i cura ra deli Pa = a La i ; ; ta i i sesoriona Sarsegita e a can Lia lai fim, n - SOT Rigi i n si Di ee A i 7 " lare ao RE Lo dg AIA ur La di Di TERen ri i ALL) i 4, x edi Pai 3 ' $i RR h Ù Pa; È ‘ “n / di = CI ì - D b Pi 3 ; A 1 . / ; % lp a ’ i na P, _ lf r i . a 4 , CU } AN Ù è I . î BA - x - » s ’ PTRORIASDARWINIANA: 00 BE ra Bi A, patiti , "DITTA INDIPENDENTE + Ì x fo nari men i n di s È CA ° CR To, GMUSEPRO DIANGCONI “1 /C o 3 c.d rammonco abi. quniaiià pil'egegini ST r . ‘ defi do : 4 _ tia OR rn Ce sa hi RT 1a 1 ni. vaso | } ol SA Li î È î DLE "MARC IR RS IT ai) LETI IAT BORN O E I lrn gh ATEI LA 1 Le LA TEORIA De (REAZIONE ETTA INDIPENDENTE PER ( GIUSEPPE. BIANCONI GIÀ PROFESSORE NELLA UNIVERSITÀ DI BOLOGNA LETTERA AL SIGNOR CARLO DARWIN TRADOTTA DAL FRANCESE DAL DOTT. G. ANTONIO BIANCONI DELLA ACCADEMIA DELLE SCIENZE ld RIVEDUTA ED ACCRESCIUTA BOLOGNA PRESSO NICOLA ZANICHELLI SUCCESSORE MARSIGLI E ROCCHI MDCCCLXXYV. t Proprietà lette raria * d* “ La L) ij BOLOGNA. TIPOGRAFIA FAVA E GARAGNANI x x «7 - sata ù . i . x = ì : r ud T Nu ” % j ei ; iti é 9 è na x P.: Ù x È, _ " Ro 9 a j = 7 ja i A E ua È dre a n Si n RI suine L’ EDITORE A CHI LEGGE Poichè la prima edizione francese di questo importantissimo lavoro si è in breve tempo esau- rita, io ne presento al pubblico la traduzione italiana condotta fedelmente dal Figlio stesso del chiarissimo Autore, e da questo arricchita di no- tevoli aggiunte, massime sul Tipo DEGLI ARTICOLATI. Dal canto mio non ho mancato di spenderci attorno le più diligenti sollecitudini perchè |’ e- dizione riescisse al possibile nitida e corretta. Bologna, Novembre 1874. pet ri Tate PT a “ita à v i Tpalpr. sta, cAos pot a A LILIAN TAR RSI) Ca std, dpi LO , ° e è po Palli î RI e La LETTERA AL SIGNOR _ CARLO DARWIN. SIGNORE, Indirizzandomi a voi con un pubblico scritto, questo certamente non può riguardare che l’ argomento del giorno. La celebrità che fregia il vostro nome, chiama tosto alla mente la Teoria Darwiniana. E appunto so- pra questa teoria vi scrivo; ma più precisamente in- torno ad alcune osservazioni suggeritemi dal vostro libro — De la Variation des Animaux et des Plantes. — Io ben mi conosco sfornito di non pochi titoli, da pren- dermi licenza di volgermi a voi; perchè il mio nome vi è del tutto ignoto, e le convinzioni da voi seguite nel vostro pregevole lavoro non sono certamente quelle che io professo. Tuttavolta avvi un terreno neutro fra noi due; voi cercate la verità in buona fede; e anch'io la cerco sinceramente. Sopra questo terreno dunque po- tremo intenderci; e perciò ardisco sperare che voi non isdegnerete ch'io vi diriga questa mia Lettera. Non già la selezione naturale, nè l origine delle specie fermano al presente la mia attenzione. No; ma 4 UNIFORMITÀ DI ORGANISMO è un’altra questione, che voi avete posta innanzi assai nettamente e con tutta chiarezza nel vostro libro, cioè: « Nella dottrina degli atti di creazione indipendenti, » come si fa a spiegare la conformazione sovra un piano » comune della mano dell’uomo, del piede del cane, » dell’ ala del pipistrello, e della paletta della foca?.... » mentre la si spiega molto naturalmente mediante il » principio della discendenza, congiunta colle modifica- » zioni recate dalla selezione naturale » (1). Leggendo queste parole ho lungamente riflettuto: è poi veramente cosa impossibile, darsi ragione, mediante la dottrina di atti di creazione indipendenti, della unità di piano che si vede nella mano, nella zampa, nell’ala, nella pa- letta; o, più esattamente, spiegare ciò che si chiama unità di piano nell’ organismo degli animali? Riflettendo accuratamente su questo problema mi è sembrato, o Signore, che codesta impossibilità non esista affatto. Certamente, se sì ammette sulle vostre orme la fi- liazione delle specie per selezione naturale, o per l' in- sieme delle cause modificanti, è cosa naturalissima, e dirò anzi facilissima concepire che un medesimo dise- gno, un medesimo piano trapassi dall'una specie all’ al- tra, dall’ una all’ altra famiglia. Voi stesso l'avete rile- (1) Darwin. De l Variation des Animaux et des Plantes, Traduit per Moulinié. 1868 8.9, T. IL pag. 13. FILIAZIONE DEGLI ESSERI 5 vato dicendo (1): « Secondo la mia teoria, l' unità di tipo si spiega per l’unità di origine ». Se dunque si suppone che si passi per gradazioni genetiche nume- rosissime dalla foca al cane, al pipistrello, all’ uomo, si intende a prima giunta che il complesso degli ele- menti costitutivi della mano (le ossa ed i muscoli) di una di queste specie, sarà il complesso che si deve ri- scontrare nelle altre più o meno modificato; poichè in ultima analisi, è la medesima organizzazione che si ripete, ma modificata; è l’impronta di una eredità più o meno indelebile. Sia che noi seguiamo una serie discendente, o ascendente, troviamo in fine che la pa- letta della foca, nel suo fondo osteologico, miologico ecc. altro non è che la mano dell’ uomo degradata, o per converso è la paletta innalzata al grado della mano del- l’uomo. Imperocchè, seguendo questa teoria, i due esseri non sono che i due estremi anelli della serie, i derivati l'uno dall’ altro, cioè la foca è l'uomo deteriorato, 0 viceversa. E dopo ciò il numero, la disposizione delle parti che costituiscono la mano di una di queste specie, debbono conservarsi in tutti gli esseri compresi nella serie, per quanto lo permettono i diversi adatta- menti per nuovi usi. Così il levriero, ed il bull-dog sono il medesimo cane con piccole modificazioni e nuovi adattamenti. Così ancora se la zampa del cane passando per mille e mille forme intermedie diventa alla perfine (1) Darwin. Origine des Espéces, pag. 296. 6 FILIAZIONE DEGLI ESSERI l'ala del pipistrello, egli è ben necessario che le falangi si allunghino nel tempo stesso che si assottigliano; ma saranno sempre le medesime ossa, le medesime falangi, insomma i medesimi elementi che si modificano. Ecco dunque il medesimo piano che si manifesta sempre, che sempre si sostiene in forza della discendenza mutua, 0, come dicesi, della filiazione degli esseri organizzati. Tutto questo è spiegabile molto bene nella vostra teoria. Diciamo di più: anzichè 1 unita di piano, si ha ve- ramente la medesima cosa variata. E quando sì scorgono tanti punti di rassomiglianza nello scheletro dei verte- brati superiori, da potersi affermare con ragione che avvi in ciò unità di piano, od un solo concetto; si è condotti a trovare una spiegazione pronta e facile, col supporre che gli esseri discendono tutti da un solo e medesimo stipite. Ammetto io pure che tutto questo è naturalissimo, ed anche logico, qualora si sia accettata la teoria della mutua discendenza delle specie. Si oppone invece che non è così quando si con- siderano le specie come tanti atti di creazione indi- pendenti. Allora diffatti tutti gli esseri sono i prodotti di una causa libera, staccati gli uni dagli altri. Non vi è fra loro alcuna relazione genetica, eccetto che quella della dipendenza d’ origine da una sola causa comune. Sotto questo riguardo sì potrebbe dire che gli animali i più lontani fra loro sono tanto vicini, quanto i più congeneri: e che le farfalle ed il gatto sono tanto pros- e l CREAZIONE INDIPENDENTE simi, quanto il gatto ed il leone. Considerato secondo la propria natura, ciascun essere potrebbe esistere sen- za gli altri. Quella causa, quale si suppone, poteva di- menticare a suo piacimento alcune specie, o crearne an- cora di più, senza che la. serie o catena degli esseri ne fosse perciò interrotta, o sconcertata; giacchè non avvi un solo anello che sia geneticamente collegato con un altro. Le specie sono tanti concetti liberamente scelti ; insomma sono atti di creazione indipendenti. Che ciascun essere abbia in sè, secondo la frase di Cuvier, tutto ciò che lo completa, tutto ciò che gli abbisogna per conservarsi; questo è dimostrato dall’ e- same più superficiale. Ma se tutto questo è concepibile, na- turalissimo, ed anche strettamente logico nelle opere di una potenza creatrice perfettamente saggia; non si com- prende certo, a primo tratto, come due esseri lonta- nissimi l’ uno dall’ altro quali, per esempio, il pipistrello e la foca, siano in ultima analisi foggiati a un mede- simo disegno, sopra una medesima struttura. Ciò ch'io dico di due animali, dovrei dirlo di molti; di tutti quelli di un medesimo gruppo, per esempio i vertebrati. Alla vista di questo gran fatto, di un disegno cioè, di un piano comune che domina sopra un numero immenso di animali, come si fa a trovare un accordo fra que- sto fatto e l’idea di una potenza creatrice, onde quegli animali sono tanti liberi prodotti? Per quale ragione vi deve essere la medesima com- posizione osteologica, miologica ecc. nella mano del- l’uomo, del cane, del pipistrello, della foca? Come si 8 CREAZIONE INDIPENDENTE spiega questa tipica rassomiglianza? Chi poteva costrin- gere quella potenza a regole cotanto ristrette? Come mai immaginare che la potenza creatrice si sia imposta una costruzione tanto uniforme, una nità di piano così accuratamente osservata in ognuno de’ suoi pro- dotti? Sarebbe mai una fatale necessità? un capriccio? sarebbe egli un tirocinio, o sono tentativi? Ma che è Fssa mai questa potenza? Quale idea possiamo noi far- cene?..... Certamente o non si ammette per nulla affatto, ovvero si deve ammetterla come potentissima e perfetta- mente saggia (1). Queste due qualità sono due premesse, (1) O non si ammette per nulla affatto una causa creatrice, o conviene ammetterla in modo che dà luogo a considerazioni di un ordine molto elevato. — Che la piccola zanzara, che il moscherino, cui si stenta a vedere, sia fornito dell’ organo della vista, dell’ ol- fatto, dei mezzi per procacciarsi il cibo, per dare alla luce i suoi piccoli completamente, e così perfettamente come entro la loro sfera fanno l’ aquila ed il cavallo, è indubitato che vi è molta po- tenza. — Che l'occhio considerato sotto l’ aspetto dell’ ottica, o la costruzione dell’ uovo considerato secondo le leggi della fisica o della meccanica, godano di una sì alta perfezione come 1’ hanno fatta manifesta Newton, lord Brougham, Thomson, e molti altri; certamente vi è in ciò molta scienza. — Se si vogliano at- tribuire ad un concetto di codesta causa gli adattamenti, le armo- nie di mezzo e fine, che il sig. Darwin ha indicato in parecchie delle sue belle pagine, (Origine ece., pag. XVII, e pag. 6 e 91) allora bisogna ritornare alle idee di Voltaire, quando parla della gran- d'arte. Considerate in questo modo le opere della natura o della granl' arte, si potrà bensì, se si voglia, non ammettere per nulla una causa creatrice; ma se si ammette, si vede che essa è potentis- CREAZIONE INDIPENDENTE 9 la cui inevitabile conseguenza è «n4 completa libertà d'azione. — Ora una sì fatta libertà esclude ogni idea di vincolo, di regola da seguire. Pur tuttavia una regola seguìta, un disegno comune preconcetto, un piano man- tenuto fino alle più minute particolarità, si fa palese ad ogni tratto, sia nei mammiferi, sia negli uccelli, nei rettili, ecc. ecc. Libertà di azione e servile osservanza d’ unità di piano, sono, come dicesi, una flagrante contradizione (1). Allora che fare? Se la idea della unità di piano è in- conciliabile colla idea di una creazione per atti indipen- denti, siamo naturalmente tratti alla primitiva ipotesi, a quella cioè di un primo stipite, che sviluppandosi si mo- difica dall’ una specie all’ altra. Si ha allora la discer- denza con variazione, che sola porge la spiegazione della rità di piano. Abbandonando la dottrina di una potenza creatrice, e attenendosi a quella di una discen- dlenza con variazione, si mette in accordo la natura colla osservazione. Queste due dottrine dividono dunque, o se vuolsi, hanno già divisi gli Scienziati sul punto della origine sima, e perfettamente sapiente — Queste poi sono le parole stesse usate da Voltaire: « La macchina del mondo, è l’ opera di un essere sovranamente intelligente, e potente » (Jenni, 315) — Si può consultare ancora Newton. Opticae, II. quaest. 28 e 31. (1) « .... Supporre una sì grande conformità, è in ultima analisi negare al Creatore nella espressione del suo pensiero una li- bertà di cui gode lo stesso uomo. » Agassiz. De l Espéce, pag. 28. 10 CREAZIONE INDIPENDENTE delle specie. Ma i partiti si sono di già pronunziati,. ormai non si guardano più l'un l'altro. La prima dot- trina, cioè quella di una creazione indipendente, a quanto se ne dice, ha già finito il suo tempo; è passata al grado di res judicata, di una anticaglia incompatibile con qualsiasi progresso scientifico. L'altra, è quella che voi in fin de’ conti credete la vera (1); il che è logico dietro le vostre premesse. Ma altri Scienziati hanno aggiunto che questa teoria è la sola che abbia una esi- stenza scientifica (2); lo che vale a dire in conclusione che la dottrina delle creazioni indipendenti è sprovvista di scientifico fondamento. Questo grandemente mi sor- prende; parmi infatti che quello scrittore inglese che ha formulato in tal guisa il suo pensiero, non abbia ba- stevolmente ponderato la forza della sua asserzione, perchè, se egli giudica realmente di tal maniera, mani- festa di non conoscere abbastanza bene nè la opinione che combatte, nè l’ opinione propria. Al giorno d'oggi i partigiani della teoria della di- scendenza organica, le attribuiscono tutta la importanza di cui è suscettibile. Lo che è giusto, per quanto hanno di solidità i loro concetti scientifici. Ma con molta fa- cilità si disprezza la dottrina delle creazioni indipen- (1) Darwin. Variation ecc., pag. 13. (2) Huxley. De la Plance de l Homme dans la Nature, pag. 242. 5 to) CREAZIONE INDIPENDENTE 1l denti (1). Noi siamo certamente disposti a rispettare il valore dei fatti presentati in favore della prima teo- ria. Ma richiediamo altresì che non si pregiudichino in precedenza le questioni senza averne prima fatto un esame scientifico. Non si pretende già che si rispetti la dottrina delle creazioni indipendenti per questo solo, che essa è stata rispettata per molti secoli. Nulla di ciò. Noi ci collocheremo sopra un nuovo terreno, e in piena luce. Dichiariamo che avremo riguardi solo a ciò che in questa dottrina riesce dimostrato, supponendo che v' abbia pure qualche cosa di dimostrato. Gli avversari non dovranno per nulla adombrarsi di questa dottrina, se è respinta dalla scienza; ma quando la scienza ve- nisse ad appoggiarla, io credo bene non rigetteranno il verdetto della scienza. Di mezzo a queste controversie, e diciamolo pure, fra queste aspre collisioni, il problema che voi avete, o Signore, posto innanzi stabilisce una posizione netta sulla quale vanno a discutersi le ultime questioni. Noi abbiamo già più sopra riportato questo problema: nulla- meno è opportuno richiamarlo qui novellamente: -— (1) È notevole a questo proposito una facezia tratta dal Wag- ner, che cioè alcune opinioni, che si riferiscono alla creazione indipendente, « erano assai generalmente considerate come parruc- che antiche, e fuori di ogni progresso scientifico ». Vogt. Lecons sur l’ Homine, pag. 620. — Certamente qui avvi una distrazione mentale. 12 NATURA E GRAND ARTE. Nella dottrina degli atti indipendenti di creazione, come spiegare la conformazione sovra un piano co- mune della mano dell'uomo, del piede del cane, del- l'ala del pipistrello, e della paletta della foca ? Ora il problema così formulato addiviene una ob- biezione fondamentale contro la dottrina della creazione indipendente. È in certo modo una sfida, um guanto git- tato alla opinione antica. Mi farò io a raccoglierlo? No. Ma credo pur tuttavia pienamente confutabile la obbie- zione che voi, o Signore, avete presentata, e sono per- suaso che la «n/d di piano non sia un marchio di inconciliabilità colla dottrina di una creazione per atti indipendenti. Prima d' entrare direttamente nel nostro argomento, mi è necessario premettere qui alcune osservazioni generali. Voi, o Signore, avete usato la parola Natura, ed anch'io ne debbo usare. Per noi questa parola è la grande arte, secondo la frase di Voltaire, dietro alla quale è l’ artefice. Voi avete, alla origine delle cose, le forze e la materia; ma noi ci sospingiamo ancora un passo più addietro, cioè noi abbiamo una prima potenza. Ecco il fondo delle due teorie. Una volta che siano bene stabilite le loro differenze, e siasi chiarito il signi- ficato delle parole, gli equivoci e gli errori potranno eli- minarsi dalla nostra discussione. NATURA E GRAND ARTE 13 Premettiamo ancora qui una specie di postulato. — Le leggi di statica, di equilibrio, e più generalmente le leggi di meccanica e di fisica, stabilite dall’ ordina- tore universale, che regolano l’arte umana, reggono del pari l’arte della natura nelle sue costruzioni mec- caniche e fisiche; e così pure queste leggi del mondo fisico, in quella guisa che imperiosamente si impongono alla piccola arte umana, s' impongono del pari alla grande arte della natura. Non si pretenderà senza dub- bio che vi sieno due meccaniche, due fisiche ecc. Quello che è impossibile meccanicamente all’ uomo nella sua piccola sfera, lo è similmente per la natura nella sua sfera immensa (1): e ciò che è una necessità meccanica (1) È evidente che è del pari impossibile per la natura come per l’arte umana, il fare sì che un grave stia fermo senza una base di sostegno, che un mobile si sposti senza un impulso com- petente ecc. « Avvi..... (dice un grande fisico a riguardo di al- cune questioni di meccanica animale) avvi.... in queste considera- zioni di che calmare tutti gli scrupoli: niuno è tenuto all’ impos- sibile, nemmeno la natura; e voler cercare nelle sue opere il mo- vimento di rotazione continuo, ci sembra tanto îrragionevole quanto domandarle di fare un animale incombustibile. » Foucault. Jour- nal des Sarants, 1871, mars. — Qualche scrittore si è opposto forte- mente al metodo di osservazione che sottopone la struttura mecca- nica degli animali e delle piante a quegli stessi calcoli co’ quali si analizzano le macchine dell’uomo. Non sono ancora state date le ragioni di questa opposizione: ma per contrario si vede che lo stu- dio razionale degli esseri organici si fonda sempre nella subordi- nazione, e nei rapporti che questi esseri tengono colla meccanica. colla fisica, colla chimica, colla fisiologia ecc. Piene di scienza e di 14 UNITÀ DI PIANO per l’uomo, lo è altresi per la natura. Dal che risulta che i lavori meccanici naturali sono perfettamente cal- colabili, secondo i principii generali di questa scienza; aggiungendo peraltro che vi hanno delle applicazioni d’ ordine superiore di queste scienze, che non sono sempre accessibili alla scienza di cui l’uomo presente- mente dispone. Così l’ occhio aveva preceduto Newton e Dollond nell’ ottica; le vie del fulmine erano rigorosa- mente determinate prima che si conoscesse la elettri- cità ecc. E la scienza è ben lungi ancora dall’ aver pro- nunziato la sua ultima parola. Sarà del resto assai difficile il restringersi all’ esame delle parti che voi proponete, cioè alla mano dell’ uomo, alla zampa del cane, all’ ala del pipistrello, ed alla paletta della foca. Per quanto si voglia rimanere nei limiti del problema, sarà necessario in qualche caso uscirne per ricorrere ad altri esempi, e trarre da altre parti del- l'organismo, oltre quelle superiormente accennate, al- spirito sono le osservazioni di questo genere del Prof. Van Beneden (Bullet. Acad. de Belgique, T. V. pag. 578) del Foucault qui citato, e di molti altri, fra quali posso ora aggiugnere il Prof. Marey, la cui opera (La Machine animale, 1873) oggi soltanto è venuta a mia cognizione, e nella quale così si esprime. « Assai di sovente, ed in ogni tempo si sono paragonati gli esseri viventi alle macchine, ma è soltanto a’ nostri giorni che si può comprendere la portata, e l’aggiustatezza di questa comparazione... Questo confronto degli animali alle macchine non è soltanto legittimo, ma è pure di una utilità somma sotto diversi aspetti... » pag. V. UNITÀ DI PIANO IE cuni fatti che valgano a meglio chiarire la questione, od acconci a renderne agevole la intelligenza. Si cono- scerà, io credo, che bisogna prendere qualche volta la ricerca nel suo complesso, e che è forza discendere a particolari e schiarimenti, che si potrebbero giudicare troppo minuti od inutili, se non fossero richiesti per qualcheduno a cui probabilmente questo libro verrà nelle mani. Non tutti per esempio hanno le idee hen giuste, nè sempre chiare abbastanza sulla unità di piano. Sa- rebbe infatti cosa difficile porre in grado ciascun lettore di conoscere se avvi conciliazione possibile fra questo dettato della scienza e la dottrina delle creazioni indi pendenti, qualora egli non abbia perfetta conoscenza dello stato della questione. Per risguardo di questa prelimi- nare difficoltà, dirò sulle prime qualche parola intorno alla unità di piano. I UNKEAEDI PEANO La nozione della unita di piano si rende ognor più facile seguendo le orme da voi segnate (1). La mano dell’uomo è provvista di cinque dita, e di una regione carpiana, composte quelle e questa di un numero de- terminato di pezzi ossei. Cinque dita ed un carpo si trovano similmente nel cane, nel pipistrello, e nella foca; di più in tutti si trova presso a poco uno -stesso numero di ossa, una medesima posizione relativa, e in molti casi una grande rassomiglianza di configurazione (1) Si conoscerà da ciò che segue, come qui si prendono le parole unità di piano, unità di composizione ecc. nel senso più co- mune, vale a dire, di una rassomiglianza di parti, di una ricom- parsa dei medesimi elementi, di una ripetizione delle stesse connes- sioni, e della persistenza di un disegno fondamentale. Se queste con- siderazioni non assorgono al grado delle idee di Geoffroy St. Hi- laire, di Meckel ecc., servono tuttavolta alla teoria qualora si tenga in una regione meno elevata. D'altronde per xità non s'intende già identità, come del pari si intendono due cose ben differenti per piano e per composizione (disegno e materiali); la quale distinzione non è necessario rispettare nella discussione che siamo sul punto d’in- traprendere dopo l’ avviso datone qui. — Per maggiori schiarimenti può consultarsi Flourens. De ? Unité de composition, Paris, 1865. DI De, 18 EVIDENZA DELLA UNITÀ DI PIANO delle ossa medesime, delle facce, delle connessioni ecc. E codesta sorprendente uniformità si riscontra in quat- tro costruzioni sì distanti fra loro, quali una mano, una zampa, un’ ala, una paletta! Di leggieri si comprende che qui vi deve essere qualche cosa di comune; che una idea primitiva, un prototipo, un disegno generale domina in mezzo alla più grande difformità di queste costruzioni. È un’ unità di piano che è modificata nelle quattro forme sopra in- dicate, per l’addattamento di ciascuna ad usi dispara- tissimi. Herder ha formulato questo pensiero quando ha detto, che è un #po esemplare il quale si modifica di mezzo alla più copiosa varietà (1). Se una omologia delle parti si manifesta pel sem- plice esame delle quattro estremità che noi abbiamo considerate, che cosa si dirà poi quando si rivolga l' at- tenzione su tutti gli animali vertebrati? Quanto più chiaro ed attraente si porge al nostro pensiero il dato scientifico della unità fondamentale di organismo! Nella maggior parte de’ vertebrati (mammiferi, uccelli, ret- tili, batraci) veggonsi quattro estremità, o servano alla corsa, o al salto, o al volo, o al nuoto. In tutte queste estremità, niuna eccettuata, trovansi tre parti principali, un braccio, un avambraccio, una mano; e nella mano un carpo, un metacarpo, e le dita; oppure (1) Geoffroy St. Hilaire. Zoologie générale, pag. 79. UNITÀ DI PIANO 19 un femore, una gamba, un piede. Anche allorquando mancano le estremità non iscompare però il principio della unità; negli ofidiani la colonna vertebrale, e. le costole ci rammentano ad evidenza l’ asse fondamentale di ogni organismo vertebrato, egualmente collocato, similmente costituito, ed anche parimenti disposto: di guisa che può dirsi che dappertutto avvi una stessa costruzione ed un medesimo disegno generale. Per conseguenza tutte le altre parti dell’ orga- nismo, ogni altro sistema, ciascun apparecchio dei vi- sceri mantiene il disegno generale del grande insieme dei vertebrati. Da ultimo, l'unità di piano esiste pienamente ma- nifesta; e si arriva a comprenderla anche senza ricor- rere a certe vedute eccessive proposte da qualche ana- tomico. Tutto ricorda un tipo; e, come voi stesso l' a- vete detto (1), « per unità di tipo, bisogna inten- dere quella rassomiglianza fondamentale che si riscontra nella struttura di tutti gli esseri organizzati della me- desima classe. » E del pari, come ha detto assai bene il Flourens (2). « Quasichè la natura fosse sottoposta ad alcuni dati primitivi la sì vede propendere sem- pre a fare ricomparire gli stessi elementi, nello stesso numero, nelle stesse circostanze, e colle stesse con- nessioni. » (1) Darwin. Origine ece., pag. 296. (2) Flourens. De l Unité de composition, pag. 7. 20 UNITÀ DI PIANO Certamente, a primo tratto, il più semplice ragiona- mento ci conduce a giudicare che tornava meglio fog- giare «organi diversi per usi diversi, e con elementi dz versi. Diffatti qual ragione vi era di collocare sette pezzi nel carpo della foca, perchè nel carpo umano ve ne sono otto (1)? La paletta di questo nuotatore, ravvolta negli integumenti, rimane quasi immobile, e ciò non- dimeno, provvista di un apparecchio complicato come quello della nostra mano, che è la più libera e la più mobile di tutte! Non è cosa evidente che è soltanto per causa della unità di piano? Ebbene qual causa può avere costretto la matura a seguire servilmente una sì fatta unità?.... Eccoci di bel nuovo caduti nella difficoltà dapprima indicata. Bisogna convenirne ; la dottrina delle creazioni indi- pendenti si divincola fra le morse di questa formidabile tanaglia della unità di piano. Per converso, la teoria che voi, o Signore, pro- pugnate, si porge per questo rispetto sotto una forma brillante, in accordo colle osservazioni sopra l’unità di tipo, e pienamente acconcia a spiegare questo dato della scienza per mezzo della filiazione o variazione della specie. Voi stesso ce lo avete fatto notare dicendo: (1) « Per qual ragione sono state create delle ossa similari per far parte dell’ ala e della gamba del pipistrello, poichè queste sono destinate ad usi totalmente diversi? » Darwin. Origine ecc., pag. 611. UNITÀ DI PIANO 21 « Non ci è possibile credere che innumerovoli esseri in ciascuna delle grandi classi, sieno stati creati coll’ im- pronta apparente, ma ingannevole, della loro discen- denza da un solo progenitore (1). » Molte volte faremo ritorno sulla wnz/d di piano, poichè essa è lo scoglio contro cui viene ad urtare ad ogni piè sospinto la opinione delle creazioni indipendenti, e perchè essa è il perno della presente discussione. Intraprendiamo ora la nostra principale questione, vale a dire: — # inconciliabile la unità di piano, colla creazione indipendente ? (1) Darwin. Origine ecc., pag. 668. pre II ESAME DELLE ESTREMITÀ Bisogna che il nostro punto di partenza sia, per quanto è possibile, fuori di qualsiasi contestazione. Lo esporrò succintamente. Gli animali vertebrati (dico i vertebrati per met- termi in un campo ben definito) si muovono, ed hanno la necessità di muoversi. La loro intera organizzazione e la loro individualità sarebbero un assurdo, ovvero sarebbe cosa impossibile la loro conservazione, senza la facoltà della locomozione. A qual pro distinguere il cibo, e desiderarlo? A qual pro una organizzazione buccale foggiata per nutrirsene, senza poi la possibilità di ri- cercarlo e di raggiungerlo? A che servirebbe la timidità tutelare della pecora o del lepre, se non potessero fug- gire dal lupo o dal cane? Dunque ciascun vertebrato ha necessità di traslocarsi e di muoversi; e diffatti si tra- sloca e si muove (1). (1) Si ponno consultare intorno a questo argomento le eccel- lenti osservazioni del Van Beneden. Anatom. comparée, pag. 25. 24 ESTREMITÀ A MOLTI PEZZI Il movimento degli animali è il mutare che essi fanno i rapporti di distanza fra loro stessi e rispetto ai corpi che li circondano, sia di tutto 1’ animale nella traslocazione, sia quando i corpi sono avvicinati 0 re- spinti da noi mediante la preensione e la ripulsione. Per far tutto questo bisogna avere delle estremità mo- trici. Lo strisciamento /réptation] non basterebbe. Qua- lunque sia il numero delle appendici che si voglia credere più appropriato, riesce evidente che se vi sono due o quattro estremità, bisogna che queste godano di date condizioni, senza delle quali non sarebbero certamente acconce alle funzioni cui debbono eseguire. Prima di tutto esse debbono accorciarsi, ed allun- garsi; senza di questo non sì possono prendere gli oggetti e avvicinarli, nè allontanarli da sè; non si può respin- gere il suolo dietro a sè stesso nel mentre che si cam- mina. Supponete attaccate alla spalla ed al bacino del cavallo estremità di un pezzo solo, ossiano fusti rigidi ; il cavallo in questa condizione sarà condannato quasi alla immobilità. Poichè quando esso. eseguisce il suo passo ordinario, noi vediamo che ha la sua zampa po- steriore distesa dietro di sè, quindi la inflette e 1° ac- corcia, poscia gli è necessario protenderla avanti per posarla in terra col piede ad una distanza di circa un metro dalla prima impronta (1). Senza risalire a con- (1) La zampa piegandosi resta alta da terra pel tempo che corre dalla impronta di dietro alla nuova davanti. Sopra questa ul- ESTREMITÀ A MOLTI PEZZI 25 siderazioni geometriche, che ora sarebbero fuor di luogo, è manifesto che la zampa del cavallo, o per meglio dire qualsiasi estremità, non può rimanere sempre distesa: ma bisogna che possa accorciarsi ed allungarsi alterna- tivamente intantochè l’animale agisce nella #rasloca- zione, nella preensione o nella repulsione (1). In altri termini: bisogna che ciascuna estremità si possa piegare. Chi è mai che possa immaginare, l'ala di un uc- cello doversi rimanere sempre distesa? Chi potrà dubi- tare se il braccio o la gamba preensile della scimmia o dell’unau debba piegarsi?.... In tutti questi casi dun- que fa mestieri che la estremità sia un’ asta spezzata. Dunque io capisco perfettamente che ciascuna estre- mità degli animali vertebrati debba essere un’ asta fratta, e non già intera e rigida, perchè questa è una ne- cessità meccanica. Mi astengo dallo sviluppare tutti i corollari che derivano da questa premessa. Dirò solo che il movi- tima impronta, la zampa scende quasi a piombo sul suolo. Per co- tal modo le ineguaglianze o le protuberanze del terreno non op- pongono veruno ostacolo al progredire dell’ animale. (1) Sopratutto come è possibile immaginare la discesa su di un piano inclinato, senza che le estremità sieno flessibili? A tale proposito si può consultare l’ eccellente opera dei Weber. Traité > de la mécanique des organes de la locomotion, Paris, 1843. Ove si trovano svolte idee sul genere di quelle che qui si espongono; se- gnatamente poi alla pag. 301. 26 ESTREMITÀ A MOLTI PEZZI mento che riceve dalle sue zampe o un mammifero, 0 un uccello, od una lucertola, e diciamo ancora un in- setto ecc. (1) proviene, come si vede, dall’alterno allunga- mento ed accorciamento delle zampe stesse; vale a dire, che il loro movimento dipende dall’ apertura degli an- goli preesistenti per l'inclinazione dei pezzi che le com- ponevano; donde altresì consegue che la forza di azione di una estremità dipende intieramente dal passaggio, che essa può fare dallo stato di flessione a quello di esten- sione. Tutto il moto dei muscoli nell’ agire delle estre- mità, è fondato sopra questo principio — di cangiare i rapporti di un pezzo osseo con l' altro — e per con- seguenza distruggere gli angoli di flessione e disten- dere l’ arto, ovvero creare angoli e piegare la estre- mità. La zampa è montata sol quando le diverse parti che la costituiscono siano piegate per angoli contrari. Tale è la zampa del cavallo, del gatto, dell’ uccello in riposo, che è come una molla montata sul punto di scattare, per forma che ad ogni istante l’animale es- sendo sorpreso, possa, mercè la contrazione subitanea de’ suoi muscoli, slanciarsi e fuggire. Siffatta costru- zione ci addimostra ancora che due aste, o due pezzi ossei non sono all’ uopo sufficienti; ne occorrono tre od (1) Si potrebbe dire più generalmente — ogni animale nel quale sieno associate parti solide con parti molli — per la notissima ra- gione che le loro estremità debbono piegarsi ad angoli, e debbono muoversi fra loro come bracci di leva. Tali giuochi meccanici non possono avvenire senza due elementi, cioè senza aste e senza corde. NECESSITÀ MECCANICA II anche più. Un angolo solo non è bastevole, ne occor- rono due, o un numero maggiore. Allora, e soltanto allora vediamo risolto il pro- blema di estremità suscettibili di una lunghezza varia- bile, e rese utili alla locomozione del pari che alla preensione. Capisco dunque che pel moto degli animali sono necessarie estremità fratte o di più pezzi; e diffatti veggo che tutte le estremità dei vertebrati sono foggiate a questa maniera, cioè composte di parecchi pezzi che possono formare angoli fra loro (1). Io -veggo dapper- tutto sopra questo punto, una uniformità imposta e de- terminata dalla necessità meccanica. Uniformità che si presenta sempre la stessa, allorchè percorro l’ intera serie dal primo dei mammiferi sino all’ ultimo dei ba- traci giunti allo stato perfetto: ed io non ne rimango sorpreso, perocchè siffatte estremità, sieno preensili 0 ambulatorie ecc., non riescono possibili che in quanto sono flessibili per angoli. Dapertutto io veggo certa- mente questa uniformità, questa unità di disposizione, (1) Le leggi universali di dinamica o di movimento, volere o non volere, ricompariscono sempre; e in una guisa cotanto rigo- rosa, che un millesimo fuori da esse vi è l’impossibile. Una leva non innalzerà mai un grave senza una forza competente; un corpo non potrà mai sussistere fuori della sua base. Ora a queste leggi sì nette e precise è vincolata nelle sue opere la natura, come l’uomo in ogni sua azione. 28 NECESSITÀ MECCANICA questa unità di piano; è cosa incontestabile. Ma del pari è incontestabile che non posso disconoscere in tutte queste manifestazioni la necessità meccanica, che ha re- golato e guidato la costruzione delle estremità. Se chiamo Femore la parte superiore che compone l'arto, la seconda Tibia, e la terza Tarso Meta- larso ecc., troverò di frequente una tale eguaglianza di ossa, e dovrò chiamare collo stesso nome queste parti ripetute dall’ uomo sino alla foca; troverò dapertutto un Femore, una Tibia, un Tarso ecc., e come dite voi stesso « si possono dare gli stessi nomi alle ossa omo- loghe di animali differentissimi (1). » Ma se il me- desimo fondo di struttura, se il medesimo numero di elementi si conserva dapertutto (salvo poche ecce- zioni) dall’ uomo cioè alla foca e alla lucertola, vi sono altresì differenze nella forma di questi elementi ossei in ragione della forza o della delicatezza delle funzioni che vengono affidate alla stessa estremità. Tutti co- noscono le differenze che offrono i femori del rinoce- ronte, della gazella, del kanguroo, del pipistrello, della talpa ecc. La necessità meccanica che ha imposto la divisione in tre parti principali dell’ arto che sopra abbiamo indi- cata, ed una conformazione alle volte tozza ed altre snella in queste medesime parti, ha reso necessaria al- tresì una testa del femore che si articoli col bacino, ed (1) Darwin. Origine ece., pag. 608. NECESSITÀ MECCANICA 29 una articolazione che lo metta in rapporto di flessione determinata colla tibia ecc. Questo si trae dietro anche le creste per la inserzione dei muscoli, le depressioni, gl’ incavi per accogliere corde o vasi. Io non sarò per nulla meravigliato se troverò una uniformità in simili costruzioni ; perchè la uniformità fondamentale dei pezzi solidi e delle loro funzioni mi ha precedentemente am- monito, doversi trovare una uniformità in tutte le parti, nel tempo stesso che capisco che la uniformità fonda- mentale è subordinata alle modificazioni richieste per l'adattamento speciale alla zampa della talpa, del ca- vallo, del pipistrello ecc. Dubito d’inoltrarmi più in là che nol consenta lo stato appena incipiente della nostra questione; ma parmi che se io dò ad un esperto meccanico il problema di costruire estremità locomotrici o preensili, non potrà a meno di adottare un sistema formato di più di due pezzi, e di applicare una cavità cotiloide, ed articola- zioni fra un pezzo e l’altro, come altresì creste per la inserzione delle corde ecc. ecc. Se egli dopo avere ben ponderato il suo problema, non potrà dipartirsi da co- desta architettura che abbiamo considerata, allora io dirò che esso è costretto ad agire in tal maniera in virtù delle leggi meccaniche. Non potrei allora negare di ri- conoscere che anche la natura è stata condotta ad agire in cotal guisa per le medesime leggi meccaniche. Leggi, che regolando il tutto con precisione e rigore, si ma- nifestano colle continue ricomparse, con una costanza 30 UNITÀ DI TIPO NELL'ARTE UMANA che assume l’ aspetto di uniformità, e prende il posto di uniformità di tipo; per modo che alla formula unità di piano posso sostituire quest’ altra: ripetizione per necessità meccanica (1). All'incontro supponiamo che il meccanico dimostri, le appendici locomotrici o preensili potersi costruire di- versamente, sia sotto l’ aspetto generale, sia in parti- colare acconce al caso speciale del cane, del cavallo ecc. La qual cosa sarà poi meglio o peggio di ciò che si vede presentemente in natura. Noi ci occuperemo solo del meglio. Toccherà allora ai signori Huxley, Vogt e compagni di farci conoscere tipi esemplari più razionali, più scientifici della zampa del cane, del cavallo, della talpa, o di qualsiasi altro animale a scelta loro. Po- tranno nel tempo stesso illuminare noi poveri mortali, sui deplorevoli difetti ed errori di costruzione che tro- veranno certamente in parecchie estremità di verte- brati. Poichè, sia che un disegno capriccioso abbia re- golato le servili modificazioni delle creazioni indipen- denti, sia che ciascun vertebrato derivi da un solo sti- pite con variazione per selezione naturale; in ambi i casi si avranno parti inutili o errate che apparten- gono ai passaggi dall’ una forma all’ altra (2). Quanto (1) L'idea di un concetto primitivo rappresentato dalla for- mula unità di piano, secondo la quale verrebbero coordinati tutti gli esseri e tutte le loro parti, dopo ciò che si è detto, sarebbe una parola priva di corrispondenza reale. (2) Si vegga più avanti il paragrafo delle Parti inutili, UNITÀ DI TIPO NELL'ARTE UMANA sl a me, credo non esservi nulla da fare; e che, come ve- dremo più avanti, tutto ciò che vi è nelle zampe degli animali suindicati è quanto si potea fare di meglio per rispetto alle leggi meccaniche, le quali reggono egual- mente la piccola arte dell’ uomo, come la grande arte della natura. A proposito dell’ arte umana abbandoniamo per un istante, o Signore, il laboratorio della natura, ed en- triamo nella piccola officina dell’ uomo. Nelle sue opere non si riscontra forse l unità di piano? Considerate uno de’ suoi lavori più usuali. Ogni arnese che deve percorrere le nostre strade è munito di ruote. Carrozze, carri, affusti, ambulanze, locomotrici a vapore, wa- gons ecc., tutti sono montati sopra ruote. Qui evvi una notevole uniformità, che d’ altronde non è di pura ap- parenza. No, vedrete sempre colle ruote un asse, ed una quantità di altre particolarità che sono inseparabili dall’ idea di un rotabile (1). Ebbene, io domando, que- sta uniformità è dovuta a un disegno preconcetto, che l’uomo primitivo si sia imposto di seguire invariabil- mente e di suo capriccio, 0 piuttosto sarebbe mai una necessità meccanica? Vi sono certe dimande che già contengono in sè stesse la risposta. E questa appunto è di quel novero. Ma le leggi meccaniche, che hanno stabilito come condizione sine qua non per la costru- (1) Non è questo il caso dei vertebrati su quattro estremità flessibili? SY ESTREMITÀ A MOLTI PEZZI zione razionale e scientifica dei ruotanti, 1 uso delle ruote, sono state le cagioni della ricomparsa perpetua delle ruote e degli assi in tutti gli ‘arnesi dello stesso genere. Ecco la uniformità, ed ecco la unita di tipo. Se mal non mi apposi, giudicando che conveniva stabilire da principio quello che abbiamo detto per ri- sguardo al concetto generale delle estremità, come un punto di partenza per ciò che verrà in seguito, ora sarei dolente di aver sorvolato su questa materia con sì leg- giero esame. Mi farò dunque ad aggiugnere su questo punto preliminare-altre due considerazioni. Non si vedrà mai che un animale semovente (esclu- dendo il modo di camminare dei serpenti) manchi di estremità composte di più pezzi; e nessuno cercherà mai di vederlo, perchè cercherebbe cosa impossibile. Quando dunque mi aggiro in un Museo di osteologia, e veggo tutti gli animali provvisti di due o di quattro estremità, e le veggo composte di tre pezzi, io dico allora: ecco estremità flessibili, foggiate secondo le leggi della mec- canica. Ma mi si risponde: ecco qui l nità di tipo... No, ripiglio; vi è «rità di costruzione, in forza della unità di funzione, e per conseguenza della anztà di leggi indeclinabili. Senza più oltre insistere sulle esigenze della dina- mica, che vuole irrevocabilmente molti pezzi nella co- struzione di una estremità, soggiungo clie codesta con- dizione, quale l'abbiamo esposta, non basta per sè sola FORMA RAGGIATA SS: a costituire un membro acconcio alla preensione od alla ambulazione. E già molto se avvi un caso, in cui |’ e- stremità finisca al basso mediante un semplice cilindro troncato (1). D'altronde è un enunciato, di cui non è me- stieri fare dimostrazione, che l’ estremità deve avere nella sua parte inferiore una forma acconcia a pre- sentare una base conveniente ad ogni genere di sta- zione, o uno istrumento valevole così per la. presa come per la repulsione. Tagliate le dita ad una cicogna, non istarà più in piedi, perchè le manca la base. Una base è neces- saria ad ogni animale: e dev’ essere proporzionata così al di lui corpo, come ai movimenti che deve eseguire. Un disco, o qualunque superficie dilatata, qualora si ap- plichi all’ ultima parte della gamba, può servire bensì di base, ma indubitatamente non potrà utilizzarsi nella pluralità dei casi. D'altronde è ben noto in meccanica, che una base discoidale può venir surrogata da un nu- mero di raggi; il qual numero può restringersi fino a tre: il tripode. La ragione di preferenza dei raggi sul disco, dipende dalla esigenza delle funzioni, che la sup- (1) Una estremità composta di molti pezzi cilindrici disposti in serie l’uno sopra l’altro, come trovasi nel cavallo, è di un uso troppo limitato. Le zampe dei soZidungulati sono eccellenti colonne, se vuolsi, per portare il-peso del corpo, e trasferirlo sul suolo, ma il terreno deve presentare condizioni speciali; il che è facile in- tendere, considerando che la zampa preme il suolo, ma non si at tiene al medesimo. 34 FORMA RAGGIATA posta base è ordinata a compiere. E quasi sempre tro- viamo che non solamente avvi titolo di preferenza, ma bensì una esclusiva necessità della forma raggiata, sulla forma discoidale. Allorchè la cicogna fa que’ suoi lunghi passi sopra un suolo scabro e pieno d’ineguaglianze, a cui deve attenersi; allorchè una lucertola si arrampica su pegli alberi; allorchè la tigre facendosi un punto di appoggio sul suolo si slancia sopra la preda, a che pro servirebbe ” un disco? La distanza e la ineguale ubicazione dei punti a cui deve tenersi ogni parte della base, esige una di- visione, una indipendenza delle stesse parti aggrap- pantisi. Dunque è necessaria la forma raggiata. Non chiederò se codesti raggi potessero essere ba- stoncelli rigidi. Ciò che abbiamo visto finora non è che un piccolissimo lato della considerazione che deve portarsi sull'ultima parte delle estremità. Diffatti che cosa è mai per gli animali l’appoggiarsi sul suolo, in confronto del tenervisi aggrappati con una specie di preensione? Anche quando un animale si trasporta da un luogo ad un al- tro, d'uno in altro ramo, si attiene alle ineguaglianze del suolo, o sì avvinghia ai piccoli tronchi degli alberi. Ma quante funzioni non debbono eseguire gli animali colle loro estremità! Molti non possono recare la bocca sopra l'alimento, e bisogna che si portino essi l’ ali- mento alla bocca. Altri hanno necessità di stringere il loro cibo per poterlo rodere, oppure di tener lì stretta FORMA DIGITATA 55 una vittima che si dibatte per fuggire. Breve, la preen- sione esercita il suo ufficio sur un vastissimo campo, e e sotto mille forme. La preensione esige che i raggi possano attorniare i corpi e applicarvisi d’ ogni parte, quanto è necessario; e tutto questo non sì può ottenere senza che i raggi sieno linee spezzate, cioè sieno com- posti di parecchi pezzi. Eccoci pervenuti non solo alla forma raggiata, ma un passo anche più in là; voglio dire alla forma digitata. Mi si dirà: sempre si trovano dita nelle prime classi dei vertebrati. Che c'è a meravigliare? Se dap- pertutto esiste il bisogno della preensione, o in un modo o in un altro, potrebb' egli mancare lo strumento che deve eseguirla? Laddove occorre la tanaglia, bisogna avere la tanaglia; dove è richiesto il tripode, ivi pure bisogna avere il tripode. Nulla potrà mai venirvi sur- rogato. La perpetua ricomparsa delle dita negli scheletri dei vertebrati, è la ripetizione della necessità mecca- nica che non dà luogo a veruna scelta. Se volete una funzione, vi occorre l’ istrumento dacciò. Se volete pren- dere, converrà che abbiate una mano. In tutti i vertebrati superiori noi scorgiamo una incontestabile uniformità di costruzione per questo rap- porto. E sempre l’unità di piano che è stata procla- mata, dicendo che ogni estremità si termina con dita. Chiederei .volontieri a un dotto meccanico, quale forma si potrebbe sostituire per assicurare a mo’ d'esempio ad 36 DITA, NUMERO DELLE FALANGI un camaleonte la sua vita di acrobate, ad un'aquila i suoi artigli possenti, ad una scimmia la sua mano pre- ensile. Se non c'è nulla di meglio da sostituire, se niun’ altra costruzione avrebbe potuto dare una presa sì facile sì forte e sì sicura senza la forma digitata, io dirò che le leggi meccaniche hanno regolato questa costruzione, e che esse prendono il posto della wnz04 di piano. Allora io non posso esimermi dal fare questa ri- flessione: se l’ unità di piano è una ipotesi ingegnosa, la legge meccanica è un fatto scientifico. Perfino il numero delle divisioni che trovansi nei raggi digitali, non è cosa arbitraria. Vi hanno limiti e regole. Vediamolo con un esempio. Una scimmia ha quattro pezzi nelle sue quattro dita : tre falangi ed un metacarpo. Tagliate due di queste falangi, e la scimmia non può più prendere. Taglia- tene una sola, avrà ancora la possibilità di prendere, ma non terrà stretto egualmente bene, poichè due pezzi formano colla loro mutua inclinazione un angolo solo, e quindi non vi può essere la presa; tre formano un uncino, che non è ancora sufficiente ad abbracciare i rami degli alberi. Soltanto quattro pezzi possono for- mare un anello, e circondare interamente un corpo pro- DITA, NUMERO DELLE FALANGI 37 porzionato (1). Di più questo anello non solo abbraccia il ramo che vi è contenuto, ma dei quattro pezzi che lo circondano da ogni parte, i due ultimi principalmente prendono siffattamente il ramo che rimane stretto come in una morsa. L'anello così ha dimensioni variabili, e tosto che riesca inferiore al contorno del corpo da strin- gere, esso può venire ingrandito (come in alcune scim- mie e nell’ uomo) mediante l’ aggiunta o intervento del pollice. Ma è sempre un sistema di pezzi a pressione, i quali, a guisa di tanti freni attorno ad una ruota, le- gano strettissimamente il corpo. Queste particolarità non si potrebbero ottenere, qualora un minor numero di pezzi fosse nelle dita; e si comprende quanta sia l’importanza di queste stesse particolarità nella meccanica della mano! Non era bastante pel cavaliere, che maneggiava la (1) Non è necessario far notare, che, se tre pezzi possono for- mare un triangolo chiuso, per impugnare un piccolo ramo occor- rono però tre pezzi molto lunghi e che formino tra loro angoli acuti. Fermandoci a considerare questo punto, ci scosteremmo di so0- verchio dal nostro principale soggetto; ma non posso astenermi dal ricordar qui le belle osservazioni fatte a questo proposito dai fra- telli Weber: « Essendo le dita composte di molti articoli, abbrac- ciano molto bene gli oggetti; e poichè il numero di questi articoli non sorpassa quello di tre, così li afferrano con maggior forza. Possono piegarsi fino a toccare le ossa del metacarpo, ed il pollice viene ad incontrarli. Siffatta disposizione rende la mano atta a pal- pare, stringere, prendere, impugnare, tenere, e comprimere così i corpi di un certo volume come i piccoli oggetti, qualunque ne sia la forma.... ecc. » Traîté d’ostéologie, pag. 157. 38 DITA, NUMERO DELLE FALANGI lancia, attorniare quell’ arme col giro della mano; gli era mestieri serrarla in pugno, vale a dire stringerla fortemente. Ora un bastone non è fermato entro un anello, se questo non lo prema ovunque fortemente; e questa funzione è eseguita dalle dita, in grazia della pluralità dei pezzi onde sono composti. Ma nelle dita la pluralità dei pezzi dà ancora la mobilità, la flessibilità, e la delicatezza dei movimenti, sicchè possono acquistare la flessibilità della corda senza perdere nulla della ri- gidità della verga. Riassumendo dico: se nel percorrere una sala di anatomia comparata vediamo che le estremità dei ver- tebrati superiori terminano in dita articolate, colle ar- ticolazioni in numero definito; noi apprendiamo un fatto stabilito dalla meccanica per la costruzione razionale di un istrumento da presa, da contatto, o da divari- cazione, acconcio a servire di base. Ma dappertutto vi è necessariamente una certa uniformità di pezzi, di forme, di disposizione, e di connessione; insomma ciò che d’ or- dinario chiamasi unità di piano. Nello sviluppo normale del nostro discorso non siamo giunti ancora al punto di entrare nella questione della meccanica del carpo; e non ci conviene anticipare qui alcune idee che avran luogo più innanzi, cioè dopo uno studio accurato del carpo umano. Differiremo dun- que a discorso più inoltrato le conseguenze relative a questa parte, sì notevole ancora perchè costantemente trovasi negli animali. Tali conseguenze sono del resto OMOLOGIE DELLE ESTREMITÀ 39 in perfetta armonia con quelle che emergono dalla con- siderazione delle altre parti. Del rimanente, oltre la uniformità riscontrata or ora nelle estremità degli animali, si è notato una uni- formità od una unità di piano ancora fra le estremità toraciche e le pelviche. Questa cosa ha fermato l’ at- tenzione di molti dotti, da Vic-d’ Azyr fino ai signori Martins, Durand (de Gros), e Gegenbaur. I lavori a cui siffatto genere di esame ha dato origine, sono molto ingegnosi, ed in grazia dell’ attento studio che vi si è posto, hanno arricchito la scienza di buone os- servazioni. Ma in ultimo si ritorna anche qui, se non m'inganno, ad una dipendenza la più rigorosa dalle leggi meccaniche. Non potrei occuparmi di proposito di questo punto, senza scostarmi dal mio soggetto princi- pale; ma neppur posso esimermi dal farne parola. Si trovano omologie molto rimarchevoli nel con- frontare insieme le estremità anteriori colle posteriori, e principalmente quando il confronto si faccia fra l' e- stremità destra anteriore dell’uomo e la sinistra po- steriore. Allora i pezzi hanno tutti i loro corrispondenti , sono ben disposte le loro correlazioni, e le loro facce e le creste hanno le parti rispettive similari; infine, le loro articolazioni hanno le rispettive omologhe. Bisogna leggere l’ interessante lavoro del Martins per veder trattata questa questione in tutta la sua chiarezza. Fra 40 OMOLOGIE DELLE ESTREMITÀ le idee più notevoli da lui introdotte, vi è quella di considerare l’ omero come un osso contorto (1). L’ omero è un osso contorto, dice il Martins, quando si raffronti col femore. Diffatti l'asse del collo dell’ omero non è già nel piano della troclea inferiore; ma l’asse di quest’ ultima fa un angolo di 180 gradi negli antropomorfi, nei mammiferi terrestri e negli ac- quatici (2), e di 90 gradi nei cheiropteri, negli uccelli e nei rettili. Donde trae questa giustissima conclusione, che la torsione di 90 gradi è la caratteristica del volo e della andatura dei rettili (reptazione) (3), mentre che l’altra di 180 gradi è la caratteristica del camminare, del nuotare e dell’ arrampicarsi. I movimenti delle estremità divengono perciò dif- ferenti nelle due categorie degli animali che abbiamo (1) Martins. Nouvelle comparaison des membres pelviens et thoraciques chez l homme et les mammifères. — Annales des Scien- ces naturelles, IV. Ser. T. VII. 1857, pag. 45. (2) Pare che si debbano eccettuare le balene, i cachalots ece. Si vegga più avanti ove parlasi delle osservazioni del Durand. In- oltre le cifre recate dal Martins non sarebbero del tutto esatte, perchè secondo il Gegenbaur vi sarebbero notevoli differenze nella specie umana rispetto allo stato di feto o di neonato, o di una data razza, ed anche differenze individuali. Il Gegenbaur trova una media di 168 gradi circa. Annales des Sciences naturet- les, T. X. 1868, pag. 62. (3) Eccettuato il camaleonte, perchè sì arrampica come le scim- mie d’ America. OMOLOGIE DELLE ESTREMITÀ . 41 citati. Sotto la divergenza di 90 gradi si opera il volo, e la reptazione; invece sotto quella di 180 gradi ha luogo l’ arrampicarsi, il camminare ecc. La torsione di 90 gradi è appropriata alla funzione del volo, e non vi si potrebbe sostituire quella di 180 gradi. E perchè? Per incompatibilità meccanica. Se Vomero ha una dif- ferente torsione, l'ala non ha più l’ ordinaria direzione, non dà più sulle colonne d’aria quel colpo che essa batte colla direzione ordinaria. Potremo mai supporre che il colpo dato dall’ ala di un’ aquila non sia il più giusto per averne il miglior volo possibile? Se avvi al- cuno che ne dubiti, lo inviterò a studiare le notevoli pagine del vostro libro, o Signore, per conoscervi la perfezione dell’ adattamento, e della disposizione delle parti degli animali (1). Se, per ipotesi, noi supponiamo che il volo possa prodursi sotto una differente torsione, è ben certo che chiunque non ignori interamente i prin- cipi di dinamica non supporrà che possa aversi un egual volo. In ogni caso noi pregheremo qualche dotto, per esempio il sig. Vogt, a somministrarci il modello di un’altra costruzione migliore di quella adottata dalla natura. Io credo che la felice osservazione fatta dal Mar- tins, cioè « che la torsione di 90 gradi è una delle con- (1) « Questa perfezione di struttura, e questo adattamento de- gli organi alle loro funzioni, che eccita sì giustamente la nostra ammirazione. » Darwin. Origine des espéces, pag. XVIII, ecc. 42 OMOLOGIE DELLE ESTREMITÀ — LI dizioni osteologiche del volo e della reptazione » è una delle mille osservazioni che si faranno per l avvenire sopra la meccanica animale, e che apriranno probabil- mente una via più sicura a questo genere di ricerche. Peraltro, questa torsione non è cosa reale. Il Mar- tins si spiega chiaramente, e dice che questa tor- sione è virtuale; il che a mio avviso significa, che nel più alto concetto dell’ omero, nell’idea primitiva di que- st’ osso, bisognava che l’asse di una articolazione fosse divergente dall’ altro di 90 gradi pel volo, e di 180 per l’ambulazione. — Credo quindi, che sarebbe egualmente evidente il dire, che gli adattamenti funzionali hanno imposto come condizione inevitabile la precisa diver- genza dei due assi; giacchè riesce manifesto, che il volo dei pipistrelli come degli uccelli, per essere possibile, esige questa torsione di 90 gradi. Affine di rendere pos- sibile questa funzione era necessario trovare un orga- nismo, o una conformazione adatta alla funzione es- senziale del volo. Dopo ciò non si legge certamente senza sorpresa che « gli adattamenti funzionali sareb- bero impotenti a dar ragione delle differenze che ab- biamo notato fra le membra toraciche e addominali; le funzioni sono il risultato delle leggi organiche su- periori che le dominano e le determinano » (1). Non varrebbe l’ adattamento funzionale a dar ra- gione di queste differenze, quando ci tornasse eguale (1) Martins. 1. c. pag. 109. OMOLOGIE DELLE ESTREMITÀ 43 avere un organismo piuttosto che un altro per ottenere queste funzioni. Ma, come ognuno vede, non è questo il caso. Le funzioni sono il risultato delle leggi organiche superiori che le dominano e le determinano; così dice il Martins. Sarebbe forse più esatto il dire, che le fun- zioni sono il risultato delle forme meccaniche, dalle quali sono determinate con rigore geometrico. Parmi che il Martins abbia preso le mosse trop- po dal basso, partendo dalle leggi organiche supe- riori. Risalite un po’ più in alto, e troverete che que- ste leggi organiche sono anch’ esse determinate dalla possibilità o non possibilità di un essere che si muova nell'aria. O l'essere non volerà, ovvero presenterà le leggi di organismo descritte, in perfetta armonia, e nel più completo accordo colle leggi meccaniche. Le leggi di organismo non sono dunque arbitrarie, ma perfetta- mente determinate dall’ adattamento delle membra per la funzione del volo o della reptazione in ordine e di- pendenza dalle leggi meccaniche. Il Durand (de Gros) per parte sua ha spinto più in là le considerazioni sulla torsione dell’ omero (1), ed è stato condotto a risultati inattesi. Prima di tutto, se- condo lui, la torsione dell’omero è una realtà, ed « una (1) Durand (de Gros). Les origines animales. 1871. 44 OMOLOGIE DELLE ESTREMITÀ deformazione meccanica di un osso regolare, di un osso diritto a filo, del quale trovasi il corrispondente nel fe- more » (1); deformazione prodotta originariamente « da uno stiramento muscolare anormale tendente ad accon- ciare il membro anteriore ad un cangiamento di mezzo e di funzione. » Così nella sua origine l’omero non sa- rebbe stato un osso contorto « ... ho detto a me stesso, prosegue egli, che essendo l’ omero torto nell’ uomo, deve trovarsi fra i vertebrati inferiori qualche tipo fos- sile, o vivente, nel quale non esista punto questa tor-. sione dell’ omero; nel quale quest’ osso presenti ancora la sua forma nella primitiva regolarità (2). Questo tipo il più puro che conosciamo (di leve articolate, o mem- bra) ci è offerto dall’ ittiosauro e dal plesiosauro, e nella fauna vivente dai cachalots, dai rorquali, e dalla testuggine di mare (3)...in tutti questi generi le quattro appendici locomotrici sono notevolmente similari, quelle del dinanzi ripetono servilmente le posteriori (4). » Buona osservazione è questa del Durand. Gli ena- liosauri, come le testuggini di mare, hanno 1’ omero del pari che il femore senza torsione. Il Durand ne trova la ragione in questo, che quelle ossa sono tut- tavia nello stato primitivo, sono ossa che non hanno (1) Durand (de Gros). Les origines animales. pag. 45. (2) ivi pag. 47. (3) ivi pag. 108. (4) ivi pag. 47. OMOLOGIE DELLE ESTREMITÀ 45° peranche subìto la torsione. Quanto a me, un altro or- dine di considerazioni si porge al mio pensiero. Io mi attengo alla fauna vivente, che conosciamo molto meglio della fauna fossile. — Io mi domando: quale è il modo di agire del braccio della testuggine di mare? È il me- desimo di quello della gamba. Le quattro estremità sono quattro remi, che non hanno altro ufficio in fuori di quello di batter l'acqua all’ indietro. Siccome la fun- zione è la stessa, così la costruzione delle zampe è la medesima. Sarei meravigliato, se a conseguire una stessa funzione si avessero costruzioni differenti. Ma lo sarei del pari se vedessi una medesima conformazione nelle quattro membra di altri animali, nei quali le membra anteriori hanno una funzione differente da quella dei posteriori. Per ciò che riguarda i quadrupedì terrestri, è cosa assai chiara; e per gli acquatici come la foca, il dugongo, ed il lamantino, l’omero è contorto. Questi animali nuotano, eppure non hanno l’ omero diritto dei plesiosauri o della testuggine marina. Intorno a che io non mi sento per nulla disposto a dire col Durand « che si può quindi sicuramente dedurre, che gli ascendenti di questi falsi cetacei hanno vissuto una vita intiera- mente terrestre » (1). No; poichè ho ben presente che questi animali o vengono a terra, ovvero si aiu- tano colle unghie, di che hanno fornite le mani an- teriori, per aggrapparsi più o meno ai corpi. La loro (1) Durand (de Gros). Les origines animales, pag. 58. 46 OMOLOGIE DELLE ESTREMITÀ vita non è dunque puramente acquatica; ma essi eser- citano ancora alcune funzioni, o meglio, alcuni sforzi di una vita terrestre mediante le loro estremità ante- riori. Ed è manifesto che quand’ anche solo una volta all'anno dovessero arrampicarsi (per deporre, ad esem- pio, i loro piccoli) avrebbero mestieri delle estremità an- teriori foggiate con adattamenti acconci a questo solo momento della loro esistenza. Altrimenti sarebbero ani- mali imperfetti, cioè animali aventi bisogni, e privi del modo di soddisfarli. Per potersi arrampicare è necessa- rio che Vomero sia torto; e diffatti questi animali lo hanno contorto. La torsione dell’ omero è pel Durand di tanta im- portanza, che egli crede basterebbe « essa sola a pro- vare che una filiazione veramente genetica ci riunisce col maggior numero degli animali superiori ad una for- ma originale, immediatamente trasformata dalla. sosti- tuzione di un mezzo fangoso ad un altro acqueo. Que- sta forma primordiale è forse la testuggine? » L'origine . dell’uomo sarebbe dunque rischiarata da questo nuovo lume. « L'uomo, prosiegue egli, ad elevarsi per gradi dalla forma di rettile (da questo grande punto di par- tenza generale di tutte le forme superiori di uccelli e di mammiferi) ha dovuto avviarsi a questo scopo (su- premo) percorrendo senza interruzione una serie di specie abitatrici degli alberi. » Senza volere assorgere tant’ alto, ma per converso attenendoci a questioni più semplici, io credo che cia- OMOLOGIE DELLE ESTREMITÀ 47 scuno dirà, — che nella grande maggioranza degli ani- mali i moti convenienti delle estremità anteriori richie- devano che l’ asse del collo dell’ omero e quello della sua troclea inferiore non fossero in una stessa direzione, ma fossero divergenti di 90 o 180 gradi. Cotale diver- genza implica la forma contorta dell’omero. Per contra- rio un piccol numero di vertebrati puramente acquatici ha movimenti che non esigono una divergenza dei due assi, e l’omero allora ha la forma diritta; ed in questo caso i loro omeri ed i loro femori sono altresì isotipi ed isotropi, come sono isocrone del pari le loro funzioni. — Senza la forma ritorta dell’ omero, la zampa del cavallo e del cane sarebbero storpie; la zampa della testuggine marina senza l’omero diritto sarebbe uno istrumento che funzionerebbe a rovescio. In tutti i casi la ragione scientifica ha imposte queste diverse conformazioni, per- chè la determinazione di queste forme è attributo della meccanica e della geometria. Non c'è volo, nè ambu- lazione, nè nuoto che sieno razionali e che funzionino con precisione, senza di queste forme. Questo discorso come ognun vede è molto semplice ; ma nel tempo stesso è ancora scientifico. A fronte di questo ragionamento, a nostro avviso, è un fuor d’opera la spiegazione di codeste forme umerali somministrata dalla dottrina della filiazione degli esseri (1). (1) Im un recente articolo ( Comptes rendus 23 Dec. 1872) il Durand (de Gros) ha esposto dei dubbi sopra la vera torsione TA IS RICO UNITÀ DI PIANO ha (0.0) Rimettendoci in filo si vede che se si vogliano con- siderare le estremità toraciche e addominali sia sotto un punto di vista o sotto un altro, appariscono molto chiaramente omologie notevoli fra loro. Anche senza ricorrere alle zampe dei quadrumani, la cui somiglianza è cotanto manifesta, trovasi nella maggior parte dei casi un disegno, ed una costruzione così ben mantenuta, che senza dubbio fa attenti anche i meno istruiti. Ebbene, mi sto pago a una sola dimanda. La gamba anteriore del cavallo è essa conformata regolarmente, giusta i principi di dinamica e di meccanica, per ser- vire alla corsa, all’ambio, al trotto, al galoppo ecc.? La gamba posteriore dello stessso animale è essa mon- tata con simile regolarità? La risposta spetta ai dilettanti di equitazione. — Ciò posto, le estremità toraciche, del pari che le pelviche, sono dunque costrutte quali si con- vengono ; in modo tale che non potrebbero essere co- strutte differentemente da quel che sono. Allora, per una licenza rettorica, rivolgo il discorso ad un operaio, e gli dico: è quella la ruota diritta di- presentata dall’ omero «.... la torsione umerale, die’ egli, non esiste in tutti i vertebrati che sono forniti di membra, e di più non è diretta nel medesimo senso in tutti quelli ne’ quali si riscontra: 1.° la torsione è nulla negli enaliosauri, ictiosauri, e plesiosauri, e nelle testuggini talassiche; 2.