VITTORIO SPINAZZOLA

L'AETE ED IL SEICENTO

IN NAPOLI

(alla Certosa di S. Martino)

THE GETTY RESEARCH INSTITUTE LIBRARY Halsted VanderPoel Campanian Collection

NAPOLI

VITO MORANO, EDITORE

40, Via Roma, 40 1905

^Vl.

F.OI GENNARO ft A. MORANO -NAPOLI

THE GETTY RESEARCH INSTITUTE LIBRARY

I. Fino al '300;

IL II '600;

III. La pittura non napoletana del '600; lY. La pittura napoletana del 600;

V. La scultura. VI. APPENDICE. Einnovazione della Certosa.

Della -storia dell' arte nel mezzogiorno d' Italia , di quella di Napoli che ad essa così strettamente si lega e che , per tanta parte di storia, dovette, anzi, esserne il centro più importante, non sono ancor tracciate le linee principali , e, tanto meno, si sou segnati i caratteri, le note essenziali, quelle per cui questa fu diversa da tutte le altre espressioni d' arte , nel mondo. Ha essa, attraverso i secoli, monumenti di arte? Ha essa, cioè, non oj)ere che imitino o copino o mettano meccanicamente Insieme elementi di arte estranea , ma opere sue , in cui elementi noti come parole note si uniscano in un insieme di arte nuova , e- spi-essione unica di una intuizione unica? È possibile seguire, dalle apparizioni della nuova arte nelle nostre catacombe , at- traverso la prevalenza bizantina e il rosseggiante solco della meteora musulmana, oltre il bel Ducato napoletano e le vicende normanne e le Sveve , una traccia di arte che ci conduca sino alPai)parire dei grandiosi monumenti toscani del 300 e del 400 ed alla fioritura della nostra grande arte nel seicento nostro? E, fermandosi ai due secoli in cui si elevarono le cattedrali e le chiese più maestose di Nai)oli e se ne cosparsero cappelle e cro- ciere di grandiosi monumenti funerari , è possibile , in questa arte del 300 e del 400 napoletano, discernere se elementi nuovi, al contatto di questo mondo, gli artisti stranieri ne introdusse- ro o se elementi propri i gli artisti naiioletani che vi lavorai"ono portarono in essi ? Vi fu una scuola patria, un giorno, che tutto ama.va attribxiire ad artisti patrii. E, quando non se ne trova- vano i nomi, non sembrò indegno crearli. Vi è una scuola non

patria, oggi, chu tulio ;iiua attribuire ad artisti stranieri, o non napoletani, insomma. È possibile, alla fine, ristabilitasi un po' della serenità necessaria soprattutto alla ricerca, e calmatasi la fregola d'andar rintracciando le somiglianze delle opere d'arte, di cui nessuna mai fu ne più facile più oziosa, Vedere, nelle opere d'arte, di quei secoli, attribuite, un giorno, ai napoleta- ni , attribuite oggi ai toscani , qual parte potettero avervi gli uni e quale gli altri, quando i documenti ci hanno rivelalo die e gli uni e gli altri lavorarono ad essi?

Dopo un'arte tutta meridionale, fatta di tradizioni locali, di derivazioni artistiche viciue e lontane, di elementi diversi, in- somma, né tutti bene noti, tutti bene valutati ancora, dalla Toscana specialmente una corrente di arte, sempfe rinnovantesi, è venuta e si è fatto strada in Napoli portata dagli stessi ar- tisti onde emanava , in sui primi anni del 300. Vi fu Gioito stesso « Inter familiares » di Re Roberto, e se ancora si vanno cercando le opere sue, non poche certo egli ne fece e non jioca scuola dovette qui seguirlo. Nello stesso tempo Giovanni e l'ac- cio, fiorentini, lavoravano in Santa Chiara al sepolcro sontuoso e solenne che ancora ne adorna il fondo, esempio tra i più gran- diosi di scoltura sepolcrale , non in Napoli solo , ma in Italia. Faccio scolpiva, anch^ nel 1325 , le colonne del chiostro di S. Martino , tutte forse scomparse , mentre Tino , senese, operava insieme con Gagliardo Primario napoletano la tomba della re- gina Maria in Dounaregina e , sempre insieme con un napole- tano, Francesco de Vito, costruiva sul colle di S. Elmo la Cer- tosa di S. Martino, Sorgeva , i)er opera di Andrea da Firenze, in fondo alla navata di S. Giovanni a Carbonara, il monumento di Ladislao e, in Dounaregina come da i)er tutto, schiere di ar- tisti dipingevano intere pareti di affreschi ed altri incidevano per la real zecca ed altri operavano cose minori.

Più tardi, appaiono nella storia dell'arte iu Napoli, i j^randi nomi del Donatello , di Giuliano da S. Gallo , di Giuliano da Majano, dei Rossellino , del Sansovino , dell' AmmannaHi e di cento altri. Il Donatello lascia qui la sua orma potente nel se- polcro di 8. Angelo a Nido e lavorano con lui Michelozzo Mi- chelozzi fiorentino e Pagno di Lapo Portigiani di Fiesole. 1 Donzello decorano il palazzo di Poggioreale per la regimi Gio- vanna. Sorge, per opera di artisti lombardi e toscani l'arco «li

Alfonso d' Aragona e Giuliauo tla Majano scolpisco la grande porta Capuana e Rossellino i bassorilievi di Monteoliveto e Sau- sivino e l'Ammannati il bel sepolcro del Sannazaro.

Ma, accanto a questo, che pel trecento e pel quattrocento, rappresenta il letto del gran fiume artìstico che , partendo da Firenze, discese in queste contrade , assai importante sarebbe per noi seguire il rivo patrio nella grande corrente e segnarne il cammino e sapere qual parte gli artisti, gli operatori, i mor- morari, i maestri del legno ebbero nelle opere di cui Napoli si andò adornando. Maestro Gagliardo, ad esempio, operò con Tino al sepolcro della regina Marra in Donnaregina e Tommaso de Vivo napoletano alla certosa di S. Martino. Non è indifferente :iè per l'arte per noi il sapere quello che Puno e l'altro por- tarono di nuovo nell'arte di Tino, se qualcosa vi portarono di jiuovo come non. appar dubbio , o quel che il loro intervento .segnò nell'opera d'arte, se alcun segno essi v' impressero, che non è possibile non sia. E questa è ricerca, oltre che di critica storica, di critica estetica, di esame estetico dell'opera d'arte. Nei lavori di S. Martino, oltre Tommaso de Vivo , lavorò con Tino Senese Mazzeo di Malotto anche di Napoli che diresse e •soprassedette piìi immediatamente, lavori che, anzi, il primo ha,

condo i documenti del tempo, un compenso annuale maggiore di Tino, un. terzo circa , ed ha sempre il passo sul senese ar- chitetto e può, come lui , scegliere gli operai e decidere delle spese da fare. Che traccia lasciò egli nell'opera che ne risultò ? Nella costruzione del chiostro, l'artista Fanzago bergamasco con- tinuò un' opera, che da un documento e da altri inizii, ajipare già intrapresa dai monaci certosini sotto la guida di un loro architetto, il napoletano Giov. Giacomo Conforto, autore della bella mole del campanile del Carmine. Qual parte gli si può o iili si deve fare nella mirabile opera, alta quadrata eretta su hian- ■ke colonne polite, che esercita tanto fascino , nel silenzio del- l'alta Certosa ?

Ma io non ho voluto che di sfuggita accennare a una que- stione, ad una ricerca, anzi, che tanto interessa la storia del- l'arte in Naiioli, poi che, alla Certosa di S. Martino, non è^ l'arte <lel trecento quella del quattrocento che bisogna cercare e, pei secoli seguenti, tutto vi è, tranne che pel chiostro , abba- .-stauza chiaro e preciso. Qual costrutto, qual parola trarre utile

alla storia dell'arte da quel che resta del treceuto che io, fiual- meute, ho rintracciato dall' antica costruzione di Tino e di De Vivo e di Marreo de Malotto ? Gli archi acuti del pronao , poi tutto rifatto , e quello della porta , la grande volta a cordoni della navata, anche se piìl tardi in qualche parte rammodernata, le finestre acute, di cui restano appena le tracce nel lato nor- dico, con lo stemma dal leone ramjiante di Niccolò Acciaioli , uua colonnina , forse di maestro Faccio , ed una croce ed im nome, ecco quanto resta della magnifica opera trecentesca. Ma, ciò interessa lo studioso assai più che il visitatore. La fac- ciata col suo finestrone centrale , col suo frontone donde soii , spariti gli archetti, col suo pronao tutto rammodernato da Fau- zago, ricorda appena le linee fondamentali di quell'epoca: sulla loggia, che copre il pronao, dovevano esser collocate , secondo il concetto del Fauzago, delle statue, ma esse non vi furon po- ste mai e se ne serba appena il ricordo nei documenti dei Cer- tosini, che, ad incominciare dalla metà del cinquecento, intra- presero la trasformazione completa della Chiesa e del Chiostro, di tutta la parte monumentale, cioè, della loro Certosa.

