni cosa parca d'ombre priva

e d'ogni moto e d'ogni vita, un senso

d'oppressione in me, grave, saliva,

e come sacro. Certo nella pura

notte s'apriva al mondo un qualche austero

dramma... Mi assalse quasi una paura

di violare il pallido mistero...

Ella infranse coi tfenti il bianco frutto avidamente. Le labbra nel breve refrigerio tremavano : per tutto il viso si diffuse un roseo lieve... Poi stette, con le ciglia chiuse, come sopita. Io rimasi a contemplare. La faccia magra tra le nere chiome al baglior che venia dal focolare, per le fiamme inquiete e serpentine, sorgea nef lume e s'incavava d'ombra... Uscian da l'ombra forme repentine, o le creava la mia mente ingombra ? Tacito riaccesi la lucerna. Ella, chiuse le ciglia, non dormiva, ma pareva seguire alcuna interna \ision che sorgeva in lei viva, che le sue ciglia percettibilmente tremolavano. Poveri occhi belli ! Negli angoli oscillarono due lente l.igrime e cadder, gemme sui capelli. E mi guardò: « Di tutti i sogni miei, quali furono, disse, altro che sogni ? Cosi l'antico sogno che tessei su la tua culla vagheggiato in ogni giorno di tua pensosa puerizia... Bel sogno, schiuso- presso il focolare nostro ! Dio mi die' tanta letizia ch'io ti vedessi ascendere a l'altare...! O mio figlio maggior, più dolce figlio, in cui sentii l'anima mia trasfusa tutta, il Signor ti dia miglior consiglio di quelli audaci ond'hai la mente illusa ! E ti sfrondi l'orgoglio e ti riduca bambino come in quell'età fiorita ch'io ti fui buona guida; e ti condùca come un cieco a la cima della vita... » Tacque prostrata nell'abbattimento: poi soggiunse: « Ma tu non credi, tìglio! Lo so. Ancor mi dai questo tormento... >^ Io tacqui tuttavia mossi ciglio. Senti forse l'orribile tempesta che mosse in me la sua parola dura ? .Io volli urlare in folle impeto : « Questa fu de' miei giorni l'iniqua tortura: e invano consumai nella feroce' ricerca tutto il mio sangue vitale in traccia d'una luce, d'una voce che mi svelasse l'enigma mortale .. E il silenzio fu grave. Certo mai non nti darà la vita egual martire. Dissi a me stesso : « Meglio, meglio assai finir gli strazi, morire, morire ! » Ella attendeva. Mi guardò e pianse.

Io sentii come un soflio d'uragano.

Tutto quel ch'era saldo in me si franse...

E mi percosse il suono sovrumano

della voce di lei : a. Tu crederai

a me ? Tu crederai se qui verrò ?

Io come invaso da follia gridai :

« Vieni, mannna !... » Rispose ella: < Verrò. »

Ululali, singhiozzi e gemitìi, tali onde ancora è la mia testa ingombra, propaga vansi lugubri nell'ombra, quando mi cinser due tremule braccia e baciarmi con lagrime sentii calde, che mi correan tutta la faccia. Poi fummo tratti a le vicine case coi bambini. Guardavan.essi intenti: gli occhi sbarrati ed i visi sgomenti erano sotto il tenebroso impero. Noi lasciammo la rasa che- rimase custode taciturna del mistero. Tornai, più tardi, solo. Nella notte il ciel rosato sopra la montagna s'inteneriva; tutla la campagna sopita, chiusa nelle molli piume era tepida quasi. Lungi, frotte brune si dilungavano tra '1 lume. Suoni si dilungavano ondulando e cantilene ievissimamente. Esitando, s.ilii nella dolenti- casa, temendo rompere gli arcani silenzi. Stava il padre solo orando a pie del letto, il volto fra le mani. Non udì. M'appres.saì, calmo così che mi parea non esser più vivo. Ero come in un sogno: tion sentivo più le mie membra... Piano sollevai, piano, il leilzuolo ed ella con»paii. bella com'io non l'ho yeduta mai. Così bella...! Teneva fra le dita una corona, iii capo la pezzuola di chiesa, bianca e (juasi di viola fra «juel bianco parevano i cai>clli ; e gli occhi onde la luce era fuggita, -per sempre chiusi... Poveri occhi b. !1: ' Emanava da lei non so che molle fascino pieno di dolcezze ignote e di vaghe tristezze. Su le gote le ciglia ferme dentro la penombra allungavano come due corolle d'alcun misterioso fior dell'ombra.

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E mai non ero di guardarla stanco... Poi mi chinai e le baciai la mano, gli occhi, la bocca ed i capelli, piano, quasi aspettando, e senza meraviglia, che si destasse e quel suo viso bianco si tingesse e tremassero le ciglia.

Lungamente così la contemplai.

Invano i miei pensier tenui quali

in ciel d'agosto nubi mattinali...

Stava in ginocchio il padre ancora. Quando

ei mi guardò: « silenzio... >• gli accennai:

e ci sedemmo taciti, aspettando.

La Chioccia.

Sansone.

La cliioccia empiea di gridi la radura, che aveva scorto la vivanda ghiotta, e i pulcini correan avidi in frotta, quaud'ella vide in ciel la macchia scura.

Grifagno roteò su la pastura il falco e scese, l'ali chiuse, a rotta: ella aspettò, stridendo, irta, la lotta, sovra i pulcini muti di paura,

O ire generose! Ma ghermita rapidamente dentro l'ugne ladre ascende nel tranquillo azzurro e spare.

Guardano in alto le pupille ignare. Ed io che vidi ho l'anima smarrita: e ricordando gemo: « Madre, madre! »

Quando, tratto da l'opera tapina fu nell'oscena festa e nel tumulto, le occhiaie sanguinarono a l'insulto, fosche sotto la chioma leonina,

e sentendo le membra in repentina onda gonfiarsi d'un vigore occulto, le colonne abbracciò. Come un virgulto le infranse e tutto fu morte e ruina.

Anch'io, sospinto da un oscuro fondo a cjuesto folgorio d'orge nefande m'erigo su le mie membra calpeste,

ed uno smisurato impeto investe l'anima immensa che ha sognato un grande sogno. Morendo far crollare un mondo.

L'Edificio.

A KusioNuo De Amili:

L'opra da l'uom nei secoli costrutta sta dell'eccelso monte su la cima : vaste radici ha nella Terra e tutta la Terra a' piedi suoi vinta s'adima.

Nel ciel protese in atto di minaccia levansi torri tinte di sanguigno. Tutto è grande ed iniquo, e serba traccia d'uu'umana agonia ciascun macigno.

Sono, le bolge sotterranee piene d'antichi ossami : vittime recenti sognano, morte dentro le catene, i sogni che ne pur la morte ha spenti.

ed intacca il macigno a scaglia a scaglia, curve le schiene, attorti avidi, come Here su prede. Intricasi la maglia serpentina e s'avvinghia in colossali

contorcimenti come di pareti vulcaniche, cui l'ignea possanza urga, sommova, agiti d'inquieti palpiti. Su dai fianchi irti s'avanza

un'orda nuova e guadagna la cresta. Salgono corpi giovani con nòve ire a l'assalto sorridenti, dove li spinga morte, come ad una festa :

Ma, lenta, lungo le ferrigne mura come una pianta di tenaci braccia s'aggroviglia una folla ignuda, oscura che tutto' disperatamente allaccia,

e .scalano gli spalti mentre goccia su le lor fronti sangue da le sante membra paterne, c'or vedranno infrante ruinar balenando su la roccia.

Fumano i corpi ignudi. Il vasto incenso e l'angoscia che l'anime travaglia sorge dai corpi quale da un immenso rogo. Chi mai terribili, vi scaglia,

L'ultimo sol che annega dentro un cielo vermiglio, come in un sanguigno mare, sembra di lung«i tutto lo sfacelo come un enorme rog'i incendiare.

operai della morte, a la ruina ? Non san ; vennero, ignari a quali pugne, nel fòco interior che li trascina. Dolorosi combattono, con l'ubile

E mentre su la terra già le tarde ombre scendono dense di paura, nel silenzio universo la natura guarda muta il miracolo che arde.

coi denti e con l'inmiane odio. Li incita l'oscura possa, c'apre i monti e sferra i mari e muta e sconvolge la vita. È suddita di lei tutta la Terra.

E succedono atleti, prorom(>enli da la Terra, l'uo spirito inesausto li crea, li scaglia perchè s'alimenti di vittime l'eroico olocausto.

Geme l'umana carne sotto il vano sforzo. Ma la gran mole a tratti invade un brivido : a tratti qualche brano della gran mole si scoscende e cade.

Demolitori delle forme, vuole per voi l'eternitii mutar vicenda. Questa è l'opra del tempo, in fin che il sole grande sul capo all'uomo ultimo splenda.

Cade con esso nell'abisso un denso sciame di corpi. Fuor da le profonde caverne il rombo sale, ed un intenso da infranti petti rantolo risponde.

Che importa il poi.' La vostra opra compila un tempio sorge su la vetta sgombra. Non voi, non altri ucciderà la V'ita. L'Ombra la cova e la ringoi.! r<)mt>ra.

GIOVANNI CENA

F. O. L.

Fermo in Posta - TORINO.

(Novella comica).

Mi è permesso dire che in quella dolce età dai poeti chiamata primavera della vita, noi tutti, maschi e femmine, più quelli forse che non queste, è generalmente alquanto sciocchini? Non credo dir cosa nuova, no, come pure non mi è neces- sario sprecar parole a persu.^dere i buoni amici ch'io non facevo eccezione alla regola, anzi! Tanto è vero, che in vedere a me d'intorno fer- vere una vita gaia di peccatucci d'amore e di peccatacci contro ogni regola più elementare del viver sano o almeno almeno sensato; vita beata- mente animalesca vissuta dai miei compagni, al par di me poveri d'anni e ricchi d'illusioni, di speranze e di pruriti, mi dissi un giorno: « Amico mìo, vuoi far lume? Ti piacela bella parte dello spettatore pubblicamente passivo e viceversa ?

Fatti l'aniorosa, grullone ; ce Ih-iMmi tutu, non . vedi J E dev'essere un gusto, sai, accompagnarsi con un bel fior di ragazza briosa e om tanto di cuore del quale tu saresti l'unico proprict.irio; o pure, in mancanza di meglio, iniziare in vi.i epistolaria un lamentoso scambio di sospiri con una signorina couie si dffe... Spicciati, aniic-omio: non ricordi che l'altro ieri le due sartine di n»«- dama Protasi ti domandarono, scherzando, se avevi l'amorosa, e che alla tua risposta negativa risero tanto da lasciarti scemo e canzonato ? Non ricordi .' »

Questo ragionamento, che io stessii avevo fatto al mio io cosciente e consenziantc. non faceva una grinza, è certo ; ed in quanto a ricordare la famosa domanda delle due spietate sartine, ahi.

la ricordavo fili troppo! Ed ^nclie ricordavo be- nissimo come in quel momento negli occhi della più giovane si era manifesto,,insieme con il riso, uno strano brillar di desiderii inconsci!, provo- catori, che mi aveva turbato e quasi fatto perdere il lume della ragione.

Scegliere una di quelle due per amorosa ? Avrei ben voluto avere il coraggio di tentar la prova ; ma che sgomento mi prendeva al solo pensiero di rivederle, cosi belle e frizzanti di brio e cru- delmente motteggiatrici ! E poi, non so, ma in fondo all'anima sentivo una pena ansiosa fatta di timidezza e di malinconia, onde le ragazze di madama Protasi io le vedevo troppo lontane da me, e le intuivo nemiche beffarde di quei senti- menti delicati che in certi istanti mi facevano, come un gufo, odiare la luce e i rumori.

Bisognava cercare altrove.

Per esempio : c'era lo/a Eufemia, la figlia del- l'accordatore di pianoforti ; una brunottìna smilza, pallida, con due occhioni da madonna addolorata, un nasino a gancio ed un par di labbra esangui create apposta per i sospiri; È ben vero che da (]uando ella aveva smesso le gonne corte io non le frullavo più in casa a sonare la donna è mo- bile sui pianoforti disoccupati, ma avevo tuttavia la buona ventura d'incontrarla sovente per le scale; quindi non mi sarebbe mancata la neces- saria occasione propizia. . .

Ma... c'era un ma ! La signorina Eufemia allie- tava de' suoi favori un grosso merlo, disperazione del vicinato; e siccome questo suo commovente affetto per l'alato Alfredo cosi lei lo chiamava la rendeva alquanto ridicola, pensai bene di non lasciarmi tentare a dividere, con il troppo canoro uccello, il buon cuore della sua padroncina.

Nel casone alveare dove abitavo ronzava uno sciame di servette allegre, giovani creature ignare del domani, che venivano, restavano e scompa- rivano a capriccio dei padroni ; e ben avrei pò- tulo scegliere p£r amorosa una di queste, o la bionda cameriera di casa Frejus o la brunacuoca giunonica del- dottor berretta... Ma farmi vedere in giro con una serva, mentre i miei amici si pavoneggiavano con signorine di casato, con brave lolr di famiglia, o almeno almeno con sar- tine graziosarnente eleganti, ohibò! Più tosto... più tosto che cosa, eh? Comunque, giunto il mo- mento propizio avrei forse osato dichiararmi anche soltanto con un sorriso ? .

Un anno prima, che in pieno inverno m'em scottato il cuore per la figlia del portinaio, non avevo forse avuto il coraggio di recarmi ad aspet- tarla, per chi sa quante sere di seguito, sotto il portone di casa con un freddo cane che le ore mi parevan secoli, per vederihela passare sui piedi dopo aver salutato colui che sempre l'accompa- gnava a casa, e nient' altro? Mentre ogni sera

avevo pronto in tasca il mazzolino di mammole che avrei dovuto offrirle...

No, no: di consigli avevo bisogno; degli am- maestramenti di qualcuno cui non facesse difetto l'esperienza... e pensai all'amico Cirillo Irsuti, soprannominato Seneca.

Era questi un bravo pittore di miniature, un diavolaccio nero barbuto, alto che non finiva mai, con un par di braccia inverosimilmente lunghe, alla estremità delle quali due mani poderose si agitavano senza tregua a rotolar sigarette ed a trinciare gesti energici che parevano maledetti .scapaccioni ad invisibili suoi nemici.

Questo bel mobile mi voleva bene, mi trattava meglio e mi cercava sovente perchè allora però non me ne accorgevo perchè con la scusa di essermi amico poteva far l'asino a mia sorella, una santacchiona maliziosa che se la rideva poi con le compagne ; tanto per la cronaca ; e per ritornare a. noi, non è a dirsi come il pensiero di confidarmi con l'amico Seneca tutto mi avesse consolato.

Lui si che se ne intendeva di donne! Di av- venture amorose toccategli me ne aveva narrate, e di quelle verainente deliziose. Non faceva per dire, lui, che le eran confidenze fatte a me solo, ma aveva avuto intrighi con signore alto locate, marchese, contesse... e zitti veh ! ch^ neanche- l'aria doveva saperlo.

Sceltomi un tal consigliere, impaziente di cer- care, di fare e di provare, non mi fermai a gin- gilli, e quel giorno stes.so, uno splendido pome- riggio d'aprile gaio d'un sole cht^ doveva non dovere illanguidire tramontare mai, salii le scale del casone-alveare per recarmi fin .sotto ai tetti nell'ampio studio dell'amico Seneca.

Lo sorpresi che si esercitava a fare il facchino alzando a braccia tese un paio di 'enormi nia- nubrii, quattro spaventose palle da cannone, e perplesso mi fermai sulla soglia ad aspettare che dolcemente avesse posato sul pavimento que' suoi igienici strumenti di forza e di salute dei (juali avevo im sacro orrore.

Sei tu, Gigi ? mi disse facendomi entrare é cliiudendo la porta. Come hai visto facevo le forze; aver buoni muscoli è precauzione indi- spensabile quando da un momento all'altro si può incontrar cattive sorprese da parte di certi mariti gelosi e brutali... va là, so io tjuel che mi dico!

Ma perchè ti ostini a fare all'amore con quelle maritate?

L'amico Seneca mi guardò con molta commi- serazione, tacendo, come quegli che a certe do- mande puerili sdegna rispoinlere ; poi, dopo un istante mi fece un lungo discorso narrandomi del mao e del babao per chiedermi se mia sorella non parlava mai di lui ; in fine mi mostrò certe de-

licate miniature le quali, non so per ciie miracolo, eran proprio uscite da quelle sue manaccie scabre e pulose.

Mi urgeva indurlo a riparlar di di>nne, ma non sapevo come principiare... Egli intanto zufolava parodiando il merlo di tota Eufemia, andando e \-enendo nello studio il cui tavolato gemeva e scricchiolava sotto le zampate dell'artista-atleta.

Che il diavolo mi porti se ricordo ancora dove ho messo quell'abbozzo! gridò ad un tratto con un vivo gesto di contrarietà, ferman- dosi. — E pure lo avevo lasciato qui, sopra questa mensola.. Un bel nudino fresco e morbido, sai ? Ieri è venuta la Gina, a posare.

Il pensiero di quella ragazza che veniva a .spo- gliarsi lì, in quello studio, davanti al mio amico, mi diede nn piccolo tuflo nel sangue e mi colori le gote.

Com'è bella quella tua Gina! esclamai con fervore.

Bah! una modella qualunque, come ve n'ha tante. C'è ben altro, qui, e che grazia del buon Dio! Guarda... e rimosso un cartone mi fé' vedere una sua miniatura, un ritrattino di donna bellissima scollata a metà seno, con le braccia nude ; un giunonico tipo di bionda procace. Cosa ne dici? Ti piacerebbe, eh, mariuolo, veder da vicino una così bella creatura !

Ed è venuta qui?

Certamente: e si è seduta lì, proprio su quella sedia, dopo aver spogliata la camicetta da passeggio per vestire quella specie di copribusto di velluto paonazzo, che le vedi nel ritratto.

E...

Avrei votuto domandargli se aveva provato pia- cere a starle vicino, a guardarla, ma non osai. L'amico Seneca parve leggermi la domanda negli occhi, poiché riprese:

Però, Gigi mio, quando lavoro non c'è moina o vezzo di donna che mi tenti ; purtuttavia dinanzi a quei tesori li, vedi... ma non ho mica fatto lo scemo, ohibò ! Le donne le conosco, io ! E sempre, quando le ho come le ho sotto gli occhi, fingo di non vedere le loro bellezze, di non accor- germi dei loro vezzi ; anzi, se mi si mostrano pro- vocanti io sorrido con estrema noncuranza o con ironia, anche se il sangue mi frulla più lesto nelle vene... Così le conquisto.

Con questa, adunque...

Sorrise con molta degnazione, e con fare an- noiato mi rispose :

Con questa ? Come con le altre.

Lo invidiai un istante, ammirandolo, e ripresi :

Io, invece...

O lo so ; tu sei un buono a niente; te l'ho già detto altre volte, mi pare ; e che a diciotto anni, con ([uel tanto di barba che ti cresce pre- coce e che tu ti ostini a farti radere, dovresti

pure avere la tua brava amorosa! Ma già, quando si nasce timidi...

È vero, sono sempre stato alquanto timido, con le donne specialmente... Ma di' tu: cosa dovrei fare per non esserlo? Per farmi, insomma... un'amante? Mi consigli?

Seneca si piantò sodo sulle gambe aperte, si lisciò la barba e sorridendo paternamente mi rispose :

Vediamo, vediamo : che cosa hai fatto finora? Non ti sei mai dichiarato con nessuna? E lettere incendiarie ne hai scritte? A chi? Ti risposero ?

Niente di tutto questo... cioè scrissi una volta alla figlia del portinaio, ma non mi rispose... Poi volevo scrivere a Iota Eufemia...

Lasciala con il suo merlo !

E appunto l'ho lasciata. Vi sarebbero le altre della casa, le serve, le sartine di madama Protasi, ma...

Uhm ! Roba scadente, tinte sbiadite...

O allora dove devo cercarla ?

Sta sano ch'io te la metto in tasca! Donne, caro mio, se ne trova da per tutto, e non dico di quelle tali, sai ? Ma di veramente oneste, che l'onestà vera in una donna consiste nel la.sciarci tranquillo il borsellino. .Ma senti : tu vai per via, non è vero? E davanti a te, sul marciapiedi, cam- mina una ragazza, una signorina, o magari una signorona, se vuoi. Ebbene : tu cominci con un leggerissimo /i'J.r/ ^.fi/, e questa subito finge d'in- teressarsi alle chiazze di un muro qualunque pur di volgere un tantino il capo a posteriori... Buon segno, questo. Tu acceleri il passo, e più vicino: « Bella figurina, quanto ben fatta! Come sarei felice di fare la sua conoscenza e se a queste baggianate la più o meno bella creatura si volta e sorride, il colpo è fatto.

Che colpo? .Ma dopo quel sorriso, che cosa faccio, io?

Te le metti ai panni, al fianco, e le offri la tua compagnia, con bei modi garbati, e le parli della immensa felicità che provi per avere tu. final- mente, trovato il tuo ideale...

... in mezzo alla strada...

E perchè no? L'ideale è un illusi re ignoto senza patria e senza tetto: lo si trova in ogni luogo e non lo si afferra mai ; ma ciò non conta : le donne non .solo bisogna adularle senza misura, ma con esse necessario, iiulispensabile, usar bugie senza misericordia.

Ho capito ; e poi ?

E poi ? ! Fatta la conoscenza ci si rivede, ci si scrive fermo in posta, e quindi .il tunio dei con- vegni, e avanti : l'amoros;» ce l'hai e diventi final- mente un uomo.

Sarebbe una gran bella cosa... E di', se l'ideale, ai miei primi A"' /"' ■"'' ^''''** '^ "" ^ dello stupido?

Tu sorrìdi beato.

Non sarebbe difficile... ma io, scusami, sento che non oserò mai fare alcun /«//w/ a nessuna donna...

Oh Dio ! E allora perchè sei venuto a farmi sprecare il ranno ed il sapone?

Ma non vi sono proprio altre vie di uscita, caro Seneca? Per esempio: scelta una tale che mi piaccia non potrei prima scriverle una lettera con fiori secchi, e mandarle poi cartoline illustrate? E... tanto per cominciare... non mi spiacerebbe la tua Gina, sai? la modella...

Stai fresco; quella ti mangia fin la camicia. Eh, mio caro Gigi, se, per caso... s'interruppe di botto lisciandosi freneticamente la barba, quindi come inspirato e strizzando gli occhi riprese: Zitto : ecco che m'arriva calda calda una gran bella idea: l'amorosa te la cercheremo per gior- nale. ""

Per giornale?

Sicuro : un richiamo in settima pagina nel giornale mondano « // Bidet della Marchesa », e vedrai.

Mentre io, nella beatitudine melensa de' miei diciotto anni non ne capiva un jota e con tanto d'occhi guardavo l'amico Seneca, questi, sedutosi ad un tavolino, scritte tre o quattro righe su d'un foglietto, me le porse ed io lessi :

« Giovine signore elegante, colto, affettuoso, de- « sidera far conoscenza epistolare prima, personale « poi, con bella signora o signorina. Scrìvere alle « iniziali F. O. L., 21, fermo in posta ; Torino ».

Eh? Cosa ne dici?

Ma c'è chi risponde a simili richiami?

E come ! Un monte di lettere, e tu non avrai altro fastidio se non quello della scelta. La gri- dina non è che di ventotto parole: con due lire e ottanta centesimi metterai in subbuglio lo scrit- toio di almeno venti signore e signorine.

Io palpitavo in un'ansietà ingenua che pro- fanazione! — aveva un fondo di cara tenerezza, e già vedevo giungere le lettere profumate, e già immaginavo, nella suggestiva intimità dei loro salotti, le venti signore e signorine, tutte belle, che dopo avermi scritto, ansiose esse pure, aspet- tavano la mia prosa ; se osassi, quasi direi che già le amavo tutte...

Riscritto il richiamo, mandatolo al giornale, sa- lutato e ringraziato l'amico Seneca, scesi a casa mia che mi pareva, non so come, di essere di- ventato qualche cosa tra l'uomo celebre ed il fur- fante ; e non mai prima mi ero trovato in impaccio dinanzi ai miei simili come tosto mi sorpresi, quasi ognuno avesse potuto leggermi negli occhi le erotiche speranze che nascondevo in cuore.

Fantasticai più in quella eterna settimana di aspettazione, ch'io non abbia fantasticato poi, dopo il mio legale accoppiamento, in continui

piani strategici per trovare i mezzi ed i bezzi atti al decoroso sbarcamento del feroce lunario.

Giunto il giorno della pubblicazione ebbi ancora la pazienza di aspettarne altre cinque, come già mi aveva consigliato Seneca, e finalmente mi recai alla posta.

Il cuore mi sonava a stormo quando dinanzi ad uno sportello, dopo avere pestato i calli ad una ragazza allegra che mi disse: « Guarda 'ndòa ch'it bute le piote, gamel ! », con voce flebile bal- bettai le iniziali F. O. L., ed il numero 21.

Dal buco della lettera F uscì un grosso mazzo di lettere, ed olimpicamente l'impiegato me ne snocciolò trenta, una più una meno, di tutte le forme, di tutti i colori, per due delle quali pagai i segnatasse; poi, rosso che mi sentivo le gote ardenti, presi le lettere con tanto impaccio e con mani cosi malferme, che certo gli altri spor- tellantì mi avran creduto un ladro; quindi me ne andai che nemmanco più toccavo terra, con il mio tesoro in una tasca buia della giubba, proprio sul cuore, giungendo poco dopo, trafelato, ansante, nello studio di Seneca, non senza essermi più volte volto nella tema di essere codiato.

Benissimo ! gridò Seneca, buttando via un ignobile mezzo toscano e pigliandomi tutta quella corrispondenza che senz'altro gli offersi intatta. Che bella messe, eh, mio caro Gigi? Non è stata una bella idea la mia? Ce n'é per tutt'e due, qui, e fin troppe. Vediamo, vediamo. E tosto, sedutici a tavolino, ne cominciammo la originale e stupefaciente lettura.

A me, ignaro, timido, con un cuore tanto fatto e la mente esaltata dai più fervidi sogni amorosi, quella strana prosa così varia e diversa di donne sconosciute, quei profumi sottili, peccaminosi, che venivano dai foglietti bianchi o rosei, quelle zam- pette di mosca, quei ghirigori, quei nomi dolci, poetici, quei misteriosi pseudonimi e quegl'indi- rizzi promettenti, a me diedero le vertigini; e via via che leggevo mi sembrava di entrare finalmente in un eden non mai sognato, in un mondo di sogni, di promesse e di speranze; e neanche più ascoltavo il vocione di Seneca il quale, pronto ai motteggi, ai commenti ed alle considerazioni sar- casticamente puerili, faceva, come diceva lui, due parti giuste delle lettere : la migliore per sé, l'altra per me.

Con quanto entusiasmo risposi a tutt'e quindici quelle creature che certamente dovevano essere tutte belle e buone ; con quanta foga, appagando la mia incipiente mania di grafomane, distillai in quindici lettere tutte le corbellerie erotico-senti- mentali che mi sgocciolavano ardenti dal cerebro in combustione ! Con quanta tenerezza versai la- crime, mugolai sospiri, scrissi narrando la infe- licità della mia povera vita senza ideali e senza amore! Ma finalmente prorompevo ginn-

gevano a me i raggi di luce, le promesse di beati- tudine, ed io, fidando nel mio destino, aspettavo una parola di vita o di morte : la felicità o la dan- nazione eterna !

Non so per quante ore quel giorno io e Seneca abbiamo scritto; infine, suggellate le trenta mis- sive, sulle cui soprascritte, ohimè, dovetti appic- cicare altrettanti fi-ancobolli pagandoli io, corsi ad impostarle, e quindi in fretta a casa, che già due ore erano sonate da quella del pranzo.

Che giorni, quelli ! Non avevo più testa a niente; i miei libri dormivano meglio di prima, ed ero diventato pensieroso, taciturno, come se mi fos- sero minacciate le più orrende sciagure di questa allegra lacrymarum valle.

Mio babbo, vedendo che l'appetito non mi serviva più un fico secco, a tavola esclamava :

Che cosa ha quel macaco che non mangia più le sue dieci pagnotte al giorno?

E mia sorella, ridendo, con la forchetta per aria e la bocca piena :

Eh, sarà innamorato! rispondeva guar- dandomi con occhi interrogatori e curiosi, nei quali a me pareva leggere un principio d'in- vidia.

Io ficcavo il naso nel tondo, mi facevo rosso fin sulle orecchie, e mi consolavo al pensiero che presto sarebbero giunte altre lettere.

E giunsero... ma soltanto quattro risposero ancora; infine anche tre di queste più non si fe- cero vive, ed una sola mi restò fedele, alla quale mi attaccai con pertinacia disperata, scrivendole perfino due o tre lettere al giorno, con un cre- scendo di passione inverosimile, eccitato anche dalle risposte ardenti che mi venivano; squarci di prosa sgrammaticata, sì, ma eloquente e nimu- ziosamente descrittiva più di quanto non avrei avuto bisogno io per abbandonarmi ad un'ado- razione solitaria che via via mi faceva diventar sottilino, magrolino, cretino...

Perchè, già, lei non voleva ancora farsi cono- scere... Eh, se si era risoluta a scrivermi, a spe- rare in me, a credere di potere infine incontrarsi nel suo ideale, e se per conseguire questo nobile scopo si era servita del mezzo volgare di rispon- dere ad un richiamo di giornale ciò non voleva dire ch'ella fosse una qualunque, no... Conside- razioni di natura intima, riguardi delicati di famiglia la obbligavano a prudenza... e giù let- terone che pesavano un accidente e per le quali, beato, pagavo sovente la sopratassa...

Me n'aveva scritte, di lei, per tutti i gusti: eli 'era così e cosi, magra grassa, bella brutta, non più bambina ma tanto simpaticona, veh! E conosceva tutti i modi e stramodi per farsi amare : e quando lei amava, Dio guardi era una caldaia ad alta pressione, un motore a cor- rente continua... Mandarmi la sua fotografia.' .\h

23 no ! Al momento propizio, quando ol saremmo visti per la prima volta, la sorpresa sarebbe stata molto più bella, più cara... Ero io, invece, che dovevo mandarle il ritratto!

E glie lo mandai, e la cortesia mi valse in premio una entusiastica letterona di sedici pa- gine formato protocollo, per la quale pagai doppia sopratassa.

Nel pensiero m'ero creata la imagine di lei : una bruna ardente, alta, rotondetta, con occhi neri vivacissimi ; e la vedevo ne' miei sogni, nei quadri, nelle incisioni dei giornali, sulle scatole dei cerini, di notte e di giorno; su tutti i pezzi di carta bianca che mi capitavano sottomano scrivendo il nome suo dolcissimo di Eliodora, e perfino a mia sorella avevo domandato se g^iudi- cava musicale e poetico un tal nome.

Un bel giorno, finalmente, mi feci coraggio ed alla mia Eliodora scrissi che era omai tempo che ella si facesse conoscere personalmente ; ch'io non ne potevo proprio più dal desiderio di vederla, di porgerle de visti i miei omaggi e di baciarle le mani... Non era questo il mio, il nostro sogno? E lei mi rispose dandomi finalmente convegno.

Si, ella sarebbe venuta il giorno dopo, lunedi della Pentecoste, nel tal punto preciso, cosi e cosi, al Valentino, e, come segno convenuto per riconoscerla io lei mi avrebbe subito ricono- sciuto, che già aveva il mio ritratto ella avrebbe tenuto, nella mano sinistra, insieme con l'om- brellino chiuso un giornale spiegato, e nella destra un mazzetto di fiori bianchi.

Per una volta tanto non dissi nulla a Seneca; ad ogni modo credo che anche lui fosse occu- patissimo a scrivere ogni giorno chi sa quante missive, poiché da forse un mese quasi più non lo vedevo.

E giunse il giorno lacrimando, quel giorno fa- tale che conta fra gli indimenticabili di mia vita: una giornata calda di sole, un'allegria di vita sana, gioconda; un fiorire delizioso di primavera, e nel sangue mi correvano tutte le gioie e tutti i pruriti dell'universo.

Con l'impaccio di mia sorella che sempre mi scrutava di soppiatto canzonandomi quando po- teva ; con la tema che mio babbo da un momeuto all'altro, me assente, andasse in camera mia a perquisirla ed a trovare tutto quel fenomenale epistolario amoroso, io non potevo agir libero, così che in quel giorno, per azziniarmi e lisciarmi a festa dovetti inventare tutta una storia d'inviti e di ricevimenti dati da un profes-sore.

Attillato e profumato, con una cravatta verde nuova di vetrina, con i polsini che m'uscivano d'un palmo dalle maniche ed un solino che mi tagliava le orecchie; con la paglietta alla sgherra, un giunco in mano ed un garofano all'occhiello, impettito e sp;u'aIdo uscii da casa che ancora

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non erano sonate le quattordici... ed il convegno era per le diciotto.

Ma dovevo ancora passare dal barbiere : la mia barba precoce, molto fitta, non aveva più visto il rasoio da un par di settimane, e mi nereggiava sul mento e sulle gote, per tutto l'oro del mondo mi sarei presentato così alla mia diletta Eliodora ; arrzi, per farmi radere la barba avevo appunto aspettato quel giorno, quelle ultime ore, per uscire fresco e finito e degno, dalle mani del barbiere.

Ma che diavolo era quella striscietta di carta rossa appiccicata sulle imposte del mio barbiere? Ah ! « Chiuso per festa professional » proprio cosi ! Ed in quel giorno in quel giorno! Ma avrei ben potuto trovarne un altro aperto, non è vero? E avanti di corsa, per vie, per piazze, come un di- sperato... e niente barbierie ; tutte chiuse ed i car- tellini « Chiuso per festa professionale » tutti eguali, tutti stampati su carta rossa, come una barbara congiura.

Cosa fare adesso che mi capitava una cosi tremenda disgrazia? Andare egualmente al con- vegno e presentarmi .con quei miei peli ispidi alla dolce Eliodora? Mai, mai... più tosto sarei corso da Seneca, a pregarlo di sbarbarmi...

Ma non ebbi il coraggio, no ; il rasoio in quelle manaccie pelose mi faceva paura... e correvo, correvo sempre come un dannato, già madido di sudore, che la giornata era caldissima, cer- cando un figaro qualunque, guardando a tratti le ore, e già mi disperavo sul serio quando una idea luminosa mi balenò ad un tratto nel pen- siero.

Entrai sotto il portone di una casa che fra le sue botteghe aveva la felicità di possederne una da barbiere, naturalmente chiusa; diedi un par di pugni in un usciuolo a vetri, ed alla porti- naia balzata sulla soglia a chiedermi chi cercavo domandai se il barbitonsore abitava in quella casa.

Sì; scala nella corte, (juinto piano, terzo uscio a destra.

Ringraziai, e via lesto su per le scale giunsi a quel terzo uscio benedetto sul quale era scritto : «.Innocenza Raviolo, Pettinatrice »; picchiai, m'impazientii, stavo per iscaraventare una doz- zina di moccoli quando l'uscio fu aperto e sulla soglia comparve una biondona in sottanino bianco, in camiciola scollata, le braccia nude, due occhi vivi, una bocca ridente, rossa, un sorriso inter- rogatore ed incantatore che mi avrebbe fatto balbettare come imo scemo se in quel momento stesso un rabbioso cucciolo danese, grosso e sgarbato, non mi fosse balzato fra le gambe, ululando, a provare i suoi primi denti in fondo ai miei calzoni. ~ Alla cuccia, Doro, via!... e la biondona

sferrò un benedetto calcio al botolo, che guai, rotolò, e riscappò in casa; poi, voltasi a me:

Il signore desidera ?

Cercavo un barbiere... vorrei farmi radere la barba... tutte le barbierìe sono chiuse, e la portinaia mi ha mandato qui... capirà, ho un in- vito, ho fretta...

Mio fratello non c'è: mi rincresce tanto...

Che disdetta! Potrebbe lei, almeno, darmi l'indirizzo di un qualche altro barbiere?

Nel mio volto rimminchionito quella cara crea- tura dovette leggere un ben vivo dolore, se n'ebbe compassione e mi rispose :

Senta: qualche volta, quando al .sabato sera c'è furia d'avventori, scendo in bottega ad aiutare mio fratello... Se lei vuole, finisco di pettinare una signora e la servo.

Sentii un gran rimescolio nel sangue, entrai, la giovane richiuse l'uscio, mi invitò a sedere, mi sorrise ancora una volta pregandomi di aspet- tare, ed entrò in una seconda stanzetta lasciando l'uscio di questa socchiuso.

Dopo un istante, fatto l'inventario dei mobili e dei quadri, guardate le ore tre o quattro volte, cominciai ad impazientirmi, mentre quasi .senza volere ascoltavo il vocione della signora che nel- l'altra camera si faceva pettinare.

Si diceva sento che questa è una delle mie giornate. Eh, eh, non perdo tempo, io, e con gli uomini vado subito a fondo. E non per vantarmi, sa; che se volessi narrare di certe conquiste amorose, lei ne rimarrebbe stupita!

E l'altra, la pettinatrice, con la sua vocetta cristallina che mi pareva sottilmente ironica:

Fortunata madama ! Io, invece, non trovo un cane che mi guardi ; forse sono troppo timida...

-- O certo che la timidezza guasta molte cose... io, già, non mi fermo ai sospiri, ma vado subito a fondo, a fondo.

Curioso, lasciai la mia scranna, e quatto quatto, avvicinatomi all'uscio .socchiuso, guardai nell'altra stanzetta.

Seduto dinanzi ad un tavolino, tutto chiuso in un lungo accappatoio bianco, stava un donnone di cui vidi subito, riflesso nello specchio, il volto grasso, piatto, rubicondo; un nasone cremisino, due occliietti semichiusi e tre menti cicciosi dei quali non si capiva quale fosse il vero.

Ed era costei, buon Dio, che parlava di an- dare a fondo con gli uomini... .\lla larga! E mentre il donnone continuava la propria apo- logia spiegando in qual modo essa amava i si- gnori uomini e quali, in proposito, erano le sue attitudini speciali e le sue tendenze irresistibili, io gioivo guardando la bella pettinatrice, quelle sue braccia rosee, quella sua nuca bianca sotto l'ombra dei riccioli biondi, e palpitando està-

siato pensavo che fra brevi istanti quella crea- tura mi avrebbe sbarbato!

La ragazza ora pareva affrettarsi; già aveva riacconciate, sul cranio qua e pelato della sua cliente, alcune treccie morte pigliandole da sopra il tavolino, e poi si era pronta ad arric- ciarle i capelli sulla fronte e sulla nuca, quando io prudentemente lasciai quell'uscio ritraendomi ad una finestra dalla quale si contei.iplava un 'ampia distesa di tetti e di comignoli.

Dopo alcuni minuti capii che la cuticagna della cliente era all'ordine; poscia la udii, accompa- gnata dalla giovane, passare dietro a me che continuavo ad animi-rare il panorama dei tetti, e quindi ad uscire dopo aver bofonchiato altre corbellerie e gridato cinque o sei cerea.

Se Dio vuole se n'è andata mi disse la bella pettinatrice, ridendo, nientr'io mi voltavo a' suoi comandi... cioè per farmi servire. Ed anch'io passai in quella stanzetta, sedetti al ta- volino, di fronte a quello specchio nel quale mi pareva ancora di veder riflesso il frontispizio di quella signora rotondissima che con gli uomini voleva sempre e subito andare a fondo.

La ragazza, svelta, aggraziata, preparò il ra- soio, mi pregò di togliermi il solino e la cravatta, che cosi mi avrebbe lavorato senza impacci, e poi. dopo avermi incravattato entro un candido tovagliolo, preso un ciotolino d'acqua ed il pen- nello cominciò ad insaponarmi il mento e le gote, dolcemente, carezzosamente, chinandosi sopra di me che dalla scollatura della camiciola... Ma bocca chiusa, ehi!... Certe cose è meglio dimen- ticarle... Dirò invece che in quei momenti per me la vaga Eliodora era bell'e morta e sepolta, le sue lettere memorie lontane, ed al suo con- vegno non pensavo più... e adesso, mentre la bella barbitonsora mi radeva, stirando con le sue morbide dita la pelle fatta liscia delle mie gote, sfiorandomi il volto con il suo alito sano, guar- dandomi con quei suoi occhioni maliziosamente birichini, io, in paradiso, con il cuore che pareva lavorare a cottimo e gli occhi semichiusi, medi- tavo una folle dichiarazione amorosa, e già pen- savo, non appena sb.Trbato, di buttarmi ai ginocchi della ragazza svelando la fiamma che d'improv- viso era divampata nella mia anima; e già, a non perder tempo, ero per incoraggiarmi a metter fuori qualche prima parola, quando quel male- detto cucciolo ilanese, risortito da chi sa dove s'era ingusciato poco prima, mi diede un tale urto nelle gambe con relativo strappo ai calzoni che per poco, toltomi l'equilibrio, non mi mandò ruzzoloni sotto al tavolino.

Maledetto Doro ! gridò la ragazza ricac- ciandolo. — Mio fratello, già,. non ne azzecca una giusta : se non ha qualche bestia in casa non è lui. Adesso gli hanno regalato questo ca-

gnaccio che è uno spavento vederlo cregcere e mangiare I e si chinò a lavarmi il mento met- tendomi il catino sotto il muso ed il resto sotto gli occhi, mentre io gorgogliavo:

Eh già... le bestie... già, già... sono sempr * bestie...

K sa chi fu a regalarci quel bestione.^ Proprio quella signora che se n'è andau un momento fa : una certa madagia Spingarda che abita qua sotto al terzo piano. Un bel tipo, eTi, l'ha vista? .Non saprei dove prendere la eguale per farne il paio. (Juanto ridere ne facciamo io e mio fratello! A sentirla, tutti i giovinotti le corron dietro, e lei tutti li strega, nientemeno. Invece, che Iddio glie la mandi buona, si fa mangiare fin l'anima da quanti scalzacani sanno farle vedere la luna nel pozzo... Ma ecco che abbiamo finito... Ancora un colpo di ferri? Alla Guglielmo, non è vero?

Sì, con la scriminatura che si veda bene, a sinistra.

Le mani della ragazza mi palparono e liscia- rono ancora dolcemente la zucca, mentre passando e ripassandomi intorno, le sue girrocchie sfiora- vano le mie, od il suo seno premeva contro le mie spalle... e così ancora per qualche minuto fin che, fermato in istabile voluta il ricciolo alla Guglielmo, datomi un ultimo colpettino ai quattro peli sotto il naso, passatomi il tovagliolo sul volto a togliermi la cipria, la mia bella barbiton- sora mi disse :

Il signore è servito.

Allora io avrei dovuto prenderle una mano, alzare gli occhi al soflìtto, gemere la mia dichia- razione, e, se non bastava, inginocchiarmele di- nanzi a chiederle mercè, non è vero? Invece, di primo impulso, neanche osai dirle un grazie... mi sentii preso alla gola da una commozione assassina, mi rimisi, in silenzio, il solino e la cravatta, e mentre lei mi spazzolava, raccoman- datomi disperatamente a tutto il mio coraggio, mormorai alfine :

.Senta... io vorrei... Sicuro, .sicuro! Oggi abbiamo una giornata molto calda...

Ma bella! E mio fratello, che con gli altri colleghi si è recato a Superga, dove si U il

pranzo sociale, sarà contento. Ora lui è padrone di bottega, ma ricorda i tempi in cui, garzone, lavorava per gli altri, e sìa con la Lega e per la Lega : i socialisti hanno proprio ragione.

Certo, certo... e mentre le davo un bel due lire nuovo di zecca avrei voluto farle cre- dere che anch'io ero socialista, e che quindi un po' di collettivismo pratico fra noi due sarebbe stato cosa tanto naturale... ma que' suoi occhidhi troppo aperti che mi fissavano, coadiuvati d.i nn sorriso troppo malizioso, finirono per darmi il colpo di grazia e non seppi dir .litro che grazie

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e grajie, mentre di botto mi veniva in mente Eliodora, la ignota, l'aspettata, la tanto deside- rata... prima.

Per me, in quell'istante, Eliodora fu come un'ancora di salvezza. Mostrandomi impaziente trassi l'orologio le diciassette e mezzo! salutai, diedi un calcio ad una sedia, un urto contro l'uscio, e con negli occhi l'immagine di « Innocenza Ravioli, Pettinatrice » scesi le scale c^e neanche più vedevo gli scalini.

Non ero ancora fuori del portone che già avrei voluto ritornare indietro, subito : mi pareva im- possibile dovermene andar via cosi, a becco asciutto, come uno guaìimgiie ; e la bella petti- natrice, intanto, era sempre in quelle sue came- rette, là su, in sottanino e camiciola, gaia, solis- sima...

Ohi! ohi! Ero un uomo o no? E poi, non c'era l'altra, la Eliodora, che mi aspettava? Ed io cosi presto l'avevo dimenticata... avevo dimen- ticato quella nobile creatura che mi aveva scritto tante lettere, fatto pagare tanti segnatasse, e che in quel momento, fiduciosa, palpitava all'avvici- narsi dell'istante sospirato in cui, insieme con la stretta delle nostre mani, si sarebbero fuse le nostre anime, i nostri cuori...

Ah, vile, vile che ero stato! E correvo, correvo sui marciapiedi senza nulla vedere, (li nuovo ri- preso da un'ansia timorosa così viva che mi pareva tormento insopportabile.

Perchè ora, finalmente, mi sarei incontrato con l'ignota, le avrei parlato camminandole al fianco, avrei udito la sua voce .soave...; e che cosa le avrei detto ? Quali sarebbero state le mie primis- sime parole? Intuivo che la paura stessa ch'io provavo per la mia timidezza mi avrebbe fatto diventar più timido ancora.

Perfino mi venne in pensiero pare impossi- bile ! che a quel primo convegno avrei dovuto farmi accompagnare dall'amico Seneca, il quale m'avrebbe aiutato, consigliato...

Come Dio volle giunsi al Valentino. Il grandioso. Parco in riva al Po era ancora lu- minosissimo di sole, e dall'altra parte del fiume la collina, nitidamente frastagliata nell'azzurro del cielo, seminata di ville e di paeselli, ver- deggiava pomposa nel lecondo morire della pri- mavera.

Il luogo del convegno era inteso sotto gli annosi platani del gran viale dietro al Castello del Valen- tino; e come ivi giunsi, che ancor non erano scoc- cate le diciotto, fremente d'impazienza e nume- rando i minuti che mi parevano ore, cominciai a camminare su e giù, guatando qua e là, sus- sultando ad ogni figura di donna che compariva.

Vi fu un momento in cui, sentendomi quasi venir meno perla commozione improvvisa, credei indovinare la Eliodora in una graziosa donnina scesa dal tranvai poco lungi da me; ma il cre- duto mio ideale mi passò vicino senza nemmeno guardarmi.

Sonarono le diciotto, passarono altri carrozzoni del tram, risalii e ridiscesi il viale una dozzina di volte, rimuginai la tenera conclone con la quale avrei dovuto salutare la bella ignota, la poetica e tanto sognata Eliodora; mi impazientii, mi adirai meco stesso, ripensai con infinito rimpianto alla bella pettinatrice, e già cominciavo a disperare, a dubitare di non so chi e di non so che cosa, quando...

Ah, per Iddio misericordioso! Perchè in quel- l'istante non mi si aperse la terra sotto ai piedi, o per lo meno non mi cadde un platano sulla schiena ?

Da dietro gli alberi, rosso vestita, col largo fac- cione sorridente sotto un enorme cappello piumato ed infiorato, con gli occhietti socchiusi ed il trip- pone tremolante e la triplice pappagorgia più fio- rente che mai, comparve madama Spingarda, la cliente della gaia pettinatrice, con il mazzolino di fiori bianchi nella destra ed un giornale e l'om- brellino nella sinistra... lei, lei, madama Spin- garda !

E quel largo sorriso di gra.ssa beatitudine mi venne proprio incontro, con una raccapricciante sicurezza di vittoria; ed io, che non potei fare in tempo a scappare e che m'ero sentito salire le fiamme al volto ed entrare in cuore un'ira sorda che poteva. Dio guardi, farmi diventare ipso facto delinquente feroce, io dovetti balbettare non so che cosa, stringere una grossa mano sudata, udire un vocione che intonava non so quali saluti... e poi... giunse improvvisa la mia salvezza, un tranvai adorato! Oh sì, il Cielo ebbe pietà di me, ed io gridai lesto :

Signora mia, scusi tanto, sa? Ma lei è giunta troppo tardi: ho affari urgentissimi... tanti saluti! e saltai nel tram, ed al fattorino che mi diede il biglietto glie lo avrei pagato uno scudo; e tutti quanti erano nel carrozzone liberatore tutti mi parvero mìei amici cari, carissimi... e mi sentii, di botto, rivivere non so come: una luce nuova che ad un tratto m'illuminava l'avvenire, il mio, troncandolo nettamente da tante mie sciocchezze del passato; ero vinto, si, ma nur anche vitto- rioso perchè, non paia esagerazione, in pochi giorni fortunatamente avevo acquistato un mare d'esperienza da sprecarne per cent'anni...

Maledette e benedette le tue lezioni, o amico Seneca !

CARLO DADONE

NON SI PUÒ.

(Novelletta comica).

Questioni storico-critielie - Un temperamento erotico e il culto della donna - La Partita a Scacchi Volata al settimo cielo - Elletti turbolenti dell'emozione La poiUcina - « Xon si può » - Situazione angosciosa - Accidenti ai pappa'j:alli ! - ruga - L'onore è salvo !

Se il papiro egiziano scoperto recentemente nella baia d'Hudson (non potrei garantire l'au- tenticità di questa notizia sbalorditoria) appar- tenga al regno di Ramsete II, è argomento degno di affaticare le menti più dotte del secolo. Se si stabilisse ciò al solo pensarci mi sento ve- nire la pelle d'oca resterebbe dimostrato che i figli d'Israele erano sotto il dominio egiziano sin da quel tempo. Ciò vorrebbe dire che Mosè..., e ciò secondo le ultime ricerche, era venuto in Egitto prima del passaggio del Mar Rosso, cosa che, se veramente si determinasse, basterebbe •da sola a sovvertire dalle fondamenta il presente ordinamento sociale.

Il benevolo lettore mi perdonerà questa digres- sione, necessaria digressione, che ho dovuto fare per lasciar vedere come io non mi tenga estraneo alle più alte questioni storiche, e come la severità scientifica sia la mia più brillante qualità. Senza essa non avrei potuto stabilire con documenti inconfutabili che la balia del Petrarca si chiamava Teresa e non Veronica, e su ciò sto per pubbli- care due grossi volumi in quarto, che mi assi- cureranno una cattedra universitaria.

Intanto a proposito di papiri narrerò la storia di un pappagallo, che, forse senza saperlo, salvò l'onore di una famiglia.

Il signor Rolando Càpperi, dottore in utroque, aspirante referendario al Consiglio di Stato, è un giovinotto maturo non si può dire altrimenti la cui faccia presenta una di quelle fisonomie inalterabili che non subiscono, come la vernice a smalto, i deleterii effetti degli agenti atmosferici e chimici. Da circa quindici anni è sempre lo stesso ; solo la dose del sale aumenta sul pepe della barbetta e dei capelli ; ma l'aumento è cosi graduale che nessuno se ne accorge, e meno di tutti, lui.

Io sono un temperamento erotico ripete sempre lui. Io ho bisogno di amare, di espan-

dere la mia esuberanza, di cuocere a fuoco bianco i miei nervi.

« Io a tutto preferisco il culto della donna! »

E la sua vita in vero è nn^ Jìirtalion continua e universale. Per la strada, in trattoria, in ufficio, in chiesa, in teatro, dovunque, egli lancia i suoi dardi d'amore. Ma, per fortuna dei mariti e dei padri di questa terra, i suoi dardi sono ideali, si perchè nessun uomo è più platonico di lui. Egli non aspira sono sue parole che ad impossessarsi dell'anima della donna, il resto gli è indifferente.

Passare accanto a una donna, fissarla, strap- parle l'anima in uno sguardo e mettermela all'oc- chiello come un fiore! ecco il mio ideale!

Rolando si serve spesso di uno stile asiatico...

Ma spingendo il suo cuore qua e là, Rolando fu preso da una impetuosissima passione per la moglie di un suo amico ; una donna sublitne. Donna Eulalia Carloni. Però la sua passione era cosi platonica e filodrammatica che rimaneva an- cora allo stato latente.

Il suo amico Carloni era un buontempone, amante dei divertimenti, ricco fannullone, che provava più gusto a far divertire gli altri che se stesso. A casa sua ogni settimana, il giovedì, v'era riunione, si giuocava, si ballava, si cenava, si organizzò financo un teatrino, e Rolando fu uno dei primi attori.

Signora disse questi un giorno alla pa- drona di casa con uno sguardo languido vo- gliamo recitare io e lei la Par/i/a a scaicMìT

! mormorò la signora stendendogli la sinistra con un gesto lungo e intenso.

Fu stabilito che si sarebbe rappresentata in campagua ; la villeggiatura doveva riuscire una delizia, e si facevano grandi preparativi ; ogni tanto il signor Carloni partiva per la sua villa a Castel Gjndolfo, di cui facesa riattare il tea- trino.

Finalmente la famiglia Carloni parti il primo di luglio ; verso il quindici Rotando ed altri amici dovevano raggiungerla iH;r passare una decina di giorni nella gaia villa, ove si sarebbero date delle feste strepitose.

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Rolando si sarebbe voluto addormentare sino al giorno della sua partenza.

Fatemi distrarre, divagatemi, voglio dimen- ticare ! implorava il misero agli amici.

E il giorno della partenza giunse, giunse anche il momento dell'arrivo; oli, momento soave, quando lei, donna Eulalia, gli porse la mano senza parlare, senza guardare, senza stringere, senza niente... Eppure!....

Il signor Antonio Carloni condusse gli ospiti nelle rispettive camere, li accompagnò in una visita generale alla palazzina ; in fondo al corri- doio del secondo piano, si fermò dinanzi una porticina.

Amici miei disse il padrone di casa ac- cennando alla porticina è inutile ch'io vi spieghi dove conduce questa porta ; ognuno di voi alla spicciolata se ne caverà la curiosità quando ne sentirà l'urgenza.

La vile prosa della vita! esclamò Rolando con un gesto largo.

Si andò a pranzo allégramente e da mezzo- giorno si sedè a tavola sino alle tre, e Rolando ebbe la fortuna di sedere accanto a donna Eulalia di cui platonicamente premeva i piedini adorati. Verso le frutta il signor Càpperi si chinò un mo- mento verso l'amata donna e le mormorò:

Amarti e... morire!

Ella aveva arros- sito.

Egli aveva detto a se stesso orgoglio- samente: Che scapo- strato che sono !

Quando, alle'tre, tutti si alzarono da tavola per andar- sene a riposare, Ro- lando senti nei piii intimi precordi che qualche cosa di im- pellente avveniva in luì. Dice il Kranip- feld che le emozioni violenti hanno una azione drastica in- fallibile, e il signor Càpperi univa con l'emozione violenta un lauto desinare jnaflìato da vini eccellenti. Figuriamoci.

Ma egli sorrise carezzando il fantasma di quella

porticina misteriosa e si ritirò nella ^jia stanza.

•Quando senti tutto in silenzio, si avviò al noto

corridoio con passo insolitamente veloce ; e con

un senso di benessere toccò la maniglia della

porticina; ma, ahimè, una voce si fece udire :

Non si può...

Il buon Rolando impallidi ; ma... noli c'era che

c;^^^^

dire. Toenò indietro a passo interrotto, saltuario; e cercò una distrazione nella recitazione; ma alla voce sua altre voci tumultuose rispondevano, che non erano quella della co.'^cienza, quella del popolo.

Incalzato dagli avvenimenti minacciosi, Ro- lando rifece il corridoio, posò di nuovo la mano sulla maniglia, ma la voce ripetè :

Non si può ! Ma quel signore si è stabilito là... pen.sò con

un lampo geniale di fantasia il trambasciato signor Càpperi; e facendosi coraggio, si mise a passeggiare sul largo pianerottolo temendo che mentre l'altro usciva, qualcuno avesse approfit- tato prima di lui del solitario asilo.

Pensò alle cose più gravi, ai problemi più astrusi per divagarsi, cercò di spiegare se la storia fosse arte o scienza, se l'anima fosse im- mortale, se fosse possibile scoprire una macchina per volare ; si domandò persino e su! serio se l'Iliade era di Omero. Un uomo giunto a questo è capace di tutto, e Rolando si diresse a passo ri- soluto verso la porticina decìso a intavolare un dialogo con l'indiscreto che, con patologico pia- cere, scambiava quel luogo fugace con un salotto.

Impugnò la manigìia e la voce per la terza volta ripetè :

Non può !

Scusi, la prego di sollecitare... azzardò Rolando, in uno di quei momenti in cui si di- venta eroi.

Non si può! rispose seccamente la voce. Rolando deciso a tutto si avviò frettolgsamentv

verso il giardino con la tragica intenzione di affidare ai verdi silenzi di qualche solitario re- cesso quelle confidenze che \m fato avverso.grìni- pediva di abbandonare alla loro sede naturale. Per le scale incontra il padrone di casa.

Ohe, Càpperi, che hai?

Perdio c'è un signore che da un'ora si è stabilito in fondo al corridoio.

Il signor Carloni scoppiò in una omerica risata.

Ah, ho capito, va pure, va pure, il servitore ci tiene il pappagallo che ha imparato, a dire non si pud.

Come, il pappagallo?!... dice...

Ma si, va pure liberamente. Rolando con un agilità e un impeto nuovo si

precipitò pel corridoio, e prima che la voce avesse rfpetuto flou si può egli aveva quasi atterrata la porta brontolando :

Accidente ai pappagalli ! i Ma... orrore, Rolando testò sul limitare ag- ghiacciato.

Questa volta c'era projjrio qualcuno, e questo qualcuno era donna Eulalia!...

Rolando Càpperi sparì e l'onore dei Carloni fu salvo !

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LA STATUA DI SAN SEBASTIANO.

(Novelletta comica).

Espedienti erotici della Provvidenza. Presentazione dei prota- gonisti. Ambiente suino. Gli amori di Clorindo e biella. S. Sebastiano galeotto. La vendita clandestina. Notte tempestosa. Fuori S. Sebastiano! Terribile situazióne. S. Sebastiano tira le tende. Salvi tutti !

Dallo scudo messo in mano alla compiacente cameriera (spesso è nn nickelino in mano alla serva), sino al telegrafo senza fili ; dal bigliettino" inserito nel calice di un innocente garofano, sino ai dieci centesimi per parola della quarta pagina, è tutta una complicata sequela di espedienti che la celeste Provvidenza impiega generosamente nello spingere l'uomo verso la donna in ossequio al Codice Civile per diinostrare poi la necessità del divorzio.

Il racconto ch'io sto per confidare alla vostra .discrezione, presenta appunto uno dei casi pia- tipici, in cui la sopraddetta Provvidenza non esitò a servirsi della statua stessa di uno de' suoi^più influenti taumaturghi : S. Sebastiano.

Premetto ch'io non posseggo alcun documento sull'autenticità dell'imminente racconto. Io odio i documenti e niente mi sembra più interessante, quanto un avvenimento di cui si -capisce subito, che non c'è una parola di vero.

E veniamo al fatto.

¥ *

Permettetemi di presentarvi Don Procopio Spi- naci, Arciprete di Cervereto, uomo sulla cinquan- tina : visto di dietro potrebbe esser confuso con l'animale che predilesse S. Antonio, e questa strana somiglianza proviene dalla circostanza che intorno all'anima ingenua di Don Procopio si sono accumulati centoquattro chilogrammi di .carne con osso. Visto invece di faccia... la so- miglianza continua: basta osservare la fronte sfuggente, il muso prominente, il collo corto, le lunghe orecchie, gli occhietti grassi...

Amelia Spinaci, sua nipote,, è invece ciò che si dice un bel tocco di ragazza: vent'anni, occhi a pietra focaia, capelli ala di cornacchia, bocca di ciliege, denti candidi da far crepare d'in- vidia un elefante: e poi un insieme di curve^ seni, coseni da comporre un trattato di geome- tria solida.

Titolare di tale trattato è Clorindo Sugheri, giovane della farmacia del paese; alto, snello, simpatico; ricco di speranze quanto povero di realtà. Egli vive d'amore e di olio di fegato di merluzzo, con cui fa colazione quando il princi- pale, salito a desinare, lo lascia padrone dei ba- rattoli. Egli ne ingolla quattro cucchiai, poi divora due soldi di pane e gli pare di essere un prin-

cipe. E la sua faccia rubiconda non lo contrad- dice.

Cervereto è un paesello di montagna perduto fra le querce e i castagni. Nulla di .singolare; un campanile in mezzo; sotto il campanile la chiesa e la canonica: intórno slraduzze, case e abituri ribelli al più lunganime regolamento .sa- nitario. Da per tutto maiali e galline, cumoli d'immondizie sparsi sapientemente qua e là, e una fontana in mezzo alla piazza.

I Cerveretani vivono facendo i porci. Piano un momento : /i7;r il porco in lingua indigena vuol dire aHevare, ingrassare, uccidere e preparare i maiali. Se in un giorno d'inverno arrivate a Cer- vereto, vi sentirete drizzare i capelli! Il paese risuona di urla strazianti ; pare di entrare in un villaggio armeno sotto i turchi. Niente paura, i maiali seguono il loro destino culinario.

In questo ambiente saturo di salciccie e di sa- lami, da vario tempo si svolgeva il più saporito idillio fra Clorindo, o meglio Rindo, come lo chiamavano in paese, e Mella, vezzeggiativo di Amelia, la nipote dell'arciprete. Ma il testardo Doli Procopio, ignorando le più moderne idee collettiviste, aveva apposto il suo aprioristico rifiuto :'non voleva dare la Mella, con vetiticinque- mila lire di dote, a un povero diavolo che pranzava e no una volta al giorno.

Ma i due giovani se ne infischiavano delle ire di Don Procopio ; essi alimentavano la incande- scente passione con lettere vulcaniche. Le sue, Rindo le scriveva fra una pillola e l'altra, al- lorché Besciva a mettere da parte il mestolo.