° è antero-interna nei rettili e nei mammiferi terrestri, nelle foche, nelle morse, e nei sirenoidi ; 3.9 è antero-esterna nei veri cetacei e negli uccelli. » UNITÀ DI PIANO 49 nanzi di questo carro? — Sì, eccola, perfettamente proporzionata, perfettamente disposta, e che funziona perfettamente. — E quell’ altra è la ruota di dietro? — Sì, eccola egualmente appropriata, come la prima. — Ma ‘voi avete copiato l’ una dall’ altra. — No, io ho co- strutto l’una e l’altra secondo le regole della meccanica. Capite bene che queste regole sono inevitabili. Vi sono delle rassomiglianze; ma poteva io mai dimenticare in - verun caso la sala, il mozzo, le razze, od i quarti delle ruote? Vi sono bensì ancora alcune differenze; consi- derate che tutto il meccanismo dei freni manca alla coppia anteriore ecc. (1). Nell’ opera della natura io scorgo lo stesso ragio- namento. Esistono bensì omologie fra le estremità an- teriori e le posteriori; ma si poteva forse dimenti- care che occorrono tre pezzi indispensabili a ciascuna estremità, cioè un omero e un femore, un avambraccio (1) Se qualcuno profondamente istrutto nella meccanica fosse incaricato di costruire tre avambracci pei differenti usi dell’uomo, del cane, della talpa, potrebbe mai costruirli diversamente da quelli che sono in natura? No certo, perchè essi sono costruiti a regola perfetta di meccanica. Li farebbe dunque composti di due pezzi, l’ulna e il radio; e gli si potrebbe dire che in fondo egli ha ad- dottato un tipo, e che lo ha variato in tre modi ‘secondo il biso- gno. Ma l’ adozione di questo tipo, o meglio di questa forma fon- damentale, è imposta dalla necessità meccanica; egli non potea fare diversamente, non v'era luogo a scelta. Del pari potrei dire riguardo all’ avambraccio degli altri ani- 3: 50 UNITÀ DI PIANO e una gamba, una mano ed un piede? Si poteva forse dimenticare che una estremità anteriore o posteriore di scimmia, non è completa se vi mancano le dita? Non vi è forse egualmente in tutte quattro, perchè possano funzionare, la necessità di allungarsi, di accorciarsi, di piegarsi per angoli, e di servire alla preensione? Le stesse esigenze dominano tutte le estremità, salvo le modificazioni richieste dalla diversa posizione delle estre- mità relativamente al corpo. — La rassomiglianza dei movimenti importa la rassomiglianza delle parti; 1’ o- mologia delle funzioni richiede 1’ omologia degli stru- menti. Potrebbe mai immaginarsi una differenza di qualche rilievo fra le estremità anteriori e posteriori nei casi ordinari? A qual uopo sarebbero nel cavallo due zampe da solidungulo, accoppiate a due zampe da presa? La na- tura del cavallo non è forse determinata da tutto il suo complesso, ed in questa ipotesi, dalle zampe anteriori? I pittori ed i poeti si sono fatte lecite simili associa- mali, e con più verità di ciascuna parte dello scheletro di ogni ani- male. Ciascuna parte sarebbe quale necessariamente dev’ essere se- condo le leggi di meccanica. Le cose non poteano andare. diver- samente. Se trovasi dunque rassomiglianza fra loro, se vi è unità: di tipo, ciò avviene perchè lo esige la meccanica. — La natura non sì è dunque imposta un tipo da seguire; ma essa ha seguito quella via che sola era possibile in meccanica. Non è la modificazione di un tipo ingegnosamente, e accortamente immaginato, e variato, ma sono esigenze meccaniche, uniformi quanto al principio, e variate poi nelle speciali applicazioni. UNITÀ DI PIANO 51 zioni; ma il poeta ci dice ancora — Speclatum admissi risum tencatis, amici? — Buon per loro che niuno li interroga sulla ragione dell’ armonia da essi improvvi- sata fra parti incompatibili; e sarebbero molto impac- ciati se dovessero dare spiegazioni intorno all’ Ippogrifo, o all’ Argo. L'accordo delle parti va di pari passo colle condizioni di coesistenza, vale a dire, che qualora non si serbi questa legge, si cade nell’ impossibile (1). Ancora un’ ultima osservazione intorno alla wrdtà di piano. Quando si vuole ammettere una unità di #po, 0 di costruzione, 0 di piano, bisogna ammetterla tal quale (1) Faremo una domanda agli amatori dell’ unità di piano, ad essi che danno a prova luminosa di questa unità la presenza delle estremità negli animali. Porterei nottole ad Atene, se dicessi loro che ‘due strutture molto differenti sono applicate ai movimenti dell’estre- mità nelle diverse classi degli animali. La zampa della scimmia ese- guisce ogni sorta di movimenti con tre pezzi. Il tipo era assai buono, chi nol vede? — Perchè dunque non si è mantenuto ancora negli animali articolati? La flessione e la torsione del braccio si effettua tanto nel granchio, quanto nello scarafaggio; ma qui si han quat- tro pezzi: omero, mano, e due articoli intermedi e disposti l’ uno a capo dell’altro; e la torsione che nella scimmia è confidata al movimento del radio sopra il cubito, nel granchio invece si compie da parecchi assi di articolazione ecc. Ecco due tipi ben distinti e che servono al medesimo risultato; perchè ciò? Le esigenze mec- caniche non c’ entrano per nulla? ( Veggansi le Memorie dell’ Acca- demia delle Scienze di Bologna, Serie 2.* T. IX. 1869, pag. 125. — Confronto dell’ organo fossorio della Talpa e della Grillotalpa, per Gian- Antonio Bianconi). 52 UNITÀ DI PIANO essa è; cioè bisogna intendere un a? @ncirca e niente più. Imperocchè gli è vero per esempio che dal primo all’ ultimo dei vertebrati trovasi immancabilmente una testa, ed una serie di vertebre, o come dicesi una co- lonna cefalo-rachidiana; quasi sempre si trovano quat- tro estremità composte delle medesime parti: ma peral- tro si annunzia la detta unità con grandissime conces- sioni: di avere per esempio, nell’ uomo 29 vertebre, 8 nel rospo, e 300 nel serpente boa. Si sta paghi di am- mettere una unità, quand’anche si hanno quattro estre- mità enormemente sviluppate, o soltanto rudimentali, ovvero due sole, fin giù ai serpenti ed alle murene che ne vanno privi interamente. La unità si ammette ancora quando il peroneo eguaglia quasi la tibia, e quando è ridotto ad un semplice stilo come negli uccelli; si am- mette l’unità, quand’ anche si avesse una mano svilup- patissima come nell’ uomo, o quando non si ha più che un solo dito, come nel zoccolo del cavallo. Noi pertanto accettiamo l’ unita di piano con questa latitudine; cioè una unità analoga a quella che si ha nella grande fa- miglia delle locomotive, degli orologi ecc., ove vera- mente si vede un concetto che predomina, ma con migliaia di modificazioni, o di adattamenti pegli usi spe- ciali (1). Ma a questo proposito è bene notare che se (1) La scopa colla quale il famiglio ripulisce la casa, o la spazzola che serve a togliere le ragnatele, il grosso pennello de- gl’ imbianchini, e il nobile pennello del Sanzio o del Coregzio, sono l'attuazione di un solo concetto, vale a dire di uno strumento: UNITÀ DI PIANO 53 codesta parola «n/d presa nel suo stretto significato implica l’idea d'identità (1), quando invece si intenda colle latitudini sovra esposte, sì vede che, in causa di essa, nulla vi è che costringa, nulla che vincoli, nè riguardo alla costruzione delle macchine a vapore, nè riguardo agli animali vertebrati; non nelle opere umane, non in quelle della natura. Si possiede la massima libertà.... No! io mi inganno. Ogni costruttore è vincolato dalle regole della Meccanica. Concludendo dunque: nella questione dell’ unità di piano, 0 di costruzione, od altro che dir si voglia per risguardo agli organi del movimento, di preensione ecc. degli animali vertebrati; e qualora questi organi sieno a fondo analizzati, si trova che le prescrizioni ‘della mec- canica hanno prodotto rassomiglianze, e la più notevole uniformità ed unità di disegno. destinato a soffregare leggermente le superfici. In fin de’ conti sono senza dubbio arnesi dello stesso genere. Vorremmo noi dire però che sono congeneri in sì alto grado per virtù di una legge, di un pre- meditato tipo primitivo? No; tutto ciò proviene da ‘questo, che usi simili esigono istrumenti simili. Nelle arti, molti utensili si rassomi- gliano, perchè esiste un principio teorico essenziale per tutti; ma questo principio può essere modificato per l’ adattamento dell’ istru- mento ai singoli usi. Il che avviene tanto per la piccola arte umana, quanto per la grand’ arte della natura. (1) Si consulti Flourens. De ? unité de composition, Pa- ris, 1865. b4 UNITÀ DI PIANO Ora imprenderemo, o Signore, lo studio del pro- blema da voi posto innanzi, mediante 1° esame delle estremità in particolare, e primieramente della mano dell’ uomo. i I nh, _ e = (ce Bu BÎ = È ’ © RM E LA MANO DELL'UOMO Benchè si abbiano opere notevoli per molte ragioni, che trattano espressamente della mano, come quelle del Bell (1) e del Giinther (2); tuttavolta non troviamo in esse riuniti tutti i materiali necessari per la nostra ricerca. Nei lavori dei signori Cruveilhier, Carus, Bi- chat ecc. hannosi molte osservazioni che ci torneranno di grande aiuto. Nondimeno ci fa duopo intraprendere l’esame della mano sotto un aspetto ancor più gene- rale, e nel tempo stesso più particolareggiato; poi- chè la mano dell’uomo è il nostro punto di partenza, ed è il termine di confronto colle estremità degli altri mammiferi. Io non debbo insistere sopra quanto si è detto per lo addietro; ma nell’ esame della estremità superiore (1) Bell. The hand. (2) Gunther. Daus Handgelenk ecc., 1850. 58.» FLESSIBILITÀ DEL BRACCIO dell’uomo, noi troveremo portate fino al maximum le condizioni meccaniche, che in precedenza abbiamo esposte. Diffatti il braccio non consta di un pezzo solo, e non poteva esserlo nemmeno. Il braccio è un asta spezzata, che si compone di tre parti: omero, avam- braccio, e mano. Le articolazioni scapulo-umerali, ome- ro-cubitali, e radio-carpiane permettono che i tre pezzi possano formare angoli fra loro, la qual cosa consente al braccio di stendersi, piegarsi, allungarsi, ed accor- ciarsi per ogni verso e in tutte le misure. Il braccio è dotato di un altissimo grado di flessi- bilità e di mobilità. I dotti Weber, ed altri ancora, hanno notato che non avvi parte alcuna del nostro corpo con- venientemente collocata cui la mano non possa raggiun- gere. Inoltre una persona, ritta in piedi, e perfetta- mente immobile, può prendere egualmente bene un in- setto che si sia fermato sulla sua spalla, come un frutto che trovisi in alto sul ramo di un albero alla intera portata del suo braccio. Nel primo caso il brac- cio è intieramente piegato, e nel secondo è totalmente disteso. Allora esso diventa un raggio, delle cui estre- mità l’ una è fissa al suo centro sulla spalla, mentre 1’ al tra può disegnare una linea curva, della quale tutti i punti si trovano alla superficie di una semisfera a con- vessità molto uniforme. I punti innumerevoli che sono compresi entro questa semisfera, sono tutti alla portata della mano, restando pur sempre immobile il tronco. Non vi è punto alcuno di tutto questo spazio, a cui la mano coodiuvata dalla supinazione e dalla pronazione =— e FLESSIBILITÀ DEL BRACCIO 59 non possa applicare la propria azione. La mano, dopo avere percorso l’intera periferia, risale sino al suo cen- tro, alla spalla. Quando percorre la periferia è messa a profitto l’intera lunghezza del braccio, quale risulta dalla disposizione dei tre pezzi collocati sopra una me- desima linea, quando invece la mano tocca la spalla, il braccio si riduce a zero, perchè, ripiegandosi sopra sè stesso, la mano è portata all’ origine medesima del braccio. Ed il braccio, che dà alla mano la possibilità di agire da vicino, da lontano, in alto, in basso, e dovunque, scomparisce infine quasi interamente quando l’ estensione è addivenuta inutile (1). _ Potremmo spingere molto più lontano queste os- servazioni sopra la libertà e moltiplicità dei movimenti delle estremità superiori dell’uomo, ma ce ne asterre- mo per dar luogo ad una considerazione che non va priva d'importanza. Se questa mobilità è per un lato meravigliosa, poichè è prodotta unicamente da tre pezzi (quantunque uno di essi sia doppio); d'altro lato è ben chiaro, che questo stesso organo, il braccio, non po- teva a meno di essere composto almeno di tre parti: l’omero, Vl avambraccio e la mano; ed in conseguenza non potevano mancare le tre articolazioni scapulo-omero- radio-carpiane; ed infine non poteva a meno di termi- narsi con una forma digitata. Il che, in ultima analisi, (1) L' Alix fornisce molte osservazioni sui movimenti della mano. — Ammales des Sciences naturelles, T. VII, 1867, pag. 295. Mr 60 MOVIMENTI DELLA MANO è l’ attuazione delle condizioni, o principî generali, che si sono visti in addietro, acconci a qualsiasi estremità che dee servire alla preensione od alla locomozione. — Non sarebbe possibile ottenere questi effetti con un nu- mero minore di pezzi, come sarebbe assurdo pretenderne un numero maggiore. Quando tre sono perfettamente valevoli all’ uopo, perchè richiederne quattro o cinque? Nella costruzione organica del braccio avvi dunque il minor numero possibile di parti, e tuttavolta vi son tutte le parti necessarie; è il 722220 congiunto col più completo drn/ero (1). La moltiplicità delle funzioni che sono eseguite dalla mano, non è dovuta solo alla varietà dei movimenti, ond’ è capace il braccio. Avvi ancora un altro elemento, cioè la forma digitata della mano. Mediante la sua di- visione quinaria si amplifica la sua superficie in virtù (1) Non posso ommettere di osservare che gli effetti esposti vanno infine a riassumersi nella loro causa; vale a dire che i mo- vimenti si riferiscono alla costruzione del braccio. Ora questa co- struzione comparirà di bel nuovo ogni qual volta si vorranno ripe- tere gli stessi effetti voluti, se non nella medesima proporzione, al- meno in proporzione aliquota. Noto di sfuggita che negli altri ani- mali vertebrati si avrà maggiore o minore analogia nelle parti, quanto sarà maggiore o minore l’ analogia negli effetti o nei mo-. vimenti; ne porgono un esempio le scimmie ecc. Non dovrà dunque recare sorpresa se ad una unità di causa corrisponda una unità di effetti, o in altre parole, se ad una nità di funzioni corrisponda una unità di costruzione. MOVIMENTI DELLA MANO 61 del suo potere di divergenza; e la mano opponendo o piegando le sue dita, riesce una tanaglia delicatissima insieme e robustissima. Studiamo dunque, ci dice il dotto Cruveilhier che ha molto bene analizzato la mano, « studiamo con tutta attenzione questa mano, vero capolavoro di mecca- nica »-(1). La mano è esposta come tutti conoscono a soppor- tare sforzi straordinari. Si veggono gli operai provarsi a superare ostacoli invincibili; adoperano la lor mano per isforzi estremi, ed esigono da essa quanto mai può dare; e di più alle volte pretendono ciò che non è pos- sibile; donde provengono le lussazioni. Quando l’ uo- mo vedesi al rischio della morte, quali sforzi risparmia egli mai alla sua mano, se da essa può sperare alcun soccorso ? La mano eseguisce movimenti innumerevoli, forti o delicati per gradi e per intensità. Ne abbiamo esa- minato alcuni, come si vedrà nell’ APPENDICE. Forza, varietà, delicatezza, ecco i principali attri- buti di questa piccola macchina, la mano. Cotante qua- lità non si hanno senza una complicazione di struttura e -d’innumerevoli parti in tutto l’ar/0: e di più le di- verse funzioni sembrano localizzate. (1) Cruveilhier. Traité d’ anatomie descript. I. pag. 264. 62 MOVIMENTI DELLA MANO Fra i movimenti che possiamo eseguire col braccio e colla mano, uno dei più comuni è l’ atto di prendere i coppi (1). Analizzando questa semplice operazione, si vede che le differenti regioni del braccio e della mano concorrono diversamente a questo genere di movimento. La mano, o meglio le dita coi metacarpi circondano il corpo che deve esser preso, e sono immobilmente fisse sopra di quello per tutto il tempo che lo ritengono. Si modellano, per usare una frase del Cruveilhier, sulle più piccole ineguaglianze del corpo; e in certa guisa fanno parte con esso lui. Seguirebbero la inerzia del corpo od i suoi movimenti come tanaglie affisse, se non fossero regolate dal braccio. Il braccio imprime il movimento, ed ogni forza proviene da esso. Il braccio è quello che domina l'inerzia del corpo, o ferma i suoi movimenti. Fra le dita ed il braccio vi è il carpo; onde consegue, che fra l’ apparecchio della presa (le dita) e quello della azione (il braccio) avvi una parte interme- dia, sulla quale ogni sforzo va. in fine a concentrarsi; e questa è il carpo. Im ogni sorta di movimento fatto dalla estremità anteriore accade necessariamente una discordanza, ovvero una opposizione tra la forza mo- trice e la resistenza, cioè fra il braccio e la preensione digitale. Se io dò la volta ad una chiave, il braccio determina la torsione, e la mano resiste, perchè deve subire la resistenza della chiave; ma il disaccordo tra la forza e la resistenza cade sul carpo. Si imprimono (1) Per maggiori particolari vegcasi 1° Appendice. MOVIMENTI DELLA MANO S 63 altresì sul carpo gli effetti del movimento, come quelli della resistenza. Il carpo alla sua volta eseguisce la doppia funzione o di trasmettere il movimento che ha origine dal braccio, o di determinare la fermata di un corpo cagionata ugualmente dalla resistenza opposta dal braccio. Si può dire infine che bene spesso le dita altro non fanno che applicare fortemente al carpo un oggetto già preso. Con ciò recano sopra di lui 1° immobilità od il movimento, proprio di quel corpo che ritengono. Nella grandissima varietà e moltiplicità dei movi- menti che noi eseguiamo, il carpo, trovandosi impegnato in modo grandissimo nella sfera delle azioni e delle rea- zioni, diventa una delle parti più rilevanti della estre- mità. Gli sforzi ai quali va del continuo esposto, sì ri- flettono e si concentrano sulla sua costruzione; ed al- lora si comprende la specialissima attenzione che esso richiede nelle nostre ricerche intorno alla mano. Faremo dunque sul carpo umano un accurato esa- me. Per metterne più in chiaro le particolarità, sarebbe necessario certamente premettere lo studio generale dei movimenti della mano e del braccio. Ma, siccome questo ci terrebbe occupati troppo a lungo, darò un posto se- parato a questa analisi nella APPENDICE, e qui mi terrò soltanto all’ esame del carpo. vai ba f ri > dn lea PRO XRPROCUMANO GENERALITÀ SUL CARPO Le poche cose accennate or ora di sfuggita, meri tano per avventura una più accurata considerazione. Abbiam detto che le varie funzioni eseguite dalle di- verse parti dell'estremità superiore dell’uomo sembrano essere localizzate. Facciamoci ora a considerare ciò più da vicino. Diffatti; le dita saldamente applicate sul corpo che si vuol muovere, il braccio fonte ed origine dell’azione motrice, e il carpo che sopporta passivamente l’ anta- gonismo dei loro sforzi, sono tre funzioni bene /oca- lizzate. Io credo, non vorrà mettersi in dubbio che l' atti- vità dell’ estremità umana trovi la sua sorgente nel braccio e nell’ avambraccio, come del pari che la presa 5 66 CARPO UMANO di un corpo da muoversi sia ufficio della parte digitata della mano. In quanto al carpo, esso non partecipa direttamente nè all’uno nè all’altro dei due movimenti sopraindicati. Esso trovasi in uno stato di notevole passività (1): ciò peraltro non vuol dire énazione dal canto suo; giacchè gli rimane da eseguire una funzione di moltissimo ri- lievo. Collocato il carpo fra l’azione e la resistenza, è sottoposto ai violenti effetti del loro contrasto, ed il suo ufficio è di ricevere sopra di sè, senza scomporsi, tutti i colpi violenti che ne conseguono. Ma c’è di più: deve sostenere questi sforzi colla possibilità di domi- narli, e li domina di fatto in grazia della solidità dei suoi elementi e della propria elasticità. Nella estremità superiore dell’ uomo abbiamo dun- que due parti attive (la brachiale e la digitata), ed una neutra, che è il carpo. Ma le due attività essendo di natura opposta (azione e resistenza), la parte neu- trale ed elastica è collocata nel mezzo, e si trova così nel vero posto che le compete; giacchè quivi essa fun- ziona in qualità di divisore e di moderatore contro la violenza dei movimenti. Allorquando la mano è sotto- posta ad una torsione repentina, il carpo ricevendo un (1) « Brachialis (del carpo) ossa motu non carent, tametsi nul- lus iis adest musculus peculiaris corum motus auctor; et ob id obscurus censetur ac sensus nostros ommino latet ». Realdi Co- lombi. De re anatomica, pag. 75. [as] [(<—) CARPO UMANO 67 colpo violento, oppone una resistenza talora molto ga- gliarda, e la sua azione moderatrice diviene allora sa- lutare per l’intiera piccola macchina della estremità umana. Trovandosi il carpo così isolato, le sue funzioni riescono ben definite. Ripetiamolo anche una volta, il carpo è l’ intermediario tra la forza e la resistenza; e precisati così una volta il posto e la natura del carpo, la sua costruzione diviene molto più intelligibile. Vediamo come ciò avvenga. Otto pezzi compongono il carpo dell’uomo (1). Pos- siamo tuttavolta ommettere di considerare il pisiforme, che trovasi fuori di serie, e non fa parte della piastra solida carpiana. Questa piastra dunque risulta di sette pezzi ossei fortemente associati, e riuniti in guisa da formare del carpo un pezzo di molta stabilità e resi- stenza, e la cui configurazione generale è immutabile. (1) Si vegga la Tavola I SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Sezione del carpo dell’ uomo r) radio — u) ulna — 1) scafoide — 2) lunato — 3) pira- midale — 4) trapezio — 5) trapezoide — 6) capitato — 7) unci- nato — p) pisiforme. 1) metacarpo del pollice — n) secondo metacarpo — m) terzo metacarpo — IV) quarto metacarpo — v) quinto metacarpo. 65 GARPO UMANO I sette elementi carpiani sono poliedri di diverse forme, ma sempre costanti. Hanno faccie di contatto coi pezzi attigui, ed altre faccie esterne. Sopra queste ultime faccie si attaccano cortissimi legamenti « che sono di una tale resistenza, dice il Cruveilhier parlando dei legamenti (1), che non co- nosco verun’ altra materia adoperata nelle. arti che li sorpassi sotto questo rapporto..., e la loro adesione (so- pra le ossa) è tanto intima, che è più facile rompere i legamenti o le ossa, che staccare i legamenti dal punto preciso ove sono impiantati » (2). I legamenti e le loro inserzioni sono dunque saldissimi. Essi di più sono assai numerosi e distribuiti in varie direzioni sulla superficie superiore della mano, come anche nella faccia infe- riore (3). Essi irraggiano in tutte le direzioni sopra le faccie opposte. (1) Cruveilhier. Traité d’ Anat. descript. pag. 367. (2) « Le proprietà caratteristiche dei legamenti sono: una estrema tenacità, ed una inestensibilità maggiore di gran lunga che in verun altro tessuto. » Bourgery. Amat. descript. V. I. pag. 143. « I legamenti sono poco estendibili. » (ivi). — « L'ufficio dei le- gamenti è di mantenere il contatto delle superfici articolari delle ossa. » Cruveilhier o. c. pag. 370. (3) Si vegga la Tavola II. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA II. Legamenti profondi del carpo umano Faccia dorsale. 1) scafoide — 2) lunato — 3) piramidale — 4) trapezio — 5) trapezoide — 6) capitato — 7) uncinato — p) pisiforme. I — MI — IV — V) secondo, terzo, quarto, quinto metacarpo. O. Nannini lit Contoli dis Tot.G Wenk. CARPO UMANO 69 Le faccie di contatto sono ricoperte di cartilagini so- pra tutta l'estensione che non è occupata dai legamenti interossei (1). Queste cartilagini formano uno strato li- scio e levigato, molto elastico, e moltissimo resistente. Conservano la loro morbidezza e le altre proprie qua- lità fino nell’ età più avanzata, senza mai ossificarsi. Si chiamano per questo car//lagini permanenti, le quali sempre lubrificate da un umore liquido, untuoso, e vi- scoso trasudato dalle sinoviali, facilitano lo scivolamento di una superficie sull’ altra (2). Vi sono infine i legamenti interossei impiantati in certe porzioni delle superficie attigue. Questi fruiscono di una notevole estensibilità; e sono compressibili ed elastici. Le molte ossa del carpo sono dunque riunite in un solo pezzo per un triplice apparecchio di legamenti dor- sali palmari e interossei, reso poi completo sopra cia- scun lato dai legamenti laterali (3); e le ossa stesse sono in reciproco contatto, mediante le superfici co- perte di una sostanza sempre morbida, compressibile, scivolante ed elastica. Siffatta disposizione di parti, sta- (1) Si vegga Bourgery, pag. 142 ecc. (2) Veggansi le belle osservazioni di Cruveilhier risguar- danti le cartilagini articolari. — Traité d’ Anatom. descript. T. 1.9 pag. 361 e seguenti. 3) Bourgery. Anat. descript, pae. 172: ger) pi, pag 70 CARPO UMANO bile e al tempo stesso sempre in azione, importa degli effetti, de’ quali conviene tenere conto. Codesti effetti sono: 1.° la stabilità della forma generale e la conser- vazione della sua regolarità nella piastra ossea, quan- tunque sottostia a sforzi violenti: 2.° la più grande te- nacità opposta agli stessi sforzi, in causa della grande tenacità dei legamenti esterni, e della robusta loro in- serzione sulle ossa: 3.° una flessibilità oscura della pia- stra carpiana, prodotta sia dai movimenti limitatissimi degli elementi ossei fra loro, sia per compressibilità delle cartilagini e dei legamenti interossei, ed infine per la lubricità delle faccie umettate dall’ umore sinoviale (1). In causa di questo meccanismo, qui considerato soltanto nella sua generalità, vediamo sorgere nella piastra carpiana una certa flessibilità, e nel medesimo tempo una grande tenacità. Si direbbe che per l’ inter- posizione delle falde cartilaginee elastiche fra i pezzi (1) Queste vedute di complesso sono confermate dal passo se- guente del Giraud Teulon, che qui riportiamo affine di meglio chiarire il nostro argomento, benchè esso si riferisca alle estremità posteriori: « La natura aveva necessariamente conosciuto 1’ obbligo di stendere o all’innanzi o all'indietro la base di sopporto del- l’uomo. Se l’ avesse fatta mediante un osso solo, la esponeva evidentemente ad essere spezzata al più piccolo urto, salvochè non le avesse dato un considerevole volume. Ma ancora in questo caso l’ urto sostenuto da questo osso, in seguito di un salto o di una lieve caduta, avrebbe reagito aspramente sopra le leve supe- riori. Era dunque necessario ccellocare in quel luogo una serie di e ur CARPO UMANO TAL carpiani, si hanno altrettanti elastici o molle in ciascun combaciamento delle facce. Allora tutto il carpo sarebbe un meccanismo ad elastico; e si troverebbe molto op- portuno nel posto che occupa nel braccio, cioè un di- visore ed un ammortizzatore dei colpi violenti fra l a- zione e la resistenza. Voi conoscete, o Signore, che se il carpo è real- mente un meccanismo ad elastico, agirà nel suo posto secondo una perfetta regola di meccanica. Allora sarà sempre lo stesso principio che ci accompagna nella no- stra esplorazione: la necessità meccanica, che non po- teva permettere una estremità umana senza questo mo- deratore posto convenientemente, cioè il carpo. Che dico mai? La stessa necessità non poteva permettere che nessuna estremità esposta alla possibilità di sforzi re- pentini, fosse priva di questo moderatore. Aspettiamoci ossa e di articolazioni che permettessero una decomposizione delle resistenze in tensioni, secondo i legamenti e le pressioni sopra le parti solide. La forma a volta realizza questo prezioso vantaggio. Lo sforzo verticale che tendesse a disgiungerla, si estenderebbe al- lora sui legamenti orizzontali destinati a mantenere la volta. Po- trebbe in questo modo essere vinta una violenza ancora considere- vole. La resistenza dei legamenti alla lacerazione, e delle ossa cu- biche alla rottura, è diffatti molto più potente della resistenza alla rottura che può presentare un osso lungo, premuto perpendicolar- mente alla sua lunghezza. » Giraud Teulon. Principes de méca- nique animale. Paris, 1858, pag. 35. #74 CARPO UMANO dunque di trovare un tale moderatore, oltre che nell’ uo- mo, ancora in altri animali. Affine di meglio conoscere la natura del carpo, esaminiamo partitamente le facce di contatto, o con più esattezza parlando, le facce di scivolamento. FACCE DI SCIVOLAMENTO Il fondamento della azione propria dei pezzi car- piani è collocato nelle facce di combaciamento di un pezzo sull’ altro. E vero che alcuni anatomici hanno detto che queste facce, eccettuate quelle che servono alla articolazione endocarpiana, sono quasi piane (1); op- pure non offrono un grande interesse. Ma bisogna pur convenire che, a quanto sembra, queste ossa del carpo non sono state sempre osservate con sufficiente at- tenzione. Diffatti le facce di contatto o combacianti non sono mai piane, come neppure di una curva uniforme. Que- ste facce presentano sempre leggere gibbosità o spor- genze che si alternano con leggere concavità, e solchi ottusi con creste smussate (2). La faccia del trapezio (1) Meyer. Traité d’ Anatomie, pag. 128. — Sappey. Traité d’ Anatomie, pag. 107. (2) Ecco la descrizione data da Bourgery delle facce ondu- late di scivolamento. « Composte di faccette adiacenti alternativa- mente convesse e concave in senso opposto, ma nelle quali il rialzo o l’incavo sono -poco manifesti, esse si combaciano e si contengono 74 FACCE DI SCIVOLAMENTO per esempio che si annette a quella del trapezoide è un parallelogrammo (1) obliquo, ed un poco irregolare ne’ suoi contorni (2): sopra codesta faccia si può di- scernere una convessità che cammina lungo la diagonale a, Db, ed una seconda convessità più piccola sulla dia- gonale c, d. I quattro angoli del parallelogrammo, o le estremità delle diagonali, sono dunque gradatamente a due a due più depresse che il mezzo, il quale è alla sua a vicenda » pag. 142. « Tutte le ossa del carpo, dice Bertin, e «le basi di quelle del metacarpo, nei diversi sforzi che facciamo 0 sosteniamo colla mano, eseguiscono dei piccoli spostamenti le une sulle altre, in grazia delle faccette levigate di che sono coperte, e ci danno la facoltà di modellare la figura della nostra mano sulla figura dei corpi che afferriamo o respingiamo da noi. » Bertin. Ostéologie, T. 3, pag. 384. (1) In queste descrizioni si considerano le ossa ricoperte dalle cartilagini. (2) Si vegga la Tavola m. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA II Facce di scivolamento di alcune ossa del carpo umano Fig. 1. Faccia di contatto del trapezio col trapezoide (doppia gran- dezza). . Sezione della medesima faccia secondo la diagonale a. d. Faccia di contatto del piramidale coll’ uncinato. . Sezione della medesima secondo la linea a. d. % Ut 09 DO Faccia di contatto dell’uncinato col piramidale, posizione verticale. v Dì la medesima in posizione rovesciata. » 7. 8. Facce schematiche di scivolamento. n° stu ‘Contoli disÈ FACCE DI SCIVOLAMENTO 75 volta inegualmente convesso. Le depressioni del pari che le convessità non sono tanto pronunziate; epperò la superficie più propriamente sembra ondulata, ma liscia e levigata quando è coperta della sua cartilagine (1). Se io passo alla osservazione della faccia di conti- guità del piramidale coll’ uncinato, veggo che non è piana, ma che una leggiera concavità contorta a spirale scende dall’ alto al basso, circondata da una convessità che pur essa sì stende a chiocciola. Può dirsi che essa è elicoidale; e codesta forma è svolta con tutta rego- larità secondo la lunghezza dell’ osso (2). Qualunque sia la sezione che s' immagini praticata perpendicolarmente su di questa superficie, o su quella del trapezio, non si giunge mai a trovare una linea retta; è sempre una linea ondulata, ma dappertutto ondulata diversamente (3). E quantunque le concavità e le convessità siano distinte e molto sensibili, pur tut- tavia si passa molto dolcemente da una parte rilevata (1) La superficie del trapezoide che tocca quella del capitato, ha la forma di un segmento di circolo, interposto alle due parti più aperte e piane. À questa concavità corrisponde esattamente la con- vessità presentata dal capitato. A_ qualunque piccolo movimento delle due ossa, le curve non si corrispondono più, ed obbligano i lega- menti ad una tensione in causa della ripulsione mutua delle due superfici. (2) Tavola m. fig. 3. (3) Tavola m. fig. 4 e 2. 76 FACCE DI SCIVOLAMENTO all’ altra depressa senza rapida salita, o forte discesa; e la cartilagine presenta sempre le medesime forme dell’ osso, addolcite però dalla loro supeficie unita, li- scia e levigata. Non mi posso qui occupare della completa e mi- nuta descrizione di queste facce di contiguità, nè di quelle degli altri pezzi carpiani, nè risalire fino alla completa analisi di una sola faccia di scivolamento. Sa- rebbe questa una ricerca di meccanica superiore, a cui non basterebbero le cognizioni che ho. Ma per quanto riguarda le due facce opposte a quelle sopra indicate, luna delle quali appartiene al trapezoide, e 1° altra al- l’uncinato, la loro descrizione si compie in una sola parola, dicendo che sono modellate perfettamente sulle facce opposte. Ad ogni convessità dell’ una corrisponde diffatti la concavità dell’ altra, e si combaciano in ogni punto; inoltre le cavità sono dello stesso grado che le opposte convessità; sono facce di ricezione, che si combaciano per ogni dove. E quasi potrebbe dirsi che esiste qui la rispondenza della medaglia al conio. Quando due pezzi carpiani sono rispettivamente al loro posto, è chiaro che ciascuna protuberanza giace nella cavità corrispondente. Ma è chiaro altresì che avvi un sol punto, un posto solo, secondo il quale ogni cosa è bene assettata. Aiutiamoci con un esempio. Io sup- pongo due tavole di legno, o di qualsiasi altra so- stanza, sopra una delle quali vi siano tre bottoni ri- REPULSIONE DELLE FACCE DI SCIVOLAMENTO 77 levati a diverse distanze e non in linea; e sull’ altra, È) tre cavità che perfettamente ai primi rialzi corrispon- dano (1). Se io colloco la seconda tavola sulla prima in modo che il punto & dell’ una corrisponde al punto a dell’ altra, ciascun bottone entrerà nella sua rispet- tiva cavità, le due tavole si tocheranno sopra ciascun punto, e si potrà dire che le due facce si combaciano dappertutto. Inoltre in causa della costruzione supposta, siccome il punto & corrisponde all’ @° dell’ altra, così del pari i punti 2, c, ecc. corrisponderanno agli altri bd, c' ecc. e le due tavole saranno disposte in simme- tria l'una sull’ altra. Supponiamo per converso che girando una delle due tavole, il punto 2’ risponda al punto 4; e i bot- toni non troveranno più le cavità per entrarvi, nè le due tavole si combaceranno più colle rispettive super- fici. Si può ripetere questo stesso ragionamento per tutti gli infiniti punti di combinazione delle due tavole. Non vi ha dunque che un sol punto di combinazione, un solo possibile collocamento delle due superfici. In codesta condizione esse sono chiuse, sono a contatto, ed i loro margini sono orientati. In tutte le altre com- binazioni sono socchiuse (déantes) e discoste. Le superfici dunque dell’ uncinato col piramidale, quelle del trapezoide col trapezio ecc. essendo superfici (1) Tavola m. fig. 7, e 8. 78. REPULSIONE DELLE FACCE DI SCIVOLAMENTO reciprocamente concavo-convesse, a convessità non or- dinate in linea, non hanno che una sola posizione di combaciamento ; e in tutte le altre posizioni rimangono succhiuse o semiaperte. Le convessità delle facce intercarpiane sono, come abbiamo già detto, pochissimo rilevate, ed in qualche caso sono piuttosto superfici contòrte, ondulazioni leg- gere le quali non permettono certo il combaciamento di una faccia colla sua opposta che in un solo colloca- mento, ma consentono tuttavia che una convessità possa uscire o scivolare fuori della sua concavità rispettiva, permettendo alle due ossa di eseguire alcuni piccoli spostamenti l’ uno sull'altro. Merita speciale attenzio- ne questo fatto: che cioè avviene per la forma stessa di ciascuna faccia, che al menomo spostamento, occa- sionato dai movimenti che altrove esamineremo, la con- vessità di una faccia non può uscire dal fondo della ca- vità ov’ era contenuta, senza salire sul clivo della con- vessità, ossia sulla gobba della faccia opposta. Ora o le ossa del carpo si trovano collocate al proprio posto, ed allora ciascuna parte protuberante delle loro facce è in- castonata nella sua cavità di rincontro, essendo perciò le facce a contatto e perfettamente chiuse; ovvero la gobba uscendo dalla sua cavità comincia a salire sulla convessità della sua opposta, ed in tal caso le superfici per necessità si respingono scambievolmente e addiven- gono semiaperte. Bisogna bene notare qui che la distanza risultante REPULSIONE DELLE FACCE DI SCIVOLAMENTO 79 da questa ripulsione, per quanto sia piccola, trovasi in contrasto colla tensione dei legamenti esterni, e si ef- fettua totalmente a scapito della compressione delle cartilagini (1). (1) Credo che la supposizione di un piccolo meccanismo non sarà qui fuor di proposito, perchè può servire a farci comprendere la funzione o il congegno degli elementi del carpo. Imaginiamoci una sfera vuota elastica, per esempio di caouth- chue; nella cui cavità si siano collocati tre o quattro pezzi solidi che lascino nel loro mezzo una cavità a sezione ovale. Se in questo vano sì ponga una verga a testa parimenti ovale, e si giri questa verga, è evidente che i pezzi interni saranno rimossi e spostati l’uno dall’ altro, e tenderanno a dilatare la sfera. Ma la torsione della verga trova un limite, appena chè la misura dell’ elasticità delle pareti è giunta al suo termine. Fermato perciò il movimento della torsione della verga, ogni sforzo va a finire sulla tenacità delle pareti. Questo meccanismo si può ancora migliorare. Si imagini la sfera circondata per ogni parte da corde inestendibili, se possibile fosse. Lo sforzo di dilatazione interna che noi abbiamo supposto prodursi per la torsione della verga ovale, reagisce in un modo diverso. È vero che tende sempre a produrre una dilatazione delle pareti elastiche; ma in realtà poi, essendo le pareti elastiche cir- condate da corde, supposte inestendibili, lo sforzo produce una vera compressione delle pareti elastiche contro le corde esterne. Se que- ste corde sono abbastanza robuste, possono superare ogni violenza ed estinguere e reprimere ogni sforzo, per quanto suppongasi violento. La intensità, o l’asprezza del colpo va dunque a morire final- mente sulle corde esterne. Questo ultimo caso è il perfetto corrispondente del meccanismo del carpo. Ogni spostamento degli elementi ossei, come abbiam detto, produce un allontanamento, o una deiscenza dei pezzi solidi. 80 REPULSIONE DELLE FACCE DI COMBACIAMENTO Facendo combaciare le facce corrispondenti dell’ un- cinato e del piramidale, io le ho viste perfettamente a contatto. Di poi ho spostato mediante un piccolo movi- mento rotatorio i due sunnominati pezzi del carpo, e tosto che le due facce hanno incominciato a spostarsi, risalendo l una protuberanza sull’ altra opposta, si è prodotto un piccolo hiatus fra le due facce; hiatus che non si chiude più, se non quando ciascuna parte sia ritornata al suo posto primiero. Le parti rialzate e quelle che sono depresse in ciascuna faccia, in tesi generale sono distribuite in modo, che se uno sforzo tende a cangiare i loro rapporti, que- ste protuberanze agiscono facendo allontanare le due facce; e se lo sforzo continuasse con intensità, ne risul- terebbe infine che ogni protuberanza, ogni parte rial- zata troverebbesi collocata al vertice delle protuberanze dell’ opposta faccia. Il che peraltro non è possibile nel carpo umano, eccetto i casi estremi di lussazione. Studiamo ora che cosa accadrebbe, se nelle ossa del carpo si avesse una costruzione diversa da quella che si ha difatti. Supponiamo che i legamenti esterni sieno del tutto inestendibili, e perfettamente tesi, e che le Le corde esterne, o i legamenti, oppongono un saldo limite ad ogni movimento; ma fra le ossa del carpo, ed i legamenti vi hanno pa- reti compressibili, cioè le cartilagini. Infine la violenza degli sforzi va a cadere sulla tenacità delle corde. FUNZIONI DELLE FACCE DI SCIVOLAMENTO 81 due facce per esempio del trapezio e del trapezoide sieno facce ossee vale a dire incompressibili. In tal caso sa- rebbe impossibile ogni movimento ed ogni spostamento dei pezzi. Esso sarebbe un meccanismo di pezzi ingra- nati reciprocamenti e chiusi. Ma, come ognun sa, una falda cartilaginea elastica ricopre per ogni dove le due superfici. Nella occasione pertanto di un movimento dei pezzi carpiani, qual che ne sia la direzione, le parti ela- stiche interposte (cartilagini e legamenti interossei) en- trano allora in funzione; subiscono una compressione che alle parti protuberanti di una faccia permette di uscire per poco che sia dalla sua cavità corrispondente e di acconsentire al movimento delle due facce. La pro- tuberanza uscendo dalla sua cavità, tosto ascende sul pendio di una convessità della faccia opposta; le due facce vengono respinte scambievolmente, ed ogni resi- stenza ricade sui fasci legamentosi. Dalla esposizione delle quali cose resta chiarito, a mio avviso, come sia principalmente sotto l’ influenza di possenti sforzi che hanno luogo gli effetti sopra indicati. I movimenti ordinari della mano come lo scrivere, ri- camare, suonare il piano-forte ecc., non si traggono dietro in grado sensibile l’ azione delle facce endocar- piane. Ove fosse altrimenti, il carpo fruirebbe di una eccessiva mobilità, che certamente volgerebbe in danno della forza e della precisione della mano. Il movimento dei pezzi carpiani l’ uno sull'altro ha luogo allorquando si esplica una forza che rechi la compressione delle car- tilagini. Questo avviene principalmente quando sieno im- 6 S2 FUNZIONI DELLE FACCE DI SCIVOLAMENTO posti alla mano sforzi energici. Im molte funzioni mode- rate della mano è bastevole la rigidità propria della piastra carpiana. Tale rigidità è determinata dalla resi- stenza delle cartilagini a lasciarsi comprimere; ma essa ha un breve termine. Al di là di questo incominciano gli sforzi energici e violenti, come ad esempio il girare una trivella od una chiave molto resistente. Allora la resistenza della piastra carpiana è costretta a manife- starsi, e somministra quanto è a lei possibile in grazia della compressibilità delle parti elastiche interposte agli elementi ossei del carpo. In sostanza è un meccanismo ad elastici, ma entra specialmente in funzione negli sforzi supremi e straor- dinari. Se il carpo si vuol chiamare un divisore od istrumento per la decomposizione degli sforzi ed un moderatore, bisogna chiamarlo altresì un freno, ma un freno di grande portata. Quindi è che la. mano spiega in questa parte fondamentale della sua costruzione, cioè nel carpo, una elasticità oscura, ma assai salutare quando essa soffra eccessive violenze. I fenomeni che stiamo esaminando non sono che la parte passiva del meccanismo del carpo; giacchè l’a- zione che supponiamo è un’ azione estrinseca, tendente a volgere, a mo’ d’ esempio, un pezzo del carpo su di un altro, comprimendo le cartilagini, e mettendo alla prova la tenacità dei legamenti. Ma c’è un’altra parte, la parte o funzione attiva, che è la vera proprietà delle facce di scivolamento. RICOLLOCAMENTO DEI PEZZI CARPIANI S3 L'ultimo termine a cui abbiamo lasciato le nostre ricerche su questi punti, è stato lo spostamento delle protuberanze di una faccia carpiana fuori della sua ca- vità, e la sua ascesa sulle parti salienti delle conves- sità della faccia opposta. In siffatta condizione, si hanno parti culminanti poste sur un pendio scivolante. In quella stessa maniera che queste salgono finchè agi sce la forza esterna, così, tosto che cessi 1’ azione, ciascuna protuberanza viene ricondotta e rientra nella sua prima cavità. Lo che del resto avviene molto facilmente. Ram- mentandoci che ciascuna faccia è ricoperta di una car- tilagine, liscia e levigata, la cui superficie vellutata è perennemente spalmata dall’ umore sinoviale, ben si vede non essere possibile tenere una parte convessa so- pra un lubrico pendio, qualora la forza che l’ha sospinta in alto venga a cessare. Non dimentichiamo ancora l’ e- lasticità delle cartilagini, che restano compresse quando ogni protuberanza sia spostata. Queste tre condizioni, l’elasticità delle cartilagini e dei legamenti interossei, la lubricità per l’ umore untuoso sinoviale, e il cessare della forza che ha spostato, riconducono subitamente ogni punto al proprio posto e lo rimettono nel suo as- setto naturale. La natura geometrica della superficie e la sua condizione elastica e scivolante richiamano ogni pezzo al proprio posto. Queste facce intercapiane che si sono chiamate facce scivolanti, potrebbero forse chia- marsi con termine più proprio facce di ricollocamento , perchè il primo effetto della loro conformazione è di S4 ORIENTAZIONE DEI PEZZI CARPIANI ricondurre al proprio posto i pezzi del carpo; di guisa che, quando è cessato uno sforzo, ogni parte trovasi di tratto ricollocata al suo posto (1). Da ciò consegue un effetto importante ed imman- chevole, quello cioè di ottenere una perfetta orienta- zione dei pezzi carpiani fra loro. Certi mestieri fatico- sissimi sottomettono quotidianamente la mano dell’ ope- raio a sforzi sempre iterati. Fra i più volgari, come il falegname, il fabbro-ferraio, il guarda-freni, e molti al- tri, fanno eseguire alla loro mano contorsioni talmente gagliarde, che ben a ragione si può supporre che subi- scano fortissime violenze in alcuno dei loro pezzi del carpo. Ora è presumibile che una ripetizione all’ infi- nito delle stesse violenze sempre sui medesimi pezzi, potrebbe trarre lentamente fuori della propria sede qual- cuna delle ossa del carpo, se le loro facce fossero piane. Ma ciò non può accadere, quando si hanno facce di ri- chiamo o di scivolamento. Uno sforzo può ben mille volte spingere l’ uncinato fuori del parallelismo col pi- ramidale, ma per altrettante volte il pendio lubrificato della sua faccia di contatto riconduce tosto i due pezzi al loro più perfetto collocamento. Ho detto il più per- fetto, perchè le due ossa vengono riunite assieme nella precisa posizione, nella quale ciascuna convessità è po- (1) Singula haec ossicula.... inaequalitatibus, foveis, ac promi- nentiis plurimis ornatae sunt..., et in propria sede coercentur. Cal- dani. Zrstitutiones anat. Vol. 1.° pag. 132. FACCE DI RICOLLOCAMENTO sb sta nella propria concavità; esige ciò la lubricità delle facce, e sopratutto poi lo esigono le cartilagini, sempre tendenti a riprendere la loro abituale dilatazione (1). Dunque non avvi posizione possibile, tranne quella sola che è determinata dalla distribuzione geometrica delle parti rilevate colle concave. Ecco le conseguenze che nascono da questa dispo- sizione di cose. Il carpo dell’ operaio ottuagenario può, dopo tante fatiche e tanti sforzi, essere così egualmente assettato come quello di un giovane di venti anni; ed una mano, quando anche sia affaticata da lungo lavoro, non sarà mai sformata, ed avrà ogni sua parte ben disposta, e che agisce a perfezione. Di che ognun vede come la mano abbia una probabilità di mille contro uno ‘ di conservarsi nel suo stato normale e perfettamente funzionante, ad onta delle numerose torture alle quali va soggetta. Abbiamo qui indicato il primo effetto delle facce di scivolamento. Eccone un altro. Quando l’ intera estre- mità (cioè il braccio, il carpo, e la mano) è sotto- posta ad una violenta contorsione, i pezzi carpiani su- biscono uno sforzo in diverse direzioni pel medesimo colpo. Supponiamo che uno sforzo tenda a smuovere o (1) Questa dilatazione non può mai mancare, conciossiachè le cartilagini, come dice il Bourgery, sono in istato di permanente elasticità. 86 FACCE DI RICOLLOCAMENTO a spostare il capitato dal suo posto: da principio cede in causa della compressibilità delle sue cartilagini, ma non opera questo movimento senza reagire su tutte le facce delle ossa circostanti, quali il trapezoide e l’un- cinato a’ suoi lati, e lo scafoide ed il semilunato al di sopra. E reagisce sopra queste ossa in due modi: da prima per la repulsione delle facce operata pel sormon- tarsi delle protuberanze, e secondariamente per lo sti- ramento dei fasci legamentosi che congiungono un pezzo osseo cogli altri. Così quando il capitato agisce nella maniera qui detta sull’ uncinato, questo non è certa- mente l’ultimo a risentire il colpo del primo sforzo. Anch’ egli ha facce di contatto e di ricollocamento col piramidale, ed il piramidale col semilunato. D’ altronde l’azione del capitato si fa sentire, come abbiam detto, sul trapezoide, e da questo sul trapezio, poscia sullo scafoide ecc. In fine ogni pezzo è in connessione coll’ al- tro, e trascina il proprio vicino nella sua torsione ; que- sto agisce del pari sull’ altro che gli sta appresso, e così di seguito per tutti gli altri. Tutti i pezzi del carpo sì tengono stretti reciprocamente mediante numerose striscie legamentose, di guisa che tutti i pezzi carpiani riuniti insieme formano del carpo una rete di fasci le- gamentosi, i quali sono messi all’ opera di resistenza. ogni qual volta entrino in fanzione le facce di scivola- mento o di ricollocamento (1). (1) Ma una rete, che fosse formata solo di legamenti, manche- rebbe di solidità nella sua forma generale, e della necessaria rigi- PA FACCE DI RICOLLOCAMENTO 87 Essendo dunque un pezzo carpiano messo in comu- nicazione con tutti gli altri, la resistenza ond’ esso fruisce è la somma di tutte le resistenze dei pezzi del carpo, come del pari la sua cedevolezza è la somma di tutte le cedevolezze onde sono suscettivi ì vari pezzi fra loro ecc. Per cotal modo si comprende, come uno sforzo che cade sopra un pezzo del carpo sia condiviso da tutti gli altri; tutti cedono un poco, ma tutti altresì resi- stono; e l’azione di decomporre o attenuare gli sforzi e moderarli, è l’ opera soZidale di tutti insieme i pezzi del carpo. Non v' ha dubbio certamente, che la forza o la solidità dei piccoli poliedri carpiani, presi partitamente, sia molto notevole; perchè, come si è veduto, tutto lo x sforzo onde ciascuno è gravato, viene condiviso da tutti i membri della piccola famiglia ossea. Ma ciò che me- rita specialissima considerazione è, che una torsione applicata in questo modo sul carpo, si converte in uno dità. L'associazione dei legamenti cogli elementi ossei somministra la rigidità e la tenacità. Essendo il carpo così composto, la sua forma fondamentale non è mai messa a pericolo di alterarsi, perchè le facce di ricollocamento rimettono geometricamente i pezzi ossei al loro posto. Una sì fatta unione di parti presenta: 1.° incompressibilità , 2.° elasticità, 3.° movimenti intestini nella piastra carpiana in de- terminate direzioni. 88 IL CARPO, ISTRUMENTO ELASTICO stiramento di corde legamentose in molte direzioni. La resistenza del carpo allora è commensurata alla resi- stenza dei legamenti. Ma i movimenti possibili fra i pezzi carpiani hanno i loro limiti, chie a dir vero sono assai ristretti. Poichè ben presto giugne quel momento in cui la compressibilità molto circoscritta delle cartilagini, e la quasi inesten- sibilità dei legamenti, pongono un termine al movi- mento di una faccia sull’ altra. L'ultimo ostacolo alla progressione di questo movimento proviene, come si vede, dalla resistenza di cui fruiscono i legamenti, per forma che ogni sforzo applicato ai pezzi ossei del carpo si converte in un violento stirarsi dei legamenti. L’asprezza dunque degli sforzi sopportati dalla mano o dal braccio va infine a sminuire, o diciam meglio, va a morire sui due sistemi non rigidi, cioè sulle car- tilagini e sui legamenti. Essa si divide così sopra pa- recchi elastici. Ecco dunque la violenza di un colpo; tra- sferita contro l’ elasticità e la tenacità dei tessuti che abbiamo indicati; lo che è ben altra cosa che se si fa- cesse cadere il colpo o lo sforzo sopra una massa ossea (la piastra carpiana) supposta di un sol pezzo, ovvero di più pezzi senza elastico intermedio o senza interpo- sizione di cuscinetti. Ma quando si hanno molti ele- menti ossei a facce ondulate, unificati con legamenti, e commessi insieme colla interposizione di cartilagini ela- stiche, si ha allora la stabilità di forma, e nel tempo stesso la flessibilità ed elasticità della piastra del carpo. Con ciò si è assicurati contra, la deformazione della pia- IL CARPO, ISTRUMENTO ELASTICO 89 stra. Troppo nuocerebbe una deformazione alla forza ed alla resistenza della mano, come anche alla precisione de’ suoi movimenti. Con questo meccanismo non vi è nulla a temere per la forma, per la stabilità, e per la tenacità. Qui e’ è qualche cosa di paragonabile col mec- canismo della colonna vertebrale, che essendo costituita di pezzi solidi alternati con altri elastici, vincolati da gagliardi legamenti, può fare movimenti dolci, ma nel tempo stesso di forza e resistenza superiore (1). Il carpo polimero (2) ed a cuscinetti, è uno stru- mento eccellente per decomporre, affievolire e ad- dolcire i colpi violenti che cadono sul braccio e sulla mano. Sarà opportuno far qui notare, che un elastico di simil fatta sarebbe mal collocato tanto se fosse dinanzi alla tanaglia (le dita) quanto se fosse posto dietro il punto di azione (il braccio); la qual cosa è evidente. (1) Qui si può registrare un fatto che credo sia bene venga conservato per la scienza. Una sbarra quadrata di ferro di m. 0, 02 di grossezza e di un metro di lunghezza chiudeva la porta di una stalla di campagna all’ altezza di m. 0, 90 dal suolo. Un vitello di un anno, volendo uscire, si abbassò sotto la sbarra, ma spaventato dalle grida dei custodi, si alzò tosto premendo la sbarra colla schiena. E fu tale lo sforzo della sua ‘colonna vertebrale, che fece piegare quella sbarra per m. 0, 09, senza riportarne in sè verun nocumento. (2) rt0Ave molte, pepog parti. 90 FUNZIONI DEL CARPO Si è fatto un gran caso di trovar sempre il carpo nel mezzo. e più precisamente di trovare le diverse parti ossee delle estremità sempre al medesimo posto (brac- cio, avambraccio, carpo, parte digitata) (1). Ecco qui, si è detto, una prova della «nità di piano. Ebbene, dove mai vorrebbesi porre questa specie di molla ela- stica, qual è il carpo, se non nel mezzo? Codesti ammirabili meccanismi che abbiamo descritti, mentre nelle indicate condizioni servono come un siste- ma a molla, servono altresì in circostanze diverse per aumentare la solidità del carpo. — Nel caso dei grandi sforzi, l’azione muscolare agisce stirando la mano sul carpo ed il carpo sull’ avambraccio. Per cagione di questa pressione antero-posteriore alcuni dei pezzi del carpo si premono a vicenda. Allora le facce di contatto fra essi si chiudono, e quindi necessariamente addiven- gono immobili. Imperocchè le loro parti rilevate tro- vandosi collocate nelle rispettive cavità, costituiscono tante facce di ingranaggio premute ortogonalmente. Il trapezio stretto sul trapezoide è immobile, del pari che l’uncinato sul piramidale, e restano chiusi insieme. Al- trettanto può dirsi di tutti gli altri, salvo poche ecce- zioni. Consegue da ciò, che sotto certe contrazioni tutti (1) « Ciò che è costante, è il posto che tien un osso nella economia e l’ ufficio che vi compie » (Goethe). — « Non si vedrà mai una trasposizione delle ossa del braccio...» Darwin. Ori gine ecc., pag. 608. MECCANICA DEL CARPO 91 i pezzi del carpo si fissano l'uno sull’ altro per le facce di contatto, che sono più o meno ortogonali alla dire- zione della trazione muscolare. Se questo stiramento si fa nella direzione delle tre dita, per esempio del medio, del quarto, del mignolo, si vede che il capitato sì chiude sull’ uncinato, questo sul piramidato, e que- st’ ultimo sul semz/unato. Da ciò proviene che una metà della piastra carpiana ha tutti i suoi elementi chiusi, e così viene accresciuta la sua solidità. Ogni volta che si sviluppa un’ azione muscolare per lottare contro uno sforzo, la stessa azione aumenta dunque la chiusura dei pezzi ossei. Così la contrazione muscolare che vince uno sforzo, accresce nel tempo istesso la solidità dello strumento medesimo, vale a dire del carpo e della mano. Non anderò più oltre nell’ esame generale del carpo, giacchè ben presto si passerebbe nell’ alta sfera della meccanica superiore, dove io non potrei certamente avventurarmi. Ma quando si considera che le connes- sioni dei pezzi del carpo formano un laberinto di fes- sure orientate in quasi tutte le direzioni; che le cavità delle facce di contatto sono curvate o inflesse in mille maniere; che le convessità o gibbosità sono disposte al tresì in diversi modi sulle diverse facce; che la dire- zione dei fasci legamentosi segue anch’ essa delle linee intrecciate colla più grande varietà; ma che tutto que- sto presenta sempre la stessa disposizione in ogni mano dell’uomo, e, per quanto io sappia, il medesimo fatto 92 MECCANICA DEL CARPO si ripete nelle differenti razze umane: si è condotti as- sai naturalmente a concludere, che nel carpo vi hanno facce modellate per qualunque bisogno della mano, in tutte le sue funzioni ed in ogni suo sforzo; e che han- novi altresì punti elastici e punti resistenti per rattem- prare tutti i colpi violenti che s'incontrano nell’ eser- cizio della mano. Ma chi potrà farne il calcolo? Quanto a me, vi ri- nunzio. Peraltro non posso disconoscere che in tutto questo avvi una scienza ed un’ arte elevatissima. Scienza ed arte, che hanno prodotto un ultimo risultato che ognun conosce, cioè la perfezione della mano. eno ARTICOLAZIONE ENDOCARPIANA Tutto ciò che abbiam detto finora si riferisce prin- cipalmente alle facce di scivolamento, che mettono a contatto i pezzi del carpo di una stessa «serie, come ad esempio il capitato coll’ uncinato o col trapezoide ecc. Ma le facce, mediante le quali una serie del carpo è a contatto coll’ altra, fruiscono di una libertà molto più patente; e nel loro complesso formano ciò che chiamasi l’ articolazione carpo-carpiana, 0 endocarpiana. La interlinea, descritta da questa articolazione, è irrego- larissima. e Si 6 Interlinea endocarpiana Lo scafoide presenta da sè solo una faccia articolare a, b, al trapezio e al trapezoide, ed in parte alla testa del capitato d, c. La sua superficie più bassa 4, d, è quasi uniformemente convessa, e su di lei possono muo- versi le menzionate due ossa: il trapezio cioè e il tra- pezoide. Queste alla lor volta hanno le facce superiori 94 ARTICOLAZIONE ENDOCARPIANA incavate in proporzione della convessità scafoidale, di guisa che, quand’ anche le ossa siano in movimento dal di dietro all’ avanti, non vi sono mai distanze tra una faccia e l’altra, ma rimangono sempre a contatto. Poscia la linea ascende in d, c, quasi vertical- mente. E sempre lo scafoide, che per un altra delle sue superficie unitamente al semilunato c, d, presenta un profondo incavo nel quale si va a collocare la testa del capitato, come perno nel suo foro. La stessa linea ar- ticolare discende ancora di bel nuovo in direzione obli- qua fra il piramidale e l’ uncinato d, e, ma qui, giudi- cando a prima giunta, avvi una vera faccia di scivola- mento delle meglio e più fortemente modellate (1), e nel tempo istesso è una faccia capace di compiere mo- vimenti articolari di qualche estensione, ma però in una direzione sola. L'articolazione carpo-carpiana (2) secondo il Cru- veilhier presenta tre parti distinte. Noi esporremo qui l’esame che egli ne fa. Una di queste è l’ enartrosi, formata dalla testa del capitato coll’ apofisi dell’ unci- (1) Tavola nm. fig. 3, 4, 5 e 6. (2) Questa articolazione comprende le seguenti superficie: 1.° dell’uncinato, sopra il piramidale. — 2.° del capitato, (la sua te- sta) sopra il semilunato. — 3.° del trapesoide, sullo scafoide. — 4° del trapezio, sullo scafoide. O Nannini lit* Contoli dis' Int G Wenk ARTICOLAZIONE ENDOCARPIANA 95 nato (1), un’ altra al difuori è un’artrodia costituita dallo scafoide col trapezio e col trapezoide (2). Infine al di dentro un’ altra artrodia composta dal piramidale coll’ uncinato (3). A questa articolazione si attribuiscono in generale movimenti molto spiccati dal di dietro all’avanti, e molto più estesi di quelli dall’ innanzi all’ indietro; ed assai poco per la torsione. - Esaminiamo particolarmente queste facce articolari. Il trapezio e il trapezoide possono agire con molta libertà sulla convessità dello scafoide, per quanto i le- gamenti lo permettono. La testa pure del capitato può senza verun dubbio eseguire movimenti molto espliciti dall’ indietro all’avanti. Ma non sembra possibile trovare analoghi movimenti fra 1’ osso piramidale e l’ uncinato. Le facce di contatto fra queste due ossa non sono già, come han detto molti autori, facce piane; ma per con- trario sono facce con ondulazioni marcatissime, con pro- (1) Si vegga la Tavola Iv. fig. 3. (2) Tavola Iv. fig. 2. (3) Tavola Iv. fig. 1. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA IV. Rapporti di alcune ossa del carpo umano. Fig. 1. «.) uncinato — d.) piramidale. » 2. a.) scafoide — d.) trapezio — c.) trapezoide. » 3. 4.) uncinato — d.) capitato. 