Del cinquecento , infatti , ò quasi tutto 1' adattameuto archi- tettonico della chiesa , clie , nella seconda metà di quel secolo, era quasi interamente compiuto, se potè intraprendersene la de- corazione pittorica e l' arredamento. Del cinquecento ne è dun- que 1' architettura dovuta all' architetto Giov. Antonio Dosio, »• della fine di quel secolo la decorazione di (juattro almeno delle capi)elle laterali, dovute ad artisti carraresi. Gli elementi estra- nei ne sono visibili, come i medaglioni del Bottiglieri, ad esem- pio, della cappella di S. Ugo, quelli dell'altra cappella di S. Gen- naro, orribili nella esecuzione sebbene perfettamente inqua- drati nella decorazione. Le decorazioni marmoree degli altari sono, invece, di un cinquecento ricco, elegante e non lezioso. E della stessa arte pono i bellissimi festoni di frutta della cai>- pella di S. Ugo e quelli pih modesti della cappella di S. Gio- vanni Battista. Della fine del cinquecento sono lo belle tarxie della «acreniia, opera di una riccliezza, di un lavoro di mosaico, di uua fantasia singolarissime. E ad esse fanno da cornici inta- gli di un gusto sobrio e fine, certamente di diversa mano , ma egualmente eseguite in quel tempo, come i documenti, oltre che l'arte, dimostrano. Porte, cassettoni, spalliere, tutta questa mi-

rabile stanza è decorata di tali tarsie e dalla ricchezza di que- gli intagli: e porte , e cassettoni fermano e chiudono ferrature di squisito lavoro ed a disegni bellissinii, ricche e fini come fa- sce di corali , o come borchie di cofanetti suntuosi , ed alcune di esse portano inciso: Arn: s ExRlCUS de UtrechA. D. 1598, segnando Panno in cui l'opera fu compiuta. Anche di quel pe- riodo di tempo sono i ricchi battenti della chiesa , inosservati sino a me, e perchè non ricordati dal Tufari e perchè nascosti dietro una bianca porta messa loro innanzi. La maniera ne è grandiosa; ma sorprende soprattutto .la purezza ed il sentimento delle figure, che tengono il centro di ciascun riquadro, un po' rigide e come di un artista d'un più intenso animo.

Ma, così come essa è, la chiesa è oggi il più bel museo di arte del 600 italiano che esista nel mondo. Senza averla veduta non è possil)ile parlare di tutto quel secolo di arte , come non si po- trebbe parlar del primo rinascimento italiano senza aver veduto Pisa o del 500 senza aver visitato Firenze e il Vaticano. Il 600 del Bernini ha troppo adombrato ogni altra manifestazione di arte di quel secolo , e dove non ha quella grandiosità regale, esso ci appare o pesante o vuoto o sopraccarico o scomposto. In generale è pocliissimo noto, niente affatto studiato, leggeris- simamente inteso, e dalla condanna complessiva e dal giudizio sommario è gran fatica se si salva qualche più grande artista o qualche grande monumento, gli uni e gli altri non ben cono- sciuti anch'essi, poco cercati dai visitatori, e dagli studiosi di- rei quasi evitati. La servitù, lo spagnolismo, il vuoto degli spi- riti avrebbero prodotto questa arte fiacca , boriosa , vuota, che è ricchezza , come dice il Settembrini , non è bellezza. Ed è il giiulizio dei più, fatto di frasi ormai viete e come inappella- bili, né vagliate, controllate in ciascun monumento, per cia- scuna opera d'arte di questo secolo, che ne produsse assai più che molti altri uniti assieme. Il mal vezzo di raccoglier le note comuni dei secoli di arte, di far ricorso ai costumi e alla sto- ria iier darne le ragioni, di giudicar un periodo artistico con i criterii e la misura di un altro, ha qui più che mai sviata la critica dell' arte. In Roma , la grande produzione di Lorenzo

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Borninl ha come tolto ogiii voglia di cercarne altra. In Napoli, dove il 600 si trovò come a casa sua, la disgraziata ricchezza barocca di alcuni monumenti, i più visibili, ha allontanato gli studiosi dal considerarne i migliori e più riposti. Oltre a che è avvenuto un più singolare caso. I maggiori lavori del 600 hanno , il jiiù delle volte , trasformate antiche chiese del 300. «quando non pure anteriori, talvolta riccliissirae e belle, talvolta brutte e modeste. Quelle 80vrapi>08Ìzioni appaiono oggi sacrile- ghe, e possono bene esser tali , in alcuni casi. Ma in altri na- scondono mediocri opere di uno stile non nostro , non proprio di questa regione , non , anzi , proprio di artisti napoletani, ni' sempre o di gran valore o di pura bellezza. La ricerca , le ri- costruzioni lontane, le viete frasi di uno stilo che ha in un maggior sentimento religioso e di un altro che ne ha meno o non ne ha alcuno, hanno fatto condannar sommariamente qu<;- gli aggiustamenti seicenteschi , spesso di una inarrivabile .sa- pienza, più spesso di una originalità indiscutibile , sempre più nostri , più intimamente rispondenti alla nostra regione ed al nostro costume ed al nostro genio artistico. Non ci slam con- tentati di deplorare , nelle linee generali , che si sien masche- rate antiche architetture, pel loro valore storico e per l'iniziai» organismo, degue di esser così conservate; ma, nella forza di tal giudizio , non si è poi guardato alle sostituzioni così quali esse sono, talvolta per stesse magnifiche e magistrali , sem- pre non indegne di essere considerate. Che, anzi, si è oggi per- venuti a tale fatua critica dell'arte da consigliar che si distrug- gano aggiustamenti di regale magnificenza .seicentesca tutta no- stra, per far venir fuori qualche scalcinata parete o qualche ]m- lone, simile a centomila altri, del trecento angioino.

Il seicento nostro risponde a un momento dello spirito nostro, risponde ad un l)isogno che oltrepassa, anzi, un momento deter- minato dello spirito nostro, poi che ha ragioni profondo nella coscienza ; nel carattere, nella forma che assume il sentimento religioso fra noi , in popoli di una razza che ha fondo greco, che ebbe per secoli coltnra e costumo greco, che ha mobilitsì . sentimento greco della plastica, che sente il bisogno del caloi. vivo nel suo vivo e luminoso cielo, che anni le liV)ere e tumul- tuose espressioni dei gesti come della lingua , come del seguo. Ht' noi voirliMiii ]>t'i)s:ti-o ad mia ('«pì-cssioin- <!' iirtf clic ]>iii si

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avvicini , che più manifesti i' anima meridionale, noi non iien- seremo certo alle nude cattedrali gotiche o a Santa Maria del Fiore o alla solenne maestà di S. Petronio. Il miracolo di S. Gennaro in S. Maria del Popolo o nel bel S. Giovanni è un non senso; e non è possibile immaginar le parenti di quel santo che gli sputino in faccia , come fanno in Napoli, e gli gridino contro tra i bei marmi bianchi del Duomo di Pisa.

Il seicento e noi adoperiamo questa parola accettandone der un momento il significato corrente portava in Napoli due elementi, anzi assai piìi elementi che ne erau 1' espressione: la ricchezza degli ornati, onde i popoli del mezzogiorno, in gene- re , sentono il bisogno , e questi della Magna Grecia assai più che gli altri; la policromia che è una necessità della decorazio- ne architettonica in questa colorazione straordinaria del cielo, del mare, delle cose; la larga grandiosit.à amplificante e sovrab- bondante di cui ha bisogno la religione tutta plastica e mate- riata di magnificenza dei meridionali, la parola tutta immagini ed eccessiva, la vita tutta esteriore , api)ariscente, grandezzosa, come dicono con assai bella parola i Napoletani. L' arte greca, come la normanna, come la gotica, tutte, assunsero qui un tal carattere che non fu, dunque, dato alla regione, ma che da essa lo ricevettero. È notissima hi grandiosità che nella Magna Gre- cia raggiunse l'architettura religiosa; ed ancora oggi ne fanno fede i potentissimi colonnati infranti di Pesto come di Meta- ponto, del Capo Lacinio, come di Seliuunte; ed era tutta ricca di colori, com'è noto; e più grande e più vistosa di ornati e di colori che non fosse nella madre patria. È noto di qual ricchez- za di ornati e colori e di figure si coprirono i vasi greci in questa arte locale della Lucania e delle Puglie , e quali colos- sali proporzioni raggiunsero , obbedendo allo stesso intimo ed eterno bisogno.

Nella chiesa dei Museo di S. Martino , che è modello senza possibili paragoni del genere, tutto ciò è contenuto in tali no- bili confini, e l'esuberante spirito dell'arte napoletana raggiun- ge un così armonico equilibrio d'insieme e di parti che ricchez- za e bellezza sono in essa la stessa cosa. Le proporzioni non sono vastissime , le linee non sono torturate, i colori non sono stridenti , gli ornati non sono ingombranti , la ricchezza non è lnuiale. Architettura , decorazione , arredamento sono organica-

meuttì uuiti. Il ciuciueceuto o i>er meglio dire la line di quel se- colo le ha dato la sua giustezza composta delle linee e delle sa- gome architettoniclie; ma il seicento tutta la sua calda ricchez- za ornamentale. Del primo reniennio del seicento sono infatti gli stalli della sala del Capitolo , dovuti ad un tal Bruschettà, ed alquanto inferiori per fattura, non per spirito, agi' intagli della sacrestia; e ad artisti del seicento, infine, se anche vi operarono nella fine del secolo precedente, si deve tutta l'altra opera di de- corazione, di pittura e di scoltura che ora si ammira in quel mo- numento, sacro all' arte ed alla pace indisturbata delle sue crea- zioni. Belisario Corenzio, Lanfranco, il cavalier d'Arpino, Guido Keni, Caravaggio, Maratta, Ribera, sono nomi assai noti fra gli artisti del seicento, e tutti hanno qui opere vaste ed importanti. Ma pochi sanno che, per le epoche in cui qui operarono, per la emulazione onde furono animati , essi hanno lasciato in questo volte e su queste pareti le pih belle e piìi felici opere loro. .Si narra del cavalier d'Arpino, che tornato dopo assai tempo a veder queste sue opere della Certosa, dicesse che non pensava di aver mai potuto far cose così belle, e, in verità, egli, per la compa- razione delle altre cose sue, diceva il vero. Del Ribera non si può dir di conoscerlo senza aver viste queste sue mirabili cose, e molti pure sentenziano di lui, senza averle cercate. Di Beli- sario Corenzio si i>uò dir che pochi freschi egli abbia operati che valgano l'Adultera e assai pih i Miracoli di S. Ugo, l'uno nella «ala del Capitolo, gli altri nella cappella del Sauto. Ma, accan- to a questi ed accanto alle opere loro , per mille versi fra le l)iù importanti che essi abbiano mai dipinte, altri nomi ed altre opero compaiono, ignote del tutto, che riempiono di stupore, «■ che vanno notate insieme con quelle altre dei grandi maestri. che formano, tutte insieme, in questa Certosa, una vera galle- ria d' arte del seicento, ed una , anche più rara , dell' arto del seicento in Napoli. Ippolito Borghese , Andrea Vaccaro, Massi- mo Stanzioni e Paolo Finoglia, ecco dei nomi piti modesti, al- cuno anche del tutto Hconosciuto oltre questa cinta di mura. Ma la cui oi)era non è perciò meno jiotevole, o meno spirituale, <> meno intensa, anche e tanto più so paragonata, in questa mostra perenne di arto, a quella dei maggiori o di maggior rinomo. Cer- carli ed additarli, visitando la cliiesa di S. Martino mipra Xcapo- lim, è un dovere ptjr uno studioso, è un godimento jicl visitatore.