Siccome però al fervido loro amore la corri- spondenza epistolare ^o" bastava, i due giovani avevano anche trovato il modo- di vedersi a quando a quando.

Facevano cosi.

Bisogna sapere che nella chiesa, fra l'altare niag- ,giore e la porta che metteva alla canonica si elevava il tabernacolo di S. Sebastiano, il protet- tore del paese. In esso, bel lavoro architettonico del Rinascimento, si custodiva gelosamente, co- perta da tende, la 'statua in legno del santo, al naturale, opera pregevolissima del quattrocento fiorentino, visibile al popolo solamente, e con grandi feste, per tre giorni dell'anno.

Questo tabernacolo," ad archi, difeso da cancel- lata e vetri nel prospetto e da un lato, aveva una porticina di dietro e un'altra sull'altro lato ad- dossato alla parete, che rispondeva sul primo pianerottolo delle scale conducenti alla canonica.

X'èrso sera Rindo si ficcava in un angolo della

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chiesa facendovìsi chiuder dentro dal sagrestano che era miope e vecchio, e aspettava che a notte fatta la sua Mella, aperte le due porticine del tabernacolo di S. Sebastiano, gli desse adito di salir su a far quattro chiacchiere.

La cosa andava, dirò così, a gonfie vele, quando accadde un fatto inopinato che portò con ciò che i matematici chiamano una soluzione di con- tinuità.

Don Procopio aveva ricevuto una certa pro- posta da un antiquario : proposta che, sfrondata da ogni cornice rettorica, si sintetizzava in questo: vendere la statua antica di S. Sebastiano per diecimila lire, farne eseguir subito un'altra iden- tica da un falsificatore abilissimo durante il tempo in che la vista del santo era proibita al pubblico, e sostituire l'imitazione all'opera antica. Al prete, che non soffriva di tenerezze artistiche, non parve vero di lasciarsi corrompere, e una certa notte la statua sali in canonica, da cui, la mattina all'alba, partiva per destinazione ignota entro un carico di grano.

Don Procopio, molto lieto del buon affare, aveva detto alla nipote :

Bada: ho mandato la statua di S. Sebastiano

ad accomodare; ma ricordati, nessuno deve

saperlo. La chiave del tabernacolo non deve es- sere consegnata a chicchessia.

Va bene ; stia tranquillo, rispose la ni- pote, pensando a quel che lei sapeva.

Cosi si era arrivati al maggio, al mese dei fiori e delle escandenze erotiche, e i due giovani, favo- riti dal successo del loro espediente, si vedevano molto più spesso.

Una notte, era il 14 maggio, mentre i due in- namorati filavano il più tenero idillio, si scatena una tempesta formidabile. Lampi, tuoni, fulmini, grandine grossa come noci, pioggia torrenziale; insomma la notte del finimondo.

Don Procopio, per quanto avesse il sonno pe- sante, fu desto finalmente, e scese dal letto. Mella, che s'intralteneva con il baldo farmacopula nella camera sottostante :

Per carità, Rindo, siamo perduti; ecco lo zio! Scendi, presto, vieni con me che t'apro la prima porticina; quando sarà tornato a letto, ci rivedremo.

L'onesto speziale, che aveva una paura birbona del prete, non se lo fece diredue volte, e all'oscuro, a tastoni, seguì la innamorata, che aprì la porti- cina del pianerottolo, ficcò l'amante nel taberna- colo, richiuse a doppia mandata e intascò la chiave. Poi risali le scale a precipizio, e giunse nella sua camera proprio mentre Don Procopio metteva il piede nel corridoio.

Mella, Mella! gridava il prete.

Dica, zio! rispose la ragazza a faccia fresca, presentandosi sull'uscio.

Senti che ira di Dio ? Questa è la notte del diluvio!

Intanto la tempesta incalzava, la grandine scro- sciava con il frastuono di una fabbrica di confetti; i lampi e i tuoni si susseguivano a brevissimi intervalli ; il vento impetuoso strappava le tegole dai tetti ; si udiva benché confuso, il rumore di finestre sbattute, di vetri infranti.

Cominciarono a risuonare alte grida di spavento; la gente usciva, malgrado l' infuriare della pro- cella, sulla via, invocando l'aiuto del Cielo. Ben •presto fu un accorrere generale verso la chiesa; la folla si diede a gridare :

Aprite la chiesa, aprite, Don Procopio! vo- gliamo pregare, vogliamo raccomandarci a Dio I

Don Procopio, che sapeva quel che bolliva in pentola- per l'affare della statua, si senti venire la febbre. Ma non c'era da esitare!

Chiamò il sagrestano, che gli faceva da servi- tore e gli ordinò di aprire la chiesa e di accen- dere solamente due candele. Poi, seguito dalla nipote, tremante come una foglia, scese anche lui in chiesa.

La tempesta infuriava sempre.

La folla dei villici si precipitò nel sacro luogo mandando alte grida, piangendo, e si andò a pro- strare davanti al tabernacolo di S. Sebastiano.

Don Procopio a quella vista si senti un sudor freddo per la pelle, molto più che già qualche voce cominciava a gridare :

- Scoprite S. Sebastiano ! Fuori S. Seba- stiano !

Il farmacista sventurato, che stava dentro, si senti venire lo stesso sudor freddo di Don Pro- copio, e lo stesso sudore ricopriva la candida pelle vellutata di Amelia.

Fu un momento angoscioso per i tre protago- nisti di questa lacrimosa storia. . Intanto le grida aumentavano. Don Procopio volle fare un ultimo tentativo. Sali sul pulpito e cominciò a parlare :

Fedeli miei, è inutile disubbidire ai voleri del nostro patrono, il quale ama apparire ai vostri occhi solamente una volta l'anno. Voi, vo- lendolo scoprire anche adesso, non fate...

Ma non potè continuare. Urla selvagge, accom- pagnate da minacce, risposero al suo sermone. Don Procopio scese a precipizio, si fece largo tra la folla indemoniata e appressatosi al taber- nacolo, tirò furiosamente i cordoni delle tende. E attese... Attese nascosto nell'ombra, di essere massacrato.

Ma nessuno 'si mosse ! Anzi le invocazioni, le preghiere, le litanie risuonarono più che mai alte. Don Procopio dalla paura passò allo sbalordi- mento. Usci quatto quatto da dietro la nicchia per vedere anche lui. Oh, miracolo, strabiliante mira- colo ! S. Sebastiano era al suo posto, o almeno

qualche cosa che gli somigliava, a .giudicare dalla fioca luce dell'ambiente.

Però fu un attimo. S. Sebastiano, dopo essersi fatto contemplare qualche secondo fra il ter- rore e lo sbigottimento generale chiuse lui stesso le tende!

Quel che accadde a questa uscita di S. Seba- stiano è impossibile descrivere.

Gran parte dei fedeli se la diede a gambe ur- lando di paura ; molte donne svennero ; altri si picchiavano il petto prostrati per terra.

Don Procopio non volle altro, corse sul pul- pito e cominciò a fulminare d'invettive oratorie gli scomunicati che avevano disubbidito al santo; e fu tale la violenza del suo sermone, che la folla, atterrita, mortificata, se ne andò a casa, molto più che S. Sebastiano, oltre al disturbo di chiu- dere le tende, aveva anche provveduto a far ces- sare la tempesta.

Don Procopio non vedeva l'ora di essere solo

31

nella chiesa. Appena potè mettere il catenaccio, mandò su in canonica il sagrestano e la nipote, poi, con una candela in mano, si presentò sulla porta del tabernacolo. Voleva fare la personale conoscenza del ff. di S. Sebastiano.

E trovò il santo nelle spoglie mortali del far- macopula, inginocchiato avanti a lui, in atto sup- plice.

Allora Don Procopio, che la sapeva lunga, capi con un lampo di genio il retroscena del miracolo, e fatto ragionevole dalla paura presa, afferrò per un braccio il tremante Clorindo, dicendogli :

Caro S. Sebastiano, ti ringrazio del mira- colo, ma fra quindici giorni dovrai aver sposata mia nipote.

Ma io non chiedo di meglio !

Va bene; alzati, vestiti ed appendi un voto a S. Sebastiano.

E anche voi appendetene uno, e grosso, a S. Clorindo !

I. M. PALMARINI

■^^'i^rzm^r^znrrzmmrz^mr^Èi^^mxi^mx^^^K^ir^ms'^B^S'^l^^ \

VII.

ULTIMO GRIDO.

Anima che m'amerai ! Non ho più altro nel mondo che te, te sola, che questo presentimento d'amore ! Le donne <iella mia vita mi inaridirono il cuore : parenti, amici, oh non videro com'era grande il mio spirito, com'era ardente il mio palpito ! Dileguo, e non conosciuto. Non ho che te, che te sola. Potessi stringerti in sogno ! Non sei tu bionda? Sei bella, sei tu più cara di lei? Oh, non lo so; ma ti sento, non sei un sogno: ti sento. Tu mi amerai, bramerai dar la tua vita, il tuo bene per farmi un'ora rivivere, per dirmi tutto il tuo amore : mi chiamerai, mi vorrai, ed io non tornerò più. Sarà una voce il mio spirito, un suono vano il mio cuore, questa cuore or così vivo che si dibatte e si strugge inutilmente di rompersi sopra di un seno fedele : ah ! non m'è dato di vivere che per sognare e sparire ! Rivivrò voce incorporea. Ed era pur cosi dolce quando le siepi fiorivano... c'erano coppie damanti... Ah ! ninna gloria ti vale, perduta mia gioventù I Anima, spasimo, amore ! amaro viso mort-ile, fragile corpo consunto dal cupo ardore, tu m'odi ? m'amerai tu? per te scrivo qui le parole più dolci, quanto di più carezzevole mi negò il mondo di espandere, mi esalto in te," ti rapisco, rabbrividisco e mi struggo : son le mie nozze che celebro con questo grido, io con te !

vili.

RIBELLIONE.

Eli tu sola l'estrema dolcezza della mia vita. Ti diedi tutto : l'ardore, la tenerezza, l'ingegno. Non fu che un lungo tormento. E parve un sogno. Le lagrime erano dolci, sembrava un bene immenso il dolore... Ah ! ch'era sangue quel pianto ! era la vita, e la diedi ! Giovine, sento nel petto il cuore rotto arrestarsi. Non n'eri degna. Se ancora la tua bellezza mi acceca, se d'un supremo fulgore m'inebria gli occhi morenti, oh non per te ! non per te ! non per un cuore insensibile, crudele, mobile, indegno, doveva rompersi questo che conteneva in un mondo, e non chiedeva che amore !

PACE.

Vacuità grigie e informi di un piano avvolto in vapori sotto l'accidia di un cielo confuso e grave. Distese di solitudini morte, infinità desolate, miraggi vaghi di un mondo inafferrabile e informe ! L'asilo è questo di un'anima che si smarrì nel dolore. Da questo monte mi spenzolo su questo mare di nebbie come ad un seno di pace. Mi lascio a dietro la terra, queste colline sfumanti tra veli grigi di brume in una vaga visione di boschi rossi di ruggine... Parlano ancora d'amori, di intimità dolci e gravi negli antri secchi dei boschi... È solo più un'eco fievole, vana, e non l'ode più il cuore. Son calmo. Sento la pace.

ENRICO THOVEZ

Un brano di un romanzo audace.

Io non entrerò più nella sua camera!

La sera, dopo cheto l'ho coricata e ho rim- boccato con cura le copèrte del suo lettuccio bianco, e le ho posato tanti baci sulla fronte. Bea mi getta le braccia nude attorno al collo, mi attira a sé, mi costringe il capo contro il suo petto il suo cuore batte forte nello sforzo di quella stretta ! e mi dice le parole che tutta la notte recano l'esca al mio turbamento.

Lo sai. Marco, come ti amo?

^ Si : lo so, cara.

. No ; non lo sai. Dimmelo adunque, se lo sai.

Ecco : tu mi vuoi bene come si addice ad una fanciulla che non ha più madre e che con- centra perciò nel padre suo tutta l'affezione di cui è capace il suo cuore.

No ; no ; io ti amo !

Essa mi parla all'orecchio e ripete la santa parola con un'accento intraducibile, come so- spirando :

Io ti amo!

No; tu mi vuoi bene così come è naturale che una figlia voglia bene a suo padre.

È falso quello che io dico, epperciò sebbene io mi provi a dirlo con molta convinzione, essa agita la testina sui cuscini negando :

No ; no ; le altre figlie vogliono bene al loro padre: io ti amo, ti amo! Le altre hanno della venerazione pel loro padre: io ti adoro! ti adoro! Le altre figlie baciano le mani paterne; io voglio la tua bocca!...

E queste sue braccia nude mi si avvinghiano più strettamente al collo e mi costringono su di lei ! Ah ! Miseria nostra! Che sarà, che sarà di noi!... Io non entrerò mai più nella sua camera!...

... Ma io ti sentivo venire inesorabilmente o momento terribile !

Nulla, più nulla poteva opporsi a che il giorno avesse a giungere, che l'ora fatale avesse a scoccare ! Tutto era preparato e voluto dal de- stino ! Io lo discernevo dapprima indistinto nella lontananza, l'avvenimento; poi, a misura che il tempo avanzava, lo vedevo delinearsi, avvicinarsi, precisarsi e noi vi andavamo incontro senza pos- sibilità di scampo, essa serena e inconscia, povera innocente! io presago e rabbrividendo invano! Senza possibilità di scampo ! No, no: non varcherò più la soglia della sua camera, ed essa ha sentito il mio proposito, giacché questa sera assai tardi si decide a riti- tarsi. Ed io l'accompagno e la reggo come se fosse addormentata; gli occhi le si son chiusi, la sua testina arrovesciata grava sulla mia spalla, ma sotto la sottil vestaglia bianca come vibra tutto il suo corpo ! Ci separiamo : sul limitare della mia camera: sciolgo il nostro abbraccio: essa appare un momento esitante e preoccupata da qualche pensiero, poi si avvia frettolosa pel corridoio verso la sua porta e scompare.

Spogliato e coricato mi sento assalito dai bri- vidi ; io tremo e pure la febbre mi incendia il sangue nelle vene. Perchè, perchè?...

Ah come è vano che io tenti cacciarti, pen- siero opprimente, incalzante !

No, no; io non varcherò più la soglia della sua camera, ma so bene che Bea, si Bea, verrà a me. Ah! so bene che, stassera stessa, fra poco, nel silenzio e nell'oscurità della mia stanza, la portiera si solleverà con un lievissimo fruscio so bene che i miei occhi romperanno le tenebre e che La vedrò, ombra bianca e aureolata, avan- zarsi lenta lenta, come sfiorando il suolo so bene che mi parrà un'eternità il tempo che essa impiegherà ad arrivare sin qui, da quella porta al mio letto che non dirà una parola, che cercherà la mia bocca e vi inchioderà sopra la sua che troverà le mie braccia aperte e vi cadrà anelante che allora nessuna forza, nes- suna forza ci potrà strappare al Destino !

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Io tremo cosi forte che tutte le mie membra ne dolorano e una grande spossatezza mi invade. Poi nell'attesa lunga e febbrile un improvviso spavento mi fa balzare a sedere sul letto. Ah! se nel momento in cui L'udrò varcare la soglia il parossismo dell'emozione immensa avesse a fulminarmi! Insorgo contro questo spavento ; mi precipito dal letto, raggiungo tentoni la finestra, la spalanco e mi affaccio a bere avidamente l'aria fresca del viale. Nell'ombra della notte stellata molte cose indefinite e confuse paiono muoversi e agitarsi... Pochi sorsi vivificanti mi ridonano la calma e l'impero di me stesso, e ritorno al mio letto.

Ora Le parlo : tante volte a distanza, Essa ha raccolto le mie frasi mentali. Udrà anche questa volta la supplicazione?

No, non venire, amore, non venire I Resta nel tuo tettuccio bianco e possa tu riposar\i per tutta la tua vita come se fossi sempre una bam- bina e possa tu addormentarvi e calmarvi l'im- peto dei tuoi sensi anelanti. E lascia che duri il mio tormento e che prosegua la mia lotta interna. Io ho voluto farti indipendente, lìbera, sprezzante di ogni regola, di ogni vingolo, ma non per la mia, per la tua felicità. Lascia che le nostre mani si tendano in eterno fra di loro : tu sai che qual- cosa di invincibile, che è nella potenza del lungo passato, ci avvince alla miseria dei pregiudizi! umani e che liberarci sarebbe al di sopra di ogni audacia... No, non venire, amore! Che sarebbe di noi, dopo ?...

Ahimè! Inconsciamente, implacabilmente, sopra la stessa frase un'altra si inquadra e si plasma e su queste parole altre si adagiano e si sovrap- pongono e dicono con pari fervore la preghiera contraria:

Vieni, vieni ! Perchè t'ho fatta libera, grande, unica, supera quest'ultima, questa suprema prova I Apri con impeto le ali alla conquista di più elevate zone, dove la miseria umana non ci rag- giunga! Vieni, vieni! Troppo aspettammo, troppo indugiammo mentre le ore incalzano e nessuno, nessuno, ci ridarà il passato perduto. Vieni, io ti spalancherò le porte radiose dell'estasi! Che importa a noi ciò che vedrà il sole di domani? Vieni, riempì l'anima mia, bevi le labbra, spcsni la sete dolorosa di tutto l'esser mio !... e avvenga di noi ciò che è scritto!

Ah!... il fruscio della portiera! Sul chiaro qu.idrato della finestra spalancata l'ombra biam a e aureolata che passa profila... avanza come sfiorando il suolo... ah! che l'enioiione non mi fulmini!... avanza... avanza... e finalmente! in un sussulto ineffabile di tutto il mìo essere le mie braccia L'accolgono. I^ stringono, L'av- vincono inesorabilmente, inesorabilmente....

FAUSTO VILLA

DK3I3KZ?CKXSK:36K3I3I

IX.

Lultima notte di Sardanapalo.

Un individuo aveva detto al re Sardanapalo :

Quando un dardo si conficcherà nel tuo scudo, pensa alla tua ora.

Dopo due anni di combattimenti giornalieri, nei quali il re era rimasto sempre illeso, una sera un dardo si conficcò nel suo scudo.

Sardanapalo trattolo via e provatane la punta sul braccio nudo che sanguinò : Non è grave I

disse e rideva, vedendo intorno a il fiore de' guerrieri e le mura munite.

Poi dimandò a coloro che gli stavano accanto :

Non credete che la mia fiartuna sia più forte de' vaticinii ?

Rispetta i vaticinii, signore ! gli fu ri- sposto. Ma già il re aveva gettato via lo scudo rilucente d'oro e di gemme, s'era precipitato verso la porta. Lo circondarono i suoi guerrieri, ma egli disse loro : Seguitemi ! e corse a combattere avanti a tutti. E anche quella sera molti nemici caddero sotto i suoi colpi, mentre egli non fu neppur tocco da un'arma.

All' apparire delle prime stelle Sardanapalo. messi in fuga i nemici rientrò in città e giunto alla reggia vide a sedere sulla porta un uomo, nel quale subito riconoscendo l' indovino, gli disse :

Un dardo si conficcò nel mio scudo. Ma io gettai via lo scudo, corsi contro i nemici e li misi in rotta. Non ti pare che la mia fortuna sia più forte de' tuoi vaticinii ?

Non mi pare, signore ! rispose l'indovino. 11 re sdegnatosi allora :

E che, esclamò, potrebbe esser più forte ?

Il futuro, s'io dicessi il falso ! rispose l'indovino.

E più del futuro ? L'indovino alzò il capo e rispose :

Il fato.

E più forte del fato ?

L'indovino alzò ancora il capo e rispose :

II tuo volere !

A queste parole Sardanapalo si rallegrò molto e disse all'indovino:

Hai saputo parlare a un re. Entra. Ban- chetteremo insieme questa notte.

La reggia era deserta e piena d'ombre, perchè, fin dal principio dell'assedio, il re vi passava soltanto qualche rara notte per riposarsi ed aveva proibite le feste e le riunioni. Solo pochi servi

vagavano per gli atiii. Ma quella sera la voce gioconda di Sardanapalo risonò in mezzo al fra- gore suscitato dalle armi e dai passi dei guerrieri.

Olà, olà! Si prepari un banchetto per me, per questo indovino, per i miei guerrieri e per le mìe donne! E sia sontuoso come non fu mai ai tempi felici ! Vengano le mie donne e i miei fanciulli dagli occhi innocenti ! Sia giorno per tutta la notte, si colgano tutti i fiori de' nostri giardini e s'incoroni ogni fronte, s'incoronino le colonne degli atrii e delle sale, le coppe del banchetto e i fastigi della reggia! Si versino tutti gli aromi e si risveglino tutti gli strumenti della danza! Giacché questo indovino mi ordina di celebrare la mia vittoria con le mie care donne della pace e con i miei cari compagni di guerra !

Udirono le mille donne per le alte stanze la voce del re e balzarono sui letti odorosi.

Sardanapalo ha fugati i nemici! si ripe- tevano e stavano in ascolto.

Ma quando la voce del re, che esse non ave- vano udita da lungo tempo, risonò ancora per la reggia, si adornarono di monili e accorsero, perchè ciascuna desiderava di esser prescelta per quella notte.

E già miriadi di faci illuminavano la reggia vasta come una città. Nei cieli delle sale scin- tillavano smisurate ghirlande di pietre preziose entro le quali l'oro massiccio splendeva come il sole di mezzogiorno. Le colonne d'oro erano infocate e miriadi di raggi d'ogni vivezza e co- lore uscivano dalle pareti adorne d'oro e d'ar- gento, di marmi rari e di gemme. Sui tripodi ardevano gli incensi, e tutte le fontane dei pro- fumi erano aperte.

Il re s'aggirava con i guerrieri fra le donne e gli stuoli dei fanciulli vivaci nelle loro tuniche rosse. Il re accarezzava le lunghe chiome ondu- late dei suoi cari fanciulli, che aveva scelti fra i più leggiadri dell'impero a diletto dei suoi occhi innamorati delle belle contemplazioni. E chiamava a nome le donne, poiché le conosceva a una a una, e ricordava a questa qualche grazia segreta a lui nota, lodava a quella qualche nuova grazia nàtale sul volto durante )a guerra. E le donne raccolte intorno alle colonne d'oro freme- vano al passaggio del re e i loro occhi erano luminosi più d'ogni altro lume. Qualcuna affon- dava le dita nelle chiome dei fanciulli sulle quali

era trascorsa la mano reale; mentre i fanciulli ebbri di luce tripudiavano e danzavano in corone sanguigne in mezzo a loro, al suono delle cetre e delle arpe che si risvegliavano per la reggia.

Intanto migliaia di servi preparavano il ban- chetto. Altri correvano per i giardini con le faci e li spogliavano di tutti i fiori ; altri traevano dalle lontane stalle i bovi mugghianti e li scan- navano.

E quando il banchetto fu pronto e furon pronte le corone per tutti i convitati e furono incoronate tutte le tazze e le colonne e gli architravi e i fastigi della reggia, il re si pose a giacere sui tappeti di porpora per banchettare. Egli si era fatto giacere accanto l'indovino, il quale era molto vecchio e gli tremavano il capo e le mani.

Vedendolo il re così vecchio e tremante e mal vestito, ordinò che gli fosse gettato addosso un manto contesto d'oro e di gemme, sotto il quale l'indovino mangiava silenziosamente con grande allegrezza di Sardanapalo. E quella notte ban- chettarono col re ventimila persone, guerrieri, cortigiani, ministri, donne e fanciulli; e al cenno di lui ventimila tazze d'oro si levavano scintil- lanti di pietre preziose nel fulgore delle faci. Tutti banchettavano giacendo a terra per la sala immensa, fra le colonne d'oro, mentre molte centurie, di danzatrici eseguivano molli danze al suono delle cetre, delle arpe e dei salterii. Sui tripodi ardevano gli incensi, e le fontane versavano acque profumate. Qua e s'aggira- vano pavoni e altri piacevoli animali ; e i fan- ciulli stendevano loro le palme con qualcosa da mangiare. Ma le donne quasi non toccando cibo fissavano il re, con le fronti corrugate.

Così si banchettò lungamente e la reggia odo- rava e risonava nella notte. Tale era il suo splendore che i nemici ne .stupivano sulle alture lontane vegliando in armi. Stavano gli arcieri col ginocchio a terra e gli archi tesi verso quello splendore.

Quando poi il banchetto fu al termine, il re si levò in piedi gigantesco e radioso di divina bellezza e rivolgendosi prima ai ministri e ai cortigiani, dimandò loro se in quel momento non lo credevano l'uomo più felice della terra.

I ministri e i cortigiani si prosternarono e celebrarono la sapienza e la potenza del re.

II quale si rivolse ai guerrieri e fece loro la stessa dimanda.

E i guerrieri, che lo amavano per la sua forza e il suo coraggio, si alzarono in piedi brandendo le armi e celebrarono la fortezza delle mura, il numero dei combattenti e la fedeltà dei loro petti. E il più forte tra loro celebrò le gesta del re ed enumerò i nemici caduti quella sera sotto il suo braccio.

Dopo, Sardanapalo ridendo si rivolse ai fan-

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ciulli che, senza comprendere, levarono un tri- pudio clamoroso e risposero di sì, rammentandosi di quando prima della guerra il re soleva prender parte ai loro giuochi.

Finalmente Sardanapalo si rivolse alle sue care donne e dimandò se in quel momento non lo credevano l'uomo più felice della terra.

Le donne che lo amavano per la sua bellezza e la sua lascivia risposero di si, sòrte da giacere, e i loro petti ansavano verso il re.

Ciò udito Sardanapalo alzò la sua tazza rilu- cente e tutti avendo fatto lo stesso, prese a ricordare la sua vita d'un tempo, al bel tempo della pace, quand'egli reclinava il capo sul grembo delle sue care donne e componeva le danze per le sue danzatrici, la musica per i suoi sonatori di cetra e d'arpa, i suoi profumi e le sue ghir- lande. Quand'egli si creava le delizie della sua pace da medesimo e mandava i suoi guerrieri a combattere nei paesi più lontani perchè gli riportassero oro e incensi, belle creature e ogni sorta di ricchezza. Queste cnse Sardanapalo avendo ricordate, volse in giro le pupille e di- mandò se non fosse stato sempre l'uomo più felice della terra.

Tutti risposero di con grande clamore e protesero le loro tazze incoronate verso Sarda- napalo.

Il quale già s'era curvato per interrogare l'in- dovino.

Ma il vecchio, mettendo fuori il capo treme- bondo dal manto reale, rispose :

Certo, o re, tu sei fortunato, avendoti gli Dei concesso l'amore delle donne e dei guerrieri. Ma io penso che la tua felicità stia sulla punta d'un dardo pronto a scoccare.

1 convitati ammutirono sentendo il sibilo d'un dardo che colpiva il re.

E anche il re impallidì lievemente, perchè era di cuore superstizioso e aveva visto che tutti credevano nelle parole dell'indovino. Ma poi subito sorridendo e scherzando, disse che il vec- chio aveva senza dubbio voluto significare che la felicità gli sarebbe giunta col primo raggio del nuovo sole. Perciò egli insieme con i suoi fedeli si sarebbe portato a salutare la vicina aurora sull'alto della reggia.

E dette alcune parole nell'orecchio al capo dei ministri, ordinò che si ricominciassero la musica e la danza.

Intanto i servi presero a costruire un rogo di legni preziosi dal basso al sonmio della reggia a guisa di smisurata pimmide. E quando le ultime stelle cominciarono a impallidire e il rogo fu compiuto, il re vi sali con i suoi guerrieri, le donne, i fanciulli, i sonatori e le dai:- " Tutti erano consapevoli di morire; ma l.i \ del re stava su lutti. Egli, tr,)en.l.>M die;:

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devino curvo e anelante, salì sino alla cima del rogo, si volse verso l'oriente e a un cenno di lui le arpe e le cetre ruppero il silenzio della notte. Il rogo odorava e risonava come una orchestra delicata.

Ma quando il primo chiarore dell'alba apparve in oriente, mille servi appiccarono il fuoco alla reggia e incontanente le fiamme ne lambirono i fastigi.

-Sardanapalo allora, avendo gettato nelle fiamme il suo scettro e la sua corona, e vedendo tutti i suoi fedeli frenetici di devozione e di morte far lo stesso, e tutti gettar nelle fiamme la loro corona del banchetto, e i guerrieri le loro armi, e le donne i loro monili e i loro veli, dimandò all'indovino :

Non ti sembra questa morte degna d'un re'

Certamente d'un re ! rispose l'indovino Perchè sei andato incontro alla tua ora nel rigoglio delle tue forze e perchè puoi gettare nel grembo della morte tante cose belle e preziose.

E non anche di un uomo libero da ogni dominio ? dimandò il re.

Vuoi dire d'un uomo che sta per essere liberato ! rispose l'indovino che perseguitava il re con la sua sapienza.

.'V queste parole Sardanapalo sorrise e senza più attendere discese verso le fiamme e fu con- sumato.

In quel mentre gli arcieri nemici che avevano vegliato tutta la notte con l'arco teso, scaglia- vano le loro frecce contro il rogo ardente.

ENRICO CORRADINI

nda

A DEUX JOLIES FEMMES.

11 faut qu'avant tout je vous dise Que je suis un esprit chagrin, Qui sent et qui pense à sa guise Et rumine soir et matin.

Que de fois vos éclats de rire Là, dans mon coin, m'ont fait rèver ! Oui, la jeunesse est un sourire. Et tant pis pour qui veut pleurer !

Ecoutez donc : c'est l'alouette ! Son chant est gai comma un rayon ; Mais de la nuit sombre et muette Naissent l'aurore et la chanson.

Pourtant... Regardez une rose; Quels parfums et quelles couleurs I C'est qu'au matin, à peine éclose. Elle était huniide de pleurs.

Ah ! rèvez parfois, belles dames, Parfois de vos pleurs parez-vous ; Sur vos traits comme dans vos anies Vous aurez un éclat plus dou.x.

I CUORI IGNOTI.

È tozzo il Pìpelè, non senza gobba - Una gobbina velata, discreta - Col torvo sguardo l'inquilin che snobba La mondana, il travetto ed il poeta

Tutti fruga nell'anima secreta Pronto a scoprir se zoppica od ingobba. Ad ore perse, nella loggia cheta, - Ci.ibattin - dilettante che non sgobba -

Batte magari una mezza suoletta. Ma arcigno, veglia dalla sua celletta. Un dì, più smorto e più triste passai ;

Al donian disse: - " Ella è solo Origliai

Stanotte all'uscio suo mi par malato... ,, Qual cor nella sua voce avea tremato 1

MARIO CLARVY

X[.

La donna nella famiglia giudiziaria.

Ogni classe di persone non può sottrarsi alle leggi dell'eccezione. Abbiamo quindi una mino- ranza, sia pur esigua, di donne della famiglia giu- diziaria, che hanno caratteri assai diversi da quelle di cui si argomentò prima.

Non sarà inutile in questo « intermezzo » occuparci delle donne-eccezione, tanto più che esse presentano caratteri, che credo speciali, alle donne, che appartengono alla famiglia giudi- ziaria.

Nella mia qualità di usciere mi sono ficcato un po' ovunque; in tuguri, case signorili, apparta- menti borghesi : donne d'ogni condizione ho av- vicinato, e siccome non mi manca il bernoccolo dell'osservazione modestia a parte » come dicono quelli che non ne hanno, e vorrebbero far credere di averne), cosi riuscii a stabilire confronti, a registrare nel mio cervello note speciali, per cui mi convinsi, che certe caratteristiche, certe nia- niXestazioiiì tipiche, certe anomalie psichiche sono patrimonio «[nasi esclusivo delle donne, che for- mano la minoranza intorno cui ragiono.

E studiandole, parvenu poterle classificare nelle seguenti sette categorie, delle quali dirò separa- tamente, e che abbracciano le varie forme di ano- malie, da me rilevate.

I. La sapiente. II. La gazzetta.

III. La protettrice.

IV. La superba.

V. La nemica della magistratura. VI. L'indifterente. VII. L'aiuto-carriera. Sette tipi degni d'esame, che non privi d'un lato artistico saturo di umorismo.

La nemica della magistratura.

Tipetto curioso, e ameno a un tempo. .Si uni in matrimonio con un magistrato, e detesta l.i professione di suo marito e tutto quanto con- cerne il mondo giudiziario.

<> perchè sposò un niagistato?

Misteri del cuore umano. -Ma forse lo sposò perchè non trovò altri che volesse sposar lei. Anche questo può darsi. In fatto di matrimoni tutto è possibile. O non vi sono donne <rhe spo- sano un uomo iHT ;imaregsiarlo tutta la vita, o

(juert'uomo non ha che un torto, «lueiio di sop- portarle .'

Lasciamo le digressioni filosofico-coniugali, e diamo un'occhiata al nostro tipo.

Questa magistrata odia dunque la toga mariule. Il fenomeno può talora essere affetto d'isterìsmo morale, d'una qualche delusione amara, ma altre volte nulla di tutto ciò, e cosi appare più strana l'anomalia psichica. Del resto non pretendo spie- garla : rilevo il fatto. Ma poi, se un marito di un tale fenomeno non riusci dopo venti anni di matrimonio a spiegarlo, figurarsi se Io potrò io, e per quanto i fenomeni eccitino la m'ia curiosità scientifica. Non ridete, sono un usciere che à stu- diato e studia.

In generale queste donne appartengono alla classe delle malcontente. Si annoiano di lutto ; nulla le soddisfa : hanno rari intervalli d'allegria: predomina in loro la noia: .ittraversano la vita sbadigliando, e siccome lo sbadiglio è contagioso, fanno anche sbadigliare per benino l'infelice che vive con loro.

Queste nemiche della toga ecco il fenomeno non sono così. Lontane dall'ambiente giudi- ziario, in ferie, in campagna, al mare, sono gaie, graziose, soddisfatte... purché niuno , cosa al- cuna ricordi loro, che, anche in ferie, al ^^ del mese pigliano lo stipendio... giudiziario. *

Un marito d'una di queste signore, un egregio sostituto .procuratori- del Re, una volta in viaggio fu domandato da una signora che profes-sione eser- citasse. La moglie comincia a dimenarsi, e lui : .avvocalo, per servirla. moglie, con due occhi furibondi) Come ?

Cioè, ero avvocato, ma ora...

Mio marito % professore di medicina.

(signorai Ah ! due lauree, mi rallegro.

Prego.

Scusi, se non abuso della sua bontà, vorrei approfittare dell'occasione per domandare un con- siglio.

Ini sudando freddo) Dici pure.licti^irao... - Quando viaggio soffro di un.i puntura qui vicino alla milza, che sart mai?

Forse la scos.sa del treno...

Non credo: mi vi^-"' '■ ' "'■'••-■> ed

escluse questa causale. : '"'"'

una spiegazione convinix '■

yamgosciaio Eccii... bisognerebi^-

Oh ! combinazione bellissima : non mi hanno forse detto che loro vanno ai bagni di Rimini?

{la moglie ridendo) Precisamente.

Pur io mi reco là, allora il signor Profes- sore vorrà certo usarmi la cortesia di visitarmi.

Non chiedo di meglio!...

Quel disgraziato per non compromettere la sua dignità dovette cambiar piano e spiaggia. Si recò a Venezia. Poco economiche sono queste mogli, eh?

Ma sentiamo i suoi sfoghi anti-giudiziari.

Il marito torna dall'ufficio, tardi.

Cosi tardi, sono ormai le sette!

Cara mia, l'udienza fini ora... otto processi.

L'udienza, i processi!... ma date tutto alle fiamme, meglio fare il lustrascarpe che il magi- strato. Ma come mai ti venne l'idea infelice di entrare in magistratura?

Eppure, mia cara, debbo a questa la gioia d'averti sposata. Non ero forse pretore allora?

Già... la colpa è mia... perchè, vedi, io mi sentii sempre nel sangue una forte avversione per la magistratura, ma tu eri cosi carino, elegante, cosi poco magistrato che mi innamorai di te. Di quante sciocchezze è padre l'amore.

Grazie !

Lei e un'amica.

Sono contenta, presto tuo marito sarà pro- mosso Procuratore del Re.

Una vera delizia!

O perchè lo dici con quel tono?

Perchè sarebbe meglio andasse a veiukrc- fiammiferi.

Ma dico vaneggi ?

No, mia cara, parlo del miglior mio senno. Detesto tutto ciò che pule di toga. M'auguro di di- ventar vecchia, allora almeno sarò felice in pen- sione.

' Aveste forse dolori per la carriera?

No, mai, ci mancherebbe altro! Oh! non basta forse il dolore d'essere magistrato?

Scusami, sei molto strana.

Sarà, ma è così : questa professione mi nausea orribilmente. Vorrei vedere in fiamme tutti i tri- bunali di questo mondo. Vi soffierei dentro a due polmoni.

Grazioso il « tipo » eh?

L'indifferente.

Quali e quanti diversi caratteri psichici tra quelli che governano l'organismo della sapiente, della ìiemica della toga, e di questo nuovo cam- pione della minoranza. Un vero abisso tra loro.

Chi pensa alla donna moderna, così come la va formando la evoluzione sociale; chi à del femmi- nismo un chiaro concetto, e però non accetta in

tutto le teoriche spencieriane, e comprende come tutto debba facilitare lo sviluppo delle sane energie femminili nel campo fisio-psico-intellettuale, onde essa non solamente sia una madre amorosa, colta; ma eziando una forza nel consorzio civile, in cui tante miserie sociali esigono la mano altruistica della donna, potrà facilmente comprendere quale compagna sia dell'uomo intellettuale, e specie del magistrato, la donna, che vive a sé, fredda, in- differente alla vita laboriosa del marito.

O che è mai una famiglia dove la donna non partecipa alla vita intellettuale del marito? Una casa senza sole, senza fiori. Se l'uomo è uno studioso, un lavoratore, dovrà intanarsi nel suo gabinetto, e di qui nell'ufficio senza che mai lo confortino un sorriso, un consiglio, un eccita- mento della propria moglie. Se ultimato lo stretto dover suo d'ufficio, non ama dedicarsi allo studio o perchè dovrà recarsi a casa, se codesta è muta d'ogni luce intellettuale? È la moglie inerte, apata, che lo spinge al club, ai caffè, ai teatri, ovunque insomma dove essa non sia: tanto, oche si può parlare con le statue?

Anche queste donne apate esistono nella famiglia giudiziaria.

Sono rare pure nella minoranza, ma vi sono, e gettano una luce squallida sulla vita de' loro rispettivi mariti, che finisce per avere in ugpa il tetto domestico, se l'amor paterno non vince la legittima avversione.

Facciamone parlare una, e avrete il ritratto di tutte le sue sorelle in apatia.

Ma sa che sono molti anni che loro sono qui !

Sì, ormai dieci.

Eh? chi sta bene non si muove.

Oh, per me qui o è tutto uguale.

Capisco, ma significa che suo marito si trova bene nel suo ufficio.

Non saprei.

che i superiori lo stimano.

Non saprei.

(imbaiassata) Ma forse sarà vicina la sua promozione...

Proprio non so.

Eh ! lo so io, suo marito è in graduatoria dieci numeri avanti del mio, dunque...

Sarà benissimo.

Poi, so che fu classificato molto bene...

Io... nulla so.

Ma come? suo marito non le parla di ciò? eppure sono cose interessanti.

Interessanti? O che me ne viene?

(sorridendo) Scusi... l'aumento di stipendio, l'amor proprio.

Si, belle cose, ma non mi fanno caldo, ne freddo.

Perdoni la mia curiosità, ma gli interessi di suo marito non sono forse i suoi?

Già, ma io non me ne occupo: lascio che il mondo vada come vuole. Mio marito ed io par- liamo poco.

(timidamente) Forse non vanno d'accordo? —'Oh! no: è un ottimo marito, ma io voglio

vivere estranea alla sua carriera.

Si congedano, e la signora indifferente stende una mano gelida, stanca, come è fredda l'anima sua.

L'aluto-carrlera.

Anche qui dt-bbo invertire un proverbio, ed esclamare : « V amaro in ultimo ». Già, dirò avanti tutto, che in queste categorie di donne d'eccezione è quasi impossibile trovarne una dolce, poi almeno così m'insegnò un mio vecchio professore ginnasiale le cose più impressionanti vanno tei\ute per ultime, onde meno facilmente se ne cancelli il ricordo in chi le ode o legge.

L'ho detto. Ne ho visto di tutti colori, di belle e di brutte, ma tra le brutte primeggia la donna che chiamai Yaiiiio-iarricra, e quantunque, per solito, sia una donnina bella, attraente, carez- zevole.

È un malanno, clieatiHigge un po' tutto il mondo degli impiegati, in proporzioni più o meno gravi: è un malanno che si presenta, per solito, con forme miti nella vita giudiziaria : ma il guaio esiste, e mi sembrerebbe venir meno al mio dovere, se per un falso pudore di corporazione, non ne tenessi parola in questo libro, che, pur scherzando, ha di mira solo la verità ed il bene della magistratura.

nullità, cui suppli.sce solo l'ambizione di andare avanti senza fatica, e con una rapidità , spesso ignota, al vero merito. Non hanno ingegno, sono digiuni di scienza, di carattere, e ricorrono agli scaltrimenti obbrobriosi, che loro suggerisce l'av- venenza delle loro mogli.

.Sarebbe onesto tirare un velo su igueste brut- ture ? Non è, per contro, doveroso parlarne, de- nudarle arditamente, onde quanti hanno seav) di rettitudine combattano il morbo insidiatore?

La risposta non è dubbia.

« L'aiuto-carriera », è, come dissi, per solito, una donnina spesso bella, avvenente, leggiadra, aggraziata sempre. Dalla sua jiersona spira una languidezza sensuale, che l'arte ratìina con l'abito della commedia, che recita. È di forme delicate, gentili, dai modi insinuanti. Le donne forti, vi- rili, dalle maniere un po' vivaci non s'incontrano in questa categoria, che inidonee all'uflicio della seduzione. Occorre per questo una pieghevole/.za, un'arte speciale nel linguaggio, nel sorriso, nello .sguardo, nelle movenze, cui si ribella la donna forte.

E l'arte sopratutto consiste nel far sperar molto e conceder poco, o magari niente, che, talora, in fondo ^molto in fondo sono oneste, e appunto l'abilità loro s'annida nell'accendcre speranze nell'animo della persona cui si rivolgono |>cr ot- tenere un favore, che torni a vantaggio del marito: che senza il suo aiuto jion può far carriera.

V aiuto-carriera, anche se agisce soltanto per suo impulso vanitoso, per il desiderio in parte giusto di migliorare le condizioni economiche della casa, è per lo meno incoraggiata dal tacito consenso maritale.

E' un male.

Ma il male si accentua, e prende forma disonesta, quando la donna si muove (forse lottò prima di accettare la parie ingrata, compromettente, inde- corosa, però maggiore la colpa di chi la spinge) per consiglio, suggestione, online del marito.

Costui occorre dirlo? è un'anima debole, una coscienza fiacca sempre quando è passivo, un corrotto quando sospinge al male: indegno, se ma- gistrato, d'indossare una toga. O come può egli giudicare gli altri se mette sotto i piedi la di- gnità umana, se schiaffeggia il decoro maritale, se privo d'ingegno, di studio, di amore al lavoro, vuol fare carriera con l'aiuto forzato o compia- cente della gonnella seduttrice?

Perchè, vedete, in generale questi uomini, eticamente poveri, sono pure intellettualmente

Un dialogo sintomatico collo al volo.

K vpro che stanno per nominare cava- liere K** ?

Sicuro: l'ho imparato ora in tribunale.

Oev 'essere un gran valore, perchè altri meno anziani di lui non lo furono ancora...

rhni!

È si o no un giudice di nu-rito?

Ohi si, à una moglie bellis-.in»a.

Che c'entra? Forse à pubblic.A/ioni ?

Lo ignoro: se tu vedessi, è una biondina deliziosa, due occhi cerulei, cerchiati. lanKu;di, che innamorano.

E le sue sentenze?

Ti dico, insomma uno spi' mn.i, la grazia in persona. Vedi, se Mit- solino parla cosi bene i >;n. ...

assolto!

tjuant'arte \

Sorride di conipiacenM se intui-^ce che il imvxm sarà accord.ito. .\ tempo opp<>rtuno arrossire. Oh!, |K)vcrina, le è occorso tanto coraggio per vincere la sua timidità e os;ire di rivolgersi « su-

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periore tanto illustre. Perchè per lei i superiori sono tutti illustri. Sa confondersi graziosamente, chiamando commendatore chi è cavaliere, Pro- curatore Generale chi è magari solo incaricato di reggere una Procura del Re (quanta roba. eh. crea l'economia?! Conosce a perfezione tutto il linguaggio adulatorio. Al momento decisivo, cosi senza averne l'aria, fa comprendere che la do- manda sarà appoggiata (vero o non vero poco cale^ dall'illustre on. X, che è amico intimo del Ministro. « Che vuole? L'on. X** è nostro ami- cissimo: un uomo influente; agisce di rado, ma per noi non so cosa farebbe... e farà quando la proposta parta da Vostra Signoria, che l'on. X** ben conósce, perchè noi gli abbiamo parlato della Signoria Vostra con vero entusiasmo ».

Se trova il terreno ingrato, trova sempre ne suoi occhi affascinanti una lacrimuccia, che lascia scorrere per le gote vellutate, onde sia ben visi- bile la manovra dell'asciugamento, accompagnato da un sospirone lungo, profondo.

Creda, signor commendatore...

Ma, no, le ho già detto che non lo sono.

.Scusi, signor cavaliere...

Neppure, glie l'ho già detto.

{CON uno sguardo carezzevole^ Oh!, un uomo come Lei, lo è sempre, anche se il Governo l'ha dimenticato... ma dirò io all'on. X...

Prego, prego.

Dunque, creda, Ella farà un'opera davvero meritoria.

Capisco, ma pensi vi sono altri i)iii anziani di suo marito, che potreh*)ero, e giustamente la- gnarsene.

È vero, ma il merito...

Ah! il merito... (e non ha il coraggio di affliggere quella bella donnina per dirle che suo marito è un asino).

Dunque via, sia buono...

Vedremo, vedremo...

Sa, mi raccomando, non lo dica a mio ma- rito ; è un passo codesto fatto di mia testa. Po- ver'uomo, lui è così modesto, così nemico delle raccomandazioni ! Chi sa come s'adirerebbe se sa- pesse che io osai venire da Lei.

Non dubiti.

Dunque posso sperare?

Cara signora, le ho detto, « vedremo », mi lasci pensare, riflettere, sentire il Presidente.

Vi fu già.

Cosa jdisse ?

Mi parve ben disposto. Ma tutto dipende da Lei, che è il superiore diretto: poi, sa, la, pro- posta di un uomo illustre come Lei è sicura di riuscita. Si lasci commuovere, mi mandi via con- tenta... {colpo finale]... creda, non avrà a pen- tirsene. Ella può essere sicura della mia eterna gratitudine {sospira languidamente).

Farò quanto posso.

Si, ma mi dica un bel sì. Ahi che grata sorpresa sarà per mio marito... E dolce sogno! ma io oso troppo... festeggeremo l'avvenimento con un pranzetto, lieti se vorrà onorarci della sua presenza. Oh ! cose modeste... in famiglia.

Troppo buona, ma...

Non insisto altro. Ella ha capito il mio de- siderio, e sono sicura vi metterà tutto il suo buon volere per accontentarmi.

Si ^alza, rossa in viso, palpitante, prende la mano del superiore, che stringe nella sua, dopo averla con disinvoltura,' sprigionata dal niveo guanto, e mormora dolcemente, con le rosee labbra un « mi raccomando >• che pare una ca- rezza, una promessa, e sparisce lasciando nel Ga- binetto un profumo di violetta, che per moltu ore ricorda al Superiore la bella donnina, l'aiuto- carriera.

Cha farà questo superiore?

.So che molti, in casi simili, fecero il loro dovere, sottraendosi alle seduzioni femminili, ma di un fatto sopratutto mi occupo, dell'onta che accom- pagna questa donna, dell'onta che copre tutta la figura del magistrato, che ricorre a codeste arti disoneste per riuscire dove mai potrebbe arrivare co' suoi meriti.

È codesta una pagina brutta per quanto piccina della vita giudiziaria.

Gli onesti si diano fraternamente la mano per lacerarla-, e si uniscano onde, per quanto è uma- namente possibile niuno possa più scriverne un'altra.

Quel profumo di violetta, è velenoso: le donne aiuto-carriera, che sono il prodotto della vigliac- cheria maritale attiva o passiva debbono sparire dove debbono imperare l'onestà, e il trionfo del vero merito.

LINO FERRIANI

XII.

IN FERI^OVIA.

(Bozzetto allegro).

I'm i'oiii]i;irt.iii;i'iitii di [nitir.i l'iiissf. Tua ln'lla i- U'ioN :nic I- liioiula signora, la CoiìtessaKhc (VE.schict.i, si aniKiia iu mi ariigolo. Sale il sottotenente l'irò \'alluanra. "

l'ii'iiciliiala insistenti', nn lieve saluto, ed un sor- riso clii' vonvlilie essere l'urlio, ma che riesce sola- mente niali/.insii.

'ifo (a/ Ji"t.'s/n'uo) Dammi un siornale. Ma che Messaggero ! dammi tutti t|iiclli di stamane ! Non hai V Italie: ì Tieni (e siede aprendone uno, lìienOe il convoglio si mei le in violo).

Ebe [tosse).

Ugo {alza gli occhi e sorride),

Ebe (si volge verso il finestrino).

Ugo {a. fior di labbra) Superba, ma bellis- sima! (guarda V effetto al -disopra del giornale; ma l'effetlo è nullo).

Ebe {non si muove). {Passa un lungo silenzio).

Ugo {non può leggere) Badi, signorina, l'aria del finestrino le farà male. La ho udita tossire.

Ebe Grazie, signore {e continua a guardare la campagna).

Ugo {ainnci?ia7idosi) A.nà\2in\o, bella superba, perchè non degnate volgervi? Pure noi... ci co- nosciamo.

Ebe {volgendosi rapidamente e con istupore\ Sì!?

Ugo {con sorriso malizioso) Non devo rico- noscervi?

Ebe Come crede.

Ugo Ho l'abitudine di essere gentile con le signore... e se la mia presenza qui vi pone im- barazzo, saprò sacrificare la felicità di esservi com- pagno di viaggio.

Ebe {animandosi) Siete veramente gentile.

UgO" Dunque dovrò andarmene?

Ebe No... se non temete di annoiarvi.

Ugo Ho sufficiente spirito por credere che non ci annoieremo nessuno dei due.

Ebe Non siete modesto.

Ugo Sotro ufficiale di cavalleria.

Ebe Pardon... non ci avevo pensato... e... dove mi avete conosciuta?

Ugo Come?... non ricordate.

Ebe Non ricordo... bene.

Ugo Non eravate da Doney otto giorni fanno'

Ebe Ah!...

( go Kiruiiiii. r In pranzavo al l.ivolo op- posto con Juliettc.

Ebe Quella bionda ?

Ugo Hionda?... quella bruna; la chanlcnte spagnuola delle l'arielées.

Ebe Sicuro... avete ragione.

Ugo Speravo ve ne foste ricordata. Non avevo più occhi per guardarvi, non osUnti le gelosie di Julielte, e le occhiate torve di quel vecchio che vi offriva la cena.

Ebe Ah ! dunque ci conoscevamo appena di veduta.

Ugo - Per forza! non vi ho incontrala più... Comprenderete facilmente che non mi sareste sfuggita... almeno per un.i cena.

Ebe I.o credete?

Ugo Imtnagino che con quel vecchio le vostre digestioni siano dithcìli, e, che per aiutarle... a qualche vigoroso eccitante... di tanto in tanto... ricorriate.

Ebe Eh già! la vita odierna è tutta a base di eccitanti. Anche la vostra Juliette la penserà come me, immagino.

lìg'o No, no; essa anzi cerca i deprìmenti.

Eie E non li trova?

Ugo Che volete! i tempi sono niuLiti.

Eòe Ma essa è tanto bella!...

Ugo Per carità! è una pittrice insigne; oh! quanto a questo, non ha nulla da invidiare a Tiziano. Del resto a me non piaciono le bninc. Fu un capriccio il quale arrivò naturalmente all'epilogo. E poi, roba estera, costosa, e. pt-r qualità, sempre inferiore .-illa nazionale.

Ebe Grazie per il genero... nazionale.

Ugo Capirete... ma ditemi almeno il vomirò nome.

Efie {/mbarazzata) Jole !

Ugo Jole? splendida scelt.ir'

Ebe Scelta ?

Ugo Ah! non è il nome di guerra? fc [vr.i bello egualmente. Dicovo, dunque, sono caprio i che non durano una stagione. Sono quAsi doveri ai quali dobbiamo sottomottcrci.

Ebe Xoblesse obb/ige.

l go Certo. L'n poco |H:r questo, fe questione di arma. Noi di cav.illeria .ibbiamo tradizioni d.i

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mantenere alte. Ma parliamo di voi. Io sono felice di questo viaggio dove temevo di annoiarmi. E che strano caso! Dove andate?

Ebe In Isvizzera... a Lugano.

Ugo Dal vecchio?

Ebe Già da lui.

Ugo Egli vi aspetta là?

Ebe Si.

Ugo Vi tratta bene il vecchietto... eh!!

Ebe Si, non c'è male... e voi?

Ugo Vado a Milano a passare tre o quattro giorni : di poi andrò sul lago di Como.

Ebe In famiglia ?

Ugo No; un piccolo nido da contessere.

Ebe Bravo ; non perdete il vostro tempo.

Ugo Si fa quello che si può. Ho passato l'inverno a Roma, per le caccie, col corso di ca- valleria a Torre di Quinto. Mi sono fermato ieri a Bologna ove ho molti amici.

Ebe Ed a Roma vi siete divertito?

Ugo Immensamente. Oh ! a Roma non ho bisogno di dirvi quello che si fa. E poi noi di cavalleria, comprenderete, non guardiamo ad un migliaio di franchi di più o di meno, per queste occasioni. C'è tutto l'anno per fare economia; se si vuole ; per me specialmente, che sto in una guarnigione orribile.

Ebe Ma ditemi almeno il vostro nome, anche voi.

Ugo Avete ragione (estrae una carta dal portabigUeiti e la porge).

Ebe [legge) Ugo di Valbianca... Marchese?

Ugo Debolmente (sorridendo).

Ebe Dite pure degnissimamente. Sono feli- cissima di questa preziosa conoscenza.

Ugo Avete un braccialetto magnifico.

Ebe State fermo... da bravo.

Ugo Fatemene vedere un pochino... guar- date cosi...

Ebe No.

Ugo Vi domando tanto poco! il braccio... chi sa quante volte avrete mostrato la gamba !

Ebe Qui non voglio; no... no!...

Ugo Lasciatemi tirare giù il guanto ; di poi starò fermo.

Ebe A voi.

Ugo Che splendore !

Ebe Adesso basta... che sciocchezze!

Ugo E pensare che quel vecchio imbe- cille...

Ebe Oh !

Ugo Andiamo ! avete troppo spirito, e non vorrete farmi credere che questi tesori non li goda che lui... Chi è il fortunato?

Ebe Nessuno.

Ugo Proprio ?

Ebe Parola d'onore !

Ugo D'onore?... Allora non ne dubito

E..., dite un poco... che cosa è necessario, per arrivare ai gradini del vostro trono ?

Ebe Poco e molto. Bisogna sapere... arrivare.

Ugo Audacia?

Ebe Forse... ma... molta; altrimenti...

Ugo Altrimenti ?

Ebe Si rimane al primo gradino.

Ugo Posso iscrivermi ?.

Ebe Provate.

Ugo Credete che abbia chance ?

Ebe Vi rimarrà sempre il tempo di dichia- rare forfait.

Ugo Apprezzate almeno la gioventù e lo slancio di un ufficiale di cavalleria.

Ebe Ma c'è l'avanscoperta prima; ed occorre avvedutezza.

Ugo Opero in terreno cognito.

Ebe Ogni terreno ha le sue sorprese.

Ugo Ah ! Jole Jole ! sei un portento ! Dove hai imparato tutto questo ?

Ebe Nel lungo servizio fra i vostri colleghi.

Ugo Ne hai conosciuti molti ? '

Ebe Pochi anzi, ma... buoni.

Ugo Ed hai lasciato le armi per quell'im- becille ?

Ebe L'ho trovalo più pratico.

Ugo Però, conti di tornare in servizio?

Ebe Forse..., ma di complemento.

Ugo Sia pure. Ma promettimi di riprenderlo con me.

Ebe Proprio con voi ?

Ugo Si, perchè io so apprezzare il tuo va- lore, perchè ti amo di già.

Ebe Cosi presto !

Ugo Si, si, tu superi tutte le donnine che ho conosciute.

Ebe Poverette noi !... ma ne avete proprio conosciute molte ?

Ugo A Roma credo tutte. Parlo della haiiìe; della vostra haute.

Ebe Ah!... s'intende.

Ugo Ma nessuno ti arriva. Dio ! quanto sei bella !

Ebe No, no ; non vi voglio qui: sedete là, al vostro posto, altrimenti m'inquieto.

Ugo Perchè vuoi farmi penare cosi ?

Ebe Perchè non voglio. Amo chiacchierare; mi divertite, non ve lo nascondo, siate dunque compiacente. Non bisogna essere cosi entusiasti... non siete un... raffinato.

Ugo Non mi tengo per nulla di esserlo. Dammi un bacio.

Ebe Ecco, vedete, non badate alla progres- sione. Per un bacio è troppo presto.

Ugo Si è vero. Allora un piedino, quello me lo mostri ?

Ebe State fermo. »

Ugo Ah ! devono essere bellissimi.

Ebe Spero non ne dul)iterete.

Ugo Non ne dubito.

Ebe Allora è inutile che ve lo mostri.

Ugo Ti prego.

Ebe Non insistete. Pensate che se fossero

grandi mettereste me in confusione e voi in

imbarazzo. Sono cose superflue per un giovane ! E proprio nece.ssario cominciare dai piedi ? .Sono metodi già passati ! Tutto questo entusiasmo per vedere un stivalino ! Bisogna sapere frenare il proprio fuoco, e non perdere lo steccato, se no vi esaurirete pri.na di arrivare al traguardo.

Ugo Hai ragione farò la corsa à'tìllenlf.

Ebe Hravo ! cosi mi piacete.,

Ugo Dunque, dimmi, vai direttamente a Lugano ?

Ebe Può darsi che mio...

Ugo Marito.

Ebe ... marito, benis.iimo, venga a Milano, in tal caso mi fermerò per il déjeuner.

Ugo E se non venisse ?

Ebe Farò colezione al Restaurant.

('go E mi i^ermetterai che io te l'ofì'ra.

Ebe Grazie; accetterò volentieri.

Ugo Allora speriamo che non venga.

Ebe Perchè ? poveretto!...

Ugo Andiamo ; se lo dici per compassione, passi. Ma io non ho la modestia di credere che non preferisci la mia compagnia alla sua.

Ebe Non lo nego ; e poi si tratta di un'ora.

Ugo Perchè non resti fino a sera ? C'è un treno alle nove.

Ebe E lui ?

Ugo Ci si telegrafa.

Ebe È impossibile.

l^ìgo Jole, psnsa al mio supplizio, sarebbe una crudeltà.

Ebe Non è possibile, credetelo.

ITgo Mezza giornata per la felicità poi.

Ebe Il di poi mi spaventa.

Ugo Perchè?

Ebe Dopo mi disprezzerete ; non mi ame- rete più.

Ugo No, Jole. \'uoi che sacrifichi tutto? 11 mio piccolo nido sul lago di Como ? Vuoi essere tu, la vita, la luce, l'anima di questi venti giorni di licenza ?

Ebe No, Ugo, non posso

ergo Sei crudele (passa un /ungo silenzio^. pure anche tu sei commossa.

Ebe Sono giovane anch'io 1 So anch'io .so- gnare la felicità in un luogo ove tutto è incanto e sorriso, fra due cuori giovani e amanti !

i 'go Allora resta ; non ti mancherà il mezzo di trovare un pretesto per quel vecchio asino.

£l)e Ugo I non toglietemi l'illusione di poter essere amata come io vorrei.

Cgo No mai, mai ! Il tuo cuore non è stalo

43 sordo all'esplosione del mio affetto e lu invano ti opponi all'impulso del tuo cuore. Ah! io ti amo!

Ebe No, Ugo, no ; non mi toccate.

Ugo Baciami ! baciami !

Ebe {dhnncolandosi corre al finestrino) Non vi avvicinate... se... no... (passa un lungo inler- l'alio. Di poi si trovano seduti entrambi ai lati opposti del compartimento). E cosi ? che fate lii giù ? Non vi ho detto di ricantucciarvi là. Perchè quel broncio ?

Ugo Non c'è più che un quarto d'or.-i. Pro- mettetemi almeno che re.sterete con me fino a sera.

Ebe Perchè volete pensare a questa sera ? Pensate ad ora. Non avete fatto nulla |)er entrare nel mio cuore.

Ugo Che cosa vuoi che faccia qui ? Resta !

Ebe Per farmi perdere il treno ?

Ugo Non ho io già perduto la testa ?

Ebe Pur troppo ! ed inutilmente. Non vi ri- mane più il tempo di trovarla... bambinone !

L go Perchè ?

Ebe Perchè a parte i vostri entusiasmi, siete il miglior compagno di viaggio che m'abbia mai trovato.

Ugo E per l'efietto dell'acqua gelata che hai gettato sul mio fuoco.

Ebe Non è stata poi tanta I Poteva evapo- rare se il fuoco non fosse stato forte.

Ugo Tu ti fai gioco di me.

Ebe No, vi prometto di far colazione un mh.

Ugo Da soli ?

Eòe Da soli.

Ugo In un salottino ?

EJ>e Riservato.

Ugo Oh ! grazie ! Potrò dunque dimostrarti il mio valore sul terreno.

Ebe Però lasciatemi dir\i che un ufliciale <Ii cavalleria deve sapere combattere in lutti i ter- reni.

Ugo ; ma occorre il tempo. Da questo lato sono un Cwutalor.

Ebe Dite pure un... Kabio.

IJgo Non mi m.incherà per questo la tua stima. Oh ! la rivendicherò.