96 ARTICOLAZIONE ENDOCARPIANA minenze e concavità, la cui disposizione dà una forma elicoide alle due superfici. La figura (1) di queste facce ci mostra che nel punto inferiore dell’ osso piramidale vi è una prominenza tubercoliforme, ed un’altra più larga alla estremità dell’ apofisi dell’ uncinato. Il rima- nente delle superfici è contorto per causa delle conca- vità più o meno leggere, che al tutto insieme danno una disposizione elicoide. Due cavità principali sono avvici- nate in corrispondenza delle protuberanze, ed ambedue hanno una tal quale estensione. L'una rispetto all’ altra è in direzione obliqua. Con siffatta disposizione, le due facce sono perfet- tamente al loro posto ed esattamente a contatto, ogni qual volta ciascuna convessità trovisi giacente nella sua cavità rispettiva; ma per cagione di questa stessa di- sposizione delle parti, i movimenti. di una faccia sul- l’altra non séno possibili egualmente in ogni direzione ; giacchè, quando in forza di uno spostamento, una par- te rilevata sale sopra un'altra anch'essa rilevata, la corsa ben presto è arrestata dalla tensione dei lega- menti. Ora non è possibile una corsa di qualche esten- sione, se non quando le protuberanze possano scivolare entro ad una conveniente cavità; come, per esempio, quando la protuberanza tubercoliforme del piramidale percorre la concavità che si trova dietro di essa nella faccia dell’ uncinato, e così dicasi delle altre conves- (1) Tavola mr. fig. 3, 4, de 6. ARTICOLAZIONE ENDOCARPIANA 97 sità. Fuori di questi due casi, ogni altro movimento implica la salita di una prominenza sopra un'altra, e quindi la ripulsione o l'allontanamento delle due facce : e per conseguenza la immediata cessazione di qualsiasi movimento. Inoltre le protuberanze non possono per- correre la loro strada, che simultaneamente: poichè non si hanno due strade sopra una stessa linea; ma per con- trario queste vie sono tali che la corsa si. deve risol- vere in un movimento di torsione di un osso sull’ altro. Da quanto abbiam detto si conosce, che queste facce sono essenzialmente scivolanti, o di r2collocamento, i cui movimenti non possono essere nella maggioranza dei casi, che cortissimi e ristrettissimi. E già molto se vi è una direzione, in cui i movimenti sieno più facili e meno ristretti. Il risultato, al quale siamo giunti mediante que- sto esame, ci sembra che non si accordi colla idea di un movimento generale dell’ articolazione endocarpiana dall’indietro all’ avanti, o viceversa. In questa artico- lazione vi sono per contrario dei movimenti liberi dal lato pollicare, mentre dal lato interno sono molto cir- coscritti. Riflettendo ora su queste disposizioni delle parti, si trova che il lato fornito di maggiore libertà essendo l'esterno, è quel lato in cui la mano presenta un’ a- zione ed una forza molto più sviluppata. Tutti veggono vi { 98 ARTICOLAZIONE ENDOCARPIANA che non vi è confronto sostenibile fra una preensione fatta dal pollice coll’indice, e quella eseguita dal quarto dito e dal mignolo. Ma, come abbiamo già detto, là dal lato pollicare si ha il trapezio ed il trapezoide che sullo scafoide possono eseguire movimenti articolari di qual- che estensione, mentre dal lato interno si trovano le facce elicoidi del piramidale e dell’ uncinato, nelle quali sono possibili soltanto movimenti molto circoscritti. Ne consegue che gli sforzi di una flessione, o di una violenta torsione, congiunti con una vigorosa presa, sono sopportati disugualmente dalle diverse parti del- l’articolazione endocarpiana. Ritornando ora sul nostro cammino sembra a prima giunta che la testa del capitato, essendo arrotondata dal di dietro all’ avanti, possa permettere alla mano flessioni armoniche con quelle permesse dalla articola- zione trapezio-scafoideana (1). Il che avverrebbe certa- mente, io credo, se l’ articolazione endocarpiana fosse egualmente aperta da due lati. Ma poichè questa arti- colazione è limitatissima, come si è visto, ne’ suoi mo- vimenti dal lato interno; ben si comprende che una sì fatta costruzione obbliga il capitato a girare in certo modo sul proprio asse maggiore. A questo movimento è condotto altresì dall’ azione delle facce elicoidi del- (1) Con questa differenza che le due convessità (la testa del capitato, e la faccia dello scafoide) sono sviluppate sopra raggi di diverse lunghezze. ARTICOLAZIONE ENDOCARPIANA 99 l'uncinato ecc. Ciò posto, l’azione del capitato sarebbe cangiata d’ assai, e rappresenterebbe in gran parte le funzioni delle facce di collocamento o di scivola- mento piuttosto che quelle di un'articolazione trocleare o d’ enartrosi. D'altronde la testa superiore del capitato non è sferica, come è stato detto; nè manco, per la forma che porge nel suo insieme un po’ tondeggiante, è paragona- bile ad un perno capace di girare entro la sua cavità. Studiando un po’ accuratamente la sua conformazione geometrica, si è condotti a risultati molto diversi. Per- fino l'apparenza di un condilo oblungo si trova modifi- cata di molto, dopo un accurato esame. Diffatti la faccia esterna, mediante la quale giugne al fondo della cavità costeggiata dallo scafoide, è leg- germente convessa, un poco piatta, ed obliqua. La con- vessità che presenta non è certo uniforme da per tutto. ma è più depressa dal lato supero-dorsale ed infero-pal- mare, e più rialzata nella parte supero-palmare, ed in- fero-dorsale. Con tali irregolarità essa può tuttavolta combaciare colla faccia opposta; ma dal momento che si muove, i punti rilevati salgono sui punti convessi dell’ altra faccia, vicinissimi alle reciproche cavità. Per conseguente le convessità ricadono nelle concavità ri- spettive, e tutto ritorna al proprio posto. Questa faccia è un lato di ciò che chiamasi il condilo del capitato. Il piano verticale di questo condilo è obliquo relativamente 100 ARTICOLAZIONE ENDOCARPIANA al piano verticale antero-posteriore dell'osso (1). La stessa superficie è ben lungi dallo svolgersi regolarmente, poi- ‘ chè i suoi margini salendo o discendendo in maniera diseguale, si trovano quasi sempre a differenti livelli. In fine il suo asse è inclinato in due sensi sul piano verticale antero-posteriore dell’ osso. Il movimento del- l'osso nella propria cavità non è dunque un movimento regolare ed uniforme d’ inclinazione dal di dietro al- l’innanzi; come il moto di una troclea normale; ma è un movimento molto complesso, che partecipa senza al- cun dubbio di una obliquità di torsione. Ciò è perfetta- mente in armonia di azione con quella della faccia eli- coide dell’ uncinato, a cui è unito fortemente il capitato in virtù dei legamenti esterni, pel legamento interosseo sviluppatissimo nella sua parte inferiore, e per le con- nessioni strettissime colle basi dei metacarpi. Sì. nume- rose corde tutte tese, stabiliscono una specie di com- munanza di movimenti fra le due ossa (il capitato e l’uncinato), e l'uno trascina I’ altro ne' movimenti pro- prii. Il capitato subisce l’ influenza, o a meglio dire, è regolato ne’ suoi movimenti dalle facce elicoidi di con- tatto del piramidale coll’ uncinato. Se d'altronde suppongasi un movimento di rota- zione del capitato sul suo asse maggiore, si vede tosto nascere una ripulsione tra la faccia laterale esterna e quella costeggiante dello scafoide. Siffatta ripulsione (1) Tavola v. fig. 2. a-a°, 6-0’. ARTICOLAZIONE ENDOCARPIANA 101 trasmette ogni sforzo sui legamenti circostanti, lo che ben presto fa cessare la ripulsione. Quanto alla faccia condiloidea, sembra che debba agire in concorso colla faccia o giuntura dell’ uncinato-piramidale ; ed allora la sua corsa viene arrestata dalla loro faccia elicoide. È bene rammentare qui che la forma elicoide molto spiccata di queste facce del piramidale e dell’ uncinato rimettono immediatamente tutte le parti al proprio po- sto. oltre si può domandare: in una operazione, come quella che abbiamo indicata, quali sono le facce del carpo, che per la solidarietà di tutti i pezzi della fami- glia ossea carpiana non siano chiamati a funzionare (1)? (1) Io non so se si potrebbe spiegare l’inflessione tanto si- nuosa dell’interlinea articolare endocarpiana (quella che abbiamo in addietro raffigurata), senza risalire alla idea di un meccanismo di resistenza trasversale. Come abbiam detto, la leggera concavità del trapezoide, e la convessità della testa superiore del capitato, raf- figurano due frazioni opposte di un perimetro di rotazione. Ben- chè le due frazioni siano disegnate sopra raggi di diverse lun- ghezze, sarebbero pur tuttavia assai bene in accordo fra loro per servire ai movimenti d’ inclinazione della mano. Ma questo movi- mento non sarebbe riuscito men facile, qualora la faccia concava del trapezoide avesse continuata sopra il capitato e sull’ uncinato ad uno stesso livello trasversale, in corrispondenza della faccia dello scafoide, supposta questa ancor protratta sul semilunato e sul pi- ramidale, egualmente messa al medesimo livello. La faccia articolare che ne sarebbe conseguita avrebbe agito assai bene, se vuolsi, per la inclinazione ecc.; ma quale sicurezza avrebbe presentato contro a un colpo venuto di fianco? Per contrario la profonda introduzione 102 ARTICOLAZIONE ENDOCARPIANA Volendo ora riassumere diciamo: l articolazione endocarpiana è in gran parte un sistema di facce di sci- volamento o di ricollocamento, destinato a regolare e ad attutire i colpi troppo violenti; sistema che permette inoltre alcuni movimenti più liberi alla parte più ope- rosa e più gagliarda della mano, vale a dire alla sua regione pollicare: movimenti cioè di flessione, d’ esten- sione, e sopra tutto di torsione. del capitato nella cavità scafoido-lunare, stabilisce un perno irre- movibile contro i colpi più violenti che provengono dall’ interno, ed offre un appoggio a molla elicoide, mediante le facce dell’ unci- nato e del piramidale contro i colpi dal di fuori. L’ articolazione endocarpiana foggiata di tal guisa, permefte la inclinazione della mano, e nel tempo stesso oppone una viva resistenza ai colpi di fianco. Si hanno così in un solo istrumento due funzioni ben di- stinte. Veggasi Bichat. Amat. deserip. I. pag. 331. SISTEMA POLLICARE A meglio definire la sfera di libertà dei movimenti che appartengono propriamente alla articolazione carpo- carpiana, ho riputato opportuno entrare nelle conside- razioni che passo ad esporre. È cosa evidente che il trapezio ha da eseguire fun- zioni speciali risguardo al pollice. Allorquando la mano deve fare una presa robusta, bisogna che il pollice si spinga all’innanzi della palma in opposizione coll’indice. Il passaggio che fa il pollice dalla linea delle altre dita al mezzo incirca della palma, è di notevole estensione. Certamente per la libertà di movimento ond’è fornito il suo metacarpo, mediante l’ articolazione a forma di sella sul trapezio, esso ha una importanza principale nello spostamento del pollice. Ma anche il trapezio non può rimanersi estraneo a questo genere di traslocamento del pollice. È chiaro, essere cosa necessaria, per quanto è possibile, che i diversi elementi costitutivi del pollice si trovino tutti sovraposti gli uni sugli altri per rego- lare e per resistere allo stiramento muscolare. Questa stessa forza di stiramento deve necessariamente segnire per quanto è possibile una linea retta; e non potrebbe 104 SISTEMA POLLICARE sviluppar bene la propria azione, se portandosi il primo metacarpo nel mezzo della palma, il trapezio non lo seguisse, ma si arrestasse immobile sulla faccia dorsale. Il trapezio dunque deve passare dalla sua posizione dorsale ad un’altra un po’ più volare. E diffatti esso eseguisce questo passaggio molto felicemente sulla faccia convessa dello scafoide, che gli ‘offre una notevole espansione articolare nella parte volare. Ma movendosi di tal guisa sulla faccia scafoidea, si muove a vantaggio speciale del pollice, e non per completare l’ articolazione endocarpiana. Lo stiramento muscolare che abbiamo menzionato a riguardo del trapezio, come altresì il sormontarsi l’ un l’altro tutti i pezzi del pollice, trascina ancora alcune esigenze per riguardo dello scafoide: il qual osso è la doppia base del pollice (1). Direttamente in causa del suo gran processus esterno, che esso getta all’ infuori a sostegno del trapezio, il quale costituisce il primo pezzo della colonna pollicare; indirettamente poi per la faccia che presenta al trapezoide, sul quale si appoggia il trapezio. Se comprimete un corpo mediante il pollice, lo sforzo passa sul trapezio, che alla sua volta lo tras- mette sullo scafoide e sul trapezoide. Tutto ricade in- fine sullo scafoide. Ora se quest’ osso rimanesse sempre fermo al suo posto, ovvero se costituisse un osso solo col lunato e col piramidale, non si potrebbe trovare (1) Tavola v. fig. 3. a. SISTEMA POLLICARE 105 convenientemente in fila sul trapezio e sul suo meta- carpo, quando questi sono passati verso il mezzo della palma per l'atto della preensione. Lo scafoide deve pur esso girare alcun poco all'avanti col suo grande pro- cessus esterno, onde portarsi sul trapezio, e conferire a rendere rettilinea il più che sia possibile la linea dello stiramento nella preensione pollicare. La qual cosa si può facilmente effettuare: poichè, disgiunto lo scafoide dal semilunato, scivolando sulla parte laterale della te- sta del capitato e sul trapezoide, può girare di costa e avanzare un poco verso la palma. Allora lo scafoide, congiunto colle altre ossa del pollice, imprime un mo- vimento di mezza rotazione all’asse del pollice in guisa, che la faccia interna di questo va a riscontro della palma. Il vantaggio di una divisione in più parti della base del pollice emerge da ciò, che ogni pezzo può al- cun poco avanzarsi dal di dietro all’ avanti, e mentre avanza ruota un poco dal difuori all’indentro in modo che la somma di tutte le piccole torsioni dà, per ul- timo risultato il riscontro del pollice verso la palma. Considerati per questo risguardo, e fuori dell’in- teresse e dei rapporti generali che hanno tutte le ossa del carpo, lo scafoide, il trapezio, il suo metacarpo colle loro falangi formano un sistema meccanico speciale, da cui risultano le funzioni del pollice. Questo piccolo si- stema ha rapporti di connessione, di contatto, e di mo- vimenti col capitato e col trapezoide, il quale si inter- pone colla sua parte cuneiforme. 106 SISTEMA POLLICARE Diffatti in questo caso può darsi ragione, s' io non mi inganno, della singolare interposizione di questo ul- tim° osso, cioè il trapezoide, fra il trapezio e lo scafoide. Per siffatta costruzione, il trapezio ne’ suoi movimenti non perde il minimo de’ suoi rapporti col trapezoide, che gli presenta una larga faccia curva e scivolante, attissima a permettere e regolare dal di dietro all’ avanti i suoi movimenti. — Lo scafoide anch’ esso, se scivola all’ in- nanzi costeggiando il capitato, scivola altresì sul trape- zoide senza mutare con questo i suoi rapporti. — Il trapezoide può scivolare sotto lo scafoide nella flessione, nella distensione e nella torsione della mano, come an- cora lo scafoide può scivolare, unitamente al trapezio, sul trapezoide nel trasporto del pollice dal lato del dorso al davanti della mano. Il trapezoide quasi saldato col rimanente dell’ articolazione carpo-metacarpiana, per le sue connessioni legamentose col capitato e coi metacarpi, e soprattutto per la sua inserzione fra i rami dei due metacarpi, si sta come un puntello, come uno sprone, in cui vanno ad agire, senza però spostarsi, le parti fondamentali del sistema osseo pollicare: lo scafoide cioè ed il trapezio. Se non che, chi potrà mai seguire questa alta mec- canica fino a’ suoi ultimi risultati ? ARTICOLAZIONE CARPO-METACARPIANA Non è possibile premunirsi abbastanza contro l' im- barrazzante impressione, che reca una inestricabile irre- golarità presentataci dalla articolazione carpo-metacar- piana. Basta gettare l’ occhio su questa interlinea arti- colare (1) per riconoscervi riunite parti prominenti e concave, superfici angolose rilevate e rientranti, su- perfici curve ed inclinate in ogni direzione, cosicchè presentano, come ha detto il Cruveilhier, una linea articolare estremamente sinuosa. Ora è egli possibile orientarsi in mezzo a siffatto laberinto di forme? Primieramente non sarebbe neppur necessario ram- mentare che la porzione della mano che esaminiamo, è composta di parti che sono vigorosamente riunite fra loro, e strettamente chiuse. Le tre ossa del carpo, cioè il trapezoide, il capitato, e l’ uncinato, sono saldissima- mente legate cogli ultimi quattro metacarpi, mediante legamenti interossei, altri legamenti esterni corti e tesi, ed infine mediante la costruzione meccanica stessa delle (1) Tavola v. fio. 4. 108 ARTICOLAZIONE CARPO-METACARPIANA teste ossee carpo-carpiane. Aggiungasi che le quattro ossa del metacarpo (eccettuato quello del pollice) sono sì vigorosamente legate fra loro, che si trovano, può dirsi, saldate insieme per opera delle due specie di le- gamenti, onde abbiamo parlato più sopra. I signori Hyrtl e Meyer fra gli altri, osservano che le ossa, del meta- carpo con quelle del deuto-carpo, sono unite così stret- tamente come se costituissero un medesimo tutto, o un pezzo solo. Queste idea di riunione e di insieme, come pure qualche altra osservazione che faremo più innanzi, ne conduce a considerare sotto certi risguardi la por- zione fetradattila della mano come un sistema separato, a quella guisa che abbiam considerato separatamente il meccanismo o sistema pollicare (1). È una idea teo- rica, che trovasi però in atto pratico nella mano tetra- dattila delle scimmie mancati di pollice. Questo szs/ema tetradattilo che abbiamo indicato, ha il suo centro d’ ap- poggio nel capitato co’ suoi contrafforti ai due lati, l'uno dei quali nell'interno (la faccia elicoide (2) del- l’uncinato), e l’altro (3) all’esterno sullo scafoide (la faccia concava del trapezoide). Ora nel metter mano al nostro soggetto diremo in tesi generale (cosa ch'io credo non richiegga una di- (1) D'altronde è una divisione già addottata in anatomia: vale a dire, una parte esterna o pollicare, il pollice; ed una dnterna 0 digitale composta dalle quattro dita (Bourgery). (2) Tavola m. fig. 5, 6. — Tavola Iv. fig. 3. a. (3) Tavola Iv. fig. 2. e. O. Nannini Rit; Contol disÈ Lit. GWenk. ARTICOLAZIONE CARPO-METACARPIANA 109 mostrazione), che il giuoco delle parti alternativamente rialzate e rientranti, come quelle che si veggono nel- l’interlinea articolare carpo-metacarpiana dell’uomo, co- stituisce un ingranaggio, il quale può all’ occasione op- porre una resistenza insuperabile contro i colpi la- terali (1). Supponete un colpo vibrato colla lancia, ovvero un combattimento colla baionetta. Il colpo agisce sul carpo al lato radiale, vale a dire dal di fuori all’ inden- tro, ma non è possibile uno spostamento in questa di- rezione delle basi metacarpiane senza. costringere l’ in- (1) Tavola v. fig. 4. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA V. Rapporti del carpo umano col suo metacarpo. Fig. 1. Base del capitato. a-b) asse dorso-volare — #) punta sporgente al lato vo- lare — c) faccia di sostegno pel metacarpo dell’ indice. Fig. 2. Capitato visto al disotto. a-a' ) asse dorso volare o piano verticale antero-posteriore dell’osso — 2-8’) piano verticale antero-posteriore della testa dell’ osso. Fig. 3. Sistema pollicare. a) scafoide — %) trapezoide — c) trapezio — I) meta- carpo del pollice. Fig. 4. Articolazione carpo-metacarpiana. a) trapezio — 8) trapezoide — c) capitato — d) unci- nato — mm) talus dorso-esterno. — ll, mM, IV, V) se- condo, terzo, quarto, quinto metacarpo. 110 ARTICOLAZIONE CARPO-METACARPIANA dice a sormontare l’ inforcatura, mediante la quale ab- braccia il trapezoide (1), e senza costringere il dito me- dio a sormontare la protuberanza del capitato (2) per il suo Zalus dorso-esterno m2, ecc. Sostituite in sua vece, basi piane, ogni buon effetto è perduto e siffatta resistenza addiviene impossibile. Certi problemi basta solo annunziarli per intenderili. A mio avviso eccone uno. Ma ve ne sono ancora de- gli altri. Una base triangolare come quella del meta- carpo dell’ indice (3), ovvero allungata come quella del dito medio (4), combaciandosi con altre superfici di una eguale estensione del deutocarpo, non possono fare a meno di presentare una base dilatata secondo il loro (1) Tavola v. fig. 4. db. Ir. (2) Tavola v. fig. 4. c. n. (3) Tavola vr. fig. 2. (4) Tavola vi. fig. 3. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA VI. Rapperti del carpo umano col suo metacarpo (seguito ). Fig. l. Basi teoriche — Figura schematica. n) da IO) . Base del metacarpo dell’ indice — 4-5 ed a-c) due assi di questa base — w) punta sporgente al lato volare. Fig. 3. Base del metacarpo m, o del dito medio — 4-0) asse mag- giore di questa base. Fig. 4. A) capitato — B) terzo metacarpo sulle loro basi — 4-8) asse longitudinale del metacarpo — c-d) grand’ asse della base del mm. metacarpo — e) talus dorso-esterno del mr. metacarpo. (e3) Ì I H i } I t , È i g 0 Nannini hit Contoli dis° BASI DI RESISTENZA DEL METACARPO ll maggior diametro a-d ed «4-c. Si hanno allora i me- tacarpi dell'indice e del medio collocati su basi ben ga- rantite contro le inclinazioni verso l’ innanzi e _ verso l’indietro. Poichè una base, la cui estensione longitudi- nale a-D è quasi il terzo della lunghezza totale del- l'osso, è una base proporzionatissima e assai bene ac- concia a prevenire l'inclinazione dell’ osso. Il che av- viene sopra tutto quando si aggiunge una condizione fondamentale, vale a dire, quando le estremità di queste basi, o delle linee 4-0, 4-c, sono energicamente assicurate sull’ opposto osso, mediante legamenti robusti e tesi. Al- lora si comprende tutta l’ importanza di questo mecca- nismo, e si può descrivere in questi termini: quando l’asse di un osso cade sopra una base espansa in qual- sivoglia senso, la base, nella direzione delle sue dilata- zioni, resiste gagliardamente alle vacillazioni dell’ osso. Sostituite una base senza dilatazione al. di là del diametro dell’ osso nel suo mezzo, voi avete sottrat- to nove decimi di capacità all’ osso per tenersi ritto, e resistere contro le forze che tenderebbero ad inclinarlo. Per valutare interamente l’ ufficio di queste dispo- sizioni che si scorgono nel metacarpo umano, faccio l'ipotesi di tre casi successivi. Nel primo (1) suppongo due cilindri che si combaciano mediante basi non espanse. (1) Tavola vi. fig. 1. a. 112 BASI DI RESISTENZA DEL METACARPO ma tenute strette reciprocamente per forza di due op- posti legamenti. Nel secondo suppongo due cilindri, le. cui basi sono prolungate sopra un lato solo (1), egual- mente tenute strette da legamenti opposti. Infine nel terzo (2) immagino le due basi prolungate ai due lati, e sempre assicurate mediante corde terminali. Per tal modo il vantaggio di resistenza contro le declinazioni del secondo caso sul primo è evidente, come del pari il vantaggio del terzo caso sul secondo. Frattanto se noi facciamo l’ applicazione di queste considerazioni alla forma delle teste superiori metacar- piane, veggiamo come i metacarpi sieno premuniti con- tro le flessioni dall’ innanzi all’ indietro. e dall’ indietro all’ avanti. L’ asse verticale del terzo metacarpo (3) posa sopra una base espansa, presentata dalla ‘faccia infe- riore del capitato. Il braccio (4) si avanza molto al lato volare in concorrenza col prolungamento tanto note- vole del capitato (5). Questo metacarpo nella parte po- (1) Tavola vi. fig. 1. 6. (2) Tavola vi. fig. l. c. (3) Tavola vi. fig. 4. a-d. (4) Tavola vi. fig. 4. a-c. (5) Tavola v. fig. 1. # e Tavola vi. fig. 4. c. In corrispon- denza all’ architettura delle facce articolari superiori del 1r. e del mr. metacarpo le teste inferiori del trapezoide e del capitato si dilatano dall’ indietro all’ avanti. Il capitato è notevole sopratutto per la sua punta c. la quale molto si avanza al lato volare per raggiungere il BASE DI RESISTENZA DEL METACARPO INS) steriore ha un. braccio a forma di apofisi (1) ripiegata in alto sopra il capitato. Nel che tanto pel suo insie- me come per le sue funzioni si ha una base a dop- pia dilatazione. L’ apofisi, vincolata che sia al capitato mediante legamenti, agisce all'incirca come un brac- cio orizzontale, ed offre una resistenza d’ ordine supe- riore contro le flessioni volari e contro quelle di rove- sciamento all’ indietro. Sarebbe questo dunque il caso supposto in terzo luogo (2), con una differente costru- zione. E tale costruzione adottata per la mano dell’ uo- mo, ha questo grande vantaggio, che non fa sporgere il processo dorsale (3) fuori dal livello delle ossa che compongono il dorso della mano. Il metacarpo dell’ indice sta parimenti sulla base presentata dal trapezoide, che molto s’ avanza dal lato . volare. Ma questo metacarpo sì appoggia ancora al fianco del capitato (4), e si avanza su di esso fino al suo punto # al lato volare. Con ciò questo metacarpo è assai ben provvisto per superare le due flessioni, luna all’ avanti, e l’ altra all’ indietro. prolungamento della testa dei due metacarpi e nel medesimo tempo presenta al metacarpo dell’ indice lunghesso il suo lato esterno una faccia depressa (Tavola v. fig. l c.), che serve di grande appoggio a questo stesso secondo metacarpo. (1) Tavola vi. fig. 4. e. (2) Tavola vi. fig. l. c. (3) Tavola vi. fig. 4. e, e Tavola v. fig. 4. m. (4) Tavola v. fig. l. c. 114 INTERVENTO DELLA AZIONE MUSCOLARE Ma la forza principale di questa costruzione pro- viene dalle corde legamentari collocate alle estremità. Qui tutto è disposto per opporre la più vigorosa resi- stenza possibile. Allora voi potete affidare alla mano in istato di pronazione l'innalzamento di un peso, co- munque enorme, senza che però l’ indice ed il medio ce- dano, inchinandosi verso il basso. Voi potrete altresì respingere un corpo colla massima violenza, senza che però queste medesime ossa si rovescino all’ indietro. Co- deste costruzioni, se non mi inganno, sono di evidente applicazione, e credo che sarebbe all'incirca lo stesso per tutte le altre dita, se di ciascuna si facesse un so- migliante esame (1). Proseguiamo dunque, e non dimentichiamo che mentre la mano resiste a questi sforzi, la resistenza dei pezzi carpiani e metacarpiani è accresciuta ancora per un’ altra causa che agisce appunto in quell’ istante. Se si considera lo scheletro della mano ricoperto de’ suoi tendini ecc., si vede che l’azione dei muscoli depressori ed elevatori, i quali dall’avambraccio si stendono alle dita, ha per effetto di stirare in alto il metacarpo sopra il deutocarpo, e questo sul protocarpo (2). Nella cir- costanza, per esempio, di una energica presa, lo sti- (1) Forse si dirà che queste osservazioni sono soverchiamente minute; ma la scienza non può rinunziare a ricerche molto accurate. (2) Protocarpo la prima serie del carpo, deutocarpo la seconda serie. 0: AR INTERVENTO DELLA AZIONE MUSCOLARE 115 «ramento muscolare è al suo massimo grado, e in forza di questo stiramento le facce di un osso sono spinte con violenza contro le loro corrispondenti; allora si chiudono reciprocamente, rientrando le parti sporgenti nelle cavità. Le ineguaglianze, di cui sono irte, stabili- scono l’ unione assai resistente dei pezzi. L° azione mu- scolare viene dunque in aiuto e rinforzo dell’azione dei legamenti; di guisa che, in fin de’ conti, le ossa trag- gono la loro forza dalla forma stessa delle proprie su- perfici. Questo all'incirca è ciò che abbiamo visto dianzi per risguardo al carpo (1). Con tali condizioni si produce nel metacarpo dell’ in- dice tutta quella immobilità che gli proviene dal con- trasto della sua faccia molto estesa e irregolare con quella del trapezoide e del capitato. Forse questa stessa azione muscolare ci spiega la mancanza di contrasto osseo in direzione longitudinale, vale a dire d’ alto in basso, ossia dalla mano alle dita. Vi mancano, a mo’ d’ esempio, parti dentate per opporsi ad uno sforzo che tendesse a far uscire il capitato dalla propria cavità, o che rimuovesse il terzo metacarpo dal suo contatto colla testa del capitato ecc., mentre poi si ha ad esuberanza ogni sorta di parti sporgenti e rien- tranti che sì oppongono alla torsione, ed ai colpi late- rali ecc. A tutto questo supplisce lo stiramento musco- lare. Altrove abbiamo detto della influenza della trazione muscolare; basterà qui far notare che in atto pratico (1) Vedi addietro pag. 90. 116 INTERVENTO DELLA AZIONE MUSCOLARE non si trova un solo meccanismo osseo capace di soc- correre i pezzi della mano ne” suoi stiramenti d’ alto in basso (dal metacarpo al carpo). Ogni cosa qui è affidata alle parti molli, vale a dire ai legamenti, aiutati dalle corde muscolari (1). Probabilmente queste ultime rappre- sentano per sè stesse, la maggiore quantità della forza stirante. Ma allorquando la forza muscolare, la cui di- rezione è longitudinale, non potesse opporsi agli sforzi di torsione o di lateralità, veggonsi allora entrare in funzione le creste, le facce di ricollocamento ecc. dirette anch’ esse dall’ azione dei muscoli. Le parti ossee rialzate e rientranti ecc. hanno- per ufficio ancora di regolare l’azione muscolare; poichè queste corde nella loro flessibilità, dopo le deviazioni, debbono necessariamente venir collocate di bel nuovo al loro posto. Spesse occasioni abbiamo avute di rammentare che ogni metacarpo è unito strettamente col suo vicino me- diante legamenti interossei ed altri esterni numerosis- (1) È stato preso da queste parti molli tuttociò che da esse può ricavarsi, cioè la resistenza contro gli stiramenti in direzione longitudinale. Ma queste stesse parti molli, legamenti e muscoli, non hanno veruna potenza di resistere agli sforzi in senso trasver- sale. E questa funzione è stata quindi affidata alle ossa, le quali colle loro parti sporgenti e rientranti, dominano egregiamente gli urti di lateralità. SOLIDARIETÀ DEI PEZZI METACARPIANI 117 simi e fortemente tesi. L'azione dunque delle ossa del metacarpo non è propria di ciascun pezzo preso separa- tamente, ma è un’ azione comune e simultanea, di che facilmente si rileva, che le quattro ossa del metacarpo sono tutte solidali insieme nel loro agire; e lo sono del pari colle ossa carpiane della seconda serie, colle quali si mantengono fortemente intrecciate e strette. Ma c’è una conseguenza che discende da queste premesse, sulla quale è opportuno fissare la nostra attenzione. Questa si è che la intiera massa delle ossa di cui parliamo, prova gli effetti della conformazione particolare di cia- scun pezzo. Ciò accade per esempio quando la intera mano è preservata dai colpi di fianco esterni mediante il talus dorsale dell’ indice e per mezzo di quello del dito medio, ed è premunita contro gli sforzi di inclina- zione per mezzo dei //us palmari delle stesse ossa ecc. Ne risultano due conseguenze: 1.° che le ossa del me- tacarpo possono per le loro basi presentare ciascuna in particolare, delle utili conformazioni ad usi deter- minati e speciali, proprii alla mano; 2.° che le funzioni essendo ripartite in questo modo sopra i diversi mem- bri della famiglia metacarpiana, ciascun osso ha alcune forme soltanto da presentare, d’ onde la varietà e l’ap- parente irregolarità della articolazione carpo-metacar- piana. Parmi ancora, che in virtù di resistenze sì nu- merose, ma distribuite su pezzi diversi, si è potuto salvare per ciascun pezzo alcuni minimi movimenti, la cui somma generale ha procurato a questa parte della 118 ELASTICITÀ NEL METACARPO mano una elasticità, che ha il duplice carattere di resi- stenza elastica (1). Io sono persuaso che dietro le osservazioni esposte si può già intravedere qualche applicazione delle leggi meccaniche, o per meglio dire, qualche ragione di ne- cessità meccanica nella irregolarità apparente dell’ in- terlinea articolare carpo-metacarpiana. Quel poco che abbiamo notato a tale risguardo sarà bastevole certa- mente a dimostrare che vi sono irregolarità, la cui ra- gione di essere sta nelle esigenze meccaniche di una mano che deve agire. Oltre ai particolari testè notati, e che bisognerebbe moltiplicare ancora di più in ragione degli adattamenti speciali, un effetto generale si vede sorgere dalla unione dei pezzi carpiani e metacarpiani mercè le loro parti sporgenti e rientranti, le loro corde legamentari, le loro cartilagini ecc., è sempre la forza elastica che sostiene e domina per quanto è possibile i colpi vio- lenti, e ne attenua l’ asprezza. L'unione che tutti i (1) Nell’ interlinea articolare metacarpiana si ha una varietà di punti d'appoggio certamente maravigliosa, che proviene dalla varietà dei talus delle ossa metacarpiane e del deutocarpo, la quale va- rietà, presa in esame alquanto accurato, si mostra molto importante; sembra infatti che i punti di appoggio siano vari, molteplici e più pronunziati, laddove è più grande il bisogno di resistenza. Ne sia di esempio l’ indice, ELASTICITÀ NEL METACARPO 119 pezzi hanno fra loro è tale, che i loro movimenti sono estremamente oscuri. Da ciò proviene l’unità dello stru- mento preensile, cioè la mano, e nella unzià la forza; ma l’istrumento essendo polànero ed a molla, non si ha soltanto la forza, ma ben anche l’ elasticità. Una interlinea così complicata come quella carpo- metacarpica, richiederebbe da noi maggiori considera- zioni; ma ciò ne spingerebbe troppo oltre dall’ argo- mento principale. Però codeste considerazioni avranno un posto più acconcio nella APPENDICE là dove analiz- zeremo i movimenti della mano, e dove si studierà la costruzione meccanica in rapporto colla funzione, vale a dire la causa a fronte dell’ effetto. St D II. Bits D'IEE A STUDIATE NELLA MANO DELL’ UOMO Per quanto riguarda le dita, vale a dire le falangi, poche considerazioni abbiamo a fare. La testa inferiore - dei metacarpi, come quella delle falangi fra loro, gode di una grande mobilità postero-anteriore. Le singole aste che costituiscono le falangi possono inflettersi e così formare uncini, anelli, e tornare infine sui metacarpi colla loro punta estrema. Sono tanti uncini temporanei e a dimensioni variabili, impiantati sopra una base co- mune inflessibile, cioè sul metacarpo. Con ciò è bene assicurata la loro stabilità, e la lor forza di avvolgi- mento o di presa è commensurata alla forza dello sti- ramento muscolare. Altrove è stato esaminato il numero delle falangi, nel tempo istesso che si sono notate altre 122 ELASTICITÀ DELLE DITA PEL CARPO particolarità risguardo alle dita (1). Un numero di fa- langi inferiore alle tre non offre sufficiente flessibilità da formare l'anello; e si vede altresì che sarebbe su- perfluo averne un numero maggiore. Si potrebbe però dimandare: — La divisione qui- naria della mano dell’ uomo è un semplice vantaggio od anzi una necessità? — Tagliate un dito ad un uomo, e ben presto egli riconosce la necessità di ciò che gli manca; inoltre, se si potesse fare un accurato esame sui diversi movimenti che sono attribuiti alle dita, si conoscerebbe altresì che per eseguire o compiere un dato movimento è indispensabile avere il tale o il tal altro dito. Questi due argomenti o queste due ricerche 2 : Mr. sì fanno una scambievole controlleria. D’ altronde questa forma quinaria onde termina l’arto deve ridursi alla sua base naturale, cioè all’ a- vambraccio composto di due ossa. Ora nelle parti inter- medie fra il metacarpo e l’ avambraccio si ha un giuoco di riduzione del numero delle parti, ed una unificazione delle parti stesse. Questo io non dico per semplice mo- tivo di curiosità; no, e’ è molto di più. E una sintesi, una unificazione ascendente delle parti che compongono la mano, la quale serve in fin de’ conti ad una concen- trazione delle forze. Le cinque dita e i cinque metacarpi sì appoggiano sui quattro pezzi del deutocarpo; questi si riferiscono a tre protocarpi portati poi dalle due ossa (1) Si vegga addietro pag. 536. ELASTICITÀ DELLE DITA PEL CARPO 123 dell’avambraccio sopra un solo omero (1). Lascio ai meccanici la cura di esaminare se la stessa forza e la stessa indipendenza fossero egualmente concesse alle cinque dita, qualora tutte fossero inserite sopra un osso solo e si articolassero direttamente sull’ articolazione radio-ulnare. Tuttavolta ritengo necessario notare di sfuggita, che se si inserisce un cilindro di vetro in un foro me- tallico, esso con un colpo si rompe facilmente: ma se per contrario si inserisce in un foro di cuoio, quel colpo stesso più non lo romperà. Perchè codesto? Perchè la prima base resiste rigidamente, e la seconda invece è elastica. Un metacarpo impiantato sopra un carpo di un pezzo solo, vi troverebbe una resistenza rigida; sopra un carpo polimero trova invece l’ elasticità. Nel primo caso il metacarpo potrebbe rompersi d’un colpo; nel secondo sopporterebbe lo stesso colpo senza spezzarsi. Diffatti se invece di supporre il terzo dito fisso col suo metacarpo sopra un carpo rigido di un pezzo solo, voi lo supponete inserito sul capitato, ne avrete miglio- rato d’ assai le condizioni. Se il colpo che batte questo ‘terzo metacarpo è un colpo di torsione, il capitato unito alle altre ossa del carpo, per mezzo di legamenti e cartilagini, viene a condividere lo sforzo. sopportato dalle dita; una gran parte del colpo si propaga più ol- (1) Tralascio il pisiformne, le cui funzioni sono di un ordine diverso da quelle che sono proprie al carpo. 124 ELASTICITÀ DELLE DITA PEL CARPO tre, e va sul capitato, e dopo questo sui legamenti e sulle cartilagini. Lo sforzo passa dal sistema delle ossa a quello delle parti molli, vale a dire dei legamenti e delle cartilagini, che è un sistema elastico e di molta tenacità. La colonna digitale vi trova allora una base, che decompone, addolcisce e attenua le violenze e gli sforzi ai quali trovasi esposta; e così resiste a colpi, che non potrebbe sopportare sopra una base rigida. Se avvi circostanza in cui l’ unione della flessibilità colla resistenza sia necessaria, è senza dubbio quando si tratta della mano, e principalmente poi della divi- sione quinaria delle dita. Ma la flessibilità e la stabilità o resistenza han- no le proprie regole allorquando si trovano associate. Quante volte vediamo nella natura la flessibilità accom- pagnare la resistenza e la stabilità! Uno dei mezzi da essa impiegati, è la graduale diminuzione della prima qualità, cioè la flessibilità, che cede il luogo ad una graduale resistenza. Un albero delle nostre campagne dalla straordinaria flessibilità de’ suoi ultimi ramuscelli passa ad una mediocre flessibilità nei rami ovvero, di- venta meno sensibile, e passa ad una resistenza più schietta e manifesta nei tronchi e nel fusto. Con ciò l'albero impiantato sulle sue radici resiste ai violenti colpi del vento. Ma se la forza del vento aumenta, e sopraffà la resistenza, l’ albero ne viene spezzato. Somiglianti condizioni vediamo riprodursi nella mano. Diffatti consideriamo che una colonna ossea non può pinne. ELASTICITÀ DELLE DITA PEL CARPO 125 acquistare la flessibilità che a un patto solo; cioè, che sia divisa in molti tronchi, riuniti con legamenti, e che sia addolcito il loro contatto dalla compressibilità delle cartilagini. La colonna di un sol pezzo sarebbe fragile: i tronchi nol sono più. Nella mano si ha una graduale diminuzione per la limitazione dei movimenti ognora più ristretti nella regione metacarpo-carpiana. Ma la duplice facoltà di flessibilità e di resistenza giunge talvolta al suo termine, ed allora cessa. La colonna digitale resi- ste per la robustezza dei legamenti, per la inflessibilità delle ossa, e per la contrazione muscolare. Se la vio- lenza di un colpo sopraffà questa resistenza, il dito ne va rotto o slogato. Da ultimo la colonna digitale impiantata -sul carpo polimero, conserva una cotale indipendenza; e gli sforzi che sopporta vanno a spegnersi e a perdersi nel lahe- rinto dei pezzi carpiani, che sono più solidi e più rav- vicinati fra loro. Parmi dunque che si possa concludere, che la co- lonna digitale richiede una base di molti pezzi per as- sicurarle una resistenza elastica contro gli incredibili sforzi a cui va soggetta. Il che è indubbiamente vero per tutti quei casi, in cui si trova un disaccordo fra la robustezza delle dita e la forza e la proporzione dell’ a- nimale; vale a dire quando si hanno delle dita sottili in un animale grande e forte. Questo disaccordo o que- sta disposizione si trovano nella mano dell’ uomo, e per 126 DITA NON ELASTICHE DEGLI UCCELLI dirlo alla sfuggita, in quella di tutti gli animali che sono in somiglianti condizioni (come il cane, la tigre, l'orso, ecc.). Ma non tutti gli animali hanno egual- mente le stesse condizioni. Gli uccelli, a mo’ d’ esempio, non hanno alle loro estremità posteriori un apparecchio ad elastico od a molla. Le loro falangi sono fissate direttamente mediante una troclea sopra un unico pezzo, il metatarso: nulla cede nè ad una torsione, nè ad un colpo di fianco ecc. Le dita dell'aquila come quelle dei parras e della gal- lina, non hanno verun altro movimento, in quanto alle falangi, fuorchè il lineare, concesso loro dal giuoco della troclea. Come avviene ciò? Come è mai che la natura ha dimenticato qui ciò che abbiam visto sì ac- curatamente e rigorosamente osservato, un meccanismo cioè di molla od elastico, interposto fra la presa e la resistenza ? Torna opportuno il notare, che hannovi due modi di fornire la resistenza alle colonne digitali. L'uno si è di decomporre, e di attutire gli sforzi col dividerli sopra molti pezzi: ecco il carpo. L'altro si è di esa- gerare la forza dei pezzi resistenti in guisa tale, che possano superare incolumi i più grandi sforzi. Parmi che questo secondo mezzo sia quello che regola la .co- struzione delle parti digitali degli uccelli. Fra il dito dell’ aquila e l’ aquila stessa vi è diffatto la proporzione che si avrebbe se l'indice dell’uomo avesse una lun- Sal n Mi MAMMIFERI CON PICCOLE DITA 127 ghezza, e una grossezza quasi come il radio umano (1). Con tali dimensioni si possono ben mettere direttamente le articolazioni delle falangi sull’ unico osso del tarso- metatarso, senza darsi briga che vi sia o no un ela- stico per raddolcire i colpi (2). Ma se una necessità ha dato all'uomo, alla scimmia, al cane, alla foca, dita di una estrema esilità rispetto al corpo di questi animali (1) I calcoli, come si può ben capire, non sono qui presi che all’ incirca. Dal vertice della testa del Falco naevius sino alle troclee digitali del tarso-metatarso si ha la distanza di m. 0, 77; le misure sono state prese sullo scheletro. Il diametro del suo indice è di m. 0, 01; la lunghezza dello stesso dito m. 0, 08. — Sull’ al- tezza media dell’ uomo di m. 1, 70, e seguendo le proporzioni so- pra indicate, m. 0, 023 il diametro del dito, e m. 0, 17 la sua lun- ghezza. (2) Nei mammiferi il carpo entra nella grande sua funzione al- lorquando essi fanno grandi sforzi; quando, per esempio, un bue, un cane, un cavallo ecc., dopo un salto, fermano repentinamente sulle loro quattro estremità la pesante massa del proprio corpo. Il piede degli uccelli non è soggetto a subire tali sforzi, perchè al- lorquando essi piombano sopra una preda, ovvero vanno a posarsi sulla terra cadendo dall’ alto, sono aiutati dal volo. Senza dubbio è ben notevole, che quando un uccello giunge a terra, vi si posa senza la menoma scossa: le sue ali aperte lo portano sino ad una piccolissima distanza dal suolo, e così l’ uccello arriva a toccarlo stendendo le sue zampe. Vedesi dunque che pel piede degli uc- celli hanno luogo sforzi veri soltanto allorchè un uccello di rapina propriamente detto lotta con una vittima vivente che si dibatte. Ma per questo caso si sa in qual maniera è stata assicurata la resi- stenza delle dita. SR 128 PERFEZIONE DELLA MANO e alla forza onde possono disporre; non vi è più altro modo da cercare, e bisogna ricorrere agli ammortizza- tori, cioè al meccanismo del carpo. Se ne può far senza, qualora si diano alle dita proporzioni colossali. Ma colle dita enormi, supposte or ora, quali sa- rebbero i lavori possibili per la mano dell’ uomo? E dopo tali considerazioni potrà farsi ancora le maraviglie, se sempre e poi sempre si vede allo stesso posto il carpo, in tutti gli animali @ dita piccole ? Se non che, abbandoniamo i nostri studi sulla mano dell’uomo, per passare allo studio comparativo della mano dei bruti. Ma prima di lasciarli, fissiam bene le nostre idee su questo primo punto. — Per confes- sione di tutti gli anatomici, e per quel poco che abbiam detto anche noi, veggonsi confermate le parole di Cru- veilhier (1): che cioè la mano dell’uomo è un vero capolavoro di meccanica. In questa mano avvi un dise- gno accuratissimo, ed una perfetta esecuzione, poichè è eseguita secondo le leggi della dinamica. Ma è egual- mente chiaro, che non potrebbesi costruirla diversamente da quella che ora è: ogni altra mano sarebbe imperfetta, o mancante, per risguardo alle funzioni affidate alla mano dell’uomo. — A quella guisa che fra due punti una sola linea retta è possibile, e che tra mille curve (1) Cruveilhier, Traité d° Anat., Tom. 1. pag. 264, a dii, PERFEZIONE DELLA MANO 129 una sola ha le proprietà richieste ad un fine determi- nato; parimenti un solo disegno, una sola costruzione, una sola organizzazione è possibile sotto il dominio delle condizioni meccaniche per la mano dell’ uomo. Profitteremo altrove di quest’ ultimo risultato. Ora torno, o Signore, al mio punto di partenza. — Mediante la dottrina degli atti di creazione indi- pendenti è dunque perfettamente spiegabile il piano di organismo della mano dell'uomo. Questo non è tuttavolta che una piccola parte del problema messo innanzi da voi; e ci resta da esaminare se sia lo stesso per la zampa del gatto, per l'ala del pipistrello, e per la paletta della foca. Ma già la nostra via è aperta: già sono stabiliti alcuni principii generali, e la loro applicazione è egualmente logica per l’ arto del- luomo come per l’ estremità dei bruti. II ea fp MIS (oa ic i ka) “tà To bi c » dale, { cani ite: LR x 4, GENERALITÀ SULLA MANO DEI BRUTI V’ ha dei problemi che si direbbero inesauribili. Tale è senza dubbio lo studio della mano dell’ uomo. Tutto ciò che se n'è detto dagli scienziati e tutto ciò che poc’ anzi ho aggiunto io, è ancor lievissima cosa a fronte di quanto potrebbe, o meglio dovrebbe dirsi per esaurire l'argomento. Ciascun lo vede. Pertanto noi pos- siamo dichiarare, che sono appena abbozzate le prime linee di codesto problema, tanto profondo quanto am- mirabile. Tuttavolta con ciò che abbiamo esposto, si è pur progredito anche di un passo verso lo scopo a cui tendiamo; abbiamo posto cioè alcuni principii generali, la cui applicazione è egualmente logica, per riguardo alle estremità dell’uomo, e per riguardo a quelle del cane, della foca, del pipistrello ecc. 134 LA MANO DEI BRUTI — GENERALITÀ Per esempio, ogni volta che io trovo nell’ arto anteriore di un mammifero tre parti, cioè omero, avam- braccio, e mano, veggo che è sempre la perenne ap- plicazione del principio generale di dinamica, vale a dire che ogni estremità di un animale destinata al suo mo- vimento deve essere rappresentata da una verga spez- zata composta di molti tronchi acconci a piegarsi gli uni sugli altri per angoli, all’ uopo di permettere l' al- lungamento e l’accorciamento del braccio o della gamba. Dunque vi sarà sempre un omero, un avambraccio, una mano; la qual cosa potrà bensì da qualche dotto dirsi a suo talento unità di piano, ma nel linguag- gio della scienza dee chiamarsi uniformità di costru- zione per necessità meccanica. Del pari in tesi generale, ogni qual volta si ha un organo da presa (parte digitata), o più generalmente, ogni qual volta si ha al termine di un arto una parte suscettibile di presentare una qualsiasi resistenza contro l’azione delle parti motrici superiori (braccio ed avam- braccio); se io veggo un complesso di parti ossee ca- paci di dividere e di attenuare i colpi aspri, prove- nienti dall’ antagonismo della forza colla resistenza; 0 a dir più breve, se io veggo un carpo: conosco essere tuttavia una necessità meccanica che ha ciò prodotto, e che non sarebbe immaginabile un arto suscettivo di eseguire una resistenza senza questo meccanismo a molla. Per tacere del cane che prende, la foca ed il pi- pistrello hanno pur essi da vincere delle resistenze LA MANO DEI BRUTI — GENERALITÀ 135 mediante l'ultima parte del loro arto. Un carpo, collo- cato precisamente fra la mano ed il braccio, è dunque reso necessario dappertutto. Lo stesso ragionamento facciasi in risguardo alle parti digitate. Alcune leggi hanno regolato questa parte nell'uomo; e leggi del medesimo valore regolano la parte digitata per tutti gli animali, a seconda dei loro bisogni (1). Dopo ciò non credo di dovermi più oltre occupare di queste questioni generali. Sono questioni risolte per ciascun caso individuale in cui abbiasi una ricorrenza delle medesime parti, nelle stesse disposizioni, e per le medesime funzioni. Ho detto di non dovermene più occu- pare, perchè resta dimostrato che nella dottrina degli atti di creazione indipendenti, l unità di piano o l u- niformità di architettura già messe in vista ripetuta- mente nelle estremità dell’uomo, del cane, del pipistrello o della foca ecc.; sono dappertutto una ripetizione per necessità meccanica. Non si potrebbero scientificamente immaginare queste costruzioni senza includervi tutte queste parti integrali e fondamentali. Se si suppongono senza gli elementi di cotal fatta, ci troviamo al cospetto di questa alternativa: o l’assurdo o l' impossibile. L’Huxley e i suoi dotti compagni si sono dunque (1) Veggansi più innanzi agli articoli Foca e Pipistrello le for- me digitali specializzate per codesti animali. 136 LA MANO DEI BRUTI — GENERALITÀ ingannati quando hanno sentenziato non essere scienti- fica la teoria delle creazioni indipendenti. Ognuno al presente è in grado di conoscere dopo le precedenti considerazioni, se un Creatore per quanto si voglia sup- porre indipendente, poteva essere dispensato dall’ agire in armonia colle leggi fondamentali della natura attuale, o, come si dice, colle leggi che sono proprie del mondo fisico; le quali leggi formano il patrimonio e il fonda- mento della scienza. Nelle opere della natura c’è vera- mente un’ alta scienza; ed appunto perchè avvi un’ al- tissima scienza, alcune menti poco riflessive non hanno inteso tutta l’ entità di codeste opere, e si sono smar- riti in falsi concetti. Si può condonare ad essi l’ errore : ma perchè hanno preteso di insegnare la loro dottrina come la sola che gode di una consistenza scientifica ? Considerando gli arti degli animali sotto |’ aspetto della loro complicazione di struttura, si trovano punti oscuri che colpiscono la nostra attenzione. Quando ve- desi la paletta della foca fornita di una composizione sì complicata, sì domanda: — per qual ragione è stata usata una meccanica cotanto accurata per un istrumento sì grossolano ed inetto qual è un remo, se non è in causa della derivazione da una mano di ordine supe- riore? Non è chiaro che questa è una discendenza, un organismo abbassato fino all’ infimo posto, ma che con- serva pur sempre gli elementi costitutivi della sua alta origine ? LA MANO DEI BRUTI — GENERALITÀ 137 Questo modo di parlare è troppo di sovente ripe- tuto: ma conviene stare sull’ avvertita. Chi non si av- vede che in sostanza l’ obbiezione si riduce in ultimo alla seguente? — Se si dice che la mano della foca ha una struttura complicata, a motivo della sua deriva- zione da organismi superiori, e non perchè essa debba eseguire funzioni alla propria struttura corrispondenti; ciò vuol significare, che cotale formazione non è ri- chiesta entieramente pel suo modo di agire, ovvero, in termini più espliciti, vorrebbe significare che vi hanno parti inutili. Siffatto ragionamento, che a quanto parmi entra inevitabilmente ed esattamente nella sfera della teoria vostra, o Signore, contiene per avventura una esten- sione che certo non è entrata nelle vostre idee. Ma qualcuno potrebbe dire, spingendo la tesi fino alle sue ultime conseguenze, che a buoni conti nell’ ala del pi- pistrello si trovano certe parti che stanno là come un fuor d’ opera; parti cioè che non hanno ragione di es- servi, e che non sono richieste nè dalla costruzione generale dell’ organo, nè dall’ agire del braccio stesso del pipistrello. Tale non è certamente, lo ripeto, il vo- stro pensiero: ma vi hanno conseguenze che sono inat- tese, e che non cessano però di essere logiche. Ora, se il fondo della questione che voi avete proposta si riduce in ultimo luogo a queste distrette, tornerà op- portuno chiarire codesti punti oscuri, e indagare at- tentamente la costituzione delle estremità degli animali 138 LA MANO DEI BRUTI — GENERALITÀ che avete indicati; cioè il cane, il pipistrello e la foca. 3isogna spinger le ricerche più addentro che sia possi- bile, per vedere se c’ è pure la convenienza, o meglio la necessità di tutte le parti che compongono una zampa. Per soddisfare a questa esigenza, io conosco quanta sia la difficoltà dell’ argomento a cui mi accingo; ma, debbo convenirne, l’ esigenza è giusta. Chi potrà mai supporre diffatti che un carpo complicatissimo, nella dottrina degli atti di creazione indipendenti, debba es- sere la porzione obbligata della mano della foca, del cane ecc.? In qual modo persuadarsi, che un carpo as- sai complicato sia necessario all’ ala di un pipistrello, mentre quella di un uccello ha sì scarsi elementi car- piani? Mettendoci dunque sulla nostra via, farò conver- gere principalmente le mie considerazioni sul carpo, giacchè questa parte, a preferenza d’ogni altra può far nascere dubbi sulla attuale questione. Diffatti la neces- sità, ossia, la convenienza di due, di tre, di quattro dita, della loro lunghezza, della loro forma ecc., rispetto agli usi che ne fanno gli animali, si vede più mani- festamente che non la necessità di un carpo di sei pezzi nel remo della foca, o di nove nella paletta della talpa. Dall’ organismo della mano dell’ Aye-Aye (1) si (1) Si consultino le dotte illustrazioni fatte dall’ Owen e dal Peters. e LA MANO DEI BRUTI — GENERALITÀ 139 ha buon motivo di persuadersi della perfetta appropria zione degl’ istrumenti digitati alla funzione, per sopra- sello di quei tanti preziosi esempi che voi, Signore, avete annoverati in attinenza alle appropriazioni gene- rali (1). Può dirsi altrettanto all’ incirca delle altre parti dell'arto, il braccio e l’ avambraccio. Per contra- rio il carpo: in forza della moltitudine de’ suoi elementi ossei, e per la oscurità della sua azione, lascia all’ os- servatore una grande incertezza. Esso dunque richiede una specialissima attenzione. Non dimentichiamo che in tutti i vertebrati implu- mi, esclusi ben inteso i pesci, non sempre si ha un carpo composto di egual numero di pezzi. Le tavole date dal Gegenbaur (2) e la grande osteologia del Blain- ville mostrano dei carpi di otto pezzi nel Lepus cunicu- lus, sei nel formichiere, nove nella talpa, cinque nel tardigrado, sei nel gran pipistrello (preropus), quattro nel cocodrillo del Nilo ecc. Si sa che nel maiale si hanno sette ossa carpiane, sei nei ruminanti, e sette nel ca- vallo. Da ciò veggiamo fin d’ora che nel carpo ci sono variazioni molti salienti, nel tempo stesso che c’è va- (1) Si vegga Darwin. Origine ecc., pag. 6, pag. 96 ecc. Per- tanto, giacchè si è detto che due delle dita del maiale sono super- fluità, così sarà necessario occuparsi alcun poco di questo. argo- mento, come di altre parti analoghe che sono state decisamente di- chiarate parti inutili. (2) Gegenbaur. Untersuchungen zur Vergleichenden anato- mie der Wirbelthiere, Leipzig 1864. 140 LA MANO DEI BRUTI — GENERALITÀ rietà di funzione. Sono tanti disegni differenti, sono or- ganismi specializzati per determinati adattamenti. Se non che più importanti considerazioni ci atten- dono nell’ esame delle estremità degli animali. Noi le svolgeremo dal punto di vista onde siamo partiti. Non potremo però attenerci semplicemente agli animali indi- cati da voi, o Signore; ma ci sarà mestieri esami- narne altri ancora. Il LA MANO STUDIATA NELLA TIGRE E NEL CANE TIGRE I notevolissimi elementi ossei della zampa della ti- gre, ed il carattere di straordinaria forza che sì mani festa nelle sue forme tanto pronunziate, mi hanno con- dotto ad associare al cane questo formidabile re delle foreste. L'esame che noi faremo della mano di questo fiero animale varrà senza dubbio ad illuminarci ancora nello studio della mano dell’ altro. Essendo la tigre digitigrada, il peso del suo corpo non cade soltanto sul braccio e sul carpo, e neppure gravita sulle ultime falangi; ma si regge sui meta- carpi. Qui dunque le dita non sono come, nella scimmia o nello scoiattolo, organi che sostengono il corpo me- diante la preensione;e nemmeno come nel cavallo o nel- 142 LA MANO DELLA TIGRE l'elefante, estremità che servono alla ambulazione un- gulograda: ma nella tigre sono i metacarpi che concor- rono a formare l'ultima parte della colonna di sopporto. Sotto questo punto di vista, le ossa del carpo e del metacarpo hanno delle condizioni speciali di funzione e di forma, che a torto si cercherebbero negli animali, le cui dita hanno solo da compiere funzioni digitali, ov- vero di semplice sopporto. Tuttavolta, quando la tigre si accinge a lottare con una vittima vivente, l’ azione delle sue zampe è esclusivamente di preensione. Dunque a due uffici ser- vono ì metacarpi della tigre, del leone ecc.; 1.° come colonna di sostentazione, 2.° come parte della grinfa per impadronirsi di una vittima. Proponendomi di esaminare le estremità della tigre per questo duplice risguardo, non entrerò a descrivere l’omero e l’avambraccio. Basta dire che I’ articolazione fra queste due ossa è saldissima, nel tempo stesso che è fornita di una grande libertà ed estensione di movi- mento. Altrettanto può dirsi dei rapporti scambievoli fra le due ossa dell’ avambraccio : il radio ha impiantata la sua testa condiloidea superiore in una cavità del cu- bito, foggiata a segmento di circolo. Il processo dell’o- lecrano prolungatissimo palesa chiaramente la potenza delle leve che agiscono nel braccio di questo animale, le cui membra tutte manifestano le qualità di forza, d’elasticità, d’agilità, di flessibilità, di morbidezza, che si riscontrano diffatti allorchè 1° animale è in moto. . O:Nannini hit. 1 lontoli dis° Lit. 0. Wenk. IL CARPO DELLA TIGRE 143 Il carpo (1) nella sua prima serie ha soltanto due ossa: lo scafoido-lunato ed il piramidale, oltre al pisi- forme straordinariamente sviluppato. Il primo sopra- vanza di molto il volume del secondo, per forma che costituisce da sè solo la base del radio. La sua faccia superiore presenta una superficie piana nel lato dorsale, e sporgente nel lato volare: questa protuberanza si ad- dentra in una concavità del radio, che dal lato cubi- tale si inoltra in una sinuosità dello scafoido-lunato. Le due ossa dunque si innestano scambievolmente, ma lo scafoido-lunato presenta in ultimo una larga base spia- nata pel radio. Siffatta disposizione ricorda un po’ quella che si scorge nelle ossa carpiane dell’ elefante, del ri- noceronte, dell’ ippopotamo. Qui prima di ogni altra cosa gli elementi carpiani e lo scafoido-lunato sono ta- gliati a forma riquadrata, quasi tabulari; il che vuol dire, che hanno qualità ben acconce alla funzione dei pezzi basali per membra di sostentazione. (1) Tavola vir. fig. 1, e Tavola vm. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA VII. Carpo e metacarpo della Tigre. Fig. 1. Carpo della tigre — 1) scafoido-lunato — 3) piramidale — 5) trapezoide — 6) capitato — 7) uncinato — 4) punta sporgente dello scafoido-lunato. Fig. 2. Testa superiore del metacarpo dell’ indice. Fig. 3. Testa inferiore del metacarpo dell’indice — 4) osso meta- carpiano — 5) sua cresta intersesamoidale — c) una delle ossa sesamoidee. 144 IL CARPO DELLA TIGRE E invero lo scafoido-lunato si può considerare come un pezzo principale della colonna di sopporto della ti- gre. Diffatti l omero si erige sulla testa del radio, il quale gli presenta una larga faccia piano-concava; que- sto trova la sua base, come abbiamo detto, sullo sca- foido-lunato; e sotto questo si concentrano gli sforzi di tutte le dita. Poichè il grandissimo trapezoide è inne- stato in una cavità angolare offerta dallo scafoido-lunato : il capitato analogamente vi corrisponde, e 1° uncinato colla sua forma triquetra punta fortissimamente sul lato ulnare dello scafoido-lunato mediante una estesa faccia. Infine il trapezio si trova sotto il processo volare dello stesso scafoido-lunato, di guisa, che i cinque metacarpi vanno tutti a ridursi, mediante le ossa del deuto-carpo, sotto l’ unico grande scafoido-lunato. Il cubito vi prende parte dal canto suo coll’intermezzo del piramidale, che in grazia della sua base larghissima si appoggia sopra l’ uncinato. Oltre a questa prima considerazione, che si riferisce all’ arto come colonna di sostegno, l’ interlinea artico- lare colle sue parti rientranti e sporgenti mostra an- cora una evidente disposizione, atta a fornire contrasti che sono in attinenza colle funzioni di preensione. Qui non accade come negli animali, de’ quali Cuvier ha detto (1) « che la seconda serie per le sue creste non si addentra negli spazi della prima serie, o reciproca- (1) Cuvier. Ossements foss., T. l. pag. 22. \ : È 2 . « . do: a E È VII ° 5 È 3 5 - 3 Ù È 3 SOR È - | | O Marini. e e Te Meana CARPO DELLA TIGRE 145 mente come in altri animali ». L'elefante di cui parla Cuvier, ed i congeneri di esso, il rinoceronte, il ca- vallo, come poc'anzi abbiamo indicato, sono forniti di estremità che hanno una sola funzione, cioè la sosten- tazione. Ma la tigre, del pari che il gatto ed il cane, presenta una moltiplicità di contrasti fra le due serie carpiane, che, mediante una opposizione trasversale, as- sicurano la mano contro i colpi di lato e di torsione. Sarebbe troppo lungo l’ esporre per minuto questi mec- canismi che, d’ altronde ‘appaiono manifesti colla sem- plice ispezione (1). Durante la lotta con una vittima vivente per prov- vedere alla esistenza individuale, la mano della tigre è esposta a sforzi di torsione. In cotal genere di funzioni, oltre ciò che risguarda l'intervento dell’ azione musco- lare, questi sforzi sono dominati per quanto risguarda i sistemi ossei dalle ossa del carpo, e principalmente poi dal giuoco del capitato e del trapezoide. Il capi- tato, quantunque assai piccolo nella faccia dorsale, è fortissimo ed assai voluminoso nella faccia volare. Esso trascorre dall’ una all’ altra delle due facce della mano con un trapasso obliquo, e molto esteso. Poichè la così (1) Tavola vm. fig. 1, e Tavola vu. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA VIII. Mano della Tigre. r) radio — u) ulna — p) grande pisiforme — I a v) cinque dita. 10 146 CARPO DELLA TIGRE detta testa del capitato non è già nella tigre di for- ma globosa, ma per contrario è sommamente piatta, e quasi laminare. Questa lamina smussata e arrotondata superiormente è ricevuta in una doccia obliqua, cor- rispondente ed incavata nello scafoido-lunato; e i mar- gini di questa doccia sono rinforzati da due punte sporgenti ‘dello scafoido-lunato, di cui }’ una enorme (1) dal lato dorsale, e l’altra più piccola dalla parte vo- lare. Chiusa la testa del capitato in questa specie di canale, i suoi movimenti sono circoscritti in modo straor- dinario, benchè sembri che la dilatazione della cavità canaliforme le permetta di muoversi insensibilmente in varie direzioni, ma con pochissima estensione. Si vede dunque che qualsiasi movimento di torsione che sì eser- citi sulla mano, si concentra da ultimo sul capitato. La sua testa assai compressa agisce allora come un ristrettissimo freno, il quale, non essendo poi intera- mente chiuso, permette ancora alcuni moti di sci- volamento e di ricollocamento, che funzionano come un attenuatore dei violenti sforzi di torsione. Nel caso che lo sforzo fosse straordinario, il rialzo che abbiamo indicato dal lato dorsale in @, entra allora in azione. Imperocchè mediante la sua grande potenza oppone alla testa del capitato un ostacolo insuperabile per poter girare fuori di certi limiti verso il dorso della mano (2); (1) Tavola vr. fig. 1 a. (2) Qui non è possibile conformarsi al linguaggio ordinario dell’ anatomia umana, perchè nell’ esame della zampa del cane, della METACARPO DELLA TIGRE 147 mentre per una torsione in senso opposto la resistenza è affidata al trapezoide, il quale nella sua faccia dorso- ulnare trova sullo stesso rialzo & dello scafoido-lunato un appoggio insormontabile e capace di scongiurare qualunque violenza di uno sforzo. La punta dunque, o rialzo 4, dello scafoido-lunato è posta là come un fu? cro o un appoggio incrollabile, ai lati del quale vanno finalmente a far capo gli sforzi di torsione tanto di si- nistra quanto di destra. Ma le facce di contatto del tra- pezoide collo scafoido-lunato non essendo facce piane, ma bensì facce ondulate di scivolamento, trasmet- tono ogni sforzo di torsione sulle parti molli, vale a dire sui legamenti e sulle cartilagini elastiche. Donde sì ottiene la resistenza e la cedevolezza. Questa ultima osservazione si riferisce, come ognun vede, soltanto a una piccola porzione del meccanismo moderatore della torsione nella mano della tigre; poichè basta solo osservare i pezzi contrastanti del carpo, e le loro forme particolari, per conoscere che necessaria- mente ogni sforzo di torsione tende ad allontanare ogni pezzo carpiano da quelli che lo circondano. Da ciò si foca ecc., il lato pollicare è incontestabilmente il lato interno. Carlo Martins lo ha benissimo notato dicendo: « In tutte le opere d’ anatomia umana si suppone sempre l’avambraccio in supina- zione; ma quando si tratta dei veri quadrupedi, questa supposizione non è ammissibile, poichè la supinazione è impossibile ecc. » ( Re- vue des deux Mondes. 1872, 15. Fevr.). Per noi dunque, nell’ esame che faremo in appresso, il lato interno sarà il radiale, 1° esterno sarà il cubitale. 148 CARPO DELLA TIGRE comprende che in questo ammirabile meccanismo, tutte le parti molli entrano in azione (corde resistenti, su- perfici elastiche e scivolanti); donde risulta una gene- rale cedevolezza per addolcire la violenza o 1’ asprezza dei colpi di torsione. Ma ci è necessario abbandonare omai questi par- ticolari che sono innumerevoli, e che ci trarrebbero troppo lungi dall’ argomento principale. Dopo ciò che si è detto, resta ben fermo e stabilito che nella zampa della tigre avvi un apparecchio per regolare gli sforzi di torsione e di violentissimi colpi di lato: in confronto del quale apparecchio, quello dell’ uomo per esempio, quantunque molto bene provvisto, è assai sottile e de- licato (1). (1) Mi si dirà: voi trovate nel carpo contrasti per ogni dove e meccanismi disposti per superare gli sforzi, ai quali sono sottoposte le membra anteriori; e avete sempre dimenticato che non si hanno quasi mai apparecchi di forza somigliante fra il metacarpo e le fa- langi, e reciprocamente nelle falangi fra loro. Senza preoccuparmi di ciò che mi si potrebbe obbiettare, credo che basterà un solo riflesso a chiarire la quistione. Ammettiamo che ciascun dito sia debole in sè stesso, e privo di elementi di contra- sto nelle sue articolazioni. Ma torna bene considerare che nella ti- gre per esempio, e nella generalità dei casi, un dito non agisce mai solo. L'azione delle quattro dita è simultanea. La parte tetradattila è una ne’ suoi sforzi di preensione, di repulsione ecc. ed è soltanto divisa in parti divaricabili, affinchè la mano possa occupare una maggiore estensione di superficie e modellarsi sulle forme dei corpi. Gli sforzi di ogni dito si trasportano su ciascun osso del meta- METACARPO DELLA TIGRE 149 Le teste superiori dei metacarpi presentano alla lor volta delle forme di una simile forza. Quella del- l'indice ha una base antero-posteriore (1) di m. 0, 032, essendo la grossezza minima dell’ osso di m. 0, 015. Il suo falus dal lato volare è avanzatissimo e fortissimo ; l estremità di questo abbandona la propria base del trapezoide, per passare ad appoggiarsi sulla estensione volare del capitato. Anche Ja base del medio ha un falus di m. 0, 025, e quello del quarto, che si appoggia tanto sull’ unci- nato quanto sul capitato, gode ancora di una forza as- sai notevole. Il quinto è un po’ meno ben fornito. In quanto al pollice esso ha evidentemente una importanza minore; e non è che una parte complementare la quale compie la grinfa che dee servire a tenere stretta una vittima (2). Dopo quanto abbiam detto risguardo al- carpo; tutti gli sforzi delle dita si concentrano nel carpo, di guisa che le quattro o cinque attività delle dita si vanno a riassumere in un solo prodotto, che cade sulle ossa del carpo. È veramente il funi culus triplex che trasmette la sua forza al carpo, e nel caso della tigre più specialmente allo scafoido-lunato. I più energici contra- sti per superare gli sforzi sono dunque ben collocati là dove tutte le forze si confondono in una sola. Colà si manifesta l’ asprezza di un colpo, e là bisogna attutirla ed attenuarla. mediante una decom- posizione di forze, operata dai moltiformi contrasti dei pezzi del carpo. (1) Tavola va. fig. 2. (2) Il pollice corto com’ è si infigge molto addietro nelle carni di una vittima. Così tutte le cinque punture delle unghie sono gra- duate, e distanti, in guisa che l’area occupata dalla grinfa è molto estesa. 150 OSSA SESAMOIDEE DELLA TIGRE l’uomo, si conosce da queste forme che una immensa resistenza risiede nella mano della tigre, alla testa su- periore dei metacarpi, sotto:il duplice aspetto dell’ azione dell'arto come colonna di sopporto, e come istrumento di presa. i L'altra estremità del metacarpo della tigre, cioè quella che è in contatto colle falangi, è notevole per le sue grandi ossa sesamoidee. Non si veggono però tali, se non che nella parte tetradattila della mano; poi- chè al pollice non si osservano che sesamoidei somma- mente piccoli e, come taluno ha detto, rudimentali. Le prime sono applicate dal basso dell’ osso metacarpiano dal lato volare; mentre che al lato dorsale si ha una testa condiloidea arrotondata per 1’ articolazione della prima falange. Si distinguono dunque chiaramente due differentis- sime strutture, e assai bene spiccanti, ai due lati della testa inferiore del metacarpo: una alla faccia palmare, l’altra alla dorsale. L'apparecchio del lato volare si compone: 1.° di una grande carena mediana 2 (1) longitudinale dell’ osso metacarpiano, la quale separa le due aree sulle quali si muovono le due ossa sesamoidee c; 2.° di queste stesse ossa sesamoidee. Queste, in numero di due per ogni testa metacarpiana, sono assai lunghe, alte e com- presse ed assumono la forma di grandi creste. Pel loro (1) Tavola vi. fig. 3. d. OSSA SESAMOIDEE DELLA TIGRE 151 avvicinamento si formano i margini di una doccia lon- gitudinale e profonda, che permette il passaggio al ten- dine depressore delle falangi. Qui giova notare che per una funzione di questa fatta, vale a dire per costituire una doccia di passaggio ai tendini, sarebbero state ben acconce semplici creste ossee fisse od apofisi (1). Per contrario queste creste sesamoidali sono mobilissime. Esse non aderiscono in nes- sun modo all’ osso metacarpiano, ed il loro combacia- mento con quest’ osso si fa per la interposizione di facce scivolanti, ricoperte di cartilagini e lubrificate dall’ u- more sinoviale. Resta con ciò dimostrato che la libertà di cui go- dono queste ossa sesamoidee, non essendo richiesta dalla costituzione di una doccia destinata soltanto ad assicu- rare il passaggio delle corde tendinee, è richiesta bensì per altri scopi: fra cui, oltre a quelli che sono indicati ordinariamente dagli anatomici in riguardo ai sesamoi- dei, possiamo citarne un altro ancora, che qui ci è duopo esaminare. L'animale, di cui noi studiamo la zampa, è, come abbiamo detto, un digitigrado. Esso si tiene ritto sulle sue dita; ma non già come l’ elefante, il rinoceronte, l’ippopotamo, i quali si sorreggono sulle estreme parti delle lor dita, cioè sulle unghie. La tigre invece si ap- poggia sul suolo mediante la testa inferiore dei quattro (1) Tali doccie fisse pel passaggio dei tendini veggonsi nella parte superiore del tarso-metatarso «degli uccelli. 