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Le scuole , qui come altrove , nel 600 , nou è facile rintrac- ciarle. Non si può parlare , qui come altrove , in quel secolo della più assoluta libertà artistica, se non di artisti. E gli uni, per le qualità del loro spirito e del loro pensiero, cercano e ten- dono alla maniera di Kattaello, ed altri a quella dei Caracci, o del Caravaggio , e non sempre in tutti i loro quadri sono anche chiare e ben definite queste loro tendenze. Noi possiamo dividerli in artisti che nacquero ed operarono fuori di Napoli, artisti che in Napoli cljbero il loi-o massimo sviluppo e trascor- sero la maggior parte della loro vita, ed altri che qui nacquero o ntj confini del euo regno ed ebbero in essa scuola e vita ar- tistica. Dei primi è Simone Vouet, un francese che si educò in Roma e, salito in grande riuomanza, ebbe in patria ogni sorta di onori e ricchezze. Dipinse molto in Roma e moltissimo nella sua patria. Il quadro della chiesa di S. Martino, che ha la sua segnatura, Simone Vouet rarisien pinxit lìomae 1620, è uno della sua età più vigorosa fu dipinto in sui 38 anni , e ne ha le qualità di grazia e di colore. Vi è evidente la maniera raf- faellesca ; ma il fare è un po' lezioso e privo di energia, defi- cienze che sono qui messe anche in maggior rilievo dalle pit- ture che lo circondano, di cui alcune, come le lunette del Fi- noglia , scure e rudi , ma energiche e severe. Gli Heredi PauU Caliari Veronensìs hanno nel coro una Istituzione dell'Eucaristia, interessante per la storia delParte, ma di scarso valore artisti- co. E così Carlo Maratta, un pittore di grido , un caposcuola, anzi , dell' arte romana , che ha, nella cappella di S. Giovanni Battista, il S. Giovanni dell'aitar maggiore, di puro disegno, ma vuoto , liscio, senza colore, senza anima, insignificante. In <iuella stessa cappella, nelle lunette, Massimo Stanzioni ha di- l)into la Decollazione di S. Giovanni e Salome che ne porta la te- sta recisa ad Erode. Non sono fra le migliori cose del maestro; ma che difterenza di visione pittorica, di originalità di campo- sizione, di sentimento e di grazia composta ! La figura di Erode e quella dell'uomo ammantato della Decollazione sono concepite energicamente, e magistralmente disegnate e dipinte con un ri-

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lievo che fa vivo coutrasto co», le tìgiire piatte e convcuzioiiali del maestro romano, tauto più noto ili lui.

Ma opere di beu altro valore hanno in questa chiesa di S. Martino Giovanni Lanfranco, della scuòla dei Carracci; il cava- lier d'Arpino che seguì la maniera di Raffaello, e sebbene napo- letano visse la maggior parte della sua vita in Roma ; Guido Reni, principe degli artisti del suo tempo, e Mielielangelo da Ca- ravaggio, nn artista tutto personale che ebbe la gloria di avere fra gli alunni il Riberà, poi che egli dipinse nell'nlrinio quarto del 500.

Si può dire del Lanfranco e del cav. D' Arpino che .essi nulla hanno iirodotto che superi questi freschi di S. Martino. Il Lanfranco è vissuto ed ha molto dipinto in Napoli, dove son di sua mano la cupola del Gesù Nuovo e molte opere nella chiesa dei SS. Apostoli, in S. Gennaro, in S. Chiara. Ne ha preso un fare largo, più libero, un po' trascurato, che unisce ad una certa armonia di linee o di colori propria del Correggio, che egli volle imitare, una spigliatezza, un ardimento negli scorci, un movimento nelle azioni, una certa rozzezza del con- torno che par gli venga tutta da Napoli e dalla siui arte. La unità della composizione, nell'affresco della vAlta rappresentante Gesù che sale al cielo, è assai bene ottenuto, e così il rilievo delle figure sull' azzurro, che traspare dalle grandi luci aperte nel cielo, e nel, quale si librano cori di angeli, patriarchi, pro- feti, e, sulla chiave dell' arco, il primo uomo in un magnifico scorcio. Ma ò un artista vuoto, sebbene grandioso e largo, come mostra meglio la Crocifisaione della lunetta del coro, una grande composizione, in cui non potrebbe esser maggiore la sapienza degli scorci l'energia del disegno. Qui il colore è un po' ci- nereo (l'affresco è anche danneggiato dall'umido), ma nella vòlta è brillantissimo e vivace. I frati lo accusarono di aver dipinto a secco, ma, in verità, i secoli e la fresca colorazione così ben conservata della grande pittura danno ])iena ragione all'artista: non un intenso artista, ma che sapeva mirabiluieute il fatto suo. In fondo, è proprio questa sicurezza dell'opera loro, questa maestria del disegno, questa padronanza assoluta del colore che fprma il maggior pregio di questi maestri dell'arto dell'affresco. Il cav. D'Arpino è un mediocre pittore di quadri e S. Martino ne Ija tino, sulla porta della sacrestia, clie <> una -povera e vuota

cosa, una Croce fissione. Ma i varii compartimenti della vAlta in. quel monumento di arto che è la sacrestia dei Certosini, i fre- schi con le storie dèi nuovo testamento, come 1 tondi con le Virtìi, e 1 putti con i segni della passione, sono un vero mira- colo di gu.sto, di sobrietà e di armonia di mezzi pittorici. La freschezza del colore è pari alla purezza del disogno e alla grazia e perfezione degli scorci ; l' invenzione è ricca ed originale ; lo aggiustamento decorativo dei più felici nella sua straordinaria profusione di purissimo oro. Dagli scuri armadi ricoperti di mosaici in legno, alle pareti ornate, fra pilastrini dorati, di quadri, mediocri ma calmi, del Bisancioni (?), alle figure ma- schili ed energiche dei triangoli, agli spigoli dalla tinta gial- letta con le allegorie ferainili della sacra scrittura, alla corona di putti coi segni deUa Passione nuotanti in un vivo azzurro, ai quadri, piccoli e grandi, dell'antico testamento -e della pas- sione di Gesti, è un insieme di decorativo , dove tutti gli ele- menti di architettura e di colore, di concezione e di arte sono armonicamente fusi in una ricchezza che non è frastuono, in una ricchezza che è anche bellezza, ed è soprattutto amore e sentimento vivo policromatico della decorazione. In fondo, sul- l'arco, un altro artista che possiamo considerar come romano, Viviano Codagora , ha dipinto , evidentemente sotto la dire- zione di Massimo Stanzioni, una doppia scalinata che, salendo dai due lati dell'arco, finisce su di esso in un ripiano, che è la loggia di Pilato. È un miracolo di prospettiva, poi che quello artista non dipingeva altro, ma è anche un aggiustamento ed una idea genialmente trovata, poi che in quello si)azio dell'arco nulla si desidera e il quadro è completo. Che cosa manca a queste pitture del cav. D'Arpino o che cosa esse hanno di troppo ? Non è di ciò, in questo luogo che dobbiamo discor- rerne. Egli non è un' anima profonda, e non ha la visione di una profonda bellezza, e non guarda al vero ed alla natura donde solo e sempre emana la vita, e il colore non è per lui l'espressione di interno affanno o di commozione interna. È un artista vuoto e sereno, che sa tutto il mestiere suo per felicità innata: e vede il colore e i suoi effetti, e sa il disegno, e le forme delle cose, e l'uno e l'altro armonicamente compone per bene appresa sapienza di facile temperamento artistico. Queste qualità sono evidentissime in S. Martino; ma non altrettanto.

Ili

ad esempio, nella gran sala ilei Cauii)iiloglio, dove i grandiosi soggetti romani scovrono troppo la vacuità della sua anima, se bene anch' essi ne rivelino 1' orgoglioso saper fare di cavaliere arpinate. Ma, al di sotto del grandissimo quadro del cavaliere, tra esso e la porta di entrata, vi è un capolavoro dell'arte, un gioiello che può passare inosservato fra tanta ricchezza, Pietro che rinnega Gesù, .di Michelangelo da Caravaggio. In Dresda, questo rude, questo solitario, questo ribelle della pittura lia un quadro di maggiore eifetto e assai più noto, nella real qua- dreria, i Giocatori. Ma la nobiltà del soggetto, il sentimento che egli ha voluto rendere ed ha reso nella testa magnifica del San Pietro, nella espressione straordinariamente profonda degli occhi suoi che mentiscono, fanno di questo ^quadro della Certosa uno dei maggiori capolavori ed un capolavoro di tutti i tempi. Quasi accanto, nella stanza vicina, è un suo contemporaneo, di altra terra ma cresciuto sotto le istesse influenze e nella visione degli stessi maestri, un altro seicentista, un altro spirito, un bolo- gnese pieno di grazia. Guido Reni. La critica aprioristica ed esteriore ha trovato, come è suo costume, per lui ora lodi fuori misura, ora una ingiusta e sommaria condanna ; ed oggi è la volta di questa. Ma, in simili momenti, il ricordo dell' Aurora di palazzo Rospigliosi, quando non della Fortuna del Campido- glio o del iS'. Michele dei Cappuccini e così via, dovrebbe ricon- durre sulla giusta via. Fu il pittore della grazia, d' una com- I)08ta bellezza che l'arte stessa gli aveva rivelata, non la vita, d'un colore che le altrui tavolozze gli avevan riccamente e fe- licemente insegnato, non la stessa natura. Ma fu pittore d* questa grazia e di questa bellezza vivamente sentita. Non po- tette esser Correggio, ma Correggio gli aveva rivelato quanto poteva di sé, come, più che molti altri, mostra questo gran- dioso quadro della Certosa, nel quale 1' imitazione della Nati- vità di Gesù del Correggio è evidentissima, sebbene ne sia assai più ingombro di figure il piano. È un quadro rimasto incom- pleto e certe trascuratezze non volute danno maggior rilievo alle parti in luce e compiute. L' idea di far partire dal ]>argolo la luce, cosi coiue nel quadro del suo maestro, gli modo di illuminare or di faccia or di fianco ì volti delle molte figure, e fra ([uelle che compaiono dalle ombre ve n' ha di <lolce e