£l,e _ Non ne avete bisogno. Rispetto le opi- nioni, ma vi ricordo il proverbio : * Chi ha tempo non aspetti tempo » i.ti ode il nschùi dstJj T^po- riera).

Ebe Di già arrivati ? Dio mio?... Ugo, quale ansia !

i'go Jole! un bacio almeno.

^ No, Ugo.

Ugo Potrebbe essere l'unico.

Eòe Ah ! è vero I... povero amico... ma spe- riamo di no.

Ugo (mentre H treni) va n/Um/jm/o prcf le faligie di ' '-■ *• ''■•■!■■ >"•• ii<^->>n.i '

44

Ebe {salutando qualcuno al di fuori i Non vedo alcuno.

Ugo Dunque, presto, scendiamo.

Ebe Presto ? adesso ? adagio anzi ; bisogna guardare bene. Volete prendermi quella valigia ?

Ugo Volentieri, certamente. (// treno si è arrestato. Un vigile apre lo sportello d'innanzi al quale si presenta un Colonnello di stato mag- giore).

Colonnello Ben tornata, Ebe ; hai fatto buon viaggio {abbracciandola.)

Ebe (sorridente) Un ottimo viaggio, amico mio : e lo devo al tenente di Valbianca che

ti presento Mio marito il colonnello d' Es-

chieto.

Colonnello Fortunato di conoscerlo e di rin- graziarlo.

Ebe Ringrazialo di cuore, perchè mi ha te- nuta allegra per tre ore ; ed io ho avuto la crudeltà d'invitarlo a colazione.

Ugo {con le valigie in mano) ! ? !

VICEVERSA

Bozzetto allegro).

In vettura chi parte !

Comincia un quarto d'ora prima quell'ani- male! — pensali tenente Bonetto. Ed intanto pas- seggia pensando malinconicamente ai sette giorni di permesso domandati per mandare a compi- mento un'avventura, e compiuti col mandarla a vuoto.

La stazione è quasi deserta; e Bonetto continua a passeggiare pensando amaramente alla caducità feroce delle umane illusioni !

In vettura chi parte insiste da lontano il vigile.

L'entrata di una signora elegantissima distoglie il tenente dalle tristi meditazioni: Come!... Nora? qui?... è proprio lei... ah! no; ma si... certo; e affretta verso lei per salutarla.

Ella con una rapida occhiata dalla testa ai piedi lo ferma, cagionandogli l'impressione di una porta sbattuta sul volto.

Bonetto con passo sicuro devia lentamente, china il capo, si guarda il povero abito civile (il perfetto figurino di Londra, sei anni innanzi), e dice tristamente a stesso : Non deve essere sola ; peccato !

Poi pensa : Peccato ! perchè ? Ella viaggerà in prima classe ; il treno è diretto ; il biglietto di prima classe da qui a Roma costa ventisei lire... fossi matto ! E poi non sarà sola certamente.

Ventisei lire per quattro chiacchiere!... e poi, è inutile pensarci. Non le ho !

'In vettura chi parte !

Il convoglio è pronto : la vaporiera sbuffa fre- mendo : due o tre viaggiatori rurali sono di già saliti : un fattorino erltra con due valigie e le ri- pone in un compartimento di prima classe: indi si presenta alla signora, dalla quale riceve una

mancia, che a giudicarla dalle riverenze deve averlo sbalordito.

Il colpo dello sportello al chiudersi, dopoché la signora è salita, si ripete con triste eco di do- lore nell'anima di Bonetto.

Il signore parte?

Si.

Favorisca il biglietto.

Bonetto estraendo la tes.scra dal libretto ferro- viario, intravede un biglietto da cinque lire; l'ul- timo avanzo della disgraziata gita. Una vicenda rapida di speranza e di rimpianto gli attraversa il cranio. Il capo stazione è in fondo e parla col macchinista. Aflìsrra il biglietto lo stringe con mossa da giocoliere e dice al conduttore con ària energica ed intelligente : Si potrebbe montare in prima classe?

Temo di non fare in tempo a staccare un altro scontrino... e di non avere moneta spicciola.

Il vigile ha percorso in un attimo con un'oc- chiata tutto l'orizzonte ferroviario; afferra la pal- lottolina di carta :

Si accomodi e corre ad aprire lo spor- tello dove è entrata Nora.

Pronti?

Pronti ! partenza ?

L'ansia del conduttore, la sorpresa di Nora, la gioia di Bonetto sono assorbite dal fischio, dagli aneliti, dagli sbattimenti del convoglio movente.

Bonetto sprofondato nella mollezza del divano di velluto rosso, e nella lettura di un giornale già letto, ostenta un'attenzione profonda, mentre

Iiensa: Per quale ragione, essendo sola non ha voluto riconoscermi? Per l'onesta umiltà del mio vestito? Non l'ammetto. Nella stascion'e non c'era nessuno per cui il salutarmi dovesse parerle umiliante. Non le dirò nulla... se non si scuserà.

Nora {tosse).

Bonetto {con gioia, fra sé) Ah I Ah ! siamo già alla tosse! occorre qualche cosa di i)iù ptr farsi perdonare ! (la guarda rapidamente e la trova rivolta al finestrino) Vi punirò con la stessa noncuranza (e continua la lettura).

Passano parecchi minuti. Egli ode la compagna di viaggio tossire altre volte, mentre il divano gli trasìnette fedelmente gualche movimento ner- voso di lei che. tradisce o la noia o il dispetto. Sente già la stanchezza di quella lettura vana e vorrebbe parlare, ma il ricordo dell'affronto su- bito, di quel disprezzo che io' aveva frustato in pieno volto, e la visione di quel povero vestito in- sultato neir onorala vecchiezza, ed implorante ven- detta e riposo, lo tengono ancora mulo. Chiude il giornale e lancia un' occhiata a lei.

Lei {sbadiglia).

Lui (fra sé) Dunque si annoia; {la gioia lo invita a prolungare la vendetta) No; non"le dirò nulla; non la saluterò mai più; nemmeno quando sarò in uniforme {chiude il giornale e lo pone in tasca).

Lki {Lo guarda a traverso la lorgnette).

Lui {resiste e volge lo sguardo con garbata noncuranza : però estrae un altro giornale e si pone ancora a leggere).

Lei {si alza disturbata dal sole che le incendia i bei capelli dorati, e tenta abbassare le tendine: ma o non riesce o finge non riuscire).

Lui {fi"ge non vedere).

Lei {cambia posto e si getta irritata sul- l'altro divano. Pare che il sole alleato a lui l'in- segna per tormentarla ; è costretta a spostarsi alquanto verso di lui).

Lui {gode profondamente : ed intanto senza nascondere la sua allegrezza estrae una sigaretta e la pone alla bocca).

Lei {pensa): Appena l'avrà accesa gli dirò che il fumo mi fa male.

Lli {legge, ma non l'accende).

Lei {passano altri minuti, lo guarda e pensav. E dire che quando è in uniforme ha dello spi- rito ! L'abito non fa il monaco, ma fa l'imbecille!

Pare che l'idea si comunichi a lui, perché i'i quel momento Bonetto scorge che l'abito riflette al ginocchio per l'uso, qualche raggio luminoso, e lo costringe a cambiare la posizione delle gainhc.

Lei {sente il dispetto di quell' indifferenza convertirsi in un acuto prurito all'estremità delle dita, in un ardente bisogno di graffiare qualche cosa e rompe il silenzio): Se vuole fumare, fumi pure, non mi fastitTio.

Lui - Grazie, signora, {inchina prof ondanumte e si rimette a leggere).

I-Ei (fra sé) Finge di non riconoscermi. K' uno stupido permaloso. Che non abbi.! fiamini- feri ? Sarebbe carina I ( Trae da una valigetta uu elegantissimo porta-sigarette d'oro unito con ca tenella ad una scatoletta dello ile s so metallo. JCstrar una grossa sigaretta e l'accende.

Lui {sorride al u per finire del giornale che ha letto già ben tre volte),

Lei {fra sé) .Morirai dalla voglia di fumare se aspetterai che io ti offra il fuoco.

Lti {getta la sigaretta dal finestrino).

Lei (fuma con grande lena ; ma ad un tratto la tosse fTissale. I belli occhi si velano di lagrime. La pe:zuolina di trine si stringe nulla bocca, lilla si agita per discacciare il fumo che offende il volto ; qualche favilla cade accesa sulf abito. f-T un disastro ! Indispettita getta la sigaretta dal finestrino).

Li'i {non s'è mosso, avendola pur guardata sempre).

Lei {fra sé) Neanche una.parola quell'asino! Dio mio ! che pena ?

Lui (torna alla lettura).

Lei {precipitandosi sul giornale lo strappa di mano a lui) Non sentite che ho la tosse !

Lui {senza scomporsi') Senio, signora, ma non credevo che la mìa lettura irritasse la vostra gola.

Lei La lettura irrita i miei nervi. È stato il fumo.

Lui ... che per fortuna non era il mio.

Lei Sarebbe stato minor male se vostro.

Lui Forse non vi avrebbe provocato ìa tosse.

Lei Le vostre sigarette hanno il fumo che non irrita? Sono migliori delle wiiie Tokos f Al

lora perchè non me ne avete offèrto almeno

per sdebitarvi della cortesia che io, per prima. vi ho usato ?

Lui Che" avete creduto usarmi. Io godo te- nere la sigaretta alla bocca ; accesa o non, mi fa lo stesso..

Lei E la gettate quando la ritenete... fumat.> '

\x\ No; quando mi annoia.

Lei È originale fumate come \i.>K-

giate.

Lui No, no. Tutt'altro. Vwmo mkrognilos, ma viaggio in pTinia classe.

liEi Io sono sopratutto gentile. Non Volovo alludere a ciò. Intendevo dire che come trattate la sigaretta, trattate le signore.

Lui Ah !... non le accendo!

Lei Le si>egnete ! Ma via, scuotetevi su. .u oendetemi, fumatemi 1

Lui {Calmo\ Non ho fiammiferi.

Lei V. allora perchè siete montalo qui ? Non

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mi pare cortese lasciare che una signora si annoi, specialmente...

Lui {iìtterrompendold) .Specialmente pe,r me che non ho l'onore... di esserle conosciuto.

Lei {pronta) In viaggio non c'è bisogno di presentazione. È l'uso.

Lui L'uso non è buona legge quando non si sa se si abbia a rispettare un incognito.

Lei Una parola non disturba nulla ; e lascia sempre alla signora il modo di far comprendere ciò che desidera.

Lui Amo non mettermi in circostanze im- barazzanti.

Lei Questo vuol dire che un piccolo imba- razzo non vale il piacere di conversare con me.

Lfi No, no, sono più gentile di quanto mi crediate.

Lei Gentile lo so da tempo. Ma divenite superbo quando indossate l'abito civile.

Lui - (punto, fra se) Non mi perdona questo abito ! (a &/) Non mi conoscete ! Sarei assai pic- colo se un vestito, che uso appena viaggiando, mi rendesse differente da quando indosso pec esempio la marsina {fra sé), Dio dei Marsi, per- donami la sfrontata menzogna !

Lei Alludevo all'uniforme, la quale vi un aspetto superbo.

Lui Ah! l'v^niforme?...

Lei Si, perchè debbo ammettere che il co- raggio di guardarmi con tanta insistenza alla passeggiata, e di farvi presentare a me quella sera al Colonna, e di... salutarmi poi sempre... sorridendo sorrisetti... intelligenti, se non maligni, e di... perchè non dirlo?... di tentare !a corte: il coraggio, dicevo, vi venga dall'uniforme.

Lui No, signora; v'ingannate. Gli è che le signore accettano più volentieri, credo, il saluto di una mano ad un berretto risplendente d'oro, che quello della stessa mano ad un cappello, anche se di fabbrica inglese {/ra sé) Cappellerie d'In- ghilterra non arrossite ! {Guarda il cappello sulla reticella e vede la targa dell' Unione militare, ma si rasserena pensando che ella non riescirà a de- cifrarla). Quando mi feci presentare a voi com- misi un errore. Voi siete troppo in alto per me, o troppo in basso sono io da voi. Questo pen- saste voi ; lo lessi nel sorriso che mi rivolgeste, e non vi avvicinai più. Ritenni quella presenta- zione come un omaggio reso alla vostra bellezza ed alla. mia uniforme; e non ci pensai più.

Lei Neppure quando mi guardavate al corso ?

Lui Allora vi guardava come il poeta guarda la bellezza e la grazia allorché gli passano d'in- nanzi. Il corso? Non andate voi per farvi guar- dare ? E non andiamo noi per raccogliervi, con poca spesa, soddisfazione e vanità ? L'una e l'altra con quella briciola di cortese amabilità con la quale rispondete al nostro saluto ? Del quale <y

siete grate solamente al corso. Fuori da quella passeggiata non vi importa più nulla di noi, ed è naturale; ma è naturale anche che noi ci difen- diamo dalla pietà che sentite per noi e che non ci nascondete.

Lei E perchè dovremmo sentire pietà di chi ci è cortese di un saluto che altri ci nega ?

"Lui E perchè il cuore vostro è fatto cosi : Voi non potete ripromettervi nulla da noi, altro che un omaggio che vi è gradito perchè consacra in pubblico la vostra vanità. Ma vi rammenta anche una grave umiliazione. Coloro che più doverosa- mente dovrebbero rendervi questo omaggio ve lo negano, ricordandovi che se non coltivano il vostro orgoglio, coltivano il vostro facile lusso!....

Lei Che cosa dite mai ?

Lui ... lusso, che per noi socialisti dell'amore è semplicemente insultante!

Lei (spaventata comicamente) Questa frase è anarchica, e non mi avete davvero l'aria incen- diaria ! Meglio così se sono aristocratica.

Lui Quindi non c'intenderemo mai I

Lei Perchè ! anzi dovremmo intenderci. Di- cono che gli estremi si toccano... ma voi volete smentire anche il proverbio. Debbo riconoscere che non mi avete toccato neppure la punta di un dito.

Lui vela toccherò mai ! L'amore, come voi l'intendete e professate, è privilegio di una classe: l'amore come io l'intendo è un aposto- lato. Perchè sono montato in prima classe io oggi ?

Lei Per la briciola ?

Lui No.

Lei Per la propaganda dell'apostolato ?

Lui Forse. Certo per dimostrarvi che se il vostro vestito non fosse inglese puro, e i vostri orecchini non fossero purissimi brillanti, e i vostri guanti non arrivassero al cubito, e il piedino che ijji mostrate da mezz'ora non fosse racchiuso in quella calza seta, ed in quello stivalino di bul- garo voi non sareste una prima classe, ma una seconda, ed io non vi avrei mai neppure osservata, perchè ognuno potrebbe montarvi per viaggiare... male. Dunque vedete bene che in amore, a p.-^rte la differenza della stoffa che copre il divano, la classe dovrebbe essere, come è unica.

Lei Già, come un treno di piacere.

Lui E l'amore non è un treno di piacere? Nessuno commetterebbe per la moglie le corbel- lerie che si commettono per un' amante, come nessuno affronterebbe in un treno ordinario cosi stoicamente il disagio che si soffre sotto la qua- lificazione di treno ^i piacere.

Lei Hanno però il vantaggio dei ribassi.

Lui L'ultima cosa a cui si bada.

Lei Dalle vostre pretese di modestia non si direbbe.

Lui Le mie parole non vogliono esprimere

che la ribellione. So anch'io del resto {si guarda il brillante al dito con ai-ia distratta\ sacrilicare qualche biglietto di banca ad un capriccio.

Lei {avvertendo la distrazione) ma voi

nelle dita preferite la prima classe?

Lui Questo brillante ?

Lei Certamente, il quale è molto bello.

Lui Peuh ! un regalo.

Lei Se non regale, principesco.

Lui E' infatti il ricordo di una principessa russa.

Lei Della quale voi foste un capriccio ?

Lui Un capriccio ?! Eravamo ben più in alto dalla volgarità di un capriccio! Figuratevi, una esiliata per nichilismo.

Lei E... principessa?

Lui Principessa.

Lei Nichil...

Lui ...ista.

Lei Di molto tempo?

Lui Quattro o cinque anni al più.

Lei E' interessantissimo; raccontate.

Lui [fra : Coraggio! i Una donna in tutta l'estensione dell'idea. Bellezza, grazia, forza! Mi amò perchè intravide, o credette intravedere in me l'uomo che avrebbe portato sul freddo cospi- rare del suo sangue, della sua vita, tutto il sole di un'anim.T meridionale!

Lei Siete napoletano ?

Lui No, siciliano.

Lei Raccontate, raccontate !

Lui Eh! mi comprenderete ? Mi amò fino al delirio, fino alla ferocia ! Il nostro amore attra- versava contingenze dolorose, vicende strane! Nelle nostre anime passavano talvolta le gelide ventate delle sue steppe, di quelle steppe ove ella possiede migliaia e migliaia di verste in quel tempo confiscate, o tal'altra le fiamme ardenti del mio Etna ! Nei nostri abbracciamenti, nei nostri deliri balenava talvolta il sinistro bagliore di un pugnale, o l'occhio truce di un poliziotto russo. Negli abbattimenti del sonno ove cadevano lan- guenti le nostre teste, un piccolo rumore ci terro- rizzava. Una zanzara talvolta ha preso l'aspetto di una spia russa.

Lei [commossa sinceramente) Ah ! è bello, è grande !

Lui {fra sé: Forza!) Due anni di spaventi e d'incanti; di gioie e di terrori. Due anime che se non, fossero state le nostre, avrebbero da quelle altezze ove l' amore ci traeva, cercato un solo rifugio : Slanciarsi così abbracciate nella morte.

Lei E invece ?

Lui Ed invece la vicenda politica mutevole come il cuore della donna, restituì a lei beni, nome ed... anche il marito.

Lei {vivissima) E voi ?

47

I.ui ...ed io penso a lei, guardando triste- mente all'arido deserto che mi circonda.

Lei {esaltala) Ah ! deve essere bello sentirsi amare così !

Lui ...da chi sa amare cosi.

Lei ... ah! vorrei anch'io e.ssere amala ni- chilisticamente.

Lui Con l'esercizio potremmo anche arri- varci.

Lei (raffreddandosi) Eh no, purtropjK) ! Il nichilismo è finito ! Voi non siete che un anar- chico, e l'anarchia manca di fascino! Non ha la poesia della persecuzione, del martirio ! Il domi- cilio coattosurrogato all'esilio, alla confisca, puah! .Ma la Siberia ! (esaltandosi. Ah ! la immensa, la gelida, la tenebrosa Siberia! dov'è?

Lui Se voleste fare con me un viaggetto di piacere, vi accompagnerei volentieri.

Lei Tornerei nichilista, lo sento!

Lui E perchè non vorreste meco tentare sino da ora un corso di dilettante nichilista.

Lei Odio le teorie, \e parole, amo..-, la

Lui Niente niente teoria, tutta pratica.

Lei (tornando in terra) Ah ! sempre la vol- gare realità! Potevate lasciarmi nel sogno.

Lui {avvicinandosi , le prende una mano e l'accarezza) Continuate a sognare.

Lei No, no {rilira la mano) Io amo sola- mente colui che sa gettare per un mio capriccio un biglietto da hiille, con la stessa facilità con la quale voi gettate dal finestrino una sigaretta non anche accesa.

Lui E chi vi ha detto che io non la sappia accendere con un biglietto da mille ?

Lei {con aria poco situerà) Non ne dubito, e tanto meno sapendo che non avete fiammiferi, ma altra cosa è accendere una donna.

Lui Voi avete confessato che posso accen- der\'i con lo stesso biglietto vile. Ed io non voglio invece farvi quest'offesa. Ah ! accendervi come una sigaretta ! mi parrebbe di spegners-i.

Lei No, voi siete* montato qui per conqui- starmi dicendomi spiritose scortesie. E bene og^i sistema è buono... quando riesce. Io sono gene- rosa e vi confesso che siete riuscito ' ìtii.t, <. sarmi.

Lui Col biglietto da mille !

Lei Con la facilità con la quale lo gettate.

Lui {plinto^ Dopo avere esaurito i mille la- sciatemi da papà, ora attacco adagio adagio quelli di mammà.

Lei E dopo?

Lui AV aprés... le deluge.

Lei E bene, vedete, quando si tnitta di sim- patia, perchè, a parte U nuovo milione che state per cominciare, voi mi siete sempre stato sim- patico... no, non vi movete cosi presto...

Lui Via, Nora, sentite, lasciamo questo voi-

gare argomento del denaro. Io accarezzo questo soglio da 1111 anno! Ora l'irresistibilità s'impone ed io l'affronto! Voi lo sapete che da un anno vi adoro !

Lei ? !

Lui Non mi dite una parola ?

Lei Io adoro (jual brillante... nichilista ri- dendo).

Lri Ah ! siete di una brutalità meravigliosa! Ma del brillante non ne parliamo^ E' il raggio di un ricordo che vale più della mia vita... do- mandatemi tutto! un cavallo piuttosto ! ' fya sé: Sant'Antonio, perdonami, e fa che quel povero brocco guarisca dalla cronica zoppial)

Lei Avete bei cavalli ?

Li;i Sì, non c'è male (fra sé: Forza ! per l'ultimo colpo). Ho uno splendido hunler, che serbo esclusivamente per le caccie alla volpe: ho Black, che tengo solo per le corse ; ho il poney che attacco, ed ho un brutto ma robusto cavallo d'un migliaio di lire per il servizio (fra sé: Amici perdonatemi se in questo supremo cimento mi approprio i vostri cavalli!)

Lei Sapete che da un mese ho una passione sfrenata per i cavalli; da una settimana prendo lezioni di equitazione.

Lui Sono felice di offrirvi il mio hunler per la passeggiata, o se volete per la caccia.

Lei Davvero ?

Lfi Ve lo prometto. I3a questo momento è a vostra disposizione, [fra : Cuore, non tre- mare;.

Lei Siete molto gentile, ve ne ringrazio.

Li'i Dunque?...

Lei Dunque?

Lui A quando?...

Lei Che cosa ?

Lui La... stipulazione.

Lei ... della conquista?

Lui Questa sera ?

Lei No, domani. Questa sera m'è impos- sibile. •

Lui Allora a domani. Grazie ile bacia la mano).

Lei Aspettatemi all' una al Colonna: Verrò a colazione.

Lui {/renando un' acuta puntura All' una sarò al Colonna, non dubito della vostra parola.

Lei Non ve lo prometterei. ..ma ad un patto...

Lui Quale ?

Lei A Monterotondo cambierete comparti- mento. Mi lascierete sola. Non devo destare so- spetti.

Lui Tutto quello che vorrete. .\ndrò a so- gnare in seconda {il treno rallenta: Monterotondo! Monterotondo!)

Lui [alzandosi] A domani.

Lei (sincera) All'una... conquistatore!

Lui ... seduttrice...

Monterotondo ! Il signore scende ?

Lui Sì, cambio compartimento. Il fumo in- fastidisce la signora.

(// conduttore gli largisce un sorriso intelli- gente].

Lui Grazie.

(// conduttore F introduce in una seconda classe e mette P animo iti pace).

Pronti?

PartenzaT

« Otto giorni dopo »

Sabato, i... 19...

Sabato scorso in casa vostra dicevate che avreste voluto essere un re delle antiche favole per farmi un trono dai gradi d'oro... e tar.te cose vera- mente belle, veramente ben dette, trovaste in omaggio se non alla mia bellezza, alla mia va- nità.

Vi dissi che dovevo recarmi dalla sarta, e che avendo dimenticato il portabiglictti m'era neces- sario tornare a casa... e voi gentilmente... man- daste a chiamare una vettura... perchè non mi stancassi a piedi.

Anche dissi che avrei profittato della vettura per una quantità di spesucce che avrei fatto vo- lentieri in vostra compagnia... e \t)i mi offriste un'altra sigaretta squisita, ma mi diceste, accom- pagnandomi che il giorno dopo vi sareste recato a fare una visita al vostro banchiere, e poi sareste venuto... dirò così... a restituirla a me.

Ora io tremo pensando che do^u la visita al banchiere, abbiate per distrazione acceso col bi- glietto da mille un'altra di quelle squisite sigarette.

La sarta incalza ripetendo che la toiUtle è pronta, ma non la consegnerà se io non le man- derò almeno trecento lire, che voi potrete con- segnare al latore di questa lettera.

Vi la mano da baciare ; la piccola mano che sabato, solcandovi i capelli, vi cagionava vertigini.

NoR.\.

Sabato a sera. Bellissima e adorabile Nora,'

Vivevo da otto giorni nell'azzurro continuando ed eternando con la fantasia addormentata in un molle languore, quel portentoso sogno di tre ore; dimentico, ignaro, inconsapevole di ciò che mi circondava.

La vostra letterina giunge e mi desta, e mi richiama alla realtà.

Ah ! il nauseante denaro ! Io provo in questo momento, insieme con voi, il disprezzo più pro- fondo su quell'ignobile sarta che vi tormenta per trecento misere lire!

Scrivetele, e domandatele come mai non s'ac- corge che ribassando i suoi prezzi ad un terzo essa mette in liquidazione il suo commercio.

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E punitela non ricorrendo mai più a leil...

Ed ora prendo la manina che mi porgete ; la porto alle labbra, e mi addormento nella réverie, da cui la vostra lettera m'ha per un istante, pur anche dolce, distolto!

eternamente deiolo

BOXKTTO.

ARNALDO LAMBERTINI

^^

XIII.

UN RAGAZZO DEI "MILLE

iDal racconto d'una Signora.

Allora andavamo all'Ospedale dei SS. Apo- stoli in due o più signore, per visitare ed assi- stere i feriti garibaldini.

Oh! v'assicuro che non lo facevamo per va- nità di metterci in evidenza, dopo l'opprimente regime familiare de' tempi borbonici, tutt'altro ! ci soffrivamo assai in mezzo a quegli agonizzanti, laceri in più parti del corpo ; soffrivamo tanto che, tornate a casji, addio voglia di pranzare, addio riposo, addio sonno! Gli è che noi non avevamo la fibra virile delle donne lombarde o piemontesi.

« Bell'eroismo! » dicevamo fra noi, sra- gionando — « quelle si lanciano coraggiosamente nelle corsie degli ospedali, noi, invece, senza coraggio, vi andiamo lo stesso. »

Il primo ribrezzo da sormontare ci faceva dire qualche corbelleria: le nostre sorelle d'Alta Italia potevano far meglio e più di noi. perchè con- servavano la calma ove noi tremavamo.

Quando la prima volta mi risolsi d'andare al- l'Ospedale, fui spinta a farlo da una vera loina, Madama O. M., di Francoforte sul Meno, che, di poi, a Napoli, s'è messa sempre davanti a tutte in qualunque pubblica calamità.

Veggo ancora quella sua bionda figura tedesca : lunga, ossuta, andare intrepida per le corsìe, se- guita da' suoi due lacchè, carichi d'ogni sorta di roba, d'ogni specie di soccorsi.

Campassi cento anni ancora, non mi potrebbe mai uscir di memoria il primo giorno nel quale entrai nell'ospedale de' « SS. Apostoli ».

Era il principio d'ottobre dell'anno iS6o, qualche giorno dopo la battaglia del N'olturno. I feriti venivano a carri da Maddaloni, da Capua. La

città era come in fermento, ad aspellar, trepida, finché le prime notizie di vittoria non arrivarono. Allora scoppiò dappertullo il più frenetico entu- siasmo. Ricordo, come in sogno, le principali vie gremite, assordate da gente enfatica, ardent' . commossa, che urlava, che abbracciava le prlnn camice rosse giungenti dal campo, e le bandiere a sventolar gaie dai balconi, dalle finestre, da ogni buco. In via Toledo, era uno spettacolo che non si vedrà mai più!... In quella p.^zza agitazione, i canti patriottici parevan la sola voce umana che erompesse da migliaia e migliaia di petti; un sol nome, allora, faceva battere ogni cuore, inumidire ogni ciglio, accendere di esal- tamento tutte le fantasie: il nome del « Generale '

Quando misi il piede nella prima corsìa di SS. Apostoli, un senso più forte della paura, un'impressione di raccapriccio sta>a per respin- germi fuori. dentro, era un'inconcepìbile con- fusione. .Attraverso alla semioscurità che veniva dai finestroni, rispondenti nelle sudice viuzM del basso Napoli, si discerneva il rosso delle ca- mice che giravano fra i letti, che andavano ptr ogni dove; ed era un gran vociare stentoreo, che accompagnava l'incedere pesante di quei co- lossi sul piancito di marmo della corsia.

Poi, mentre la mano dell'amica mi manteneva ferma sotto l'uscio, dovetti distinguere i letti che s'allineavano lungo le pareti, iK>p<^i"' ■' > facce che parevan fossero allora uscite .! taglia, emergenti tragiche sulla bianch- guanciali. Erano occhi lucenti di febbre, erano ciere esaltate dalle memorie della battaglia. >.■ dai patimenti cW eroicamente sop|X)rtavano : barbe lunghissime, bafii folti, ciglie aggrottate.

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contrastanti con la lividezza delle guance di quei prodi, che comprimevano i dolori, o col tristo color cereo degli altri a cui restava poco da vivere.

Caraccio, qui è il posto iella lonna!

Era la voce di Madama O. M. ; ed io, cercando di guardare il meno possibile intorno, posi il mio sotto il suo braccio, e si principiò la visita d'ogni letto.

Un titano barbuto, ccn la fronte fasciata, sclamò, nel vederci : . Gridate prima : « Viva Garibaldi » !

Vifa Caripalli! strillò la voce esile del- l'amica.

Ammazzatela! è una tedesca! urlò quel- l'arrabbiato, figgendo, come due carbonchi rossi di fuoco, i suoi occhi in faccia all'amica, che di- venne pallidissima; eppure, seppe subito rispon- dere serenamente, mentre da tutti i letti veni- vano sridà minacciose :

. Sì, amico ìiiio, una tetesca, che at(f)a il /ostro Cenrale 1 che fi /noi pene, e che fieiie a soccorrerfi !

Niente da lei ! insistè l'altro, voltandole le spalle.

Allora lalla mia antica, che è napoletana. Incominciai a tremare, ma colui, rivolgendosi,

mi guardò urlando :

Si, si, da quella si!... Viva Napoli! E tutti in coro :

Viva Napoli !

Viva Garibaldi ! gridai io stessa, senza po- termi spiegare Oi'e la sùbita esaltazione me ne avesse fatto trovare il coraggio.

iMa, presto, tutti superarono la repulsione per la Tedesca, che divenne il buon genio dell'Ospe- dale.

Il giorno appresso, entrai in S.S. Apostoli con minor ribrezzo, pareva che tutte quelle figure di gigante.schi combattenti mi avessero rifatto l'animo.

Giungevano gli ultimi feriti, i più gravi.

Dobbiamo assisterli tutti insieme, ma poi dovremo sceglierne uno più bisognoso di cure, e menarcelo a casa diceva Madama O. M., e già designava al capo dei chirurgi l'erculea fi- gura d'un veneziano, che fu disceso nella carrozza, e portato a casa M.

-^Anch'io dovevo sceglierne uno; mi sapevo ancora risolvere; allorché portarono nella corsia l'ultima spedizione che giungeva dal campo.

Guardai i nuovi feriti, ed uno stupore grande mi prese, nel fissarne uno.

E una donna ? domandai al chirurgo che li accompagnava.

No, é un ragazzo di diciassette anni. Disteso nella barella, col capo abbandonato.

, inerte, pareva un cadavere. Bianchissima la pelle; cerea nel viso, quella figura di madonnina aveva risalto dai fiotti di capelli rossi che gli si spar- pagliavano per la testa e lungo il collo. Anche le ciglie eran rosse, e nessuna peluria gli si ve- deva sul labbro e sul mento.

Mentre il dottcfre mi parlava dello stato gra- vissimo di quel ragazzo e dell'impossibilità di amputargli la gamba destra, da cui la palla non s'era potuta estrarre, sia perchè penetrata nel- l'inguine, sia pel suo temperamento linfatico, il ferito aprì gli occhi azzurri come quelli d'una bambina.

Io mostrai il desiderio di portarmelo a casa, ma il chirurgo me lo sconsigliò energicamente, assicurandomi che il resto della vita di quel di- sgraziato, sarebbe stata una agonia lunghi.ssima.

Ella sarà ugualmente pietosa avendone cura qui.

Dovetti cedere, e, presto incominciai a vigilare il ragazzo, aiutata dalle suore di carità, alcune delle quali erano già state mie maestre, quando ero nell'educatorio.

Non appena lo potette, il ferito principiò .\ parlare, con una voce esile, di bambina.

Era di Parma, figlio d'un negoziante ricco e si chiamava Vincenzo Ferretti. .'Xveva voluto arrolarsi per vedere il Generale, e moriva senza averlo visto; ne era inconsolabile. 11 padre si era riammogliato, ed egli ave«a dovuto lasciarlo, perchè soffriva troppo a vedere un'altra al posto della mamma morta. Dacché era partito coi Ga- ribaldini, il padre gli aveva scritto una sola volta, per maledirlo.

E adesso sarà contento della fine che faccio!... Sa, signora? ho fatto anch'io il mio dovere come gli altri. Ero trai primi, avanti, avanti a tutti... e il Generale non l'ho visto. A casa, ho le so- relline piccole... oh. se babbo me ne volesse mandare almeno una!... Ma già! egli non mi perdonerà neppure adesso!...

E piangeva, piangeva in uno stato d'indebo- limento che faceva male a vedersi mentre gli altri lo guardavano con un senso di antipatìa, che egli non sapeva trovar coraggio nelle ultime sofferenze; ne aveva avuto quanto gli altri un momento solo, è vero, ma il più utile. '

Il giorno seguente, gli portai certe camicie di tela finissima, perché quella sua pelle bianca t- levigata mal sopportava la tela da strofinacci dell'ospedale, e misi nel mio sacchetto tanti- altre cosucce che egli mi aveva chieste.

Ferretti se ne mostrò contento come un fan- ciullo, e, con la mia mano fra le sue, riprese a raccontarmi di Parma e della famiglia.

Scrissi al padre, narrandogli a lungo del tìglio.

ed il padre mi rispose addolorato per le notizie, mandando del denaro ed il perdono per Vincenzo. Il povero ferito fu cosi contento quando gli portai la lettera!

Nel di appresso, lo trovai in una ben triste condizione. Tutti i feriti intorno al suo letto, brontolavano perchè Ferretti non sapeva star tranquillo ed incomodava i vicini.

È un guaio 'sto ragazzo! si lamenta di giorno e di notte come un pulcino bagnato, si risolve a morire !

E qui un diluvio di parolacce. Io gridai perchè non lo maltrattassero, feci il possibile per im- pietosirli, ma vi riuscii poco.

Van via tutti! mi diceva lui, con voce più fievole del consueto. Tutti se ne vanno, o guariti, o morti. Quanti ne muoiono!... Quanti !... All'alba, viene il carrettone, e ve li gettano dentro alla rinfusa come bestie!... senza cissel... senz'altro!... Ma io, li dentro, non ci voglio an- dare, a quel modo!... Me lo promette? Mi promette che mi farà costruire...

Avevo un bel ripetergli che guarirebbe!

Pochi giorni dopo, fra gli inservienti e le suore, era un grande affaccendarsi, per render pulite le corsie, per metter ordine ai letti, af- finchè nell'ospedale tutto avesse un aspetto meno squallido.

Ai pochissimi feriti rimasti, s'eran mutate le lenzuola, le camice; pareva li avessero apparec- chiati per una festa. Avevano lustrato financo il pianato di marmo.

Due chirurghi andavano su e giù, impartendo ordini.

Che cosa avveniva?

Avrei dovuto comprenderlo dalle fisonoinie raggianti dei feriti, da quella vita nuova che li aveva animati subitamente.

Ferretti medesimo pareva rinato, gli brilla- vano straordinariamente gli occhi ed un po' di roseo gli era comparso sulle guance smagrite.

Signora!... signora, lo vedrò finalmente! era da tanto che non lo speravo più... sclamò, con una strana animazione nella voce.

Ma chi... chi vedrete?

Il Generale!

Garibaldi aveva voluto visitare S.S. .Apostoli.

Da a poco, fuori, risonarono rumori _di scia- bole e voci concitate, rispettose, mentre, nella via, si sentiva l'eterno grido della folla entu- siasta, che sempre accoriipagnava il Generale.

Una suora mi fece entrare in un camerino posto di fronte al letto del mio ferito, d'onde, inosservata, avrei vista tutta la scena.

Difatti, Garibaldi, accompagnato dal suo stato maggiore, incominciò la visita degli ultimi letti che erano rimasti abitati. Ma finché non giunse a Ferretti, io non potei discernerlo bene; vedevo un grande scintillio d'armi sul rosso vivo delle camicie e sul bianco dei mantelli : nient'altro.

Finalmente, dopo che si fu trattenuto a par- lare a lungo con ciascun ferito, arrivò al capez- zale (ti Ferretti. Allora potei vedere Garibaldi, per non dimenticarlo mai più.

Quella sua stupenda .figura m'è rimasu im- pressa nell'anima, e di l'evoca la mia memoria. Adesso è come l'apparizione in un sogno: i tratti del viso di quell'eroe (|uasi leggendario, mi tornano alla mente per commuovermi. Per me, -la splendida aureola circondante quella testa bellissima di belva generosa, è inseparabile dal- l'immagine dell'eroico condottiero.

Egli s'avvicina, pietosamente benevolo, parla ; io fendo l'orecchio, guardo, e... Miracolo! è un miracolo: Ferretti si leva a sedere (d'onde ne ha trovata la forza?) e si preme sulle labbra la mano di Giuseppe Garibaldi, che la rilira presto.

Son giovane, son tanto giovane, e debbo morire! gli dice. Ieri me ne addoloravo, oggi non più, perchè l'ho vista! Ero fra i primi, sa. Generale? fra i primi, e son caduto innanzi a tutti, gridando il suo nome!... Mi vuol bene. Generale?...

Sì, si, figlio mio!... E la voce armoniosa di Garibaldi tremava, nel domandargli poi : Come ti chiami ?

Vincenzo Ferretti, e son nato a Panna.

Dimmi, Ferretti mio, che cosa potrei fare per te? Chiedimi qualche cosa, figlio riiietè. sedendoglisi al capezzale.

Vo' morire con la sua sciabola accanto.

- Sì, figlio mio, eccotela. E .-^e la tolse per mettergliela allato, sulla coltre.

Ferretti pareva trasfigurato, e volgeva gli occhi intorno, per convincersi che non sognava.

Oh, veli? chi t'ha data la bella camicia che indossi? e questo fazzoletto coi ricami? gli domandò, sorridendo, Garibaldi.

La mia liiamma,. quella che qui è la mia mamma, una signora... se vedesse!...

1^ vo' vedere per ringraziarla.

Non c'è più, è andata via. Credo che avesse paura di lei.

Orsù, coraggio. Ferretti mio, coraggio che guarirai !

Eh, no che non guarirò!

Sì, figlio mio, ti leverai... Ma qualche altra cosa... chiedili» al tuo genei. gli farai piacere.

Ebbene... voglio un bacio da lei.

11 Generale si curvò, e strinse lunp r Ferretti fra le braccia, baciandolo, chi.ir

52

« figlio suo ». e quando si rizzò - lo attesterei davanti a Dio, perchè lo vidi coi miei proprii occhi - Garibaldi aveva pianto.

Egli nell'allbntanarsi, si volse pep additare ad uno del suo seguito il letto del mio ferito, e gli disse :

Coloro che succederanno a noi, potran mai immaginare guanto ne costasse- la redenzione del nostro paese?

E si rivolse per guardare ancora una volta Fer- retti, che giaceva supino, privo di sensi, con la sciabola del suo Generale fra le braccia.

« *

Quando Ferretti rinvenne, mi tru\ó .-.edula al suo capezzale.

Un resto di quella galvanizzazione, che gli aveva dato l'esaltamento, gli tornò nel parlarmi di Garibaldi., di ciò che gli aveva detto; mentre io gli assicuravo df aver tutto veduto ed inteso.

E perchè non s'è mostrata!' perchè mai non è venuta? Oh, signora, quanto rimpiangerà di non avere stretta la mano del mio Generale!...

Ed aveva ragione, difattil

Senta continuò egli, pel ritorno di im pensiero che lo tormentava dal, 'li innanzi. ' Ora io posso morire: un'ultima grazia soltanto debbo chiederle, ma prima ella deve promettermi di accontentarmi.

Glielo promisi.

Io non voglio andare, come gli altri, nel « carrettone », nudo, senza un cencio... ella n\\ deve far costruire la bara, ove, morto, m'inchio- deranno con la sciabola del mio Generale... no, no, faccia a mio modo, senta, noi metteremo la cassa .sotto al letto, ed io le giuro che morirò in pace.

Fu inutile, mi ni/n .-.,niMi.,^v < m.>lto, ed an- dai via.

E non ero sola a soffrire quella forte commo- zione da circa un me.se. Accanto a me vi era una buona creatura, meridionalmente entusiasta, pietosa, nell'ingenuità dell'anima, per quel pic- colo eroe, che agonizzava all'ospedale cosi mi- seramente. Era la mia cameriera, Angelica: una ragazza di sedici anni, clie menavo ogni giorno con me a SS. Apostoli.

Ella, una sera, s'indugiò fuori oltre il consueto.

Dove sei stata? Capii guardandola meglio; aveva gli occhi rossi. Che t'ha detto?

Non potette parlare, scoppiò a piangere.

La sera seguente, dopo la stessa scena, riuscii a strapparle di bocca che il chirurgo le aveva permesso di portare' il gelato a Ferretti, e che quell'infelice ne era cosi contento!...

Bene le dissi una terza sera, mettendole in mano dei soldi Angelica, eccoti la moneta pei tre gelati, ed anche per l'altro di domani. Ed ella arrossendo, posò il danaro sul mio tavolino.

Che significa ! quello è il dono che fa una poverella come me al povero ragazzo. Voi signo-

■*ina, non ci dovete entrare! Me l'abbracciai.

Fui per un paio di settimane in campagna. I medici mi Vi costrinsero, perchè le scene dell'o- spedale m'avevano rovinata la salute. Ma anche li lo spettacolo del morente m'era sempre dinanzi agli occhi.

Il giorno seguente al mio ritorno a Napoli, vennero a dirmi che in sala aspettava un infer- miere de' SS. Apostoli. Credetti venisse ad an- nuilzìarmi che il mio ferito era morto; ma m'in- gannai. l'"erretti era ancora'vivo, e si lamentava perchè non mi aveva più veduta. Mi voleva ve- dere assolutamente per l'ultima volta.

È sempre inquieto perchè dice che, morto. noi lo getteremo nel « carrettone » ; s'è fis- sato in t|uesta idea, e ii^ssimo può rimuovernelo. Chiede un'ultima grazia da lei: una grazia ch'ella gli ha sempre rifiutata : la sua bara, vuol veder- sela sotto al letto, per morir tranquillo. Lo faccia contento, venga per l'ultima volta e sarà proprio u'na carità la sua !

Diedi ordine per la bara, ed .indai, il giorno dopo, nonostante le preghiere dei miei.

Rammentandomene, sento ancora l'impressione di raccapriccio che mi colse in rivedere Ferretti.

Egli era ridotto come un mucchio d'ossicine ingiallite, e, del capo, che gli avevano coperto con un grosso fazzoletto a colori, per l'umido dell'Ospedale, si scorgevano solo gli occhi grandi, velati, senza più luce.

Con uri fil di voce, che pareva un belato atlio- chito, egli diceva all'infermiere :

É la mia signora bella?... Nettatemi gli occhi, che non la vedo!

Poi si persuase di non poteftiii veder più, e, dopo che m'ebbe ringraziata afiettuosamente per la bara, volle un bacio. Io feci forza a me stessa... vinsi il ribrezzo, e... l'impressione di quella frónte sulla mia bocca, mi ilà ancora un freddo nel cuore.

La notte appresso, mori rultin\o ragazzo dei

« MlM.E ».

Lo feci chiudere nella cassa, con la sciabola del suo Generale stretta sul cuore.

Xapoli, I Ottobre iSH-

AMILCARE LAURIA.

XIV.

GLI UOMINI ROSSI.

CAPITOLO XII.

Nel quale si vede come Madonna Luna si diciiiarasse

.nemica di Monsignor Rutilante.

<'«:"a bocca rossa e dei piccoli denti perlacei,

chiese piegando leggermente il capo ad invito :

Poi una chiara mattina, tanto chiara che il Vogliono venire?

lontano mare tutto si rivelava a l'orizzonte, pieno _ Eccoci - rispose Manso Liturgico, e si

di scintillìi come una immensa corazza di metallo avviarono.

brunito che ripercotesse il sole, il cane da guardia Dalla casupola di Èrla alla porta del castello.

abbaiò con tale insistenza che Èrla e Giasmin chiusa ora da enormi battenti che avevano so-

uscironoe si trovarono di fronte- Europa e Di- stituito le antiche saracinesche, correva una viot-

dino- tola mal selciata, fra due basse siepi di canne

Sono loro gli sposi? chiese sorridendo Erla. e lunga forse duecento metri, in salita. Innanzi

I fuggitivi si guatdarono negli occhi e Didino a l'entrata del castello era una spianata alla quale

rispose:. * faceva corona una duplice (ila di cipressi e di

Sì. abeli.

Allora si accomodino. Li aspettavamo. Ho Giasmin corse innanzi. Scalza com'era, pareva preparato quattro stanze vicino alla torre di uno scoiattolo per quelle balze : si affrettò ad destra : vede? quella là.- Sono le migliori e ci si aprire la gran porta grigia, tempestata di borchie troveranno bene. rugginose come l'armatura di un gigante.

Veclendo poi che gli sposi novelli non rispon- Introdusse la chiave, fece forza pieg.indo la

devano, pensò che l'oscura mole del castello persona, girò gli ordigni ch'ebbero stridori acuti,

incutesse loro timore sicché soggiunse : .sostò guardando se gli sposini giungevano, poi

Oh! non ci sono gli spiriti, è vero Giasmin? appoggiando le braccia e il torso, spinse la porta

Xon ci sono gli spiriti glielo assicuro, lo ho dor- che cigolò e si dischiuse.

mito sola, al tempo de la povera marchesa lerò Ritta ora nel gran vano luminoso, con la sua

ancora ragazza e ne sono trascorsi degli anni!^ bella corona di capelli rossi, attese gli adolescenti

ho dormito sola nella stanza dei quadri. Dicono, che salivano l'erta.

è vero, che nella notte si sente urlare e si vedono Entrarono in un vasto cortile chiu.so da un

fantasmi su tutte le torri, ma non diano ascolto. lato da una torre; negli altri tre lati correva un

Noi non abbiamo veduto niente, ed è un pezzo portico oscuro. Le mura si levavan diritte e

che si vive quassù. grigie; rosse in alcuni punti, dove l'opera inu-

Del resto soggiunse se hanno paura raria era in mattoni. Percorsero un andr^Mn-,

\"uriòl dormirà nel castello. chiuso da saracinesche : sbucarono in un conila ito

Oh! non importa! fece Didino punto meno grande del primo; volsero a destra ; s.v sul vivo. una scala a chiocciola e furono in un.i tt r

'Non importa sussurrò Europa. Dalla parte del mastio non si p,-issa -

Allora, Giasmin, va a prendere le chiavi Giasmin rivolgendosi |>erchè la scala è peri- ed accompagna i signori nelle loro camere. colosa.

Giasmin, ch'era rimasta tutta compresa di am- Traversarono una grande stanza pien.i

mirazione e di gioia e s'era ferma a guardare ritoie e di spiombatoi, ridiscesero, videro i

senza batter ciglio, alla chiamata della madre si cortile.

riscosse e andò e tornò in un battibaleno recando Ma questo è un labcrinto ! esclamò Di-

un gran mazzo di chiavi rugginose e dismisurate. dino.

Si fermò innanzi a Didino e, con un bel sorriso Siamo giunti ! rispose Giasmin. -

indicando con la mano : Ecco la scala riprese.

Sotto un arco a sesto acuto, adorno di quattro colonnette appaiate, si intravide la bella scala in marmo, ricca di eleganti balaustrate, della quale saliron due rami e furono innanzi ad una porta dorata che Giasmin dischiuse facilmente.

Aspettino ; apro le finestre disse Giasmin entrando. Udiron nel buio lo stopiccio dei pic- coli piedi nudi, sul pavimento; giunse loro un senso di umidiccio e un tanfo di aria viziata, poi un impeto di luce invase la sala, rivestita di damasco verde e decorata da begli affreschi nel soffitto.

Questa è la sala verde disse Giasmin.

Le loro stanze son per di qua. E volse a destra.

Didino ed Europa guardavano maravigliati e intimoriti la maestà severa del luogo e pareva loro li seguissero sguardi scrutatori e minacciosi.

Poi, come eran rimasti immobili, quasi vinti da particolar fascino suggestivo, Giasmin li chiamò con allegra voce:

Si accomodino. Questa è la stanza da pranzo.

Guardarono. Era un enorme vano con zoccoH di legno alle pareti e decorazioni murali figuranti scene di caccia. In mezzo era posta una inter- minabile tavola di noce alla ciuale avrebbero potuto banchettare, senza trovarsi a disagio, i diecimila di Senofonte: tutt'intorno numerose poltrone dagli ampi bracciali, ricoperte di cuoio nerastro, pareva attendessero gli eroi della gì- gantomachia. Su la parete di fondo era un trofeo d'armi.

Due ampie finestre a sesto acuto, fiancheggiate da graziose colonnette, davano luce alla sala che aveva in una cupa severità e non predisponeva certo al buon umore.

Mio Dio! esclamò Europa stringendosi al braccio del compagn»^ : Questa è una ca- serma ! Io non avrò mai appetito iiua dentro.

Veramente rispose Didino è un po' troppo grande per due ; ma ci adatteremo.

La nonna racconta soggiunse Giasmin e dice cose di verità, ch'ella ha risaputo da' suoi vecchi antichi, che in questa sala mangiava il conte Leone co' suoi signori ed erano più di cento; e dice che i cuochi servivano vitelli interi e pecore e agnelli arrostiti e che si consumava in un giorno il vino bastante a tutto il paese di San Benedetto per un mese.

Entrarono poi nella camera nuziale parata di stofte color rosa, sbiadite dal tempo, biancheg- gianti qua e in contorni indefiniti. Aveva il soffitto a volta. Le voci vi risuonavano sonore, come fra gli intercolunnii di una cattedrale.

E qui dormiranno loro disse Giasmin. Europa chinò il mento al seno e impallidi,

come amor che langue ; Didino volse gli occhi in giro.

Un immenso letto di noce si distendeva sotto il trionfo del baldacchino, sorretto da quattro colonnine nere, a fregi d'oro; un angiolo, a sommo degli archi, reggeva le cortine che con- discendevano in lievi ondeggiamenti a velare i guanciali e le grandi coperte di damasco, ramez- zate d'oro.

Vi fu un breve silenzio, poi Giasmin si avvicinò al letto, alzò le cortine e disse: Guardino, come è bello !

E siccome i coniugi non fiatavano, continuò :

Ci si deve star bene come su le pcime erbe ; come sul fieno fiorito. Aflfondò una mano fra le coltri. È soffice che più non potrebbe es- serlo. Su la lana ci si imparadisa, come dicono su, a San Benedetto, ed ogni sposa da noi fece volgendosi vede? ogni sposa da noi porta il suo sacco di lana perchè i primi sonni siano

•belli.

La paglia è dura; stride. La notte par d'avere sotto il capo un mondo di grilli. .A. volte ci si sveglia di soprassalto che, sa Dio come, pare qualcuno salga sul Ietto e lo scuota. L'altra notte ebbi paura veramente. E scoppiò in una ri- satella breve che le passò rtella gola tremando, le illuminò gli occhi e il viso, riempi l'aria di ini brivido.

Le finestre della stanza nuziale si aprivano su la breve spianata alla quale facevan doppia cofona gli abeti e i cipressi ; oltre i primi colli e le lunghe vallate, si.stendeva nella lontananza l'azzurrg cupn della pianura e la bianca chiarezza del mare.

Se odono rumori la notte riprese Giasmin non vi [)ongano niente. .Su la torre maestr.i. in una vecchia stanza abbandonata, hanno il. nido i barbagianni e le civette. I barbagianni russano come uomini e soffiano. Dicono i vecchi chesoffian per ispegner la luna che li infastidisce. Li odo anch'io dal mio letto, ma ormai ci sono abituata.

Europa aveva ascoltato poco rassicurandosi nel cuore. Manso Liturgico osservava con soverchia attenzione il disegno degli arazzi sfioriti dal tempo.

Visitarono un'altra stanza più modesta e la cucina: un'ampia cucina annerita dal fumo, con una cappa di camino che poteva ricordare l'en- trata di qualche remoto inferno.

Passaron quel giorno parlucchiando, guardan- dosi di rado, turbati dal luogo pauroso come dalla tensione nervosa causata loro dagli avve- nimenti improvvisi.

Manso Liturgico di fronte a l'amor suo era impacciato e goffo quasi dovesse risolvere un oscuro problema impostogli dal Divìn Creatore allo scopo di martirizzarlo.

Come scese la sera assaggiarono appena la Genetta che Giasniin aveva allestito. Europa, perduta quasi in una poltrona da l'ampia spal- liera, di fronte alle finestre dalle quali luceva il pallido cielo, verdognolo a l'occaso, come un'acqua chiara e profonda, guardava pensosa- mente lo svettar lento, ritmico degli abeti nel loro breve semicerchio. Didino, con gli occhi bassi, come immerso in una grave meditazione su l'eternità, tamburinò con le dita, su la tavola, un tempo di marcia.*

Si accendevano i primi sorrisi stelle. Ve- s{)ero già era alto a l'orizzonte, bianco « iuceìite nella dorata diafanità de l'ultimo crepuscolo.

Le lontananze si perdevano sottq l'iniMii^iente dominio della notte. Ancora qualche punto bianco, qualche gemmea cosa ne l'infmito; un bagliore di sogno lontano.

Disse Europa non volgendo il capo, quasi parlasse agli abeti :

Io non ho sonno ! ' ^Mormorò .Manso Liturgico di rimando :

Neanch'io.

Poi si lacqilero di nuovo. Così si sarebbero taciuti chi sa per quant'altro tempo ancora se una porticina nel fondo non avesse cigolato d'im- provviso e Giasmin non fosse apparsa.

Gli adolescenti si volsero di scatto.

Ah ! sei tu ! esclamò Europa traendo un sospiro.

Son io rispose Giasmin. .Ma chi po- teva essere? Nel castello siamo sbli.

Non so.

Giasniin si avanzò lentamente. Giunta vicino a Europa le chiese :

Ha paura?

La giovinetta si alzò un poco su la poltrona e rispose:

No.

Passò un'altra pausa.

Io ho sbrigato le faccende della cucina

Bene rispose Europa.

Posso andare?

Fa come credi.

Come desidera lei, signorina. Vuole dorma nel castello?

Ma... tua madre rimane sola.

Oh! è abituata e non ha paura. L'ultima parola scosse Manso Liturgico che

fino allora era rimasto assorto. Ecco, mostrarsi pauroso di fronte ad una giovanetta non gli conveniva, sicché disse :

No no, possiamo rimaner soli. Vai, vai nel tuo letto e dormi bene.

Allora... fece Giasniin sorridendo. -- Buona sera mormorarono i fuggitivi.

Buona sera rispose la giovanetta da' bei capelli ardenti. E si allontanò guardando gli

ospiti ch'eran rimasti muli r. bandono. Quando fu su l'uscio Europa ^rnJ.. ;

Giasmiiv, Giasmin?

Eccomi.

Breve pausa in cui il pensiero par

Chiudi bene la porta.

Non dubiti. Poi chi vuole venga quassù '

Le precauzioni non sono mai troppe.

Ha ragione. Chiuderò a doppia mandala.

.Ma come? Ci chiudi nel castello? chiese Manso Liturgico scattando. «

Eh! rispose la giovinetu alzando leg- germente le spalle.

E se vogliamo uscire? Giasntin pensò un poco, poi disse:

Senta, la chiave la passerò sotto la soglia e potranno, riprenderla.

Va bene, non te ne dimenticare.

No signore.

.Allora... buona sera.

Buona sera.

E Giasmin si avviò per la ><.-luiiii,j v.puii; m.T non ebbe fatto quattro passi che Europa la ri- chiamò.

Senti, Giasmin, non ci dai un lume?

,Oh perdoni la sbadataggine! soggiunse . sorridendo : Glie lo porto s^lbito... che il lume

è mezza com'pagnììl.

Poco dopo ricomparve recando una vecchia lucerna della quale aveva acceso i tre lacchi. I.a giovanetta aveva sprazzi di luce sul mento, ^u gli zigomi, alla sommità delle ciglia e la dol- .-.-i forte del suo viso, per i contrasti, ri' .)t . mente quasi che un'interna lumin'os;:

Dietro Giasmin si rìdestaron gi.:; ombre enormi che si abbinavano, si 3uvr<ippu- nevano, disparivano animate da una vita inaffer- rabile.

Manso Liturgico guardò con le sopracciglia inarcate, alzando a pena gli occhi.

Non avevi un lume a petrolio? chiese a Giasmin poiché gli lu vicin.i.

No signore. Il CTStello molti anni. Tutto ciò che v'è rini.i-

Va bene.

Giasmin posò la lucerna su la gran tavola di noce, indugiò un poco per alzarci lucignoli, poi disse rivolgendosi ad Europa :

Le occorre altro?

No, grane.

Buona sera.

Buonji sera.

Udirono chiudersi la porM .'cll.i Kiìi t '.'. Irevc scalpiccio della giovati' cora il cigolar delle v devanp la porta d'ingre-^o i!i! vm-I' "o

Altro silei;zio più grave, più lungo del primo ;

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poi, giù per la costa, la voce squillante di Gìasmin cantò l'endecasillabo dei pastori, la semplice in- vocazione :

« Amante! Amante! Ajnore amore amore! ».

Si perse. Gli alberi neri attesero immobilmente la sorella che sorge dai mari, per il suo viaggio remoto.

Europa e Didino si guardarono negli occhi un attimo. Madre Solitudine li aveva avvertiti ch'essi erano liberi come il vento; che, nel grande ca- stello dei Lecci, erano arbitri e padroni poiché , due sofi cuori, ne l'ampio giro delle mura turrite, battevano.. Madre Solitudine li incitò, senonchè i il fuggevole sguardo non ebbe risultato positivo.

Europa si volse un poco su l'ampia poltrona; Didino sentì un fremito trascorrergli le reni sot- tilmente.

Il sonno pertanto esulava dai loro Sensi turbati.

Dalla finestra aperta giunse il trillare dei grilli mariani, de! grilli che vanno fra stelo e stelo, sotto i fiori della menta, col loro timpano d'ar- ' gento a far la serenata alle stelle ; giunse l'aroma dei fieni maggenghi e delle resine dense. Sciami di falene entrarono attratte dalla luce e fecero ghirlanda alle tre fiammelle, come iin nimbo primaverile.

. Europa fissò l'ardente luminosità di Sirio che era apparso sopra gli abeti. , '

E Didino pensò: Che cosa aspettiamo? Perchè non dice ella una pajola? Il suo silenzio è causato forse dal pentimento. Certo, ella è pentita d'aver abbandonata la famiglia, d'esser venuta con me ed 'ora se ne duole e non mi guarda e non mi parla. Ma io non l'ho ingannata; iiuando vorrà ci sposeremo. Io anche ho avuto per lei il rispetto che si ha per una santa e, da quando siamo soli, non le ho chiesto pure l'ombra di un bacio. Dovrebbe amarmi di più; dovreblje apprezzare il mio sacritì,zio e la mia onestà !

Cosi si doleva in cuor suo il giovinetto ama- tore, mentre Europa fissava con gli occhi larghi ed oscuri l'ardente luminosità di Sirio.

E pensava a sua volta : Che cosa aspettiamo? Perchè non nji parla? Non vorrà, spero, ch'io sia la prima a rivorgergli la parola, e non potremo passare tutta la notte cosi ! Almeno sapesse dirmi le cose che mi ha scritto 1. Mi piacerebbe sentir- mele ripetere all' orecchio , sussurrate dalla sua voce. Ma perchè tace e rimane tanto lontano da me? Mi farebbe compagnia... ma così!... , ,E il silertzio continuò ancora finché Europa lo ruppe con una donianda sussurrata a pena:

Che ore sono?

Manso Liturgico alzò gli occhi, sorrise, estrasse l'orologio e lo mostrò senza dir parola alla com- jiagna :

Le dieci? chiese Europa débolmente.

Si, sono le .dieci rispose Didino.

Com'è tardi! rispose Europa.

Infatti... é tardi !

Quand'ero a casa, dormivo già a quest'ora.

Anch'io '.

Non hai sonno? Io sono un poco stanca!

disse Europa chinando il capo con gli occhi molli di dolcezza.

. Lo credo, povera piccola! rispose Didino.

Il viaggio è stato lungo e faticoso, non si arrivava mai ! Anche la .notte scorsa non hai riposato ! Vai a dormire, io rimarrò qui, su la poltrona e ti aspetterò. ^

Europa lo guardò con un senso di maraviglia nuo^a :

Su la' poltrona?

Si. Ci si sta bene. E aggiunse dopo una sosta. Non preoccuparti per me; io dormo ovunque.

La giovanotta ebbe timore che il compagno suo fosfe per davvero più santo di padre Ori- gene. Chinò il capo sul palmo della mano e si tacque.

Il sentimento della sua femmin^ità oflfesa, forse inconsciamente, da l'inverosimile amante, si ri- bellava ora dandole un senso lieve di amarezz.i e di scoramento. Ma come non intendere certe cose? Era egli forse più semplice e più ingenuo di un poppante? E pure pareva fosse chiara l'anima sua e aperta come un sillabario! E puri-, per certi sottintesi giocondamente piacevoli, pa reva... Ecco,, non le era dato tacere perchè !■ si imponeva un dilemma: o Didino voleva pren dersi giuoco di lei, e in tal caso sarebbe stato imperdonabilmente cattivo; o... Non compi il pensiero che il jjudore e lo sdegno le fecer le guance vermiglie.

Manso Liturgico frattanto, pensava che Europa gli avrebbe serbato senz'altro gratitudine im- mensa per quella sua onesta condotta da buon figliuolo.