1052) FUNZIONI DELLE OSSA SESAMOIDALI metacarpi, eccettuato quello del pollice. Le falangi, come ognuno conosce, stanno sollevate in alto (1). Ora l’atto di ambulazione negli animali digitigradi, implica un per- petuo cangiamento di rapporti fra la testa inferiore del- l’osso metacarpiano ed il suolo. Poichè allorquando la tigre o qualsiasi altro animale di simil genere stende al- l’innanzi la propria zampa per progredire di un passo, il suo metacarpo da principio è molto inclinato all’ indie- tro (2); e quando il passo è compiuto, e | animale è sul punto di rialzare la zampa, allora il metacarpo si trova in posizione verticale od inclinato all’ avanti (3). Mentre si alternano questi cangiamenti di direzione del metacarpo in rapporto col suolo, la sua testa inferiore eseguisce una specie di corsa sul terreno stesso, e ben si comprende che qualora questa testa fosse scoperta, o se fosse semplicemente arrotondata o provista di cre- (1) Tavola rx. fig. l. (2) Tavola rx. fig. (3) Tavola rx. fig. do a. DO) NS SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA IX. Metacarpo e falangi della Tigre. Fig. 1. Dito medio della tigre — 4) testa inferiore del metacarpo — b) osso sesamoidale — c, d) prima e seconda falange — e) falange ungueale — f) talus della falange ungueale. Fig. 2. Doppia posizione del metacarpo della tigre — 4) metacarpo in direzione obliqua pel cominciare del passo — 2) me- tacarpo verticale avendo terminato il passo — c) osso se- samoideo, +; STD 107099 sap tmaleNio > “NUOMA:9 UT DELLA TIGRE 153 ste fisse, non potrebbe a meno di produrre uno sfre- gamento colle parti che toccano il suolo (1). D'altronde questo fatto è in accordo con quanto si è detto, e cioè che non avvi un solo caso, che io conosca, nel quale abbia luogo il movimento di un osso direttamente sul suolo, essendo l'osso coperto dai soli integumenti. Vi è sempre la interposizione di qualche parte, che resta im- mobile sul terreno per tutto il tempo del passo, ed il cambiamento d’ inclinazione delle ossa superiori relati vamente allo stesso piano del suolo si fa da una specie di rotazione dei pezzi articolari fra loro. Ora in un a- nimale digitigrado, che tocca terra mediante la testa inferiore de’ suoi metacarpi, le creste. fisse sarebbero state disadatte; perchè il movimento di queste in unione col metacarpo sul suolo non potrebbe aversi senza una confricazione, ovvero si effettuerebbe sulle parti molli interposte fra il suolo e le creste ossee: soffregamento che certo non andrebbe esente da pericoli di danno. Ma il meccanismo delle grandi creste sesamoidee mobili serve a perfezionare l’ istrumento della traslazione digitigrada, poichè le creste trovansi interposte fra il terreno e la testa metacarpiana. Queste creste sono ca- ricate del peso del corpo dell’ animale che cammina; ed esse insieme colle parti molli integumentarie posano (1) Qui non si possono al certo dimenticare le belle osserva- vazioni fatte dal Cruveilhier sulle cartilagini articolari — Trazté d’ Anatomie descrip. T. 1. pag. 361, e seg. 154 FUNZIONI DELLE OSSA SESAMOIDALI DELLA TIGRE sul suolo, su cui restano immobili. Il movimento del- l’osso metacarpiano, che proviene dal cambiamento di direzione inclinata o verticale durante il passo, accade sulle facce lubrificate dei sesamoidei. Con questo è scom- parso ogni soffregamento, essendo esso trasferito sopra facce scivolanti. Considerato per questo rispetto, ogni paio di sesa- moidei collocato alla testa inferiore del metacarpo, sia dell’ indice, sia del medio, presenta nel suo insieme una articolazione trocleare spezzata, nella quale agisce la testa carenata del metacarpo. Salvo le profonde diffe- renze d’ organismo, che allontanano due animali d’ or- dine differentissimo, l articolazione trocleare del piede di un cervo o di una pecora può fornirci un'idea del meccanismo, che per altre vie agisce nella colonna di sopporto della tigre. In fine è sempre la stessa teoria, cioè una parte superiore mobile (il metacarpo), che, mediante facce di scivolamento, si muove per entro ad una parte che resta ferma sul suolo. Nel bue, nel cervo, nella pecora ecc. una cresta mediana termina ciascuna faccia inferiore del cannone o metacarpo, l’ azione del quale è di ruotare nel mezzo delle due creste che trovansi nella testa superiore di ogni prima falange. Se queste creste delle falangi si suppongono staccate dal loro osso, si sarebbe nel caso di avere appunto le stesse creste sesamoidali dei digi- tigradi. D'altronde che siano poi queste creste sesamoi- Met PATATA e NEI, DOPPIO MECCANISMO DELLE DITA 155 dei liberi o inerenti alla testa delle falangi, si ha sempre un solo e medesimo modo di funzionare; vale a dire la rotazione di una parte mobile, qual è il metacarpo, su di una che sta ferma sul suolo, o sieno le falangi, ov- vero le ossa sesamoidee dei digitigradi. Del resto tanto le falangi, quanto le creste sesa- moidali rimangono applicate sul suolo durante il cam- minare. Diffatti dal momento che gli integumenti infe- riori della zampa della tigre abbiano toccato terra, gra- vati come sono dal peso del carpo, la loro impronta non sì sposta più, ed essi non subiscono alcun movimento sul suolo, nè la più lieve confricazione. Ma tutto il giuoco delle varie inclinazioni del metacarpo è operato sulle ossa sesamoidali, che premute anch’ esse sui cu- scinetti palmari, ed a questi attaccate mediante corde legamentari (1), formano un unico sistema immobile sul terreno, e permettono la libera rotazione della testa metacarpiana. Le creste sesamoidee hanno dunque una prima im- portanza per l’istrumento di ambulazione della tigre. La formula più semplice di questo istrumento è — omero, avambraccio, carpo, metacarpo ed ossa sesamoidee. — Ecco tutto. L’ambulazione dei digitigradi si compie sulle punte dei metacarpi: e le falangi rimangono interamente fuori e non prendono parte in nessuna maniera a que- (1) Veggasi più innanzi ciò che si dirà intorno alle ossa sesa- moidali del cane. 156 TIGRE sta funzione. Sono tenute in serbo per un’altra azione che è la seguente. L’ apparecchio infero-dorsale della testa metacar- piana della tigre offre una articolazione per le falangi, che molto si inoltra sul dorso dello stesso metacarpo. In grazia della sua forma tondeggiante permette alla prima falange una grande libertà di movimento, e per la sua estensione in alto le consente di salire perfino sul dorso dell’ osso. Collocata là sopra la prima falange, non è più, come d’ordinario, nella stessa direzione del meta- carpo. All’ incontro essa forma un angolo più o meno aperto con questo osso (1) secondo che trovasi inclinato o verticale. Invece si può dire, che la intera serie delle falangi è fuor di posto, e fuori altresì della linea del metacarpo. Sarebbe un dito slogato in addietro, poichè, a questo punto della testa inferiore metacarpiana la verga del dito è piegata in alto. Per siffatta disposizione la serie delle falangi non prende quasi niuna parte alla sostentazione ed all’ am- bulazione dell’ animale, o tutt’ al più contribuisce all’ e- quilibrio mediante.i cuscinetti delle estremità digitali. Le falangi vi sono, in servizio dell'enorme unghia aguzza e tagliente, per metterla in azione quando occorra, e sopratutto per assicurarle la necessaria integrità. Me- diante una articolazione, della quale non terremo qui (1) Tavole rx. fig. 1. c, e fig. 2. a, d. Pe, i nd DOPPIA FUNZIONE DELLE DITA 157 parola, ma che d'altronde è molto singolare, la falange ungueale nel tempo del riposo si trova in direzione verticale; e la sua testa, che tocca la penultima fa- lange, è inserita in modo, che, mentre questa parte rimane in terra, l’intero corpo della falange ungueale è inalzato verticalmente (1). L’ unghia collocata così in alto, è al sicuro da qualsiasi contatto col suolo, e quindi da ogni deperimento. In questo stato di inazione essa rimane per tutto quel tempo che l’animale mette in moto la sua zampa per camminare. Ma l'unghia ben presto entra in azione, nel caso che debba afferrare e tener ferma una vittima. Se non che avvi una condizione essenziale nell’ e- sercizio di queste due funzioni; ed è, che l’una di que- ste cessa tosto che l’ altra incomincia. Le dette due funzioni, come i due istrumenti, sono inconciliabili fra loro. La testa inferiore del metacarpo agisce o mediante il suo apparecchio delle ossa sesamoidali, o mediante quello della articolazione della falange. O il camminare o la grinfa. Sono dunque due organismi, come le due funzioni, perfettamente distinti e definiti. Questi due meccanismi differiscono anche pel tempo in cui agiscono; e si esclu- dono a vicenda. Mentre la colonna digitale del meta- carpo trovandosi in linea coll’ avambraccio compie le (1) Tavola rx. fig. l. e, f. 158 TIGRE sue funzioni digitigrade per l’ ambulazione, l’intera se- rie delle falangi è tenuta in serbo per servigio della terribile grinfa della tigre. Attentamente studiata la testa inferiore del meta- carpo della tigre, del leone, del cane ecc., dà a vedere un fatto eccezionale, vale a dire la unione di due fun- zioni e di due meccanismi ben distinti e diversissimi sulla testa di un solo osso. Nell’ uomo, come nei qua- drumani, nei chezromys ecc., V intero dito, dalla sua prima base, è dedicato ad una sola e sempre medesima operazione, cioè la preensione. Nell’ A? il dito serve unicamente a formare un uncino; come altresì nel bue, nel maiale, nel cervo ecc., il dito ha una sola funzione, quella di sorreggere il corpo dell’ animale. Ma alla tigre ed agli altri digitigradi, abbiam già detto che la zampa serve al tempo stesso come colonna di sostegno e come grinfa delle più perfette; e che il collocamento come anche il limite delle due funzioni si trovano circoscritti nella testa inferiore dei metacarpi. Infine ciò che non lascia veruna ambiguità si è, che qui son parti addattatissime al duplice scopo di tali funzioni. In questo duplice meccanismo traspare inoltre assai più manifesta l opera ed il concetto di un costruttore meccanico. Quando egli ha voluto co- struire animali digitigradi, ha dovuto tagliare a metà, per così dire, le dita; e lasciando alle teste metacar- piane l’ ufficio di posare a terra, mercè l’aiuto delle grandi ossa sesamoidee disposte a forma di cavità ar- DOPPIA FUNZIONE DELLE DITA 159 ticolare spezzata, ha dato alle falangi un'altra funzione da compiere, quella cioè di formare un’ arme offensiva, qual’ è la grinfa. Il primo organismo è di un uso quo- tidiano ; il secondo è tenuto in serbo, e non si adopera che in date circostanze. Risalendo per un momento a considerazioni più ge- nerali (1), il digitigrado (la tigre, il leone, il gatto ecc.) è animale essenzialmente cacciatore. Però è necessario che si sposti, e possegga armi acconce a impadronirsi di una vittima vivente, che oppone una resistenza ad oltranza per difendere la propria vita. Esauriti che siano i mezzi offensivi della bocca, bisognava ancora aumentare l’ estensione e la potenza di presa, mediante altri mezzi. L'unica parte che rimaneva in ciò da uti- lizzarsi, erano le quattro estremità; ma essendo queste occupate anzitutto per l’ ambulazione, era cosa neces- saria primamente sottrarre gli acuti aculei da un logo- ramento sul suolo (2). Le aquile ed i gufi non logorano la punta acuminata delle loro unghie, e tutti sanno come ciò avvenga. Ma nei quadrupedi e nei digitigradi (1) Dopo la lettura delle pagine certamente ingegnose di Dar- win (Origine ecc., pag. 91, 121 e successive, e Variations ecc., pag. xvm e 6. ecc.), ovvero di quelle di Wallace (Journal des Savants. 1870, Ott., pag. 615 a 620) non verrà rigettato, cred’ io, questo riassunto ideale, che rischiarerà ulteriormente il principale soggetto. (2) Si vegga la descrizione che ne dà G. Cuvier. Lecons d’ Anat. comp., pag. 311. 160 TIGRE non avvi possibilità di evitare il corrodimento della loro unghia sul suolo, senza una forma articolare, mercè cui s’inalzasse la falange ungueale, come si riscontra nei gatti ecc. Non trovasi peraltro nulla di simile nella grande generalità delle costruzioni digitate; e si può dire che qui avvi un concetto nuovo, ed una nuova co- struzione e fatta a bella posta. Bisogna convenirne, sono gli stessi elementi digitali ordinari: ma ciò avviene per- chè il carpo, il metacarpo e le falangi, costituendo in- sieme un’ asta spezzata, servono ottimamente alla preen- sione nei quadrumani, all’ ambulazione ed alla grinfa nella tigre. Non facea mestieri che introdurre modifica- zioni e parti nuove. Numerosissime modificazioni sì 0s- servano in una mano rispetto all’ altra; e nuove parti sono introdotte là, dove non sarebbero bastate semplici modificazioni. / sesamoidei crestiformi si trovano in- trodotti nella testa inferiore del metacarpo (1). Se al confronto fra la mano dell’uomo e quella della tigre, si aggiugnesse anche quello della mano (1) La comparsa dei sesamoidei nelle estremità dei mammiferi ha una importanza specialissima per la quistione dell'unità di piano. Ma i limiti di questo scritto non ci consentono di occuparcene come sarebbe mestieri. Dicasi pure che i sesamoidei sono particelle ossee staccate dall’ osso principale, o dicasi che sono ossificazioni di alcuni tendini; ciò non si attiene al fondo della quistione. Parmi, e niuno potrà contestarlo, che i sesamoidei siano parti introdotti sempre là dove erano richiesti dalla necessità meccanica, e che mai non si trovano ove da questo motivo non sieno dimandati. POLLICE DELLA TIGRE 161 della talpa, del maiale, del capriolo ecc. sì vedrebbe da per tutto diversità di funzioni, e modificazione di parti; talune parti aggiunte, ed altre soppresse. Modi- ficazioni, accrescimenti, soppressioni, regolate dalle fun- zioni che si debbono conseguire. Di modo che, presa ciascuna delle dette estremità singolarmente, sono tutte foggiate a perfezione secondo le leggi meccaniche; e quel che hanno di somigliante e di comune fra loro, è ciò che hanno di comune nel modo di agire e nello scopo fondamentale che debbono ottenere. Da principio abbiamo detto che il pollice della tigre Al modo stesso che si trova il pisiforme a fianco del carpo, o per meglio dire, come si hanno ossa carpiane e falangi; del pari noi vediamo al loro posto i sesamoidei. Tutte queste ossa hanno la stessa ragione di origine e la medesima necessità meccanica. Non si fanno speciali osservazioni alle prime, perchè continuamente si veggono; e si osservano sempre ripetute, perchè fanno parte della base dell’ organismo della macchina animale, senza le quali non sarebbe possibile avere un concetto generale dell’ animale; mentre le altre ossa, i sesamoidei, sono introdotte solo in modo acci- dentale a seconda dei bisogni, che non dipendono già dal concetto generale dell’ animale, ma bensì da modificazioni, e, come dite voi, o Signore, da speciali adattamenti. Ora il fatto della introduzione di nuove parti in circostanze accidentali parmi essere tal fatto che conduce a conoscere come l’ artista ha aggiunto un elemento sol- tanto qualora il bisogno lo richiedeva. Ciò vedesi ogni giorno nel- l’arte umana, e niuno vi fa obbiezioni; tutti sanno che i freni non si aggiungono che alle carrozze da montagna, e che quei freni sono parti nuove aggiunte: or non dovremo noi considerar ciò egualmente nell’ arte della natura? hi 162 POLLICE DELLA TIGRE non è provvisto di grandi sesamoidei crestiformi; e dif- fatti se ne osservano soltanto dei piccoli e globulari. Questo soggetto merita qualche momento di consi- derazione. I metacarpi della parte tetradattila della mano della tigre, sono tutti quasi modellati sur una stessa forma. Nella faccia dorsale avvi una articolazione emi- sferica; e nel lato volare una carena con due sviluppa- tissimi sesamoidei crestiformi. L’ uniformità del loro meccanismo è in accordo coll’ identità di funzione, poi- chè l’ambulazione digitigrada si opera per mezzo delle quattro dita. Il pollice ne resta escluso; non poggia in terra, e gli manca la testa emisferica infero-dorsale ; donde risulta che 1’ estremità inferiore di questo meta- carpo è diversissima da quella degli altri. Il pollice non serve che ad un solo uso, cioè a quello proprio della grinfa; e diffatti l unghia che arma questo dito è la più grande di tutte (1). (1) Si dice che fra le diverse funzioni che debbono eseguire le ossa sesamoidee c’ è ancora quella di rinforzare l’azione dei tendini nei loro movimenti, o di facilitare i movimenti stessi nel caso di pressioni a cui fossero esposti. Niuno può negarlo. Ma parmi sia le- cito negare, che î grandi sesamoidei della tigre siano posti là nte- ramente ed unicamente per questa funzione. Se fossero stati puramente introdotti per favorire l’azione dei tendini flessori, e per aiutarli nella flessione delle dita, sarebbero stati egualmente collocati a tutte le dita che hanno l’ufficio di piegarsi energicamente per costituire la grinfa. Ma questo lavoro appartiene a tutte le cinque dita dell’ estremità UNIFORMITÀ NELLA MANO DELL’ ORSO 163 Questa considerazione si fa ognor più saliente quando dall’ esame della mano della tigre si passi a quello della mano dell’ orso. Questo animale è digiti- grado per eccellenza; esso spiana, come ognun sa, sulla terra tutte cinque le sue dita. Il suo pollice, del pari che le altre dita, prende parte all’ azione co- mune digitigrada. Per la qual cosa il pollice ha in proporzione i suoi grandi sesamoidei; e nel metacarpo avvi la sua carena sviluppatissima: ma ciò che sopra- tutto è rimarchevole si è, che ha la testa articolare infero-dorsale emisferica come le altre ossa metacar- piane. Tutti i cinque metacarpi dell’ orso sono per ri- anteriore della tigre; ed abbiamo del pari notato che il pollice, quantunque più corto degli altri, ha un’ unghia più robusta di quella delle altre quattro dita. Lo sforzo dunque che è proprio del pollice, è almeno il medesimo di quello delle altre dita, considerate come costituenti la grinfa. Frattanto i sesamoidei del pollice sono picco- lissimi, a fronte degli altri, o, come si dice, sono rudimentali. Ma si sa che il pollice serve esclusivamente alla grinfa e non entra me- nomamente nella ambulazione. Dunque i suoi piccoli sesamoidei sono tutto ciò che fa duopo per la energica flessione delle dita. Ciò che vedesi in più nelle creste sesamoidali delle quattro dita, è quello che deriva in conseguenza dell’ ambulazione. La piccolezza dei sesa- moidei del pollice si potrebbe dire che è la misura dei sesamoidei che. servono alla flessione; la grandezza di quelli delle altre quattro dita indica l’ eccedente che spetta all'ambulazione. L’ orso diffatti che posa in terra tanto le sue quattro dita, quanto il pollice, 0, a dirlo in altre parole, l'orso che ha la stessa funzione di ambula- zione per tutte le cinque dita, ha le sue creste sesamoidali così . grandi pel pollice come per le altre quattro dita. 164 UNIFORMITÀ NELLA MANO DELL’ ORSO sguardo alla loro testa inferiore modellati sulla mede- sima forma, e quasi non si potrebbero distinguere, se non fosse per rapporto alla loro grandezza, essendo un poco più piccolo quello del pollice. . L'identità di funzione nell’ orso implica l' uniformità perfetta di conformazione in tutte le sue dita. Nella tigre l'identità di funzione delle quattro dita implica egual- mente l’ unità di forma in tutte quattro. Il pollice solo ne differisce interamente, così per la forma, come per la funzione. ‘Ora io dimando: al cospetto di fatti cotanto singo- lari, che cosa diranno le due dottrine, di cui l’ antago- nismo è il continuo soggetto di questa lettera? L'unità di piano non esigerebbe essa una certa uniformità di costruzione nella testa inferiore del metacarpo della mano della tigre tanto nel pollice quanto nelle altre dita? Di più questa uniformità quinaria, non sarebbe essa richiesta dall’ unità di piano per 1 uniformità qui- naria: della mano dell’ orso? Infine un pollice nei piedi posteriori della tigre non sarebbe logicamente richiesto, come c’è nella sua mano? La risposta della dottrina degli atti di creazione in- dipendenti è molto semplice e facile. — Vi è uniformità di meccanismo dappertutto, dove è richiesto uno stesso meccanismo per ottenere una medesima funzione. E vi è una differente costituzione meccanica, ogni qual volta abbisogni una funzione diversa. — Dunque cinque me- — Ni pr" £ n UNIFORMITÀ NELLA MANO DELL’ ORSO 165 tacarpi colla testa inferiore uniforme nell’orso, che im- piega tutte le cinque dita per la medesima funzione di- gitigrada; e del pari quattro metacarpi uniformi, ed uno diverso, nella mano della tigre, che ne adopera quat- tro per la duplice funzione digitigrada e di grinfa, ed uno per servire semplicemente da grinfa. In questa risposta non hannovi stiracchiature, o nebulosità di idee o di frasi; non vi ha supposizione di parti inutili, nè di residui anatomici, o di organi in via di sviluppo che non hanno poi ragione di essere. In que- sta risposta c'è la pura e semplice applicazione di un principio fondamentale di ciascun’ opera interamente ra- zionale — l impiego cioè di mezzi proporzionati alla SCOpo. Questa ci pare una risposta ed una spiegazione attendibile, che gode di una consistenza scientifica. Ma diciamo intera la frase: è 2a sola che gode di una consistenza scientifica. IL CANE La scarsità dei mezzi di osservazione onde ho po- tuto disporre, non mi ha permesso di istituire ricer- che sulle parti molli della mano della tigre (1). Sono dunque ricorso all’ esame della zampa dell’ altro digiti- grado, il cane; giacchè molte considerazioni anatomiche di questo animale sono assai bene applicabili all’ altro. Innanzi tutto diciamo come, del pari che presso la tigre, la mano del cane ha due ossa al protocarpo, lo scafoido-lunato ed il piramidale, oltre ad un grandissimo pisiforme. La prima di queste ossa ha forme molto meno pronunziate nel cane che nella tigre; la punta « (2) so- pratutto è poco rialzata, e così gli appoggi contro i colpi di torsione sono infinitamente meno robusti che nella tigre. Peraltro il trapezoide è collocato in una cavità dello scafoido-lunato, capace di dominare, come faccia di ricollocamento, tanto gli sforzi di torsione (1) Debbo però attestare la mia riconoscenza ai Direttori dei Musei della nostra Università per gli oggetti che con tanta bontà hanno messo a mia disposizione. (2) Tavola vu. fig. l. a. 168 CARPO DEL CANE quanto quelli di lateralità (1). Il capitato è piccolo, de- presso nel dorso, grandemente compresso al disopra e per lo sviluppo e per la forza non è paragonabile alle analoghe ossa della tigre. Per contrario il piramidale ha ricevuto un notevole allungamento e sviluppo. Esso discende tanto in basso al lato volare, che raggiunge la base del quinto metacarpo, e gli presenta una faccia articolare assai concava: di guisa che questo quinto metacarpo poggia assai poco sull’ uncinato, e trova un valido sostegno sul piramidale (2). Un appoggio di tal fatta manca al metacarpo della tigre; poichè il suo piramidale è corto, e rimane in alto lontano dal quinto metacarpo. La zampa del cane è dunque rinforzata con maggior vantaggio al lato esterno dal piramidale; la (1) I movimenti di torsione sul carpo rivestito delle sue parti molli, hanno una certa estensione e facilità; ma, come ben s’ intende, presto si trovano limiti insormontabili. Peraltro la torsione con ab- bassamento del pollice è più estesa. (2) Si vegga la Tavola x. fig. 1. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA X. Metacarpi del Cane e dell’ Orso. o da pun . Metacarpo, uncinato, e piramidale del cane (razza grande). 4) quinto metacarpo — d) uncinato — c) osso piramidale. Fig. 2. Metacarpo pollicare dell’ orso. a) testa articolare — c) osso sesamoidale esterno — 2) carena. i da w . Metacarpo dell’ indice dell’ orso. a) testa articolare — c) osso sesamoidale esterno — 2) carena. » X Tit G-Wenk. dist tr IZ TITO ITAL pr ana c a > nto No 0 Nannini ht? D APPARECCHIO SESAMOIDALE NEL CANE 169 qual cosa è in accordo colla maggior grossezza che è data al metacarpo esterno od al quinto metacarpo. Questa disposizione di parti che si osserva nella mano del cane, e non in quella della tigre, è senza dubbio in relazione con alcune abitudini del cane che non sono proprie della tigre. Gl'istinti escavatorii per esempio del cane e della iena richieggono probabilmente un rinforzo al lato esterno della mano; intorno a che lo studio di altre mani fossorie per eccellenza potrebbe chiarire questo problema. Venendo ora alle parti molli, si osserva sugli inte- gumenti della zampa del cane un cuscinetto in alto corrispondente alla testa del grande pisiforme; più in basso un altro a forma trilobata che corrisponde alle teste inferiori dei metacarpi; e quattro più piccoli tro- vansi all’ estremità delle dita. Sono tutti convessi e morbidi, e quando si tolgono gli integumenti sì trovano fascie legamentose che collegano il grande cuscinetto trilobato alla testa inferiore del metacarpo (1). Questo cuscinetto, o polpastrello, non è dunque semplicemente una escrescenza od un’ appendice del sistema cutaneo, (1) L'inserzione delle corde legamentose si fa sulla capsula, o cannone cartilaginoso che racchiude i tendini flessori delle dita. Un cordone formato dalle fibre legamentose collega altresì al pisiforme il suo polpastrello, che come gli altri è sfornito di peli, e ed è pa- rimenti anch’ esso logorato. 170 APPARECCHIO SESAMOIDALE NEL CANE ma è in relazione e subordinato all’ apparecchio sesa- moidale appartenente alla testa inferiore del metacarpo. Diffatti nella parte inferiore de’ quattro metacarpi trovansi grandi sesamoidei, allungati e compressi, e sono posti ai lati di una carena mediana dell’ osso, elevatissima; ma qui tutto è molto meno pronunziato che nella tigre. Ciascun paio è legato da un tessuto fibroso, robusto, che forma una piastra coriacea, la quale si stende in alto sino alla fine dei sesamoidei. Questa piastra o lamina elastica e di somma resistenza aderisce nel suo lembo inferiore alla base della prima falange, ond’ essa segue i movimenti. Nel margine su- periore poi è in rapporto con un ventre muscolare, col- locato nella faccia volare del metacarpo. Tagliando al- cune membrane legamentose laterali che imbrigliano questa piastra, la si può sollevare dall’ osso metacar- piano; ed allora la si vede modellata esattamente sulla testa carenata dell’ osso, in guisa da formare una se- zione di troclea, i cui due lati sono occupati dalle facce curve ed allungate dei due grandi sesamoidei. L’abbon- dante umore sinoviale che bagna questa superficie, com- pisce le condizioni di una articolazione trocleana spezzata. La testa carenata del metacarpo vi si muove per entro con grande estensione e libertà, del pari che la testa metacarpiana inferiore del cervo o del bue si muove nella cavità trocleare della prima falange. Mentre le falangi ungueali del cane o della ti- gre restano sollevate per l’ atto della ambulazione, li sesamoidei sono recati in basso, e trovansi collocati APPARECCHIO SESAMOIDALE NEL CANE 171 sotto ì punti di pressione della testa metacarpiana sul suolo. La rotazione dunque che è eseguita dal metacarpo durante la differente inclinazione che prende nel can- giar passo, sì compie sui sesamoidei, o a meglio dire, sì compie sopra questa specie di troclea semi-ossea e semi-fibrosa (1). L'altra faccia di questa piastra fibrosa, o faccia volare, forma una doccia, mediante il rialzo delle due creste sesamoidali riunite l’ una all’ altra sul dinanzi dallo stesso tessuto fibroso; di modo che prende le for- me di un astuccio. Aprendolo, vi si trova il tendine per- foratore o il grande depressore del dito perfettamente libero, mentre il perforato è superiormente in connes- sione colla piastra medesima. Dal fin qui esposto si vede che l’ apparecchio se- samoidale serve senza dubbio a mantenere a proprio luogo i tendini, porgendo loro un passaggio circoscritto entro una doccia, ovvero in un canale; ma del pari si vede che la forma, l'estensione, e la libertà, di cui go- dono le creste sesamoidali, si riferiscono alla funzione del camminare. (1) Si direbbe che la parola osso sesamoidale è male applicata parlando di queste creste ossee, perchè non sono nè globose nè piccole come i grani di sesamum,a cui sonosi paragonate le piccole ossa umane. Nella tigre ecc. sono piuttosto veri frammenti di cor- doni trocleari, 172 APPARECCHIO SESAMOIDALE NEL CANE Le falangi della parte tetradattila della mano si muovono sulle teste infero-dorsali del metacarpo; ma queste teste sono meno convesse di quelle della tigre, ed un po’ più quadrate. Nel pollice non si osserva nulla di ciò. La testa metacarpiana presenta una forma ben diversa; giacchè non ha quella sporgenza sferoidale così elevata, e cir- coscritta da una profonda fossa dorsale; e non ha che una piccola carena laterale, ed un osso sesamoidale globulare e piccolissimo. È dunque tutt’ altra forma. Sa- rebbe superfluo aggiungere che il pollice è piccolissimo, sottilissimo, e che non tocca terra; ma gode di una grande versatilità; e per questa ultima proprietà au- menta l’area circolare della grinfa, alla quale reca un’ unghia più accuminata delle altre, perchè meglio protetta. Le falangi ungueali non hanno una articolazione laterale colla precedente. Restano tuttavolta un po’ sol- levate da terra in causa del als della loro base infe- riore, e del polpastrello terminale delle dita. Il pisiforme è grandissimo, e va provvisto di un forte ventre muscolare per la flessione della mano. Dunque il fondo della struttura della mano del cane è come quello della mano della tigre, tranne il rimpic- colimento del trapezoide, del capitato, e l’ ingrandimento del piramidale; ed infine una minor forza, e minori as- sicurazioni contro gli. sforzi violenti. In conclusione: si ER 3 ì TIGRE E CANE 178 ha un organo meno forte di quello della tigre, e che non va fornito di strumenti energici da presa, come sarebbe in generale la grinfa dei gatti. Difatti le unghie del cane non sono paragonabili a quelle dei gatti, non .sono nè laminari, nè taglienti nè acuminate: ma quasi cilindriche, un po’ curve, logorate ed ottuse al vertice (tranne quella del pollice) in causa del consumo quo- tidiano. Ma facendo queste osservazioni non dee tralasciarsi di riflettere ancora; quanto sieno realmente minori i casi di sforzi violenti per la mano del cane, in confronto a quelli che sono sostenuti dalla mano della tigre. Per ogni caso, qui si mette facilmente in evidenza una disposizione peculiare delle parti per le funzioni speciali del cane, che non sono quelle della tigre, nè di qualsiasi altro animale. La mano del cane è un con- ceplus sui generis, in cui sono armonizzati i mezzi al fine in un caso interamente determinato e speciale. Ai sostenitori della filiazione degli esseri si pre- senta un problema, la cui soluzione si rannoda con ciò che abbiamo detto per risguardo alla tigre. Supponendo, cosa non ammissibile, che cioè sulla superficie della terra non esistesse alcun vertebrato, tranne la tigre; e che essa fosse l’unico essere di que- sta provincia zoologica, un essere senza precedenti, senza un tipo esemplare: si domanda se la zampa della tigre sarebbe costrutta a quel modo che trovasi adesso. 174 TIGRE Rifacendoci a considerare ciò che abbiamo visto poc’ anzi, credo sia mestieri rispondere affermativamente. I meccanismi, che fra un grande numero di altri ab- biamo messo in evidenza, non ci lasciano alcun dubbio. Ognuno è ordinato ad uno scopo, ad una determinata funzione; non vi è pure un osso, od una parte sola, che non abbia un’ azione in questa zampa. Ogni cresta, ciascuna faccia articolare, ogni asprezza per quanto possa parer piccola ed insignificante, agiscono tutte: e ciascuna ha un proprio ufficio da compiere, e lo com- pie di fatti. Tutto ciò, come si vede, non esce dalle conside- razioni meccaniche, che ognuno può fare a suo piaci- mento. Ma, stabilito questo principio, ne rimane un se- condo. Queste funzioni sono esse. armonizzate fra loro in una azione comune? Agiscono tutte coordinate ad un ultimo ed unico effetto ?... Potrei dispensarmi da ogni osservazione a questo riguardo, riportandomi a quelle parole, che per la importanza loro ho avuto occasione di citare altrove sul proposito delle parti degli animali. Le vostre parole, o Signore, benchè dette per altri casi, hanno peraltro un’ applicazione generale; poichè la perfezione, che che nè dica taluno mal prevenuto, è la caratteristica generale della natura. Ma nondimeno, voglio tentare un passo avanti. Per manifestare Il’ armonia delle parti nella zampa della e ZA TIGRE 175 tigre, ed il perfetto agire così di questo membro come dell’ animale intero, cito una osservazione tra le mille che ogni giorno ci stanno sotto gli occhi. È mai possibile che vi sia qualcuno, il quale re- candosi a visitare il serraglio di Regent-park o del Zoo- logical-garden, non rimanga sorpreso da una rappre- sentazione così sublime quale è quella del coraggio, della forza, del furore, dell’ agilità che addimostra la tigre quando è adirata ovvero tormentata dalla fame? Si può mai immaginare maggior vivacità nella espres- sione o nei trasporti dell’ animale, e nel tempo stesso maggiore accordo ne’ suoi movimenti e nel giuoco delle sue membra, a soddisfare i suoi bisogni? Puossi figu- rare nel suo genere alcun che più perfetto della tigre? Tutte le sue qualità non sono forse condotte al loro punto culminante, e non si riferiscono egualmente bene alle facoltà psichiche, come alle fisiche dell’ animale? Tutti conoscono che i molti mezzi di che 1’ animale può valersi non agiscono malamente, ma per contrario raggiungono il loro scopo colla massima esattezza; e per non perdere di vista il nostro particolare soggetto, ognun vede che la zampa della tigre lungi dall’ agire malamente, serve anzi all’ animale con una sorpren- dente felicità. Essa non potrebbe meglio rispondere a’ suoi bisogni, al suo coraggio, alla sua forza gene- rale, ed alla subitaneità delle sue risoluzioni. Nella ti- gre nulla scarseggia: nè attitudine, nè esecuzione; nè brama, nè conseguimento: nè tendenza, nè soddisfazione. 176 TIGRE Considerando dunque due cose: 1.° i costumi (come dicesi) della tigre ne’ suoi rapporti col mondo ambiente, e 2.° la struttura delle parti del suo corpo per rispetto alla funzione ed ai bisogni dell’ animale, non si può certamente porre in dubbio che la tigre abbia tutto ciò che le si addice, e che l'intera sua macchina è per- fettamente acconcia alla sua azione (1). (1) Conosco molto bene, e tutti lo comprendono assai meglio di me, che non sarebbe difficil cosa trovare molti esempi simili a quello che abbiamo visto della tigre. Diffatti chi non intende che sarebbe oggetto degno di eguale ammirazione un bel cavallo lan- ciatosi a corsa o di galoppo, oppure una scimmia che volteggia su- gli alberi, ovvero un uccello che placidamente si libra spaziando in alto per l'atmosfera? Tuttavolta non basterebbe la sola ammira- zione a dedurne una conclusione filosofica del genere di quella che abbiamo ricavata sul conto della tigre; perchè non basta limitarsi ad una considerazione superficiale, come ordinariamente si fa, cioè ad una considerazione del tutt'insieme e pittoresca, piuttosto che scientifica. Per farne una giusta stima, converrebbe aver prima sot- toposto e gli animali qui menzionati ed altri ad un esame così ac- curato, come quello e più profondo ancora di quello, che ab- biamo fatto di una piccola. parte dell’organismo della tigre. Sol- tanto allora che si è acquistata una profonda conoscenza dei mec- canismi di un animale, e quando si veggono questi stessi mecca- nismi all'opera; soltanto allora, dico, è possibile rilevare la perfetta corrispondenza delle parti colla funzione, e dell’ istrumento col suo effetto. Donde chiaramente emerge l’ evidenza della perfezione del- l’istrumento ancora, se il suo effetto è così adeguato: e quindi ne risulta la conseguenza, che tutto ciò che esiste in questo mecca- nismo è utile e necessario al compimento dell’ istrumento; e. che non avvi punto di superfluo, di rudimentale, o di reZiguato anato- TIGRE 1797 Dunque, se per ‘impossibile, come abbiam detto, la tigre fosse stata la sola creazione vertebrata che esi- stesse sulla terra, non potrebbe essere altra da quella che è; la sua zampa non potrebbe essere diversa da quella che è, cioè — zampa di tigre. Insomma un Creatore non poteva far nulla di me- glio per una tigre che darle quella zampa che ha dif- fatti, senza guardarsi attorno se v’ abbia o no altri animali. Il concetto di una zampa così costrutta, non implica verun precedente, nè alcun riguardo ad un pri- mitivo disegno generale, nè alcun rapporto o dipen- denza di costruzione colla zampa degli altri animali; come una chiave non ha veruna relazione co’ milioni di chiavi che sono sulla terra: e se non esistesse che la mia chiave sola, è manifesto che essa non sarebbe nè più nè meno di quella che è. La zampa della tigre è esclusivamente perfetta in sè stessa, ho detto esclu- sivamente da tutte le altre zampe o create o possibili. Molto in alto è riposta la sua ragione di essere; e con- mico. Parimenti è chiaro che nulla vi sì trova per servire ad una unità di piano teorica, nè per servire di passaggio ad un prossimo organismo. Allora la semplice intuizione si ferma solo sopra due considerazioni: di un meccanismo costituito a rigore di termini della scienza, e del suo effetto di un perfettissimo risultato. Ma la stessa intuizione è trascinata per forza ad una“ulteriore conseguenza, cioè che questo meccanismo è un meccanismo preparato, e di un effetto voluto « da un artefice, che ben conosce il suo lavoro, e il cui ef- fetto era voluto da lui ». 178 © TIGRE siste nel trovarsi conforme alle leggi di meccanica, di dinamica, di fisica, di fisiologia ecc. Lasciamo da parte per un momento la questione se la tigre sia un derivato da altri animali per filia- zione 0 no. Quanto al suo organismo, essa sarebbe qua- l’è, trovandosi come ora in mezzo ad innumerevoli crea- zioni, del pari che se fosse sola sulla terra. Voi dunque vedete, o Signore, che la dottrina de- gli atti di creazione indipendenti non dee trovarsi molto più impacciata a spiegare la costruzione dipendente della zampa della tigre, di quello che a spiegare le co- struzioni della mano dell’ uomo, e, come altrove ve- dremo, di quella del pipistrello e della foca. —©>- Dr TA III. ZAMPA DEL MAIALE E DEL BUE RAIL UN RORINIGNI Noi qui faremo luogo allo studio della zampa del maiale. Dopo quanto si è detto risguardo alle sue dita, chi potrebbe ora passarsene in silenzio? Uno scienziato, che ha goduto di altissima fama, così si esprime: « Il porco è un composto di altri animali; si vede chiaro che ha parti inutili, ovvero parti di cui esso non può far uso; ha dita le cui ossa sono tutte perfettamente formate, e che nullameno non gli servono a nulla » (1). Parti inutili! dita che non servono a nulla! A dir poco, è cosa strana. (1) Buffon. Hist. du Porc. — Non è a maravigliarsi di veder riprodotte sotto forme più moderne le osservazioni già fatte anti- camente, e che allora senza dubbio furono giudicate molto scien- tifiche. 180 ZAMPA DEL MAIALE Ma vediamo come sia. Conviene che ora ci occupiamo di questo grande problema, da noi dianzi enunciato. Premetteremo anzi- tutto le considerazioni dell’ @7/0 del maiale sotto il punto di vista della sua meccanica costituzione, e poscia stu- dieremo quelle a cui si dà nome di parti inutili. MAIALE STRUTTURA MECCANICA DEL CARPO Il maiale ha quattro dita nelle sue zampe ante- riori. Guardandolo per davanti, se ne veggono solo due grandi e che toccano terra. Le altre due dita più pic- cole stanno didietro; esse sono complete, armate d’un- ghia, ma collocate in alto e non giungono al suolo. Di queste piccole dita il primo è l'indice, e l'altro è il quinto dito o mignolo. Buffon non fa parola del pollice. Questo manca bensì, ma non interamente; diffatti se ne osserva un ru- dimento assai distinto, rappresentato da un piccolo osso, cioè il trapezio rudimentale e nascosto interamente: fra le parti molli. Il piede del maiale è un semplice sopporto, e non può eseguire veruna preensione od altro movimento, all’ infuori del camminare. Se non che le grandi dita sono divaricabili sotto una forte pressione, esercitata sull’ arto dal peso del corpo. 182 CARPO DEL MAIALE Quando la. zampa anteriore si inflette pel mutar di passo, essa non si piega già nella direzione dell’ asse longitudinale dell’ arto, ma alcun poco all’ indentro. Al- lorchè la zampa si stende per toccare la terra, riprende la sua primitiva posizione verso l’ esterno. Tralascieremo di studiare l’omero e l’avambraccio , e noteremo soltanto che sono corti e tozzi. Le estremità anteriori del maiale sono corte e salde ma sottili e molto basse, considerandole in proporzione dell’ampiezza di volume e del peso del corpo. Il carpo è composto di tre ossa nella prima serie, cioè dello scafoide, del semilunato, e del piramidale, oltre al pisiforme; la seconda serie, o l’infero-carpo, si compone di quattro ossa, che sono l’ uncinato, il capi- tato, il trapezoide, ed infine il trapezio, come suol dirsi, rudimentale (1). Per ora lasciamo da banda il trapezio; vi torne- remo sopra. . (1) Tavola x1. fig. 1 e 2. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XI. Carpo del Maiale. ri Fig. 1. Protocarpo e deutocarpo del maiale — 1) scafoide — 2) lunato — 3) piramidale — 5) trapezoide — 6) capitato — 7) uncinato. 33 da (AS) . Faccia interarticolare del deutocarpo del maiale — 4) tra- pezio — 5) trapezoide — 6) capitato — 7) uncinato. Fig. 3. Trapezio del carpo umano. a) sua cresta. 4 dA } | 3 È : | a | sd | î L ; i O. Nannini lit° Contoli dis Lit. (-Wenk CARPO DEL MAIALE 183 L’interlinea articolare fra le due serie si mostra nella faccia dorsale come un zig-zag (1), poichè lo sca- foide, il semilunato ed il piramidale si avanzano in punta sopra l’infero-carpo, mentre formano due seni rientranti sulla linea della loro unione. L’ infero-carpo corrisponde per parte sua con una medesima disposi- zione, poichè il capitato e l’uncinato si inoltrano a punta verso il supero-carpo, e anche le linee della loro unione sono occupate da seni. Separando le due serie, si vede che ciascuna su- perficie è tutta unita: la superiore forma un canale, e l’ inferiore un cordone. Il canale risulta dall’ innalzamento dal lato dorsale dei margini dello scafoide e del semilunato. Ma dal lato palmare il semilunato sporge anch’ esso con un simile processo marginale. Lo scafoide ed il piramidale seguono in minori proporzioni questa medesima disposizione. La faccia inferiore del supero-carpo offre dunque un canale, il cui fondo è però trasversalmente e alternativamente convesso o concavo. Le depressioni esistono nelle com- messure delle ossa. » Il cordone o cilindro della faccia superiore dell’in- fero-carpo è composto dal trapezoide, dal capitato e dall’ uncinato. Ma la sua superficie non è già eguale da per tutto. Il cilindro è interrotto da due creste quasi taglienti, che dalla faccia dorsale vanno alla faccia vo- lare; l'una sul mezzo del capitato, l’altra a metà del- (1) Tavola xt. fig. I. 184 CARPO DEL MAIALE l’uncinato. Queste carene corrispondono alle depressioni del canale superiore; esse sono un poco oblique e non interamente parallele. Ne segue perciò che, quando ha luogo la declinazione della mano, la parte inferiore di questa si trasporta in basso verso il lato pollicare. Il non parallelismo è cosa per me inesplicabile: io credo che i due sistemi di carene, benchè non parallele, non si facciano ostacolo nella loro azione simultanea; ma parmi che esse funzionino in guisa, che il loro effetto sia ancora di prestare il contrasto delle facce di scivo- lamento o di ricollocamento, quando si tratta della de- clinazione della mano. Un rudimento di una terza carena è somministrato dal margine pollicare del trapezoide (1). La declinazione e ‘1’ estensione della mano hanno entrambe i loro limiti ben definiti. I punti sporgenti del supero-carpo oppongono una barriera insormontabile alle ossa dell’infero-carpo, allorchè la mano entra in disten- sione. Quello che sopratutto è notevole, si è una pic- cola faccia del capitato che va ad applicarsi sopra una faccia opposta del semilunato: quivi è una perfetta op- posizione, e tale, che quando il capitato è giunto a col- locarsi sulla faccia del semilunato, si trova allora col- locato sopra una base di perfetta stabilità. Quivi dun- (1) Molte facce influiscono sul movimento di trasporto della mano verso il lato radiale. La faccia dell’ uncinato col piramidale coadiuva specialmente questo movimento. CARPO DEL MAIALE 185 que l’ estensione della mano è fermata, e così è perfet- tamente assicurata la massima forza della posa verticale. La declinazione della mano ha altresì il suo limite. Il semilunato sporge colla sua punta verso una sinuo- sità volare del capitato. La declinazione è arrestata to- stochè la punta è entrata nelle dette cavità. Anche lo scafoide ha una punta sporgente che corrisponde al mezzo della faccia del trapezoide; codesta punta regola la rotazione del trapezoide e ne fissa il termine ad un dato punto (1). Non ci è possibile entrare in tutti i particolari che sarebbero richiesti dalle molte facce considerate ad una ad una. Io credo che sarebbe uno studio lunghissimo , e che sol esso richiederebbe molte ricerche dal punto di vista della meccanica. Noterò soltanto il modo di connessione dei pezzi carpiani fra loro. Lo scafoide nella faccia articolare en- docarpiana presenta una convessità laterale, che vien raccolta dalla concavità del semilunato. Il contrario si osserva nella faccia superiore, o radiale: ivi una con- cavità dello scafoide abbraccia una convessità del semi- lunato ; e il piramidale per conto suo offre un cordone, che è contenuto in una cavità del semilunare (2). (1) Il movimento della seconda sulla prima serie del carpo è abbastanza libero; essa può scorrere tanto da formare un angolo di 35 fino a 40 gradi od in quel torno. (2) Tavola xr. fig. 1. — 1, 2,3. 186 CARPO DEL MAIALE L’infero-carpo presenta nella sua faccia d’ interli- nea articolare il trapezoide quasi saldato col capitato, mediante le facce marginali, essendo occupato il centro delle due ossa da un grande legamento interosseo. Il capitato nella sua congiunzione coll’ uncinato offre una linea serpeggiante, perchè nel suo mezzo s’inarca un profondo seno che racchiude un grande cordone offerto dall’ uncinato (1). In generale si nota che le ossa di ciascuna serie sono in un modo singolare intrecciate fra loro: la qual cosa dà unità al cilindro ed al canale endocarpiano, e insieme colla unità ancora la forza. Senza questo in- trecciamento , la forma colla unità si troverebbero molto esposte, e sarebbe compromessa altresì 1° esattezza dei movimenti. Qui dunque avvi una costruzione di estrema stabi- lità, per assicurare la corsa del maiale contro ad even- tualità di sforzi e lussazioni. La base su cui l’ animale poggia è perciò fortissima, e può superare i contrasti e gli sforzi supremi della corsa o della discesa. Nel concorso delle parti solide colle parti molli ri- siede la fermezza e la stabilità di codesta base. I pezzi carpiani sono grandi, solidi, massicci; le corde (tendini e legamenti) hanno grande potenza; ma i movimenti di questa mano sono limitatissimi e gagliardamente cir- (1) Tavola x1. fig. 2: — 5, 6, 7. TTI 7 RIE afestecnste VR E TOI VROE TRU 1 STRO TTI CARPO DEL MAIALE 187 x coscritti. Ogni sorta di rotazione è impedita: insomma è un carpo adattissimo per la zampa di un animale viaggiatore, ma pesante e senza agilità. Io dico, che la costituzione meccanica di questo carpo non è para- gonabile con quella del carpo umano, ma tuttavolta le rassomiglia in quanto che avvi necessità di un elastico fra il braccio e la mano, e l'uno e l’altra compiono realmente l’ ufficio di una molla elastica interposta fra l’azione e la reazione. Questi carpi differiscono fra loro quanto la mano differisce dalla zampa, come differiscono altresì le fun- zioni loro proprie, e quanto maggiori sono le differenze che esige la necessità meccanica per l’ adattamento delle estremità agli usi delle specie. L'unità di piano non vi ha nulla che fare. J tz si i APE AR E LINE ee PARTI INUTILI Torniamo ora alle idee di Buffon, il quale d’al- tronde, conviene pur dirlo, non è il solo degli scien- ziati che reputi il maiale un animale incompleto. Egli dunque ci dice, che il maiale ha parti evidentemente inutili, e dita che non gli servono a nulla. Buffon era un naturalista da tavolino e valente scrittore, anzichè uomo dedito alle osservazioni del campo. Questo spiega fino a un certo segno l'evidenza di parti inutili, ch’ e- gli riscontra nel piede del maiale. Ordinariamente que- sto animale si vede camminare, senza che le piccole dita gli servano a toccar la terra. Sì, ma è poi sempre così? Quando il maiale corre o si aggira per una pia- nura, quali sono i nostri prati, le sue zampe anteriori stanno ritte, e solo le dita più grandi premono il suolo. Le piccole dita allora restano in alto e discoste da terra. Ma non accade egualmente quando il maiale vive sulle montagne: colà esso sale e discende talora pei clivi; e quando discende, se la pendenza è un po’ardua, le sue zampe si inclinano, ed il piede si stende all’ innanzi. Il suolo che in questo caso è basso davanti, è alto di dietro in modo, che le dita piccole sono lunghe abba- 190 PARTI INUTILI stanza per toccare la terra, e di più per impiantarvisi o per aggrapparsi sulla roccia. Il cinghiale mena la vita nei boschi bene spesso montani, e Virgilio ci dice: Dum juga montis aper... ... amabit. Egl. V. Ed il suo derivato il porco domestico, seguendo l’ uomo, abita ben di sovente le foreste alpine. In questi casi le piccole dita non sono dunque un fuor d’ opera, nè sembra che sieno parti inutili (1). A questo proposito mi rammento della distinzione formulata dal Chauveau, cioè « che le membra ante- riori più vicine delle posteriori al centro di gravità, sorreggono maggior parte del peso del corpo (2). Esse debbono per conseguenza essere specialmente organiz- zate a compiere l’ ufficio di sopporto » (3) mentre le (1) Si osserva ancora che le due piccole dita entrano in azione a sostenere l’ animale quando cammina per terreni paludosi. (2) Chauveau. Anatomie comparée, T. 1. pag. 119. (3) « Le membra anteriori, prosegue il Chauveau, oppon- gono alla pressione del peso del tronco, che costantemente tende ad abbassarle, ostacoli prettamente meccanici, e di tanta gagliardia che può immaginarsi anche la stazione sulle membra anteriori, sup- ponendo annichilate, fuor d’una sola, le masse muscolari che cir- condano i loro raggi ossei » (pag. 119). Lo studio delle parti ossee che compongono la zampa del ma- Sed Da w $ ZAMPA DEL MAIALE 191 posteriori « in uno stato permanente di flessione.... sono mirabilmente conformate all’ uopo di servire da agenti della locomozione.... ». Se questo è vero pei quadrupedi in generale, più lo è ancora pel maiale, gravato nella sua parte anteriore del carico di una testa massiccia e di un corpo obeso e pesante. Lo sforzo che cade perciò sulle zampe anteriori basse e sottili, rende le loro due grandi dita insufficienti a resistere nel caso di una di- iale fa conoscere una disposizione meccanica, che porge il più ma- nifesto carattere di una determinata stabilità, mediante le sole parti solide. Le due serie del carpo sono reciprocamente incastrate; e ba- sta gittare uno sguardo sulla Tavola xI. fig. 1. Ma ciò che non apparisce nella figura, è lo scafoide: il quale posa sul trapezoide che esso abbraccia, nel tempo stesso che si appoggia su di una faccia del capitato. Il trapezoide riposa alla sua volta sulla testa quasi piana del metacarpo dell’ indice e sopra un forte als del terzo metacarpo. Non dirò nulla nè del lunato che si interpone quasi cuneo ottuso sulla convergenza delle due metà del capitato e del- l’uncinato, nè della posizione del capitato che è ricevuto in una cavità forculare del terzo metacarpo, la cui testa allargatissima rag- giunge con un #a/us l’uncinato. Questo riposa sul quarto metacarpo, mediante una faccia reciprocamente ondulata. Ma lo studio delle facce interne è quello specialmente che mostra l’innesto delle due serie fra loro, e quello della inferiore colle teste dei metacarpi. Si - sono già descritte le facce di contatto delle due serie fra loro, che si toccano per un canale contenente il semi-cilindro. Dunque la se- conda serie è incastonata dalla prima, ed essa alla sua volta rac- chiude le teste dei metacarpi. Le articolazioni stesse dei metacarpi sulle falangi e delle falangi fra loro offrono nella direzione verti- cale sì salde basi, che la zampa essendo premuta d’ alto in basso porge tutta la resistenza di sostegno, mediante la semplice sovrap- . 192 ZAMPA DEL MAIALE scesa; e allora appunto entrano di rinforzo le due pic- cole dita, le quali divengono due punti d'appoggio col- locati in addietro. Così il piede per aggrapparsi sul suolo non ha soltanto due dita, ma quattro; e la base di sopporto in questo modo viene ingrandita ed acqui- sta una molto notevole estensione. Bisogna notar bene che le piccole dita non sono aderenti al di dietro delle maggiori: per lo contrario posizione dei pezzi solidi. Di modo che ben poca è la fatica che rimane alle parti molli nell’ atto della stazione verticale: basta solo che si impedisca la flessione della zampa. Non bisogna altresì dimenticare, che, durante l’atto della esten- sione della gamba del maiale, tutte le protuberanze aculeiformi che si scorgono sulle facce superiori e inferiori dei pezzi carpiani, si trovano allora collocate nella loro rispettiva cavità; di guisa che sono tutte fortemente incastrate fra loro, e anche la testa del radio e chiusa fra le punte del carpo. È cosa notevole che le due ossa metacarpiane del medio non sono eguali fra loro. Il terzo è più robusto che il quarto, e di più è fornito meglio del suo vicino nei rapporti che ha colle altre ossa, poichè da solo si appoggia su tre ossa dell’ infero-carpo. Ma bisogna considerare che questa prevalenza appartiene a quella delle due grandi colonne digitali del piede del maiale, che sostiene il va- cillare del corpo nel momento in cui l’ animale, mutando il pas- so, poggia sur una sola delle sue estremità anteriori. Laonde maggior forza è concessa a questo lato radiale della mano, ove si hanno a sopportare sforzi maggiori. Del rimanente non è possibile, come dice Cuvier ( Ossem. fossiles) « descrivere a parole le parti della zampa del maiale, il cui meccanismo presenta alcunchè di sorprendente da studiare ». ZAMPA DEL MAIALE 193 possono divaricarsi all'infuori ed all’ indietro. Caricate che siano le quattro dita del peso del corpo, si diva- ricano scostandosi reciprocamente. Di tal modo, la im- pronta lasciata sul suolo rappresenta quattro punti in- scritti su di un quadrilatero, come qui si vede (1). a Impronta delle quattro dita del maiale (2) .5 D. (1) La distanza fra i punti delle piccole dita divaricate è di m. 0, 09, e quella delle dita maggiori è di m. 0, 06. (2) a, a’. Unghiette o dita posteriori. b., Db. Punte delle dita anteriori. 15 194 PICCOLE DITA DEL MAIALE Codesto piede così considerato è addivenuto un piede adattatissimo per la discesa, ed eminentemente appro- priato pel maiale. La forza di che godono le piccole dita quando entrano in azione, dà all’ animale un valido ap- poggio contro gli scivolamenti. La qual cosa era ben necessaria per codesto animale, caricato e sul dinanzi e indietro di un corpo pesante e di una testa volumi- nosa e tozza. Tutto il peso gravita, specialmente poi nella discesa, sulle estremità anteriori, le quali sono esili e basse (1). Del rimanente poi il maiale si serve delle dita pic- cole quasi come delle grandi, e può rilevarsene la prova dalla erosione patita nelle unghiette. Io ho esaminato le zampe anteriori di un maiale di due anni e che aveva vissuto sulle alte montagne di Belvedere nell’Apennino. L’erosione sofferta dall’ unghia delle dita piccole era all'incirca eguale a quella dell’ unghia delle dita di. mezzo; le prime offrivano sfregamenti, erosioni e smus- sature, ed erano logorate quasi al pari delle altre. Il mostrarsi sorpreso che /e ossa delle dita piccole stano tutte formate a perfezione, sarebbe dappocaggine ora che sì conosce che queste piccole dita sono una (1) « Le gambe davanti, dice Buffon, sono sì poco alte, che il maiale sembra costretto di abbassare la testa per appoggiarsi so- pra i suoi piedi, e pare che l’intero suo corpo cada all’innanzi. » Se ciò è vero quando il maiale cammina per la pianura come mai non ha visto il Buffon le conseguenze di siffatta conformazione nel camminare per un declivio ? PICCOLE DITA DEL MAIALE 195 parte integrante della mano del maiale; e che gli servono benissimo in tutti quei casi, in cui l’animale deve cam- minare per un piano inclinato, cosa non molto rara ad accadere. Sì, le ossa delle dita piccole, o meglio 1’ orga- nismo, 0, se vuolsi, il loro meccanismo interno è for- mato perfettamente in armonia colla funzione. La prima falange dell’ indice e quella del quinto dito trovano sulla grande testa inferiore del loro metacarpo una valida resistenza nel caso di sforzi dal difuori ‘all’ indentro, quando le dita piccole già divaricate puntano sul suolo. Gli stessi metacarpi alla lor volta sono fortemente as- sicurati sulle grandi ossa metacarpiane del dito medio, in guisa, che tutte queste parti solide forniscono una validissima resistenza alle dita piccole, quando hanno l’incarico della resistenza contro gli scivolamenti del piede. In quanto alle parti molli, tre corde sono impie- gate per dare stabilità e resistenza alle dita piccole (1). Queste sono. 1.° Il tendine flessore a, 4 che parte dal grande depressore comune, e poi si inserisce sulla falange ungueale dell’ indice e del quinto dito. È man- - tenuto al suo posto mediante un udulo cartilaginoso ,. che trovasi sulla testa superiore della prima falange, e mediante il legamento che segue. 2.° Un legamento (1) Si vegga Gurlt. Anat. der Huus-Saugethiere, Tav. 39, fi- gura 6, 7. 196 PICCOLE DITA DEL MAIALE b, b, il quale, partendo dalla testa superiore della penultima falange, si fissa sulla falange ungueale del dito grande più prossimo (1). Lungo il suo corso passa sul tendine precedente e sotto al legamento trasversale. 3.° Un legamento trasversale c, che lega insieme le fa- langi ungueali delle dita piccole e che getta ancora due fascette alle falangi ungueali delle dita mediane. Quest’ ultimo legamento stabilisce in modo ben preciso la possibile estensione della divaricazione delle dita pic- cole, mentre l azione del tendine depressore, coa- diuvato dal legamento obliquo mantiene le dita stesse immobili e al posto loro, anche quando agiscono e sono sottoposte a sforzi eccessivi. Dalla ispezione di questo meccanismo interno, e delle dita piccole quando sono estese e divaricate, rilevasi che queste dita agiscono in due modi: 1.° somministrano un gagliardo sostegno ver- ticale per la perfetta sovrapposizione degli elementi os- sei (2), in modo che il corpo dell'animale vi si può ap- poggiar sopra con tutto il suo peso; 2.° esse presentano (1) Tavola xm. (2) Vedi addietro pag. 190. Nota (3). SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XII. Legamenti degli unghielli del Maiale. 4, a) tendini flessori dell’indice e del quinto dito. b, b) legamenti che partendo dalle penultime falangi delle dita n e v. sì fissano sulle falangi ungueali delle dita maggiori. c) legamento trasversale, AI Tut. G.Wenk. ÒU dis Contoli O Nannini ht" TRAPEZIO RUDIMENTALE DEL PORCO 197 una base dilatata sopra grandi diametri, che sono bene determinate mercè di corde legamentose. La inutilità delle parti, a quanto dicesi, è assai meglio dimostrata dai rudimenti del pollice (1). Di fuori non esiste indizio alcuno del pollice, e ciò non ostante trovasi nel didentro un piccolo osso nella regione del carpo, che è un rudimento del trapezio (2). Non è egli evidente, dirà qui taluno, che questo è un reliquato di un altro animale, o se vuolsi uno sviluppo abortito? No. Per intender bene questa questione, fa me- stieri studiarla profondamente. Anzitutto ammettiamo che il pollice sarebbe stato cosa inutile. nel piede del maiale. Ammesso ciò, con maggior ragione si dirà che è cosa inutile, se fra le carni è rimasta colà una parte delle ossa del pollice. Per ragionare rettamente biso- gnerebbe poter dire, che non vi ha falangi, nè meta- carpo, nè trapezio. Allora solo potrebbe dirsi veramente che non vi è pollice. (1) Si intende bene che qui non si fa questione di quelle parti inutili, che fossero conseguenza delle modificazioni prodotte dalla domesticità, ovvero dalla profonda influenza del mondo ambiente. Qui si parla di quelle parti che son dette inutili, e che hanno re- lazione col fondo dell’ organismo, come quelle di cui è questione in questo capitolo ecc. (2) Tavola xr. fig. 2,4. « Nel maiale si osserva un piccolo osso che è il rudimento del pollice » Cuvier. Legons, l. pag. 313. 198 TRAPEZIO RUDIMENTALE DEL PORCO Adagio a’ ma’ passi in questa conclusione. Non bi- sogna dimenticare che spesse volte un osso ha da com- piere più di una funzione. Prendo ad esempio precisa- mente il trapezio. Ognuno sa che quest’ osso nell’ uomo compie una prima funzione, quella cioè di essere il pezzo fondamentale del sistema digitale pollicare, poichè sul trapezio si muove e poggia tutta la colonna del pollice. In seguito viene una seconda funzione: quest'osso porta un’apofisi o cresta alla faccia volare (1), che serve per l'attacco del legamento annulare trasversale del carpo. Ora se per annientare il pollice, distruggete tutti i pezzi che compongono questo avtiyetp, voi avete ra- gione; ma se volete distruggere ancora la cresta lega- mentare, allora avete torto perchè oltrepassate il vo- stro scopo. Non si può privare nè il legamento annu- lare del suo punto di attacco, nè la base della mano di questo legamento che mantiene al posto loro i ten- dini depressori delle dita. Dunque per agire giusta le regole della scienza, bisogna distruggere le falangi del pollice, il suo metacarpo, e tutta la parte del trapezio che serve esclusivamente al pollice. Ma è necessario che rimanga di questo ultimo osso tutta la porzione che serve per l'inserzione del legamento annulare. Ecco ciò che è rimasto del trapezio nel maiale (2). (1) Tavola xr. fig. 3. a. (2) Aggiungasi che, sopra questo piccolo osso ha origine il muscolo adduttore dell'indice. Questo piccolo osso serve dunque sol esso nel maiale a due funzioni, cioè all’ attacco di una parte di legamento annulare, ed alla inserzione del muscolo adduttore. TRAPEZIO RUDIMENTALE DEL PORCO 199 Da ciò si vede che è falso il dire che il piccolo osso è un reZiquato, un residuo anatomico di un altro animale, un dito atrofizzato: e parimente è falso il dire che esso è un organo in via di formazione, un rudi mento in istato di sviluppo abortito. Ma dire che è la parte del trapezio richiesto dalla necessità meccanica per l'inserzione di un legamento e di un muscolo, è dire la verità, è dare una spiegazione che gode di con- sistenza scientifica. Se non che mi avveggo di non aver considerato bene codesta quistione. Ho adoperato impropriamente le due parole annientare e restare, parlando degli ele- menti ossei del maiale. Infatti qui queste parole ron hanno senso. Nel pollice non si annienta nulla e non resta nulla. La costruzione della zampa del maiale nella sua totale perfezione richiede sette ossa carpiane, e di più una cresta che serva all'attacco del legamento, an- nulare e del muscolo adduttore. Tagliate il legamento e la zampa è storpia; spostate il punto d’ attacco del le- gamento, e la zampa non agisce più bene. Qui tutto è calcolato. Se alcuno mi dice — questa cresta è al posto del tra- pezio — io rispondo che sì; ma se poi mi si dice che è una porzione di questo primo osso del pollice, io rego recisamente. Essa è una parte tutta a sè, che non ha più alcun rapporto col sistema pollicare; poichè, nel maiale, questo sistema non esiste per nulla. La cresta 200 TRAPEZIO RUDIMENTALE DEL PORCO appartiene a tutt’ altro sistema; è uno dei numerosi punti di attacco della rete legamentare della mano. Si crederà forse che sia indifferente l’ annientare questa cresta, attaccando poi questo legamento ad un altro osso, 0 altrove? Di più, se nella natura vivente non si conoscesse alcun caso, in cui un trapezio fosse sormontato da una colonna pollicare, questo piccolo osso di cui parliamo non poteva mancare nella zampa del maiale, del pari che in quella di molti altri mammiferi. Dunque il pic- colo osso è una creazione fatta a bella posta; e nella zampa del maiale null’ avvi per conseguenza che sia stato annientato, nulla che sia rimasto di una strut- tura precedente o futura più complicata. Quando tutto ciò che si osserva in un organo (sup- poniamo a mo’ d' esempio la zampa del maiale) è quanto determina in quest’ organo stesso una funzione precisa; quando tutti gli elementi di quest’ organo servono com- pletamente e perfettamente a questa stessa funzione; quando infine in cotesto organo nulla trovasi, assoluta- mente nulla, che non sia dedicato alla detta funzione : non si ha forse ogni ragione di dire che l’organo stesso è intieramente ed esclusivamente consacrato a quella tale funzione? Per qual ragione direi che vi sono rest dui o rudimenti? In conclusione, nè le due dita piccole della zampa del maiale, nè le vestigie del suo #rapezio sono parti PE PARTI INUTILI 201 inutili. E molto increscevole leggere in certe opere, le quali godono di grande riputazione, che — « in alcuni quadrupedi le dita di mezza sono le più lunghe e le sole utili.... » (1) — che « contando i rudimenti imper- fetti e spesso nascosti sotto la pelle, non c’ è meno di tre dita nè più di cinque nei mammiferi » (2) — che « la natura lascia sempre delle vestigie di un organo, quand’ anche sia interamente superfluo, se quest’ or- gano ha compito un importante ufficio nelle altre specie della stessa famiglia » (3) — che « era difficile di in- tendere per qual ragione vi siano tanti organi rudi- mentali, privi di un ufficio fisiologico, rappresentanti, apparentemente inutili, di organi necessari ad altri tipi » (4) — che « al didietro di questi zoccoli princi- pali si veggono altresì due piccole produzioni cornee le quali sono state chiamate gli unghielli, e rappresentano due dita rudimentali ed inutili » (5). Infine il Wallace ci dice, per risguardo agli organi rudimentari, « che esistono siffatti organi, e che in ge- nerale non adempiono alcuna speciale funzione nella economia animale; questo è quanto ammettono le pri- (1) Vicq d’Azyr veggasi Géoffroy St. Hil. Zool. gen. pag. 83. (2) Cuvier. Lecons 1. pag. 309. (3) Géoffroy. St. Hil. Zoolog. génér. pag. 89. (4) Pictet. Biblioth. univ. de Généve, 1860, pag. 249. (5) Desmarets. Diction. des sciences natur., art. Rudiments. 