.s(iiiisita grazia. È quanto egli poteva dare ; ma era (|ucsta una così sincera dote della sua natura che, trasfusa nella sua vasta opera, piacque al mondo in cui visfft) e piace. Certo, la sua vi- cinanza, in questo coro di S. Martino, a un colosso dell' arte napoletana, avvia lo spirito del riguardante a considerazioni di altro genere. Ma non è di ciò che 1' esame critico si sia finora occupato, e se esso e in^niisto col Reni è addirittura cieco con l'arte nostra.

La scuola napoletana diciamo pure così (j^uaudo amerei meglio dire semplicemente i napoletani è rappresentata in San Martino dal Borghese, dal Caracciolo dal Siciliano, dal Coren- zio , da Micco Spadaro , dai Vaccaro, dal Finoglia , dal Ri- bera , dallo Stauziaui, da Luca Giordano, dal De Matteis, dal De Mura. Non guardiamo alla patria, essi sono napoletani e, vivendo in Napoli, e, respirando quest'aria e guardando questo cielo, chi ha seguito una, chi un' altra maniera conforme al genio personale. Belisario Corenzio , un greco di origine, un violento, come si sa, nella vita, ha dipinto molto in S. Martino e vi ha, forse, le migliori sue cose, la vòlta della sala del Ca- pitolo con l'affresco dell'Adultera, gli affreschi della cappella di S. Gennaro e quelli, notevolissimi, della cappella di S. Ugo, per disgrazia molto danneggiati. Non è uno spirito originale, ed è meu composto e grazioso del cav. D'Arpino; ma ha una maggiore energia di disegno, un maggiore studio del vero, un contatto più immediato con la natura, che svela però anche più chiaramente la maniera in molta e più gran parte della sua pittura. Nel quadro di mezzo della sala del Capitolo, Gesù che caccia i profanatori dal tempio, in alcune parti dell'affresco A&l- V Adultera, in molte degli affreschi di S. Ugo, questo studio del vero, questo più sostanziale contenuto è visibile, ma non così costante che se ne illumini tutta la sua pittura. La sua com- posizione è, però, macchinosa, il colore vivo, la sicurezza dèi dipingere grande e la ricerca dell'effetto pittorico è, come nel- l'affresco della Canonizzazione di S. Ugo, molto genialmente ot- tenuto. Tiiitoretto non era passato invano nella sua vita d'arti-

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If^

sta, gli ardimenti caravaggeschi vi avevau lasciato anche essi uua traccia, e i napoletani dipingevano ormai di lor sicura ma- niera. Per breve tempo e^l» in modesta misura anche Raftaello aveva qui trovato i suoi segnaci, Andrea Sabbatini da Salerno e, fra i minori, Ippolito Borghese. Ma il Sabbatini ha una sua per- sonale maniera tutta contrasti e tutta vita che appena in qual- che opera lascia vedere l' influenza raffaellesca (il Melaui adduce non a proposito le pitture del Museo Nazionale), e Ippolito Borghese resta quasi isolato e trascurato, mentre è, nella vòlta del piccolo passaggio alla sala del Colloquio, addirittura deli- zioso, un raffaellesco puro sangue, natura di artista raffaellesco, non meccanico di quell'arte. I^' Adorazione dei Maggi e l'Annun- zio ai pastori in quei piccoli freschi del cupolino hanno una grazia di colore, d' invenzione e di diseguo che non possono sfuggire. Quando si tratta di questi minori, perchè non cercare fra essi quelli, anche se vissero lontani dal maestro, che meglio ne accolsero la parola ? Ma in Paolo Finoglia, in Micco Spa- daro, in Massimo Stanzioni, in Luca Giordano ed in Giuseppe Ribera, il seicento napoletano ha, in questo tempio dell'arte, i suoi pili grandi rappresentanti.

Domenico Gargiulo, detto Micco Spadaro, non è un felice af- freschista e i suoi quadri ad olio sono superiori ai suoi freschi quasi sempre molto deperiti come quelli di S. Martino, che sono molto ritoccati. Può anche non piacere, e la decorazione in cui ha messi i suoi arazzi, negli affreschi del Coro dei conversi, non piace. Ma ha una così larga visioue del paesaggio, ha, nel ren- dere figure e paese, una maniera così propria e cosi spirituale, si è così allontanato da tutti gli altri, nella espressione di uno spirito pronto, in diretta comunicazione col vero, anche quan- do non ne sa rendere tutta la forza, che egli deve essere con- siderato come il primo paesista di una scuola veramente napo- letana. E non metto in conto il tempestoso e magnifico Salvator Rosa, poi che egli ebbe maniera troppo personale e disse trop- pe cose del suo spirito, nei suoi paesi non imitabili, imitati. Egli, il Gargiulo, guardò anche e ritrasse la vita, anzi il tu- multuare della vita napoletana, in modo addirittura miracoloso nei due quadri del Museo Nazionale, la Rivoluzione di Masaniello e la Peste di Napoli: ma questa chi<^sa non ha nulla che egua-

lo- gli (pici (lue capilavori, fra i quali e l'arte fiamminga di quel genere non è stato ancora istituito il confronto, che pur var- rebbe la pena di fare. Da Milano giungeva a Napoli la voce e 1' Ai'te del Caravaggio, non più che a Venezia, od a Bologna, od a Roma; ma nascevano il Reni, Tiepolo, Dolci, il Dome- nichino, o Pietro da Cortona, o il Maratta, e qui Domenico Gargiulo, Aniello Falcone, Ribera, Finoglia, Giordano, Stanzioni. Ecco quel che bisognerebbe spiegare. Giuseppe Ribera, detto Io Spagnoletto, ha nella chiesa di S. Martino le sue maggiori tele, di cui alcune quasi del tutto ignote. Non può dire di co- noscere l'opera sua chi non ha visto il suo qua<lro del coro, La Comunione degli A})08toli, il noto suo capolavoro La deposi- zione della Croce, la tela raffigurante // profeta Elia e i Dodici profeti dei triangoli, miracoli dell'arte sua. fja comunione degli Apostoli è un quadro eccezionale in tutta la produzione del Ri- bera. E', prima di tutto, un quadro di grandiosa composizione di figure grandi piìl del vero, di un colorito pieno di luce, bril- lante ed armonioso come quello di un veneziano. Non figure stecchite come la storia critica da strapazzo ama solo attri- buire al Ribera , ma immagini di nobile bellezza come quella del Cristo che offre l'ostia, o di solenne gravità come quelle degli apostoli che lo circondano nel gruppo centrale, di fattura straordinaria: le mani del Cristo sono inarrivabili, viventi, di- vine cose. La testa di Gesù, dolce e pura, è di bellissimo ef- fetto suU' azzurro vivo e l' argento luminoso del cielo: dall'alto guarda una nuvola di angioli di squisita fattura: in un angolo è il discepolo che tradirà, e poggia nella mano il capo, ed ha gli occhi chiusi come nel sonno, spiacente e forte persona viva. Neil' ultima e più riposta sala della chiesa, nel Tesoro, è la Deposizione del Cristo, come a riassumere questo mondo d'arte. Ma esso è troppo noto caiiolavoro perchè io o vi insista o vi descriva, mentre ignoti del tatto sono i profeti dei triangoli, nella navata della chiesa. Sono dodici tele triangolari le quali riem-* j)iono gli angoli non vasti che gli archi fanno coi pilastri sa- lienti e la cornice che posa su di essi, e sono tredici visioni di intensa e potente vita.