Ma la giovanetta si levò ad un tratto, quasi scattando, e allun.gò la mano verso il lume, poi si trattenne e, rivolta a Didino, chiese dolce- mente :

Rimani al buio ?

Didino parve non avesse inteso :

Perché?

lo vado a riposare. Ciasmin non ci ha lasciato che un lume.

È vero !

E Didino non pensò alla convinzione di Giasmio, che una lucerna fosse sufficiente cioè a illuminare un amore, si. che esclamò indispettito:

Che asina!

Ma la piccola non supponeva... ribattè calorqsamente Europa; poi si arrestò. Voleva dire: Non supponeva che tu fossi timido e pa- uroso!

Manso Liturgico si tacque per qualche secondo, combattuto fra vari pensieri, poi prese una riso- luzione eroica e disse alla compagna che aspettava: Prendi il lume con te. Europa indugiò un poco come incerta sul da farsi, poi su ogni sentimento la vinse il dispetto e si avviò verso la porta a sagome dorate che immetteva nella stanza nuziale. Lasciò l'uscio socchiuso e disparve.

Manso Liturgico rimase ne l'oscurità; vide però, da uno spiraglio, un lieve chiarore gial- lastro verso il quale gli occhi suoi stettero im- mobilmente fìssi. Gli accadde allora di pensare alle squisite particolarità de l'abbigliamento not- turno, alle dolcezze intravviste, alle cose immi- nenti che danno un senso di penosa aspettazione. Avrebbe voluto avvicinarsi alla porta, furtiva- mente, senza ch'ella nulla intuisse del suo spiare, ma non si attentò. Non era impresa facile e piana quella di avventurarsi al buio nella grande sala. Chiuse gli occhi, volle dormire e il sonno gli fu nemico. ,

Passò così forse mezz'ora e di tanto in tanto sentì un brivido aggricciargli i capelli, alla som- mità della nuca, per qualche fruscio lungo, in- determinato che passava ne l'oscurità, che si perdeva nella notte, lontano. « Ciò che gli avevan raccontato Èrla e Giasmin, le stèrie degli spiriti e dei fantasmj, ritornavamo ora al suo pensiero con impensate particolarità e siccome egli, pur essendo religiosissimo, aveva sempre creduto che qualcosa di vero ci fosse, nei racconti delle vfeioni di spavento, non 'si tro^'ava perfettamemte sicuro, temendo in cuor suo di vedersi apparire innanzi l'ombra di qualche anten.itdl del marchese Barbigi.

Avrebbe dovuto per davvero passare tutta la notte così senza poter sperare in un attimo di sosta ?

Qualche tempo trascorse in cui parve stabilirsi una relativa calma; ma poi, d'improvviso, i battiti del suo cuore si accrebbero intensamente poiché udì ne l'ombra, non seppe bene da qual punto giungesse, un soffio umano, uguale e ritmico come nella gravità del sonno.

Si rizzò un poco sul torso, cercò acuire l'udito e si persuase che non si era ingannato; la sua non era illusione, il soffio ignoto e pauroso con- tinuava chiarissimo e parevr. si avvicinasse.

Avrebbe voluto fuggire, ma dove? E se Euroi^a udiva? Come avrebbe risposto alle sue domande di curiosità? Però la softerenza morale si acuì d'attimo in attimo si che il barlume di ragione che ancora lo reggeva dileguò ad un tratto al-

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lorchè il soffio si converti in mugolio roco. Più non ci vide, si rizzò sotto il poderoso scatto di un impulso violento, aveva gli occhi sbarrati, i capelli irti e gridò per tre volte consecutive, gridò con voce forte e innaturale :

Chi è? Chi è? Chi è?

Il mugolio si tacque come d'incanto, ma dalla contigua stanza nuziale giun.se la voce di Europa, voce alta e turbata :

Didino? Oidino?

Egli si ricompose subitamente :

Che vuoi? rispose.

Perchè urli?

Sognavo!

Vi fu una pausa; poi Europa riprese:

Non sognar più cosi, perchè mi fai paura. Il silenzio ritornò; ritornò la calma apparente.

Potessi addormentarmi almeno! |>ens<'j Manso Liturgico; ma in tale benefico rinjedio non v'era da porre speranza.

Vide svettare le cime degli abeti, nere sul cupo cielo e giunse ad avvolgerlo la brezza dei mw che precorre l'alba e l'annuncia.

Poi "l'inenarrabile martirio ricominciò. Riudl il soflìo ritmico passar nella notte con reiterata ed inesausta lena; poi al primo se ne a_'- ■— un secondo; un terzo, ^n quarto c] fosse su la .spianata del castello un esen : miente.

Più non sapeva ormai qual santo votarsi : tentò la preghiera, e gli 'mori su le labbra; si appellò alle sue energie, ma non posero argine sufficiente al terrore.

.A.d un tratto gli p!in-e scorgere fra le rame protese di un abete, qualcosa di orribilmente rosso, come uno spaventoso fantasma sbucato da l'ombra e àrridiante d'improvviso tutte le cose. I mugolìi crebbero d'intensità, «i moltipli- carono, quasi a festeggiar l'ignota apparizione.

Egli più non vide, più non resse.. Spinse in dietro la pesante» poltrona che ruzzolò al suolo con subito fracassio; girò un lato della tavol i corse verso la stanza nuziale e, allorché fu P' entrare, la porta si apri. Europa appai ve, dol- cissima nel suo costume notturno.

Poi la coppia paurosamente felice <lil'i;u. . Frattantc^ Madonna Luna, salutata dai - barbagianni, saliva sorridendo nei cieli. ' ' che la solitudine non .i\'eva allaccialo, costrinse. E l'amote piacevolmente fu a. le vecchie mura, come si . dabbeife.

ANTONIO BELTRAMELLI

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GLI SPOSI

La madre della sposa, donna Luisa, s'era pur essa agghindata, facendo stavolta riveder la luce al suo abito marrone di seta, ritinto per l'oc- casione, che ricordava alla vedova un' epoca mai più obliata della sua travagliosa esi-^tt-n^a

Così la zia Spaccamonti, e le due operaiette aggraziate.

Senfinchè, la zia appariva come una nota abbastanza triste in mezzo a tutte le altre di qufella sinfonia multicolore. Donna Clementina non aveva voluto lasciare, nemmeno in una simile ricorrenza, la sua veste nera, cucita suljìgurino del Quarantotto, quasi avesse fatto un voto all'Addolorata.

Ella pur nel viso era' triste, quantunque sulle labbra sot- tili, che non avevano mai sa- puto la dolcezza d'un bacio d'amore, apparisse un lieve sorriso stereotipato. Nei suoi occhi c'era tutto un poema 'd'affetto, e splendevano d'una luce ultrainondana quand'ella li fissava sul nipote, di cui intuiva tutta la gioia.

Ahfniè ! Durerebbe quella gioia ?

Aveva un triste presentimento. La notte pre- cedente lo aveva pdito a tossire : la mattina quel suo pallore l' aveva gettata in un vero orgasmo.

Dio mio ! Dio mio ! pregava col cuore che le tremava di paura e col sorriso sulle labbra.

Donna Fortunata fella aveva indossato invece un abito di raso color nocciuola, la» cui vita mostrava le subite scuciture a cagione del suo stato eccezionale.

Uno stato assai poco iìitefessaiite ! aveva sorriso Ciccillo, mirando quel tombolo.

E aveva messo un dolce in mano ai due mar- mocchi di lei, che si sentivano più che mai inceppati entro i vestitini nuovi. Al più piccolo era la prima volta che infilavano le brache e la giacchetta: una vera delizia, per il poverino!

Dove vogliamo andare, per il pranzo? aveva chiesto lo sposo alla Mariella, due giorni

avanti, in presenza del « compagno » Ribolla, che veniva spesso a intrattenersi presso la stira- tora, assai più spesso dell'avvocato, che più positivo, s'era fatta un'amante.

Ancora lì, ai Pirozzoli aveva risposto lei, con la mente ancora inebriata dal ricordo dell'altr.T vita. E' tanto bello, lassù !...

Al Ribolla il sangue die' un tu fio al capo.

Sicuro, sicuro ap- provò subito, credendo che lei scegliesse-di nuovo quel posto per fargli piacere.

E cosi s'era stabilito. Giusta il consueto ormai ne ave- vano acquisito il diritto l'avvocato e il prossimo dot- tore avevano pensato all'oc- corrente per il banchetto non più semi, ma nuziale. Sfido io, chi avrebbe osato a sosti- tuirli .'

A\'rei preferito di an- dare a PoJìUipo chiocdiò

la moglie del Fella, Aicendo gli occhi di triglia al marito. Ricordi come ci divertimmo, il giorno del nostro sposalizio ?

Oh, allora erano altri tempi !... Adesso, a Posillipo, si mangia male e ti spogliano, come ladri di cantonate.

No, no ! protestò anche Luigino Russo, uno dei due giovani del prossimo « .Salone Spac- camonti ». Da Noviello si sta bene. C'è quel vinetto bianco: che ne fate del Marsala ? A Santo Rocco anche si sta be^1issinlo...

E alle Pagliarelle, sopra il Campo ? Ci scherzale I...

Ora è fatto s'afiVeltò a troncare Ciccillp e non bisogna pensarci più. Siete miei invi- tati ? Dunque, venite dove vi conduco io...

È troppo giusto approvò inimantinenti il principale, che divideva sempre le idee di coloro i quali lo invitavano a una scorpacciata.

Non aveva costui le fisime della sua metà, che lo annoiava coi suoi squasilli, dopo tanti anni di matrimonio; ed era del parere di dar sempre |jn po' di gusto a cjii gli regalava magari un solo bicchier di vino.

Quanti saremo, stavolta? domandò l'altro giovine, Eduardo Esposito, mentre la piincipala mal celava la propria contrarietà e guardava di sbieco quel crapulone del suo omo.

Quanti fummo l'altra volta: no? e Cic- cillo si rivolse a donna Luisa.

Aspetta fece costei, numerando sulle dita Mariella, tu, donna Fortunata, Concet- cella, tua zia, Nannina, la madre e il padre di queste due, e son dieci... io, i due giovani, il principale e donna Rosa, e son quindici...

Saremo quindici, come l'altra volta. Il meglio l'avete scordato fece lo sposo. Concettella e la sposa avevano capito, ma nessuna delle due parlò.

Chi?

Com'erano accanto alla finestra, egli accennò in istrada :

Guardate.

Una carrozzella si fermava in quel momento, e le tube lucide dell'avvocato e del Ribolla sbu- carono di sotto il soffietto alzato.

I due amici erano in gran tenuta, con stiffelius e panciotto bianco, e in mano avevano due enormi mazzi di fiori col merletto di carta e il gambo inargentato, che andarono a offrire alla sposa.

Col mazzo, il Ribolla offrì un orioletto d'oro.

Oh !... arrossì la Mariella, confusa.

In qualità di compare s'inchinò lui. Se no, non avrei ardito...

Per carità, don Costanti !... Sempre onore e piacere ! lo imitò, inchinandosi, lo Spacca- monti, veramente commosso.

Dovere, dovere.

Leviamo queste espressioni aggiunse lo Spaccamonti, fedele alla sua origine, in cui lo spagnuolo non era affatto estraneo.

La sposa era diventata come la cravatta del suo prossimo marito. Guardava e riguardava quel gingillo, sul cui tergo era inciso « Ricordo », e sorrideva, con gli occhi in fiamme anch'essi.

\'i piace ?

Tanto!... grazie mille... \'i siete voluto incomodare !... In che modo potremo disobbli- garci?... dopo tanto onore!...

Gli altri restavano mortificati di non aver unito dei fiori a' meschini doni offerti. Chi l'avrebbe supposto? La moda del tempo d'oggi è tanto curiosa !

Donna Fortunata cominciò ad accusare la sta- gione cattiva, gli affari che non venivano, le spese per il prossimo parto...

Oh, lo sappiamo ! rispondeva donna Luisa, commossa sul serio. Basta il cuore.

Frattanto il « cittadino >• Borgotti s'era avvici- nato-alla Concettella e l'anelava complimentando, insieme con la Nannina, del grazioro vestito nuovo, delle belle rose che avevano fra le mani.

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Potrei averne una ? sorrise.

Con piacere !

E una rosa, la migliore, passò nel suo ocxhielto, donde la gardenia fece un'ascensione: quella <lel seno di Concettella, il monte bianco, pen- sava lui.

E a me mi fate star senza fiore ? disse Eduardo Esposito, a Nannina.

Sì. perchè queste tre rose sono unite e non voglio staccarle rispose costei con indifferenza.

Evidentemente, invidiava la sorte della rom- pagna, ma l'altro non si arrese e continuò a fare il cascante.

A proposito si ricordò il Borgotti l'avevo dimenticato... Come farete a usar quel grazioso gingillo ?

S' era rivolto alla .Mariella, mentre Ciccillo ammiccava Luigino Rus.so.

Lo legherò ad uno di questi lacci disse la sposa, con semplicità, facendo scorrere fra le dita un filo d'oro.

No, non va bene, non è «eie. Se vi conten- tate, invece, di questa catenella I...

E la trasse da un astuccio foderato di raso azzurro. Tutti si avvicinarono. Oh, oh, questi poi non l'avrebbero supposta ! Pareva quasi mor- tificato, sulle prime, all'offerta dell'amico!

La catenella d'oro fu lungamente ammirala, fra l'entusiasmo generale, come un minuto prima l'orologetto.

Oh com'è distinta ! Com'è distinta !

E nella confusione, il Borgotti fece scivolare nell'orecchio di Concettella :

L' avevo comperata per te, con un .litro orologio scicco : se fossi venuta a prenderti l'abito...

La ragazza sgranò gli occhi, meravigliata. Non la canzonava ?

Mentre si chiacchierava allegramente di tante cose diverse, i complimenti continuavano ad in- fiorare il bruno capo della sposa. Ciccillo s'im- pazientiva, guarilando ogni secondo l'orologio.

E quando arrivano queste benedette car- rozze ? Sono le undici suonate I

Aveva ragione di essere sulle spine, poveretto; aveva ragione di misurare la stanza in lungo e in largo e di spingere continuamente lo sguardo fuori della finestra.

Erano già andate ad abitar nella nuova casa, le due Percoco : una casetta piccola, a*l un primo piano, ma ariosa e signorile. Per loro che veni- vano, una da un ammezzato e l'altro da una softitu !

La st.mza nuziale, però, era rimasta chiusa. Non doveva aprirsi che quella sera, per ricever>-i gli sposi.

Talché, in quei pochi gionti corei dal quattro maggio, giorno det trasloco, ad allora, la ragaua

6o

e la madre avevano dormito nella prima stanza erano due in tutto in quella stessa prima stanza da cui era scomparso provvisoriamente il letto vedovile, per il ricevimento degl'invitati.

Quel letto sarebbe rimasto per la madre. Ed ecco che tornava dormirvi sola, come dopo la disgrazia del marito.

Adesso, la finestra era spalancata, e da quelle di faccia la gente curiosava.

Giù, avanti al portoncino, i soliti capannelli gestivano, aspettando che calassero gli sposi, parlottando vivacemente, ridendo forte, con la ilarità chiassosa del popolo napoletano.

La carrozzella die aveva condotti i due giovani era ferma all'imboccatura del vicolo, col soffietto per metà alzato, per indicare d'essere già fissata, e il vetturino dava al cavallo baio, tutto lustro nei finimenti nuovi, un pugno di gramigna, che la bestia masticava lentamente.

E come? domandò una donnetta vanno a sposare in carrozzella d'affitto.'

Ma che ! le risposero le altre. Quella è dei due signorini amici dello sposo...

Il più alto, farà il compare aggiunse la cambiavalute, che girondolava in fretta, tergen- dosi il sudore.

E' un medico; un professore /ro/£'.j/a///f... Che vergogna ! Eppoi...

IMa apparvero le due carrozze di rimessa, coi conduttori in tuba e in livrea; e dalla casetta cominciarono a scendere gli sposi, i parenti, gli invitati.

Vedete : la vecchia colla papalina, quella scimmia, è la zia del barbiere.

E' una signora decaduta .'

Ecco la sposa, Mariella la stiratora !

I commenti e le esclamazioni ammirative o derisorie scoppiettavano nei gruppi diversi dei curiosi come altrettanti saltarelli. Ogni vicino aveva messo il capo fuor del proprio buco, e un brusìo alto si levava dai bassi, un cinguettamento confuso dai balconcelli e dalle finestre.

In una delle carrozze prese posto la sposa, fra la principala e la zia, e, dirimpetto, con le spalle ai cavalli, si assise donna Luisa, fra le due apprendiste.

Nell'altra, Ciccillo, fra il principale e il padre di Nannina, e dirimpetto, Luigino, Eduardo e i due piccini.

II resto della compagnia li avrebbero raggiunti all'osteria; mentre l'avvocato e l'amico Ribolla sarebbero andati, come erano venuti, in car- rozzella. •

Quando le tre vetture si mossero, un codazzo di monelli le seguì, vociando : ,

La sposa ! la sposa !

E servì questo per dar l'allarme al resto del rione, che usci sulla strada, nell'epitlemica alle-

gria curiosa, ciie si diffondeva a grado a grado.

Quando passarono sotto le finestre di don Nicolino Scoppa e dell'Amendola, lo sposò levò il capo a guardare.

Era tutto sbarrato.

Se l'ho detto che schiatteranno ! gridò egli alla sposa, la cui carrozzella li precedeva di qualche passo.

E i due amici sghignazzarono con lui.

W:

Dalla Sezione municipale passarono nel palazzo di Donnaregina, ov'è la Curia arcivescovile.

Le carrozze si fermarono nel larghetto ; mentre la carrozzella dei sijrnorini saettava di già verso il Museo. I due amici avevano da sl)rigar prima certe loro faccende : al solito, si sarebbero rivisti all'osteria.

La verità vera Ciccillo aveva rosicchiata la foglia era che non volevano guastarsi lo stomaco in presenza di quegli ipocriti della curia.

."avevano forse torto? Anche lui ne avrebbe fatto a meno, perdio!... .Ma, dato il primo passo... Entrando nella sala indicata dal principale, che era pratico di quei luoghi, la trovarono affollata come di sabato un botteghino del lotto.

Erano parecchie coppie, col relativo contorno dei parenti ed amici, andate per lo stesso scopo; mentre quei pretacchioni, intorno intorno, a due e a tre dietro i loro banchi di noca, se la discorrevano placidamente, tabaccando e tra- scrivendo le unioni.

Tutti oggi si son ricordati di sposare ! osservò Ciccillo, arricciando il naso, quasi fosse entrato in un porcile.

Altro che porcile !

Poi fé' osservare ai due colleghi gli occhi che allargava un di coloro nel domandare a una seducente sposina il nome, la paternità e il resto...

Si lecca le labbra ^— rise Eduardo.

Poveretto I Chissà che sogni farà, la notte...

Va là! vft là! interruppe Luigino Russo. Non fanno la quaresima, no ! I migliori boc- concini sono i loro !

Sst!... corresse donna Luisa, scanda- lizzata.

E che, anche questa è chiesa?...

Un chierico, vedendo il giovine con le carte in mano, gli si avvicinò:

Adesso vi faccio spicciare io... Date qua...

Ecco un altro camorrista soffiò lui nel- l'orecchio diMariella, dopo aver pòrte le carte all'uomo. t

Aggiunse forte :

Senti, amico... Non lì... e accennò il prete di cui parlavano.

Perchè ? sorrise invec» lei, che in quel giorno si sentiva più buona.

Il chierico li chiamò, col gesto, presso uno dei banchi, che parevano quelli delle Assise. Vi tro- neggiava un obeso vicario del Signore, dai modi bruschi e dagli occhi scerpellini.

In quel momento egli e il suo collega l'unico spilungone, questo, fra i tanti registravano il matrimonio di una coppia di mori, brutti en- trambi come il debito, entrambi infagottati nei vestiti nuovi. Lo sposo aveva quattro dita di polsini sulla mano callosa e un fazzoletto di seta per cravatta; l'altra girava il capo a stento, strozzata in una gala di merletti più duri del- l'avorio, che la sarta aveva messi senza risparmio sulla vita di lanetta bleu gendarme.

Rispondevano, alle interrogazioni rivolte loro, in un modo esilarante più delle loro figure, in- ceppati, balbettando.

Il Signore li ha creati e il diavolo li ha appaiati.

Quindi Ciccillo Spaccamonti, di condizione bar- bitonsore, rispose anche lui seccamente e altez-

zosamente alie domand..- dti preti; Unto che coloro gli levarono per un momento gli occhiali in viso, pensando di mortificare r.irroganie.

.Altro che ! Il citladino Spaccamonti fiRlio e nipote di eroi, non ristette dal sorriso s|.rczzantc che gli copriva tutto il volto.

Di 11, sempre dietro il chierico' passarono a un altro banco di fronte al primo, ove Ciccillo pagò quei pochi soldi dovuti, regalò qualche cosa all'accompagnatore e via, di corsa, come se li dentro vi fosse la peste.

Donna Luisa ringraziava in cuor suo la Ma- donna che aveva allontanata una disgrazia : aveva la testa cosi montata quel ragazzo benedetto !

Screanzati ! masticò i! prete obeso, abbas- sando il labbro floscio, e arricciando il mento con la barba di una settimana.

E continuò con sprezzo: * ,

E lo chiamano progresso, questi orbi di casa del demonio!...

PASQUALE DE LUCA

3B^aE!K3CK30C3BC9EK?CK?DK?Cl

XVI.

SONETTI

Estasi sante.

L auiomooile.

Se tu reclini, pallida colomba contrita e smunta, in umiltà la testa si com^ un fior di giglio alla tempesta, se tu reclini, pallida colomj^a

e, pia, congiunte le diafane mani, volo sottile di angiolellì snelli, ti prostri assorta nei gusrdi so^Tani d'una madonna, mite dei capelli

il lume irradia la divina santa qua! prece esali dalle labbra smorte ? Tremante implori. Ne l'aspetto, quanta

compunzione! Ansiosa di tua sorte, entro la gemebonda anima è tanta l'angoscia del peccato e della morte '

Dalle vivide siepi e dai verzieri

.salgono effluvii, che la brezxa espande : intrecciano le nuvole ghitlande, s'allietano i fioriti ermi sentieri.

Tu non vedi e non senti. Nella grande tempesta della corsi i bei mi'trr l'automobile ignora. Son. visioni... sogni diafani e I .

Tu li sdegni, li turbi e \-ai lonuno.

Vertigine. Non corsa ; mai sazio

del mobile mirasgio grigio e \Tino.

Meteora lugubre, auriga strano

e irsuto, ing'anni. in iii.\.sclit>p , 1" «pari'i

fantasma errante dvlTorgi'

Primavera.

I.

È tempo degli augelli e di verdura, di quel che luse ed è bello vedere, del prodigo scialar della natura aperta alla letizia ed al piacere.

Sembri risorta, umana creatura, profumi e fiori anela di godere ! Per la nova stagione, ogni figura si dipinge di gaio compiacere.

Le stillanti fontane, in lor favella si cambiano cogli alberi i saluti. Di gentilezze il prato si constella.

Sul chiaro verde spicca arzilla e snella il gregge a lato, e co' li occhi perduti nel mite azzurreggiar, la pastorella.

II.

Poi che le rondinelle, d'oltremare vanno giubili incontro a primavera ; poi che bianco e cilestro ride il mare e l'alpe s'invermiglia nella sera, sul cielo, lieto delle gemme rare onde si adorna l'Eterna Chimera, perchè con vano orgoglio, vuoi tentare il chiuso enigma che sui tempi impera ? Lascia i silenzi delle cose morte. La gaia scienza ascolta. Esci ed ammira i fecondi miracoli.

Risorte le cernie letizie, nella spira vertiginosa, vìnce la tua sorte l'innamorata allodola delira,

EMILIO RINGHIA

skk:?»

XVII.

SCIOPERO IN SALOTTO.

E, seriamente, a che punto siamo con ((uesto sciopero?

A che punto ?

Perchè, ho letto in treno le ultime notizie : ma non sono riuscito a capire che cosa preten- dano...

Oh, delle pretese! Figurati: si tratta non solo di un aumento di salario...

Già, già, so benissimo; vogliono tornare ai patti... Le .solite pretese; ma...

Ma, quello che è più ingiusto, vogliono, capisci, una rappresentanza per sindacare tutti i nostri atti...

Già, già, so benissimo; ma a che punto siamo?

Chi insisteva per sapere a che punto fosse la situazione era un vecchio milionario , .soprag- giunto da un viaggio in Inghilterra, nel momento in cui ferveva lo scfopero. Per dare un'occhiata cosi diceva aveva fatto una cor.sa a Gaviole: e nel frattempo si proponeva di salutare i pro- prietari che villeggiavano nei dintorni.

L'altro era un vecchio poss'idente che non si «jera, da molti anni, mosso da Gaviole, e che nu- triva un gran rispetto pel suo interlocutore co- smopolita.

Si orano incontrati andando entrambi verso la villa del marchese Màrgora.

Un gruppo d'uomini e donna' sedevano in terra lungo la strada; gettarono un'occhiata sde- gnosa sui due vecchi, senza muoversi.

Dietro a loro veniva, con due manovali, Andrea il ferraio, canterellando a mezza gola, e ascol- tando ì discorsi dei due personaggi.

A metà strada, dalla villa Torriani, usciva una signora.

Senatore, che improvvisata! Viene anche lei dai Màrgora? È arrivato il colonnello, sanno?

L'ottuagenario scopri il capo roseo, e salutò, con la paterna bontà degli uomini vissuti e nu- triti.

Si, cara, vengo anch'io.

Ma che aspetto florido, giovanile! escla- mava la signora.

Il senatore colse l'occasione per cambiare il discorso, perchè aveva notato il fabbro che li seguiva; e con la voce lenta e le parole filate cominciò a parlare della sua salute.

; io spero che questo insegni la mia vita, e non solo le mie idee, ma anche la pratica che ne ho fatta. Perchè io credo d'essere arrivato proprio alla perfezione del genere, e che la gente

possa persuadersi che io pensava bene. Tu vedi, io ho quasi settantotto anni, e son robusto tanto che mi sembra di essere un giovine. Non credo vi sia nessuno che si senta giovine come me. \'edi, quando io cammino, sento tutti i miei mu- scoli in azione. E il mio corpo, non è soltanto robusto, ma è statuario.

Nientemeno! disse la signora, ridendo e appoggiandosi all'ombrellino.

Statuario, statuario, capisci; e bisogna ve- derlo sotto panni. Vedi, la gente si convincerà che il regime che io ho adottato è l'unico vero. Perchè, bisogna pensare al corpo...

Eh mi ricordo interruppe l'altro vecchio, con una voce che metteva a stento le parole l'una accanto all'altra, tremolando come un 'acqua intermittente di polla; eh, mi ricordo quando io ero a Napoli e venne il povero generale I.ivet, e tu facevi il bagno... ti ricordi? quando mi co- minciò quel versamento al ginocchio...

Sicuro. Bisogna pensare al corpo seguitò la florida incarnazione del tempo ; perchè è tutt'altro che lo spregievole involucro che dice la gente; ma è anzi il sacrario dell'anima. Capisci ; quando io sono arrivato qui da Londra, davanti a queste rivolte io mi sono sentito fremere come un giovine. Tutto è in armonia dentro di me. Capisci : tutti i miei muscoli sono in esercizio. Pensa che abbiamo cinquecento muscoli, che tutti richiedono ogni giorno di essere esercitati...

Tutti cinquecento ! interruppe col suo riso cordiale la signora.

Sicuro, tutti cinquecento: si sa, n6n uno per uno; ma oggi contenta l'uno, domani l'altro, si finisce per tenerli in azione tutti quanti...

E me, come mi trovi? chiese la voce intermittente dell'altro vecchio.

Ti trovo abbastanza bene ; ma capirai che fra me e te ci corrono cinque anni ; e poi il mio aspetto...

Ah, tu sei la floridezza in persona, come quando eri gio^-ane, e venne il generale...

hi quel momento, il ferraio li .sorpassò rapida- mentre, e si fermò coi due manovali davanti ai cristalli d'ingresso della villa Mài-gora ; e veden- dovi riflessa la sua persona curva e sparuta, non potè trattenersi dal dare uno strappo rabbioso al campanello.

I tre personaggi si fermarono anche loro, e il servo si affrettò a farli precedere.

Nella villa della marchesa Màrgora vi era un the, in onore del colonnello Piatti, comandante del reggimento destinato alla mietitura.

Si doveva a lui. la sollecitudine nell'invio dei soldati, perche egli si era recato in persona dal

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prefetto, dopo un telegramma ricevuto dal mar- che.se Màrgora. Il telegramma era cosi formulato ; Insieme Irene, pregoi'i insistenza prefetto, ur- genza.

Il colonnello era stato amante della marchesa Irene durante alcuni mesi che era di guarnigione a Roma : quindi si affrettò a telegrafare alla villa Màrgora: Ottenuto prefetto invio truppe. Spero venire persona.

Il telegramma aveva prodotto un vero furore d'entusiasmo, tanto da parte del marchese, quanto della signora, che vedeva spuntar sull'orizzonte i giorni d'amore della capitale.

Essa aveva subito fatto attaccare i cavalli, ed era andata a comunicare la notizia a tutte le si- gnore; le quali ne furono, non solo entusiaste, ma perfino commosse. La prontezza dell'esercito nel tutelare i loro diritti le commoveva : e la probabilità dell'arrivo di un gruppo di unìciali, che avrebbero rallegrata la loro vita di campagna, le riempiva di gioia. Sopra tutte, Fify mostrò la sua allegria, esclamando:

Cosi verranno gli ufficiali! e siccome stava prendendo il vermouth in ghiaccio con la contessa Itta, si alzò, e toccando il bicchierino, gridò con voce argentina :

'Evviva gli ufficiali !

La contessa Itta non si scosse troppo, perchè avendo il marito ufficiale, conosceva ormai la mu- sica delle sciabole, fra gli speroni e il polpaccio, e ne era seccata; tuttavia, siccome vagheggiava al- cune rappresentazioni nella sua villa, non poteva , esser dolente di un aumento di pubblico.

A questo scopo, si era recata, appunto quella sera, da Fify, per persuaderla a prendere la parte brillante in una commedia francese, flella (juale lei si riservava la parte amorosa.

Come vedi, disse avremo anche del pubblico. Dunqueaccetti? *

Si, si, accetto. È in costume o in borghese la commedia?

Ma in borghese, si capisce! Puoi metterti i vestiti che vuoi.

Fify bevve il terzo bicchierino di vermouth dando dello scioccd a suo marito che glielo \o

leva impedire; e. eccitata dalla gioia imp'

e dal liquore bevuto, gettò le braccia al Tony, un grosso cane grigio che la gu col muso ritto, sopra un seggiolino di ferro.

Che guardia mi ha fatto ! disse, baciando i4 cane sul muso. Ieri, passavo vicino a un gruppo di quei contadini che non vogliono lavo-

"rare, e Tony cominciò a ringhiare e a n . i denti. È vero che vuoi beni* a Fify : Tony? diceva, mettendo le n^ninc fra 1 -iv;.; del cane. , ^

Tony sternutò due volte: « scese dalla seggio' 1 sbadigliando.

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Dopo aver portato loro l'annunzio, la marchesa Irene era andata a casa Torriani, poi dal conte Fadda e da! signor Castellari, che erano parti- colarmente interessati all'avvenimento ; e percorse in rassegna le persone incontrate presso di loro, si accorse che ormai la notizia era divulgata. Quando scese dal legno a casa, stanca e soddi- sfatta, sali la scala con maggior fretta del solito, e giunta nella sua camera, sciolse un pacchetto di lettere che datavano da due anni, e che por- tavano la firma voluminosa del colonnello.

Bisognerà fargli un ricevirrlento d'onore ! pensava, nello scendere a pranzo.

Dopo lunghe discussioni, aveva deciso col ma- rito di dare un the, invitando tutti i villeggianti.

11 colonnello Piatti arrivava il giorno dopo col diretto, insieme ad alcuni ufficiali.

Alla stazione trovò il, legno di casa Màrgora con due servitori in grigio, che si affrettarono a farlo salire. Egli si separò cordialmente dagli ufficiali, che erano alloggiati a casa Torriani ; e gettando l'ampio mantello azzurro a lato, si assise, secondando con leggiero moto del corpo, la stratta che i cavalli impazienti dettero al calesse.

Due buoni storni osservò, mettendo il monocolo, e sporgendosi sulla strada.

Poi riprese la sua aria più marziale, vedendosi osservato da alcuni gruppi di paesani, e ristabili l'ordine delle sue idee.

Bisognava, prima di tutto, riprendere le rela- zioni con la marchesa. Sarebbe stato assurdo non approfittare di una situazione così favorevole, di cui egli erfe il vero protagonista, e anzi il sal- vatore.

Dunque, per prima cosa disse fra sé, un Sgomento intere.«sante, che la occupi della mia persona in un modo alquanto drammatico. Ah! il duello con Castelfranco... Va bene. Poi bisognerà mandare gli ordini agli ufiiciali per la collocazione delle truppe. Sarà un po' difficile che quella carne da cannone si avvezzi a mietere e a lavorare; ma un po' di tempo, e tutto si farà. Ma quanta strada c'è ancora? si chiese, guar-

, dando le siepi.

Appunto in quel momento, dopo avere oltrepas- sate le ville Torriani e Fadda, i.cavalli entravano pel cancello di villa Màrgora, smorzando il trotto .sullo sterrato dei viali, cosa che recò un certi) piacere al colonnello.

Mi riceverà subito Irene? pensò fra sé. ' Ma la marchesa aveva creduto più conveniente di lasciargli fare prirna la toilette e attenderlo nel. salotto. Infatti un servitore col grembiule azzurro, lo /ece passare nella camera a lui desti- nata, e si mise ai suoi ordini.

Piatti era abituato a una toilette piuttosto ac- curata.

Svesti l'uniforme: si rinfrescò: si asperse con l'acqua di Colonia che trovò sul lavamani, e dopo essersi squadrato rapidamente allo specchio, restò incerto se tenere o non tenere gli speroni.

Sarà meglio, dopo tutto, un po' di rumore militare.... E si avviò, battendo i tacchi, ver.so lo scalone.

La marchesa Irene lo attendeva, in preda a una certa commozione, giustificata dalla viva amicizia, cosi la chiamavano, che li stringeva. Però, quando lo vide entrare, gli andò incontro con un'amabile indifferenza, e tendendogli la mano, gli disse in francese, che egli veniva a salvare la patria.

Il colonnello baciò la mano della marchesa, osservando, con un leggiero imbarazzo, dissimu- lato da un colpo di tosse artificiale, che era un onore ed un piacere per l'esercito il prestare un servizio alle dame.

Sempre cavalleresco esclamò la marchesa con un sorrìso, inghiottendo la saliva con una leggiera fatica, e sedendo sul sofà.

Grandi novità, dunque riprese il colon- nello, riconquistando la situazione.

.^h, certo; mio marito è in gran pensiero per questo sciopero. Capirete, si tratta di un rac- colto colossale che andrebbe in fumo. È in fondo una ricchezza dello Stato... lo dice sempre Ric- cardo.

Il colonnello non era profondo in questioni , sociali. »Gli parve li per li, che ♦erament^ la ric- chezza non fosse dello Stato, ma del marchese Màrgora ; tuttavia, pensò che molto probabilmente aveva torto e si affrettò ad aggiungere :

Oh lasciate fare a noi ! I soldati sono in- telligenti e mieteranno con facilità. In caso di disordine, faccio suonare un mezzo appello, e vedrete questi contadini diventare come le pe- core, cara marchesa...

La marchesa Irene, sentendosi prendere la mano, la abbandonò, quasi convinta di obbedire a un obbligo di riconoscenza.

In quel momento entrò il marchese, che si precipitò verso il colonnello. '

Dopo tutto pensò Piatti sono vicino a una signora, e posso restare seduto.

Oh, caro marchese, siamo in un casus belli! Il marchese gli tese la mano con una effusione

di viva gratitudine ; ma internamente pensò :

Poteva almeno ^ilzarsi sulle due gambe questo animale !

L'animosità verso il colonnello non gli sarebbe nata certamente per quel fatto insignificante ; ma proveniva dall'avere scoperto in camera di sua moglie dei biglietti di lui, che erano sfuggiti al plico la sera avanti. Quei bigliett> lo avevano

messo al chiaro di una relazione che egli aveva appena sospettata a Roma.

II primo impulso era stato quello di fare una scenata ; poi, da uomo pratico, aveva pensato che il raccolto valeva molto più dei capricci di sua moglie, e aveva concluso che era meglio lasciar andare.

Però - riflettè non mi conviene restar qui sapendo queste cose. V. una parte troppo noiosa. Bisognerebbe potere allontanarsi.

Allora si ricordq che appunto con alcuni altri proprietarii, i più grossi della regione, doveva afidare a Roma per parlare col ministro.

Ah, sta bene cosi. Noi andiamo a Roma a parlare col ministro. Questi qui sbrigano le loro faccende : e il raccolto si salva. Benissimo.

Perciò aveva deliberato di mostrarsi estre- mamente afl^abile, come 1' uomo che ignora tutto.

Strinse vigorosamente una mano e una spalla del colonnello, esclamando :

Me li mettete a posto voi questi ribelli, è vero, caro Piatti ? Vi ricordate le belle .serate di Roma?

La marchesa volle interlocjuire; ma Riccardo la soverchiò con la voce, non facendo nessun calcolo di lei, che in quella circostanza era uni- camente una merce di scambio.

Sapete, Piatti, io vado a Roma per persua- dere il ministro, che è assurdo scendere a trat- tative. Parleremo con alcuni deputati, e il mi- nistro non potrà che cedere. Intanto l'ordine del prefetto è sufficiente per darvi l'autorità di far lavorare su larga scala. I nostrf agenti sono a vostra disposizione per istruire i soldati nella mietitura. Pensate che si tratta di una ricchezza dello .Stato...

Il colonnello, felicissimo di quella immediata partenza, non pensò neppure, come aveva fatto primj, che quelfa ricchezza 'era veramente del marchese Màrgora.

Oh, che peccato! esclamò. Partire! Caro marchese, mi fate un torto...

Il marchese Riccardo accese una sigaretta, strinse di nuovo una 'mano e una spalla di Piatti, e annunziò la sua partenza per la sera stessa.

La marchesa Irene non ebbe neppur la forza di fare le Sue meraviglie.

Quella libertà improvvisa le apriva talmente il cuore alla gioia, _ che, per celarla, prese il pretesto di dover dare degli ordini, e si allon- tanò.

Potete leggere le riviste disse gettando uno sguardo obliquo e ridente a! colonnello.

Piatti ringraziò con un'occhiata che vole%a dire: Ho già scelta la mia rivista; e finse d'jni- mersrersi nella lettura.

Cosi dunque aveva luogo il the d'onore pel colonnello Piatti.

Quando i due vecchi signori entrarono nella sala, la conversazione era già animau e da varii gruppi saliva il fumo delle sigarette.

La sala era di forma rettangolare, molto vasta, con due finestre lunghe che davano sopra una terrazza, e una che guardava il viale.

La conversazione più calorosa si era impegnata ' i^el gruppo degli ufficiali. Si trattava della caccia in Sardegna, e di alcuni (Cavalli, recente acquisto del conte Fadda.

Ma il conte Fadda non prendeva parte a quel gruppo clamoroso. Era seduto con Torriani e duf altri signori di mezza età, che calzavano ghette grigie e adagiavano sulle poltrona un ventre con- siderevole; parlando, con quella voce sommessa, propria degli uomini abituati ai commerci e all.i politica, alla vita seria e pratica, ossia ai proprii comodi su larga scala.

Parlavano con equilibrato entusiasmo del prote- zionismo accordato dal Governo alle nuove indu- strie, lodando la liberalità del Governo, senza dirsene reciprocamente la ragione, ossia i lauti guadagni che loro ne dovevano derivare.

I due nuovi arrivati si unirono a loro grave- mente, accolti con cordialità seria e convmta. Lrano infatti due fra i più grossi proprietarìi. Il vecchio ottuagenario, che faceva le* lodi del pro- prio corpo all'ijigressc^ della villa, risparmiava ogni anilo, delle sue. rendite, trecento mila lire, comprando sempre terra; e il suo compagno, dalla voce tremaftte, aveva il sistema di vendere

il grano in erba a distanza di i^-e anni, perchè non subisse diminuzioni sul mercato.

Che còsa c'è di nuovo da Amburgo? chiese al conte Fadda. . t

.'\h senatore rispose Fadda, paJssando la mano iVa i ciondoli... collocato.

.\lludeva a dei forti capitali che egli aveva col- locati presso la Banca d'.Amburgo, per timore di una rivoluzione in Italia.

Bene, bene riprese l'ottuagenario, strin- gendo la majio ai due signori dalle ghette grigie, e chiedendo a uno di loro: Cqme mai or»: serio? Siete. di mal umore?j ,

L'altro ebbe uno sguardo d'intesa ct>n lu\, «he voleva dire : Non toccate questo tasto.

II suo comiwgno dalle ghette grigie ave\.\ i latti perduto a -Montecarlo qu.-i.si luticele rt

.dell'annata; ed era |ier giunta irritato con' Comune, che non voleva riparargli certe ^t e situate<nei suoi fondi.

L'ottuagenario fìnse di comprendere, e : salutò con la mano il figlio del >:.->n;v F- era, insieme ad alcune signo-

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mente presso la finestra che dava sulla terrazza degli oleandri. Egli parlava a voce bassa, quasi isolandosi, con Miss Everett e una signorina Torriani.

Era un gigvane non molto alto, pallido, che portava i baffetti ritti e una invariabile impronta di vita vissuta nel mezzo delle sopracciglia.

Egli si atteggiava sempre a uomo che ha molto goduto e molto sotì'erto, e che, per conseguenza, è affetto da una speciale infelicità psicologica. Egli aveva l'abitudine di dire che qualunque in- felicità fisica è un nulla di fronte .a un dolore dello spirito; e con ci^ voleva alludere costante- mente a una sua passione, ormai celebre fra i co- noscenti, verso una giovane cantante che l'aveva .abbandonato. Per riavvicinarsi al marito, la gio- vine aveva deciso di abbandonare gli amanti : e di ciò il gioviqe Padda era rimasto così addolo- rato che aveva pensato di suicidarsi. Ma poi de- cise di rimettere il suicidio ad altra occasione ; e frattanto andava trascinando per le conversa- zioni il suo dolore misterioso, che Io circondava di un silenzioso rispetto. Tutti ammiravano in lui quell'impronta di sofferenza ijiterna e quel ri- serbo nel non accennare neppur di volo ai danni finanziarli subiti durante la sua passione. Egli aveva consumato le rendite di due anni nel col- mare di doni la cantante, che l'aveva ricambiato con ingratitudine.

Ma questo egli non lo diceva; lo lasciava con- cludere agli altri; pago soltanto di avvolgersi in un dolore misteriose^ ,

Bisogna vivere, vivere ripeteva lenta- mente a Miss Everett per convincersi che l'infelicità psicologica è molto superiore a quella fisica. .

Oh, certamente rispondeva la* Miss ; vi è anche un libro... Vado a prenderlo.

' No, Miss disse il giovine Padda, con un sorriso calmo e ra.ssegnato. Non serve.

Dicevo aggiunse, rivolgendosi sull'avam- braccio anche verso la signorina Torriani che le sofferenze dello spirito sono molto più crudeli di ([uelle del corpo. Uno di questi contadini che non abbia che un pugno di farina, è molto meno infelice, di me, ve lo assicuro.

Miss Everett aggiunsi- :

Naturalnvsnte,!...

Essa era una delle ammiratrici più calde del giovine Padda e della sua eleganza inglese nel vestire.

Petchè non cambiate stato? chiese con una punta d'ironia Panny Torriani. Mi piace- rebbe di vedervi mietere...

11 giovine Padda si accorse che Panay voleva ferirlo; ma con un sorriso "'indulgenza si alzò sulla vita, girò gli anelli nella mano, e fissò gli occhi fuori della terrazza fra gli oleandri.

Intanto una gran risata scattò su dal gruppo delle signore e degli ufficiali. Fify, che aveva stretta grande amicizia col tenente Verri, gli aveva soffiata la polvere della sigaretta negli occhi, e il tenente le aveva afferrate le mani, dimenando la testa.

Sputate, sputate gli dicevano.

Ma che sputare! non ci vedo più. Mi avete acciecato, signora Fify.

Pify rideva, e cercava un'altra sigaretta.

Il giovine Padda si accosjò ; si accostarono i vecchi milionari. Miss Everett, Panny Torriani, i due signori dalle ghette grigie. ,

.Sputi, sputi, lenente...

Il tenente sbarrò gli occhi infiammati, e vedendo tutti intorno a se, esclamò ridendo:

Signori miei, mi auguro di avere tanti as- sistenti sul campo !

L'uscita fu accolta con molto plauso, perchè quasi tutti erano fervidi partigiani dell'espan- sione coloniale; specialmente i due signori dalle ghette grige che mandavano in Africa le loro derrate.

In quel punto entrò il cameriere, e chiamò in disparte il marchese Màrgora, parlandogli al- l'orecchio.

E una bestia esclamò il marchese, facendo atto di uscire.

Che cosa è successo.' chiese la»marchesa Irene.

Il fabbro non è capace di aggiustare l'auto- mobile. Ora vado io.

Che pazienza ! osservò la marchesa Irene.

Il colonnello Piatti pensò che quello era il mo- mento opportuno per ritirarsi, e pi-endendo fra le sue la mano della marchesa Irene, disse sorridendo :

Ci rivediamo a pranzo, cara marchesa: ora dobbiamo andare sui luoghi per verifiche.

Il suo aiutante 3i campo s'irtchinò con forza ; e il colonnello prese commiato dagli astanti.

Prima ad uscire fu la contessa Itta, che ripetè a tutte le àrniche le esortazioni e le notizie intorno alla commedia, che stava organizzando nella sua villa.

La contessa Itta aveva fatto rizzare un piccolo palcoscenico nel suo giardino ; in un lato com- preso fra la fiancata orientale della villa e il muro di cinta.

\'i era un largo spazio capace di un centinaio di sedili, più che sufficiente quindi per gli spet- tatori.

Per varie settimane non seppe concepire altro. _ Non solo durante la giornata, ma anche nella notte, la sua mente era occupata da quinte, scene,

costumi, lumi, ribalte. Era un'impresa colossale: bisognava scrivere da tutte le parti : alle amiche delle città vicine, per i costumi ; perchè quei pochi che possedevano, non erano adatti. .Si era proposta di rendere lo spettacolo un vero modello di eleganza : e aveva incaricato il giovane Padda, profondo conoscitore dei repertori da demi-thcàtre, di scegliere le produzioni più ricche di parti femminili.

Pensate, caro tenente lo chiamava cosi per abitudine che vi saranno anche gli ufficiali del 22° fra gli spettatori. Non dobbiamo fare cat- tiva figura.

Il giovane Padda prendeva sempre queste cose sul serio ; e aveva fatta una gita apposta a Milano presso alcuni suoi amici per consultarli riguardo alla scelta. Tornò, carico di fascicoli e di libretti, dopo una settimana, e prese stanza in^ una sala terrena della villa Torriani, che deminava alcune aiuole di fuxie, fiore che egli preferiva sopra tutti.

-Spesso Fify, che veniva a vedere il progresso dei lavori nel giardino, si introduceva nella sala, e vedendolo rivolto verso le fuxie, intendo a leg- gere gli spartiti, gli tirava il ventaglio o il faz- zoletto, obbligandolo a voltarsi verso di lei.

Il giovane Padda la .salutava in francese, con un sorriso molto pallido, pjerchè egli odiava tutta le espressioni eccessive del sentimento.

Pify che era sempre libera, stante l'assenza di suo marito che girava in campagna più in traccia _di sassate che di aftari, gli si metteva accanto e pretendeva disturbarlo, facendogli vento o chiu- dendogli improvvisamente le persiane.

Ma il giovane Padda compativa quei picpoli scherzi e obbligava Pify a mettersi a sedere.

Ascoltate, petite-amie le diceva questa scena. E leggeva una scena, mólto sostenuta, che egli si proponeva di recitare con Pify e la più giovane delle Torriani.

Fify stava ad ascoltare per qualche minuto: poi gli batteva il ventaglio sulla nuca, e i guanti sui baffi: e scappava via ridendo...

Méchante, petite-amie! esclamava il gio- vane Padda, rialzandosi i baffi, che egli non avrebbe mai sofferto abbassati di mezzo centi- metro.

Fify infatti non poteva perdere il tempo.

Doveva trovarsi in casa Padda per una que- stione estremamente interessante.

La contessa Virginia Padda aveva indetta una adunanza fra le sigilore villeggianti, per stabilire definitivamente il genere di toilette da adottarsi in tale circostanza.

La cosa non era semplice; si trattava infatti, non solo dello spettacolo nel giardino, ma anche di un the nelle sale terrene di vill^ Torriani, se- guito da quattro salti, come diceva la contessa

Itta : quattro salti che poi si sarebbero trasformati in una vera e propria serata.

Pify trovò le signore già radunate. La contessa Virginia Padda distribuiva le lazze; e accolse Pify con un amabile rimprovero.

Ma guardate! si tratta di un'adunanza so- lenne, e tu vieni in ritardo; e Fanny Torriani non _fa che parlare, da un'ora, di scioperi e d'altre .sottises. ,

Fanny Torriani proruppe in un piccolo ris-j nervoso, e si tenne fra le labbra una frase che avrebbe prodotto un disastro. .

Miss Everett sbirciò Fanny con aria di rim- provero, pensando che quel contegno sarebbe stato certamente biasimato dal giovane Padda.

In quel momento, entrò la contessa Itta: e il giovane Della Staffa si affrettò subito a mettersi in posa di complimenti.

Ecco chi risolverà il problema... Sorse un vociferio confuso.

Tu che sei a capo dell'impresa teatrale ri- solverai... — esclamò la contessa Virginia. Si tratta di sapere quale toilette si deve adottar'.- per le tue serate.

La contessa Itta si mise a sedere con un certo sussiego.

In fin dei conti, si sentiva la protagonista di tutti (luesti avvenimenti e poteva dettar legge.

Non sta a me, vl-ramente, M dirlo...

Decolleté interruppe .Miss E\'erett ; acuì il giovane Della .Staffa rivolse uno sguardo ridente di stupore.

Su questa parola, le discussioni si impegnarono. Chi sosteneva il decolleté; chi la mezza toilette chi la toilette da passeggio.

Fra i disputanti, la -contessa Virgìnia andava v veniva con aria trionfale, lietissima che la con- versazione avesse presa un.ì piega cosi vivace. Per conto suo era tranquilla, perchè sapeva che era venuto a Gaviole uti conimes.so di Milano con abbigliamenti all'ultima moda, che vendeva a prezzi abbastanza moderati. .A.veva già convinto suo marito di acquistarle una toilette bolero bianca pailleté, una rarità del genere, che costava cin- quecento lire.

Il commesso si chiamava il Fischio, percii' aveva l'abitudine di carezzare con uno zufolio ogni su6 articolo di genere.

Peccato che non vi sia ilVronte Padda, che conosce gli usi di Parigi ! os-servò Miss Evenni.

Il giovane Della Staffa, che era vice-presidente di un'associazione monarchica, interloquì :

Credo che possiamo benissimo risolver,- questa quistìone in Italia; .Anzi «propongo al! i contessa Itta di abolire il vino francese...

Ma io volevo ^qlo dare il the... osservo la contessa Itta, agitando il veiUaglio. l-i testa le cominciava a girare, nerclu- .iveva dovuto sur

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ferma in giardino al caldo per un'ora intera, in- sieme all'ingegnere Ercolani, attorno al palco- scenico.

Insomma, l'argomento da esaurire è quello della toilette osservò di nuovo la contessa Virginia. Mi pare che...

Peccato disse Fanny Torriani che quell'agente di Milano... Come si chiama?

'Il Fischio disse Miss E\;erett.

Già, che il Fischio sia partito.

La contessa Virginia aveva in mano una sfera

'di cristallo piena di biscotti Huntley-Palmers; a

quell'annunzio, la sfera le scivolò di mano sulla

tavola da the ; e con la faccia inebetita, fissò

Fanny dentro gli occhi.

Che cosa è successo? chiese Fanny ri- dendo.

Partito... partito... il Fiscl^io?

Si, ha fatto sciopero anche lui... riprese Fanny, ridendo disperatamente.

Ma che sciopero! la contessa. Virginia non scherza, interruppe il giovane Della .Stafla, che era fidanzalo di Fanny e poteva spiegare una certa autorità: Ti chiede se quell'agente di Milano è davvero partito.

Un silenzio glaciale si diffuse nella sala.

L'origine di questo silenzio non proveniva dal tofio severo» dfl giovane. vice-presi3ente, da un po' di rossore di Fanny, ma dal terrore che aveva invaso tutte le signore presenti, a quel- l'annunzio. Tutte avevano accese le loro speranze intorno al Fischio.

La contessa Virginia sedè sul sofà ; si soffiò il naso e chiamò Ernestina, la sua bonne; e le bisbigliò una parola nell'orecchio. ' Ernestina si allontanò : ma vedendo che non tornava, la contessa Virginia si alzò, e scomparve dietro la portiera. Tornò poco dopo col volto più rischiarato: aveva aspirato l'aceto balsamico.

Il giovane Della Staffa non poteva permettere che si prolungasse un simile equivoco.

Uscì rapidamente, dicendo:

\'ado a informarmi.

La contessa Virgìnia ebb? un nuovo accesso nervoso: questa volta di tenerezza. Si coprì gli" occhi col fazzoletto e cercò di essére disinvolta. . La conversazione riprese a poco a poco, ma la contessa Virginia era lontana ton la mente. Se- guiva passo passo Della Staffa; lo vedeva in traccia del Fischio, salire, scendere...' Pove- retto, come è gentile ! ^ mórmòraxa fra quella sciocca di Fanny è proprio indegna lui. Che prontezza! Ma tornerà? Sarà partito? Dio, che pena !

Mentre si isolava in quelle ritìes:?ioni, il came- riere alzò la portiera é annunziò che il viaggia- tore era agli órdini di Sua Eccellenza.

Il giovane Della Staffa, per far meglio assapo-

rare la sua cavalleria, aveva creduto bene di non tornare.

Passi pure.

Passare? chiese il cameriere.

Si, che passi, che passi ! insistè la contessa Virginia, coprendo con un tono d'impazienza la sua gioia smisurata.

Passi! gridò il domestico nell'anticamera. Un uomo seguito da due ragazzi carichi di

scatole di tutte le dimensioni, si affacciò alla porta. Tutte le signore si .alzarono in piedi. Il Fischio s'inchinò, e fece cenno ai ragazzi di de- porre le scatole.

Non è finito... disse, rivolgendosi seria- mente alla contessa. >

I ragazzi uscirono, e introdussero un altro carico di scatole...

Presto, le altre...

I rao;azzi uscirono, e deposero sopra le prece- denti, altre scatole.

La pila era imponente ; e il Fischio cominciò ad aprire la prima, con un leggiero zufolfo

Tutte le signore sorridevano.

Fanny Torriani, nell'uscire con Miss Everett, era cwpa. Tutta la 'giornata non s'era potuta liberare da due occhi che la fis'savano con una pertinacia irosa, superba : gli occhi di una con- tadina in cui si era imbattuta al mattino. Stava innanzi a una casupola, attingendo acqua da un pozzo, e Fanny passando, le aveva chiesto se era passato il fattore.

Non lo so le aveva risposto la giovine,', ferendola con Io sguardo, e voltandole le spalle.

Fanny era rimasta di sasso. Doveva dunque essere molto adirata con lei, se le rispondeva posi. Che cosa le aveva fatto di male?

La contadina s'era allontanata: e allora Fanny aveva voluto entrare nella casa.

Era la prima casa di una viuzza del paese, .sudicia, in mezzo alla quale correva sempre un rigagnolo d'acqua di fogna.

Vinse un certo sgomento, e posò il piedino calzato di bulgaro, sul^ scaletta di legno.

Nessuno comparve.

Siti pianerottolo, vi era una cesta rotta e delle zappe senza fusto. Entrònella stanza che serviva di aicina, e vide un mucchio stràcci in un angolo, da cui usci un lamento. Era un bamJ)ino di due anni con la febbre. Fanny si curvò sugli stracci, e senti dietro a dei passini rapidi <}\ piedi scalzi. Si voltò; era una bambina di sei anni, che la guardò con gli occhi smarriti ; e vergognosa si puntellò alla tavola, inarcando un piedino, e abbassando gli occhi.

Sulla tavola si vedevano i resti del desinare.

delle mele cotte guaste, e dell'acqua, gialla come l'orina. .

Hai mangiato quelle cose li ? chiese Fanny arrossendo.

La bambina non rispose. Fanny le passò una mano sui capelli. La bambina guardò il suo braccialetto con stupore; poi inghiottendo a fatica la saliva, disse:

Mi fa male la gola.

Fanny le osser\-ò la gola, e le disse che era una glandola gonfia.

La bambina diventò seria e triste :

Ma non m'importa di morire disse perchè si starà meglio.

Fanny l 'accarezzò ancora.

Non è nulla, sai, disse per confortarla; e le versò nella manina quanto aveva.

Intanto si udì di sotto un vocio. Venivano al pozzo ad attingere acqua.

Fanny s'affrettò a discendere. Credette di dover essere ingiuriata, maltrattata; si dispose a una specie di difesa. Avrebbe lasciato braccialetto, anelli, tutto...

Vide invece molti occhi che la fissavano, con meraviglia quasi altera.

Alcune donne bevevano. Ella si avvicinò per esaminare quell'acqua, che era gialla e putrida.

Altre donne si affollarono intorno al pozzo : faccie gialle consumate dalla febbre, dove i linea- menti andavano perdendo ogni bellezza; e resta- vano gli occhi soli, luminosi e soavi, perfino nel raccontare la loro miseria.

Una di loro aveva la bocca rovinata dalle febbri ; e alcune altre, col petto.coperto di stracci, raccontavano di non aver più latte da dare ai bambini.

Abbiamo tutte quante avuU la febi<r-, >t qualcuna di <ioi l'ha ancora.

Perché non fate bollire l'acqua?

Eh, bisognerebbe aver la legna! Non l'ab- biamo neppure all'inverno per scaldarci...

Eppure, da tutte non potè sentire una sola parola di odio e di violenza. Una specie di fatalità disperata e ridente pesava su di loro.

Fanny si era allontanata, trasognando.

Era quella dunque la gente per cui venivano i soldati, quella la gente che il colonnello Piatti diceva di voler domare, che il marchese Màrgora andava a denunciare a Roma presso i Ministri, che suo padre ti^tte le sere bollava col peggiori epiteti, spergiurando di non voler cedere di un palmo solo ? , .

Le pareva di sognare, e un mondo di perchè le sorgevano in mente.

La risposta più naturale era per lei questa: bisognava concedere a loro tutto ; dare quanto volevano, e più ancora, per vederli sani, forti, senza febbre. Come si poteva far questo? Rientrando in casa, trovò sua madre che leg- geva un romanzo francese.

Dove sei stata finora ? le chiese.

Se sapessi disse Fanny non mi guar- deresti con quell'indifferenza.

-Me l'immagino ; sarai stala in paese. VA giorno o l'altro te ne capiteranno delle belle. Oggi intanto lo dirò a tuo padre.

Fanny le voltò le spalle.

Guardate che tipo! borbottò fra la signora, vuole fare e giudicare come gli uo- mini.

E sicurissima di essere nella verit.i, riprese la sua lettura.

DOMENICO TUMIATI

3SS^saESS^^i^a^sas:snK:yaK:^t!Kyr::x^r^Kir3nr:g:r^KFZx^^f^^mw^;g^

XVIIL

LE BAMBOLE

Ricordo ancora la prima mia bambola, una stupenda bambola troppo grande che mi faceva paura. Eppure essa aveva i capelli ricciuti, gli pcchi scintillanti, una gonna di seta che lasciava scoverti due piedini dalle calze traforate e dalle scarpe a fiocchetti. Dopo averla ben. bene am- mirata, l'avevo riposta in fondo ad un armadio, nel disordine dei vecchi giocattoli, con le due braccia distese e coi' suoi occhi così pieni di

•viftì rivolti contro il muro. P- " "• - ■" •-»••- '• guardavo e subito la rimate \ diglio, senza mai potermi a!'i; a trastullarmi con essa. ,

In seguito ne ebbi molte «aitnr, Kimbolc m.Tl dipinte, che ,illa mìnima goccia d'.\ . vano le loro guancie rosee. Quali La bambola lavata, stinta e le mio iiit.» t --•■ dei loro freschi colori ! .\llora mi si consol.iv.»

assicurandomi : « Con l'asciugarsi il colore ritor- nerà ». E, dieci volte nella giornata^ io andavo, con un gran rimorso, a contemplare la piccola vittima, appoggiata con ogni cura ad una seg- giola con lo sguardo rassegnato fisso nel vuoto, lina macchietta bianca che assomigliava ad una lacrima mal tersa, la sfigurava da un lato ed io ne serbavo per lunga pezza una pena nel cuore. A venir trascinata sur i tappeti, a cadere giù dalla tavola, a dormire, sotto gli sgabelli, la bam- bola finiva di rovinarsi : gli occhi azzurri si fen- devano, la bocca perdeva il grazioso suo sorriso, le brpccia il loro gesto ritondo; ma, se qualche giorno di festa mi procurava una'nuova bambol?, l'altra,' con la sua testa incollata, con le sue braccia ricucite da un po' di réfe, rimaneva la favorita. Tale preferenza rassomigliava ad un in- tenerimento, quasi che tutte le sue ammacca- ture mi rammentassero le buone giornate di tra- stullo e le facili mie disperazioni ad ogni nuovo accidente. D'altronde io non avevo ancora al- cuna civetteria, ma avevo una tenerezza inesperta, un vago sentimento di fifugio, giacche la mag- giore mia felicità era di coricare la mia bambola nella sua minuscola cuna di vimini a rischio di sciuparne la cuffiettina di merletto con tutti i suoi nastri.