202 PARTI INUTILI marie autorità in anatomia comparata » (1). Parmi per. vero dire che troppo sollecitamente si lasci in tronco una quistione di sì alta rilevanza, quale si è l’esistenza di organi inutili negli animali: e penso che non sia sì grande il numero delle primarie autorità in anatomia comparata che l ammettano; ed avrebbe fatto bene a citarle. Prima di fare accettare nel patrimonio della scienza questa opinione, bisogna recare innanzi dei fatti, e, ciò che più monta, dei fatti bene studiati. Non basta ripetere del continuo le stesse asserzioni, pecu- dum more, nè seguire il consiglio di alcuni distinti scienziati, i quali dicono che, a stabilire una nuova ve- rità, occorre pazienza e molta pazienza. No, ciò non basta; perchè prima di ogni altra cosa bisogna posse- dere la verità, e poscia occorrono prove molto chiare ed aggiustate per far sicuro sè stesso della verità, e per farla intendere altrui. Non so se si potranno dare spiegazioni sì facili in altri casi che si citano di parti inutili; ma propendo a credere, che tutti si porgano egualmente ad uno studio accurato. Ho esaminato solo le unghiette del bue, e ne dirò qualche cosa. (1) Wallace. La séléction naturelle. Essuis, pag. 24. fe UNGHIETTE DEL BUE Il bue ha due grandi dita anteriori sulle quali cam- mina, e due unghiette sospese in alto e all’ indietro della gamba. Il piede essendo in riposo, queste stanno pendenti; sembrano allora intieramente libere e mobili in ogni senso. Ma non possono compiere più di un quarto di rotazione; poichè a questo punto divengono ben presto immobili e capaci di offrire una vigorosis- sima resistenza dal di sotto in su. Inoltre se la gamba trovasi in istato di tensione, le unghiette divengono inflessibili verso l'alto e capaci di una perfetta resi- stenza. Le unghiette non sono parti puramente sospese nelle carni. Primieramente, il cuoio le circonda all’ in- torno, e assicura loro una resistenza proporzionata alla resistenza del cuoio stesso, il quale in questo punto è grossissimo ed in uno stato di distensione. In secondo luogo, quando si è tolto il cuoio, 1’ unghietta è assicurata ancora sulle ossa del piede mediante ro- bustissime corde legamentose. 204 UNGHIETTE DEL. BUE Facilmente si pongono allo scoperto due fasci (1). I più bassi a, «, uno per parte, che formano una fet- tuccia legamentare di m. 0,006, la quale proviene dalla falange ungueale e passa sotto l’ osso dell’ unghietta ; si fissa tale fettuccia in parte sotto l’ unghietta stessa, mentre con molte altre fibre passa avanti. Questo le- gamento è messo in istato di tensione in due casi: 1.° qualora sia tirato in basso dal dito grosso, allorchè questo soffre gli sforzi della ambulazione; 2.° qualora l’unghietta sia spinta in alto per l’ opposizione di un corpo resistente, sul quale l unghietta stessa vada a poggiarsi. Questo primo legamento si oppone dunque acciò l’unghietta non sia spostata verso l' alto. Un altro fascio inoltre più dilatato aderisce al margine interno della parte ossea dell’ unghietta. Vi si possono distinguere due masse, cioè un cordone trasver- sale d, che unisce la base di una unghietta a quella dell’ altra; poscia viene, ma in continuazione colla pre- cedente, una parte più sviluppata, che partendosi dal lato infero-interno dell’ unghietta e scendendo obliqua- (1) Tavola x. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XIII. Legamenti delle unghiette del Bue (mezza grandezza). a, a) legamenti che riuniscono le unghiette alla testa inferiore della falange ungueale — 2) fettuccia legamentare traversa — c, c) aponeurosi legamentare. bd * Contoli dis° Lit 0-Wenk 0.Nannini ] UNGHIETTE DEL BUE 205 mente, e profondamente a foggia di ventaglio, sì inse- risce fra le due ossa falangiane e fra le unghiette (1). Questo secondo legamento compie una duplice fun- zione, e cioè si oppone alla divaricazione delle due un- ghiette oltre un dato limite; la qual funzione è princi- palmente propria del cordone d trasversale, e si con- trappone ancora allo scivolamento in alto delle unghiette mediante l’ aponeurosi legamentare c, c. Questo doppio legamento entra in azione sol quando è necessario op- porre. una resistenza contro sforzi impressi alle un- ghiette dal basso all’ alto. Altri due fasci di fibre, parzialmente confuse in una robusta membrana legamentare, si trovano sotto il margine superiore dell’ unghietta, ed inclinati un poco a diritta e a sinistra. Anche questi servono a mantenere l’ unghia al suo posto, ma sono di grossezza minore che i precedenti. Numerosissimi sono infine i piccoli fasci di fibre legamentari, che dalla faccia infe- riore dell’ osso dell’ unghietta si recano difilato sopra l'osso del piede, contro il quale poi è collocata 1’ un- ghietta. Le unghiette del bue hanno dunque una armatura tutta loro propria di parti molli e inestendibili. Sono corde capaci di una resistenza vigorosissima, e che agiscono quando l’ unghietta è spinta in alto ed all’in- fuori. Il che avviene, o quando il piede si affonda in un (1) Tavola x. — bd. 206 UNGHIETTE DEL BUE terreno paludoso, o quando il suolo è ingombro di zolle di terra o di pietre, o infine quando 1’ animale scende per una rapida china; e le unghiette allora s’ im- puntano sulla roccia. In tutti questi casi, le unghiette trovano ostacoli e punti di appoggio nei corpi estranei che sono sul suolo, e vengono spinte con violenza al- l’insù in ragione della enorme pressione esercitata so- pra di esse dal. pesante corpo dell’ animale Ma biso- gnami dirlo di sfuggita: credo che le corde legamen- tari che abbiamo descritte, siano in grado di superare questi sforzi violenti; giacchè lungi dal lacerarsi, stanno saldissime, in modo che l’ erosione, lo sgranarsi e la rottura delle unghiette ne sono le conseguenze. Resta ormai chiaro che le unghiette del bue (1) non sono certamente due corpi inutili, o che torna lo stesso, non sono moncherini ossia rudimenti di dita ri- maste là pendenti fra le carni. Gli unghielli del bue sono un organo attivo, ma che funziona a tempo debito, ed hanno un ufficio e un meccanismo ben bene precisato. L’ ufficio richiede questo meccanismo di resistenza; e codesto meccanismo essendo adattatissimo, produce im- mancabilmente questa funzione ogni qual volta 1 ani- male non trova sufficiente appoggio sulle sue dita mag- giori. Allora si hanno quattro punti sui quali appoggiasi (1) Ciò che dicesi del bue, può dirsi del capriolo, in cui si trovano corde simili ed egualmente collocate, e specialmente il le- gamento trasverso d e i due fasci infero-interni. UNGHIETTE DEL BUE 207 la colonna che sostiene il suo corpo: vale a dire le due dita anteriori sorreggono la maggior parte del peso; e le posteriori, più piccole, completano l'organo di sosten- tazione. Qui si ha un meccanismo somigliante a quello del maiale, benchè più semplice. In quello son quattro dita ineguali e divaricabili, che portano l’animale; nel bue si hanno quattro punti divaricabili di sopporto, cioè due dita grandi, e due speroni o unghiette (1). (1) « Le renne, dice l'illustre Camper Oewer. T. 1, pag. 344, oltre ai grandi zoccoli, che sono molto dilatati, hanno, come la mag- gior parte dei cervi, altri due zoccoli più piccoli...; nei piedi ante- riori questi zoccoli sono molto più lunghi che non nei posteriori... ; sopra questi zoccoli si sorreggono le renne quando stanno in piedi. Olaus Wormius assicura che il piede della renna non isprofonda nella neve, quand’ anche sia in polvere, che sino alla altezza dei suoi unghioni posteriori ». Esaminando accuratamente le unghiette del bue, del maiale, della renna ecc. si presentano come un organo a sè, che non diversifica per nulla dal carattere degli altri. Diffatti, quando nella zampa del Pterocles o dell’ A? è stato bisogno di tre dita, o soltanto di due, se ne ha tre ovvero due; e quando ne sieno occorse quattro come nell’ aquila, ce n’è quattro. Or bene questo quarto dito aggiunto ha il carattere di qualsiasi altro pezzo meccanico, che sempre è introdotto per rendere intero il numero degli elementi richiesti al complemento della macchina. Se tre corde non sono sufficienti, ne aggiungete una quarta. Similmente, quando al bue le due dita più grandi non sono sufficienti per discendere da una china, ovvero quando esso si impianta in un terreno mel- moso, gli occorre l'aggiunta di due speroni, a quella guisa che osservasi aggiunta una palmatura fra le dita degli uccelli acqua- tici. Gli speroni non sono dunque un orgamo «bortito; ma sì un organo aggiunto per necessità meccanica. 208 PARTI INUTILI Si è detto ancora parlando dell’ elefante, che esso ha bensì un carpo col suo metacarpo, ma che gli sono inutili, poichè sta tutto chiuso negli integumenti, che si oppongono al movimento dei pezzi ossei e che riducono sotto questo rapporto quei grandi animali alla condi- zione dei solipedi (1). Forse l’ autore di questa osser- vazione non ha avuto presente che la massa enorme del corpo dell’ elefante ha un peso tale, che mette in azione tutti gli elementi carpiani ecc. benchè sieno in- crostati, come dice l’ autore, dal cuoio che copre il piede. Tutti i piccoli elementi ossei della zampa dell’ ele- fante vi si trovano per compiere l’ ufficio di una molla elastica; e sebbene all’ occhio nostro le ossa sembrino immobili, esse funzionano senza dubbio con molta mol- lezza quando sono caricate del grande suo peso. Qualche volta anche gli elastici o molle della meccanica umana sono inflessibili, ma divengono poi molto elastici quando debbono resistere a sforzi supremi. Allora divengono flessibilissimi, perchè sono proporzionati alla resistenza che debbono superare. Come corollario di questo articolo sulle parti inu- tili, noi riporteremo ancora la seguente osservazione. La persuasione della unità di piano come princi- pio dominante, pel quale bisogna aspettarsi di trovar (1) Vicq d’Azyr, citato da Géoffroy St. Hil. Umité de composition organ. pag. 83. cate i L- PARTI INUTILI 209 riprodotti ad ogni passo gli stessi elementi ossei, si rende chiara per le parole di Meckel (1). « Io non sono stato più fortunato di altri autori, come per esempio il Cuvier, a scoprire una traccia di questo osso (la cla- vicola) nei cetacei. » Questo Scienziato non si è fatto a cercare se per la macchina del corpo dei cetacei fos- sero necessarie o no le clavicole; ma si è occupato soltanto di cercare delle clavicole. Si comprende che a lui sarebbe bastato di trovarne anche una sola traccia, e (sia detto fra noi) ancorchè fosse stato cosa fuor di proposito, poco importava; ciò che mettea conto per la teoria si era di trovarcela. Non così ha fatto la na- tura; e là, ove la clavicola non era necessaria, l’ha interamente soppressa. E la ragione meccanica che cosa ne dice?... Dice: là ove la clavicola non è richiesta per la costruzione generale dell’ animale, 70 non la debbo cercare (2). (1) Meckel. o. c. T. Iv. pag. 20. (2) Meckel così alla buona ci annunzia ancora che « i pezzi delle mascelle dei serpenti e dei batraci rassomigliano interamente a costole » (T. 2, pag. 214). Bisogna convenire che qui, come in molti altri casi, questo grande osservatore si è abbandonato a voli fantastici, che non avrebbe forse potuto rafforzare con prove. Io credo che se vivesse ancora l'ottimo Géoffroy St. Hilaire, avrebbe ripetuto a lui ciò che disse per altra occasione: « In verità ci vorrebbe un po’ di coraggio per commentare queste pretese ana- logie » (Ercyel. moderne, all’ art. Nature). Meckel però non va tanto avanti quanto l’ Oken, il quale giungeva alla notissima for- mola che cioè « l’intero sistema osseo altro non è che una verte- bra ripetuta. » 14 ta ea PA 1° En E { ABESARI C #5; ia n er > MII Lom dis - , , h è . ® P FU] A è Pi 9 ‘ è Li # te f a SÒ ® pa È » ri * è È di 9 Li - 3 È % è » : 5 - Pr ù Le Ae I "let DI A = x Mà : e, " (I — r la À Ò vil ae rom - Li Da prata pe = ri - vi e f A è st » ee LI Pa » = I Mis gira me è Li È Pel di } « 4 e LA p + 4 - la * Lu x # TIA S - = - - - OI È. DI % . a Pe > È È 4 & - È = DI i. y ‘ "RP = ge» DI IV. LA PALETTA DELLA FOCA Fra i caratteri più notevoli della mano della foca, v'è quello di essere schiacciata. Le cinque dita tutte in serie, formano una lamina, della stessa grossezza delle ossa, le quali sono altresì molto compresse. Sono sceru- polosamente osservate le condizioni richieste per costi tuirne un remo, e sono: una certa larghezza per bat- tere l’acqua dall’ avanti all’ indietro, ed una grossezza minima per fendere l’acqua nel ritorno. Questo mede- simo fine è stato fedelmente osservato dappertutto, sino a dare un enorme schiacciamento alla parte inferiore dell’avambraccio. La testa inferiore del radio oltremodo depressa, e assai allargata, forma unitamente all’ ulna la continuazione della lamina della mano; e la testa in- | feriore del radio ha acquistato in larghezza tutto ciò che ha perduto del suo ordinario volume. La paletta della foca gode di un movimento obliquo A C D'ESO b nell’ acqua. Un braccio cortissimo avviluppato per gran DINE LA MANO DELLA FOCA parte entro gl’ integumenti, le imprime due movimenti: l’uno di percussione dall’ avanti all’ indietro, e l’ altro di ritorno avanti. È un remo, le cui principali condi- zioni sono, di dare all’ acqua. un colpo gagliardo, e di ritornare al suo posto, senza produrre una sensibile rea- zione. L’omero è cortissimo e robusto; l’ avambraccio è parimente corto; l’ olecrano sviluppatissimo, ma esso pur depresso e collocato nel piano medesimo della mano (1). i Nella mano della foca si osserva a prima giunta una disuguale distribuzione di forza; ed una concentra- zione di essa esiste nel lato radiale, là ove il pollice, fuor di modo sviluppato, è il più grande, più grosso, e (1) Tavola xv. fig. 1. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XIV. Mano della Foca e del Delfino. Fig. 1. Mano della foca (Phoca Albini, Aless.). (Figura copiata da Alessandrini. Memorie dell’ Accademia delle Scienze di Bologna. Vol. m. Ser. 2 pag. 141). r) radio — %) ulna — 1) scafoidolunato — 3) piramidale — 4) trapezio — 5) trapezoide — 7) uncinato — I) pol- lice — I) indice — m) terzo dito — Iv) quarto dito — V) quinto dito. > Fig. 2. Braccio e mano del delfino ( Delphinus delphis) a un terzo della grandezza naturale. (Copiato da Cuvier. Oss. fossil. T. v. tav. xxm. fig. 22). h) omero — 7) radio — %) ulna — c) carpo — Ir) dito in- dice ad otto falangi — m) dito medio a sei falangì. Contoli dis Lit. GWenk. O. Nannini lit °. pi Pi % n° 4 è \ « r > 4, I P) = x 2 - = ULI o . \ b) = L r: , pa x / Hd , als È » n "i = ' x N n CARPO DELLA FOCA ZIO più lungo delle dita. La maniera ond’ esso è impian- tato, e noi l’esamineremo più innanzi, gli dà una base molto più salda che non quella delle altre dita (1). Un'altra linea di forza si trova al lato esterno della mano: il che vedremo in appresso. Le altre dita sono gradatamente più corte e più deboli, e si trovano tutte cinque in una medesima se- rie, compressa e stretta. La loro estremità è un po’ ar- cuata al di fuori della mano, per modo che il disotto dell’ unghia del pollice guarda l'indice, quella dell’ in- dice il dito medio ecc. (2). Il carpo ha sei pezzi, oltre il pisiforme. La prima serie contiene soltanto due ossa: l’ uno grandissimo (3) che si articola col radio, l’altro che corrisponde al ter- mine dell’ ulna; ma esso si frappone anche fra le due estremità dell’osso dell’avambraccio a maniera di cuneo. Il primo, pel complesso de’ suoi caratteri, è lo sca- foide; ma si considera come un duplice osso, composto dello scafoide e del semilunato (4). L'altro è il piramidale. (1) Si vegga Cuvier. Ossements fossiles T. v. pag. 225. (2) L’asse dell’ articolazione del metacarpo col dito, non è già nella direzione della palma della mano. Le due direzioni sì interse- cano sotto un angolo di 45 gradi per le due prime dita. Il piano inferiore delle unghie, e per conseguenza il loro piano d’ azione, è quasi parallelo al lato della mano. (3) Tavola xiv. fig. 1 — 1. (4) Cuvier. Ossem. fossil. pag. 225. 214 CARPO DELLA FOCA Nella faccia inferiore dello scafoidolunato, si ha un incavo a guisa di doccia, uno de’ cui margini rialzati si trova dal lato volare, l’altro dal dorsale. Peraltro que- sta doccia non è trasversale nè antero-posteriore, ma bensì obliqua. Il suo asse trasversale, compreso fra i margini rialzati, è precisamente, come abbiamo detto, nella direzione del piano inferiore delle prime unghie, e per conseguenza la sua estremità dorsale si trova sopra l'indice, mentre la volare è sul pollice. "La sua concavità non è dappertutto uniforme, perocchè alcune parti profonde ed altre rilevate la rendono complicata, e la dividono come in due cavità. Moltre essa è rivolta alquanto verso il lato volare. In questa doccia vanno a collocarsi il trapezio ed il trapezoide. Il primo si mostra solo in basso (1) dal lato dorsale; il secondo, cioè il trapezoide, che colla sua testa inferiore tocca il metacarpo dell’ indice, si estende sul trapezio e lo disgiunge nettamente dallo scafoido- lunato. Tutto l’ opposto si riscontra nella faccia volare, poichè quivi il trapezio occupa l’intero posto sino al capitato ed allo scafoidolunato. Il trapezoide non appa- risce presso che nulla da questa parte, perchè è rac- chiuso in una grande infossatura del trapezio. Onde consegue che le due ossa si innestano scambievolmente e s'intrecciano l’ una coll’ altra, ma le loro facce supe- riori si trovano al medesimo livello, e sono a contatto così, che di entrambe si costituisce una sola faccia quasi (1) Tavola xrv. fig. 1 — 4. Su CARPO DELLA FOCA Zio continua, molto convessa, e foggiata in modo che le due ossa entrano perfettamente nella doccia sopra de- scritta. Il trapezio occupa la metà volare, ed il trape- zoide l’ altra dorsale. Formano dunque insieme una sola faccia articolare spezzata, convessa, che trovasi collo- cata obliquamente rapporto alla direzione della serie delle dita, ma parallelamente al grado di torsione della punta delle dita stesse (1). Lasciamo per un momento questo lato pollicare della mano della foca, per esaminare 1’ altro lato del dito mignolo. Il quarto ed il quinto dito posano sull’ uncinato nel lato dorsale. L’ uncinato presenta dalla sua faccia infe- riore una cresta, che separa due facce fortemente incli- nate: l’ una delle quali pel contatto col capitato, l’ altra pel contatto del quarto osso metacarpiano; di più, so- pra quest’ ultima, si presenta una faccia quasi verticale pel contatto di una parte della testa del quinto meta- carpo. Ho detto una parte, perchè la testa superiore (1) Ne consegue, che le basi del pollice e dell’ indice formano una base sola per questo incontro o intreccio del trapezoide col trapezio. Codeste due dita sono dunque riunite alla lor base per due cause: 1.® per l’incrociamento del trapezoide col trapezio; 2. per la sovrapposizione collegata dell’ indice col trapezio. Il trapezio e il trapezoide, invece di agire sopra una superficie convessa dello sca- foide, come avviene nell’ uomo, nella foca si trovano incastrati en- trambi in una doccia dell’ osso medesimo. 216 CARPO DELLA FOCA di quest’ osso è anch’ essa assolutamente cuneiforme, e divisa da uno spigolo in due facce opposte; ed è chiusa in una specie di doccia pur essa cuneiforme. I margini o facce di questa doccia sono costituiti come si è detto dal lato dorsale per la faccia dell’ uncinato e dal lato volare mediante un processo del piramidale, 71 quale discende tanto in basso che raggiugne il livello del- luncinato. Dunque il dito mignolo è in rapporto di- retto col piramidale, e trova su di esso un valido ap- poggio, che generalmente manca in molti altri ani- mali (1). La doccia singolare che ne risulta non è an- tero-posteriore; essa è obliqua, ma il suo grande asse trasversale non segue la direzione della doccia scafoi- dale, da noi già descritta. Il suo asse è precisamente ortogonale a quello dell’ altro. i Le conseguenze di siffatta costruzione non possono lasciare alcun dubbio. I movimenti del pollice e dell’in- dice per una parte, e quelli del quinto dito per l'altra, sono movimenti circoscritti e determinati dai margini rialzati delle due docce. Le parti che vi sono racchiuse, non possono eseguire che certi dati movimenti, mentre altri restano ad esse impediti. Ciò che è più notevole si è la opposta direzione degli assi di coteste docce. D'altronde avvi nella foca una disposizione di pezzi carpiani, che non sì riferisce interamente all’ uso del nuo- (1) Veggasi addietro l’ articolo Cane. CARPO DELLA FOCA 217 tare. La paletta della foca non è un organo puramente acquatico; se il fosse, sarebbe qual è nella balena o nel delfino, vale a dire mancherebbe di unghie (1). Le un- ghie della foca, grandi, robuste, acuminate, permet- tono a codesto animale di compiere movimenti di forza; e diffatti esso ne eseguisce, sia nei combattimenti, sia arrampicandosi sulla terra, ovvero sui ghiacci polari. L’armatura carpiana dee dunque premunire le membra della foca contro violenti colpi di lato, di torsione ecc. Non entrerò qui ad esaminare per minuto tutte le modalità che presentano i pezzi carpiani, sotto que- st’ ultimo rispetto; toccherò soltanto di alcuni punti principali. Per quanto risguarda il protocarpo, abbiamo già parlato dello scafoidolunato e del piramidale. Il primo, notevole per la doccia; l’ altro più notevole ancora per l'estensione al basso del suo processo volare, sul quale il quinto metacarpo trova un valido e diretto appoggio : ma vi hanno ancora altri rapporti col. capitato, e col- l’ uncinato. Il deutocarpo ha l’osso uncinato più grande che non il capitato, e mantiene rapporti diretti ed estesi collo scafoidolunato, perocchè sopravanza di molto 1’ al- tezza del capitato. Con ciò possiede maggiore potenza, per rafforzare d’ assai più la parte esterna della mano. (1) Si veggano più innanzi le osservazioni sulle pinne. 218 CARPO DELLA FOCA Il capitato è piccolissimo, senza mazza, e termina alla cima in una punta coniforme. Esso ha poca importanza nel carpo della foca; tuttavolta le sue facce laterali di scivolamento, e l'osso stesso che sporge in alto nell’in- terlinea articolare endocarpiana, gli permettono di su- perare (unitamente, a quel che sembra, coll’ uncinato ) qualche sforzo di torsione, a cui può andare incontro la zampa nella sua azione fuori dell’ acqua. Non abbiamo nulla da aggiungere a quanto dicem- mo sul trapezio e sul trapezoide. Ma considerando il carpo in generale, si vede che i livelli diseguali, a cui arrivano i pezzi carpiani, formano una disposizione adat- tissima per resistere ai colpi di fianco, mercè il con- trasto delle parti solide. I colpi per esempio nella dire- zione del quinto dito verso il primo, cioè il pollice, vanno a concentrarsi sullo scafoidolunato; e la curva che hanno le unghie, manifesta come sieno più fre- quenti e più forti i colpi estero-interni. Uno dei caratteri più spiccati della mano della foca consiste nella semplicità e nella piccolezza delle teste superiori delle ossa medie del metacarpo. Quando si ram- menta quanto sia grande il ?alus, l’ estensione e l’ appog- gio che sono stati prodigati alle basi di questo stesso osso per loro sostegno, sia nella mano dell’uomo che in quella della tigre (1), si resta maravigliati della meschinità di (1) Si vegga addietro pag. 97, Tav. vi. fig. 2 e 3, e quanto alla tigre pag. 149, Tav. vu. fig. 2. er ori SI VIE O SZ O ET Te Bia. \ METACARPO DELLA FOCA 219 forza che manifestasi nel secondo, terzo, e quarto me- tacarpo. della foca. Qui non c' è nè ta/us, nè basi estese, nè rapporti moltiplicati colle circostanti ossa carpiane. La testa del terzo metacarpo, che nell'uomo è tanto estesa e complicata, nella foca al contrario è un pic- colo quadrato con faccia quasi piana ed un po’ concava; e tutte tre le ossa non sono che piccole facce, la cui estensione non sorpassa o non raggiunge pure la gros- sezza dell’ osso. Tutto ciò prova la debolezza dei rap- porti delle tre dita di mezzo sulle loro basi. Dunque la mano della foca è un istrumento desti- nato a due usi diversi: 1.° del nuoto per procacciarsi il cibo ; 2.° dell’arrampicarsi sulla terra, specialmente per allevare la prole. Pel primo di questi uffici, converrebbe che questa mano fosse un remo; pel secondo invece, che fosse una grinfa. A formare il primo basterebbe un numero di pezzi quasi cartilaginosi, e di una costruzione analoga a quella della paletta del rorqualo, della balena, ecc. (1). Quanto poi alla seconda, occorrerebbe un’ armatura ossea di fortissima resistenza. Questa duplice funzione non può conciliarsi bene in un solo istrumento; poichè non è possibile avere un remo che al tempo stesso sia una grinfa, nè una grinfa che sia del pari un remo perfezionato. Ma siccome è (1) Si vegga la Tavola xvr. fig. 2 e 3. 220 LA MANO DELLA FOCA necessario avere in fine un istrumento, che serva per quanto è possibile alla vita anfibia dell’ animale, biso- gna che l’ istrumento sia foggiato in tale maniera da agire così nell’ uno come nell’altro modo. Siffatto istru- mento sarà sempre imperfetto ogni qual volta si consi- deri relativamente ad uno solo dei due usi: sarà cioè una grinfa imperfetta, in quanto che tiene del remo, e viceversa. Ed invero, come remo non gli è necessaria una armatura assolutamento ossea, nè pel carpo, nè per le falangi, nè di avere unghie ecc.; e come mano che si arrampica, non le si affà nè la forma di paletta, nè le dita poco divaricabili, nè il braccio impegnato sotto gl’ integumenti: le quali cose tutte rendono poi tanto impacciato l’ animale ne’ suoi movimenti. Si direbbe che nella paletta della foca si è dovuto provedere più alla vita terrestre dell’ animale colla ar- matura ossea e colle unghie, che non alla vita marina colla forma di paletta. Ma la vera ragione è questa, che la funzione dell’ arrampicarsi, per un corpo sì pesante come quello della foca, richiedeva una resistenza asso- luta, e molta forza; per ciò poi che risguarda il remo, è quistione di forma piuttosto che di meccanismo interno. Compiremo l’ argomento della foca con un’ ultima osservazione. Non avvi certo alcuno, che or non intenda, come in un esame quale abbiam fatto noi della zampa della gi sè I he “ LA MANO DELLA FOCA 221 foca, tutto ci dimostri avervi qui una differentissima costruzione, a fronte di ciò che si riscontra nella mano dell’ uomo, nella zampa della tigre ecc. Per necessità, an- che il modo di agire è interamente dissimile. Ciò che co- stituisce il carpo sono certamente’ gli elementi stessi, che si trovano nelle mani di tutti gli animali sopraindicati. Ma quali elementi? Benchè la frase possa parere strana, conviene compierla per intero.... Le ossa carpiane sono piccoli pezzi ossei collegati insieme, e null’ altro che piccoli pezzi ossei; perocchè non vi è forma, nè gran- dezza relativa, nè reciproci rapporti, che siano identici nelle indicate estremità dell’uomo, della tigre, della foca ecc. E ciò che è più notevole si è, che le fun- zioni dei piccoli pezzi componenti il carpo, non sono le medesime per tutti, salvo quelle di costituire col loro insieme un freno contro gli sforzi violenti, a cui la mano ben di sovente è sottoposta. Ma un si fatto ammor- tizzatore è toto-coelo differente nei singoli casi, giusta le differenze che passano fra la mano dell’ uomo, la zampa della tigre, l'ala del pipistrello, e la paletta della foca. Solo una condizione è generale, e propria di tutti i carpi, ed è quella di essere una parte polimera ed elastica, per decomporre gli sforzi (1). (1) Ripetiamolo ancora (benchè questa qualifica data ai pezzi carpiani possa parere strana) considerando tuttavia la quistione nella sua massima generalità, bisogna notare che in qualche caso queste ossa perdono realmente tutte le loro ordinarie attribuzioni, toltane una sola, come ad esempio nei cetacei. Le ricerche di Bambèke, 222 LA MANO DELLA FOCA Oltre a questa prima conseguenza, un’ altra se ne trova che tocca l'intimo della nostra questione. Le co- struzioni da noi già considerate sono, come abbiamo detto, tutte essenzialmente diverse le une dalle altre. Ma vi è di più; ciascuna di esse funziona diversamente : la qual cosa non potrebbe accadere altramente, giacchè cause diverse producono effetti diversi; e ciò che più monta ancora, l’azione di ciascuna di esse è in pro- porzione, in accordo, in armonia, coi bisogni, colle abitudini, colla natura delle specie, alle quali apparten- gono quelle costruzioni. Il carpo e la mano dell’ uomo sono dunque foggiate a pro dell'uomo, quelle della ti- gre per la tigre, quelle della foca per la foca ecc. Noi abbiamo dappertutto costruzioni adatte e perfettissima- mente adatte allo scopo: non si potrebbero immaginare. diversamente da quelle che sono; e sono quali sono per di Gegenbaur, e di altri sul carpo di questi animali, e l’incer- tezza in cui essi trovansi per determinarne i pezzi, ci addimostrano che le ossa carpiane considerate nella universalità dei vertebrati, sono puramente materiali, variabili nel numero, nella forma e nella disposizione o nel collocamento, secondo le funzioni dell’ arto al quale esse appartengono. Quando per esempio, esse sono ridotte a due o tre ossa, distanti fra loro senza contatto, ed avvolte in una cartilagine generale (Tavola xvi. fig. 2, mano della balena), allora sì vede ridotta al m7nzno la importanza dei pezzi carpiani, ed in- oltre si vede come l’individualità anatomica, se è lecito esprimersi così, che i Zootomisti si erano sforzati di attribuire alle ossa car- piane, sparisce, non ostante gl’ingegnosi sforzi fatti per conservare loro un posto determinato. (Si vegga Meckel, T. 4). TRITATE PR e VE STO. FORME DI PESCE 223 necessità meccanica, fisiologica ecc., giusta una costru- zione razionale e scientifica. Insomma sono cause pre- parate per assicurare un effetto che si è proposto. Io non trovo qui verun difetto di saggezza, nè di scienza, nè di previsione; per lo contrario vi scorgo anzi la grande arte della natura co’ suoi concetti di un ordine elevatissimo, e la cui sublimità è disconosciuta soltanto per la leggerezza onde sono considerati. Dopo tutto questo, non sarebbe una celia evocare qui la teoria della unità di piano? (1). Non si può abbandonare 1’ argomento della foca senza ritornare infine ad una volgare osservazione; ed è che questo animale ha certe forme di pesce. Altri ani- mali hanno del pari tali forme; e la balena, il narvalo, (1) Si è detto che « la foca è un vero mostro, (Durand, o. c. pag. 92) e che la sua struttura è piena di contraddizioni, di pa- radossi ecc. ». Io credo che l’autore non abbia pensato, che gli sì potessero chiedere le prove de’ suoi asserti; poichè, se ci avesse : riflettuto solo un momento, avrebbe moderato quelle parole. — Se la osservazione di certe parti animali passasse dalla penna di qualche amatore di storia naturale a quella di alcuni fisici, od istruiti mec- canici, oh quanta differenza si troverebbe nei loro giudizi! Poveri amatori della natura, tanto facili a persuadersi delle più leggiere apparenze, se avessero per controllori il Faucault, Brougham, Cruveilhier, Weber, Tyndall...! Eglino sarebbero doppiamente dolenti del loro risultato, vedendo crollare il loro piccolo edifizio, e conoscendo qual cattivo servigio hanno reso alla scienza. 224 FORME DI PESCE il delfino, la morsa ecc. sono del novero. Tutti hanno certe forme di pesce. — La teoria della discendenza degli animali e la dottrina degli atti di creazione indi- pendenti si trovano senza dubbio impacciate per cagione di questo curioso problema morfologico. — Sarebbe mai che i mammiferi ictiomorfi fossero un passaggio ai pesci? Senza dubbio è quistione molto viva; ma noi non l’affronteremo nella sua generalità. Ci basterà dirne qualche parola, che servirà a chiarire il nostro prin- cipale assunto. Primieramente diciamo. — O conveniva abbandonare l’idea di fare dei mammiferi che abitassero il mare; o bisognava dar loro tali forme che mettessero in accordo quegli animali col mezzo in cui dovevano vivere; biso- gnava insomma che loro fosse possibile la vita nel- l’ acqua. Questa proposizione non ha bisogno certamente di essere provata. Essi abbisognano per esempio di organi bastevol- mente sviluppati pel nuoto (la paletta, la coda da nuoto, la parte muscolare, il lardo in vece degli integumenti caloriferi ecc.); mentre nel restante è conservato il tipo mammifero, come il latte, la gestazione dei feti, la re- spirazione aerea. Ma le particolarità che abbiamo no+ tate dianzi, sono particolarità di forme, e più che di forme, sono proprietà di pesce. em FORME DI PESCE 225 Hannovi osservazioni semplicissime, che peraltro si son fatte forse di rado, e, senza dubbio, mai si son fatte da coloro che giudicano, a mo’ d’ esempio, il tipo pesce essere un concetto di elezione, una contingenza nel sistema della vita animale sulla terra, del quale potrebbesi facilmente far di meno, immaginando a pia- cere un altro tipo acquatico. Ma non è così. Poniamo in questo luogo alcune considerazioni, ben- chè possano parere un po’ fuori di posto. Io non suppongo accidentale la fecondità dell’ a- ringa. Se qualcuno ne dubitasse. potrei rileggergli, o Signore, le vostre parole colà ove dite: « Se molte uova o piccoli, sono esposti ad essere distrutti, bisogna che ne siano prodotti in grande quantità, altrimenti la specie n° anderebbe estinta » (1). Or bene, ciò posto, si immagini il tipo mammifero esteso al caso dell’ a- ringa, e si mettano trentamila feti nel ventre del- l’aringa femmina. Considerando le proporzioni del cor- po di questo pesce, che è quello all’ incirca di una (1) Darwin. Origine ecc. pag. 97, 94, 95, 96, 291 ecc. Si vegga del pari Van Beneden ( Bwu/. Acad. Roy. de Belgique T. V. 2. ser. 1858, pag. 615) «... La potenza di riproduzione è propor- zionata al pericolo che si incontra nella carriera vitale della pro- genitura, come la tenacità della vita è in rapporto colla maniera di vivere. Per gli uni, un uovo o due bastano alla regolare perpe- tuazione della specie; per gli altri ne occorrono migliaia...» ecc. = Ia 226 FORME DI PESCE donnola o di un sorcio, un feto avrebbe dimensioni tali che trentamila di essi formerebbero il volume di un cubo, avente presso a poco m. 0, 20 di lato. L’ aringa femmina dovrebbe dunque avere, all’ epoca che depo- nesse i suoi piccoli, un corpo tanto teso da superare di quaranta volte la sua mole ordinaria. Dopo ciò, ecco alcune dimande. Quali movimenti saranno allora possibili al pesce? Quali delle sue parti potrebbero godere di siffatta distendibilità? Ove collocare tante migliaia di mammelle? Qual nutrimento dare alla madre per alimentare i suoi feti, e somministrare co- tanto latte a’ suoi piecoli? La generazione v2wpara con allattamento, riesce impossibile; convien dunque passare al tipo oviparo. Ma seguitiamo innanzi. Un mammifero nel mare è un nuotatore, e tutt’ al più sarà un palombaro, ma non sarà mai un essere vivente nell'acqua. Voi potete a tutt’ agio variare colla vostra immaginazione le forme, le dimensioni, le tendenze dei mammiferi nel mare, ma non popolerete giammai l’acqua; ne coprirete a vostro grado la superficie, ma non porterete mai la vita nei profondi abissi delle acque mediante i mammiferi; per- chè un mammifero non potrà mai restare per tutta la sua vita immerso nell’ acqua, essendo aerea la sua re- spirazione. Per farne dei veri acquatici bisogna dar loro le branchie, cioè una respirazione coll’ intermezzo NATATOIE 22M dell'acqua: dunque non più polmoni dentro al torace, ma branchie ai lati della testa. Ad affrettar qui la cor- rente dell’ acqua nella respirazione del pesce, bisognava dissaldare gli elementi ossei della testa, per costituirne una specie di soffietto che potesse accelerare la corsa dell’acqua per attraverso alle barbule branchiali. Il tipo animale a respirazione aerea è incompatibile coll’ elemento acqueo; bisogna passare al po bran- chiale con tutte le sue conseguenze. Per siffatta analisi. si veggono dileguare ad uno ad uno fino all’ ultimo i caratteri di mammifero, e sor- gere passo passo gli elementi del tipo pesce. Daltronde, spingendo la nostra attenzione più da vicino al nostro soggetto, vediamo che il movimento di un mammifero nell’ acqua implica speciali esigenze, e fuor di dubbio differenti da quelle che spettano al mo- vimento sulla terra o nell'aria. Peraltro è un fatto sem- plicissimo che si ricerca: la propulsione del corpo al- l’avanti, o, a dir più breve, la traslazione. Il che può farsi, senza alcun dubbio, in molti modi. Ma per avere un propulsore razionale nell’ acqua, e conveniente al- l’animale, gli occorrono alcune condizioni ben definite. Anzitutto dev’ essere un propulsore elastico ; essendochè è un principio sempre mai osservato nella costruzione degli organi motori degli animali, sieno poi terrestri o volatili o acquatici, che, durante l’ azione, non si pro- 228 NATATOIE ducano scosse nel corpo dell’ animale. Abbiamo visto che l'elasticità è stata assegnata in molti casi al capo; ma qui mette conto osservare come il carpo scemi della sua importanza di complicazione e di estensione, od an- che scomparisca di mano in mano che l’ elasticità è af- fidata ad altre parti, sieno poi penne o natatore. Abbiamo parlato altrove delle estremità ambulatorie o preensili; ma non ci siamo ancora occupati delle ali e delle natatoie. Convien dire qualche cosa di queste ul- time, tanto più che ci riconducono sulla nostra via, vo’ dire allo studio della paletta della foca. La pinna di un pesce selaceo (1) si presenta come un complesso di pezzi sovrapposti gli uni sugli altri, onde risulta in grande una forma dDacz/lare o a raggi. Questa forma è ancora più spiccata nei pesci ossei, le cui natatoie sono un aggregato di raggi spesso dico- (1) Tavola xv fig. 3. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XV. Pinne. Fig. 1. Pinna di un Ittiosauro. Fig. 2. Pinna di un anfibio. S Fig. 3. Pinna di un pesce selaceo. a, à lato supero-interno. (Tratte da Gengenbauer. Grundziig, der Vergleichenden anatomie, Leipzig 1870) Fig. 4. Pinne di un pesce acantopterigio. a, à lato supero-interno. URLA, SE wai Contoli dis’ © it.6 Wenk. NATATOIE 229 tomi, tutti costituiti da articoli sovrapposti, e forniti di un certo grado di mobilità. La struttura articolata, la dicotomia, e gli articoli gradatamente più sottili verso l'estremità, formano della natatoia un organo eminen- temente flessibile ed elastico. Peraltro una natatoia di pesce non è mai dappertutto uniforme nella struttura. Oltre che gli articoli sono più sottili, come abbiam detto, verso l’ apice che non alla base; qui le articola- zioni sono di sovente fuse insieme, e non si distin- guono per nulla, o quasi nulla. Qui tutti i raggi sono più grossi, e nel tempo stesso più compatti e so- lidi (1). Ma ad uno dei margini della natatoia vedesi ben anche uno o più raggi di maggiore solidità e rigi- dezza, e che alle volte sono veri aculei completamente inflessibili: il che si riscontra negli acantopterigi. Anche nella pinna di un selaceo, del quale abbiamo parlato (2), il lato superiore a & va fornito di forza e di resistenza molto più che in qualsiasi altro punto. Ma bisogna che questo lato 4 d si trovi al posto dei raggi rigidi dei pesci ossei; vale a dire, bisogna che siano tutti sul- l’asse di forza della pinna, il quale asse percorre il lato supero-interno della natatoia. Dopo di ciò, considerando una pinna pettorale di pesce, si vede che possono tracciarvisi due linee in due direzioni: l una dalla base al vertice, l’altra dal mar- (1) Si vegga Cuvier, Pozssons, T. 1. pag. 378, e la nostra Tavola xv. fig. 4. (2) Tavola xv. fig. 3 «a, d. 230 NATATOIE gine superiore all’inferiore ; e il carattere di queste di- rezioni è di un decrescimento di forza o di resistenza. In altre parole: sono le direzioni della flessibilità cre- scente delle pinne, che offrono per conseguenza il ca- rattere di una elasticità distribuita sopra la loro su- perficie, mediante regole determinate. Di guisa che l'i- strumento, quando trovasi in esercizio, spiega una forza elastica, la quale fa progredire o rivolgersi mollemente l’animale senza veruna scossa (1). Riunendo sotto un medesimo punto di vista gene- rale tutto ciò che abbiamo fin qui analizzato, vediamo che l’ elasticità di una pinna in fin de’ conti si appog- gia sulla forma raggiata, essendo i raggi formati da un numero maggiore o minore di pezzi mobili gli uni sopra gli altri. Fuori della classe dei pesci si hanno delle pinne an- che in altri vertebrati. Se ne ha nei rettili, per esempio negli ittiosauri, nei quali una pinna (2) mostra sempre la struttura articolata e parzialmente raggiata, e in cui la resistenza va decrescendo sempre dalla base al (1) Le pinne caudali dei pesci, sieno esse biforcate o rotonde, sono rafforzate da un duplice asse di forza, collocato d’ ambo i lati. — Rammenteremo qui di sfuggita che le palette posteriori della foca sono modellate parimente su questa norma, avendo anch’ esse due grandi assi di forza ai due lembi. (2) Tavola xv. fig. l. alri CA edite Bain] è fi nia i atto NATATOIE dal vertice. Noi vediamo nella mano di una testuggine di mare mostrarsi una divisione digitale accompagnata con questa forma articolata. Raffrontando il picciol numero di articoli di una natatoia d’clkR/hyosaurus, o della testuggine di mare, col numero grande di quelli che costituiscono le pinne dei pesci onde abbiamo dato la figura (1), si vede quanto sarebbe limitata l’ elasticità prodotta da queste natatoie da rettile. Se non che, a complemento della necessaria quantità di elasticità, ri- mane il carpo, che in questi animali gode ancora di qualche sviluppo. Torniamo finalmente ai mammiferi. Noi troveremo, sia nelle balene, sia nei rorquali, nei delfini ecc., na- tatoie dedite quasi esclusivamente al nuoto (2). Ma questi non hanno le mani come quelle degli altri mammiferi. Le tre falangi, che si contano sempre nelle mani normali, addivengono quattro, cinque, sei, sette, otto, fino a dodici (3), secondo le dita e secondo (1) Tavola xv. fig. 4. (2) Ho detto quasi esclusivamente, perchè tutti sanno che la balena, a mo’ d’ esempio, adopera le sue palette per abbracciare i balenotti nel tempo di pericolo, e per alleviar loro la fatica del nuoto. Altri, come il delfino, i lamantini ecc. non vanno forniti delle loro natatoie soltanto per battere l’acqua, ma se ne valgono ancora per arrampicarsi sulle spiagge. Molte volte, sono esercizi di forza, che hanno richiesto carpi più o meno ossei, con rudimenti di unghie. (3) Bambéke, o. e, pag. 15. 232 NATATOIE le specie. Del pari non hanno più le faccette articolari pei loro determinati movimenti, ma alcune cartilagini ne costituiscono l'unione, e permettono una flessibilità, non molto dissimile da quella dei raggi dei pesci per noi descritti. Questa costruzione si avvicina a quella de- gli i/#osauri e delle testuggini di mare, cioè ad una moltiplicazione degli articoli delle falangi. Il delfino co- mune, per esempio, ha nove articolazioni all'indice, che a letta di Cuvier rappresentano il metacarpo e le falangi. Se ne contano sette nel terzo dito, e quattro nel quarto. Nel Globiocephalus melas si hanno tredici falangi nel- l'indice, e nove nel medio (1). Il carpo del delfino è composto di molteplici elementi piani angolati, stipati insieme come un mosaico. Non entro qui a farne esame: ma è chiaro che la sua azione è certamente in relazione colla forma articolare delle dita, per dare alla paletta la mollezza ed elasticità necessaria, nel tempo stesso che la solidità de suoi pezzi carpiani si riferisce fuor d'ogni dubbio ad esercizi di forza (2). (1) Van Beneden. Ostéographie des Cétacés pag. 26. — Si vegga anche la nostra Tavola xvi. fig. 1. (2) « Le ossa schiacciate del carpo, come le altre ossa dell’ e- stremità anteriore, si sovrappongono lasciando fra loro pochi spazi o nessuno, riempiuti di cartilagine... della forma poligonale delle ossa carpiane » (Bambéke o. c. pag. 11); «.... la forma poligo- nale.... diminuisce a misura che la sostanza cartilaginosa le separa » (idem). — Per maggiori particolari veggasi ancora Todd. Cyclo- pedia ecc. e Van Beneden, Ostéographie des Cétacés, Lit.G. Wenk. is” Contoli 0 Nannini lit (4) (46) NATATOIE 9 Infine nel rorqualo e nella balena è più pronunziato ancora il carattere di pinna (1), vale a dire il carattere d’ elasticità. Il carpo della balena, dice Dubar (2), è com- posto di sei grandi ossa, alcune delle quali sono cubi- che, ed altre cilindriche. Esse non offrono per nulla fac- cette articolari distinte, e la loro forma è poco solida; inoltre sono a grande distanza le une dalle altre, e sem- brano immerse in una sostanza tendinea-legamentosa che le circonda per ogni dove. « Queste ossa carpiane, (1) Tavola xvi. fig. 2. (2) Dubar. Ostéographie de la Baleine, pag. 46. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XVI. Mano dei Cetacei. Fig. 1. Braccio e mano del G/obiocephalus melas 3}, (Tratta da Flower. Ostéo/. of the Mammal. pag. 2171). h) omero 7) radio — «) ulna — c) carpo — 1) pollice — — I) indice con dodici falangi senza il metacarpo. Fig. 2. Braccio e mano della balena ( Balaena mysticetus ). (Copiato da Todd. Cyeloped. Vol. 1. fig. 255). h) omero — 7) radio — %) ulna — c) carpo — I) pollice con due falangi — I) indice con quattro falangi — m) dito medio con cinque falangi. Fig. 3. Braccio e mano del rorqualo (Rorqualus boops) 34, del naturale. (Copiato da Cuvier. Oss. foss. v. tavola xxvI. fig. 22). l) omero — 7) radio — «) ulma — c) carpo — II) indice con due falangi — m) dito medio con sette falangi — Iv) annulare con sette falangi. VIT NATATOIE dice Bambèke (1) sono poco sviluppate, immerse in una massa cartilaginosa, senza rapporti fra loro e fra le ossa vicine »; ed egli nota altresì, che in generale nei cetacei il numero delle ossa carpiane varia da uno fino a sette. Nell’ orca (Delphinus grampus) sono ridotte ad uno, a sette nell’ Riperoodon, ecc. Sotto il rapporto delle dita, la balena misticeto ha quattro falangi all'indice, sette al medio, sei al quarto, e quattro al quinto dito. Il pollice è rappresentato 0 dal solo metacarpo, o da una o due falangi (2). Tutte le falangi sono disgiunte dalle loro vicine, mediante lunghissimi e larghi spazi cartilaginosi, flessibilissimi, ma sempre più grossi che le stesse falangi: il che dà un aspetto nodoso alle dita; per modo che ne risultano in generale dei mezzi speciali di unione in questo mem- bro, cui la natura ha voluto provedere di molta forza, congiunta a grande flessibilità (3). Infine la moltiplicità dei pezzi digitali o falangi è notevole anche nella mano del rorqualo del Capo (4), perchè al terzo e al quarto dito (1) Bambèke. Sur le squelette de l catrémité antérieure des Uétacées — Académ. de Belgique, Mémoires couronn. 8.0 T. xx. pag. 13 e 18. (2) Bambèke, o. c. pag. 14. (3) Dubar. Ostéographie ecc., pag. 46. (4) Tavola xvi. fig. 3; e Cuvier, Ossem. foss. T. v. part. 1., pag. 383, Tavola xxvi. fig. 22. NATATOIE 29 si numerano sette falangi, senza contare le ossa dei metacarpi. Carpo, metacarpo, falangi, non hanno più contatti ossei fra loro, non più articolazione, nè alcuno appog- gio, del genere di quelli per esempio che abbiamo stu- diati nella tigre: ma ogni cosa è confusa in mezzo a tessuti cedevoli, tutto è rilegato da un sistema cartila- gineo, il quale, congiunto colle ossa, somministra una certa forza alla pinna, e sopratutto poi una notevole elasticità. Così la balena ed il rorqualo hanno acquistato uno dei mezzi che rende loro possibile la vita oceanica ; hanno ricevuto cioè le natatoie elastiche. Si dirà che queste sono forme di pesce: sia pure, ma la frase non è esatta ; queste sono forme pel nuoto, e sono acconcie così per i pesci, come per qualsiasi vertebrato, che abitando nel- l’acqua vi si deve aggirare per entro. Ciascuno conosce che qui si è fatta l’ applicazione dell’ organo del nuoto a mammiferi nuotatori; il qual organo non può essere che un solo e medesimo, relativamente ai principii fon- damentali, tanto nei mammiferi quanto nei pesci; poichè per tutti si hanno le medesime resistenze da vincere nel medesimo mezzo, cioè nell’ acqua. Sono infine forme acquatiche, di cui non potrebbe far di meno qualsiasi animale nuotatore, come l’ uccello non può star privo di ali costrutte di penne per roteare nell’ aria. Senza di ciò l’animale non nuota affatto, o nuota male, ov- vero resta impacciato. 236 FORME DI PESCE x La questione non è dunque di mammiferi che si avvicinano ai pesci per via di filiazione, 0 per genetico trapasso, o in conseguenza della «nità di piano: ma è una quistione molto più ampia, che risguarda tutti i vertebrati acconci a vivere nell’ acqua. E la sua appro- priazione si è fatta mediante forme imposte dalle /egg? meccaniche, le quali sole rendono possibile la dimora nel mare. O nessun mammifero marino, oppure mammi- feri con natatoie a mo’ di quelle del delfino e della balena. Considerando dunque sotto un medesimo aspetto questi organi motori dei pesci, dei rettili, dei mammi- feri, vediamo dappertutto la stessa funzione, la mede- sima forza ed elasticità; dappertutto il medesimo effetto, cioè — movimento nell'acqua, senza scosse al corpo dell'animale. Io credo che i difensori dell’ unità di piano non perderanno di vista, che, nelle modificazioni recate allo scheletro dei cetacei, si sono dimenticate alcune delle loro leggi dette fondamentali, od almeno generali, come lote) lo) le tre falangi alle quattro dita; si è dimenticato ancora le) 1 ’ un carpo osseo a facce scivolanti, come anche si sono dimenticate le teste articolari alle falangi ecc. (1). E (1) Noi abbiamo riferito là ove si è parlato del Pipistrello, la soppressione notevolissima di una gran parte del cubito, e la mancanza delle unghie alle quattro dita ecc. Si può aggiungere ciò lo FORME DI PESCE 237 queste dimenticanze non vanno prive certamente d’ im- portanza, poichè si trovano ripetute ogni volta che un cangiamento di abitudine negli animali rende inutile al- cune parti, ed altre ne richiede. L'unità di piano è messa allora in disparte, senza il menomo riguardo; e la cosa più singolare è questa, che l’ antagonista del- l’unità di piano, cioè la ragione meccanica, è quella appunto che la esclude: perchè, ogni qualvolta le esi- genze meccaniche hanno richiesto nuove combinazioni. queste si veggono introdotte liberamente colla esclusione delle combinazioni ordinarie (1). che dice lA lix ( Bu. Socité Philom. de Paris 1867, T. 4. pag. 101): « È certamente vero, il dire che gli uccelli sono privi di certi mu- scoli che si trovano nei mammiferi, e l'inverso è parimenti vero. Per esempio...» ecc. (1) Fra una grande quantità di esempi di siffatte repentine introduzioni richieste dalla opportunità delle nuove funzioni, pos- siamo citare: i denti vertebrali nell’ interno dello stomaco del Ra- chiodon scaberz le ossa sesamoidee (veggasi addietro pag. 150); 1’ a- sperarteria della grue contenuta in una cavità dello sterno; la ca- rena sullo sterno della talpa, dei pipistrelli e degli uccelli; l’ osso quadrato alla mascella degli uccelli e dei serpenti; la mascella in- feriore bipartita dei serpenti stessi; l’ apparecchio di ruminazione ; lo stomaco trituratore degli uccelli granivori; i denti veleniferi nella bocca del crotalo, della vipera ecc. Si può del pari indicare la ri- comparsa degli stessi organismi, ogni volta che si ripete una me- desima funzione, anche in animali collocati a distanze estreme nella scala degli animali: tali sono gli organi fossori nella talpa e nella grillotalpa; l’ organo del nuoto o pinna nella balena e nei pesci ecc. 238 FORME DI PESCE Ma i difensori della dottrina degli atti di creazione indipendenti non si trovano mai ridotti a sì ingrate condizioni. Essi non vedranno mai che le /eggî mec- caniche siano state smentite oppur dimenticate. se SAVE vd L'ALA DEL- PIPISTRELLO Fra gli esempi da voi scelti, o Signore, il più singolare senza dubbio è quello della mano del pipi- strello. Trasformata in ala, che non ha quasi nulla da invidiare a quella degli uccelli per la facilità del volo, essa nondimeno conserva gli elementi della mano del- l’uomo, del cane, della tigre ecc. Ora come può spie- garsi questo adattamento, senza ricorrere col nostro pensiero alla discendenza dei pipistrelli dal cane, dal galeopiteco ecc.? L'ala ol’ organo del volo di un pipi- strello è per vero una usurpazione fatta al tipo uccello : la qual cosa non ‘è poi così strana quanto il vedere la comparsa di una caratteristica del tipo ornitologico, qua- l'eccezione isolata in mezzo alla classe dei mammiferi. Che che ne sia di questo paradosso, qualcuno dirà: Perchè non applicare direttamente ai pipistrelli il siste- ma osteologico dell’ ala degli uccelli così completo, così perfetto, e così variato, piuttosto che stiracchiare o 240 ALA DEL PIPISTRELLO storpiare un organo di preensione qual è la mano, per farne poi finalmente un organo acconcio al volo? Qual ragione potrebbe addursi, fuori di una di queste: o che l’unità di piano fissata pel tipo mammifero ha obbli- gato a formare colle dita le bacchette del paracadute: ovvero che la derivazione, o discendenza diretta e pros- sima dei pipistrelli da un mammifero digitato, ha ri- chiesto per forza una sì fatta transizione verso |’ uc- cello? Si era (dicesi) all’ aurora della comparsa degli animali volatori, i primi albori apparivano già coll’ ala del pipistrello; la grande famiglia ornitologica esordiva con un abozzo nei mammiferi. Dinanzi a fatti così luminosi, a fronte della luce che circonda la dottrina della filiazione delle specie, im- pallidisce quella degli alti di creazione indipendenti. Ora che cosa dice la creazione indipendente? Potrà mai giugnere a spiegare un problema così intricato, qual è questo dell’'applicazione all’ ala del pipistrello di una costruzione, tutta acconcia per i suoi elementi alla mano dell’ uomo ? Molte e gravi quistioni si presentano al cospetto di questo problema. Cercheremo di distinguere i diffe- renti punti di ricerca, affine di esaminarli per quanto ci sia possibile lun dopo l' altro. La mano del pipistrello è una mano dedicata al volo. Questo fatto, così semplice com'è, stabilisce il ATROFIA NEI PIPISTRELLI 241 genere di vita al tutto eccezionale di codesti animali. Questa nuova forma introdotta nell’ organismo di un mammifero, implica profonde modificazioni su tutta l’in- tera macchina del corpo del pipistrello. Il movimento di traslazione di codesti animali, e, ciò che più monta, il sostegno della lor massa in un fluido sì leggero, sì poco resistente, com’ è l’ aria, è tutto affidato all’azione delle estremità anteriori (1). Le forze muscolari destinate alla traslazione, le quali, nel cane, nel cavallo, ed in tutti i quadrupedì sono ripartite sopra le quattro estremità, trovansi in- vece nei cheiropteri riunite e concentrate pressochè tutte quante intorno alle estremità anteriori. L'influenza di una condizione biologica di sì alto rilievo nei pipistrelli, vale a dire il volo, si rende sen- sibile in molte parti del loro corpo. Tralascio di indi- care quella specie di atrofia profonda che ha colpito tutte le parti posteriori del loro corpo, mediante la quale può dirsi, che ivi non si hanno più le ordinarie proporzioni fra la metà anteriore del corpo e la poste- riore, e più precisamente fra la parte toracica e 1’ ad- dominale (2). L'enorme impiccolimento della metà po- steriore, del pari che l’ esiguità alla quale sono ridotte (1) Le posteriori e la coda non agiscono che come verghe da paracadute. Il colpo sulle colonne d’ aria è dato dall’ ala. (2) I gradi estremi di questa atrofia posteriore possono vedersi in molte delle figure date dal Temminck Monograph. des mam- 16 242 ATROFIA NEI PIPISTRELLI le estremità posteriori, sono modificazioni imperiosa- mente richieste dall’ azione del volo; infatti, acciocchè sia possibile il volo, bisogna che il centro di gravità dell’ animale si trovi sulla linea che unisce insieme le spalle o le basi delle ali. Se i cheiropteri avessero il loro corpo come in via ordinaria foggiato, per esempio a mo’ di quello della donnola o dei'carnivori vermiformi, il volo riuscirebbe loro impossibile. Abbisogna che essi abbiano un addome e gli arti posteriori scemati di tutto quanto lor può essere sottratto, sicchè il loro addo- me ed il torace riuniti in una massa siano quasi ova- lari, come quelli del pollo e di tutti gli uccelli in ge- nerale. Di più, in questi la concentrazione toracico-ad- dominale è una esigenza di minore importanza, che non per i cheiropteri; poichè sono ben pochi gli uccelli che abbiano, come la rondine, la testa fra le spalle. Quasi tutti hanno un collo più o meno lungo, che porta la testa all’innanzi; sicchè questa addiviene un contrappeso che forma equilibrio colle parti posteriori, ossia colle zampe, bene spesso robuste e carnose. Al vedere i cheiropteri si direbbe che sono senza collo, e quindi è loro inter- detto come alla rondine ogni fardello posteriore, o a iviféres; e più particolarmente T. 2. pl. 28. copiata nella nostra Ta- vola XVII. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XVII. Atrofia delle parti posteriori dei Cheiropteri. Rhinolophus fumosus. Temm. ica. YUOM.I | | . 0g IUMUEN 0 ATROFIA NEI PIPISTRELLI 243 dir più precisamente, un addome voluminoso ed allun- gato, e gambe sviluppate, robuste e carnose. Se queste particolarità da noi indicate, sono tali che si direbbero di conformazione negativa per risguardo al volo, si hanno poi altre forme più direttamente positive. Tali sono per esempio la cassa toracica, ampia, voluminosa, e posteriormente molto dilatata (1), e le costole ond’ è composta, grandi, possenti, e, per lo più, tanto dilatate, che gli spazi intercedenti fra loro sono lineari. D’ onde risulta, che la superficie presentata dalla cassa toracica ai muscoli motori dell’ ala, è spaziosissima, robustissima ed unita; lo sterno in generale ossificato del tutto alla sua testa superiore, ossia il manubrio, è sviluppatis- simo: quasi sempre si dilata trasversalmente, e offre di tal guisa alle clavicole due valide braccia; d’onde si rileva che ciò somministra alle clavicole punti d’ appog- gio quanto mai fortissimi. Altre volte la dilatazione (1) La cassa toracica del Pteropus marginatus ha il suo dia- metro antero-posteriore eguale alla totale lunghezza della regione. addominale e lombare fino alla origine del coccige. La grande capacità della cassa toracica dei pipistrelli è in accordo per al- tra maniera coll’ azione del volo; perocchè Chabrier giustamente fa notare che i polmoni dei pipistrelli sono quasi tanto estesi quanto quelli degli uccelli, e che inoltre possono impedire l’ uscita dell’ a- ria interna ( Memoires du Museum T. 6, pag. 446). D’ onde conse- gue una grande introduzione d’aria necessaria al volo nei corpi di codesti animali, alcuno dei quali godrebbe della singolarità che si legge nella Ciclopedia di Todd, Vol. I. pag. 599. « In the genus Nycteris a curious faculty is observed, namentli the power of in- flating the subcutaneous tissue vith air etc. » 244 ATROFIA NEI PIPISTRELLI delle costole si estende ancora maggiormente; e nei Rhinolophus acquista un tal massimo di evoluzione, da formare una superficie ossea dilatata alla parte supero- anteriore della cassa toracica, la quale ricorda un prin- cipio dello scudo toracico degli uccelli (1). Inoltre la x faccia esterna o anteriore dell’ osso sternale è sormon- tata da una cresta longitudinale mediana, che varia di altezza nei differenti generi, ma che è molto rile- vata sul manubrio del Vespertilio murinus, vera por- zione dello sterno degli uccelli (2). Di più le clavicole sono lunghe, robustissime (3) curvate in guisa da allargare (1) Tavola xvi. fig. 1., e Blainville, Ostéographie. Si veg- gano ancora le osservazioni dell’ Alix sopra il Pteropus Edwardstii Bull. Soc. Philom. 1867, T. 4. pag. 127; e Meckel, Tom. 4 nell’ argomento del Ihinolophus ferrum equinum. (2) « Il vasto sterno somministra un attacco ai possenti mu- scoli pettorali; la spalla è resa più solida dalle espanse omoplate e dalle robuste clavicole.... » ecc. Temminck, Vol. 1. pag. 158. (3) « Fra tutti i mammiferi, i pipistrelli sono quelli che hanno la clavicola più voluminosa: essa ha circa la metà della lunghezza dell’omero, che è già notevole; ed è molto convessa nella sua fac- cia superiore. » Meckel, T. 4. pag. 25. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XVIII. Scheletro di Pipistrello. Fig. 1. Torace e parti dello scheletro del Rhinolophus ferrum equi- ve) num (doppia grandezza). Fig. 2. Scheletro dell’ala piegata del Vespertilio murinus. — h) omero — 7) radio — 1) pollice — I) indice — m) me- dio — Iv) quarto dito — v) quinto dito. Fig. 3. Divaricazione sopra un medesimo piano. ( Figura schematica) Tit.GWenk. O Nannini Hb° IL VOLO DEI CHEIROPTERI Coal esse stesse la periferia del petto, e da somministrare larghi punti di attacco ai muscoli robusti, che condu- cono l’ ala verso il tronco. In fine, ossa coracoidi, ed ossa scapulari di una estensione tale, che riesce straor- dinaria fra i mammiferi. Tutte queste forme richiamano bensì alla mente le forme analoghe degli uccelli: ma la somiglianza non è solo morfologica; essa è reale; perchè le disposizioni ossee, che abbiamo indicate, servono, sia a presentare superfici di attacco a muscoli che hanno un volume straordinario come muscoli di mammifero ; sia a porgere, mediante energiche resistenze, un grande aiuto contro i moti violenti che accompagnano l’azione del volo (1). Forse sarebbe una deviazione dai limiti del nostro argomento, se ci occupassimo qui del sistema musco- lare che serve al volo. Il grande sviluppo che ha rice- vuto il relativo sistema osseo, e gli speciali adattamenti di molte di queste ossa pel meccanismo del volo, sono prove sufficienti a far palese l’importanza come altresì l'estensione del sistema muscolare (2). (1) E, come dice Géoffroy St. Hilaire (Lee. 3. pag. 18): « linee di grande resistenza sono sopra tutti i punti destinati alle forze vive impiegate nel volo. » Veggasi ancora Temminck, T. l. pag. 158. (2) Si vegga Blainville. Nouveau Dict. Hist. Nat., art. Chei- roptère, pag, 222. 