Non è a dire come le grandi figure riempiano gli spazi an- gusti e come si adagino in essi : vi si direbbero nate ad un mo-

mento solo e come couuaturate. Alcuni sono di prospetto e pog- giano le teste illuminate e le vaste fronti nelle nobili mani, mentre sono intenti sui volumi squadernati; uno è tutto di fianco ed ha il mento nella mano dritta, che solleva il volto attento ^ chiuso al libro che gli posa dinanzi: uno indica col dito vi- goroso un punto del volume; mentre la fronte si corruga; un altro, ravvolto in un manto variegato, volge tutto il viso bar- bato e duro a chi guarda, mentre pare che voglia col pensiero oltrepassare la parola che gli è dinanzi. Verità di atteggiamenti e di particolari, perfezione di forme e vigoria di colore, forza di espressione ed elevatezza di pensiero, contenuto profondo «• sobrietà di manifestazione sono espressioni non atlequate ai no- bilissimi soggetti. Sono i capilavori del Ribera e fra le massime opere d' arte del '600 , che non altro ha prodotto di così in- tenso e completo. Dopo Michelangelo, non furono mai animate figure così grandi, ne è necessaria molta ermeneutica per com- prendere ciò senza cousigli ausiliatori. Paolo Fiuoglia , un pit- tore nato e cresciuto in Napoli, si ispirò al suo maestro nel di- pingere i Fondatori di ordini delle sue lunette nella sala del Ca- pitolo, e la maniera di lui è in esse evidente. Ma in quelle teste di santi eremiti, negli aggiustamenti di quelle ascetiche figure vi è uno spirito personale, un' anima che accetta la maniera senza prendere da altri la ispirazione, un artista che farà da e che in «luesta chiesa nella cappella di S. Martino, fra gli al- tri freschi minori ma potentissimi della volta, ha un'opera che è un vero miracolo dell' arte napoletana. Il trasporto del corpo di S. Martino. Nella verità di (luelle figure e dei volti di coloro che reggono il pallio, rivolti allo spettatore ; nella magistrali sicurezza del disegno largo e vero ; nella luce che avvolge e circonda le persone; nella scelta dei tipi, dei colori, dei con- trapposti è tutto l'insieme delle qualità che, un giorno, alcuni secoli dopo, distingueranno l'arte napoletana. E' in questo al- fresco che, nel 1600, non ha molti rivali ; è in alcune doti clit- rilevano alcuni pittori contemporanei o di poco posteriori, conn- Mattia Preti, Bartolomeo Passante, Francesco de Mura che son chiare, assai più che nel napoletano Luca Giordano, un artista personale, vario, versatile, pieno di grazia, le note dominanti dell'arte nax>oletana. Queste figure, quelle del gruppo dei dot

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tori, magnifico uel disuguale quadro che il De Mura ha uella sala del Capitolo, sono le annxinziatrici di quello che chiamerei il secondo rinascimento napoletano. Ma un altrp artista. Mas- simo Stauzioni, ha qui la più bella sua pagina. Sulla porta di ingresso egli ha una Deposizione della Croce, molto danneggiata ma da tutti guardata, e da tutti, sebbene non ne sia facile- il giudizio, ripetutamente lodata, ed ha pure collaborato al pas- saggio nella caiìjìella del Tesoro. Ma avete voi mai, in una cap- pella ombrosa di questo bel S. Martino, veduto l'altro suo qua- dro quasi ignoto, S. Bruno che la regola al Certosim * Sono otto figure di monaci, di monaci anche di umili condizioni; sono otto cappe bianche; sono otto teste rase. E nel mezzo se ne le\ ;i una e fa un movimento semplice, poi che tiene nella mano un libro squadernato. Ma quali volti e quali espressioni in quelle pure fronti, in quei puri occhi, in quelle pure mani, in quei j)uri atteggiamenti. L' arte nuova è in queste obliate tele, mes- savi, tre secoli or sono, dai grandi maestri napoletani, per igno- ranza o per mal volere disconosciuti. Ma noi abbiamo descritte opere d' arte di denso contenuto e di nobili forme, e non ab- biam pensato che questo si chiama, nel mondo dell' arie, il '600!

La scultura ha jiochi monumenti nella chiesa di S. Martino che possano additarsi come grandi opere d' arte ; essa vi com- pie un ufficio di pura decorazione e, per di jiiù, un ufficio, ne la decorazione, del tutto secondario. Quasi interamente trascu- rata uell' esame di tanta ricchezza d' architettura, di mosaici policromi di marmi e di legni, di tele e di affreschi, essa però ha qui alcune opere di notevole importanza, degne di essere co- nosciute così pei nomi dei loro scultori che son quelli dei Ber- nini, del Finelli, di Girolamo Santacroce, del Naccherino, come per 1' intrinseco merito loro. Naturalmente, anche per la scul- tura si desiderano invano le opere che il monumento dovette contenere del trecento in cui sorse ; ed io non ne ho trovato che un modestissimo ricordo in due figurine che dovettero far parte di iin monumento sepolcrale o di un jiortale. Stavano in^ fi.sse in due spigoli a capo di una scala interna del monas^tero,

e, tolte di là, sono ora nella raccolta dei marini : troppo ivjca cosa perchè ci dicano nulla dell' arte di (iuel tempo nella Cer- tosa. Anche le pietre tombali e gli altri monumenti del quat- irovento e del cinquecento sono stati rimossi negli adattamenti posteriori della chiesa, come può arguirsi da quel che ne lascia intendere il d' Eugenio ; ma i due rimastivi, anch' essi fuori posto, sono begli esemplari di scoltura napoletana di quei se- coli XV e XVI. Il primo è il marmo di Beatrice de Ponciaco fabbricato ora nel muro di passaggio dalla cappella dell'Assunta a quella di S. Nicola; il secondo 1' ornato sarcofago che Giro- lamo Santacroce scolpì per Carlo Gesualdo. La lapide è della prima ;metà del quattrocento. La donna è adagiatsi su un letto di cui non è visibile che il cuscino scolpito a grande rilievo con rabeschi di ricchissimo lavoro. Due colonnine si levano lun- go il suo corpo da un lato e dall'altro con fantastici capitelli, e sorreggono uu frontocino in cui è inscritto un arco acuto : p nell' arco sono degli ornati con uno stemma sotto la chiave (falc«' lunare), e fra 1' arco e le linee del frontocino due altri stemmi Degli acroterii a rosoni coronano questa specie di nicchia o edi- coletta in cui è adagiata la morta e sull' angolo del frontone *• un giglio. Tutto ciò è a basso rilievo, tinemente lavorato, «mI imita un sepolcro quattrocentesco dell' epoca durazzesca. Con- sueto motivo pel resto di simili lapidi tombali. La donna ha sui capo un manto che le scende in pieghe eguali sulle spalle, e di sotU) al manto circonda l'ampia fronte un pizzo fine tutto pie- ghettato ad onde , ed un altro è su questo. Un bianco lino stringe e nasconde il mento ed il collo, e cede in pieghe a som- mo del petto, contenuto come in una guaina dalla veste ch« scende sino ai piedi con pieghe rigide ed eguali. Una cintura di cuoio ornata di borchiette e con una semplicissima fìbbia cin- ge i fianchi. Le mani sono incrociate sul grembo rigidamentt- e una lunga fila di bottoncini chiude ai polsi le maniche : un manto, a pieghe profonde e diritte, cade dalle spalle ai piedi. Intorno, la lapide rettangolare porta soritto in caratteri franchi:

HIC. lACET I CORPV8. MAGNIFICE. DOMINE. MVUERI8. BEATRICIS. DE I PONCIACO. QVE. OBIIT | ANXO. DM. MILESIMO. CCCCXXIII. OCTAVA. IVNII. r.ME. IND.

Il monumento di Carlo Gesualdo, unico della prima metà dei

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cinquecento che qui si trovi , dovette essere iu una delle cap- pelle di S. Martino, come ricorda il D'Eugenio ; ma ora è a si- uietra dell'aitar maggiore nella chiesetta delle donne. È una bella opera di Girolamo Santacroce che ne ha moltissime in Roma ed in Napoli, di fine gusto, di delicata esecuzione , di quella ma- niera nn po' secca ma così vicina al vero, ingenua e gentile che fu propria al Santacroce anche piti che a Giovanni Merliano da Nola. Sventuratamente il monumento non è rimasto quale il San- taeroce lo aveva ideato per la chiesa di S. Martino. Ciò parmi indubitabile e parmi anche chiarissimo che tali adattamenti siano stati fatti nel trasportarlo e collocarlo nella chiesetta ove ora si trova. Uno studio delle varie parti mi ha condotto alle con- clusioni che solo il basamento ed il sarcofago siano del Santa- croce. Il basamento è formato da un dado rettangolare su cui Bon figurati ad alto rilievo due putti che additano e guardano una grande targa, contenente l'iscrizione e sostenuta per le anse da fasce che formano un ornato sobrio ed elegante, quasi rigi- do, sulla iscrizione. I putti hanno il capo reclinato, le pupille tinte di nero , il modellato elegante e deciso nella espressione della loro struttura, un carattere, nei piccoli menti acuti e nelle bocche un po'taglienti, tutto personale. Sul basamento, che ha una cornice molto semplice, posa il sarcofago adorno di baccel- lature fini e di due festoni di frutta e fiori tenuti nel mezzo da una targhetta della più grande sobrietà, ed eleganti. Su di esso e sur un lenzuolo è adagiato Carlo Gesualdo, calvo, con un bel volto emaciato ma nobile e sereno, che egli poggia sulla mano sollevata dall'elmo come sur un cuscino. È interamente vestito delle sue armi e volto tutto sul lato destro , verso chi guarda : sotto la maglia ha un forte contrassegno che è certo quello del male onde morì. Ora, su questo semplice e nobile monumento è un grande ovale di bardiglio circondato da una larga cornice di marmo bianco e da altra fascia anche di bardiglio a linea con- torta e terminata in alto da un ampio ornato barocco. Nel mezzo dell'ovale sono a rilievo, poggiati come sur una mensola di mar- mo bianco, riccamente sagomata , due putti che si appoggiano ad uno stemma (leone rampante circondato da gigli) ed hanno faci capovolte nelle mani. L' arte di questi putti , il marmo e tvitto l'insieme di questo aggiustamento non lascian dubbio sulle aggiunzioni, sebbene costituiscano col monumento del Santacroce

Tiu insieme nou del tutto armonico ma non ])erò spiacéQte. L'i- scrizione che vi si legge è questa :

KAKOLO Jes VALDO STKENVO KiiVlTl

PBIMI ORDIXIS HIER080LYMITAK0 EX PROCERVM REGNI NEAPOLITANI VETVSTA Je.SVALOOKVM ILLUSTKItJ FAMILIA l'LEXA HOXORIBVS VITA I>EFUCTO QUI MESSAXAE COGNITA OBSESSAE A TVRCI8 RHODI QVO LATVRV8 OPEM NAVIGABAT DEDITIONK NKAPOLIM REDIKNS CLIMACTERICO AN. MDXXIII EXTINCTVS EST MAXENTIL'.S JeSVALDVS FRATRI AMANTI8.S. HENEQ. MER.