Una sera le vivaci figurette allineate nella ve- trina di una bottega di giocattoli mi tentarono. Bisognò entrare' e scegliere, all'incerta luce del gas che allora accendevasi, una di quelle leg- giadre bambole sorridenti fragilmente nel lucci- core della porcellana. Quella che io presi aveva i capelli fini, che arricciavansi appena bagnati, i vestitini tutti d'un pezzo, tagliati nell'istessa foggia dei miei, un grembiule di. battista. Ri- flettendovi su, mi sembra ch'essa fosse assai semplice e ragionevole. mantiglia di casi- piirra, gioielli, occhialetto di tartaruga, punto armadio a specchio, punto trine, punto

strascico. Essa aveva proprio l'aspetto di una ragazzina, di una ragazzina più piccola di me, e m'ispirava cure materne. Fu poi costei ch'io incominciai a lavorare, raccogliendo ritagli di garza e pezzetti di nastri, nel vano della finestra, intorno a quel cantuccio delle lavoratrici su cui la luce del giorno cade appiombo come in una alcova drapppeggiata di larghe cortine. Mi pro- vavo a tagliare : dalla bella stoffa dalle vivaci sfumature, sufficiente per un intero vestito, io riuscivo, a forza d'inettitudine, a non ricavare che un piccolo cercio da ricoprire un cappel- lino tondo. Senza scoraggiarmi, mi provavo a cucire. A poco a poco, appresi a rimanere quieta al mio posto, a provare il fascino delle giornate di pioggia senza passeggiate e del lavoro pa- ziente che rende breve l'ora, rinserrando tra i forellini dei punti il minuto che passa. Le mani cosi piccoline facevano l'orlo troppo grosso, il mio filo annodavasi, rompevasi, io diventavo rossa, perdevo il mio ditale, le mie forbici; il gomitolo rotolava a terra, intricato, quasi che con esso si fossero trastullate le zampe di un micino.

Allora bisognava aprire il tavol inetto di lavoro e penetrare delicamente in quel labirinto di tiratoi, di cassettini colmi di minuti oggetti, pre- ziosi per ciò appunto che non si maneggiano che diventando destra,, in cui apprende a cer- nere un centinaio di spilli senza pungersi ed a disticare da sola una matassa intorno alla spal- liera di una seggiola.

1 rocchetti da far girare, g<i aghi da infilzare, questo aguzzamen{o dello sguardo e delle dita, lo acquistai mercé la mia bambola. Ed è perciò che io la veggo all'inizio della mia esistenza di donna, siccome nella stretta cornice di un viale che s'allontani, grande proprio abbastanza da riempire con la sua sagonna di bimba felice tutto il mio orizzonte d'allora.

Giò ebe si vede attraverso un velo di mussola bianca.

Fu ih un pomeriggio di domenica, all'ora dei vespri e della processione, che compresi, per la prima volta, la solennità delle feste religiose, l'attrattiva dell'organo invisibile e dei ceri impal- liditi dalla luce del giorno. Non mi dite che la chiesa era piccola, il tappeto del coro sciupato, il velluto degli inginocchiatoi gualcito dalle me- ditazioni un po' lunghe, e che gli innumerevoU fiori delle cappelle non erano che di carta velina

di tutti i colori : non crederò giammai a tutto ciò. Il velo bianco teso sopra i miei occhi ha tutto trasformato, per me in quel giorno.

Ho z'ìsio la preghiera. I misteri mi sono apparsi ' comprensibili e gli emblemi viventi. Le spighe di grano, i grappoli d'uva ricamati sulla tovaglia dell'altare, con l'agnello nel mezzo, portante una croce attraverso il vello, mi colpirono come la- parola stessa del Vangelo. Ai due lati del coro.

lunghe file regolari di bianche vesti piegavansi mollemente. Come i ceri che attraverso il mio velo non erano più che punti luminosi privi di raggi, tutti gli occhi aperti intorno a me avevano qualcosa di fisso, e di dolce, un unico pensiero in mille sguardi sperduti.

Giulietta, tu che parlavi sempre in clas.se. Marta, così proclive al riso nell'ora delle lezioni, Amelia, traditrice, burlona e malvagia, come mai in quel momento eravate tutte tanto tranquille, calme e raccolte? Giovinette di poi, donne adesso e madri, nei vostri migliori giorni di virtù, di ras- segnazione, di pazienza a tutte le lacrime, voi non avete forse giammai più ritrovato l'istante di fer- vore che passava allora al di.sopra delle nostre teste inclinate, come una stella unica sorgente al- l'orizzonte delle nostre vite, visibile per noi sole.

La mussolina aveva riflessi di lampade celesti, una vaporosità d'incenso. I rosari ravvolti in- torno al braccio, le croci luccicanti sui soggoli erano veri gioielli da chiesa, adorni di argento, di madreperla e di perle, benedetti, confusi nel vago degli abbigliamenti, .\vevamo nascosto i nostri capelli sotto piccole cuffie a pieghe mo- nacali, regolari, e rammento di avere, quella mattina, pianto un po' perchè la mia mamma voleva farmi i ricci e ciò era contrario all'uni- forme, che richiedeva i capelli divisi, ben pettinati e lisci, con la linea pura che scorre la fronte, come per mettere in evidenza l'indifferenza mon- dana ed il pensiero completamente santo.

Oh! il dolce stordimento dell'intera cerimonia, il velluto su cui si camminava, i veli che sfiora- vano appena, il gesto lento delle mani inguantate, la voce tenera d'un fanciullo che recitava i salmi nel mezzo della chiesa troppo aftoUata, come un uccello che volesse cantare in un cofanetto di raso, ovattato di piume di cigno e ricoverto di merletti. Non si udiva nulla nelle nostre file, salvo che sull'impalcatura, in fondo alla navata, dove quella vocetta, soffocata, giunta nell'aria leggiera della volta, dipinta in colore azzurro cielo, ritro- vava la sua sonorità di cristallo puro.

Il coro si sfolla, sfiliamo allineate per la pro- cessione. I ceri tremano un poco nelle mani piccine, sporte fuori dai veli dinanzi a noi. Ecco, l'alto stendardo di seta rigida che ci precede di un bel tratto. Colui che lo porta è invisibile, confuso nella folla, ed esso sembra procedere da solo, innalzato e sostenuto dagli accordi dell'organo, da «lucile onde di atmosfera vibrante, che si prolungano affievolendosi. Dinanzi al (tortone semiaperto, un raggio di luce sfiora le dorature, le sete ondeggianti, leggero, azzurrognolo, so- prannaturale, nella gloria dorata, splendente degli altari. In coda alla processione, tutta in nero con noi tutte in bianco, unp stuolo di vecchiette le cui voci esitano alquanto e poi rispondono alle litanie biascicando...

Come la cappella mi è apparsa grande in quel giorno, vista lentamente all'intorno a piccoli pa.ssi e come tutto mi è apparso vero, della verità delle imagini, delle convenzioni, visto come si debbono vedere i sogni, le religioni e Dio, at- traverso un velo trasparente, un' apparenza di realtà in cui si mitiga la luce troppo viva! .\\ muoversi delle pieghe della mussolina, i quadri si animavano, le statue sorridevano, il riflesso complicato delle vetrate non era altro che il chiarore mistico piovente da quelle ali d'angeli di cui si parla nei libri santi, iridate come piume d'uccello.

Bisogna avere una nuvola bianca sugli occhi per guardare tutto ciò e giammai dimenticherò la soave intimità dei pensieri che si credono invisibili, confusi sotto il velo abbas.sato, con le impressioni pie del difuori. Ciò è durato tutta la giornata ; e la strada al ritorno, i viandanti, il cielo grigio, ne sono rimasti trasfigurati, mentre che, alla nostra porta, io scendevo di carroii-i con precauzione, profondamente commossa per quel vestito tutto bianco, osavo appena mettere i piedi a terra e camminando come in una nube, abbagliata dalle impressioni ondeggianti, inde- cise, d'un intero pomeriggio di vespri e di bene- dizioni.

GIULIA DAUDET (Tiaduzione di Vittorio Pic.v

^^(^u^mif

XIX.

L'amant cache,

Partout de ton charme sur terre Te vois le reflet enchanteur ; C'est ton pur rayon qui m'éclaire, C'est ton parfum qu'a tonte fleur.

Ta voix, ta caresse attendrie Berce e rève mon coeur tremblant... Tu m'aimes en réve - et la vie N'est plus pour mei qu'ombre et néant.

L'essor de l'ànie frémissante, Le peu de bien que fait ma main, L'espoir, la fièvre qui me haute, C'est tei, c'est tei - triste amour vain!

Je vois pàlir ton front qui souft're Et je ne puis me dévouer ! Ton coeur défaille au bord d'un gouftre : Sur quel coeur vas-tu t'appuyer ?

D'un nimbe d'amour entource Tu passes suivant ton destin : Tu l'emportes, tout éploróe, Ma pauvre àme - et tu n'en sais rien.

Tronco solingo,

Si cheta il mar nell'ultimo riflesso, Scolora in un vapor la costa bruna, Due trepide barchette van lunghesso La sponda e un soffio reclina su l'una

L'altra vela fraterna ch'è dappresso ; L'orizzonte lontan degrada e imbruna Le fiamme ancor, mentre ai clivi sommesso Un fiotto d'ombra sale che s'aduna.

Ch'è mai lassù?... Nell'aria tersa e muta Da uno spalto solingo, denudato Di frondi e fior poi che veglia e minaccia -

Un esil tronco stende l'irte braccia .Supplice, immoto, e il cielo arde squarciato Dal muto grido nell'ampiezza nmta.

MARIO CLARVY

AMORE

Olia Giginctla,

Tu vuoi proprio conoscere, dopo sei mesi che ci amiamo, i! perchè di tutto il mio amore? Ti potrei rispondere : perchè ti amo. Invece, poiché le cause del mio affetto ci sono e sono parecchie (tu stessa avresti dovuto intuirle), ti inflìggo una pagina psicologica e te la infliggo senza pietà, perchè sei tu che l'ai voluta.

Tu chiedi se in me coi sentimenti individua- listici si possa conciliare una vera passione. Ma se questa è nell' essenza stessa del mio io ! Quando si à come me una natura esuberante e prepotente, fatta ancor più sana e bramosa dal-

l'esercizio fisico; quando la montagna, con la quale vo lottando, mentre m'indurisce il corpo, rende tanto più gentile e aflfettuoso l'animo mio, e mi fa desiderare con tanto ardore un essere amico ; quando il mio spirito egotista mi separa come un solitario dal mondo, e fa si che al- l'amore di una donna sia spinto a forza e a forza rimanga fedele; quando quest'amore, invece di contrastare con quello spirito, s'aftratella, perc*tiè un affetto intenso e naturalmente egoista ci al- lontana più che mai' dai nostri simili, e ci rende più che mai indifferenti alle vicende umane ; quando infine l'amare una per.sona che ci ama non è che amare noi stessi, tu ti stupisci che io

t'adori? I^ mi domandi perchè il mio riioru si sia rivolto proprio a te ? Le nostre anime anno percorso la stessa via, anno vagato nella prima gioventù in un cielo doralo di sogni, si sono ri- svegliate, nelle crudezze della realtà, e anno tro- vato la redenzione nel raccoglimento solitario nella ridente quiete dell' indifferenza, nel bisogno d'amore. E l'una all'altra questo bisogno non poteva davvero soddisfare con più larga dolcezza: perchè, come in un giovane di venticinciue anni, per la simijatia dei contrasti, l'ideale della donna amica è una Gigina di trenta, una vera donna che conosce il mondo e ama con più tranquilla intensità, cosi per Gigina l'amore semplice, che vibra con la mia gioventù, sembra più gradito alla natura e accarezza di più 1' istinto materno. Tutti e due, per ragioni diverse, consideriamo come una fortuna inestimabile il legame che ci unisce. Questa è la nostra forza; si ama perchè si è amati. Io sento che, se il tuo cuore non fosse più mio, mi separerei da te senza dolore. Ci vogliamo bene perchè siamo liberi e non schiavi come due sposi, animaletti accoppiati per far dei tigliuoli. Quel buon Spencer, che fonda la sua teoria sul postulato della necessità della conservazione della specie! Ecco due cittadini, che s'adorano e non vedono proprio questa ne- cessità. E s'adorano e sono fedeli anche <|uando sono divisi. Perchè sono oramai due mesi, (".igi mia, che noi non ci vediamo!

Tua madre non poteva avere un'idea migliore che quella di condurti in riviera, lontana da me più di duecento chilometri in linea retta ? Meno male che sei nel paese di Albi, dove mi pare di vivere in ispirilo e di proteggerti. Quanti ricordi di passioni remote mi risveglia 1' immagine di quel piccolo paese dalle casipole variopinte e dalla spiaggia deserta I Quel piccolo paese, che per me rappresenta 1' immensità !

V'è però qualche cosa di novaniente dolce nella melanconia di un amore lontano. Mentre 'negli inizi ci si adatta a tutto pur di vedere In persona amata, e ci pare che la sua presenza sia indispensabile al viver nostro, e appena si rientra nella solitudine si cade in una tristezza infinita; quando si è conquistato l'amore della donna, la lontananza ci è meno dolorosa, perchè riconduce la nostra fantasia ai sogni, alle tene- rezze vaghe dei primi giorni.

Cosi mi ritorna alla mente l'allegra scappai.!, elle facemmo il primo lunedi di aprile. Erravamo per le praterie solitarie, stretti come due sposi novelli, col cuore palpitante di gioia, mentre ci salivano al viso vampate impetuose di felicità giovanile, e risplendevano in noi tanta sempli- cità, tanta .idorazione, tanta primavera, che un vecchio contadino, l'unico abitatore di quell'ampia distesa, lasciando per un momento di z.ipp.ire

la lerra. salutava con uno «guardo di paterna e serena compiacenza il nostro amore, il quale a lui, con un sorriso amico, rendeva il «aiuto. K soli, muti, in mezzo alla immenna canipa|;n.i, piangevamo d'allegrezza.

<J dolce Ginetta, ijuanto r:i"'"- ■' -

rude montanaro è piena di ■.

porla di qualche rifugio, peni

tiginose sulle roccie nere e sui ghiacciai, guardo

le cime infinite che paiono infinite guglie di cit-

tedrali magiche dorate dal tramonto, e la quiete

solenne della natura fa che l'anima chiami a

raccolta i suoi errori e le sue sp«-rai

o Gigi mia, sovrapporsi a ogni punì

la tua cara immagine; cosi mi pare ... ...,.

una Gigi colossale sul Monte Bianco, una Gi- gina più slanciata sul Cervino, una Cina can- didi.ssima su tulle le punte del Monte Rosa, una Giginetta in costume svizzero sulla Dent Bianche, una Ginetta vaporosa sul W'eisshom, un'Elta lontanissima, evanescente sul .Monte Viso; e mi rammarico che la visione amica non appaia .inche sul mio monte e, come una f.iln dell.» ■u.mmiti, non scenda dalla vetta alla capann.t niiicra e buia per portare al compagno fedele u^ raggio di luce. Come mi accorgo, contemplando in queste ore sublimi la natura, che la conifMgnia desiderata dall'uomo nelle commozioni intenw, nelle vaghe tristezze, nei sogni infiniti che ci vengono ilall'universo, non è la compagnia d'un

amico, di una moltitudine, nn '- '• una

donna! E il desiderio di te è C' osi

forte che talvolta. |>er l'eccil . fan-

tasia, mi pare d'averti insieme. L'altro giorno, sulla mia punta preferita, da cui in un giorno perfettamente sereno, non velato dai più leggieri vapori all'orizzonte, si può vedere la linea az- zurra del mare, non ó forse avuto ' i guardando fissamente a destra nella .Mbi. di scorgere Gigina. che legg'' sulla rena, o. peggio, che scopriva curioso le belle gambette (atte al l<>;: dendo nell'iicqua.» Oh! va ìk, Mnta che tu te ne accorga, io ti sorveglio. .

Nel mondo io non vedo più che noi due : i piccoli villaggi alpestri, le metropoli, l'umanità intera scompaiono; su tutta qii' ' ' '

della patria non sono piii che rina avvolta in in ■■■ ">i-i^ ' -. ,

si disegna sull'i:; I mare, e

una piccola mac. : »<il >"<:i

dido di un grande Khiactmio; Uur- ' tari, lontani l'un dall'altro renlinwì» l'uno, che par gettato i- '■'■ '

rapito da un turbine si: mi

lutti e due uniti ' polente ; mentre

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regge l'universo, porta il bacio del mare alla montagna.

L'altro giorno la padrona dell'albergo mi con- segnò la tua letterina, e, riconoscendo il solito pro- fumo e la solita busta, mormorò furbescamente: « Com'è squisito il profumo d'Eliotropio! »

« Stupida! » dissi fra me « profumo di Gi- netta, non d'Eliotropio ». Quel profumo che mi ricorda tante divine dolcezze ! Questi ricordi sono cosi fortemente vivi nei miei sensi che, ritornando da ascensioni faticosissime di diciotto o venti ere, quando si va innanzi col cervello vuoto, per forza d'inerzia, ubbriachi di stanchezza, io frusto, schiaffeggio' con essi la carne e lo spirito e con- tinuo il cammino con una nuova e strana energia, che stupisce le guide. E mi puoi credere tu, che, vedi tremare, dinanzi ai tuoi calzoncini ni%'ei e al tuo copribusto color di rosa, questo impeni- tente montanaro, come un ragazzo che conosca per la prima volta l'amore.

Quante volte nelle notti brevi e nervose, che precedono salite lunghe e difficili, tento invano di cacciare di fra le immagini, che si rincor- rono nella mia mente, il biondo della tua te- stina e il bianco paradisiaco delle tue graziose gambette, perchè mi sia concessa un'ora di ri- poso! Quel tuo collo sottile e candido di bam- bina, che pare debba rompersi quando con tutta la forza del mio amore ti suggello con un bacio la nuca, è il più ostinato a ripassarmi dinanzi per negarmi spietatamente il sonno. E, come orde nemiche, m'accerchiano per affocarmi le carni i ricordi di tutti i baci ardenti di gioventù e d'amore, di cui ci coprivamo per lunghe ore e che ci lasciavano languidi, sfiniti, innamorati più di prima. Allora, vedendo che è vana ogni resistenza, mi getto anch'io nella mischia dispe- ratamente, e riaccendo nella mia memoria tutti i divini deliri dell'amore non mai sazio, che tu m'ài concessi; e t'amo di più e fremo. Ah! più dolce, più seducente, più ammirabile del giuoco di colori, che offre la montagna più bella col verde delle praterie, il bianco dei ghiacciai, il nero delle roccie, gli azzurri, i violetti superbì del cielo, è il contrasto della calza nera, della giarrettiera rosa, della carne bianca.

O Gigi mia, stringimi forte, lega alla tua la

mia gagliarda gioventù, la quale à per sempre abbandonata la società, che la voleva uccidere ; rasserena con la tua dolcezza gli affetti sublimi, che l'universo m'inspira, e che l'immenso for- micaio del mondo deride; fa chel'idea dell'ignoto, dell'infinito non cozzi colla realtà della mia vita, ma si unisca in me al tuo amore : tu stringi al petto un uomo, non una pecora imbrancata fra le pecore vili. Tu e la montagna siete ormai la sola mia gioia, la mia sola ragione di vivere. Io non soffoco gl'impeti della natura con le me- schine finzioni sociali ; io non esalto la potenza della natura e dell'amore dopo aver predicato tutto il giorno che bisogna ad ogni cosa ante- porre il dovere, il quale l'uno e l'altra opprime. Io preferisco la tua vita a quella di cento dei miei simili, alla fortuna della patria. L'abbraccio di una donna, che vi ama con l'anima e col sangue, vai bene l'affetto dell'umanità intera! I prosaici, gli scettici, i cinici, sono i buoni cit- tadini, che non comprendono nulla a queste cose. Mentre ti scrivo l'anima mia si espande in vio- lente ondate di così forte, generosa, alta pas- sione da travolgere e stritolare le infinite teste pidocchine, che van gonfiando bolle di sapone. Ah ! poter passare tutti e due in mezzo alla mol- titudine, radianti del nostro amore, schiaffeg- giando con la nostra felicità i mille farisei, che vanno cercando con ogni mezzo la loro, e pre- dicando il sacrificio, vogliono rubare agli altri la poca gioia strappata al dolore con tanta di- sperata fatica!

Mia cara, mia dolcissima, mia divina Giginetta, che abbraccione robusto ti darò rivedendoti dopo due mesi di separazione, che baci violenti, che strette da lottatore, per cui maledirai tutto l'eser- cizio montanino, che mi fa i muscoli di ferro.

Salutami il tuo gattino, che professa con tanta lodevole franchezza la mia stessa filosofia.

Addio : stendiamoci la mano al di sopra delle pianure e delle montagne, non curandoci di cosa pensino quei puntini neri, che formicolano in* fondo alle valli.

Ma questa è l'ora in cui tu scendi alla spiaggia e immergi il tuo piedino nell'acqua: io, con gli occhi all'orizzonte, t'accompagno...

Alberto.

UGO DE AMICIS

^g^

^P^

LA MORTE DI. MAURANTONIO

Perchè Maurantonio era proprii) morto. Non poteva rimanere nessun dubbio dacché don Ni- cola l'aveva dichiarato, e l'aveva anche messo per iscritto, perchè anche il sindaco doveva saperlo, diceva lui, che il pover Maurantonio era morto.

E quando Anna Maria lo vide cosi rigido, di- steso su quel letto, dove ella lo aveva vegliato otto giorni e otto notti, e quando capi che egli non avrebbe mai più aperto gli occhi, perchè una vicina avea messo su cia.scuna palpebra un pezzo da due soldi, e che non avrebbe mai più parlato, chiamandola con quella sua voce amo- rosa, un po' rauca: Oè, Anna Mari! e che non avrebbe mai più disteso quel braccio, attaccato dalla corona del rosario, a prendere la giara dell'acqua, per dissetarsi. Anna Maria si gettò in ginocchioni presso il corpo del marito, si stracciò i bei capelli neri, che ella portava ser- rati in due lucide treccie, e si diede a piangere e a dire ad alta voce le virtù del defunto, che per cinque anni non le aveva mai dato il più piccolo dispiacere.

« Un uomo d'oro, un uomo santo, che la Ma- donna mi aveva regalato ! E adesso Dio me Io toglie per i miei peccati... No, in tutto il mondo, e nemmeno in America non c'era un uomo si- mile! Lui timorato di Dio e di San Nicola, che per tutto l'oro del mondo non avrebbe man- cato alla novena, e che tutti i santi venerdì di quaresima digiunava ! Lui paziente come un agnellino! Mai una parola cattiva, che guardi Iddio, mai nemmeno una volta in collera... Cosi buono, così innocente, come la farina da far l'ostia consacrata! Che sia benedetta, dove sta la madre che lo ha portato ! » Oh. lei. povera Anna Maria, restava adesso come una pecorella smarrita sulla terra! Proprio come un uccello in mezzo al verno; era finita la sua gioia, era finita \.\ sua gioventù. Andrebbe a seppellirsi tra quattro mura ; non voleva più vedere la faccia della gente, adesso che Maurantonio era morto!

Le comari piangevano tutte con lei, ascolta- vano i suoi lamenti e le davano ragione. No, un uomo come Maurantonio non si poteva tro- vare. Come l'aveva fatta felice quella Anna Mari.il Come si erano voluti bene! Signore, tienlo nell.i tua misericordia !

Gli uomini, i viCini i- i lonMrii. m-. ■. entravano e uscivano. Ascoltavano un i> lenzio le gridadella vedova, e il brusii ■!, i delle preghiere, dei pianti delle cor: andavano, scuotendo il capo, so-^j quel povero Maurantonio... Dio con lui!

Raffaele, il figlio del massaro Pasquale, che da un paio d'ore faceva la ronda davanti alla porta aperta, si era deciso di entrare anche lui; era diventato un po' smorto, a ■• - -<

viso giallo, con quei due soldi di occhi, e aveva voltato via la ;■ messo vicino al cassettone, con le spali- giate, e con lo sguardo fissQ in Anna Mi- per terra, piangeva, urlando. Ma ella iioa lo guardò neppure, e Raffaele, dopo un poco, je ne andò, con un certo fare impacciato, non sapendo che cosa si dovesse dire in quella circostanza.

E cosi passò tutto il iKimcriggi'- \.,.., \i,.,. non si .ilzò mai da terra, non vollt- la camomilla che una comare 1- . calda. Diceva che voleva morire anche iei. e pre- gava San Nicola e la Madonna di farle la grmtU.

Cosi calò la sera. L'andare e il venire dei vi- cini aumentava. Gli uomini venivano fin »ol- l'uscio, con le zapi>e sulle spalle, si sejrna\-ano pianamente, poi andavano a cas.i a nj-ingiarc un boccone d'insalata e tornavano ^ ii.r.',-. i| morto, dopo essersi infilata la '

nessuna casa quella sera si mang: '.

perchè nessuna delle comari ebbe tempo a p»e- pararla: solo verso tardi venne la serva del parroco, con una tazza di bn-»do e due ao\-a fresche per la povera .■Xnna Maria. Ma la po- vera Anna Maria non volli

I-a notte era sce»a. Avi presso il letto del morto, vano messo una grossa Ir Maria era ricca, e si p»>t. Lei, del resto, non vide niente. «.t>aiiiii.' gere e a lamentarsi, rhf U \'«h-*> Ir e- . tata rauca; aveva .

notte 11 per terra. .> '

ma d.-il gran pi.ing''- ^

cosi due comari ru a condurla vis, nei:.i un lettino, le lexnrono le scarpe

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poi Ja lasciarono coricata con gli occhi chiusi, stanca morta ; solo il petto le si sollevava ogni tanto in brevi singhiozzi.

Anna Maria rimase lì, dove la avevano distesa. Anche più tardi, quando le donne ebbero chiusa la porta di comunicazione e un gran silenzio discese nella stanzetta buia. Anna Maria non si mosse e continuò solo a lamentarsi' pianamente con gli occhi chiusi. Per molto tempo ebbe una perfetta cognizione di ciò che era avvenuto ; suo marito che giaceva morto, di là, con i suoi soldi di rame sugli occhi ; le comari che si erano disposte a vegliare il povero morto, e avevano finito con l'addormentarsi ; quei due ceri ardenti presso il letto, che gocciolavano, gocciolavano, l'odore afoso del cadavere, della gente, della cera... La porta, chiusa, che le im- pediva di guardare nella camera di là... poi non seppe più niente per molto tempo.

Quanto? Un'ora, due ore? Dopo quel tempo Anna Maria si trovò ancora distesa nel mede- simo modo, ma aveva aperto gli occhi nel buio, e li fissava sulla porta, che lasciava da una fes- sura filtrare una luce giallognola. Anna Maria aveva aperto gli occhi, perchè aveva udito un rumore a quella porta. Come se uno, piano piano, la urtasse... E poi la porta si aprì, entrò una gran luce, che abbagliò Anna Maria ; quella luce era un cero acceso, quel cero era portato da una mano, una mano tutta cinta dalla corona del rosario... Ella guardò la persona in viso, la persona che entrava... e, oh, San Nicola aiuta- temi! quella persona era Maurantonio, il suo morto marito !

Anna Maria fece per dare un grido, fece per alzarsi; ma l'urlo le morì in gola, e quella per- sona si recò in fretta l'indice sinistro alla bocca, come per raccomandarle silenzio, poi chiuse dietro a la porta, e si avanzò verso il letto dove giaceva Anna Maria.

Anna Maria non aveva mai avuto paura di suo marito, no, certo, perchè egli era stato un gran brav'nomo in vita, ma adesso che era morto, che era stato proprio morto... Un sudor freddo le copri tutto il corpo, le gocciolò dalla radice dei capelli...

Maurantonio aveva messo il cero acceso sopra una scranna li vicino, e aveva tirato presso il letto la sedia di paglia, dove giacevano le calze di Anna Maria ; non le tolse di là, si se- dette modestamente sopra l'orlo della sedia, con un fare discreto, proprio come quando era vivo, e chiamò la moglie per nome; con quella stessa voce rauca, solita: Oè, Anna Mari!

^ra proprio comft prima, solo che aveva sugli 9cchi ancora quei due soldi di rame ; ma gli occhi guardavano attraverso ; pareva che il morto avesse un singolare paio di occhiali.

Che vuoi, Maurantonio? disse Anna Maria.

.Son tornato, Anna Mari. Son tornato. Ero ancora li, sulla soglia della camera; e non mi sentiva il coraggio di andarmene ; guardavo quella nostra roba così bella, quasi nuova an- cora. Quei due letti di ferro, quel cassettone di noce, quell'armadio pieno di vestiti... Pen- savo che non erano ancor due anni che mi ero fatto il mantello nuovo. E poi ti sentivo pian- gere tanto... No, non avevo coraggio. Allora San Nicola mi ha fatto la grazia di tornare a vederti, a dirti qualche parola, perchè prima di morire non ho potuto...

Ah, Maurantonio!

Si, disse Maurantonio con voce commossa, ti voglio bene, sei sempre stata una buona moglie, Anna Mari...

Vi ho voluto sempre bene, disse Anna Maria rinfrancandosi, e mi fa piacere di vedervi. Mi direte se avete bisogno di me, e quante messe volete che vi faccia dire... Voglio che stiate bene, anche di là, come io già qui non ho mai mancato... Sentite, marito, giacche siete venuto, io vi pregherò di dirmi qualche cosa che mi pesa... Quella cambiale dell'oste Man- giacane dove l'avete messa? Son duecento lire, e non vorrei andassero perdute...

In fondo alla cassapanca, nella tasca del mio vestito di fustagno, mormorò il morto. E puoi farmi dire trenta messe dal parroco a una lira l'una.

Anna Maria sospirò.

Son trenta lire... Ma per voi, per la pace vostra... Arderò anche un lumino tutti i sabati a vostra intenzione...

Tu non hai bisogno di far tanta economia, eh, Anna Mari? Ne hai delle belle lirette adesso?

Anna Maria lo guardò spaventata. Il morto rideva, con una certa malizia bonaria: si fregava le mani, e i granelli del rosario picchiavano insieme; strizzava gli occhi, e quelle orribili occhiaie di rame parevano girare...

Che cosa vuoi dire, Maurantonio mio? Sì, per grazia di Dio, ho tutta la roba di casa, il campo, e l'uliveto... É tutto mio adesso, perchè tu l'hai messo nel testamento... Ma denari in contanti, lo sai bene; non hai lasciato che quelle trecento lire che son dentro alla scatola di legno...

Qui Maurantonio rise più forte. Rise così di gusto che scricchiolò tutto. Gli occhi si stringe- vano... tin tin!... il rosario saltellava, e le tibie battevano contro le gambe della sedia, dando un suono strano che fece venire la pelle d'oca a Anna Maria.

Perchè ridete, Maurantonio mio?

Rido perchè... ehm, ehm! (La tosse non mi è ancora passata...) rido perchè non vuoi

dirmi la verità, adesso... Ai morti si dice tutto, Quanto hai messo da parte tu, senza che io lo* sapessi, (luando vendevi i polli e le uova e le fave di nascosto? Rido per questo, e^co...

Signore Iddio ! disse Anna Maria spaventan- dosi di più, sì, mi confesso come in punto di morte, in cinque anni non ho messo via che duecento lire... Sono qui, in fondo a questo materasso...

E hai fatto bene, disse bonariamente il morto, è un piccolo peccato, e ti perdono, perchè Io confessi. I morti tosto o tardi sanno tutto. Senti, Anna Maria, ho ancora una cosa sul cuore: Bisogna che tu mi dica la verità, per avere la

•pace... tu e io... Sei sempre stata una moglie fe- dele? Proprio come lo raccomandava il signor Par- roco? Rispondi il giusto! San Nicola ci ascolta...

Il morto non rideva più, ma aveva preso un fare severo, come non aveva mai avuto da vivo, poveretto !

Anna Maria era fredda di paura...

Ah, marito mio, balbettò.

Su, coraggio, se vuoi che ti perdoni. ,'\i morti si dice tutto...

Ah, marito mio ! una volta, senza colpa mia, Raffaele del massaro Pasquale mi ha baciato, mentre si coglievano le ulive, dietro la fontana.

Il morto fece scricchiolare i granelli del ro- sario fra le dita, poi disse:

E dopo?

Dopo... qualche altra volta ancora; ma di- ceva che mi sposerebbe quando, quando...

Disgraziata ! Non sai che quel Raffaele è un vagabondo, un giocatore, un vizioso, che ti basto- nerebbe mattina e sera? Vuole i tuoi denari, il birbante ! Povera te se gli capiti nelle mani !

Ah, marito mio... Sci certo?

Non sai che i morti leggono nel futuro ? Anna Mari, Anna Mari ! credevo che tu avessi più giudizio! Tutti i soldi che tieni nel mate- rasso, e che hai portato via a me, e tutti quelli che sono nella scatola di legno, e il credito dell'oste, e i campi e l'uliveto e la casa : anche tutta la bella roba che ti ho fatta io, tutto se ne andrebbe, se capitasse in mano di Raffaele... Ascolta, Anna Mari! Non sono stato io un buon marito?

Ah si! Maurantonio! gemette la vedova.

Ti ho mai fatto mancar di niente? Ti ho vestita bene, ti ho lasciato vendere i polli e le fave e la lana ; non ti ho fatta lavorare, non ti ho mai strapazzata. È vero ?

Come è vero San Nicola, disse Anna .Maria.

Eppure, tu qualche volta mi avresti fatto

perdere la pazienza. Ricordati. Quando<andavi in collera per niente... Quan<lo mi ■: le tue scarpe,.. Ijuaiido mi di'c\i

Quando mi toglievi i soldi fuori d^ ,. ,

la ijera... Quando eri ostinata... Ricordali!...

Mi pento, .Maui-antonio!...

Ti perdono. Ti voglio bene, Anna Mari, e a.scolta quello che ti dico: Se io me ne vado, tu sei capace di sposare quel vacabondu di Raffaele. Non voglio che la ri^ba vada io*i d male, e anche mi dispiace per te... .Senti: San Nicola mi ha falla la grazia. Intera me l'ha fatta, lo ritorno vivo ; ritorno con te. E perchè tu possa volermi ancora più bene, sarò piii buono di prima. Ti regalo i denari che hai nel materasso ; lascerò ancora fare a te la vendita de' polli e delle lane, e di tutto... Ti comprerò anche un vestilo nuovo, per andare al batleNÌmo del tiglio di comare .Antonia... Starem» ailctcri, ci vorremo bene come prima, ohe, .\nna .Mari'

Il morto si era rizzato in piedi, e m'»trava una faccia cosi allegra, e ri(A'a cosi di gusto che si scoteva tutto. Poi, d'un tratto levò la mano dove teneva il rosario, e paf ! diede un graii colpo sulU spalla di Anna Maria, senza però farle male, all'a- michevole, come soleva fare in vita. Poi *i voltò, prese il cero e se ne andò come era venuto. aprendo quella porla scura che metteva nella camera di là; e Anna .Maria rimase come mona tanto era slato lo stupore e la paura.

Quanto tempo rimase ancora cosi? Un'or*? Due ore?

Quando tornò in e aprì gli occhi era giomo. Dalla finestra bass.i un ramo d'ulivo picchiava contro i vetri. .Anna Maria si gu.irdò inionio sbalordita, poi tese l'orecchio; un sordo rumore di colpi veniva dalla camera di lA.

Che cosa succedeva? Ricordò d'un tratto... La morte, la risurrezione, il discorso del ma- rito... 1 colpi continuavano. .Allora ella si t:«tt''' dal letto, infilò i pie<li nudi nelle scarpe, corte alla porta, l'apri. Una cassa da morto era flcv» sulle sedie: già tutta chiusa, nera, un uomo andava picchiando sull'orlo col martello. Molta gente era nella stanza.

M.-i .Anna Maria non vide nessuno. Pallida, con le treccie disfatte ella si slanciò verso il IcUo. Era vuoto. Cercò intorno iV iikorto. Non v'era più. .Allora si precipitò v<"r»" In ra«a; «*«t6 in giro con mani febbrili !■

Qui, dis,se ad un : '• '" una fessura tra il cx)|>etcm.. i.i .n». <i«i non è inchiodato bene...

LUIGI DI SAN GIUSTO

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■^^^^^^^i^T:yi»^r.^-^4»^^i«r^3«^<^'^^:y.i>^a>arìt^

XXII.

Tempo sarà die giungami novella.

Tempo sarà che giungami novella Delle tue nozze con un uomo ignoto Cui tu, sommessa figlia, ti conceda. Udrò con occhi aperti e fissi, immoto, Come colui che al suon d'una favella Rivelatrice cosa orribil veda. Che, sapendoti preda Di cieche mani, indarno renitente. Amor subitamente Divamperà da l'animo sepolto. Come un lampo cingendo II bellissimo volto. V Poi andrò per contrade Deserte, i nostri cor, folle! sentendo Non più come due spade Sibilare in contese

Ma come fiamme, belle fiamme accese, Divelle con un grido a l'avvenire, Congiungersi confondersi morire, Per sempre, in un delirio ebro e supremo. O nostre nozze! a voi pensando io tremo.

Ma placata la prima febbre umana,' Ricondurrò gli spiriti in lor pace Che si farà d'allor più e più serena. Fosti un giorno la sacra ardente face Che l'altre caccia, naturai sovrana, Raggiando solitaria in ogni vena; Poi, prorotta una piena Di venture malefiche sui cuori, Paurosi bagliori

Gittasti tu ne' giorni miei cimriieri In fiammea idra conversa, Ed io pe' cimiteri' Errai, fisso su Morte.

Passò il turbo e fu l'idra in lui sommersa; Spalancaronsi porte, Ai miei occhi, d'aurora: Ricolsi il fior che flora e il fior che odora, E tu, velata della grazia antica. Risorridesti spiritale amica. Sposa, mi splenderai fraterna e bella Come un alta su me perenne stella.

Meglio di quanto un di pensai or penso. Non muore Amor che fu si grande e casto Ma si muta in virtù benefattrici.

Ei forza ti darà per l'olocausto

Del corpo immacolato a l'altrui senso

Ond'abbia il dolce padre ore felici.

Nelle simulatrici

Tue pupille una pia gioia leggendo.

Ed egli convertendo

Il mio travaglio in laborioso ardore

Farà ch'io un me vanti

Di più spirti signore.

Noi divisi saremo.

Ma non avvincerà si stretto amanti

Il gioire supremo,

Come noi questa forza

Di bene- che non brucia e non s'ammorza;

Questa, che ti farà serena sposa

E di figli non miei madre amorosa

Questa, che mi terrà fra i nembi ritto

Con gli occhi fissi nel tuo fronte invitto.

■Se vere nozze n'avesser congiunti Corporalmente per tutta la vita Sarebbe forse l'amor nostro morto; Che Amor dinanzi vuol strada fiorita E non prunaje dove il pie s'impuntì, O vuole un mar di sogno senza porto. Per questo mar di pòrto, Idea raggiante, sin quando n'aflferri Morte e i corpi rinterri. L'anime sciolte a più gran mar varcando. Con un voi di baleno Pronti allor c'accoppiando Trasfonderem l'essenza Interna, contro al divino sereno. In una coscienza ,

Perfetta ed immanente In qual fiamma suo gaudio volvente. Tal dopo l'ideale accordo umano Ne darà Morte connubio sovrano. Questa ferma credenza il cor m'india Sovente come piena melodia.

E s'io non piango tu forte sopporta Il peso onde la vita oggi ne aggrava E assolvi chi ti volle e non si mosse. Memoria gli tien l'anima si schiava Ch'egli non batterebbe alla tua porta Se pur tutta l'ebrezza, oltr'essa, tosse.

Va con membra percosse

Da fiero colpo, ma dovunque ha il piede

Sei tu sua guardia e fede.

Assolvi, s'ei la tua bocca fragrante

Non godrà, le cliiome

Ti sciorrà, raggiante

Balzerà dal divino

Letto a gittare nel sole il tuo nome

In nuziale mattino.

Ei iwn piange, ma spesso

Freme, e ti sente si calda dappresso,

Che allora per memoria soll'ocart-

K te con senso umano ardenti: .mi..,

Kinnegherebbe l'alto paradisi

Godendo lui nel tuo terreno vìmj.

Canzon non le dar pena, .

Ch'ella m'é sacra più d'ogni persona;

E se mai ti perdona

Ritorna a farmi l'anima serena.

Però pria dille: egli ha sicura fede

Che a darti de' tuoi lutti gran mi-rcedr

Un di ti cingerà d'alta coroi. i.

Torino, ntlìa primixxm' ^

ARTURO FOA

GIOCATTOLI

Il bimbo del mio ricco vicino aveva avuto negli ultimi giorni dell'anno un grazioso dono: un fantoccio di Norimberga che faceva delle grot- tesche capriole.

11 bimbo, stringendolo al cuore, correva per tutte le stanze, riemi)iendole delle più gioiose grida. Chi più felice di lui ?

Mostrò alla mamma il suo tesoro e poi, non contento ancora, lo mostrò alla fantesca, accom- pagnando i movimenti del fantoccio con la voce : Ino, due, tre... op là!

Chiamò i due piccini del portinaio e li, sul pianerottolo, diede un'altra rappresentazione. Ed i piccini sbarrarono gli occhioni per lo stupore. Ma, dopo ch'ebbe ripetuto il giuoco quindici o venti volte, se ne stancò.

Egli era un ragazzo intelligente ed immaginoso. Perchè pensava il fantoccio non faceva qualche nuovo esercizio ?

Ed il bimbo andò a staccare le rotelline del suo vaporetto e le legò sotto i piedi del fantoccio per farlo pattinare. I.a prova riusci benissimo; se ne stancò.

Poi volle fare altre innovazioni. Ma, per chie- dere troppo, il ragazzo immaginoso tini per rom- pere il giocattolo e andò a letto con le lagrime agli occhi.

I due piccini del portinaio non avevano istruzione, ni' inini:igin.\.-ione, ma pur pensarono

anch'essi a divertirsi negli ultimi giorni dfl!'.in!i-. Non possedevano che un soldatino e una pe<'>r< ll.i bianca con tre gambe. Si poteva f.irc un maln- monio.

Il fratellino assicurava che i soldati non ^ le pecorelle, ma la bimba diceva che li a\ : fatti sposare loro.

Att.iccarono due fili alle gambe degU Vfo», sparsero di fiori la via per cui dovevi"" •• ■— >•'• i pecorella venne coperta d'un p- bianco e furono condotti a spo^i- gatto Bibì. Poi fecero la casetta d, le forbici e la carta fabbricarono 1> le cortecce d'albero fecero i tavolini e .

Al tramonto vedevo i due bimbi che gì»- ancor.», mentre il pianto del fanciullo imntAKi::<>^< mi colpiv.» tuttavia l'ore» chio. '

Non so perchè, paragonav.» > •■i '■•.-.-■•:.' ni. .■>•! tentabile all'uomo inciviliti rotella sotto i piedi del suo di convenzionalismi sociali \* sua »ii.>. giunge a turbare l'incanto iVIU iv«f»n« e ad andare a letto con le lai: : so v>erchò, paragonavo i dii' agli spiriti puri ' ' ' del loro sol.l rella: che. traci cose della vita, può dare e son

IDILLIO ALATO

Una bella mattina di Settembre giunsero sulla vecchia quercia i due sposini, riempiendo l'aria dei loro trilli appassionati, e quei trilli chiama- rono altre creature vaganti pei cieli, le quali fis- sarono la loro stanza nelle inforcature dei rami, all'ombra delle foglie, in certi cavi misteriosi della vecchia quercia.

Pareva, in alcuni momenti, che l'albero fre- messe tutto al contatto lieve di quei tepidi cor- picini rigogliosi di vita, pareva che un nuovo torrente di giovinezza affluisse nei rami cascanti e rinverdisse le foglie.

I due sposini, che erano andati pei primi ad abitare l'albero, erano divenute le persone più importanti del luogo. Lui, il maschio, se non lo era ufficialmente, poteva ben dirsi il sindaco del paese e godeva di una incontrastata autorità ; lei, la vecchia signora, era sempre quella che diceva la parola giusta nelle questioni dubbie e si compiaceva di addestrare i novizi.

In quella moltitudine di creaturine alate c'era un'usignuola la quale da parecchio tempo faceva il suo nido in un cavo dell'albero che pareva una piazza. Ella ne era l'assoluta padrona: an- dava, veniva, lanciando all'aria certe canzoni che duravano ore ed ore, felice quando giungeva il momento che il sole riempiva della sua luce bionda tutto quell'angolo tranquillo.

Un giorno un uccello spaurito, piombò dal- l'alto sulla terrazza della nostra usignuola. Ri- mase qualche minuto con le zampine per aria come morto. Era stato preso in un'ala da un colpo di fucile, mentre fendeva l'aria e avea provato un dolore intenso come se gli avessero spezzato la vita. S'era sentito venir meno ed era caduto giù, giù, giù, finché era rimasto disteso su quel cavo d'albero, col beccuccio in aria.

Quante ore erano trascorse ?

Finalmente sentì il contatto di una zampina morbida come una carezza. L'usignuola, uscita fuori dal suo nido per mandare il solito saluto al sole, si era spaventata dapprima vedendo l'insolita cosa poi si era avvicinata premuro- samente. Si trattava di un compagno, di un po- vero compagno ferito...

Quante ore, quanti giorni durarono le cure affettuose dell'usignuola pél suo piccolo amico caduto dal cielo? Chi lo sa! l'amore, l'amore, che non è solo degli uomini sulla terra, ma che

sale su tra i cavi delle querce, che sale fin nelle plaghe del cielo, seppe suggerire alla minuscola infermiera i rimedi opportuni.

E l'usignuola guari.

E tra gli occhietti tondi di lui e gli occhietti tondi di lei, passò una dolce corrispondenza amorosa, per cui non trascorsero che poche set- timane e le due creature s'intesero.

Non doni preziosi di parenti e di amici, non funzioni religiose e civili, non discorsi e brindisi agli sposi, non gàteau, non sacheis de noces ma tutta la popolazione della vecchia quercia cinguettò di quelle nozze felici.

Lei era vestita del suo solito abituccio di piume tenere; lui, senza tuba e senza guanti bianchi, s'era soltanto lavato le ali nel ruscel- letto, ed era bello, ed era felice, e, andando a nozze, lasciava all'aria certe note acute, che riempivano l'anima di allegria.

Tutto il bosco dintorno cantava e la vecchia quercia pareva ringiovanita.

Lei aveva invitate parecchie amiche dei rami vicini e faceva loro vedere il nido preparato da lungo tempo. E lui, volgendo il dorso, lasciava credere che gl'importava poco di quel nido, al quale doveva più tardi rivolgere tutte le sue cure.

I vecchi coniugi furono i padrini e fecero alle giovani bestiole molte raccomandazioni ispirate dalla loro esperienza del mondo.

Ma lui non se ne die per inteso. Non possedeva nulla, ma l'ala era guarita ed egli si sentiva forte, e l'azzurro immenso gli si stendeva dinanzi.

Così poco tempo dopo, nel nido dell'usignuola, lassù nel grosso cavo che pareva una piazza, il sole rischiarò con la sua luce bionda quattro testine minuscole di piccini pigolanti.

E, mentre lei ripeteva a quei piccini le parole che la vecchia sindachessa le aveva susurrate al- l'orecchio nel giorno degli sponsali, lui solcava l'azzurro in cerca di pietanze squisite per la nuova famigliuola.

E, più giù, tutta una folla di creature umane, che passeggiava, portando in giro i suoi pette- golezzi, le sue ambizioni, i suoi desiderii mal soddisfatti, non sospettava neppure il tenero idillio alato, che si svolgeva in alto, nel cavo della vecchia quercia.

ONORATO FAVA

XXIV.

POESIE

In quest'ora

Dimmi, in quest'ora mesta, che tu sei sola e il silenzio

E l'ombra calano sul desolato piano. Mentre il tuo sguardo vaga d'intorno, non staiti

Scenderti in cuore come una tenerezza Profonda, come il bisogno di' qualche afìetto piii forte

In cui posar la stanca anima a lungo errante? In quest'ora, ó gentile, è l'amor mio che ti parla.

L'amor mio che non sai. ma che tutta circonda La tua persona: o gentile, è l'anima mia.

Che a te viene traverso a colli e monti e piani, E che, in un tenue abbraccio tutta ravvolgendoti ; ,1,,'.

Occhi socchiusi lieve, lieve ti sfiora.

Fede e scienza

Quando s'addensano in cielo le nere nubi e minaccia.

Rombando, l'uragano alla fiorente vigna, Suona la sacra squilla e il pio colono in ginocchio

Prega il Signor che storni l'imminente ruina. Inutilmente. Iddio nell'alto dei suoi

Cieli non bada alla fervida prece. Ma il saggio, che ai severi studi rivolse la mente

E di Natura tutti i segreti seppe, « Io vinco » dice « la furia del turbine » e tuona

Contro le nubi con gli incruenti bronzi. Così contro la bruta forza di Natura comb.itte

Il saggio e sulle vigne... grandina come prima.

Ruscello alpino

Sulle mie rive non fu liattaglia, ihe il mondo

Ricordi: non mulini, non officine io muovo. Con sottil vena scendo giù per la balza petrosa

E dopo un correr breve mi perdo in un torrente Anch'esso ignoto al mondo. Ma nel silenzio dell'Alpe

Chiara è la voce mia, ma nelle pure conche Dell'acque mie si dis.seta il gaio fringuello e mi dice

Quasi a compenso la sua nota giuliva. Soche dall'altre valli* calano rivi, che poi

Illustri fiumi corrono i vasti piani. Ma non li invidio, pago di ricantar qucsU mi«

Canzone ai t-osi-hi, Me nuvole. .<1 sole.

MARCO LESSONA

.,, .r-r-!^f, 7-*"

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La terza volta

Io non so perchè tu mi faccia questi rac- conti ! osservava Marco Pittàra, accarezzando distrattamente ii boccale.

Gaspare Vigo rideva ; a una cert'ora di notte, nell'osteria deserta di Stefano Turlo, sulla strada che da Anticoli Corrado mena attraverso la mon- tagna a Saracinesco, Gaspare si sentiva invaso dall'estro narrativo e s'abbandonava al galoppo della fantasia. Raccontava cose strampalate, ga- bellandole a Marco quali storie autentiche di paesi lontani; i quali, lontani o vicini, non sem- bravan popolati se non da figuri paurosi e da larve tremanti.

Marco sbuffava, spiacendogli di lasciarsi pren- dere in trappola ogni sera, e desiderando nello stesso tempo di provare a e agli altri il proprio coraggio.

Marco Pittàra, vinaio arricchito, uomo robusto sulla cinquantina, forte bevitore, era nervoso quanto una femmina; e usciva dall'osteria per tornare a cosa, ogni notte inquieto- e sospettoso, come avesse dovuto batter del naso in qualche apparizione soprannaturale. Egli abitava a circa un chilometro da Anticoli, verso Saracinesco; mentre Gaspare, il romanziere notturno, non aveva che un passo da fare per trovarsi a casa sua.

Bel coraggio! pensava Marco qualche vplta. Se Gaspà dovesse camminar come me, vorrei vederlo!

Ma Gasi)are Vigo non aveva paura. Spirito naturalmente ingegnoso, animo d'avventuriero, sdegnando di calare a Roma come tutti i suoi conterranei a far da modello negli studi di pit- tura, aveva corso mezza Europa, tentando mille mestieri, ed era tornato con un certo peculio ad Anticoli, ove s'era dato all'ozio più rigoroso. Passava giorno e notte nelle osterie, pellegrinando db Anticoli a Mandela, da Saracinesco a Cervara, da Agosta a Canterano. Bellissimo giovane, com- pagno allegro fin che non raccontava storie bal- zane, pronto a pagare da bere e anche a farsi rispettare, era conosciutissimo ed amato.

Del resto, ad ogni poco, egli veniva innanzi

con qualche trovata bizzarra, che dava a pensare. Egli afìermava, per esempio, che ogni uomo, prima di morire, arrischia due volte la vita; alla terza, la morte lo afferra.

Scasami, osservò Marco', quella sera in cui accarezzava distrattamente il boccale; io ho cinquant''anni fe non ho mai rischiato la vita per niente, e sono sempre vissuto pacifico.

Stammi a udire, ribattè Gaspare. In- nanzi tutto, tu non puoi dire se hai rischiato la pelle o no. Qualche volta si risica di morire e non si sa; la morte vola e non la vediamo; casca addosso a un altro e ci pare che non sia passata vicino a noi.

A questo modo, hai ragione tu! disse Marco, versandogli da bere.

Si sa, che ho ragione io! Ma qualche volta avviene che te la trovi a faccia a faccia.

Chi? domandò Stefano "Turlo, l'oste, svegliandosi di dal banco.

La morte! esclamarono Gaspare e Marco insieme.

Eh, mannaggia li cani! disse Stefano, chiudendo gli occhi di nuovo.

Dunque, te la trovi a faccia a faccia, e te vedi li, dritta e tranquilla, seguitò Gaspare. E per due volte ti rispetta ; e alla terza ti piglia, vero com'è vero Dio!

Levò il bicchiere e lo bevve d'un fiato.

E tu? chiese Marco, interessato a quella rivelazione cabalistica. T'è avvenuto di ve- derla mai ?

Gaspare Vigo si rabbuiò in volto, si lisciò la barba nerissima, e pronunziò quasi sottovoce :

Due volte !

All'anima! esclamò Marco. E dove!...

A Londra, la prima volta; caddi dal carro che guidavo, tra le gambe del cavallo. Il carr» era carico di sabbia ; e una ruota mi passò 9 due centimetri dalla testa ; per un dito, non mi ff ce del cranio una pifza.

E la seconda volta ? incalzò Marco.

La seconda, a Roma! disse Gaspare, ma non aggiunse motto.

A Roma? E perchè? chiese Marco, dopo avere invano aspettato il seguito del racconto.

Gaspare si lisciò di nuovo Ja barba, e strin- gendo le labbra con aria sdegnosa, dichiarò:

Quistioni di donne!...

Vi fu un silenzio, durante il «luale i due amici st'ettero ad ascoltare i canti dei giovanotti nella montagna. Il» giovedì e il sabato era costume di* recarsi sotto le finestre delle tidanzate a cantare con l'accompagnamento flebile della cornamusa; e i canti echeggiavano di valle in valle, arditi e violenti, qualche volta misti allp strido degli uc- celli notturni.

Udendo che una fra quelle brigate di cantatori s'avvicinava. Marco Pittara s'alzò per accompa- gnarlesi. Gaspare gettò_.i denari del vino presso il boccale.

Sicché, disse Marco avviandosi, l'hai vista due volte?

Due volte, ripetè Gaspare cupamente.

E alla terza ci caschi ?

Gaspare non rispose. Ambedue si diressero verso la porta, e quando furono sulla soglia del- l'osteria. Marco stese la mano all'amico, dicendo a mo' di scongiuro:

Speriamo di non incontrarla !

Chi? domandò Stefano Turlo, alzandosi per chiudere.

La morte ! risposero Gaspare e Marco insieme.

II.

Gaspare Vigo aveva per amante la moglie di Marco Pittàra.

La colpa, diceva Gaspare, non era sua ; la colpa era di Marco, il quale, già sul valico della maturità, s'era avvisato di sposare una fanciulla di sedici anni, uno di quei meravigliosi tipi della Sabina, dalle forme snelle e perfette, dai grandi occhi cilestri, dai capelli biondi, dal profilo seve- ramente classico. ,

Queste fanciulle bellissime passano l.'inverno e la primavera a Roma, posando negli studii pittura; e l'estate rimangono in montagna. Pre- coci nello sviluppo, sfioriscono presto per le gravi fatiche alle quali devono piegarsi allorché tornano a casa. Esse attingono l'acqua nella Valle e riem- pita la « conca » di rame, che contiene quindici litri, la recan sulla testa fino in alto della mon- tagna ; sulla testa portan fasci di legna e gravi pesi; e incrociate le bracci,., camminan cosi, lente e solpnni. ,

Mariantonia Pittàra, sposatasi a Marco, non temeva di sciupar tanto presto la sua bellezza, perchè aveva due serve ni suoi ordini ed era te- nuta cohie una signora.

Ella aveva visto Gaspare Vigo andando un giorno alla fiera di Àrsoli. La gióvane sedeva a ridosso del suo muletto grigio ; Gaspare andava

a piedi ; e ambedue scesero la bella stratta, che da Anticuli va nella valle .dcll'Anienc, e rimali- rono. per l'altro versante sulla strada liscia, la quale condijce ad Arsoli. , ' '

Nel tramestio della fiera, fra gli uomini e le bestie, tra i banchi cl,i mt-fce e i tiiriaK>;i. Ir» le ondate repentine dt.-lla lurba,*Gaspare fu wnipre accosto a .Mariantonia ; allogò il mulo presso una stalla, accompagnò la giovinetta qua e 14 per le sue compere, e verso l'imbrunire; .Mariantonia, rimessa sulla cavalcatura da fjasparc. tornò con lui in paese.

Cosi s'innamorarono i due giovani, perciiè in quel giorno parlarono di molte cose, diventa- rono amici, puf si sentirono turbali V tacquero. Poi si videro altre Volte, e per trovarsi inven- taron dei pretesti ciascune* dal proprio canto: in ultimo, i pretesti li inventarono insieme, con- fessandosi schiettamente il loro amore.

Gaspare scendeva all'.Aniene a pescare! granchi, tra il foltissimo canneto; e presso 1.» correntia azz6rrastrae tun\ultuosa, .Mariantonia lo ra>;guin- geva di frei|uente. Il giovane non si di.sMmu- lavache la 'cosa si sarebbe presto risaputa in paese; ma non temeva .Marco Pittàra, e alle prime avvisaglie, per la pace di Mariantoniii, sa- rebbe tornato a Roma, o più su o più giù, poiché I9 vita in paese,' la vita senza l'amore gli sarebbe venuta a noia.

A poco a poco, gli amanti si fecero temerarii, e quando .Marco, assentatosi per atfarl, dormiva fuori dije o tre notti, Gaspare entrava nella casa di lui.

L'n sabato, passò dalla casa un gruppo di gio- vani che andavano a serenare sotto le finestre delle fidanzate, e allorché fu'ron presso la porU di Mariantonia, tacque la cornamusa ctarci.iir- i canti; indi s'udi un bisbiglio, fu' proni;;-..- .; il nome della giovinetta, e qualcuno aggiua.M. una parola oscena.

Gaspare si morse le mani, a sangue; ma do- vette rimanersene presso Mariantonia. che pian- geva; e a crescere lo scherno, un uccello not- turno singhiozzò nella montagna, poi diede in un urlo, che pareva upa sghignazzata.

Potessi uccidere«hlmen<' -lami»

Gaspare, col pugno teso ver

E disse le parole con ira i. . . , ..;.')nata. che la .iiiovinetta sorrise tra le lagrime.

Ma l'avviso non giovò se non per qualche ael- timana; la passione li lìpresc, e i convegni notturni furono continuali.

Fra tutti, il più inquieto era Si- l'oste; il quale poteva giudicare, il.i udiva, la graviti» del fatto e ' ' voleva bene a Gaspafc e a

vevano, pagavano ed erano ..- -.

fano avrebbe voluto evitare una tngvdia, e <tu-

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diava la maniera di rimproverare Gaspare, cau- tamente, con rispetto.

Una sera, trovò la frase. Erano appunto soli, Stefano e Gaspare, perchè Marco era partito per Subiaco.

Gaspà disse Stefano , battendo sulla spalla del giovane, che* sonnecchiava in un an- golo dell'osteria, aspettando l'ora di scivolare in casa di Mariantonia, Gaspà, attenti al gioco ! Che tu non dovessi vederla la terza volta!...

Gaspare lo guardò trasognato senza com-' prendere.

Chi .'' chiese poi, sbadigliando.

La morte ! esclamò Stefano Turlo.

III.

Soffiava il vento, sradicare una quercia, e l'oscurità era così fitta, che chiunque non fosse stato padrone della .strada, non si sarebbe av- venturato quella notte per la montagna. La strada era malagevole, ora larga e sassosa, ora affondata tra due siepi alte, ora aperta alla raf- fica e scoscesa lungo il versante; saliva, scen- deva, risaliva poi per lunghissimo tratto, fino a Saracinesco.

Gaspare Vigo, senza lume, procedeva cauto, ma sicuro, ravvisandosi a un nonnulla, a una scabrosità della .roccia, alla forma d'un albero appena intravisto. E pensava alle parole di Ste- fano Turlo, tranquillamente.

Fosse quella, la terza volta, l'ultima?... Ga- spare aspettava la morte per un giorno più lon- tano; ma anche in quella notte un masso stac- catosi dall'alto, un albero che piombasse d'un tratto abbattuto dal vento, un passo falso e un tracollo giù per la montagna potevano spacciarlo. Per ogni dove il pericolo aveva agio a celarsi, e da qualunque parte Gaspare lo aspettava, fuor che dalla più facile e dalla più terribile.

Marco Pittàra non era a Subiaco. Tornato su, un'ora prima che Gaspare passasse, si era appiat- tato presso la casa e stringeva il fucile tra le mani... Non era possibile vedere a un palmo dall'albero appiedi del quale Marco stava rannic- chiato, ma l'uomo contava che la luce venisse dalla casa medesima. Doveva pure, Mariantonia, scendere ad aprire e illuminare i passi dell'amante; in quell'atto, in quel lampo, IMarco avrebbe fatto fuoco.

Gaspare Vigo saliva,, tranquillo e sicuro.' Il suo pensiero aveva abbandonato la morte e presen- tiva l'amore. Gaspare vedeva già Mariantonia, tutta bionda, aprire silenziosamente la porta, fargli cenno, coll'indice ritto innanzi alle labbra, prendergli la mano e condurlo nella sua camera, e serrar l'uscio, e poi volgersi a sorridere, mo- strando la magnifica bocca dai piccoli denti bianchi.