246 IL VOLO DEI CHEIROPTERI Io reputo che ora torni più chiaro ciò che dianzi ho detto, cioè, che le forze muscolari destinate alla traslazione dell’ animale sono concentrate intorno alle estremità anteriori. Il che è molto più vero in questi piccoli mammiferi, che non negli uccelli; in parecchi de’ quali le gambe e i piedi conservano diffatti assai di frequente l’ esercizio delle funzioni deambulatorie, e nel tempo stesso hanno un notevole sviluppo delle corde muscolari. I cheiropteri sono sforniti nelle estremità posteriori dell’ ordinario sviluppo muscolare, come altresì della facoltà di camminare. Del rimanente per la stessa considerazione cumula- tiva dei sistemi ossei e muscolari, si vede come 1’ or- ganismo dei cheiropteri sia profondamente modificato pel volo, e si attenga per questo alle forme proprie degli animali grandi volatori, cioè gli uccelli. Questo ravvicinamento dei mammiferi agli uccelli indicherebbe mai per avventura una tendenza, ovvero una conseguenza di passaggio genetico di una ‘classe all’ altra? Ciò si è affermato senza dubbio, ma questa non è la sola spiegazione che possa darsi a questo fatto della uniformità delle parti fra i pipistrelli e gli uccelli. Un’ al- tra spiegazione sarebbe l’ adattamento di una natura determinata e stabile (la natura mammifera ) 422 azione del volo. In favore di questa ultima spiegazione c' è an- che un fatto fondamentale, indicato da altri; ed è, che di \ IL VOLO DEI CHEIROPTERI 2A mezzo a tutte le modificazioni ornitologiche (mi si passi la frase), impresse ai pipistrelli, tuttavolta si mantiene la natura mammifera dell'animale nella sua integrità. Ragionando rettamente, vi sì scorge una conversione, ovvero una disposizione di questa natura all’ atto del volo, che non è certamente l’ordinaria prerogativa del mammifero. Che cosa apparisce, nei pipistrelli, della na- tura ornitologica? Una funzione, che è il volo, e parti adatte a questa funzione: ma sono parti di mammifero acconciate a siffatta funzione, e quindi meccanicamente simili a quelle degli uccelli. Non è già la natura orni- tologica che si introduce nella mammifera; è il volo, cioè una stessa funzione comune ai due tipi, che ha prodotto in entrambi la introduzione degl’ istrumenti, ri- chiesti dalla necessità meccanica per ottenere codesta funzione. La vera natura ornitologica, cioè piume ed uova, non compaiono ancora niente affatto. Non biso- gna confondere un mutamento nel meccanismo di un mammifero destinato all’ azione del volo, con un pas- saggio da una ad un’altra natura. Il pipistrello rimane un mammifero volatore, come l’ uccello rimane sempre un animale oviparo, pennuto, e di natura totalmente diversa. E opportuno l’eliminare qui un dubbio, che dà l'a- spetto di paradosso all’ ala del pipistrello, dicendo che se per motivi di ordine assai elevato era necessario fare dei mammiferi volatori, non si potevano fare altrimenti da quelli che ora sono i pipistrelli. } 248 ARTO ANTERIORE DEI CHEIROPTERI Ciò addiverrà sempre più chiaro, mi cred'io, per gli studi che verremo esponendo; ma, per anticiparne intanto qualche parola, non può dimenticarsi che 1’ ala, nel suo più generale concetto, è una espansione ela- stica messa in moto per battere 1 aria. Occorrono al- l’uopo, 0 piume, o membrane appoggiate ad asticelle resistenti, come nelle farfalle, nelle libellule, nei cala- broni. Le penne sono proprietà degli uccelli, e sono escluse dal tipo mammifero, e la ragione di questo si vedrà per altre ricerche (1). Rimangono le membrane ed i fusti, e nei pipistrelli le membrane sono sostenute appunto da verghe resistenti: laonde per questi animali si è dunque adottato il secondo meccanismo possibile. Ciò basti per ora. Non ci siamo ancor fatti addentro nel nostro sog- . getto, nello studio cioè della mano dei cheiropteri: en- triamoci dunque. Per farsi una idea della struttura della mano del pipistrello, bisogna anzitutto discernere le eccezionali particolarità che la caratterizzano. In generale la mano degli animali ha una destinazione, alla quale concor- rono tutte le parti ond’ è composta. Nei primati sono cinque dita che lavorano ad una funzione cumulativa, quella cioè della preensione; nei ruminanti e nei pachi- (1) Si veggano alla fine di questo Articolo alcune osservazioni intorno a questo argomento. CELTDE AAT i Te ARTO ANTERIORE DEI CHEIROPTERI 249 dermi è il camminare, e negli A? è quello di attaccarsi per mezzo d’ unghie adunche. I cheiropteri hanno cin- que dita; quattro, uniformi del pari nella figura. come nella funzione, sono privi di unghie, mancano spesso della falange ungueale, e sorreggono l’ espansione alare ; un quinto dito, appartato, serve per aggrapparsi ai corpi mediante la sua unghia corta e acuminata. In que- sta mano trovansi dunque riunite due funzioni differenti d’assai; il volo cioè che spetta alla parte tetradattila della mano, e l’atto di arrampicarsi ch’ è affidato al pollice. Se non che tutte queste parti hanno di comune, che nè le quattro dita, nè il pollice debbono compiere alcuna azione veramente digitale. La qual cosa, se stret- tamente è vera pei cheiropteri insettivori, non la è già pei frugivori, i quali hanno alcuni piccoli mezzi di preen- sione più spiegati (1). Le quattro dita sono quattro ba- stoncelli sottili ed estesi, che servono di sostegno alla membrana dell’ ala; il pollice, sciolto da questa mem- brana alare, corto e robusto, è un uncino, che aggrap- pandosi ai corpi mediante la sua unghia curva e acumi- (1) « I cheiropteri frugivori (dice il Temminek, T. 2. pag. 51) hanno il pollice delle ali lungo fuor di modo, e munito di una fortissima unghia.... » « E per risguardo all’ indice, il dito indicatore dei pferopus, è più corto della metà del medio, la sua falange ungueale è distinta, e porta una piccola unghia, che non si riscontra negli altri cheiropteri.... » T. 1, pag. 167. L'indice del Pteropus edulis ha diffatti le sue tre falangi e l’ unghia. 250 ARTO ANTERIORE DEI CHEIROPTERI nata, si attacca ad essi senza tenerlì stretti con una vera preensione. . Dunque l’ arto anteriore dei pipistrelli è costrutto in relazione \a due generi di funzione, cioè del volo e dell’ aggrapparsi : ma, non v'è che dire, la forma alare ha grande sopravento sull’ altra. Siccome poi 1’ uncino pollicare non richiede quasi veruno elemento di forza, la principale direzione che ha ricevuta il meccanismo delle mani chesroptere è quella pel volo. L’omero, ma soprattutto 1’ avambraccio e le dita, offrono questo primo carattere, cioè uno straordinario allungamento (1). Il problema che s’avea a risolvere pel volo dei pipistrelli consisteva nella distensione più (1) Nel Vespertilio murinus l omero è la metà dell’ avambrac- cio, il quale eguaglia nella lunghezza il terzo metacarpo; e ciascuno di essi è eguale alla distanza che passa fra l’occipite e la regione coccigea. Il femore è la metà dell’ omero, che alla sua volta egua- glia la distanza dell’ occipite fino all'intera regione toracica. L’a- vambraccio uguaglia la lunghezza complessiva del femore, della ti- bia e dei piedi. Quando l’ ala è piegata, il carpo trovasi a livello della testa, mentre l’ angolo omero-radiale giunge alla radice delle gambe. Quando le falangi sono piegate sui metacarpi, l’intero fascio dell’ala è rac- colto in guisa da non sorpassare la lunghezza del radio, e da per- mettere l’ ambulazione dell’ animale. La qual cosa merita molta at- tenzione perchè, come dice Blainville pag. 10: « La lunghezza delle membra anteriori dalla loro radice fino all’ estremità del dito più lungo, sta alla totale lunghezza del tronco come 4 ad 1; il che somministra alla invergatura delle ali la lunghezza di almeno otto volte quella del corpo ». ARTO ANTERIORE DEI CHEIROPTERI 201 o meno grande, ma pur sempre ampia, della superficie rappresentata dalla divaricazione ed estensione dell'arto. Qui ogni cosa è motivata per produrre il finale risultato di una espansione dell’ ala capace di sorreggere questi animali librati nell’ aria. In conseguenza di ciò, l’ omero è lunghissimo e robusto; come del pari 1° avambraccio è lungo fuor dell’ ordinario, agguagliando la lunghezza dell’ animale dall’ occipite alla radice della coda. Ma il radio trovasi quasi solo nell’ avambraccio, essendo il cubito ordinariamente ridotto ad una pura apofisi sti- liforme, che non raggiunge il terzo del radio. Laonde non torna più possibile qualsiasi movimento di rotazione del braccio. « La rotazione della mano, dice Is. Géoffroy St. Hilaire (1), che è un bene per la scimmia, sarebbe stata funesta pel pipistrello, in cui era assolutamente necessaria la immobilità delle dita nella loro radice. L'aria che non resiste sotto l'ala se non quando è per- cossa in fretta e con forza, e sopra tutto con un colpo d'insieme e d’ alto in basso, sarebbe riuscita a sfuggire lateralmente, qualora la mano avesse potuto girare sul proprio asse ». Era necessario porre la mano così modi- ficata in uno stato intermedio fra la pronazione e la supinazione; bisognava perciò, mediante l’ articolazione omero-radiale, stabilire la positura della mano, e tòr via qualsiasi movimento di rotazione alle ossa dell’ a- (1) Géoffroy St. Hilaire. Zecon 12. pag. 18; ed anche Todd, Cyclopedia, art. Chéiroptère. 252 ARTO ANTERIORE DEI CHEIROPTERI vambraccio (1). La inclinazione della superficie, che per- cuote l’aria, è determinata rigorosamente in rapporto coll’ asse del corpo: essa deve essere sempre la mede- sima; e ogni qualsiasi mutazione non potrebbe riuscire che ad uno scemamento della facoltà del volo. La po- stura e la stabilità dell’ala dipendono entrambe da due fattori, che sono: 1.° l’ omero, la cui torsione, ossia il rapporto dei due assi delle teste articolari fra loro, è di 90 gradi, secondo il Martins, il quale rapporto è pro- prio degli omeri degli uccelli; 2.° la mancanza di ro- tazione nelle ossa dell’ avambraccio (2). Non possiamo esimerci di fare qui una considera- zione, richiesta da ciò che abbiamo detto. L'unità di piano nel caso speciale dei pipistrelli non trovasi in ac- cordo colle leggi meccaniche; perchè, non sì tosto un elemento osseo diviene inutile od improprio, quell’ osso è soppresso. In generale noi osserviamo che l’ avam- braccio ha due ossa, e che la mano gode della sua ro- tazione: vediamo altresì che godono di siffatta costru- zione anche quegli animali, che sono giudicati più pros- (1) « L'articolazione fra l’omero ed il radio è un ginglimo molto chiuso. » Blainville, o. c. (2) Il piccolo organo della preensione, cioè il pollice, forse avrebbe richiesto qualche poco di rotazione nella mano, se il suo organismo fosse stato di natura da poter praticare una vera presa. Ma il pollice essendo affatto solo, e bene spesso ridotto alla qua- lità di semplice uncino, non ha altro ufficio che di attenersi ai corpi, giusta i minuti bisogni dell’ animale. Me ‘ dg ARTO ANTERIORE DEI CHEIROPTERI 253 simi di tutti ai cheiropteri (1). Or bene, tosto che si entra nell'ordine dei cheiropteri, la rotazione cessa, ed il radio rimane solo o quasi solo; e questa è la neces- sità meccanica, che, ad ottenere il volo, esclude e cassa d’ un tratto la rotazione e l ulna. La necessità meccanica fa da padrona, e l unità di piano non vi serba nè manco una decorosa apparenza. (1) Alle volte, per fissare dei ravvicinamenti teorici, si dimen- ticano importantissime circostanze. È notevole a questo riguardo il seguente brano tratto dalle Lecons (pag. 15) di Géoffroy St. Hilaire: «.... ma, checchè avvenga, se i pipistrelli possono e deb- bono essere ricondotti verso qualche mammifero, tenuto calcolo del rapporto delle loro lunghe braccia e delle lunghe falangi digitali, è cosa evidente che ciò dev’ essere verso i quadrumani. Imperocchè, pensereste forse, acquistarne la prova, mediante un accurato esame delle parti da confrontare? Troverete allora, che il braccio, 1’ a- vambraccio, il carpo, il metacarpo e le dita sono tutte composte delle stesse ossa, tranne la falange ungueale, che scomparisce al- tresì come l’ ugna, e questo non è ancora di tutte le dita. Il pol- lice è sempre compito.... ecc. La grandezza delle dita è subordinata ‘alla ragione che ci è spiegata dal nostro principio dell’ equilibrarsi (balancement) degli organi; quanto più lunghe sono queste ossa, e tanto più sono minute e sottili: si direbbe che sono state sottopo- ste alla trafila, non avendo scemato di grossezza che per disporsi a un sì grande allungamento. » — Tali sono le parole del Géof- froy St. Hilaire. — La mancanza forse dell’ ulna e della rota- zione non c’ entrano dunque per nulla? Chi esamina con diligenza, può forse trasandare un osso di meno, e una funzione di sì alta importanza, senza neppur addarsene? Un tale esame sarà esatto e scientifico, o non piuttosto immaginario e poetico ? = ni LT, n - >. cp A fee Saba Dda 254 ELASTICITÀ DELL'ALA DEI CHEIROPTERI Se è condizione di qualsiasi ala in generale, la stabilità ed una determinata inclinazione del piano che percuote; del pari la elasticità della sua superficie è un’altra delle sue condizioni. Questo carattere si os- serva spinto al massimo grado nell’ ala per eccellenza, cioè nell’ ala degli uccelli. Le penne sono istrumenti elastici, e leggeri: tutti capiscono che non potrebbe so- stituirsi con migliore effetto una piastra rigida alle penne. L' elasticità rende il colpo graduato, e più dolce per l’animale, ed evita al suo corpo ogni urto penoso, ossia ogni scossa. L’armatura ossea dell’ala dell’ uccello, dalla spalla alla mano non è quasi niente elastica; ma partendo da quest’asse verso la periferia dell’ ala, è una superficie tutta gradatamente elastica. Del pari nei cheiropteri non avvi quasi nulla di elasticità dalla spalla al carpo; è un asse interamente osseo; ma partendo dal carpo ed andando fino alla pe- riferia della espansione alare, si ha l’ elasticità sommi- nistrata dalla membrana increspata (1), ed anche in piccola quantità, in causa della sottigliezza delle ossa metacarpiane e delle falangi. La solerzia della natura per raggiungere l’intera elasticità possibile qui si addi- mostra, mediante la forma insolita concessa alle ossa. (1) La membrana alare a questo riguardo presenta molte osser- vazioni. Essa è percorsa da fibre muscolari e tendinee. « L’ azione simultanea di tutte queste fibre muscolari ha per risultato di ten- dere energicamente la membrana del volo, dandole una forma leg- germente concava verso il basso, il che è condizione evidentemente NECESSITÀ DEL CARPO NEI CHEIROPTERI 255 terminali delle dita; le quali ossa ridotte a puri fili, non hanno quasi più natura di ossa, poichè sono piuttosto cartilagini filiformi, e flessibili. Pur tuttavolta si osserva una differenza fra le due specie d’ ala. In quella degli uccelli la superficie elastica è suddivisa in molte ver- ghe elastiche (le penne) distribuite sopra tutti i punti dell’ asse osseo; giacchè, se le penne primarie sì tro- vano nella mano, altre ve ne ha nell’ avambraccio, ed altre infine nell’'omero. Anche nei cheiropteri vi sono delle verghe, e sono le dita assottigliate; ma tutte queste verghe vanno a riunirsi in un punto solo, cioé nel carpo. Dunque ogni sforzo sì concentra sopra questo punto solo, mentre negli uccelli lo sforzo è distribuito sopra tutta intera la lunghezza del braccio. Codesta .differenza di funzioni implica necessaria- mente differenze istrumentali od organiche. Valiamci di un esempio: se immaginiamo dei pesi egualmente distribuiti lungo un'asta orizzontale fissa nell’ una delle sue estremità, può darsi che il loro peso non metta a pericolo la resistenza dell'asta; ma, se tutti i pesi si accentrano all’ estremità libera o all’ estrema punta, bi- sogna andar cauti nel caricare |’ asta. In altri termini: favorevolissima per l’azione di questo paracadute », dice Bert Sur le Phalanger volant. Bull. Soc. Philom. 1866 pag. 7. Si vegga ancora Alix o. c. Queste particolarità descritte dal Bert nell’ ar- gomento del Dide/phis petaurus possono ancora riferirsi alla mem- brana ‘alare di animali assai lontani, come sono i cheiropteri. 256 ALA DEGLI UCCELLI E DEI CHEIROPTERI per l'ala degli uccelli non occorrono grandi moderatori contro i colpi di battuta dell’ aria, mentre nei pipistrelli c'è bisogno di un carpo. La supposizione da noi fatta di un eguale riparto di sforzi sull’ ala degli uccelli, non è esatta, qualora voglia farsi un esame alquanto accurato. Le penne più forti, più sporgenti, e che godono di maggiore esten- sione ed importanza nell’ atto del volo, sono le prima- rie, le quali si attaccano su quella parte che può ri- guardarsi come la mano degli uccelli. Per contrario le penne dell’ avambraccio e del braccio hanno minore azione, minore lunghezza, e forza minore. L’ineguale riparto del contracolpo sopra l’ asse dell'ala dell’ uccello trova un eccesso nella parte estrema, cioè nella mano dell’ uccello. Sebbene esista sempre una notevole diffe- renza fra l’ esercizio dinamico dell’ ala del pipistrello e quella degli uccelli, ciò non ostante si riscontra la ne- cessità di un meccanismo fra la mano e l’ avambraccio dell’ uccello, che serva per la decomposizione degli sforzi, o per addolcirli. Dunque hannovi ancora pezzi carpiani nell’ ala degli uccelli. Un esame comparativo di questi due apparecchi, cioè l’ ala dell’ uccello e quella del pipistrello, mette- rebbe in luce notevoli differenze; ma il conoscerle non è cosa qui interamente richiesta dal nostro lavoro. Ciò che ne importava qui di stabilire, era questo, che, se nell’ala del pipistrello trovasi un carpo sviluppatissimo, ALA DEGLI UCCELLI E DEI CHEIROPTERI 257 e per contrario è ridotto ai minimi termini nell’ ala del- l'uccello; siffatta differenza riesce spiegabilissima per la diversità della distribuzione degli sforzi che le due ali subiscono durante il volo. Ma la mano dei cheiropteri ha ancora altre fun- zioni da compiere. Se rinserrate in compagnia di un pipistrello qualche insetto, che saltellando lo molesti, esso lo percuote colla mano, come un gatto farebbe col sorcio. Sopratutto poi si aiuta colle mani per ar- rampicarsi ai corpi circostanti in guisa da eseguire una vera ambulazione, che ha benissimo descritto il Géof- froy St. Hilaire (1). Il pipistrello cammina, o si tra- scina, dice il Temminck (2), con bastevole velocità, di modo che può dirsi che corre con celerità, od almeno con molta destrezza. Forse per questo, al pari dei di- gitigradi ha un cuscinetto sotto la base del suo pollice, nella parte ove tocca terra durante il suo piccolo cam- mino, o mentre sta attaccato coll’ uncino formato dal pollice. Di rado, se vuolsi, ha luogo il suo camminare rampicando (3); ma qualora esso cade in terra trova le maggiori difficoltà a riprendere il volo. Però si tra- x (1) Géoffroy St. Hilaire. Lecons, 14, pag. 9. (2) Temminck. o. c. pag. 358. (3) « I molossi si servono a preferenza dei loro potenti mezzi di preensione e di ascensione, che non di quelli del volo. » Tem- minck, 1. pag. 160. 17 258 ALA DEGLI UCCELLI E DEI CHEIROPTERI scina a zig-zag finchè giunga ad un luogo un po ele- vato, donde può abbandonarsi aprendo le ali (1). Sotto questo aspetto gran differenza corre fra l'ala di un pipistrello e quella dell’ uccello. Pel pipistrello, l’arto serve ad un tempo, e a seconda dei bisogni del- l’animale, come mani ad afferrare, come piedi a cam- minare, e come ali al volo.... Gli uccelli non si possono mai servire delle loro ali nè per tenere un oggetto, nè per formarsene sostegno al corpo quando trovansi in terra (2). E cosa molto rara, trovare un’ altra desti- nazione all’ ala dell’ uccello, tranne quella del volo, come per esempio di battere mediante una lamina ossea e tagliente, qual si nota nella Palamedea chavaria e in altri. Per la varietà delle funzioni che ha la mano del pipistrello, dobbiamo dunque aspettarci di trovarvi. un carpo complicato, massime per cagione del concentra- mento di tutti gli sforzi che il pipistrello fa pel volo sui punti estremi dell’avambraccio, e per quel po’ di preensione ch'è attribuito al pollice. (1) Si vegga Géoffroy St. Hilaire. Lecons, 12 pag. 24. into) J Pas (2) Temminck. o. ec. pag. 72. 0 Nannini Jit° ara Lit. G Wenk CARPO DEI PIPISTRELLI La piccolezza dei carpi dei cheiropteri indigeni non mi ha permesso studi bastevolmente sicuri, quali cioè mi sarebbero stati necessari. Ho dovuto dunque ricor- rere al carpo di un P/eropus, probabilmente il Ptero- pus Godefroyi. L’ articolazione fra il carpo ed il radio è trasver- salmente molto estesa. Quest’ ultimo osso cioè il radio , che forma da sè solo la parte inferiore dell’ avambrac- cio, e che in proporzione è lunghissimo e sottile, si di- lata repentinamente nella sua testa carpiana trasver- sale (1). Un canale profondo limitato da due labbra, (1) Tavola xIx. fig. 1 a, d. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XIX. Carpo, metacarpo, e testa del radio del Pteropus. ( Pteropus Godefroyi, Mus. pis.). Fig. 1. a) testa del radio veduto dalla sua faccia superiore. 5) cavità articolare vista dal di sotto. Fig. 2. carpo e metacarpi — 1) scafoidolunato — 3) piramidale — 4) trapezio — 6) capitato — 7) uncinato — 1) metacarpo del pollice — i a v) metacarpi della parte tetradattila. 260 CARPO DEI CHEIROPTERI occupa tutta questa estensione trasversale: il labbro inferiore è sottile ed esattamente rettilineo: 1’ altro _su- periore è un poco curvo, più grosso, e più sporgente. Questo canale riceve la parte corrispondente del carpo, e più precisamente lo scafoidolunato in forma di la- mina o di cordone depresso, di una estensione gran- dissima. Questa articolazione, sotto il rapporto della forma, lunghezza, e profondità della fossa, e dell’ esatta corrispondenza dei pezzi, richiama al pensiero l’ artico- lazione trasversale delle mascelle dei gatti, la cui sta- bilità non sarà certamente diversa da quella che stu- diamo nei cheiropteri. Per lo scafoidolunato i soli mo- vimenti possibili sono quelli di abbassamento e d’ innal- zamento. Sono questi gli unici movimenti concessi al- l'arto a cui è impedita qualsiasi rotazione. Essendo assai bene precisato l’asse di questa arti- colazione, io la considero come base della mano a cui riferire la positura delle ossa metacarpiane. Lo scafoidolunato, che abbiamo indicato testè, è estesissimo (1) da dritta a sinistra sullo stesso piano dell’ asse articolare. Al di sopra è piano e quasi tubu- lare, ed il suo margine posteriore è unito, e pressochè rettilineo: all’ incontro il suo margine anteriore è reso sinuoso e rafforzato da alcuni tubercoli, il maggiore dei quali trovasi nel mezzo. Al di fuori avvi un grosso ri- porto, e un grande seno al lato pollicare. I tubercoli (bien sino a 30 volte più grosso dell’ esterno..... » Meckel T. 4, pag. 86. Lr rp CARPO DEI CHEIROPTERI 261 ed i seni servono quale appoggio, o come luoghi di ri- cezione per le ossa della seconda serie (1). La prima serie del carpo, o il protocarpo dei pre- ropus, è composta quasi esclusivamente dallo scafoido- lunato. Tuttavolta in prossimità del lato esterno vi si scorge un piccolissimo piramidale di forma globulosa. Il deutocarpo ha quattro ossa: il trapezio, il tra- pezoide, il capitato, e l’ uncinato. L’ uncinato, considerandolo nella sua faccia su- periore, porge un lato di contatto al piramidale, un altro alla testa superiore del capitato ; e nel lato esterno ed anteriore termina in punta, che rientra fra le brac- cia della biforcazione del quarto metacarpo (2). Il capitato, nella sua faccia dorsale, presenta quasi la forma di un 8, il cui asse è un poco obliquo. La testa posteriore è contenuta sotto il grande sporto dello scafoidolunato, e | anteriore è in parte abbracciata dalla testa biforcata del terzo metacarpo. L’istmo fra le due teste è occupato al difuori da una sporgenza dell’ uncinato, e al di dentro da un lato del trapezoide. L'ultimo è un piccolo osso, che si disegna sulla fac- cia dorsale in forma di parallelogramma collocato un (1) Tavola xx. fig. 2 — 1. (2) Io non conosco le altre facce interne e posteriori dell'osso, perchè non ho potuto studiare che le facce superiori sulle quali ho ricavato la figura 2 della Tavola xrx. Per la stessa ragione ho do- vuto restringermi alla considerazione delle .facce dorsali delle altre ossa carpiane. 262 METACARPO DEI CHEIROPTERI po di traverso. Esso trovasi quasi nel centro del disco dorsale carpiano; e corrisponde su per giù al grande tubercolo dello scafoide. Si appoggia al di fuori, come si è detto, sul capitato, e al didentro sul trapezio. An- teriormente presenta un valido appoggio al braccio di biforcazione del secondo metacarpo. Grandissimo è il trapezio, e porta il pollice quasi sul lato interno del carpo. Una apofisi basale posteriore curvata di quest’ osso, cioè del trapezio, entra nel grande seno dello scafoide; ma in codesta apofisi che è anch’ essa incavata, sì inserisce uno dei punti più lontani della base del primo metacarpo. Non continuerò a studiare il trapezio ne’ suoi rapporti con la colonna pollicare. Anteriormente offre una faccia, sulla quale si appoggia gran parte della base dell’ indice; ma non co- nosco le altre facce (1). Qui tutto è mutato: le forme, le positure, i con- trasti, gli intrecci, se si paragonano colla disposizione da noi studiata nei carpi dell’uomo, della tigre, della foca ecc. Nei cheiropteri gli elementi carpiani presen- tano un meccanismo interamente diverso e nuovo; ed il suo scopo finale è senza dubbio la decomposizione delle forze, e 1’ affievolimento dei colpi violenti, che provengono dal volo. Ma i rapporti od i contrasti di un pezzo carpiano rispetto ad un altro, sono in un ordine diversissimo da quello che abbiamo esposto altrove. Essi (1) Si vegga ancora Alix. Bull. Soc. Philom. pag. 137. METACARPO DEI CHEIROPTERI 263 sono nell’ ordine dell’azione della mano, siccome vedremo dopo aver meglio approfondito il nostro soggetto (1). Passando allo studio dei metacarpi, i più grossi ed i più forti sono il terzo ed il quinto. Tutti i metacarpi hanno le loro teste carpiane più o meno biforcate, e quelli che le hanno di questa forma in grado maggiore sono il quarto ed il terzo. Il quarto infatti abbraccia la punta cuneiforme dell’ uncinato, ed il terzo racchiude fra le sue braccia la testa angolosa del capitato. I metacarpi della parte tetradattila della mano cheiroptera tengono tutte le loro teste fortemente strette alle ossa carpiane. Ma questi ripetuti appoggi che i me- tacarpi trovano sul deutocarpo, sono tutti nella mede- desima direzione, e nello stesso senso, cioè dal di fuori all’ indentro. Di più, pare che tutta intiera la macchi- netta carpiana sia montata per dominare innanzi tutto gli sforzi esterni di fianco. Per accertarsi di ciò, basta osservare la figura (2); si vede infatti che il quinto me- tacarpo ha un forte appoggio sul lato del quarto, il quale, mediante un grande braccio della sua biforcazione, lar- gamente si appoggia sopra una faccia dell’ uncinato, che alla sua volta insiste sulla testa posteriore del capitato. (1) Ciò si vedrà senza dubbio con maggiore chiarezza risultare dall’ esame più profondo del carpo del pteropus, che naturalisti me- glio di me forniti di mezzi di osservazione potessero fare. (2) Tavola xix. fig. 2. 264 METACARPO DEI CHEIROPTERI D'altronde il quarto si appoggia contro il metacarpo del. dito medio, che, in forza della sua biforcazione, racchiude la testa cuneiforme del capitato; ma notiamo bene che è il ramo esterno che veramente è grande. Il capitato alla sua volta insena la sua testa superiore nella cavità dello scafoide, la quale cavità è aumentata dal grosso tubercolo mediano. Contro i colpi di fianco provenienti dal di fuori, il capitato trova un appoggio ancora: assai maggiore sul trapezoide, e con questo in- termediario sul trapezio che spinge la sua apofisi assai acuminata nel seno dello scafoide. Infine chi non iscorgerebbe di primo tratto, guar- dando sulla figura (1), come il secondo metacarpo sia premunito contro i colpi dal difuori, mediante il suo grande ramo esterno che sì appoggia contro il trapezio, la cui apofisi posteriore si innesta nella simuosità dello scafoidolunato ? Io non posso portare più oltre questo esame, che, ne sono ben certo, presenterebbe prove più rassicuranti, e profonde che qui tutto è premunito, ed in modo si- curissimo contro i colpi di fianco; i quali d’ altronde sem- brano essere realmente i colpi più usuali ed i più ri- petuti nell’ atto del volo. Perchè, fintanto che hanno luogo i reiterati colpi delle ali sulle colonne atmosferi- che, l’azione di questi colpi è bensì d'alto in basse per (1) Tavola xrx. fie. 2. CS VMARCZEE DIVARICAZIONE DEI METACARPI 265 sostenere l’ animale, ma è ancora dall’ avanti all’indie- tro, acciocchè l’ animale possa progredire dall’ indietro all’avanti (1). Lo sforzo dunque, che sostengono le asticelle, è uno sforzo obliquo, intermedio fra il verti- cale, e quello di progressione dall’innanzi all'indietro; ma parmi che una maggiore importanza spetti a questa ultima azione. Il volo dei cheiropteri è un vero giuoco di remi in un fluido, in cui la densità richiede alcunchè per sostenere il piccolo corpo dell’ animale, il quale in proporzione della superficie della membrana sta come 1 ad 8. Essendo dunque i quattro metacarpi esterni co- stretti a sopportare, ad ogni colpo d’ ala, sforzi di fianco dall’ indietro all’ avanti, la forma delle stesse te- ste metacarpiane d'altronde sì notevoli, del pari che quelle degli elementi carpiani, è resa ben manifesta, giacchè suo compito è quello di premunire |’ arto alare dei cheiropteri contro i colpi di fianco. Supponiamo per un momento che io non avessi prevenuto il mio lettore colla descrizione delle forme ossee del carpo dei cheiropteri. Allora un accurato esa- me intorno al modo di agire dell’ ala di questi animali lo porterebbe ad una deduzione inevitabile: vale a dire, (1) Chabrier aveva già indicato, per le ali in generale, il modo di percussione che esse eseguiscono sulle colonne dell’aria, vale a dire obliquamente, affine di spingere in questa maniera il volatile all’innanzi nella direzione della risultante delle forze. ( Mé- moires du Mustum T. 6, pag. 425). 266 CHEIROPTERI che — nel carpo dei pipistrelli debbono dominare i contrasti contro i colpi di fianco —. Nel laberinto di contrasti e di reazioni di questo piccolo carpo affine di decomporre gli sforzi che cadono sull’ ala, altri ve ne ha senza dubbio che non saprei ora indicare, e specialmente quelli che sono diretti a superare gli sforzi di torsione, che ricadono poi sulla mano in forza delle irregolari commozioni dell’ atmosfera durante il volo, e quelli ancora che dipendono dai mo- vimenti del pollice. Nei pieropus la grande base del pollice che insiste sul trapezio, ed anche direttamente sullo scafoidolunato, fa vedere di quanta resistenza sieno state fornite anche queste parti del carpo. Un carattere che è fondamentale e nel tempo stesso più distintivo nei cheiropteri, come abbiamo indicato tante volte, è la disposizione e la lunghezza dei meta- carpi. Questi stanno divaricati ed aperti nella azione del volo, ma stanno ravvicinati e raccolti come in un fascio durante il riposo. È cosa rilevante considerare come avvenga la divergenza dei bastoncelli alari; poi- chè è notevole che ‘essi sono capaci di una divarica- zione sensibilissima, senza però togliere nulla. della forza che loro è necessaria per ottenere dalla loro base reciproci appoggi. Prima d'ogni altra cosa bisogna dire che l’ inser- zione dei quattro metacarpi sulla piastra ossea del carpo, DIVARICAZIONE DEI METACARPI 267 non si trova nè sopra un medesimo livello, nè in una stessa serie. Diffatti, se, come altrove abbiamo accen- nato, si prende per base della mano l’ asse dell’ artico- lazione radio-carpiana, si vede che il quinto metacarpo è collocato più in basso, mentre gli altri sono grada- tamente più elevati fino all’ indice che è il più alto di tutti. Inoltre la serie di queste basi forma quasi la quarta parte di un circolo; il quinto metacarpo trovasi nel di fuori della mano vicinissimo allo scafoide, mentre il secondo ed il terzo sono al dinanzi dal carpo. La divergenza di queste quattro verghe metacarpiane potrebbe avvenire altresì per una divaricazione reale, come se fossero asticelle infilzate dentro a un piccolo cerchio (1). Le verghe si troverebbero sempre aperte o chiuse in un medesimo piano: e avverrebbe, come di alcune dita della mano dell’uomo o del piede degli uc- celli, che possono allontanarsi o ravvicinarsi nel mede- simo piano. Ma questo allontanamento di un dito dal- l’altro accade sotto l’ azione dei muscoli divaricatori, i quali imprimono un movimento a dita, la cui base è convenientemente acconcia a questo genere di movi- mento. In questo caso ordinariamente si trovano quat- tro muscoli collocati in servizio di ciascun dito: un di- varicatore, un adduttore, un flessore, ed un elevatore. Questa struttura complicata trovasi diffatti, nei casi che abbiam citati, sia dell’uomo che degli uccelli, quando (1) Tavola xvm. fig. 3. 265 CHEIROPTERI ai movimenti di divaricazione sono accompagnati quelli di preensione. Se l’ espansione dell’ ala del pipistrello si operasse mediante la divaricazione delle dita, a quel modo che abbiamo indicato, sarebbe occorso un grande apparec- chio di fortissimi muscoli divaricatori e adduttori. Ho detto fortissimi, perchè per mantenere in divaricazione le dita, quando sono sotto l’azione del volo, ci vor- rebbe molta forza. Di più una nottola che per moltis- sime ore volteggiasse nell’ aria, sarebbe sottoposta ad una continua tensione de’ suoi muscoli ‘divaricatori. Fissiamo esattamente le nostre idee. La divarica- zione, che abbiamo testè considerata, è una mutua ri- pulsione dei pezzi sopra un medesimo piano, qual’ è la disposizione dei raggi nelle ruote. Un altro mezzo, ed un meccanismo più semplice si è la divaricazione obli- qua, quale appunto si riscontra nei ventagli delle si- gnore. Anche qui si ottiene una grande estensione di superficie, mediante un semplice scivolamento dei fusti- cini nel senso delle loro facce di contatto. Ma ciò si ottiene per mezzo di una condizione. Quando il venta- glio sta chiuso, il suo asse è orizzontale; quando il ventaglio si apre si abbassano da un lato ie sue stec- che, e si innalzano dall’altra. In somma è un alzamento ed un abbassamento delle parti, che costituisce il ven- taglio, o, che torna il medesimo, bisogna che le stec- che si trovino disposte a differenti gradi di abbassa- mento. MUSCOLI DELLE DITA 209 L'espansione dell’ ala del pipistrello, studiata sotto questo rapporto, si riduce ad un semplice moto di ele- vazione e di depressione delle dita. Questo lavoro io lo posso imitare colla mia mano: se abbasso le quattro dita contro alla palma della mano, e poscia innalzo per quanto mi è possibile l'indice, il terzo dito un po’ meno, e gradatamente così le altre dita, ottengo una super- ficie dilatata, che imita esattamente quella dell’ ala del pipistrello, e pure le dita non han fatto che rialzarsi a diversi livelli dalla loro primitiva posizione. Non occorrono più a codesto meccanismo muscoli divaricatori nè adduttori di molta forza; è bastevole l’azione degli elevatori e dei depressori, e questi stessi muscoli non richieggono che piccole dimensioni. Diffatti il distendersi che fanno le quattro dita del pipistrello pel volo, è un lavoro di lieve momento; giacchè basta che vi sia un muscolo capace semplice- mente di elevare il dito, fino alla estensione che è ri- chiesta. Sarebbe come se io dovessi alzare dal suo stato di depressione il mio dito indice ovvero il medio; la qual cosa, come ognun sa, domanda una lievissima fa- tica. Il colpo sull’ ala importa l' estensione delle dita del pipistrello, e inoltre questo urto è sostenuto dalla verga metacarpiana, non già mediante |’ azione dei muscoli depressori, ma bensì mediante il meccanismo delle parti ossee; vale a dire mediante l'ingranaggio dell’ artico- lazione carpo-metacarpica. Dunque l’azione muscolare è ridotta a piccolissima cosa sulle quattro dita del pipistrello. Siccome 1’ ala 270 CHEIROPTERI batte d’ alto in basso, così il meccanismo per la disten- sione delle dita è. affidato principalmente al sistema os- seo. I muscoli elevatori hanno compito la loro funzione quando hanno innalzato le dita; il che costa ben poco. Altrettanto accade pei depressori delle dita. Ora ciò spiega la esiguità di tutti questi muscoli nella mano dei pipistrelli. Gli elevatori ed i depressori delle dita ridotti per conseguenza allo stato filiforme, ed anche i muscoli di- varicatori e adduttori, se ce n'è, non avendo più quasi nulla a fare, si è ottenuta una grande semplificazione nell’ ala del pipistrello; ma sopratutto poi ne risulta quello stato sottile e leggero dell’ intiero arto, che at- tua le due qualità indicate dal Temminck, cioè che « le ali dei pipistrelli sono fornite di tanta superficie quanta è la loro leggerezza » (1). Una operazione quale è quella di battere l'ala pel volo, e che parrebbe incomoda e difficile ad eseguirsi dai cheiropteri, si riduce dunque semplicemente all’ aprire o chiudere del ventaglio. Ogni vero sforzo è riservato al muscoli motori del braccio, e sopratutto ai muscoli pettorali, che sono realmente molto sviluppati. Ma que- sta è la proporzione muscolare, che in tutti i mammi- feri, specialmente quadrupedì, ed in tutti gli uccelli, è indispensabilmente consacrata per la traslazione. Questi (1) Temminck. Monogr. l. pag. 158. ; LS METACARPI E DITA 271 muscoli sono sempre destinati a muovere strumenti di traslazione: poco monta poi se siano gambe od ali. Finalmente la differenza di direzione dell'asse arti colare radio-carpiano con quello delle inserzioni delle basi metacarpiane, richiede che tutte quattro le dita si trovino distese sopra di un piano, il quale è quasi lo stesso piano di flessione del braccio sull’ avambraccio. Ma nello stato di riposo queste tre parti che compon- gono l’ala, l’omero, il radio e la mano, tutte e tre si inflettono nel medesimo modo. Diffatti come il radio è posto a lato dell’omero, così le dita sono poste presso il radio (1). Da ciò si comprende la singolare meccanica, che è stata introdotta nella mano dei cheiropteri per servire al volo. Le teste superiori delle ossa metacarpiane hanno qui ricevuto una libertà e indipendenza di movimenti che ordinariamente non trovasi nei mammiferi, senza parlare dei metacarpi dell’uomo che altrove abbiamo studiati. Nei cheiropteri si osservano altresì facce di scivolamento fra i metacarpi e le corrispondenti ossa del carpo, ed anche fra l’uno e l’altro metacarpo. Sono facce nuove per una organizzazione mammifera, le cui forme e singolari funzioni servono ad indicare nuovi rapporti, che certamente meriterebbero studi più profondi. In ricambio di siffatta libertà, che a prima (1) Tavola xvu. fig. 2. 272 CHEIROPTERI giunta potrebbe compromettere la stabilità delle verghe metacarpiane, ogni metacarpo è stato messo in rap- porto colle ossa carpiane mediante le larghe facce di contatto superiormente descritte, le quali assicurano la individuale resistenza di ciascuna asticella. Raffrontando le dita dei cheiropteri con quelle del- l’uomo, della tigre ecc., si potrebbe dire che sono dita costantemente piegate. Ma a questo riguardo è oppor- tuno notare che ci corre grandissima differenza. Nè io nè la tigre ecc., pieghiamo mai le nostre quattro dita per un movimento del metacarpo sul carpo, perocchè queste ossa d’ ordinario sono sì bene assicurate - sul carpo, da non potersi inclinare menomamente. A questo proposito sì vegga quanto è stato detto nella pagina 103 e seguenti. Il terzo e il quinto dito, come dicemmo sono le dita più grosse, e precisamente quelle che debbono sopportare nell’ azione del volo gli sforzi maggiori. Il terzo dito è la verga più lunga delle altre, e quella su cui si concentra l’asse di forza dell’ ala. L’ indice gli sta dappresso e quasi aderente, per servirgli di aiuto e rinforzo. Il quarto, intermedio fra il terzo e il quinto, è aiutato dal loro appoggio, ed è più sottile di entrambi (1). (1) La grossezza o la esilità delle quattro dita dei pipistrelli è subordinata alla condizione generale della massima elasticità possi- SIRO I AR : s, 9 da EE = Ss SL (àd FA Aa 14) $ î È " ti } La Sarpi “ VARIE IRA AVTABIO DADA SA LBAALIT 4 Tmbpsa SES i * M h Dad), LR ì $ é % 1] a ì LI n = * , n i 4 x v ' LU 4 è} “ "é i I $ î Soia tà } Ai l'a br, A 4 \ A + 1445 J te] CA Me Ta hg ie % de £ : ì Bo. ù " fate ont Pre 0 CTR à la ) “= or NE - » Vedi go +0 L- TP Ù } w 4 è . - x \ ’ è id, der - - I SIA x è ba AA M 4 i (/4 i tal } 3 ch tp si 7 ine Lat ' Ù F, h, CATA Hi Pa Mi . mi d; Ta d Î ha ù Pi i Di a < = 0- i . x: i l > 2 Tu ‘ id 14 , » 1 de ? i oe » i fs ! 5 a hei È e 0 . e * x n AGGIUNTA GLI ANIMALI ARTIGOLATI E LA DOTTRINA TELEOLOGICA IRCRTPO"DEGLI ANIMATI ARIPECORATI La grande famiglia degli animali articolati può ese- guire gli stessi movimenti degli animali superiori, cioè i vertebrati, quali sono il volo, il camminare, il saltare ed il nuotare ecc., e tuttavolta questa famiglia è sfornita dello scheletro interno che dà i punti d’ appoggio per l’azione dei muscoli. Il meccanismo del movimento in questi animali è invertito, poichè la gamba di un gran- chio o di un insetto è una successione di tubi, cia- scuno dei quali racchiude nella propria cavità i muscoli destinati a muovere il tronco che segue. In essa gamba la corda motrice è interna, e la leva solida trovasi al- l’ esterno; mentre invece nella gamba di un mammifero o di un uccello i muscoli sono esterni e sovrapposti alle leve, che trovansi collocate internamente. Quello dunque giustamente è stato chiamato sche- letro esterno, per contrapposto allo scheletro degli ani- mali vertebrati che vien detto scheletro interno. Ma la distinzione fra questi due è più notevole di quello che 364 SCHELETRO ESTERNO abbiano giudicato certi scienziati. Difatti si è preteso che l’ uno fosse l’ equivalente dell’ altro; il che è vero bensì se si consideri l’ effetto meccanico che ne deriva. Ma si è spinta la teoria fino a pretendere che lo sche- letro degli articolati fosse quello dei vertebrati grande- mente modificato o rovesciato. La celebre frase di Géof- froy St. Hilaire, che « i crostacei vivono dentro la loro colonna vertebrale » dimostra fino a qual punto sono stati immaginati rapporti fra lo scheletro esterno e l’in- terno: ma la natura fisiologica dell’ uno è intieramente diversa da quella dell’ altro. Per quanti sforzi d’ inge- gno si siano fatti a dimostrare l' equivalenza, o l’unità di natura dello scheletro esterno coll’interno, rimane ciò nullameno sempre bene spiccata fra essi una capitale dif- ferenza. Latreille (1) a’ suoi giorni aveva detto, e gli studi dei moderni dotti hanno servito a confermare, che le parti componenti lo scheletro esterno « non sono che parti più dense della pelle, e che questa pelle è con- tinua, e semplicemente più sottile e quasi membranosa negli intervalli fra le congiunzioni articolari ». L'arma- tura solida o semisolida degli articolati è una dipen- denza del sistema cutaneo, o per meglio dire è lo stesso inviluppo cutaneo che circonda tutto il corpo, il quale inviluppo per tratti ed a piastre è incrostato dai depo- siti di chitina o di calcare ecc. La uniforme continuità degli strati dermici su tutto il corpo dell'animale è di- (1) Latreille. Regne animal, T. iv. pag. 1. E SCHELETRO INTERNO 365 mostrata all’ evidenza dal Milne Edwards (1); come del pari è addimostrato che alcune parti di questi strati sono indurite, mentre poi altre conservano la loro ordi- naria mollezza. Il duplice stato di solidità o di mollezza sommini- stra alternativamente tubi o piastre rigide, ed intervalli molli, che lasciano possibili i movimenti dei primi l’ uno sull’ altro. Con ciò si ha la pieghevolezza delle estre- mità, i cui frammenti sono regolati da cerniere che trovansi nei punti del loro contatto. Per contrario lo scheletro osseo è una creazione perfettamente indipendente dal sistema cutaneo. L'’invi- luppo tegumentare dei vertebrati circonda intieramente il loro corpo, e per conseguenza ricopre tutto lo sche- letro osseo. Tegumenti e scheletro nei vertebrati sono due cose distinte e disgiunte, mentre negli articolati si hanno gli integumenti che compiono le due funzioni: ed in questi è stato dimenticato od abbandonato inte- ramente il meccanismo fondamentale dei vertebrati, cioè lo scheletro interno. Dunque conviene considerare nei vertebrati e negli articolati due cose o due tipi assai diversi, mentre nei primi gl’integumenti esterni non influiscono quasi nulla riguardo ai movimenti, e negli articolati all’ incontro ser- vono a tutto. Nei vertebrati trasparisce questo pensiero genetico di uno scheletro osseo; negli articolati non (1) Miine Edwards. Lecons de Phisiologie. 366 SCHELETRO ESTERNO se ne ha pur ombra di vestigio. E ciò non ostante i movimenti degli articolati, come abbiam detto sin da principio, sono spigliati, vari e gagliardi, benchè sommini- strati da un meccanismo completamente diverso, qual è l’azione dei muscoli applicati al didentro dei tubi for- mati dall’ indurimento localizzato degli integumenti. La surrogazione di uno scheletro esterno negl’ in- setti, negli aracnidi, e nei granchi, allo scheletro in- terno dei mammiferi, degli uccelli ecc., suppone un motivo di convenienza di altissimo rilievo, dacchè si vede data la preferenza al primo sull’ altro. E noi, usi come siamo al rigore della natura, veniamo condotti a dire più positivamente, che bisogna vi sieno titoli d’in- compatibilità per escludere lo scheletro vertebrale da una gran parte del regno animale, e dar luogo allo scheletro dermoidale. Tuttavolta non si scorgono a prima giunta gli indizi dei motivi di codesta sostituzione. — Lo schele- tro interno, come base di movimento degli animali, è assai buono, chi nol vede? Serve egualmente bene pei giganti del regno animale, come pei minimi, quali sono i colibri o i musaragni. D’ altronde hannosi ver- tebrati molto più piccoli di alcuni insetti; come lo scricciolo è minore del GoZiathus e del Gedeon. Ebbene, lo scricciolo ed il topolino non sono forse più gai, più vispi, più arrischiati, più spigliati, e più indipen- denti, dei due insetti poc’ anzi nominati? Non godono essi forse del massimo grado di sviluppo di tutte le fa- E SCHELETRO INTERNO 367 coltà animali? Per tale considerazione si manifesta che il tipo vertebrato, quand’ anche sia ridotto a’ suoi ultimi limiti, non palesa ancora i primi indizi di impo- tenza per animali piccolissimi: perchè in questi pose nulla trovasi che dia a conoscere un affievolirsi, un de- teriorarsi, od un assopirsi delle facoltà animali. Senza dubbio, non sono punto nella condizione degli scheletri dei pipistrelli e delle foche, che trovansi già ai confini della natura mammifera. Diffatti abbiamo visto (1) che sarebbero impossibili ulteriori modificazioni ornitologiche o ittiologiche, senza passare definitivamente agli uccelli od ai pesci. Ma qui nello scricciolo, e nel topolino nulla può condurre a supporre che ci troviamo agli estremi confini della possibilità di un organismo basato sullo scheletro interno. Non si può dunque supporre che l’abbandono dello scheletro interno sia cagionato dalla piccolezza di corporatura, tanto più che, come abbiam detto, vi sono parecchi animali articolati più grandi che non gli ultimi vertebrati. E sembra che per lo meno si potessero avere vertebrati che agissero come il GoZia- thus e il Gedeon ecc., senza che fosse stato mestieri introdurre un nuovo apparecchio, lo scheletro cioè der- moidale od esterno (2). (1) Si vegga addietro pag. 225. pag. 284. (2) È chiaro che ad un primo sguardo tutti gl’ insetti che sono superiori di corporatura a questi graziosi piccoli vertebrati, quali la cinciallegra, il musaragno, il colibri ecc., potrebbero essere sur- rogati da animali a scheletro interno; come le funzioni di molti co- 368 SOSTITUZIONE DEL TIPO ARTICOLATO Ciò posto, la natura articolata non sembra dun- que imposta da una necessità meccanica. Ma allora lo scheletro dermoidale si trova nell’ or- ganismo animale come un concetto interamente nuovo, nella introduzione del quale non vi è alcuna ragione di leggi meccaniche; di quelle leggi cioè che ci hanno il- luminato sulla costituzione dei vertebrati. Si direbbe che è una intromissione arbitraria, ed una scelta a ca- priccio, che non ha un fondamento scientifico; 0, se vuolsi, sarebbe questa una delle idee archetipe, delle quali, per quanto dicesi, l’uomo non ha ancora scrutato l'origine, e che hanno regolato l’ organismo suddivi- dendolo in molti rami o tipi, quali i vertebrati, gli ar- ticolati, i molluschi ecc. Il che per vero dire è abba- stanza contradditorio colle deduzioni emerse dall’ esame fatto da noi sulle estremità degli animali articolati. E la stessa dottrina degli atti di creazione indipendenti trovasi fortemente implicata in quest’ alta quistione. Come spiegherà essa siffatto problema? Non è dunque a fare le maraviglie se naturalmente nacque il pensiero di una dimanda, la quale a buon dritto ci è stata diretta, dicendoci: — Se la ragione meccanica ha regolato il fondo della costituzione ver- leotteri, lepidotteri ecc. potrebbero, fino a un certo punto, essere disimpegnate da piccoli od anche piccolissimi vertebrati; salvo le considerazioni che vedremo in appresso. AL TIPO VERTEBRATO 369 tebrale, se ha regolato del pari l' intromissione di un tipo ucccello, di un tipo pesce, a lato ed in mancanza del tipo mammifero; quale ragione meccanica ha po- tuto indurre ad abbandonare il tipo vertebrato, per so- stituirvi il tipo articolato? Agevolmente si vede che questo è un salire alle più alte quistioni della zoologia, coll’ arrischiarsi nella ricerca delle ragioni scientifiche che hanno potuto in- durre ad abbandonare l’ osteoscheletro, e che hanno condotto alla introduzione del dermoscheletro per una porzione sì grande del regno animale. Del pari credo che a noi non sia concesso, almeno attualmente, di scoprire le cause prime di siffatta mutazione. Ma al- cune induzioni, se vuolsi di una importanza del tutto secondaria, possono appianare alquanto la via: la quale resterà tuttavolta senza dubbio per molto tempo aperta a più profondi studi. Premettiamo anzitutto alquante considerazioni sulla influenza esercitata dallo scheletro dermoidale sul mec- canismo dei movimenti. Tali considerazioni troveranno la loro applicazione in ciò che diremo più tardi. Allorchè si è abbandonato lo scheletro osseo per sostituirvi uno scheletro esterno, non si ha più una co- lonna vertebrale; ed ecco un primo enunciato che pog- gia su di un fatto. Ma a tale enunciato consegue una induzione di eguale importanza. sebbene a prima giunta 24 370 COLONNA. VERTEBRALE non sia egualmente chiara; ed è che non si ha più co° lonna vertebrale possibile. Diffatti per una colonna verte- brale, come asse di forza dell’ animale, occorrono pezzi solidi, uniti da legamenti, e intercalati da strati ela- stici. Ecco la definizione e la vera natura di qualsiasi colonna vertebrale, dall’ uomo fino all’ ultimo dei pesci. Ma nel caso particolare del nostro soggetto, può ag- giungersi un’ altra caratteristica: ed è che la catena di vertebre in quegli animali che ne sono forniti, non può mai mancare; che un animale non può farne di meno un solo istante: e che anzi essa deve esistere ed agire senza la menoma interruzione dal momento della na- scita fino alla morte dell’ individuo, poichè essa è 1’ asse ed il pezzo principale della macchina animale. Si potrà vivere privo di un dito o di un braccio; ma viver privo di una sola vertebra della colonna centrale, è impossibile. Ora convien notare che questa costituzione fonda- mentale è in contraddizione colla natura articolata. Gli artropodi in diversi periodi della loro vita si spogliano da capo a piedi di tutta la loro corazza solida. Si sa che i granchi all’ epoca della muta hanno due o tre giorni di forzato ritiro, perciocchè si trovano in uno stato di completa mollezza, come avviene della maggior parte degli insetti durante la loro metamorfosi. Questa esu- viabilità, come la chiamava il Latreille, che è caratteri- stica degli insetti, dei crostacei, degli aracnidi, non è conciliabile colla permanenza di qualsiasi pezzo fonda- mentale, come sarebbe la colonna vertebrale, se facesse NEGLI ARTICOLATI SI parte dello scheletro dermoidale. D'altronde 1° esuvia- bilità è imposta dalla necessità in cui trovansi questi animali di ampliarsi secondo l’ età, e di proteggersi, nell’ ingrandire, sotto pareti esterne più dilatate e più comode. Ma dal momento che tutto ciò che avvi di con- sistente e di solido nel corpo di un articolato è ridotto nello scheletro dermoidale, questa esuviabilità asporter- rebbe necessariamente ancora un complesso di pezzi solidi, ancorchè essi rappresentassero una colonna ver- tebrale. Una tale colonna negli articolati sarebbe una parte del dermoscheletro, e 1 esuviabilità trascina seco tutto quanto ha relazione col dermoscheletro. Per questa ragione non si comprende come fosse possibile dare all'architettura degli articolati un tronco fondamentale, simile alla spina dorsale dei vertebrati. La qual cosa, come può ben prevedersi, non va priva di conseguenze di grande momento, le quali noi esamine- remo dopo aver fatto un’ altra considerazione su questa quistione preliminare. La colonna vertebrale ritrae la sua grande solidità da due elementi: e cioè dai larghi contatti de’ suoi pezzi, e dai legamenti. Non posso diffondermi sull’ analisi della colonna vertebrale ; cosa che d'altronde trovasi in tutte le opere di anatomia. Mi ristringo a notare soltanto. come la condizione mercè della quale i pezzi vertebrali somministrano la forza e la resistenza alla colonna; è l’ estensione delle loro faccie di contatto. Esse sono quasi “ 372 STRUTTURA FOGLIACEA sempre discoidali o circolari; ma è sempre un disco 0 un circolo, i cui diametri hanno molta estensione. Dun- que il corpo delle vertebre, o la sua parte veramente solida, presenta un massiccio di grandi dimensioni per ogni verso; e quindi le facce che tagliano questa massa anteriormente e posteriormente, si oppongono a quelle dei pezzi contigui per espansi contatti. Per questa ca- gione, e per l’aiuto dei legamenti, delle cartilagini ecc. viene somministrata alla spina dorsale la forza di un cilindro osseo, associata alla tenacità e flessibilità della corda. Nulla trovo di simile nella corazza degli articolati. Da per tutto veggo una lamina più o meno solida, che circonda il corpo e s' avvolge in tubi per formare gli articoli delle estremità. Ma è sempre una struttura la- minare, ossia, cosa che dipende dall’ origine stessa dello scheletro esterno, sono gli strati dermoidali, local- mente induriti. Ma io non so che trovisi mai in un in- setto o in un granchio una massa, un-tronco solido, © un cilindro compatto. Questa tendenza alla forma lami- nare, o per meglio dire questa natura fogliacea dello scudo degli articolati, esclude l' idea come anche la pos- sibilità di una catena di pezzi massicci e solidi, para- gonabili a quelli di una colonna vertebrale. le cui su- perfici di sezione fossero in caso di somministrare con- irasti ed appoggi scambievoli. Nelle vertebre dei più piccoli mammiferi, come quelle del musaragno, e dei piccolissimi uccelli quali sono i co- DEL DERMOSCHELETRO SILE libri, si trovano perfettamente rispettate le anzidette proprietà meccaniche delle vertebre, come si veggo- no conservate nei giganti di questa provincia del re- gno animale; e per dir tutto in una sola parola, tali proprietà meccaniche si riscontrano in tutti gli animali della provincia dei vertebrati. Dinanzi ad un fatto così essenziale per questi animali, si rimane sorpresi nel non vedersi nemanco la possibilità di queste qualità nello scheletro di un artropodo, piccolo o grande che sia, e ciò in causa della sua natura essenzialmente la- miniforme. Tuttavolta, come abbiamo detto, si è preteso di mettere lo scheletro dermoidale degli articolati a pari coll’ osteoscheletro dei vertebrati. Di che si vede come non si sia posto mente ad una “quantità di considera- zioni, e fra le altre ad una differenza di funzione che si riferisce appunto a ciò che ora abbiamo detto. Chi è mai che non abbia osservato che le estremità de- gli insetti, dei crostacei ecc., sono aggruppate in un solo punto sotto il corpo: mentre le estremità degli ani- mali vertebrati, quali la volpe, il bue, la lucertola ecc. sono ripartite in due paia distanti le une dalle altre? Ora queste diverse disposizioni delle parti si traggono dietro conseguenze molto notevoli sui movimenti dei due ordini di animali. I quadrupedi, a mo’ d’ esempio, si sor- reggono sopra quattro colonne, le quali in causa della loro distanza offrono una grande base, che loro per- mette movimenti precisi. forti e snelli. Per contra- 374 ESTREMITÀ DEGLI ARTICOLATI rio gli artropodi avendo le loro estremità unite in un sol punto sotto il ventre, si trovano in bilico su que- sto stesso punto, e la loro base di sopporto ha do- vuto essere ingrandita mediante l allungamento e la divaricazione delle loro gambe. Il numero stesso di que- ste non è già solo di quattro, ma se ne veggono im- piegate sei, otto, dieci ecc. Col numero si è supplito al difetto della ubicazione. Dunque gli artropodi sono come sospesi sul loro centro di gravità o a meglio dire nel mezzo della parte inferiore, trovandosi la loro testa ed il loro addome in equilibrio ai due estremi. Con ciò i loro movimenti sono molto circoscritti e poco sciolti; ed ognuno intende qual cosa diverrebbe un cane o un gatto se le sue quattro estremità fossero riunite insieme sotto il ventre, benchè si supponessero allungate e divaricate. In tutto questo si ha forse una scelta capricciosa , o non piuttosto una conseguenza della necessità mec- canica? — Vediamolo. Sembra che la colonna vertebrale abbia reso pos- sibile negli animali vertebrati la disposizione a distanza delle quattro estremità. Il fusto o asse, che è incaricato di sorreggere questi animali, dev’ essere una forza vale- vole a resistere agli spostamenti prodotti dalle violenze delle estremità stesse durante il loro movimento. Ed in- fatti la colonna vertebrale è alla portata di rispondere a queste esigenze. Certamente, durante |’ ordinaria am- bulazione di un cane o di un cavallo, la resistenza del- RACCOLTE IN GRUPPO SITRo, l’asse vertebrale non è molto impegnata, perchè l’' a- zione delle estremità è ad un incirca concorde ed uni- forme; ma non è la stessa cosa quando questi ani- mali hanno da eseguire movimenti, che ne mettono le membra in funzioni dissonanti fra loro. Per siffatto disaccordo delle quattro estremità, l' unità come l’inco- lumità della macchina animale sarebbero allora messe a pericolo, ove non ci fosse la grande forza e la sta- bilità che è propria alla colonna vertebrale. Per con- verso il Kanguroo e il Gerbille appoggiati sopra una tal base d’ operazione possono eseguire i loro enormi slanci: il leone dopo il suo salto improvviso può fermarsi immobile sulla preda che lotta: la gorilla può strozzare una vittima fra le sue braccia ecc. Ma queste operazioni che implicano movimenti di una forza talvolta straordi- naria, e che sono eseguite da ciascun arto in modo diverso, vanno tutte a concentrarsi sull'asse verte- brale, che regge allora da padrone la macchina ani- male; esso la mette in salvo da qualsiasi pericolo, e la unifica in una sola azione fra le scosse prodotte dalle quattro estremità. Lasciamo agli scienziati della scuola del Géoffroy St. Hilaire l’ esporre ì loro argomenti a dimostrare che un segmento di un artropode rappresenta una verte- bra: ma, se la vertebra è l’ elemento della colonna © dell’ asse di forza della macchina animale, io temo grandemente che essi non verranno mai a capo della loro dimostrazione. La forma essenzialmente laminare 376 SEGMENTI DEL DERMOSCHELETRO x del dermoscheletro è in una fondamentale contraddi- zione con un confronto razionale fra la vertebra ed il segmento di un artropode. Im virtù della riunione dei numerosi segmenti, come si osserva nella scolopendra, non si avrà mai un'asta di forza per formare un asse valevole a prestare un punto d’ appoggio al corpo del- l'animale. Tutti i segmenti si toccano, si combaciano, sì innestano, ma non si tengono congiunti con tale so- lidità che possa mai paragonarsi a quella del contatto delle vertebre fra loro. Quantunque 1’ asse dorsale della scolopendra o dell’ .Ju2s ecc., risulti di venti o trenta segmenti, questo asse è tuttavia sempre debole e fragile a cagione della tenuità delle facce scambievolmente combacianti. Per conseguenza un paio di gambe collo- cato dietro la testa, e un altro paio posto all’ estremità dell’addome di questi due animali, non somministrereb- bero la menoma sicurezza nei loro movimenti. // nesso di congiunzione fra le due paia di arti non sarebbe fornito nè di resistenza nè di forza competente. Pur tuttavolta bisognava fornire di estremità gli artropodi, pel camminare e pel volo. Ora come fare se questo tipo degli articolati è sprovvisto della base del meccanismo, che rende possibile la traslazione ai quadrupedìi, il volo agli uccelli ecc.? Se gli articoli dor- sali del dermoscheletro non possono presentare nelle loro unioni la necessaria solidità per reggere le quattro estremità poste a distanza, si vede che anzitutto biso- gnava togliere di mezzo ogni articolo intermedio, e SEGMENTI DEI, DERMOSCHELETRO STA render solido con un diretto contatto ed una unione bene stabile fra loro gli articoli che portano le estre- mità. La loro riunione peraltro può aversi in alcune parti; l’ osserviamo presso al centro, ove il prothorax, il mesothoraa, il metathoraa costituiscono una cintura solida, su cui stanno le gambe e le ali. Queste tre partì non ritraggono la loro solidità dalle facce di opposi- zione vincolate da legamenti, ma bensì dallo innestarsi degli anelli reso più complicato da mille sinuosità, 0 da alcune fusioni dei pezzi fra loro. Nullameno la costruzione di un artropode è sempre mancante di forza sul suo asse longitudinale, di guisa che per dotarlo di una forza in servizio dell’ ambula- zione e del volo è stato necessario stabilire un centro sottoventrale nel bel mezzo del corpo, mediante la riu- nione dei tre anelli, l'uno dei quali è sempre più grande e più solido, e tutti tre sono assai meglio innestati 0 collegati | uno coll’ altro. L'asse dorso-lombare nei vertebrati gode in tutta la sua lunghezza di una grande forza: presenta dunque, sotto l'aspetto dei movimenti, una notevole superiorità nei vertebrati che negli articolati. Ma la mancanza 0 l’inferiorità di questi non è che una diretta conseguenza delle leggi meccaniche e fisiologiche applicate al der- moscheletro. D’ onde risulta che conveniva o non ad- dottare questo scheletro dermoidale, ovvero adottarlo colla sua natura, tale quale è possibile colle leggi fisio- 378 INFERIORITÀ DEL DERMOSCHELETRO logiche, meccaniche ecc. Bisognava accettarlo, colla sua impossibilità di sommunistrare un asse di forza ver- lebrale. Fatte queste osservazioni, omai resta chiarito che i vertebrati e gli articolati rappresentano due tipi diffe- rentissimi e molto disgiunti l’ uno dall’ altro. Non te- nendo calcolo nemmeno delle differenze zoologiche o fisio- logiche, rimane sempre una differenza fondamentale che mantiene disgiunti i due ordini per la costruzione orga- nica (1). Del resto la differenza fra i due ordini non è da riferirsi solo al sistema di costruzione, ma sopratutto dipende dagli elementi costitutivi, vale a dire, dai ma- teriali usati nella costruzione degli articolati. E evidente che quando si hanno delle ossa nel corpo di un animale per punti d'appoggio all’ azione muscolare, si può di- sporre di forza, di resistenza, di rigidità: mentre con un dermoscheletro non si hanno che punti di unione di una potenza molto limitata, e l' orditura che ne risulta or più or meno è debole e fragile. La qual cosa non dipende solo dal genere di meccanismo applicato agli artropodi: no. La causa risiede molto più nell’ ìntimo, e consiste in ciò, che con una incrostazione localizzata come è quella che è speciale degli insetti, dei crostacei, degli aracnidi ecc., non è possibile acquistare le qualità (1) « Lo Strauss riguarda questi due sistemi (artropode e vertebrato ) come al tutto differenti l’ uno dall’ altro ». Bulet Ferrussac. T. 14. pag. 375. NECESSITÀ DEL DERMOSCHELETRO 379 dinamiche dell’ osteoscheletro, nè formarne un’ orditura imitativa. La differenza non è già istrumentale, o del lavoro, ma è una diversità della materia onde sono composti. In conclusione risulta, che il tipo vertebrato ha una vera superiorità organogenica e dinamica a fronte del tipo articolato. Ebbene, posto ciò, in qual modo la dottrina della creazione indipendente potrà spiegare questa introdu- zione, mentre si aveva già lo scheletro osseo? Per qual motivo si è abbandonato in una sì grande porzione del regno animale lo scheletro osseo, e vi si è sostituito lo scheletro dermoidale? Quali sono le necessità mecca- niche o fisiologiche, che hanno condotto a siffatto can- giamento? Ecco riprodursi il primitivo problema, ancor più spiccato, se possibil fosse. di quello che non era da principio. Cerchiamo dunque di muovere qualche passo verso codesta ricerca. Per gittare fin da prima un poco di luce sul no- stro cammino, mi è duopo anzitutto premettere un teorema, sul quale è necessità trovarsi d’ accordo. Io considero il sistema della natura qual è di presente co- stituito, cioè co’ suoi climi, con le sue fasi della vege- tazione, con le alternative delle stagioni. colle sue cal- 380 NECESSITÀ DEL DERMOSCHELETRO me, e colle sue burrasche. Tutte queste condizioni ne- cessariamente si impongono ad ogni vivente, alla vege- tazione del pari che agli esseri animati. Non si può prescindere dalla considerazione di questi elementi d' 0r- dine già stabilito, perchè non si saprebbe immaginare in qual modo si possa sfuggire ad esigenze di un or- dine già stabilito, e sempre in perfetta attività. La vegetazione viene e scomparisce : il gelo sconcerta le piante del pari che gli animali. Le rondini emigrano in causa dello sparire degli insetti; le aringhe emigrano per deporre le uova sotto più confacente temperatura: gli insetti fitofagi seguono le fasi della vegetazione ecc. Mm tutti questi casì con ragione sì dice, che la vita della rondine, dell’ aringa, dell’ insetto con siffatte vicissitu- dini e mutazioni, è la vita normale di codesti animali, o, che torna lo stesso, che la loro vita è nell ordine della natura. L'ordine della natura ha regole ed esigenze: per- ciò su queste esigenze fonderò a buon dritto, per quanto parmi, le considerazioni che sto per esporre. Sembra che nella idea fondamentale o iniziale del tipo articolato domini il duplice principio della limitazione e della ripartizione dell’ attività vitale. In moltissimi casi si osserva che l’ attività sommamente affrettata in certi pe- riodi della vita di un insetto è compresa in un ciclo, che molto presto ed inevitabilmente si chiude. Codesta atti vità si arresta ad intervalli, e ripiglia più tardi i suoi NECESSITÀ DEL DERMOSCHELETRO 381 slanci primitivi. Un bruco sì trascina da un ramo in un al- tro a divorarne le foglie; una larva di melolonta abita sotterra per rodere le radici degli alberi ecc. Sono pic- coli ciechi, che mangiano in fretta ciò che trovano a loro agio, senza lotta e combattimento. « Per una por- zione dell’anno, dice il Blanchard (1), in questo piccolo mondo l’attività è senza pari. I bruchi e le larve divo- rano con avidità incomparabile, mangiano e rodono senza posa, dovendo farsi grandi nel più breve tempo possi- bile ». La loro nutrizione è come dire l'unico scopo di questo primo periodo della lor vita, essendo rimesse a tempo più lontano le cure della propagazione della spe- cie. L'ultima funzione della vita della maggior parte de- gli insetti è la deposizione delle uova: codesto è per essi un limite insuperabile, a cui succede la morte. (2) — Dopo ciò la vita rientra nel sonno dell’ uovo. A fronte di questi fatti, i vertebrati si presen- tano ai nostri occhi con caratteri differenti. La morte per essi non è già la conseguenza della propagazione della specie. Giunta che sia l'età delle nozze, quasi ogni anno avvengono nuove deposizioni di uova, © nuovi parti. Il mantenimento della specie pei vertebrati è affidato a ripetute generazioni della medesima coppia. mentre negli insetti è affidato alla rapidità dei loro ac- (1) Blanchard, Metamorphoses des Insectes. (2) Blanchard o. c. pag. 5. « Les mères disparaissent de la scène après avoir assuré l’ existance de chaque larve qui sortira les oeufs », 382 NECESSITÀ DEL DERMOSCHELETRO crescimenti. Una coppia di cinciallegre nel corso di dieci anni fornisce da sè sola centocinquanta uova; dieci cop- pie d’insetti, supponendo che ciascuna deponga quin- dici uova, forniscono in dieci anni centocinquanta uova. Nel primo caso la deposizione delle uova si ripete an- nualmente da una medesima coppia; nel secondo invece sono le coppie che si rinnovano annualmente: ma in fin de’ conti il prodotto per lo meno è eguale. Una farfalla od una cetonia non può vantarsi che di una sola gene- razione; ma nate che sieno nella primavera, proveggono alla generazione nell’ estate, e poscia scompaiono. Il corso di vita nei vertebrati è più ampio, più uniformemente progressivo e più continuato sopra un medesimo piano. L° infanzia, la giovinezza, l’ età di mezzo, e la vecchiaia sono tutte evoluzioni progres- sive, sono un séguito di funzioni che uniformemente si succedono ; poichè il cane, il piccione, la tinca ece., sono sempre, in qualsiasi stadio di età, un cane, un piccione, una tinca; e rimangono sempre eguali, anche dopo aver dato opera a molte generazioni. L’insetto, per lo contrario, non è mai bambino, né giovane, nè vecchio; la debolezza puerile come la impotenza senile non sono conosciute nella sua stirpe ed in ogni stadio della sua vita trovasi capace della missione assegnatagli per quel dato tempo. Esso dee cibarsi di vegetabili, e li mangia appena uscito dall’ uovo siccome quando è prossimo alla sua metamorfosi. Col mangiare si fa grande rapidamente, i suoi integumenti di larva TRANSITORIETÀ DEGLI INSETTI 389 addivenuti ristretti gli cadono di dosso, e vengono sur- rogati da altri. L'attività e il movimento dell’ animale sì sospende tutto d’un tratto, perchè allora deve com- piersìi un’ altra fase di riposo e d'inerzia, che è la me- tamorfosi. Subentra in fine un periodo della massima energia, che, meno alcune eccezioni, dà luogo ad una sola generazione, dopo la quale ogni operosità cessa, come cessa la stessa esistenza dell’ animale. Si è detto che la specie trova un rifugio nell’ uovo. Questo è vero, tanto pei vertebrati ovipari, quanto per gli articolati nell'uovo la vita dorme per tutti. Il cardel- lino depone le uova, le cova, e dopo l’ uscita de’ suoi piccoli ha l’incarico di alimentarli. Una farfalla depone le sue uova, e tosto le abbandona, affidandone lo svi- luppo alle condizioni climatologiche del luogo. La co- vatura del gardellino avviene subito dopo la deposizione delle uova; e la nascita dei piccoli accade dopo brevis- simo tempo. Certamente nè gli uccelli nè i rettili od i pesci possono passare da un anno all’altro rifugiati den- tro l’ uovo. La stagione invernale essi la passano sempre nello. stato di animali viventi e attivi, e non già dentro le loro uova; cotalchè la superficie della terra non resta mai priva di questi animali. Im qualsiasi stadio dell’anno esistono mammiferi, uccelli, rettili, pesci, e, se nei ri- gidi climi sono costretti intanarsi od emigrare, resta vero tuttavolta che la loro esistenza, viva ed operosa, non iscomparisce giammai. Fra i vertebrati ovipari non 384 RIAPPARIZIONE DEGLI INSETTI c'è mai un periodo, in cuì l’intera generazione sia morta, ossia, se vuolsi, addormentata nell’ uovo. I vecchi ed i neonati sempre si trovano insieme al medesimo pasto, ed il movimento e l' attività della lor vita non abban- dona mai la superficie della terra. Guai se si giunge a dire che ogni individuo di un tale mammifero o di un tale uccello sia morto! Quel giorno in cui una specie vertebrata sospenda la sua presenza di vitalità sulla terra. essa è una specze perduta. Tale è la storia del Megatherium, del Dinornis e di un numero grandis- simo di altri. In quell’istante in cui si è potuto asse- rire che l ultimo Dodo era stato ucciso nell’ isola Mau- rizio, quell’ uccello è scomparso per sempre. All’incontro in certe stagioni dell’anno può dirsi che tutte le farfalle sono morte, che tutte le melolonte sono scomparse. Ma che importa ciò? Eccole ricompa- rire alla nuova stagione, e ogni fiore ne è pieno. Esse hanno passato |’ inverno nascoste nell’ uovo, oppure nella larva (1): e la loro ricomparsa è immanchevole al sopravvenire della primavera. Il sonno della vita in questo stato può essere protratto a molti mesi per gli insetti, del pari che a molti secoli pei semi di vegetabili. (1) « Nell’ uovo la specie si nasconde per resistere al freddo dell’ inverno ». Intorno a questo argomento possono vedersi molte eccellenti osservazioni in Van Beneden. Bu/letn Acad. R. de Belgique 1858. T. v. pag. 584. TEMPORANEITÀ DEGLI INSETTI 385 Abbiamo detto che anche pei vertebrati c'è un periodo di vita latente; ciò nullameno è di brevissima durata, e corrisponde al tempo dell’ incubazione. Pare che nella natura di questi animali la continuazione del- l'energia vitale sia una condizione assoluta. Tanto è vero che un ritardo ancorchè minimo nella evoluzione della nuova generazione, fa cessare | esistenza della specie. Tra una farfalla ed il suo discendente vi è un abisso occupato dall’ uovo, dalla larva e dalla meta- morforsi, ed in tutto questo tempo la terra è priva di codesti amici dei fiori. Per converso, le generazioni di un uccello sì intrecciano e si sormontano luna all’ altra : giovani e vecchi, avoli e pronipoti vivono tutti insieme. e ad ogni istante si ha la loro presenza, come | ope- rosità loro sulla terra. Da quanto si è detto risulta, che uno de’ più spic- cati caratteri della vita degli insetti, a fronte dei ver- tebrati, è la /emporanettà. Limitata la loro esistenza ad alcuni mesi, ovvero a pochi giorni, essa è suddivisa in ristrettissime fasi, ed ognuna di queste è molto di- versa dall’ altre. La comparsa degli insetti è una vera improvvisata, come la lor vita è una carriera accele- rata ed efimera. La vita dei vertebrati non ha que- sti periodi staccati: si svolge uniformemente, e, ciò che è più, le manca la possibilità di una sospensione a lungo protratta nella sua carriera, sotto forma d'uovo o di vita latente. 