Ma anche per la scoltura, nella certosa di S. Martino nou l)i- sogua cercare che l'arte del '600 o di quegli artisti che segnano il passaggio dal '500 al '600, e lìuthe per la scultura queste esa- me non ci sarà privo di insegnamenti d' ordine generale per la storia dell'arte, oltre che assegnerà ad alcuni artisti certamen- te, ad altri con molta verosimiglianza alcune delle opere loro. Frattanto è da notare che sono rappresentati nella Certosa i nomi insigni di Pietro e Lorenzo Bernini, di Michelangelo Naccherino, principe degli scultori napoletaui nella seconda metà del '500 e di Giuliano Fiuelli, uno fra gli scolari più forti del Bernini. Un errore molto grave di Stanislao Fraschetti va sul>ito notato. Si conserva nel museo di S. Martino , in un corridoio che mena ora alla collezione delle arti applicate alle industrie, un magni- fico gruppo rappresentante la Vergine col piccolo Gesù e S. Gio- vanni. Esso è così evidentemente dell'arte di Pietro Bernini, chi- lo stesso Fraschetti è costretto a dire: « certo, quel fare contorti) e secco è proprio allo scultore fiorentino e si rivede a meravi- glia in un lavoro suo posteriore, il gruppo di Enea ed Anchisc, veramente condotto insieme col figliuolo». L'attrihuzione, dunquo. cosi precisa a Pietro ed a Lorenzo Bernini trova un perfetti) riscontro nella maniera di quell'artista che ha una caratterìsti( a specialissima, quel tagliente modo di drappeggiare cosi che li-

pieghe paion di grossa seta e uua «Uirezza contorta che uoii è del tvitto sgraziata. Ma , poi che un documeuto parla di una Vergine lavorata per la certosa di S. Martino da uno scultore a nome Antonio Perasco, il Fraschetti non esita ad attribuirgli questo grupI)o e il ragionamento è questo : La maniera è dun- que a meraviglia quella di Pietro Bernini , anzi di Pietro Ber- nini aiutato dal figliuolo. « Ma nell' archivio del monastero di S. Martino esiste un documento che rivela come uno scultore a nome Antonio Perasco lavorasse a punto, nell' epoca in cui Pietro era in Napoli , una Madonna di marmo pel monastero medesimo. Ora, come non si può immaginare che in S. Martino si dessero nel tempo stesso due allegazioni di un lavoro mede- simo, e come d'altronde non si ha memoria di un'altra Vergine di marmo nell' eremo napolitano , così si può stabilire che nel documento accennato si parli esclusivamente dell' opera attri- buita all'artista fiorentino». La premessa è errata; il dato di fatto è errato; ed è, quindi, errato tutto il ragionamento. Dai documenti risulta invece precisamente il contrario. Oltre quello del Faraglia clie attribuisce una Vergine della Certosa al Pe- rasco , un altro documento è noto in cui la vedova di Miche- langelo Naccherino, Lelia Vitale, insieme con suo fratello Fran- cesco vendono al monastero di S. Martino, oltre un Cristo di marmo della resurrezione, un gruppo similmente di marmi che fanno tre statue. L' identificazione con la Vergine , il piccolo Gesù e il S. Giovanni è, per questo documento, chiarissima; ma un altro ne ho io trovato tra le carte dei Monasteri soppressi (Arch. di Stato, voi. 21.54) che toglie ogni dubbio, se potesse osservare alcuno : « In detto apprezzo dell'anno 1864 », cosi si dice nella bozza da me trovata, « si apprezza un gruppo di tre figure per ducati 808 (fol. 151), quello visto et considerato da noi », sono gli apprezzatori che parlano, « non è opera del Ca- valiere. Et di più portano li P.dri una scrittura da chi l'hanno comprata che si chiama Lelia Vitale », e vi si aggiunge che anche il piedestallo è vecchio. Il gruppo proviene dunque dallo studio del Naccherino e da casa Vitale , che fu di architetti e di scultori.

E non ha nulla a vedere con la Madonna del Perasco , poi che non è esatto che il monastero non abbia un' altra Vergine col bambino e che di essa non si trovi traccia, essendo a vista

di tutti la bella Madouua col putto che adorna il centro d' un dei lati del chiostro, quello di oriente. Ma quella Madonna può essere del Naccherino, del Vitale, del Finelli che fu imparentato ed essi. Nessuna meraviglia, invece, che nello sta- dio del Vitale o del Naccherino che collaborò con Pietro Ber- nini ad un'opera come quella della fontana di Piazza del Po- polo si rinvenga un' altra opera dell' amico scultore, di cui ha la cosi chiara impronta. È un po' contorta e la fattura è rigida e tagliente; ma la grandiosità dell'insieme, l'espressione del bel volto della Vergine e dei putti ne fanno una notevole opera de! padre del grande scultore, che venne qui di buon'ora e vi ap- prese quel fare onde così gran fortunji dovevagli venire in Roma. Ma alcune altre opere ci richiamano ancora a questa famigli:i di artisti. Il documento pubblicato dal Faraglia e da noi rife- rito alla Ma<ìonna del Bernini fa parola, oltre che del gruppo di tre stsitue, di « un Cristo di marmo della resurretione e due figure abbuzzate di marmi », venduti con lo stesso atto ai Pa- dri di S. Martino. Il Cristo risorto è del cornicione del chio- stro, nel centro del lato di occidente. Ha il bel volto caratte- ristico che il Naccherino diede alle sue rappresentazioni di Gesù; leva in alto la mano dritta t^^ndendo il dito al cielo; ed il corpo ne è puro e gentile, ben modellato e fine. Ma quali furono lo altre «due figure abbuzzate di marmi?». Una è certament»- quella del S. Giovanni Battista. E nel centro del lato meridio- nale del chiostro e, sebbene non compiuta dallo scultore, mo- stra tutto il suo fare, ed il volto così simile a quello di Gesù, e quel trattamento dei capelli così caratteristico a tali sculture del Naccherino. L' altra è forse il S. Martino, dal ricco manto a grandi pieghe e dalla barba fluente. Poche opere lo scultore fiorentino ha in Napoli ed altrove che valgano questo Gesù ri- sorto della Certosa. Alunno del Giambologna , vissuto «juando l'arte della scultura aveva «ini rappresentanti come Pietro Ber- nini, egli ebbe, invece, un fare semplice, sincero, elegante, una s(iuisita delicatezza di fattura, una ricercata purità di linee, uik sentimento non profondo ma gentile. Merliano da Nola e Giro- lamo Santacroce gli erano stati maestri anche più che Giambo- logna o il secolo in cui visse ; ed egli fu, nella scultura , così seicentista come Btanzioni nella pittura. Non ebbe del pittore napoletano la profonda idenlifà «Iti vero : ma cercò con gusto

educato e line una sua via, come la Vergiue di Castroreale, il Crocifisso di S. Carlo alPAreua, la Pietà uel cortile del Banco e questo Gesù della Certosa mostrano con evidenza. Del Fiiielli, uno scultore nato in Carrara ma vissuto gran parte della sua vita in Napoli e venuto qui fanciullo presso suo zio Vitale , è senza dubbio la statua rappresentante la Purità, in una nicchia del coro.

Anche Giuliano Finelli visse nel seicento, anzi accanto a Ber- nini, e fra i suoi cari discepoli. Ma il dolce artista, a Roma come a Napoli, sentì il bisogno di esprimere forme semplici, e contenne il suo spirito in un ideale di arte corretta, piena di certa signorile dignità e distinzione. Questa Purità che leva gli occhi in alto ed ha i capelli redimiti di fiori, e si avvolge nel manto che la covre sino ai piedi con partito di pieghe solenne e semplice come di scalpello romano, ne è una prova notevole ed un'opera d'arte fra le più interessanti di quello scultore, che ebbe madre, parenti, casa, scuola in Napoli e alla maniera del Naccherino cercò un' ispirazione più conforme alla sua natura. Il resto delle scaltrire, tranne l'altra del coro, attribuita a Pie- tro Bernini e rappresentante l'Obbedienza, non valgono certo gran cosa. Se ne salva pel settecento Giuseppe Sammartino che non pare vi abbia altra opera se non quella dei putti che sono nei medaglioni delle cappelle di S. Martino e dell'Assunta, felicissimi per grazia d'insieme e delicata morbidezza di model- lato. Tutte le altre di Lorenzo e Domenicantonio Vaccaro, del De Cuccinis romano e del Battiglieri napoletano , sono medio- crissime opere; ma stanno nella decorazione al loro posto senza richiamar V attenzione e senza disturbare , che è , del resto, il segreto di tutta quest'arte raccolta In S. Martino. La scultura non vi prenda il sopravvento e non appaia la pittura o la co- lorazione ricchissima dei marmi. Se l'attenzione vostra non fosse richiamata da altri , voi non guardereste neppure qual vasto tappeto a disegni così svariati e chiari che è il pavimento della chiesa fatto di marmi contesti, tanto ne è modesta, uniforme, calma P intonazione generale ; ne il lavoro della magnifica ba- laustra. Ma poi l'occhio segue ogni particolare. Il marmo tem- pestato di lapislazzuli e fasciato di alabastro si spiega come un merletto di finissimo trapunto a formar un balaustra dell'aitar maggiore ; i riquadri di verde antico , di gial letto , di marmi

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dalle lento tinte or gravi or tenere cingono le cornici dove lince e colori e disegni d' ornato sono della più singolare maestria , del gnsto piti sicnro e squisito ; gli altari mostrano i loro pa- liotti a mosaici di chiare tinte sfumanti ingemmati di pietre preziose, agate od ametiste; e la sapienza di un tale insiemi- di decorazione e di arte riempie di sorpresa e di ammirazione dopo, come, a prima vista, di una non disturbata meraviglia. Tale è il '600 nella chiesa e nella certosa di S. Martino 8upr<i NeapoUm.

APPENDICE I.

I LAVORI DI lUNNOVAZIONK DELLA CHIESA IXCOMI>fCIANO AVAN- TI IL 1591. L'architetto è G. Antonio Ì)osio. Gli segur G. Iacopo Conforto.