Ella portava sempre alle orecchie due grandi cerchi d'oro. *

Marco Pittàra, nervoso, contava i minuti. Da quanto stava egli presso quell'albero? 'Come, nell'attesa egli s'era mutato! Prima, feroce e implacabile avrebbe ucciso e Gaspare e Marian- tonia e le due serve; poi si era messo a ragio- nare. Vi fosse qualche altra maniera di trar vendetta ? Che cosa avrebbe fatto suo padre, in simile frangente!... Non sarebbe stato meglio discorrere con Mariantonia, ch'era una bambina, poveretta, e farle comprendere il male, e perdo- narle, e finirla cosi?... Ma la memoria di suo padre, uomo risoluto e senza pietà, tolse dal- l'animo di Marco ogni tentazione di debolezza. Bisognava uccidere.

Gaspare Vigo seguitava la sua strada. Era riuscito, tra il fischiar del vento, ad accendere la pipa, e si godeva la visione di Mariantonia; ormai all'ultimo tratto, sostò un istante dentro un gomito della strada, ascoltò la musica del vento fra le chiome degli alberi e il grido di quel maledetto uccello notturno, che sghignaz- zava ora da presso, ora lontano. Poi riprese il cammino.

Marco Pittàra dubitava in quell'istante non più di stesso, ma del fucile che teneva fra le mani. Tutto dedito agli affari suoi. Marco non faceva un colpo da parecchi anni e le quaglie parevano sfidarlo, venendo a borbottare presso la sua casa. La carica era buona e di buona polvere, ma la canna poteva scoppiare o il gril- letto far cilecca... Questo pensiero s'impadronì di Marco, il quale temeva di rimanere vittima della propria arma e di far ridere tutta la Sa- bina... e a turbarlo maggiormente, venne il ri- cordo di certe storie macabre, che Gaspare raccontava con voce profonda. « La morte vola e non la vediamo: casca addosso a un altro, e ci pare che non sia passata vicino a noi ». Vo- lasse anche in quell'ora notturna? Fosse vicina a Marco, mentr'egli credeva di lanciarla addosso a Gaspare?... Alino, due volte già aveva rasen- tato Gaspare; e quella era la buona... Il fucile non avrebbe fatto cilecca.

Ma lo strepito di alcune pietre che rotolavan giù pel versante, mozzò il respiro di Marco. Egli si drizzò in piedi, e con l'udito acutissimo del montagnaro, . distinse tra l'ululo del vento il passo d'un uomo che si avvicinava... Sentì in quell'attimo una vertigine, una confusione turbi- nosa'nel cervello, e cominciò a tremar d'ira e di spavento, di sdegno e d'orrore... L'uomo ch'egli doveva uccidere .era a qualche metro da lui. Con un sol balzo sarebbe potuto piombargli addosso e rovesciarlo giù per la montagna.

Mariantò ! bisbigliava una voce presso la porta.

Nessuno rispose.

Mariantò ! disse la voce più forte, mentre una mano batteva discretamente.

Allora una luce apparve dentro la casa, e si mosse.

Marco, a ridosso dell'albero col fucile tra le mani, tremava come una foglia. Di tutto quanto aveva pensato, di tutto quanto aveva proposto a medesimo, nulla più ricordava ; la certezza che la moglie lo ingannava con Gaspare gli riem- piva l'anima d'una maraviglia cosi grande, così inattesa, cosi nuova, come s'egli avesse appreso il tradimento solo in quell'ora e in quell'attimo.

La porta si schiuse. Sul limitare, una candela in mano, apparve Mariantonia tutta bionda, coi grandi cerchi d'oro alle orecchie. Ella fece un gesto a Gaspare, l'indice ritto innanzi alle labbra, e Gaspare l'aflerrò tra le braccia e la portò dentro, violentemente, d'un colpo.

Mentre la porta si richiudeva, il fucile scivolò dalle mani di Marco Pittàra, che jjuardava la sua casa, tornata buia, con gli occhi spalancati.

Poi d'un tratto si mosse, s'allontanò per un viot- tolo, e 'l'intera notte, fino al comparir del sole. Marco Pittara vagolò disperato per la montagna.

l\'.

Nell'osteria di Stefano Tarlo v'era folla: si rideva e si giocava alle carte. Gaspare Vigo gio- cava a scopone con tre altri giovani, ed era pieno d'orgoglio per i bei ricordi della notte. Nel mentre si mischiavano le carte, egli lanciava le sue frasi bizzarre e raccontava una barzelletta, suddividendola come in capitoli, ad ogni inter- vallo tra l'una e l'altro giro di carte; i boccali giungevano colmi ed eran vuotati in breve.

Si sarebbe detto che anche la fortuna volesse accarezzare il giovine audace, poiché egli e ri compagno vincevano una partita dietro l'altra, e il loro schiamazzo soverchiava lo schiamazzo di tutti ; Gaspare non era mai stato più al- legro, né più arguto, e i bevitori delle tavole vicine s'univano al coro delle risale ch'egli susci- tava con i suoi motti.

Ma levando il capo per lanciar dalla bocca il fumo della pipa, vide Marco Pittàra v'arcar la soglia dell'osteria, e fu stupito. O non era dunque a Subiaco ? E dove aveva passato quella notte, poiché Mariantonia era rimasta libera e sola in casa ? Istintivamente Gaspare finse di non veder Marco, e chinò il capo.

Qua le carte! disse al compagno. -Va' ve /accio vede!

Anche Marco entrando finse di non vedere Gaspare Vigo.

S'attardò a parlar con l'uno e con l'altro, a (juesta e a quella tavola, e saJutò con la mano Stefano Turlo.

Addio, Stefò!...

Egli pareva rabbuiato e triste; di certo, era men rubicondo in faccia, e il suo sguardo si po- sava sui circostanti con una in<|uietudinc nuova, come avesse temuto di leggere in vivj agli amici l'espressione d'uno scherno o di una rampogna.

D'un tratto si decise.

Alla tavola di Gaspare, il giro delle cnr'- •-• finito, e uno dei giocatori mischiava il Gaspare, il gomito destro appoggiato sulla ; una gamba accavallata sull'altra, Vigilava di sot- tecchi l'amico, del quale non si sentiva più si- curo.

Marco andò a lui, dritto, gli battè con la mano sulla spalla:

Gaspà! disse, tu sei una bestiai... Come per incanto, si fere un silenzio pnv—'

e a tutte le tavole il giuoco cessò d'ui,

Gaspare toccò l'insulto e stette immolli: ridendo, (]uasi a far credere che si trattas--'' tl'uno scherzo.

Gaspà! sei una be?>tia' continua Marco. Tu m'hai detto che prima di morire, l'uomo vede la morte tre volte, e alla tefi* la morte se lo piglia!... Te ne ricordi?

Embèt chiese G.Tspare. togliendosi la pipa dalla bocca.

fCmbè, non è vero ! dichiarò .Marco. Stanotte, tu hai visto la morte per la tena volta. e non ti ha piglialo !

Gaspare crollò le spalle.

Chi ti ha detto che io ho veduto la mortr per la terza volta? domandò con un .sorriso, li- sciandosi la bella barba.

Guardami in faccia, Gaspà!

Gaspare si alzò in piedi, e guardò Marco ncsli occhi.

Te lo dice il figlio di mio padre, te ' Marco Pittàra, che tu hai visto la morte >! .

dichiarò Marco a voce alta. E non w hi iSigliato ancorai...

S'allontanò, e andò al banco di Stefano Tiirk», che era pallido di spavento.

Gaspare tornò a sedersi; poi prese Je carte dal compagno, rispose con ciJma:

Sai come fu?... avrò sbagliato 0 conio'... Ma quel giorno medesimo Gaspare Vii: ->'

bandonava Anticoli e si recava a Roma, in . . r .1 d'altre avventure.

LUCIANO ZÒCCOLI

XXVI.

SONETT

Luna estiva.

•Estate fuggitiva.

Or che la- luna estiva in su le soglie chiama f'abitator de la campagna, Kuom loda 11 chiaro tempo e la compagna da la conocchia il suo fpso discioglie.

E un indistinto mormorio di foglie a quell'uman susurro s'accompagna, come sospiro d'acqua che si lagna nel cavo de la man che la raccoglie.

Ouindi jje' campi cadono giganti oilibre di nubi e d'arbori tra '1 lume, e il timor preme i pie' dei viandanti ;

e pel seren la luna alta governa la bianca vela, e specchiata sul fiume gli conta una sottil favola eterna.

Quando l'Agosto in vel cerulo arriva ' a' deserti de' pascoli mietuti, Pestate con balen d'aurei saluti avalla, d'Appeonin già fuggitiva :

lei seguono i pastor, di riva in riva, con richiami di campani sperduti in mattutine tiebbie, e al sol arguti variando un umil gemer di piva. ,

Quella non danza o trilla: orecchia lieve il calpestìo onde il cavai ventoso d'Autunno piomba dal Cimòn piorno;

e piega, ne la fretta, il luminoso òmero in un vanir d'algido gioAo che presente i silenzi de la neve.

Il pioppo.

Corrispondenze.

Malanconia che da' cipressi apprese orror d'ombre solenni e antico oblìo, siede, o pioppo, talor al mormorio de le tue fronde a la luna alta iirotese.

Ma sempre un ori'ol de l'aria il mio cuore, te imtuaginò allor che intese per- i silenzi" del natio paese tuo irrequieto tremolìo.

E nel fusto ei mi fingea rinchiuso un vivcf spirto che di fuor da un velo di argentee fogliette sospirando,,

si sforzasse ne l'aria, e ognor deluso lungi origliasse,, il vento misurando onde le nubi sciamano pel cielp.

Chiara felicità de la riviera quando il melo si fa magro d'argenti, e scorre con la verde anima ai venti pe' gréppi solatìi la Primavera

Sol la rovere par, umida, ostenti la spoglia al serenar tepido: fiera che Maggio sol le violi la nera ombra co i radiosi abbracciamenti.

.\nche la speme in cor esita; come fanciulla che le imposte apra e stillanti da' lavacri al mattin terga le chiome;

e canti, e segua al pian nel chiaro lume uscir da l'apuane Alpi fumanti con. un lento stupor, cerulo, un fiume.

CECCARDO ROCCATAGLIATA CECCARDI

xxvir.

^s:^

SENZA SCARPE

Visitavo le lene intorno Firenze: giorno per giorno, a piedi o in calesse di posta, come mi capitava.. Non c'era inica i tramvai a que' tempi !

Una volta montai in una vettura che andava dalla parte di Trespiano (eravamo tutti vivi nel legno, ve'!) e scesi a Pratolino per recarmi a piedi nelle abetine di monte Senario.

Passata l'ombria delle macchie piene di frulli d'ali e di chiò chiò di merli, m'avviai per il pianoro ventoso che finisce sotto al monte. Non si scopriva una persona a portata d'occhio su quei prati pingui che adesso son bandita dei Lori.

Ad un punto però, sotto un gruppo di alberi cresciuti quasi su la via malagevole, mi trovai davanti, all'improvviso, un uomo che mi guar- dava, fermo su i piedi. E lo guardai a mia volta. Chi era?! E pure quell'uomo c'era già ne" miei occhi! Ma più accorto di me egli mi riconobbe: Giovanni !

Mi fermai, lo guardai ancora perplesso, un istante. Egli sorrideva. Non mi riconosci dunque?! E lo riconobbi!

Oh, che impressione meravigliosa quando le nostre memorie calate e spente si riaprono al- l'impensata, come si potrebbe aprire fortuita- mente un forziere chiuso da cent'anni!

Eravamo stati compagni di adolescenza. Poi, alla morte di suo padre, mi sembra, egli era tor- nato in Toscana detìnilivaniente. E ci eravamo dimenticati.

Ed ecco che dopo tant'anni un caso mi faceva ritrovare il giovinetto querulo e stravagante in quell'uomo alto e fatticcio con una lunga barba bronzina e una gran voce !

Manco a dirlo : ci abbracciammo ; mi sequestrò : e dimenticai i frati di monte Senario e il liquore di gemma d'abete.

Egli possedeva una parte di quel pianoro e delle sottostanti foreste : e viveva colà. Rimasto solo, aveva preso moglie in una vicina borgata. Ma non molto dopo la donna era morta lascian- dogli un figlioletto.

Stravagante, incline alla solitudine, si era osti- nato a starsene, col piccino, segregato tuttavia nelle sue terre : convinto che al mon^o un uomo non si può acconciar meglio che vivendo in

buoni rapporti con le lodole, con gli alberi e col sole. E vi sfido a dire che egli avesse torto!

Ci incamminammo verso la piccola casa che occhieggiava poco lontano fra i lecci. Egli aveva tolto il mio schioppo. E il nostro passato lontano rifiniva su le nostre labbra: trent'anni di vita riassunta all'improvviso nel breve specchio di quattr'occhi che si guardano!

Stavamo per giungere quando ci venne in- contro, sorridente, un ragazzetto scalzo, a capo scoperto, appena vestito. Ci fermammo. Ti piace? - Un bel ragazzo! Mio tìglio! E gli die un bufTetto su la guancia soda e ver- miglia.

Dico la verità, non seppi che rispondere. I^ mia curiosità era tutta nei miei occhi. Egli fece al fanciullone : Di dunque, vuoi bene a tuo padre? E tuo padre ti vuol bene? aggiunse tosto ridendo. Il ragazzo si alzò su la punta de'piedi e baciò suo padre con tenerezza infantile. Or non ti meravigliare per ciò che vedi, uomo di poca fede, conchiuse la bella barba. E mi spiegò quello che non avrei potuto capire.

Questo ragazzo, che sembra trascurato, è l'unica mia passione. Sono un uomo bislacco? Può essere! Ma io ò pensato: Che patrimonio posso dare a mio figlio, che nessuno abbia mai saputo dare ai figli proprii? Scienza, onori, ric- chezze? Cose vecchie, inventate, pericolose, lo invece ò voluto dargli un tesoro autentico che gli altri uomini anno perduto irreparabilmente: la salute e la verità come la natura le à tr.isfuse nella vita. Ò avuto l'idea di rifare il primo uomo, un'altra volta: semplice e fragrante come i frutti della terra ; tramiuillo e forte come i giovenchi che conduce all'aratura.

Non potevo riavermi dallo sbalordimento. Il caso era troppo singolare! E non gli ài im- parato nulla? chiesi. Gli ò insegnato le leggi elementari del cielo e della terra. E leg- gere e scrivere ? Anche, da me : ma quanto basta. .Ammonendolo che devon servire solo in sussidio della memori.i e della parola; dove non possono giungere l'una e l'altra.

Azzardai una domanda... Voi l'immaginate! Puro mi rispose, come il giorno the nacque!

Quel ragazzo fortunato non conosceva meno le facezie del pievano Arlotto !

Entrammo in casa. Ci mettemmo a pranzo. Noi bevevamo il nostro vino. Ed il ragazzo bevve la sua acqua. Poi noi fumammo su l'aia. Ed il ragazzo prese un'ascia e provvide pel focolare. La sera noi ci coricammo su i materassi. Ed egli se ne andò lietamente sul suo pagliericcio.

Stetti due giorni colà, incantato. Quando partii, di buon mattino, trovai nei campi il fanciullo primitivo che guidava i suoi buoi. Mi avvicinai. Sorrideva: d'un sorriso ingenuo da ragazzetta. Tutta la sua pelle d'oro viveva di gioia sotto una peluria di germoglio che butta. Fermò i buoi col braccio robusto e con la voce : e mi tese la mano.

Io me ne andai pensoso, quasi preoccupato.

Una diecina di anni dopo forse, quando avevo dimenticato completamente il caso singolare, un bel giorno la fante mi annunciò: Il tal dei tali!

Restai col naso in aria. Il tal dei tali ?!

Gua'! Ma fallo entrare subito! E gli andai incontro io stesso.

Si era fermato su la soglia di casa, fra sorri- dente ed impacciato. Era un bel giovanottone adesso, tant'alto! e vestito signorilmente.

Gli tesi ambedue le mani, per fargli festa; ma un po' stordito. Senza volerlo gli guardavo le scarpe. Ho capito ! fece lui. - Sempre curioso voi! ma avete ragione: evi contenterò.

Era in viaggio. Rimase mio commensale. E mentre s'imbandiva, mi narrò com'era avvenuto quell'inesplicabile mutamento.

Suo padre era morto un anno prima. Ed il figliuolo, che era rimasto erede di una discreta fortuna, aveva mantenuto le sue abitudini patriar- cali. Il mondo...! Uhm! Il pane, il latte, il gia- ciglio e la semplicità, tra i suoi fieni e le sue giumente ed i suoi buoi : senza un minuto di noia : senza una idea di perplessità.

Ma se tutto à da finire in questo malanno della vita, è naturale che l'innocenza, più presto o più tardi, sia la prima a lasciarci in asso. E per quel ragazzo aveva già tardato abbastanza !

Un giorno dunque (era l'estate di due anni avanti), mentre egli se ne tornava a casa di fretta, essendosi levata all'improvviso una buriana nera come fuliggine, che gli veniva incontro minaccio- samente, fu sequestrato dalla rapidità del tempo- rale sotto un gruppo di alberi. Urli di vento, turbini di polvere rivoltuosa, e tuoni e lampi e poi acqua a rovescio : un finimondo !

Una vettura di Firenze col mantice alzato venne a fermarsi accanto a lui. Investito dalle raffiche che gli sbattevano sul petto torrenti d'acqua, il ronzino a testa bassa grondava a ruscelli. Il vetturino snocciolava le più compunte

litanie fiorentine. Dentro due donne raggomito- late tremavano dai gricciori e dalla paura.

E poiché l'acqua strosciava sempre con inter- minabile violenza, una d'esse, che aveva veduto il contadino, sporse il capo e chiese se c'era un luogo da ripararsi. ^ In casa mia - disse il gocciolone cordialmente. E il fiaccheraio, che, praticando quei luoghi, lo conosceva, soggiunse in aria rassicurante : Possono andare ! Gli è un galantuomo! Si deve andar lontano? Ve' la su' casa ! - insegnò il poveraccio che co- lava come una fontana.

Allora le due donne scesero prestamente e in- sieme al giovinetto, correndo a rompicollo sul prato che pareva convertito in uno stagno, an- darono a rifugiarsi al coperto.

Ma nel breve tragitto si erano tutte immollate, i capelli, le belle vesti, gli stivalini.

Incurante di sé, il giovinotto non scrollò anche la casacca che gli si incollava su le reni, offri alle donne da sedere e ordinò ad una con- tadina di buttare una buona stipa sul focolare. Poi chiuse la porta da cui frizzava il vento e l'umidità.

Le ragazze (perchè erano due splendide fi- gliuole su i vent'annij si desolavano rimpian- gendo le loro acconciature affloscite. Pareva che meno si accorgessero del beneficio del fuoco e delle cortesie del padron di casa. E quando cominciarono a sentir freddo nei piedi bagnati, senza preoccuparsi punto di quei due o tre vil- lani che stavano loro a torno, si interrogarono :

Ci caviamo gli stivalini? Sì! E le calze. Sono fradicia sino ai ginocchi. E i cappelli. Il mio é gocciolante. Non vedi la pedana della mia veste?! Fra giubbetto e camicia io ò un appiccicaticcio su le spalle. Una si volse, e stava per dire: Avreste un tappetino? - quando vide sopraggiungere il giovanotto che allungò una stola ai loro piedi. Bravo! - esclamarono insieme. E lo guardarono con curio- sità : per la prima volta.

In un attimo si tolsero i cappellini, che il gio- vine passò ad una contadina, la quale andò a de- perii sopra un letto in un'altra camera, e si cavarono gli stivalini e le calze. Poi si sfilarono la veste, la sottana ed il giubbetto, restando col busto e con le mutandine crespe di seta. E mentre si staccavano dal petto e dalle spalle i merletti umidi della batista, cominciarono a ri- dere, tutte liete ormai, come due bambinone maliziose.

Le contadine, in imbarazzo, ostentavano di tirarsi da parte; mentre i piedini d'avorio sal- tellavano su la stola, e al riverbero del fuoco le gambe tornite parevano fusi d'oro. Io - mi raccontava l'uomo primitivo, infiammandosi an- cora - non potevo raccapezzarmi. Mi pareva di

vedere due panieri colmi di pésche... con delle fragole!...

Intanto la tempesta era passata. Ma era quasi notte - seguitò a raccontarmi il giovine. - Una delle due ragazze mi domandò : Ci sarebbe da dormire qui? Si, c'è. E il padrone dov'è?

Son io. Voi?! E quegli altri chi sono?

Contadini della mia azienda. Ma se portano le scarpe : e voi non avete meno un cappello !

Perchè io sono stato abituato così. Sempre?!

Sempre. Anche d'inverno?! Anche.

Si erano alzate ambedue: e mi stavano sopra, osservandomi adesso con una curiosità che mi turbava.

Poi si consultarono fra loro. Possiamo re- stare, che ne dici? Si sta così bene qui ! Dite su, giovanotto, ci darete da dormire? Volen- tieri. — E da mangiare? Certamente. Tanto non si va in iscena che domani ! conchiuse una. Supposi che dicesse a me. Dove si va ?

In scena. Ma come! non sapete...?! No, non me ne intendo io! E non siete mai stato al teatro? No. meno ai teatri di Fi- renze? — Non sono mai stato a Firenze. È cu- riosa ! E pure è un giovane di civiltà ! È un caso straordinario ribattè l'altra" Ma non avete moglie ? mi chiese quindi. No. anche un amante? No. anche una fidanzata? No, no. E... Poi s'interruppe. E non udii quello che bisbigliarono fra loro.

La carrozza era stata rinviata. I lumi accesi. I contadini se n'erano iti pian piano, ammiccando. Erano rimasti la fante ed un vecchio guardiano che dormiva in casa mia.

Fu ammanita la cena. C'era della carne allo spiedo in un angolo del focolare. Feci aggiun- gere delle uova. Al vino non ci pensavo punto.

E del vino non ce n'è?! Ah, è vero! E poiché erano ancóra in cantina alcune vecchie bottighe rimaste dopo la morte di mio padre, corsi a prenderne un paio io stesso. Le recai su la tavola. E mi posi a sedere. Tu dove ti metti? - domandò una delle ragazze all'altra. Accanto a lui. Ed io pure.

Ci sedemmo dunque tutti da un lato, su la stessa panca, in filai E mi stavano così addosso quei due fiori di tentazione che i nostri visi si incontra- vano quando ci voltavamo uno verso l'altro.

Mesci, padrone! Empii i loro bicchieri.

E tu?! Io bevo acqua. Sei astemio?

Non lo so. Non ò mai bevuto altro.

«9

Stavo con le maniche rimboccate. E sentivo passarmi su le braccia un fresco vellicamento di seta. Erano quei panieri riboccanti di ptechel...

Mentre esse mi riempivano la casa della più vivace letìzia femminile, io provavo invece come un sordo furore ed una malinconia che fino a quel punto non avevo mai conosciuto.

Cosi, insoddisfatto, umiliato, dovetti prestarmi ad assaggiare il vino per la prima volu. E come avrei potuto rifiutarmi ? Un po' crucciate, un po' ridenti, esse lo pretesero. Di qua e di le loro mani scorrevano supplicando per la mia persona. E mi calcavano sempre : mi si buttavano ad- dos.so: mi parlavano su le orecchie e su la bocca, tutte vermiglie in viso, infervorate dal vino ge- neroso.

Dopo cena s'infilarono le calze, gli stivalini, le sottane, e vollero uscire su lo sterrato. La notte era calda e serena. Non passava un fiato d'aria nella oscurità. L'odore dei fieni, pesante e pen«> trante come una nebbia, pareva che fasciasse la terra. E una inquietudine nuova, come un senso di angoscia, si impadroniva di me.

Sigari poi non ne tenevo ! Ma esse avevan re- cato delle sigarette. E per la prima volta dovetti anche fumare, mentre le ragazze mi raccontarono di essere piemontesi (le ragazze - me ne sono avveduto più tardi - che parlano peggio, ma sanno farsi intendere meglio di tutte le altre d'Italia) ed artiste in una compagnia di ojjcrette che do- veva debuttare a Firenze il giorno appresso.

Ma, dopo avermi narrato i fatti loro, vollero che dicessi i miei. Vollero sapere tante cose: sopra tutto quelle che io non sapevo. E mi in- terrompevano continuamente, con esclamazioni di stupore, con dei fremiti, con piccoli nitriti che si sniorzav,ino nel buio come campanellini d'ar- gento lanciati sopra di noi.

Si erano strette a me per interrogarmi e per udirmi meglio. Tenevano nelle loro piccole mani ciascuna una mia mano. Il loro respiro pareva che attizzasse il fuoco su le mie guance. Avrei detto di intravedere nell'oscurità i loro occhi lu- minosi che si riflettevano sul mio viso.

Poi vennero a sedersi, ambedue contemj>ora- neanienie, sopra le mie ginocchia.

La fante e il vecchio dormivano ormai. E le stelle del cielo si erano rifugiate dietro gli abeti di monte Senario...

Cosi l'indomani partimmo tutti tre per Fircnxe.

E per la prim.i volta mi misi le scarpe.

GIOVANNI DIOTALLEVI

■^=^^-^^'ì^:r-

XXVIII.

)Nel nido della quaglia

Leonilda esitò un pochettino ma fini per ce- dere alla curiosità e quella sera stessa verso le nove, attillata da scoppiare nel suo finto Chan- tilly un po' verdastro un po' rossiccio, faceva il solenne ingresso in casa Quaglia. In antica- mera la accolsero Aminta tutta luccicante e fru- sciante di sete verdoline e di oreficerie anti- quate e Pallade rosea nel volto e nell'abito con uno strascichetto coperto di trina e una piu- metta rosa nel ciuffo dei capelli color di mela- rancia. Sorrisi, inchini, complimenti.

Brava Brava favorisca in salotto

Prima lei prego

Al fulgore accecante del gas il salotto por- pureo nei mobili nei parati nei tappeti folgo- rava come una macelleria. E le donnette e gli ometti che vi si trovavano a quei riflessi appa- rivano verdognoli giallastri e turchinicci.

Si accomodi qui sul sofà... signora... Vi- cino alla signora Taccorini... Permetta, signora Coppa, che le presenti la signora Piota... mia cara amica... Signora, il dentista Piota... il geometra Fioretta.

Leonilda stordita stringeva le mani che le si protendevano inchinandosi impacciata perchè le stecche del busto la premevano fieramente. Sedette sul sofà presso a Fanny Taccorini, una gran bruna con degli occhioni appassionati entro borse di pelle floscia scoppiante anche lei da un abito di velo. La signora Ernesta Piota era in- vece magrissima con un naso adunco e un nodo bianco sul seno. Suo marito Evasio Piota, chi- rurgo e dentista, aveva una fronte interminabile su cui calava nel mezzo un promontorio di ca- pelli verdicci leggeri come una muffa, e degli occhi color d'acqua saponata orlati di rosso. Il geometra Nino Fioretta invece era un bellissimo giovinottone di quarantatre anni, roseo e lucente come una mela d'inverno, con dei baffi sottili e lunghi come pennelli bagnati. Ma quel che ve- ramente splendeva e trionfava era l'uniforme d'un militare di fanteria intento presso il piano ' alle ciarle di Pallade Quaglia.

Cara signora ! esclamò Aminta Quaglia Come le sono grata della sua venuta ! Pino,

vieni a salutare la signora Coppa... SignoraCoppa, le presento mio nipote il tenente Pino Pini...

Leonilda s'alzò per rispondere all'inchino del sopraggiunto tenente ma la stecca del busto la ripunse in territori vaghi. Non riuscì a balbet- tare che sconnesse parole. Nella gran luce, nel gran calore, su tutta quella porpora di beccheria l'uniforme del fante abbagliava veramente. E colui che essa vestiva era un giovine roseo e im- berbe e infantile nel volto, ma nella persona gonfio e sconcio come una donna pregna.

Un cattivo soggetto! aggiunse Aminta contenta.

Mi metta alla prova! declamò audace il paffutello guerriero.

Ma tornò al suo angolo presso Pallade Quaglia a cui s'era unita Ernesta Piota.

Il discorso riprese variamente nei vari gruppi. Ma chi lo dirigeva soddisfatta era Aminta Quaglia troneggiante nella sua sedia sanguigna, e gialla come un biscottino e ostentante sul seno un pezzo di Colosseo in una rotonda spilla di mo- saico larga come il coperchio d'una tabacchiera. Parlava con gran dignità, ma ogni tanto vol- geva un'occhiata furibonda alla figlia col nipote.

Verrà anche il sindaco annunziava la donnetta gonfiandosi. È mio parente... Mio cu- gino per parte di madre... Un uomo! Un uomo! Il commendatore Carlo Carelli... Ha un gran da fare perchè i socialisti non lo lasciano in pace. Verrà più tardi... ma verrà... me lo ha pro- messo. . .

É vero che sposa Clotilde? chiese som- messamente Fanny Taccorini compunta.

Ma che dice mai... mia cara signora... Ma

è un'infame calunnia dei suoi nemici... Sa?

Un uomo solo... Lo fanno subito sposo con la sua serva... Ma un uomo come quello?... Ma nemmeno la contessa della Frola sarebbe degna di lui... È un uomo superiore... creda...

Ah ! un uomo simpatico ! sospirò Fanny Taccorini. Aveva le gote molli e rugate e una bocca che sotto la fodera troppo larga della pelle morta rivelava la sua cerniera ossea di va- ligia guasta. Un uomo d'oro ! Era grand'amico

del mio povero Pio... Quando rimasi vedova fu più clie un fratello per me... ' Alibiamo pa.ssato delle sere d'incanto vicino al fuoco parlando dei npstri poveri morti...

Si soffiò l'enrme naso in un fazzolettino minu-scolo, che incartocciò e insinuò nei misteri del seno. i

È bello... vedesse! Delle gambe bianche

come un pollastro confessò Aminta Quaglia

beata... '

E i bambini? richiese più piano laTacco- rini. Sono sempre a Vignale ?

Ah! Si Quella è stata una vera di- sgrazia!... — Mostrò alle amiche solo il bianco dell'occhio, il Colosseo tremolò su le sue colline e le mani si protesero pietose. Si figuri si- gnora Leonilda un uomo con tanto mondo... Ma è stata quella grama pelle di Clotilde che lo ha stregato Due bambini... Si imagini; due ge- melli... Non è una vergogna?

Leonilda Coppa ascoltava aftettahdo grande attenzione ma imbarazzata nel rispondere, non potendo staccar gli occhi dal tenente che tra la , donna rosea e quella verdognola declamava e gestiva. Che bel giovine! Non rassomigliava forse iin poco a quel militare che l'aveva se- guita in treno quatido era stata col povero Coppa a visitare l'esposizione di Milano? Più bello ancora! L'idealo; proprio come A't>(i'o//y nel Figlio della l'ergine! K quelle due pettegole che lo se- questravano ! Perchè ìion se ne liberava e non veniva a presentare alla forestiera il dovuto omaggio ? Ma già ! Doveva essere brutta quella sera! Perchè non s'era messo il vestito bianco, quello a righe rosse che piaceva tanto al farma- cista del paese ! Che sciocca ! Che sciocca !

Veramente anche Aminta non perdeva d'occhio il terzetto, ma anzi ogni tanto lo fulminava con occhiatacele. Soltanto i due uomini solitari ciar- lavano presso \\ focolare in pace. Il dentista Evasio Piota a tratti 'infilava il mignolo nel- l'orecchio agitando la mano spiegata come l'ala d'un ventaglio elettrico, e l'Adone quarantenne sputacchiava nel fazzoletto. Ma Aminta più non resse. La 'cosa cominciava ad essere indecente... La madre oftesa s'alzò. Disse :

"Pallade.... Intanto che s'aspetta il sindaco potresti sonar qualcosa...

La Bohème! fece il tenente entusiasta.

Oh! La Bohème! -— sospirò languida Fanny Taccorini.

Obbedisco ! esclamò Pallade facendo un inchino E tu Pino voltami le pagine...

Tutto quello che vuoi...

Cominciò la piagnucolante hiusica. Pallade sedeva di sbieco sporgendo la groppa indietro e il seno avanti alzando esageratamente te mani e lasciandole ricadere di peso come gli sportelli

(1 uii.i i..ir,>.i. I-, sui ifjiuzz'iji) M piunieu I i'ys.i tremolava sul ritmo dei sospiri di Mimi e di Ro- dolfo.

Come suona b«ne! susurrù fa madre

commossa. Lezioni di Paolini Tre lire

Torà...

E pili piano :

-*■ Pardon... Un momento... Mi chiamano di là... Torno subito...

E se ne andò frettolosa.

Sono proprio contenta d'averla conosciuta disse Fanny Taccoiyni prendendo le mani Leonilda. Diventeremo amiche, non è vero?

Sorriderfdo si guardarono le due faccione di vecchia carne incipriata. '

Io ricevo il venerdì seguitò la Taccorini È di moda ora... E lei?...

Io ricevo il sabato... Ma qui non ho ancora incominciato. 1 tappezzieri non mi hanno ancora arredata la casa. Ho rinnovato tutto... Laggiù davo un gran pranzo tutte le settimane e d'in-

verno anclit dei balli... Facevo arrivare i'baHe- rini da Milano... Dico la verità: un gran pensiero e una gran spesa...

Io non soiréos perchè sono vedova... Ho dovuto dire al sindaco di non venire più alla sera tante erano le critiche. Oh! Seccature cer- tamente. Per far come la signora Quaglia... tra noi... sarebbe me};lio non far niente... Sa dove è andata? In cucina a far lo zabaglione... Uova e vino della campagna... E intanto Pallade con la

sua musica ci fa portare un famoso lume E

tutti i mercoledì è la stessa storia...

.Simpatico però quel tenente... ,

-- Poh! Corteggia la cugina perchè crede sia ricca... Del resto è l'amante della signora Bian- chetti... Sa? La Josephine Bianchetti... la moglie dell'ingegnere Bianchetti prasiderfte del Casfno dei nobili... Cose note... Gli paga lin le calze e le mutande... Me lo ha detto la mia serva che è fidanzata dell'ordinanza del tenente... Oh! delle scene stupende... Glie le racconterò poi... Ecco il sindaco...

Allo strimpellio della commovente musica entrò un ometto rossastro e calvo con una barbeltina co- lor di carota e degli occhi dietro gli occhiali spor- genti e vitrei come bottoni in una vetrina. Lo accompagnava l'avvocato Apolline Quaglia serio ed elegante coi suoi bei batti lunghi e nn gran ciulTo luccicante di pomata. La musica cessò. Tutti si posero a complimestare la prima auto- rità cittadina...

Commendatore! Ben fortunato! Sempre al lavoro... Cugina, tante cose! Signora Piota sempre atVascinantel Non si disturbi !... Prego, prego!.... La signora Coppa!... Onoratissimol Che belfa festa!...

.\minta ritornò scortando un v.issoio di uzze

92

fumanti portato da una servettina in grembiale e cuffietta bianchi.

Viva la signora Quaglia ! esclamò il den- tista.

Pallade ! Pino! Aiutatemi...

La distribuzione dei viveri cominciò. Pino Pini portò una tazza a Leonilda Coppa. E sor- ridendo le disse :

Signora, l'avverto che vi ho messo dentro una magia...

Ah! Si?

Sicuro... Una magij per sedurla... Stia at- tenta... Ora che è avvisata...

Bellissimo ! Una vera donna grassbttella tra- vestita da militaf-e... Che fianchi nella uniforme attillata! E che bella bocca rosea con dei den- tini radi nella spuma della saliva... E che grazia nel porger la tazza... una tazza larga e gonfia come una maiolica da teletta...

Non ho paura... Lei non mi fa proprio paura I

Per Bacco! Le sono cosi indifferente? Non sono mica innocuo, sa?

. Burlone ! Lei è un vero gentiluomo... E sarò felicissima d'averla ai miei ricevimenti... Tutti i venerdì...

Volentieri... E vedrà che sono un buon ra- gazzo.

Sedettero vicini su certe poltrone piatte ed ampie come semicupi e si misero a ciarlare. Aminta aveva spinto la figliuola verso il cugino sindaco e lo stava circuendo con gesti e parole.

Guardi Pallade che occhiate mi lancia!

Poverina... Ma non è la sua fidanzata?

Non ancora... Aminta non vuole... Ha delle altre idee... È il sindaco che le piacerebbe... Ma ci vuole altro... Con due gemelli... E per di più... ce ne è un terzo per strada...

Come fa a saperlo?

Ho dato una sbirciatina...

Spiritoso ! mi fa ricordare il conte Farina di Milano... Un vero gran signore...

Si fa quel che si può... Ha bevuto il filtro? Dia a me la tazza che se la rompiamo... poveri noi... La metteremo qui sul tavolino... Oh! Ecco l'albo delle cartoline di Pallade... Bellissimo...

Presero l'albo rilegato in pèlle di finto co- codrillo e ne voltarono qualche pagina ammi- rando.

Le piace ?...

Moltissimo...

Io ne ho cinque... Cinquemila cartoline... Come vorrei che le vedesse... Sono la nota ar- tistica delle mie due stanzette... Li sfoglio, li sfoglio e mi oblio tra tante belle imagini di donne e paesi...

Diventa poeta?

Vicino a lei...

Sorrideva e il sorriso gli accendeva gli occhi di una fiamma lasciva, gli poneva su le labbra voluttuose un anelito di baci.

Anche Leonilda sorrise.

Non vuol dunque vederle?

Eh ! Chi sa?

PUCK

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XXIX.

INVERNALE

A Giannino Antona - Traversi.

Ricordi, amico, l'albeggiante strada Che giù via correvam tra le pruine Lucide al congelar xlella rugiada?

Chiara era l'aria e bianche le colline; Decembre s'annunziava acre e possente Tra quel brivido d'ore mattutine.

Parlavam d'arte, e assai soavemente Mi pervadeva il gaudio sommesso Di quella nostra intimità recente.

O amico, e al vespro di quel giorno istesso

10 la rincorsi, ma rompea dal core

11 suon d'un pianto inutilmente oppresso,

E nebuloso m'apparla l'albore De' miei colli : ogni forza era legata. Percossa in me d'un sùbito sopore.

Su, nel paese ch'io fuggìa, lasciata Avea mia Madre, e smarrita e grama ! Bianca come giammai l'avrei pensata.

Ora al bel colle volgo ogni mia brama, Il qual m'è dolce di chiamar per mio, Che nostra patria è dov'è alcun che s'ama;

Ma quel chiaro ricordo, esca al desio, Più mi ti lega, e il mio dolor fecondo Ama coniporsi in un canoro invio,

E a te venir, che tu ben sai, giocondo Signor del riso in su l'accese scene. Come pianga ogni cor nel suo proforjdo.

NoVi però rinnegai quelle serene Idee, che indotte per filosofia 3i tornar quindi in sangue di mie vene.

dell'attender la virtij natia, Che sempre intesi in un doman più gaio Ne scorti insin all'ultima agonia. ,

Buona è la vita al provvido massaio Che è parco in ripartir le sue speranze ; Fresche per Luglio, tepide a Gennaio :

Buona è la vita a chi di risonanze Sa ricomporla, e se il bicchiere è rude Ricco ha il pensier di fregi e d'eleganze:

L'occhio più fine è quel che si socchiude Per suscitare il più vivace arazzo Sovra il giallor delle pareti ignude.

Ma cui la vita neghi ogni sollazzo E pur le fonti del sognar sien strane. Se tutto in cor non sia macero e lazzo.

Una perenne limpida rimane Fonte per lui, che in giovial freschezza Agguaglia e passa tutte le fontane !

O Natura ; e d'amor tu sai l'ebbrfzza Senza i cordogli : in te non segue il morso Vipereo la tenera carezza.

Madre ch'è pronta al più virii soccorso, . Sposa che nulla chiede e tutto dona, Amor che già non lascia esca al rimorso;

Tutta^sei bella e onnipossente e buona; Fosca o serena o squallida, divina Tu sempre; e quando raggia e quando tuona.

Tu signora, e al mio cor vera regina; Oh dovunque tu regni entro e t'adoro. Al piano al fiume e al monte e alla marina.

Cosi rimpiango i miei tramonti d'oro, E la Stura gemente, e il bel Monviso, E i pioppi scarni ad orlo del pianoro:

Ma qui, dove si nega ogni sorriso Del sole, e il piano inesorato e smorto Perennemente sta di pozze intriso,

Pur qui so dove parli, e con che assorto Delirio e con quale ansia avida io t'oda. Quando vengo a cercar te per conforto.

ove il Po dilaga e si disnoda, E tra l'ombra e la nebbia ed il mistero Grigio si perde nell'opposta proda,

'Ve pochi alberi radi e un vel leggiero Sembran segnar quella region lontana, Dove si sperde o si rifa men fiero

L'errar della sognante anima umana.

MASSIMO BONTEMPELLI

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Avvertenza ai Lettori.

Tutte le opere, di cui è detto nelle seguenti biografie, sono edite daùa nostra Casa Editrice RENZO STREGLIO & C. Torino. Galleria Subalpina - Genova. Piazza Fontane Marose - (Vico Stella).

RITRATTI E BIOGRAFIE

simpatie, e sa vedere in lui non un cantastorie piacevole, non un trastullo sentimentale, ma un uomo le cui sventure incutono rispetto e il cui ingegno suscita spontaneo l'applauso. Non è poi vero che tutti siano ingrati o ciechi. E gli uo- mini si possono disprezzare; ma la lode e la fama che vien da loro non si disprezzan mai ». E recentemente un critico francese : « Estimé « pour la probité de son talent et la droiture de « son caractère, arrivé jeune encore à une en- « viable notoriété, il semblait que M. Cena eùt « cent raisons pour une de .se réconcilier avec « l'existence ». Il Cena è rimasto serio e grave a considerare i mali della società e a cercar degli ideali nuovi d'esistenza. Perchè? L'editore (fi questi fogli ricorda. Un giorno, all'autore fe- steggiato di Madre che tornava da una gita al paese, egli domandò: « Ebbene? Tuo papà de- v'esser contento di te !... »

Il Cena lo guardò con un sorriso melanconico : « Sì. Mio padre ha preso il mio libro, l'ha ri- girato fra le mani tremanti, ha riconosciuto il mio nome, che è il suo, sulla copertina... poi me l'ha restituito asciugandosi una lagrima col dosso della mano ». E il poeta pensoso aggiunse dgpo un niomento: « Bisogna incominciare dalla base... siamo ancora in principio!... » Pensava certo ad un'opera' di rivoluzione int^|ettualc della società, per cui non sarebbe bastata la sua vita. Ecco la ragione degli Amiiionilori, il ro- manzo sociale testé pubblicato dalla Nuova An- tologia, e del volume di versi Hoìno che verrà pubblicato l'anno prossimo, come pure d'un ciclo di romanzi di cui è già annunziato il primo. La Ghiacciaia.

Giovanni Cena ha ora trentaquattro anni: è nel pieno delle sue forze, ed egli è di quelli che non si fermano mai.

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CARLO DADONE.

È nato a Torino il giorno undici di maggio (lei milleottocentosessantaquattro, da poveri, si... ma onesti genitori, e fin dalla prima infanzia non diede affatto prove di quella gaja, o dolente, o fantastica grafomania da cui è ora travaglia- tissinia la sua età virile. Chiuse i suoi studi a nove anni, con la terza elementare, solennemente bocciato in buona condotta, in aritmetica ed in composizione italiana. A dieci anni entrò inta- gliatore nella fabbrica dei Leverà, in Vanchiglia ; ed era cosi ardente in lui l'amore per l'arte che, dopo tre anni di artistico tirocinio, ne sapeva meno di quando aveva principiato. Suo padre buonanima pensò allora se non sarebbe stato meglio farne uno scatolaio, ed ecco il Dadone, a tredici anni, occupatissimo a marinare la fab- brica di bomboniere, dove, come primo stipendio, in grazia delle consuete protezioni, gran piaga della nostra vita pubblica e privata percepiva una lira alla settimana.

Dopo qualche mese la fabbricazione delle sca- tole cominciò a rompere le medesime non a lui, che non se ne occupava niente, ma a suo padre che ne capiva meno ancora; ed il futuro conta- storie, con l 'approvazione e sotto il patrocinio di un imbianchino amico di casa, passò .pittore d'insegne in un'umile, sì, ma parecchio squallida e sudicia bottega di piazza Carlina. Dove qual- mente, essendogli stato proibito di fumar la pipa, piantò in asso le insegne per ridursi novell.i mente alla disoccupazione sotto i vigili scapac- cioni del povero babbo che non sapeva più a qual santo votarsi. Ma se il Dadone lavorava

poco, leggeva molto, e scriveva moltissimo a

tutte le serve del vicinato ; esercizio questo che gli valse quel tanto di praticacela calligralìca per passare segretario privato con relativa privazione di stipendio causa la bella invenzione del tiro- cinio gratuito; tutto. un insieme di falsi scambii che gli lasciarono insanabile il rimorso di aver

mangiato ad ufo, per tanto tempo, il pane dei sempre troppo buoni genitori. È ben vero chie a quattordici anni, causa una poco allegra of- talmia, fimase cieco un anno intiero, per poi gua- rire sì e no... un occhio * si e l'altro no; ed è anche vefo che dopo lo incolse un ancor meno al- legro mal d'orecchi, per cui ora non ci' sente più nulla, o quasi; disgrazia questa che, come egli dice, se non gli permette d'u- (fire le troppe corbellerie altrui, gli' permette però sempre di scrivere le pro- prie; e tutto ciò sia detto come attenuante alla sua itisapabile poltroneria.

Le sue prime armi, A

adunque, furono le innu- ^j

meri sue lettere amorose; e fu una di queste, scritta di commissione per un suo amico che si era cotto d'una sartina, che, letta da una cara persona, gli valse un mondo di lodi, in seguito alle quali, da- tosi con passione a consu- mar carta ed inchiostro, ed essendo per soprammer- cato caduto nelle unghie dei componenti un cenacolo di futuri pubblici seccatori, cominciò a pubbli- care le sue prime novelle... E bisogna dire che cominciò subito bene nella indimenticata . KzVa Moderna diretta dal Macchi, e per giunta, pagato. Pubblicò poi in seguito un po' da per tutto, dan- dosi, per desiderio di varietà, cosi al fantastico, tjuanto al comico, al serio, o al patetico; non mai al noioso.

Sua specialità commerciale, nota soltanto a

pochi suoi intimi, èia pubblicazione d'un'infinita serie di opuscoli politici innocui quanto anonimi, pei quali sembra avere il brevetto d'invenzione; non che un'altra serie di giornaletti chiassosi, po- litici od umoristici poco importa, purché si ven- dano e spillino quattrini a quella parte di pubblico facilona che noi tutti be- nissimo conosciamo

ed amiamo. Scrisse anche parecchi romanzi d 'appen- dice, camufiato da Ugo di San Lery ; e ora s'è dato con passione a certi feroci racconti sociali che pub- blica assiduamente sull'^- vanti della Domenica (e che forse son le migliori cose sue) ; ha pubblicato due libri fortunatissimi : « Come presi moglie - Autobiografìa di un e.\ ghiottone » (i) e « La For- bice di legno » {2); Ma i due suoi capolavori, creati in collaborazione, sono e rimarranno sempre i suoi due belli e forti maschiotti Àttico e Virgilio, che gli ricordano troppo sovente i sacrosanti doveri della paternità. Egli si dichiara socialista, ma è invece un arrabbiato sentimentale, che si irrita fino alla ferocia contro tutte le volgarità dei curialeschi bottegai che, a suo giudizio, sgovernano noi e le cose nostre; è un ottimista impenitente che sa ridere di tutto e di tutti, perchè sa anche piangere, e perchè rose ne ha visto poche e spine molte...

Perdonatelo se scrive; non è colpa sua se non è nato, ricco: da poveri, ma onesti genitori...

(l) Come presi moglie - Aiilobiograjia di un ex ghioìtone

Illustrato lire 2,50 (I voi. della « Biblioteca Gaja »). Cou- tiene: I. Cuoco scienziato. II. L'idillio III. In viaggio IV. Giroldo suo malgrajio e pazzo per forza V. La catastrofe.. Ed i racconti : Come nacque, visse e morì «.La mosca bianca »

Giovannino sposo La trahison du petit turquet... e Le

lezioni di Seneca, (quesfultimo pubblicato qui, a pag. 19, sotto il « titolo F.p, L, 12 fermo in posta, Torino»).

(2) La forbice di legno Lire 1,50. Contiene : Il segreto del Cimbro LMnvincibile La grande scoperta di Von Giibler

Il divino tesoro Un ladro di genio Il sepolto Vodena

La forbice di legno.

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^^-"^tta ini|)arzialità, scrisse molte riviste d'Espo- li d'Arte ; e sopratutto si distinsero per chia- i e profondità di vedute e d'osservazione le veneziane.

el 1901 pubblicò quell'originalissimo Poema

'adolescenza (i) che fece arricciare il naso a

d'un critico assonnato e che diede modo a

ecchi, dei toccati jjrinia dal Thovez, di ven-

arsi con critiche aspre quanto vuote; poema

Qe l'autore aveva scritto dieci anni innanzi.

jl igji seguito, per incarico del Corriere della Sera,

l,,j-idusse un volume di Racconti aìnerìcani del-

yj, umorista americano Mark Twain.

^ Volle anche provarsi a dipingere, e tutti ricor-

, dano, all'Esposizione di Torino del 1900, uu suo

105

ritrattodi esecuzione Ijizzarra che fu assai di.scusso, ed un suo paesaggio a Venezia, nel 1901.

Nel 1902 fu tra i fortunati e geniali iniziatori della 1* Esposizione Internazionaled'Arte Decora- tiva Moderna, e membro segretario, sagace e attivissimo, del Comitato Artistico.

Sappiamo che pubblicherà prossimamente un nuovo volume di liriche « Il vortice della vita » un volume di Saggi di estetica pratica, uno di Dialoghi morali, ed uno di schizzi di viaggio: « L'oro del Reno ».

Così la sua attività sempre geniale, vivace e varia à campo vasto per estrinsecarsi, con non poco guadagno della nostra giovane letteratura ita- liana.

(1) Il Poema dell' Adote&centa di Enrico Thovkz. Lire 3.00. (Vedere a pag. 3X-32 - s;iggi dal Poema dell' Adolescenza).

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FAUSTO VILLA.

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Fausto Villa è figlio ili Tommaso Vili forse come per lui ebbe ragione l'antico « buon sangue non mente ».

Modestissimo, quasi timido, per inclinazione di carattere, egli possiede un ingegno vivace ed una tempra aristocratica per ec- cellenza.

Ha quarantadue anni ed è av- vocato ; ma ai codici ha preferito sempre le... Muse, ed in arte è un decadente.

All'età di diciott'anni il suo nome ha fatto, assieme con lineilo del maestro Oastaldon, il giro... del mondo, compo- nendo le famose parole della « Musica Proibita », rou\anza diventata popolare dovunque.

Ha pubblicato sopra parecchie riviste letterarie e mondane no- velle, versi, artìcoli sciiitilhinti

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di veri'e, caiiseries sentinu-ntaU avvolte nel mi- stero di una sigla femminile; ador.i la musica e ne è cultore egregio.

Ultin\amente ha tannato il suo primo romanzo « La sconfitta di Marco Diana» (il, libro audace, ma forte e profondo, che ha su- scitato un vespaio tra la sinagoga delle piccole coscienze, racco- glienilo invece larga onda di encomio fra i critici di tutta la Penisola. Fausto Villa oramai può dire d'avere trovata la sua strada, e vi camminerà sicuro, stampandovi chi.ire orme.

Ultimo « segno particolare » non è bello, ma piace alle donne. E, per questo, è refrattario al matrimonio. Ha giurato fe- deltà alle Muse ed in fatto di produzioni egli si dedica unica- mente a quelle... letterarie.

(1) La Sconfina di Marco Diana, romanzo - lire 2,00 -

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o vespaio : polemiche prò e contro.

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fischi rabbiosi ed applausi sinceri. Per conto nostro oltanlo bone avvertire che non è un ranunio per

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mangiato ad ufo, per tanto tempo, il pane dei sempre troppo buoni genitori. È ben vero che a quattordici anni, causa una poco allegra of- talmia, rimase cieco un anno intiero, per poi gua- rire sì e no... un occhio * si e l'altro no; ed è anche vero che dopo lo incolse un ancor mtno al- legro mal d'orecchi, per cui ora non ci' sente più nulla, o quasi; disgrazia questa che, come egli dice, se non gli permette d'u- cTire le troppe corbellerie altrui, gli permette però sempre di scrivere le pro- prie; e tutto ciò sia detto come attenuante alla sua insapabile ])oltroneria.

Le sue prime armi, adunque, furono le innu- meri sue lettere amorose; e fu una di queste, scritta di commissione per un suo amico che si era cotto d'una .sartina, che, letta da una cara persona, gli valse un mondo di lodi, in seguito alle quali, da-, tosi con passione a consu- mar carta ed inchiostro, ed essendo per soprammer- cato caduto nelle unghie dei componenti un cenacolo di futuri pubblici seccatori, cominciò a pubbli- care le sue prime novelle... E bisogna dire che cominciò .subito bene nella indimenticata . Vifa jModeriia diretta dal Macchi, e per giunta, pagato. Pubblicò poi in seguito un po' da per tutto, dan- dosi, per desiderio di varietà, cosi al fantastico, quanto al comico, al serio, o al patetico; non mai al noioso.

Sua specialità commerciale, nota soltanto a

(!) Come pre Illustrato ; 1 tiene: I. Cuoco IV. Giroldo suo Ed ì racconti : C

moglie Aii/obiograjia di un ex ghioìlonc ; 2,50 (I voi. della « Biblioteca Gàja »). Con- ienziato. II. L'idillio III. In viaggio algrado e pazzo per forza V. La catastrofe,- Ile nacque, visse e mori «.La mosca bianca ..

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pochi suoi intimi, èia pubblicazione d'un'iisosa e serie di opuscoli politici innocui quanto ancpresa, pei quali sembra avere il brevetto d'invens

non che un'altra seralma- giornaletti chiassosi, inalo

litici od umoristici pche, importa, purché si "-arii, dano e spillino quatt a quella parte di pubb.Val facilona che noi tutti ide. nissimo conosciamo. . . ed amiamo. Scrisse an( . parecchi romanzi d'appi^^.; . dice, camuftato da Ug di -San Lery ; e ora s'è datt con passione a certi feroci racconti sociali che pub- blica assiduamente sull'W- vanti della Domenica (e che forse son le migliori cose sue) ; ha pubblicato due libri fortunatissimi : « Come presi moglie - Autobiografia di un e.\ ghiottone » (1 ) e « La For- bice di legno » (2); .Ma i due suoi capolavori, creali in collaborazione, sono e rimarranno sempre i suoi due belli e forji maschiotti Àttico e Virgilio, che gli ricordano troppo sovente i sacrosanti doveri della paternità. Egli si dichiara socialista, ma è invece un arrabbiato sentimentale, che si irrita fino alla ferocia contro tutte le volgarità dei curialeschi bottegai che, a suo giudizio, sgovernano noi e le cose nostre; è un ottimista impenitente che sa ridere di tutto e di tutti, perchè sa anche piangere, e perchè rose ne ha visto poche e spine molte...

Perdonatelo se scrive; non è colpa sua se non è nato, ricco: da poveri, ma onesti genitori...

lezioni di Seneca, (quest'ultimo pubblicato qui, a pag. 19, sotto il « titolo F. O. L, 12 fermo in posta, Torino »).

(2) La forbice di legno Lire 1,50, Contiene; Il segreto del Cimbro L'invincibile La grande scoperta di Von Giibler

Il divino tesoro Un ladro di genio Il sepolto di Vodena

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da retta imparzialità, scrisse molle riviste d'Espo- sizioni d'Arte ; e sopratutto si distinsero per chia- rezza e profondità di vedute e d'osservazione quelle veneziane.

Nel 1901 pubblicò quell'originalissimo Poema dell'adolescenza (i) che fece arricciare il naso a più d'un critico assonnato e che diede modo a parecchi, dei toccati prima dal Thovez, di ven- dicarsi con critiche aspre quanto vuote; poema che l'autore aveva scritto dieci anni innanzi.

In seguito, per incarico del Corriere della Sera, tradusse un volume di Racconti americani del- l'umorista americano Mark Twain.

Volle anche provarsi a dipingere, e tutti ricor- dano, all'Esposizione di Torino del 1900, un suo

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ritratto di esecuzione bizzarra che fu assai discusso, ed un suo paesaggio a Venezia, nel 1901.

Nel 1902 fu tra i fortunati e geniali iniziatori della 1" Esposizione Inlernazionaled'Arte Decora- tiva Moderna, e membro segretario, sagace e attivissimo, del Comitato Artistico.

.Sappiamo che pubblicherà prossimamente un nuovo volume di liriche « Il vortice della vita » un volume di Saggi di estetica pratica, uno di Dialoghi morali, ed uno di schizzi di viaggio: « L'oro del Reno ».

Così la sua attività sempre geniale, vivace e varia à campo vasto per estrinsecarsi, con non poco guadagno della nostra giovane letteratura ita- liana.

(1) Il Poema dell' Adolescenza di Enrico Tuo - s.'Lggi dal Poema dell' Adolescenza).

z. Lire 3.00. (Vedere a pag. 31-3J - Ultimo grido Ribellione - e

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vili.

FAUSTO VILLA.

Fausto Villa è figlio di Tommaso Villa e mai forse come per lui ebbe ragione l'antico adagio « buon sangue non mente ».

Modestissimo, quasi timido, per inclinazione di carattere, egli possiede un ingegno vivace ed una tempra aristocratica per ec- cellenza.

Ha quarantadue anni ed è av- vocato ; ma ai codici ha preferito sempre le... Muse, ed in arte è un decadente.

All'età di diciott'anui il suo nome ha fatto, assieme con lineilo del maestro Oastaldon, il giro... del mondo, compo- nendo le famose parole della « Musica Proibita », romanza diventata popolare dovunque.

Ha pubblicato sopra parecchie riviste letterarie e mondane no- velle, versi, articoli scintillanti

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di verve, caitseries sentinniitali avvolte nel mi- stero di una sigla femminile; .idora la musica e ne è cultore egregio.

Ultimamente ha lanciato il suo primo romanzo « La sconfitta di Marco Diana» (i 1, libro .audace, ma forte e profondo, che ha su- scitato un vespaio tra la sinagoga ilelle piccole coscienze, racco- gliendo invece larga onda di encomio fra i critici di tutta la Penisola. Fausto Villa oramai può dire d'avere trovata la sua strada, e vi camminer.'» sicuro, stampandovi chiare orme.

L'Itimo segno p.irticolare » non è bello, ma piace alle donne. E, per questo, è refrattario al matrimonio. Ha giurato fe- deltà alle Muse ed in fatto di produzioni egli si dedica unica- mente a quelle... letterarie.

(1) La Sconjilla di Marco Diana, roiuanio - lire J.oo Questo rouianio, nel campo della critica, sollevò proprio dav- vero un furioso vespaio : polemiche prò e contro, denigr.izioni

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IX.

ENRICO CORRADINI. (■)

É il deraciné per eccellenza. Civis romaiius di sentimento e d'elezione, appartiene alla terza Italia ed è costretto a vivere nella Firenze con- temporanea : immerso nel- le lettere per professione /' quotidiana, disprezza in cuor suo la letteratura ed il giornalismo e crede che l'uomo sia nato per combattere battaglie ben più cruente di quelle nelle quali scorra soltanto del- l'inchiostro. Il suo eroe è Cesare, la sua mèta l'impero e non dispone che di un Regno sim- bolico quanto il potere temporale di Pio X.

Ma tutto ciò non turba la sua serenità d'animo, perchè Enrico Corradini sa colmare gli abissi che dividono 1' ideale dalla realtà delle cose col pla- cido buon senso e con una punta di sottile scet- ticismo. In fondo è la persona più contentabile della terra; a lui basta di proiettare nell' avve- nire sotto forma di aspi- razione tutta la grandezza del passato e di arrab- biarsi coi piccoli uomini moderni che non hanno neppure la sola virtù

consentila dalla miseria dei tempi : la virtù del rimpianto. Romanziere, drammaturgo, novel- liere (2: critico e giornalista, cyli spiega un'at- ti vita operosa che contrasta con la sua andatura al- quanto dinoccolata.

Perchèquesto militaristi ML-U'anima , alle esercita- zioni atletiche, preferisce le stilistiche e non ha alfatto il passo militaresco. La sua vera indole si ri- vela però quando siede a tavolino : allora^ egli brandisce la penna come una spada che guizzi e strida in un supremo cer- l.ime.

Giustamente apprezzato rome uno dei più acuti critici e dei più forti e (-.istigati scrittori italiani, autore di un Giulio Ce- sare che ha conquistato p;r la seconda volta la Gallia, il Corradini ha tro- vato di solito minor for- tuna ^ulle tavole del pal- coscenico.

egli ha avuto mai il cattivo gusto di lamen- tarsene: anzi così i suoi voti più ardenti erano esauditi : il teatro diven- tava un campo di bat- taglia!

(i) Istantanea di Kodak (dal « M . 21. S3 maggio 1904. (2) Le sette lampade d'oro ricchis

del Corredini. Uo volume di quasi 400 pag Costctti, lire 2,00.

1 copertina del

i raccolta di novelle

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X.

MARIO CLARVY.

Di Mario Clar\ y, creduto per buona pezza un uomo e truccato come un Orsini pel suo stesso editore, ben poco si riesce a scoprire. Sollecitato e intervistato ad hoc rispose :

« Assomiglio ai popoli fe- lici : non ho storia e a diffe- renza di essi non ho patria. Un giorno, passando per Venezia, mi venne, non so perchè, il tic- chio di vedervi la luce l'anno

di grazia Non mi ricordo

più ! Il mio povero padre era metà slavo, metà francese con qualche po' di sangue greco; mia madre italianB, io nacqui per caso a Venezia ; a quale razza appartengo ? Mi chiedete della mia vita, de' miei propo- nimenti, de' miei studii, ecc., ecc. Mi propongo, battendomi il petto, di non annoiar piCj nessifno in versi, in prosa e saranno promesse di mari-

^^

w

nafo. Non ho studiato, ho leggicchiato, non ho vissuto, ho sofferto e fantasticato vedi pia- gnucolanti sonetti ! Nulla feci che meriti d'es- sere noto, (i) Adottai tre anni or sono una rivista letteraria // P'eiitesiino di cui è injelligente direttore Alessan- dro Sacheri, e me ne occupo con tenace entusiasmo. Ecco tutto «.