25 386 TEMPORANEITÀ DEGLI INSETTI Sembrami che ora apparisca ben chiaro, che il lungo periodo della vita latente degl’insetti, la sollecitudine del loro crescere e riprodursi, sono tutte necessità im- poste dall’ ordine di natura qual è stabilito. Ma pari- mente è chiaro, che con siffatte necessità il tipo verte- brato sarebbe in disaccordo e incompatibile; e che pic- coli vertebrati non potrebbero sostituire il Golaus, il Gedeon, o la Saturnia del pero ecc. Più general- mente parlando il tipo vertebrato in questo caso non può sostituire il tipo articolato (1). Se v'abbia un caso nel quale i piccoli viventi deb- bano rimanere nello stato di germe assopito nell’ uovo, ad aspettare la ricomparsa del loro cibo per mesi; un vertebrato non può prendere il posto di un insetto. La distanza biologica dei genitori dai loro discendenti, ov- vero la indipendenza della vita dei neonati dalla loro madre, non è certamente retaggio dei vertebrati. Essendo il tipo vertebrato nella impossibilità di soddisfare a molte funzioni richieste dall’ armonia uni- (1) Mi giova ripetere che le osservazioni che qui espongo non sono che primi pensieri nella grande questione della idea fondamen- tale del tipo articolato: e conosco che queste considerazioni non comprendono ancora nè la questione in tutto il suo insieme, nè la generalità degli esseri che a questo tipo appartengono; non per que- sto cessan di esser vere le induzioni fatte pei casi speciali, nè man- cano di importanza per la soluzione generale del problema. VERTEBRATI ED INSETTI 387 versale, ha bisognato metterlo da banda, e introdurre un nuovo tipo che fosse in accordo colle esigenze del mondo ambiente. Sarebbe mai questo il tipo ar#col/ato ? Confido che la strada di ricerca che verremo esplorando, ci ser- virà di aiuto a meglio conoscere la nostra posizione. Fatta astrazione dai batraci, i vertebrati nascono tutti simili ai loro genitori, eccetto le metamorfosi del- l'età e del sesso. L'uccello nasce uccello e vive uc- cello; e se è di rapina, mangia la carne in ogni stadio della sua vita. Una testuggine, un serpente, un pesce muoiono quali sono nati. Un uccello, che ab- bia la vita esposta a mille pericoli, non può a meno di collocare la sua prole nelle stesse condizioni, nei me- desimi pericoli, nelle stesse eventualità, di mezzo alle quali anch’ esso si trova. Gli è impossibile sottrarre i suoi piccoli alla lotta che ogni essere vivente deve so- stenere, scampandoli ad esempio in un altro elemento, ovvero collocandolo in condizioni più favorevoli. I ver- tebrati, per isfuggire alle inclemenze del clima, non hanno altro spediente che quello dell’ emigrazione, o del sonno letargico: codesti due spedienti sono concessi soltanto ad un piccol numero, perchè pochi godono dei suffi- cienti mezzi di viaggiare, ed anche il sonno ha i suoi limiti, non essendo a tutti possibile il dormire tre quarti dell’anno. Questa è la cagione per cui molte specie di vertebrati dimorano in regioni circoscritte, le cui con- dizioni annuali rendono ad essi possibile la vita. 388 VERTEBRATI ED INSETTI A riscontro di questa pagina biologica dei verte- brati, poniamone un’ altra per gli insetti. Deboli e delicati come sono, richieggono climi as- sai dolci, ciò non di meno essi popolano la Lapponia, la Siberia ecc. Onde è ciò mai? Per questo, che, se abbi sognano di un clima temperato, sì contentano peraltro di pochi mesi buoni, che trovano ancora nei paesi freddi. Una larva che vivrebbe tutto l anno in Sicilia e in Ispagna, nella Norvegia vive solo nei mesi di estate. Gl' insetti sono accomodati non già ai paesi, ma bensi alla stagione del paese che loro conviene. Sono accomo- dati a quella porzione dell’anno che è buona nel paese, e nella quale essi trovano le condizioni convenienti per la loro vita. Questa parte dell’anno basta per essi, ma non sarebbe sufficente pei vertebrati; poichè questi, quan- do vivono in un paese, debbono sopportare tutti i can- giamenti di stagioni che vi regnano; e molto di sovente i vertebrati vi soccombono, mentre gl’ insetti usufrui- scono delle stagioni quella parte che è loro confacente. Questa, come ben si vede, è una scelta; ma per isce- gliere in cotal modo, bisogna poter disporre del proprio tempo, vivere solo i mesi buoni, e nascondersi nell’ uovo al sopravvenire della cattiva stagione. Gl' insetti, come ognun vede, hanno questa possibilità, perchè vivono a comparse passeggiere, alternanti con una vita latente, e nel sonno. Per quanto risguarda le forme esterne, tutti cono- VERTEBRATI ED INSETTI 389 scono quanta differenza corra fra una larva ed un in- setto allo stato perfetto. Il carattere principale della prima, è la mancanza di tutti i mezzi di trasporto, eccetto gl’ indispensabili per l'atto del cibarsi, o più esplicitamente per la conservazione dell’ individuo. Le larve sono attaccate e fisse il più che sia possibile a quell’ albero, a quel corpo, a quel posto in cui trovasi il loro cibo. Un carattere diametralmente opposto ha l’animale quando è completo: esso fruisce allora dei mezzi è più copiosi di traslazione, ma proporzionati sempre alla più ampia e sicura diffusione della nuova generazione. Il passaggio dal primo al. secondo stadio, o la metamorfosi, alle volte dunque è molto grande e profonda. Il piccolo nasce sotto l'aspetto di larva ver- miforme, e muore farfalla, mosca d'oro, o zanzara. Il genere di cibo è cangiato a seconda dell’ età, ed una mosca che vive all’ aperto che succhia liquori prelibati, che è insidiata dal ragno e presa dalla ron- dine ecc., depone poi i suoi picco sopra un cadavere, al sicuro di tutti quei pericoli a cui essa era esposta. Le larve delle zanzare vivono nelle acque stagnanti, mentre poi allo stato adulto si aggirano per |’ aria, e pungono gli animali per suggerne il sangue. Da ciò si conosce che |’ habitat di questi animali è differentissimo nella prima età da quello dello stato perfetto. I geni- tori trasportano i loro piccoli in un altro elemento, 0 in altre condizioni, e così li possono sottrarre ai peri- coli della lotta a pro’ dell’esistenza. Infine quando l’im- perversare delle stagioni devasta i paesi, la generazione 390 VERTEBRATI ED INSETTI futura, come abbiamo detto poc’ anzi, racchiusa nell’ uovo, sfida qualsiasi anche grave pericolo. Quindi noi veggiamo gl’insetti deboli e piccoli tome sono, e incapaci di vivere fuorchè in mitissime condi- zioni, fatti poi idonei ad abitare gli aspri climi della Svezia, della Siberia ecc. L'unica condizione imposta loro è questa, che vivano cioè di una vita latente, che dimorino nell'uovo o nella crisalide al sopravvenire delle brine, e che ricompariscano nella buona stagione. Tre mesi mangiando e nove dormendo, o in perfetta inazione : ecco tutta la storia di molti ordini degli insetti. Non potevano tali condizioni essere osservate dai ver- tebrati; all’ opposto sono molto opportunamente con- cesse agli artropodi; e così è stato risolto il problema, di popolare con una numerosa famiglia di piccoli ani- mali certe regioni, che in via ordinaria sarebbero ina- bitabili pei vertebrati. Ci resta ancora una considerazione di alta impor- tanza, che emerge da quanto siamo venuti esponendo. Quantunque il ciclo della vita degl’ insetti si chiuda in un ristrettissimo spazio di tempo, tuttavolta fa d’uopo che in questo medesimo tempo si compia tanto la car- riera individuale quanto la propagazione della specie. Così avviene diffatti. Negl’ insetti tutto cammina con sollecitudine; si direbbe che sono incalzati come il viag- giatore delle Alpi dall’ uragano che sopravviene. Le due carriere non possono compiersi senza mutazioni 0 pro- fondissime metamorfosi. L'abbiamo già detto : gli insetti DERMOSCHELETRO IMPROVVISATO 391 debbono con sollecitudine passare per lo stato di larva, di crisalide: e ciò che più monta, la farfalla, la mosca d’oro, la mosca comune debbono tutte uscire dalla loro crisalide, come dalla testa di Giove uscì Minerva ar- mata di tutto punto. Durante la metamorfosi | insetto deve assumere organi che prima non aveva, la mag- gior parte dei quali richiede corde e punti di appoggio, o a dir meglio nuove parti molli e solide, indispensa- bili. pei movimenti che prima non aveva bisogno di eseguire. Da ciò si conosce che per fornire all’ improv- viso punti solidi alle corde motrici per animali, che po- chi momenti prima non erano più che un grumo di polpa molle, l’ indurimento o l’ incrostazione degli inte- gumenti è così bene acconcia, perchè si può produrre con sollecitudine; ma questo non sarebbe certamente il caso di far ricorso ad uno scheletro interno od osseo. Uno scheletro dermoidale infatti nel suo completo svi- luppo si manifesta come una repentina comparsa. L’ in- durirsi della pelle dell’ animale, distesa dalla metamor- fosi sotto forme nuove, è cosa di pochissimo tempo. Il breve tempo di tre giorni che il granchio sta nascosto, impiegandolo a riprendere la solidità del suo astuccio, dopo aver subìto la muta, ci dimostra con quanta pre- stezza avvenga l'indurimento della pelle degli articolati. Ad uno scarafaggio che esce dalla sua crisalide tutto flaccido e molle, bastano alquante ore di calore solare e di contatto coll’ atmosfera, perchè acquisti una corazza cornea e resistente, ali e gambe rotonde e robuste ecc., che possibile rendono all’ insetto di librarsi a volo o di lanciarsi alla corsa. 392 DERMOSCHELETRO PROVVISORIO Dunque lo scheletro dermoidale è quasi improvvisato. E, sia detto qui di passaggio, lo scheletro esterno oltre ad essere 7mprovvisato, è anche provvisorio, pe- rocchè tutti gl’ insetti che trovansi nello stato perfetto ordinariamente agiscono per pochi giorni. Queste due qualità, come ognun vede, si confanno ad un dermosche- letro, che può essere assunto e abbandonato colla mas- sima facilità; ma in queste condizioni uno scheletro in- terno sarebbe un fuor d’ opera. La vita improvvisata di un animale qualsiasi, che sia limitato a vivere tre o quattro mesi, richiede che dalla uscita dall'uovo alla deposizione delle uova tutto debba compiersi in questo breve lasso di tempo. Uno schele- tro osseo dovrebbe pertanto svilupparsi, ingrandirsi, farsi solido nel corso di questo tempo. All’uscire dal- l’uovo lo scheletro comincerebbe a formarsi, e dopo cento giorni dovrebbe sostenere tutta la ginnastica del- l’animale adulto che attenderebbe alla propagazione della specie. Ora questa rapidità è dessa conforme alla natura dello scheletro osseo? I fisiologi la riterranno cosa possibile? — Per me, nulla dico; ma propongo solo una domanda. La proprietà che ha lo scheletro esterno di essere transitorio, conviene molto bene alle fasi transitorie degl’ insetti. Allorchè. questi animali sono nello stato di larva, esso somministra loro alcune volte dei pezzi DERMOSCHELETRO ED OSTEFOSCHELETRO 393 resistenti alla bocca per rodere; ne siano esempio il Cossus ligniperda (1), le cetonie ecc. Inoltre lo schele- tro somministra a questi stessi animali, un corsaletto, e gambe ed ali di molta forza, che prima non avevano. Ma le prime parti sono scomparse, e le ultime sono una creazione interamente nuova. Codesta armonia, 0 codeste mutazioni nelle diverse età di questi animali, non sarebbero sperabili certamente con uno scheletro osseo. In opposizione al carattere essenziale del der- moscheletro, cioè la transitorietà, lo scheletro interno presenta dunque una grande lentezza per formarsi, ed una notevole sfabilità quando sia costituito. Infine facendo ritorno alla primitiva nostra que- stione, vale a dire, quale sia la ragione meccanica 0 fisiologica che ha potuto consigliare l’ abbandono del tipo vertebrato per dar luogo al tipo articolato: si può aspettare una soluzione sia dalla Teoria della discen- denza, sia dalla dottrina della creazione indipendente. Diffatti tutte e due sono chiamate a risolvere un pro- blema del pari interessante per l'una e per l’altra. (1) Tutti conoscono la bella farfalla chiamata Cossus ligriperda, la cui larva purtroppo è ben nota agli agronomi pei danni che reca agli alberi coltivati. Questa larva, ha la bocca armata di parti ca- paci di tagliare il legno e di scavarsi dei cunicoli. Ma tali parti robuste e taglienti sono date ad tempus, perchè dopo che hanno servito durante la prima età, l’ animale perfetto ne resta spogliato come di cose inutili al nuovo suo stato. 394 DERMOSCHELETRO ED OSTEOSCHELETRO Quanto abbiamo detto fin qui sul conto degli ani- mali articolati, è la pura esposizione dei fatti che si riferiscono più o meno direttamente alla natura degli esseri appartenenti a questo medesimo tipo articolato, come anche al tipo vertebrato, senza aver più riguardo all’ una che all'altra delle due teorie. Ma queste stesse osservazioni, benchè siano, come ho già detto, di un ordine secondario, forniscono alcuni antecedenti alle due scuole, i quali serviranno alla soluzione di questo ca- pitale problema. Per quanto concerne i trasformisti, essi alla lor volta faranno ciò che loro conviene; per essi la strada è già segnata. Essi hanno da dimostrare un plausibile passaggio fra il tipo articolato e gli altri tipi. La dottrina delle creazioni indipendenti ha un altro mandato da compiere. Essa deve cercare se un Crea- tore indipendente ha avuto ragioni scientifiche per adot- tare il tipo articolato. Affine dunque di scoprire una piccola parte di questo problema, ci fa duopo riassu- mere ciò che abbiam veduto or ora. Sino a dimostrazione contraria, una potenza crea- trice, per quanto indipendente si supponga, mentre opera entro all’ ordine della natura attuale da essa stabilito non può voler agire in contrario all’ ordine stesso. Sempre l’ dn/ensum frigus adurit, sempre la combustione distruggerà la vita, come la distrugge la mancanza di luce. Ora, alla superficie della terra DERMOSCHELETRO ED OSTEOSCHELETRO 395 abbiamo regioni, i cui climi per. molta parte del- l’anno non sono confacenti alla vita degli animali; fu dunque necessità aggiustare gli animali ai luoghi. I primi geli della Groenlandia e della Siberia fanno allontanare gli animali emigranti, come anche fanno scomparire, tranne pochissime eccezioni, tutti i vegetabili e gli ani mali. In queste plaghe gelate tutto è deserto, e la morte vi regna per otto mesi d'inverno. Ma ciò che merita pecu- liare attenzione si è, che la morte e il deserto vi regne- rebbero, quanto alla fauna, ancora nei mesi della mite stagione, se esistessero solamente vertebrati terrestri sedentari. Tuttavolta un mezzo per mantenere qualche po’ di vita in quei paraggi, o a dir meglio per fare ri- comparire la vita in quelle disabitate regioni, non manca certamente ad ogni occasione in cui la vita divenga pos- sibile. Ed il mezzo si è di scampare un numero di ani- mali fuori delle condizioni esiziali, nasconderli cioè pel tempo del freddo entro l’ uovo o nella crisalide; in co- desti due stati la vita è sospesa, e ciò che più monta, e merita più attenta riflessione, si è che codesto stato di vita non richiede nulla dal suo mondo ambiente. Con ciò è pur reso possibile il fatto dell’ improvvisarsi una vita attiva, gaia e festevole pei paesi naturalmente inabitabili. Per conseguenza anche nei mesi della bella sta- gione, la vita non può durare che per brevissimo spa- zio di tempo, solo per qualche mese; e nel corso di questi mesi bisogna formare | individuo, e assicu- 396 DERMOSCHELETRO rare la propagazione della specie. In un corso di vita così ristretto, così diviso dalle metamorfosi, e tanto in- calzato da differenti lavori, come mai potrebbe imma- ginarsi la formazione di uno scheletro osseo? Da ciò si vede sorgere la necessità di formare una intelaiatura di parti solide ‘sì ma passeggere, col mezzo dell’ incro- starsi degl’ integumenti. Ecco il dermoscheletro colle sue conseguenze, quali la mancanza di una colonna ver- tebrale, la riunione delle estremità in un gruppo sotto il ventre, ed in generale la mancanza di una base so- lida di resistenza, ma coll’immenso vantaggio di im- provvisare uno scheletro in poche ore, e di poterlo mutare colla massima facilità da una forma in un'altra. L’avere adottato il dermoscheletro, ed abbando- nato lo scheletro osseo, è una necessità fisiologica: ma la necessità meccanica alla sua volta compie ciò che rimaneva a farsi. Le forme e il congegno delle parti anulari e tubulari degli artropodi sono determinati e regolati dalle leggi meccaniche, egualmente sicure ed egualmente rigorose, come quelle che hanno regolato le parti dello scheletro interno. E questa parmi una legittima conseguenza di quanto abbiamo detto; cioè, che la introduzione dello scheletro tegumentare nel Regno animale, non è un’ arbitraria invenzione, od una introduzione bizzarra. Ciò posto, considerando sotto il punto di vista delle due dottrine codesta conseguenza che abbiamo ora in- DERMOSCHELETRO ED OSTEOSCHELETRO 397 dicata, essa quadra assai bene, come passiamo a vedere, col piano fondamentale della creazione indipendente; e quanto alla teoria della discendenza, essa dal canto suo recherà alla scienza quei lumi che troverà opportuno di addurre. Non era possibile che una potenza creatrice, la quale si proponesse di popolare la terra per ogni dove, sì attenesse puramente a quelle forme animali, cui è concesso vivere là dove la mitezza del clima, il quoti- diano alimento ece., fanno della terra un habitat per una vita agiata e continua. Per le regioni meno favo- rite faceva d’uopo trovare una natura biologica, capace di resistere alle difficoltà del luogo, e specialmente alla interruzione delle condizioni della vita. Conveniva in- trodurre animali, la cui vita potesse sopportare inter- ruzioni nella energia vitale, sincrone alle variazioni del mondo ambiente, e che fossero forniti della facoltà di giovarsi dei periodi, per quanto siano brevi, di condi- zioni vitali. Bisognava dunque introdurre forme animali, capaci di vivere momentaneamente durante i favorevoli periodi; di vivere di una vita frettolosa ed efimera, rego- lata da metamorfosi; e bisognava inoltre somministrare ad essi una vita latente, per proteggerli dai geli e dalle intemperie. Infine questa potenza creatrice doveva for- nirli di una straordinaria attività, per assicurare in brevissimo spazio di tempo il formarsi dell’ individuo ed il conservarsi della specie. La creazione degli esseri provvisti di queste qua- 398 DERMOSCHELETRO lità rientra bensi nel piano generale di una creazione indipendente, e l’ attuazione di forme animali fornite di queste qualità non sarebbe che una fase da porre a lato della creazione del tipo vertebrato. I caratteri distintivi di questo, sono la continuità della energia vitale e la durata dello scheletro osseo; i caratteri distintivi degli articolati, sono la precarietà dell’ energia vitale e la esuviabilità del dermoscheletro, ovvero lo scheletro im- provvisato. Ma in entrambi questi tipi trovasi al fondo la ragione fisiologica e la ragione meccanica, le quali hanno ordinato le due creazioni in rapporto coll’ ordine di natura quale trovasi ora costituito. Donde emerge l'armonia di origine degli esseri, del pari che l'armonia nel continuarsi degli esseri; ma non già un'armonia ad arbitrio, nè a caso, bensì un' ar- monia razionale e scientifica. Ecco la spiegazione che trae la dottrina delle crea- zioni indipendenti dall’ esame di questi stessi atti: essa trova che sono indipendenti gli uni dagli altri, ma che poi sono tutti egualmente il prodotto di una suprema: intelligenza, la quale ha agito con scienza e scelta (1) (1) Se si rinunzia a questo fondamento, del rapporto cioè fra la vita temporanea dell’ animale e la temporaneità delle stagioni che permette quella vita, che cosa rimane? Questo rapporto combina bensì col concetto di un preveduto piano generale e prestabilito , ma non rientra nella via servile della selezione inconsapevole. — D'altronde sono dolente di non aver potuto per ora risalire a HAECKEL ED IL TIPO ARTICOLATO 399 Qualche trasformista ha tentato di risolvere il pro- blema dei rapporti che passano fra gli articolati e gli altri tipi. Recentissimamente 1° Haeckel ha consacrato alla parentela degli articolati un capitolo della sua grande opera che porta per titolo — MHistoire de la Création des éltres organisés d' après les lois naturelles. — Ve- rosimilmente questo lavoro sarà il riassunto di quanto è stato detto su questo argomento dai trasformisti; e siccome vi scorgiamo per entro la maniera di esprimersi e le dimostrazioni della scuola trasformista, così è troppo necessario averne conoscenza. « Ora ... ci occuperemo, dice I Haeckel (1), del quinto gruppo il più elevato fra gli invertebrati, vale a dire degli articolati o artropodi. » Egli stabilisce dap- prima i loro rapporti coì vermi « ....i grandi se- gmenti del corpo sono assai più visibilmente divisi che nei vermi anellati. I vermi articolati si avvicinano sif- fattamente agli artropodi, che torna assai difficile di- stinguerli esattamente. ... La forma tanto caratteristica del sistema nervoso centrale, che si chiama midollo spinale ventrale . .., ed altri fatti, tendono ancora a quelle quistioni più elevate, che abbracciano nella loro generalità tutti gli articolati. Un diverso ordine di considerazioni sarà senza dubbio applicabile agli articolati che non hanno metamorfosi così profonde, nè una vita efimera, nè un habitat in regioni fredde, cose che dovranno essere argomento di altre ricerche. (1) Haeckel. Histoire de la Création des étres organisés d’ a- prés les loîs naturelles. Paris 1874 pag. 481. 400 e HAECKEL stabilire che gli artropodi sono provenuti dai vermi ar- ticolati, ma molto tardi. I loro più prossimi parenti nella classe dei vermi sono verosimilmente i rotiferi, o gli anellidi. » « Senza dubbio è probabile che gli artropodi di- scendano dai vermi articolati, ma non si potrebbe as- sicurare che l’ intero gruppo degli artropodi provenga da un unico stipite dei colelminti. Per esempio si è in- dotti a credere, che gli artropodi branchiati e gli artro- podi tracheati (1) sieno usciti ciascuno da un distinto ramo dei vermi articolati. Ciò nullameno si può provi- soriamente considerare come verosimile, che i due grandi gruppi degli artropodi discendano da un solo e mede- simo gruppo dei colelminti. Bisognerebbe allora ammet- tere che gl’ insetti a trachea, gli aracnidi ed i miria- podi fossero rami staccati assai più in ritardo dal gruppo dei crostacei branchiali. » Abbenchè questi dubbi vengano a disturbare le parentele prossime degli articolati, « ciò nullameno, pro- segue l’ Haeckel, si può in via generica delineare con abbastanza chiarezza l albero genealogico degli artro- podi, consultando la paleontologia, 1 anatomia compa- rata, e l’ontogenia delle loro quattro sottoclassi; ma qui, come da per tutto c'è ancora una grande oscurità (1) Esempio dei branchiati sono i crostacei, e dei tracheati gli insetti, HAECKEL 401 nei particolari. Tuttavolta quando l’embriologia indivi- duale di ciascuno dei gruppi presi separatamente sia stata abbastanza studiata, verrà sempre più a dileguarsi code- sta oscurità. Per ora la cosa meglio conosciuta, sotto questo rapporto, è l’ embriologia dei crostacei. L’ onto- genia di questi animali è sopra ogni credere interes- sante, e come quella dei vertebrati ci delinea con pre- cisione i lineamenti essenziali della storia o della filo- genia dell’intero gruppo ». Notiamo che qui, come dappertutto nella teoria della discendenza, si ha sempre molta oscurità nei par- ticolari. Altrove abbiamo riportato molti esempi di tale oscurità. Due cause pertanto possono spiegare queste tenebre, che trovansi colà al fondo nella regione dei particolari; l'una è che i trasformisti non se ne sono realmente occupati; la seconda, che hanno sempre sfug- gito prudentemente di occuparsene, perchè i partico- lari pongono allo scoperto differenze là dove essi hanno bisogno di rilevare avvicinamenti e passaggi. D’ altra parte attenderemo che le scienze ausiliari vengano a dissipare codeste oscurità. In attesa di ciò siamo ben lieti che l’ ontologia o l’ embriogenia ci illuminino sulla origine degli articolati. Attingiamo dunque da queste i lumi che ponno somministrarci. « La forma tipica comune a tutti i crostacei, e che, nel maggior numero dei crostacei attuali, si mo- stra ancora all’ uscire dall’ uovo, è sempre la medesima ; 26 402 i HAECKEL la forma cioè detta Nauplius (1). Questo notevole tipo primitivo è caratterizzato da una segmentazione rudi- mentale; il più delle volte il corpo è un disco rotondo, ovale o piriforme, e porta sul suo lato ventrale soltanto tre coppie di zampe. Due di queste coppie, la seconda e la terza, sono biforcate. Al dinanzi e al di sotto del- l’orifizio buccale trovasi un occhio unico. Benchè i di- versi ordini dei crostacei molto differiscano fra loro per la struttura del corpo e delle appendici, ciò nullameno la loro larva naupliforme non varia mai essenzialmente. » Per convincerne i suoi lettori, l’ Haeckel presenta loro la figura di sei crostacei, che appartengono a sei di- versi ordini, allo stato embrionale ed allo stato adulto. Non sì può a meno di far le meraviglie per la grande somiglianza delle larve, e per la differenza che corre fra gli adulti. Dopo ciò, esso prosegue: « Abbiamo dunque diritto di conchiudere, che tutti questi ordini discendono da un medesimo tipo di crostaceo primitivo, il quale essenzialmente doveva somigliare al Nauplus attuale. L'albero genealogico posto qui a riscontro palesa come possa figurarsi approssimativamente la discendenza par- tendo dal tipo Nauplus.... Le cinque famiglie dei cro- stacei inferiori / Entomostraca] sono usciti come rami divergenti del tipo Nauplius.... È verosimile che que- sta singolare Zoea abbia dato origine all’ ordine degli schizopodi.... I granchi o i brachiuri sono usciti più (1) Haeckel. o. c. pag. 483. HAECKEL 403 tardi (dai gammari) durante il periodo cretaceo per riassorbimento della coda ». L’ontogenia di questi animali traccia precisamente, come ognun vede, i tratti essenziali della storia del- l’intero gruppo dei crostacei. Almeno così sì dice. Dopo i crostacei sono comparsi sul mondo i tra- cheati (aracnidi, miriapodi, insetti) « i quali sono stati fino dalla origine animali terrestri. ... Siccome trovansi già negli strati carboniferi avanzi fossili di aracnidi, e d’ insetti, codesta circostanza permette di. stabilire con una certa esattezza la data di questa origine. Tra la fine del periodo siluriano ed il principio del periodo carbonifero ... si sono mostrati i primi tracheati che provennero dai crostacei del genere dei Zoea ». « Il Gegenbaur si è sforzato di spiegare con una ingegnosa ipotesi l’ origine dei tracheati. Il sistema delle trachee e le modificazioni che ne derivano nell’ orga- nismo distinguono sì nettamente gli insetti, i miriapodi e gli aracnidi dal restante degli animali, che la qui- stione della loro primitiva origine non è certamente di piccolo impaccio alla filogenia. Secondo il Gegenbaur, fra tutti gli attuali tracheati gli archipteri (1) sono quelli che meno si allontanano dalla forma del ceppo, da cui sono scaturiti tutti i tracheati. Nella loro prima età, allo stato di larva, questi insetti ai quali appar- tengono le delicate efemere e le agili libellule, sono (1) Haeckel, o. c. pag. 487. 404 HAECKEL muniti di branchie-trachee esterne, di forma fogliacea o pennicillata, e disposte in doppia serie sui lati del dorso dell’ animale. In molti crostacei ed anellidi tro- viamo degli organi analoghi, e che agiscono come veri organi della respirazione acquatica, a guisa di branchie. Negli stessi anellidi queste branchie-trachee sono vere estremità dorsali. Verosimilmente le branchie-trachee che si trovano nelle larve di molti archipteri, debbono considerarsi come estremità dorsali del medesimo ge- nere, e senza dubbio provengono da estremità analoghe degli anellidi, ovvero di crostacei già da gran tempo estinti. Soltanto più tardi la respirazione perfettamente tracheana dei tracheati è provenuta dalla respirazione tracheo-branchiale. Per quanto risguarda le branchie- trachee, le une sono scomparse, le altre si sono me- tamorfizzate, e sono addivenute poi le ali degli in- setti ». Non v’ ha dubbio che le trachee sieno un vero im- barazzo per la Teoria della discendenza; perocchè le trachee si mostrano nel Regno animale come un orga- nismo isolato, del quale torna difficile spiegare la de- rivazione per piccoli passaggi dagli altri sistemi respi- ratori, quali sono i polmoni e le branchie. Ma forsechè questo è l’ unico problema non decifrabile per quella Teoria? Il dermoscheletro, e molti altri organismi (1) non sono in questa stessa condizione? — Bisogna tut- (1) Si vegga addietro pag. 370 e seg. HAECKEL 405 tavolta prender nota di questa confessione dell’ Haeckel, per istabilire che l'imbarazzo esistente per la Teoria dei trasformisti non esiste già per la Dottrina delle creazioni indipendenti. Diffatti per questa i polmoni, le branchie, le trachee, il sistema acquifero od altri sono tanti prodotti della grande arte, per la quale occorrono soltanto due condizioni, e cioè che questi organismi sieno richiesti per completare l’ animale, e che sieno in accordo colle leggi fisiologiche, meccaniche ecc. Fra gl’insetti, ve ne ha taluni che mordono, ed altri che lambiscono. « Fra quelli che mordono, dice l’Haeckel, e senza dubbio nell’ ordine degli archipteri o pseudoneuropteri, bisogna cercare i tipi più primitivi, quelli che di presente si avvicinano ognor più alla for- ma arcaica (ancestrale) di tutta la classe, e probabil- mente di tutti i tracheati. In questo gruppo trovansi anzi tutte le efemere, le cui larve acquatiche verosi- milmente ci raffigurano nelle loro branchie-trachee gli organi onde sono provenute le ali degli insetti (1) ». « Le ali che servono a distinguere così precisamente gl’insetti dagli altri artropodi, probabilmente sono il risultato della metamorfosi delle branchie-trachee, delle quali noi possiamo riscontrar un saggio anche nelle larve acquatiche delle efemere (2) ». (1) Haeckel o. c. pag. 494. (2) Haeckel o. ce. pag. 492. 406 HAECKEL « L’ ordine degl’ insetti che lambiscono /lamben- tia) comprende l'interessante gruppo degli imenotteri. A questo gruppo appartengono quegl’ insetti, i quali, sia per l'alto grado di ciò che può chiamarsi la loro civiltà, sia per una suddivisione di lavoro molto avan- zata, sia per la costituzione di comunità o di stati, sono giunti ad uno sviluppo intellettuale sorprendente, ad una tale gagliardia di carattere, che lasciano dietro a sè non solamente la maggior parte degli invertebrati, ma buon numero ancora di animali in genere. Questo gruppo comprende le formiche, le api, le vespe scavatrici... ecc. Gl’imenotteri verosimilmente provengono da un ramo degli archipteri o dei neuropteri ». L’Haeckel tributa un elogio ben giusto a questi animali, a cui per altro fu reso fino dalla più remota antichità. —. Vade ad formicam piger — Apes labo- rem tolerant, opera conficiunt, rempublicam habent, consilia privatim, ac duces gregatim; et quod ma- xcime mirum sit, mores habent (1): così si esprime Plinio. Qui dunque la scienza antica e la moderna si dànno la mano. Bisogna ben persuadersi che questi pregi fanno propendere grandemente la bilancia delle affinità zoologiche verso un senso determinato nella quistione dell’ origine e della discendenza di questi animali! Tutta volta io non so intendere quello sviluppo maraviglioso intellettuale che l’ Haeckel scorge nelle (1) Plinio. Nat. Hist. Lib. XI. C. v. HAECKEL 407 api. È forse perchè egli attribuisce loro il merito della forma geometrica, che hanno gli alveoli del favo? Con- vien crederlo, poichè è chiaro che l’ Haeckel conosce molto bene che se l'ape fosse un istrumento cieco nella sua costruzione non avrebbe alcun merito nel suo lavoro (1). Allora cessa ogni maraviglia, perchè in que- sto caso il merito è dovuto ad altri; cioè bisogna ri- salire fino alla causa che ha fatto l’ ape. Dietro gli elogi che l’ Haeckel si è piaciuto di pro- digare agli imenotteri, bisogna dunque credere che egli si riferisca ancora a quella maraviglia di lavoro geome- trico che è il favo; e che, quantunque sembri dissimu- larlo, egli accordi loro il merito geometrico di quella architettura come effetto del sorprendente loro svi- luppo intellettuale. Senza di ciò, potrebbe mai dirsi che (1) Egli sa per certo come nella scienza sia usato anche un altro linguaggio, che aveva il duplice vantaggio di appartenere ad uno scienziato di primo ordine, e di essere molto esplicito. « Un impulso innato guida queste deboli creature senza che esse lo sap- piano, e fa che compiano alla cieca lavori delicati, complessi ed ammirabilmente calcolati per ottenere un risultato remoto del quale non hanno la minima cognizione » (H. Milne Edwards. Physiol. T. rx. pag. 288). — Favre racconta nelle sue mirabili osservazioni sugli Sphex che avendo egli sottratto l’ un dopo l’ altro tutti i ragni ed i grilli intorpiditi che uno »Sphex portava alla sua cella, vide l’animale chiuderla dopo avervi posta l’ ultima vittima. Tuttavolta là dentro non era rimasto che l’ uovo ed un ragno. — Ecco qui un piccolo cieco, direbbe H. Milne Edwards; e noi potremo dire: — ecco un povero stordito! 408 HAECKEL codesti insetti — s7 lasciano addietro la maggior parte dei vertebrati? — Ma in tal caso il merito che loro si attribuisce sarebbe molto grande, perchè bisognerebbe supporre in questi piccoli esseri la cognizione e la pra- tica dei principi di geometria, che trovansi applicati negli alveoli. D’ altra parte l’ Haeckel dovrebbe rammen- tarsi che, per lui e per tutti i trasformisti, gl’ imenot- teri sono aspiranti, od esseri in via di progresso. Dovrebbe rammentarsi ancora che alla costruzione di un’ opera di geometria elevata, quale è il favo, non sì giunge di primo tratto. Studi e tentativi sono inevi- tabili preliminari per chi deve acquistare ciò che dianzi non aveva: e nella famiglia delle vespe e dei melliferi dovrebbero trovarsi favi eseguiti da maestri, ed altri da inesperti apprendisti. Pertanto è un fatto abbastanza singolare, che non se ne trovi alcuno di questi ultimi. Parmi piuttosto che qui siamo nel caso che mi narrò un Signore mio amico. Visitava egli la grande officina Krupp, e vide da uno degli ultimi lavoranti eseguire un pezzo (che era però sempre il medesimo che faceva) di un concetto e di una esecuzione ammirabili. Egli richiese quell’operaio in qual modo avesse trovato quelle facce, quelle curve, quegli angoli così bene appropriati; e gli disse: — Voi certamente avete cognizioni di elevata meccanica. — Ah Signore! rispose il lavorante, non co- nosco nemmeno qual pezzo io faccia; mi fu insegnato soltanto di eseguirlo. — Il visitatore allora comprese HAECKEL 409 che la scienza era più in alto, e che quivi non si avea che un’ accurata esecuzione di semplice lavorante. Sarà difficile all’ Haeckel il provare che questo non sia il caso delle api (1). Rispetto poi a qualche altro ordine d’ insetti, ecco come egli ne esprime l’ origine. « I ditteri debbono es- sere derivati dagli emipteri per l’atrofia delle ali poste- riori; in essi le ali anteriori sono le sole perfettamente sviluppate (2) ». — « L’ottavo ed ultimo ordine degli insetti, il solo in cui trovansi vere trombe aspiranti, è l'ordine dei Lepidotteri. Sotto molti rapporti morfolo- gici esso sembra il gruppo più perfetto degl’ insetti; perciò si è sviluppato più tardi. Siccome avvi stretta parentela fra una tignuola, una notturna ed alcuni le- pidotteri friganidi, così è verosimile che i lepidotteri di questo gruppo siano provenuti dall’ ordine dei neu- ropteriì ». Così l’ Haeckel. Ma di quale perfezione intende egli parlare? Forsechè dunque ci sono insetti perfetti, ed al- (1) Non converrebbe a dir vero, confondere il frutto di un la- voro intellettuale o scientifico con una esecuzione materiale. In un organetto che suona una melodia del Verdi o del Rossini non c'è neppure il merito della perfetta esecuzione; questa è dovuta al meccanico, mentre poi il mirabile concetto musicale è del Rossini o del Verdi. Unicuique suum. — L’.Haeckel attribuirebbe forse all’ape il sapere di Archimede o di Euclide? « Ci vorrebbe dell’ ardimento a ciò », direbbe Géoffroy St. Hilaire. (2) Haeckel, o. c. pag. 496. 410 HAECKEL tri imperfetti? Sarebbe desiderabile che di questi ultimi ne indicasse anche un solo. Forse che la cicindela, nella sua vivacità e nella sua tremenda voracità, non ha nel suo genere tanta perfezione quanta ne ha una ar- gynnis od una sphyna? Un’ape e una formica, tanto lodate, non valgono forse quanto un lepidottero? Dopo avere compiuta la dimostrazione, che abbiamo riferita in riassunto, l’ Haeckel conchiude così dirigen- dosi a’ suoi uditori: « Voi vedete che la gran legge delle differenziazioni e del perfezionamento, necessaria conseguenza della selezione naturale, ci rende ragione dei tratti essenziali della storia della classe degl’ insetti, ed anche di quelle dell’ intero gruppo degli artro- podi ecc. ». Riflettendo sopra questa dimostrazione fornitaci dal- l’ Haeckel, ho dimandato a me stesso: Risiede dunque in ciò il fondamento scientifico della teoria trasformi stica? Non si hanno dunque in suo appoggio prove mi- gliori? E se la teoria ne aveva, per qual mai ragione il dotto Professore di Jena le avrebbe dimenticate ? Quindi mi sono fatta anche questa dimanda: Si fa- rebb’ egli simile buon viso ai difensori della creazione indipendente, se sì presentassero al cospetto degli scien- ziati con dimostrazioni di tal fatta? Debbo confessare, che trovandomi occupato nelle HAECKEL 411 ricerche dapprima esposte intorno agli articolati, lessi con peculiare interesse nell’ opera dell’ Haeckel, tosto- chè mi giunse, l’ articolo che si riferisce a questo ramo zoologico. Dopo averlo letto ho creduto di sognare. Non mi aspettava mai di vedere la quistione dell’ origine de- gli articolati per selezione trattata con una leggerezza e con un vuoto scientifico sì grande, per parte di uno Scienziato a cui le scienze vanno debitrici di tanti e sì pregevoli lavori. Per quanto abbiamo esposto in questo articolo, le due dottrine della discendenza e della creazione indi- pendente sono infine a riscontro l'una coll’ altra sotto il rapporto dell’ origine degli artropodi. Mi asterrò dal- l’ istituire il benchè menomo parallelo fra queste due dottrine, conoscendo benissimo di non aver potuto dare che una piccola parte all’ una di esse mediante le os- servazioni sopra riportate; giacchè, debbo pur ripe- terlo, queste non sono che un primo passo, anzi un mil- lesimo di quel molto che si potrebbe aggiungere in se- guito di migliori studî; massime poi che queste non risguardano che punti puramente secondari nella qui- stione generale. — Tuttavolta con questi primi dati e questi cenni iniziali ogni Lettore è in grado di conoscere dove trovisi la osservazione della Natura e dove la di- vinazione, per quanto sia piena di spirito e di ingegno. Sembra, a dir vero, che l’ Haeckel abbia dimenti- cato, come questo problema della origine, o derivazione 412 HAECKEL degli artropodi, seguendo le idee stesse trasformistiche, si basi sulla anatomia, sulla zoologia e sulla fisiologia; e che osservazioni fondate su queste scienze sarebbero certamente degne di un grande Naturalista. — Qual- cuno crede che il colpo d’ occhio fermo e penetrante dei grandi ingegni possa dispensarli dalle minute osser- vazioni. Sia pure: ma c’è un male; avviene cioè, che, quando si abbandona la via sicura di una coscienziosa osservazione, per abbandonarsi ai voli dell’ ingegno, due o quattro osservatori mettono in luce due o quat- tro differenti teorie: e noi vediamo, con danno della scienza trovarsi queste teorie fra loro in quell’ accordo in cui fu detto essersi trovati già i primitivi elementi della Natura, quando — /rigida pugnabant calidis, humentia siccis (1). (1) Sovra un punto però i Trasformisti si sono trovati in ac- cordo, quello cioè di stabilire il metodo di esporre la loro dot- trina: metodo che già da oltre a dieci anni essi hanno definitiva- mente adottato. Chiunque scorra un libro che tratti della discen- denza degli esseri organizzati crede di trovare, sin da principio, le prove e le dimostrazioni di questa Teoria contro la quale esistono pur anche degli increduli. Ma i trasformisti non si occupano già di ciò; poichè essi danno la discendenza degli esseri organizzati come un fatto fuori da qualsiasi discussione, e come una nozione indiscutibile. Stabilito così come determinato questo punto fonda- mentale, ogni lor cura si volge a trovare rapporti, affinità, pas- saggi fra gli esseri naturali e fra gli stessi organismi. Fanno ogni possibile per coordinare gli esseri secondo queste pretese affinità, per applicare ad ogni costo gli esseri alla Teoria. Una sì abile HAECKEL 413 La scienza odierna, divenuta severa, fa buon viso e dà il massimo pregio alle osservazioni positive; ma stategia si scuopre assai bene leggendo le opere moderne, ma essa è posta in chiaro più manifestamente dalla confessione fatta da un distinto scienziato 1’ O. Schmidt, (Descendance et Darwinisme pag. 221) che così si esprime. « Noi dunque rivendicheremo per la teoria della discendenza un diritto sul quale principalmente si fondano i progressi della scienza, vale a dire, di dirigere le no- stre ricerche secondo certi punti di viste determinate, e di tener per anticipazione come vera la rassomiglianza, rimanendo sem- pre nei limiti della ipotesi scientifica... Noi facciamo ancora uso di un altro diritto che abbiamo di costituire gli alberi d’ origine (arbres-souces) destinati a tracciare la via delle ricerche.... » — Dal che chiaro apparisce che i trasformisti prendono per vero ciò che essi reputano verosimile. Per essi la discendenza è verosimile, dunque sì può assumere come vera; l’assumono diffatti. Egli è un partito preso, un punto di partensa già assicurato, ed il loro silenzio mo- stra la loro fermezza su questo argomento. Ogni loro attività si im- piega dunque a disporre gli esseri organizzati per comporre ciò che essi chiamano alberi di origine. Mille volte essi trovano in. questo lavoro degli hyatus, delle dissonanze, delle differenze, ed insupera- bili difficoltà; è allora che viene a scomporsi l’ accordo e l’ unità di vedute. Affine di sorpassare questi punti neri, e di spianare la via, essi ricorrono a spiegazioni edotte dalla forza dell’ ingegno, e dalla copia di cognizioni di cui vanno forniti. La divisione entra così nel campo trasformista: perchè una difficoltà, un Ayatus che da uno scienziato è spiegata per dv, un altro invece la spiega per x, come un terzo forse per w. Parmi che il metodo sia illogico, perchè « una ipotesi non può mai servire di base ad un sistema scientifico, dice il Bichner. (Force et matiére pag. 323): e principalmente poi perchè bisogna 414 HAECKEL respinge le immaginazioni, ancorchè sieno concepite dal più colto ingegno. Forse l’opera dell’ Haeckel si mostrerà più solida negli altri capitoli, che non conosco ancora. Essi po- tranno fornirci argomento di altre considerazioni. Non voglio peraltro far rimprovero all’ Haeckel dell’aver così male servito una quistione di tanto ri- lievo. Sarebbe cosa ingiusta opporre al Professore di Jena ciò, di cui è responsabile in fin de’ conti la scuola alla quale esso appartiene, e senza dubbio più i suoi maestri che non egli stesso. Diffatti l’ Haeckel non ha osato di avventurarsi pel cammino delle analogie fra lo scheletro interno e il dermoidale, quanto lo ha fatto il Géoffroy St. Hilaire. Chi avvi che non conosca i la- vori di questo celebre scienziato, e la famosa discus- sione che ebbe luogo circa un mezzo secolo fa tra lui ed il Cuvier nella Accademia delle Scienze di Parigi? L’ardimento delle vedute del Géoffroy St. Hilaire a prendere per punto di partenza una verità che sia o già dimostrata, ovvero evidente, lo che non è certamente ancora il caso della di scendenza. Del resto nei ravvicinamenti e nelle affinità che si annunziano la scienza vi ha senza dubbio la sua parte, ma assai di sovente un gran posto è concesso altresì alla poesia. Questo è un nuovo indirizzo che si dà alla scienza: ed è quel me- desimo che si è già iniziato per la paleontologia. I futuri studi di- ranno quale sia il valore di questo metodo. GÉOFFROY ST. HILAIRE 415 questo proposito farà sempre stupire; ma fa più mara- viglia ancora, che egli si sia abbandonato a quei rav- vicinamenti che siamo per esporre mentre dava quel memorabile avviso: « L’analogia è consigliera; ci si rifletta bene, per temerne la seduzione e l'abuso » (1). Il Géoffroy St. Hilaire ha trattato direttamente e senza mistero la seguente quistione, cioè: quale è /a vertebra nei crostacei, e che cosa è lo scheletro e- sterno ? Dopo quanto abbiam detto più addietro, risguardo alla colonna vertebrale, è cosa un po’ curiosa il vedere come siasi potuto condurre la nozione degli strati corti- cali degli artropodi sino a parificarne i segmenti al grado di una vertebra di un mammifero o di un uc- cello ecc. Ecco il ragionamento, che il Géoffroy St. Hilaire ha proposto su questo particolare agli scienziati: « Quale idea convien farsi di una vertebra? » « Ciascuna vertebra da principio è formata da quat- tro punti ossei (2) molto distanti dapprima, e che a poco a poco prendono poi la forma di una lamina rettango- (1) Annales genérales des Sciences physiques, T. 3. pag. 177. (2) Géoffroy St. Hilaire volendo provare che attorno alla vertebra ogni parte ossea è divisa in numero di quattro, analizza una estremità anteriore; e trova quattro centri ossei nella spalla, quat- tro nell’omero, e quattro nell’ avambraccio. Pel carpo si ha un dop- 416 GEÉOFFROY ST. HILAIRE lare allungata, si distendono attorno al midollo spinale. riunendosi in un anello » (1). « Fermiamoci qui, dice il Géoffroy St. Hilaire, pri- ma che la vertebra, percorsi avendo i diversi periodi delle formazioni organiche, sia giunta al suo maggiore sviluppo ». Fermiamoci qui, diremo noi pure alla nostra volta, per dimandare quale ragione vi sia di prendere in esame la vertebra quando è soltanto rudimentale. Se pio numero quaternario, vale a dire otto pezzi, e si ha « una ri- unione di quattro falangi nelle dita, perchè il metacarpo ne fa parte come le altre ». — Lo sia pure; ma nel pollice non sono che tre pezzi, vale a dire un metacarpo e due falangi; ciò nulla meno « la proposizione, dice il Géoffroy St. Hilaire, si estende altresì al pollice, in cui un osso sesamoidale occupa il posto della falange che dicesi mancante ». — Ecco tutto compiuto e bene aggiustato. Se non che si trova un sesamoideo al dito mignolo: dunque vi si avranno cinque pezzi ossei? No. — Spesso si hanno tre sesamoidei al pollice; dunque avremo sei pezzi al pollice e non quattro? No. Questi pezzi sopranumerari sono lasciati in disparte, e in questa circostanza non se ne tien conto, salvo però di richiamarli e por- tarli innanzi ogni qual volta se ne avesse opportunità. Bisogna convenire, che qui c’ è dell’ingegno e che coll’ingegno si fa tutto. — Diffatti qual problema, quale difficoltà potrà sottrarsi alla irresistibile forza di siffatti calcoli? Questa è un’arte molto ben conosciuta dai Trasformisti: la dottrina della creazione indipen- dente non ha ancora avuto bisogno di usufruirne. Tuttavolta essa è un’ arte di incontestabile comodità. (1) Annales générales de physique, 1820 T. 4. pag. 104. GÉOFFROY ST. HILAIRE 417 volete indicare successivamente ad uno ad uno tutti i periodi di formazione, per meglio conoscere il processo di evoluzione.che conduce la vertebra dallo stato rudi- mentale al suo completo svolgimento, e la conduce ad essere ciò che è, la cosa è giusta, e non c’è nulla a ridire: ma se questo si fa per prendere a considerare la vertebra nello stato rudimentale, e trarre da ciò conseguenze di rapporti fra questa nel suo inizio, ed altre parti interamente sviluppate; allora vi è difetto di ragionamento. In fatti, se esaminando una macchina molto complessa prendeste in esame soltanto quattro ruote, o quattro pezzi, e diceste: — Fermiamoci qui — per trarne un confronto con un’altra macchina semplice, la quale ne’ suoi quattro pezzi è completa ed agisce; l’ ar- tefice costruttore vi guarderebbe in viso con sorpresa, e vi direbbe: — Signore, quella non è ancora la mac- china. In tale stato essa è ancor nulla; e ’l altra nella sua semplicità è già ufo. La prima, incompleta come trovasi, non può agire menomamente; l’ altra in- vece agisce secondo la sua natura. Sono due cose 0 comparabili; qual conclusione potreste ritrarne? Non neghiamo al Géoffroy St. Hilaire il diritto di fermarsi ove gli piaccia; ma peraltro abbiamo diritto di chiedergli per qual ragione vuole fermarsi a questo punto, dappoichè esso dice: « secondo che io penso, dopo questo rudimento annulare, lo sviluppo della ver- tebra non deve aver più che conseguenze secondarie ». A quanto sembra, e secondo le viste del Géoffroy St. 27 418 GÉOFFROY ST. HILAIRE Hilaire, non vi è altra parte costituente la vertebra, che l’ anello formato dai quattro pezzi; tutto il rima- nente è accessorio, o, come egli dice, non sono altro che conseguenze secondarie. Qualcuno potrebbe notargli che questo è un gratis asseritur. Io convengo che una tale osservazione forse non potrebbe molto piacergli; ma sarebbe assai peggio se sì dicesse che è una asserzione spoglia affatto di verità (1). In una vertebra si possono mai considerare cose acessorie, il corpo della vertebra, le facce articolari, le apofisi ecc., e considerare come essenziale soltanto la parte annulare? Per qual ragione restringere la costituzione fondamentale della vertebra alle- sole pareti del tubo midollare? È soltanto questa parte che ha funzioni da compiere? Egli è pur cognito a tutti, che due sono le funzioni principali che spettano ad una vertebra: l’ una è di somministrare protezione alla midolla spinale, l’ altra di formare l’ asse di forza dello scheletro dell’ animale. Per certe vertebre questa seconda funzione non è la principale, mentre per al- tre è l’unica? Le vertebre coccigee del bue, del leone, (1) Sembra che questo scienziato siasi condannato da sè per quanto vien riferito di lui. « Una vertebra perfettamente svilup- pata è composta, secondo il Géoffroy St. Hilaire, di nove pezzi elementari, e cioè: uno centrale chiamato cicleale di forma ordina- riamente circolare, due coppie di pezzi collocati al di sopra del cicleale » ecc. ecc. ( Dictionnaire classique d’ Hist. natur. art. Sque- lette pag. 603). — Ecco l’ esatta descrizione della vertebra. Nove sono i pezzi elementari che la compongono, e non già uno essen- ziale ed otto accessori 0 secondari. GÉOFFROY ST. HILAIRE 4]9 dell’ azeles ecc., eccettuate le prime, non hanno verun canale midollare; e per contrario il corpo di queste ver- tebre è sviluppatissimo, come sono molto espanse le facce di opposizione di una vertebra coll’ altra. La qualità nelle vertebre di servire all’ asse di forza, è una qua- lità generale per tutta la serie delle vertebre; mentre l’altra di servire a contenere il midollo allungato è cosa parziale, vale a dire è propria soltanta di al- cune. Per qual ragione dunque dimenticare la prima condizione, e tener solo a calcolo questa seconda? Come ognun vede, l’ esame che qui è stato fatto dal Géoffroy St. Hilaire sulla vertebra è incompleto, perchè egli non ha considerato nella totalità il suo sog- getto. Se avesse preso per termine di confronto lo stato embrionale di ogni vertebra, non avrebbe certamente detto che la parte essenziale è la parte annulare, poi- chè non avrebbe mai trovato questa parte nelle ver- tebre caudali. Infine non ha egli visto il Géoffroy St. Hilaire che l'apparire dei quattro pezzi cicleani e di quelli ch’ egli chiama secondari non è altro che un semplice giuoco di anticipazione e di ritardo d’ ossificazione per pezzi che hanno tutti una uguale importanza organica? Ognuno conosce che l’ossificazione nella mano dell’ uomo non si produce tutta in una volta, e che i primi ad ossificarsi sono quei pezzi che entrano in azione prima degli al- tri; il che certamente non dà diritto a veruno di giu- I 420 GÉOFFROY ST. HILAIRE dicare che alcuni di quei pezzi sono essenziali ed altri accessori o secondari. Il piramidale è essenziale per la mano del pari che il capitato; eppure il primo è an- che una cartilagine molti mesi dopo che il secondo è già ossificato. D'altronde il Géoffroy St. Hilaire non lascia am- biguità nel suo concetto. Ecco ciò ch’ egli dice «.... consideriamo il momento in cui la vertebra dovrebbe acquistare i prolungamenti, o come dicesi, le diverse apofisi, le quali moltiplicheranno le condizioni della sua esistenza, le procureranno al di fuori nuove relazioni, e la mariteranno con tutto ciò che la circonda ». Que- sto non è fare un giusto apprezzamento dei fatti. Colle diverse apofisi non si moltiplicano le condizioni di esì- stenza di una vertebra: con ciò, puramente e sempli- cemente si costituisce la sua esistenza. Una vertebra di mammifero o di uccello, senza apofisi, senza corpo, senza facce articolari, non è già una vertebra; sempre- chè si intenda con tal nome un organo, il quale debba insieme colle altre vertebre comporre la colonna o l’ asse rachidiano di forza del corpo dell’ animale. Questo celebre Scienziato fa sulla vertebra una singolare distinzione di parti; un anello laminare, ecco la vertebra: alla quale poi si aggiungono prolunga- menti ch’ essa deve ricevere in appresso; parti per lui secondarie od accessorie. Ma la più chiara espressione del suo concetto è quella frase « che si marzia la ver- tebra con tutto ciò che la circonda ». Si può per vero GEÉOFFROY ST. HILAIRE 421 maritare una giovane perchè essa è già: e si può ancora non maritarla. Ma se avete una vertebra, che non sia marttata alle apofisi, alle facce articolari ecc., allora che cosa avete voi? Non avete che una debole protezione per la midolla rachidiana, sufficiente per un feto ne’ primordi della sua vita intrauterina (1): ma a che sarebbe buona pel fanciullo o per 1’ adulto? Per chi segua le viste dell’ anatomia, come altresì quelle della embriologia, credo che sia una strana ma- niera di fare l’ esame della vertebra, il dividerlo in due ordini di considerazioni. Se non si aspetta che un or- gano acquisti il suo sviluppo, sì va incontro a curiosi equivoci: sopratutto poi se vogliansi fondare sullo stato embrionale confronti con altri organismi differenti, i quali abbiano raggiunto il loro completo sviluppo. Ridotta che sia la nozione della vertebra, secondo il St. Hilaire, a quanto vi è di radicale, o a quanto potrebbe esserne considerato come il fondamento, cioè la parte cicleale, « se noi rivolgiamo la nostra atten- zione ai gammari ed ai granchi, prosegue egli, noi non vediamo alcuna notevole mutazione. Ogni segmento si compone di quattro. parti elementari. ... Ogni seg- (1) «.... quando la vertebra è anche in un grande stato di semplicità, e limitata ad una sola funzione, è appena un astuccio annulare, una specie di collare pei segmenti del prolungamento ra- chidiano ». 422 GEÉOFFROY ST. HILAIRE mento corrisponde dunque in quanto alla sua com- posizione ad una vera vertebra: gli stessi numeri di pezzi, il medesimo andamento nell’ ordine progressivo dell’ organismo, lo stesso genere di articolazione, la me- desima disposizione annulare, gli stessi spazi vuoti nel centro ». — Non mi curerò delle figure più che ret- toriche che trovansi in questo passo dello scrittore fran- cese; ma non posso passarmi dal riflettere su quella frase gittatavi per entro, cioè che avvi un medesimo genere di articolazione. Forsechè si ha un medesimo genere di articolazione nelle vertebre ossee, e nei segmenti degli artropodi? O s'intende forse, che si trova uno stesso genere di articolazione tanto nei segmenti dei crostacei, quanto fra le vertebre allo stato annulare ed embrionale? Ma qual genere di articolazione v'è mai in codesto stato, in cui i pezzi non hanno ancora verun contatto fra loro? Sembrerebbe che molto grave difficoltà si presen- tasse nel riflettere che il canale osseo della verte- bra racchiude quasi esclusivamente la midolla spinale, mentre che il segmento degli artropodi contiene tutte le parti molli. Questa è una difficoltà reale per coloro che pretendono di ravvicinare codesti due organi. Ma non è, a quanto sembra, una difficoltà pel Géoffroy St. Hilaire, giacchè egli ci spiega il suo concetto semplicis- simo nel modo seguente. « Il carattere principale della vertebra degli insetti apiropodi (a molte estremità) si è un foro rachidiano GEÉOFFROY ST. HILAIRE 423 molto più considerevole: e la conseguenza che ne de- riva sì è, che uno spazio maggiore diventa disponibile ad essere occupato per ogni altra cosa, oltre i gangli nervosi del prolungamento midollare. Chi riempirà que- sto gran vuoto? Bisognerà bene che siano gli oggetti che circondano la vertebra .... tutto ciò che serve di corteggio ad una vertebra, i vasi sanguigni, i muscoli della spina, e il canale intestinale ». Ecco a dir vero una dimostrazione molto semplice e perfettamente intelligibile. Ma ciò che non s’ intende, o, a meglio esprimerci, ciò che torna incomprensibile, è la causa che ha determinato la descritta trasposizione dei visceri. Ma dove è la gradazione fra gli animali, ossia il passaggio da uno ad un altro di questi orga- nismi così disparati? Bisogna ammettere che il Géoffroy St. Hilaire fosse di facilissima contentatura. Egli è rimasto pienamente persuaso da siffatte dimostrazioni, che lo scheletro oste- ologico e il dermoidale sono una stessa cosa, modificata peraltro o variata. Ma ciò che riesce molto più singo- lare è questo, che egli credeva di aver persuaso anche gli altri, cosicchè domandava che da ora innanzi fosse dato uno stesso nome ai due organismi. — « Ora non sarebbe egli forse superfluo il concludere, che, se negli animali delle classi superiori si è dato nome di colonna vertebrale alla serie delle vertebre, bisogna addottare altresì la stesso vocabolo per un complesso di parti di- sposte nel medesimo modo e con una struttura piena- 424 GÉOFFROY ST. HILAIRE mente analoga per tutti i pezzi ond’ è composto il gu- scio degli insetti apiropodi? » (1). Ancora più mirabile è ‘il fatto, che i trasformisti stessi sembrano forniti di codesta buona contentatura, giacchè, confessandosi seguaci della scuola, a detta loro, filosofica del Géoffroy St. Hilaire, citano questo cele- bre Scienziato, ed ammettono le sue conseguenze come conclusioni già provate (2). Maggiormente poi è note- vole siffatta contentatura in coloro, che sono tanto esi- (1) Géoffroy St. Hilaire, o. c. pag. 119. (2) Come esempio di questa facilità di contentarsi delle prime sembianze; si può addurre il passo seguente : « La maggior parte dei vertebrati ci presenta al torace delle appendici esterne, che da prima sembrano essere uniche per ogni lato. Pur tuttavolta nelle prime nostre ricerche sulla uniformità organica siamo rimasti colpiti dalla correlazione di questo numero di cinque membra nei crostacei, e di cinque dita nell’ uorno e nella maggior parte dei mammiferi e degli stessi rettili. Considerando che le. membra del gammaro ter- minano con un unico dito .... siamo stati condotti a chiedere a noi stessi, se confondendosi nella lor base potessero rappresentare un braccio, ed una mano » (Dugés. Conformité organique pag. 43 ). E più innanzi « noi vediamo la saldatura delle cinque appendici ele- mentari essere tanto più perfetta, quanto più da vicino si risale alla loro origine sul tronco; non avvi che un solo omero, poi due ossa nell’ avambraccio, tre alla prima serie del carpo, quattro alla seconda, cinque al metacarpo ma circondate ancora di carne e di pelle, finalmente cinque ma libere nelle dita.... » (0. c.) — Un dotto inglese direbbe a questo proposito che queste sono supposizioni vio- lenti. (Brougham). Md GEOFFROY ST. HILAIRE 425 genti, e che declamano cotanto contro le prove recate dalla dottrina della Creazione indipendente. Rimarrebbe a sapersi, se qualora fossero proposte da questa dottrina dimostrazioni della natura di quelle esposte dal Géof- froy St. Hilaire, esse verrebbero poi accettate come prove attendibili dai Trasformisti. Se ciò fosse, potreb- bero ben risparmiarsi le penose ricerche, del genere di quelle per esempio che abbiamo fatte sul carpo del- l’uomo e degli animali, e che ci parvero rigorosamente richieste da una quistione scientifica di sì grave mo- mento; e sarebbesi potuto seguire allora una via più facile e più piacevole, come quella che osa affidare la soluzione di un problema a voli di fantasia. Ma la dot- trina delle creazioni indipendenti non procede in codesta maniera: essa per quanto è possibile si attiene ad una osservazione positiva e ad un severo e logico ragiona- mento; e per conseguenza in queste dimostrazioni del Géoffroy St. Hilaire padre da noi riferite, lasciato intatto l’ incontestabile merito di uno Scienziato così distinto, essa non riscontra nè vera scienza nè osservazione di fatti reali. "5 Re MErk II. x LA DOTTRINA TELEOLOGICA ED IL MIO LIBRO La prima volta che questo libro è uscito in pub- blico ha avuto il rimprovero di essere un affigliato della scuola teleologica, ossia delle cause finali. Que- sto rimprovero verrà ora sempre più rafforzato dopo quanto è stato detto sul TIPO DEGLI ARTICOLATI. Ma si ha torto di farci un titolo di biasimo perchè tal- volta abbiam fatto risaltare gli scopi che conseguono dalle costruzioni organiche. In questo metodo di osser- vare io non trovo cosa, a dir vero, che sia censura- bile giacchè, per codesto riguardo potrei felicitarmi che il mio libro è secondo la scuola di Darwin, di Wallace, e di altri scienziati, contro i quali non si è osato mai dirigere parole di biasimo a motivo della lor fede te- leologica. Coloro che traggono il mio libro su questo terreno hanno certamente dimenticato le importanti vi- ste teleologiche dell’ opera Origine delle specie: non che quell’ altre del Wallace, che sono di uno slancio ini- mitabile; quali ad esempio — che le mosche del genere Volucella rassomigliano alle api affine di introdursi 428 TELEOLOGIA furtivamente nell’ alveare, e deporvi le uova (1), as- sumendo una specie di mimica non rara negli inset- ti, e spinta ad un tale grado di minutezza, che sem- bra manifestare l'intenzione d’ ingannare l’ osservato- re (2); od anche « le ali del Dodo, dell’ Apterix, e del Moa sono divenute rudimentali assai probabilmente in causa della mancanza di quadrupedi carnivori nei loro paesi »; ed infine « le eliconidi protette dall’ acre odore loro proprio, non essendo costrette a fuggirsene d’ innanzi ad un nemico, ... hanno il volo lento » (3) ecc. A tutto questo non si dà veruna noia, e ciò che è assai più, tali osservazioni vennero da vari mae- stri della scienza giudicate molto buone. Per qual ra- gione dunque non si troverà ammissibile quanto io dico, e cioè che le leggi di equilibrio non permettono che una cingallegra sia mammifero, perocchè quando la fem- mina si trovasse prossima al parto sarebbe caricata del peso di venti: piccoli, i quali le renderebbero impossibile l'equilibrio necessario pel volo (4); ovvero che, sempre (1) Wallace. SéZection naturelle pag. 74. — Come mai la Gal- leria cerella non ha ancora pensato a procurarsi essa pure forme imitative? E sì che aveva dinanzi modelli senza dubbio assai buoni: ad esempio la Sesia apiformis, farfalla con sembianza di ape. Non pertanto la Galleria cerella penetra purtroppo liberamente, benchè tanto riconoscibile, nei favi delle api. (2) Wallace, o. c. pag. 75. (3) Wallace, o. c. pag. 79. (4) Si vegga addietro pag. 287. ee ic TELEOLOGIA 429 per eguale motivo, la parte posteriore del corpo di un pipistrello debbe essere atrofizzata ? (1) Quale sarebbe la ragione per rigettare l’ osservazione che le ossa se- samoidali della tigre sono parti essenziali per l’ ambu- lazione, mentre immaginando che non vi fossero si sup- porrebbe con ciò un organismo insussistente? (2) Come potrebbesi mai muover dubbio che la deficenza del cu- bito nel braccio del pipistrello abbia per effetto di to- gliere la rotazione della sua mano, la quale sarebbe in contradizione col volo? E cosa deplorevole che sotto il nome di teleologia si confondano due idee diversissime. Quando si cercano scopi e fini, e si riferiscono alla natura intenzioni che sono proprie solo dell’ osservatore, allora la teleologia è lasciata in balia della immaginazione, o se vuolsi del genio de’ suoi cultori. Sia d’ esempio il Wallace. Quando, invece sì cercano le condizioni per le quali è resa possibile una esistenza organica, ovvero senza le quali una esistenza organica è impossibile; quando si inda- gano le leggi e le regole che hanno condotto al conse- guimento di un fine, il quale, si noti bene, era impossibile ottenere se non mediante una via sola: allora la te- leologia non crea nulla d’immaginario o a meglio dire non vi mette nulla del suo. La sua strada è quindi prettamente scientifica, perchè applica cose cognite e (1) Si vegga addietro pag. 241. (2) Si vegga addietro pag. 150. 