Protocollo di NOTAR AsiELLO KosAxovA, 1590-91-&2, p. 226.

Conveutio et proraissio patri? dou lustino de Urso per mous. S.ti Martini.

Die septimo mensis lunii 4. e ind.is 1591 Neap. mastro Rayino Bregantino , Felice de Felice et Fabritio de Guido de Carrara

magistri marmorari in solidam atque R. Padre don lusti-

uo de Urso de Neap. Promettono consignare dicto nionasterio Sancti Martini tutte le marmore scranno nicessarie per la ec- clesia di detto moiiasterio et quelle lavorare di loro lavoro

a sodisfatioue del molto R.o p.re Priore del detto moiiasterio et del.... Gio. Antonio Dosio architetto in detto monasterio atque si debiano assettare et ponere a spese di detto monasterio et quanto prima si potranno finire non levando mani da detto la- voro per nisHiiua causa et questo per prezzo convenuto: il scor- niciato a ragione di carlini sette il palmo etc. etc. Et de più ditti mastri declarano avere receputo da detto monastero in di- verse partite insino a questo d.ti novecento cinquautaotto tari quattro e gr. tre per polize etc... quali detti mastri in solidum promettono di computarli al prezzo di detta opera de marmo lavorato per loro promesso consignare ut s.a e che si abia a fare

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bono a detti mastri tutto il lavoro di marmo per loro fatto nella Biicrestia, cioè nel altare, li dui piedestalle con le base de mar- mo stano sotto le colonne de studio a scalpello de marmo et si- inilemente li doi altari fora la chiesa a l'atrio comp.so piedi- stalli et ornamenti et così anco la manefattnra de sette porte et due fenestre grande et un'altra piccola fatte nella cella del dicto P. Priore de pietre de massa etc. e si pagano per conto loro a Cesare Bascape milanese marmoraro d.i centosettantano- Te per tante marmore vendute a detti mastri etc.

APPENDICE li.

I LAVORI DEL CHIOSTRO DAL 1623 AL 1631. CONTRATTO FRA

D. Petro Odorisio e Cosmo Fansago scultore k Nicola Botto scarpellixo. Il disegno è stabilito da ambedii. LE PARTI. L'architetto del monastero k G. Iacopo Con- forto.

I.

Protocollo di woTAB Fkancksco Positano, 1623, p. HÀH

Couventio et promissio Inter Sacrum Monasterum S.ti Martini et Cosmum Fansago et Nicolaum Botti die 6 Tbris 1632.

Die sexto m.s septembris 7.e ind.s 1523 tra D. Petro Odori- sio Priore etc. etc. « Cosmo Fansago de Bergamo scultore et Nicolao Botti de Carrara scarpellino sociis ad iir. Neapolim coiii- morantibus ».

Imp.is detti Cosmo et Nicola et ciascuno di loro in solidum ut 8. a s'obligano et promettono finire d.o claustro fra il ter. ne di tré anni numerandi dalli quindici del presente mese di set- tembre 1623 avanti conforme al disegno stabilito per esse parti: qual disegno s'haverà da sottoscrivere dall'una et l'altra parte fra otto giorni da boggi, et aflinchè «letta opera se continui sen- za esser tralasciata do Cosmo promette ponete d.i duecento d< suoi proprii dinari per compra di marmi nella prima barca clif verrà carica et ([uelli lavorare et far lavorare in d. Claustro et fatto che sarà il primo arco si bavera da misurare, et il <1 Monasterio si debba tenere in mano tanta manifattura quanto

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ascenderà alla suraiua de d.ti dueceuto, et fatto detto primo ar- «o il d. Monasterio pagherà a d.o Cosmo li detti d.i dueceuto che lui bavera sborzato per compra di detti marmi. Ben vero, d.o Mouasterio si tenera in mano tanta manifattura di d. p.mo arco, che imiwrterà la aumma di d.i ducento , et così sempre continuerà sin che sarà intieramente finito d.o Claustro di te- nersi in mano d.o Monasterio la manifattura che imi)ortarà la summa di detti d.i duecento.

2. Detti Cosmo et Nicola et ciascuno di loro in solidum ut s.a s' obligano et promettono di dare al d.o Mouasterio tutti li marmi che saranno necessari per 1' opera di d. Claustro sopra il Molo di questa fidelissima città di Napoli condotti a spese d'essi etc. etc. etc.

3. Che d.o Mouasterio sia obligato di pagare a d.o Cosmo

il prezzo delli marmi che farà venire per l'opera di d.o Clau- stro, quali consignerà sopra il molo e di fare condurre a sue

spese detti marmi dal d.o molo di Napoli insino dentro il cor- tiglio di d.o Monasterio dove si haveranno da lavorare.

4. Che tutti li marmi lavorati et corniciati cosi dritti come storti s' abbiano da pagare a d.o Cosmo a grana trenta il pal- mo, inclusa la secatura in d.a misura etc.

5. Che il Cornicione et Cimasa di sopra s'habbia da misura- re primo il scorniciato quale s'abbia da pagare a rag:ue di car- l.ni tre il palmo et il piano del Cornicione che non sarà scor- niciato si habbia da pagare a grana ventidue e mezzo il palmo.

6. Che le colonne che s'haveranno da ponere in d.o Claustro debbono essere di palmi undici e mezzo di lunghezza et la gros- sezza di palmo uno et oncie nove et si debbiano misurare alli due terzi nella parte di sopra et quelle colonne che si trova- ranno de una oncia e mezza di più d' uu palmo et nove oncie se li faccia buono a detto Cosmo.

7. Che detti Cosmo et Nicola, et ciascuno di loro in solidum ut s.a siano obligati come promettono fare l' archi di quattro pezzi con la sua cartellina in mezzo et tutti detti quattro pezzi debbiano essere d'una medisma misura; oltre d.a cartellina.

8. Che detti Cosmo et Nicola et ciascuno di loro in solidum ut s.a siano obbligati come iiromettono far venire uu pezzo di marmo sano quatro, dal quale si possano cavare tre pezzi torti quali haveranno da servire per gli archetti sopradetti etc. etc.

S2

y. Che (letti Cosmo et Nicolsi et ciascuno di loro in solidmn ut 8. a siano obligati fare tutto d'un pezzo quello che va so])ra il Capitello domandato il trino, da «[uale si piglia la volta ih- due <trchi.

Segnano patti per In buona CHecitzionc non importanti.

14. Che il d.o Monasterio sia obligato ad ogni richiesta di detti Cosmo et Nicola darli calce, ferri et fune <iuali haveran- no da servire per l'opera di detto Claustro solamente.

Altri capi pei ferri , i pagamenti agli operai, hi coniinnitò del- l'opera.

19. Che mancando d.o Cosma et Nicola di continuare il la- voro di d.o Claustro et quello perfectionare per il d.o tempo di tre anni nel modo come di s.a. In tal caso sia lecito al Mona- sterio seuz' altra richiesta pigliare altri maestri per far tinire d.a opera a tutti danni spese et interessi di detti Cosmo et Ni- cola et di ciascuno di loro in solido, delli quali danni, spese et interessi siano tenuti come promettono starne alla semplice pa- rola delli R.di P.ri di d.o Monasterio senz'altra prova etc.

20. Di pili detti R.di P.dri, Cosmo et Nicola dichiarano che non ostante esso Nicola in solidnm con d.o Cosmo si sia obli- gato a benef.o di d.o Sacro Mon.rio fare il sodetto Claustro nel modo ut s.a nulla di meno il capo della sudetta opera è il d.o Cosmo.

Sottoscrivono il priore , il vicario e i monaci « in pectore man religioso ». Cosmas et Nicolaas, tactis scripturis, unde etc.

Index Erancisco Vitaliano de Reapoli regio a<l contractos, lie- lisario Corenzio, Roderico Miranda, hispano. Iacinto de Angelo. Clemente Basile et Gaspare Tornei lucchese.

II. Monasteri soppressi, 2154

1. J (Il 8 di gennaio 16 2H.

Al Sig.r Cav. Cosimo Fanzago nostro partitario delli lavori di marmi per servizio del Clausiro del nostro Monasterio et per lui a M.ro Andrea Lazzaro suo complimentario.

2. A di Xhre 1625.

Il Sig.r Cosimo Fanzago e Nicola Botti hanno fatto un rea»-

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sunto (li tutto il lavoro e veudita de niaiuii con misura fatta dal I. Gio. Giacomo di Conforto archUetto di S.to Martino a (inel tempo con li prezzi fatti dal d.o architetto come ai>pare nel libro del d.o Procu.re etc.

APPENDICE III. Paktita saldata coi. cav. Fanza<;«) il lt521 a 28 makzo k

ISTRUMENTO FRA IL MONASTERO DI S. MaKTIXO K DETTO t'A- VALIERK dell' ANNO 1656.

Partita saldata il 1651 a 28 marzo, venerdì.