Nuli" altro si potè cavar di bocca a Mario Clarvy ; aggiun- geremo che il Ventesimo, edito a Genova, e che è dato in dono agli abbonati di tre grandi^ior- nali quotidiani, è giornale lette- rario di graditissima lettura, serio e moderno senza osten- tazione, nemico giurato della noia ed amico fedele di valenti collaboratori, i quali vanno a gara nel prosperarlo dei loro frutti più belli.

(r) E' troppa modestia. Di Mario Clarvy abbiamo un buo-

suoi sconforti accoranti, e

ne' suoi slanci verso la verità e

nissimo libro di versi - « Ckimaeva » (lire 1,50 - cbe ^no

l'amore. (Di « Ckintaera »

diamo parecchi saggi a pag. 36

la fine anatomia di un'anima che si mostra intera ed ingenua

e a pag. 72I.

nei ricordi delle prime dolci illusioni, nelle sue speranze, nei

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1I2 1I2 tlì sii ili it: ^ ^ ^ tt£ ^ ^ iti ^ ^ ^ 1I2 ^ iti ^ :l2 ^ li: ili :t^ :l2 112 :l2 ^ ili Ili il^ ^ ili ^ Ili ili ili iti ili :l! it! il! ^ ^ ^t: 1I2 ^ ili 1^ 1I2 ^ !& ili ;t! ;!: ik Iti ^ ^ ^ ^ ^

XI.

LINO FERRIANI.

Su la vita, meravigliosamente operosa, di questo insigne scrittore, altamente stimato pur all'estero dove conta amicizie illustri nume- rosissime — si potrebbe ormai dettare un ge- niale e prezioso volume : una vita tutta consa- crata a un ideale grandioso, « la rigenerazione dell'infanzia infelice ». Si spiega cosi come egli venga designato quale il « Magnaad d'Italia ».

E il volume sarebbe utile, che, ancora una volta, proverebbe cosa possano in un uomo la volontà ferrea, lo studio assiduo (lavora ogni santo di dell'anno non meno *di undici ore per l'ufficio ch^ copre con tanto onore e per le cose sue) rivolti a una grande idealità umanitaria, per la quale combatte con ardore di apostolo, dicendo sempre alto il vero, ribelle a ogni roti-

lOS

line burocratica, pur conscio di pregiudicare la propria carriera, perchè si sa in Italia, purtroppo, quali altri requisiti occorrano diciamo in ge- nerale — per conseguire promozioni. Ne' libri, negli articoli, nelle eloquentissime conferenze, nelle dotte requisitorie, sempre si rivela l'uomo dal cuor d'oro come disse il nostro illustre De-Amicis lo scienziato forte, battagliero (tale, tra gli altri, il giudizio di Lombroso, Nordau, Mor- selli), che onora il pen- siero italiano vibrante di dolce umanità. Noi non possiamo qui che fugace- mente parlare di lui e del- l'opera sua, davvero ric- chissima e poderosa.

Nacque a Ferrara il 6 Dicembre 1852. Bambino andò all'estero. Fu edu- cato nella Svizzera ita- liana, tedesca, e a Londra, dove il padre suo eserci- tava, reputatissimo, la me- dicina. Tornò in patria nel i8;f2. Si laureò in legge^ Insegnando nell'un tempo l'inglese, e dedicandosi pure alle belle lettere. Scrisse alcune commedie popolari, che ebbero lieto successo. Esercitò poi V avvocatura, specie nel ramo penale, spiegando doti d' oratore squisite. Fondò intanto' a Ferrara,- col prof. Scarabelli, un giornale democratico « La Rivista » che tuttora

vive e col professore Agnelli loggi esimio bibliotecario comunale) un vivace Gazzettino let- terario, nel quale collaborarono Panzacchi, Yorick e l'àllora giovanetto D'Annunzio.

Nel 1881, superati splendidamente gli esami di pretore, fu nominato sostituto Procuratore del Re a Palermo, e nel 1SS9 promosso Pro- curatore del Re. Per i suoi meriti quale magi- strato, fu nominato cavaliere mauriziano e uffi- ciale della Corona d'Italia; onorificenze che gli riuscirono gradite, ma giammai diminuirono la modestia, la mitezza del suo carattere, che sol- tanto divien fiero, ardito quando le energie feno- menali dell'uomo si concentrano nella lotta per il bene, nel salvataggio» del fanciullo. Inutile dire che è padre e marito modello, £ la sorte

gli arrise dandogli per compagna un' angelica e intelligentissima signora, che, nel lavoro arduo e nelle amarezze della vita (a tali uomini non può mancare il morso feroce dell'invidiai, lo sor- regge con intenso affetto.

Le sue opere, di cui parecchie tradotte in varie lingue, e specie in tedesco dal dott. Ruhemann sono innumerevoli. Nel 1886 stampò « /.'/«/aw/i- cirfa », che, per quanto pal- piti di modernità, risente della scuola classica : ne' libri che vengono dopo si ri- vela un nuovo, profondo e meditato indirizzo di studi positivi, fortificati da una benedettina scienza stati- stica ; e così Io vediamo tra i campioni più valorosi della scuola ferro'lombro- siana, e, dacché Garofalo tace, forse l'unico magi- strato, che continui a lot- tare strenuamente per essa. Dal 1S87 al 1903 (e si noti, molte sono le opere volu- minose e frutto di lunghe indagini mondiali) scrisse: •• L' Amore in Tribunale »

Madri snaturate » « A/inorenni de/intuenti »

« Delinquenti scaltri e /ortunati » Delinquettti che scrivono » Delin- quenza precoce e senile » / drammi dei fanciulli » « Fanciulli abbandonati » (tutji studi di psicologia criminale). « Nel mondo Jtl l'infanzia » Studi di

psicologia infantile » v. Conferenze» *L^ umo- rismo di un usciere giudiziario » (i) Tredici disccnsi inaugurali » : opere tutte, che ebbero la lode unanime della stampa più autorevole italiana e straniera. Ferriani scrive inoltre nelle più re- putate riviste europee ed americane, in parecchi giornali, specialmente ricercato per i suoi studi sul- l'infanzia. — Ora attende da un anno a un volume poderoso di sociologia dal titolo « Donne e fan- ciulli ». Concludendo, un gran lavoratore, una mente geniale, eruditissima, un uomo modesto, de- mocratico, affabile con tutti, vero padre dei bimbi infelici, e ben lo sa Como, dove da 13 anni esercita con intelletto d'amore, amato da tutti, le sue deli- cate funzioni di Procuratore del Re, in attesa di esser promosso alla Cassazione di Roma.

(I) uu, pag. 350.

orismo di un Usciere gindtztan'o Un volume opertina illustrata, lire 3.00. (A pagina 37

eguenti riporti te : «< La doDD;

mo un gustoso brano di questo fortunato 1 nella famiglia giudiziaria ».)

109

XII.

ARNALDO LAMBERTINI.

È un innamorato dell'arte e della in ispecie, alla quale ha portato 1' febbrile, la viv-acità sincera, franca e del suo carattere t-oma- gnolo.

Chi non ricorda a Roma lo sportman appassionato, il gagliardo corridore, alle caccie e sul turf, reci- tare alla sera versi e mo- nologhi negli aristocra- tici saloni romani, din- nanzi a tutto il mondo... rappresentato, con la effi- cacia e la comicità dei- dicitore elegante ed in- contentabile?

É capitano d'artiglieria, e pensa che Napoleone in fine dei conti non fu che un gran capitano.

Con i suoi Racconti della Mensa (i) volle mo- strare che nella calun- niata vita della caserma fervono momenti di ven- tenne genialità serena, al- legra e spensierata, i quali possono indurre agli estra-

nei quella simpatia e quell'affetto a cui la ca- serma ha diritto.

E vi è riescito a meraviglia. Quei Racconti, informati a verità ed a sincerità, ebbero un _ suc- cesso di schietta anuiiìra- zione. ^*V Ma non ha trattato solo

il genere militare. I gior-

9 nali letterari lo ebbero

collaboratore instancabile. Esordi nel campo let- terario con commedie e con drammi poi che il teatro fu, ed è, la pas- sione sua tenace inguari- bile.

Ora, mentre prepara un al^ro volume di novelle, torna serenamente e co- raggiosamente al teatro nel quale non si sente ne abbastanza, . definitiva- mente, applaudito o

fischiato.

Per ciò ha per motto:

Il teatro sol mi darà

fama e riposo! ,

(l) / Racconti della Mensa di Arnaldo Lambertiui - III volume della «Bibliot, Gaial>, L. 2,50. -Coiitiene; La sveglia - A mali estremi... ecc. - La teoria al sottotenente - La Pasqua - Pjerrot - La^olvere senza scoppio - In ferrovia - Viceversa - Il convegno di caccia - Bijou - Armi e tiri - 11 difensore - Andata e ritorno...

e andata - Cinque ore dopo : alla sLuioi rovia, andata; Susa : alla stazione; Torii Caforio - Il silenzio.

(Di questi racconti diamo un saggiti rovìa » e *• Viceversa »1.

a : in restaurant ; in fer- j : alla stAzionc - Monssii

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XIII.

AMILCARE LAURÌA.

Nasce a Napoli (3 aprile 1854) da illustre fa- migli^ di magistrati (suo avo, Francesco Lauria,, fu il primo oratore de' suoi tempi ; suo padre fu vice-presidente del Consiglio di Stato e sena- tore del Regno).

Dopo le malattie che afflissero il I.aurìa fino al- l'adolescenza (onde dovette star- sene tre anni a Ginevra e due a San Gallo), principiò gli studi giuridici e letterarii insieme, dopo i diciotto anni. Ebbe a maestri il famoso latinista napoletano monsignor Antonio Mirabelli, l'altro, principe della filologia, Emanuele Rocco suocero di Alfonso Balzico . il venerato prof, d'estetica Antonio Tari e l'immortale Francesco De San- ctis.

Dopo due anni d'esercizio di avvocatura (che il Lauria odiava cordialmente) incominciò a get- tar giù bozzettini e caricature della piccola borghesia napole- tana (della tipica contrada di Foria), i quali, pubblicati ano- nimamente nei giornali umori- stici del tempo, destarono un senso di curiosità grande* per l'originalitìi.

L'anno appresso Angelo Som- maruga pubblicava il primo volume del Lauria, Sebeha, bozzetti umoristici napoletani, con pre- fazione del francese più amante dell'Iella, Marc- Monnier.

I>Jella prefazione egli diceva che i bozzetti del Lauria potevano piacere a tutti e italiani e fore- stieri, perchè educato all'estero. Quando il Lauria era tornato in patria aveva t'isio i suoi compae- sani con quella sorpresa con cui li vedano i fore- ■stìeri.

Difatti il successo della Sebeiiaiu straordinario: ieri il Lauria era sconbsciuto a tutti, oggi ecco che Angelo Somniaruga, costretto a fare otto edizioni al primo libro di lui, lo in premio lettori delle Forche Caudine (dello Sbarbaro) in- sieme con j libri del Carducci, del D'Annunzio e del Rapisardi.

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L'anno appresso Edoardo Ferino pubblica una seconda Sebetia del Lauria, e ne van via sei edi- zioni, mentre, in Germania, Arnous le traduce en- trambe pei giornali tede.schi, e le raccoglie poi in un sol volume della Universapl Bibliqtek di Philipp Réclam di Lipsia.

Amilcare Lauria, allora, pensò al romanzo, ad un romanzo na- poletano con lo stesso sistema che s'era formato per la Sebetia: tutto suo, personalissimo, umo- ristico nel pretto sen.so della parola, e scrisse Donna Candida, pubblicato dal Galli di Milano nel 1890. Lo dissero zoliano (ed ebbero proprio torto) sol perchè la protagonista del romanzo era una ruffiana in ritiro, come se Zi)la (che amò tanto il Lauria) fosse stato mai umorista!

Il romanzo ebbe tale successo che tutti i critici italiani ed esteri se ne occuparono in lunghi arti- coli.

Allora il Lauria pensò di stu- diar la questione sociale napole- tana in un romanzo, che avesse per eroe il tipo del povero ga- lantuomo partenopeo,ischiacciato dagli arruffoni di laggiù, e, dopo parecchi anni di studio, scrisse il Povero don Camillo ! c\\e, pubblicato dal Gian- notta di Catania, ebbe successo letterario anche superiore a quello ottenuto da Donna Candida. Infaticabile com'è, il Lauria, odiatore della scuola psicologica, voUe^ mostrare quanto psico- logia senza fisiologia, pensiero senza azione, in un'opera d'arte sia assurda cosa, e scrisse il romanzo antropologico JSIicia, che ebbe cosi Jieto successo e che Cesare Lombroso chiamò splendido lavoro.

Da questo il Lauria passò al romanzo pura- mente fisiologico, tracciando le linee della donna- sfinge, che riesce fatale a chiunque l'avvicini, di qualsiasi temperamento, e il romanzo", pubblicato dalla Poligrafica di Milano, fu « Sulla Lyona ». Ma non soltanto pei grandi Amilcare, Lauria scrive, sibbene andie pel mondo dei piccini. Chi

non ricorda i suoi Ragazzi napoletani, edito dal Tre\ isini, e quei Quattro del Molo, che rallegra- rono e commossero insieme e grandi e piccini, edito dal Voghera?

Dopo codesto romanzetto napoletano, il Lauria pensò ad un vero romanzo educativo per ragazzi, nel quale svolgere in azione il socialismo moderno e dette ai ragazzi 1' esempio quel che dovrà essere il piccolo signore di domani, o sparire: ecco // Signorino, edito dal Sandron di Palermo.

Ma non meno interessante labbenchè, ingiu- stamente, non abbia avuto la fortuna degli altri) è la raccolta di novelle napoletane per signorine: Figurine ingenue di Amilcare Lauria, edito dal Cappelli di Rocca San Casciano.

{0 Le Garibaldine - Memorie del iSòo a Napoli, di Ami[ CARE Lai'RÌA - Elegante volume con copertina del Martoglio I-ire 2. - Contiene : .< Virginio -. - Un ragazzo dei Mill Teatro Sebeto - Una liber.izione - « Masto Fetrico » - Boldrìn

Al

L'ultimo libro del Lauria è La mala gente, novelle socialiste, che egli chiama Scene, quadri e storie della vita comtemporanea, edito dal Ner- bini di Firenze, di cui la critica disse il mi- glior bene.

Ed ora ecco Le Garibaldine iii.

Il Lauria vive a Roma, circondato dai suoi sei piccini, dalla sua migliore amica, in casa, e fuori, alla scuola, da un centinaio di giovanissimi romani che adorano il loro professore. ,

Che più? ogni Pasqua egli fa la sua sacca da viaggio, e sen viene in Alta Italia, a concedersi Io svago di tener conferenze, alle quali corrono gran parte dei lettori dei suoi libri.

- L'incontro. (A pag. 49 riportiamo il commoventissii ramente splendido racconto *< Un rag.i2zo dei Mille da « Le Garibaldine) ».

XIV

ANTONIO BELTRAMELLT.

Antonio Beltramelli n,acque l'undici gennaio del 1875 in una lieta e bella città della Verde Ro- magna: Forlì; nacque da gente di modesta con- dizione e trascorse la sua barbara giovinezza silen- zio.samente fra la tristezza di una piccola casa e la libera vastità dei monti, del piano e del mare. Dal padre tolsalo spirito nomade, l'incessante de- siderio di raggiungere ogni confine apparente ; dalla madre la dolce pensosità serena.

Le scuole furono per lui un martirio continuo, che non sapeva piegare il suo spirito al burocratico sistema d'insegnamento per il quale le giovani nienti imparano ad odiare le cose belle; ebbe neces- sità continua d'amore e ciò che imparò e seppe fu per le vie dell'amicizia e della simpatia.

Spirito' incolto fino alla sua prima giovinezza, amò il suo popolo e tentò di signitìcarne l'anima bella e gagliarda.

La sua voce si compose a quella dei novella- tori raminghi che vanno di paese in paese favo- leggiando di cose grandi e lontane ; egli senti in ogni fatto umano vi- vere la leggenda ed il mistero, a' suoi occhi attoniti ogni cosa leg- germente si trasfigurava. Amò la musica sopra ogni cosa e molte volte nella sua giovinezza tentò dedicarvisi ; le contra- rietà incontrate non glielo permisero mai.. Compiti gli studi superiori a Fi- ' renze (aveva bisogno del suo marchio per es*re accettato fra gli altri nella vita grande\ Roma, l'e- terna ammaliatrice, lo at- trasse e, come lo inna- morò per la sua divina grandezza, vi rimase.

Si unì al gregge: tra- scinò il suo carro pesante per cinque anni; fu gior- nalista alla Tribuna ed alla Patria, poi l'arida vita che rapidamente consuma lo stancò. Egli era l'adoratore dei silenzi e delle solitudini. Ritornò nei suoi paesi

selvaggi, nei quali vive tuttora unicamente in- tento a racchiudere nel breve ritmo delle parole le visioni di uomini e di cose dalle quali l'anima molteplice di tutta una gente si appalesa.

La sua prima raccolta di novelle L'antica madre pubblicata dall'editore Licinio Cappelli di Rocca S. Casciano, rivela, nella sua rude compagine, la via che il Beltramelli aveva già fin d'allora delineata innanzi a sé. L'antica madre è la prima- parte di un ciclo di novelle dal titolo generale / vittoriosi, coloro cioè che sopra ogni effimero mutamento di cose mantengono in- tatta nella loro integrità l'anima di una stirpe.

/ vittoriosi sono gli uomini semplici e rudi che vivono in solitudine sotto la vastità e l'eterno mistero, coloro che natura predilige e che possono dirsi i sacerdoti ai quali essa affida le sue immutabili leggi. Vittoriosi sulle piccole vanità, sul piccolo scalpitare degli uomini che si racchiudono in un breve giro di mura e, camuf- fati da Grandi, dimenticano la piccola miseria che li guida. La casa editrice dei fratelli Treves ha dato alla luce, qualche mese fa, la seconda parte di questo ciclo Anna Perenna. Aima Perenna è un'antica divinità del Lazio; è la primavera. La dea che sorrise all'anima primi- tiva della nostra gente, guida l'autore attraverso alle terre della sua Romagna e gli appalesa e le

passioni e le tragedie che agitano la vita degli uomini fra i monti ed il mare, nelle pianure sterminate. L'ultima parte di questo ciclo s'inti- tola — / primogenili e vedrà la luce quanto prima.

Gli Uomini rossi (i) romanzo satirico che apre una trilogia intitolata : // carnevale delle democrazie ha visto la luce quest'anno, ed è stato un vero trionfo, perchè esso, con invi- diabile sagacia d'osservazione e con indiavolata vena satirica dipinge magistralmente l'ambiente del repubblicanesimo romagnolo. È poi un ro- manzo pieno di verve, di umorismo, e di casi comici divertentissimi, per cui lo si legge con diletto vivissimo, e lo si rilegge più volentieri ancora. Ne diamo un gustosissimo saggio a pag. 53, con il capitolo XII intitolato: « Nel quale si vede come Madonna Luna si dichiarasse ne- mica di Monsignor Rutilante ».

Dello stesso autore si annunciano d'imminente pubblicazione,: un volume d'azioni sceniche iira- presentabili, dal titolo / drammi delle solitu- dini; — in essi è un riverbero della tragica ed eterna lotta degli uomini con la natura cieca è un romanzo nel quale pulsa la tragica rapidità della vita moderna alla quale fa contrasto l'im- mobile dominio di due città eterne: Roma e Ravenna.

(I) Gli Uoi

di Antonio Beltramelli, VII voi. dell.t Biblioteca Gaja

copertina di Filiberto Scarpelli - L. 3.0

XV.

PASQUALE DE LUCA.

È fra i più fecondi e versatili ingegni nostri. In Francia o in. Inghilterra la sua attività lo avrebbe reso celebre e ricco: presso di noi, per vivere, deve moltiplicarsi. Ed egli lo fa con ar- dore sempre giovanile e con fede da apostolo. Dirige da sette anni la più elegante e diffusa rivista artistico-letteraria, Natura ed Arte, che fu la prima e rimane la più interessante del genere: ma precedentemente fu giornalista, a Napoli, e di questa metropoli studiò la vita complessa e multiforme, che fa rivivere nei suoi romanzi e nelle sue numerose novelle, e in ispecial modo nella trilogia: Alle porte della felicità (i), (am- biente, popolare); Le ambiziose (borghesia) e // cavaliere di Malta (aristocrazia; di futura pub- blicazione. Nato a Sessa Aurunca (Terra di Lavoro) nel 1865, esordì con un volumetto di Racconti Silvani che iurono lodati e s'ebbero larghi inco-

raggiamenti dai migliori letterati nostri, fra i quali Verga, Rovetta, la Serao, D. Milelli, Colautti, ecc.

Seguirono L'onorevole Zucchini, Senza sole.... Mamme, /denari, Myosotis, ecc., che conferma- rono le sue « memorabili doti di novellatore forte ed originale » . E intanto collaborava al Corriere di Napoli, al Piccolo, al Don Marzio, al Pungolo, di Napoli ; scriveva romanzi per le appendici del Caffaro, del Resto del Carlino, del Capitati Fra- cassa, ecc.; pubblicava versi e prose nei prin- cipali periodici ebdomadari e quindicinali, fra i quali la Gazzetta Letteraria, del Depanis, il Fan- fulla della Domenica, la Gazzetta del Popolo, e la Commedia umana, e faceva rappresentare, da primarie compagnie, i suoi drammi, e le sue commedie. Fu uno dei tre prescelti al gran Con- corso di Torino, per il Teatro d'Arte, e col Nani

ha tradotto in versi V Eterno femminino del iMisch, ripetuto sette volte a Torino. Ha in pronto un altro romanzo : La novella l'ila, che si svolge a Milano e sul lago di Como comincia con un colpo di pistola, e finisce... con un sorriso, nel trionfo della vita. Uscirà prima del Cavaliere di Afalla.

Appassionato per le belle arti, ne scrive con giusto criterio e con forma attraente ; e con sapore italiano traduce e popola- rizza fra noi quello spirito bizzarro che si chiama H. G. Welles, il fantasioso romanziere inglese. In A^a- tiira ed Arte ottiene con- tinui successi con le sue caitseries firmate « il Conte Azzurro »; nella cerchia dei giovani musicisti è ap- prezzatissimo per i suoi li- bretti d'opera. Ha ridotto per il teatro lirico il Quo

"3

vadisT per il maestro italo-argentino A. Fracas<ii ; Criugoire per il milanese maestro A. Cantii; A<r hourgeois genlilhommc di Molière per il maestro E. Elsposito, residente in Russia ; Luisa San/elice per un giovane musicista che vive a Parigi, e Una notte di Cleopatra per il maestro Bellini Hi Lugano, oltre a una Foglia d'al- loro- interamente origi- nale, in tre atti, giudi- cati fra i più poetici del teatro contemporaneo. Il libretto egli dice rias- sume due forti ed antiche passioni mie:' la poesia e il teatro, e potrà essere remunerativo più di qual- siasi altra forma d'arte». Afferma, inoltre, nelle sue piacevoli conversazioni, che per il '910 dovrà esser ricco : chi scrive glie lo augura sinceramente, e di tutto cuore !

(l) AIU porU dtlla /eticità, r •iportiamo un saggia a pag. 58).

.-ipoletano di Pas<3UAI.k Db Li'ca - z.a cdÌ2

XVI.

EMILIO PINCHIA.

Emilio riuchia k nato in Torino il 25 febbraio 1S52, di nobile e antica famiglia canavesana. Addottoratosi in legge nell'lljiiversità di fisa non esercitò l'avvocatura, ma entrò, per quanto gio- vanissimo, nella vita pubblica avviandosi per la strada che gli era additata dalla tradizione fami- gliare, poiché il bisavo ed il padre furono Sin- daci di Torino e questi negli anni memorabili '4S e '49, salendo poscia agli alti gradi della ma- gistratura. Emilio Pinchia non trascurò le lettere e alle lettere anzi dovette la prima fama e i primi onori. Esordi infatti nel giornalismo come collaboratore della Rivista, che ebbe a' suoi i suoi momenti di celebrità, e come romanziere con Oriente e Occidente e con Valdiana.

Non sarebbe facile seguire il Pinchia ne' .suoi passi successivi, poiché ringegno vivace, l'in- cessante bisogno di commentare, di proporre U inim'agini e le idee quali presentavansi allo si\i- rito alacre e pronto, cominciarono ben presto a esplicarsi in una serie di scritti di vario argo- mento, rivelanti lutti una visione personale delle cose. Epperò citiamo, come soccorre la memoria, i Ricordi di Tunisia, contenenti pagine notevo- lissime, i saggi /tatti e Casa Savoia, omaggio di devozione a quella Casa che inquartò sullo scudo la croce d'Ivrea, da cui il Pinchia deriva i natali, gli Opuscoli politici ed A-onomici, rivolti ai pro- blemi più gravi della vita prc-^ente, programma vero e proprio d'un amico della s<-ii'>'> ..1.1...

114

non dell'ultima ora, poiché studiando la Vita /iella campagna ne conobbe l'importanza.

In questi opuscoli, come in quel suo Politica nuova che suscitò molte polemiche, quando ap- parve — e apparve come segno e come ammoni- mento dei nuovi doveri della democrazia liberale è un fondo di sano ottimismo, una speranza confidente nei destini della Patria ; ma il desiderio inestinguibile del bene e la lentezza dei governanti gli suggeriscono a volte la parola disdegnosa. Questa sua politica fiiiova non pare opera del signorile illu- stratore dei Castelli e dei poeti canavesani, dell'ele- gante dicitore, del chiosa- tore scaltrito, ma di un altro uomo. Di un uomo che abbia passato i suoi begli anni negli studi se- veri dell'economia, nella ricerca di quanto può dare allo Stato un assetto più giusto e più sincero e al Principato nuova giovi- nezza, pel quale hanno pochi segreti le gravi qui- stioni dei tributi, della ri- l'orma della 'scuoia. Con- trasti singolari che ha'nno rispondenza con la terra, onde egli proviene, dove le praterie lucenti e le ombre discrete sotto i noci e i castagni si avvicendano con la natura sel- vaggia e claustrale, terra piena di memorie.

dalla legione Tebea a Calvino, da Annibale a Napoleone.

In politica è un liberale: impaziente di freni è piuttosto un solitario che uomo di parte o di partito. Siede alla Camera dei Deputati fin dal 1890 ed ora intende per la se- conda volta alle cose della pubblica istruzione_in qua- lità di -Sottosegretario di Stato, impiegando nella carica insieme con l'espe- rienza d'un lungo, volon- tario e disinteressato tiro- cinio, la forza che gli deriva dai fervori dell'a- nimo e dall'integrità della vita.

E oratore apprezzatis- simo, perchè anche nelle questioni più gravi porta la nota della poesia (i) e (iella gentilezza, ma si trova più a suo agio ogni qualvolta l'argomento lo porti in alto e lontano dai luoghi comuni della poli- tica.

Cosi la sua parola evo- catrice fu sempre un de- gno conmiento alle feste dell'arte e del pensiero e, in recentissima occasione, in Arezzo, dove inaugu- rava le feste del cente- nario petrarchesco, ebbe il valore di nobile affer- mazione della rinnovata fratellanza tra le due gloriose nazioni latine nel nome del poeta di Valchiusa e di Arquà.

(i) Ultimi versi "pubblicati il;i 8V piccolo, catta a,»mauo. L

Emilio Pinchia, dei quali di;

» Epiloghi

XVII.

DOMENICO TUMIATI.

Domenico Tumiati è nato a Ferrara il 2 di- cembre 1874, nell'anno in cui celebrava il cen- tenario della nascita del poeta di Orlando. Fer- rara è generosa madre di poeti, e il più giovane e ardente dei suoi figli non smentisce la tra- dizione. La poesia, lo stile del Tumiati ha la chiarezza, la musicalità dei grandi poeti ferraresi : anche nella sua prosa, il periodo n«?rvoso e rapido obbedisce a una musica interna. In un tempo in cui il verso cani mina a piccoli passi con qual- che asma, egli canta, nel senso più sereno della parola. I, 'innovazione da lui portata nella lirica coi celebri melo loghi, è un'espressione natu rale del suo temperamento, che ebbe la fortuna d'incon- trarsi in due anime fraterne, quella di '«Gualtiero Tumiati e del M. Vittore Veneziani. Da quattro anni i tre valen- tissimi artisti battono in corsa tutte le città della penisola, seguiti dalle loro orchestre e quintetti, portando il verbo nielologico, e destando ovun- que tanto interesse, discus- sione e entusiasmo. Le ultime esecuzioni di Napoli e, di Roma, con la Morie di lìajardo, nello scorso inverno, segnarono il trionfo di questo nuovo genere d'arte, che già aveva ottenuto a Corte il ^ilauso augusto di S. M. la Regina Madre. Dalle Alpi alle Piramidi ormai non vi è città che non conosca i rnelologhi, i quali sono del Tumiati l'opera più nota.

Noi ci siamo proposti di rivelare un nuovo lato di questo poeta così singolare", il lato analitico, l'osservazione della vita, col volume di novelle Fumo e Fiamma, {\\ che forma una gemma della nostra collana. Fumo e Fiamma è il sesto volume pubblicato dall'Autore. Egli esordi nel 1S95 con un poema di ballate ^ Iris Floreniina in cui spira tutto il profumo di Firenze, dove il Tu- miati visse per molti anni: seguirono nel 1S97

due altri libri Musica antica per chitarra e Frale Angelico: il primo delicatissimo tes- suto di liriche intime, il secondo, storia di un'a- nima, quella dell'antico pittore mistico. Il Tu- miati tacque per alcuni anni, finche nel 1902 lanciò tre nuovi libri : Dal Maloja a Xatre- Dame (Beltrami - Bologna 1 ove raccolse molti suoi scritti d'arte e di viaggio Poemi Lirici (Zanichelli' che com- prendono nove poemi, tra i (|uali i rnelologhi ; e Funw e Fiamma, originalissima serie di novelle, di cui una spiritua- lità acuta e ironica si sprigiona da persone e da cose. Lo stile del Tumiati in questo libro, come negli ultimi poemi Morte di lìajardo. Flmigranti, Pari- Sina, viene atteggiandosi al dramma, e ci prepara a un nuovo periodo che egli ha iniziato "or ora col poema drammatico Ramon Escydc, rappresentato la prima* volta al teatro Duse a Ttologna nel maggio, scorso. L' elemento drammatico è già visibile in Fumo e Fiamma, in ispecie nelle novelle Contro corrente e Krajova, veramente uniche nella nostra letteratura.

"Di Fumo e Fiamma si è largamente occupata tutta la stampa italiana, e sèmpre fu notata l'e- strema personalità di queste novelle,» che non possono ricondursi a -ne.ssun altro tipo preesi- stente, ma sono uno sguardo nuovo gettato sullj vita. Le figure che ne emergono, nella loro va- rietà bizzarra, riuniscono in la lontananza del sogno e la precisione della vita : ognuna di esse è un tipo tracciato in poche linee, per un mi- racolo dello stile. L'edizione di Fumo e Fiamma è stata da noi particolarmente curata, e il volumO rispecchia l'eleganza rartìnata del contenuto. Di esso diamo un saggio a p.ig. 17, con la novella « Sciopero in salotto ».

ali ; Un volume di p-igs. 4""

XVIII.

GIULIA DAUDET.

Raccontasi che Alfonso Daudet, la cui salute cagionevole era stata messa a troppo dura prova nelle lunghe veglie, vere orgie di lavoro richieste dalla composizione dei Rois cn exit, fosse co- stretto a lasciare a mezzo il suo romanzo ed a mettersi a letto e che, aggravandosi sempre più il suo malessere fino a far temere prossima una catastrofe, egli, torturato da inesprimi- bili softerenze fìsiche e morali, gridasse alla moglie: « Finis litoti bouquin! »

T «^ 1 e commovente aneddoto, che dimostra ad un tempo la fiducia del grande romanziere nella rara intelligenza della sua fida compagna e la paterna tenerezza per i suoi libri, (juesti dolci figli dell'anima, rivelò agli amici di casa Daudet, i qualidel resto già da parecchio tempo r avevano indovinata, la misteriosa collabo- razione della moglie all' opera del marito, collaborazione da costui esplicitamente confes- sata nella dedica del Nabab, che rimpiazza- va, in un ristretto nu- mero di copie per gli intimi, quellasemplicis- sima A ina chère fcmnie apposta sulla prima pagina delle copie destinate al pubblicb.

Giulia Daudet però non si è accontentata di ascosamente collaborare all'opera del marito, ma ha anche pubblicato col suo solo nome, articoli.

versi, impressioni, bozzetti, raccolti poi in varii volumi dagli editori Charavay, Charpentier e Lemerre, che'tutti rivelano una delicata ed ori- ginale tempra d'artista, che tutti hanno uno squi- sito ed infalsificabile accento di femminilità soave. Ma il libro di Giulia Daudet, che si può dire sia un piccolo capolavo- ro, è « L'infanzia di una parigina » (i) seguito da « Bimbi e niarhme » cosi egregiamente e fi- nemente tradotto da Vittorio Pica; nel cui libro ella ha evocato i suoi ricordi d'infanzia ed ha saputo serbarne, non ostante l'intensità, l'adorabile ingenuità e quella particolare fre- schezza che posseggono le prime impressioni di una creatura da poco venuta al mondo, la quale ignora tutto e di tutto vuole rendersi Conto, ma ha dato loro un artistico accento di sincerità, presentandole avvolte di nebbia, pre- sentandole nella natu- rale ed abbastanza di- sordinata alternativa di luce e di ombra, giac- ché, siccome ella mede- sima giustamente osser- va « les toutes jeunes mémoires, dans leurs confus, ont des grands éclairs entourés denuit, des apparitions de sou- venirs bien plus que des souvenirsréels ».

Le feste, le passeggiate, le bambole, la scar- lattina, le prime letture, la villeggiatura, un ballo di fanciulli, i granai, la prima comunione, o

meglio, per serbare il poetico titolo della gentile scrittrice, « ciò che si vede attraverso un velo di mussolina bianca » : questi ed alcuni altri sono i tenui argomenti dei se- dici capitoli del libro; ma come si può ridire l'efli- cacia di evocazione, la delicatezza di tocco, l'o- riginalità psicologica, la eccezionale malìa d'arte, che posseggono tali pa- gine?

In « Bimbi e mamme » poi, che nello stesso vo- lume fa seguito a « L'in- fanzia di una parigina »* è una geniale serie di capìtoli che ogni madre dovrebbe leggere e ri- leggere; ne» quali sono analizzate, con impareg- giabile delicatezza e con minuziosa chiaroveggente penetrazione d' indagini, le successive e deliziose emozioni della maternità, dalla prima presentazione del neonato colle carni ro- see e tenerelle immerse in un bagno di tiepida e limpida, acqua, a quelle che sono le altre tappe •dell'infanzia; i primi passi incerti e le prime cadute»

"7

i giochi, i primi scarabocchi, i primi disegni, le prime lezioni di scrittura e di lettura e cosi via via.

Bel libro, eg^ande anima Giulia Uaudet ! '

E di modestia rara ! Che, ispirata forse da quello stesso spiritual pu- dore che le ha fatto sem- pre nascondere la sua parte di collaborazione all'opera gloriosa del ma- rito, fa di tutto per te- nersi in disparte, per far dimenticare la scrittrice ; ed ella, che è piuttosto sobria discorritrice, si en- tusiasma e diventa elo- quente soltanto quando parla dei suoi figli, che idolatra.

E in tal modo che può affermarsi che la spiccata e davvero preziosa dote 'di Giulia Daudet, come persona e come scrit- trice, sia di saper ser- bare intatto quel sottile, profondo, adorabile pro- fumo di muliebrità intel- lettuale, che è cosi raro ad incontrarsi, e che pos- siede un cosi invincibile fascino.

(l) L'Infattzia d' una parigina - Bimbi e Mamme - di Giulia Daudet - Traduzione dal francese di Vittorio Pica, preceduta da un saggio critico. Un volume di pagine 200, in 16O piccolo

oblungo, L. 2.00. (Vedere i*saggi « Le bambolo» e ,(CiÒ4 si vede attraverso un velo di mussolina bianca » a pag.

XX.

UGO DE AMICIS.

Ugo De Amìcis, figlio def grande Edmondo, è giovanissimo, ardente e battagliero. Indivi- dualista convinto, impenitente esaltatore e ado- ratore dell'io, anzi, egotista, come scrive lui, mal soffre l'avanzarsi ìncomposto ed incosciente tutta una turba equivoca che, in nome d'un forse ipotetico avvenire economico, .sembra im- porsi, insofferente di qualsiasi giogo, con una

novella tirannia, tanto più crudele «n quanto che si presenta anonimamente collettiva.

Strano contrasto questo, delle sue opinioni poli- tico-sociali, con quelle ben note del suo grande Genitore! Tanto più notevole, in quanto che è regela pecorile che sian sempre i figli a professar principi! politici cosidetti avanzati!

E non è da dirsi che in Ugo De Amicis non

iiS

sia animo generoso ; a disingannarci basterebbe la lettura del suo « Infischiat^dosi del mondo » (iT, duro e superbo libro che è tutto un inno a\ forte e battagliero individualismo.

Questo suo volume esce dopo altri due suoi fervidi lavori « Amori e birichi- nate » (2) ^ « L'anormalità dell'altruismo ». Incomincia bisbigliando appena per scan-, sare gli anatemi del gran pubblico^ e della gente per bene, continua esitando la bellezza e la forza in ogni loro manifestazione non ultima la ben temprata fibra dell'audace escursionista e finisce inneggiando all'amore « sola ragione di vivere » per un uomo « non pecora im- brancata fra le pecore » e beve a piena anima la poesia della natura, e sferza del suo trion-* fante e squillante amore i mille farisei e le infinite « teste pidocchine che van gonfiando bolle di sapone ».

E l'essenza del libro è in queste ultime righe che lo suggellano :'

« Mi sentivo forte contro ogni evento, contro ogni dolore. Alcuna preoccupazione del mondo

meschino, da me tanto lontano, più non mi toc- cava. Ero per sempre divisto da lui... Ero forte, ero amato, ero giusto. Ero felice quanto lo può essere un uomo . . .

« Una vampata più calda di felicità m'avvolse, e dissi in francese alla brava guida val- dostana quello che io pensavo. «Ange ascoltò compiacendo- si dellamiagioia,e, dopo esser rimasto un momento in silenzio per meditare il mio discorso, sorrise : Mais voyoTis, mon- siciir, est-ce que lout le reste ne compte plus rien poiir vous? « Io gli risposi: Je lu'eii fiche ...»

Ugo De Amicis ha comin- ciato benone. Forse gli nuoce, in principio, l'esser figlio di tanto padre, onde il lettore, ab- barbagliato dai ricordi e da una antica invincibiletenerezza, di- scerne a stento e male, ed una pacata imparzialità gli si affac- cia quasi come un'infedeltà; ma egli saprà vincere l'osta- colo, il quale, d'altronde, può anche avere il suo lato buono ; e faràegualnientelasuastrada: è forte, sagace, peiseverante, ed orj è soltanto alle sue primissime armi !

\ÀJkjQ^ JU-^ ,^,

(ij Infischiandosi cUl mondo di Ugo De Auicis. Un volume in 16*^ piccolo oblungo, lire 1,50. f\^cdere saggio squisito dal titolo U Amore » a«pag. 72).

(2) Amori e birichinate di ^^go De Amicis lire 2,00.

XXI.

LUIGI DI SAN GIUSTO.

La forte scrittrice, colta e valorosa, è nata a Trieste, ma giovanissima, bimba quasi, si è sta- bilita a «Torino, dove in breve tempo il suo in- gegno e i suoi romanzi, vere opere d'arte, taluni, le hanno creato la possente aureola, in cui oggi, la soave, mite bellezza, splende nel doppio fa- scino del talento e della grazia.

I romanzi di Luigi di San Giusto, che tutto il mondo intellettuale conosce, sono certo fra le più alte opere femminili che vanti l'Italia.

Nennella, La l'ita nuova, L'Errore, La Maestra bella, I bimbi. Il Reduce, La conquista di Man- temerlo (i), sono *i fiori smagliaflti sbocciati da questo meraviglioso cervello di donna, che sotto il mite splendore dei capelli biondi, ha forze e virilità poderose.

La vita di Luigi di San Giusto è tutta una vita di lavoro, di pensiero, di famiglia e di bontà.

Creatura perfetta nel cuore come nella mente, essa illumina come un raggio benedetto la .sua

casa, i suoi tìgli, che sono tutta la sua tenerezza e tutta la gioia e la forza dell'anima sua.

E per chi ha il bene dolcissimo di conoscere nel- l'intimità questa scrittrice e questa mamma, più soave e più grande appare la sua figura, e il cuore si inchina entusiasta e devoto a questo valore, a questa forz'a, a questa b9ntà ; mentre la dolce signora percorre quieta la sua via, quasi inconscia . della lucQ che spgna il suo passaggio.

L'opera letteraria di Luigi di San Giusto è varia e complessa. Ella è autrice di molti romanzi : Una vecchia storia, fu pubbli- cata in appendice della « Gazzetta Piemontese ». Due donne e // segreto di Donna Graziella furono stampate sulla « Gazzetta del Popolo », entrambi ' jfc- questi romanzi avendo vinto il e il premio in un Concorso bandito da quel giornale.

Ma allora la San Giusto non aveva vent'anni ! E la sua arte era ancora piut- tosto d'impressione, di sen- timento, d'intuizione e di ricordo, che non di verità.

Dopo fece assai meglio.

Xennella fece piangere molte anime femminee : àfiVC Errore disse la Serao

che un simile libro, in tempi meno anemici.

avrebbe fatto chiasso.

Nei Bimbi l'autrice spese un ricco tesoro di osservazioni e di affetti perchè ella ama tanto i bimbi. Ah, che peccato, pensa ella, che non restino sempre bimbi ! Quello che vien poi è così triste e così brutto!

La Maestra bella, la Vita nuova, sono altri due romanzi lodati dai critici, ma che non contenta- rono abbastanza l'autrice « Non è ancora questo » . diceva ella.

Ma dove lasciamo l h z-iiifo .' Un libro cosi dolo- roso e cosi vero ! La prima parte di esso è spe-

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cialmente un quadro di dolore, di miseria, di verità vista e vissuta !

Fede è un dolce e melanconico idìllio, scritto quasi per le giovanette; e questa Conquista di Mon- teiitcrbo (uè un intermezzo giocoso in un'opera dolorosa e faticosa.

Anche dei versi scrive questa donna, che sente l'anima vibrare così mol- teplicemente. E anche, in- namorata com'è delle let- terature straniere, molto ha tradotto in prosa ed in versi, specialmente dal tedesco, chea lei triestina, è lingua quasi materna. Cosi il Goethe, il Pfungst, il Mominsen ebbero tra- duzioni vive e lodate ; così questa scrittrice ar- guta, fine e dotta effonde la sua anima ardente, ap- passionata e inquieta in cento fonti di lavoro, in -•/■■ diverse forme di vita.

Ma il Reduce, V ultimo libro della San Giusto, libro materiato di lagrime di angoscia, palpitante di un tormento senza fine ^J _ è quello che meglio rispec

=^f '*•" chia la dolorosa anima

che si cela sotto un sor- riso !

Anche il teatro fu ten- tato felicemente da questa nostra così cara, così affa- scinante scrittrice. Ella vinse un concorso dram- matico, con una commedia // Bimbo, che fu rappre- sentata a Torino dalla compagnia De Sanctis.

L'anno scorso nelle appendici della magna « Tribuna » compar\"e un romanzo storico dal suggestivo titolo Prima-vera italica, e suscitò una grande ammirazione.

Ora sappiamo, noi colleghi e amici suoi, che la San Giusto prepara per lo stesso giornale un altro grande romanzo, d' argomento interessan- tissimo ; e poi, per suo conto, lavora intorno a un volume nel quale vuol mettere, dice ella, tutta la sua anima di artista e di pensatrice. Bella, dolce e grande anima! Questa fiera e tenera natura, che vede nel-

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#

l'arte qualcosa di più alto che un diletto dello spirito, o un mezzo per arrivare alla gloria e alla fortuna (gloria e fortuna che già ampie avrebbe mietuto altrove che in Italialj, certo ci pre- para un'opera poderosa, densa di pensiero sociale, pregna dell'umano dolore. Ella che freme al con- spetto di tutte le miserie, di tutte le ingiustizie,

di tutti i mali ! Ella che disprezza ogni ipocrisia, ogni menzogna, e che anela a strappare a questa società borghese il mansueto manto di cui copre i suoi vizi, ella, debole donna e pure forte come un arcangelo di verità, ci dirà una parola, una parola di fuoco, di bellezza, di vita !

(1/ La Conguihta di Montemerlo - Storia Giocosa di Luigi di S. Giusta - L. 3. - {Siccome ci è stato impossibile riportar qui un brano qualunque di questo nuovo romanzo - 6. voi. della Biblioteca Gaja - che avrebbe soltanto dato una

pallida idea della recentissima nuova opera, pubblichiamo in- vece, a pag. 25, un originalissimo racconto: « La morte di Maurantonio » cortesemente favoritoci dalla esimia Autrice).

XXII.

ARTURO FOA.

È nato a Cuneo nel 1877 e s'è laureato a Torino in filosofia e lettere nfel 1898. Il suo primo libro « L'amore in Ugo Foscolo » rilevò un'intelli- genza profonda ed ardita, desti- nata a crearsi, per il suo merito intrinseco, un nucleo compatto d'ammiratori e di seguaci.

I maestri della critica italiana e forestiera affermarono che quel- l'opera segnava l'inizio della nuo- va critica, dotta nell'analisi, elo- quente e splendida nella sintesi, e il successo letterario fu pari a quello commerciale. L'eco dell'u- nanime lode non era cessato che il Foà uscì con un altro volume, non più di critica ma di novelle : « I nostri cuori » (1). Fra tutti i libri dei giovani scrittori quel libro balzò su robusto e finissimo insieme, tutto vibrante di pas- sione, sfavillante di luce, multi- fragrante dei mille profumi della natura. Innumerevoli lettori bev- vero a quelle pagine, come a una ricca fonte, pensieri ed emozioni intense e delicate; e Arturo Graf si rese interprete della lode universale in questo giudizio: « Visione quando acuta quando gagliarda delle cose, sentimento multiforme, trasformabile, caldo, sottile, generoso. Sorrisi e lagrime. Un pensar vario, agile, fremebondo, dietro la luce

del vero e il fantasma della felicità. Si afferma sempre più il poeta e lo scrittore. In alcune pagine appare l'artista poderoso. » Poeta e scrit- tore. Come ben disse il Graf; e, quasi a confermare questo giu- dizio, il Foà sorse a cantare in un altro volume « Per un amore » (2) una passione fatale per una bel- lissima ignota. Tre canzoni di rìgido schema petrarchesco, ma fatte piene di sangue dalle febbri d'un cuore moderno che s'abban- dona con voluttà al dolore, ma sa ritrarsi per mutarlo in una forza della sua vita. Ardori, spa- simi, pianti, memorie dolci e propositi virili; voci violenti e voci intensamente umane; e tutto questo chiuso in una forma lo- gica e serrata, che evita le sca- pigliate scompostezze, e anche nella sobrietà fa rendere la con- vulsa concitazione interiore, il battagliar degli spiriti discordi in uno scabro rilievo. Dissero i critici giustamente che questi versi fanno di Arturo Foà un per- fetto artista; anzi, uno dei più perfetti che abbia oggi la poesia italiana. Ma l'operosità del Foà non s'è arrestata a queste forme d'arte. Anche il teatro ha affascinato il suo ingegno. Ed egli ha risposto all'invito con la « Figlia » commedia in tre atti.

in cui studia con tesi ardita gli odierni rapporti fra i cristiani e i semiti e le molteplici necessità che spingono questi a fondersi con quelli. Rap- presentata al teatro Nazionale di Roma nel Marzo di quest'anno, segnò un grande successo. 11 pub-

blico gli decretò il trionfo, e la critica lo con- fermò giudicando la « Figlia » uno splendido lavoro. Particolare caratteristico di Arturo Foà : odia le conferenze, ma fu ed è applaudìtìssimo conferenziere.

(i) i nostri e (3) Ptr un :

- Novelle e bozzetti Arturo Foà, lire 2,00.

Canzoni lire 1,00. (Di queste

splendide

saggio a pag, 78,

[ Tempo sarà che giungami novella) >*.

XXIII.

ONORATO FAVA.

' Napoli, la gaia, l'incantevole città dei canti e dei sogni, ha avuto in Onorato Fava il suo pit- tore più sincero e appassionato. Dipinse con la penna, è vero, ma non gli mancarono j colori più caldi, l'intonazione più sicura, che rivelano l'artista. E a giudizio degli stessi napoletani più colti e insieme più gelosi di quanto è seducente e carat- teristico nella loro Napoli, Onorato Fava nella sua K/fe Napoletana, più vivacemente che altri non abbia mai fatto, riproduce costumi, abitu- dini, sentimenti e perfino i pregiudizii del popolo napo- letano. Non c'è però da meravigliarsi che le gustose e genialissime novelle ab- biano avuto tosto l'onore di una traduzione inglese per cura di miss Craig, e ab- biano contribuito a far cre- dere l'autore figlio autentico di Napoli. È una credenza che al Fava rende il mas- simo onore, a cui egli po- tesse ambire come scrittore ; egli nacque invece a Collobiano in l'icmonte, il 7 luglio 1S59. Napoli fu la città da lui prediletta, che Io affascinò ; ed egli l'ama studiandola, stu-

diando soprattutto l'indole, lo spirito del suo popolo, di cui ne' suoi scritti ci porta l'eco vibrata di quanto l'agita, lo commuove, Io esalta. É una delle peculiari e più spiccate qualità del tempe- ramento artistico del Fava l'osservazione dili- gente, acuta dell'ambiente e dei caratteri. V'ita Napoletana ne è un saggio delicato, al quale fa riscon- tro Vita nostra, che la Se- rao giudica una delle più importanti raccolte di no- velle degli ultimi tempi, in cui una pagina sola scrive il Rovetta basta a creare, e scolpire un carattere indi- menticabile. .\nche \'ita no- stra ebbe una traduzione in olandese del prof. Warren di Pordrecht.

11 Fava non aspira che ad essere buon novelliere; ed è tra i migliori ; ma l'acco- glienza ch'ebbe i! suo Rina- scitm'nto prova eh' egli è anche romanziere coscien- zioso, essenzialmente mo- derno nella sceneggiatura e nello studio psicologico. Esula da lui ogni studio di seguire alcuna scuola ; ogni suo lavoro reca l'impronta originale del suo carattere, e da esso

spira una gentilezza di pensiero e di sentimento da giustificare in tutto le simpatie che il Fava meritò anche oltr'alpe.

Non è nostro compito di seguire il Fava in tutti i suoi lavori, che segnano un crescente successo, come quello ottenuto dalla Discesa cC Annibale, Contro i più, e da altri; a noi im- porta rilevare più particolarmente un altro aspetto del suo talento d'artista, quello che si rivela ne' suoi lavori dedicati alla letteratura infantile. La stessa attitudine spiccata del Fava a studiare i fenomeni della vita famigliare, e rilevarne con finezza i contorni netti, precisi, nonché quella di addentrarsi nell'esame psicologico e rendere i momenti più interessanti e decisivi. Io portava inevitabilmente a studiare anche il piccolo mondo dei fanciulli, la loro vita interessante e curiosa. E nel nuovo arringo il Fava si presentò con Graneìlin di pepe, che fu presto tradotto in varie lingue, e lo indusse a scrivere altri volumi che inglesi, tedeschi, spagnuoli e francesi gustarono tradotti, e procurarono all'autore, il nome di « Andersen del Mezzogiorno », parecchie medaglie alle Esposizioni di Edimburgo, Parigi, Milano, e quella di benemerito della P. I., nonché il plauso àAV Educational Congress di Chicago.

Dopo il Paese delle Stelle, Serate invernagli, Treszadoro, Bliz e Friz, Al paese dei giocattoli. Francolino, del quale riproduciamo qui poche pagine, ci presenta un modello dei pochi romanzi fortunati pei fanciulli. La critica non ha esitato a porlo accanto al Cuore, del De Amicis e a riputarlo più pratico negli intenti educativi quanto gli aurei libri dello Smiles.

Scorrendo la schiera ormai numerosa e varia dei libri pubblicati dal Fava, si potrebbe credere ch'egli sia interamente dedicato alla letteratura, e che faccia il letterato di professione. Non po- trebbe darsi un giudizio più fallace di questo. Il letterato lo fa per passione e la letteratura ge- niale é un gradito intermezzo all'insegnamento è all'ufficio di segretario che tiene presse la Dire- zione generale del Banco di Napoli. I suoi lavori letterarii sono pensati e scritti nei giorni festivi, nei quali egli ha la mente più tranquilla e serena, non distratta da alcuna altra cura. Si può dire che i libri sono i suoi figliuoli, poiché non n'ebbe dalla sua colta e gentile signora Giulia Masucci, figlia del Procuratore generale alla Suprema Corte di Cassazione di Napoli. A quei figliuoli egli pensa col cuore e col cuore li scrive: vi mette una tene- rezza tutta paterna, e non v'è pagina che non in- tuisca e renda con isquisita verità lo studio interiore dei nostri fanciulli e non ne tradisca le segrete ten- denze, le voglie, i capricci, le tenerezze, i dolori.

Egli trova ancora tempo (}i collaborare a taluni^ delle prindpaliiriviste d'Italia, come la Nuova An- tologia, f Illustrazione italiana, ecc. V Enciclopedia ted-^sca del Kùrschner, di Berlino e il Magyar Sza- lon di Budapest,' la Revue encyclopcdique di Parigi il Dictionnaire des ccrivains, del De Gubernatis, V Enciclopedia Hoepli, hanno già dato rilievo a que- sta simpatica figura di romanziere e di educatore.

Or ora é anche uscito un suo splendido volume di racconti che sono, si può dire, veri romanzi. E' intitolato « La Rinunzia » 1 1).

(il /.a Riiiuiizia (L'Attesa La Cal.lndrai. Splendido volu

La Sorgente La Villa di oltre 350 pagine- lire 3,»

(Di Onorato Fava di:

pag. 79).

XXVI.

CECCARDO ROCCATAGLIATA-CECCARDI.

Nato nel 1872 in Genova, crebbe i suoi primi anni in Ortonovo, borgo ligure sul confine del Carrarese. Compì liceo a Massa, e studiò legge all'Università di Genova. Già la famiglia materna avea annoverato nei secoli xvii e xvjii poeti e umanisti : (di cui si trovano memorie negli archivi ducali di Massa) primo tra essi un Pier Angelo che s'ebbe amicizia col Fantoni.

E da sua madre, gentildonna della più antica nobiltà luni- . giana, e quel che più importa, chiara conoscitrice e ammira- trice del Leopardi, di Vittor Hugo, e dello Shelley, il gio- vinetto Ceccardo apprese amore e dettami di poesia.

Nel 1S92 la ruina si abbatte sulla sua vecchia casa ; gli mori di schianto Ja madre e gli altri suoi furon dispersi nel mondo. Gli fu forza, allora, abbandonar l' Università, e ap- prestarsi a mangiare il gramo pane delle lettere; come Bau- delaire e Maupassant fu recen- sionista giudiziario; poi re- dattore di giornali politici, collaboratore di riviste lette- rarie, tra cui la « Vita mo- derna » diretta da Gustavo Macchi, e la « Tavola ro- tonda » ; collaboratore poe- tico di 4-iviste politiche come Videa liherate... e viandante, secondo la fortuna. ,

A quel tempo risale la sua amicizia fraterna con Plinio Nomellini, il giovine e glorioso pittore delle « Notti di luna » e degli « Autunni » ; e più di una battaglia essi combatterono insieme in Ge- nova — per la libertà e l'idealità dell'Arte. E forse allora il Ceccardi cominciò a procacciarsi la leggenda di Gorki italico, alla quale accennava, or son due anni, Luciano Zùccoli, trattando della di lui opera poetica nel Merciirc de France, ove conchiudeva con un breve commento signitica- tivo« il est ... un poète de premier ordre ».

Nel 1895 pubblicò un piccolo libro di versi il libro dei Eranimenti (Milano, Aliprandi), che gli meritò le lodi del Marzocco e del Fanfulla delia Dotiìcnica, e gli incoraggiamenti del Mar-

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radi e deh Pascoli. Intanto continuò a scrivere in giornali e riviste: diresse egli stesso un periodico settimanale (1896-97) di provincia, lo Svegliarino di Carrara, al quale aggiunse per Undici numeri un supplemento letterario, oggi curiosità let- teraria assai rara; supplemento in cui collabo- rarono il Pascoli, Io Zùccoli, il Contri, l'Orvieto, il Novaro e il Garoglio, ecc.; e per cui il Cec- cardi contribuì validamente all'inchiesta aperta dal Mar- zocco « sulle condizioni lette- rarie delle città italiane ».

Nel 189S ritorna a Genova. D'animo ardente, irrequieto, ricercatore di libertà e di ve- rità, non ha pace.

Varie passioni tragiche lo avvinghiano: Ija tre duelli e attenta a medesimo con un colpo di,pistola che gli squar- cia un braccio.

Nel 99 va a Roma, ma la miseria lo caccia dalla Città eterna. È a Milano, ma anche colà per poco tempo. Ritorna a Roma, ove ammala di tifo; morente è portato dalla pietà di alcuni amici a SantoSpirito. L'opera sua di <]uegli anni, poesie, novelle, critiche d'arte, son dispersesu giornali politici e in oscuri fogli letterari...

Nel 1901 la tragica ;norte di due bimbi a Parigi gli offre motivo di un poema, di una dolcezza e di una ingenuità meravigliosa, pubbli- cato, poi, a Genova in edizione oggi esaurita.

Intanto l'amicizia e. la stima dei fratelli Novaro a Oneglia gli permettono di collaborare assidua- mente nella « Riviera Ligure v, un'imitazione geniale dei Magazincs inglesi. In breve le prose e i frammenti poetici che pubblica su quella Rivista richiamano l'attenzione degli intelligenti, mentre lo scandalo artistico, che egli con nobi- lissimo gesto solleva a Genova Kebbraio 1903. contro la contaminazione dei quadri di Pal.izzo Rosso, gli procaccia bensì l'urlo di tutta una greggia di piccoli, e la maledizione tonante degli Accademici, ma piire il saluto e l'auspicio dei mìi;liori artisti e critici d' arte d' It.ilia e di

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Francia: così il Ceccardi si guada,a;na, d'un balzo, nella critica d'arte se non l'ufficio rimunerativo, certo il bel nome che con lungo studio ed amore s'era già meritato.

Ora egli ha pubblicato « Il viandante » (i), raccolta di pochi sonetti, una dozzina, dai quali il nostro bravo poeta ligure fa precedere il vo-

lume che forse vedrà la luce fra mesi. È un saggio veramente prezioso di detto volume « Sonetti e poemi » che conterrà l'opera poetica sua daJ 1897 al 1904, con illustrazioni del Nomellini e del De Albertis. Di questo Viandante noi riportiamo quattro splendidi sonetti a pag. 86.

etti di Ceccardo Rocc

diata-Ceccardi. Cn volumetto <

opertiija del De Albertis - L.

XXVII.

GIOVANNI DIOTALLEVI.

Nato in Roma educato in un ambiente claustrale scacciatone, giovinetto, per sospetto di eccessivo liberalismo; passato con fervore dagli studi del cristianesimo al classicismo pagano, dalle catacombe al foro feqp da principio una letteratura speculativa e trascenden- tale, finché, riescito a liberarsi com- pletamente deH'uomo anteriore so- vrapposto all'indple di lui, non si gettò con foga nella vha, spirito mo- derno, mente avanzata §d audace, uomo soprattutto, senza pastoie, senza le diminuzioni convenzionali che impone la società.

Massimo poeta e più adeguato ai tempi è per lui Walt Whitman.

La sua caratteristica più spiccata è dunque un senso alacre della vita, una cognizione indefettibile della forza e della dolcezza che possono venirci soltanto dalle realtà mate- riali e morali le più avanzate.

In afrte egli segue dunque le forine semplicissime che gli sembrano il classicismo definitivo delle quali si è impadronito con lungo e continuo sforzo, e quanto alla sostanza, ripudiato, senza disprezzo, quasi tutto il passato, non ammette che vi sia più arte possibile all'infuori della sincerità assoluta, della espressione immediata e genuina dei sentimenti e delle sensazioni, non più quali giungono all'espressione verbale a tra- verso il costume, l'abitudine, la coazione, ma quali vibrano elfettìvamente o divampano nei sensi, nei cervelli, nei cuori.

In politica oscilla il Diotallevi fra' la tirannide e l'anarchia, le due forme estreme di società che si toccano e che, sole, si giustificano, in inverso modo, nei rapporti della nativra umana.

Egli ha già pubblicato un grande romanzo « Su

le rovine del mondo » del genere che, secondo la visione dell' A., dovrà trionfare su gli altri, com- ponendo le forme più elette dell'arte con la verità della vita interiore: romanzo che fu largamente amn>irato.

Prima di questo egli dette alle stampe un altro breve romanzo idea- lista intitolato « Senza ideale », che , fu pure molto godiito da coloro che più si avvicinano a un concetto spi- rituale dell'esistenza. E da poco più di un anno si diffusero le sue « No- velle del dolore », un volume che venne giudicato, in molte recensioni, come uno fra i più suggestivi e me- glio costruiti della novellistica mo- derna. La novella del Diotallevi è la concenti^zione di un romanzo a forti chiaroscuri e scorci potenti.

È inoltre dell'A. un volume di versi « La spiritual primavera», che fu pubblicato tre anni or sono in edi- zione eleganti.ssima : liriche in parte giovanili, di una gagliarda aspira- zione e di un continuo spunto sug-

gestivo; cosi che si può dire che risentano di due grandi, per quanto diverse influenze, Shelley e Mallarmé.

Adesso poi il Diotallevi sta componendo cinque « Laudi » della vita, della forza, del dolore, del- l'amore e della morte, che egli viene pubblicando separatamente su riviste letterarie e che riunirà poi in un volume de « Le cinque laudi >• : poemetti di grande evidenza ed originalità, che hanno rilevato veramente una individualità di poeta; la parola di cui forse ormai si era troppo abu- sato !