430 TELEOLOGIA principî generali della scienza alle conclusioni che ne deduce. Sia ad esempio Foucault quando ci addita 1’ as- soluta impossibilità di ottenere in un animale una ro- tazione continua di un pezzo su un altro, dovendosi conservare fra questi due pezzi la continuità per cui tutte le parti aderiscono insieme, ed avvi conessione di tessuto fra due punti qualsiasi del corpo (1). Così il Ga- lilei ci avverte che le ossa vuote degli uccelli arrecano la necessaria leggerezza e forza pel volo; e che una spica giunta a maturità è sorretta dal suo stelo che è vuoto, mentre questo non potrebbe sostenerla se con eguale quantità di materia fosse tutto pieno; e ciò egli dice dopo avere dimostrato che un cilindro vuoto è molto più robusto di un altro pieno, rimanendo co- stante la quantità di materia impiegata in entrambi (2). — Così infine Newton, il quale, avendo osservato il po- tere rifrangente delle sostanze infiammabili, fa 1’ applica- zione di questo fatto che vede ripetersi nel diamante, per dedurne la combustibilità di questa pietra. In tutto ciò si hanno premesse e conclusioni: e veggonsi principî generali della scienza applicati a co- struzioni naturali per conseguire scopi che si sono ot- tenuti mediante l’impiego di mezzi scelti ed acconci. Ma queste sono pure tante viste teleologiche o de- duzioni scientifiche poste nel loro lume. (2) Journal des Savants. Mars 1871 pag. 136. (3) Galileo Galilei — Opere — Vol. mm. Dialoghi pag. 570. TELEOLOGIA 431 Bacone, del quale è divenuta sì celebre la con- danna pronunziata contro le cause finali, condanna og- gidi cotanto ripetuta, non disprezzerebbe certo questa seconda teleologia. Converrebbe esser cieco a non ve- dere, che per conseguire l’ ambulazione occorrevano estremità a più pezzi, ovvero che non si sarebbe mai giunti allo scopo di dare all’ uomo od alla cicogna il modo di rimanersene ritti senza che avessero una base di sopporto foggiata ‘secondo le regole della statica e dell’ equilibrio. Uno scienziato che si faccia ad esaminare una .mac- china costrutta dalla mano dell’ uomo, esercita la teleo- logia; sì, senza dubbio: ma durante il suo esame esso sì occupa di tre cose. — Riesce a scuoprire il fine che si è prefisso il costruttore — vede che in questa mac- china sono state osservate le leggi meccaniche, dinami- che ecc., e ciò che più monta vede che esse appunto hanno imposto quella tale costruzione — infine egli fa ancora di più; giudica per avventura che quella mac- china poteva essere fatta molto meglio, basandosi sulle leggi fisiche, meccaniche ecc., dominanti. Non dissimilmente adopera l’ uomo quando esamina le opere della natura. Vi scorge del pari uno scopo, come i denti per masticare, le gambe per camminare, le mani per prendere — di più si accorge che le leggi che reggono il mondo fisico sono state osservate con esattezza matematica, e che sotto il regime di queste leggi meccaniche era indispensabile che le estremità fos- 432 CREAZIONE E TELEOLOGIA sero di più. pezzi, che le mani prensili avessero più di un dito ecc. — Ciò che egli non vi vede ancora, è la terza operazione; vale a dire se potevasi far meglio di quello che si ha nelle costruzioni naturali, od anche se pote- vasi fare in un modo diverso, ben inteso che fosse ra- zionale. Non v'è ancora uno scienziato che ci abbia detto qualche cosa sotto questo rapporto. Potrà essere ciò riservato all’ avvenire: ma ci sia lecito dubitarne: e a dir vero vi ha molta ragione per rimanerne in dubbio. Da ultimo ci conviene toccare una quistione di buona fede coi Trasformisti. — Non è forse vero che la Dot- trina della creazione indipendente costituisce una qui- stione, disputabile se vuolsi, ma che oggimai non è più nè un assurdo nè un soggetto ripudiato dalla scienza? Ora, se per caso essa fosse vera, qual sarebbe l av- venìre naturale degli studi che vi si facessero intorno? Eccolo. Se la Dottrina della creazione indipendente è una verità, ne viene una conseguenza di fatto; vale a dire, che ogni cosa che ne circonda è opera del Crea- tore. Dunque ogni passo che si faccia nella esplorazione degli esseri naturali sarebbe uno esplorare il pensiero archetipo del Creatore, e bisogna bene aspettarsi che sarebbe uno svelarsi dei mezzi da lui usati a consegui- re un fine, ed un enuclearsi di un problema scientifico perfettamente ideato: in una parola un passo su questa via dello studio degli esseri naturali sarebbe il manife- Tera CREAZIONE E TELEOLOGIA 435 starsi di una causa finale. Qual rimprovero sarà dunque da farsi a noi, se talvolta durante il nostro cammino ven- gano ad emergere alcune considerazioni teleologiche? Po- trete bensì imporci silenzio, e proibirci ogni discussione, dimostrandoci falsa la Dottrina della creazione indipen- dente: ma se non giungete a ciò, non potrete mai im- pedirci di trarre le conseguenze che derivano dalle pre- messe; e converrà che sopportiate con animo rassegnato che noi ad ogni piè sospinto vi diciamo: ecco che nella mano dell’ uomo, della tigre, o di altro animale, tro- viamo scienza ed arte; ecco un fine già voluto, ed i mezzi scelti per conseguirlo. Bisogna togliere la causa, quando se ne voglia sopprimere gli effetti. Nello stato in cui trovasi presentemente la quistione non veggo omai possibile una dimostrazione che provi falsa la Dottrina della Creazione indipendente. Per quanto io conosca, un solo passo (1) alquanto serio si è fatto a questo fine, ed è stato il problema (1) So che si è tentata questa dimostrazione invocando ancora gli organi rudimentari ed i reliquati anatomici: come pure rimane sempre vivo l’ attacco contro la Creazione indipendente per parte della eronologia o della evoluzione paleontologica. In quanto al primo capo ho iniziato alcune osservazioni a pag. 197 e seg., alle quali tuttavia resterebbe molto ad aggiugnere: e quanto alla paleontologia ho manifestato già il mio pensiero nell’ avvERTENZA che chiude que- sto lavoro. 28 434 CREAZIONE E TELEOLOGIA che ha fornito l'argomento di questo libro. Ora ciascuno ha veduto se la Dottrina della Creazione indipendente sia stata ridotta al silenzio, o siasi trovata in impac- cio a risolvere il problema, od anche se abbia pur la- sciato un lato debole allo scoperto. A me pare che no. Qual è il giudizio dei Tra- sformisti ? Bologna — Settembre 1874. (3. GIUSEPPE BIANCONI. iride — APPENDICE ANALISI DI ALCUNI MOVIMENTI DELLA MANO DELL’ UOMO Fra la sorprendente varietà di movimenti che può compiere la mano dell’uomo, ne sceglieremo alcuni principali, come la tor- sione, lo stiramento in senso obliquo, lo stiramento diretto, V îm- pulsione radiale, l impulsione palmare, e V innalzamento con pro- nazione. Torsione. — Un succhiello messo in opera da una mano ci somministra una giusta idea della torsione: è la stessa cosa se la mia mano gira una chiave, o se, avendo afferrato un bastone alla metà, un’ altra persona si sforzi di farlo girare. Nei due primi casi, il succhiello e la chiave sono posti in moto dall’ azione del brac- cio sulla mano; e nel terzo la mano dominata dal braccio procura di fermare il bastone che gira. Dunque è diversa nei tre casì l’ a- zione motrice o la sorgente donde partono gli sforzi; perchè nei primi la forza che muove è quella del braccio, e nell’ altro è la rotazione del bastone. Del pari sono invertite le resistenze: nei primi casi la resistenza risiede nel succhiello e nella chiave, nell’ ultimo invece risiede nel braccio. Checchè ne sia del posto della forza mo- trice e della resistenza, la mano si trova sempre nella medesima condizione; essa è sempre contorta, o, a dirla più esattamente , 436 APPENDICE è contorto il carpo (1). Ben è vero che il radio ed il cubito, me- diante i reciproci movimenti di pronazione e di supinazione, pos- sono attenuare alcun poco la violenza di una torsione che avvenga sul carpo; ma tuttavolta questa facoltà ha un limite, ed il carpo può anche essere sforzato oltre a questo limite. In ogni caso il carpo sopporta sempre una torstone passiva. La mano nel girare un suc- chiello agisce diversamente nelle due metà interna ed esterna; la parte, che comprende l'indice ed il pollice, tende a girare innal- zandosi verso il dorso della mano, mentre l’annulare ed il mignolo tendono ad abbassarsi verso la palma. Tale è la torsione di destra (2). Le ossa del metacarpo seguono necessariamente la stessa direzione, e in grazia della loro interpo- sizione il movimento si trasloca sulla serie inferiore del carpo o deutocarpo, che è la parte veramente esposta a questi sforzi. Due delle quattro ossa che la compongono, cioè il trapezio e il trape- zoide, sono spinte nella direzione dalla palma verso il dorso della mano. All’incontro, l’ uncinato è spinto nella direzione della palma. Sono due bracci laterali che agiscono in senso contrario, ma che concorrono entrambi a sforzare il capitato sicchè giri sopra sè stesso, trovandosi il detto osso collocato fra i due movimenti che tendono a farlo girare di tal guisa. Questo sforzo è appunto nella (1) Altrove abbiamo notato che la parte preensile della mano (cioè le dita) aderisce passivamente all’ oggetto preso, e costituisce un tutt’ insieme coll’ og- getto istesso. Il carpo è la sola parte, che essendo intermedia in ogni caso fra la potenza motrice e la resistenza, riceve sopra di sè tutte le impressioni degli effetti dinamici. Dunque è realmente il carpo che soffre la torsione. (Veggasi pag. 62 e seguenti). (2) Può chiamarsi torsione di destra, quella che trasporta il pollice dal lato sinistro verso il destro; l’ altra opposta, si chiamerà torsione di sinistra. La pri- ma è la più ordinaria, più naturale, e più forte: essa esercita il suo punto di pressione col quarto e quinto dito. Osservando lo scheletro, e in conformità della prevalenza di forza che riscontrasi applicata alla metà interna della mano, sì trova un appoggio più valido, contro questo genere di movimento mercè le com- plicate facce espanse dell’ uncinato col piramidale, ed i suoi attacchi col capitato. È APPENDICE 437 direzione del movimento del succhiello, e il suo centro di rotazione corrisponde al centro della mano, ossia al capitato. L' articolazione endocarpiana, per ragione della sua forma, per- mette movimenti di rotazione, se vuolsi piccolissimi, come quelli che abbiamo già indicati. La serie inferiore (compreso o no il trapezio ) pare che formi un sistema capace di girare sopra un perno, il quale viene offerto dal capitato. Diffatti il trapezio ed il trapezoide hanno una faccia articolare sullo scafoide; e dall’ altro canto 1’ un- cinato possiede una faccia di scivolamento sul piramidale. La testa del capitato si trova fuori della linea trasversale d’ articolazione, ed è impiantata nella cavità scafoido-semi-lunare; e le diverse facce che compongono la sua grande testa si mostrano come facce di scivolamento addattatissime ad una rotazione iniziale. Del resto si sa come le facce di scivolamento permettano soltanto un movimento ristrettissimo (1), e che tutti i pezzi ossei or ora nominati sono stretti fra Ioro da parecchi legamenti. Se dunque per una parte è possibile un movimento di rotazione, esso è racchiuso entro a ri- strettissimi confini, vale a dire i confini delle facce di scivolamento in accordo coi legamenti: questo movimento non può dunque es- sere che assai poco notevole. Pertanto l’ apparato rotatorio della mano non serve già a permettere una libera ed estesa rotazione, ma serve a ricevere lo sforzo di rotazione, a padroneggiarlo, e a de- comporlo in guisa, che lo sforzo per siffatto apparato è dominato, fermato, e addolcito. Ogni cosa è qui disposta per attenuare gli sforzi di rotazione che si concentrano sulla mano. Ciascuno dei quattro pezzi del deutocarpo durante lo sforzo di rotazione del me- tacarpo tende a girare sul proprio asse, ed allora i fasci legamen- .tosì si mettono tutti in azione, ripartendosi egualmente lo sforzo, e tutti sopportandone una data porzione. Per conseguenza anche i pezzi del protocarpo sono tutti stirati in diversi sensi, condottivi (1) Per maggiori particolari può consultarsi l'articolo Maece di scivolamento. Pag. 73. 438 APPENDICE dalla forma speciale delle facce di scivolamento. Lo ripeteremo an- cora un’ altra volta, ed è cosa chiara: l’ ufficio delle facce di scivo- lamento, congiunte ai loro legamenti, è quello di attenuare dolce- mente i colpi e gli sforzi violenti, sia poi che essi partano dalla - potenza muscolare, sia che provengano da una forza esterna. Non anderemo più in là coll’ esame del capitato, in quanto che esso serve di perno centrale alla mano per la rotazione. Noi dunque ometteremo di indicare in qual modo i punti d'appoggio che ha il me- tacarpo sul deutocarpo, trasportino sul capitato nell’atto della torsio- ne la maggior parte degli sforzi di tutte le dita. Da un lato il quarto e il quinto dito stanno sopra l’uncinato, i cui movimenti trascinano di necessità anche il capitato, a motivo particolarmente dei lega- menti interossei (1). Dall’ altro lato l'indice col suo grande talus palmare e laterale s' impunta sul capitato ; e, più generalmente par- lando, le parti che sono implicate nella torsione, si appoggiano più o meno su quest’ osso come sopra un fulero centrale (2). La serie superiore gli presenta dal canto suo un ricetto nel mezzo, e nei lati delle superfici articolari o di scivolamento, acconce a for- nirgli qualche po’ di libertà d’ azione per riguardo al fulcro. L’ impiego di questa disposizione, per quanto ci sembra, è as- sai frequente nell’ uomo, il quale pei movimenti delle sue estre- (1) Tavola xxr. fig. 3. DI (2) Tavola xxr. fig. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XXI. La mano dell’ uomo ne’suoi movimenti. Fig. 1. Scheletro della mano durante lo stiramento obliquo. — 4 ) Fune. — e) carpo — %) ulna — #) radio. (Copiato dalle ottime tavole anatomiche del Prof. Calori). Fig. 2. Secondo metacarpo durante la repulsione pollicare. — e d) metacarpo dell’ indice — 5) trapezio — 6) capitato. Fig. 3. — Iv e v) quarto e quinto metacarpo durante la repulsione ulnare — 6) capitato — 7) uncinato. Lit.GWenk. Contoli dis* O.Nanmini It. a APPENDICE 439 mità anteriori, sia lavorando di mestiere, sia nelle svariatissime condizioni della vita, soffre ben di sovente torsioni nella sua mano: ma si può aggiugnere che un impiego di simili parti avverrà ogni qual volta si hanno mani preensili. Così ogni mammifero, il quale abbia le occasioni di far subire torsioni alle sue mani, avrà altresì l’ articolazione endocarpiana provista in guisa da attu- . tire gli sforzi di torsione. Il che noi riscontriamo nelle scimmie, e mai non ci è dato riscontrarlo nei pachidermi, nei ruminanti ecc. Ora dobbiam notare che se la costruzione dell’ articolazione en- docarpiana col perno centrale del capitato rappresenta la torsione, e se essa è il meccanismo fatto apposta per superarne gli sforzi, ne consegue che l’uomo non poteva andarne privo, ed è una neces- sità meccanica l’ esistenza del capitato, e quella delle facce di scivola- mento e articolari che lo circondano. Ciò non guasta menomamente quest’ altra osservazione, che cioè l’ uniformità di struttura dell’ ar- ticolazione endocarpiana nell’ uomo e nei quadrumani è la conse- guenza della uniformità della loro vita; perocchè la preensione dei quadrumani non può essere senza torsione, nè la torsione senza ar- ticolazione con perno centrale. Dunque ogni mano preensile ha una articolazione con perno, per necessità meccanica. Stiramento obliquo. — Il caso più ordinario di stiramento o di trazione, si ha quando tirasi la estremità di una fune o di un bastone (1). A tal uopo sono necessarie due condizioni: 1.° fissare la corda all’ estremità dell’ avambpaccio mediante la presa colle dita: 2.° porre la corda il più che sia possibile nella stessa direzione dell’ avambraccio. Posso bensì stringere una fune solo coll’ indice, od anche col medio, per tenermivi appeso; ma mi accorgo che la mia presa è debole e difettosa. La sento invece completa e totale quando aggiungo l’ annulare e il mignolo, accompagnati dall’ azione del pollice. (1) Tavola xxr. fi. 1. 440 APPENDICE Ma, per eseguire la seconda condizione, bisognerebbe che la fune passasse longitudinalmente sul dito medio, sul suo metacarpo, e sul carpo, sempre nella direzione dell’ asse dell’ avambraccio. Se non che questa ipotesi non può avverarsi, essendo impossibile qual- siasi preensione allorchè le dita stanno distese. i È dunque necessario collocare obliquamente la fune nella mano, e che la fune posi sopra la prima falange dell’ indice fino alla metà del quinto metacarpo (1). Allora la preensione è possibile, e le quattro dita agiscono come quattro uncini che accerchiano la fune. Se non che diverso è il modo di accerchiare la fune, per- chè l’indice che è il più sporgente di tutti forma un uncino aperto; dopo di esso gli altri quattro ricingono completamente la fune; e il pollice viene in aiuto alle altre dita, premendo fortemente la fune contro la cavità della mano, ovvero comprimendo le ultime falangi delle prime dita. Con codesta disposizione si ha una presa perfetta, ma l’asse della fune e l’asse brachiale non sono ancora sulla medesima li- nea. Allora, girando la mano con una mezza pronazione, ed incli- nandola dal lato interno, si ottiene quasi interamente il paralle- lismo dei due assi (2); ma nel tempo stesso si dà necessariamente una notevole obliquità alla mano ed al carpo. Diffatti 1’ indice è in- clinato quanto è possibile verso il dito mignolo; e, se si conduce l’asse brachiale sul dorso della mano, si vede che discende fra la testa inferiore dell'indice e del dito medio, e attraversando per lo mezzo la prima falange dell’ indice raggiunge l’ asse della fune, che trovasi in una linea perfettamente a quello parallela. In una operazione qual’ è lo stiramento, che molte volte richiede (1) Tavola xxI. fig. 1. (2) Ben inteso che qui si considera lo stiramento con una mano sola, e soltanto al principio dello stiramento; perchè, se si mantiene la estensione del braccio ritraendo all’ indietro il corpo, si conserva tutta l’ intensità dinamica dello stiramento; oppure accade la flessione del braccio, ed allora si produce un altro ordine di movimenti ed una diminuzione di forza. APPENDICE 441 una estrema violenza, facea mestieri avere per quanto è possi- bile la cooperazione di tutte le parti della mano. L’ indice ha senza dubbio una parte principale nello stiramento, ma la sua presa è minore di quella di tutte le altre dita. Se tutti i metacarpi e tutte le prime falangi avessero la medesima lunghezza, è chiaro che l’ accerchiamento della corda mediante le dita potrebbe farsi solo nella direzione trasversale della mano, il che lascierebbe ogni sforzo da sopportarsi all'indice. Per contrario la brevità del quarto e quin- to dito permette loro di accerchiare perfettamente la corda, premen- dola d’ ogni parte, e stringendola molto bene. Allora sotto lo sforzo dello stiramento il dito mignuolo si appoggia sull’ annulare, questo sul medio e sull’indice, ed insieme conferiscono all'opera di te- nere la corda con vigorosa presa; ma bisogna notare che esegui- scono questa buona presa quando la corda passa molto obbliqua- mente nella mano, vale a dire quando trovasi nella stessa direzione dell’ asse brachiale. Queste due condizioni, la presa cioè e la dire- zione, sono allora pienamente attuate (1). L’obliquità generale della mano, che abbiamo indicata relati- vamente all’ asse brachio-funale, dipende dall’ essere l’asse funale a qualche distanza dall’ asse brachiale, benchè gli sia parallelo (2). Il ponte che insieme li unisce, ossia la parte che stabilisce la connes- sione e l’ unità dell’ asse brachio-funale, è il carpo, il quale passa dal braccio alla corda. Ed ecco il carpo sottoposto ad un doppio stiramento obliquo. Ora, stando così le cose, quale sarà la condizione dei pezzi carpiani? A questo proposito bisogna rammentare ciò che abbiamo svòlto altrove. I muscoli flessori delle dita sono bensì sottoposti in questo caso anch'essi alla obliquità generale della mano, ma in fin de’ conti (1) I nostri operai, senza conoscere menomamente le regole della dinamica, tengono la corda od il bastone fra le mani nel modo sopra indicato. (2) Tavola xxr. fie. l. 442 APPENDICE la loro azione è all’ incirca sempre longitudinale. Il loro stiramento produce due effetti: il primo, di piegare le dita e stringere la corda; il secondo, di ravvicinare fra loro le facce articolari del carpo e del metacarpo. Ci faremo a considerare soltanto le facce di contatto del metacarpo col carpo, pei motivi che esporremo. Quando si tiene in mano una fune od un bastone, le dita (cioè le falangi) non fanno altro che comprimere ed assicurare la fune od il bastone sul metacarpo: non hanno altro ufficio. Gli sforzi impressi alla mano da una corda tesa, ricadono tutti sul me- tacarpo; di guisa che la parte che dev’ essere la prima a sentirne gli effetti, e che deve opporre una resistenza, si è il punto, o me- glio la linea di unione del metacarpo col carpo. I pezzi delle due serie del carpo entrano alla loro volta in funzione. Le facce di con- tatto del secondo metacarpo col trapezoide, o del terzo col capitato, sono proviste di creste, di talus, di seni, per forma che sotto la contrazione muscolare si porgono uno scambievole appoggio, che d’ ordinario non ha luogo, e costituiscono facce di mutua chiusura che recano ai due pezzi grandissima stabilità. Essendo i metacarpi fermati sulle ossa del carpo, le scosse sopportate dalla prima serie di essi si propagano in parte sui secondi, che alla lor volta agi- scono mediante i loro legamenti e le facce di scivolamento (1); ma questa azione della forza muscolare esclude l’ intervento di contrasti nei pezzi ossei sulla direzione longitudinale. Poichè il contrasto mu- scolare, come abbiam detto altrove, porta tutte le ossa le une sulle altre in questa direzione longitudinale, esse si stringono a vicenda. Essendo i pezzi del carpo appoggiati lateralmente l’ uno dal- l’altro, ed i metacarpi ingranati sopra di essi, tutti codesti pezzi sono fissi ciascuno al proprio posto, e servono a regolare e con- durre lo stiramento muscolare. (1) Parmi che un’ azione speciale si eserciti sulle facce di congiunzione del- l’uncinato e del piramidale, perché la direzione di questa unione è nel senso or- togonale dello stiramento, attesa la obliquità della mano durante questa azione. APPENDICE 443 Non bisogna peraltro dimenticare, che lo ‘sforzo di stiramento è spesse volte congiunto a torsioni o flessioni più o meno grandi: ed allora entra’ in funzione la meccanica dei contrasti ossei e delle facce di scivolamento. I suoi effetti sono quelli di attenuare, e di ad- dolcire i colpi improvisi e gli sforzi violenti. Stiramento diretto. — Rigorosamente parlando si può dire, che non ec è mai stiramefito diretto. In questo stiramento si richie- derebbe che l’asse brachiale e l° asse del terzo metacarpo fossero entrambi sulla medesima linea: il che non avviene mai, tranne il caso di produrre un piccolissimo stiramento col solo dito medio. Ma quando si impiegano tutte quattro le dita, è ben chiaro che un ci- lindro od una corda stretta nella mano vi si dee trovare alquanto inclinata, non foss’ altro per cagione della diseguaglianza delle ossa metacarpiane. Affine di collocare le direzioni dell’ asse brachiale e del cilindro ne’ loro naturali rapporti di un angolo retto, biso- gna che i metacarpi si dispongano secondo alcuni gradi di obli- quità. Ma, tutto ponderato, l’azione muscolare opera all’ incirca in direzione longitudinale, ed allora si ritorna a quanto abbiamo detto di sopra. Qui diffatti, come nello stiramento obliquo, le facce di contatto del carpo e del metacarpo, sono tutte premute e chiuse dalla contrazione muscolare; non vi sono contrasti ossei per reagire contro lo stiramento longitudinale; e soltanto se v abbia complica- zione di torsioni collo stiramento diretto, i contrasti meccanici os- sei e le facce di scivolamento trovansi allora pronti per entrare in esercizio. Impulsione. — Benchè si potesse indicare una grandissima quantità di movimenti che sarebbero tutti compresi sotto questo nome, ne sceglierò soltanto tre, vale a dire la impulsione pollicare, la impulsione del pugnale, e la repulsione palmare. Cominciamo dalla prima. 444 APPENDICE L’ uomo che stringe colla sua mano una lancia od una spada, e vibra un colpo, ci somministra l’idea di ciò che s'intende per impulsione pollicare. Diffatti il pollice e l’indice son essi che hanno la maggior parte in questa azione. Il pollice e l'indice formano quasi un doppio anello; il primo sormontando il secondo, lo comprime sull’ asta della lancia o sulla impugnatura della spada. Questo anello, che fortemente stringe la lancia tutto intorno, riceve pel primo il contracolpo di quest’ arma. Difatti allorquando vibrasi un colpo di lancia, quest’ arma tende a scorrere all’ indietro; ma, fermata poi dalla mano per la forza di preensione, essa rimane al suo posto. La qual cosa peraltro non avviene senza un urto violento sulla mano, e principalmente sul pol- lice e sull’indice. L’urto colpisce di fianco non solo queste due dita, ma le altre ancora che fanno una presa gagliarda sulla lancia; e più assai che le dita, l’urto colpisce di fianco i metacarpi. Questi sono quasi in procinto di spostarsi verso il lato del dito mignolo. Siffatta impulsione laterale introduce un nuovo genere di resi- stenza nella mano. Lasciato in disparte il pollice, è necessario che le quattro dita siano disposte in modo da far fronte agli sforzi che nel nostro caso provengono dal lato radiale. Conviene pertanto esuminare brevemente questo problema, per conoscere come sia stato risolto. Dove trovasi il punto di resistenza? Esaminando il mio indice o qualsiasi altro dito, quando è disteso e urtato in punta dal lato radiale, esso mi offre una debolissima resistenza. Lo stesso dicasi se l’impulsione, invece di essere applicata alla falange ungueale, la sia sulla seconda falange o sulla prima. Se contraggo i muscoli del mio dito, sento aumentare la resistenza; ma essa non è ancora in grado di superare sforzi un po’ notevoli, e mi accorgo altresì che fra non molto potrebbe accadermi una lussazione. Allento di nuovo i muscoli motori dell’ indice, e trasporto la pressione sulla testa inferiore del metacarpo. Tutto cangia allora; e sento manifestarsi una grandissima resistenza, che quasi direb- besi tende alla stabilità. Aggiungo poscia la tensione dei muscoli APPENDICE 445 flessori, e conosco che la resistenza è giunta quasi a tal grado da non poter essere vinta. Ma torniamo alla lancia. E manifesto, che tutte le falangi hanno l’ ufficio di premere l’ asta incontro al metacarpo, e che la loro massima importanza è di tenervela vincolata strettissimamente. Codesto è il loro compito; codesta, e non altra, è la loro sfera d’azione: l’asta è collocata in direzione trasversale per rapporto ai quattro ultimi metacarpi, cosicchè queste ossa sono la parte sola che subisce tutto l’ urto della lancia. Lo sforzo dunque si concentra sul metacarpo, il quale d’ al- tronde è molto bene preparato ad opporvisi gagliardamente, perchè è fornito di una mirabile resistenza. Mi si potrà dire, che la diversità della resistenza opposta dalle diverse parti del dito dipende dalla differenza delle articolazioni. Sì, questo è precisamente ciò che bisogna stabilire. L° articolazione posta fra il metacarpo e la prima falange è liberissima, l’altra cioè la carpo-metacarpiana è un ingranaggio a mille diseguaglianze. È facile conoscere come debba aversi gran numero di effetti per conseguenza di cotante parti rialzate od incavate, e di tante facce di contatto tutte diversamente inclinate. Pare che qui ci siano molti elementi, atti a produrre una solidissima unione meccanica. Qual- che cosa ne abbiam detto parlando del metacarpo in generale; ed ora vi aggiungeremo alcun’ altra particolarità; ma, come è naturale, non mi prefiggo di descrivere tutte codeste parti come sono; e mi studierò soltanto di notarne qualcuna. Per procedere con maggiore chiarezza nel nostro studio, bi- sogna notare che l’ impulsione laterale esterna, che avviene sulle ossa del metacarpo, non è già un semplice urto di destra a sinistra: giacchè, decomponendo questo movimento ne’ suoi elementi, vi si trova una tendenza sia a spostare le teste superiori articolari me- tacarpiane verso il dito mignolo, sia ad inclinare la testa inferiore del secondo metacarpo sul terzo, e via di seguito. Ora l’ articola- zione carpo-metacarpiana dell'indice ha per iscopo di assicurare l'osso metacarpiano di contro a questi due movimenti. 446 APPENDICE La testa superiore del secondo metacarpo, quello cioè dell’ in- dice, è dilatatissima; e la sua massima espansione si trova dal lato interno presso al dito medio. La sua superficie superiore è incavata dall’innanzi all’ indietro, e con tale cavità abbraccia il suo trape- zoide (1); uno de’ suoi lati si appoggia sul trapezio, e l’altro sul capitato; e questa testa, assicurata da robustissimi legamenti sulle tre ossa carpiane, stabilisce una unione molto salda. Ma ciò che mi preme di notare si è, che la saldezza di questa unione principalmente procede dai contrasti che si producono fra le parti solide, perciocchè le parti salienti e rientranti formano come tanti ingranaggi, i quali, a pur godere di tutta la loro forza di unione, che non può mancare stante la loro meccanica disposizione, abbisognano di una condizione sola; cioè che tutte queste parti si trovino al loro posto. Ponete una sega a contatto della sua corri- spondente; entrambe allora diverranno immobili, a patto solo, che tutti i pezzi sieno al proprio posto. Quest'ultima funzione è coadiuvata come abbiamo già detto dai legamenti nella articolazione carpo-metacarpiana. Ma all’ occorrenza vi si aggiugne un rinforzo, cioè, la contrazione muscolare. Allora tutti i pezzi solidi di contrasto del carpo e del metacarpo si com- baciano reciprocamente; e così stretto fortemente dai legamenti e dai muscoli, il metacarpo diventa come saldato sul carpo, ed ha acquistato la sua immobilità. (1) Tavola xxI. fig. 2. APPENDICE 447 Mediante questo meccanismo il metacarpo è interamente pog- giato sul carpo, che addiviene allora il centro della resistenza con- tro la impulsione laterale. Le parti solide ci offrono ancora altre osservazioni sulla testa del metacarpo. Il trapezoide, colla sua metà inferiore, discende per un angolo più risentito presso il dorso della mano fra i due rami che formano l’incavo della testa metacarpiana (1): con che porge due facce di contatto molto inclinate ai due rami c. d. della testa metacarpiana; ma la prima faccia c. (dal lato del pollice) è una faccia di resi- stenza contro l’ 2mpulsione radiale. Viene appresso il grande talus d., il quale s' appoggia sul capitato d. e forma una seconda resi- stenza contro l’ @mpulsione radiale, la quale resistenza inoltre è molto gagliarda, perchè questo ta/us occupa tutto il margine presso il capitato, ed è grossissimo ed assai sporgente. Esso ha la forma quasi di un remo, ed in realtà è potentissimo, collocato nel punto più alto, e dal lato opposto a quello ove si esercita 1° &mpulsione laterale. La più semplice considerazione dimostra, che esso è posto nel luogo ove si concentrano gli sforzi della impulsione laterale; ed altresì chiaro apparisce, che il suo posto come anche il suo vo- lume lo mette in grado di prestare una proporzionata resistenza. Da ciò si comprende che questo /4/us d. gode di tutta la esten- sione possibile per somministrare la più ampia base di resistenza. Questo talus, nato sul dorso della mano, si protrae fino alla palma della mano, laddove termina in una punta più o meno grossa che sì appoggia sul capitato anch’ esso molto sporgente. Dunque estesis- sima è la linea di resistenza ortogonale nella direzione dell’ impul- sione; e cade in acconcio il notare, che corrisponde egualmente bene ai due movimenti. Come abbiamo detto, è una faccia di resistenza contro l’ impulsione che tende a spostare l’ articolazione metacar- piana verso il dito mignolo, ed è un valido appoggio contro il mo- (1) Tavola xxI. tig. 2-5. 448 APPENDICE vimento che tenderebbe ad inclinare l osso metacarpiano su quello del dito medio ; giacchè si conosce come 1’ estensione in alto del talus d. venga a moltiplicare la tensione quasi stabile dei fasci legamentari che rannodano il trapezio e il trapezoide al secondo metacarpo. Ram- mentando in fine ciò che abbiamo detto sin da principio, che la dilatazione della testa metacarpiana dell'indice si fa principalmente verso il mezzo della mano, di guisa che il grande ta/us sporge fin sotto il terzo metacarpo, osservasi come si svolga un massimo di resistenza laddove si riassume il massimo degli sforzi prodotti dai movimenti dell’ impulsione laterale. Con ciò si acquista la certezza, che il metacarpo dell’ indice non può ricevere l’ urto dell’ impulsione laterale, senza che quasi tutto lo trasmetta sul capitato. Parmi che il fin qui detto basti a mettere in piena luce, che l’articolazione carpo-metacarpiana dell’ indice ha un apposita costru- zione per resistere ai movimenti dell’ impulsione laterale, e che co- d»sta articolazione è regolata secondo le leggi dinamiche e mec- caniche, salvo ciò che dee servire per movimenti di altre specie. Sotto lo storzo della impulsione radiale, il terzo metacarpo, per la sua struttura, porge aiuto al secondo. Su questo terzo metacarpo cade tutto l'eccesso della impulsione che non è attutita direttamente dall’ indice. Cito soltanto la sua appendice stiloide o tas e. nella faccia dorsale, che dal lato radiale s’ inoltra sul capitato A (1). Essa pure stabilisce un punto di resistenza contro lo spostamento oriz- zontale dell’ articolazione metacarpiana. Il dito medio grava anch'esso colla sua parte d’ impulsione laterale sul capitato. Si potrebbe ag- giungere ancora qualche influenza del quarto metacarpo, ma la tra- lascio per amore di brevità; tanto più che è ben palese come la prima prova di forza e di resistenza sotto lo speciale rapporto dell’ impulsione laterale radiale, resti affidata al metacarpo del- l’ indice. In conclusione, quando una impulsione laterale pollicare 0 ra- (1) Tavola vr. fig. d. n° APPENDICE 449 diale percuote ìî metacarpi lateralmente, le superficie di contatto, o se vuolsi le superficie articolari di questi pezzi con quelli del carpo, oppongono scambievolmente molti punti di contrasto, di guisa che riesce impossibile lo scivolamento laterale della serie metacarpiana sulla carpiana. Tutta la violenza del colpo ricade e si concentra principalmente sul capitato. Dopo queste osservazioni sul metacarpo, è mestieri che diciamo qualche cosa sul carpo. La violenza del colpo, che per causa di una impulsione radiale urta in primo luogo il capitato, non risparmia certamente le altre parti del carpo. Il capitato nella impulsione laterale pollicare è pre- muto fortemente dal trapezoide; ma esso poi si appoggia mediante la sua faccia interna sull’ uncinato con una superficie la quale trovasi ortogonale colla direzione del colpo; ed infine alla sua volta l’ un- cinato si posa sul piramidale. Allorchè tutte queste ossa sono pre- mute dall’ impulsione pollicare si chiudono scambievolmente, mercè le loro facce di contatto, e tutte insieme formano un arco saldis- simo che poggia la sua testa sul piramidale. Ma in fin de’ conti tutte le ossa del carpo sono implicate simultaneamente dall’ effetto dinamico di una impulsione laterale. Il che più facilmente riesce manifesto ove si consideri, che si hanno otto pezzi tutti insieme collegati dai legamenti interossei ed esterni, le cui facce di contatto sono coperte da cartilagini elasti- che, e lubrificate da sinoviali. Con siffatto organismo, un urto per impulsione pollicare, il quale colpisca principalmente il capitato sotto la duplice direzione di fianco e d'inclinazione, si comunica altresì alle altre ossa che partecipano dello stesso moto di sposta- mento e di declinazione. Allora entrano in azione tutte le facce di contatto ed agendo secondo la loro natura e la loro forma, per- mettono certi movimenti che producono il cangiamento di livello dei pezzi, la mutazione della relativa direzione dei loro assi, ed in ultima conseguenza permettono di aprire parzialmente tutte le loro unioni mediante l’ allontanamento di una parte delle facce fra loro. 29 450 APPENDICE Ma questi movimenti, essendo limitatissimi e molto oscuri perchè le ossa sono fortemente strette insieme dai legamenti, hanno per effetto di decomporre l’ urto, di attenuarlo, e di addolcire la vio- lenza del colpo laterale. Può dirsi che tutte le facce sono spostate da un movimento di tal fatta, ed il loro movimento generale porge al carpo la elasticità. Questa elasticità non può essere che lievis- sima a cagione dell’ elasticità e lubricità delle cartilagini incro- stanti; e in pari tempo non cessa di godere di una forza quasi in- vincibile, nata da quella forza che è propria dei legamenti. È dun- que una elasticità soffice e robusta. Forza e arrendevolezza: ecco le due qualità caratteristiche dei freni. D'altronde cessa ogni spostamento tostochè si fermi lo sforzo che lo produce, essendo ufficio delle facce di scivolamento il ri- mettere ciascun osso al proprio posto. Non posso qui seguire ne’ suoi particolari lo studio dei movi- menti delle facce di contatto; perchè tali ricerche ci condurrebbero troppo lontano, e poi hanno già trovato il loro posto nello studio generale del carpo (1). Prima di terminare questo articolo non bisogna dimenticare che la intiera massa del carpo sarebbe totalmente spostata dalla violenza di un colpo laterale, ove speciali legamenti nol premunis- sero contro tale eventualità. Diffatti trovasi un legamento che dalla testa del radio sì fissa sul lunato e sul piramidale: sulla faccia dor- sale esso si presenta come una corda di resistenza direttamente po- sta contro la direzione del colpo. Del pari alla faccia volare un al- tro legamento si porta dall’ estremità del radio sul lunato, sul pi- ramidale, e sul capitato. Per la combinazione della loro forza questi due legamenti trasmettono finalmente il peso e lo sforzo sulla testa del radio. Ho detto lo sforzo ed il peso, perchè si riscontra un altro esempio di impulsione radio-ulnare, e talora molto gagliardo, quando (1) Si vegga addietro pag. 65 e seg. APPENDICE 451 cioè la mano posta verticalmente ovvero a mezza pronazione sol- leva un peso grave mediante una corda od un manico. In tal caso riesce ognor più chiaro che la resistenza trasversale presentata dai pezzi del metacarpo e dal carpo è basata sugli ingranaggi ossei, coadiuvati dai legamenti e dalle contrazioni muscolari; i quali in- granaggi risparmiano gran parte dello sforzo ai legamenti. Del re- sto è sempre lo stesso meccanismo di resistenza carpiana che in . ultima analisi, dopo essere stata attenuata, va a terminare sulla testa del radio in causa dei legamenti radio-carpiani. Dopo queste considerazioni, parmi che si vedrà emergere che la resistenza contro la impulsione pollicare è perfettamente assicu- rata; e che nella apparente irregolarità dell’ articolazione carpo-me- tacarpiana si notano parti, le quali sono richieste da una necessità meccanica. Impulsione del pugnale o laterale interna. Ho preso il nome e l’esempio di questo genere di movimento da un colpo dato col pugnale. — Questa impulsione è un caso diametralmente opposto a quello che or ora abbiamo descritto. Quando si stringe colla mano quest’ arma, se ne tiene l'impugnatura bene stretta sul metacarpo mediante la pressione delle falangi, il pomo del pugnale trovasi dal lato del pollice, e la lama dal lato del dito mignolo. La vibrazione di un colpo reca inevitabilmente una reazione sulla mano; e la prima parte di questa, che subisce un tale contracolpo , è il dito mignolo col suo metacarpo. Quindi tutti gli altri metacarpi soggiaciono suc- cessivamente ad una impulsione, che tende a spingere le loro basi verso il pollice come anche ad inclinare le loro teste metacarpiane sul medesimo lato (1). Qui abbiamo effetti analoghi a quelli da noi ultimamente studiati, ma qui sono invertiti. Nella impulsione polli- care le parti della mano erano spinte verso il mignolo; qui per (1) Tavola v., fig. 4. 452 APPENDICE converso tutto è spinto verso il pollice. Osserviamo se ancora in questo caso vi siano ingranaggi solidi opposti a; quest’ ultima di- rezione. Tutto ciò che la debole potenza del quinto metacarpo può por- tare direttamente sul carpo, esso lo imprime sulla faccia inclinata dell’ uncinato. Il quarto metacarpo ha un teus (vicino al terzo) od un margine più sporgeute dell’ altro; e ‘abbandonando 1’ uncinato, direttamente s’ appoggia sul capitato (1). Diffatti questo discendendo sorpassa talmente il piano dell’ uncinato, da offrire un saldissimo rial- zo, contro cui va a battere la base del quarto. È cosa impossibile che con siffatto meccanismo il quarto metacarpo si inoltri scivolando sul capitato, ovvero che possa spostarsi di un min2r0 verso il pol- lice finchè sussistono legamenti; perchè il a/us del quarto, ed il rilievo diescendente del capitato costituiscono un ingranaggio di con- trasto insuperabile. Anche in rapporto a questa direzione ulno-ra- diale si hanno facce e creste di contrasto, le quali rendono impos- sibile in questo senso lo scivolamento ossia lo spostamento dei me- tacarpi; questi allora oppongono una vera solidità sulle ossa del carpo contro l’impulsione laterale. Per ciò che risguarda la declinazione, veggo che il talus del quarto, il processo stiloide del terzo, e la larghissima base del- l'indice, sono altrettanti puntelli opposti ad una declinazione del quinto metacarpo sul quarto e sui susseguenti. Il punto d’ appoggio che il quarto ha sopra il capitato, tras- mette su di questo la maggior parte dell’ effetto della impulsione laterale ulno-radiale. L° uncinato appoggiandosi al capitato, gli co- munica del pari lo sforzo che ha ricevuto dal quinto metacarpo (2). Il capitato alla sua volta resiste facilmente a tutti gli sforzi, che vanno a concentrarsi su di lui, mediante la sua testa racchiusa en- tro la cavità scafoido-semi-lunare. La direzione dunque della impul- (1) Tavola v. fig. 4. — e Tavola xxr. fig. 3. rv. 6. 9 (2) Tavola v. fig. 4. d. e. — e Tavola xx1. fig. 3. APPENDICE 453. sione ulno-radiale sulla mano, proviene primieramente dal quinto e dal quarto metacarpo, poscia si trasmette sull’ uncinato e sul ca- pitato, e termina poi sullo scafoide. Ogni resistenza dunque si basa su questo ultimo osso, il quale senza dubbio è molto bene provvi- sto e appoggiato sul radio. Siccome il capitato ha la sua testa superiore così sporgente, trova per essa un punto di invincibile resistenza nella concavità dello scafoide: ma se in seguito di una violenta impulsione late- rale è possibile una piccola flessione del capitato verso il pollice, di leggieri si comprende che essa addiviene limitatissima e al tempo stesso molto oscura per cagione delle tre facce di scivolamento che circondano la testa superiore del capitato. Non voglio occuparmi qui degli altri movimenti che accadono fra i pezzi carpiani, essendo bastevole ciò che abbiamo detto per con- cludere che un’ altra parte dell’ articolazione carpo-metacarpiana è regolata da una necessità meccanica, allo scopo di superare le im- pulsioni laterali ulno-radiali. Repulsione palmare. — Un atto istintivo mi conduce a con- traporre la mia mano ad un corpo che cadendo può colpirmi. Stendo il braccio, apro la mano per quanto è possibile, e colla divarica- zione delle dita estendo la resistenza su tutta la superficie che può essere compresa fra le mie dita. M° accorgo che la forza di questo non è certamente molta, e mi riprometto una maggior resistenza dalla mia palma, vale a dire da’ miei metacarpi. Mediante l’azione dei muscoli estensori e divaricatori la mano trovasi nella sua massima espansione. Ma tosto che il corpo cadendo giunge alla mano, allora i muscoli depressori entrano in funzione. Coadiuvati dai legamenti volari essi tendono ad impedire la retro- flessione dei metacarpi. Più particolarmente poi sono coadiuvati da un meccanismo solido, vale a dire dal braccio di leva sommini- strato dalle facce di contatto fra i metacarpi ed i carpi della se- conda serie. Cotali facce sono estesissime in molte direzioni, ma 454 _ APPENDICE ciò che merita di essere notato si è la grande estensione nella di- rezione dorso-palmare. Il grande ta/us del secondo metacarpo (1) è la quarta parte della intera lunghezza dell’ osso; la base del terzo è la quinta parte della totale lunghezza. Onde consegue, che il li- mite estremo di contatto dorsale delle due facce è lontanissimo dalle corde di resistenza collocate nella palma (i legamenti cioè, ed i muscoli flessori ); e grandemente poi viene in loro aiuto, mediante il solido appoggio che ad esse offre. Aggiungiamo ancora che il terzo metacarpo ha il processo stiloide, che moltiplica la lunghezza dor- sale dell’ osso stesso, ed aumenta la resistenza contro una retro- flessione (2). Il. capitato, essendo sottoposto ad uno sforzo di tal natura, colla sua testa rotonda può muoversi nella cavità scafoido-semi-lu- nare. Al suo movimento partecipa altresì l’ uncinato, ed altre ossa ancora; ma, oltre all'essere trattenute dai legamenti, sono nel tempo stesso ricollocate nella loro posizione dalle facce di scivolamento, sopratutto poi da quella dell’ uncinato sul piramidale. Con questi piccoli movimenti gli urti sono attenuati ed attutiti. Elevazione con pronazione. — Un peso può essere sollevato dalla mano colla palma rivolta al basso. Se il peso sia una sfera la singolare ineguaglianza dei metacarpi e delle dita permette al- l’uomo di poterla afferrare; e se codesta sfera non ha più che quin- dici centimetri di periferia, o in quel torno, le dita della mano di- varicate cadono colle loro estremità sull’ equatore della sfera. In questa azione le dita non hanno altro ufficio che di stare applicate sulla superficie della sfera e di stringerla fortemente: tutto il peso è affidato principalmente ai metacarpi, i quali, essendo quasi oriz- zontali, sono stirati verso il basso dalla loro testa inferiore. (1) Tavola vi. fig. 4. e. d. (2) Tavola vi. fig. 4. e. Mi e” APPENDICE 450 I muscoli elevatori, a quanto pare, non recano un notevole aiuto ai metacarpi stirati, perchè sono all’ opera i flessori compri- mendo le dita sulla sfera. Ogni resistenza contro la declinazione è dunque affidata ai quattro metacarpi. Ma la loro rigidità sembra completamente assicurata, mercè la forma delle facce di contatto dei metacarpi col carpo. Qui non c’ è che'a rammentare quanto abbia- mo detto più sopra. Diffatti le basi del secondo e terzo metacarpo sono particolar- mente distese nella direzione dorso-volare, e fermate come sono sul trapezoide e sul capitato mediante i legamenti, presentano un este- sissimo braccio di leva e perciò di moltissima resistenza (1). Ma qui c'è una particolarità degna di considerazione per ri- spetto alla base da noi accennata. Abbiam detto che codesta base è estesissima, dal didietro all’ avanti, dal dorso alla palma; e sif- fatta estensione giova tanto per la stabilità necessaria ai metacarpi nella ripulsione palmare, quanto nella elevazione con preensione. Ma se si considera che l’asse del terzo metacarpo @ d (2) non cade sul mezzo della detta base c d, e che una parte più grande di essa si estende sulla palma anzichè verso il dorso, ben si conosce che la resistenza alla declinazione dei metacarpi è molto più forte in quest’ ultimo caso. La base c d è la quarta o terza parte della to- tale lunghezza del secondo e terzo osso. Questo è già molto; ma se si abbassa l’asse dell’ osso 4 d (3) si vedrà che esso divide la base in due parti diseguali; e che la parte volare 4 e sporge con una punta o con un #a/us, il quale urta fortemente nel processo del capitato, molto sporgente anch’ esso nella palma. Con ciò vediamo ancora una volta di più, che sul capitato si concentrano i maggiori sforzi di questa preensione. Non terremo dietro alle resistenze, onde sono gravati i singoli pezzi carpiani. Se il capitato è necessaria- mente un po inclinato dalla impulsione del secondo e terzo meta- (1) Tavola vr. fig. 2, 3, 4. (2) Tavola v. fig. 4. a. db. (3) Tavola vr. fig. 4. 456 APPENDICE carpo, se l’ uncinato lo è ugualmente per quella del quartò e quinto, essi possono eseguire piccoli movimenti, circoscritti fra stretti li- miti dai legamenti e dalle diseguaglianze delle facce, e somministrano un freno ed un addolcimento dello sforzo originario. Ma sono mo- vimenti ristrettissimi, perchè entrando in azione le facce di scivo- lamento non permettono che piccolissime gradazioni, e ben. presto richiamano le ossa carpiane al proprio luogo. Il meccanismo che dovevamo far notare per risguardo alla preensione con pronazione, si è: 1.° la grande estensione delle basi o facce di contatto dei metacarpi, con quelle delle ossa carpiane; 2. la estensione delle basi stesse più sporgenti nella faccia volare che nella dorsale. AVVERTENZA Il mio lavoro è giunto al suo termine. Ma poss’ i0 lusingarmi che la discussione fra la Teoria della di- scendenza e la Dottrina di una Creazione indipendente abbia toccato tutti i punti della quistione? Forsechè la Geologia e la Paleontologia non vi hanno parte an- ch’ esse? Sì certo, che vi hanno parte, e di molto! Infatti è notorio che la Cronologia paleontologica può essere invocata come prova e appoggio della Teoria della trasformazione degli esseri. Questo io mi so bene: ma so ancora che la quistione paleontologica , sottoposta che sia ad un esame accurato, qual si è fatto per la quistione zoologica, dà finalmente in ul- timo risultato quella stessa conclusione a cui siamo giunti nel presente lavoro; vale a dire, che la Dot- trina della Creazione indipendente sotto questo rap- porto è tuttavia al riparo da qualsiasi assalto. Ma ognun vede come qui non fosse luogo per siffatta con- troversia, la quale non può che essere il tema di un altro lavoro; d’ altronde poi non conveniva frammi- schiare la questione paleontologica colla quistione 200- logica. L’ AUTORE. MT E ù # - 2403 rode STE Mn INDICE DELLE MATERIE LETTERA AL SIG. DARWIN L'unità di piano si può essa spiegare colla dottrina della Crea- zione indipendente? pag. 4. — Facile spiegazione mediante la teoria della filiazione degli esseri organici, pag. 5. — Dif- ficoltà che si presentano contro l’altra dottrina, pag. 6. — Ritorno alla dottrina Darwiniana, pag. 9. — Problema della discussione, e notizie preliminari, pag. 12. I. UNITÀ DI PIANO, pag. 17. Evidenza e generalità di questa unità, pag. 19. II. ESAME DELLE ESTREMITÀ, pag. 23. Estremità fratte, o a più pezzi, pag. 24. — Ricomparsa delle medesime parti, femore, tibia, ecc., pag. 28. — Ripetizione di parti per necessità meccanica, pag. 29. — Unità di tipo nell’ arte umana, pag. 31. — Estremità digitate, pag. 32. — Dita, aste a più pezzi, pag. 34. — Numero delle falangi, pag. 36. — Preensione, pag. 37. — Omologia delle estre- mità anteriori e posteriori, pag. 39. — Unità di piano e ne- cessità meccanica, pag. 48. — Concessioni ammesse a ri- guardo dell’ unità di tipo, pag. Dl. PARTE PRIMA LA MANO DELL’ UOMO I. LA MANO DELL’ UOMO, pag. 57. Moltiplicità de’ suoi movimenti, pag. 58. — Preensione, pag. 61. — Carpo, pag. 62. 460 INDICE DELLE MATERIE II. IL caRPO UMANO, pag. 65. Generalità sul carpo, pag. 65. — Il carpo collocato fra 1’ a- zione e la resistenza, pag. 66. — Parti ossee che lo com- pongono, pag. 67. — Legamenti, pag. 68. — Cartilagini pag. 69. — Meccanismo ad elastico, pag. 70. Superfici di scivolamento, pag. 73. — Facce del trapezio e del piramidale, pag. 74. — Combaciamento e repulsione, pag. 76. — Loro movimenti, pag. 80. — Determinati da azioni violenti, pag. 80. — Facce di ricollocamento, pag. 83. — Esse assicurano l’ orientazione dei pezzi carpiani, pag. 84. — Stabilità della forma della mano durante il %la- voro, pag. 85. — Producono la divisione e la dispersione degli sforzi, pag. 85. — Trasporto di uno sforzo dai pezzi solidi alle parti molli, pag. 87. — Situazione del carpo, pag. 90. Articolazione endocarpiana, pag. 93. — Sue parti, pag. 93. — Facce di contatto dell’ uncinato col piramidale, pag. 95. — Testa superiore del capitato, pag. 98. — Suoi movimenti limitati, pag. 99. — Meccanismo di resistenza trasversale, pag. 101 (Nota). Sistema pollicare, pag. 103. — Trasporto del pollice me- diante le sue ossa carpiane, pag. 104. — Funzioni del tra- pezoide, pag. 106. Articolazione carpo-metacarpiana, pag. 107. — Sua appa- rente irregolarità, pag. 107. — Parte tetradattila della mano, pag. 108. — Ingranaggio di resistenza contro i colpi di lato, pag. 109. — Basi di resistenza contro le declinazioni, pag. 110. — Intervento della azione muscolare, pag. 114. — So- lidarietà dei pezzi metacarpiani, pag. 116. — Elasticità, pag. 118. A III. LE DITA STUDIATE NELLA MANO DELL'UOMO, pag. 121. Falangi, pag. 121. — Divisione quinaria, pag. 122. — Uni- ficazione mediante il carpo, pag. 122. — Flessibilità e resi- stenza, pag. 124. — Debolezza delle dita umane, pag. 126. — Mancanza di carpo elastico alle dita degli uccelli, pag. 126. — Necessità dele carpo per gli animali che hanno dita sottili, pag. 127. — Perfezione della mano dell’ uomo, pa- gina 128. INDICE DELLE MATERIE 461 PARTE SECONDA LA MANO DEI BRUTI I. GENERALITÀ SULLA MANO DEI BRUTI, pag. 133. Applicazione dei principî già stabiliti alla mano dei bruti, pag. 134. — Complicazione della paletta della foca, pag. 136. — Differenze numeriche nel carpo dei bruti, pag. 138. IT..LA MANO STUDIATA NELLA TIGRE E NEL CANE, pag. l4l. Tigre, pag. 14l. — Carpo della tigre, pag. 143. — Sua ana- lisi, pag. 143. — Metacarpo della tigre, pag. 149. — Ossa sesamoidee, pag. 150. — Loro funzione nella ambulazione digitigrada, pag. 152. — Falangi, pag. 156. — Duplice mec- canismo e duplice funzione nelle dita della tigre, pag. 157. — Pollice della tigre, pag. 162. — Sua differenza per co- struzione e per funzione dalle altre dita, pag. 162. — Uni- formità nelle cinque dita dell’ orso, pag. 163. Cane, pag. 167. — Contatto del suo osso piramidale col quinto metacarpo, pag. 168. — Parti molli che servono alle ossa sesamoidali, pag. 169. — Specialità della mano del cane, pag. 171. — Supposizione se sulla terra non vi fosse altro animale che la tigre, pag. 173. — La sua zampa sarebbe sempre la medesima, pag. 177. III. ZAMPA DEL MAIALE, E DEL BUE, E PARTI INUTILI, pag. 179. Carpo del maiale, sua meccanica costituzione, pag. 181. Parti inutili, pag. 189. — Due unghiette, o piccole dita del maiale, pag. 190. — Loro uso, pag. 192. — Loro esame, pag. 195. — Rudimento del pollice, pag. 197. — Sua fun- zione ed analisi, pag. 199. Unghiette del bue, pag. 203. — Loro uso ed anatomia, pag. 203. — Ricerche fatte dal Meckel per iscoprire le clavicole nella balena, pag. 208. IV. LA PALETTA DELLA FOCA, pag. 211. Sua forma e suoi movimenti, pag. 211. — Esame del suo carpo, pag. 213. — Agisce come grinfa, pag. 219. — Forme di 462 INDICE DELLE MATERIE pesce proprie alla foca, pag. 223. — Tipo mammifero, e tipo pesce, pag. 223. — Analisi delle natatoie dei pesci, dei ret- tili e dei mammiferi, pag. 228. — Natatoie dei cetacei, pag. 231. — Loro carpo e falangi, pag. 235. — Dimenticanza delle leggi dell’ unità di piano, pag. 236. V. L'ALA DEL PIPISTRELLO, pag. 239. Atrofia della parte posteriore del corpo dei pipistrelli, pag. 241. — Cassa toracica modificata pel volo, pag. 243. — Concen- trazione muscolare attorno all’ organo pel volo, pag. 246. — Genetici passaggi dei pipistrelli agli uccelli, pag. 246. — Studio della mano dei pipistrelli, pag. 248. — Omero, e mancaza del cubito, pag. 250. — Collisione fra l’unità di piano e la necessità meccanica, pag. 252. — Elasticità del- l'ala dei pipistrelli, pag. 254. — Necessità del carpo pei pi- pistrelli, pag. 256. — Elasticità dell’ ala degli uccelli, e mi- nore importanza del carpo, pag. 256. Il carpo dei pipistrelli, pag. 259. — Carpo del Pteropus, pag. 260. — Metacarpi, pag. 263. — Loro divaricazione, pag. 266. — Limitazione di volume e d’ azione dei muscoli nelle dita dei cheiropteri, pag. 269. — Allontanamento dei muscoli flessori ed estensori dall’ omero, pag. 273. — Diffi- coltà che si oppongono all’ unità di piano risolte dalla neces- sità meccanica, pag. 282. — Natura mammifera ed ovipara, pag. 284. PARTE TERZA ULTIME OSSERVAZIONI E RIASSUNTO I. TRANSIZIONI, pag. 296. Modificazioni graduate e per piccoli passaggi, pag. 296. — Transizioni genetiche, e transizioni istrumentali, pag. 297. — Le transizioni istrumentali in azione sono cose impossi- bili, pag. 298. Transizioni istrumentali dell’ arte umana; pag. 298. — Transizione del piede della scimmia al piede dell’uomo, pag. 299. — Transizione dell’ animale non rumi- nante all’ animale ruminante, pag. ‘300. INDICE DELLE MATERIE 463 II. VARIAZIONI, pag. 307. Variabilità delle specie, pag. 308. — Le modificazioni consi- derate come avanzamenti, o migliorie, pag. 309. — Una mo- dificazione che prelude ad un cangiamento di tipo ha condi- zioni indeclinabili, pag. 310. — Osservazioni sulla Datura, pag. 311. — Modificazioni miglioranti e modificazioni degra- danti, pag. 313. — Variazioni del tipo cane, pag. 314. — Modificazioni che sono deformazioni, esagerazioni, e difetti, pag. 315. — Creste ossee del cranio, pag. 317. — Propor- zioni fra l apparecchio muscolare e dentario, pag. 317. — Confronto delle creste del cranio colla base del dente carna- rio, pag. 318. — Denti mancanti, o sopranumerari, pag. 321. — Mostruosità, pag. 324. — Altre modificazioni delle parti ossee, pag. 325. — Leggi di accrescimento delle ossa secondo le viste di G. Galilei, pag. ‘326. — Modificazioni acciden- tali delle ossa che trovansi in disaccordo coll’ insieme, pag. 327. — Queste deformano l’animale, pag. 328. — Gli es- seri sono degradati in causa delle modificazioni, pag. 328. — Variazioni disordinate, pag. 330. — Lotta per la con- servazione del tipo, pag. 332 (Nota). — Questione quale sia la specie secondo natura, pag. 338. III. RiassuNnTO, pag. 339. AGGIUNTA GLI ANIMALI ARTICOLATI E LA DOTTRINA TELEOLOGICA I. GLI ANIMALI ARTICOLATI, pag. 361. Il tipo degli animali articolati, pag. 363. — Meccanismo del mo- vimento negli articolati, pag. 363. — Scheletro esterno e scheletro interno, pag. 364. — Non apparisce motivo per la sostituzione dello scheletro esterno all’interno, pag. 366. — Resta come concetto fuori della ragione meccanica, pag. 368. — Come può spiegarlo la Dottrina della creazione indipen- dente? pag. 369. — Considerazioni sul dermoscheletro, pag. 464 INDICE DELLE MATERIE 369. — Colonna vertebrale ossea, pag. 370. — Parallelo fra il dermoscheletro e lo scheletro osseo, pag. 371. — Zampe degli artropodi raccolte in gruppo per la mancanza di co- lonna vertebrale, pag. 373. — Distanza fra i due tipi verte- brato ed artropode, pag. 378. — Necessità di un tipo a der- moscheletro, pag. 380. — Ordine di natura attuale incon- ciliabile oltre certi limiti pei vertebrati, pag. 380. — In- setti rifugiansi parte dell’anno nell’ uovo o nella larva, pag. 381. — Temporaneità della vita degl’ insetti, pag. 385. — Possono vivere, senza emigrare, nella Lapponia e nello Spitz- berg, pag. 388. — Celerità di loro vita attiva, pag. 389. — Metamorfosi, pag. 391. — Dermoscheletro improvvisato. e provvisorio, pag. 392. — Accomodato alla transitorietà della vita degli insetti, pag. 392. — L'adozione del dermosche- letro è necessità fisiologica, pag. 396. — Era necessaria per popolare alcune regioni, pag. 397. — Mustrazione del tipo articolato data dall’ Haeckel, pag. 399. — Idee sul dermo- scheletro e sulla colonna vertebrale date dal Géoffroy St. Hi- laire, pag. 413. II. LA DOTTRINA TELEOLOGIA ED IL MIO LIBRO, pag. 428. Viste teleologiche del Wallace, pag. 429. — Viste teleologiche del Foucault, del Galilei, del Newton, pag. 430. — La Crea- zione indipendente e le cause finali, pag. 432. APPENDICE ANALISI DI ALCUNI MOVIMENTI DELLA MANO DELL'UOMO, pag. 435. Torsione, pag. 435. Stiramento obliquo, pag. 439. Stiramento diretto, pag. 443. Impulsione, pag. 443. Impulsione pollicare, pag. 444. — Im- pulsione laterale interna, pag. 451. Repulsione palmare, pag. 453.» Elevazione con pronazione, pag. 454. TAVOLE Tavola I pag. 67 | Tavola XII » II. » 68 » XII. » III. PRIA: » XIV. » IV. » 95 » XV. » V. » 109 » XVI. » VI. » 110 » XVII. » VII. » 143 | » XVIII » VII. vali ii » XIX. » TX. » 152 | » XX. » X. » 168 | » XXI. » XI. DAS RI ERRATA CORRIGE Pag. linea 10 26 Plance Place ll 10 riguardi riguardo 83 26 intercapiane intercarpiane 107 2 imbarrazzante imbarazzante 108 9 Queste Questa » 16 mancati mancanti 136 12 smarriti smarrite 138 ]l persuadarsi persuadersi 228 24 Gengenbauer Gegenbaur 245 10 superfici superficie 157 2 uccello; uccello, 260 21 tubulare tabulare 280 Bale è 321 17 compiersi compiere 348 6 consegnenza conseguenza 349 23 essersi esseri 402 6 sotto sopra % ba o” - a TA da E RA - = oa Pet VESPA TE: MEA ie I Se PT PIANISTA M0; bara pane = nd. se, L; e SERA pat ate “ra Sr RAS È coi e “ea