Al Monastero di S. Martino seicento trenta tré Vg e per esso con polizza di D. Macario Monno Priore di d.o Mouast.o e per esso al cav.r Cosmo Fanzago à compim.to de d.ti tredici milia seicento, e tre, t.i tre, attiso l'altri d.ti 13403.3 l'have ricevuti in più volte di contanti e per tutto li 20 di febraro pass.to 1631 quali d.ti 13603.3 se li pagano, cioè d.ti 6664.2.10 per la fat- tura del lavoro , e ponitura in opera del suo nuovo Claustro, misurato di esperti eletti da tutte due le parti. L'opere fatte, e misura alla ragg.e convenuta, e stabilita nell' Instr.o se ne stipulò l'anni iiassati, cioè il lavoro scorniciato importante pal- mi 21.128 e onze quattro a rag.e di gr. 30 il palmo, et il La- voro piano solerà il cornicione importante palmi 1449 et onze 10 à grana 22 V2 *1 palmo, d.ti 240 per fattura delli riscontri in- tagliati in contro le colonne , che sono n. 60 a d.ti 4 l'una = ■56.2, per le borutte picciole intagliate nelli posamenti dell'Arco di dentro e di fuori, che sono n.o 1881 a carili 3 1' una = 270 per le menzole intagliate nelli serragli dell' archi di n.o 60 a rag.e d.ti 4.2.10 l'una, = d.ti 252, per li fiori di pardiglio com- messi nelli piedi dell' archi sopra li capitelli, e l' altri sopra li serragli dell'archi che sono n.o 120 à car.ni 21 l'uno, d.ti 56 per le borghie commesse nel fregio di pardiglio n.o 56 a car.ni 10 l'una. d.ti 128 , per li vasi sopra il cornicione n. 32 a d.ti 4 l'una. d.ti 100 per le due basi o jiosamenti l'uno sotto la sta- tua grande di n.ro sig.re resuscitato e l'altro sotto la statua della Madonna Santiss.a. d.ti 240, per l'altri 6 posamenti delle sei altre statue poste tutte sopra il cornicione del d.o Claustro

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a d.ti 40 l'uno, d.ti 20(0) , per otto cautara con le pietre per- tusate poste sopra l' astreco del d.o Claustro per dove va l'ac- qua alla Cisterna, d.i 3000, per le sette porte grande fatte Del- l' angoli del d.o Claustro senza le mezze statue , che verranno nelli nicchi, d.ti 16, per li 4 strafuri uelli portilli della Cisterna nuova, d.ti 40, per due fonti di acqua santa di marmo pardi- glio poste nello cap.lo delli Monaci, d.ti 24, per la fonte di i>ar- diglio fatta nel Refettorio, d.ti 200, per li 4 vasi con lo zoccole l>08ti sopra li frontispìtij delle due cappelle vicino l'altare ma- g.re, e di dui cartilloni con le croci in mezzo di d.i front isjtitij e cartille vicino alli Cai'tilloni tutti commessi, d.ti 35, per ba- vere ritagliate le jiunte dell' Altre 7 poste nelli pavimenti del Cap.lo e Colloquio e aggiustatile, e ritoccatile iu opra, d.ti 100, per fattura di diversi residij fatti per casa apprezzati per d.ti 123.2.10 e pagatine solam.e s. d.ti 100. d.ti 308.4.5, pei diver- si lavori scorniciati fatti per casa , inclusivo la porta grande quando si sale al Colloquio, e le finestre con le Cancellate vi- cino la porta del P. Priore misurata pel palmi 617 ed once 8l' à car.ni cinque il i)almo. d.ti 77.3.2, per fattura di diversi la- vori piani fatti jier Casa misurati per palmi 334, et ouze 82 a gr. 22 il palmo, d.ti 68.1.7 t., per tutte le liste di pardiglio fatte nel pavimento del Cap.lo, e Colloquio, et in altre parti misurate pel palmi 147 et ouze sei à car.ni 4 '/^ il palmo, d.ti 83.2.16 , per tutto il lavoro scorniciato fatto et posto iu oiwra nelle due cappelle vicino l'Altare niag.re e che sono palmi 12^ a car.ni 6 il palmo, d.ti 2t0.2 per fattura delli 16 portille po- ste e da ponerse in ojìcra nelle due cappelle vicino 1' Altari- mag.re e nelle due altre iu mezzo la Chiesa misurate per palmi 416 e car.ni 62 il palmo, d.ti 446.3, per tutti li lavori de qua- dri de miaco posti e da ponersi iu quattro cappelle , cioè due in mezzo la Chiesa, misurata per palmi 406 h car.ni 11 il i>al- mo d.ti 92, i)er quattro boifettini senza li piedi, per d.e due cappelle vicino l'Altare mag.re così apprezzate, d.ti 15, per dui risaldi fatti sopra li membretti di d.e due cappelle, che manca- vano, d.ti 8, per 16 cartelline intagliate, che mancavano uelli lati delli quadroni di mischi di d.e duo Cappelle finite , e d.ti 800 jHjr tré statue fatte intiere e poste sop.a il cornicione del Claustro, cioè S. Bruno, 8. Martino, e 8. Pietro, e tré altre fi- nite, eli' erano al)bo/zatf . ciot' N.<> ^•■j'.r" resiiscitnfo , !^. Gio.

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Batt.a e S. Paolo, et un'altra di S. Lucia, che l'iiave iiolita, e fattocc uua mano, come il tutto ap^iare dell'apprezzo, e misura fatta per com.ni esperti moderata in alcuno cose , et altro le- vatole in tutto di consenso di d.o Cav.r Cosmo, restando intie- ram.e sodisfatto di quanto potisse pretendere per li lavori men- tionati in d.a iioliza , et altri non nominati fatto sino à 2 del p.nte , eccetto 1' opere del Cimiterio , pavim.to del Claustro, e quella i)arte del lavoro fatto nelle due Cappelle di mezzo della Chiesa non nominato in d.a polizza e per esso h Giusepi^e Moz- zillo per altrettanti seti 333.3.

Noi Governatori del Banco di S. lacovo e Vittoria facciamo fede etc.

La copia è del 28 di settemire 1655.

Dopo del qual tempo il d.o Cav.r Cosmo ha fatto similm. e per eervitio di d.o Monasterio l'infra altre opere, e lavori, cioè conf.e hoggi si ritrova, il lavoro della nave della Chiesa, conf.e al p.nte si ritrova, la cappella di S. Bruno, il pavim.to delle camere del P. Visit.re con finestre e con porte di pietre di massa , il pa- vim.to delle 4.tro navi del nuovo Claustro, il pavimento della Cai)pella di S. Martino, il lavamano del Choro de frati, l'Arco della Sacristia, la porta del Capitolo, la porta della Maddalena, la grada dell'Aitar Mag.re del Choro, la porta di marmo del P. Vis. re, che va alla parte fuori, il nicchio del Choro, il pa- vim.to del tisoro, il pavim.to del Choro, li sei piedi delli tavo- lini, le spallare dell'atrio della Chiesa , il cartillone del Pozzo delta porta di mezzo, il pavimento sopra la grada del Capitolo, li lavori fatti nella Chiesa di fuora delle Donne , cento venti rose fatte da d.o Cav.r Cosimo , j)arte di esse jjoste nel nuovo pavim.to della Chiesa, le cinque statue sopra le porte nel nuovo Claustro, quali opere e lavori come di sopra fatti sono stati tra esse parti valutati d.ti quarantanno milla e cinquanta quattro , come appare dalla lista firmata di propria mano di d.o P.re Priore e Cv.r Cosimo, quale si unisce originalmente nel p.nte contratto ed è del tenor sequente v.l.

Segue la nota, poi la nota dei diversi pagamenti pei' 48,234,415 1 la differenza si computa a conto del Fansago.

Si dichiara di piìi che oltre li sud. ti D.ti 42,234 t.ri J,15 di- scritti nell'inserto bilancio d.o Cav.r Cosmo ricevi in tempo della pr.ta fabrica del d.o K.mo P.re Vis.re D. Andrea Cancelliero

;>(»

«l.ti settecento in conto de quali esso Cav.r Cosmo consignò a »l.o Keal Monast.o due giarre di tìori di ricami, uno «piadro della uegation di Pietro di mano de Caravaggio, quale sta lioggi po- sto sopra la porta della Sacristia, o dui altri quadri di mano del Ri vera, quali due quadri del Rivera si restituirono ad esso Cav.r Cosmo, di modo che d.o Real Monast.o per saldo di dtti sette- cento restu creditore di d.o Cav.r Cosmo in d.ti quattrocento così d'accordo fra esse parti.

Di piìi d.o Cav.r Cosmo oltre la pr.ta quantità ha similm.e ricevuto dal d.o Real Monasterio altri d.ti 150 per lo banco del Spirito Santo in conto di d.ti lavori, quale somma etc. etc.

In oltre si dichiara che d.o Cav.r Cosmo ha ricevuto dal d.o Reat Monast.o libre 36 di lapis lazuli quali ha da restituire ò nel med.o lapis lazoli à lui consignato, ò vero psigarli il prezzo à quella media rag.e che d.o Mon.io 1' ho comprato , essendosi così esso Cav.r Cosmo obligato, come per sua ricevuta appare. e come che nel sud.o saldo fatto dell' anno 1631 fra l'altro vi fu incluso, e rimase à carico di d.o Cav.r Cosmo di far le por- tine delle Cappelle della Chiesa di Marmi scorniciati , conf.e «luelli che sono nelle Cappelle di S. Martino, et della Madonna, come appare nella praeinserta partita, perciò si dichiara che del jtrezzo di d.e p(»rtille d.o Cav.r Cosmo ne resta debitore al d.o Monast.o, e cosi anco in tutie quelle altre opere incluse in d.a jiartita quali non si trovassero sin hoggi perfettionate , ò pure «■ssendono fatte fossero state pagate dal d.o Monast.o dopo d. saldo dell'anno 16.51.

Si dichiara ancora che quando saranno finite le statue di 8. Geronimo e di S. Gio. Batta , havendo esso Cav.r Cosmo l'in- combenza di ritoccarli dovrà conseguire ]>er l'intiero jirezzo di d.o lavoro d.ti 300.

Similm.te si dichiara clic d.o Cav.r Cosmo resta creditore di d.o Real Monaster.o in d.ti centododici e t.ri 3 per complini.ti delli stucchi della Cappelpi di S. Gennaro.

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Volumetti pubblicati

H, 1. F. DE S^NCTIS- Un Viaggio elettoralet

parte 1,

» 2. F. DE S/INCTIS - Un Viaggio elettorale»

parte Jl.

» 3. li. SETTEMBRINI - Una protesta'del po- polo del regno delle Due Sicilie-

4. B. CROCE - Leggende napoletane, serie I.

» 5. V. IMBRllflNI - Mastr' Impicca, fiaba,

> 6. V. SPlWZZOIift-li'iArte e il Seicento in Napoli (alla Certosa di S. Martino).

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