Anche pubblicherà egli nel venturo anno un volume di filosofia : « Saggio critico di filosofia sociale ». Ed infine sta per dare al teatro tre

^Vh

suoi drammi : « I sopravvissuti », « L'equivoco della virtù » e « La necessità di vivere ».

Vorremmo dar un saggio di un romanzo- ori- ginale e birichino genere che il Dìotallevi aveva già appena accennato , felicissimamente, in qualche sua novella ; ma preferiamo invece pubblicare, di questo giovane scrittore, una no-

li) Peccati di dnniia di Giov.TTmi Diol.ille

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velleità graziosissima intitolata « Senza scarpe » a pag. ,87. Il romanzo che avrà per titolo « Pec- cati di donna; 11) », il poeta lo ha scritto, per espressa commissione della nostra Casa, come inizio di una serie di 'lavori identici destinala ad avere, senza dubbio, il più grande successo.

voi. dell;i •• Ii.l.li.

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XXVI li.

P U e K.

È il vispo spirito che erra di flotte e tiene allegro Ghe- rone e gioca a Titania dei tiri birboni? Non può quindi man- care di spirito. E uno spirito . lirico e satirico, benché al- l'apparenza abbia l'aspetto di un uomo qualunque. Giovane ancora per qualcheflnno.Fece i soliti studi letterari coi solito buon successo e cominciò a collaborare ai soliti giornaletti e pubblicò l'immancabile vo- lumetto di versi sentimentali. Sazio di cercare stesso nei libri altrui, pensò di scriverne esso stesso a propria imagine e simiglianza. II. mondo Io in- teressa come una tragedia comica, tragica nella materia e comica nella forma. Ama pochissimo stesso e quindi evangelicamente pochissimo il jjrossimo. Preferisce la donna all' uomo, il fanciullo alla donna, un gatto a un fan- ciullo, una rosa ad un gatto, una stella a una rosa. Si com- piace dei libri che nessuno legge perchè danno essi soli la coltura rara e raffinata. Pre- dilige_ tra i romanzi quelli di Montepino e di Ponsone del Terraglio perchè al loro con- fronto si sente esaltato. È quasi convinto coi V'eda che il mon- do é un'apparenza e con Ca- mille Mellusand die la realtà non dift'erisce dal sogno. S :

128

credesse al libero arbitrio prenderebbe per diret- tore spirituale V Imitazione. Suo sogno : essere un principe (delle fiabe, ben inteso) o un contadino (cioè un corpo senz' anima). Ha una vivissima simpatia per Tristano-Norma, lo stile Luigi XVI, la cioccolata, l'estate, il libro dei salmi, l'acqua e la novella d'inverno. È occupatissimo a diven- tare un letterato. Per questo autunno ha pronto // casto Giuseppe, ove dolcemente si beffa la me- lanconia degli amori extra-coniugali e // Ta-

lamo ove si deride il medesimo. Non è sprovve- duto di novelle, commedie ed altro consimile materiale letterario indispensabile per creare e dare vita a una persona letteraria. Intanto come saggio pubblica Niente (i). È il sermone d'un laico. Invece di fulminare la corruzione del mondo, Puck ne tenta la caricatura. Il motto della pre- diletta Imitazione ne è la giustificazione : Omnie terrena... ut stercora. Del resto toccherà al let- tore (se ci sarà) definire la significanza del lavoro.

(r) Puck - Niente Gaja. Di questo

Romanzo, L. S. IX voi. della Biblioteca Niente » del misterioso Puck,

[lamo un saggio a pag. lido della Quaglia ».

t il frammento intitolato « Nel

XXIX.

MASSIMO BONTEMPELLI.

Giovanissimo, è venuto per ultimo ad aggiun- gersi alla schiera dei poeti d'Jtalia, ma con tanto sicura forza d'originalità sjncera e d'eleganza, che il sup libro recentissimo delle « Egloghe » occupa senz'altro, a detta di critiai insigni che estesamente ne scrissero, un posto spiccata- mente significativo nella più nuova produzione.

Massimo Bontempelli è nato a Como il 12 maggio 1S7S. Ingegno sveglio, osservatori* pronto e acuto, ebbe la ven- tura di conoscere luoghi e uomini di mezza Italia, poiché abitò successivamente in Lom- bardia, in Liguria, ove inco- minciò gli studi nel ginnasiodi Chiavari, nel Lazio, in Lom- bardia ancora, e in Piemonte, ove compì gli studi laurean- dosi in lettere, filosofia e legge nell'Ateneo^ di Torino.

Pubblicòassai, versi e prose, sparsamente su per molti gior- nali e riviste ; ma troppo mo- desto non volle mai raccorre nulla di suo in volume, prima di risolversi a queste sue « Egloghe », crediamo più ~~

spinto dai buoni consigli di qualche suo amico, che non dal desiderio di mettere in mostra i suoi pregi singolari di poeta, A Torino è molto ricor-

Mci^'itho ^i~tr7cJu/,jeùi

(l) E V invernale (Che riportiamo a p; 1 bellissima ira le belle ,< Egloghe », degn

dato fra l'eletta .schiera dei giovani letterati ora notissimi che gli furono compagni di studio e di sapere ; e certe sue fconfenenze, e certe lezioni del Graf non sono dimenticate. Così che molti ebbero a ral- legrarsi di queste sue fresche « Egloghe'», sane, limpide, vive di originalità squisita, che vennero a noi come una rive- lazione. E che sian tali, valga questa chiusa all'articolo di un critico fra i più bravi, che ri- portiamo qui integralmente. «... Onde non sappiamo non finir questa chiacchierata, tra- lasciate molte cose, mostrando la persuazione che quella felice anima mondana (il Bontem- pelli I dovrebbe pure e potreb- be ridarci le morte belle forme del capitolo e della satira, poscia che ebbe in tanta ita- lianità, e tanta saldezza di spi- rito italiano, da fare con le « Egloghe » indubbiamente il libro più classico nostro, di forma e di spirito, che sia in questo tempo uscito».

Il Bontempelli, che si pre- para a novelle battaglie, di- mora via via dove richiede la sua professione di insegnante nei ginnasii gover- nativi, e quando può gode ad abitar Cherasco, il » bel colle » della « Invernale » (i).

pubblicato con severa eleganza, carta a mano, formato in ot- tavo piccolo. Costa lire 1,50.

XXX.

EFISIO GIGLIO-TOS.

Fece i suoi primi studi nel ginnasio d'Ivrea, ma dovette interromperli per venire a Torino con la famiglia, dove da questa fu consigliato e persuaso ad entrare nel commercio. Ma il nostro autore, amantissimo' degli studi, non era nato pel commercio; onde i cin- que anni ch'egli dovette per forza trascorrere in qualità di commesso in un negozio furono per lui una continua amarezza, un continuo dolore. Ma non si perse d'animo ; volontà ferma, cuore aperto, ac- colse i consigli di un amico carissimo, e pur lavorando non meno di dieci o dodici ore al giorno, trovò modo di studiare da di notte, nei giorni festivi, sovente anche di nascosto sul la- voro ; ed ognuno può figu- rarsi quanta dovette essere la soddisfazione nel nostro autore, quando il professor Garizio all'esame di licenza ginnasiale gli domandò in qual ginnasio aveva stu- diato, complimentandolo pel modo corretto di leg- gere il greco !

E altrettanto fu per l'al- gebra. L'autodidatta si as- segnava egli stesso i com- ponimenti, li eseguiva e li correggeva; e così per altre materie.

Superata felicemente la licenza ginnasiale, tre giorni dopo il medico di casa chiedeva un consulto per una terribile tiflite che tenne tre mesi a letto il Giglio-Tos. Guarito, da commesso di negozio passò applicato di segreteria al Club Alpino, ed ottenuta cosi maggiore libertà, entrò finalmente uditore all'Ateneo torinese, giurando a se stesso (e mantenne il giuramento !) che avrebbe conseguito tre lauree.

Nel fervido periodo della sua vita gaia di stu- dente fu ispiratore geniale e organizzatore d'una infinita serie di feste studentesche, e creatore di novelle istituzioni che furono e sono l'onore dell'Università torinese. Non sappiamo tratte- ,• nerci dal darne qui pn sommario 'cenno cronolo- gico.

1891-92 Organizza le prime regate universita- rie e debutta da prima

ballerina di rango italiano nello Scholasticon.

1S93 Organizza il Fri- gidum Museum, diventa pittore, espone 23 capola- vori, e finisce odalisca, con relativa danza del ventre... e poi segretario dell'Asso- ciazione Universitaria To- rinese.

1894 Membro della Commissione esecutiva del III Congresso Universita- rio, prende parte... in qua- lità di giullare, alla Giostra universitaria.

I S94-95 Nominato pre- sidente dell' Associazione universitaria, organizza il Caflfe Chantant Bath' Ack- lan.

1S96 Inizia la petizione internazionale degli stu- denti allo Czar.

1S97 Propone a Pisa la fondazione della Fede- razione Internazionale de- gli studenti.

1S9S Organizza il primo Congresso interna- zionale degli studenti per fondare la Corda Fratres, che proclama a Roma. E nello stesso anno, per aiutare finanziariamente il Congresso, con l'aiuto dei bravi amici, organizza il Carne- vale d'Ivrea che riusci magnifico, e che fu la più gran giornata dell'Esposizione Italiana di Torino.

I30

1S99 Fs viemmeglio fiorire la Corda Fratrcs, compilandone lo statuto ed i regolamenti, modelli di chiarezza e di oculatissima organizzazione.

1900 Più che mai instancabile, organizza una festa a Roma eJ un'altra a Parigi, a totale benefizio della Corda Fralres.

1900-901-902 Organizza altri Congressi, stampa un infinito numero di opuscoli, pronunzia discorsi, conferenze di propaganda in favore dell'Università Italiana'a Trieste, e viaggia a Bes^n(;on, Venezia, Bucarest, Trieste, a Capo- distria, ecc., ecc.'

1904 Fra altri lavori, pubblica: « La genesi

jJella Corda Fratrts », « La Corda Fratres dans

les rapports franco-italiens », « La Morale nel

teatro d'Ibsen » ii'. «Albori di libertà» 21 ed

(i) La Morale nel teatro d' IHcit di Knsl^ Jn volume pag. 140, lire 2.

Giono-Tos

altro ancora... E con tutto questo lavoro, e con la missione di professore ginnasiale, ch'egli compie con sagace solerzia, non trascura un giorno solo la corrispondenza epistolare della Corda Fratres, quella della Società Jleteorologica, eia personaje!

Inf.iticabile lavoratore, è amatissimo da quanti lo conoscono; e si può dire che, eterno studente egli ste'sso benché già triplicemente laureato, sia conosciuto dagli studenti di tutta Italia ,e di mezza Europa. , ' ,

Preparerà prestò altri lavori di genere storico... e irqvcrà cefto ancora altre idee geniali per su- scitar qualche nuova gaia festa studentesca, od iniziare qualche nuovissima istituzione, per la cui invenzione sembra abbia l^t privativa in Italia ed all'estero...

(Il Albori di libertà di Efisio Giiìlio-Tos pag. 264, lire 2.

Un volume di

, XXXI.

MANTEA.

Sotto questo gentile pseudonimo si nasconde la brava scrittrice donna Gina Sobrero, la più letta,* la più interrogata e la più ascoltata scrit- trice d'Italia. Basti dire che essa è l'Autrice .rfi quel' libro d'oro oramai notissimo e difiìisissimo che è «Le buone Usanze» (i).

Principiò a scrivere nella Gaz- zetta Piemontese di Torino, ora La Stampa, ed i suoi articoli squisitamente eleganti, in cui trattava di mode femminili con "s^

raro acume di donna e di artista, erano avidamente letti, e le ot- '«-

tennero così, di punto in bianco, una fama veramente invidiabile.

Attualmente è a Roma, ma a Torino, specialmente nell'alta so- cietà e nel mondo giornalìstico non è dimenticata la sua leg- giadra figura dal portamento ari- stocratico, ed i suoi modi cosi affabili ed accaparranti, onde si era creata come un'aureola di vivissime simpatie.

Giovinetta, fu educata nell'Isti- tuto delle figlie dei militari, ed il ricordo di quei giorni sereni le fece scrivere più tardi quel pn-ezioso libriccino che sono « Le JMemorie di Collegio » (2), nel quale trabocca

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tutta la sua anima d'ingenua e schietta osserva- trice, per cui ne nacquero pagine oltreniodo commoventi ed originali.

Ma il suo capolavoro è e re- sterà sempre l'aureo libro « Le Buone Usanze », il vero galateo moderno per eccellenza; e niun lettore certo, a leggerlo, cosi ben redatto e nitidamente distribuito nella materia, potrà immaginare quale somma di ricerche sia esso costato all'egregia Autrice.

Dopo questa vittoria si direbbe che Mantea non abbia più cercato novelli trionfi, e più non voglia cercarne ; però noi la conosciamo troppo bene, e pensiamo che forse nel suo silenzio ostinato mediti qualche nuova opera singolare che noi le auguriamo fortunata come il fortunatissimo galateo moderno « Le buone usanze ».

.♦»>

Le Buone Usanze.

Questo celebre galateo moderno di Mantea è oramai diventato il bro indispensabile di ogni persona civile ed educata, di ogni famiglia, e si può ben dire di tutta la società elegante italiana. Però, per un

caso qualunque, taluno potrebbe fin qui av(.'r_ ignorato l'esistenza di questo aureo libro giunto ora felicemente alla 4^ edizione, XXX" migliaio : d'altra parte poi, anche a chi già lo conosce, tornerà utile sapere che questa 4''' edizione, oltre delle nuove aggiunte e correzioni, fu arricchita del « Galateo del Marinaio » e di quello del- l' « Autemobilista », onde oramai le nostre « Bl'ONE Usanze » si possono proclamare il ga- lateo più perfetto e più moderno che fin 'ora sia stato pubblicato.

Esso è tutto quanto si può immaginare di ac- curato, di scrupoloso e di gentile in materia di garbate consuetudini e di perfetta educazione ; è un consigliere efficace onde chiunque, appar- tenente a qualsiasi ceto o classe di persone, troverà in esso una guida sicura in tutti i casi anche nuo- vissimi che la moda e la civiltà progredita hanno creato nella buona società. Le signore specialmente troveranno in « Buone Usanze » un vero tesoro, poiché si tratta d'una completa enciclopedia di cognizioni che abitualmente ben pochi posseg- gono. •

Possiamo dire che ce n'è per tutti ; fanciulla, sposa, madre, vedova, istitutrice, impiegata, zi- tella ; bambino, fanciullo, giovanotto, marito, sposo, vedovo, fidanzato, militare, sacerdote, ciclista, marinaio, automobilista; potremmo fare un'affrettata nomenclatura di tutte le materie di cui si tratta nell'aureo libro, ma amiamo meglio avvertire le nostre gentili (lettrici ed i lettori che

la iio.stra Casa, a semplice richiesta, spedisce a chiunque ed in qualsiasi paese un grazioso opuscolino spiegativó intitolato « Le Bl'o.n'e Usanze, ».

Avremmo anche potuto, come si usa, riportar numerosissimi giudizii della stampa italiana, tutti favorevolissimi e senza restrizioni laudativi in onore della solerte Autrice Maxtea; ma in ve- rità le lodi sono tante che non avremmo saputo dove principiare dove finire.

Cosi, dopo tutto, non abbiamo bisogno di rac- comandar troppo un libro che si raccomanda da sé; finiamo solo dicendo che l'edizione, riuscita elegantissima, nitida, accurata, costa soltanto lire 2,00 (aggiungere cent. 20 ger l'invio franco di porto) e qu'ella legata in piena tela a bordo do- rato, lire 3 (indicatissima pA regali).

Oltre alle Buone Usanze abbiamo anche, di Mantea, l'utilissimo libriccino

Consigli pratici alle persone ili servizio.

*Si raccomanda specialmente alle signore che, squisitamente educate, lamentano, nelle loro per- sone di servizio,, modi poco urbani od incapacità ' relativa nel disbrigo dei lavori domestici.

È' un manuale-galateo curioso, praticissimo; ricco di consigli, divertente; un grazioso regalo da farsi, con molta utilità, alle persone di ser- vizio.

L'elegante libriccino costa soltanto una lira.

(ti M 'Le Buone Usanze ». Il più ricco, il più ricercato, il più completo galateo moderno. Ha superato il XXX'5 migliaio. Un volarne in i60 oblungo elegante, di pag. 270, con indice anali-

tico per facilitale qualunque ricerca: costa lire 2.( speciale riccamente rilegata (per regali) lire 3,00. « Memorie di coUegio » una lira.

XXXII.

PADRE ILARIO RINIERI.

Il Padre Ilario Rinieri, sagacissimo raccoglitore ed illustratore di documenti storici, è nato in Aleria di Corsica, dalla famiglia nobile fiorentina dei Rinieri, di cui un qualche ramo emigrò in quell'isola verso gli ultimi anni del secolo deci- mottavo. All'età di diciasette anni entrò nella Compagnia di Gesù, dove rifece gli studi classici, ed attese a quelli delle scienze, in Francia ed in Ispagna. Poscia fu occupato nell'insegnamento, e da maestro di ginnasio, e poi di liceo e quindi di teologia, percorse ad una ad una tutte le scuole dalla prima ginnasiale all'ultima della scienza teologica.

Nell'anno 1S97 fu destinato a scrittore della « Civiltà Cattolica », periodico che si pubblica a Roma; ed in questo il nostro illustre Autore tiene alta la bandiera della sua fede e della scienza.

Le sue opere, accuratissime, scritte con molta arte ed originalità, sono oramai note all'intiera Europa letteraria. Troppo lungo sarebbe ripor- tarne qui l'intiero elenco, onde ci limitiamo a quelle di più alto valore, e fra queste in prima linea a quel vero monumento alla memoria di Silvio Pellico che è l'interessantissima opera « Della vita e delle opere di Silvio Pellico » ij).^ '

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Con questi tre nuovi volumi storici è esaurito tutto il corredo di notizie che ancora si poteva desiderare sulla vita, sulle opere, sulle vicende private e politiche del grande Silvio Pellico. Nel primo volume, ric- chissimo di docu- menti pellichiani, son completate le notizie dell'infanzia del Pellico, giovi- nezza, primo fervore del suo dolce inge- gno di letterato, di poeta e di dramma- turgo. '

Nel secondo volu- me sono illuminati i punti più oscuri e riportati aneddoti nuovi illustranti l'o- dissea tragica e do- lorosa del suo ar- resto, le sue infinite sofferenze a Milano, a Venezia, allo .Spielberg, e gli ul- timi anni di sua vita a Torino, nell' inti- mità di Casa Barolo.

Nel terzo volume, 'che fu atteso con tant'ansia dal pub- blico, è pubblicato quanto ancora rima- neva d'inedito del Pellico: Ricordanze, cantica. Quattro tra- gedie inedite : Lao- ^ damia, Adella, Boezio e Turno. Cinque lavori che sono cinque gioielli. Dopo questf tre volumi sul Pellico, ecco comparire un'altr'opera documen- taria di altissimo valore: «I Costituti del Conte Gonfalonieri ed il Principe di Carignano » (2).

Dei settantanove Costituti del Confalonieri , nei

quali per quasi due anni il celebre patrizio mi- lanese combattè coi giudici austriaci il più tre- mendo duello giudiziario di cui si abbia memoria nei fasti dei processi di Stato, se quei Costituti disgraziatamente sono quasi tutti per- duti; una tale per- dita accfesce natu- ralmente il valore di quei pochissimi che si poterono ri- trovare; e siccome l'argomento di que- sti concerne le re- lazioni del capo dei Federali lombardi con il Principe di ." Carignano, il valore di essi si fa più grande # ancora, e C -^ storicamente altissi- ' mo, perchè illumina di luce vivissima le cose e le persone che si agitarono intorno al Confalonieri svol- gendo ampiamente l'argomento delle sètte straniere, mas- simaniemente quella del Tugendbund, in (juanto si collega- rono con «juelle che iniziarono il Risor- gimento Italiano; argomento questo, si può dire, del tutto nuovo in Italia. Cosi ben possiamo considerare questo nuovo volume come il quarto dell* stessa opera intorno al Pellico (ne sono evidentissimi i legami di questa con quello); nuova opera di sommo inte- resse che, come appendice chiude e corona no- bilmente la intiera opera del padre Ilario Rinieri.

(i) Ilario Rinieri. « Della vita e delle opere di Silvio Pel- lico >»• (Da lettere e documenti inediti). Ire Tolumi in ottavo ^ande, di circa 400 pagine ciascuno, con ritratti e autografi, lire cinque ogni volume. L'opera completa lire dodici.

(2) Ilario Rinieri « I Costituti del Conte Confalonieri ed il Vincipe di Carignano ». Un volume in S^ grande pag. 160,

XXXIII.

FRANCESCO STURA.

Il dott. cav. Francesco Stura, egregio pubbli- cista di scienza in tutta l'estensione del termine, è medico condotto a Castello d'Annone, amato ed ascoltato si può dire da tutta una popolazione.

Cominciò a dar buona prova del suo talento di scrittore di scienza popolare, e di medico volgarizzatore, in brevi e suc- cosi articoli nella Gazzetta del Popolo della Domenica, con- tinuando in seguito con studii più serii in molti giornali ed in riviste di medicina, am- pliando sempre più la fama che ora gli si 'concede tutta senza esitazione.

Oltre a parecchi opuscoli e libriccini, scrisse un volume « Miserie nostre » e poi il celebre « Medico Moderno nelle Famiglie » (i), che fu veramente il libro nuovo, ori- ginale, di cui era sentitissimo il bisogno, e che lo fece ad un tratto celebre.

In fatti, un libro di medi- cina popolare cosi denso, così completo, cosi sincerò ed in- sieme tanto facile ad essere inteso, non era mai uscito.

Era la vera guida della salute che ad un tratto si svelava; ed il pubblico tosto dimostrò la sua viva approvazione esaurendo in pochi giorni la prima edizione.

Affermato così il successo di questo libro, l'Autore pensò ad un'opera audace, e non meno utile; e scrisse « Le Miserie di Venere » (2). 11 titolo dice tutto. Il libro, vera battaglia contro le immoralità di Venere Afrodite, destò le ire ed . i rabbuffi delle menti piccine e dei tartufi di me- stiere e di convinzione ; ma fu lodatissimo da ogni ceto di persone oneste e di buon cuore ed amanti davvero della sana morale che non vuol conoscer veli per conoscere i mali ed evitarli.

Naturalmente anche « Le Miserie di Venere » ebbero lietissimo esito, e riaffermarono la fama del bravo dottore cav. Francesco Stura.

^^/

Ora egli, nella tranquillità della sua Castello d'Annone sta meditando nuovi lavori; ai quali auguriamo di cuore, fin d'ora, la fortuna toccata ai due suoi ultimi libri.

Il Medico Moderno

nelle Famiglie.

È un libro oramai popola- rissimo, che fu giustamente qualificato un vero tesoro in casa. In pochi mesi fu esau- rita la prima edizione di cin- quemila esemplari, ed 0x2. le edizioni si susseguono senza interruzione. Questo gran suc- cesso è dovuto al fatto che non fu mai pubblicato, in Italia, un libro di medicina popolare cosi completo e mo- derno, così istruttivo e diver- tente insieme, ed al prezzo addirittura stupefacentemente mite, data la sua mole di 400, pagine, di una lira! 11,20 franco di porto nel Regno). Nel « IMedico moderno nelle Famiglie » tutte le malattie sono studiate e descritte con invidiabile chiarezza, e di ognuna son rilevati i sintomi, analizzato il corso e proposta la cura più efficace da seguirsi; il tutto esposto confortne le più moderne teori^ medico-scientifiche, cosi che a ciascun lettore parrà di avere il medico in casa, a propria disposizione, pronto ad essere interrogato e pronto sempre a rispondere esaH-« rientemente a qualsiasi domanda intoiino a qua- lunque malattia^

Autore dell'opera, come più sopra è detto nella biografia, è il doti. Francesco Stura, oramai notissimo collaboratore di principali riviste e giornali; ed il suo libro come scrisse un illustre critico non è soltanto ben fatto, utile e dilette- vole, ma è anche sopratutto ed innegabilmente una buona azione. Dello stesso Autore è pure il libro i per gli adulti'

Le Miserie di Venere.

Quest'opera è tutta una rivelazione. Ma chi im- maginasse il libro un'arida dissertazione medica si ingannerebbe a partito, perchè noi crediamo vera- mente che mai opera del genere fu scritta in forma più popolare e curiosissima di fatti, d'esempi, e di nuovi ed incredibili documenti umani.

Come potremmo noi parlarne, scriverne ? Il

tema è' troppo scabroso Stralciamo invece

quanto segue dalla prefazione del bravo Autore:

...... Purtroppo, è giuocoforza ammetterlo,

l'universale convenzionalismo in materia di mo- rale nasconde, ma non corregge, la generale de- pravazione, e la civiltà, questa grande fabbrica- trice d'orpello, di apparenze e di transazioni di coscienze, non fa altro che tenere il sacco, rico- prendo d'una più fitta vernice il numero infinito di sepolcri imbiancati insozzanti la terra.

« Aggiungasi ancora, per colmo di sventura, che il lezzo nauseabondo, che esala dal putridume di tanta gente corrotta, non trova negli articoli del codice il più valido e potente antisettico delle alcove.

« Così stando le cose, e dal momento che noi non possiamo e non dobbiamo isolarci, come altrettanti fachiri, ma in questa civiltà, comunque essa sia, dobbiamo lottare ed evolvere le nostre energie, sarà sempre miglior partito assuefarci le nari alle esalazioni mefitiche della corruzione dilagante ed apprendere, conoscendo i mali, l'arte saggia e provvida degli energici rimedi. Non si farà così da noi opera puerile di bimbo, che chiude gli occhi per non veder l'orco, ma azione virile di uomo forte, il quale rifugge con orrore dalla taccia d'infingardo tartufo.

« Ecco perchè io ho voluto, o lettore, in questo volume che ti presento, parlare liberamente e

senza reticenze delle innumeri degenerazioni ses- suali che deturpano il mondo cosi detto civile. Scoprendo e mettendo a nudo certe piaghe io ho fede vivissima di compiere una buona azione; e se dalla vista e dal fetore di queste piaghe un solo vizioso pigliasse coraggio e lena a viver savio ed umano, io null'altro chiederei, pago del- l'umile — e pur grande vittoria ottenuta ».

E noi non potremo aggiungere nulla di meglio se non che il libro, naturalmente, si legge tutto d'un fiato, e lo si rilegge senza stanchezza e senza noia.

Chi , poi, voglia maggiori spiegazioni , può scrivere direttamente alla nostra Casa, e riceverà gratis un curioso opuscolo analitico spiegativo.

Ricordiamo che il libro « Le Miserie di Venere », di pagine 250, formato in 16°, costa lire DUE (Lire 2,20 franco di porto).

Oltre ai due suaccennati libri, dello Stura ab- biamo anche

Pregiudizi ed errori nella tradizione popolare.

É un libro così sano, cosi bello e altamente morale, che vorremmo vedere in. tutte indistin- tamente le famiglie italiane. (Così scriveva un critico insigne). Perchè è un libro che con rara semplicità sfata tutti i vecchi pregiudizii ed errori, nel campo della medicina popolare e dell'empi- rismo; Jjregjudizii perniciosi che durarono pur troppo molto tempo, e che in molti luoghi e presso molte persone durano tutt'ora.

Il libro è inoltre curiosissimo e divertente, perchè riesce come una raccolta dal vero di un numero infinito di sciocchezze consacrate dalla cieca tradizione dei popoli.'.

Il volume, di circa 200 pag., costa UNA lira.

(i) « Il Medico Moderilo nelle Famiglie ». Volume in 16O di oltre 400 pagine, una lira (1.20 franco di porto). Non una sola famiglia dovrebbe essere priva di questo libro che è un vero tesoro in casa 1

(2) « Le Miserie di Venere » (libr lume in 16O di pagine 250, lire 2,00

per gli adulti),

^^^•►4^r

NB. I ritratti di FRANCESCO PASTONCHI e di GIOVANNI CENA sono dello Studio Artistico di Platinotipia del cav. Oreste BERTIERI, via Po, 21 TORINO.

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Le celebri opere del poliglotta Prof. A. de R. LYSLE

Un tesoro per tutti Le praticissime Guide dialogate di conversazione Il Segretaria internazionale.

Indistintamente a tutti, professionisti, viaggia- tori, commercianti, touristes, letterati, artisti, operai, insegnanti, a tutti indistintamente noi diamo un consiglio pratico, facile a seguirsi, e che vai tant'oro per far fortuna: studiate te lingue !

Non crediate che sia difficile, che ci voglia una speciale intelligenza, che sia assolutamente indispensabile un buon maestro e molte lezioni ; basta invece un poco di buon volere, e di appli- cazione perchè ognuno, senza professore, senza speciali lezioni, ma soltanto guidato da un me- todo sicuro e veramente razionale possa impa- rare, in soli tre mesi, una lingua: l'inglese o il tedesco, il francese o lo spagnuolo.

Imparare unalingua, o, meglio, due o tre lingue, vuol dire crearsi, con tutta certezza, una posi- zione, una fonte di sicuro guadagno.

A noi, italiani, sarebbe possibile, in nn pros- simo avvenire, esser più fortunati ancora che non siamo adesso. L'innata nostra intelligenza ci sospinge a sempre nuove industrie, a sèmpre nuovi commerci, ed è innegabile che la nostra ricchezza produttrice cresce ogni giorno. Eppure tante volte ci siamo domandati: perchè mai qui, in Italia, alla direzione di gran parte delle nostre industrie vi son tanti stranieri? E mai ci siamo sinceramente risposto: « perchè questi stranieri sono assai colti, e non v'è nessuno di essi che' non sappia leggere, parlare e scrivere almeno tre lingue ».

Ecco il segreto !

Invece noi, che pur diamo in tutti i paesi il più forte contingente all'emigrazione, che ab- biamo sviluppntissime reti commerciali in tutto il mondo, clie continuamente ricoviamo in casa nostra gran numero di forestitri. noi ci curiamo ben poco d'imparare le principali lingue viventi.

Perchè?

Si dice: è tanto difficile e costoso! Ci vuol tempo, buoni professori, denaro, e poi, alle volte, s'impara poco o niente. E cosi si emigra o si viaggia nelle Americhe, nel Transvaal, in Au- stralia od in Inghilterra senza capire una sola parola d'inglese o di spagnuolo; si va in Francia od in Germania senza conoscere una parola di francese o di tedesco, impossibilitati cosi a far fortuna; impossibilitati egualmente nella ricerca d'un impiego: e, se siamo commercianti, impos- sibilitati a trattar con le Case estere. .Mentre, come dicem»no, è tanto facile imparare il fran- cese, l'inglese, il tedesco o Io spagnuolo senza maestro ed in soli tre mesi col celebre Metodo Razionate Americano del poliglotta prof. Lvsle, l'unico veramente perfetto, razionale, affatto nuovo, che lascia le noiose regole grammaticali alla fine, soltanto come complemento.

Questo celebre Metodo è basato sul principio che, come in natura, con estrema facilità un bambino impara a parlare senza maestri e senza regole speciali di grammatica, cosi un adulto, se guidato razionalmente e praticamente: come praticamente e razionalmente insegna il metodo Lysie, può, da sé, in pochissimo tempo, impa- rare a leggere, scrivere ed a parlare l'inglese, il francese, il tedesco e lo spagnuolo.

L'Autore di questo Metodo, il celebre poli- glotta prof. A. de R. Lvslk. che ha dato lezioni di lingue nelle principali Capitali d'Europa e di America, ha creato un'opera veramente nuova, e che si può dir geniale, perchè ha aperto nuovi orizzonti e nuovi campi attività nell'insegna- mento moderno delle lingue.

Centinaia e centinaia di attestati, giunti al- l'Autore da ogni parte del mondo, provano in- contrastatamente la superiorit;\ assoluta del ce- lebre Metodo americano Lysle su tutti quanti finora videro la luce, i quali, o son vecchi,

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inutili trattati, o sono vane e ancor più inutili imitazioni.

Abbiamo detto la semplice verità, non esage- rando in nulla; e aggiungiamo ancora che i metodi Lysle sono stampati con somma cura e precisione, e che i volumi sono legati elegante- mente in tela, alla bodoniana. Ecco i prezzi : L'inglese pagg. 400 costa lire 5,

Il francese » 350 » » 4,50

Il tedesco » 386 » » 5,

Lo spagnuolo » 396 » » 5,-

Dello stesso Autore abbiamo anche le Praticissime «GUIDE DIALOGATE di CONVERSAZIONE»

Queste Guide, come già avviene pel Metodo Razionale Americano dello stesso Autore, sono una vera geniale creazione, per cui non hanno niente a che fare con le consuete Guide che ser- vono a poco o nulla, insegnando esse una lingua da letterali, e quindi affatto arbitraria, che cioè non è quella parlata, quella di cui veramente si ha bisogno di conoscere per conversare con gli stranieri e per farsi prontamente capire ; mentre le guide dialogate di conversazione Lysle inse- gnano con la massima facilità la vera lingua parlala; cosi che al bisogno si troverà sempre in esse la frase fatta e pronunziata, scritta, cioè, come la si pronunzia ; e di frasi e di domande e risposte ptr tutti i casi, sono veramente ricche queste inimitabili Guide dialogate di conversa- zione Lysle.

Indispensabili ai viaggiatori, ai turisti, ed agli emigranti, godono oramai un'invidiabile fama, e si meritarono le lodi ed il plauso d'insigni filoioghi e letterati.

Sono, diremmo, quasi l'indispensabile com- plemento al celebre Metodo Razionale Lysle.

Le Guide dialogate di conversazione sono tre:

Tedesca-Italiana - Mw volume in-i6 piccolo, tascabile, elegante, legato in tela. Lire 4,

Francese-Italiana - Un volume in-i6 piccolo, tascabile, elegante, legato in tela. Lire 3,

Inglese-Italiana - Un volume in-i6 piccolo, tascabile, elegantemente legato in tela. Lire 5,

La nuova Corrispondenza commerciale e famigliare Francese-Italiana, Tedesca-Italiana e Inglese-Italiana.

È un vero aiuto a tutti, professionisti, viag- giatori, commercianti, letterati, artisti, insegnanti, operai, quello che porge la nuova opera vera- mente geniale del poliglotta prof. A. de R. Lysle, « La nuova Corrispondenza commerciale e fami- gliare francese - italiana, tedesca - italiana, ed

inglese-italiana », che si potrebbe anche intito- lare « Il Segretario internazionale ». ' Quest'opera, dal chiaro Autore creata con saga- cissima coscienza d'osservatore e di scienziato, è una completa Guida pratica per chi voglia scrivere lettere in francese, od in inglese, od in tedesco, di qualunque genere esse siano, non soltanto senza sbagliare, ma con eleganza di stile e di lingua, e con assoluta proprietà.

Capita ogni giorno, anche a chi conosce abba- stanza bene il francese, o il tedesco, o l'inglese, di non saper scrivere degnamente una lettera in queste lingue, così che chi sa a quanti sarà capitato di esclamare:

Ah ! se avessi a mia disposizione un buon libro completo, pieno di lettere francesi-italiane, o te- desche-italiane, o inglesi-italiane d'ogni genere e per tutti i casi, onde più non mi rimanesse che da copiare, quanto sarei felice!

Ebbene, questo libro d'oro, che finora non esisteva, è stato creato; opera geniale, ricchis- sima, che sarà benedetta da tutti quanti deside- rano sbrigar presto, e purè con somma cura, alla propria corrispondenza francese, o inglese, o tedesca.

L'n amico, una casa commerciale, un'azienda industriale vi ha scritto una tal lettera in francese, od in inglese, od in tedesco alla quale vi è noia rispondere pel dover redigere in queste lingue una buoiia lettera?

Voi ricorrete all'indice dell'aureo libro, trovate il caso appropriato alla lettera ricevuta, cercate nella tal pagina, ed eccovi la lettera pronta, come voi la desiderate, e precisissima, onde non vi resta più altro che da copiarla.

Quanto tempo guadagnato!

E qual sicurezza di aver scritto veramente una buona lettera che vi farà onore!

L'na tale opera è costata un difficilissimo lavoro di scelta e di selezione, e l'Autore vi ha lavorato intorno per anni ed anni.

Ora noi la presentiamo finalmente al pubblico, in veste elegante, nitidamente stampata, rilegata in tela alla bodoniana, in circa trecento pagine ciascun volume formato in ottavo piccolo, con ampia appendice di frasi fatte di risposta e do- manda.

Per che ognuno poi possa farsi un'idea esatta della indiscutibile bontà dell'opera, diatno qui per disteso l'indice di un volume, di quello fran- cese, il quale può dare una giusta idea anche di quelli tedesco ed inglese.

Prefazione - Como incominciano e finisoouo Ir lettore Iraucesi - Circolari - Oli'crto «li servizi e risposte - Inizio di relazioni - Domande d'infor- mazioni o risposte - Commissioni di merci e lettere di risposta ad ordinazioni - Avvisi di spedizioni

merci e avvisi di ricevuta merce - 'trasporti marit- timi - Contrordini di conunissioni date - Reclami - Lagnanze - Avviso di avarie subite dalla merce e risposta - Consegna di merci a spedizionieri e a\TÌsi ai destinatari. Ordini a eseguirsi da spedi- zionieri - Sollecitazioni di pagamenti a commer- cianti ed a privati - Eimesse di fondi « Avvisi di disposizione - Avvisi di tratte spiccate - Rimessa di tratte e regolamenti - Eice^^lte di effetti a saldo di conti j Preghiera di presentare una tratta al- l'accettazione. Ritorno di tratta accettata. Conferma d'una accettazione. Tratte accettate - Spedizione di alcune « prime lettere di cambio » agli accet- tanti - Domande di prolungamento di tratte e ri- spost» - Ritorno di tratta per mancanza di girata e risposta - Ritorno di tratte non pagate con o senza spese - Ordine di trarre una cambiale - Av- viso d'una Banca ad un accettante - Ordini alle Banche e risposte delle medesime - Modulo di as- segno bancario. In^no di assegno - Invio di conto- corrente - V^endita sulla piazza, fattura. A\'viso di tratta e risposta - liomanda di dilazione per l'esecuzione di una commissione - Risposta di un

13?

fabbricante ad un'ordinazione. Impossibilità di eseguire la commissione - Accusa di ricevuta d'una lettera di cambio da portare a credito d'un terzo. Ordine di pagamento al cambio in debito - Domande di credito. Risposte favorevoli e sfavorevoli - Xota di credito - Ordini di borsa. Compera e vendita di titoli a data fissa e senza indicazione di termine - Domande d'impiego e risposte - Lettere di racco- mandazione-Fatture - Ricevute di denaro - Cambiali

- Lettere e docujuenti diversi - Corrispondenza varia

- Corrispondenza famigliare.

E certo che da questo indice, più che dalle nostre parole, ogni persona colta si sarà fatto una chiara idea dell'indiscutibile valore della vera Corrispondenza commerciale e famigliare francese- italiana, tedesca-italiana, e inglese-italiana, e a noi non resta altro che ripetere che i volumi, elegantissimi, formato in ottavo piccolo, legato alla bodoniana, di 300 pagine circa, costano soltanto quattro lire ciascuno, franco di porto nel Regno.

TEODORO GATTI

SALUTE E BELLEZZA.

Non "v'ha chi non sappia quanto sia veramente proficua e salutare la nuova nuova per modo di dire forma di ginnastica armonica senza, stru- menti ora così in auge, e con ragione, fra le miss e gli sportmans inglesi ed americani, cosi che si di- ' rebbe essere, il nuovo metodo, di importazioìie straniera, mentre, come accade dell'esotico /oo/- éa//, che è l'antico nostro giuoco del calcio, così pure succede della ginnastica armonica senza strumenti che ha origine prettamente italiana.'

Ed appunto sotto questo titolo di ginnastica armonica, preceduto da quello sintetico di « Sa- lute e bellezza » (n,' il dottore Teodoro Gatti della R. Marina italiana pubblica un elegante volumetto clie vivamente raccomandiamo a tutti i cultori dell'educazione fisica e ad ognuno che nell' intimità della sua casa e della sua famiglia voglia applicare questo sovrano mezzo igienico e terapeutico che è l'esercizio metodico.

La prima parte del libro è costituita dalla de- scrizione delle esercitazioni, illustrata da 44 fi- gure di gran precisione e bellezza, e da una ta- vola murale.

La seconda parte, di indole elevata, svolge brevemente e con molta chiarezza ed efficacia il concetto di educazione fisica che è fondamento al libro stesso, ed una teoria estetica della salute e della malattia.

L'Autoi'e, che fin dalla prima sua giovinezza si è dedicato con passione agli esercizii fisici che descrive, può dire, in certo modo, di aver vissuto coi muscoli il suo libro, prima ancora di averlo pensato e scritto. È questa una buona garanzia di sincerità e di utilità pratica, onde noi raccomandiamo volentieri ai nostri lettori la bella operetta « Salute e bellezza » che costa soltanto due lire.

(il Salale e belhz^fl tavola murale, L. 2,

del dottor Teodoro Gatti della R. Marina. Un volume di pagg, 200 con 44 lltustr.lzioni ed una

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ANGELO BROFFERIO

I MIEI TEMPI.

Rileggendo ora questa sempre giovane e fre- schissima cronistoria del grande Angelo BrofFerio, « I Miei Tempi » dopo tanti anni che la si aveva, se non dimenticata, almeno negletta, poiché era impossibile trovarne una copia, si prova una commozione cosi profonda ed un piacere tanto vivo come si fosse stati sorpresi da una vera rive- lazione.

Angelo Brofferio ! Oh come questo bel nome di cavaliere della libertà, senza macchia e senza paura, suona ancora adesso come fanfara belli- cosa, ispiratore di alte virtù civili, così ai vecchi che ricordano, come ai giovani che dai padri impararono a venerare il nome del Grande Ita- liano!

Tempi felici, quelli, di epiche lotte per la patria e per la libertà ! E Angelo Brofterio, poeta, let- terato, commediografo, giornalista, storico, av- vocato, politico, ma, sopratutto, patriota fervente, fu astro glorioso di quei tempi, luce ai giovani, sprone ai paurosi, sferza ai vili. Poeta, per il popolo che lo capiva e idolatrava, scrisse can- zoni così vive e schiette e belle in sé, che vie- tate o mutilate dalla polizia diventavano bellis- sime, e ricercatissime dal popolo che se ne faceva editore stampandosele nella memoria e cantan- dole musicate originalmente dallo stesso Autore.

Commediografo, scrisse un' infinità di com- medie e tragedie ; giornalista combatté strenua- mente per la libertà e per il progresso, contro ogni sorta di soprusi ; avvocato librò la sua af- fascinante eloquenza non inchinandosi alle opi- nioni dei partiti, ma alla santità della giustizia, e fu sublime in molte arringhe, delle quali corse fama da un capo Gl'altro d'Italia. Politico, a lui bastava modestamente essere considerato sen-

tinella avanzata della libertà contro i reazio- narii del tempo, amato dai liberali, adorato dal popolo.

Ma il grande ingegno del Brofterio rifulse sin- golarmente nel suo capolavoro « I Miei Tempi », autobiografia brillante ed umoristica, in cui v'ha pagine cosi splendide ed affascinanti che sol- tanto possono avere riscontro in altre di un altro capolavoro : David Copperfield dell' immortale Carlo Dickens. E questo classico capolavoro, cosi fresco, vivo e leggiadro come fosse stato scritto ieri ; questa cronistoria interessantissima, friz- zante di umor gaio, di satire, aneddoti e di osservazioni profonde; che ancora adesso è ri- cercatissimo, ma non più trovato, perchè l'unica edizione fattane andò completamente esaurita, quest'opera geniale è uscita or ora in veste ele- gantissima, come una risurrezione che riempie di maraviglia i giovani, che nel fervore della vita odierna, non seppero dell'opera insigne, e fa fre- mere di commozione i vecchi che, ringiovaniti, rivivono quei tempi...

Pochi, crediamo, vorranno privarsi del godi- mento spirituale di leggere per la prima volta o rileggere il capolavoro brofferiano ; e non vi sarà certo Biblioteca pubblica o privata che voglia star priva del classico lavoro, così alto di ideali e di ammaestramenti, e così fedelmente storico.

L'opera consta di dieci volumi di 500 pagine ciascuno, a tre lire ogni volume. Chi acquista l'opera intiefa lire 30, franco riceverà gratis il ricco volume delle Canzoni Biofferiane, per la prima volta pubblicate con la musica dell'Autore, finora rimasta inedita.

Riepilogando: questa ristampa é certo il più bel ricordo del Centenario di Angelo Brofiferio.

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'T^^^mt^^.m^:^,^rr-^m',jinrrjgìr--iirtrjttr^^^

ALTRE OPERE SCELTE

LA TRIENNALE. Rivista-ricordo illustralo dell' Esposizione Triennale di Belle Arti in To- rino > Maggio-Setteìiìbre i8g6). Gran volume in-folio, di pagg. 115 a due colonne, con 60 incisioni in fotozincotipia nel testo e iS tavole ^\' acquaforte fuori testo f ultime copie) L. 5.

DOMINGO MOBAC. Genio, Scienza ed Arte, ed il positivismo di Max Nordau Un voi. in-8» grande L. 2

TESTA prof. ALFREDO. Nuova Antologia

ad uso dei Ginnasi inferiori e delle Scuole Tec- niche. — Fremitila con medaglia all' Esposiziofìe Nazionale di Torino iSgS. Un voi. in-8° di pagg. XIII-43S L. 3-

GIUSEPPE GAVUZZI. - Vocabolario pie- montese-italiano, ed italiano-piemontese. Due voi. di circa 700 pag. ciasc. Ogni voi. L. 4 Opera completa 1-. 7

E. GIUSIANA. La Tintura del Cotone. (Analisi chimica delle materie prime i. Vc^. in-S° di 325 pagg., con numerose illustr. L. 5

K il titolo di un libro compilato dal sig. Et- tore Giusiana, direttore d'industria, perito nelle industrie chimiche, meccaniche e tessili. Passati in rassegna i caratteri fisici e cliimici dell'acqua, i processi di verifica e di correzione in rapporto cogli impieghi industriali, i depuratori più in uso ; fatto uno studio accurato dei caratteri della cellulosa vegetale (cotone), dei metodi di analisi chimica e microscopica, del modo con cui si comporta all'azione dei reagenti chimici, l'A. espone la teoria della Mordenzatura con partico- lari considerazioni sull'applicazione dei mordenti minerali ed organici di più comune impiego.

La teoria della tintura è ampiamente svilup- pata in altra parte del libro, con riguardo alle materie coloranti di maggiore importanza sia naturali che artificiali.

I procedimenti di tintura sono pure descritti con illustrazioni sui meccanismi ed apparecchi inerenti ai varii processi ; seguono opportuni cenni sulla Stampa dei filati e sulla Mercerizza- zione del cotone.

I coloranti artificiali vi hanno ampia trattazione in apposito capitolo, nel quale trovansi distinti in dodici speciali gruppi. Chiudono l'opera al- cuni cenni smW analisi dei tessuti misti.

II libro è così compilato da riuscire di giova- mento a coloro che attendono giornalmente a quell'importante ramo dell'industria tessile che è la tintura del cotone e viene ad accrescere la troppo scarsa letteratura industriale italiana.

SCHILLER E^ La Divina Commedia.

Trascritto micro-calligrafico Un foglio proto- collo (riproduzione litografica) . . . L. i

Una curiosa produzione 'dantesca è questa pubblicata dal signor Schiller : si tratta d'un foglio protocollo, nel quale, riprodotta in foto- zincotipia addirittura irriducibile per piccolezza di lettere, è contenuta nientementp che tutta la Divina Commedia di Dante Alighieri, vale a dire 14,233 versi, 96,000 parole, 400,000 lettere !

È un vero tour de force, dal quale appare la paziente e mirabile abilità dello scrivente, il quale, vittima del proprio lavoro, ha perso com- ' pletamente la vista nella compilazione dell'ori- ginale ; ma quel che più monta è il fatto che taluni, dotati certo di vista perfetta, riescono a leggere questi versi: i quali hanno tutto l'aspetto di atomi allineati, tanta pure è la limpidezza, della grafia.

11 curioso trascritto micro-calligrafo, fatto a mano libera, senza uso di lente, forma la mera- viglia non solo del pubblico, ma di tutti i calligrafi, onde il successo è stato veramente straordinario.

A. JOURDAN. A Parigi in bicicletta. Un elegante volumetto L. i

Il Console del T. C. C. I. sig. A. Jourdan ha compilato, e la nostra Casa ha pubblicato, un'ot- tima Guida Ciclistica da Torino a Parigi. L'elegante volumetto contiene delle norme uti- lissime pel viaggiatore concernenti l'igiene, la bicicletta, gli alberghi e le strade. Per ogni paese toccato dall'itinerario sia che questo lo fei percorra in 8, come in 12 giorni sono dAe le distanze parziali e pi;ogressive,* l'altimetria,. gli alberghi raccomandati e brevi cenni sulle cose più notevoli e degne di essere vedute, nonché i nomi dei delegati e dei meccanici.

La Guida è corredata anche di un'accuratis- sima Carta-profilo dell'itinerario.

Naturalmente serve anche benissimo per gli Automobilisti.

Raccornandiamo ai nostri lettori l'elegante vo- lumetto, degno di essere in tutte le biblioteche dei Ciclisti e degli Automobilisti.

FRANCESCHINA BARGJS- ROGGERO Sai uzzo Guida Storica Un elegante volu- metto in-i5o L. 0,50

Questo elegante volumetto è proprio una vera Guida Storica, succinta, non pedante, ma diver-* tente. La storia di Saluzzo, fin dai tempi più lontani, vi è narrata con vivacità, con finezza ; l'autrice non si smarrisce in ^jarticolari inutili, ma va diritta allo scopo e riesce ad interessare sommarnente ed a ftr amare la sua Saluzzo, che sa farci conoscere con tanta maestria. L'antica città piemontese non avrebbe potuta trovare, per un sunto fedéle della sua storia, una scrit- trice più pura e più elegante. Il libro è adorno di bellissime fotoincisioni che rappresentano i principali monumenti saluzzesi. Possiamo ancora aggiungere che il più gran merito di questa Guida è quello di interessare,' anche da lontano, tutti quanti non videro e noi) vedranno mai la .forte città piemontese.

* A CASELLINI, ROSETTANl e VENEZIA» tre martiri fermani decapitati per ire settarie dopo il 1848, è un fascicolo importantissimo. Con documenti, attestazioni, illustrazioni che lo adornano, il quale, oltre il valore della rivendi- cazione basata per documenti, ha anche un ca- rattere storico che al prezioso scritto sommo valore.

I raccoglitori di memorie patrie troveranno pagine di sommo interesse.

II numero unico in elegante edizione di 28 pagine non costa che L. 0,50

F. AUGUSTO DEBENEDETTI

(Rime). L^n voi. in-16". . .

Al Vento!

. L. 1

F. AUGUSTO DEBENEDETTI. Per la

via del Dolore. 'Sensazioni e Figure) L. 3

CIRO D'ARBIA Luce Nera {Romanzo) 2 voi. in-ió" L. 5

G. CHIGGIATO. La Dolce Stagione ( K<?;-ìj). Un voi. in-16'^ oblungo, elegantissimo L. 1,50

CIRO ALVI. ~ L'Invincibile Ideale [Il Culto ^ ■dell' Avvenire) Un voi. in-16" . . L. 2

LINA CASTINO. Sensualità maschile

(Romanzo). Un voi. in-ió» . . . L. 2

BARONE DI YORK, Montecarlo... oc- culto, Montecarlo... palese! Un volume in 16" L. 3

Non mai fu scritto un librg più. interessante, più curioso, e, sopratutto, più... rivelatore di questo, su la terribile bisca di Montecarlo. L'Autore, che per molte ragioni ha creduto bene di conservar l'incognito, ci presenta francamente e coraggiosamente il vero Montecarlo, la sfinge maledetta che dal suo paradiso' terrestre trae a ricchezze favolose accumulando rovine su ro- vine, sempre bella, giovine, fascinatrice e pos- sente. Per dare un'idea al lettore di che cosa sia fatto questo libro che ha in sé, diremmo quasi, il marchio del mistero, noi, semplicemente, riporteren)0 qui l'indice, la lettura del quale ci dispensa largamente da altre spiegazioni.

INDICE: , Per la buona intesa,

PARTE PRIMA.

// soggiorno alla Conca Azzurra.

I. L'arrivo.- Primi passi, giardini.

II. La Piazza del Casino - Impressioni e contrasti.

III. Montecarlo - Condamine - Monaco e viceversa.

IV. La Posto - Sale di lettura e di scrittura.

V. Santa Devota e la sua leggenda - 11 Ponte consolatore - Le Terme di Valentia.

VI. Cundamine - Stazione - Teatro - Mercato.

VII. Monaco nelLi sua storia - Principi e governo.

VIII. Monaco nei suoi monumenti.

1 PARTE SECONDA.

Le CercU des Élrangers.

I. Un'occhiata a ritroso.

IT. Entrando nella Casa da giuoco.

III. La gran sala dei Pas perdus - Pennellate.

IV. Entrando nelle sale da giuoco - Norme e precauzioni.

V. Le grandi tentatrici - Roulette - Trenta quaranta. ■**^ Sguardi retrospettivi - Consigli da amico.

11 viatico.

...Ultime piaghe - 11 silenzio e lo spionaggio. Aned. doti... in salsa piccante. Riepiloghiamo l

VII. VIII

141

.GIUSEPPE STICCA. Gli Alpini (ristampa dell'opera « Non si passa!) » Un voi. in-i6° illustrato.

Questo volume, che già ottenne insperata for- tuna, sotto il titolo popolare di « Non si passa! » e riscosse unanime lode per l'elevato scopo ed i nobili Sensi che l'informano, rivede oggi la luce sott'altro titolo che meglio ne determina il sog- getto e la comprensione: essendo esso, infatti, una propria compendiosa istoria degli Alpini.

E perchè possa andar. per le mani di tutti ^ e segnatamente dei graduati e soldati Alpini, ad accendervi l'emulazione e lo spirito di corpo, lo si riduce al prezzo minimo di UNA LIRA, pas- sandolo alla nostra Biblioteca Scelta.

LA QUADRIENNALE. È un'opera vera- mente splendida e riuscita l'intiera raccolta della " Quadriennale rivista in gran formato illustrante riccamente l'indimenticabile Esposi- zione Torinese di Belle Arti, del 1902.

Oltre al testo vario ed interessantissimo, do- vuto ai più noti scrittori italiani, trattante serie questioni d'arte o illustrante le singole opere di eminenti artisti, il prezioso volume contiene una serie di ben venti tavole fuori testo, che sono veri quadri degni di cornice, ed una infi- nità di fotoincisioni nel testo, illustranti le mi- gliori opere della Mostra, comprese le Esposi- zioni Collettive del Fontanesi, del Cavalieri, del Grosso, del Ricci, ecc. ; onde l'opera coscienziosa merita , davvero di esèere raccomandata viva- mente a tutti gli artisti e ad ogni persona colta; che ognuno dovrà essere lieto di ornare d'un simile tesoro d'arte il proprio studio o la propria biblioteca.

Noi siamo certi che ognuno apprezzerà le fa- tiche ed i sacrifizii che ci costò la compilazione e la stampa d'una tale opera d'arte, e vorrà ac- quistare una copia delle non molte che ci riman- gono, le quali, stante il relativamente mitissimo loro prezzo, saranno fra breve completamente esaurite.

La raccolta completa della !' Quadriennale ,, venti fascicoli in tutto, legata in rustico, lire otto franco nel Regno. Chi desidera una ricca ed ele- gante copertina in tela ed oro, appositamente lavorata, mandi lire 2,50 in più.

Vili CENTENARIO DELLA CONSOLATA.

È uscito, edito dalla nostra Casa Editrice, un elegante fascicolo NUipero ùplco, formato in-So grande, in onore ed in ricordo delle gran- diose Feste per l'Ottavo Centenario della Con- solata di Torino.' In esso, con numerosissime fotoincisioni tratte de fotografie istantanee, sono riprodotte vedute del Santuario e del quadro miracoloso; gruppi di pellegrini, illuminazione, processione, visite principesche, ritratti di Arci- vescovi e d'Eminentissimi Cardinali, ecc., ecc. Inoltre questo I^Urpet-o Ulrico è ricco di testo vario ed originale. Non crediamo di esagerare affermando che esso è il più bello ed elegante ricordo delle solenni feste che in occasione del- l'Ottavo Centenario della Consolata i Torinesi decretarono alla loro Madonna.

Il Numero unico, elegante fascicolo in ot- tano grande, con numerosissime illustrazioni, costa soltanto lire 0,50, ed è spedito franco di porto a chi ce ne invia l'importo, anche in fran- cobolli.

*mBm:im

142

CRMDE BIBLIOTECA ROMANTICI CIRCOLANTE

10,000 Yolatr)i italiai)i m fi^ai^cesi h ipotesi

Il sempre crescente successo, che è premio iperitato alla nostra Grande Biblioteca Circolante, oltre all'averci dato modo di accrescerla di molte nuove opero tutte di pi-ima scolta, portandola cosi alla veramente considerevole cifra di 10.000 volumi, ci permise pure di creare un nuovo tipo di abbonamento, con- venientissimo, sempre conservando ogni altra condizione indicata nel catalogo. Abbonamento anmfalo . . L. 22

Semestrale » 12

Trimosti-ale , » 7 '

Bimestrale ». 5

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I libri che compongono la nostra Gran Biblioteca Circolante sono romanzi, racconti, novelle, memorie, viaggi, libri di scienza, educativi, ecc., così italiani come stranieri, comprese tutte le novità che tosto vengono messe in circolazione non appena pubblicate.

Ogni abbonato ha diritto a sei volumi per volta, e può cambiarli a volontà, anche ogni due o tre giorni. Il catalogo generale di tutte lo opere costa L. 0,80, e lo si in dono a quanti prendono un abbonamento di almeno due mesi.

Per gli abbonati fuori Torino sono a loro carico le spese di andata e ritorno dei libri. Il solito deposito è di lire IO, che* verrà restituito al termine dell'abbonamento. Pagamento anticipato.

Per le borse modeste i libri costano troppo. Per molti lettori un libro letto diventa im oggetto inutile. Dar modo ad ognuno di leggere molto e con minima spesa è lo scopo della suddetta Grande Biblioteca Romantica Circolante.

INDICE

Francesco Pastonchi Sonetti

Il fiorire del pesco Pag- 5

Il giogo » 5

L'offerta » 5

X » 5

Intervento primaverile » 6

Gandolin

\j&. macchina per volare imonologol . » 6

Agenore smarrito » S

Luigi Pirandello

La berretta di Padova ..,....» io

Il ventaglino » 14

Giovanni Cena

La morta » 16

La chioccia >■ iS

Sansone » 18

L'edificio » 18

Carlo Dadone F. O. L. Fermo in posta Torino Novella comica » 19

I. M. Palmarini Non si può (Novelletta comical ...» 27 La stàtua di S. Sebastiano .... » 29

E.NRico Thovez

Ultimo grido » 31

Ribellione . " » 32

Pace » 32

Fausto Villa Un brano di un romanzo audace . . . ». 32

Enrico Corradini L'ultima notte di Sardanapalo ...» 34

Mario Clarvv

A deu.x jolies femmes » 36

I cuori ignoti » 36

Lino Ferriani La donna nella famiglia giudiziaria . . » 37

Arnaldo Laiibertini

In ferrovia » 41

Viceversa » 44

Amilcare Laurìa Un ragazzo dei « Mille » » 49

Antonio Beltramelli Gli uomini rossi » 53

Pasquale De Luca Gli sposi PO'g- 58

Emilio Pinchia Sonetti :

Estasi sante » 61

L'automobile » 6t

Primavera » 62

Domenico Tumiati Sciopero in salotto » 62

Giulia Daudet

Le bambole > 69

Ciò che si vede attraverso un velo di

mussolina bianca » 70

Mario Clarvy

L'amant cache » 72

Troncp soHngo » 72

Ugo De Amicis Amore » 72

Luigi di San Gusto La morte di Maurantonio « 75

Arturo Fo.\ Tempo sarà che giungami novella . . » 78

Onorato Fava

Giocattoli '' » 79

Idillio alato ~- . » So

Marco Lessona Poesie :

In quest'ora » Si

Fede e .scienza . » Si

Ruscello alpino » Si

Luciano Zì-ccoli La terza volta » 82

Ceccardo Roccatagliata-Ceccardi Sonetti :

Luna estiva » 86

Il pioppo » 86

Estate fuggitiva » 86

Corrispondenze » 86

Giovanni Diotallevi Senza scarpe (Novella) >^ 87

PrcK Nel nido della quaglia » 90

Massimo Bontempelli Invernale » 92

146

INDICE DELLE BIOGRAFIE.

Francesco Pastonchi Pag- 97

Gandolin » 9^

Luigi Pirandello » 99

Giovanni Cena » loo

Carlo Dadone » loi

I. M. Palmarini » 103

Enrico Thovez » 104

Fausto Villa » 105

Enrico Corradini » 106

Mario Clarvy » 107

Lino Ferriani » 107

Arnaldo Lambertini » 109

Amilcare Làuria » no

Antonio Beltramelli » iii

Pasquale De Luca » iia

Emilio Pinchia » 113

Domenico' Tumiati »" 115

Giulia Daudet » 116

Ugo De Amicis » 117

Luigi di San Giusto » 118

Arturo Foà Pag. rao

Onorato Fava » 121

Marco Lessona » 123

Luciano Zùccoli » 124

Ceccardo Roccatagliata-Ceccardi . . » 125

Giovanni Diotallevi » 126

Puck . . . , » 127

Massimo Bontempelli «128

Efisio Giglio-Tos » 129

Mantea » 130

Padre Ilario Rinieri » 131

Francesco Stura .... ...» 133

R. de Lysle »" 135

Teodoro Gatti » 137

Angelo Brofferio » 13S

Altre opere scelte » 139

Grande Biblioteca romantica circolante .

4.204

A9N8

La Nuova fioritura

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